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DIRITTO PUBBLICO

Ubi societas, ibi ius: dove c’è società c’è/ci deve essere diritto; questo serve per superare lo stato di natura:
condizione in cui ogni individuo libero da regole decide come risolvere i propri rapporti con gli altri.

La realtà è quella dimensione fisica o virtuale dove ognuno di noi svolge la sua esistenza. Ogni individuo è
calato in una realtà, una realtà sociale, dove deve accettare una serie di regole. Quando una serie di
persone decide di essere organizzate da regole giuridiche nasce la realtà giuridica.

L’ANARCHIA è la capacità di una persona di sapere esattamente quello che è giusto per sé e per gli altri. Per
definizione, l’anarchia è un UTOPIA, perché le persone per definizione sono mosse da istinti egoistici e
individualistici; sanno benissimo qual è il loro interesse, ma costruiscono l’interesse generale sul proprio
interesse. Invece, una comunità organizzata e pacifica ha bisogno che qualcuno a monte, il diritto, ci dica
ciò che è giusto e si può fare, e ciò che non è giusto e non si può fare.

Il diritto nasce nel momento in cui un gruppo di persone decide di voler regolare i propri rapporti non sullo
stato di natura, ma su regole predefinite. Nello stato di natura i rapporti tra le persone vengono decisi sul
momento dalle persone stesse e ad avere ragione è il più forte, colui che con la forza riesce ad imporre la
propria volontà. Nella nostra comunità organizzata, in primo luogo lo Stato, le regole sono predeterminate,
dunque, ha ragione colui o colei che in base al diritto ha ragione. Lo stato di natura è abbastanza scomparso
(non è scomparso nella comunità internazionale, nei rapporti reciproci tra gli Stati).

Teoria generale del diritto

Il diritto è l’insieme delle norme giuridiche poste per disciplinare i rapporti tra i membri di una comunità
sociale al fine di garantire la pacifica convivenza all’interno di un ordinamento giuridico.

È necessario qualificare le regole del diritto con un nome specifico, cioè come norme giuridiche, perché
nella società vi sono innumerevoli regole, le quali non sono tutte norme giuridiche. Non tutta la nostra vita
è disciplinata dal diritto, ma tutta la nostra vita è disciplinata; quella parte che non è disciplinata dal diritto
è disciplinata da regole sociali, familiari o religiose. Le norme giuridiche sono regole oggettive, mentre le
altre sono regole soggettive. Le regole oggettive danno più libertà, ciò significa che solo il diritto garantisce
la libertà degli individui ed è in grado di dare diritti. Le regole altre danno solo obblighi. Non esistono diritti
assoluti, in quanto il diritto di ciascuno di noi termina nel momento in cui dobbiamo garantire il diritto di
qualcun altro (bilanciamento).

A stabilire le regole vi deve essere un soggetto, non un qualcosa di astratto o esterno. Il diritto è un insieme
di regole ed il soggetto legittimato a creare le regole dipende da 3 teorie:

TEORIA ASSOLUTA: un soggetto al di sopra delle regole stabilisce le regole che valgono per tutti, abbiamo
un Sovrano Assoluto. Il Sovrano Assoluto non si preoccupa di chi dovrà rispettare le regole ma gli
interessano le regole.

TEORIA DELLA SOVRANITA’ DELLA NAZIONE: l’élite di una comunità scrive le regole secondo i loro valori e i
loro punti di vista e queste regole valgono per tutti. Ricordiamo l’oligarchia (poche persone che prendono le
decisioni).

TEORIA DELLA SOVRANITA’ POLPOLARE: le regole vengono scritte dall’intera comunità. L’osmosi tra diritto
e comunità è un’osmosi piena.

Il diritto pubblico si occupa dello studio delle norme che regolano la vita di una determinata organizzazione
sociale (comunità) all'interno di un sistema giuridico (ad esempio uno Stato). Le norme del diritto pubblico
regolamentano l’organizzazione ed il funzionamento dello Stato e degli enti pubblici, oltre ai rapporti tra il
cittadino e gli enti pubblici cui vi sia riconosciuto.
Il diritto privato si occupa dello studio delle norme che disciplinano e regolamentano i rapporti tra privati,
oltre ai rapporti tra cittadino ed enti pubblici/Stato quando questi ultimi agiscono come soggetti privati e
sottostanno alle norme di diritto privato (es. i rapporti di lavoro e i risarcimenti dei danni per attività illecite
della pubblica amministrazione).

La norma giuridica, come già accennato, è una regola di comportamento posta dai consociati per regolare
in modo pacifico la vita dei consociati. Ci troviamo difronte ad una norma giuridica se la regola presenta
queste quattro caratteristiche:

1. Generalità: fa riferimento ai destinatari della norma. La regola si applica a tutti coloro che sono
descritti dalla regola, tutti coloro che si trovano nella descrizione della regola stessa;
2. Astrattezza: fa riferimento all’azione o comportamento regolati dalla norma. La regola si applica a
tutte le situazioni descritte dalla regola stessa, dalla fattispecie (queste prime due caratteristiche
determinano la ripetibilità delle norme giuridiche, cioè che la regola si vede poter applicare un
numero indeterminato di volte);
3. Novità: una norma, per essere tale, deve apportare un’innovazione nel quadro normativo, sia che
introduca una regola prima inesistente o sostituisca, modifichi o integri una regola preesistente sia
che ripeta una regola già esistente, mutandone la fonte e, per ciò stesso, rinnovandola. Una norma
deve, quindi, disciplinare per la prima volta qualcosa che non è mai stato disciplinato, o deve
disciplinare in modo nuovo qualcosa che è già stato disciplinato. Per novità si intende il carattere
innovativo della regola, la quale deve innovare l’ordinamento giuridico. Non è norma se non ha
l’elemento della novità, può soltanto limitarsi a ripetere quanto già detto da una norma di grado
superiore; considerarla norma sarebbe INCOSTITUZIONALE o ILLEGGITIMA;
4. Imperatività: la norma giuridica si differenzia dalle altre regole in quanto è imperativa, cioè capace
di garantire la propria validità. L’imperatività di una norma giuridica è la capacità della regola di
farsi rispettare in virtù dell’autorità del soggetto che l’ha prodotta, affinché la consideriamo
legittimata. L’imperatività si basa sulla capacità della norma di farsi rispettare, cioè l’EFFETTIVITÀ,
una norma è rispettata perché è condivisa dalla comunità.

La sanzione non è un elemento intrinseco alla norma giuridica, ma è essa stessa una norma giuridica, la cui
imperatività è la forza. Tuttavia, bisogna rispettare le norme giuridiche non perché si ha timore della
sanzione, ma al contrario, perché crediamo che esse siano necessarie per una pacifica convivenza.

Ordinamento giuridico

È importante sottolineare che ordinamento giuridico e diritto non sono sinonimi. L’ordinamento giuridico è
un insieme che contiene al proprio interno due insiemi: la comunità e il diritto. Abbiamo tanti ordinamenti
giuridici quante sono le comunità che hanno il diritto di darsi proprie regole giuridiche (pluralità degli
ordinamenti giuridici).

L’ordinamento giuridico è un insieme di elementi normati (regole, consuetudini, fatti) che sono
l’espressione di una determinata organizzazione sociale. Lo Stato è il più importante ordinamento giuridico,
ogni tanto subisce uno scossone, in quanto gli Stati nascono, si sviluppano e talvolta si estinguono (così
come gli ordinamenti giuridici). L’elemento normativo più importante è il fatto normativo, il quale è un
avvenimento non previsto dal diritto precedente, che tuttavia incide significativamente sull’ordinamento
giuridico complessivo. I fatti normativi sono tutti quegli eventi che avvengono al di fuori della legge, sono
eventi che producono una profonda modificazione dell’ordinamento giuridico senza cancellarlo.

L’ordinamento giuridico italiano nasce nel 1861 con l’unificazione d’Italia, anno in cui si sono incontrati i
due elementi, cioè il diritto e la comunità. Quest’ordinamento giuridico vive dal 1861 in modo continuativo,
ma nel corso della sua storia incontra dei fatti normativi molto forti:
1. 1922 (anno della marcia su Roma), anno in cui il Re dà per la prima volta nella storia il compito di
formare il governo ad una persona che non gode della fiducia del Parlamento (Mussolini);
2. Tutto ciò che accade in Italia nel periodo che va dall’armistizio (8 settembre 1943) fino all’entrata in
vigore della Costituzione (1° gennaio 1948), cioè un susseguirsi di eventi istituzionali che non sono
previsti né dallo Statuto Albertino né dalle leggi vigenti.

Gli ordinamenti giuridici si classificano in:

 Ordinamenti giuridici sovrani: ad essere sovrano è solo l’ordinamento giuridico dello Stato, tutti gli
altri ordinamenti giuridici sono derivati, cioè esistono solo se l’ordinamento giuridico sovrano lo
vuole;
 Ordinamenti giuridici territoriali: sono quegli ordinamenti giuridici che si basano su un territorio,
come il Comune, lo Stato, l’UE;
 Ordinamenti giuridici non territoriali: sono quegli ordinamenti giuridici come quelli sportivi o gli
ordinamenti delle università;
 Ordinamenti giuridici generali: come gli Stati, perché possono occuparsi di qualunque cosa
vogliano;
 Ordinamenti giuridici specifici: possono occuparsi solo di ciò di che lo Stato consente loro di potersi
occupare.

Lo Stato è una forma di organizzazione, non quella per eccellenza; è la forma di organizzazione degli ultimi
secoli, che ci garantisce la maggior efficienza, ma nel mondo antico non esisteva questo concetto. Lo Stato
nasce con le tre grandi monarchie assolute della fine del periodo medievale (fine del 1400): spagnola,
inglese e francese, decidono di superare il sistema feudale in cui di fatto non erano sovrani poiché
dividevano il poter con il papa, conti, marchesi, principi, vassalli e diventare Stati. Lo Stato si caratterizza
per il fatto di avere una propria forza, un proprio diritto che si applica con la forza, che nel passato era la
forza delle armi. Lo Stato, così come lo intendiamo oggi, nasce nel momento in cui si dota di un esercito
proprio e nel momento in cui si dota di una burocrazia che controlla tutto il territorio. Questa forma di
organizzazione del potere si struttura su un diritto, un esercito e una burocrazia. Lo Stato è una forma di
organizzazione del potere politico, che esercita il monopolio della forza legittima in un determinato
territorio e si avvale di un apparato amministrativo.

Sono due secoli che si registra la tendenza degli Stati ad assumere dimensioni sempre più grandi. In
un’ottica multilevel, dinanzi ad un’economia sempre più globale, gli Stati tendono ad aggregarsi in
federazioni (Stati Uniti) o confederazioni (UE). La federazione è uno Stato composto da più Stati, ma lo
Stato è unico, anche se al proprio interno ci sono altri Stati. Gli Stati che appartengono ad una federazione
non hanno il diritto di andarsene. La confederazione è un insieme di Stati che decidono di collaborare su
alcuni aspetti della sovranità; è, dunque, un insieme di Stati che restano tali, ma che decidono di unirsi per
perseguire alcune specifiche finalità. Ogni Stato conserva il diritto di potersene andare dalla
confederazione, il cosiddetto diritto di RECESSO. Tuttavia, una confederazione non dura per sempre, o si
scioglie o si converte in federazione. Guerra di secessione -> momento in cui gli Stati Uniti sono passati da
una confederazione ad una federazione.

Lo Stato è un ordinamento giuridico territoriale che nasce dall’incontro tra il diritto ed una comunità.

Il diritto pubblico studia l'ordinamento giuridico dello Stato, inteso come comunità organizzata composta
da tre elementi:

 TERRITORIO: spazio terrestre sul quale lo Stato esercita la propria sovranità. È delimitato da confini
fisici e politici; i confini servono ad uno Stato per dire chi può entrare e chi non può entrare in
tempo di pace. Tuttavia, una regola di diritto internazionale dice che bisogna accogliere la persona
in difficoltà, il profugo, che ha diritto di asilo. L’art. 10 della nostra Costituzione dice che è
necessario valutare se la persona ha diritto di asilo. In tempo di guerra i confini si difendono
militarmente; in base all’art. 11, l’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa, ma resta
l’obbligo di uno Stato di difendere i propri confini.
Il territorio è un elemento volontario (frutto di accordi, raramente pacifici). Il territorio comprende:
la terra ferma; il mare territoriale, ossia il mare compreso a 12 miglia dalla costa; lo spazio aereo,
fin dove possono 2 circolare gli aerei, ma non si è sovrani dello spazio dove si trovano i satelliti; e
sottosuolo, ossia lo spazio compreso dalla terra ferma fin al centro della terra. Quando si parla di
sottosuolo spesso subentra il problema delle sacche liquide, ossia il petrolio e il gas. Se si trovano
tra due paesi, ne ha lo sfruttamento economico il Paese che lo trova per primo (ciò vale anche per
le sacche che si trovano nei mari internazionali).
 POPOLO: concetto giuridico che definisce l’insieme delle persone che hanno la stessa cittadinanza,
a prescindere dal paese in cui vivono. Il concetto di popolo è diverso da quello di popolazione e
nazione. La popolazione è l’insieme delle persone che in un dato momento storico vivono sul
territorio di uno Stato. È un concetto concreto e della quotidianità, prescinde dalla cittadinanza. La
nazione è un concetto ideale, è l’insieme delle persone che appartengono idealmente ad una
comunità; è l’adesione ai valori di una comunità.
Il popolo è l’insieme di persone che hanno la cittadinanza dello Stato, che hanno un rapporto
giuridico con lo Stato che li rende cittadini. Essere cittadini significa avere il diritto di votare e di
essere votati, i cosiddetti diritti di cittadinanza (all’interno) ed avere la protezione diplomatica del
proprio Paese (all’esterno).
La legge sulla cittadinanza è la legge più politica che uno Stato approva: è la legge in base alla quale
uno Stato decide chi può essere cittadino e chi no. È fondamentale perché crea un rapporto
giuridico tra uno Stato e determinati individui e, inoltre, è il frutto di una scelta politica su chi può
essere parte del popolo e chi non può esserlo. È anche la legge su come chi è già popolo vuole
continuare a vedere se stesso in futuro. Ogni Stato ha la sua legge sulla cittadinanza, che presenta
caratteristiche peculiari rispetto alle leggi degli altri Stati. È apolide colui che non ha nessuna
cittadinanza, può essere per scelta ma può avvenire per incastro non perfetto di leggi che devono
disciplinare la nascita. Ci possono essere persone che hanno più di una cittadinanza, la cittadinanza
doppia o plurima.
L’ultima legge sulla cittadinanza approvata risale al 1992, che ha sostituito una legge che era del
1912; viene approvata in un anno in cui contemporaneamente viene approva la prima legge
sull’immigrazione. Le leggi sulla cittadinanza si basano su 3 criteri fondamentali:
1. IUS SANGUINIS: è cittadino il figlio di almeno un genitore cittadino italiano,
indipendentemente dal luogo di nascita e dal fatto che laddove è nato gli venga data una
doppia cittadinanza;
2. IUS SOLI: è cittadino italiano chi nasce in Italia anche se nasce da genitori ignoti (bambini
abbandonati alla nascita), apolidi (l’Italia non ama l’apolidia e per questo motivo dà la
cittadinanza a chiunque nasca nel Paese, anche se è possibile non averla nel momento in
cui non si trova la giusta combinazione del diritto di cittadinanza) o che non possono
trasmettere la cittadinanza ai figli sulla base delle leggi dello stato di appartenenza. Inoltre,
è cittadino italiano il nato in Italia da genitori che trasmettono alla nascita la propria
cittadinanza al figlio, che vive in Italia fino a 18 anni, e che al diciottesimo anno decide in
libertà di diventare cittadino italiano (è necessaria la rinuncia della cittadinanza di
partenza);
3. PER CONCESSIONE: la cittadinanza per concessione non è un diritto, si concede qualcosa di
cui non si ha il diritto. Su richiesta dell’interessato è possibile per i cittadini stranieri
ottenere la cittadinanza italiana; è una decisione dello Stato di valutare se concedere o
meno la cittadinanza. I requisiti sono: matrimonio (se contraggono matrimonio con
cittadino italiano con residenza in Italia da almeno due anni dopo il matrimonio), per
residenza (dopo 10 anni di residenza nello Stato per i cittadini extracomunitari e quattro
anni per i cittadini comunitari), per meriti speciali (per azioni eroiche). È il presidente della
repubblica a dare “l’ordine”, valutando quanto la persona sia integrata nella comunità
italiana.

Ogni cittadino di uno dei 27 paesi dell’Unione Europea è anche cittadino europeo. Il cittadino
europeo ha il diritto di circolare e soggiornare liberamente su tutto il territorio dell’Unione
Europea.

 SOVRANITÁ: è l’insieme dei soggetti che in uno Stato detengono il potere politico, è la fonte di
legittimazione di ogni potere. La sovranità la guardiamo da un duplice punto di vista:
-Sovranità esterna: intesa come indipendenza dagli altri Stati;
-Sovranità interna: intesa come fonte di legittimazione di ogni potere in un dato territorio. Chi
esercita il potere sovrano? Esistono 3 teorie sulla sovranità:
1. Sovranità dello stato: è la sovranità del soggetto che si trova al di sopra delle regole, il cui
principio si afferma con lo stato assoluto. La teoria della sovranità dello Stato la ritroviamo
nei regimi autoritari, in cui la singola persona affermando che la sovranità appartiene allo
Stato si autolegittima, anche se lo Stato è un'entità giuridicamente astratta. La sovranità
dello Stato è una sovranità non democratica perché è una sovranità in cui la volontà dello
Stato viene espressa da una persona o da un partito;
2. Sovranità della nazione: è una sovranità oligarchica, in cui la legittimazione del potere
appartiene a un ristretto numero di persone. (Questa sovranità è quella meno frequente);
3. Sovranità del popolo: la fonte di legittimazione di ogni potere è il popolo. I 3 poteri
vengono esercitati in nome del popolo, questo è possibile grazie al suffragio universale.
Come espresso nel Comma 2 dell’art 1 “La sovranità appartiene al popolo, che la esercita
nelle forme e nei limiti della Costituzione”. Il popolo manifesta la propria sovranità
attraverso le elezioni (modalità indiretta perché non saranno gli stessi cittadini ad
approvare le leggi, ma i propri rappresentanti), le petizioni (richiesta) e referendum
(modalità diretta perché la parola finale non spetta al Parlamento, bensì ai cittadini). Il
limite della sovranità è il sistema rappresentativo e la Costituzione stessa.

Forme di Stato

Per trovarci difronte ad uno Stato è necessario individuare i 3 elementi costitutivi di uno stato: popolo,
sovranità, territorio. La forma di Stato ci indica il rapporto tra l’autorità (il potere) e la società civile (la
comunità). Per forma di Stato si intende il rapporto che si instaura tra la sovranità e il popolo, nonché
l’insieme dei principi e dei valori a cui lo Stato ispira la sua azione. Le principali forme di Stato sono:

Stato assoluto: è il regime che consente la nascita dello Stato. Nel momento in cui nasce, lo Stato non può
che essere uno Stato assoluto, perché ha bisogno di imporsi con la forza e quindi di produrre quel sistema
in base al quale un potere ha un territorio e ha una comunità. I primi Stati assoluti nascono nel XV secolo
con la fine del regime feudale, grazie alle tre grandi monarchie europee. Lo Stato assoluto in Europa vive
circa due secoli. In tale stato il potere sovrano (legislativo, esecutivo e giudiziario) è concentrato nelle mani
del sovrano, al di sopra delle regole (legibus solutus, cioè non vincolato dal diritto), la cui volontà è fonte
primaria del diritto; le persone non sono cittadini ma sudditi e come tali non hanno diritti.

Stato liberale: introdotto con le 3 grandi rivoluzioni borghesi di fine ‘700 (rivoluzione inglese del 1688,
rivoluzione americana del 1776, rivoluzione francese del 1789). Lo Stato liberale vive in Europa dalla fine
del 1700 fino all’inizio del 1900. Nasce dall’affermarsi di una classe politica, la borghesia, fino a quel
momento inesistente per il diritto.
Il suffragio è limitato; la rappresentanza della nazione è affidata ad un’élite che governa, secondo il proprio
punto di vista, nell’interesse generale; nasce il principio di uguaglianza formale, cioè che tutti sono uguali
davanti alla legge senza distinzioni, superando la divisione sociale in ceti; stato non interventista bensì
liberista (parte dal presupposto che i privati siano in grado, perseguendo il proprio interesse individuale, di
fare l’interesse generale); nasce la rappresentanza politica (trasmissione formale del potere tra chi detiene
la sovranità e chi è legittimato da questi ad imprimere contenuto al comando politico); stato di diritto, rule
of law (nessuno è al di sopra della legge, nessuno può pretendere di essere legibus solutus); separazione
dei poteri (legislativo, esecutivo e giudiziario autonomi l’uno dall’altro).

Il difetto dello Stato Liberale è che non vede la realtà, dunque alla lunga entra in crisi. Con la crisi dello stato
liberale, ci si rende conto che esiste una società, non c’è solo la borghesia, e che questa società non è poi
così omogenea. A tal proposito, in Europa ci sono state due strade: stato totalitario e stato socialista.

Stato totalitario (destra): in tale stato, il Capo concentra in sé tutti i poteri, tuttavia, da un punto di vista
formale, il capo è al di sotto delle regole in quanto esiste il diritto scritto; stato interventista (nell’economia,
la proprietà dei mezzi di produzione è pubblica); i diritti, se esistono, sono funzionalizzati, il che significa che
il cittadino può esercitare un diritto soltanto se questo è utile allo Stato.

Stato socialista (sinistra): (Italia 1922-1943; Germania 1933-1945; Spagna 1936-1975) in tale Stato, il Capo
non è una persona ma un partito o meglio una persona che è stata eletta dal partito ad essere Presidente a
pieni poteri; stato interventista; i diritti, se esistono, sono funzionalizzati, il che significa che il cittadino può
esercitare un diritto soltanto se questo è utile allo Stato.

Stato di democrazie pluralista: (dagli inizi del XX secolo) la democrazia è una forma di stato pragmatica. In
tale Stato, vi è la rappresentanza, lo stato di diritto e la separazione dei poteri. Il suffragio è universale
(inizialmente solo maschile, poi con le costituzioni del dopoguerra si arriva a quello maschile e femminile).
La democrazia non nasconde le differenze sociali, ma cerca di far convogliare queste differenze sociali
all’interno dei partiti; affermazione dei partiti per il bisogno di aggregare le persone intorno ad un’idea;
uguaglianza formale e sostanziale (quest’ultima serve ad annullare la divisione in classi che non esistono
più); parziale presenza dello Stato in economia (Stato imprenditore, non ripudia l’intervento dello Stato
nell’economia).

Come si prendono le decisioni in democrazia? La regola democratica è quella di maggioranza: esiste


un’unica maggioranza, cioè non posso esistere le minoranze, oppure esiste la maggioranza, ma tuteliamo le
minoranze, per cercare di evitare un processo di assimilazione.

Stato confessionale: Stati che basano il proprio diritto sulle regole religiose.

Stato di democrazia illiberale: suffragio universale, elezioni, quindi apparentemente questi sono Paesi in
cui si applica il criterio della maggioranza; limitazione della separazione dei poteri; limitazione della tutela
delle minoranze, soprattutto politiche; limitazione di alcuni diritti della libertà.

Le fonti del diritto

Le fonti del diritto sono tutti quegli atti o fatti cui l’ordinamento riconosce la capacità di produrre norme
giuridiche (ogni atto o fatto giuridico avente forza di legge) in un dato ordinamento giuridico. Ad essere
fonte del diritto è un testo scritto se si parla di atto normativo, oppure un testo non scritto se si parla di
fatto normativo (che però deve essere previsto dall’ordinamento giuridico, altrimenti sarebbe un fatto
extra-normativo).

Il sistema delle fonti è un sistema organizzato, cioè la singola fonte del diritto non vive di vita propria, ma
vive all’interno di un insieme organizzato da regole predeterminate.

Le caratteristiche delle fonti del diritto sono:


 Principio di tipicità delle fonti: fanno parte del sistema delle fonti solo quelle fonti che sono
espressamente previste dalla Costituzione, le cosiddette fonti tipiche. In Italia le fonti tipiche
vengono enunciate nella Costituzione. (direttamente o indirettamente). In situazioni di emergenza,
le regole possono essere stabilite dal Presidente del Consiglio attraverso un decreto (grazie alla
legge sulla protezione civile).
 La fonte suprema è la Costituzione. Riconosciamo come fonti solo quelle che sono citate nella fonte
delle fonti, la Costituzione. La Costituzione riconosce come fonti del diritto la legge del Parlamento,
la legge regionale, il decreto legge e il decreto legislativo del Governo, così come il diritto europeo e
il diritto internazionale. Art. 117 -> le leggi statali e regionali non possono contrastare con la
Costituzione, con il diritto europeo e con il diritto internazionale.
 Le fonti non hanno tutte il medesimo valore, ma sono ordinate secondo regole che assicurano la
prevalenza di una fonte rispetto ad altre. Il sistema delle fonti del diritto è, per questo motivo,
gerarchico.

L’ordinamento giuridico pretende di essere completo, cioè non presentare lacune e disciplinare tutta la vita
di una comunità. Non è detto che le fonti di un ordinamento giuridico disciplinino tutta la pacifica
convivenza della comunità, certe volte la disciplinano prendendo regole da altri ordinamenti giuridici.

Il sistema delle fonti del diritto

1. Fonti costituzionali: Costituzione, leggi costituzionali e di revisione costituzionale;


2. Fonti sub-costituzionali: statuti regionali e trattati dell’UE; Formalizzate solo nel 2001, queste due
fonti non possono andare in contrasto con la Costituzione, ma non possono essere modificati con
una legge (queste due fonti fanno parte dell’ordinamento giuridico dello Stato).
3. Fonti primarie: legge statale e regionale, decreti legge e decreti legislativi, referendum abrogativi,
regolamenti europei, regolamenti parlamentari; Sono rilevanti e dinamiche poiché disciplinano la
vita quotidiana delle persone e sono in continua evoluzione. In queste fonti primarie troviamo i tre
enti che fanno parte della multilevel governance (Stato, Regioni e Unione Europea), per cui vale il
principio della competenza.
4. Fonti secondarie: regolamenti i (a livello statale sono approvati dal Governo e al livello regionale
sono approvati dal Consiglio regionale);

Nel diritto pubblico la consuetudine non va automaticamente all’ultimo posto della gerarchia delle fonti. La
consuetudine è un comportamento che si ripete constante e invariato nel tempo associato alla convinzione
generale che quel comportamento sia giuridicamente obbligatorio. Ci sono tre tipologie di consuetudini:

1. Secundum legge, è la consuetudine che opera in senso integrativo e che va a complementare la


fonte scritta. È quel comportamento che serve per completare una fonte scritta e che occupa lo
stesso posto nella gerarchia delle fonti della fonte che va a completare. Se la fonte scritta è una
legge (consuetudine di livello primario), è necessario qualcosa che ha lo stesso livello della fonte
che si va a completare.
2. Preater legem (al di là della legge), è quella consuetudine che disciplina un ambito non ancora
disciplinato dalla legge. Occupa l’ultimo posto nella gerarchia delle fonti in quanto può essere
sostituita da qualsiasi fonte scritta;
3. Contra legem (contro la legge) o desuetudine, cioè un comportamento contrario alla legge che
abroga la legge scritta. Non è ammessa nell’ordinamento italiano per il principio delle fonti scritte.

Le consuetudini costituzionali riguardano comportamenti che si ripetono costanti nel tempo con la
convinzione che siano dovuti e che vanno ad integrare quelle parti della Costituzione che sono flessibili. Ad
essere flessibile è la parte della Costituzione che riguarda gli organi costituzionali; fino a 10 anni fa si
riconoscevano due consuetudini costituzionali: la formazione del Governo e la non rieleggibilità del
Presidente della Repubblica (quest’ultima non è più una consuetudine costituzionale).

La consuetudine è diversa dalla convenzione: la consuetudine è una fonte del diritto, la convenzione è un
accordo politico che influenza il sistema istituzionale.

Antinomie

In un sistema delle fonti ordinato noi dovremmo avere sempre una sola disposizione che disciplina un certo
oggetto, avendo così chiara la regola che dobbiamo applicare. Quando invece ci troviamo più disposizioni
che disciplinano in modo contrastante lo stesso oggetto, allora sorge il dubbio di quale di queste
disposizioni bisogna applicare. Siccome il diritto ama la regola e ama soprattutto la certezza, conosce il
concetto di antinomia, che prevede dei criteri per risolvere la stessa antinomia. Per antinomia intendiamo
un contrasto tra fonti, ossia quando due fonti disciplinano in modo non concorde lo stesso oggetto.
L’ordinamento giuridico prevede quattro criteri di risoluzione delle antinomie:

1. Gerarchico: la fonte di grado superiore prevale su quella inferiore. Si ricorre a tale criterio quando
le fonti contrastanti sono di rango diverso. Il criterio gerarchico determina l’annullamento della
fonte subordinata in contrasto. L’annullamento è perdita d’efficacia della fonte per il futuro, per ciò
che è presente e passato applichiamo la fonte precedente. La fonte rimane valida fino a quando
non ne verrà dichiarata l’incompatibilità, l’illegittimità; nella dichiarazione di illegittimità restano
salvi gli effetti conclusi. Questo perché in Italia facciamo prevalere il principio della certezza del
diritto per la convinzione che sia fondamentale non mettere in discussione un rapporto giuridico
finito per la fiducia che le persone hanno riposto in esso. La cosa più problematica è che la
violazione viene soprattutto dal legislatore nei confronti della costituzione (l’articolo più violato
della costituzione è l’articolo 3);
2. Cronologico (criterio della normalità): la fonte successiva abroga quella precedente (la società
cambia, quindi il diritto si deve evolvere all’evolversi della società). Si impiega rispettando due
condizioni: le fonti devono essere dello stesso livello e devono appartenere allo stesso legislatore. Il
criterio cronologico determina l’abrogazione (esplicita, tacita e implicita) della fonte precedente.
L’abrogazione è la perdita d’efficacia nel futuro per la fonte precedente; la fonte precedente non
scompare, ma continua a produrre effetti sui rapporti giuridici già iniziati. Generalmente,
l’abrogazione riguarda la successione delle leggi nel tempo, ma può riguardare anche il contrasto
tra fonti di diverso grado (la fonte sovraordinata successiva abroga la fonte subordinata anteriore).
L’abrogazione può essere di tre tipi:
 tacita: quando la legge successiva interviene nella stessa materia con norme incompatibili rispetto
a quelle contenute nella legge precedente;
 esplicita (è la più corretta da parte della fonte): quando la fonte nuova dichiara espressamente
quali fonti non sono più applicabili per il futuro;
 implicita: quando la legge successiva interviene a regolare integralmente una materia già
disciplinata da leggi precedenti.
3. Competenza: prevale la fonte deputata a disciplinare quella determinata materia. Si impiega
rispettando tre condizioni: le fonti devono essere sullo stesso piano, devono appartenere a 2
legislatori diversi e devono disciplinare lo stesso oggetto in modo contrastante (o anche allo stesso
modo, ma vi è ugualmente antinomia visto che vi sono 2 legislatori). È necessario capire di chi è la
competenza (può accadere questo problema con la legge statale, legge regionale e il regolamento
europeo), cioè verificare a chi la fonte sulle fonti attribuisce il compito di disciplinare quel
determinato oggetto. Il criterio della competenza determina la nullità della fonte incompetente. La
nullità è la perdita d’efficacia della fonte che ha violato la fonte di grado superiore per il passato, il
presente e il futuro. Questo perché una fonte incompetente non può aver disciplinato neanche
retroattivamente una certa materia. In caso di contrasto tra una fonte nazionale e una fonte
comunitaria, in attesa della sentenza della Corte costituzionale, la fonte nazionale deve essere
disapplicata.
4. Specialità: prevale la fonte speciale rispetto a quella generale nei casi che ricadono nella regola
speciale. Le fonti devono appartenere allo stesso livello e allo stesso legislatore, e devono
disciplinare una la regola e una l’eccezione. La fonte generale resta in vigore e andrà a disciplinare i
casi non coperti dalla fonte speciale.

Distinzione tra disposizione e norma

Per comprendere al meglio la norma giuridica bisogna distinguere la disposizione dalla norma: la
disposizione è il testo scritto dal quale ricaviamo la norma; la norma, invece, è la regola che noi ricaviamo
dal testo scritto. La disposizione può avere forme diverse (E.g. costituzionale, legge, regolamentare).

Se la disposizione è scritta bene, da una disposizione ricaviamo una sola norma giuridica; se la disposizione
è scritta male, dallo stesso testo scritto possiamo ricavare norme diverse.

L’interpretazione è l’attività volta a ricavare da una data disposizione la norma da applicare. L’attività di
interpretazione si divide in:

 Giudiziale, del giudice;


 Autentica, dello stesso legislatore;
 Dottrinale, dello studioso.

