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Introduzione
Ogni problema di Diritto è un problema concreto da risolvere, ha a che fare con la realtà perché
si tratta di regole che servono a tutti noi per convivere.
Le regole si imparano fin da piccoli anche se si vive in un contesto sociale limitato come quello
della famiglia. Nella famiglia i legislatori sono i genitori mentre i destinatari delle regole sono
i figli.
Ogni società (o gruppo di persone) ha delle regole, per cui non sono esclusive del Diritto. Ci
sono regole religiose, regole etiche... spesso possono coincidere come nel caso della regola
fondamentale/d’oro → “non fare agli altri quello che non vuoi sia fatto a te stesso”, regola
dalla quale si traggono regole concrete di comportamento.
Da una regola fondamentale possono derivare delle indicazioni che influenzano il
comportamento e la condotta, quindi regole di condotta che possono essere religiose, etiche,
giuridiche (vietato uccidere, vietato torturare, vietato dire falsa testimonianza, vietato rubare
→ sono norme giuridiche).
Quindi il Diritto è collegato alla vita quotidiana, alla cultura e al senso etico che si è sviluppato
in una parte del mondo, questo significa che le regole sono diverse a seconda del paese.
Ordinamento Giuridico → ordinamento vuol dire “fare ordine”, dare organizzazione alle
regole. Secondo l’appartenenza a diverse comunità (famiglia, religiosa, politica). Comunità
politica viene da polis che era la prima forma di aggregazione giuridica nell’Antica Grecia; si
appartiene come comunità politica allo Stato in cui siamo nati e dove risiediamo (nel nostro
caso Italia e Unione Europea, cittadini italiani e cittadini europei). Ma in quanto persone
facciamo parte anche di una comunità umana più grande che politicamente si identifica nella
comunità internazionale → l’insieme degli Stati e delle organizzazioni internazionali che
popolano il pianeta terra.
Ognuna delle comunità necessita di regole, il Diritto studia le regole delle comunità politiche
(nel caso dello Stato, si occupa delle regole che devono essere seguite da tutti coloro che vi si
trovano dentro: cittadini, residenti e stranieri come turisti).
Ci sono regole giuridiche che riguardano le comunità territoriali allargate, cioè le
organizzazioni internazionali come l’UE che creano ordinamenti giuridici più grandi in cui tutti
coloro che si trovano all’interno degli Stati membri seguono queste regole.
Le regole del Diritto Internazionale invece disciplinano i rapporti fra tutti colori che
appartengono alla comunità internazionale, cioè i soggetti. Come si deve comportare uno stato
nei confronti di un altro? In più nell'ordinamento giuridico internazionale sono disciplinati
anche i rapporti tra le organizzazioni internazionali fra loro e con stati terzi (cioè che non
appartengono a quella organizzazione).
Stato di Diritto / Rule of Law → è un concetto che esprime la necessità che il potere statale
ha di proteggere i singoli individui (cittadini e stranieri residenti nel territorio). I poteri pubblici
che governano non possono agire arbitrariamente senza rispettare la legge, ma devono agire
nel rispetto delle regole comuni condivise. In Italia la legge fondamentale è da ritrovarsi nella
Costituzione Italiana, in cui ci sono le regole fondamentali sia di carattere materiale che
organizzativo. Gli organi statali (come le forze di polizia) devono agire secondo la Costituzione
e secondo le leggi presenti.
Quindi il diritto è un insieme di regole posta in essere da una comunità politica; generalmente
le regole più importanti vengono presentate in un documento come la Costituzione e devono
essere rispettate da tutti (sia i governanti che i governati).
I governanti sono:
- Parlamento (potere legislativo, presiede alla funzione di produzione legislativa)
- Governo (potere esecutivo, istituzione che presiede alla funzione dell’amministrazione
della res publica)
- Presidente della Repubblica
- Magistratura (potere giudiziario, funzione di controllo totalmente indipendente dal
legislativo e esecutivo, deve controllare che Governo e Parlamento agiscano secondo
la Costituzione, principio della separazione dei poteri → chi emana le leggi deve essere
diverso da chi le applica, i controllori non possono coincidere con i controllati).
Lo Stato è entità astratta, chi agisce per conto suo? Le istituzioni, che sono formate da persone
fisiche intese come organo statale → chiunque esercita un’attività di governo, cioè portare
avanti la res publica statale. L'attività di governo implica che questa venga esercitata da tutte
le istituzioni politiche perché porta avanti l’attività di stabilire le regole di comportamento per
tutti coloro soggetti al potere di governo.
In Italia anche gli enti territoriali (regioni, province e comuni) sono organi statali, ma
decentrati. Il governo centrale delega molti poteri per potersi avvicinare alla realtà del singolo
territorio.
Libertà individuale: è quella sfera intangibile da parte dei poteri, lo Stato non può entrare
nelle mie scelte individuali (religione, vita privata, pensiero). È un concetto strettamente legato
ad uno Stato di diritto e quindi uno Stato democratico. Democrazia → il governo del popolo,
i governanti sono scelti dai governati in base a regole condivise scritte nella Costituzione. È
una forma di governo.
La democrazia può essere:
- Rappresentativa: tramite rappresentati eletti dal popolo, nel caso dell’Italia è
democrazia rappresentativa bi-camerale. Si ammettono forme di democrazia
partecipativa.
- Partecipativa: quando si dà la possibilità al popolo di avere immediata voce in
capitolo. Non è il Parlamento che propone un disegno di legge e poi la approva, ma
sono i cittadini che tramite referendum/raccolta firme che propongono direttamente una
legge. La democrazia partecipativa è accolta nel diritto dell’UE (se si mettono insieme
1 milione di firme di cittadini appartenenti ai 27 stati si possono presentare disegni di
legge agli organi – o istituzioni (carattere costituzionale, più democratico) europee
come la Commissione Europea, che poi può accogliere o respingere).
Stato di diritto - Libertà individuale – Democrazia sono i valori fondanti dell’Unione Europea.
Art.2 del Trattato sull’Unione Europea: l’Unione (27 Stati, Italia stato fondatore) si fonda su
diversi valori... questi valori sono comuni agli stati membri. I valori non sono regole ma
aspirazioni, si aspira al rispetto di questi.
Pluralismo: ha a che fare con la coesistenza di più partiti (ci sono Paesi in cui c’è un solo
partito al governo come la Cina continentale).
Pluralismo di informazione: viene data voce a tutti, non solo chi è affiliato a un partito
politico. Dove non c’è pluralismo di informazione lo Stato non può essere considerato
democratico o uno Stato di diritto, perché lo Stato che non permette critiche è uno Stato
autoritario.
Tolleranza: equivale a solidarietà, cioè la possibilità di pensare non solo a sé stessi ma
condividere anche con gli altri la ricchezza. Solidarietà finanziaria → destinare una somma di
risorse che si hanno a disposizione. Solidarietà è anche quando le case farmaceutiche donano
vaccini a quegli Stati che non hanno risorse.
ART. 2: “L'Unione si fonda sui valori del rispetto della dignità umana, della libertà, della
democrazia, dell'uguaglianza, dello Stato di diritto e del rispetto dei diritti umani, compresi i
diritti delle persone appartenenti a minoranze. Questi valori sono comuni agli Stati membri
in una società caratterizzata dal pluralismo, dalla non discriminazione, dalla tolleranza,
dalla giustizia, dalla solidarietà e dalla parità tra donne e uomini”.
I valori sono tutti collegati e riguardano un nucleo di diritti fondamentali, cioè di diritto e di
libertà del singolo individuo. Sono tutti inscindibili, interconnessi e collegati.
2. La norma giuridica
È un modello di comportamento e condotta, una norma giuridica è diversa da una norma morale
o religiosa, la differenza sta nella fonte, cioè nell’origine di quella norma. Nel caso della norma
giuridica deriva da una fonte giuridica, quindi una Costituzione... una stessa norma però può
appartenere a più categorie, per esempio “non uccidere”:
- Morale: perché dettata dalla coscienza individuale
- Religiosa: imposta da un credo religioso
- Giuridica: imposta dall’ordinamento, dalla legge.
