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LA COSTITUZIONE ITALIANA

L’Italia è una REPUBBLICA PARLAMENTARE perché ha una forma di Governo in cui la volontà
popolare è affidata alle elezioni politiche. Attraverso le elezioni il popolo elegge i suoi rappresentanti in
Parlamento e questo, a sua volta, elegge il Governo ed il Presidente della Repubblica.

Nelle forme di governo parlamentari, ogni sistema elettorale deve assicurare la rappresentatività della
volontà popolare, come indicato nella Costituzione.

Per Costituzione si intende l’insieme delle norme fondamentali di un ordinamento giuridico, cioè le
regole che disciplinano i trattati dell’organizzazione dello Stato e le relazioni dello stesso con i cittadini.

La costituzione può essere:

scritta, quando le norme fondamentali sono generalmente costituite da documenti scritti;

non scritta, quando gli ordinamenti sono retti da un complesso di atti e norme consuetudinarie;

ottriata, se viene unilateralmente concessa dal sovrano, come nello Statuto Albertino;

votata, se viene eletta o approvata dal corpo elettorale;

flessibile, quando può essere modificata dagli ordini strumentali legislativi senza richiedere procedimenti
particolari;

rigida, quando è modificabile solo attraverso un procedimento aggravato rispetto a quello ordinario; si
dice rigida nel senso debole quella Costituzione che non prevede nessun controllo sulla conformità delle
leggi ordinarie; si dice rigida nel senso forte quella Costituzione prevedono un controllo sulla conformità
delle leggi ordinarie;

breve o corta, quando contiene soltanto le norme sull’organizzazione fondamentale dello Stato e alcuni
diritti di libertà;

lunga, quando riconosce oltre ai diritti civili, e politici, anche i diritti sociali ed economici.

STRUTTURA DELLA COSTITUZIONE ITALIANA

La Costituzione italiana è scritta, votata, rigida e lunga.


La nostra Costituzione è scritta in quanto è contenuta in un documento scritto, votata in quanto è stata
approvata dal corpo elettorale, rigida in senso forte in quanto non può essere modificata da leggi
ordinarie, ma solo da leggi costituzionali ed inoltre prevedono un sistema di controllo di conformità delle
leggi e lunga in quanto riconosce oltre ai diritti civili, e politici, anche i diritti sociali ed economici.

La Costituzione della Repubblica Italiana è costituita da 139 articoli e da 18 disposizioni transitorie e


finali dettate allo scopo di regolare il passaggio dal vecchio regime al nuovo ordinamento democratico.

I primi 12 articoli enunciano i principi fondamentali, che affermano i valori fondamentali di Libertà,
Uguaglianza, Solidarietà che sono ancora oggi vitali. I principi fondamentali stabiliscono dei criteri di
ordine generale a cui si devono attenere le leggi ordinarie nella elaborazione dell’ordinamento giuridico.

La prima parte della Costituzione, costituita dagli articoli dal 13 al 54 e dedicata ai diritti e ai doveri dei
cittadini. Questa parte regola i rapporti civili, etico-sociali, politici, economici. Queste norma
rappresentano un’innovazione rispetto alle costituzioni allora vigenti nei paesi democratici.

La seconda parte, costituita dagli articoli dal 55 al 139, è dedicata all’ordinamento della Repubblica.
Delinea il nostro ordinamento statale.

Gli organi costituzionali sono: Parlamento, Presidente della Repubblica, Governo, Magistratura.
Seguono le norme relative alle regioni, province e comuni e alle garanzie costituzionali.

PRINCIPI FONDAMENTALI DELLA COSTITUZIONE ITALIANA

Ecco qui di seguito i suoi principi fondamentali:

Principio democratico (art. 1): la costituzione si apre con una affermazione dalla quale si deriva che il
nostro Stato, repubblicano e democratico, si basa sul consenso dei cittadini; il popolo ha la sovranità e la
esercita attraverso l’elezione dei suoi rappresentanti al Parlamento e con i referendum popolari.

Principio del lavoro (art. 1 e 4): il lavoro è il fondamento della struttura politica dello Stato ed è un valore
fondamentale; il lavoro è ampiamente tutelato nella nostra costituzione.

Principio personalistico (art. 2): i “diritti inviolabili” non sono creati, ma riconosciuti dallo Stato. Il
principio afferma la libertà e l’autonomia della persona umana. La tutela della persona riguarda il singolo
cittadino e le formazioni sociali. Tra le persone e lo Stato si collocano una serie di società intermedie.
Principio solidaristico (art. 2): la solidarietà è la risultante dell’interdipendenza fra tutti gli uomini e si
esprime attraverso le formazioni sociali nelle quali si esprime e si svolge la crescita della persona
(famiglia, scuola, ecc.).

Principio di uguaglianza (art. 3): è il principio cardine della nostra Costituzione ed il criterio che
condiziona l’interpretazione dell’intero ordinamento giuridico. Di fronte alla legge tutti i cittadini hanno
pari dignità sociale con il quale la Costituzione vuole intendere che non ci sono più distinzioni in base al
loro titolo nobiliare, al grado o all’appartenenza di una classe sociale. Lo Stato deve garantire non solo
l’uguaglianza formale, ma anche quella sostanziale.

Uguaglianza “formale” dice appunto che tutti i cittadini sono uguali di fronte alla legge.

Uguaglianza “sostanziale” rappresenta la realizzazione dell’uguaglianza formale nell’ambito del lavoro,


della sicurezza, i riconoscimenti dati alla donna lavoratrice, e che tutti i cittadini possano accedere agli
uffici pubblici e alle cariche elettive, il suffragio universale sia per gli uomini che per le donne.

La tutela dei diritti della donna lavoratrice, il suffragio universale, la parità fra i sessi sono mezzi per
assicurare l’uguaglianza effettiva dei cittadini per il pieno sviluppo della persona umana. L’uguaglianza
è un importante obiettivo da raggiungere e consiste in uguali opportunità garantite ai cittadini.

Principio autonomista (art. 5): questo principio è caratteristico delle moderne costituzioni democratiche.
Il decentramento è uno degli strumenti attraverso il quale si realizza compiutamente il riconoscimento
delle autonomie locali. L’autonomia è intensa nelle regioni a statuto speciale dove risiedono minoranze
linguistiche, protette da speciali norme (art. 6).

Principio internazionalista: oggi il mondo è cambiato rispetto al passato, infatti si va verso una nuova
fase del diritto internazionale da dove nasce la necessità che il concetto di Stato vada rivisto in base alle
condizioni del mondo e alle esigenze della pace e della cooperazione fra i popoli. La nostra costituzione
riconosce l’esistenza di una comunità internazionale di stati; concede diritto di asilo allo straniero; ha
previsto che lo straniero non venga estradato.

ARTICOLI DELLA COSTITUZIONE ITALIANA

Articolo 1:

"L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro.

La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”.
Il primo articolo della Costituzione fonda le due caratteristiche principali dello Stato italiano, sorto dalla
guerra di liberazione: l’Italia è una Repubblica, e a norma dell’art. 139 non potrà più tornare alla forma
monarchica, ed è finalmente, grazie al suffragio universale e alle istituzioni previste dalla II parte del
testo costituzionale, una democrazia. Democrazia rappresentativa, in cui il potere appartiene al popolo,
costituito da tutti i cittadini, che concorrono al governo della cosa pubblica attraverso gli istituti e i
meccanismi previsti dall’ordinamento della Repubblica. Inoltre, fondamento della democrazia non è la
proprietà, con i conseguenti privilegi di classe dello Stato liberale, ma il lavoro, diritto e dovere di
ciascuno per il progresso personale e sociale.

ARTICOLO 1 DELLA COSTITUZIONE

"L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che la
esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione."

Per comprendere e commentare la seconda parte dell'articolo 1 della Costituzione Italiana, è bene
chiarirsi le idee sul concetto di sovranità. Cercando su un qualsiasi dizionario della lingua italiana, il
significato che troverete sarà approssimativamente “potere assoluto di comando”. Questo ci fa dunque
intuire che il popolo, ovvero l’insieme di tutti coloro che hanno la cittadinanza italiana, ha potere assoluto
di comando sullo Stato Italiano. Naturalmente questo potere è regolato dalla Costituzione e dalle varie
leggi.

Spiegato in questo modo, può sembrare logico e scontato che nel 2020 tutti abbiano stessi diritti e stessi
doveri all’interno di uno Stato. Non lo è però, se si considera che prima del 1948, anno di entrata in
vigore della Costituzione, in Italia era presente un tipo di governo monarchico, in realtà assoggettato
alla dittatura di Benito Mussolini.

In quell’epoca, infatti, il popolo esercitava ben poco quella sovranità, di cui oggi possiamo godere: non
si conosceva il significato di libertà di parola, dibattito politico, pluralità dei partiti.

Monarchia e dittatura significano appunto potere accentrato nelle mani di una sola persona: il monarca,
o nel secondo caso, il dittatore.

Dopo la caduta della dittatura e la fine della Seconda Guerra Mondiale, il 2 giugno 1946 si svolsero le
prime votazioni a suffragio universale e venne così proclamata la Repubblica, mentre il 1 gennaio 1948
entrò in vigore la Costituzione italiana. Oggi quindi, indirettamente o direttamente, attraverso
referendum, elezioni, proposte di legge, petizioni popolari, sindacati, partecipiamo alla vita politica e
sociale del Paese.