Essa avviene secondo quattro criteri:

1. Letterale: è la prima regola che dobbiamo seguire quando interpretiamo. Si guarda al significato
delle parole della disposizione. Se il legislatore è stato chiaro, basta fermarsi alla prima regola di
interpretazione;
2. Logico: si guarda alla connessione tra le parole della disposizione, il significato più coerente con il
costrutto della frase. Con questo criterio di interpretazione abbiamo più discrezionalità;
3. Sistematico: si guarda alla collocazione della disposizione nell’ordinamento;
4. Teleologico: si guarda allo scopo perseguito dall’autore della disposizione (ratio legis: si va a vedere
i lavori preparatori di detta legge per comprendere quale fosse l’idea del legislatore).

L’ordinamento giuridico non ammette le lacune. La lacuna è un vuoto normativo, qualcosa che non è
disciplinato dal diritto. Per evitare le lacune noi ricorriamo alla REGOLA DELLA ANALOGIA. L’analogia è quel
principio in base al quale noi applichiamo a quella situazione che non è disciplinata una disposizione che è
stata pensata per disciplinare qualcosa di simile). L’analogia non la possiamo applicare in ambito penale,
secondo un principio costituzionale superiore per cui se non c’è la norma non c’è reato.

La Costituzione

La Costituzione è la fonte suprema del diritto dell’ordinamento, è la fonte delle fonti ed è un documento
politico nel quale si cristallizzano i valori condivisi e irrinunciabili di una comunità. Non esiste una
Costituzione uguale ad un’altra, perché ogni comunità ha i propri valori, le proprie fonti, la propria
organizzazione del potere. Tuttavia, ci sono degli elementi che sono comuni a tutte le Costituzioni che ci
permettono di classificarle. Possiamo trovarci di fronte a molti tipi di Costituzioni:

 Rigida e flessibile: La Costituzione rigida (come quella italiana) è quella Costituzione che non
ammette cambiamenti da fonti di grado inferiore. La Costituzione italiana è rigida ma elastica, nel
senso che ammette che ci siano alcuni cambiamenti che vanno a completare la Costituzione. Le
Costituzioni rigide possono essere modificate, ma con procedure specifiche, il cosiddetto
procedimento di revisione costituzionale. Le costituzioni flessibili sono quelle che ammettono
modifiche da fonti di grado inferiore;
 Scritta o non scritta: una Costituzione non scritta è data da un insieme di consuetudini che
manifestano un valore. Il fatto che non sia scritta (come in Gran Bretagna) non significa che non ci
sia una Costituzione;
 Lunga o breve: le Costituzioni lunghe sono quelle costituzioni che decidono di cristallizzare o
comunque di formalizzare tutti e tre gli elementi che si possono inserire in una Costituzione, ossia
principi, diritti e organizzazione. Quindi le Costituzioni lunghe sono quelle costituzioni nelle quali si
è sentito il bisogno di cristallizzare principi, diritti e organizzazione. Le Costituzioni brevi sono quelle
Costituzioni che contengono soltanto due elementi: principi e diritti o principi e organizzazione.
L’Italia ha una Costituzione lunga, quindi ha irrigidito tuti e tre gli elementi; la Francia ha una
Costituzione breve perché la parte dei diritti è presente nella “Dichiarazione dei diritti dell’uomo e
del cittadino” del 1789.

Nella Costituzione si ha la cristallizzazione del regime politico, cioè della forma di Stato.

Forma di Stato italiana

L’Italia è uno Stato di democrazia pluralista, nel quale vale il principio di maggioranza, ma col rispetto delle
minoranze. È uno Stato costituzionale; è uno Stato laico, cioè ha deciso di disciplinare i rapporti tra Stato e
religioni su un piano di parità (Concordato tra Stato e Chiesa cattolica del 1984). Lo Stato italiano è basato
su un principio di uguaglianza sostanziale, quindi democrazia sociale e non liberale, ed anche sulla presenza
delle formazioni sociali, cioè famiglia, scuola, partiti, sindacati e università.

La Costituzione Italiana è entrata in vigore il 1º gennaio del 1948, dopo essere stata scritta ed approvata
dall’Assemblea costituente. È il frutto della volontà popolare perché l’Assemblea costituente fu votata
direttamente dai cittadini italiani. Il 2 giugno 1956 il popolo italiano ha votato per la prima volta a suffragio
universale per due scelte importantissimi: tra monarchia e repubblica, ed ha eletto i componenti
dell’Assemblea. Per la prima volta abbiamo avuto un’assemblea eletta con orientamenti di tipo PARTITICO: i
candidati non si presentano al corpo elettorale individualmente, ma raggruppati in partiti. Sono i partiti che
scrivono la Costituzione e la scrivono con un’impostazione, cioè che la Costituzione è la casa di tutti; non
prende posizione netta in senso negativo, ma in senso inclusivo. La Costituzione italiana è stata scritta in
modo che tutti i cittadini italiani potessero sentirsi inclusi in valori che non potevano non condividere al fine
di essere una democrazia.

La nostra Costituzione è:

 Democratica, perché la sovranità appartiene al popolo;


 Pluralista, la regola della democrazia è la regola della maggioranza, la quale però non può
sopprimere le minoranze, le quali vanno tutelate, come le minoranze linguistiche, etniche,
religiose… (si contrappone al concetto di democrazia liberale, in cui abbiamo la dittatura della
maggioranza);
 Lunga, perché essendo post bellica ha deciso di irrigidire tutto ciò che era possibile irrigidire.
Dunque, oltre ai principi, contiene sia i diritti che l’organizzazione;
 Rigida, non può essere modificata da fonti di grado inferiore. Vi sono 3 elementi che garantiscono
la rigidità della Costituzione: la rigidità del sistema delle fonti, la Costituzione si può modificare solo
con un procedimento speciale e aggravato, e l’istituzione di un organo, ossia la Corte costituzionale,
che ha il compito di verificare la conformità delle leggi alla Costituzione.
 Economica, perché lo Stato ha diritto di essere imprenditore, di intervenire nell’economia. Lo Stato
ha sia il diritto di regolare l’economia, ma anche il diritto di essere imprenditore:
Limiti: non siamo uno Stato socialista, quindi lo Stato non può programmare l’economia, può solo
regolarla; lo Stato imprenditore non può essere monopolista di diritto. Questo principio è il
contrario di ciò che è scritto nell’art. 43 della Costituzione, secondo cui lo Stato può decidere di
nazionalizzare, collettivizzare imprese o comunità di imprese per un interesse generale.
Avere una Costituzione economica significa anche che sono stati introdotti i diritti economici, i
quali diventano una categoria specifica, non rientrano più nella categoria dei diritti civili. I diritti
economici sono il diritto di proprietà, di iniziativa economica ecc. Tuttavia, questi sono diritti più
limitati rispetto ai diritti civili.
 Prevede una forma di Stato decentrato, ossia uno Stato in cui c’è il trasferimento di alcune funzioni
e responsabilità pubbliche dal governo centrale a organi periferici (regioni), ed inoltre lo cristallizza,
perché lo inserisce tra i primi 12 articoli della Costituzione.
Essere uno Stato unitario significa che esiste un unico livello di Governo, cioè un unico Parlamento
e un unico Governo che possono fare rispettivamente leggi e politiche (la Francia è ancora uno
Stato unitario, in quanto tutto il potere si concentra a Parigi; la Germania, la Spagna e l’Italia sono
Stati decentrati). Il decentramento è una garanzia della democrazia, quando esistono più livelli di
potere è difficile che il potere si concentri nelle mani di un unico soggetto. Gli Stati regionali e gli
Stati federali vengono detti Stati decentrati.

La Costituzione è composta di 139 articoli, divisi in quattro sezioni:

 principi fondamentali (art. 1-12), al quale aggiungiamo un principio che non è scritto in nessun
articolo in particolare, che è quello della separazione dei poteri, ossia il potere legislativo, esecutivo
e giudiziario, tutti e tre esercitati nel nome del popolo. I principi fondamentali non possono essere
modificati;
 diritti e doveri dei cittadini (13-54, quella che noi chiamiamo la prima parte della costituzione,
dedicata ai diritti). Questi articoli possono essere modificati, ma solo per migliorare il contenuto del
diritto, quindi nessuno dei diritti e dei doveri può essere soppresso, però il contenuto può essere
modificato per rendere possibile un diverso bilanciamento tra i diritti;
 ordinamento della Repubblica (55-139, dedicata alle organizzazioni), è la seconda parte della
costituzione che è abbastanza liberamente modificabile, sempre però tenendo presente due
garanzie, uno la rigidità della costituzione, quindi non possiamo sopprimere la corte costituzionale
(che è la garanzia della rigidità della costituzione), secondo dobbiamo garantire la separazione dei
poteri, quindi possiamo modificare gli articoli che vanno dal 55 al 138, ma nel modificarli dobbiamo
garantire da un lato l’unicità della cessione, dall'altro il principio di separazione dei poteri;
 disposizioni transitorie e finali (I-XVIII).

ARTICOLO 1

“L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro.


La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione.”
In primo luogo, l’articolo 1 della Costituzione stabilisce come forma di governo la Repubblica
(appartenendo la sovranità al popolo). Questa prima parte dell’articolo 1 va vista insieme all’articolo 139
secondo cui “la forma repubblicana non può essere oggetto di revisione costituzionale” per due motivi:

1) è stato il popolo, il 2 giugno 1946, prima della Costituzione, a scegliere, tramite l’esercizio diretto della
sovranità popolare, tra monarchia e repubblica. Di conseguenza, l’Italia non può tornare ad essere una
monarchia;

2) la democrazia è l’altra forma della repubblica e questo significa che, nemmeno con revisione
costituzionale, è possibile modificare gli elementi che caratterizzano la nostra forma di repubblica
democratica ovvero i primi 12 articoli della Costituzione.
Nel 1° comma dell’art. 1 si fa riferimento al lavoro, perché si decide di riconoscere il fondamento della
nostra comunità sul lavoro, e non sulla rendita, sulla ricchezza trasmessa in modo ereditario. L’Italia del
1945 era ancora basata sul latifondo: la proprietà agraria era ancora una proprietà fondata sui grandi
possedimenti terrieri e vi era una ricchezza concentrata nelle mani di pochi. Con questo comma, si voleva
dare l’idea che la ricchezza può nascere dal lavoro di ciascuno, che è fondamentale per il progresso della
società, e non dalla trasmissione della ricchezza.

Il 2° comma dell’art.1 ci dice che la sovranità appartiene al popolo: la parola “appartiene” ci dà il senso di
come il popolo sia la fonte di legittimazione di ogni potere. Il popolo è un sovrano costituito, non
costituente, si pone al di sotto della Costituzione. Il popolo può esercitare la sovranità soltanto nelle forme
e con i limiti previsti dalla Costituzione; è, quindi, un sovrano limitato dalla Costituzione. Le forme sono
essenzialmente due: rappresentanza (il popolo esercita i suoi poteri tramite i rappresentanti) e referendum
(democrazia diretta). La Costituzione è davvero sovrana, perché il popolo è la comunità di oggi, mentre la
Costituzione deve guardare anche alle generazioni future, perché si ha la certezza che esisterà una
comunità futura. L’unico limite è dato, quindi, dalla Costituzione.

ARTICOLO 2

“La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo sia nelle formazioni
sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà
politica, economica e sociale.”

L'articolo due è la matrice dei diritti, è la porta attraverso la quale entrano nella nostra costituzione anche
quei diritti che la nostra costituzione non ha espressamente previsto (ad esempio possono entrare nella
nostra Costituzione tutti quei diritti che sono compatibili con altri, ma che sono scritti ad esempio in carte
internazionali, perché il nostro costituente non li ha scritti tutti, ha scritto quelli che riteneva più importanti
ma si è reso aperto).

- Viene utilizzato il termine Repubblica e non Stato perché l’obbligo di tutelare i diritti appartiene a qualsiasi
comunità che si muove all’interno del nostro ordinamento giuridico (lo Stato, le regioni, i comuni, le
famiglie…);

- Vengono utilizzati due verbi: “riconosce” e “garantisce”. Questi due verbi riflettono due teorie giuridiche
ben precise: la teoria giusnaturalistica, secondo cui l'individuo nasce titolare di diritti, i cosiddetti diritti
inviolabili dell’uomo (non sono assoluti perché nessun diritto è assoluto in quanto ogni diritto va bilanciato
con il diritto degli altri). La Repubblica non concede il diritto, ma lo riconosce perché già esiste. La seconda
teoria è quella positivistica: i diritti per essere garantiti devono essere tutelati per iscritto (con leggi). I padri
costituenti hanno operato nel periodo immediatamente successivo alla dittatura fascista, quindi si sono resi
conto che scrivere semplicemente che l'uomo nasce titolare di diritti non dà garanzie sul fatto che questi
diritti vengano tutelati, dunque è compito della Repubblica tutelare e garantire questi diritti (scrivendo leggi
che li tutelano);

- La Costituzione chiede agli individui l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà economica,
politica e sociale. La parola solidarietà viene utilizzata dalla Costituzione nel senso giuridico di
appartenenza alla comunità. Essendo parte di una comunità, abbiamo nei confronti di questa dei doveri di
condivisione. Sono tre gli ambiti in cui la Costituzione chiede solidarietà:

1. solidarietà politica: nell’art. 48 si afferma che il voto è un dovere civico, cioè il sentirsi parte della
comunità (non è un dovere giuridico). Il diritto di voto diventa dovere in quanto non possiamo
rimanere indifferenti e disinteressati alla comunità politica alla quale apparteniamo;
2. solidarietà economica: nel nostro Paese le tasse si pagano in modo progressivo e non
proporzionale (art. 53). Nella democrazia pluralista chi ha di più paga di più, e non paga
proporzionalmente di più, ma paga progressivamente di più, quindi paga di più in modo più che
proporzionale. Chi ha meno non paga o paga poco e in cambio riceve più servizi, più interventi di
chi paga più che proporzionalmente;
3. solidarietà sociale: il rispetto delle regole che sono fatte in beneficio pressoché esclusivo di altri,
cioè accettare limitazioni alla propria libertà in nome dell’interesse generale.

- L'articolo 2 viene considerato come l’articolo più romantico della nostra Costituzione, perché l'articolo che
confida nell'esistenza di un senso di appartenenza, perché la nostra costituzione è piena di diritti, ma ha
pochi doveri e quindi confida che quei pochi doveri scaturiscano dal senso di appartenenza.

ARTICOLO 3

“Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di
razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.

È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la
libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva
partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese.”

L’intero articolo 3 sancisce il principio di uguaglianza.

Comma 1 (vieta le discriminazioni): Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla
legge senza distinzioni di sesso, razza, religione, opinioni politiche, condizioni sociali e personali. È quella
che noi definiamo uguaglianza dinanzi alla legge o uguaglianza formale; questo tipo di uguaglianza è di
matrice liberale, la quale nasce dopo le tre rivoluzioni borghesi. Nel ’48 pari dignità sociale significava
l’eliminazione di tutti i titoli nobiliari; oggi significa che tutti hanno diritto alla reputazione personale,
nessuno ha il diritto di offendere pubblicamente la reputazione altrui. La dignità di una persona non può
essere violata neppure dall’esercizio di un diritto costituzionale.

L'articolo 3 dice tutti i cittadini, ma la Corte costituzionale è intervenuta affermando che tutte le persone
sono uguali davanti alla legge, indipendentemente dal fatto che abbiano o meno la cittadinanza italiana,
perché l’uguaglianza è un diritto di comunità. Essere uguali davanti alla legge significa che non sono
ammesse differenziazioni davanti ad un giudice. La legge non può operare discriminazioni, può operare solo
distinzioni. L’uguaglianza davanti alla legge è il divieto di discriminazione: discriminazione in base al genere,
in base alla razza (richiamando due leggi: la legge sulla tutela della razza e la legge che tolse la cittadinanza
alle persone di razza ebraica), in base alla lingua, religione, opinioni politiche, e condizioni personali e
sociali.

Comma 2 (chiede le differenziazioni): É compito della repubblica rimuovere gli ostacoli sociali ed economici
che impediscono la partecipazione di tutti alla vita della comunità. Ognuno di noi nasce con condizioni
personali e sociali diverse, quindi immaginare che siamo davvero tutti uguali davanti alla legge deve essere
l'obiettivo, ma non può essere la condizione di partenza. Per essere davvero tutti uguali davanti alla legge
c’è bisogno di pareggiare i punti di partenza e quindi di avvantaggiare coloro che nella realtà partono
svantaggiati. L’uguaglianza sostanziale infatti chiede delle differenziazioni per tutelare chi parte
svantaggiato senza discriminare. Questo fa di noi uno stato sociale, che si occupa di rimuovere le
disuguaglianze (ma non fa di noi uno stato socialista, ossia uno stato che pareggia i punti di partenza e i
punti di arrivo).

Bisogna differenziare senza discriminare.


ARTICOLO 9

“La Repubblica promuove lo sviluppo della  cultura  e la  ricerca scientifica e tecnica. Tutela il  paesaggio  e
il  patrimonio storico e artistico  della Nazione.

Tutela l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni. La legge
dello Stato disciplina i modi e le forme di tutela degli animali.”

L’art. 9 è un articolo sulla cultura; è l’articolo nel quale la Costituzione fissa come principi fondamentale il
fatto che siamo il Paese che ama la cultura e la bellezza, sia da un punto di vista dei beni culturali che da un
punto di vista del paesaggio.

Il terzo comma è stato approvato a gennaio. La riforma dell’art. 9 introduce, per la prima volta, la modifica
di un principio costituzionale. In realtà, non è stato cambiato qualcosa, ma è stato aggiunto un nuovo
principio. “Nell’interesse delle generazioni future” significa che non si possono adottare leggi nelle quali le
conseguenze negative delle decisioni di oggi siano irreversibili per le generazioni di domai.

ARTICOLO 41

“L'iniziativa economica privata è libera.


Non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla salute, all’ambiente, alla
sicurezza, alla libertà, alla dignità umana.
La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l'attività economica pubblica e privata possa
essere indirizzata e coordinata a fini sociali e ambientali.”
Al secondo comma dell’art. 41 sono state aggiunte due parole “ambiente” e “salute”. L’attività economica
privata non può essere in contrasto con l’ambiente e la salute.
FORME DI GOVERNO

La forma di governo analizza il rapporto tra gli organi costituzionali che partecipano all’esercizio del potere
politico. Per forma di governo si intende il modo in cui in un determinato ordinamento viene organizzato il
potere politico. È il modo mediante il quale all’interno di un ordinamento giuridico viene suddiviso il potere
tra gli organi che hanno il potere di prendere decisioni politiche. Il popolo affida l’esercizio del potere
politico (sovranità) a degli organi costituzionali, ossia quell’elemento dello Stato che svolge una funzione
amministrativa, giurisdizionale, legislativa (secondo Montesquieu, la forma ideale di convivenza è una
giusta tripartizione tra i tre poteri: esecutivo, legislativo e giudiziario. In realtà, non vi è una netta
separazione tra i vari poteri, quindi non esiste una vera e propria forma di governo perfetta). Al vertice di
questi organi ci sono gli organi costituzionali che presentano tre caratteristiche fondamentali:

-Gli organi costituzionali sono necessari: il potere politico non può fare a meno dell’organo costituzionale;

-Gli organi costituzionali sono insopprimibili, un organo costituzionale non può essere soppresso con una
fonte di grado inferiore alla Costituzione;

-Gli organi costituzionali sono indefettibili, per il principio di mai un giorno senza un organo costituzionale,
il titolare della carica termina il proprio mandato solo quando è stato scelto il suo successore (principio di
continuità).
In Italia gli organi costituzionali sono quattro: Parlamento, Governo, Presidente della Repubblica, corte
costituzionali (la Corte costituzionale è un organo costituzionale, ma non fa parte della forma di governo,
ma è necessaria per garantire la rigidità della Costituzione).

La storia italiana è stata una storia:

 monarchica;
 totalitaria, dittatoriale;
 democratica.

Oggi da una parte abbiamo la Repubblica, dall’altro il regionalismo (che assume un potere più ampio e
autonomo).

Le forme di governo pure sono quelle in cui non esiste una forma di dipendenza reciproca tra i poteri. Le
forme di governo miste sono quelle in cui vi è collaborazione tra i vari poteri.

Nel mondo occidentale le forme di governo più diffuse sono:

PRESIDENZIALE (si afferma negli USA, in Brasile, in Russia => tutti paesi molto grandi): in questa forma di
governa abbiamo una netta separazione tra potere legislativo e potere esecutivo. Gli organi costituzionali
che si dividono il potere sono due:

 Il Presidente, che è espressione del potere esecutivo, ha il compito di guidare la politica del paese;
 Il Parlamento, che esercita il potere legislativo, ha il compito di fare le leggi.

Entrambi gli organi sono di regola eletti direttamente dai cittadini, o nello stesso periodo o in momenti
diversi. Questi due organi non possono interferire l’uno con l’altro, il Presidente non può sciogliere il
Parlamento e il Parlamento non può sfiduciare il Presidente. Questo avviene perché entrambi sono stati
direttamente eletti dal popolo. Il potere del Presidente si occupa di poche materie (il Presidente degli Stati
Uniti si occupa di difesa, politica estera moneta); solo in questo modo la forma di governo presidenziale
funziona. In Russia il governo federale ha poteri ampissimi, le materie di competenza del governo federale
sono tantissime. È necessario, quindi, un bilanciamento, pesi e contrappesi, per il funzionamento della
forma di governo. Il Parlamento deve approvare al Presidente le leggi e la legge di bilancio, questi sono gli
unici momenti in cui il Presidente ha davvero bisogno del Parlamento. Il Presidente può porre il veto su una
legge che il Congresso approva, e che il Presidente stesso non condivide. Ciò significa che anche in una
forma di governo presidenziale, il Presidente può fare la sua politica, ma deve sempre avere l’appoggio
politico del Parlamento.

Negli Stati Uniti il Parlamento non si rinnova tutto insieme, ma a pezzi: il Senato si rinnova di 1/3 ogni 2
anni, la Camera dei deputati si rinnova della metà ogni 2 anni, il Presidente si rinnova ogni 4 anni.

La forma di governo presidenziale si usa nelle forme di Stato federali, ossia ad alto decentramento, perché
in queste forme di Stato gli enti territoriali intermedi sottraggono parte del potere allo Stato (non c’è il
rischio che il Presidente possa inclinare la forma di Stato verso un regime autoritario). Manca il Governo,
non sono chiamati ministri, ma segretari di Stato.

PARLAMENTARE (la più diffusa, ma anche la più diversificata). La forma parlamentare presenta tre
caratteristiche:

1. Si basa su tre organi: Capo di Stato (potrebbe essere anche re), Parlamento e Governo. Il Capo di Stato
può essere di natura elettiva o per successione;

2. Si basa su un rapporto di fiducia giuridica e politica tra Parlamento e Governo;


3. Il Capo dello Stato è neutro. Il Presidente della Repubblica non partecipa attivamente ai rapporti tra
Parlamento e Governo ma ha il ruolo di arbitro.

È una forma di governo rassicurante, ma molto lenta perché non c’è una netta separazione fra esecutivo e
legislativo (il Governo per poter esercitare le proprie funzioni ha bisogno dell’appoggio costante del
Parlamento).

SEMIPRESIDENZIALE: questa forma di governo cerca un equilibrio tra le altre due, prende alcuni elementi
dalla forma di governo parlamentare e alcuni elementi della forma di governo presidenziale. È una forma di
governo recente, molto utilizzata in Europa. La prima forma di governo semipresidenziale è stata quella
francese, che nasce nel 1958 con la quinta Repubblica francese dal generale De Gaulle.

Gli organi costituzionali sono tre: Parlamento, Governo e Presidente. Parlamento e Presidente sono eletti
dal popolo, mentre il Governo (organo cuscinetto) è eletto dal Presidente (Il Presidente non deve avere la
fiducia dal Parlamento, mentre il Governo si). Nella forma di governo semipresidenziale, il Governo è un
organo molto debole perché possiede solo il potere esecutivo, le decisioni più importanti spettano al
Presidente. La differenza dalla forma presidenziale è che il Presidente sceglie il Primo Ministro in modo
autonomo, ma se i rapporti tra il Presidente e il Parlamento peggiorano, allora il Parlamento non sfiducerà
il Presidente ma il Primo Ministro (Governo). Quindi il Primo Ministro ha la funzione di far funzionare tutto
il sistema quando i rapporti tra Presidente e Parlamento iniziano a sfiduciarsi. Il presidente può revocare il
Primo Ministro. Le decisioni più importanti vengono prese dal Presidente.

Art. 48 DIRITTO DI VOTO

“Sono elettori tutti i cittadini uomini e donne che hanno raggiunto la maggiore età (suffragio universale). Il
voto è personale e uguale, libero e segreto.”

Questo articolo segna la distinzione tra cittadino e non cittadino.

Il diritto di voto è un diritto politico e di cittadinanza, che viene riconosciuto solo ai cittadini; solo nel
momento in cui possiamo votare vediamo la differenza tra chi è cittadino e chi no. Sono elettori tutti i
cittadini uomini e donne con diritto di voto che hanno raggiunto la maggiore età (suffragio universale).

Il voto è dovere civico: è un dovere inderogabile della vita politica. È un dovere civico nel senso che è il
momento in cui ciascuno di noi esprime l’appartenenza ad una comunità politica.

Il voto è un diritto inalienabile: nessuno può essere privato in modo definitivo del diritto di voto e nessuno
può essere privato per motivi politici del diritto di voto. Il diritto di voto può solo essere sospeso
temporaneamente a quei cittadini che sono stati condannati per reati così gravi da portare alla sospensione
del diritto di voto.

Il voto è un diritto imprescrittibile.

Il voto è personale e uguale: in Italia non è ammesso il voto per procura (delegare un’altra persona), per
corrispondenza (da casa inviandolo per posta) o elettronico, bisogna recarsi personalmente al seggio
perché avere la certezza della personalità del diritto. Ogni voto vale uno, non esiste il voto plurimo o la
possibilità di dare due voti (però ci sono sempre più leggi elettorali che per garantire la parità di genere si
possono votare due candidati di diverso genere).

Il voto è libero e segreto: per garantire la libertà del voto dobbiamo garantirne anche la segretezza, infatti
vi è una normativa che la tutela (cabine riservate e divieto di fotografare la scheda elettorale con il voto). Il
voto è segreto per consentire al voto di essere libero. La legge considera reato la pubblicizzazione del voto
da parte dell’elettore. La segretezza non può essere violata neppure da me stesso.
Il principio di parità di accesso alle cariche pubbliche prevale sul principio di uguaglianza del voto (art. 51).
Ciò significa che ciascuno di noi ha lo stesso diritto di voto, il diritto è uguale, ma la legge, in nome di un
interesse superiore, può stabilire che in partenza il mio voto invece di valere 1, valga 2 nei casi stabiliti dalla
legge.

I cittadini italiani all’estero possono votare andando presso i consolati o spedendo il loro voto per posta ai
consolati o alle ambasciate, senza rientrare nel proprio Paese (innovazione degli anni ’90).

Sistema elettorale

I sistemi elettorali sono strumenti non neutrali di trasformazione dei voti in seggi (non neutrale: viene
scritto immaginando il risultato che si vuole ottenere). È uno strumento del quale abbiamo bisogno poiché
in Italia abbiamo quasi 48 milioni di elettori e di potenziali voti e soli 630 seggi alla Camera dei Deputati.
Esso presenta un carattere manipolativo: prima viene decisa la finalità da raggiungere e poi si “costruisce”
un sistema elettorale manipolando il processo matematico per ottenere un certo risultato. Gli obiettivi di un
sistema elettorale possono essere:

1. Principio di rappresentatività dell'organo eletto: si può disegnare un sistema che renda l'organo
rappresentativo il più rappresentativo possibile. Ogni volta che un partito raggiunge il quoziente
elettorale prende un seggio (sistema proporzionale). In questo modo si portano in Parlamento
anche i partiti più piccoli, ma che riescono comunque a raggiungere un certo quoziente elettorale;
2. Governabilità: cercare di portare nell'assemblea elettiva il minor numero di partiti possibili in modo
da consentire la nascita di solide maggioranze di appoggio al Governo, politiche più chiare, azioni di
governo più spedite. La maggioranza stabile si raggiunge molto più facilmente quando ci sono pochi
partiti (sistema maggioritario). In democrazia, il numero ideale di partiti in Parlamento per garantire
la governabilità è 2, uno va in maggioranza e uno fa l’opposizione.

L’obiettivo è il miglior funzionamento possibile del sistema democratico.

Sistema maggioritario

Il sistema maggioritario garantisce la governabilità perché tende a convogliare la rappresentanza su pochi


partiti in modo tale da formare grandi maggioranze stabili (lo svantaggio è che esclude la presenza dei
medio-piccoli partiti in parlamento). Il sistema maggioritario attribuisce il seggio al candidato che ottiene
più voti nel collegio elettorale. (Il collegio è una porzione di territorio dove si assegna un solo seggio). La
legge elettorale stabilisce se sia necessaria la maggioranza assoluta (sistema majority), ossia vince il
candidato che ottiene la metà più uno dei voti; o la maggioranza relativa (sistema plurality), ossia ottiene il
seggio il candidato con più voti (che ottiene almeno un voto in più degli altri).

Il sistema maggioritario si divide in due sottotipi:

 Sistema majority: vince il seggio chi ottiene il 50% +1 dei voti di coloro che sono andati a votare. È
un sistema elettorale difficile che attualmente viene usato di solito solo nel ballottaggio, perché è
un sistema che altrimenti non garantisce il risultato (o lo garantisce se i candidati sono solo due).
 Sistema plurality: vince il seggio il candidato che ha ottenuto anche un solo voto in più rispetto agli
altri. Il voto della maggioranza degli elettori va perso perché vince solo un candidato e quindi il voto
di chi ha votato chi non ha vinto vale 0. È un sistema che, in presenza di molte liste, crea un
problema di democraticità e rappresentanza perché il vincitore rappresenta solitamente la metà
degli elettori. Il sistema plurality funziona molto bene quando i partiti sono 2 o 4; quando sono più
di 4 produce la formazione di coalizioni, le quali, nel lungo periodo, producono un’alterazione della
rappresentatività. Questo perché le coalizioni tendono a collocarsi entrambe al centro,
danneggiano il meccanismo dell’alternanza, fondamentale nella democrazia (teoria del pendolo).
Il sistema maggioritario è un sistema che ha la forza manipolativa di concentrare i voti sui partiti più grandi;
nei sistemi politici, come quello italiano, ha creato le cosiddette coalizioni perché siamo in un’ambiente
disomogeneo e non diviso da due categorie a livello ideologico. Non consente una soddisfacente
rappresentatività del Parlamento.

Convergenza (tendenza) al centro del sistema politico: il maggioritario vuole un sistema bipolare, se c'è il
centro questo sistema si blocca. Le due coalizioni che si formano tendono a candidare persone di centro e
non di destra o sinistra, avendo così il vantaggio di poter essere votato sia dagli elettori di destra che di
sinistra.

Sistema proporzionale

Nel sistema proporzionale ottiene il seggio ogni partito che ottiene il quoziente elettorale, ossia la divisione
tra il numero degli elettori (potenziali o che effettivamente sono andati al voto) e i seggi da distribuire. Il
sistema proporzionale viene molto utilizzato in tutti quei Paesi che presentano una disomogeneità politica,
cioè dove la società tende ad esprimere più di 4 partiti.

Dal punto di vista politico, le società possono essere:

 omogenee: la società si aggrega intorno a 4 grandi idee politiche;


 disomogenee: la società si aggrega intorno a molteplici idee politiche.

L’Italia è un Paese disomogeneo che tende a produrre molte idee politiche.

Non esiste una solo tipologia di sistema proporzionale, esiste solo una formula proporzionale intorno alla
quale si struttura un sistema elettorale. La formula proporzionale è quella formula in base alla quale un
partito ottiene tanti seggi in proporzione ai voti che ha ottenuto. Non si parla più di collegi nei quali si
assegna un solo seggio, bensì collegi che vengono anche chiamati “circoscrizioni” nei quali si assegnano più
seggi. Il territorio nazionale viene diviso in collegi più ampi, ognuno dei quali deve assegnare più seggi.

Il sistema proporzionale perfetto è quel sistema nel quale tutti i seggi sono assegnati da un unico
grandissimo collegio perché lì la proporzione è perfetta (Israele). Il vantaggio del sistema proporzionale è
consentire di entrare in Parlamento a tutti i partiti che sono presenti nella società. Lo svantaggio è favorire
la frammentazione, non soltanto perché fa da specchio ad una frammentazione che già esiste (molteplici
partiti), ma si presentano alle elezioni anche nuovi partiti che pensano di sottrarre voti a partiti già esistenti.

Caratteristiche del sistema proporzionale:

• Consente una grande rappresentatività ed ha la capacità di portare in parlamento tutte le idee politiche
del paese (in quei paesi dove ci sono grandi circoscrizioni non viene sprecato neanche un voto perché la
rappresentatività è totale).