L'interpretazione delle norme giuridiche segue tutta una serie di criteri logico-giuridici, sono
gli stessi criteri che servono per interpretare le norme del DI:
a. Il criterio della gerarchia delle fonti, la legge che ha un rango (forza formale)
superiore prevale su quella di rango inferiore. Esempio: la Costituzione prevale su una
legge ordinaria.
b. I criteri di interpretazione cronologici, come il principio di posteriorità (la legge
successiva di pari rango prevale su quella anteriore, quando le due leggi disciplinano la
stessa materia) e principio di specialità (la legge speciale, sia anteriore che posteriore,
prevale su quella generale).
c. Il principio d’interpretazione estensiva, quando si interpreta il significato della
norma da applicare nel modo più ampio (si applica nel commercio internazionale per
la similarità dei prodotti).
d. Il principio d’interpretazione analogica, disciplinare un caso che non è
espressamente previsto ispirandosi a norme che disciplinano casi simili. Un
procedimento attraverso il quale l’interprete ha la possibilità di colmare eventuali
lacune dell’ordinamento, cioè quei casi non disciplinati da alcuna norma giuridica. Per
esempio, per regolare la navigazione aerea quando non c’erano ancora norme in
materia, si potevano interpretare le norme sulla navigazione marittima. Due casi:
analogia legis (quando si estende la sfera di applicazione di una norma esistente ad un
caso non previsto) e analogia juris (quando non esiste alcuna norma neppure per un
caso simile e si ricorre ai principi generali dell’ordinamento per regolare il caso
concreto).
e. Il principio d’interpretazione restrittiva, si applica soprattutto in campo penale, in
base alla quale non si può attribuire alla norma un significato, una sfera di applicazione
più ampi di quanto espressamente essa prevede.
f. Il criterio sistematico, in base al quale la singola norma va inquadrata nel contesto
generale di una determinata disciplina in coerenza con le altre disposizioni ed
interpretata alla luce dei principi generali e degli scopi che quella disciplina si propone.
g. Il criterio d’interpretazione teleologico, che guarda oltre che al tenore testuale della
norma, al suo fine, cioè all’obiettivo che il legislatore si è proposto di raggiungere.
h. I criteri logici
3. I soggetti giuridici
Il soggetto giuridico è il destinatario delle norme giuridiche, titolare dei diritti e dei doveri sui
quali è basato il rapporto oggetto di tutela giuridica.
4.3 La responsabilità
Secondo Hans Kelsen: “che una persona sia giuridicamente responsabile di un dato
comportamento o ne abbia la responsabilità giuridica significa quindi che essa è passibile
di una sanzione nel caso di comportamento contrario”. Aggiunge che in quel caso il
soggetto responsabile e il soggetto del dovere giuridico coincidono, anche se in alcuni casi il
soggetto titolare del dovere giuridico e quello responsabile di un comportamento contrario a
tale dovere non coincidono (un organo di una società opera in modo da causare un danno a
terzi, la responsabilità sarà della società con la distinzione tra soggetto del dovere giuridico e
soggetto responsabile).
La responsabilità può assumere diverse forme, a seconda che occorra, per considerare un
soggetto il responsabile di un illecito, che esso abbia agito o meno intenzionalmente o con
negligenza. Ci sono vari regimi di responsabilità, si parla di responsabilità oggettiva quando
sorge immediatamente dal comportamento oppure, dal fatto che non basta che si sia violata una
norma, ma occorre anche un elemento psicologico dell’intenzione-dolo-colpa, si parla quindi
di responsabilità basata sulla colpa.
Ci sono casi in cui la responsabilità è del tutto esclusa perché il mio comportamento illecito è
giustificato da un comportamento illecito altrui.
5. Lo Stato
È quell’entità astratta che si dota di un ordinamento giuridico per gestire una collettività
di individui, che sceglie di obbedire ad un determinato sistema di norme, stanziata su un
territorio. Lo Stato, quindi, può essere identificato come: popolo - Governo – territorio.
Lo Stato è considerato una istituzione sia politica (perché diretta a conseguire un fine generale)
che giuridica (perché fondato su ordinamento giuridico). Presenta inoltre i caratteri
dell'originalità* perché crea il proprio ordinamento e non lo riceve da altri; della sovranità**
perché capace di controllare le persone ed il territorio ad esso soggetti e perché non riconosce
la superiorità di nessun altro soggetto nell’ambito del proprio territorio; dell’indipendenza
perché capace di intrattenere rapporti con gli altri soggetti ad esso simili.
* il Texas non è considerato come Stato in quanto il suo ordinamento interno dipende da quello
degli Stati Uniti, questo per il D.I., mentre per il Diritto Costituzionale è considerato Stato.
** uno Stato che non controlla il suo territorio è la Libia/Siria.
Vi sono accezioni diverse del concetto di Stato:
- Stato come comunità: identifica lo Stato con il suo popolo (nazione).
- Stato come organizzazione: identifica lo Stato con l’insieme degli organi che
concorrono a formare la volontà ed a governare. Organo statale= chiunque esercita
l’attività di governo sia a livello centrale che decentrato e territoriale.
Sul piano del D.I. per considerare uno Stato come soggetto dell’ordinamento internazionale in
quanto organizzazione, servono due requisiti:
1. L'effettività del potere di governo su un certo territorio (Stato come organizzazione).
Ci sono situazioni difficili da inquadrare giuridicamente, per esempio la Libia può
essere considerata Stato se è suddivisa in 3 territori governati da 3 poteri distinti?
2. L'indipendenza del suo ordinamento giuridico da quello di altri Stati.
Non è necessario che lo Stato sia riconosciuto dagli altri Stati per poter essere considerato
soggetto del DI, per esempio Taiwan è considerata dalla Cina continentale come una provincia
ribelle e ha imposto a tutti gli altri Stati di non riconoscere Taiwan (a Roma l’unica ambasciata
presente è al Vaticano).
6. Le Organizzazioni Internazionali
Le organizzazioni internazionali sono delle unioni di Stati (vari Stati che si riuniscono e
decidono di collaborare sul piano internazionale accordandosi per conseguire scopi in comune)
che si realizzano con accordo internazionale, detto Trattato o Carta o Convenzione, per il
raggiungimento di scopi comuni. Per l’attuazione di scopi comuni l’organizzazione si dota di
organi con funzioni legislative, esecutive e giurisdizionali.
Le OI godono della soggettività internazionale come gli Stati, per cui possono intrattenere
con questi ultimi e tra loro rapporti mediante la stipulazione di accordi internazionali.
Quando una si riunisce una O.I. si dà vita ad un nuovo soggetto giuridico, che ha una propria
volontà e propri organi e si costituisce come personalità giuridica distinta da quegli Stati che
l’hanno costituita. Alcuni esempi di O.I. sono la NATO, l’ONU, l’UE...
Gli Istituti specializzati sono delle OI che fanno capo all’ONU ed hanno il compito di dare
attuazione, ognuna nel settore di sua competenza, agli scopi generali dell’ONU contenuti nella
Carta. Tra questi si ricordano la FAO (Organizzazione per l’agricoltura e l’alimentazione, che
ha sede in Italia) e l’OMS (Organizzazione mondiale della sanità). Questi Istituti sono molto
attivi nel redigere norme tecniche non vincolanti molto spesso prese in considerazione dagli
Stati nella legislazione nazionale. L'UNESCO si occupa dell’istruzione, dell’educazione e
della cultura; l’UNICEF si occupa della tutela dei bambini.
Lo Stato
Il DI è definito come il diritto della comunità degli Stati, e le norme internazionali creano diritti
ed obblighi per questi ultimi. Lo Stato è il soggetto o destinatario delle norme internazionali o
anche membro della comunità internazionale.
Per Stato si intende una entità territoriale organizzata, in grado di esercitare il potere di governo
su di un territorio e rispetto a una popolazione; ci sono diverse concezioni di stato:
- Stato-comunità: inteso come comunità umana stanziata su di una parte della superficie
terrestre e sottoposta a leggi che la tengono unita.
- Stato-organizzazione di governo: insieme dei governanti (gli organi che esercitano il
potere di imperio sui singoli associati).
Dal punto di vista giuridico, la qualifica di soggetto del DI spetta allo Stato-organizzazione.
Sono infatti gli organi statali (tutti coloro che partecipano all’esercizio del potere di governo
nell’ambito del territorio) che partecipano alla formazione delle norme internazionali, norme
che sono dirette a disciplinare e limitare l’esercizio del potere di governo.
Gli organi statali non sono solo i poteri centrali (legislativo, esecutivo e giudiziario), ma anche
i poteri periferici (enti territoriali e locali come Regioni Province e Comuni).
Due sono i requisiti affinché uno Stato-organizzazione sia considerato soggetto del DI:
1. Effettività del potere di governo → quando si riesce mediante l’esercizio effettivo del
potere di governo a controllare politicamente un certo territorio e l’insieme di soggetti
che lo abitano.
Elemento indispensabile per stabilire l’effettività del potere di governo è il territorio, per cui
si pongono una serie di problemi relativi a situazioni che rivendicano la soggettività
internazionale:
- Governi in esilio: “enti che trasferiscono o si costituiscono sul territorio di uno Stato
alleato a seguito di invasione bellica o di conflitti interni sul territorio che intendono
governare”, la loro soggettività è messa in discussione per la mancanza di un territorio
effettivo.
- I comitati nazionali all’estero: “sono enti che assumono gli interessi di una comunità
nazionale che aspira a governare in futuro, attualmente soggetta ad un potere statale”,
per autorevole dottrina se ne deve escludere la soggettività in considerazione
dell’assenza del requisito dell’effettività non possedendo un territorio da governare. Un
esempio è l’OLP cioè Organizzazione per la Liberazione della Palestina.
- I movimenti di liberazione nazionale: “enti organizzati rappresentativi di un popolo
in lotta per l’indipendenza”.
- Failed states, la cui caratteristica è proprio nella mancanza di un governo effettivo.
Stato Fallito non va confuso con fallimento economico, ma si intende solo la mancanza
di effettività, per esempio, durante una guerra civile (come la Libia).
L'altro requisito indispensabile:
2. Indipendenza o sovranità esterna → occorre che l’organizzazione di governo non
dipenda da un altro Stato. È indipendente e sovrano uno Stato il cui ordinamento sia
originario, tragga la sua forza giuridica da una propria Costituzione e non
dall’ordinamento giuridico o dalla Costituzione di un altro Stato.