Tornando invece ai concetti più ampi di sovranità e popolo, è interessante riflettere sul grande distacco
che li ha da sempre caratterizzati. La sovranità è sempre stata associata ad un solo personaggio, sia esso
re, imperatore o semplice feudatario in epoca medioevale. Quindi il fatto che il potere politico possa
essere esercitato dal popolo, nella sua totalità, rappresenta una grande innovazione. Per la prima volta,
infatti, tutti hanno, in egual misura, il diritto e il dovere di svolgere gran parte di quelle attività da sempre
riservate ai ricchi e ai potenti, stabilendo una sorta di uguaglianza intellettuale e culturale che rafforza il
popolo, rendendolo fiero e soddisfatto del Paese in cui vive. Cioè una Repubblica Democratica che
concede ad ognuno libertà politica e di pensiero. Tutti hanno infatti interesse nel far valere le proprie
idee per convivere nel migliore dei modi all’interno di un Paese e, grazie all'articolo 1 della Costituzione
Italiana, tutti possono contribuire allo sviluppo dell’Italia. L’unico aspetto, per così dire negativo, è che
questi diritti sono limitati, oltre che dalle leggi, dai cittadini stessi, che si ritrovano a dover “condividere”
il loro potere. E il problema della comunione, nonché dell’uguaglianza tra persone, è stato una costante
nella storia dell’umanità. Ci sono certamente stati anche esempi di sovrani che hanno concesso alcune
libertà ai sudditi, che li hanno chiamati a votare per particolari questioni, ma in relazione agli episodi di
tirannia, conquiste, lotte per il trono, persecuzioni, sono veramente ochissimi. L’uomo infatti è da sempre
stato incline al raggiungimento del potere, della ricchezza, della superiorità sui suoi simili.

È una legge della natura: il più forte ha sempre comandato sugli altri. In particolare, per quanto riguarda
le decisioni, è stato sempre molto più facile affidare il compito ad un re, un imperatore, un dittatore, o al
massimo, a un ristretto gruppo di persone, perché la difficoltà nel trovare un accordo è un ostacolo
riscontrabile in ogni campo, a scuola o a casa, come nelle riunioni delle più alte personalità politiche in
Italia, in Europa e nel mondo.

Tuttavia, grazie alla Storia, la nostra civiltà si è evoluta e le decisioni collettive, o per lo meno la capacità
di confrontarsi civilmente, non sono più un problema così grave.

Proprio per questo lo Stato, da intendere come organizzazione, dovrebbe essere il risultato della volontà
del popolo, o meglio, della maggioranza di questo, poiché il gran numero dei cittadini non permette
logicamente di soddisfare i desideri di ognuno.

Non tutti i cittadini potranno infatti riscontrare perfettamente le loro idee nelle mentalità dei vari
rappresentanti, perché ognuno ha esperienza, formazione, modalità di pensiero diverse. In ogni caso,
almeno le leggi dovrebbero rispecchiare fedelmente le idee di giustizia, di comportamento, di tutta la
popolazione italiana.

Articolo 2: testo e spiegazione

“La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo sia nelle formazioni
sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà
politica, economica e sociale”.

Commento. Il secondo articolo è indubbiamente uno dei più importanti della Costituzione Italiana. Infatti
con esso la Repubblica Italiana riconosce e garantisce i diritti dell’uomo, che sono stati spesso violati
nell’arco di tutta la storia, non esclusa quella italiana (basti pensare alla persecuzione degli Ebrei durante
il Nazifascismo). Il riferimento iniziale, come successivamente nella Dichiarazione Universale dei diritti
dell’uomo, è di tipo giusnaturalistico: lo Stato riconosce diritti che gli preesistono e di cui ogni persona
è titolare fin dalla nascita, inoltre tali diritti sono inviolabili, costituiscono cioè un limite invalicabile per
i poteri pubblici, che potranno con legge limitarli, ma mai eliminarli. Il retroterra storico è appunto quello
della Shoah e, più in generale, dei regimi totalitari, nazismo e fascismo, che avevano compiuto gravissime
violazioni dei diritti umani in nome di superiori interessi dello Stato. Viene, inoltre, richiamato il
principio personalista, per cui l’uomo non è un individuo separato e in competizione con gli altri, ma un
essere in relazione, che si sviluppa e coopera nelle formazioni sociali, come la famiglia, la scuola, le
associazioni. Esiste infine una necessaria e stretta correlazione fra diritti e doveri, per cui tutti sono
chiamati ai doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale: è il principio solidarista su
cui si basa tutta la Costituzione, che prende quindi le distanze dall’individualismo liberale e dal
perseguimento dei soli interessi egoistici.

Articolo 3: testo e spiegazione.


“Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di
razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della
Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando, di fatto, la libertà e
l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione
di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.

Commento. Nel I comma è riaffermato il principio dell’uguaglianza formale, di origine liberale, già
rivendicato dalla Rivoluzione francese e previsto anche dallo Statuto Albertino, ma gravemente violato
dalle Leggi razziali. Si tratta dell’uguaglianza davanti alla legge, enunciata in tutti i tribunali con la
formula “La legge è uguale per tutti.” Vengono citate sei possibili ragioni di discriminazioni, fra cui
primariamente quelle derivanti dal sesso, dalla razza, dalla religione, che hanno determinato nella storia
persecuzioni, sopraffazioni e gravi ingiustizie. Il termine razza, proprio per il suo intento discriminatorio,
è oggi fortemente criticato e già in Assemblea Costituente ci fu la proposta, non accolta, di sostituirlo.
Se oggi, nella Repubblica italiana, non esistono più, anche grazie alle sentenze della Corte Costituzionale,
discriminazioni a livello legislativo, non si può certo dire che, nel contesto sociale, siano spariti tutti gli
atteggiamenti discriminatori.

Il II comma enuncia un obiettivo radicalmente nuovo rispetto alla concezione liberale: l’uguaglianza
sostanziale, che richiede un intervento attivo di tutte le componenti della Repubblica per realizzare quelle
che oggi vengono definite pari opportunità. È questo il compito precipuo dello Stato democratico-sociale
tramite le politiche di welfare, che comprendono il diritto alla famiglia, all’istruzione, alla salute, al
lavoro, alla previdenza e all’assistenza sociale.

Articolo 4: testo e spiegazione

"La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano
effettivo questo diritto. Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria
scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale e spirituale della società".
Commento. In questo articolo il lavoro, considerato fondamento sociale del nostro ordinamento
repubblicano fin dal primo articolo della Costituzione, viene riconosciuto come diritto di tutti i cittadini,
in quanto costituisce il presupposto per l'esercizio di ogni altro diritto (v. art. 2). E' per questo che lo
Stato repubblicano si impegna a promuovere le condizioni che lo rendano effettivo. In conseguenza
dell'affermazione del principio lavorista, lo Stato si deve impegnare concretamente nel promuovere
specifiche politiche sociali ed economiche di sviluppo che favoriscano le condizioni per il pieno impiego,
nell'interesse generale della nazione. Da questo presupposto derivano tutti quei diritti che sono definiti
nell'articolo 35 e negli articoli seguenti (Titolo III - Rapporti Economici). Tali diritti vengono riconosciuti
al lavoratore, sia in qualità di singolo cittadino che all'interno delle organizzazioni in cui esercita
un'azione collettiva (v. art. 39). Il lavoro va considerato non solo come un diritto, ma anche come un
dovere che il cittadino deve svolgere responsabilmente, secondo le proprie possibilità e la propria scelta,
nella consapevolezza che ogni tipo di lavoro, manuale o intellettuale, contribuisce in pari misura al bene
della collettività. Sia a livello materiale che spirituale il lavoro, inteso nel nuovo ordinamento
repubblicano come frutto di una libera scelta, contribuisce concretamente al progresso della società
civile, in ogni suo aspetto. L'adempimento del proprio lavoro riveste inoltre un elevato significato morale,
attraverso il quale ogni cittadino partecipa, in prima persona, allo sviluppo della vita democratica della
nostra Repubblica.

Articolo 5: testo e spiegazione.

"La Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali; attua nei servizi che
dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo; adegua i principi e i metodi della sua
legislazione alle esigenze dell’autonomia e del decentramento".

Commento. Con questo articolo viene ribadita l'unità e l'indivisibilità del territorio nazionale, unità
conseguita attraverso il processo storico iniziato nell'età risorgimentale. La confermata unità del territorio
dello Stato esclude, pertanto, qualsiasi ipotesi di scissione. La Costituzione, contrapponendosi
all'ordinamento fascista che aveva attuato uno Stato fortemente accentrato, riconosce e promuove il
pluralismo territoriale, attraverso le autonomie locali (v. art. 114 e ss.). Si riconoscono i Comuni e le
Province, preesistenti allo Stato repubblicano e si promuovono le Regioni. Questi enti territoriali sono
considerati come strutture autonome, fondate su assemblee elette che, all'interno delle leggi della
Repubblica, possono esprimere, attraverso il voto degli elettori, orientamenti politici diversi da quelli del
governo centrale. Il secondo canale del decentramento è rappresentato dagli uffici decentrati dei Ministeri
che, se da una parte stanno a rappresentare gli strumenti del decentramento, dall'altra hanno il compito
di rappresentare il potere centrale su tutto il territorio nazionale. A partire dalla legge n. 59 del 15 marzo
1997 (cd. Legge Bassanini), fino ad arrivare all'attuazione della riforma costituzionale (L. cost. del
3/2001), con cui è stato riscritto quasi completamente il titolo V della parte seconda, si è giunti a
ridisegnare le funzioni degli enti amministrativi e delle comunità locali. La riforma ha, inoltre, previsto
e istituzionalizzato la Città metropolitana (v. art. 114). La riformulazione dell'art. 114 non pone, tuttavia
lo Stato e gli enti locali sulla stesso piano; infatti, come viene evidenziato dalla sentenza della Corte
Costituzionale (sentenza n. 274 del 24 luglio 2003), lo Stato mantiene la sua funzione preminente, sia
nel rispetto di questo articolo, sia nel rispetto dell'esigenza di tutelare l'unità giuridica ed economica del
nostro ordinamento. La potestà legislativa dello Stato e delle Regioni, nel rispetto della Costituzione e
dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali, come pure le materie
in cui lo Stato ha legislazione esclusiva, vengono elencate nell'articolo 117 della Costituzione.