• Ha la capacità di portare in parlamento tutte le idee politiche presenti del paese. Questo è un grande
vantaggio ma allo stesso tempo un elemento problematico, perché se tanti partiti arrivano in parlamento si
avrà difficoltà a creare una maggioranza stabile a sostegno del governo con il rischio di creare instabilità
governativa.

• È di solito accompagnato da dei correttivi per cercare di evitare la frammentazione senza ridimensionare
il pluralismo, delle correzioni al sistema che riducono l'elemento rappresentativo, in quanto alcuni voti
vanno persi, ma favoriscono una maggiore stabilità.

I 4 principali correttivi sono:

- Soglia di sbarramento: esclude dalla ripartizione dei seggi e quindi dalla rappresentanza politica in
Parlamento i partiti che non superano una determinata soglia minima di voti. La soglia naturale è quella
dell’1%; la soglia più utilizzata è quella del 3%, che toglie dalla ripartizione dei seggi i piccoli partiti; per le
coalizioni invece vi è una soglia del 10%. In questo modo i partiti più piccoli si aggregano a quelli più grandi,
riducendo così il numero dei partiti in Parlamento a vantaggio di una maggiore stabilità.

- Liste bloccate: Nei sistemi a liste bloccate gli elettori esprimono solo la preferenza per una lista, non per i
singoli candidati della stessa lista: in tali sistemi, nell'ambito di ciascuna lista sono eletti i candidati che
occupano i primi posti, cosicché di fatto i partiti stabiliscono le priorità di elezione per i propri candidati.
Ogni circoscrizione non può eleggere più di 8 deputati e 4 senatori e quindi le liste non possono essere più
numerose di questo numero massimo.

- Premio di maggioranza: è quel correttivo in base al quale non si mettono in votazione tutti i seggi che si
devono distribuire, una parte di essi si conserva e si regala al partito o alla coalizione che ottiene più voti.
Consiste nell’attribuire al partito o alla coalizione di partiti che ottengono più voti o che superano una data
percentuale di voti un numero di seggi superiore al calcolo proporzionale, allo scopo di garantire una
maggioranza più ampia e quindi un governo più stabile. È un correttivo che altera molto la rappresentatività
del sistema. È utilizzato nelle elezioni comunali. È un sistema che sottrare al voto popolare una percentuale
di seggi

- La grandezza delle circoscrizioni: quanto più grande è la circoscrizione più il sistema è rappresentativo,
più piccola è la circoscrizione meno il sistema è rappresentativo, quanto più piccolo è il collegio elettorale,
tanto più si riduce l’effetto della proporzionalità. Una cosa è che è un'unica circoscrizione attribuisce 630
seggi, una cosa è avere 10 circoscrizioni ognuna delle quali ne assegna 63, ogni partito avrà dei resti che
sono dei voti persi.

SISTEMA ELETTORALE IN ITALIA

In Italia siamo al quarto sistema elettorale: abbiamo avuto un sistema proporzionale puro nel 48’ (perché
avevamo bisogno di portare all’interno del Parlamento tutti i partiti), un sistema misto a prevalenza
maggioritaria nel 93’, il famoso ‘’porcellum’’ nel 2005, ovvero un sistema elettorale che voleva dare ai
partiti la possibilità di riacquisire una loro fisionomia all’interno delle coalizioni, ed infine abbiamo quello
attuale. Nel 2017 in Italia venne approvato il ‘’rosatellum’’: il Parlamento incominciò a scrivere una legge
elettorale per le elezioni del 2018. È un sistema elettorale misto a prevalenza proporzionale. Un sistema
misto è un sistema in cui una parte dei seggi si attribuisce con sistema proporzionale ed una parte con
sistema maggioritario (rispettivamente 2/3 e 1/3). Colloca l’asticella nel punto di equilibrio tra
rappresentatività e proporzionalità. È un sistema che non funziona. Se il partito si presenta da solo ha come
soglia di sbarramento il 3%, se alcuni partiti si presentano insieme la soglia di sbarramento sale al 10%.
Questa soglia di sbarramento è stata pensata per produrre aggregazioni tra partiti grandi e partiti piccoli.

La legge elettorale del 2017 ha prevalenza proporzionale e ha prodotto una tri-polarizzazione del sistema
politico: una coalizione di centro destra, una di centro sinistra ed un terzo partito (che in campagna
elettorale aveva affermato che non si sarebbe affermato con nessuno) e che invece, dopo due mesi di
consultazione con il Presidente della Repubblica, si coalizzò nel 2018 con un partito di centro destra e nel
2019 con uno di centro sinistra. Il rosatellum ha il privilegio dell’aspetto rappresentativo.

Vediamo ora com’è strutturato questo sistema elettorale (che è per ⅔ proporzionale e per ⅓ maggioritario):

Camera dei deputati- 630 seggi tutti elettivi:

-232 deputati eletti con sistema maggioritario, di questi alcune regioni hanno i cosiddetti seggi predefiniti: 6
al Trentino, 1 alla Valle d’Aosta e 2 al Molise.

-386 deputati eletti con sistema proporzionale suddivisi in 65 collegi elettorali.

-12 deputati eletti nella circoscrizione estero. Senato della Repubblica:


-116 in collegi uninominali (sistema maggioritario)

-193 collegi plurinominali. (sistema proporzionale)

-6 nella circoscrizione estero.

Pluricandidature

È previsto che un candidato possa presentarsi in un collegio uninominale e in più collegi plurinominali, fino
a un massimo di cinque. In caso di elezioni: se eletto con l’uninominale e con il proporzionale, vince il seggio
uninominale; se eletto in più di un collegio plurinominale, gli viene assegnato il seggio corrispondente al
collegio in cui la lista ha preso una percentuale minore di voti.

Quota rosa

La quota rosa prevede che ciascuno dei due generi non può rappresentare più del 60% dei candidati di un
listino bloccato e ciascuno dei due sessi non può rappresentare più del 60% dei capilista nei listini di un
singolo partito. In questa legge elettorale è prevista una scheda per la Camera dei Deputati e una per il
Senato. Non è possibile il voto disgiunto (uno per la scelta del partito e l’altro per la scelta del candidato). Si
equilibrano sistema maggioritario e proporzionale. Questa legge viene aggirata con il meccanismo delle
pluricandidature: nelle elezioni del 2018 le candidate donna sono sempre state candidate 5 volte.

Rappresentanza politica

La rappresentanza politica, che nasce nel Medioevo, è una rappresentanza che parte proprio dal diritto
privato. La rappresentanza medievale (dove non c’era distinzione tra diritto privato e diritto pubblico) si
usava indistintamente sia per il diritto pubblico che per il diritto privato. Con la Rivoluzione francese la
rappresentanza politica e con il mondo liberale ha poi acquisito caratteristiche tutte sue.

La rappresentanza è una forma di organizzazione del potere. Le forme di governo si dividono in forme di
governo rappresentative e forme di governo dirette. In nessun Paese al mondo il potere è esercitato dai
cittadini direttamente. L’esistenza della rappresentanza fa sì che il sovrano costituito debba accettare le
decisioni dei rappresentanti.

Noi viviamo in un sistema rappresentativo, cioè in un sistema in cui tutti gli organi costituzionali agiscono in
rappresentanza del popolo, ma soltanto uno è eletto direttamente dai cittadini (Parlamento). La
rappresentanza politica è lo strumento di organizzazione del potere politico ed è un concetto giuridico che
si basa su due binomi:

Rappresentante/rappresentato:

- Rappresentante: colui che rende presente il soggetto che altrimenti sarebbe assente. Esso deve agire
nell’interesse dell’intera comunità, non nell’interesse delle persone che l’hanno eletto. Esso rappresenta
una intera comunità e non le persone che l’hanno eletto. Il rappresentante è colui che agisce in nome e
nell’interesse del popolo stesso, di tutti i rappresentanti.

- Rappresentato: l’assente reso presente dall’azione dei rappresentanti, ossia il soggetto che vive soltanto
nell’azione del rappresentante (è sovrano ma non può prendere decisioni da solo) (per accettare che il
rappresentato sia assente c’è bisogno del suffragio universale e che la durata dei mandati sia molto
circoscritta nel tempo). Il rappresentato è tutto il popolo, non solo coloro che vanno a votare o che hanno
l’età per poter votare. Il popolo sovrano agisce soltanto attraverso i propri rappresentanti, è sovrano solo
nel momento in cui vota, dopodiché torna assente. (Noi abbiamo meno questa sensazione di essere un
popolo assente perché ci è data la possibilità di abrogare leggi tramite il referendum). Accettare di essere
l’assente presuppone una grande fiducia, ed è per questo che in democrazia la durata dei parlamenti è una
durata medio-breve ed il suffragio è universale.
Rapporto rappresentativo/Situazione rappresentativa:

- Rapporto rappresentativo: è il legame politico che lega il rappresentato con il rappresentante (con il voto
si crea tale rapporto). In linea teorica la rappresentanza esiste anche in assenza di tale rapporto, ma in
democrazia si ritiene che non si possa prescindere dal carattere elettivo dei rappresentati.

- Situazione rappresentativa: è la capacità giuridica del rappresentante di agire nell’interesse generale dei
rappresentati e in loro nome (l’interesse generale non è la mera sommatoria dei singoli interessi individuali,
è la capacità di guardare qual è l’interesse nel medio periodo della comunità). L’azione del rappresentante
è di conseguenza priva di mandato imperativo, sia sul piano giuridico che sul piano politico.

Il rappresentante politico agisce senza mandato imperativo, sia sul piano giuridico, sia sul piano politico. I
Parlamentari rappresentano la Nazione ed esercitano i loro poteri senza vincolo di mandato (art. 67).

Il Parlamento

Il termine parlamento significa gruppo di persone che si incontrano per parlare. Il Parlamento non è
un’invenzione democratica: nasce nel periodo medievale (parlamentum) in cui la rappresentanza era di
diritto privato, dunque vi sedevano i nobili e i rappresentati delle città, anche se questi parlamenti finiscono
con le 3 rivoluzioni borghesi, soprattutto con quella francese.

Parlamento Italiano (art. 55-82)

Il Parlamento rappresenta l’organo costituzionale principale, perché è l’unico organo ad essere eletto
direttamente dai cittadini e attraverso il quale le idee di quest’ultimi arrivano al Governo. Il parlamento è
titolare della funzione legislativa; è un organo costituzionale trasparente, ossia agisce nella massima
pubblicità possibile. Il parlamento è quindi un organo: costituzionale, necessario, continuo ed è
direttamente rappresentativo. Svolge due funzioni fondamentali: ha il compito di approvare le leggi
(legislativo) ed ha il compito di dare e togliere fiducia al Governo.

La struttura dei Parlamenti moderni può essere bicamerale o monocamerale. La Costituzione italiana
prevede un bicameralismo perfetto e pieno. Il Parlamento è, infatti, composto da due Camere che sono
indipendenti l’una dell’altra: la Camera dei deputati e il Senato della Repubblica. Il Parlamento si riunisce in
seduta comune dei membri delle due Camere nei soli casi stabiliti dalla Costituzione. Le due Camere
costituiscono un bicameralismo:

 eguale: le funzioni che svolgono possono essere svolte in modo indifferenziato da parte di ciascuna
di esse;
 paritario: le due Camere sono pari, non ce n’è una che prevale sull’altra. Se c’è un conflitto fra le
due, il compito di risolvere tale conflitto spetta al Presidente della Repubblica, al quale spetta la
decisione di sciogliere anticipatamente le due camere. Non c’è un rapporto di gerarchia, sono
assolutamente indipendenti e pari, hanno quindi la capacità di limitarsi a vicenda;
 indifferenziato: svolgono esattamente le stesse funzioni.

Le due Camere, elette a suffragio universale e diretto, sono dotate degli stessi poteri e funzioni. Abbiamo
due Camere per fare in modo che ogni Camera controlli l’altra. In Italia una camera è chiamata a controllare
l’altra, per questo nel 48’ fu scelto il bicameralismo. Un governo non potrà mai nascere se le due camere
non trovano un accordo, un governo può anche cadere se una camera controllando l’altra decidesse di far
cadere il governo.

Una prima differenza tra le due Camere riguarda il numero dei componenti in forza della recente modifica
operata dalla legge costituzionale 1 del 19.10.2020: i deputati sono 400 (8 dei quali eletti nella
circoscrizione estero), mentre i senatori sono 200 (4 dei quali eletti nella circoscrizione estero). Nessuna
Regione o Provincia autonoma può avere un numero di senatori inferiori a tre. il Molise ne ha due e la Valle
d'Aosta uno.

Il Senato, eletto a base regionale, si caratterizza, inoltre, per la presenza di due categorie, sia pure
numericamente assai ridotte, di membri non elettivi: i senatori a vita di nomina presidenziale e quelli di
diritto, cioè coloro che hanno già rivestito la carica di Presidente della Repubblica. I Presidenti della
Repubblica, infatti, divengono senatori a vita di diritto alla fine del mandato senza necessita di ulteriore
nomina. I senatori a vita di nomina presidenziale sono, invece, scelti, in numero non superiore a cinque, tra
i cittadini che abbiano illustrato la Patria per altissimi meriti nel campo sociale, scientifico, artistico e
letterario (art. 59 Cost).

Le due Camere si differenziano anche per i diversi requisiti richiesti per l’elettorato passivo: 40 anni per i
Senatori e 25 anni per i deputati. La recente modifica operata dalla legge costituzionale 1 del 18.10.2021
ha, invece, appianato le differenze esistenti con riguardo all'elettorato attivo. Oggi, infatti, possono eleggere
i loro rappresentanti sia alla Camera dei deputati, sia al Sentato tutti coloro che hanno raggiunto la
maggiore età.

- È incandidabile il soggetto che non ha i requisiti, come ad esempio chi non ha la cittadinanza, se non si ha
l’età minima e chi non gode dei diritti civili e politici (ad esempio chi ha subito una condanna penale).

- È ineleggibile il soggetto che, a causa della professione svolta, potrebbe esercitare un’influenza sul corpo
elettorale.

- È incompatibile il soggetto che ricopre già altre cariche istituzionali, senza che vi rinunci

Ciascuna Camera deve adottare il proprio regolamento (autonomia regolamentare) a maggioranza assoluta
dei suoi componenti, al fine di disciplinare la propria organizzazione interna e dettare le regole per il suo
funzionamento.

Ciascuna Camera delibera, inoltre, il proprio bilancio ed il proprio consuntivo (autonomia finanziaria) e
provvede all'organizzazione dei propri uffici amministrativi interni e all'assunzione dei propri dipendenti,
stipulando in proprio i contratti di lavoro (autonoma amministrativa).

Durata

Le Camere durano 5 anni (periodo definito legislatura). Dal ‘48 ad oggi sono passati 72 anni, dovremmo
quindi essere alla quindicesima legislatura, tuttavia siamo alla diciottesima, questo significa che non tutte le
legislature sono durate 5 anni e quindi più di una volta è stato deciso lo scioglimento anticipato delle
camere. Le camere vengono sciolte anticipatamente se il Presidente della Repubblica ritiene che non siano
più in grado di funzionare (lo scioglimento anticipato quindi si ha quando le camere non sono più in grado
di creare una maggioranza di governo). Dal giorno in cui le camere vengono sciolte vanno in prorogatio,
ossia quel periodo di tempo in cui le vecchie camere anche se sono sciolte continuano ad essere attive fino
all’insediamento delle nuove camere per salvaguardare il principio di mai un giorno senza un organo
costituzionale (max 75 giorni), esse quindi possono essere convocate per eventi straordinari. La prorogatio,
quindi, è quel periodo di tempo che noi abbiamo sempre alla fine di ogni legislatura che intercorre nel
momento di scioglimento delle vecchie camere e l'inizio delle nuove camere (le camere vengono sciolte nel
momento in cui vengono indette le elezioni (altrimenti verrebbero approvate leggi per la campagna
elettorale)).

La proroga si attiva solo se viene dichiarato lo stato di guerra, anche se non è mai stata sperimentata. In
questo caso il parlamento conserva tutti i poteri, che però deve delegare al governo. La proroga dura
quanto dura lo stato di guerra.
Ogni camera è abbastanza indipendente, quindi ha una propria organizzazione che è differente dall’altra,
ma ci sono dei punti di contatto. Ogni camera deve avere:

 Un presidente.

Ogni camera elegge il suo presidente e lo fa appena la camera si insedia. Il senato lo deve eleggere
rapidamente (in 2 giorni), perché il presidente del senato è il supplente del Presidente della Repubblica. La
Camera dei deputati invece può eleggerlo più lentamente, il quale come secondo ruolo è il presidente del
Parlamento in seduta comune.

 Un ufficio di presidenza

L’Ufficio di Presidenza di ciascuna Camera viene costituito subito dopo l’elezione del Presidente e i suoi
componenti sono eletti dall’assemblea. Si tratta di un organo che si occupa della conduzione amministrativa
e finanziaria dell'Assemblea, e che al Senato viene denominato Consiglio di presidenza. All’ufficio di
presidenza appartengono il Presidente della relativa Camera, oltre ai 4 vicepresidenti, 3 questori ed 8
segretari.

 Gruppi parlamentari

I gruppi parlamentari sono la proiezione dei partiti in Parlamento e pur avendo lo stesso nome dei partiti,
giuridicamente sono due soggetti completamente diversi. Il partito politico è un'associazione non
riconosciuta giuridicamente che si muove nella società civile, mentre il gruppo parlamentare è un organo
della Camera o del Senato (grazie ai partiti i cittadini concorrono alla politica nazionale). La Costituzione
disciplina come devono essere questi gruppi parlamentari: ogni deputato e ogni senatore deve appartenere
a un gruppo parlamentare, quindi non si può essere indipendenti in parlamento. Per formare un gruppo
bisogno essere almeno 20 nella Camera e 10 in Senato; chi non vuole far parte di un gruppo o chi non ha i
numeri per formarlo, entra nel gruppo misto. Appena si insediano le camere, noi troviamo in parlamento
tanti gruppi quanti sono i partiti che si sono presentati alle elezioni (che abbiamo almeno 20 deputati e 10
senatori).

Inizialmente i gruppi parlamentari ci danno la fotografia del risultato delle elezioni, ma con il passare dei
giorni i parlamentari passano da un gruppo parlamentare all’altro. I parlamentari più corretti dal punto di
vista della rappresentanza sono quelli che quando escono da un gruppo parlamentare vanno in un gruppo
misto; quelli meno corretti escono da un gruppo parlamentare e vanno in un altro gruppo parlamentare. I
parlamentari vengono eletti perché inseriti nelle liste di un partito e il fenomeno per cui un parlamentare
cambia gruppo per fare opposizione o maggioranza viene chiamato transfuguismo. Per evitare ciò altre
costituzioni (si spera anche in quella italiana) hanno disciplinato il fenomeno prevedendo che un
parlamentare che lascia il suo gruppo di appartenenza può andare solo in un gruppo misto.

Dal 2017, i senatori a vita possono decidere di non iscriversi a nessun gruppo parlamentare.

I gruppi parlamentare sono l’elemento propedeutico alla formazione di un organo importantissimo delle
Camere, le commissioni parlamentari.

 Commissioni parlamentari

Le commissioni parlamentari sono organi collegiali istituiti presso ciascuna Camera (14 in ogni camera),
composte in modo da rispecchiare le proporzioni dei vari gruppi parlamentari (le commissioni parlamentari
sono delle piccole assemblee). Ogni commissione è una mini-assemblea nella quale ci sono le stesse
proporzioni che ci sono nell’assemblea principale. Sono commissioni competenti per materia.

Servono per dare ordine al lavoro legislativo delle Camere perché ogni commissione ha un ruolo
fondamentale nella fase istruttoria di un disegno di legge. Il lavoro legislativo viene fatto in commissione,
quindi se non funzionano, ne risente tutto il meccanismo legislativo (Camera e Senato lavorano poco in
assemblea e tanto in commissione).

Ogni deputato fa parte di una commissione. Le commissioni vengono formate rispettando le proporzioni
dei gruppi parlamentari.

 Giunte parlamentari

Le Giunte parlamentari sono degli organi collegiali che svolgono dei compiti volti a garantire il corretto
funzionamento della Camera e l'autonomia del Parlamento rispetto agli altri poteri. Come per le
Commissioni, anche le giunte parlamentari sono composte in proporzione della numerosità dei gruppi
parlamentari. Vengono scelti i parlamentari più rappresentativi, quelli che godono di rilevanza nel partito.
Le tre giunte più importanti sono:

1. Giunta per il regolamento (più tecnica), lavora per modificare i regolamenti parlamentari o per
dare interpretazioni;
2. Giunta delle elezioni, stabilisce se gli eletti sono eleggibili, accerta la regolarità delle operazioni
elettorali;
3. Giunta per le autorizzazioni, decide le autorizzazioni (a procedere).

Parlamento in seduta comune

La Costituzione prevede dei casi particolari in cui il parlamento si riunisce in seduta comune, presieduto dal
Presidente della Camera dei deputati e con l’utilizzo del regolamento della Camera dei deputati.
Numericamente è composto da tutti i parlamentari, ossia la somma di tutti i deputati e di tutti i senatori,
ma è un organo autonomo. Esso viene convocato dal Presidente della Camera dei Deputati solo per
specifiche funzioni indicate dalla Costituzione, tra cui:

 elezione del Presidente della Repubblica (ogni 7 anni);


 elezione di ⅓ della Corte costituzionale (5 giudici) (quando serve);
 elezione di ⅓ del Consiglio Superiore di Magistratura (8 giudici) (ogni 4 anni);
 messa in stato d’accusa del Presidente della Repubblica.

Quest’organo svolge soprattutto una funzione elettiva, tutte le elezioni che è chiamato a svolgere sono
senza candidato. Il parlamento in seduta comune è un organo indipendente che deve avere la possibilità di
eleggere chi vuole. Lo consideriamo un organo imperfetto in quanto non ha il diritto di stabilire il proprio
ordine del giorno, quello che può fare lo decide la Costituzione, non discute e non si presentano
candidature.

Come si vota in Parlamento?

Le due Camere sono assolutamente autonome l’una dall’altra, hanno gli stessi compiti e non hanno vincoli
di subordinazione l’una all’altra. Nel tempo le due Camere si sono date delle regole di voto e di
funzionamento sempre più simili. Ogni Camera vota sia in assemblea che in commissione, ma le regole sono
simili sia in assemblea che in commissione. Le sedute delle assemblee sono pubbliche, possono essere
seguite da tutti; si vota secondo regole di voto che o sono stabilite dalla Costituzione o sono stabilite dai
regolamenti parlamentari.

Le due Camere votano di regola a scrutinio palese. Nelle assemblee l’alzata di mano è stata sostituita dal
voto elettronico. Ci sono delle votazioni che si fanno a scrutinio palese e ad appello nominale, la cosiddetta
“chiama”: ogni parlamentare vota davanti al Presidente della Camera o del Senato. Quando si deve votare
si o no si usano delle paline bianche e nere e ogni parlamentare prende una pallina a seconda di come
vuole votare. Si fa sempre in modo che tutti sappiano come stanno votando.
In pochissimi casi si vota a scrutinio segreto. Abbiamo due situazioni:

- quando si vota per eleggere qualcuno (il Presidente dell’assemblea, il Presidente della Repubblica, il
Giudice della Corte). Si entra in una cabina elettorale che sta sotto al seggio del Presidente e si vota
in segretezza;
- quando ne fanno richiesta un certo numero di deputati o senatori, motivando con ragioni etiche il
loro voto.

Le Camere deliberano a maggioranza semplice (a volte relativa). La maggioranza semplice è la metà + 1 dei
presenti in assemblea che vengono calcolati sul numero dei votanti.

Ci sono dei casi in cui la Costituzione prevede che si debba deliberare a maggioranza assoluta, cioè la metà
+ 1 dei componenti dell’assemblea, degli aventi diritto; altre volte a maggioranza qualificata viene stabilita
dalla Costituzione e può essere 2/3, 3/5 a seconda del tipo di votazione.

Ad esempio, per eleggere il giudice della Corte costituzionale serve la maggioranza dei 3/5.

La maggioranza semplice è una maggioranza molto bassa in quanto è un tipo di maggioranza che si basa sul
“numero legale”, cioè la metà + 1 degli aventi diritto, che coincide esattamente con la maggioranza
assoluta. Il numero legale si presume esserci sempre, a meno che qualcuno ne chieda la verifica. Nella
maggioranza assoluta abbiamo bisogno che queste persone siano a favore, nel numero legale abbiamo
bisogno che siano presenti queste persone. La maggioranza semplice è ¼ dei componenti dell’assemblea, le
leggi si approvano con una maggioranza davvero molto bassa, molto al di sotto della maggioranza assoluta.

Il voto elettronico dà la possibilità che l’occhio del Presidente non sia l’occhio dell’urna elettronica, perché
un parlamentare potrebbe aver dato al suo vicino di seggio la propria tessera elettronica. Si è sviluppata
all’interno delle nostre Camere questa prassi non condivisibile in base alla quale la presenza legale di un
componente della camera si misura dal voto e non dalla presenza fisica, il cosiddetto fenomeno dei pianisti.
Sia alla Camera che al Senato l’astenuto è soltanto colui che si astiene al momento del voto, perché chi è
seduto in aula ma non inserisce il badge nell’urna elettronica teoricamente è assente, anche se è
fisicamente lì. L’astenuto, nella maggioranza semplice, preferisce non farsi vedere; nella maggioranza
assoluta, si fa vedere e dà un segnale, è come se ha votato no senza votare no, in quanto alza il quorum dei
presenti ma non aiuta al raggiungimento della maggioranza assoluta.

La fiducia e la sfiducia al Governo si votano a maggioranza semplice, perché il costituente ha immaginato


che soprattutto la fiducia sia un momento iniziale di un percorso nel quale il governo potrebbe partire
anche soltanto appoggiato da meno della metà dei parlamentari, ma poi riuscire a vivere aggregando
attorno a sé un consenso crescente. Abbiamo avuto pochissimi governi che hanno accettato di nascere
come governi di minoranza, cioè governi che non avevano la maggioranza assoluta in Parlamento. Un
governo che nasce come governo di minoranza in Parlamento è un governo che deve contare sul fatto che
le leggi si approvino a maggioranza semplice, e che quindi le opposizioni sono così disaggregate tra loro che
non creano mai delle imboscate.

La maggioranza qualificata cerca di includere almeno una parte dell’opposizione.

Status del parlamentare

I parlamentari sono cittadini italiani, dunque come tutti i cittadini italiani hanno una serie di diritti e doveri.
Alcuni di questi vengono rafforzati dalla Costituzione per garantire il corretto funzionamento del
parlamento. Lo status è qualcosa che è nato con le rivoluzioni borghesi che mira a garantire l’assetto
democratico e che il rapporto tra maggioranza e opposizione non possa essere alterato dall’intervento della
magistratura o della polizia (che fa capo al governo, al ministro degli interni). Le prerogative che diamo al
parlamentare non sono date per fare in modo che il parlamentare sia un cittadino privilegiato, ma per fare
in modo che l’organo al quale appartiene il singolo parlamentare sia un organo dotato della massima
indipendenza possibile. Sono prerogative al quale il parlamentare non può rinunciare.

I 4 articoli che regolano lo status del parlamentare sono:

 Art. 66: ciascuna Camera giudica dei titoli di ammissione dei suoi componenti e delle cause
sopraggiunte di ineleggibilità e di incompatibilità;
 Art. 68 primo comma, insindacabilità: nessun parlamentare può essere chiamato a rispondere
delle opinioni espresse e dei voti dati nell'esercizio delle proprie funzioni. Il parlamentare gode
dunque, nell’esercizio delle sue funzioni, di una libertà di manifestazione delle opinioni più ampia
rispetto al comune cittadino. Il parlamentare è insindacabile quando parla in aula o in commissione,
e quando ripete qualcosa fuori dall’aula che ha detto personalmente in aula (solo i giornalisti
possono parlar male di qualcuno ma a condizione che dicano la verità, i cittadini non possono parlar
male di qualcuno anche se dicono il vero);
 Art. 68 comma 2 e 3, inviolabilità (immunità penale): Un parlamentare non può:
 essere sottoposto a perquisizione personale o domiciliare;
 essere arrestato o privato della libertà personale;
 essere sottoposto ad intercettazione, in qualsiasi forma, di conversazioni o comunicazioni e a
sequestro di corrispondenza, salvo che:
- vi sia una sentenza irrevocabile di condanna;
- sia colto nell'atto di commettere un delitto per il quale è previsto l'arresto obbligatorio in
flagranza.

NB. L’inviolabilità non comporta l’impossibilità per il magistrato di iniziare un procedimento penale, ma solo
quello di chiedere l’autorizzazione a procedere in caso debba provvedere a una limitazione della libertà
personale del parlamentare.

Il parlamentare non passa sotto al metal detector perché considerata perquisizione personale.

 Art 69, indennità: i parlamentari ricevono un’indennità perché è necessario avere una fonte di
sostentamento per la loro funzione. L’indennità serve per consentire a chiunque di poter entrare in
Parlamento: il parlamentare può provenire da diverse categorie, sia quelle più agiate, ma anche da
categorie che non hanno altro sostentamento oltre il proprio reddito. Lo stipendio del
parlamentare corrisponde allo stipendio del primo presidente della Corte di Cassazione
(magistrato), cioè circa 120k l’anno. È un’indennità ragionevolmente alta per rendere il
parlamentare immune dalla tentazione della corruzione (lobby, ossia gruppi di pressione che
avvicinano e influenzano i parlamentari).
 Art. 67, divieto di mandato imperativo: ”Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed
esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato (art. 67 Cost.)”
Si parla di rappresentanza della Nazione e non popolare perché i costituenti si volevano porre in
linea di continuità con il mondo liberale, con il Regno d’Italia, con quella parte della nostra storia
che era già ordinamento giuridico. È, al tempo stesso, una linea di continuità con il futuro, perché
ciò significa che i parlamentari sono chiamati a prendere decisioni non soltanto nell’interesse di
coloro che li hanno votati e che oggi esistono, ma anche nell’interesse delle generazioni future che
hanno il diritto di poter fluire dei beni e dei valori che la nostra Costituzione prevede.
L’elezione conferisce al parlamentare un mandato politico e non giuridico, rappresenta la nazione e
ha il divieto di mandato. Il parlamentare non ha nessun vincolo giuridico o impegno nei confronti
dei cittadini o del partito che lo ha eletto. Dunque, il parlamentare deve agire nell’interesse comune
e non secondo gli interessi particolari di chi lo elegge o chi lo ha fatto eleggere. Il parlamentare che
intende dimettersi deve presentare e discutere le proprie ragioni in aula (la prima volta la camera le
respinge per prassi), una volta messe a votazione diventano valide solo se la camera di
appartenenza le accetta.

Funzioni del Parlamento

Il parlamento svolge una pluralità di funzioni:

 funzione legislativa;
 funzione di indirizzo: le Camere hanno un ruolo di indirizzo nei confronti del governo, che si
concretizza nel rapporto fiduciario che deve sussistere tra Parlamento e Governo, oggettivizzato
nella mozione di fiducia e di sfiducia;
 funzione di informazione: le Camere hanno un ruolo di informazione nei confronti dell’opinione
pubblica (popolo), perché il Parlamento nella sua trasparenza sente il bisogno di informare il
popolo sul suo operato e sulle questioni più importanti che riguardano la vita del paese. La funzione
di informazione viene svolta soprattutto dall’opposizione attraverso due atti che sono le
interrogazioni e le interpellanze:
- l’interrogazione è una domanda fatta da un parlamentare a un membro del governo per
conoscere qualcosa che il parlamentare non sa (domanda buona). È una domanda che può essere
fatta sia da un parlamentare di maggioranza e sia da un parlamentare dell’opposizione e pensa sia
di interesse dell’opinione pubblica;
- l’interpellanza è invece una domanda posta dal parlamentare, di solito membro dell’opposizione,
che già conosce la risposta, ma che vuole costringere il governo a renderla nota a tutta l’opinione
pubblica. È una domanda “cattiva” posta per mettere in difficoltà il governo, costringendolo a
rendere pubblica la risposta che non è gradita dal governo stesso.

Le leggi ordinarie dello Stato

La funzione più importante del Parlamento è la funzione legislativa: il Parlamento ha il compito di


approvare le leggi, che prendono il nome di leggi ordinarie dello Stato (che fanno parte delle fonti
primarie). Il procedimento legislativo è disciplinato dagli articoli 70/74 della Costituzione. La legge ordinaria
dello stato è un atto normativo che può essere approvata solo dal Parlamento, promulgata e pubblicata
sulla gazzetta ufficiale solo dal Presidente della Repubblica (o dal suo supplente) e di regola entra in vigore
15 giorni dopo la sua pubblicazione.