In quanto difettano di questo requisito, non sono da considerare soggetti del D.I.:
- Stati membri di Stati federali: in quanto dipendono dalla Costituzione e
dall'ordinamento dello Stato federale.
- Le Confederazioni: unioni di Stati indipendenti e sovrani che perseguono scopi di
difesa e politica estera comuni.
Una sola eccezione può forse ammettersi: Il caso degli insorti. Non si può negare che nel caso
si verifichi in uno Stato un movimento insurrezionale ed il movimento riesca a creare
un’organizzazione di governo che controlli effettivamente una parte del territorio statale, ad
esso vada riconosciuta una soggettività internazionale a titolo provvisorio.
Alcuni esempi:
- Russia e Cecenia: secessione da parte di quest’ultima ma la Russia è riuscita a
reprimere l’insurrezione.
- Georgia: due province a maggioranza russofona, Abkhazia e Ossezia, con l’aiuto di
truppe russe hanno dichiarato l’indipendenza.
- Kossovo: provincia della Serbia a maggioranza albanese, ha rivendicato
l’indipendenza.
- Crimea: territorio ucraino a maggioranza russofona che ha dichiarato la secessione e
l’annessione alla Rep. Federale russa. Acquisizione territoriale illegittima ma sotto il
profilo dell’effettività è un territorio controllato dalla Russia.
- Territorio del Donetsk: scontri tra ucraini e insorti aiutati dalla Russia.
Gli individui
La gran parte della dottrina contemporanea parla di una personalità, sia pure limitata, degli
individui, persone fisiche o giuridiche. Sempre più l’individuo può ricorrere, se non vede
riconosciuto il proprio diritto, ad organi internazionali appositamente creati; alla tutela
dell'interesse individuale si accompagna così l'attribuzione all'individuo di un potere di azione.
In poche parole: vengono considerati soggetti che sono solo destinatari di diritti e obblighi ma
non hanno nessuna possibilità di influire sulla formazione e sull’applicazione del DI, compito
che resta agli Stati.
Numerose sono anche le norme internazionali che tutelano le minoranze etniche, ma non
sembra che con ciò anche le minoranze siano considerabili soggetti di D.I.
Popoli
Il popolo rappresenta una delle componenti dello Stato, nella sua concezione ternaria di popolo-
governo-territorio e in quella di Stato come comunità. Per la dottrina non è quindi considerato
soggetto di diritto internazionale, ma gode di un principio detto principio di
autodeterminazione dei popoli. Così definito: l’obbligo indirizzato al Governo straniero
che abbia occupato con la forza un territorio ed un popolo altrui o che li ha assoggetti a
dominazione coloniale, di liberare il popolo dal dominio consentendone
l’autodeterminazione.
È questo il principio di autodeterminazione nella sua dimensione esterna, che vede cioè
contrapposti un popolo ad un governo straniero. Affinché il principio sia applicabile, occorre
che la dominazione straniera, salvo il caso dei territori coloniali, non risalga oltre l’epoca in
cui il principio stesso si è affermato come principio giuridico, ossia oltre l’epoca successiva
alla fine della IIGM (irretroattività del principio di autodeterminazione).
Esempio delle colonie: perché Stati africani devono essere governati da altri Stati? Si tratta del
caso più importante di autodeterminazione, cioè obbligo dello Stato di ritirarsi e non governare
territori altrui. Ciò è successo con le varie ondate di decolonizzazione e dopo la IIGM; infatti,
il principio si è formato dopo il 1945 e sulla scorta dell’attività dell’Assemblea Generale
dell'ONU (creatasi dopo il 1945 con lo scopo di mantenere la pace nel mondo). Quindi l’ONU
promuove il principio.
Nella Carta delle Nazioni Unite c’è una norma, l’articolo 73: “I Membri delle Nazioni Unite, i
quali abbiano od assumano la responsabilità dell’amministrazione di territori la cui
popolazione non abbia ancora raggiunto una piena autonomia riconoscono il principio che gli
interessi degli abitanti di tali territori sono preminenti, ed accettano come sacra missione
l’obbligo di promuovere al massimo, nell’ambito del sistema di pace e di sicurezza
internazionale istituito dal presente Statuto, il benessere degli abitanti di tali territori” →
significa che lo Stato coloniale ha la missione di promuovere l’autonomia dei colonizzati
(autonomia diverso da indipendenza) e il benessere degli abitanti, e si enumerano i diversi
obblighi che hanno gli Stati coloniali.
Questo significa che nella Carta non c’è un principio di autodeterminazione, ma l’ONU offre
attività di assistenza tramite questo art.73.
Chi deve rispettare il principio di autodeterminazione è lo Stato come organizzazione (soggetto
di D.I.), i popoli sono beneficiari.
L'esempio più evidente è l’occupazione israeliana di territori appartenenti agli Stati confinanti
(Egitto, Siria e Giordania) dopo la nascita dello Stato di Israele.
La dimensione interna del principio deve essere definita come il diritto del popolo di
perseguire il proprio sviluppo politico, economico, sociale e culturale all’interno di uno
Stato esistente oppure diritto del popolo di essere rappresentato da una maggioranza
eletta democraticamente e liberamente. L'autodeterminazione interna è respinta da Conforti.
La differenza sta nel fatto che da un lato il popolo ha il diritto di autodeterminarsi e comporta
l’obbligo per lo Stato straniero di liberarlo, dall’altro siamo in una situazione in cui una parte
di popolo non si riconosce nella maggioranza e decide di secedere.
Le organizzazioni internazionali
Le OI sono unioni di Stati che decidono di perseguire determinati scopi comuni e si dotano di
organi ai quali affidano tale compito, in base al principio di attribuzione delle competenze detto
anche dei poteri limitati.
Le OI vengono create mediante la stipulazione di un accordo internazionale detto, trattato
istitutivo (nel caso dell’UE), oppure Carta (nel caso dell’ONU Carta delle Nazioni Unite) ma
anche Patto (Patto atlantico per la NATO).
L’OI si distingue dallo Stato poiché non ha un territorio; nel trattato si indicano quali sono gli
Stati membri, gli scopi da perseguire nonché gli organi competenti ad agire e secondo quali
principi.
Ovviamente l’OI ha bisogno di una sede, di solito si tratta di diversi edifici collocati in diversi
Stati membri. Per esempio, l’ONU ha sede a New York, Ginevra, Vienna e i suoi Istituti a
Roma e Parigi... ciò viene deciso tramite un accordo di sede, tramite il quale si decide il luogo
fisico dove l’OI andrà ad agire. Di solito tale accordo è corredato da un protocollo, in cui si
trovano privilegi e immunità dell’OI e dei suoi funzionari.
Resta da capire qual è il fondamento giuridico che attribuisce la soggettività alle OI.
La Santa Sede
È un ente del tutto indipendente dagli Stati ed attivo nell’ambito della comunità internazionale.
La sua personalità internazionale è sempre stata riconosciuta per tradizione dato che la
personalità si concreta non solo nel potere di concludere accordi internazionali, ma data
l’esistenza dello Stato della Città del Vaticano, anche in tutte le situazioni giuridiche che
presuppongono il governo di una comunità territoriale.
L’Ordine di Malta
Si tratta di un ente religioso che dipende dalla Santa Sede, la cui soggettività è stata contestata
da Conforti.
Il Comitato Internazionale della Croce Rossa
Si tratta di un ente umanitario che opera con assoluta indipendenza politica, confessionale ed
economica. Vari accordi internazionali di diritto umanitario affidano a questo ente varie
funzioni e nel 1993 esso ha stipulato con la Svizzera un accordo di sede, proprio per sottolineare
la sua volontà di essere considerato un SI.
La personalità giuridica internazionale (cap. 4 Pennetta)
1. Nozione, origine della questione e rilevanza attuale
Con la nozione di personalità giuridica internazionale delle organizzazioni internazionali si fa
riferimento alla titolarità da parte di queste ultime di situazioni giuridiche soggettive – attive
e passive - nonché alla destinatarietà di diritti e obblighi nell’ambito dell’ordinamento
internazionale. Si tratta di una condizione giuridica che produce effetti erga omnes nei
confronti di tutti i consociati.
A differenza invece della personalità giuridica interna che attiene alla capacità giuridica dell’OI
di essere titolare di situazioni giuridiche soggettive sul piano interno. L'OI sul piano interno
può essere istituita in vari modi all’interno dei vari paesi, a seconda dello Stato in questione,
può essere titolare di determinati diritti a seconda dell’ordinamento interno di quello Stato.
Il discorso sull’effettività e sull’indipendenza proprio degli Stati si pone in maniera differente
nei confronti delle OI, si parla quindi di “adattamento” della nozione di personalità giuridica
proprio perché viene a mancare un effettivo territorio sul quale l’OI esercita la propria sovranità
e inoltre le competenze sono limitate da quelle che vengono attribuite dagli Stati membri
attraverso trattati istitutivi o altri atti.
La questione della personalità giuridica delle OI emerge con la nascita della Società delle
Nazioni nel 1919, OI istituita alla fine della IGM che aveva la funzione di mantenimento della
pace, ma fallì con lo scoppio della IIGM. Al termine della quale fu sostituita da una nuova
organizzazione, l’Organizzazione delle Nazioni Unite con la Carta di San Francisco.