Articolo 6: testo e spiegazione.

"La Repubblica tutela con apposite norme le minoranze linguistiche. La Repubblica italiana si impegna
e tutelare le minoranze linguistiche e tale impegno deve ricadere sulle comunità territoriali in cui queste
minoranze sono presenti".

Commento. La storia del nostro paese è stata connotata fin dall'antichità dalla presenza di popolazioni
diverse fra loro per etnia e per lingua, minoranze che fanno parte a pieno titolo del nostro Stato. Il
riferimento riguarda le minoranze linguistiche appartenenti al gruppo franco - provenzale in Valle
d'Aosta, al gruppo germanofono in Trentino - Alto Adige, a quello sloveno, in Friuli - Venezia Giulia, a
quello ladino nelle valli dolomitiche, ma riguarda anche quelle comunità di ascendenza greca o albanese,
stanziate nelle nostre regioni meridionali. La norma costituzionale, nel rifarsi al precedente articolo 3,
vieta qualunque discriminazione che possa scaturire dalla diversità linguistica e, allo stesso tempo, si
impegna alla tutela del patrimonio linguistico e culturale delle minoranze, conformemente ai principi di
pluralismo e di tolleranza. Durante il regime fascista era stata utilizzata una politica di repressione nei
confronti delle minoranze, politica finalizzata all'attuazione di una politica nazionalistica, che ne
prevedeva l'assimilazione forzata. Anche la Carta dei Diritti fondamentali dell'Unione Europea, con
l'articolo 21, sancisce il divieto di qualsiasi discriminazione fondata sulla lingua e, nell'articolo 22,
prosegue affermando il rispetto per le diversità linguistiche oltre che culturali e religiose. Grazie alla
legge n. 482 del 1999, sono stati assicurati interventi di tutela sia per le minoranze nazionali già
riconosciute (le lingue appartenenti all'area francofona, germanofona e slovena, ladina), che per tutte le
altre minoranze storiche come le albanesi, greche, catalane, friulane, croate, sarde. Le scuole, le
università e le amministrazioni pubbliche hanno il compito di promuoverne la conoscenza e la
conservazione, nell'ottica della tutela e dell'arricchimento del patrimonio umano e culturale del nostro
paese.

Articolo 7: testo e spiegazione.

"Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani.

I loro rapporti sono regolati dai Patti Lateranensi. Le modificazioni dei Patti, accettate dalle due parti,
non richiedono procedimento di revisione costituzionale".

Commento. Lo Statuto Albertino definiva la religione cattolica come "la sola religione di Stato". Gli artt.
7 e 8 della Costituzione repubblicana vedono il superamento del concetto stesso di "religione di Stato" e
disciplinano i rapporti tra Stato e confessioni religiose sulla base di due principi: il principio della
distinzione degli ordini e il principio di bilateralità. Alla Chiesa cattolica vengono comunque riconosciute
indipendenza e sovranità. Il fenomeno religioso viene considerato sostanzialmente estraneo
all'ordinamento dello Stato. Il principio di bilateralità riconosce comunque alle istituzioni religiose la
possibilità di negoziare accordi con lo Stato, secondo il modello delle relazioni internazionali, nelle
materie di loro competenza. Con l'art. 7 la Costituzione recepisce i Patti Lateranensi, cioè gli accordi
sottoscritti l'11 febbraio 1929 da Mussolini (per l'Italia) e dal Cardinale Gasparri (per la Santa Sede). Il
18 febbraio 1984 è stato sottoscritto tra il Governo italiano e la Santa Sede un nuovo accordo, contenente
"modifiche consensuali del Concordato lateranense": si tratta di un documento che, ispirato ai principi di
eguaglianza e neutralità espressi dalla Costituzione repubblicana e, al tempo stesso, più consono ai valori
espressi dal Concilio Vaticano II, ha introdotto rilevanti novità nei rapporti tra Stato e Chiesa,
riaffermando il principio di laicità dello Stato. Si è così concretizzato quel principio pattizio, esplicitato
nell'ultima parte di questo art. 7, in base al quale lo Stato italiano si impegna a stabilire di comune accordo
con la Chiesa ogni modifica dei Patti Lateranensi. È da osservare che se tale accordo non viene raggiunto,
diventa necessaria una Legge costituzionale che, tramite abrogazione di questo articolo, consenta la
revisione unilaterale dei Patti.

Articolo 8: testo e spiegazione.

"Tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge.

Le confessioni religiose diverse dalla cattolica hanno diritto di organizzarsi secondo i propri statuti, in
quanto non contrastino con l’ordinamento giuridico italiano. I loro rapporti con lo Stato sono regolati per
legge sulla base di intese con le relative rappresentanze".

Commento. Il primo comma di questo articolo applica in àmbito religioso il principio d'eguaglianza
sancito dall'art. 3. La Costituzione pone sullo stesso piano tutte le religioni che non abbiano usi in
contrasto con le leggi. La Repubblica si ispira, dunque, ad un atteggiamento di neutralità nei confronti
dei diversi culti e si impegna a tutelare senza distinzioni tutte le confessioni religiose. Pur in forme diverse
dal Concordato che regola i rapporti tra lo Stato e la Chiesa cattolica, vale anche per le altre confessioni
religiose il principio pattizio, in forza del quale i rapporti tra Stato e singole confessioni sono regolati
mediante accordi tra le parti. A partire dal 1984 lo Stato italiano ha cominciato a dare attuazione a questa
norma, stipulando l'intesa con la Tavola Valdese. Successivamente sono state sottoscritte ulteriori intese
con altre confessioni religiose.

Questo articolo, col riconoscimento del pluralismo confessionale, segna il definitivo superamento
dell’art. 1 dello Statuto Albertino, che dichiarava "la religione cattolica, apostolica romana sola religione
di Stato". La garanzia di un effettivo pluralismo confessionale è, peraltro, assicurata dal principio di
neutralità e laicità dello Stato: lo Stato, cioè, tutela la libertà di religione in quanto non determina
situazioni di privilegio né ostacola in alcun modo qualsiasi altro culto diverso da quello cattolico
Articolo 9: testo e spiegazione.

"La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio
e il patrimonio storico e artistico della Nazione".

Commento. L'articolo pone, in termini di promozione e di tutela, le premesse della cosiddetta


“Costituzione culturale”, che troverà più ampia definizione nei successivi articoli 32-35. Qui vengono
enunciati due principi fondamentali: quello della promozione dello sviluppo di cultura e ricerca e quello
della tutela del paesaggio (da intendersi, questo, nel senso più ampio di “beni ambientali”) e del
patrimonio storico e artistico. Solo in apparenza l'articolo mette insieme temi diversi; in realtà, a ben
riflettere, se è del tutto evidente che non è concepibile uno sviluppo culturale scisso da un contestuale
sviluppo della ricerca scientifica e tecnologica, è altrettanto evidente che la cultura pone le radici di un
suo possibile sviluppo nella conoscenza e, dunque, nella valorizzazione e nella tutela dell'intero
patrimonio ambientale, storico, artistico, che rappresenta la vera “essenza culturale”, sedimentata per
secoli, della Nazione. Nella definizione di “paesaggio” va identificato il cosiddetto “ambiente visibile”,
in cui rientrano a pieno titolo tutti gli aspetti relativi al rapporto tra uomo e natura. Nella definizione di
“patrimonio storico e artistico” (in altre parole, i cosiddetti “beni culturali”) vanno identificati tutti quei
beni, mobili e immobili, di proprietà pubblica o privata, che rivestono interesse artistico, storico,
archeologico, etnoantropologico, archivistico, bibliografico. L'osservanza di questa norma costituzionale
ha portato all'istituzione del Ministero dei Beni culturali (1974), successivamente Ministero per i Beni e
le attività culturali (1988) e del Ministero dell'Ambiente (1986).

Articolo 10: testo e spiegazione.

“L'ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente
riconosciute.
La condizione giuridica dello straniero è regolata dalla legge in conformità delle norme e dei trattati
internazionali.

Lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l'effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite
dalla Costituzione italiana, ha diritto d'asilo nel territorio della Repubblica secondo le condizioni stabilite
dalla legge. Non è ammessa l'estradizione dello straniero per reati politici”.

Commento. L’articolo in questione afferma che l’Italia applica le norme generali di diritto internazionale
e che offre asilo politico agli stranieri provenienti da Paesi in cui le libertà fondamentali sono impedite
da governi totalitari ed antidemocratici. Lo straniero non può essere estradato se viene perseguito dal suo
Stato di appartenenza per reati politici. Con questo articolo la Costituzione afferma un principio
internazionalista contro il precedente nazionalismo fascista.