L’articolo 70 ci dice che la funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle due camere. Si parla di
esercizio e non di titolarità, perché il titolare di tutti i poteri è il popolo. In base all’articolo 70, le leggi
devono sempre essere approvate con lo stesso testo per entrambe le Camere; difatti, quest’articolo è la
matrice del bicameralismo perfetto nella funzione legislativa. Il procedimento legislativo si compone di 4
fasi:

1. Iniziativa (disciplinato dall’art.71)

Il disegno o progetto di legge non può essere presentato da chiunque ma solo dai soggetti che sono
espressamente previsti dalla Costituzione, ossia:

- Governo: è il soggetto che è avvantaggiato nella presentazione dei disegni di legge, perché,
essendo l’unico organo che gestisce il bilancio, sa perfettamente dove trovare i fondi per finanziare
il costo di applicazione di quella legge. Il governo in genere presenta il disegno di legge alla camera
dove ha la maggioranza, anche se negli ultimi anni 15 è prevalsa l’idea di presentarli alla camera
con maggioranza meno forte, quasi per mettere in “soggezione” l’atra camera. Per questo motivo
negli ultimi anni il Senato è diventato quasi più importante della camera, perché c’è una
maggioranza più ristretta;
- Popolo: l’iniziativa popolare si ha quando almeno 50.000 cittadini presentano un disegno di legge. I
disegni di legge popolari che effettivamente sono diventati legge sono molto pochi;
- Ciascun membro delle Camere: le Camere non sono obbligate a prendere in considerazione tutti i
disegni di legge presentati, ma solo quelli presentati dal governo, gli altri vengono “insabbiati”,
ovvero conservati e non letti. Se un disegno di legge non viene approvato al termine della
legislatura decade (l’unica eccezione sono i disegni di legge popolari che durano due legislature). Se
lo si vuole, deve essere ripresentato da capo (il disegno di legge può essere presentato
indifferentemente in entrambe le camere);
- Consigli regionali;
- CNEL (Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro).

Il disegno di legge è un testo che abbia un titolo e che sia strutturato in articoli e ognuno di questi articoli
deve essere scritto nella forma della norma giuridica (quindi deve essere generale, astratto, nuovo e
imperativo). Inoltre, ogni futura legge che comporti spese deve indicare il modo per coprirle.

2. Approvazione (Deliberazione legislativa) (Art. 72)

Ogni disegno o proposta di legge presentato ad una Camera deve essere prima esaminato da una
commissione permanente, istituita presso quella Camera, e successivamente approvato dalla Camera
stessa. In ogni camera ci sono 14 commissioni, ognuna delle quali è specializzata in una determinata
materia. Le 14 commissioni, formate dagli stessi 630 che stanno in assemblea, svolgono una funzione
tecnico-politica molto importante: analizzano il disegno di legge, ne correggono eventuali errori e
preparano una relazione da presentare ai loro colleghi in assemblea che permetta loro di capire cosa il loro
gruppo parlamentare intende fare. I tempi del lavoro di commissione non sono disciplinati dalla
Costituzione. La prima fase tecnico politica per l’approvazione di un disegno di legge viene fatta dalla
Commissione.

Procedimento legislativo ordinario, detto anche per commissione referente: una volta che la commissione
finisce il suo lavoro, il disegno di legge viene mandato in aula insieme ad un relatore che lo illustrerà a tutti i
parlamentari. Da qui partono le 3 letture:

- Discussione: ogni componente dell’assemblea può prendere la parola (tutti prendono la parola
quando l’opposizione vuole dare battaglia sul disegno di legge, in modo di rimandarlo di un mese,
ossia alla prima data libera senza altri disegni di legge).
- Approvazione articolo per articolo: tutti i parlamentari presentano il proprio emendamento (un
testo alternativo al testo base) partendo di regola dall’emendamento più diverso rispetto al testo
base.
- Approvazione del disegno di legge nel suo complesso: i disegni di legge nel loro complesso, quindi
contenenti gli emendamenti, vengono approvati a maggioranza semplice. Una volta approvati da
una Camera, passano all’altra, la quale può effettuare delle modifiche (se ci sono modifiche va in
commissione e ritorna alla prima Camera). Quando le modifiche sono continue, quel disegno di
legge non verrà approvato perché non c’è un accordo tra le due camere (questo meccanismo è
definito navetta).

Le materie per cui è obbligatorio il procedimento legislativo per commissione referente, come illustrato
dall'articolo 72 comma 4, sono le materie costituzionali, elettorali, di delegazione legislativa, di
approvazione di bilanci e di autorizzazione a ratificare i trattati internazionali.

In base alle diverse funzioni che svolgono commissione e aula, si distinguono altri due procedimenti
legislativi:
 Procedimento legislativo abbreviato: nei casi in cui il disegno di legge è ritenuto urgente dalla
maggioranza dei rappresentanti della camera in cui è stato proposto, c’è la riduzione dei tempi di
discussione della metà rispetto al procedimento legislativo ordinario;
 Procedimento legislativo per commissione deliberante: la commissione si occupa di tutte e tre le
fasi del procedimento di approvazione, senza che debba essere discusso e votato dall’assemblea;
 Procedimento per commissione redigente: la commissione si occupa delle prime due letture,
mentre l’assemblea si occupa solamente dell’approvazione del disegno di legge nel suo complesso,
senza poterne modificare il testo.
3. Promulgazione (Art. 73)

La promulgazione spetta al Presidente della Repubblica, il quale deve fare un macrocontrollo di legittimità
costituzionale, ossia deve verificare che le Camere non abbiano approvato una futura legge in contrasto con
la Costituzione. Il Presidente della Repubblica ha 30 giorni per decidere, ma se non la promulga la deve
rinviare alle camere con un messaggio motivato, in cui spiega il motivo per cui ha deciso di non promulgare
una legge. A questo punto le Camere hanno tre opzioni:

 possono riapprovare lo stesso testo e il Presidente della Repubblica è obbligato a promulgarlo;


 non riapprovano più il disegno di legge, rendendosi conto che il testo era macroscopicamente
incostituzionale;
 modificano il disegno di legge secondo i consigli del Presidente della Repubblica.
4. Pubblicazione (Art. 74)

Una legge approvata dal Parlamento deve essere pubblicata entro 30 giorni sulla gazzetta ufficiale ed entra
in vigore dopo 15 giorni dalla pubblicazione. La gazzetta ufficiale è lo strumento mediante il quale tutta la
comunità viene a conoscenza del nuovo atto normativo. Con la pubblicazione della legge scatta il principio
“la legge non ammette ignoranza”, secondo cui ognuno di noi è tenuto a conoscere tutte le leggi vigenti sul
territorio in cui si vive. Una volta che è stata pubblicata la legge inizia il vacatio legis (15 giorni o più), ossia il
periodo di tempo che va dalla pubblicazione all’entrata in vigore della norma, concesso per permettere alla
comunità di conoscere e iniziare a capire il funzionamento della nuova legge.

Le fonti del diritto di regola disciplinano il futuro, quindi secondo il principio generale le leggi sono
irretroattive (non applicabili per il passato). Tuttavia, se la legge vuole, può stabilire di produrre effetti
anche nel passato (soprattutto in materia economica e finanziaria). La legge penale non può mai essere
retroattiva, ma lo diventa quando è più favorevole al condannato, in questo caso si parla di
depenalizzazione di un reato.

Limiti alla funzione legislativa

Al giorno d’oggi la legge incontra una serie di limiti. Lo Stato non può approvare leggi che siano in contrasto
con la Costituzione. Il secondo limite è dato dai trattati internazionali, difatti, se una legge è in contrasto
con un trattato internazionale, questa verrà annullata dalla Corte costituzionale. Il terzo limite è la
normativa europea: la legge non può essere in contrasto con un trattato europeo o con un regolamento
europeo. Se una legge italiana è in contrasto con un regolamento europeo deve essere immediatamente
disapplicata dal giudice o da chiunque altro la debba applicare, fino a quando non verrà dichiarata
incostituzionale davanti alla Corte. Lo Stato non può fare leggi che riguardano materie che la Costituzione
attribuisce alle regioni.

Revisione costituzionale

La Costituzione italiana è una costituzione rigida, tuttavia ha bisogno nel tempo di essere aggiornata per
evolversi all’evoluzione della società, per questa ragione ha una parte modificabile, una parte parzialmente
modificabile ed una parte non modificabile:
 La sezione non modificabile comprende gli articoli dall’1 al 12, i cosiddetti principi fondamentali
(dove viene definita la forma repubblicana) e l’art 139 che afferma proprio che la forma
repubblicana non può essere oggetto di revisione costituzionale. Inoltre, non è modificabile
neanche il principio della separazione dei poteri, in quanto è il metodo democratico di
organizzazione del potere;
 Si possono parzialmente modificare gli articoli dal 13 al 54, i quali stabiliscono i diritti e i doveri dei
cittadini, nella misura in cui si vuole migliorare il bilanciamento tra i diritti e doveri di un cittadino.
Nessun diritto e nessun dovere può essere soppresso, ma se ne può limitatamente cambiare il
contenuto;
 La sezione che comprende gli articoli che vanno dall’articolo 55 al 138 è modificabile, dedicata alle
organizzazioni (in cui si possono modificare i rapporti tra Stato e regioni (senza sopprimere
quest’ultime), la Corte costituzionale (sempre senza sopprimerla), ecc…).

L’organo competente a modificare la costituzione è il Parlamento. La Costituzione si modifica con il


procedimento disciplinato nell’articolo 138, il cosiddetto procedimento “aggravato”, che si compone di 4
fasi:

1. La prima fase è uguale al procedimento legislativo ordinario: presentazione di un disegno di legge


costituzionale (tranne le regioni e il CNEL); entrambe le camere devono approvare lo stesso testo (a
maggioranza semplice);
2. Seconda fase (attività di verifica di 3 mesi, pausa di riflessione). Dopo che le due camere hanno
approvato lo stesso testo, il procedimento si ferma per 3 mesi, che servono alle forze politiche
parlamentari che vogliono la riforma per capire se dalla maggioranza semplice si riesce a passare ad
almeno la maggioranza assoluta (necessaria per la 2° deliberazione);
3. Terza fase (seconda deliberazione). Il disegno di legge costituzionale viene riapprovato dalle due
camere (prima in commissione, poi in assemblea) senza possibilità di modifiche:
 a maggioranza assoluta in entrambe le camere, in questo caso ci sono 3 mesi per chiedere il
referendum confermativo (possono chiederlo o 500mila elettori, o 5 consigli regionali oppure 1/5
dei componenti della camera o del senato). Se viene chiesto il referendum confermativo, il
presidente della Repubblica pubblica la legge di riforma sulla Gazzetta Ufficiale e in quel caso la
volontà del popolo è sovrana (nel referendum confermativo non c’è un numero minimo di persone
che devono andare a votare). Se entro 3 mesi non viene chiesto referendum confermativo, anche
se era stata raggiunta solo la maggioranza assoluta, si promulga e si pubblica;
 o a maggioranza dei ⅔ in entrambe le camere (la maggioranza dei ⅔ è considerata bastevole,
sufficiente, perché comprende parte dell’opposizione), in questo caso il procedimento di revisione
si chiude con la promulgazione da parte del Presidente della Repubblica e con la pubblicazione
della legge di riforma sulla Gazzetta Ufficiale;
4. Nella quarta fase la riforma costituzionale entra in vigore perché è definitiva.

?riserva di legge

Referendum abrogativo (art.75)

Il referendum abrogativo è uno strumento di democrazia diretta che si prefigge di abrogare una legge
ordinaria dello stato tramite una consultazione popolare.

Il referendum è l’istituto giuridico mediante il quale il popolo esprime in modo diretto e immediato la
propria volontà attraverso un sì o un no e la decisione del popolo ha un effetto giuridico. L’abrogazione è la
perdita di efficacia di un atto (fonte) perché ne è stato approvato un altro (in questo caso l’atto è la
decisione popolare).

Caratteristiche previste dalla costituzione:


 Il referendum abrogativo è posto all’articolo 75 per dare un monito al legislatore sul fatto che quasi
tutte le leggi che il parlamento approva possono essere abrogate dal popolo con un referendum;
 Ha una forma di legislazione negativa: con il referendum abrogativo il popolo toglie qualcosa
dall'ordinamento giuridico ma non sostituisce quello che viene tolto, senza creare però delle
lacune;
 È un istituto di democrazia diretta: la Costituzione affida al popolo il compito di decidere in maniera
diretta e immediata;
 Si può sottoporre al referendum sia un’intera legge che alcuni articoli di una legge. Si può
sottoporre a referendum soltanto la legge ordinaria dello Stato e gli atti aventi forza di legge (i
decreti legge e i decreti legislativi). Non si può sottoporre a referendum abrogativo un
regolamento, un articolo della costituzione o una legge regionale.

Il procedimento referendario è composto di 4 fasi:

1. Iniziativa

Il referendum può essere richiesto tramite:

- richiesta popolare: 10 promotori presentano alla cancelleria della Corte di Cassazione il quesito sul
quale verranno poi raccolte 500 mila firme elettorali;
- richiesta regionale: 5 consigli regionali devono approvare la richiesta di referendum a maggioranza
assoluta.

L’iniziativa deve essere presentata entro il 30 Settembre, ed entro il 15 Dicembre l’Ufficio centrale per il
referendum, che è istituito presso la Corte di Cassazione, controlla la presenza e la validità delle 500 mila
firme (verifica che ogni firma corrisponda alla persona identificata col documento di riconoscimento);

2. Giudizio di ammissibilità

La Corte costituzionale controlla che il referendum non sia inammissibile. Si articola in due sottofasi:

 Controllo tecnico: l’ufficio centrale per il referendum istituito presso la Corte di Cassazione opera
un giudizio di conformità alla legge (controlla le firme e le carte d’identità);
 La Corte costituzionale verifica la compatibilità con la Costituzione. Questo perché non è ammesso
il referendum abrogativo per le materie previste dall’art. 75 della Costituzione: leggi tributarie (per
impedire che col referendum venisse meno la base legale sulla quale si erano raccolti i tributi) e di
bilancio, leggi di amnistia e indulto, leggi di rettifica di trattai internazionali. L’amnistia è quella
legge che cancella un reato, e quindi cancella la pena che le persone stanno scontando per aver
commesso quel reato. Quando il Parlamento approva una legge sull’amnistia (a maggioranza
qualificata) significa che sta approvando una legge che non considera più reato quel determinato
comportamento e automaticamente cancella la pena per tutti coloro che l’hanno scontata o la
stanno scontando. L’indulto è quella legge che invece non cancella il reato, ma cancella la pena.
Nel tempo la Corte costituzionale ha aggiunto altre materie sule quali non è possibile autorizzare il
referendum: leggi costituzionali (violerebbe l’art. 138), leggi rinforzate (tutte quelle leggi che
presuppongono un accordo), leggi a “contenuto costituzionalmente vincolato” (leggi indispensabili
in cui non è ammessa una legislazione negativa, se abroghiamo una legge deve esserci già un’altra
sostitutiva). Questo perché si creerebbero delle lacune insanabili all’interno dell’ordinamento.

Il giudizio di ammissibilità deve verificare che l’abrogazione che il referendum produrrebbe non determini
una lacuna insostenibile nell’ordinamento giuridico.

3. Indizione
Il Presidente della Repubblica deve fissare il girono della votazione tra il 15 aprile e il 15 giugno. Quando il
Governo non è favorevole al referendum, tende a metterlo alla fine del periodo; se è d’accordo la indice
entro aprile. L’esperienza più recente dimostra la tendenza a collocare i referendum nell’ultima parte del
periodo previsto sia per dare al Parlamento il maggior tempo possibile per intervenire sia per altre
motivazioni.

4. Votazione

L’art. 75.4 prevede il superamento di due quorum:

 quorum di partecipazione (50% + 1 degli aventi diritto al voto);


 quorum deliberativo (voto favorevole all’abrogazione della legge da parte del 50% + 1 di coloro che
si sono recati a votare).

Il referendum ha tre possibilità di voto: non andare a votare (astensione), andare a votare “si” e andare a
votare “no”.

Gli esiti possibili sono tre:

 Se non si raggiunge il quorum di partecipazione (il 50% + 1 degli aventi di diritto), la legge resta in
vigore; è come se il referendum non si fosse mai tenuto, ma l’anno successivo si può riproporre (no
effetti giuridici, ma importanti effetti politici);
 Se si raggiunge il quorum di partecipazione e i no prevalgono sui si, la legge resta in vigore e lo
stesso quesito non si può riproporre per 5 anni (quanto la durata della legislatura);
 Se si raggiunge il quorum di partecipazione e i si prevalgono sui no, il Presidente della Repubblica
dichiara l’avvenuta abrogazione della legge e il decreto viene pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale.

Durante il procedimento referendario, il legislatore può intervenire sulla legge che è oggetto di
referendum. Se il Parlamento interviene modificando sostanzialmente la legge che si deve sottoporre a
referendum, non c’è più bisogno del referendum (perché il Parlamento comprende le richieste del popolo);
se invece il Parlamento interviene modificando parzialmente la legge, il referendum si farà sul nuovo testo
della legge (deve essere un intervento concreto, e non fittizio solo per evitare il referendum, devono esserci
modifiche sostanziali).

Il legislatore può riapprovare una legge che il popolo ha abrogato? Se sì, dopo quanto tempo? Se il popolo
abroga una legge, questa non si può riapprovare negli stessi 5 anni, il Parlamento può riproporre la stessa
legge nel momento in cui si convince che il corpo elettorale ha cambiato idea su quella questione.

Il Referendum ha valore polemico nei confronti delle forze politiche? Il referendum è un’antagonista del
sistema politico?

- Quando ci sono tanti referendum c’è antagonismo: come se tutto quello che il Parlamento approva, il
corpo elettorale non lo condivide;

- Quando ce n’è uno ogni tanto, il ceto politico utilizza il referendum per far decidere al corpo elettorale
quello che le forze politiche non vogliono decidere esplicitamente.

Il Governo

L’organizzazione statale è un’organizzazione complessa, nella quale abbiamo due organi costituzionale che
hanno il compito di decidere, ossia Parlamento e Governo, e due organi costituzionali che hanno il compito
di controllare, ossia il Presidente della Repubblica e la Corte costituzionale. Parlamento e Governo svolgono
quello che noi chiamiamo indirizzo politico di maggioranza, ossia decidono. Presidente della Repubblica e
Corte costituzionale svolgono quello che noi chiamiamo indirizzo politico costituzionale, cioè svolgono una
funzione di controllo.
Il Governo è l’organo che esercita il potere esecutivo. È un organo costituzionale complesso, composto dal
Presidente del Consiglio dei ministri e dai ministri, che formano il Consiglio dei ministri (organi necessari).
Ognuno dei quali ha un potere decisionale autonomo. In un Governo possiamo anche trovare organi non
necessari: ogni Governo decide se vuole che ci siano, in quel governo specifico, anche degli ulteriori organi,
i quali non sono previsti dalla Costituzione, come vice-presidente del Consiglio dei ministri, Consiglio di
Gabinetto, viceministri, ecc.

Il Governo è un organo non eletto dai cittadini, ma che deve avere la fiducia del Parlamento. La fiducia, da
un punto di vista formale, è un atto parlamentare, che prende il nome di mozione, sul quale ciascuna
Camera vota; da un punto di vista politico, invece, è un rapporto che intercorre tra Governo e Parlamento
in base al quale il Governo è legittimato ad esercitare i suoi poteri. Quindi in una forma di Governo
parlamentare il Governo non può esercitare le proprie funzioni senza la fiducia del Parlamento.

La Costituzione dedica al Governo pochi articoli (dal 92 al 95); questo perché, essendo l'organo esecutivo,
deve avere un forte margine di discrezionalità nella sua organizzazione, c’è un nucleo necessario che la
Costituzione prevede, ma poi il resto dell'organizzazione del governo è dinamica, per adattare nel tempo la
struttura del governo al cambiare dei processi decisionali.

Con l’entrata in vigore della Costituzione, il Governo ha un potere normativo primario, cioè può adottare
atti aventi forza e valore di legge (decreti-legge e decreti legislativi).

Il Governo è un organo a tempo indeterminato, che nasce con la nomina da parte del Presidente della
Repubblica e termina con la nomina del Governo successivo. L'elemento fondamentale della vita di un
Governo è il Presidente del Consiglio, il quale se accetta di formare un governo ne dà vita ad uno, ma se
decide di dimettersi ne causa la fine. Il momento in cui il Presidente del Consiglio si dimette è definito crisi,
quindi la successione dei governi è la conseguenza del succedersi di crisi di governo. Le crisi di governo
possono essere di due tipi:

1. Crisi di governo parlamentare (crisi giuridiche) (rarissima, in 70 anni di storia costituzionale solo il
governo Prodi nel 2008 è stato colpito dalla mozione di sfiducia)

Il Presidente del Consiglio si dimette perché una delle due camere ha votato la sfiducia. Si può verificare in
due casi:

- mozione di sfiducia (atto parlamentare): una Camera revoca con mozione la fiducia
precedentemente accordata al Governo;
- questione di fiducia (atto governativo): il Governo dichiara di far dipendere la propria permanenza
in carica dall’approvazione parlamentare di un determinato testo di legge; se esso non viene
approvato, si intende venuta meno la fiducia da parte del Parlamento e il Governo è obbligato a
dimettersi.

La fiducia e la sfiducia si votano a maggioranza semplice e per appello nominale.

2. Crisi di governo extra-parlamentare (crisi politiche): si verifica quando il Presidente del Consiglio si
dimette per ragioni personali. Sono dimissioni politiche che nascono dalla percezione da parte del
Presidente del consiglio di non avere più la fiducia della sua maggioranza. Il Presidente non vuole
entrare in rotta di collisione con la sua maggioranza per avere ancora un futuro politico.

Procedimento di formazione del Governo

Quando si apre una crisi di Governo inizia il procedimento di formazione del nuovo Governo: Si noti che:

 le fasi del procedimento sono il frutto di consuetudini e prassi costituzionali;


 il sistema elettorale influenza notevolmente il procedimento di formazione di un Governo.
Il momento in cui comincia a formarsi un governo inizia con le dimissioni da parte del Presidente del
Consiglio, il quale si dimette andando dal Presidente della Repubblica e presentando le dimissioni. Se la crisi
è di tipo extra-parlamentare, il Presidente della Repubblica deve cercare di capire perché il Presidente del
consiglio si sta dimettendo (perché non va più d'accordo con la sua maggioranza? Perché un partito che è in
maggioranza sta creando problemi? Perché il Presidente del consiglio si vuole liberare di qualche ministro?
(si chiama rimpasto di governo)). Se il Presidente della Repubblica si rende conto che effettivamente la crisi
c'è, accetta le dimissioni e cominciano le fasi di formazione del governo (il processo di formazione del
governo non è presente nella Costituzione, quindi è una consuetudine costituzionale):

1. Prima fase (Consultazioni): Il Presidente della Repubblica consulta per garbo gli ex Presidenti della
Repubblica, i Presidenti di Camera e Senato, i presidenti dei gruppi parlamentari e le delegazioni dei
partiti (i soggetti più importanti), per cercare una personalità da incaricare, il soggetto in grado di
formare un Governo che possa ottenere la fiducia del Parlamento. Se dopo i 4 giri di consultazione
non riesce a far dire qualcosa di concreto ai partiti scioglie anticipatamente le camere;
2. Seconda fase: se il Presidente della Repubblica riesce a trovare una personalità alla quale dare
l’incarico di formare il governo, questa persona prende il titolo di Presidente del consiglio
incaricato. Egli accetta con riserva, riserva di verificare: se i partiti che gli hanno promesso
l’appoggio lo appoggeranno davvero; se riesce a scrivere una lista di ministri (interni, esteri,
giustizia, difesa, economia); se riesce a scrivere un programma di governo sul quale il Parlamento
dovrà dare la fiducia. Se riesce a fare queste tre cose il Presidente del consiglio incaricato accetta
l’incarico;
3. Terza fase: accettazione dell’incarico e la nomina (e giuramento). Il Presidente della Repubblica
nomina con proprio decreto il Presidente del Consiglio e i ministri sotto consiglio del Presidente del
Consiglio, i quali devono prestare giuramento nelle mani del Presidente della Repubblica (il
Presidente della Repubblica può rifiutarsi di nominare un ministro (per ragioni di opportunità), ma
non può proporne uno). Con la nomina e il giuramento abbiamo un Governo in carica; il Governo è
immesso nell’esercizio delle sue funzioni. Il Governo entro 10 giorni dalla nomina si deve
presentare alle camere per ottenere la fiducia. In questi 10 giorni il Governo può compiere atti di
ordinaria amministrazione, ma non può presentare disegni di leggi in parlamento e non può
cominciare ad impegnare il programma di governo finché non ottiene la fiducia;
4. Quarta fase (fiducia da parte di entrambe le camere): la fiducia è una mozione (atto parlamentare)
che ha come contenuto il programma che il Governo intende svolgere durante il suo mandato,
quindi un testo che contiene il programma di governo che è stato scritto dal Presidente del
Consiglio, il quale lo illustra in entrambe le camere. Ogni camera deve approvare la fiducia a
maggioranza semplice (vantaggio per un governo che nasce ma un rischio per un governo in carica,
perché c'è il rischio che la mozione di sfiducia venga approvata a maggioranza semplice, quindi che
venga approvata dalla minoranza. Se la maggioranza consente di far votare la sfiducia al governo
significa che o non è più maggioranza oppure che la maggioranza è ancora forte ma ha deciso in
questo modo di liberarsi del Presidente del consiglio che non si vuole dimettere). La Costituzione lo
ha previsto per consentire all'inizio la nascita di quelli che vengono chiamati Governi di minoranza
(difficilmente in Italia è nato un Governo di minoranza).

Il governo è l'organo che prende le decisioni, che controlla la pubblica amministrazione e controlla tutte le
società di proprietà dello Stato, quindi, controlla i consigli di amministrazione di tutte le società pubbliche e
anche tutti enti pubblici di nomina governativa.

Cessazione delle funzioni

Il Governo termina al momento delle dimissioni del Presidente del Consiglio. Tuttavia, fino alla nomina del
Governo successivo, il Governo precedente resta ancora in carica per il principio di “mai un giorno senza un
organo costituzionale”. I poteri dei Governi dimissionari sono limitati al solo “disbrigo degli affari correnti”.
Vige un principio della successione dei Governi, tale per cui c’è continuità tra Governo dimissionario e
nuovo Governo. Per prassi consolidata, il Governo si dimette dopo il rinnovo del Parlamento,
indipendentemente dal risultato elettorale (ministri).

Presidente del Consiglio

Il Presidente del Consiglio lo definiamo “primus inter pares”, non è il superiore gerarchico del governo, non
ha il potere di revocare i ministri perché non li nomina, ma neanche il Presidente della Repubblica ha il
potere di revocarli, quindi una volta che vengono nominati i ministri diventano intoccabili. Se il Presidente
del consiglio vuole liberarsi di un ministro ha sostanzialmente tre strade:

1. strada politica: il Presidente del consiglio chiede al ministro di dimettersi;


2. strada giuridica: presentazione di una mozione di sfiducia individuale nei confronti del ministro (la
mozione di sfiducia viene presentata sempre dall’opposizione, la maggioranza di governo fa in
modo che questa mozione venga votata);
3. rimpasto di governo: la richiesta al Presidente della Repubblica di accettare le dimissioni del
Presidente del consiglio in cambio di una nuova nomina (via incerta).

Il Presidente del Consiglio mantiene l’unità dell’indirizzo politico ed amministrativo, impartisce ai ministri
direttive in attuazione delle deliberazioni del Consiglio dei ministri, promuove e coordina l’attività dei
Ministri. Può, infatti, sospendere l’adozione di qualsiasi atto da parte del Ministro per sottoporlo al
Consiglio dei ministri, può deferire al Consiglio dei ministri la decisione su eventuali conflitti tra
amministrazioni pubbliche in contrasto tra loro, può concordare con i Ministri eventuali dichiarazioni
pubbliche quando queste riguardano la politica generale del Governo. Il Presidente del Consiglio propone al
Presidente della Repubblica la lista dei ministri, propone la questione di fiducia al Consiglio, controfirma
qualsiasi atto deliberato dal Consiglio, presenta alle Camere i disegni di legge d’iniziativa governativa, ha
l’alta direzione e la responsabilità politica dei servizi di sicurezza, coordina l’azione del Governo in materia
di rapporti con l’UE, propone e coordina l’azione del Governo in materia di rapporti con le autonomie
territoriali.

La legge attribuisce al Presidente del Consiglio sia il potere di essere a capo dei servizi segreti del nostro
Paese e sia di porre il segreto di Stato. Per tradizione il Presidente del Consiglio nomina qualcuno al suo
posto come capo dei servizi segreti e tiene per sé il potere di porre il segreto di Stato (che non può delegare
a nessuno). Se si mettono insieme le due cose, il capo dei servizi segreti potrebbe decidere su cosa porre il
segreto di Stato, con la possibilità di sottrarre alla conoscenza dell’opinione pubblica, ma anche alla
conoscenza della magistratura qualsiasi cosa voglia. Il segreto di stato è una decisione con la quale si
rendono segreti documenti, prove, oggetti che sono legati ad un fatto particolarmente grave per la vita
istituzionale del nostro Paese. La conseguenza della decisione di mettere il segreto di stato significa che la
magistratura indagherà su quel fatto, ma non potrà utilizzare tutta una serie di documenti che sono stati
coperti dal segreto di stato. Il Presidente del Consiglio ha anche il diritto di togliere il segreto di stato.

Il Presidente del Consiglio decide l'ordine del giorno del Consiglio dei ministri (decide di che cosa si parlerà)
e decide quali atti si portano in approvazione al Consiglio dei ministri. Il Consiglio dei ministri non fa tutto
quello che Presidente del consiglio chiede; tuttavia, se il Consiglio dei ministri approva un atto con
decisione contraria al Presidente del consiglio, il Presidente del Consiglio può non controfirmarlo e quindi
quell'atto non diventerà esecutivo. Il Presidente del Consiglio ha il potere del segreto di Stato.

Il Presidente del Consiglio non può imporre la sua volontà sul Consiglio dei ministri, ma il Consiglio dei
ministri non può adottare una delibera sulla quale il Presidente del Consiglio non è d’accordo.

Consiglio dei ministri


Il Consiglio dei ministri è l’organo giuridicamente e politicamente più importante nel Governo. È un organo
collegiale formato dal Presidente del Consiglio e da tutti i ministri (con e senza portafoglio). Il Consiglio dei
ministri si riunisce a porte chiuse e i verbali sono disponibili solo cinquant'anni dopo la seduta in cui sono
stati scritti. Questa segretezza è dovuta al fatto che le decisioni che si prendono all'interno del governo
sono decisioni di interesse nazionale, e quindi in alcuni casi il riserbo su dibattiti interni al governo sono
necessari per consentire al governo di discutere, portando all'esterno l'idea di un governo compatto. Il
Consiglio dei ministri è l'organo più importante del governo perché è l'organo nel quale si prendono le
decisioni che hanno un effetto giuridico immediato.

Il Consiglio dei ministri si riunisce a porte chiuse e i verbali del Consiglio dei ministri sono segreti per 50
anni. Al Consiglio dei ministri si vota a maggioranza, ma giuridicamente le decisioni sono prese
all’unanimità; questo significa che se la delibera viene approvata, chi si è astenuto o ha votato contro,
giuridicamente è come se avesse votato a favore. Nel Consiglio dei ministri, formalmente, nessuno può
votare contro. Tutti i ministri devono partecipare al Consiglio dei ministri, anche se oggi la legge consente
che un ministro possa essere assente o per ragioni personali (che in politica sono sempre ragioni politiche),
oppure se all'ordine del giorno c’è qualche argomento sul quale il ministro, o addirittura il Presidente del
consiglio, ha un conflitto di interesse.

Competenze del Consiglio dei ministri:

1. è l’organo normativo del Governo, ossia è l'organo nel quale si approvano gli atti normativi del
Governo, infatti è nel Consiglio dei ministri che si decide e si delibera sulla presentazione dei disegni
di legge, dei regolamenti governativi, di un decreto legge e di un decreto legislativo;
2. è nel Consiglio dei ministri che si decide e si delibera la politica europea e internazionale del nostro
paese;
3. è nel Consiglio dei ministri che si decide, sulla proposta del Presidente del Consiglio, di porre la
questione di fiducia. La questione di fiducia è un atto del governo non previsto dalla costituzione,
ma introdotto nel nostro ordinamento da una legge del 1988. Il Governo pone la questione di
fiducia su una legge che porta in approvazione in Parlamento che considera fondamentale per
l’attuazione del suo programma di governo. Quindi con la questione di fiducia il Governo mette alla
prova la propria maggioranza, chiedendo un gesto di compattezza da dimostrare mediante
l'approvazione di un atto normativo sul quale la propria maggioranza evidentemente ha qualche
incertezza;
4. è nel Consiglio dei ministri che si decide sulle nomine al vertice di enti, istituti o aziende di carattere
nazionale di competenza dell’amministrazione dello Stato. Il problema è che quando cambia il
governo, il nuovo governo comincia a fare pressione per sostituire i funzionari pubblici apicali;
5. è nel Consiglio dei ministri che si decide se inviare alla Corte costituzionale una legge regionale o se
sollevare conflitto di attribuzione contro un altro potere dello Stato o contro una Regione.

