Sei sulla pagina 1di 87

lOMoARcPSD|11500446

Diritto Pubblico - Riassunti del libro e integrazione con


appunti.
Introduzione al diritto (Università degli Studi di Trento)

StuDocu non è sponsorizzato o supportato da nessuna università o ateneo.


Scaricato da Sofia Digiuni (dsofia2013@libero.it)
lOMoARcPSD|11500446

INTRODUZIONE AL DIRITTO
DIRITTO PUBBLICO
CAPITOLO 1: COS’È IL DIRITTO?
IL DIRITTO COME “FENOMENO”
Molto spesso la nostra conoscenza è distorta da “pregiudizi”, cioè da idee che ci derivano
dal contesto in cui viviamo e che osserviamo quasi per osmosi, ma che non rispondono
necessariamente ad un’osservazione realistica e disincantata del fenomeno. Ad esempio, è
frequentissimo il “pre”-giudizio secondo cui il diritto ha a che fare esclusivamente con il
potere e, soprattutto, con quello che i giuristi chiamano il potere pubblico: lo Stato, le
autorità costituite, insomma le istituzioni abilitate all’uso legittimo della forza.
“Il diritto presuppone lo Stato”. Secondo questa impostazione, lo studio del diritto coincide
con l’analisi delle regole, dei comandi e degli ordini che vengono dallo Stato o da altre
autorità di potere.
Lo Stato gioca un ruolo del tutto peculiare e rilevantissimo nella produzione odierna del
diritto, ma essa è anche una pesante riduzione.
Lo Stato è uno dei produttori del diritto. Il diritto e i suoi obblighi spesso nascono da atti dei
privati o da istituzioni non statali.

IL PUNTO DI PARTENZA: L’ESPERIENZA GIURIDICA


La stessa persona o persone diverse in determinate situazioni tendono a comportarsi nello
stesso modo. Esistono cioè delle regolarità, ovverosia delle ripetizioni costanti che rendono
meno caotico il comportamento.
È tra queste regolarità e tra queste eccezioni che si colloca il fenomeno del diritto; meglio, è
tra le possibili spiegazioni di questi comportamenti, costanti o devianti, che si nasconde la
regola, la norma di diritto; è lì che bisogna andare a scovarla.

“È UN MONDO DI NORME”
Le regole giuridiche attengono alle ragioni dei comportamenti umani, prima che ai
comportamenti stessi.

Scaricato da Sofia Digiuni (dsofia2013@libero.it)


lOMoARcPSD|11500446

IL DIRITTO COME UNA PARTICOLARE FORMA DI ORGANIZZAZIONE SOCIALE


Il diritto è una forma di organizzazione sociale.
Le regole giuridiche si distinguono dalle regole morali o religiose o di buona educazione
innanzitutto perché esprimono delle forme di organizzazione.
Secondo Santi Romano, il diritto è ordinamento giuridico.
Il diritto è un insieme di norme che può esistere e funzionare solo se c’è un gruppo umano
(plurisoggettività) organizzato, dotato di un’organizzazione incaricata di produrre regole
e di farle rispettare (istituzione) (normazione).

LA SANZIONE COME ULTERIORE ELEMENTO DI SPECIFICITÀ DEL DIRITTO


Se il diritto è una forma di organizzazione, va precisato che si tratta di una forma di
organizzazione che deve essere rispettata. Deve vuol dire che esiste un “meccanismo” che
incentiva tutti a rispettarla.
È fondamentale cioè che le regole, per essere giuridiche, siano “osservate”, nel senso che,
da un lato, le persone spontaneamente le rispettino, ma dall’altro vi sia qualcosa che assicuri
questo rispetto anche se non ci dovesse essere un’adesione spontanea. Le norme giuridiche,
quindi, nascono dall’organizzazione sociale.
Come assicurare il rispetto delle regole giuridiche? Una sanzione coercitiva (il ruolo dello
Stato).