Articolo 11: testo e spiegazione.

“L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di
risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle
limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni;
promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo”.

Commento. L’articolo 11 della Costituzione Italiana precisa che la Repubblica Italiana ripudia la guerra
sia come mezzo di offesa o di attacco verso altri popoli, sia come soluzione ai problemi internazionali.
Infatti, la seconda Guerra Mondiale, a quel tempo, si era appena conclusa e con questo articolo si voleva
allontanare ogni idea di propaganda bellica e di dottrine che giustificano o approvano la guerra, dato che
essa aveva portato povertà, devastazione e tragedie, costituendo la più palese violazione dei diritti
inviolabili dell’uomo. Anche altre Costituzioni, come quella tedesca e giapponese, propongono questo
assoluto rifiuto della guerra e l’ONU è sorta, subito dopo la seconda guerra mondiale, proprio con
l’intento principale di garantire la pace.
In tutte le manifestazioni pacifiste degli ultimi anni gli striscioni riportavano la prima parte dell’articolo
11, contestando le missioni militari in cui era impegnata l’Italia. Secondo alcuni, però, la Costituzione
italiana non è totalmente pacifista, ammettendo implicitamente la sola guerra di difesa, nell’ipotesi, al
momento irrealistica, che ci sia un’aggressione diretta contro lo Stato italiano.

Con la seconda parte di questo articolo la Repubblica Italiana favorisce le organizzazioni internazionali
che aiutano la diffusione della pace e della giustizia fra le Nazioni. Anche grazie a questo articolo l’Italia,
nell’immediato dopoguerra, ha potuto aderire alle Comunità europee, a partire dalla C.E.C.A., che
prevedono una limitazione della sovranità nazionale per costruire progressivamente un’organizzazione
sovranazionale, com’è attualmente la UE, che ha il potere di emanare regolamenti vincolanti per i
cittadini degli Stati membri.

Articolo 12: testo e spiegazione.

"La bandiera della Repubblica è il tricolore italiano: verde, bianco e rosso, a tre bande verticali di eguali
dimensioni".

Commento. La storia del tricolore ha il suo inizio con le repubbliche giacobine in Italia e si ricollega alla
data del 7 gennaio 1797 quando diviene la bandiera della Repubblica Cispadana. Napoleone Bonaparte
nel 1805 adotta il tricolore, con le bande in verticale, come bandiera del Regno d'Italia. Nel 1848, anno
della prima guerra di indipendenza, il tricolore sostituisce lo stendardo azzurro del Regno di Sardegna,
aggiungendo al centro lo scudo sabaudo. Con la nascita del Regno di Italia, il 17 marzo 1961, il tricolore,
viene adottato come bandiera nazionale e, tale scelta, verrà confermata anche nel 1946, con l'eliminazione
dello stemma sabaudo, a seguito del risultato del Referendum istituzionale che sancisce la nascita della
Repubblica. La descrizione della bandiera nazionale è stata riportata in un articolo della Costituzione per
evitare che una qualsiasi maggioranza politica abbia la possibilità, attraverso una legge ordinaria, di
alterare la bandiera, inserendo simboli che si richiamano ad una ideologia. Per quanto riguarda la
posizione dell'asta e la tonalità dei colori, si deve far riferimento alle consuetudini appartenenti alla
tradizione storica del nostro paese.
Articolo 13: testo e spiegazione.

"La libertà personale è inviolabile.

Non è ammessa forma alcuna di detenzione, di ispezione o perquisizione personale, né qualsiasi altre
restrizione della libertà personale, se non per atto motivato dall'autorità giudiziaria e nei soli casi e modi
previsti dalla legge.

In casi eccezionali di necessità ed urgenza, indicati tassativamente dalla legge, l'autorità di pubblica
sicurezza può adottare provvedimenti provvisori, che devono essere comunicati entro quarantotto ore
all'autorità giudiziaria e, se questa non li convalida nelle successive quarantotto ore, si intendono revocati
e restano privi di ogni effetto. È punita ogni violenza fisica e morale sulle persone comunque sottoposte
a restrizioni di libertà. La legge stabilisce i limiti massimi della carcerazione preventiva".

Commento. Questo articolo apre la parte della Costituzione dedicata ai diritti e doveri dei cittadini. Il
rispetto dei diritti e delle libertà fondamentali della persona si colloca qui nella tradizione di documenti
fondamentali della moderna cultura giuridica, quali il Bill of Rights del 1689 e la Dichiarazione dei diritti
dell'uomo e del cittadino del 1789.

Circa l'inviolabilità della libertà personale, va rilevato che essa non viene enunciata in modo generico,ma
viene garantita da tre specifici presìdi giuridici: la riserva di legge, in forza della quale unicamente il
potere legislativo può stabilire casi e modalità con cui è possibile limitare la libertà personale del
cittadino; la riserva di giurisdizione, in base alla quale solo il giudice è legittimato ad emettere o
convalidare provvedimenti limitativi della libertà; la motivazione dei provvedimenti, per la quale
l'ordinanza del giudice deve indicare in modo esauriente i motivi che l'hanno portato a privare l'individuo
della libertà personale. Va osservato come questa norma presupponga e renda indispensabile, a garanzia
del cittadino, l'autonomia e l'indipendenza dell'autorità giudiziaria dagli altri poteri dello Stato e, in
particolare, da quello esecutivo (Governo), che dispone, viceversa, dell'autorità di Pubblica Sicurezza.
Inoltre, affidando alla tutela dell'imparzialità della legge le restrizioni della libertà personale, la
Costituzione intende impedire che si verifichino casi di persecuzione nei confronti di un cittadino. Le
leggi sull'argomento sono state, negli anni, di tenore diverso, anche in rapporto a vere e propri emergenze
determinate dalla necessità di combattere la mafia o il terrorismo.
Il terzo comma proibisce esplicitamente la tortura, in qualunque forma.

Articolo 14: testo e spiegazione.

"Il domicilio è inviolabile.

Non vi si possono eseguire ispezioni o perquisizioni o sequestri, se non nei casi e modi stabiliti dalla
legge secondo le garanzie prescritte per la tutela della libertà personale.

Gli accertamenti e le ispezioni per motivi di sanità e di incolumità pubblica o a fini economici e fiscali
sono regolati da leggi speciali".

Commento. Poiché la libertà di domicilio è espressione della più ampia libertà personale, ne è
riconosciuta l'inviolabilità, anche se l'autorità di polizia o la magistratura possono adottare, con le
opportune garanzie previste dalla legge, misure quali ispezioni, perquisizioni, sequestri. La libertà di
domicilio viene tutelata anche dall'art. 7 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea (firmata
a Nizza il 7 dicembre 2000), che prevede che ogni individuo ha diritto al rispetto della propria vita privata
e familiare, del domicilio e delle sue comunicazioni. La tutela garantita dalla Carta europea ricomprende,
quindi, anche diritti (come il rispetto della vita privata e familiare) che la nostra Costituzione non cita
espressamente.

Il terzo comma dell'articolo stabilisce che i provvedimenti di indagine decisi dalla pubblica
amministrazione per motivi di sanità (ad esempio per verificare le condizioni igieniche di un luogo di
lavoro), di incolumità pubblica (ad esempio per verificare le condizioni di sicurezza di un locale aperto
al pubblico), economici o fiscali (ad esempio per verificare il regolare adempimento degli obblighi
tributari), quando consistono in semplici verifiche su cose e luoghi, non comportano le garanzie che
assistono l'attività di polizia e magistratura. Tali interventi devono, comunque, essere previsti da apposite
leggi.

Articolo 15: testo e spiegazione.


"La libertà e la segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione sono inviolabili.

La loro limitazione può avvenire soltanto per atto motivato dall'autorità giudiziaria con le garanzie
stabilite dalla legge".

Commento. La segretezza della corrispondenza, che non può essere violata neppure dai familiari, è
attributo essenziale della libertà personale in quanto garantisce i contatti del singolo, consentendogli di
far giungere ad altri, senza interferenza alcuna, il suo pensiero. Libertà e segretezza vanno, dunque,
considerate congiuntamente perché l'una trova fondamento nell'altra e nessuna delle due si realizza
compiutamente in assenza dell'altra. Non è specificato chi sia il titolare del diritto inviolabile, se si tratti
cioè del mittente o del destinatario; sono perciò assicurate pari dignità e pari tutela sia a chi invia la
comunicazione sia a chi la riceve. L'inviolabilità, assicurata ad ogni forma di comunicazione, deve
intendersi estesa, ovviamente, anche alla telefonia, alla telematica e ad ogni altra tecnologia.

Il secondo comma prevede che le limitazioni della libertà e segretezza delle comunicazioni devono essere
accompagnate da apposite garanzie di legge, le quali devono individuare gli scopi della misura limitativa,
la durata massima della stessa, i casi e i modi in cui la restrizione può essere adottata. Tale tutela, che
prevede necessariamente un atto motivato di un giudice, si giustifica sia per la segretezza delle
intercettazioni telefoniche o postali sia per il carattere interpersonale delle comunicazioni, che comporta
anche il coinvolgimento di tutte le persone con le quali venga in contatto, per qualsiasi motivo, chi è
soggetto ad intercettazioni.