Con la SdN si pone per la prima volta in maniera rilevante il problema dell’accertamento della
personalità giuridica internazionale di un’OI. Perché prima del 1919 c’erano dei fenomeni
aggregativi, unionali di Stati ma si erano finalizzati al convocare conferenze, svolgere attività
comuni... caratterizzate da decisioni assunte all’unanimità.
5. I poteri impliciti
Un discorso a parte meritano i poteri impliciti quale possibile ulteriore strumento per estendere
l’ambito di attività di un’OI.
Si tratta di una deroga al principio di attribuzione di competenze.
La teoria dei poteri impliciti trova origine del diritto costituzionale degli Stati Uniti, e in
particolare, nell’interpretazione data dalla Corte suprema dei rapporti esistenti tra Stato centrale
e Stati federati. Essa è stata formalizzata nel 1819, nella famosa sentenza McCulloch v.
Maryland, che ha stabilito che il Governo federale per poter esercitare le proprie competenze
possa ricorrere non solo ai poteri che gli sono stati esplicitamente attribuiti dalla Costituzione,
ma anche a tutti quelli che, benché non espressamente previsti, risultino tuttavia necessari per
svolgere adeguatamente i suoi compiti e sempreché tali poteri non gli siano espressamente
preclusi da specifiche disposizioni costituzionali.
La formulazione della teoria dei poteri impliciti presumeva un collegamento diretto tra una
singola competenza espressa e i poteri implicitamente ricavabili da essa; nel senso che i secondi
dovevano essere strumentali all’esercizio della prima.
Nell'accezione più ampia la teoria dei poteri impliciti, giustifica l’attribuzione di ulteriori poteri
all’organizzazione e non di nuove competenze in senso materiale.
Questa teoria dei poteri impliciti alle OI si giustifica per due ragioni:
- È impossibile che l’atto istitutivo possa descrivere in modo preciso e dettagliato tutti
gli specifici poteri dell’ente che sta creando.
- È impossibile che gli Stati fondatori riescano a prevedere nel suddetto atto istitutivo
tutti i poteri che si renderanno necessari per l’organizzazione in un futuro comunque
incerto.
Il ricorso a tale teoria presuppone però che vengano rispettate due condizioni:
1. I poteri impliciti devono essere invocati per perseguire un determinato obiettivo solo se
mancano poteri esplicitamente attribuiti a tale scopo.
2. I poteri impliciti invocati devono essere riconosciuti come necessari per permettere
all’organizzazione di svolgere le sue funzioni.
Le competenze applicate al caso dell’Unione Europea
L'UE è un’OI a metà con lo Stato federale, con una competenza legislativa derivante dal
trasferimento di poteri sovrani che normalmente le altre OI non hanno. Alcune materie sono
regolate esclusivamente dall’UE in base al principio di sussidiarietà, tramite cui le materie che
sono di competenza concorrente diventano di competenza esclusiva dell’UE.
Nel Trattato sull’Unione Europea distinzione tra:
- Delimitazione delle competenze fra Stati e Organizzazione (ripartizione verticale):
riguarda il confine fra quello che possono fare gli organi dell’O e ciò che invece resta
nella sovranità degli Stati; ciò serve a circoscrivere i poteri d’azione
dell’organizzazione. La delimitazione agisce attraverso il principio di attribuzione,
permette di limitare in base alla volontà degli Stati membri (signori del trattato
istitutivo) dell’organizzazione, i poteri dell’organizzazione stessa.
- Esercizio delle competenze: in un’OI classica una volta delimitate le competenze con
il principio di attribuzione, di rado ha poteri vincolanti normativi (non hanno potere di
emanare atti vincolanti che vanno a sostituirsi alle leggi statali). Al contrario l’UE ha
un regolamento che è una legge immediata che va a inserirsi nell’ordinamento statale
andando a sostituire la disciplina nazionale.
Unione Europea attuale: 27 Stati membri (il 28 era il Regno Unito). L'Italia è stata una dei padri
fondatori di quella che è considerata l’antenato dell’attuale UE; la Comunità Europea si è
estinta nel 2009 con l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona che ha modificato il sistema
precedente e ha conferito all’Unione lo status di successore.
L'UE è un’organizzazione che ha una disciplina in materia di ripartizione delle competenze
molto interessante perché ha dei grossi poteri d’azione vincolanti: come la possibilità di
adottare norme che toccano tutti i cittadini di tutti i 27 Stati in ogni aspetto della vita quotidiana.
Tutto ciò che circola all’interno dei territori deve portare il marchio CE (Conformità Europea).
All'art. 5 del TUE sono illustrati i principi di ripartizione delle competenze fra Stati membri e
Unione.
(vedere sul TUE)
Le fonti internazionali
L'Italia, oltre ad essere essa stessa un ordinamento giuridico, fa parte, assieme a tutti gli Stati
del mondo ed alle OI, dell’ordinamento internazionale, che possiede proprie regole giuridiche
che servono a regolare i rapporti degli Stati tra loro e con le OI.
Il DI può essere detto essere “primitivo” poiché manca di un’organizzazione gerarchica; infatti,
non ci sono governati e governanti, ma ci sono gli Stati che hanno uguale rilievo grazie al
principio dell’uguaglianza sovrana degli Stati.
Le fonti del DI sono diverse rispetto all’ordinamento interno italiano:
- La fonte principale è la consuetudine, al contrario dell’ordinamento interno italiano in
cui la troviamo all’ultimo posto.
- Poi abbiamo l’accordo, o trattato, o convenzione, internazionale.
- Infine, ci sono le fonti previste da accordo, sono fonti di terzo grado perché derivate
dall’accordo.
Per quanto riguarda la funzione normativa, occorre distinguere tra diritto internazionale
generale e diritto particolare, cioè tra le norme che si indirizzano a tutti gli Stati e a quelle
che vincolano una ristretta cerchia di soggetti, di solito quelli che hanno direttamente
partecipato alla loro formazione.
Tra le norme generali ritroviamo la consuetudine, mentre le tipiche norme di diritto
internazionale particolare sono quelle poste da accordi (o patti, o trattati o convenzioni)
internazionali che vincolano solo gli Stati contraenti. Altra fonte di diritto internazionale
particolare sono i procedimenti previsti da accordi, o fonti di terzo grado.
Per quanto riguarda l’elemento della diuturnitas va avvertito che il tempo di formazione della
consuetudine non si presta a soluzioni precise e univoche; alcuni hanno proposto la tesi delle
cosiddette consuetudini istantanee, ritenendo che il ruolo del tempo nella formazione del primo
elemento della consuetudine, ossia la pratica costante nel tempo, non sia sempre indispensabile.
Conforti si esprime in senso critico affermando che il tempo può essere tanto più breve quanto
più diffuso e che le consuetudini istantanee sono una contraddizione poiché non possono
generare norme giuridiche data la mancanza del carattere della stabilità che è insito nel diritto
non scritto.
Quali organi dello Stato concorrono nel procedimento di formazione della norma
consuetudinaria?
Si riconosce generalmente la possibilità di partecipazione da parte di tutti gli organi statali e
non dei soli organi detentori del potere esterno. Secondo Conforti, alla formazione della
consuetudine, concorrono sia atti esterni come la conclusione di accordi, scambi di note
diplomatiche, prese di posizione... sia atti interni quali sentenze dei giudici nazionali, leggi
dei Parlamenti nazionali e dei Governi, atti amministrativi...
Consuetudine ed analogia
Le norme consuetudinarie generali sono suscettibili di applicazione analogica. L'analogia è da
intendersi come una forma di interpretazione estensiva, consiste nell’applicare una norma ad
un caso che essa non prevede ma i cui caratteri essenziali sono analoghi a quelli del caso
previsto. Il ricorso all’analogia ha senso soprattutto con riguardo a fattispecie nuove: le norme
consuetudinarie possono essere applicate a rapporti della vita sociale che non esistevano
all’epoca della formazione della norma. Gli esempi più banali sono dati dalla applicazione delle
norme sulla navigazione marittima a quella aerea e cosmica.
L'accordo di codificazione si distingue dagli altri accordi internazionali per lo scopo che si
propone, che invece di essere quello di disciplinare secondo certe modalità e norme i rapporti
tra Stati contraenti, ha il fine di mettere per iscritto, di codificare quindi, il diritto internazionale
generale non scritto, quali le consuetudini e i principi generali di diritto.
Secondo l’art. 13: codificazione e sviluppo progressivo. Cosa significa?
• Codificazione → mettere per iscritto una certa norma consuetudinaria per il principio
di certezza del diritto
• Sviluppo progressivo → ricostruzione dell’iter di una norma, che si sta sviluppando e
non è ancora cristallizzata
Quali sono i problemi che si vengono a creare in merito agli accordi di codificazione?
1. Problema della doppia valenza
Dal momento che si tratta di accordi internazionali (i quali vincolano solo le parti contraenti)
che codificano norme ad efficacia generale (che vincolano quindi tutti i soggetti), qual è il loro
vero valore? In altri termini, si tratta pur sempre di accordi che vincolano solo gli Stati
contraenti oppure hanno un’efficacia che travalica l’accordo e investe tutti?