IL DIRITTO TRA POSITIVISMO E GIUSNATURALISMO


Secondo il positivismo giuridico non esiste altro diritto (oggettivo) che quello posto da chi
ne ha l’autorità, e i diritti soggettivi sono soltanto quelli qualificati come tali dal diritto
oggettivo.
Il giusnaturalismo è quella corrente di pensiero secondo la quale il diritto non è riducibile
alle sole leggi umane, poiché è legato alla stessa natura dell’uomo, la quale è caratterizzata
da alcuni elementi “strutturali” ovvero “elementari” dai quali si possono desumere non
direttamente regole ma principi sulla base dei quali valutare o ispirare le regole.
Il positivismo giuridico rischia di trasformarsi in supina obbedienza alla legge, anche a quella
più inumana. Il giusnaturalismo apre un altro problema: chi individua le norme di diritto
naturale?
Per ovviare a questi problemi, si passa alla “positivizzazione” del diritto naturale (art. 2
Costituzione).

Scaricato da Sofia Digiuni (dsofia2013@libero.it)


lOMoARcPSD|11500446

LA PLURALITÀ DEGLI ORDINAMENTI GIURIDICI


Ogni ordinamento ha la sua sfera di competenza (Stato, regione, comune, ateneo…).
Se il diritto è l’organizzazione o, per meglio dire l’ordinamento di una società, allora ci
saranno tanti diritti quante sono le società. Da questa constatazione derivano perlomeno
due fondamentali direttive per lo studio del diritto:
1) Se una società cambia, inevitabilmente cambiano le regole e i principi giuridici che
la organizzano.
Ogni ordinamento giuridico è “situato” in ben precise coordinate spazio-temporali.
2) Lo Stato, quantomeno in senso moderno, è solo uno dei possibili ordinamenti
giuridici.

IL DIRITTO PUBBLICO
Il diritto pubblico è quell’insieme di norme che ha per oggetto l’ordinamento giuridico dello
Stato.
In ogni ordinamento giuridico esistono:
a) Norme sulla plurisoggettività (1): chi sono i suoi membri;
b) Norme sulla plurisoggettività (2): regolano rapporti tra soggetti di ordinamento
giuridico;
c) Norme sulle istituzioni: individuano organi e disciplinano i loro poteri;
d) Norme sui rapporti tra le istituzioni e la plurisoggettività: regolano rapporti tra
organizzazione e i soggetti dell’ordinamento;
e) Norme sulla normazione: stabiliscono come produrre norme;
f) Norme che regolano i rapporti con altri ordinamenti giuridici.
Appartengono allo stato tutte queste norme, tranne la b), che fa parte del diritto privato.
Le norme di diritto pubblico e le norme di diritto privato di differenziano per l’oggetto della
disciplina, in quanto nelle norme di diritto pubblico compare sempre lo Stato.
I rapporti regolati dal diritto pubblico sono sempre diseguali, poiché lo Stato si colloca in una
posizione di supremazia.
Ci soffermeremo sul diritto costituzionale: l’insieme di norme che sono contenute nella
fonte denominata Costituzione e su quelle relative all’organizzazione dello Stato e alle fonti
del diritto.

Scaricato da Sofia Digiuni (dsofia2013@libero.it)


lOMoARcPSD|11500446

CAPITOLO 2: LO STATO E LE SUE FORME


STATO E SOVRANITÀ
STATO
1) Lo Stato è un ordinamento giuridico a fini generali, esercitante il potere sovrano su
un dato territorio, cui sono subordinati in modo necessario i soggetti ad esso
appartenenti.
2) Lo Stato è come una particolare forma storica di organizzazione del potere politico
caratterizzata dal monopolio della forza legittima su di un territorio su cui vive una
popolazione e che si avvale di propri apparati amministrativi.
La prima definizione dice che lo Stato è un ordinamento giuridico a fini generali (che può
perseguire qualsiasi finalità propria), mentre la seconda che lo Stato è una forma di
organizzazione del potere pubblico (potere sociale che si basa sull’uso della forza per
convincere i soggetti a tenere certi comportamenti). È anche una forma possibile di
organizzazione del potere politico, quella nella quale si realizza il monopolio della forza.
Se dei tre elementi che contraddistinguono lo Stato (popolo, territorio, sovranità) ne
dovessimo prendere uno solo in considerazione, quello più qualificante è la sovranità.
SOVRANITÀ
La sovranità è l’elemento che caratterizza lo Stato.
Per definire la sovranità occorre distinguere un aspetto “esterno” ed uno “interno”, il che
comporta una diversificazione degli ordinamenti giuridici.
Gli ordinamenti giuridici extrastatali sono quelli tra cui possiamo richiamare altri Stati e altri
ordinamenti (UE).
Gli ordinamenti giuridici infrastatali sono quelli regionali e locali.
La sovranità esterna è tradizionalmente ricondotta alla nozione di originarietà e
indipendenza. È sovrano quell’ordinamento che non deriva la sua esistenza da un altro e
che ha la capacità di escludere ingerenze esterne.
La sovranità interna è riconducibile alla nozione di supremazia. Quindi, è la capacità di porre
comandi giuridici vincolanti nei confronti di tutti i soggetti dell’ordinamento.