Articolo 16: testo e spiegazione.

"Ogni cittadino può circolare e soggiornare liberamente in qualsiasi parte del territorio nazionale, salvo
le limitazioni che la legge stabilisce in via generale per motivi di sanità o di sicurezza. Nessuna restrizione
può essere determinata da ragioni politiche.

Ogni cittadino è libero di uscire dal territorio della Repubblica e di rientrarvi, salvo gli obblighi di legge".
Commento. In questo articolo è prevista la libertà per ogni cittadino italiano di circolare e stabilirsi in
modo temporaneo o permanente in qualsiasi parte del territorio nazionale. In stretta corrispondenza è
l'articolo 120 della Costituzione, che vieta alle Regioni di "adottare provvedimenti che ostacolino in
qualsiasi modo la libertà di circolazione delle persone e delle cose".

Va ricordato che la libertà di circolazione e di soggiorno riguarda i cittadini degli stati appartenenti
all'Unione Europea. Sono previste limitazioni di carattere generale per motivi sanitari, ad esempio nel
caso di epidemie, e tali limitazioni vengono dettate dall'esigenza di tutelare la salute dei cittadini; oppure,
può essere prevista la limitazione della libertà di circolazione nei confronti di individui che siano ritenuti
potenzialmente pericolosi per la vita, il patrimonio di altri cittadini o per le istituzioni. Non è prevista
nessuna restrizione della libertà di circolazione e di soggiorno che possa essere determinata per ragioni
politiche: la nostra Costituzione ha inteso ripudiare con fermezza l'utilizzo del confino che il regime
fascista aveva applicato in maniera indiscriminata.

La libertà degli spostamenti al di fuori del territorio italiano è subordinata al possesso di un documento
di riconoscimento. Fra gli obblighi di legge, che rappresentano restrizioni temporali all'uscita del
territorio nazionale, vi è il dovere per il cittadino di presentarsi in giudizio.

Articolo 17: testo e spiegazione.

"I cittadini hanno diritto di riunirsi pacificamente e senz'armi.

Per le riunioni, anche in luogo aperto al pubblico, non è richiesto preavviso.

Delle riunioni in luogo pubblico deve essere dato preavviso alle autorità, che possono vietarle soltanto
per comprovati motivi di sicurezza o di incolumità pubblica".

Commento. L'art. 17 della Costituzione tutela il diritto di riunione, purchè essa venga svolta
pacificamente. Si deve partire dal presupposto che la riunione, diversa dall'assembramento che si
configura invece come un'adunata casuale, si presenti come un confronto democratico fra cittadini,
durante il quale non vi siano prevaricazioni o il ricorso all'uso della violenza e delle armi. Per luoghi
aperti al pubblico si fa riferimento a quei luoghi come ad esempio cinema, teatri, circoli, dove si accede
a talune condizioni, quali il biglietto di accesso o l'essere socio.

Per luogo pubblico si intendono le piazze, le strade, i giardini pubblici, gli edifici di proprietà pubblica,
etc. La richiesta di preavviso non sta a significare una richiesta di autorizzazione da parte delle autorità,
quanto piuttosto una comunicazione. Sarà l'autorità, nel momento in cui vi siano fondati rischi per la
sicurezza e l'incolumità pubblica, a vietare la riunione.

La libertà di riunione insieme alla liberta di associazione (v. articolo 18) sono garantiti anche dall'articolo
12 della Carta dei Diritti fondamentali dell'Unione Europea e tali libertà, che sono attribuite ai cittadini,
dovrebbero estendersi anche agli stranieri regolarizzati che soggiornano e ai quali, secondo il Testo unico
sull'immigrazione, deve essere consentita la partecipazione alla vita pubblica locale e, di conseguenza,
deve essere garantito il diritto di riunione che ne sta alla base.

Articolo 18: testo e spiegazione.

"I cittadini hanno diritto di associarsi liberamente, senza autorizzazione, per fini che non sono vietati ai
singoli dalla legge penale.

Sono proibite le associazioni segrete e quelle che perseguono, anche indirettamente, scopi politici
mediante organizzazioni di carattere militare".

Commento. La nostra Costituzione legittima il diritto di associazione, inteso come la libera unione di
cittadini (la formazione sociale a cui si fa riferimento nell'art. 2) e tale diritto si esplica senza
l'autorizzazione dell'autorità, differenziandosi dalla politica di controllo esercitata dal regime fascista.

Il diritto di associazione, che per sua natura può avere un carattere stabile e duraturo, viene tutelato
costituzionalmente, sempre che mantenga i caratteri di legalità, di trasparenza e di non violenza. Nei
successivi articoli 39 e 49 verranno presi in considerazioni sia l'associazionismo sindacale che quello
partitico, considerati importante riferimento per lo sviluppo democratico della società civile. La norma
vieta tutte quelle associazioni costituite per fini vietati ai singoli dalla legge penale: sono pertanto vietate
le associazioni per delinquere e per scopi eversivi.
Sono proibite le associazioni segrete, associazioni che non rendono nota né la sede, né i nomi dei propri
affiliati e mantengono segrete le loro finalità.

Non è consentito dalla nostra Costituzione che vi siano associazioni che possano interferire impunemente
e illegalmente all'interno delle istituzioni del nostro paese. (A tale norma si fece riferimento, nel 1981, a
proposito della Loggia massonica P2).

Sono vietate, infine, tutte quelle associazioni che perseguono, anche indirettamente, scopi politici
mediante organizzazioni di carattere militare. Il divieto è diretto nei confronti di associazioni strutturate
al loro interno in modo militare con fini violenti ed eversivi; è implicito il richiamo ad ogni forma di
ricostituzione dello squadrismo fascista, fondato su gruppi paramilitari.

Articolo 19: testo e spiegazione.

"Tutti hanno diritto di professare liberamente la propria fede religiosa in qualsiasi forma, individuale o
associata, di farne propaganda e di esercitarne in privato o in pubblico il culto, purché non si tratti di riti
contrari al buon costume".

Commento. Si tratta dell'applicazione dell'articolo precedente allo specifico ambito religioso. Viene
pienamente riconosciuta la libertà religiosa: l'equiparazione tra le diverse fedi è totale; ne consegue che
ha pari dignità anche il rifiuto di ogni credo religioso. Va rilevato che il diritto in oggetto viene sancito
erga omnes, cioè per chiunque risieda nel territorio nazionale, sia esso cittadino o straniero. L'esercizio
del culto trova un limite nell'osservanza del “buon costume”, cioè di comportamenti rispettosi della
pubblica decenza.

La norma rappresenta un'ulteriore conferma della laicità dello Stato, che si realizza quando viene
riconosciuta la libertà di religione e delle confessioni religiose, senza che venga individuata una religione
"ufficiale" dello Stato. E' opportuno ricordare che l'art. 1 dello Statuto Albertino, dichiarando la religione
Cattolica, Apostolica e Romana "sola Religione dello Stato" (mentre gli altri culti venivano "tollerati
conformemente alle leggi"), prefigurava, invece, uno Stato confessionale.
Conseguente a questo articolo è il divieto di ogni forma di discriminazione per motivi religiosi (si veda,
in proposito, quanto già affermato al precedente art. 3): perciò, in coerenza col dettato costituzionale,
l'art. 8 della Legge 300/70 (Statuto dei lavoratori) vieta qualsiasi tipo di indagine sulle opinioni religiose
del lavoratore sia ai fini dell'assunzione sia durante lo svolgimento del rapporto di lavoro.

Articolo 20: testo e spiegazione.

"Il carattere ecclesiastico e il fine di religione o di culto d'una associazione od istituzione non possono
essere causa di speciali limitazioni legislative, né di speciali gravami fiscali per la sua costituzione,
capacità giuridica e ogni forma di attività".

Commento. Per "gravami fiscali" devono qui intendersi gli eventuali oneri imposti dal fisco per la
costituzione di un ente e per lo svolgimento della sua attività (ad esempio: tasse per la stipula dell'atto
costitutivo o per gli acquisti effettuati, vincoli di destinazione specifica di determinati utili, ecc.). Per
"capacità giuridica" si intende l'idoneità ad essere soggetti di diritti e di obblighi stabiliti dalla legge. La
capacità giuridica è prerogativa intangibile di tutti i cittadini (come ulteriormente precisato dal successivo
art. 22), dunque anche degli enti legalmente costituiti: il carattere religioso di un ente non può comportare
alcuna limitazione alla sua capacità giuridica. Questo articolo impedisce, in sostanza, l'introduzione per
legge di trattamenti discriminatori a carico degli enti religiosi rispetto ad altre associazioni che
perseguono scopi diversi: tale garanzia viene assicurata a tutti gli enti religiosi, a prescindere dalla
confessione di appartenenza, a tutela del principio dell'eguale libertà di fede religiosa.

Articolo 21: testo e spiegazione.

"Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro
mezzo di diffusione.

La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure.


Si può procedere a sequestro soltanto per atto motivato dell'autorità giudiziaria nel caso di delitti, per i
quali la legge sulla stampa espressamente lo autorizzi, o nel caso di violazione delle norme che la legge
stessa prescriva per l'indicazione dei responsabili.