I Ministri

I ministri sono organi di vertice degli apparati amministrativi in cui la legge ripartisce la Pubblica
amministrazione statale, denominandoli Ministri. Essi sono componenti del Consiglio die Ministri.

Il numero dei ministri non è previsto dalla Costituzione né da nessuna disposizione; è indeterminato anche
se i ministeri sono per legge 14, ma non è detto che i ministri di un governo siano 14, perché esistono i
ministri con portafoglio, cioè i ministri che hanno la responsabilità di un ministero, ma anche un numero
variabile di ministri senza portafoglio, i quali sono un organo non necessario del governo.

I ministri senza portafoglio sono ministri che siedono al Consiglio dei ministri, dove valgono uno, quindi
esattamente come un ministro con portafoglio, ma che non hanno la responsabilità di alcun ministero. I
ministri senza portafoglio hanno uno scopo numerico, ossia esistono per stabilire una corretta
corrispondenza tra forza parlamentare dei partiti e forza dei partiti in Consiglio dei ministri (più è
frammentato il governo più servono ministri senza portafoglio, perché la corrispondenza proporzionale non
è precisa). I ministri senza portafoglio vengono scelti dal Presidente del Consiglio e dagli altri segretari di
partito che appoggiano il Governo tra le persone politicamente a loro più vicine, persone di fiducia (in
modo tale da portare in Consiglio dei ministri dai voti certi). Il ministro con portafoglio ha un potere che
proviene dal suo ministero, del quale è il vertice assoluto.

Diventare ministri, non essendo revocabili, fa sì che ogni ministro sia un organo costituzionale dotato di una
propria autonomia. In particolare, un ministro con portafoglio che agisce come ministro del proprio
ministero ha un’autonomia fortissima (come il ministro dell’economia, che infatti è chiamato super-
ministro).

I viceministri sono quelle figure che si occupano amministrativamente di una parte del ministero, ma non
vanno in Consiglio dei ministri. I ministri senza portafoglio invece non hanno un ministero ma votano in
Consiglio dei ministri. Quindi sono uno l'opposto dell’altro, uno è politico, l’altro è amministrativo.

Responsabilità dei ministri

Il ministro è responsabile di ciò che fa nell’esercizio delle sue funzioni, quindi ogni ministro che ha un
ministero ha una responsabilità civile, amministrativa e contabile. Il ministro ha anche una responsabilità
politica (individuale), ciò significa che il ministro è responsabile nei confronti del Parlamento sulla politica
del suo ministero. Anche se la Costituzione non lo prevede, esiste la sfiducia individuale di un ministro, cioè
il potere che ha ciascuna Camera di presentare una mozione di sfiducia non nei confronti dell’intero
Governo, ma nei confronti del singolo ministro. La sfiducia individuale si vota a maggioranza semplice.

Tutti i ministri sono responsabili giuridicamente e politicamente (responsabilità collegiale) per le decisioni
del Consiglio dei ministri, anche se poi a risponderne è il Presidente del consiglio.

Ogni ministro ha una responsabilità penale: bisogna distinguere tra responsabilità del ministro come
persona e responsabilità del ministro come ministro:

- Quando il ministro viene preso in considerazione come persona, la sua immunità è uguale a quella
dei parlamentari: può essere intercettato, perquisito o arrestato solo sotto autorizzazione della
camera di appartenenza, e se il ministro non è parlamentare, serve l’approvazione del Senato.
- Se, invece, viene preso in considerazione come ministro, ossia nello svolgimento delle sue funzioni,
in questo caso interviene il tribunale dei ministri. Il tribunale dei ministri è un giudice ordinario che
ha il compito di verificare che il pubblico ministero che vuole indagare il ministro ha degli elementi
concreti, se ci sono questi elementi si può cominciare l’indagine; se però si vuole rinviare a giudizio
un ministro, a questo punto serve l'autorizzazione della camera di appartenenza, se non è
parlamentare serve l'autorizzazione del Senato (la prima garanzia è giuridica, la seconda è una
garanzia politica). Di solito la camera dà sempre l’autorizzazione a processare il ministro, proprio
per evitare contrasti tra politica e magistratura.

Organi non necessari

Sono organi non necessari tutti quegli organi che non sono previsti espressamente dalla Costituzione e
possono esserci o anche non esserci all’interno del governo.

Il vicepresidente del Consiglio è quella personalità di spicco di un partito che appoggia il Governo e che o
non vuole essere ministro o vuole essere presente all’interno del Consiglio dei ministri con un ruolo
rafforzato. Il ruolo di vicepresidente del Consiglio è stato immaginato per consentire ai leader di partito che
non volevano assumere un incarico ministeriale di essere presenti comunque al Consiglio dei Ministri. Se il
vicepresidente del Consiglio non è anche ministro non può sostituire il Presidente del Consiglio in caso di
assenza perché non sono organi necessari del Governo.

Il Consiglio di Gabinetto è una riunione solo di alcuni ministri con il Presidente del Consiglio. È il Consiglio
dei ministri più importanti di un Governo, ovvero quelli che svolgevano le 5 funzioni più importanti. Sono il
Ministro dell’economia, esterni, interni, giustizia e difesa; queste sono le 5 funzioni alle quali uno stato non
può mai rinunciare. Questi 5 ministeri sono presenti nel Governo di un qualsiasi Stato al mondo e
corrispondo alle 5 funzioni essenziali di uno Stato.

Decreti-legge e Decreti legislativi

La nostra forma di governo, pur essendo parlamentare (riconosce centralità al parlamento), ha registrato
nel tempo una crescente importanza del governo, il quale è il vero motore del sistema istituzionale. Questo
è possibile anche grazie al fatto che la nostra Costituzione riconosce al governo la possibilità di approvare
due atti normativi che vanno a collocarsi tra le fonti primarie, ossia degli atti aventi forza di legge (nella
gerarchia delle fonti si collocano allo stesso livello della legge), i quali sono i decreti-legge e i decreti
legislativi.

Nel periodo liberale il Governo aveva la possibilità solo di fare i regolamenti, che sono fonti secondarie. Il
Governo aveva iniziato a immaginare la possibilità di utilizzare delle fonti nuove che avessero la stessa forza
della legge (ossia che nella gerarchia delle fonti si collocano allo stesso livello della legge). Ed è così che
sono nati gli atti aventi forza di legge, decreti legge e decreti legislativi.

Siccome hanno forza di legge, posseggono una forza:

 Attiva: significa che hanno la capacità di abrogare una legge precedente (fonti dello stesso livello
ma precedenti);
 Passiva: significa che hanno la capacità di non farsi abrogare da una fonte di grado inferiore
(seppure successive).

I decreti legge e i decreti legislativi sono due atti normativi che nascono prima della costituzione: il decreto
legge nasce nel 1908 con il terremoto di Messina, mentre il decreto legislativo nasce durante il periodo
fascista. I decreti nascono dalla normativizzazione, ossia dalla trasformazione di quello che è un atto
amministrativo in un atto normativo (far diventare norme delle regole che prima erano contenute in un
atto amministrativo).

Gli articoli 76 e 77 della Costituzione disciplinano i decreti legge e i decreti legislativi; entrambi gli articoli
contengono una doppia negazione per sottolineare che non è la regola ma è l’eccezione. Nell’utilizzare la
doppia negazione il Costituente ha voluto sottolineare che c’è una regola che ammette l’eccezione.

Decreti legislativi

I decreti legislativi sono atti aventi forza di legge mediante i quali il Governo esercita la funzione legislativa
su delega del Parlamento (art. 76 Cost.). Essi rappresentano un’eccezione alla regola generale (perché di
regola la funzione legislativa è esercitata dal Parlamento).

La presenza dei decreti legislativi è dovuta al fatto che ci sono delle materie così articolate e complesse che
il Parlamento non sarebbe in grado di approvarle tutte da sole, quindi delega la disciplina di un certo
oggetto al Governo, i quali utilizzano proprio i decreti legislativi. Quando vengono utilizzati in maniera
molto frequente i decreti legislativi significa che la maggioranza si fida molto del suo governo, ma in questo
modo il Parlamento esclude l'opposizione dall'approvazione degli atti normativi. Tuttavia, il Parlamento non
è completamente escluso dagli atti normativi del Governo. La presenza del Parlamento avviene prima o
dopo l'approvazione da parte del governo (nel decreto legislativo è prima, nel decreto legge è dopo).
Questo significa che il titolare dell'esercizio della funzione legislativa resta il Parlamento, ma la Costituzione
riconosce al Governo il potere di produrre fonti primarie o per delega del Parlamento o in caso di
straordinaria necessità ed urgenza.

Quindi tutte le volte che il Parlamento vuole delegare al governo la disciplina di un determinato oggetto
deve approvare una legge ordinaria. Stesso il Parlamento presenta il disegno di legge di delega, il governo
decide cosa si vuol far delegare, come se lo vuole far delegare, il Parlamento approva e poi il governo scrive
il decreto legislativo. Quindi non ci può essere decreto legislativo se prima il Parlamento non approva una
legge delega.

Una legge delega deve necessariamente contenere tre elementi:

1. Deve contenere un termine (temporale): la delega non è a tempo indeterminato, deve prevedere
una scadenza o in termini di mesi o in termini di data. La scadenza è tassativa, il decreto legislativo
non può essere approvato dopo la scadenza altrimenti è incostituzionale;
2. Deve contenere un oggetto (non la materia): non si può delegare un’intera materia, ma ogni
delega deve contenere un solo oggetto, ossia parte di una materia;
3. Deve contenere i principi e i criteri direttivi (punto più importante): il Parlamento deve dare al
Governo l'indicazione di quali sono i criteri e i principi direttivi dell'oggetto che si deve disciplinare
(deve dire al Governo quali obiettivi si devono raggiungere e come si devono raggiungere). Se
mancano i principi e i criteri direttivi la legge sarà incostituzionale. È il punto più importante della
delega perché politicamente sono le indicazioni al Governo del contenuto.

Il decreto legislativo viene di solito scritto da un ministro, quindi all’interno di un ministero, e poi deve
essere approvato dal Consiglio dei ministri. Dopo l'approvazione viene inviato al Presidente della
Repubblica per quella che viene chiamata emanazione (che è la stessa cosa della promulgazione), ossia un
atto di controllo del Presidente della Repubblica che verifica in modo macro la legittimità costituzionale del
decreto che il Governo ha approvato.

Se il Presidente della Repubblica ravvisa degli elementi di incostituzionalità nel testo, lo rinvia al governo
informalmente con le indicazioni delle parti che secondo lui vanno modificate (non è quindi obbligato a
emanare). Il Governo qui è meno forte del Parlamento, perché con la promulgazione se il Parlamento
riapprova per la seconda volta la stessa legge, il Presidente deve promulgare necessariamente. In questo
caso, invece, il Presidente della Repubblica si potrebbe opporre all'emanazione del decreto fin quando il
governo non corregge, oppure non si conforma ai rilievi del Presidente. In questo caso il governo è più
debole rispetto al Parlamento, perché non ha la certezza di poter obbligare il Presidente della Repubblica a
emanare il decreto. Quando il Presidente della Repubblica verifica la legittimità del decreto legislativo,
seppure in modo macro, non controlla soltanto tutta la Costituzione, ma controlla nello specifico anche
l'articolo 76. La legge delega è norma interposta, rispettando la legge delega il governo rispetta la
costituzione, se non rispetta la legge delega, non rispetta la Costituzione, questo vizio si chiama “Eccesso di
delega”.

Il Governo non è obbligato a esercitare la delega qualora ritenga non condivisibili i principi e i criteri
direttivi. Il parlamento inoltre può ritirare la delega approvando una legge che abroga la legge delega che
era stata approvata (attraverso il quarto comma l’articolo 72, sempre procedimento ordinario).

Decreto legge

I decreti legge sono atti normativi aventi forza di legge che il Governo adotta sotto la sua responsabilità in
casi straordinari di necessità e urgenza (art. 77 della Cost.) (più utilizzato del decreto legislativo).

Negli ultimi 10 anni abbiamo registrato una diminuzione dei decreti legislativi, mentre il numero dei decreti
legge è rimasto sempre molto elevato. I decreti legge sono atti che vivono una grande fortuna, una grande
visibilità, per due motivi: il primo motivo è perché rispondono a una esigenza, questo perché oggi le società
cambiano molto velocemente e i tempi di approvazione di una legge sono tempi che mal si conciliano con
la dinamicità delle società; il secondo motivo è che testimoniano la centralità del Governo, che oggi ha un
rapporto di forza nei confronti della sua maggioranza parlamentare.

Il governo può adottare i decreti legge in presenza di tre presupposti:

 casi straordinari: legati a circostanze imprevedibili;


 di necessità: per cui non è possibile provvedere con legge;
 di urgenza: che rende necessaria la produzione immediata di effetti.

Tuttavia, nel tempo si è iniziato ad utilizzare i decreti legge tutte le volte in cui si è ritenuto che la situazione
non potesse aspettare i tempi parlamentari (tranne per le questioni etiche), questo perché il Parlamento
non ci dà certezze sui tempi di approvazione di una legge.

Del decreto legge non si deve sapere nulla fino al momento in cui viene approvato dal Consiglio dei ministri,
è un atto normativo che viene scritto nel silenzio (non considerando il periodo covid, di regola i Consigli dei
Ministri che devono approvare i decreti legge, soprattutto quelli economici, si riuniscono il venerdì, perché
il sabato le borse sono chiuse, perché in questo modo si evita che le borse possano avere una reazione
senza aver letto per davvero cosa c'è scritto nel decreto).

Il decreto legge è deliberato dal Consiglio dei ministri, successivamente è soggetto di controllo da parte del
Presidente della Repubblica, il quale se non ravvisa elementi di incostituzionalità procede con
l’emanazione. Il giorno successivo alla sua emanazione deve essere pubblicato in Gazzetta Ufficiale ed entra
in vigore immediatamente, il decreto legge non ha vacatio legis, perché se c'è la straordinaria necessità ed
urgenza non si possono aspettare 15 giorni. Il decreto legge deve essere convertito in legge entro 60 giorni
dal giorno in cui viene pubblicato in Gazzetta Ufficiale, altrimenti perde di efficacia, questo perché il decreto
è un atto provvisorio, un atto normativo che il governo ha approvato senza avere l'autorizzazione del
Parlamento. Del decreto legge non si deve sapere nulla fino al momento in cui viene approvato dal
Consiglio dei ministri, è un atto normativo che viene scritto nel silenzio.

La legge di conversione può emendare il decreto, questo perché il Parlamento, in quanto titolare
dell'esercizio della funzione legislativa, ha il diritto di migliorare il testo del decreto legge come vuole.
Quando, però, il governo vuole salvaguardare il testo del decreto legge ci appoggia la questione di fiducia.
In caso di emendamenti:

 Se il Parlamento aggiunge qualcosa che nel decreto legge non c’era, questo emendamento entra in
vigore quando entra in vigore la legge di conversione, perché è una volontà del Parlamento che non
aveva espresso il governo.
 Se invece il Parlamento con un emendamento sopprime un articolo che era presente nel decreto
legge, questa soppressione entra in vigore retroattivamente, perché l'emendamento che sopprime
un articolo corrisponde a una mancata conversione di quell’articolo, quindi è retroattiva,
quell’articolo è come se non fosse mai esistito.
 Nel caso in cui un emendamento modifica un articolo, il testo modificato entra in vigore con la
legge di conversione, quindi le modifiche che il Parlamento introduce entrano in vigore con la legge
di conversione perché sono volontà del Parlamento.

Se il decreto legge non viene convertito entro 60 giorni decade e quindi è come se non fosse mai esistito,
come se non avesse mai prodotto effetti. Tuttavia, la legge di sanatoria riconosce alla Camera la possibilità
di regolare con legge i rapporti giuridici sorti con decreti non convertiti che hanno comunque regolato una
fattispecie per un dato periodo.

È vietato reiterare il decreto legge (ossia passano i 60 giorni, non viene convertito, il governo lo riscrive
uguale), perché trascorsi i 60 giorni se non ci sono più gli straordinari motivi di necessità ed urgenza bisogna
scegliere la via ordinaria. Ogni volta che il Parlamento non converte un decreto legge, il governo non può
ripresentarne immediatamente uno uguale.

NB. Differenza tra non convertito e non reiterato con voto negativo: non convertito vuol dire che sono
passati i 60 giorni senza conversione, mentre non reiterato con voto negativo che vuol dire che una camera
ha votato no.

Il Parlamento in sede di conversione non può introdurre norme intruse, non può introdurre norme
giuridiche che non hanno niente a che fare con l’oggetto del decreto legge, la Corte costituzionale lo chiama
divieto di norme intruse.

È giusto che il Governo metta la questione di fiducia sul decreto legge? Si, perché il decreto legge è adottato
dal governo sotto la propria responsabilità. In casi straordinari di necessità e d'urgenza il governo adotta
sotto la propria responsabilità atti normativi aventi forza di legge. Poiché il governo ci mette la propria
responsabilità, ha tutto il diritto che il Parlamento non gli stravolga completamente il testo, quindi ha il
diritto di poter chiedere alla maggioranza parlamentare il rispetto del progetto che era alla base di quel
decreto legge.

Il Presidente della Repubblica

Il Presidente della Repubblica è un organo al quale i costituenti volevano attribuire meno poteri possibili,
un capo di Stato che nella previsione costituzionale doveva possedere pochissimi poteri e con un ruolo
essenzialmente rappresentativo, ma che invece negli anni si è trasformato in un vero e proprio arbitro del
funzionamento del sistema istituzionale. L'evoluzione di questi 70 anni di storia costituzionale ha consentito
al Presidente della Repubblica di utilizzare quanto è previsto in costituzione in modo sempre più forte,
semplicemente per garantire la continuità degli organi costituzionali e per garantire che Parlamento e
Governo abbiano un interlocutore che li controlli durante la loro attività. È un organo monocratico, in
quanto composto da una sola persona.

Il Presidente della Repubblica è:

 un organo costituzionale che noi definiamo super partes (al di sopra delle parti), ossia in grado di
assumere una posizione neutrale, obiettiva, a prescindere da qualsiasi interesse generale;
 titolare di un potere proprio, un quarto potere (spiegato nei poteri presidenziali);
 il capo dello Stato è il rappresentante dell’unità nazionale. Il Presidente della Repubblica svolge due
ruoli: da un lato è il capo dello Stato, quindi il capo di uno degli enti territoriali che formano la
Repubblica; dall’altro è il rappresentante dell'unità nazionale, ossia il soggetto che è chiamato a
ridurre ad unità tanti enti territoriali, ognuno con proprie competenze;
 è il supremo garante della Costituzione, è uno dei due organi di garanzia (questo ruolo lo divide
con la Corte Costituzionale) che ha il compito di controllare che il Parlamento e il Governo
rispettino la Costituzione (il Presidente della Repubblica fa un controllo sui comportamenti, la Corte
fa un controllo su gli atti);
 svolge una funzione di intermediazione politica, la quale cambia a seconda della situazione: se il
sistema politico funziona correttamente da solo, il Presidente della Repubblica deve assumere un
ruolo marginale, perché se maggioranza e Governo funzionano, allora è meglio non alterare il loro
buon funzionamento; se il sistema politico non funziona perché c'è una crisi, allora il Presidente
della Repubblica deve svolgere un ruolo forte, quindi si deve assumere la responsabilità delle
decisioni.

Requisiti di elezione

La nostra Costituzione prevede tre requisiti per poter diventare Presidente della Repubblica, ai quali noi
aggiungiamo un quarto:
1. età: bisogna avere almeno 50 anni;
2. cittadinanza: bisogna avere la cittadinanza italiana (la quale è richiesta per qualsiasi funzione
pubblica, tranne che per il professore universitario);
3. deve godere dei diritti civili e politici, ossia non deve aver subito condanne che comportano
l'iscrizione nel casellario giudiziale (deve avere una fedina penale immacolata);
4. deve aver rivestito almeno un incarico istituzionale (requisito non presente nella Costituzione, ma
è il più importante): abbiamo sempre avuto Presidenti della Repubblica che o avevano fatto politica
o che avevano coperto ruoli apicali, quindi abbiamo sempre avuto Presidenti della Repubblica che
conoscevano dall'interno il funzionamento del sistema istituzionale (questo è l’elemento
fondamentale).

Il Presidente della Repubblica deve dimenticarsi della parte politica nella quale ha militato, deve essere
privo di indirizzo politico e deve applicare la Costituzione nel senso istituzionale più alto, quindi deve fare
ciò che è giusto e non ciò che la sua parte politica vorrebbe (questo non è possibile al 100%, ma dobbiamo
avvicinarci a questa percentuale).

L’elezione

Il Presidente della Repubblica è eletto dal Parlamento in seduta comune, al quale aggiungiamo 3 delegati
per ogni regione (Val d’Aosta ne manda solo uno), in tutto 58 delegati. La Costituzione auspica che il
Presidente della Repubblica sia scelto da maggioranza e opposizione, e quindi prevede che nei primi tre
scrutini il presidente venga eletto a maggioranza dei ⅔, una maggioranza molto forte che contiene almeno
una parte dell’opposizione. Se dopo 3 scrutini non si è scelto il Presidente, dal quarto scrutinio in poi è
sufficiente la maggioranza semplice (sarebbe quella assoluta, la metà + 1 dei votanti). Lo scrutinio è segreto.

Un presidente eletto nei primi tre scrutini è un presidente forte, perché è un Presidente che sa di non dover
a un partito in particolare la sua elezione, è un Presidente che è stato scelto dalla maggioranza e da una
parte dell’opposizione (è un Presidente libero da subito). Il Presidente della Repubblica eletto a
maggioranza assoluta è un Presidente che sa benissimo che quella carica la va a ricoprire perché ha avuto
l’appoggio di determinati partiti. L'esperienza ci dice che soprattutto nei primi mesi, quel presidente è un
po' legato nelle decisioni, nel senso che quel Presidente non vuole scontentare quei partiti politici che lo
hanno eletto.

Il Presidente della Repubblica dura in carica 7 anni e non è esclusa la rielezione. La Costituzione cerca di
disciplinare la rielezione con quello che viene chiamato “semestre bianco”, ossia gli ultimi sei mesi del
mandato del Presidente della Repubblica. La Costituzione ci dice che negli ultimi sei mesi del suo mandato,
il Presidente della Repubblica non può sciogliere anticipatamente le camere. Quindi la Costituzione cerca di
evitare un possibile accordo tra Presidente della Repubblica e Governo utile a favorire uno scioglimento
anticipato che favorisca il Governo e che sia ottenuto in cambio di una promessa di una rielezione del
Presidente della Repubblica.

Lo scioglimento anticipato durante il semestre bianco è possibile quando Presidente della Repubblica e
Parlamento scadono negli stessi 6 mesi, si chiama “ingorgo istituzionale”. Se i due organi arrivano in
scadenza nello stesso periodo, il Presidente della Repubblica può sciogliere anticipatamente le camere in
modo da eleggere prima le nuove camere e poi saranno le nuove camere che andranno ad eleggere il
Presidente della Repubblica (l’unico Presidente rieletto è stato Napolitano).

Cessazioni

Il Presidente della Repubblica conclude i 7 anni e questo è l'unico caso in cui va in prorogatio, quindi
continua a svolgere le sue funzioni fino all'elezione del suo successore. Parliamo di prorogatio quando un
organo ha terminato il suo mandato e si aspetta la formazione dell’organo successivo. La prorogatio è quel
periodo di tempo che intercorre tra lo scioglimento dell’organo precedente e lo scioglimento dell’organo
nuovo.

Un mandato si può concludere per morte (mai avuto), per dimissioni (le dimissioni sono un atto personale),
per decadenza (la decadenza è la perdita di un requisito necessario all’elezione, quindi non può avvenire
perché il Presidente della Repubblica non può ringiovanire, non può perdere i diritti civili e politici perché è
improcessabile, al più potrebbe rinunciare alla cittadinanza italiana, solo in quel caso potremmo avere la
decadenza), per destituzione (mai avuta, ma è la conseguenza della condanna del Presidente della
Repubblica per attentato alla Costituzione o alto tradimento). In caso di impedimento permanente è
prevista la supplenza da parte del Presidente del Senato.

Il Presidente della Repubblica è sempre nell'esercizio delle sue funzioni, 24 ore al giorno, 365 giorni l’anno,
ma ci sono due situazioni in cui potrebbe non poter esercitare tutte le sue funzioni, o per una breve
malattia o per un viaggio di stato all’estero. Questi due casi sono entrambi casi di impedimento
temporaneo, ciò significa che il presidente non può esercitare tutte le funzioni che svolge quotidianamente.
Se l’impedimento è causato da motivi di salute, il Presidente del Senato lo sostituisce interamente; se,
invece, il Presidente della Repubblica sta rappresentando l'Italia all’estero, il Presidente del Senato può
svolgere solo le funzioni non differibili, ossia soltanto quelle funzioni che non possono essere ritardate.

Il Presidente della Repubblica diviene di diritto senatore a vita, a meno che non vi rinunci.

Poteri presidenziali autonomi

Il Presidente della Repubblica è un soggetto che ha poteri propri, in parte ereditati dal re (poteri di tipo
rappresentativo) e in parte che derivano dal proprio ruolo di garante della Costituzione e intermediatore
dei conflitti. Il Presidente della Repubblica è un quarto potere: ha poteri che riguardano sia il potere
legislativo, sia il potere esecutivo e sia il potere giudiziario, ma non appartiene a nessuno di questi poteri.
Ha il compito di controllare tutti gli altri tre poteri dello Stato.

Il Presidente della Repubblica esercita dei poteri nei confronti del Parlamento:

 può sciogliere una o entrambe le camere: tale potere non può essere esercitato negli ultimi 6 mesi
del suo mandato a meno che non coincidano con gli ultimi 6 mesi della legislatura (ingorgo
costituzionale);
 ha il potere di promulgare o meno le leggi (sostanzialmente presidenziale), potendo rinviare il
testo al Parlamento qualora dubiti della incostituzionalità;
 può inviare messaggi alle Camere (sostanzialmente presidenziale);
 indice le elezioni (potere formale/sostanzialmente governativo, perché la data delle elezioni viene
scelta dal governo);
 nomina 5 senatori a vita: in Senato sono presenti dei senatori a vita che sono gli ex Presidenti della
Repubblica e massimo 5 senatori nominati dal Presidente per altissimi meriti (i senatori a vita anche
se non eletti ma nominati, svolgono le stesse funzioni di tutti gli altri senatori). (potere
sostanzialmente presidenziale)

può sciogliere anticipatamente una o entrambe le Camere: (semestre bianco) (duale)

I poteri nei confronti del Governo (la Costituzione gli affida un ruolo più incisivo nei confronti del governo):

 è il responsabile di tutta la fase di formazione del governo (le consultazioni, l’incarico, la nomina e
il giuramento): è il Presidente che decide se la crisi è risolvibile o meno (lo decide parlando con i
partiti). Il Presidente della Repubblica non può scegliere da solo il Presidente del Consiglio e i
ministri, ma ha il potere di veto sulla nomina di un ministro (potere duale);
 ha il compito di emanare gli atti normativi del governo: ha un potere forte in questo caso perché
non può essere obbligato all’emanazione (potere governativo);
 deve autorizzare il disegno di legge che vuole essere presentato dal Governo in Parlamento
(potere presidenziale): il Presidente può rifiutare l’autorizzazione solo qualora il disegno di legge
violasse uno dei principi fondamentali (primi dodici articoli, articolo 139 e separazione dei poteri).
Se il Presidente della Repubblica rifiuta l’autorizzazione, il governo può aggirare questo divieto
facendo presentare al gruppo parlamentare di uno dei partiti che sono presenti nel governo lo
stesso disegno di legge (perché i parlamentari non hanno limiti nella presentazione dei disegni di
legge).

Poteri nei confronti della magistratura: il Presidente della Repubblica presiede il Consiglio Superiore della
Magistratura (il quale è l’organo di autogoverno dei magistrati) proprio per ricordare ai magistrati che sono
un ordine autonomo ma non indipendente (in realtà non ci va quasi mai, solo se si accorge che qualcosa
non va). Nomina e conferisce incarichi direttivi a magistrati ordinari, amministrativi e militari (potere
governativo).

Poteri presidenziali autonomi

Il Presidente della Repubblica non interagisce con gli altri poteri dello Stato. Oltre a questi poteri, il
Presidente della Repubblica ne ha altri, che sono poteri presidenziali autonomi. Il Presidente della
repubblica è il Capo dello Stato e rappresenta l’unità nazionale. Indice il referendum popolare (potere
formale, la data del referendum la sceglie il Governo). Nomina i funzionari di Stato nei casi previsti dalla
legge (di fatti la nomina dei vertici dello Stato spetta al Governo, più precisamente al Consiglio dei ministri).
Nomina 5 giudici della Corte costituzionale (potere sostanziale). Ratifica i trattati internazionali (formale,
è il governo a sottoscrive il trattato, il parlamento ne approva la legge ed è il Presidente della Repubblica
che firma ma solo come rappresentante dello Stato). Accredita e riceve i rappresentanti diplomatici
(formale, quando arrivano gli ambasciatori degli altri paesi nel nostro, la prima cosa che fanno è presentarsi
dal Presidente della Repubblica; prima lo faceva il Re). Ha il comando delle Forze armate e presiede il
Consiglio supremo di difesa (potere formale). Conferisce le onorificenze della Repubblica (potere formale).
Può concedere la grazia e commutare le pene: la grazia è un provvedimento individuale, con il quale il
Presidente della Repubblica cancella la pena nei confronti di una persona che sta scontando la detenzione
per essere stato condannato per un reato. La Corte costituzionale ha deciso che questa decisione è del
Presidente della Repubblica, perché si tratta di un atto individuale di clemenza e non può avere nessuna
valutazione politica. Tuttavia, per conferire la grazia, la corte costituzionale ha imposto dei requisiti:

 la persona si deve proclamare colpevole (la grazia non è un modo per riparare ad un errore
giudiziario);
 la persona deve avere scontato buona parte della pena (almeno metà della pena);
 ci deve essere un motivo umanitario per concedere la grazia (ad esempio una malattia).

Commutare una pena significa trasformare una pena detentiva in una pena pecuniaria.

Art. 89 della Costituzione

“Nessun atto del Presidente della Repubblica è valido se non è controfirmato dai ministri proponenti (fatta
eccezione per le dimissioni), che ne assumono la responsabilità.”

Tale controfirma è requisito di validità dell’atto ed è fonte della irresponsabilità del Presidente della
Repubblica.

Con la controfirma l’atto è valido; la responsabilità giuridica di quell’atto ricade su chi lo ha controfirmato. Il
Governo si trova a controfirmare atti il cui contenuto è stato scritto dal Presidente della Repubblica.
La controfirma esisteva già nello Statuto Albertino: il re scriveva quello che voleva e poi un ministro si
prendeva la responsabilità, perché il re non poteva avere responsabilità, non poteva sbagliare.

Esistono tre tipi di atti presidenziali:

1. Atti formalmente presidenziali:

Il Governo scrive, il Presidente controlla e firma e il ministro controfirma e si prende la responsabilità.

 emanazione dei regolamenti e degli atti amministrativi del Governo nella forma di D.P.R.
 onorificenze
 ratifica dei trattati internazionali
 dichiarazione dello stato di guerra previa deliberazione delle Camere
 accreditamento ambasciatori

Il Presidente della Repubblica, prima di firmare, deve leggere per controllo. Questo perché con la
controfirma il ministro si assume la responsabilità giuridica (la responsabilità giuridica è la responsabilità
civile, amministrativa e contabile); restano fuori la responsabilità penale e politica.