LE FORME DI STATO
La forma di uno Stato è, sul piano descrittivo, l’insieme degli elementi esteriori che servono
a coglierne l’essenza, mentre, sul piano prescrittivo, è l’insieme delle finalità per le quali lo
Stato stesso esiste.
Da questa espressione possiamo trarne una prima definizione, più strettamente giuridica,
che qualifica lo Stato come il modo attraverso il quale la sovranità si distribuisce
personalmente e territorialmente (popolo e territorio).

Scaricato da Sofia Digiuni (dsofia2013@libero.it)


lOMoARcPSD|11500446

Con riferimento al popolo possiamo individuare due forme di Stato:


1) Stato autoritario:
Sovranità concentrata in un unico soggetto, sia esso un partito unico oppure un’unica
persona fisica;
2) Stato democratico:
Sovranità distribuita tendenzialmente su tutto il popolo: tale forma di Stato è quella
delineata dall’attuale Costituzione italiana (“la sovranità appartiene al popolo”).
Con riferimento al territorio possiamo distinguere altre due forme di Stato:
1) Stato federale:
Sovranità distribuita sul territorio, cioè tra due livelli territoriali diversi, la Federazione
e i singoli Stati membri (ciò si differenzia dalla Confederazione di Stati, dove i
componenti restano titolari della sovranità);
2) Stato unitario:
Sovranità non è distribuita sul territorio, ma spetta a un unico livello di governo, lo
Stato centrale. Ciò non esclude lo Stato decentrato, ovvero dove il potere viene
esercitato secondo modalità che lasciano uno spazio di decisione autonoma per enti
territoriali infrastatali (vedi in Italia lo Stato regionale, dove alle regioni è riconosciuta
la potestà legislativa).
Una seconda definizione di forma di Stato può essere individuata in relazione ai rapporti
che, in un certo momento storico, esistono tra autorità e libertà, tra chi ha il potere e chi è
soggetto di quel potere, tra governanti e governati, considerando dunque l’insieme degli
obiettivi, delle finalità impresse all’ordinamento statale dalle forze politiche dominanti,
fini che di solito sono scritti nelle Costituzioni.

EVOLUZIONE STORICA DELLE FORME DI STATO


L’ORDINE GIURIDICO MEDIEVALE
Lo Stato moderno nasce tra il XV e il XVII secolo in Europa, secondo ordinamento feudale o
patrimoniale. Con l’espressione ordinamento patrimoniale si vuole far riferimento alla rete
di rapporti privatistici che lo reggevano, in cui popolo e territorio erano parte del patrimonio
personale del re, e all’assenza di distinzione tra diritto pubblico e privato.
Esisteva una serie di centri produttori di norme giuridiche autonome ai quali il re, benché
sovrano, non riusciva ad imporre in diritto uniforme. Questo fenomeno è definito
particolarismo giuridico.
Perché ad un certo punto questo ordinamento muta? Le grandi trasformazioni economico-
sociali che stanno alla base della nascita dello Stato moderno sono riconducibili allo sviluppo
dei commerci e dei trasporti, nonché al rimettersi in moto dell’economia.
Le nuove esigenze della guerra moderna e la necessità di infrastrutture adeguate per i
commerci richiedevano ingenti risorse finanziarie, e l’unico sistema per il re per trovarle fu
quello di imporre tributi a tutti i soggetti residenti sul territorio, concetto questo
sconosciuto nell’ordinamento feudale. Lo Stato moderno nacque quindi intorno al fisco.