Il tali casi, quando vi sia assoluta urgenza e non sia possibile il tempestivo intervento dell'autorità
giudiziaria, il sequestro della stampa periodica può essere eseguito da ufficiali di polizia giudiziaria, che
devono immediatamente, e non mai oltre ventiquattro ore, fare denuncia all'autorità giudiziaria. Se questa
non lo convalida nelle ventiquattro ore successive, il sequestro si intende revocato e privo d'ogni effetto.

La legge può stabilire, con norme di carattere generale, che siano resi noti i mezzi di finanziamento della
stampa periodica. Sono vietate le pubblicazioni a stampa, gli spettacoli e tutte le altre manifestazioni
contrarie al buon costume. La legge stabilisce provvedimenti adeguati a prevenire e a reprimere le
violazioni".

Commento. La libertà di manifestare liberamente il proprio pensiero, connotato fondamentale di ogni


sistema democratico, va qui intesa in riferimento sia alla libertà di esprimere le proprie opinioni
(pluralismo ideologico) sia alla libertà di informazione (cioè di informare e di essere informati). Perciò
viene preso in considerazione non soltanto l'uso della parola e dello scritto, ma anche “ogni altro mezzo
di diffusione” (quindi la radio, la televisione, il cinema, le riproduzioni audiovisive, Internet…). Tuttavia,
l'articolo detta norme specifiche solo sulla stampa e mira, in sostanza, ad eliminare i controlli di tipo
poliziesco (autorizzazioni, censure…) introdotti dal fascismo. Ciò spiega anche la particolare attenzione
rivolta alla problematica relativa ai casi di sequestro.

Di speciale interesse è il penultimo comma, il cui dettato è in funzione della trasparenza dei mezzi di
finanziamento della stampa periodica; si tratta di una norma tesa a salvaguardare il diritto del cittadino-
lettore di conoscere quali interessi (economici, politici o di qualsiasi altra natura) sostengono il giornale
che egli acquista, posto che gli assetti proprietari delle testate giornalistiche influiscono, com'è ovvio,
sugli orientamenti che le stesse assumono. La norma tende altresì ad impedire aventuali finanziamenti
occulti con finalità illecite. In questo medesimo ambito normativo si collocano le disposizioni legislative
tendenti ad evitare la concentrazione delle testate giornalistiche e a regolamentare la diffusione delle
emittenti radio e televisive, nel senso di impedire che l'informazione venga controllata da poche centrali,
garantendo viceversa, in condizioni paritarie e di trasparenza, spazio, libertà e autonomia ai soggetti che
fanno informazione, sì da realizzare il necessario pluralismo nel sistema dei mezzi di comunicazione.

Va detto che una disciplina compiuta dell'editoria è intervenuta solo nel 1981, con l'istituzione
dell'autorità garante, cui spetta il potere di dichiarare nulle le cessioni di testate giornalistiche qualora
determinino una posizione dominante nel mercato editoriale. Inoltre, per quanto riguarda il settore delle
comunicazioni radio-televisive, soltanto con la Legge n. 249 del 1997 è stata istituita l'Autorità per le
garanzie delle comunicazioni con il preciso compito di vigilare sul rispetto del divieto di posizioni
dominanti, considerate di per sé ostacoli al pieno realizzarsi del pluralismo dell'informazione.

Articolo 22: testo e spiegazione.

"Nessuno può essere privato, per motivi politici, della capacità giuridica, della cittadinanza, del nome".

Commento. La norma si ricollega all’articolo 2 in cui si sono garantiti i diritti inviolabili della persona e
all’articolo 3 che sancisce il principio di uguaglianza; essa risponde al compito di tutelare le basi
democratiche dell’ordinamento repubblicano, impedendo che si possano un giorno ripetere le politiche
razziali e antidemocratiche del regime fascista, che determinarono la privazione della cittadinanza agli
appartenenti alla comunità ebraica (che si videro privati dei diritti di cittadinanza a causa delle leggi
razziali, sancite con il decreto legge del 17 novembre del 1938) e ai fuoriusciti che svolgevano attività
antifascista.

Il regime fascista impose inoltre l’italianizzazione dei cognomi di quei cittadini appartenenti a minoranze
linguistiche.

Nel nostro ordinamento repubblicano deve essere tutelata la personalità giuridica del cittadino nella sua
integrità e nessuno può essere privato della capacità giuridica, ossia dell’idoneità a essere soggetti di
diritti e di obblighi, della cittadinanza, come appartenenza alla comunità statale, con i diritti e i doveri
che ne conseguono, del nome, senza il quale nessuno potrebbe essere individuato come cittadino. Per
paradosso, un neonato a cui fosse negato il nome, sarebbe escluso da qualunque rapporto civile.
Con il trattato di Maastricht del 1992 e con il trattato di Amsterdam del 1997 è stato affermato il diritto
di cittadinanza europea, considerato come complementare a quello di cittadinanza nazionale.

Articolo 23: testo e spiegazione.

"Nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge".

Commento. A nessun cittadino può essere imposto arbitrariamente di fare (prestazione personale)
qualcosa oppure dare qualcosa (prestazione patrimoniale) allo Stato se non per legge e quindi attraverso
lo strumento legislativo che viene esercitato in Parlamento.

Per prestazione personale sono da intendere tutte quelle di carattere fisico o intellettuale che possono
essere imposte dalla Stato per un superiore interesse pubblico. Ad esempio, sono prestazioni il servizio
militare, l’obbligo di rendere testimonianza, le prestazioni obbligatorie dei medici, l’intervento in caso
di calamità. Per prestazioni patrimoniale sono da intendere, in primo luogo, il pagamento dei tributi,
inteso come dovere di contribuire alla spese pubbliche.

Il pagamento del tributo, ossia delle tasse, delle imposte e dei contributi deve essere individuato e
applicato dalla legge, in modo che non possano esserci arbitrii nella loro riscossione da parte degli enti
preposti.

Articolo 24: testo e spiegazione.

"Tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi.

La difesa è un diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento.

Sono assicurati ai non abbienti, con appositi istituti, i mezzi per agire e difendersi davanti ad ogni
giurisdizione.

La legge determina le condizioni e i modi per la riparazione degli errori giudiziari".


Commento. La nostra Costituzione riconosce a tutti, sia come soggetto singolo che soggetto collettivo,
il diritto di rivolgersi a un giudice per avviare un processo giudiziario a difesa dei propri diritti e dei
propri interessi legittimi; se, invece, si viene chiamati in giudizio, si ha diritto alla difesa in ogni momento
dell’iter processuale.

Ai non abbienti è garantito il patrocinio gratuito, ossia la difesa senza spese e, l’individuazione di colui
che non dispone dei mezzi per difendersi, viene stabilita dal legislatore. Questo sostegno da parte dello
Stato rispetta il principio dell’uguaglianza sostanziale (v. art. 3) per cui devono essere rimossi gli ostacoli
di ordine economico e sociale che impediscano l’effettiva parità dei cittadini nei confronti della legge.

La legge prevede la riparazione degli errori giudiziari nel momento in cui una condanna penale
irrevocabile venga riconosciuta come ingiusta, con il conseguente proscioglimento dell’imputato.

A richiesta della vittima, o degli eredi, la legge prevede la corresponsione di una somma di indennizzo
proporzionale al tempo della pena detentiva, ingiustamente subita.

Articolo 25: testo e spiegazione.

"Nessuno può essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge.

Nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso.

Nessuno può essere sottoposto a misure di sicurezza se non nei casi previsti dalla legge".

Commento. Per garantire l'imparzialità del giudice, già nello Statuto Albertino si diceva che "Nessuno
può essere distolto dai suoi giudici naturali" e si vietava la costituzione di tribunali straordinari: ciò,
tuttavia, non impedì al regime fascista di reprimere l'opposizione politica attraverso l'istituzione di
"Tribunali speciali per la difesa dello Stato". La Costituzione repubblicana ha confermato la garanzia del
giudice naturale, ma ha anche previsto, col successivo art. 102, l'esplicito divieto di costituzione di
tribunali straordinari. Il "giudice naturale precostituito per legge" è il giudice che la legge individua in
base a criteri certi ed oggettivi (cioè relativi, ad esempio, alla materia del contendere e al territorio sul
quale si è svolto il fatto), definiti comunque in precedenza rispetto al fatto portato in giudizio.

Nel secondo e nel terzo comma l'articolo sancisce il principio di legalità sia delle pene sia delle misure
di sicurezza. In particolare, nel secondo comma, il principio di legalità penale prevede la cosiddetta
riserva di legge e la non retroattività della norma. La riserva di legge esclude che possa essere punito un
determinato comportamento se non in presenza di una legge che lo configuri come reato: solo il
Parlamento può, quindi, stabilire per via legislativa quali siano i comportamenti penalmente rilevanti. Il
principio di non retroattività vieta di applicare la legge penale per fatti commessi prima della sua entrata
in vigore. Il principio di legalità in materia penale è sancito anche dalla Carta dei diritti fondamentali
dell'Unione europea.

L'ultimo comma prevede la riserva di legge anche per le misure di sicurezza (quali, ad esempio, la libertà
vigilata, il divieto o l'obbligo di soggiorno, l'espulsione dello straniero dallo Stato): il costituente ha così
inteso limitare la discrezionalità del giudice, trattandosi di misure comminate in ragione della pericolosità
sociale di un soggetto, indipendentemente da una sua eventuale responsabilità penale. Si è voluto, quindi,
evitare che tali misure possano trasformarsi in pene arbitrarie, come si verificò in epoca fascista a danno
degli oppositori del regime.

Articolo 26: testo e spiegazione.