Si può affermare che gli accordi di codificazione vanno considerati alla stregua dei normali
accordi internazionali e quindi vincolano solo le parti contraenti, cioè valgono solo per gli Stati
che li ratificano. Le norme consuetudinarie in essi contenute, si applicheranno ai terzi Stati non
a titolo di norma convenzionale (come disposizione contenuta nell’accordo di codificazione),
bensì a titolo di norma del diritto internazionale generale (come consuetudine).
Un esempio:
- Pacta sunt servanda: gli accordi devono essere rispettati, come norma convenzionale di
un accordo sarà rispettata dagli Stati contraenti, ma avendo natura consuetudinaria e
quindi efficacia erga omnes, sarà rispettato anche dagli Stati terzi.
I Trattati
Esaurito l’esame dei problemi relativi alla formazione del diritto internazionale generale,
consideriamo ora quella importante fonte di norme particolari costituita dall’accordo. Per
indicare quest’ultimo, la terminologia usata è assai varia: trattato, convenzione, patto, statuto,
carta... ad ogni modo la natura dell’atto non muta ed è quella propria degli atti contrattuali,
l’accordo internazionale viene così definito: l’unione o meglio l’incontro delle volontà di due
o più Stati, dirette a regolare una determinata sfera di rapporti riguardanti questi ultimi.
Ogni accordo internazionale presenta una struttura tipizzata constando delle seguenti parti:
• Preambolo: parte iniziale nel quale sono spiegati lo scopo, l’oggetto e le ragioni che
hanno portato gli Stati alla conclusione dell’accordo.
• Dispositivo: è il vero e proprio testo contenente le norme sostanziali, cioè la disciplina
di una certa materia e le clausole finali, quali quelle sul termine dell’accordo, sulle
lingue ufficiali, sull’entrata in vigore.
• Allegati e protocolli: si tratta di accordi veri e propri ma connessi strettamente con
l’accordo principale, stipulati contemporaneamente oppure in un momento successivo.
È possibile che non tutti gli Stati contraenti di quest’ultimo aderiscano anche a tutti i
protocolli annessi.
Si possono distinguere diverse tipologie di accordi:
- Accordi bilaterali e multilaterali: a seconda che siano conclusi tra due soli Stati o tra
più di due Stati.
- Accordi multilaterali aperti e chiusi: a seconda della possibilità in essi contenuta
mediante apposite clausole, di consentire l’adesione di Stati terzi senza condizioni,
oppure, se multilaterali chiusi, solo alla condizione che tutti i contraenti all’unanimità
accettino il nuovo Stato.
- Accordi multilaterali aperti a parti qualificate: sono accordi che contengono una
clausola di adesione che prevede che lo Stato che chieda di entrarne a farne parte abbia
la qualità di membro dell’ONU.
La Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati, 1969
Come i contratti nel diritto interno sottostanno alla legge, così i trattati internazionali
sottostanno ad una serie di norme consuetudinarie che ne disciplinano il procedimento di
formazione nonché i requisiti di validità e di efficacia. Tale complesso di regole forma il
cosiddetto diritto dei trattati a cui è dedicata una delle più grandi convenzioni di codificazione
promosse dalle NU ed elaborate dalla CDI, cioè la Convenzione di Vienna del 1969 sul diritto
dei trattati in vigore dal 27.1.1980. Perché sono passati 11 anni dalla firma (23.5.1969)
all’entrata in vigore? Perché secondo l’art. 84 era necessario che almeno 35 Stati ratificassero
(esprimessero la volontà di obbligarsi alla Convenzione).
Preambolo della Convenzione di Vienna: è fatto di “considerando”, ci dice che siamo di
fronte ad un accordo di codificazione, ciò lo vediamo dal penultimo “considerando”. Ci sono
una serie di richiami alla Carta delle Nazioni Unite, sia esplicitamente che implicitamente.
Parte I: è una parte introduttiva che spiega la sfera di applicazione della Convenzione, i termini
usati, gli accordi che non rientrano nella sfera di applicazione e la sfera di applicazione
temporale (cioè a partire da quando è applicabile per gli Stati che l’hanno ratificata).
Parte II: iniziano le norme codificatorie, con le varie sezioni. Si possono formulare delle
riserve (atto multilaterale attraverso il quale uno Stato può dire “io non voglio applicare una o
più disposizioni”).
Parte III: rispetto, applicazione ed interpretazione dei trattati è la parte più importante. Art. 26
norma consuetudinaria del “pacta sunt servanda”.
Parte IV: modifiche e/o aggiornamenti del trattato.
Parte V: nullità, estinzione e sospensione dell'applicazione dei trattati.
Parte VI: disposizioni che chiariscono alcuni aspetti, come i rapporti della convenzione con
altre questioni del DI.
Parte VII: depositari, notifiche, correzioni e registrazione.
Parte VIII: disposizioni finali.
La competenza a stipulare
La competenza a stipulare ed a ratificare gli accordi internazionali è materia disciplinata dal
diritto interno di ciascuno Stato, normalmente a livello costituzionale. Nell'ordinamento
italiano la stipulazione degli accordi internazionali è affidata in linea di principio al potere
esecutivo (Governo) con l'eventuale partecipazione del potere legislativo, quando le materie
oggetto dell'accordo rivestono particolare importanza.
La competenza a ratificare è disciplinata dalla Costituzione nell’art 87 che l’affida al Presidente
della Repubblica previa autorizzazione del Parlamento quando si tratti di materie previste
dall’art. 80 della Costituzione, ossia quando il trattato abbia ad oggetto:
• Trattati di natura politica
• Regolamenti giudiziari
• Modificazioni del territorio nazionale
• Oneri alle finanze
• Modificazioni di leggi
Gli art. 87 e 80 vanno coordinati con l’art. 89 in base al quale “nessun atto del Presidente della
Repubblica è valido se non è controfirmato dai ministri proponenti che ne assumono la
responsabilità”.
Si evince che il potere di ratifica del Presidente della Repubblica assume carattere formale,
mentre il potere di stipulare gli accordi internazionali riposa sostanzialmente nel potere
esecutivo e nel caso di accordi aventi ad oggetto le materie previste dall'art. 80 nelle mani dei
poteri esecutivo e legislativo.
Ogni Stato disciplina la competenza a stipulare accordi in forma semplificata secondo il proprio
ordinamento interno, generalmente i limiti al potere dell'esecutivo in materia sono posti da
ciascun diritto costituzionale. In Italia si è da tempo affermata la tesi di Cassese, secondo la
quale il governo incontra come unico limite alla stipulazione di accordi in forma semplificata
quello relativo alle materie coperte dall'art. 80 in quanto richiede l'autorizzazione del
Parlamento alla ratifica mediante legge.
Le Regioni
Nell'ambito dell'ordinamento italiano si pone la questione se anche le Regioni possano
concludere accordi internazionali.
La Corte costituzionale prese in un primo tempo una posizione drastica in senso anti-
regionalistico, affermando l'incompetenza degli organi regionali in tema di formulazione di
accordi con soggetti propri di altri ordinamenti.
La Corte costituzionale tornò altre volte sull'argomento, la sentenza più significativa resta
quella n. 179 del 1987 nella quale sostenne che le Regioni, procuratosi il previo assenso del
governo centrale, potessero stipulare non solo intese di rilievo internazionale ma addirittura
accordi in senso proprio tali da impegnare la responsabilità dello Stato e purché si trattasse di
accordi riguardanti materie di competenza regionale e non rientranti nelle categorie previste
dall'art. 80.
Le Organizzazioni internazionali
Le organizzazioni internazionali, in quanto dotate di soggettività internazionale, possiedono
ovviamente la capacità di stipulare accordi internazionali, sia con Stati membri che con Stati
terzi e altre OI.
Per individuare le forme e i limiti della competenza a stipulare delle OI occorre fare riferimento
al trattato istitutivo di ognuna.
Ci sono due trattati per l’UE:
- TUE: detta i principi fondamentali e generali
- TFUE: include regole più specifiche sul funzionamento dell’Unione Europea
Di particolare importanza sono per l'Italia gli accordi internazionali conclusi dall’Unione
Europea, per il principio espresso nel Trattato sul funzionamento dell’UE nel suo art. 216 per
il quale “gli accordi conclusi dall’Unione vincolano le istituzioni dell’Unione e gli Stati
membri”.
Art. 216 del TFUE “L’Unione può concludere un accordo con uno o più paesi terzi o
organizzazioni internazionali qualora i trattati lo prevedano o qualora la conclusione di un
accordo sia necessaria per realizzare, nell’ambito delle politiche dell’Unione, uno degli
obiettivi fissati dai trattati, o sia prevista in un atto giuridico vincolante dell’Unione, oppure
possa incidere su norme comuni o alterarne la portata”.
Bisogna vedere sul trattato in quali materie e casi l’Unione può concludere l’accordo con paesi
Terzi (non membri dell’UE) o con OI.
“Gli accordi conclusi dall’Unione vincolano le istituzioni dell’Unione e gli Stati membri”. Si
tratta di una norma unica nel panorama delle OI, normalmente quando una OI stipula un
accordo internazionale è soltanto l’organizzazione che è vincolata e non gli Stati membri
(perché si tratta di soggetti diversi). Il caso dell’UE è un’eccezione.