Scaricato da Sofia Digiuni (dsofia2013@libero.it)


lOMoARcPSD|11500446

LO STATO ASSOLUTO
Lo Stato Assoluto nacque tra il XV e il XVII secolo e tramontò alla fine del XVIII secolo, con la
Rivoluzione francese.
Esso si caratterizzava per la concentrazione di potere nelle mani del sovrano assoluto e dei
suoi apparati amministrativi.
La “legittimazione” del potere era chiaramente di tipo trascendente e dinastico: il sovrano
era tale perché figlio del precedente sovrano e, in ultimo, per volere divino.
Quanto alle finalità, lo Stato Assoluto perseguiva essenzialmente quella dell’affermazione
della propria potenza, ovvero della propria sovranità, esterna ed interna.
Il monarca tentava di imporre la propria la propria sovranità, non riuscendoci però del tutto.
Per tale ragione lo Stato Assoluto viene definito anche come Stato per ceti, in quanto spesso
continuavano ad esistere le strutture sociali dell’ordinamento feudale.
La costituzione dello Stato Assoluto è stata definita come la risultante di un insieme di
rapporti tra la monarchia e i ceti, che caratterizzavano il particolarismo giuridico
dell’ordinamento feudale.
In questo contesto nacque lo Stato di polizia, nel periodo dell’assolutismo illuminato (XVIII).
Non cambiò il modo di organizzazione del potere, quanto le finalità perseguite, ovvero il
benessere e la felicità dei sudditi.
Lo Stato Assoluto terminò con l’avvento delle rivoluzioni industriali, sviluppano le classi
sociali con la borghesia.

LO STATO LIBERALE DI DIRITTO


In Europa, lo Stato liberale di diritto nacque con la Rivoluzione francese (1789).
Quando ci si riferisce allo Stato liberale si vuole indicare la finalità perseguita dai poteri
pubblici.
Con l’espressione Stato di diritto si ha riguardo soprattutto agli strumenti utilizzati.
La finalità era la garanzia dei diritti individuali, che si riteneva dovessero essere tutelati nei
confronti delle ingerenze del monarca assoluto e, in definitiva, nei confronti dello Stato
stesso.
Nacque come conseguenza di alcune trasformazioni socio-economiche; in primo luogo
l’emergere della borghesia, composta da non nobili e connotati dallo status di proprietari.
La borghesia richiedeva assetti istituzionali idonei a garantire le libertà economiche, che le
consentissero di portare avanti la propria iniziativa imprenditoriale. Essa chiedeva poi
regole chiare, certe, prevedibili, conoscibili, uguali per tutti.
Chiedeva pure di partecipare alla gestione del potere, attraverso una rivitalizzazione del
ruolo dei Parlamenti. Le finalità di tale forma di Stato sono scritte soprattutto nella
Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789.

Scaricato da Sofia Digiuni (dsofia2013@libero.it)