2. Atti sostanzialmente presidenziali:

Il Presidente scrive e firma, il ministro controlla e controfirma e si prende la responsabilità (giuridica). È


necessario che il ministro controlli la legittimità dell’atto.

 nomina dei senatori a vita


 nomina dei giudici costituzionali
 rinvio delle leggi
 messaggi presidenziali rivolti alle Camere, che possono essere a contenuto vincolato (rinvio della
legge) o a contenuto libero
 esternazioni atipiche: quando un Presidente della Repubblica parla a braccio, la responsabilità
politica e penale è la sua, quella giuridica è del Presidente del Consiglio;
 convocazione straordinaria delle Camere
 concessione della grazia
3. Atti complessi uguali

Sono atti complessi, in quanto vi è l’incontro di due volontà, quella del Presidente della Repubblica e del
Presidente del Consiglio. In questo tipo di atti, la volontà principale è quella del Presidente della Repubblica,
tuttavia questi atti non possono essere scritti se non è d'accordo anche il Presidente del Consiglio, il quale li
dovrà controfirmare. Sono atti uguali, in quanto c’è bisogno di entrambe le volontà che si pongono
sostanzialmente sullo stesso piano. Gli atti complessi eguali riguardano:

 nomina del Presidente del Consiglio. Il Presidente della Repubblica non può nominare qualcuno
che non vuole essere nominato:
 scioglimento anticipato delle Camere. La Costituzione vuole garantire che il Presidente non sciolga
quando non c'è un motivo per sciogliere, ed ecco allora che il Presidente del Consiglio deve essere
d’accordo con lo scioglimento anticipato, e qui abbiamo due ipotesi:
1. se al momento dello scioglimento il Presidente del Consiglio è in carica, ha motivo di poter chiedere
qualcosa al Presidente della Repubblica, il quale lo deve convincere della necessità di sciogliere
anticipatamente (l’unico motivo per sciogliere anticipatamente è consentire al nostro paese di
votare sempre in un periodo che va da marzo a giugno, non ci può essere altro motivo);
2. se al momento dello scioglimento il Presidente del consiglio si è già dimesso, quest’ultimo può fare
solo quello che il Presidente della Repubblica gli chiede.
Quando il Parlamento non è in grado di esprimere una solida maggioranza.
L’ingorgo costituzionale si verifica quando il Presidente della Repubblica e il Parlamento si trovano
negli ultimi 6 mesi del mandato in contemporaneo.

I governi balneari sono quei governi che hanno il compito di gestire esclusivamente il periodo elettorale.

Irresponsabilità

Il Presidente della Repubblica non può essere chiamato a rispondere sul terreno della responsabilità
politica. Per quanto riguarda la responsabilità giuridica può rispondere:

 nell’esercizio delle sue funzioni: solo per alto tradimento e attentato alla Costituzione (cd. Reati
presidenziali)
 fuori dall’esercizio delle sue funzioni: come un comune cittadino, ma l’azione penale è
improcedibile per tutta la durata del mandato

La responsabilità politica è la responsabilità di un soggetto nei confronti di chi lo elegge, quindi è la


responsabilità di agire nell'interesse di chi lo ha eletto. I parlamentari nell'interesse del popolo, il Presidente
della Repubblica nell'interesse della nazione, il Governo nei confronti del Parlamento che dà e toglie la
fiducia.

Il Presidente della Repubblica non ha una responsabilità civile, amministrativa, contabile o giuridica
nell'esercizio delle sue funzioni. Il Presidente della Repubblica non ha neanche una responsabilità politica,
però il fatto che il Presidente della Repubblica sia rieleggibile, fa sì che abbia una responsabilità politica nei
confronti del Parlamento.

La responsabilità penale è la più importante, la quale è personale, ognuno è responsabile delle azioni che
compie (se queste azioni sono contrarie alla pacifica convivenza).

Il Presidente della Repubblica non ha responsabilità penali se non per due reati gravissimi, che sono l’alto
tradimento e l'attentato alla Costituzione. Fino ad oggi mai nessun Presidente della Repubblica è stato
destituito, ma ci sono stati alcuni casi in cui è stato messo in stato di accusa.

Il primo è stato il Presidente Giovanni Leone, il quale è stato accusato di essere coinvolto nello scandalo
Lockheed, secondo cui alcuni ministri e politici italiani degli anni sessanta abbiano ricevuto tangenti da
parte di una impresa produttrice di aeroplani statunitense (la Lockheed). Il secondo Presidente ad essere
soggetto di una accusa di reato è stato il Presidente Cossiga negli anni 90, il quale fu accusato di aver preso
parte negli anni ’40 di un’associazione paramilitare di destra di nome Gladio. Anche il successore del
Presidente Cossiga, ossia il Presidente Oscar Luigi Scalfaro, fu messo in stato di accusa, in questo caso fu
accusato di aver utilizzato fondi neri durante gli anni in cui era Ministro dell’Interno, tuttavia non arrivò mai
una formale richiesta di messa in stato di accusa. Infine, il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano è
stato accusato dal Movimento 5 Stelle nel 2014 per: improprio esercizio del potere di grazia; illegittima
rielezione del Presidente della Repubblica e per aver preso parte nella trattativa Stato-mafia.

Il Presidente della Repubblica è un organo che noi definiamo monocratico, ossia la persona coincide con
l’organo. Il Presidente della Repubblica non può essere sospettato di aver commesso un reato, non può
essere indagato o processato durante il suo mandato, in diritto si definisce improcedibilità, significa che il
Presidente della Repubblica come persona non può essere sottoposto a nessun procedimento giudiziario.

I reati presidenziali sono l’alto tradimento e l’attentato alla Costituzione, cioè reati che il presidente
commette volontariamente utilizzando i propri poteri. L’alto tradimento è una fattispecie che troviamo nel
Codice penale militare; è quell’ipotesi nella quale un cittadino o un funzionario pubblico si accorda con uno
Stato straniero a danno del proprio Paese. Se a commettere questo reato è un civile, in tempo di guerra c’è
l’impiccagione; in tempo di pace c’è l’ergastolo, perché è il reato più grave che può commettere un
cittadino. L’attentato alla Costituzione è una fattispecie penale che non ha contenuto (nel diritto penale la
regola è che non c’è reato se non c’è una legge che qualifica quel comportamento come reato, cioè non c’è
reato se non c’è la fattispecie). Nel caso dell’attentato alla Costituzione, non c’è scritto da nessuna parte
cosa si intende per attentato alla Costituzione. In linea generale, abbiamo attentato alla Costituzione
quando il Presidente impedisce il buon funzionamento agli organi costituzionali, senza che vi sia un
ragionevole motivo per questo suo comportamento. Nessun Presidente della Repubblica è stato mai messo
in stato d’accusa dal Parlamento.

Il Parlamento in seduta comune ha il potere di mettere in stato d'accusa il Presidente della Repubblica,
quindi c'è una giunta che è competente a valutare questa denuncia e a fare l'istruttoria per verificare se c'è
un sospetto di reato commesso da parte del Presidente della Repubblica. Qualora questa giunta ritenga che
ci sia l'ipotesi di reato, sottopone la questione al Parlamento in seduta comune. È importante sottolineare
che il Presidente non si difende davanti al Parlamento in seduta comune, perché il Parlamento deve sentirsi
libero di valutare la relazione della giunta che ha predisposto l'istruttoria e quindi poi voterà se mettere o
meno il Presidente in stato d’accusa. Se il Parlamento decide di mettere in stato d'accusa il Presidente,
allora inizia il processo davanti alla Corte costituzionale, la cui composizione viene integrata da 16 cittadini
che vengono sorteggiati da un elenco di 40 cittadini che abbiano l’eleggibilità a Senatore (che abbiano
almeno 40 anni), il cui elenco viene votato ogni 9 anni dal Parlamento in seduta comune. Le 16 persone
quindi non sono necessariamente dei tecnici, questo perché nel valutare il comportamento del Presidente
della Repubblica abbiamo bisogno anche di un occhio politico, alla componente giuridica si affianca la
componente politica.

Se il Presidente della Repubblica viene condannato:

• la pena deve essere la pena prevista dal Codice penale aumentata di ⅓;

• deve sicuramente essere condannato alla pena detentiva e soprattutto viene dichiarato destituito.

• con la destituzione il Presidente perde il diritto di diventare senatore a vita, perde i diritti politici e
soprattutto viene immediatamente rimosso dalla carica di presidente.

Il Presidente della Repubblica che si dimette prima che si avvia il procedimento di messa in stato d’accusa
viene processato come un normale cittadino (non si può impedire al Presidente di dimettersi perché le
dimissioni sono un atto personale). Se invece il Presidente della Repubblica si dimette dopo che si è avviato
il procedimento di messa in stato d’accusa, verrà processato dalla Corte costituzionale esattamente come
se fosse ancora in carica.

La Corte costituzionale

La nostra Costituzione è una Costituzione rigida, rigida significa: che non può essere modificata da fonti di
grado inferiore; che può essere modificata solo con un procedimento aggravato; e che c'è un organo
costituzionale che ne garantisce la rigidità.

Tutti i paesi europei hanno scelto il sistema di costituzionalità accentrato, ossia affidano a un unico organo il
compito di garantire la rigidità della Costituzione, che in Italia si chiama “Corte costituzionale”, in Spagna e
in Germania “Tribunale Costituzionale”, in Inghilterra “Camera dei Lord”. Il vantaggio del sistema
accentrato è che non c'è una differenza di interpretazione, una volta che una legge è dichiarata
incostituzionale scompare del tutto dall'ordinamento giuridico. Lo svantaggio è la lentezza: possono passare
anche anni prima che una legge venga dichiarata incostituzionale.

Negli Stati Uniti il compito di garantire la rigidità della Costituzione è affidato ad ogni singolo giudice, questo
modello si chiama “Sindacato di costituzionalità diffuso”, ciò significa che ogni giudice ha il diritto di non
applicare una legge che considera incostituzionale. Il sistema di costituzionalità diffuso ha un grande
vantaggio, ossia la rapidità di applicazione; ma ha anche il grande svantaggio, ossia la differenza
interpretativa, ciò vuol dire che un giudice interpreta in un modo e un altro giudice interpreta in un altro.

La Corte costituzionale italiana è composta da tecnici, più precisamente da giuristi, quindi, mentre chiunque
può diventare parlamentare, ministro, Presidente della Repubblica, indipendentemente dal fatto che abbia
un titolo di studio, da quale lavoro faccia, possono diventare giudici della Corte soltanto i magistrati con
una certa anzianità, gli avvocati con una certa anzianità e i professori universitari di materie giuridiche.

Quando si è pensato alla Corte costituzionale, si è pensato ad un organo tecnico che avesse sfumature
diverse, cioè che guardasse la legge con occhi diversificati. Il giudice costituzionale ha una formazione
tecnica, ossia è una persona che guarda il diritto da tre diversi punti di vista, ciò significa che la corte non
può essere composta solo di magistrati, di avvocati e di professori universitari, ma deve essere composta da
tutte e tre le componenti, quindi servono: l’avvocato per guardare la legge con l'occhio di chi deve
difendere qualcuno; il magistrato per decidere cosa è giusto e cosa non lo è; il professore che studia se la
legge è davvero compatibile o meno con la costituzione.

La corte è composta da 15 Giudici: 5 giudici sono eletti dal Parlamento in seduta comune con la
maggioranza dei ⅗ (una maggioranza alta per evitare che la maggioranza possa scegliersi da sola i giudici
costituzionali); 5 giudici sono eletti dalle supreme magistrature (3 vengono eletti dalla Cassazione, 1 dal
Consiglio di Stato e 1 dalla Corte dei Conti); 5 vengono nominati dal Presidente della Repubblica, questa
nomina è molto importante perché il Presidente deve cercare un po' di bilanciare quello che non hanno
fatto gli altri due soggetti.

La Corte costituzionale è un organo permanente, non va mai in prorogatio. I giudici durano in carica 9 anni
(è la carica più lunga del nostro ordinamento) e nel caso in cui si dimette un giudice eletto dal Parlamento
in seduta comune, sarà il Parlamento in seduta comune a eleggerne uno. Inoltre, i giudici della Corte
costituzionale non sono rieleggibili o rinominabili.

Il Parlamento in seduta comune è l'organo che ha più difficoltà nella nomina dei giudici, infatti non è
sempre tempestivo nell’elezione e allora è previsto che la corte possa funzionare anche con un numero
ridotto di componenti con un numero minimo di 11, ciò significa che c'è almeno un giudice per ognuno
degli organi che sceglie.

I giudici della Corte godono della stessa immunità dei parlamentari, non godono invece dell’insindacabilità,
per il semplice fatto che sono tenuti al segreto d’ufficio, i giudici della Corte costituzionale non parlano, ma
scrivono. Le decisioni della Corte si presume che vengano prese all’unanimità, anche se si vota a
maggioranza, ma una volta che i giudici hanno votato, i foglietti sui quali votano vengono bruciati.

La Corte costituzionale ha quattro competenze:

1. Ammissibilità del referendum

È la seconda fase del procedimento referendario; la Corte è chiamata a verificare che il quesito non sia in
contrasto con la Costituzione (in particolare con l'articolo 75);

2. Giudizio sul Presidente della Repubblica

Il Presidente della Repubblica non è perseguibile se non per alto tradimento e attentato alla Costituzione;

3. Conflitto di attribuzioni o conflitto di competenza


La Corte è chiamata a decidere quelle situazioni in cui due poteri, due organi o due enti, si dichiarano
entrambi competenti o incompetenti a fare un qualcosa. La corte si occupa dei conflitti di competenze tra:

 Stato e regioni: si ha quando sia lo stato che una regione si dichiarano competenti o incompetenti
ad adottare un regolamento, una ordinanza o una delibera (tutto ciò che non è legge);
 Poteri dello Stato: possono presentare ricorso davanti alla Corte costituzionale ognuna delle due
camere del Parlamento, ogni ministro, il Governo, ogni magistrato, il Presidente della Repubblica e
con una ultimissima sentenza, la corte ha detto che anche ogni singolo parlamentare può
presentare ricorso (è una sentenza che vedremo se verrà confermata in futuro). Un potere dello
stato chiede alla Corte costituzionale di capire se un altro potere abbia leso le sue competenze;
4. La competenza più importante è quella di garantire la rigidità della Costituzione (è la più
importante perché è il motivo per cui esiste la Corte costituzionale)

Il giudizio di legittimità costituzionale è un giudizio che riguarda soltanto alcune delle fonti primarie, ossia la
legge ordinaria dello Stato, le leggi regionali, i decreti legge e i decreti legislativi (quindi non si occupa dei
regolamenti europei e dei regolamenti parlamentari). La Corte si occupa soltanto di queste quattro fonti
perché sono le più importanti, questo perché sono le uniche fonti che danno diretta e immediata
attuazione alla Costituzione.

Il controllo di costituzionalità è la verifica che nessun atto normativo sia in contrasto con la Costituzione.
Esistono due modelli di controllo di costituzionalità:

1. controllo di costituzionalità diffuso: viene affidato ad ogni singolo giudice che ha il potere di
decidere se applicare o non applicare un atto normativo (come il modello statunitense, che
presenta sia la Corte suprema che il controllo di costituzionalità diffuso). Il vantaggio è che è un
modello molto immediato: la legge viene controllata subito. Lo svantaggio è che è un controllo
ineguale: ci saranno giudici che disapplicheranno e giudici che non disapplicheranno, causando una
difformità di trattamento.
2. controllo di costituzionalità accentrato: viene affidato ad un unico organo di natura costituzionale.
Il vantaggio è che una volta che la Corte ha deciso, la decisione vale per tutti, quindi la legge
scompare dall’ordinamento giuridico. Lo svantaggio è che può passare molto tempo prima che una
legge arrivi davanti al controllo della Corte costituzionale.

Giudizio di costituzionalità (art. 134-137 della Costituzione)

È importante sottolineare che i cittadini non possono ricorrere davanti alla Corte costituzionale e che è
necessario rispettare la gerarchia delle fonti. Solo le fonti primarie possono essere in contrasto con la
Costituzione; le fonti secondarie non sono in contrasto con la Costituzione, ma con le fonti primarie, quindi
il controllo di costituzionalità avviene solo sulle fonti primarie. Ad essere portate davanti alla Corte sono
solo le leggi statali, le leggi regionali, decreto legge e decreto legislativo; non si può portare davanti alla
Corte il regolamento europeo (perché è una fonte del diritto europeo e va davanti alla Corte di giustizia),
l’esito favorevole del referendum, (perché la Corte si è già espressa sull’ammissibilità del referendum) ei
regolamenti parlamentari perché sono atti di organizzazione interna delle Camere. La Corte costituzionale è
giudice sia dello Stato che delle regioni. La differenza tra controllo di costituzionalità e conflitto di
attribuzione sta nel tipo di atto sottoposto alla Corte. Il giudizio di costituzionalità riguarda soltanto le leggi,
il conflitto di attribuzione riguarda tutti gli altri atti.

La Corte è chiamata a verificare se c’è un vizio, cioè se c’è un contrasto della legge con la Costituzione. I
motivi per i quali possiamo portare una legge davanti alla corte sono di due tipi:
1. Vizio formale: riguardano la possibilità che una legge o un atto avente forza di legge non sia stato
approvato seguendo la giusta procedura. Avviene quando c'è un errore nel procedimento di
approvazione di un atto, quindi non si è seguita la procedura prevista dalla Costituzione o dagli
Statuti regionali per l'approvazione di quell’atto (es. eccesso di delega);
2. Vizio sostanziale (il più frequente): quella fonte, o anche solo un articolo di quella fonte, ha violato
il contenuto di un articolo della Costituzione. Gli articoli più violati della nostra Costituzione sono
l’art. 3 e l’art. 117. Il nostro legislatore è in grande difficoltà a bilanciare il primo e il secondo
comma dell'articolo 3 per la difficoltà di conciliare differenziazione con la non discriminazione (è
difficilissimo differenziare senza discriminare).

Gli unici due soggetti che possono portare davanti la Corte costituzionale una legge sono:

1. Stato o regioni (sono i due soggetti che fanno le leggi): in questo caso si parla di procedimento in
via principale, cioè il Governo può impugnare una legge regionale e una regione può impugnare
una legge dello Stato. Quando una regione ritiene che lo Stato abbia violato la sua competenza
(violato quindi l’articolo 117), può fare ricorso davanti alla corte entro 60 giorni dalla data di
entrata in vigore della legge. Stessa cosa la può fare lo Stato, il quale controlla tutte le leggi che
vengono approvate dalle regioni; se ritiene che una legge regionale sia in contrasto con un qualsiasi
articolo della Costituzione può fare ricorso alla Corte entro 60 giorni. Le regioni ricorrono solo per
lesione delle proprie competenze, lo Stato invece può fare ricorso davanti alla corte per un qualsiasi
vizio della legge regionale (la legge statale viene promulgata dal Presidente della Repubblica, il
quale fa un primo controllo di costituzionalità; la legge regionale viene promulgata invece dal
Presidente della Regione, il quale è anche il Presidente della giunta regionale e il leader della
maggioranza in consiglio regionale, quindi a livello regionale non c’è un controllore);
2. Il giudice dinanzi al quale si sta svolgendo un processo (qualsiasi giudice che deve giudicare un
processo), in questo caso si parla di procedimento in via incidentale: il procedimento in via
incidentale viene promosso da un giudice che, nel corso di un processo, solleva una questione di
costituzionalità davanti alla Corte sospettando l’incostituzionalità di una disposizione che dovrà
applicare. Il giudice, d’ufficio o su richiesta delle parti, può sospendere il processo e sollevare
attraverso un’ordinanza di rimessione una questione di costituzionalità alla Corte dopo aver
verificato due giudizi: la rilevanza e la non manifesta infondatezza. Il giudice deve motivare perché
sapere se quella legge è costituzionale o meno gli cambia l’esito del processo (se non glielo cambia
non può andare avanti alla Corte costituzionale). Il giudice deve motivare perché ha il dubbio e
quali articoli della Costituzione ritiene siano stati violati. La Corte costituzionale non è chiamata a
giudicare la legittimità costituzionale di una legge su tutti i 139 articoli, ma giudica la legge soltanto
con riferimento a quegli articoli che sono stati espressamente indicati da chi ha presentato il
ricorso. Il giudice che fa richiesta si chiama “giudice a quo”; il suo ricorso viene pubblicato sulla
Gazzetta ufficiale, in modo che tutti gli altri giudici possano decidere se vogliono sospendere o
meno il proprio processo. Egli deve sospendere il proprio processo aspettando la sentenza della
corte. Davanti la Corte costituzionale si fa un vero e proprio processo: c’è il soggetto che ha
sollevato la questione e c’è poi l’avvocatura dello Stato che funge da difensore della legge (ci sono
delle volte in cui la difesa è molto forte perché si è convinti che la legge non è incostituzionale e
altre volte invece la difese è molto debole e significa che anche l'avvocatura dello Stato conta che la
legge ha dei profili di incostituzionalità e quindi preferisce non fare una difesa d'ufficio che poi
verrebbe sconfessata dalla corte). Alla fine di questo processo, la Corte costituzionale si riunisce in
camera di consiglio, affida il compito di scrivere la sentenza a uno dei 15 giudici. Le sentenze della
Corte sono diverse; in alcuni casi la Corte non fa neppure una sentenza, ma fa un’ordinanza, ossia
un atto che chiude la questione senza deciderla, non dice se qualcuno ha ragione o torto. Nel caso
di ordinanza la Corte non si preoccupa di prendere in considerazione il caso concreto e rigetta la
questione, la dichiara inammissibile per irrilevanza o manifesta infondatezza.

In caso di processo, alla fine di quest’ultimo la Corte pronuncia una sentenza. Le sentenze possono essere:

 Sentenze ordinarie:
1. sentenza di rigetto: è una sentenza che salva la legge, in quanto la Corte afferma che la
disposizione non è costituzionalmente illegittima e quindi resta in vigore. Si parla di disposizione e
non di legge perché difficilmente si porta davanti alla Corte costituzionale l'intera legge, ma molto
spesso si portano davanti alla corte singoli articoli di una legge che si ritiene siano incostituzionali.
La sentenza di rigetto non dà alla legge un patentino di costituzionalità, quindi in futuro la
questione potrà eventualmente essere ripresentata da un altro giudice, sia utilizzando lo stesso
parametro (immaginando che i tempi sono cambiati), che individuandone uno diverso;
2. sentenza di accoglimento (ragione per cui esiste la Corte costituzionale): la disposizione (la legge) è
costituzionalmente illegittima perché viola uno degli articoli della Costituzione e quindi viene
cancellata dall'ordinamento giuridico con effetti ex tunc (sparisce con effetto retroattivo, ossia
travolge il passato, ma non tutto; travolge solo quei rapporti giuridici del passato che sono ancora
aperti. I rapporti che si sono chiusi non possono essere rimessi in discussione per il principio di
certezza del diritto).

Se il nostro sistema istituzionale funzionasse bene, la Corte costituzionale dovrebbe fare soltanto questi
due tipi di sentenze ordinarie. Tuttavia, in questi decenni la Corte costituzionale si è resa conto che una sua
sentenza di accoglimento produce una lacuna e questa lacuna diventa qualcosa che il legislatore non colma
immediatamente. Nel tempo la Corte costituzionale si è ingegnata nell’elaborare delle sentenze dove la
legge resta vigente, ma va letta così come vuole la Corte costituzionale. Parliamo quindi di sentenze di
rigetto, ma di un rigetto non netto, ma parziale dove la corte cerca di togliere e di mettere parti della legge
per renderla costituzionale:

1. sentenze a incostituzionalità differita: la Corte respinge il ricorso, ma esprime qualche perplessità


sulla legittimità della Costituzione. La Corte avvisa il legislatore che la legge sottoposta alla sua
attenzione è incostituzionale, ma non accoglie subito il ricorso e dà del tempo al legislatore per
approvare una nuova legge, dicendogli anche più o meno il contenuto che questa legge deve avere.
Questo ci dice che l'abrogazione è sempre meglio dell’annullamento. Tuttavia, scaduto il termine,
se il legislatore non è intervenuto, la Corte farà una sentenza, che in questo caso sarà una sentenza
di rigetto;
2. sentenze interpretative (poco utilizzate): la Corte indica come deve essere interpretata la legge
soggetta a ricorso, cerca di trovare un’interpretazione che salvi il testo della disposizione.
3. sentenze manipolative (la sentenza più usata, ma anche quella più problematica perché rende la
Corte costituzionale quasi un legislatore): sono le sentenze in cui il testo scritto della legge viene
manipolato dalla corte per rendere la disposizione da incostituzionale a costituzionale. Se la corte
aggiunge delle parole, si parla di sentenze additive; se la Corte toglie delle parole, si parla di
sentenze caducative; se la Corte sostituisce delle parole con altre, si parla di sentenze sostitutive
(questo è il tipo di sentenza più problematica perché è come se la Corta diventi il vero legislatore).

La Corte costituzionale proprio perché interviene sugli atti riesce a fare in modo che il legislatore non possa
ledere la vita dei cittadini con l'approvazione di leggi incostituzionali. Nel procedimento in via principale
questo avviene molto rapidamente; nel caso invece del procedimento in via incidentale potrebbero passare
anni prima che una legge arrivi davanti alla Corte costituzionale perché abbiamo bisogno di un processo.

Noi dobbiamo avere la garanzia che la corte sia apolitica, quindi che la corte non sia espressione della
maggioranza parlamentare, ma che sia un qualcosa di più alto. Questo è possibile proprio per il fatto che il
Parlamento non ha un potere diretto di nomina dei giudici della Corte costituzionale.

La Corte costituzionale è l'organo più potente giuridicamente del nostro sistema, perché le sentenze della
corte non sono appellabili, quindi non c'è possibilità di ricorso per quello che la Corte Costituzionale decide,
quindi ciò che viene deciso dalla Corte Costituzionale è legge, è costituzione.

Potere giudiziario

Il terzo potere dello Stato è il potere giudiziario, è il potere più delicato perché è quel potere con il quale
ogni persona rischia di entrare in contatto e la cui decisione ha ricadute sulla vita dell'individuo senza che
quest'ultimo si possa sottrarre. Il potere giudiziario è esercitato dalla magistratura, e quando pensiamo alla
magistratura dobbiamo partire dal presupposto che la magistratura agisce secondo principi di correttezza,
legalità ed equità.

I Principi costituzionali

Proprio per la delicatezza del potere giudiziario, per la sua capacità di incidere sul benessere dei consociati,
la nostra Costituzione individua una duplice serie di principi costituzionali: i primi sono contenuti all'interno
della sezione dei diritti e doveri dei cittadini, i cui principi definiscono il rapporto del cittadino con la
giustizia:

 l’articolo 24 della nostra Costituzione afferma che “tutti possono agire in giudizio per la tutela dei
propri diritti e interessi legittimi”, e inoltre aggiunge che “la difesa è diritto inviolabile”. Qui la
Costituzione utilizza l'aggettivo sostantivato tutti, quindi la giustizia non è una prerogativa dei
cittadini, ma di qualsiasi individuo che vive nel nostro paese, “possono agire in giudizio” non è un
obbligo, ma bisogna sapere di avere il diritto di agire in giudizio, ma non il dovere. La distinzione tra
diritti soggettivi e interessi legittimi è che un diritto soggettivo è quel diritto individuale che
l'ordinamento giuridico tutela in modo diretto (diritto alla privacy, diritto di proprietà, diritto al
lavoro); l’interesse legittimo è quel diritto individuale tutelato dall'ordinamento giuridico solo di
riflesso, perché in modo diretto viene tutelato l'interesse generale;
 l'articolo 25 nel primo comma contiene quello che viene definito il principio del giudice naturale, il
quale afferma che nessuno può essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge. Ciò
significa che l'ordinamento giuridico deve stabilire a monte quale giudice si occuperà di fatti che
accadranno in futuro (proprio per garantire l’imparzialità della Giustizia noi non possiamo scegliere
il giudice dopo che è stato commesso il fatto, ma questo giudice dev'essere precostituito). Questa
precostituzione è di due tipi, per materia e per territorio (il principio della territorialità è un
principio che dipende dalla materia); secondo comma dell'articolo 25: nessuno può essere punito
se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso, questo principio è
conosciuto come principio di irretroattività della legge penale (“nulla poena sine lege” (nessuna
pena senza legge), non c’è reato se una norma non prevede come reato quel comportamento, è un
principio di certezza del diritto);
 articolo 27: la responsabilità penale è personale. Questo principio fondamentale ci dice che
nessuna persona può scaricare su altri la responsabilità per un fatto che ha commesso; secondo
comma: l’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva. Nel sistema
giudiziario italiano esistono tre gradi di giudizio: tribunale di primo grado, Corte d'Appello e Corte di
Cassazione (quindi dire che l'imputato non è colpevole fino alla sentenza definitiva significa dire che
una persona che viene condannata dal tribunale di primo grado e che fa ricorso torna libero e
presunto innocente, se viene condannato anche in secondo grado e fa ricorso in Cassazione torna
libero perché presunto innocente. È definitivamente colpevole nel momento in cui la sentenza
diventa definitiva, o se viene condannato nel tribunale di primo grado o d’appello e non fa ricorso).

Gli altri principi sono di materia di organizzazione della Giustizia (dall’art. 101 in poi):

 Articolo 101 secondo comma: il giudice è soggetto soltanto alla legge, significa che il nostro sistema
giudiziario non si basa su la cosiddetta regola del precedente e non si basa sull’organizzazione
gerarchica della giustizia. Si basa sul diritto-dovere di ogni giudice di interpretare la legge e di
applicarla al caso concreto;
 Articolo 102 (divieto di istituzione di giudici straordinari e di giudici speciali): tutti i giudici che noi
abbiamo sono magistrati che noi dividiamo sostanzialmente in due categorie: il giudice ordinario e
il giudice speciale. Un giudice è ordinario se si occupa del diritto civile e del diritto penale. I giudici
speciali si occupano solo di una determinata materia ed esistono solo perché esistevano già prima
dell'entrata in vigore della Costituzione, i quali sono il giudice amministrativo, contabile e militare
(dopo l'entrata in vigore della Costituzione non se ne possono istituire di nuovi). Non possiamo
istituire giudici straordinari perché il giudice straordinario è quel giudice che viene istituito dopo
che è stato commesso il fatto, quindi i giudici straordinari sono vietati perché violano l’articolo 25
della Costituzione sul giudice naturale precostituito per legge. 

Organizzazione della giustizia

La giustizia in Italia si suddivide in: civile (ordinaria); penale (ordinaria); speciale.

Giustizia civile

La giustizia civile è la giustizia più diffusa nel nostro ordinamento per l’elevato numero di controversie civili.
Nell’azione civile la controversia sorge tra privati o tra privati e pubblica amministrazione. Colui che avvia la
procedura prende il nome di attore, colui che si difende di convenuto. Ci si rivolge ad un giudice che è
chiamato a decidere una controversia applicando la legge del Codice civile e le leggi collaterali (tutte le leggi
collegate al codice civile).

La giustizia civile prevede tre livelli di giudizio: in primo grado troviamo il tribunale o il giudice di pace, in
secondo grado la Corte d'appello (sia il tribunale di primo grado che il tribunale di secondo grado sono
giudici di merito, significa che devono decidere chi ha ragione e chi ha torto, quindi entrano nel merito della
questione) e in terzo grado la Corte di cassazione (è un giudice di legittimità, cioè ha il compito di giudicare
se il processo è stato fatto bene oppure no. Se la Cassazione dice che il processo si è fatto correttamente,
allora si ha la sentenza definitiva, se invece la Cassazione dice che il processo non è stato fatto bene, allora
la sentenza viene cancellata si ritorna in Corte d’appello).

La giustizia civile nel nostro paese è in grandissima difficoltà per le numerose controversie civili, e proprio
per cercare di ridurre il numero di cause nei tribunali è stato istituito 30 anni fa la figura del giudice di pace.
Il giudice di pace si colloca prima del tribunale di primo grado ed è un giudice onorario che si può occupare
di tutte quelle cause civili il cui contenuto economico è inferiore a 5000 €. Il giudice di appello del giudice di
pace è il tribunale (non si va in corte d’appello), quindi proprio quel tribunale che si voleva alleggerire, si
riempie di cause di secondo grado, cioè di tutte quelle decisioni del Giudice di Pace che non sono condivise
dalle parti. La caratteristica del giudice di pace è quella di essere chiamato a decidere non soltanto secondo
legge, ma anche secondo equità (il giudice deve decidere secondo giustizia, quindi secondo legge, invece il
giudice di pace è un po’ più libero, perché può decidere utilizzando il comune buon senso del padre di
famiglia).

Giustizia penale

La giustizia penale è la reazione dell'ordinamento giuridico contro chi viola le regole di pacifica convivenza
(perché tutto ciò che viola la pacifica convivenza, toglie serenità alla comunità).

Nell’azione penale abbiamo: un imputato, ossia colui che al termine delle indagini viene sospettato di aver
commesso il reato; un Pubblico Ministero, ossia un magistrato che svolge la funzione di pubblica accusa; un
giudice, che dovrà decidere se l'imputato è colpevole o innocente; la parte lesa, ossia la vittima del reato, è
una parte eventuale (il processo si fa anche senza la partecipazione della parte lesa, ma se ne viene
ammessa la presenza, non ha alcun ruolo).

Ci si rivolge in primo grado al giudice di pace (per reati minori, come la diffamazione, ossia l’offesa alla
reputazione di una persona assente) o al tribunale o alla corte d'assise (per reati più gravi, come l’omicidio
volontario), in cui il giudice di primo grado è affiancato dalla giuria popolare; in secondo grado alla Corte
d'appello o alla Corte d'assise d’appello; e terzo ed ultimo appello alla Corte di cassazione. Per un imputato
è sempre peggio la giuria popolare perché ragiona secondo regole etiche, e le regole etiche sono più severe
delle regole giuridiche.

Giurisdizione speciale

Sono considerate giurisdizioni speciali la giustizia amministrativa (la più importante), contabile e militare.