L'art. 216 stabilisce che gli accordi sono vincolanti per le istituzioni dell'Unione per gli Stati
membri. Viene quindi sancita un'eccezione al principio generale valevole per le organizzazioni
internazionali secondo cui gli accordi stipulati da un'organizzazione restano estranei alla sfera
giuridica degli Stati membri.
Per quanto riguarda le istituzioni, gli accordi in questione si situano a metà strada tra le norme
del TUE e TFUE e gli atti delle istituzioni nel senso che da un lato essi non possono derogare
i trattati dall'altro non possono a loro volta essere derogati dalle istituzioni.
L'art. 218 TFUE dice quali sono gli organi che sono competenti a stipulare, cioè il Consiglio
dei Ministri e la Commissione; in alcuni casi il Parlamento è anche coinvolto. Viene esplicata
tutta la procedura in forma solenne.
L'art. 218 del TFUE regola la procedura normale di conclusione degli accordi. I negoziati sono
condotti dalla Commissione su autorizzazione del Consiglio, il quale può impartire direttive ai
negoziatori. Lo stesso Consiglio autorizza sia la firma del testo sia la sua conclusione previa
l'approvazione del Parlamento. Si va affermando la prassi dei cosiddetti accordi amministrativi
cioè accordi in forma semplificata poiché conclusi esclusivamente dalla Commissione.
Il mancato rispetto delle competenze delle procedure previste dai Trattati in ordine alla stipula
di accordi internazionali comporta l'invalidità dell'atto di conclusione dell'accordo che può
essere accertata dagli organi di giustizia dell'Unione.
Sempre secondo l’art. 218 uno Stato membro, il Parlamento, il Consiglio e la Commissione
possono chiedere alla Corte di giustizia di dare in via preventiva un parere circa la compatibilità
dell'accordo con le disposizioni del trattato.
Specifiche disposizioni del TFUE prevedono la conclusione di accordi. Tra questi sono assai
importanti le convenzioni di associazione (art. 217 l’Unione può concludere con uno o più
paesi terzi o organizzazioni internazionali accordi che istituiscono un'associazione
caratterizzata da diritti ed obblighi reciproci) nonché gli accordi che rientrano nel quadro della
politica commerciale comune (art. 207). Ad essi vanno aggiunti gli accordi in materia di
politica monetaria e di politica ambientale e di cooperazione allo sviluppo.
Art. 217 TFUE “L’Unione può concludere con uno o più paesi terzi o OI accordi che
istituiscono un’associazione caratterizzata da diritti ed obblighi reciproci, da azioni in comune
e da procedure particolari”. Accordi di associazione sono accordi che l’Unione ha iniziato a
stipulare negli anni 50-60 con gli Stati vicini (come quello con la Turchia), permettevano di
avere organi comuni e stabilire regimi facilitati di circolazione, per esempio, di lavoratori o
scambio facilitato di merci. Se riguardavano un Paese europeo che non era parte dell’allora
Comunità economica europea, preparavano la strada per far entrare quello Stato.
Soprattutto gli accordi di associazione, commerciali e di cooperazione costituiscono una fitta
rete di rapporti convenzionali con Stati terzi stipulati dalla CE ed oggi facenti capo all'Unione.
Art. 220 TFUE “L’Unione attua ogni utile forma di cooperazione con gli organi delle NU e
degli istituti specializzati, il Consiglio d’Europa, l’organizzazione per la sicurezza e la
cooperazione in Europa e l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico”.
Sono accordi di collegamento tipici fra OI, di cooperazione, di agire in comune. Ciò si ha
tramite le delegazioni dell’Unione che sono gli ambasciatori che vanno a rappresentare
l’Unione.
Una particolare competenza in tema di stipulazione di accordi internazionali è stata prevista
dall’art. 6 par. 2 del TUE in virtù del quale “l’Unione aderisce alla Convenzione europea per
la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali”. L'introduzione di tale
previsione rispondeva all'esigenza evidentemente sentita tra gli Stati membri di assicurare un
miglior coordinamento tra i sistemi di protezione dei diritti fondamentali esistenti in Europa.
Su queste basi giuridiche le istituzioni dell'Unione hanno avviato un ciclo di negoziati con il
Consiglio d'Europa giungendo ad un progetto di accordo di adesione senonché tale progetto è
stato bocciato dalla Corte di giustizia che ne ha rilevato l'incompatibilità con i trattati.
La competenza dell'unione a concludere accordi internazionali nei casi contemplati dal
Trattato, e quando il trattato non disponga espressamente il contrario, ha carattere esclusivo.
Ciò significa che gli Stati membri sono obbligati a non concludere per loro conto accordi nelle
stesse materie.
A parte gli accordi la cui conclusione è espressamente prevista da disposizioni specifiche, l’art.
216 del TFUE stabilisce che un accordo possa essere comunque concluso se sia necessario per
realizzare uno degli obiettivi fissati dai Trattati, o sia prevista in un atto vincolante dell’Unione
oppure possa incidere su norme comuni o alterarne la portata.
Altre informazioni
Nel TFUE all’art.3 vengono elencate le materie esclusive di competenza dell’Unione e
nell’art. 4 le materie di competenza concorrente con gli Stati.
Per quanto riguarda la politica commerciale, l’UE ha competenza esclusiva, ciò implica che se
voglio sapere le regole che regolano il commercio tra Italia e Giappone, lo Stato non avrà
competenze in materia, ma si deve consultare l’Unione.
In materia ambientale, l’UE è concorrente con gli Stati, ma sarà sempre lei a fare l’accordo.
Per il principio di sussidiarietà, dove lo Stato non arriva, sarà l’Unione ad intervenire.
Le competenze sono concorrenti all’inizio, poi per verificare chi deve disciplinare la materia si
deve vedere se l’azione dei singoli Stati basta per raggiungere un obiettivo o se è necessaria
un’azione a livello superiore.
Art. 37 TUE “L’Unione può concludere accordi con uno o più Stati o organizzazioni nei
settori di pertinenza del presente capo”. Per presente capo si intende la materia della politica
estera e di sicurezza comune, in cui l’UE non ha competenze forti perché è l’unica che è rimasta
quasi tutta nelle mani degli Stati.
Parte V del TFUE sull’azione esterna dell’Unione che è diverso dall’azione esterna e politica
estera del TUE.
Perché nel TFUE azione esterna riguarda tutto ciò che non è politica estera e di sicurezza
comune (cioè alta politica estera), mentre riguarda tutto ciò che ha a che fare con rapporti
commerciali, aiuto umanitario, cooperazione allo sviluppo, accordi in materia di trasporti,
servizi, agricoltura... tutto ciò che riguarda il settore economico diciamo, quindi bassa politica
estera.
Mentre tutto ciò che riguarda l’alta politica estera (rapporti politici, misure restrittive, minacce
di pace...) si trova nel TUE.
L'azione esterna in materia di alta politica estera è soggetta a disposizioni specifiche, l’UE ha
voce in capitolo molto minore. Questo perché ogni Stato vuole avere la propria sovranità e non
si possono stabilire regole che valgono per tutti; c’è cooperazione intergovernativa in cui tutti
gli Stati devono essere d’accordo sulla base del principio del consenso.
Per quanto riguarda l’azione esterna dell’Unione nelle sue materie di competenza esclusiva
(ma anche concorrente, per il principio di sussidiarietà), c’è piena competenza dell’Unione che
impone la sua azione e i suoi accordi anche agli Stati membri.
Metodi di interpretazione
1. Metodo soggettivo: si basa sulla ricerca della volontà effettiva degli Stati, ovvero la
loro intenzione. Può dar luogo ad abusi e a troppo libero arbitrio.
2. Metodo oggettivo: preferisce fare riferimento alla volontà dichiarata dalle parti nel
testo, quindi all’intenzione dichiarata in maniera esplicita. In questo contesto si
inserisce il metodo oggettivo sistematico in base al quale ogni disposizione di un
trattato va interpretata tenendo conto del contesto delle norme in cui è inserita e della
connessione logica tra le varie parti del trattato.
3. Metodo finalistico: predilige, ai fini dell’interpretazione delle disposizioni di un
accordo, quella che meglio risponde all’oggetto e allo scopo dell’accordo. Si guarda
quindi alle finalità dell’accordo stesso. È il metodo preferito nell’interpretazione di
accordi internazionali, soprattutto per ricavare la possibilità di attribuire poteri agli
organi delle OI non espressamente previsti dal Trattato istitutivo, mediante l’utilizzo di
una particolare forma di interpretazione estensiva che è data dalla teoria dei poteri
impliciti. Un settore in cui è molto utilizzato è quello del diritto internazionale
dell’economia, in particolare nell’ambito dell’accordo GATT (strumento multilaterale
di liberalizzazione di scambi di merci, cioè libera circolazione negli Stati contraenti
l’accordo), se si deve far circolare un prodotto io dovrò far circolare tutti prodotti simili
(uno Stato ha l’obbligo di far entrare nel territorio e far commercializzare tutti quei
prodotti simili al suo che però provengono da altri Stati). Cosa succede se si ha un
dubbio se un prodotto è simile o no? Si è nell’ambito dell’interpretazione del diritto,
come si interpreta il concetto di prodotto similare? Ci sono criteri diversi: per
caratteristiche qualitative (interpretazione restrittiva), per lo scopo (interpretazione
estensiva) ... (è simile l’olio evo con l’olio di semi? Qualitativamente no però lo scopo
per cui si usa è lo stesso).