lOMoARcPSD|11500446

Quindi, nello Stato liberale di diritto si perseguivano essenzialmente le finalità che stavano
a cuore alla classe borghese, quindi era funzionale alle esigenze della borghesia: per questo
è stato definito Stato monoclasse.
Lo Stato liberale utilizzava il diritto per limitare l’arbitrio dei titolari del potere pubblico. Gli
istituti giuridici dei quali si serviva erano:
- Principio di legalità;
- La nozione moderna di Costituzione;
- Il principio della separazione dei poteri.
GLI STRUMENTI DELLO STATO LIBERALE DI DIRITTO
IL PRINCIPIO DI LEGALITÀ E IL RUOLO DELLA LEGGE
Secondo il principio di legalità, ogni atto dei pubblici poteri deve trovare fondamento e
limiti in una norma giuridica previamente adottata.
Nello Stato di diritto è il diritto che crea il potere, il titolare del potere è tale perché il potere
gli viene attribuito alla base delle norme giuridiche e perché opera nel rispetto delle norme
giuridiche. Quindi, la legittimazione del potere è di tipo legale-razionale.
Per comprendere principio di legalità à “Norma previa”.
Tale norma intesa sia come generale e astratta, sia come prodotto del Parlamento, è
considerata come “espressione della volontà generale”. Per comprendere il ruolo
garantistico della legge, occorre soffermarsi sui due aspetti enunciati:
1) La legge era caratterizzata dalla generalità e l’astrattezza. Le norme generali sono
norme che si applicano a tutti i soggetti dell’ordinamento, a differenza delle norme
settoriali. Le norme astratte sono suscettibili di ripetute applicazioni nel tempo, le
norme concrete (ad hoc) esauriscono la loro efficacia in un’unica applicazione. Il
carattere della generalità e dell’astrattezza della legge si collega strettamente alla
concezione del principio di uguaglianza, affermando che gli uomini nascono e
rimangono liberi e uguali nei diritti. Dire che tutti gli atti dei poteri pubblici,
soprattutto quelli limitativi dei diritti, si devono fondare sulla legge significa impedire
trattamenti differenziati à valenza garantistica del principio di legalità à
uguaglianza. Così facendo, si rendono gli atti di applicazione della legge “misurabili”,
nel senso che tali atti sono “viziati” e pertanto possono essere annullati da un giudice
imparziale. Un corollario del principio di legalità è il principio di giustiziabilità degli
atti viziati.
2) “Tutti i cittadini hanno diritto di concorrere, personalmente o mediante i loro
rappresentanti, alla sua formazione”. Nello Stato di diritto si scelse la democrazia
rappresentativa, nella quale la volontà dei cittadini si esprime indirettamente,
attraverso rappresentanti eletti. La legge era il prodotto del Parlamento, in cui
almeno una delle due Camere era elettiva. Ogni membro delle assemblee elettive
rappresentava la nazione. “Il principio di ogni sovranità risiede essenzialmente nella
Nazione”. L’elezione dei rappresentanti avveniva attraverso il suffragio limitato (da
cui deriva la grande “finzione” sulla quale si regge lo Stato liberale di diritto). Donne
escluse a priori. Come conseguenza di tale “artificio”, era possibile:
7

Scaricato da Sofia Digiuni (dsofia2013@libero.it)


lOMoARcPSD|11500446

a) Individuare la nazione, ovvero un insieme omogeneo di soggetti uniti da un volere


comune;
b) Fare del Parlamento l’organo rappresentativo della nazione;
c) Configurare la legge come atto che esprimeva la volontà generale, ovvero la
volontà della nazione.

Anche da qui la valenza garantistica del principio di legalità: i diritti potevano


essere limitati soltanto attraverso l’atto con cui si esprimeva la volontà dei
titolari dei diritti medesimi, ovvero dei cittadini che componevano la nazione.
LA NOZIONE DI COSTITUZIONE IN SENSO MODERNO
La costituzione moderna è un atto giuridico vincolante per tutti i soggetti
dell’ordinamento, che serve a garantire i diritti e costituisce il fondamento di tutti i poteri.
Le norme del principio di legalità sono contenute nella Costituzione.
La Costituzione come atto normativo si caratterizza in quanto è idonea a garantire i diritti
e costituisce il fondamento della legittimazione dei poteri. La Costituzione è un atto del
potere costituente.
Il potere costituente è il potere che pone la Costituzione, cioè l’atto sul quale si fondano
tutti i poteri costituiti.
Costituzione concessa à risultato di un patto tra monarca e borghesia, sul quale sovrano
concedeva Costituzione, mentre borghesia rinunciava a rivoluzione e instaurazione di una
repubblica (vedi Statuto albertino).
Quindi, il potere costituente è diverso dai poteri costituiti.
Per poteri costituiti si intendono i poteri che si fondano sulla Costituzione e che, quindi,
incontrano i limiti che questa pone loro.
IL PRINCIPIO DELLA SEPARAZIONE DEI POTERI
Lo Stato liberale si fondava anche sulla separazione dei poteri:
Secondo tale principio le diverse funzioni dello Stato, legislativa, esecutiva e
giurisdizionale, devono essere conferite a organi o gruppi di organi diversi.
Per limitare il potere garantendo i diritti individuali, è essenziale dividerlo.
Per potere si intende il prodotto dell’esercizio di una funzione da parte di un organo.
Per organo si intende un insieme di uffici pubblici che svolge un’attività a rilevanza
esterna.
Gli uffici a loro volta sono un insieme di mezzi personali e materiali organizzati per realizzare
un determinato compito.
La funzione è un’attività preordinata ad un fine.
La dottrina all’epoca dello Stato liberale individuava tre funzioni pubbliche che, nello Stato
assoluto, erano concentrate nelle mani del sovrano: la funzione legislativa, la funzione
esecutiva e la funzione giurisdizionale.