"L'estradizione del cittadino può essere consentita soltanto ove sia espressamente prevista dalle
convenzioni internazionali.

Non può in alcun caso essere ammessa per reati politici".

Commento. L'articolo, che costituisce una precisazione del precedente art. 10, impone che l'estradizione
del cittadino sia consentita soltanto nei casi e nei modi previsti dai trattati internazionali, individuati, a
tal fine, come l'unica fonte legale per eventuali provvedimenti di estradizione. Il divieto è, invece,
assoluto per i reati politici.
Questo articolo va interpretato anche alla luce di quanto previsto dal successivo art. 27, che vieta la pena
di morte: non è, quindi, ammissibile l'estradizione verso uno Stato il cui ordinamento ammetta come
sanzione, per il reato al quale si riferisce la richiesta, proprio la pena di morte. Peraltro, anche la Carta
dei diritti fondamentali dell'Unione europea vieta di allontanare, espellere o estradare una persona verso
uno Stato in cui questa rischi di essere sottoposta alla pena di morte o alla tortura o a pene e trattamenti
inumani e degradanti.

Articolo 27: testo e spiegazione.

"La responsabilità penale è personale.

L’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva.

Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla
rieducazione del condannato.

Non è ammessa la pena di morte".

Commento. L’articolo sancisce i principi della personalità della pena e di non colpevolezza fino alla
condanna definitiva. Quella di “responsabilità penale” è la condizione di chi subisce le conseguenze del
proprio agire: ad esempio, una sanzione detentiva comminata a seguito del riconoscimento di
colpevolezza di un reato che la prevede. Non è possibile, quindi, sostituzione personale nella
responsabilità penale, come lo è, viceversa, in quella civile, cioè nell’obbligo al risarcimento dei danni
causati da un atto illecito. Un imputato, che opponga ricorso contro una sentenza di condanna, non può
essere considerato colpevole della colpa per cui pure è condannato in prima istanza fino alla pronuncia
della sentenza definitiva sulla stessa imputazione. Vige, dunque, nel nostro sistema la presunzione di non
colpevolezza fino alla condanna definitiva: questo principio, affermato già da Montesquieu e presente
anche nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, ha trovato piena attuazione solo col
codice di procedura penale del 1989.

Il secondo comma attribuisce alla pena una funzione rieducativa, ripudiando ogni trattamento contrario
al senso di umanità: il diritto di ogni individuo a non essere sottoposto né a torture né a pene o trattamenti
inumani o degradanti viene garantito anche dalla Costituzione europea e va ad inserirsi nella più ampia
tutela della dignità umana (v. il precedente art. 3) e del diritto all’integrità della persona (v. il successivo
art. 32). A questi principi è ispirata la Legge 354/75 di riforma dell’ordinamento penitenziario.

Il terzo comma, nel testo approvato dall’Assemblea Costituente, recitava: “Non è ammessa la pena di
morte, se non nei casi previsti dalle leggi militari di guerra”. Il testo attuale è frutto della Legge
costituzionale n. 1 del 2 ottobre 2007, che ha eliminato la pena di morte anche dai codici penali militari
di guerra. La norma costituzionale, nella sua formulazione originaria, appariva ormai in conflitto con
l’evoluzione sia dell’ordinamento italiano sia di quello europeo nonché contraddittoria con lo stesso art.
2 della Costituzione. La modifica apportata ha, tra l’altro, reso più forte la posizione dell’Italia nella
richiesta di sospensione universale delle pene capitali (la cosiddetta “moratoria internazionale sulla pena
di morte”).

Articolo 28: testo e spiegazione.

"I funzionari e i dipendenti dello Stato e degli enti pubblici sono direttamente responsabili, secondo le
leggi penali, civili e amministrative, degli atti compiuti in violazione di diritti.

In tali casi la responsabilità civile si estende allo Stato e agli enti pubblici".

Commento. L'affermazione della responsabilità diretta anche dei pubblici dipendenti e funzionari
costituisce un'importante garanzia dei diritti del cittadino: ciò spiega la collocazione di questa norma nel
titolo dedicato alle libertà civili. In effetti, nessun principio è operante se non viene applicato da chi di
fatto è tenuto ad attuarlo, perciò la Costituzione impone ai funzionari pubblici particolari responsabilità
e garantisce tutti i cittadini che i danni eventualmente causati da loro vengano comunque risarciti dalle
rispettive amministrazioni (Stato, Regione, Provincia, Comune o qualsiasi Ente pubblico). La norma
appare particolarmente attuale, soprattutto se si considera che in una società complessa come la nostra
l'intervento dello Stato (e la conseguente possibilità di abusi) è sicuramente maggiore che in passato.

Va notato che la responsabilità del funzionario o dipendente qui considerata è solo quella civile: quella
penale è, infatti, già considerata in generale dal precedente art. 27 e, se relativa al comportamento di un
impiegato pubblico nell'esercizio delle proprie funzioni, non è estensibile all'amministrazione di
appartenenza, ma comporta un aggravamento di pena per il reo o la configurazione di specifiche ipotesi
di reato (ad esempio, peculato, corruzione e, in generale, tutti i reati contro la pubblica amministrazione).

Articolo 29: testo e spiegazione.

"La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio.

Il matrimonio è ordinato sull'eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, con i limiti stabiliti dalla legge
e garanzia dell'unità familiare".

Commento. La famiglia si configura come nucleo primario della società civile, fondato su principi
naturali e quindi non convenzionali: i vincoli familiari di affetto, solidarietà fra i coniugi, cura e
protezione dei figli sono diritti naturali prima che giuridici.

La Costituzione riconosce la famiglia fondata sul matrimonio che, nell'ordinamento della nostra nazione,
vige sotto due diverse forme: il matrimonio civile (davanti al sindaco o a un suo delegato) e il matrimonio
concordatario (che si svolge davanti ad un sacerdote) e che viene stipulato secondo il diritto canonico,
riconosciuto dallo Stato. Il matrimonio concordatario viene trascritto nei registri dello stato civile,
acquisendo in tal modo gli effetti civili. Va ricordato che il divorzio venne introdotto dalla legge del
primo dicembre 1970 e confermato dal risultato del referendum popolare del 1974.

Nonostante questo articolo affermi l'uguaglianza morale e giuridica dei coniugi, rifacendosi al principio
di uguaglianza sancito dall'articolo 3, il nostro paese ha dovuto attendere la riforma del diritto di famiglia,
varata nel 1975, perché la parità coniugale potesse diventare effettiva. Ricordiamo che nella storia del
nostro paese è esistita la tutela maritale fino al 1919 e che l'articolo 144 del codice civile che sanciva la
cosiddetta potestà maritale, per la quale la moglie era obbligata ad assumere il cognome del marito e a
seguirne la residenza, è rimasto in vigore fino alla riforma del diritto di famiglia del '75. Nel nostro paese
non si configura, diversamente da altri paesi, che anche le coppie omosessuali possano contrarre
matrimonio e adottare figli.
Articolo 30: testo e spiegazione.

"È dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori dal matrimonio.

Nei casi di incapacità dei genitori, la legge provvede a che siano assolti i loro compiti.

La legge assicura ai figli nati fuori del matrimonio ogni tutela giuridica e sociale, compatibile con i diritti
dei membri della famiglia legittima".

Commento. La legge detta le norme e i limiti per la ricerca della paternità. Questo articolo si riferisce al
"principio di corresponsabilità" che deve guidare i coniugi nella vita familiare. Un diritto – dovere è
quello di mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori dal matrimonio, che va esercitato dai
genitori in maniera paritaria, interagendo con le altre forme sociali fra cui la scuola. L'art.147 del codice
civile aggiunge che i genitori devono tener conto, nel processo educativo, "delle capacità,
dell'inclinazione naturale e delle aspirazioni dei figli".

L'incapacità dei genitori si definisce tale quando anche uno solo dei tre doveri non venga adempiuto, non
per impossibilità di mezzi, ma per cattiva volontà. Il giudice può giungere a decretare la decadenza dalla
potestà sui figli e all'allontanamento dai genitori, se questi ultimi non adempiono ai loro doveri e
mantengono una condotta pregiudizievole.

Per i figli minori, in situazione di abbandono sia da parte dei genitori che dei parenti, sono previsti
l'istituto dell'affido e dell'adozione.

I figli nati fuori dal matrimonio sono i figli naturali riconosciuti, il cui riconoscimento è stato effettuato
da uno o da entrambi i genitori. La Costituzione impone ai genitori di figli nati fuori dal matrimonio gli
stessi diritti – doveri che essi hanno per i figli nati all'interno del matrimonio. Per il principio di
uguaglianza, la legge deve assicurare ai figli naturali ogni tutela giuridica e morale compatibilmente con
i diritti della famiglia legittima, eliminando qualunque offesa per l'onore personale, che possa provenire
dalla condizione di figlio illegittimo.

Viene considerata legittima la ricerca della paternità attraverso quelle pratiche medico – giuridiche che
permettono di stabilire la paternità naturale di un individuo: la ricerca può essere effettuata da un figlio
nei confronti del padre e viceversa.
Articolo 31: testo e spiegazione.

"La Repubblica agevola con misure economiche e altre provvidenze la formazione della famiglia e
l'adempimento dei compiti relativi, con particolare riguardo alle famiglie numerose.

Protegge la maternità, l'infanzia e la gioventù, favorendo gli istituti necessari a tale scopo".