La giurisdizione amministrativa tutela gli interessi dei cittadini che sono stati lesi dalla pubblica
amministrazione. È esercitata in I grado dai Tribunali Amministrativi Regionali (TAR), istituiti almeno in ogni
capoluogo e composti da almeno un Presidente e 5 magistrati amministrativi. In II grado è previsto il
“Consiglio di stato”, unico e competente per tutto il territorio nazionale, articolato in tre sezioni
giurisdizionali, ciascuna composta da almeno un presidente e 4 consiglieri. Il processo ha inizio attraverso
un’istanza (ricorso), proposto in breve termine da chi si ritiene leso da un atto della pubblica
amministrazione.

La giurisdizione contabile si occupa di:

 responsabilità contabile di coloro che maneggiano denari o valori pubblici e sono tenuti alla
presentazione del rendiconto di gestione;
 responsabilità per danno erariale provocato all'amministrazione da un dipendente pubblico.

È esercitata dalla Corte dei Conti in I grado in “sezioni regionali” istituiti in ogni regione e in II grado in
“sezioni centrali” competenti su tutto il territorio nazionale. La giustizia militare ha giurisdizione sui membri
appartenenti alle forze armate sia in tempo di guerra che in tempo di pace. La giurisdizione tributaria
esercita la giurisdizione nelle controversie fra i cittadini e l’amministrazione finanziaria dello Stato.

La Magistratura

La magistratura è l'insieme dei soggetti che esercitano il potere giudiziario; è l’organo dello Stato che
verifica se le norme giuridiche siano state violate e applica le sanzioni previste attraverso una decisione
finale chiamata sentenza. La magistratura è composta da magistrati o giudici. Secondo la Costituzione, i
magistrati possono essere assunti soltanto per pubblico concorso (quindi il giudice di pace non può essere
chiamato magistrato). Il magistrato è un pubblico dipendente al quale la Costituzione ha voluto garantire la
maggiore tranquillità possibile, dunque il magistrato una volta diventato tale non verrà più sottoposto a
concorsi per tutta la sua carriera, e farà carriera e vedrà aumentato il suo stipendio per il semplice decorso
del tempo, perché abbiamo bisogno che il magistrato sia una persona più serena possibile, perché dalla sua
serenità dipende la corretta applicazione della legge.

La Costituzione ci dice che la magistratura è un ordine autonomo e indipendente. La magistratura è


autonoma perché è un potere separato rispetto agli altri poteri dello Stato ed ogni giudice è indipendente,
perché il giudice è soggetto soltanto alla legge, e quindi ogni giudice non ha un superiore gerarchico e non è
soggetto alla regola del precedente (ogni magistrato è indipendente dagli altri magistrati).

L’autonomia della Magistratura è garantita attraverso il Consiglio Superiore della Magistratura (il quale li
garantisce sull’inamovibilità, un magistrato può essere trasferito o può essere dimesso soltanto dal CSM). Il
Consiglio Superiore della Magistratura è un organo di autogoverno dei magistrati ed è un organo
amministrativo (non si occupa delle sentenze dei Giudici, per quello c'è la Cassazione, ma si occupa della
vita lavorativa dei giudici).

Nel Consiglio Superiore della Magistratura abbiamo tre componenti di diritto, il Presidente della
Repubblica, il primo Presidente e il Procuratore generale della Cassazione. Il Consiglio Superiore della
Magistratura è presieduto dal Presidente della Repubblica, proprio per ricordare ai magistrati che sono un
ordine autonomo ma non indipendente (in realtà non ci va quasi mai, solo se si accorge che qualcosa non
va). Il primo Presidente è la figura più elevata dei giudici e infine il Procuratore generale della Cassazione è
come se fosse il vertice (ma non c’è vertice) dei pubblici ministeri.

Nel CSM abbiamo altri 24 membri elettivi, che dividiamo in due categorie:

 membri togati: 16 componenti devono essere magistrati e vengono definiti togati;


 membri non togati: 8 componenti sono eletti dal Parlamento in seduta comune e possono essere o
avvocati o professori universitari (li chiamiamo membri non togati perché effettivamente non sono
magistrati).

Il fatto che ci siano queste 8 componenti non togate serve per sottolineare che la magistratura è autonoma
ma non indipendente. Il punto di vista non può essere solo quello dei magistrati, ma anche quello di tutti gli
operatori del diritto, per evitare che da ordine diventi casta, perché nel principio di sovranità popolare non
è tollerata l’élite, non è tollerata la presenza dei soggetti che abbiano uno status ingiustamente privilegiato
rispetto agli altri.

I magistrati possono incorrere in tre tipi di responsabilità:

1. Responsabilità penale, se nell'emettere una sentenza un magistrato commette un reato;


2. Responsabilità disciplinare, se un giudice adotta comportamenti che, pur non costituendo reato,
corrispondono a mancanze relative alla propria funzione;
3. Responsabilità civile, se, pur non commettendo reato, provoca danni a un cittadino emettendo una
sentenza ingiusta per dolo, per colpa grave o per diniego di giustizia.

Stati unitari e Stati decentrati

Uno Stato è unitario quando esiste un unico livello di potere politico, cioè un unico livello di governo
abilitato a fare leggi (l’Italia dello Statuto Albertino). La categoria degli Stati unitari è una categoria sempre
più ridotta, perché sono pochi gli Stati che si sentono così tranquilli nella propria democrazia da ritenere di
poter avere un unico livello di potere.
Uno Stato è decentrato quando ha più livelli di potere politico. In Italia abbiamo le regioni e lo Stato, ciò
significa che entrambi questi livelli di governo sono abilitati a produrre leggi. Gli Stati decentrati possono
essere di due tipi:

- Stati decentrati federali: possono avere la forma della federazione;


- Stati decentrati regionali: possono avere la forma dello stato regionale.

Da un punto di vista del decentramento, sono sempre Stati unici.

In Italia, ci siamo decentrati per evitare quello che è successo nel 1922 (Mussolini).

Unione Europea

L'Unione Europea è una Confederazione, ossia un insieme di Stati sovrani che decidono di delegare a un
soggetto una parte della loro sovranità, e in cui gli Stati hanno il diritto di recesso; da non confondere con la
federazione, che è invece un insieme di Stati che decidono di delegare quasi tutta la loro sovranità senza
avere il diritto di recesso.

L’Europa esce dalla Seconda Guerra Mondiale divisa e distrutta; ogni Stato si comporta in modo
assolutamente indipendente. In Europa si incomincia a fare un ragionamento sia politico che economico.
Dopo la Seconda Guerra Mondiale, gli Stati Uniti finanziano il piano Marshall al fine di ricostruire l’Europa
per cercare di attrarre il più possibile gli Stati europei. Germania, Italia e Francia (3 paesi grandi usciti
distrutti dalla guerra) e Belgio, Olanda e Lussemburgo (3 piccoli paesi anch’essi distrutti) decidono di
mettersi insieme per cooperare nell’utilizzo dei fondi del Piano Marshall. I fondi del Piano Marshall arrivano
a tutti gli Stati europei, ma questi 6 Paesi partono dall’idea che, togliendo le barriere doganali al loro
interno, quel denaro che stava arrivando dagli Stati Uniti avrebbe circolato più velocemente e avrebbe
prodotto ricchezza (quello che in economia si chiama “acceleratore” -> quanto più denaro circola, più
produci ricchezza). Dunque la prima idea sulla quale nasce l’UE è la creazione di un’area di libero mercato
nella quale non ci fossero dazi doganali, frontiere e dogane (barriere) ma libera circolazione per le persone,
le merci, i capitali e i servizi (le 4 grandi libertà dell’UE). Questi 6 Paesi fanno un ragionamento economico
per sfruttare al meglio questi fondi.

Vi è poi la consapevolezza che quasi tutte le guerre che si sono combattute in Europa fino a quel momento
sono state motivate da interessi economici e che gli Stati progrediscono meglio in tempo di pace. In Europa
i due Stati che si erano sempre fatti la guerra tra di loro erano Francia e Germania per il bacino carbonifero
della Renania. La finalità politica è, quindi, creare una grande area democratica di pace in tutta Europa (per
avere la pace bisogna avere la democrazia e la ricchezza).

Le tappe dell’integrazione europea

Nel 1948 nasce l’EURATOM, un’organizzazione sovranazionale che ha il compito di gestire l’energia atomica
nel continente europeo. Nel ‘50 nasce la CECA, la comunità economica carbone e acciaio, per risolvere il
problema della Renania e il problema della guerra economica sull’acciaio.

Nel ‘57 nasce la comunità più importante, la CEE, comunità economica europea, come organizzazione
sovranazionale, cioè che presenta alcuni elementi delle organizzazioni internazionali e alcuni elementi delle
organizzazioni statali. La CEE nasce con il Trattato di Roma: la tradizione europea è una tradizione greco-
romana; dunque, è significativo il fatto che sia stato firmato a Roma, con il fine di valorizzare le radici
romane dell’Europa.

Inizialmente la comunità economica europea è composta soltanto da 6 Stati, che ancora oggi vengono
chiamati gli stati fondatori: Italia, Francia, Germania (i 3 grandi paesi usciti devastati dalla Seconda Guerra
Mondiale.) e Belgio, Olanda e Lussemburgo (i 3 piccoli paesi che una volta in geografia si chiamavano
Benelux). Le istituzioni dell’UE sono state collocate in questi ultimi tre Paesi, soprattutto Belgio e
Lussemburgo, in modo che nessuno dei 3 grandi Stati potesse controllare troppo l’Unione. Tra gli Stati
membri manca la Gran Bretagna, che entrerà poi nel ’73, perché non crede al progetto europeo e per le
tensioni con la Francia; manca anche la Spagna, che entrerà poi nel ’86 con il Portogallo, perché al tempo
era ancora una dittatura. La prima regola non scritta è che per entrare nell’UE devi essere una democrazia.

Gli anni che vanno dal ’57 al ’73 sono gli anni migliori dell’UE in cui i 6 paesi costruiscono l’UE che abbiamo
oggi (costruiscono le istituzioni e le fonti). Nel ’73 entra il Regno Unito con Irlanda e Danimarca. In realtà, il
Regno Unito entra strategicamente, perché voleva combattere il nemico dall’interno e controllare l’Unione.

Nel ’79 si hanno le prime elezioni dirette del Parlamento europeo. Per 20 anni l’UE è stata quasi
esclusivamente un’unione di Stati e non un’unione di popoli, funziona come un’organizzazione in cui le
decisioni vengono prese dai governi dei singoli Stati. Ancora oggi, a decidere sono i governi. In tutti i Paesi
dell’UE le forme di governo si stanno evolvendo verso una forma “verticale”, cioè a prevalenza di governi
(Francia e Austria -> semipresidenziale, Germania -> parlamentare ma con un cancelliere fortissimo). Il
modello europeo è un modello verticale, nell’UE comandano i governi. Questa forma europea sta
fortemente influenzando le forme di governo dei singoli Stati.

Nel ’81 entra la Grecia. Si mette per iscritto la regola che per entrare nell’UE è necessaria la democrazia. Nel
’86 entrano Spagna e Portogallo, dopo la fine delle dittature. Nel ’95 entrano Austria, Svezia e Finlandia. I
Paesi diventano 15, numerosità più efficiente che l’UE abbia avuto.

Nel ’92 viene codificato il Trattato di Maastricht, la scomparsa delle barriere doganali e la caduta dei confini
nazionali per i singoli stati. Il 2000 è considerato il momento più felice dell’UE, anno in cui viene approvata
la carta dei diritti fondamentali dei cittadini europei (trattato di Nizza). I 3 elementi di una Costituzione sono
principi, diritto ed organizzazione: l’organizzazione l’UE già l’aveva con il trattato, nel 2000 approva la carta
dei diritti ed inizia a ragionare di scrivere i valori.

Nel 2002 gli Stati europei decidono di ragionare sull’idea di far nascere gli Stati Uniti d’Europa, quindi
passaggio da confederazione a federazione. Ciò significa trovare dei valori comuni e che gli Stati devono
cedere la totale sovranità all’UE. Il 2004 è l’anno peggiore. Si firma il trattato che introduce una
Costituzione per l’Europa, ma al tempo stesso si fanno entrare 10 Paesi dell’Est, tutti con un’economia
disastrata che non può reggere l’impatto con l’UE. Infatti, a loro non si applica alcuna regola di bilancio, la
regola secondo cui gli Stati non si possono indebitare di più del 3% di quello che producono. La regola è che
quando si firma un trattato, questo deve essere ratificato da tutti. La Polonia, appena entrata, decide di non
ratificare perché non vuole rinunciare alla propria sovranità. Anche la Francia non ratifica, in seguito a
referendum popolare (l’Italia ha ratificato con legge). L’UE resta, quindi, una confederazione. Oggi siamo
una federazione di fatto e una confederazione di diritto.

In seguito al fallimento del processo di ratifica, nel 2005-2006 molti Stati pensano di andarsene; le
istituzioni europee hanno permesso agli Stati di fare qualsiasi cosa, per evitare di perdere Stati all’interno
della confederazione. Nel 2009 si scrivono delle regole molto stringenti con il Trattato di Lisbona. Si scrive in
modo esplicito che gli Stati hanno il diritto di recesso. Oggi gli Stati dell’UE sono 27.

Le tante “Unioni”

Pur di rimanere insieme, negli ultimi 15 anni in Europa si è accettata l’idea che non si possa camminare
sempre tutti insieme. Non tutti gli Stati hanno accettato di cedere un ulteriore parte della propria sovranità
per entrare all’interno di queste unioni: è quella che si definisce “Europa a più velocità”. Con
quest’espressione si intende che all’interno dell’UE la cessione della sovranità da parte degli Stati non è più
uguale per tutti. A tal proposito possiamo parlare di varie aree:

AREA EURO
Nell’UE non vi è la moneta unica. Sono 19 Paesi ad avere l’euro come moneta. La moneta è uno degli
strumenti della sovranità.

AREA SCHENGHEN

È attualmente composta da 26 Paesi, di cui 22 membri dell’UE e 4 non membri (Islanda, Liechtenstein,
Norvegia e Svizzera). Non ne fanno parte Bulgaria, Cipro, Croazia e Romania, per cui il trattato non è ancora
entrato in vigore, e Irlanda e Regno Unito, che non hanno aderito alla convenzione esercitando la
cosiddetta clausola di esclusione.

AREA MES

Creato nel 2012, ne fanno parte 17 Paesi. MES, meccanismo europeo di stabilità, è la possibilità che viene
data a ciascuno Stato membro del Mes di chiedere un prestito al fondo europeo di stabilità (prestito senza
interessi). Hanno costituito una società a responsabilità limitata, dove gli azionisti sono gli Stati, e dove ogni
Stato ha versato una quota di capitale, non in parti uguali (la somma di Francia e Germania è pari al 47% del
fondo). La sede legale del MES è Lussemburgo, il Paese europeo che ha la legislazione fiscale più agevolata
delle imprese.

La regola è che lo Stato che riceve il prestito si impegna a fare tutto ciò che la cosiddetta “triade” chiede di
fare. La triade è formata dal Presidente della Commissione europea, dal Presidente della Banca Centrale
europea (Christine Lagarde, che prima era Presidente del fondo monetario internazionale) e dal Presidente
del fondo monetario internazionale.

AREA FISCAL COMPACT

Approvato nel 2012, ne fanno parte 25 Paesi, i quali si impegnano ad avere un bilancio corretto, cioè a non
indebitarsi ogni anno di più dello 0,5% della ricchezza che producono. In realtà, non è ancora stato
applicato.

Il Trattato Fiscal Compact ha comportato la modifica dell’art. 81 della nostra Costituzione che disciplina il
bilancio. Non è ancora stato applicato a causa della crisi economica, della crisi pandemica e della guerra.

La legge di bilancio è una legge che contiene numeri; il documento di bilancio è un documento numerico.

È necessario fare la legge di stabilità (prima chiamata legge finanziaria), in cui vengono scritte tutte le
modifiche dell’ordinamento giuridico che servono per approvare la legge di bilancio, pertanto prima viene
approvata la legge di stabilità e poi la legge di bilancio.

1° Comma “Lo Stato assicura l'equilibrio tra le entrate e le spese del proprio bilancio, tenendo conto delle
fasi avverse e delle fasi favorevoli del ciclo economico”.

Non è un comma giuridico, è una disposizione fortemente economica. È il motivo per il quale il Fiscal
Compact non è ancora entrato in vigore in quanto da alcuni anni noi siamo in una fase avversa del ciclo
economico. Si parla di equilibrio di bilancio, e non di pareggio di bilancio: ciò significa che lo Stato si potrà
indebitare di più o di meno a seconda che la fase sia una fase favorevole o sia una fase avversa. Si supera il
concetto meramente contabile di bilancio dello Stato, si passa ad un bilancio sociale, cioè il bilancio deve
comunque garantire l’erogazione dei servizi essenziali. Oggi il bilancio, pur contenendo solo numeri, è
comunque una legge a tutti gli effetti grazie alla quale si stabiliscono obiettivi di politica economica nel
nostro Paese.

2° comma “Il ricorso all'indebitamento è consentito solo al fine di considerare gli effetti del ciclo economico
e, previa autorizzazione delle Camere adottata a maggioranza assoluta dei rispettivi componenti, al
verificarsi di eventi eccezionali”.
Le fonti del diritto UE

Di regola, le organizzazioni internazionali non hanno delle proprie fonti del diritto. Le fonti del diritto
dell'Unione Europea sono molto particolari, perché nel caso dei trattati sono delle fonti di diritto
internazionale (esterno), mentre per quanto riguarda regolamenti e direttive sono delle fonti di diritto
interno. In questa Confederazione la fonte del diritto più importante è esterna perché ha la forma del
diritto internazionale, tutte le altre fonti, cosiddette derivate invece, sono di diritto interno.

I Trattati

La fonte più importante è il Trattato, anche se è più appropriato parlare di Trattati al plurale, perché
l'Unione Europea ha modificato continuamente la propria norma fondamentale per adattarla all’evoluzione
dell'Unione stessa. Tuttavia molti trattati sono trattati europei, ma non dell’Unione, questo perché non
sono approvati da tutti i ventisette stati membri (un trattato è dell’Unione se viene approvato da tutti gli
stati membri, è invece un trattato europeo, ma non dell’Unione, se non viene approvato da tutti i ventisette
stati membri).

Un trattato è un accordo tra 2 o più Stati per regolare qualcosa di proprio interesse, come i trattati di pace, i
trattati per le alleanze prima delle guerre e i trattati commerciali. Il trattato è un atto di diritto
internazionale che non ha alcun valore giuridico se gli Stati non lo trasformano con legge in un loro atto
normativo.

Quando si vuole scrivere un trattato completamente nuovo o che modifichi il precedente si indice una
conferenza, significa che a livello dell’Unione Europea si chiede ad ogni Stato di preparare una delegazione
che avrà il compito di mettersi a scrivere il nuovo trattato. Una volta che il trattato viene approvato dalla
conferenza, questo trattato per essere valido deve essere ratificato da tutti gli stati membri dell’Unione.

Normalmente, tutti gli Stati possono sedersi al tavolo del negoziato dove si scrive un trattato. In questo
caso parliamo di trattati “aperti”: si siedono tutti gli Stati, ma nessuno Stato è obbligato a ratificare il
trattato. Uno Stato può decidere di ratificarlo e poi cambiare idea, questo perché gli Stati sono sovrani e
non vincolati alle regole del diritto internazionale. Il diritto internazionale è un diritto basato sulla
condivisione, ma è anche il diritto più fragile, perché è un diritto che non ha la possibilità di essere applicato
obbligatoriamente.

Il trattato è “chiuso” quando possono scriverlo solo quei Paesi che sono autorizzati a farlo, come i trattati
dell’UE che possono essere scritti solo dai Paesi che fanno parte dell’UE. Sono trattati perfetti, non entrano
in vigore se non vengono ratificati da tutti gli Stati che li hanno scritti, motivo per il quale il trattato del 2004
non è mai entrato in vigore.

I trattati definiscono gli obiettivi e i principi fondamentali dell’UE, elencano le competenze degli organi
dell’UE e stabiliscono le procedure di decisioni comuni.

Il trattato si colloca nel punto più alto della gerarchia delle fonti dell’UE. Rispetto alla Costituzione dei
singoli Stati dell’UE, si applica il principio della competenza. La Costituzione prevale tranne che per la
disciplina di quelle materie che sono affidate alla competenza dell’UE. Le Costituzioni degli Stati membri
restano prevalenti rispetto al trattato, anche perché lo Stato può sempre decidere di uscire dall’UE, ma non
nelle materie che sono state delegate all’UE. I nostri principi e diritti fondamentali prevalgono, dunque, sui
trattati.

Diritto derivato
Il diritto derivato è l’insieme degli strumenti normativi utilizzati dall’UE per realizzare gli obiettivi fissati dai
trattati. Si distinguono in regolamenti e direttive.

Il regolamento europeo

Il regolamento europeo è un atto legislativo vincolante che deve essere applicato in tutti i suoi elementi
nell’intera Unione Europea. Il regolamento entra direttamente in vigore in tutti gli Stati membri. Si colloca
immediatamente al di sotto del trattato europeo, è una fonte del diritto europeo ed è vincolante sia per gli
Stati che per i cittadini.

In Italia è collocato nelle fonti primarie (nelle fonti primarie troviamo tutti e tre i legislatori della multilevel
governance: legislatore statale con legge, decreto legge e decreto legislativo; legislatore regionale con la
legge regionale; e l’Ue con il regolamento europeo) e per il quale si applica il criterio della competenza, cioè
se c'è un conflitto tra regolamento europeo e legge statale si deve andare a vedere di chi è la competenza.
La Corte costituzionale ha stabilito che nell’attesa di definire la competenza si disapplica la legge statale, la
quale verrà dichiarata incostituzionale. Se si ha il dubbio che a non essere al posto giusto è il regolamento
europeo, si presenta ricorso alla Corte della giustizia, la cosiddetta questione di pregiudizialità, per
verificare se il regolamento europeo è davvero conforme al trattato europeo. Per il principio di supremazia
del diritto europeo, anche se c’è dubbio si applica il diritto europeo.

Questo è un concetto molto importante perché noi partiamo dal presupposto che l’UE fa atti normativi solo
quando ha la competenza. I regolamenti (ma anche le direttive) sono approvati dal Consiglio dei ministri
europeo e dal Parlamento europeo. Nel Consiglio dei Ministri ci sono gli Stati, quindi è difficile che gli Stati
europei approvino un atto normativo europeo che viola le competenze degli stati stessi. In caso di un atto
normativo dell’Ue emanato in una materia di non competenza, la Corte di Giustizia li annullerà. Il
regolamento europeo è una fonte del diritto europeo che entra direttamente negli ordinamenti giuridici
degli Stati, quindi una volta che è stato approvato dall’UE e viene pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale, entra
automaticamente in vigore in tutti i 27 Stati, senza l’accordo e l’approvazione da parte del Parlamento e
Governo (il trattato dell’UE, invece, entra negli ordinamenti giuridici degli Stati membri attraverso la legge
di ratifica del trattato). Il regolamento europeo è contemporaneamente fonte del diritto dell'Ue e fonte del
diritto degli Stati membri. L’UE fa il regolamento quando sa di poter dare delle regole uguali a tutti gli Stati
membri.

Le direttive

La direttiva è una fonte inventata dal diritto europeo. Fino al ’57 la parola “direttiva” non serviva per
qualificare un atto normativo. La direttiva è una fonte del diritto europeo, ma non è una fonte del diritto
italiano (al contrario del regolamento europeo).

La direttiva europea è un atto normativo che stabilisce un obiettivo che tutti i paesi dell’Ue devono
realizzare entro un termine, ma spetta ai singoli paesi definire come tali obiettivi vadano raggiunti
(attraverso disposizioni nazionali). Le direttive vincolano gli Stati al raggiungimento di un determinato scopo
e richiedono l’intervento attuativo da parte dello Stato, che in genere provvede con legge. La direttiva
contiene due elementi molto importanti:

1. l'obiettivo da raggiungere;
2. il termine entro il quale l'obiettivo deve essere raggiunto.
Una direttiva per entrare negli ordinamenti giuridici degli Stati membri deve essere recepita (e non
ratificata) con un atto normativo del singolo Stato (in Italia si chiama “legge europea” o “legge di
delegazione europea”) che stabilisce come vuole raggiungere l'obiettivo.

L’Italia è diventata molto efficiente nel recepimento delle direttive, perché dal 2011 in Italia le recepiamo
con la “legge europea”, che è una legge italiana e non dell’UE. In Italia recepiamo tutte le direttive di un
anno attraverso questa legge, che stabilisce anche se a disciplinare la direttiva deve essere il Parlamento o il
Governo con un decreto legislativo.

Quando uno Stato non trasforma la direttiva in una legge del proprio Paese, subisce una multa.

L’organizzazione dell’Unione Europea

L'Unione Europea ha una sua organizzazione, se fosse uno Stato noi diremmo che ha i suoi organi
costituzionali, ma non essendo uno Stato, gli organi dell'Unione Europea sono chiamati istituzioni.

L'Unione Europea funziona come un super-Stato, che viene governato da una serie di istituzioni:

 Consiglio europeo
 Consigli dei Ministri
 Parlamento europeo
 Commissione europea
 Corte di Giustizia europea
 Banca centrale europea
Consiglio europeo

Il Consiglio europeo è un istituto intergovernativo: risponde alle regole del diritto internazionale (l'Unione
Europea ha affiancato alle regole di diritto internazionale delle regole statali, infatti noi diciamo che
l'Unione Europea è un ente sovranazionale, perché ha degli elementi del diritto internazionale e degli
elementi del diritto statale).

Il Consiglio europeo è formato dai capi di stato e di governo dei paesi membri dell'Unione Europea, in più
partecipa il Presidente del Consiglio europeo + il Presidente della Commissione europea (i quali partecipano
senza diritto di voto poiché questo consiglio è un organo politico in cui gli Stati decidono quale debba
essere l’orientamento futuro dell’UE e quali priorità deve avere). La cosa importante però è sottolineare
che chi veramente conta all'interno del Consiglio europeo sono i capi di stato e di governo. Attualmente il
Presidente del Consiglio europeo, che non è un capo di stato o di governo, attualmente è Charles Michel.

Al Consiglio europeo l’Italia manda solo il Presidente del Consiglio, mentre la Francia solo il Presidente della
Repubblica: questo ci fa capire che nel Consiglio europeo vanno coloro che possono prendere le decisioni in
nome e per conto dello Stato che rappresentano (in Italia il Presidente del Consiglio che va al Consiglio
europeo non prende decisioni in assoluta autonomia, ma prima si consulta con il Parlamento). Gli Stati si
riuniscono e decidono che cosa l'Unione Europea dovrà fare nei mesi successivi, quindi definisce
l'orientamento politico generale e le priorità (le priorità non per un futuro che ci sarà fra 10 anni, ma le
priorità dei prossimi sei mesi, del prossimo anno).

Il Consiglio europeo non nasce insieme all'Unione Europea, la quale è nata nel 1957 con il nome di
comunità economica europea, ma ha cominciato a costituirsi in modo informale intorno agli anni ‘70
(perché all'inizio gli stati membri erano pochi, quindi i capi di stato e di governo si organizzavano al
telefono). Il Consiglio europeo nasce nel ’74. Fino al 2009 il Consiglio europeo si riuniva in modo itinerante,
ogni 6 mesi si cambiava il paese di presidenza dell'Unione Europea. Dal 2009, invece, ha sede in Bruxelles e
ha anche un presidente stabile che dura in carica 30 mesi ed è rieleggibile una sola volta.

Le funzioni del Consiglio europeo:

 stabilisce le priorità politiche dell'Unione Europea, ma non approva nessun atto normativo,
quindi il Consiglio europeo è un’istituzione politica, non legislativa;

 gestisce questioni complesse e delicate che non possono essere decise né dai singoli stati,
né dalle semplici istituzioni europee;

 definisce la politica comune estera e di sicurezza dell’Unione Europea (nella politica estera
rientrano anche le politiche commerciali);

 nomina i candidati a ruoli di particolare importanza per quanto riguarda l'Unione Europea, in
particolare nomina il Presidente della Banca Centrale europea e il Presidente della Commissione
europea.
Il Consiglio europeo di solito si riunisce quattro volte l’anno (ma in realtà sono tantissime le riunioni
straordinarie) ed è presieduto e convocato dal presidente, che però non ha diritto di voto, non essendo né
Capo di Stato né capo di governo.
In generale, al Consiglio europeo si vota per consenso, significa che non si mette ai voti la delibera, è come
se la si approvasse con un applauso, quindi formalmente non c'è nessuno che possa astenersi o votare
contro (non si mette ai voti). Quando invece bisogna prendere delle decisioni più formali, allora si vota e le
due possibili maggioranze sono l'unanimità o la maggioranza qualificata (la maggioranza dei 2⁄3) (nel
Consiglio europeo il voto di ogni Stato vale uno).

Il Consiglio dei ministri

Non è appropriato parlare di Consiglio dei ministri, ma bisogna parlare di consigli dei ministri al plurale,
perché l’Unione Europea ha deciso di avere tanti consigli dei ministri quante sono le materie di maggiore
competenza dell’Unione Europea. L’Unione Europea si può occupare solo di specifiche materie, che sono le
materie contenute nei trattati. Il Consiglio dei ministri ha il compito non solo di approvare gli atti normativi
nelle materie di competenza, ma anche di stabilire quali sono le strategie di applicazione di quelle materie.

Ogni consiglio dei ministri è composto dai ministri di ciascun governo nazionale che nel proprio paese si
occupa di quella determinata materia, quindi ogni stato quando realizza il proprio Consiglio dei ministri,
deve anche avere un occhio per il Consiglio dei ministri europeo.

Le funzioni del Consiglio dei ministri:

 svolge una funzioni legislativa, approva i regolamenti e le direttive dell’Unione Europea


assieme al Parlamento europeo, basandosi sulle proposte della commissione europea;

 coordina le politiche di tutti i paesi dell’UE in quella materia;


 elabora una politica estera e di sicurezza;
 firma gli accordi tra l’UE e altri paesi o altre organizzazioni internazionali;
 approva il bilancio annuale dell’UE insieme al Parlamento europeo, quindi come si spenderanno i
fondi dell’UE viene deciso dai Consigli dei ministri dell’UE insieme al Parlamento europeo.
I consigli dei ministri dell’UE non hanno membri permanenti, ma si riuniscono in 10 diverse configurazioni,
ognuna delle quali corrisponde al settore di cui si discute. È evidente che se all'interno di uno Stato cambia
un ministro, allora automaticamente cambia anche il ministro che parteciperà alle riunioni del consiglio
competente, ma non è detto che ci vada un ministro, perché il ministro può anche decidere di delegare
qualcuno: in primo luogo può delegare il Sottosegretario, ma potrebbe anche delegare un direttore
generale del ministero particolarmente competente sulla questione che si dovrà discutere.

Il Consiglio dei ministri si riunisce in seduta pubblica quando si discute di progetti e di atti legislativi (in quel
caso si comporta da legislatore, quindi lavora a porte aperte); in tutti gli altri casi invece delibera a porte
chiuse.

Le decisioni vengono di norma adottate a maggioranza qualificata: il 55% degli stati membri; oppure tanti
paesi quanti ne servono per avere il 65% della popolazione totale dell'Unione Europea. La conseguenza è
che per bloccare una decisione dell'Unione Europea bastano 4 paesi grandi, quindi se quattro paesi che
rappresentano almeno il 35% della popolazione totale non sono d’accordo, la decisione non potrà mai
essere presa (i grandi paesi nel loro insieme si sono dati un potere di veto). Per alcune decisioni molto
semplici basta la maggioranza semplice, ma quando si parla di politica estera o di economia, del fisco, serve
l’unanimità.

Parlamento europeo

Il Parlamento europeo è l’istituzione dell’UE che rappresenta il popolo europeo, la cui composizione è fatta
per Stati, nel senso che ogni Stato dell'Unione Europea ha diritto ad un certo numero di parlamentari, il cui
numero dipende dal numero di elettori che ci sono in ogni Stato membro. Il Parlamento europeo ha un
numero di parlamentari variabile, nel senso che il tetto massimo di componenti del Parlamento europeo è
di 75 (fissato dal Trattato di Lisbona), ma il numero di componenti che spetta a ciascuno Stato può variare.

Quando uno stato esce dall’UE, i seggi dello stato uscente vengono attribuiti agli altri stati presenti; quando,
invece, entra un nuovo paese, questo nuovo paese non avrà parlamentari europei fino alle nuove elezioni
del Parlamento Europeo (ci sono ogni 5 anni). Siccome abbiamo sempre il tetto 751, allora vuol dire che
l'ingresso di un nuovo paese porterà ad una riduzione del numero di parlamentari per ogni Stato.

Il Parlamento europeo è monocamerale.