Modi di interpretazione
1. Interpretazione restrittiva: quel particolare modo di intendere una disposizione di un
trattato che si basa sulla lettera del testo e tende ad escludere la possibilità di estendere il
significato di certi termini. La dottrina ricorda che questo modo d’interpretazione è stato in
passato giustificato perché un accordo comporta limiti alla sovranità di uno Stato e quindi una
eventuale estensione delle sue disposizioni si scontrerebbe con il principio per cui le limitazioni
di sovranità non si presumono.
2. Interpretazione estensiva: consente di attribuire a termini o espressioni contenuti nelle
disposizioni di un accordo significati che vanno al di là del dato testuale ma che possano
implicitamente o espressamente ricavarsi dall’analisi sistematica del testo, dalla considerazione
per l’oggetto e lo scopo dell’accordo, dal contesto in cui esso fu concluso.
• 2.1 Analogia: è da intendersi una forma di interpretazione estensiva che consiste
nell’applicare una norma ad un caso che essa non prevede ma i cui caratteri essenziali
sono analoghi a quelli del caso previsto. Si ricorre all’analogia per disciplinare
fattispecie nuove. Il caso più comune è l’applicazione di norme in materia di
navigazione marittima a quella aerea o anche quella cosmica.
• 2.2 La dottrina dei poteri impliciti: è una forma di interpretazione estensiva che ha
assunto particolare importanza in relazione ai trattati istitutivi di OI. Nell’ordinamento
internazionale vige il principio di attribuzione delle competenze, in base al quale gli
organi di una OI non possono esercitare poteri che non siano espressamente previsti dal
trattato istitutivo. Questo principio però incontra un’eccezione nell’interpretazione
estensiva del trattato istitutivo della OI, ed in particolare nella teoria dei poteri impliciti,
in base alla quale gli organi di una OI non solo possono esercitare i poteri
espressamente attribuiti loro ma anche quelli necessari all’esercizio dei poteri
espressi, anche se non previsti dal trattato. Questa teoria è stata utilizzata dalla CIG
in alcuni pareri per giustificare l’attribuzione agli organi dell’ONU di poteri non
espressamente previsti dalla Carta.
• 2.2.1 La teoria del parallelismo: la dottrina dei poteri impliciti ha ricevuto importanti
applicazioni in seno a un’altra OI, l’Unione Europea, il cui trattato istitutivo prevedeva
addirittura una espressa disposizione che riconosce la possibilità (a certe condizioni)
per gli organi dell’organizzazione di ricorrere a poteri impliciti. Nonostante questa
espressa disposizione, la CIG dell’UE ha fatto ricorso alla dottrina dei poteri impliciti
per allargare ulteriormente le competenze dell’organizzazione a scapito di quelle degli
Stati membri, in materia di conclusione di accordi internazionali. Si tratta di
un’applicazione della dottrina dei poteri impliciti ed è chiamato principio del
parallelismo delle competenze interne ed esterne, ed è la possibilità per l’UE, ogni volta
che c’è un potere normativo interno, di concludere anche accordi internazionali
(competenza esterna).
3. Interpretazione evolutiva: consiste nell’interpretare le disposizioni e i termini in esse
contenuti alla luce degli sviluppi della normativa internazionale.
4. Interpretazione autentica: in base al principio che chi ha il potere di modificare una norma
o abrogarla ha anche il potere di interpretarla, è autentica l’interpretazione frutto di un accordo
delle parti contraenti (accordo contemporaneo o successivo a quello principale).
5. Interpretazione giudiziale: è l’interpretazione di un accordo resa da un giudice o arbitro
internazionale a cui è stato affidato il compito.
6. Interpretazione unilateralistica: è l'interpretazione resa dai singoli Stati contraenti al
momento dei negoziati o della ratifica del trattato, mediante il ricorso a dichiarazioni
interpretative, e quella resa dai giudici nazionali degli Stati contraenti chiamati ad applicare
l'accordo all'interno dei rispettivi ordinamenti. Questo tipo di interpretazione andrebbe evitata
poiché uno stesso termine tecnico-giuridico potrebbe essere interpretato in molte maniere
differenti a seconda dei singoli ordinamenti interni.
7. Interpretazione uniforme: un modo per evitare il ricorso a quella unilateralistica, si affida
ad un giudice unico il compito di interpretare le disposizioni di un trattato con effetti vincolanti
all’interno degli ordinamenti degli Stati contraenti. Una tecnica è il rinvio pregiudiziale con il
quale ogni giudice di ogni Stato parte di un accordo può effettuare ad un giudice determinato,
il quale emetterà pronunce interpretative vincolanti per tutti gli ordinamenti interni degli Stati
parte.
Regole di interpretazione
Sono quelle regole che devono essere utilizzate in via preliminare in ogni attività interpretativa
ai fini dell’individuazione della specifica norma da applicare al caso concreto.
- Principio gerarchico: stabilisce che la norma di rango superiore prevale su quella di
rango inferiore. Nel DI questo principio non è applicabile ai rapporti tra accordi né a
quelli tra consuetudine e accordo. Mentre si applica senza dubbio ai rapporti tra norme
consuetudinarie e pattizie da un lato e norme cogenti dall’altro; così come ai rapporti
tra le norme di un trattato istitutivo e le fonti da esso derivato. Anche se in certi casi gli
atti prodotti in base ad accordo possono costituire dei veri e propri accordi e in questi
casi il principio gerarchico non potrà applicarsi essendo di fronte a norme di pari rango,
le quali dovranno essere interpretate secondi i seguenti criteri.
- Principio di posteriorità: dal brocardo latino lex posterior derogat anteriori, quindi
tra norme di pari rango e della stessa materia, la successiva prevale su quella anteriore.
Il principio in questione non si applica ai rapporti tra consuetudine ed accordi, in quanto
norme di diversa efficacia.
- Principio di specialità: la legge speciale prevale su quella generale. In questo caso
l’accordo, essendo norma speciale in quanto è specifica per la materia e per determinati
soggetti, prevarrà sulla norma generale della consuetudine.
Normalmente le OI si pronunciano con degli atti non vincolanti, che hanno una funzione
esortativa, ciò non vuol dire che tali atti non abbiano rilievo. Un esempio è l’agenda 20-30 per
lo sviluppo sostenibile dell’AG dell’ONU, atto non vincolante del 2015, ma la sua importanza
è fuori ogni dubbio (tanto che ogni Paese si è impegnato a porre al centro lo sviluppo
sostenibile, così come articolato nell’agenda).
Ci sono dei casi in cui l’OI può emanare atti vincolanti come deciso dal suo trattato istitutivo.
Conforti parla di atti vincolanti delle NU, come quelli adottati dall’AG che riguardano il
finanziamento dei lavori delle NU. E la ripartizione delle spese tra gli Stati membri, così come
agli atti adottati dal CdS ai sensi del cap. 7 della Carta ONU laddove vi siano esigenze di
mantenimento della pace, il Consiglio può adottare misure non implicanti l’uso della forza e
laddove siano inefficaci può adottare misure ai sensi dell’art. 42 implicanti l’uso della forza
armata.
Un caso emblematico di OI che ha la competenza di adottare atti vincolanti è l’UE, caso unico
a livello mondiale. L'organizzazione ai sensi dell’art. 288 del TFUE può adottare,
nell’esercitare le proprie competenze, atti tipici vincolanti e non vincolanti. Le istituzioni
dell’UE, in particolare Consiglio e Parlamento, possono adottare atti vincolanti quali
regolamenti, direttive e decisioni.
Gli Stati sono ancora oggi restii a dotare le organizzazioni di effettivi poteri vincolanti e a
limitare conseguentemente la propria sovranità; nonostante il numero delle OI esistenti sia
impressionante, solo alcune di esse dispongono di un vero e proprio potere decisionale.
Generalmente il loro compito non è quello di emanare norme, quanto quello di facilitare la
collaborazione tra gli Stati membri. Quindi predispongono progetti di convenzione che gli Stati
sono poi liberi di tradurre o meno in norme giuridiche attraverso la ratifica delle convenzioni.
Altra attività svolta dalle OI è costituita dall’emanazione di raccomandazioni, atti che hanno
valore di esortazione e che quindi non vincolano gli Stati cui si indirizzano.
L'Unione Europea
Nel 1951 fu creata la prima Comunità Europea, la CECA, a cui fecero seguito la CEE poi
denominata CE. Nel 2009, con il Trattato di Lisbona, si decreta l’estinzione della CE e la
costituzione di un solo soggetto, l’Unione europea.
Al principio si trattò di un’iniziativa senza precedenti, mirante all’integrazione economica tra
gli Stati membri, come premessa di un’integrazione politica.
La vita dell’Unione è regolata da due trattati: il TUE e il TFUE.
Dell’Unione fanno parte ormai 27 Stati membri (visto l’abbandono del Regno Unito), di cui 6
sono membri fin dall’inizio della sua vita, gli altri si sono andati via via aggiungendo nel tempo.
Sulla natura giuridica dell’UE c’è da chiedersi se si tratti di una vera e propria OI, ossia
un’organizzazione fra Stati sovrani che trae dal diritto internazionale i suoi poteri oppure se si
tratti di un embrione di Stato federale, caratterizzato dall’erosione delle sovranità statali.