Commento. Nei confronti della famiglia, la Repubblica deve agevolarne la formazione e l'adempimento
di quei diritti – doveri contenuti nell'articolo 30. Nel corso dei miglioramenti della legislazione sociale,
ottenuti attraverso le battaglie sindacali e politiche e la maturazione della coscienza civile, il nostro paese
ha introdotto tutta una serie di interventi a tutela della famiglia: gli assegni familiari o la cosiddetta
politica della casa di cui si ricorda la "legge sull'equo canone" del 1978, come pure le agevolazioni fiscali
per la prima casa. Gli articoli 36 e 37 prescrivono che la retribuzione del lavoratore e della lavoratrice
debba essere comunque adeguata ad assicurare a loro stessi e alla propria famiglia un'esistenza dignitosa.
L'articolo 37 assicura alla lavoratrice – madre una speciale tutela perché possa adempiere alla sua
essenziale funzione familiare.

Le agevolazioni nei riguardi delle famiglie numerose non provengono da una finalità legata alla
promozione dell'aumento demografico, quanto al dovere di un'assistenza sociale da parte dello Stato.

La Costituzione riconosce il valore sociale della maternità, che si configura come diritto ad una
procreazione cosciente e responsabile, a cui si ricollega anche la legge n. 194, grazie alla quale è stato
istituito e disciplinato l'aborto nel nostro paese.

La nostra Repubblica tutela l'infanzia secondo gli stessi principi presenti nella Carta dei diritti
fondamentali dell'Unione europea, sintetizzati nell'articolo 24, dedicato ai Diritti del bambino. La politica
di intervento pubblico nei confronti dei giovani trova svolgimento nell'art. 34, con riferimento ai figli
capaci e meritevoli nello studio che, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti
degli studi.

Articolo 32: testo e spiegazione.


"La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività, e
garantisce cure gratuite agli indigenti.

Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La
legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana".

Commento. La salute, in quanto indispensabile presupposto per il godimento di tutti gli altri diritti
costituzionali, costituisce un diritto fondamentale, la cui lesione impone il risarcimento del danno: tutti
hanno diritto ad essere curati, anche se non tutti hanno diritto a cure gratuite, destinate esclusivamente
agli indigenti, cioè a coloro che non sono in grado di far fronte economicamente alle cure indispensabili
per la proprie salute (il termine "indigenti" non viene qui adoperato come sinonimo di "poveri").

Viene escluso qualsiasi obbligo a curarsi, viene, al contrario, affermato il diritto a non essere curati, se
non nei casi previsti dalla legge (ad esempio, vaccinazioni obbligatorie per prevenire malattie infettive,
oppure provvedimenti di cura e di isolamento per soggetti portatori di malattie contagiose). Va, quindi,
considerata lecita l'eutanasia passiva consensuale, cioè il rifiuto espresso dal paziente, capace di intendere
e di volere e adeguatamente informato, di prolungare le cure mediche, lasciando che la malattia prosegua
nel suo decorso naturale. Più complesso è il caso in cui il paziente non sia più in grado di intendere e di
volere e, quindi, in grado di pronunciarsi sul suo diritto ad essere curato. Tuttavia, anche recenti sentenze
della Magistratura hanno precisato che il giudice può autorizzare la disattivazione di apparecchi che
tengono in vita il paziente in coma quando vi sia la prova certa che il malato abbia o avrebbe dato il
proprio consenso e quando la condizione di stato vegetativo sia irreversibile.

Il diritto alla salute coincide, tradizionalmente, col diritto al rispetto dell'integrità fisica dell'individuo;
ma nella concezione solidaristica della Costituzione esso comporta anche il diritto all'assistenza sanitaria:
infatti, con la riforma sanitaria del 1978, l'istituzione del servizio sanitario nazionale ha esteso l'obbligo
dello Stato di assicurare le prestazioni sanitarie e farmaceutiche non solo agli indigenti, ma anche a tutta
la popolazione.

La protezione della salute, intesa come diritto di accedere alla prevenzione sanitaria e di ottenere cure
mediche, è stata inserita anche nella Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea.
Va, infine, osservato che il diritto alla salute comporta anche il diritto alla salubrità dell'ambiente, poiché
la prevenzione di varie patologie impone di eliminare le cause dell'inquinamento ambientale.

Articolo 33: testo e spiegazione.

"L'arte e la scienza sono libere e libero ne è l'insegnamento.

La Repubblica detta le norme generali sull'istruzione ed istituisce scuole statali per tutti gli ordini e gradi.

Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato.

La legge, nel fissare i diritti e gli obblighi delle scuole non statali che chiedono la parità, deve assicurare
ad esse piena libertà e ai loro alunni un trattamento scolastico equipollente a quello degli alunni di scuole
statali.

E' prescritto un esame di Stato per l'ammissione ai vari ordini e gradi di scuole o per la conclusione di
essi e per l'abilitazione all'esercizio professionale.

Le istituzioni di alta cultura, università ed accademie, hanno il diritto di darsi ordinamenti autonomi nei
limiti stabiliti dalle leggi dello Stato".

Commento. Il principio fondamentale, che ispira tutta la disciplina costituzionale della scuola, è quello
della libertà d'insegnamento. La Costituzione mostra di considerare essenziale per la democrazia il
pluralismo ideologico, che va garantito innanzi tutto nella scuola, intesa come istituzione autenticamente
laica, consentendo così ai docenti la possibilità di scegliere come e cosa insegnare, pur nel rispetto di
parametri generali fissati per legge. La libertà d'insegnamento si collega, pertanto, alla libertà di
manifestare il proprio pensiero, alla libertà di professare qualunque tesi o teoria venga ritenuta degna di
accettazione, alla libertà di svolgere il proprio insegnamento secondo il metodo che appaia più opportuno
adottare. Questo principio trova una formulazione pressoché identica nell'art. 13 della Carta dei diritti
fondamentali dell'Unione Europea.

Con la legge n. 59 del 15. 3. 1997 e col successivo D.P.R. n. 275 dell'8.3.1999 a tutte le istituzioni
scolastiche sono state attribuite personalità giuridica e autonomia finanziaria, organizzativa e didattica,
mentre spetta sempre allo Stato definire i livelli unitari e nazionali di fruizione del diritto allo studio
nonché gli elementi comuni all'intero sistema scolastico pubblico in materia di gestione e
programmazione. Perciò allo Stato compete la predisposizione dei mezzi di istruzione, attraverso
l'emanazione di norme di carattere generale e l'istituzione di scuole. Tuttavia, l'istruzione non è materia
riservata esclusivamente allo Stato, dal momento che la Costituzione garantisce il pluralismo nel sistema
educativo stesso, prevedendo la contemporanea esistenza di due tipi di scuole: statali e non statali.

Accanto alla libertà d'insegnamento si colloca, quindi, la libertà della scuola, cioè la libertà dei privati di
istituire scuole caratterizzate da peculiari orientamenti educativi, culturali e religiosi. Va, comunque,
segnalato che la libera gestione dell'istruzione non deve comportare impegni di spesa da parte dello Stato.

Con la legge n. 62 del 10. 3. 2000 sulla parità scolastica è stato delineato un nuovo sistema nazionale di
istruzione costituito dalle scuole statali e dalle scuole paritarie private nonché da quelle degli enti locali.
Tali scuole ottengono la parità purché siano in possesso dei requisiti previsti dalla legge, corrispondano
agli ordinamenti generali dell'istruzione e accolgano chiunque richieda di iscriversi, compresi alunni e
studenti portatori di handicap. Le scuole paritarie godono di piena libertà per quanto concerne
l'orientamento culturale e l'indirizzo pedagogico-didattico, fermo restando che l'insegnamento dei
docenti dev'essere improntato ai principi di libertà stabiliti dalla Costituzione.

Articolo 34: testo e spiegazione.

"La scuola è aperta a tutti.

L'istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita.

I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi.

La Repubblica rende effettivo questo diritto con borse di studio, assegni alle famiglie ed altre
provvidenze, che devono essere attribuite per concorso.

Commento. Affermare che "la scuola è aperta a tutti" significa caratterizzare lo Stato sociale come Stato
di cultura, che esclude ogni discriminazione (per esempio tra cittadini italiani e stranieri) nell'accesso ai
saperi e nel diritto all'istruzione. Ne deriva, come conseguenza, la necessità che lo Stato rimuova ogni
ostacolo perché la scuola sia concretamente accessibile a tutti e l'istruzione sia generalizzata.

L'istruzione inferiore (scuole elementari e medie) prevede la frequenza obbligatoria (cosiddetta "scuola
dell'obbligo") per garantire a tutti uno standard culturale minimo; essa, inoltre, è gratuita per consentire
l'accesso generalizzato, senza alcuna discriminazione di ordine sociale.

Va osservato che al dovere dello Stato di istituire, su tutto il territorio nazionale, scuole di ogni ordine e
grado, corrisponde un diritto all'istruzione dei cittadini. Nel caso della scuola dell'obbligo, tale diritto
implica anche il dovere di istruirsi.

Il diritto all'istruzione è garantito anche dall'art. 14 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione
Europea. Anche la Carta europea sancisce la gratuità e l'obbligatorietà del diritto qui tutelato,
affiancandovi, inoltre, anche il diritto all'accesso alla formazione professionale e continua, che il nostro
ordinamento tutela separatamente, al successivo art. 35.

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