La prima elezioni per il Parlamento europeo si è tenuta nel 1978, quindi per circa vent'anni la comunità
economica europea ha funzionato senza avere un Parlamento.

Le funzioni del Parlamento europeo sono:

Il Parlamento europeo svolge una funzione di co-legislatore, in quanto approva quasi tutti gli atti insieme al
Consiglio dei ministri, anche se l’ultima parola spetta al Consiglio dei Ministri. Quindi nel caso in cui il
Parlamento europeo non approva un atto normativo che è già stato approvato da un Consiglio dei Ministri,
il Consiglio può aprire la trattativa per capire che cosa vuole il Parlamento, ma se si va ad uno scontro, il
Consiglio dei Ministri può approvare all'unanimità quella direttiva o quel regolamenti per farla entrare in
vigore (si cerca sempre di trovare un compromesso, cioè si sente sempre di capire per quali motivi il
Parlamento non voglia approvare). Quindi, il Parlamento europeo non è il legislatore unico.

Una competenza molto importante che il Parlamento ha dal 2009 è quella di dare la fiducia ai singoli
commissari europei (non all’intera commissione). Ognuno di questi futuri commissari deve ricevere un voto
di fiducia, quindi un voto di gradimento, da parte del Parlamento europeo; se non riceve la fiducia, il paese
che aveva espresso quel commissario deve sceglierne un altro (possono non dare la fiducia ad esempio se
considerano quel commissario poco europeista).
Ogni Stato elegge i propri parlamentari e ogni Stato sceglie il proprio sistema elettorale (l'Unione Europea
ha dato l'indicazione di utilizzare il sistema elettorale proporzionale).

Tutti i parlamentari europei devono appartenere ad un gruppo, questi gruppi parlamentari si aggregano
non in base a partiti nazionali, ma per una visione politica di tipo macro.

La Commissione europea

La Commissione europea è l’istituto europeo più interessante perché non ha nessuna corrispondenza a
livello statale (è una istituzione inventata dall'Unione Europea).

La commissione europea è la pubblica amministrazione dell’UE, è il motore dell'Unione Europea ed è il


garante dei trattati. Siccome ogni capo di stato, ogni capo di governo e ogni ministro partecipano ai lavori
dell'Unione Europea facendo più attenzione non all’interesse dell’Unione, ma a quello del proprio paese, è
risultato evidente il bisogno di un istituto che rappresentasse solo ed esclusivamente una visione europea e
questa istituzione è la commissione europea, la quale rappresenta la prima l'interfaccia con gli stati.

La Commissione europea ha sede a Bruxelles e i principali commissari europei sono 27 (in totale ne sono
molti di più), ossia uno per ogni stato (il commissario europeo italiano è Gentiloni, sempre stato molto
europeista). Ogni commissario europeo deve avere il gradimento del Parlamento europeo (quindi si deve
presentare come profondamente europeista) per avere la fiducia e una volta che l’ha ottenuta comincia ad
esercitare le sue funzioni ragionando solo ed esclusivamente nell’ottica dell’interesse dell’Unione. Questi
27 commissari hanno un Presidente che viene scelto dal Consiglio europeo (l’attuale Presidente è Ursula
von der Leyen).

La commissione è una istituzione iniziale, ossia nasce con la nascita della comunità economica europea
(1957), questo perché sin dal primo momento è apparso chiaro che la comunità economica europea non
doveva essere un'organizzazione nazionale, ma sovranazionale, quindi un'organizzazione nella quale c’è un
interesse proprio indipendente da quello degli stati che la compongono. Quindi la Commissione europea è
l’istituzione che garantisce l'identità dell'Unione Europea indipendentemente da quello che pensa ogni
singolo stato.

La Commissione europea viene formata subito dopo l'elezione del Parlamento europeo, il quale non viene
sciolto anticipatamente, quindi sicuramente dura 5 anni, così come la Commissione europea. La
Commissione europea viene formata subito dopo le elezioni del Parlamento europeo per un motivo di
controllo. Il fatto di aver attribuito al Parlamento europeo il compito di dare la fiducia ai commissari europei
è stato un modo per costringere i governi nazionali a non ragionare in un'ottica politica esclusivamente
nazionale, ma di dover ragionare quale commissario meglio potrebbe dialogare con il Parlamento europeo
(stessa cosa avviene quando si sceglie il Presidente della Commissione europea, che viene scelto dal
Consiglio europeo).

Le funzioni della commissione europea:

 è il braccio esecutivo politicamente indipendente dell'Unione Europea ed è l'unico organo che ha il


potere di iniziativa legislativa, quindi se si vuole approvare un regolamento o una direttiva,
l’iniziativa può essere soltanto della commissione europea (bottom up). Una volta che il
regolamento o la direttiva sono stati approvati, a dare esecuzione sarà solo ed esclusivamente la
Commissione europea (bottom down) (è politicamente indipendente non dal Parlamento, con cui
ha un legame molto forte, ma è politicamente indipendente dai consigli dei ministri, quindi dagli
Stati membri che compongono l’unione);
 ha il compito di tutelare gli interessi dell'Unione Europea e dei suoi cittadini, anche contro il volere
degli Stati (ad esempio la commissione europea apre le procedure di infrazione contro i singoli Stati
che non rispettano le normative europee);
 gestisce il bilancio: innanzitutto prepara il progetto di bilancio e sottopone questa proposta di
bilancio al Parlamento e al Consiglio europeo (il Parlamento è molto importante perché senza
l'approvazione del Parlamento non si ha il bilancio europeo). Se la proposta di bilancio viene
approvata, la commissione europea lo attua (controlla come vengono utilizzati i fondi, ecc...);
 è il garante dei trattati: ha il compito di controllare che gli stati membri non ledano né il diritto
dell'Unione né i diritti dei cittadini dell’Unione;
 rappresenta gli stati sulla scena internazionale (sempre più spesso i singoli stati non vanno più a
negoziare con un Stati Uniti, con la Cina o con gli altri paesi, ormai i negoziati vengono svolti
direttamente dall’Unione Europea e questo compito spetta alla commissione europea).

La Corte di Giustizia

La Corte di Giustizia è l’istituzione europea che più assomiglia alle Corti Costituzionali degli Stati membri.
Abbiamo due livelli di giustizia: una corte di giustizia, con un giudice per ogni paese (quindi 27 + 11 avvocati
generali); e un tribunale, in cui abbiamo 2 giudici per ogni stato.

La Corte di Giustizia nasce nel 1952, prima della comunità economica europea, questo perché nasce
insieme alle due comunità europee (comunità europea dell’energia atomica e comunità economica per il
carbone e l’acciaio), quando poi è nata anche la comunità economica europea si è deciso di avere un unico
giudice che risolvesse tutte le controversie di tutte e tre le comunità.

Funzioni:

 La prima competenza della Corte di Giustizia è l'interpretazione del diritto, ossia il rinvio
pregiudiziale: se un giudice statale ha un dubbio sulla corretta applicazione di una norma europea,
spetta alla Corte di Giustizia chiarire come il giudice deve interpretare il diritto europeo (è il
compito che svolge più di frequente);
 assicura il rispetto della legge (procedure d’infrazione): viene adottato nei confronti di un governo
nazionale che non rispetti il diritto dell’UE e la procedura d’infrazione può essere avviata dalla
commissione o da un altro paese dell’UE. La corte può condannare lo stato attraverso una pena
pecuniaria (una multa);
 annulla atti giuridici dell’UE (regolamenti e direttive). Se uno Stato membro, il Consiglio europeo, la
Commissione europea o un singolo cittadino dell’UE ritengono che un atto dell'UE violi i trattati o i
diritti fondamentali, possono chiedere alla Corte di annullarlo (questo accade molto raramente
proprio perché l'Unione Europea è a sua volta controllata dagli Stati, quindi difficilmente gli stati
consentono all'Unione Europea di approvare un atto normativo che eccede le competenza
dell’Unione);
 sanziona le istituzioni europee qualora abbiano leso il diritto di un cittadino o di un’impresa.

Sentenza Google Spain


In internet è apparso evidente che il diritto all'oblio diventa un’esigenza, ed ecco che nel 2016 si è avuta
una sentenza della Corte di Giustizia , che ha portato a quella che si chiama deindicizzazione (la non
tracciabilità digitale per non essere visualizzabili a tutela del diritto alla privacy e all'oblio degli interessati).
Poiché il diritto alla privacy e all'oblio sono diritti che sono stati regolamentati per la prima volta a livello
europeo, il giudice chiamato principalmente a tutelare questo diritto è il giudice europeo. Quindi ci sono dei
diritti di matrice europea per i quali il giudice naturale, ossia il giudice al quale si tende a fare ricorso, è il
giudice europeo (un altro diritto di matrice europea è il diritto sulla libertà di circolazione).

Materie di competenza europea

Nell’800 lo Stato era il titolare esclusivo di tutta la competenza legislativa, potendo dunque disciplinare
qualsiasi cosa. Oggi non è più così, questo perché questo potere è tripartito a tre legislatori, ossia l’UE, lo
Stato e le Regioni, dei quali lo Stato rimane il perno centrale perché regola questi trasferimenti.

Sin dal trattato del 1957, ma poi sempre di più nei trattati successivi fino al trattato di Lisbona del 2009, gli
Stati hanno deciso di dare sempre più competenze normative all’UE. Oggi la competenza normativa dell'UE
si divide in tre tipologie:

 Esclusiva (es: la libera circolazione): tutte quelle materie di competenza esclusiva dell’UE, nelle
quali tutti gli Stati membri possono fare leggi in materia solo se autorizzati dall’Unione oppure per
dare attuazione agli atti dell’Unione. Le principali materie di competenza esclusiva sono:
- norme in materia di funzionamento del mercato interno: l’UE nasce soprattutto per la creazione di un
mercato unico europeo, cioè un mercato nel quale c’è la libera circolazione di merci, persone, capitali,
servizi;

- politica monetaria (che riguardano ovviamente solo gli Stati membri dell’eurozona);

- politica commerciale;

- è competenza soprattutto dell’UE dare sussidi in periodi di crisi (come quello che stiamo vivendo);

- politica sulla pesca e sull’agricoltura;

 Concorrente: le materie nelle quali gli Stati e l’UE entrano in concorrenza, significa che se l’UE
disciplina una determinata materia, allora gli Stati non possono più avere una normativa
configgente riguardo quella materia (contrastante, si devono adeguare); ma fino a quando l’Unione
Europea non disciplina quella determinata materia, gli Stati sono totalmente liberi di disciplinarla
come vogliono. I principali settori nei quali l’UE ha una competenza concorrente con quella degli
Stati membri sono: mercato interno, politica sociale, coesione economica, sociale e territoriale;
agricoltura e pesca, ambiente, protezione dei consumatori, trasporti, energia, spazio di libertà,
sicurezza e giustizia, problemi comuni di sicurezza in materia di sanità pubblica.
Nel punto di ‘’problemi comuni di sicurezza in sanità pubblica’’ vediamo in maniera chiara la
competenza concorrente. Fino ad oggi l’UE non ha mai voluto affrontare il tema della tutela della
salute in ambito europeo. Ha solo fatto qualche piccolo intervento per garantire la libera
circolazione dei servizi sanitari: da un lato il riconoscimento di lauree in medicina, dall’altro il fatto
che un paziente possa decidere di andare a curarsi in qualsiasi centro europeo a carico del proprio
sistema sanitario nazionale. Ma a parte questi interventi che potremmo definire “marginali”, l’UE
non ha mai voluto affrontare il tema della sanità, anche perché ogni stato ha un proprio diverso
sistema concorrente. Questo comporta che fare una politica europea in materia di sanità è
praticamente impossibile, poiché questa materia e oggi cosi occupata dalle normative nazionale
che l'idea di ridefinire interamente il quadro sulla base di una normativa europea è sostanzialmente
irrealizzabile. Quindi se l’UE disciplina per prima un a materia concorrente allora gli Stati si
dovranno adeguare, ma se l’UE cerca di intervenire su una materia concorrente sulla quale però gli
stati già hanno una propria disciplina allora la possibilità di regolarla da parte dell’UE diventa
remota.
 Sostegno, coordinamento e completamento (molto marginale da parte dell'Unione Europea):
competenza in cui l’operato dell’Unione è volto a un ruolo di aiuto rispetto all’azione degli Stati
membri, che l’UE si propone di coordinare e supportare in vista di obiettivi comuni (ad esempio in
materia di beni culturali).
In materia di beni culturali ogni stato ha una propria disciplina e i beni culturali non sono una
materia di competenza dell’UE. L’UE nel 1998 ha fatto un regolamento che disciplina la licenza di
esportazione: ciò significa che se un bene culturale deve uscire dall’Italia per andare negli Stati Uniti
deve avere una licenza di esportazione che è uguale alla licenza di esportazione che darebbero tutti
gli altri Stati dell’UE. Questo per garantire i patrimoni culturali di tutti gli stati dell’UE, evitare che un
bene culturale che si trova in Italia viaggia e va in Francia, a quel punto dalla Francia va in qualsiasi
stato del mondo perché la Francia ha una normativa diversa. In questo caso la tutela dei beni
culturali è una materia di competenza degli Stati; l’UE con un regolamento ha svolto un'attività di
completamento e coordinamento, ha introdotto una licenza uguale in tutti gli stati membri ed
evitare che ci siano illegali trasferimenti all'estero di beni culturali. È una competenza importante,
che colma le lacune che si creano tra una normativa statale e un'altra, è una competenza che l’UE
esercita spesso.

Le Regioni

Lo Stato, oggi, è inserito in una Multilevel Governance (forma di organizzazione delle competenze tra i
diversi livelli territoriali di governo politico) il che vuol dire che sono sostanzialmente 3 i punti di riferimento
politici: la regione, lo Stato e l’UE (anche i Comuni che, però, non possono fare leggi, ma rappresentano un
livello di governo amministrativo). Tali enti sono dei legislatori con autonomia politica molto importante, in
quanto hanno la possibilità di approvare atti normativi che hanno valore di legge.

Alla fine del 1947, l’Italia decide di diventare uno Stato regionale. In primo luogo, questo avvenne per
motivi economici: non si possono avere regole uguali su tutto il territorio nazionale perché ogni realtà
economica è diversa dalle altre. Un’altra importante ragione che ha spinto l’Italia a diventare uno Stato
regionale è di tipo politico: bisognava cercare di evitare la possibile formazione di un regime autoritario.

Nel nostro paese abbiamo tre tipi di regioni:

1. Regioni a statuto speciale: sono 5 e ne fanno parte Sicilia, Sardegna, Valle d’Aosta, Trentino-Alto
Adige, Friuli-Venezia Giulia, le cui popolazioni si trovano in Italia per il trattato di pace. Per
convincere queste persone che potevano far parte dell’Italia senza perdere le loro radici e la loro
identità è stata assegnato lo statuto speciale a queste regioni. Ogni autonomia speciale è diversa
dall’altra.
2. Regioni ordinarie: le altre 15 regioni che hanno dei poteri previsti in modo uniforme dalla
Costituzione. Le regioni ordinarie nascono nel 1948 ed inizialmente hanno un basso
decentramento; solo nel 1970 iniziano realmente a funzionare e nel 2001 con la “riforma
costituzionale del titolo quinto” si decide finalmente che le regioni sono diverse l’una dall’altra e
devono avere una forte autonomia.
3. Regioni differenziate: regioni con ancora più autonomia (richiesta da Lombardia e Veneto nel
2019).

Tuttavia, non ci può essere un'uniformità tra le regioni, proprio perché ogni regione è diversa l’una
dall’altra. Con la riforma costituzionale del 2001 è stato introdotto un comma, il terzo comma dell'articolo
116 della Costituzione, che prevede la possibilità da parte delle regioni di chiedere ulteriori forme di
autonomia, quindi le regioni possono chiedere più materie nelle quali hanno una competenza legislativa.
La riforma costituzionale del 2001 ha trasformato l'Italia da un paese a basso decentramento ad uno ad alto
decentramento (il decentramento è il trasferimento di funzioni e responsabilità delle funzioni pubbliche dal
governo centrale ad organi periferici). La riforma si è basata su alcuni principi importanti, come il principio
di sussidiarietà, il principio di adeguatezza e differenziazione, il principio di leale collaborazione, gli stessi
principi dell’UE. Il principio di sussidiarietà è il principio secondo cui se un ente inferiore è capace di
svolgere bene un compito, l'ente superiore non deve intervenire, ma può eventualmente sostenerne
l’azione. Adeguatezza vuol dire che il livello di governo individuato dalla legge deve essere in grado di
gestire quella funzione. Differenziazione, invece, esige che il conferimento delle funzioni avvenga in modo
ragionevole, disciplinando in modo eguale situazioni eguali e in modo differente situazioni differenti. Il
principio di leale collaborazione è il principio secondo cui i diversi livelli di governo devono cooperare fra
loro, in quanto, nonostante le diversità di funzione e struttura, essi fanno parte del medesimo
ordinamento.

L'autonomia delle Regioni

Le fonti del diritto regionale sono statuto, legge regionale e regolamenti regionali. Le regioni hanno tre
autonomie fondamentali:

 Potestà statutaria

La potestà statutaria delle regioni è stata prevista con la riforma del titolo Quinto della Costituzione del
2001. La potestà statutaria prevede che ogni regione può approvare il proprio statuto (questo statuto si
colloca in un livello intermedio nella gerarchia delle fonti, tra la costituzione e le fonti primarie). Le regioni
nei loro Statuti possono disciplinare soltanto l'organizzazione e la forma di governo regionale (contenuti
necessari), ma nel tempo alcune regioni hanno introdotto anche dei contenuti non necessari, ma siccome
secondo la Corte costituzionale questi contenuti non necessari non sono norme, non hanno alcun valore
giuridico.

La differenza tra uno statuto e una Costituzione la identifichiamo nella mancanza nello statuto di quelli che
noi definiamo valori. Quindi mentre una Costituzione è innanzitutto la cristallizzazione dei valori di una
comunità, lo statuto non possiede questa cristallizzazione e non la può avere, perché le regioni non
possono avere dei valori propri diversi da quelli dello Stato e neanche gli stessi, questo perché se in un atto
normativo regionale scriviamo una norma con gli stessi valori della norma statale, questa non è una norma
perché non ha l'elemento della novità. La Corte costituzionale ha confermato che le regioni non possono
inserire valori nei loro statuti e qualora la regione scriva un qualcosa che ha contenuto non necessario,
allora non sarà una norma giuridica.

Fino al 2001 (quando l’Italia aveva un basso decentramento) gli statuti regionali venivano approvati dal
consiglio regionale e successivamente riapprovati dal Parlamento, quindi avevano la forma della legge
ordinaria dello Stato.

Con la riforma costituzionale del 2001, l’articolo 123 ha previsto che gli Statuti regionali vengano approvati
in tutte le loro fasi dalla singola regione con un procedimento aggravato (che somigli moltissimo al
procedimento di approvazione di una legge costituzionale o di revisione costituzionale). Questo significa
che viene presentato il disegno di legge di statuto e si ha una prima approvazione da parte del consiglio
regionale, che la deve approvare a maggioranza assoluta, dopodiché si ha una pausa di riflessione di
almeno due mesi e infine si ha una seconda approvazione da parte del consiglio regionale, anche in questo
caso a maggioranza assoluta. Inoltre, l’articolo 123 ci dice che anche per gli Statuti regionali è possibile
chiedere referendum: lo statuto è sottoposto a referendum popolare qualora entro tre mesi dalla sua
pubblicazione ne faccia richiesta un cinquantesimo degli elettori della regione o un quinto dei componenti
del consiglio regionale. Lo statuto sottoposto a referendum non è promulgato se non approvato dalla
maggioranza dei voti validi, quindi per il referendum sugli Statuti serve soltanto il quorum deliberativo (non
importa quante persone vanno a votare, l’importante è che prevalgano i sì o i no). Dopo la promulgazione,
lo statuto viene mandato alla Corte costituzionale, che è chiamata a verificarne l’armonia con la
Costituzione.

A livello regionale la situazione per quanto riguarda l'approvazione degli atti normativi è un po' particolare:
il Consiglio regionale è monocamerale (ha una sola maggioranza), quindi approva una legge che viene poi
promulgata dal Presidente della regione, il quale è anche il presidente della giunta regionale, quindi è
espressione della maggioranza politica nella regione. Manca quindi quell’organo di controllo che è molto
importante per evitare che possano entrare in vigore degli atti che sono macroscopicamente
incostituzionali. Per questa ragione, l'articolo 123 della Costituzione prevede che entro 30 giorni dalla
pubblicazione sulla Gazzetta dello Statuto regionale, il governo (ma in questo caso il governo rappresenta lo
Stato) può impugnare lo statuto regionale, il quale non entra in vigore fino alla decisione della Corte
costituzionale. In questo modo il governo cerca di evitare che possa entrare in vigore uno statuto non
conforme alla Costituzione (nel tempo lo stato ha impugnato praticamente tutti gli statuti regionali, per fare
in modo che la Corte costituzionale potesse fare un controllo di costituzionalità sugli Statuti stessi).

Per quanto riguarda le Regioni a statuto speciale, l’articolo 116 della Costituzione prevede che gli Statuti
siano adottati con legge costituzionale. La legge costituzionale 2 del 2001 ha previsto che le modifiche agli
statuti delle regioni a statuto speciale possano avvenire non con una legge costituzionale, ma con una legge
statutaria.

Lo statuto è il vertice del sistema delle fonti regionali, significa che ogni regione ha il suo piccolo sistema
delle fonti, un piccolo sistema inserito nel più generale sistema delle fonti dell'ordinamento giuridico
italiano. Lo statuto è una fonte del diritto regionale volta a regolare i tratti fondamentali della forma di
governo di ogni singola regione, i principi fondamentali dell’organizzazione di funzionamento della regione.

Gli statuti regionali delle regioni a statuto speciale, oltre a disciplinare l’organizzazione interna, vanno a
regolare anche i poteri delle Regioni a statuto speciale che hanno una disciplina derogatoria rispetto a
quella dettata dalla Costituzione.

Le regioni a statuto ordinario sono sottoposte ad una disciplina comune determinata dalla Costituzione ed
in modo particolare dall’articolo 117 della Costituzione.

 Potestà legislativa regionale (art. 117)

L'articolo 117 disciplina la potestà legislativa (anche chiamata potestà normativa), non soltanto delle
regioni, ma anche dello Stato. Fino al 2001, la Costituzione sentiva solo il bisogno di disciplinare la potestà
legislativa regionale, perché lo Stato poteva fare tutto il resto.

Il secondo comma dell'articolo 117 elenca in modo ordinato tutte le materie che sono di competenza
esclusiva dello Stato, un elenco molto puntuale che possiamo definire tassativo. In queste materie le
regioni non possono intervenire, ma è vero anche che queste materie sono così ampie che, per alcune
materie, alcune competenze vanno alla regione e altre allo Stato.

Al terzo comma sono disciplinate le materie di legislazione concorrente, ossia tutte quelle materie in cui lo
stato e le regioni sono chiamate a collaborare. Queste materie sono le materie che disciplinano la vita
quotidiana dei cittadini, i quali vivendo su territori specifici, hanno bisogno che la normativa venga adattata
alle realtà regionali: ogni regione fa una legge di personalizzazione in quella determinata disciplina.

Secondo il quarto comma, spetta alle regioni la potestà legislativa in riferimento ad ogni materia non
espressamente riservata alla legislazione dello Stato. Il quarto comma introduce quella che si chiama
clausola residuale (tipica degli Stati federali). La clausola residuale è quella clausola in base alla quale tutte
le materie che non sono espressamente attribuite allo Stato, sia in modo esclusivo che in mondo
concorrente, sono di competenza esclusiva delle regioni.

Non appena entrò in vigore il nuovo titolo Quinto, lo Stato si rese conto che l'articolo 117 aveva delle
lacune e si rivolse quindi alla Corte costituzionale, nella speranza di poterle colmare (soprattutto riguardo la
materia dei lavori pubblici). La Corte costituzionale decise che i lavori pubblici sono una non materia (le non
materie sono anche definite materie trasversali). Significa che non esiste un unico tipo di lavoro pubblico,
ma ci sono i lavori pubblici in materia di sanità, allora la competenza è della Regione; ci sono lavori pubblici
in materia di infrastrutture, e allora la competenza è dello Stato. Quindi i lavori pubblici non sono una
materia, ma sono una attività e quindi la legge che la disciplina dipende da che cosa vogliamo costruire.

Abbiamo 3 tipi di potestà legislativa:

 Esclusiva dello Stato


 Concorrente
 Esclusiva delle regioni
Limiti all’attività legislativa regionale

Prima del 2001 le regioni erano soggette all’interesse nazionale, ossia non potevano scrivere leggi in
contrasto con l’interesse nazionale. Con la riforma del titolo Quinto stato e regioni hanno gli stessi limiti, e
quindi non esiste una gerarchia tra legge statale e legge regionale, esse sono sullo stesso piano,
l’importante è che ognuna di queste due fonti disciplini una materia di propria competenza.

I limiti che incontrano leggi dello stato e leggi delle regioni sono:

• il rispetto della Costituzione;

• il rispetto delle norme internazionali e comunitarie: Stato e regione devono rispettare i trattati
internazionali (anche se il mancato rispetto di un trattato internazionale non è soggetto a sanzione); molto
più importante invece è il rispetto degli obblighi comunitari. L'atto normativo dell'Unione Europea che
prevale sulla legge statale e sulla legge regionale è il regolamento europeo, quindi sia la legge statale che la
legge regionale vengono disapplicate se sono in contrasto con un regolamento europeo, non perché il
regolamento europeo occupa un posto più alto nella gerarchia delle fonti, semplicemente per il principio
della competenza.

Approvazione di una legge regionale

Ogni regione approva la legge regionale come ritiene meglio, ma in realtà abbiamo più o meno sempre la
stessa procedura:

• Fase d’iniziativa: l’iniziativa viene presa o dalla giunta regionale o direttamente dal popolo;

• Fase di approvazione in consiglio regionale: i consigli regionali sono tutti monocamerali, quindi il

procedimento legislativo è più veloce;

• Promulgazione del Presidente della regione e pubblicazione in Gazzetta Ufficiale.


Dopo l'approvazione lo Stato ha 60 giorni per impugnarla davanti alla Corte costituzionale (naturalmente lo
stesso possono fare le regioni nei confronti delle leggi dello stato). Impugnando la legge regionale, lo Stato
può chiedere alla corte di effettuare un controllo di costituzionalità (mentre le regioni possono impugnare
la legge dello Stato soltanto per violazione dell'articolo 117).

 Potestà organizzativa e regolamentare

L’articolo 121 della Costituzione non individua espressamente l’organo competente ad esercitare la potestà
regolamentare. Spetta allo Statuto regionale stabilire se la potestà regolamentare debba essere affidata alla
Giunta o al Consiglio regionale.

La forma di governo regionale

Fino al 2001 le regioni avevano tutte la stessa forma di governo, che veniva decisa direttamente dalla
Costituzione. Con la riforma del 2001, si afferma invece un principio diverso, cioè ci si rende conto che le
regioni sono diverse tra loro (la regione grande territorialmente per il numero di abitanti ha bisogno di una
forma di governo più dinamica, le regioni più piccole invece possono avere anche forme di governo meno
dinamiche), quindi in ogni caso è giusto che ogni regione scelga la propria forma di governo.

Proprio per sottolineare che l'Italia ha una forma di stato unitario, seppur decentrato, l'articolo 121 della
Costituzione ha stabilito dei paletti, cioè ha stabilito da un lato il diritto di ogni regione di scrivere la propria
forma di governo, ma anche stabilito degli elementi della forma di governo che ci devono necessariamente
essere:

• La presenza di tre organi necessari: Presidente della regione, consiglio regionale e giunta.

• La cosiddetta regola del “Simul stabunt simul cadent”, ciò significa che se il consiglio sfiducia il Presidente
o se il Presidente si dimette, contemporaneamente cade anche il consiglio (insieme governiamo, insieme
cadiamo).

Si ha quindi una forma di governo parlamentare o anche detta neoparlamentare, neoparlamentare perché
è a Presidente forte, forte perché è il presidente che nomina di regola i suoi assessori e soprattutto anche
se non li nomina li può revocare (la Costituzione ha sperimentato a livello regionale quello che noi da tanto
tempo auspichiamo possa diventare una regola a livello statale, cioè un governo più forte che sia in questo
modo in grado di dirigere meglio la politica nazionale).

Articolo 122

L’articolo 122 stabilisce che il Presidente della regione (quindi della giunta regionale), salvo che lo statuto
regionale disponga diversamente, è eletto a suffragio universale e diretto, il presidente eletto nomina e
revoca i componenti della giunta. Quindi la Costituzione ci dà quella che vuole sia la regola, e dice allo
statuto che se il presidente viene eletto, questo ha il diritto di nominare e revocare la giunta, come in un
sistema semi presidenziale, tuttavia a differenza del semi presidenziale non c’è la possibilità del consiglio
regionale di sfiduciare la giunta senza sfiduciare il presidente, perché la Costituzione prevede il principio del
simul stabunt simul cadent.

Consiglio regionale

Il consiglio regionale è l'assemblea eletta direttamente dai cittadini secondo il principio della residenza,
cioè eleggono il consiglio regionale tutti i cittadini italiani che risiedono in quella determinata regione (l’età
per eleggere i consiglieri regionali è la stessa prevista per l'elezione dei componenti dei Deputati della
Repubblica, 18 anni). Il consiglio regionale è un organo monocamerale e ha un numero variabile di
consiglieri, che dipende dal numero di abitanti della Regione. Ogni regione può scegliere il proprio sistema
elettorale, quello consigliato dalla costituzione è un sistema che potremmo definire misto, maggioritario +
proporzionale. Il consiglio regionale è l'organo legislativo della Regione, quindi le leggi e i regolamenti della
Regione vengono approvati dal consiglio regionale, e quindi è evidente che il presidente per poter portare
avanti la sua politica deve godere di una maggioranza forte all'interno del consiglio (quando si inizia una
consigliatura la maggioranza c'è sempre, la questione è tenere questa maggioranza per tutta la
consigliatura).

La consigliatura ha la stessa durata della legislatura (5 anni), quindi i consiglieri regionali durano in carica
cinque anni e gli assessori durano in carica finché non vengono revocati dal Presidente della Regione. Dal
2001 sono pochi i consigli regionali che vengono sciolti anticipatamente, di regola vengono sciolti perché si
dimette il Presidente della Regione, ma il Presidente della regione si dimette più per problemi giudiziari, e
non perché vengono sfiduciati dal consiglio regionale. Se il presidente si dimette e quindi viene sciolto il
consiglio regionale, non arriva il commissario di governo, proprio perché la regione è un ente politico a tutti
gli effetti, e quindi sarà stesso il presidente della regione che si è dimesso a stabilire la data in cui si andrà a
votare rimanendo in carica, anche se dimissionario.

Il Presidente della regione

Il Presidente della regione è innanzitutto il presidente della giunta, quindi è contemporaneamente l'organo
che la rappresenta, l'organo che promulga, ma è anche il capo del potere esecutivo. Di regola quasi tutte le
regioni hanno l’elezione diretta del Presidente della regione, il quale ha il potere di nomina e di revoca degli
assessori, e può essere sfiduciato dal consiglio.

Giunta regionale

La giunta regionale è l’organo di governo della regione, che esercita quindi il potere esecutivo, composto
dal Presidente della giunta, ossia il Presidente della regione, e dagli assessori. È l’organo meno importante
perché innanzitutto i cosiddetti assessorati non sono come i ministeri, ossia non sono già definiti, ma sarà il
Presidente ad effettuare il ritaglio delle competenze che affiderà agli assessori (in base dell’idea che ha di
come vuole portare avanti la politica della regione). Il Presidente della regione può trattenere alcune
materie, anche se è una scelta soltanto temporanea. La regione ha il potere di iniziativa degli atti normativi,
ma non esercita nessun potere normativo (che spetta al solo consiglio regionale).

La giunta regionale non ha un potere deliberativo degli atti normativi, li propone al consiglio ma non ha
alcun potere normativo, perché leggi e regolamenti vengono approvati dal consiglio regionale e l'ordinanza
e un potere esclusivamente del Presidente della regione.

La regione Campania ha uno schema che è proprio lo schema classico: un consiglio regionale eletto, un
presidente regionale eletto ed una giunta regionale che viene nominata e revocata dal presidente.

Le regioni sono l’ente politico più piccolo tra i 3 ma sono anche l’ente più vicino ai cittadini e ha il compito
di applicare le leggi (previste dall’articolo 117 terzo comma) che sono quelle che maggiormente impattano
sulla vita dei cittadini. La riforma del 2001 ha evidenziato un aspetto importante: le regioni hanno livelli di
efficienza diversi e questo determina un meccanismo di responsabilità politica molto più forte rispetto a
quello statale. Ciò significa che a livello regionale abbiamo assistito ad una maggiore polarizzazione
dell’attività politica. Quindi quel centrodestra e centrosinistra che a livello statale si nota meno è molto più
evidente a livello regionale.

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