Certo è che l’UE presenta elementi che non si rincontrano in nessuna altra organizzazione, con
ampi poteri decisionali attribuiti ai suoi organi e la sua sostituzione agli Stati membri nella
disciplina di molti rapporti.
Principali organi:
- La Commissione europea: organo composto da individui e non da Stati, le persone
siedono a titolo personale non ricevendo istruzioni da nessun Governo. Ha poteri
esecutivi e poteri di iniziativa legislativa nei confronti del Consiglio e Parlamento.
- Il Consiglio europeo: sono rappresentati gli Stati membri, presieduto a turno da
ciascun membro per la durata di sei mesi. Congiuntamente con il Parlamento adotta gli
atti più importanti della legislazione comunitaria. In base alle norme del TFUE delibera
delle volte all’unanimità e alle volte a maggioranza semplice o qualificata.
- Il Parlamento europeo: formato da rappresentanti dei popoli dei Paesi membri, eletti
a suffragio universale e diretto, non esercita da solo la funzione legislativa dovendo fare
i conti con il Consiglio. Ha funzione di controllo politico sulle altre istituzioni
comunitarie e per quanto riguarda la funzione legislativa, la esercita congiuntamente
con il Consiglio.
- La Corte dei conti: esercita una funzione di controllo su tutte le entrate e le spese
dell’Unione. Formata da 27 persone che vi siedono a titolo individuale.
- La Corte di Giustizia: veglia sul rispetto del diritto dell’Unione.
- La Banca centrale europea: costituisce il sistema europeo di banche centrali.
L'art. 288 del TFUE prevede i seguenti tipi di atti vincolanti, come tali classificabili tra le fonti
di norme internazionali:
• Regolamento → l’atto legislativo più importante e completo, attraverso il quale la
legislazione dell’Unione si sostituisce o si sovrappone a quella interna degli Stati
membri. Il regolamento contiene norme generali e astratte che vanno osservate da
chiunque operi all’interno del territorio dell’Unione (Stati, persone fisiche e giuridiche,
istituzioni), contiene tutti obblighi precisi di condotta o divieto, per cui non c’è bisogno
di normativa interna di integrazione o specificazione.
• Decisione → non ha portata generale, può indirizzarsi sia a uno Stato membro che a un
individuo o impresa operante nel territorio. In quanto atto vincolante il soggetto la cui
decisione si indirizza è tenuto ad osservarla.
• Direttiva → dovrebbe limitarsi all’enunciazione di principi e criteri generali, di regole
finali destinate ad essere tradotte dal singolo Stato in norme di dettaglio.
Le raccomandazioni e i pareri
Sono l’atto tipico delle organizzazioni. Non sono vincolanti per gli Stati membri, quindi non
sarebbero da annoverare tra le fonti previste da accordi poiché lo Stato il quale, in osservanza
di una raccomandazione, venga meno ad obblighi precedentemente assunti nei confronti di altri
Stati membri dell’organizzazione, non è considerato commettere un illecito.
Quindi le raccomandazioni appartengono al soft low; ciò nonostante, alcuni ritengono che sia
illecito il comportamento dello Stato, il quale si rifiuti di osservare tutta una serie di
raccomandazioni. Ma secondo Conforti la tesi è inaccettabile.
Ci sono casi in cui i pareri sono vincolanti, ma normalmente non lo sono.
Lo jus cogens
È il diritto imperativo, o cogente. La cui caratteristica è quella di essere inderogabile.
Si tratta di norme consuetudinarie, tesi confermata dalla CVT all’art. 53 (la quale chiude la
sezione sulle cause di invalidità).
Lo jus cogens ha carattere particolare, perché consta di un terzo elemento oltre alla diuturnitas
e all’opinio juris, cioè la convinzione dell’inderogabilità della norma (non può essere
modificata da altre fonti se non da una norma avente lo stesso carattere).
L'art. 53 tuttavia non chiarisce il processo di ricostruzione di una norma cogente, ma solo quali
sono i suoi effetti.
L'art. 64 riguarda la possibilità che si formi una nuova norma jus cogens, in quel caso tutti gli
accordi esistenti in conflitto con quella norma diverranno nulli e si estingueranno. Causa di
estinzione
Ci sono varie tesi sul fondamento giuridico delle norme di jus cogens, normalmente si ritiene
che sia consuetudinario (cioè una certa comunità internazionale ritiene valido il principio di
inderogabilità delle norme cogenti). Sono considerati principi inderogabili quelli fondamentali
stabiliti dalla Carta ONU, quindi: il divieto della minaccia o uso della forza nelle relazioni
internazionali, il principio di autodeterminazione nella dimensione esterna, alcuni principi di
diritti fondamentali che sono il nucleo duro dei diritti umani (divieto di tortura, di genocidio...).
Sul problema dello jus cogens si sono cimentati in tanti, soprattutto in dottrina. Perché nella
prassi non si hanno casi in cui si è ufficialmente riconosciuta la prevalenza di una norma
imperativa su una consuetudine o accordo.
L'unico caso di cui si può parlare di norme cogenti è il caso delle NU perché c’è l’art. 103 che
secondo la tesi di Conforti: c’è stata una volontà espressa in tanti anni da parte della comunità
internazionale che questa norma sia obbligatoria. Cioè che il principio della prevalenza degli
obblighi previsti dalla Carta su tutti gli altri accordi conclusi fra gli Stati membri delle NU sia
inderogabile (quindi è una norma jus cogens).
Se considerato dal punto di vista convenzionale, l’art. 103 non avrebbe senso, ponendosi in
contrasto con la norma consuetudinaria codificata nell’art. 30 della CVT per la quale gli accordi
successivi conclusi tra le stesse parti e nella stessa materia prevalgono su quelli anteriori.
Senonché l'art. 30 contiene un rinvio all’art. 103, salvandone gli effetti e riconoscendogli un
effetto di deroga al principio di posteriorità.
L'unico caso in cui lo jus cogens ha avuto applicazione è stato quando si è applicato l’art. 103
tramite l’adozione del CdS di una decisione vincolante (fonte di terzo grado) la quale stabilisce
che tutti gli Stati non possano più commerciare con un certo Stato perché minaccia la sicurezza
internazionale (non si tratta altro che di una applicazione di uno dei principi della Carta).
Se il CdS adotta una decisione vincolante, l’obbligo degli Stati di rispettare quella decisione
(che è fonte di terzo grado) deriva dall’art. 103 che dice che lo Stato destinatario di una
decisione di un organo è obbligato a rispettare quella decisione nonostante sia fonte di terzo
grado.
La prevalenza degli obblighi della Carta avrebbe consentito di far prevalere una fonte di terzo
grado, sugli accordi conclusi tra gli Stati. Com'è possibile che una fonte di terzo grado prevalga
sull’accordo? Perché l’art. 103 è da considerarsi come il fondamento giuridico dello jus
cogens (è questa la tesi di Conforti).
Tesi di Focarelli: in realtà lo jus cogens riguarda norme consuetudinarie proprio perché al di
là dell’art. 103, non ci sono casi concreti di applicazione di norme cogenti o casi in cui i giudici
hanno fatto prevalere una norma cogente su altre fonti (solo il caso dei giudici italiani in materia
di immunità per quanto riguarda i crimini commessi dalla Germania durante la IIGM). Quindi
secondo questa tesi lo jus cogens ha solo valore promozionale, cioè vorrebbe promuovere
l’evoluzione delle norme consuetudinarie esistenti che non siano adeguate o interamente giuste
per renderle maggiormente conformi ai diritti umani e a esigenze di giustizia per far sì che
siano sentite dalla maggior parte della comunità internazionale. Questo valore promozionale
però non implica il valore superiore delle norme cogenti.
In generale, la maggior parte degli autori propendono per l’esistenza dello jus cogens come
prevalenza ma è difficile trovare applicazione nella prassi al di fuori dei casi di risoluzioni del
CdS in materia di mantenimento della pace come applicazione dell’art. 103.
Per quanto riguarda il rapporto tra accordo e norme costituzionali, è chiaro che si applica il
criterio gerarchico essendo la Costituzione gerarchicamente superiore all’accordo adattato con
ordine di esecuzione dato con legge ordinaria. In tal caso al giudice nazionale al quale si è
presentato un problema di incompatibilità con norme costituzionali rinvia di regola alla Corte
Costituzionale al fine di far dichiarare nullo l’ordine di esecuzione del trattato nella parte in cui
recepiva norme internazionali in contrasto con norme costituzionali. Il giudice ordinario non
ha alcuna possibilità di agire in via interpretativa e deve comunque rimettere la questione alla
Corte.
Il modo di recepire gli atti non self-executing in Italia è la legge 234 del 2012 (legge italiana
sull’adattamento italiano al diritto dell’UE) che impone al Governo e Parlamento di adottare
due leggi: legge europea (con la quale si abrogano o modificano leggi interne incompatibili
con il diritto dell’Unione) e legge di delegazione europea (il Parlamento delega il Governo)
per provvedere, sulla base del principio di leale cooperazione, ad adottare tutte le misure
necessarie per l’adempimento degli obblighi derivanti all’appartenenza all’Unione Europea.