Scaricato da Sofia Digiuni (dsofia2013@libero.it)


lOMoARcPSD|11500446

La funzione legislativa era l’attività volta a predisporre norme giuridiche generali e astratte
ed era attribuita al Parlamento.
La funzione esecutiva consisteva nell’applicazione della legge generale e astratta, attribuita
al Governo.
La funzione giurisdizionale consisteva nell’applicazione della legge con esclusivo riferimento
alle controversie, svolta dalla magistratura.
Sulla base del principio di legalità e di separazione dei poteri si delineò un ulteriore principio,
quello della tipicità degli atti, secondo il quale ogni atto ha una forma tipica, in quanto
prodotto a seguito di un altro procedimento.
L’atto del potere legislativo si caratterizza per la forza, intesa come capacità di innovare
l’ordinamento giuridico. L’atto del potere esecutivo si connota con l’esecutorietà, cioè la
capacità di imporsi immediatamente ed autoritativamente ai destinatari. L’atto del potere
giudiziario produce l’effetto del giudicato, ovvero fa stato tra le parti del giudizio, in modo
definitivo.
LA CRISI DELLO STATO LIBERALE DI DIRITTO
Estensione del suffragio universale: Giolitti in Italia nel 1912. Dopo la Prima guerra mondiale
si ebbe un ulteriore allargamento à percentuali molto basse, ma sufficienti a scardinare la
struttura dello Stato liberale di diritto.
Tale trasformazione mise in evidenza le molteplici contraddizioni sulle quali si reggeva lo
Stato liberale di diritto.
QUALI DIRITTI? I DIRITTI DI CHI?
È vero che la sua finalità era la garanzia dei diritti, ma quali diritti? I diritti di chi? A ben
vedere, i diritti che si volevano garantire erano assai pochi, soltanto quelli che oggi
chiamiamo libertà negative, ovvero le pretese di escludere ingerenze esterne nella sfera
personale dell’individuo. Si volevano tutelare i diritti della borghesia.
QUALE UGUAGLIANZA?
Nello Stato liberale di diritto il principio di uguaglianza veniva solennemente proclamato,
ma in realtà si mantenevano e preservavano le disuguaglianze. Il carattere liberista di questa
forma di Stato consentiva il perpetuarsi delle disuguaglianze sociali.
QUALE NAZIONE?
Il principio di ogni sovranità risiedeva nella nazione; tuttavia il suffragio limitato faceva sì
che la nazione fosse composta solo dai soggetti dotati del diritto di voto e che di
conseguenza la legge, espressione della volontà generale, fosse il prodotto della volontà di
pochi.
QUALE COSTITUZIONE?
La Costituzione pretendeva di porsi come atto giuridico vincolante per tutti i poteri pubblici.
Ciò non accadde per due ragioni:

Scaricato da Sofia Digiuni (dsofia2013@libero.it)


lOMoARcPSD|11500446

1) Politico-sociale: emerse con evidenza la difficoltà per il Parlamento, detentore del


potere legislativo, di accettare il limite rappresentato dalla Costituzione, in quanto
egli si riteneva il solo titolare della sovranità;
2) Tecnico-giuridico: Vi erano leggi incostituzionali che entravano in vigore e
prevalevano sulla Costituzione, senza che ci fosse alcuna possibilità di privarle di
efficacia.
Pertanto, si ebbe la cosiddetta Costituzione flessibile:
Per Costituzione flessibile si intende una Costituzione che non si pone al vertice del sistema
delle fonti, in quanto può essere modificata con legge ordinaria.
DALLO STATO MONOCLASSE ALLO STATO PLURICLASSE
Le classi lavoratrici, escluse dai processi decisionali nello Stato liberale, rivendicavano il
diritto di partecipare alla vita politica. E lo facevano per mezzo di forme di organizzazione
sociale sconosciute alla borghesia: associazioni, sindacati, partiti politici.
Con l’ingresso della classe lavoratrice sulla scena politica nacque lo Stato pluriclasse, nel
quale agiscono soggetti portatori di interessi diversi e contrapposti. La legge cessò di
configurarsi come espressione della volontà generale, semplicemente perché non esisteva
più una volontà generale da esprimere.
La contrapposizione (lavoratori – proprietari) era troppo violenta per poter essere arginata
attraverso strumenti giuridici (Weimar). Per effetto di tale fenomeno sociale la forma di
Stato liberale di diritto crollò dopo la Prima guerra mondiale e venne sostituita da forme di
Stato autoritarie (o totalitarie).
STATO AUTORITARIO (fascista)
Lo Stato autoritario è una forma di Stato che rifiuta i caratteri propri dello Stato liberale
di diritti e recupera alcuni aspetti dello Stato assoluto.
La legittimazione del potere è di tipo carismatico, non esiste la separazione dei poteri che
sono concentrati in un unico soggetto, né il principio di legalità.
Ciò fu possibile grazie alla flessibilità dello Statuto albertino.
STATO TOTALITARIO
Nello Stato totalitario i caratteri dello Stato autoritario sono ancora più accentuati
assumendo il volto di una ideologia “totalizzante” pervasiva di ogni aspetto del vivere
sociale.

L’ESPANSIONE DELLO STATO CONTEMPORANEO NEL XX SECOLO


Per Stato contemporaneo intendiamo quella forma di Stato nella quale la finalità
principale perseguita dai pubblici poteri è il mantenimento dell’unità in un contesto
pluralista. Per fare ciò, si sottopone il potere delle maggioranze politiche alla Costituzione
e si promuove la coesione sociale attraverso il perseguimento dell’uguaglianza
sostanziale.

10

Scaricato da Sofia Digiuni (dsofia2013@libero.it)


lOMoARcPSD|11500446

Tale forma di Stato in molti paesi si è sviluppata come una conseguenza dell’evoluzione dello
Stato liberale di diritto (USA), mentre per altri paesi hanno instaurato tale forma di Stato
dopo aver attraversato esperienze autoritarie (ITA, GER, SPA, RUS). Lo Stato contemporaneo
ebbe ampia attrazione anche da paesi che non arrivavano dallo Stato liberale di diritto.
La diffusione di questa forma di Stato è avvenuta attraverso vari “cicli costituzionali”.
Per ciclo costituzionale si intende un periodo storico caratterizzato dalla produzione di
Costituzioni che presentano caratteri simili.
Molte organizzazioni internazionali o sovranazionali chiedono agli Stati membri di adottare
questa forma di Stato (esempio: UE).

LE FORME DI STATO CONTEMPORANEO


STATO PLURALISTA
Con l’espressione Stato pluralista si fa riferimento all’elemento plurisoggettività
dell’ordinamento giuridico statale, per evidenziare che esistono, e sono politicamente
attivi, soggetti o gruppi di soggetti profondamente diversi tra loro, e che questa loro
diversa soggettività è riconosciuta nell’ordinamento.
Nello Stato contemporaneo pluralista l’allargamento del suffragio ha fatto sì che la quasi
totalità dei soggetti dell’ordinamento sia politicamente attiva e, di conseguenza, che
affiorino sul piano politico le differenti istanze di cui sono portatori.
Inoltre, nello Stato pluralista vengono in rilievo anche altri elementi di differenziazione:
sesso, età, religione, stili di vita, convinzioni etiche, lingua, cultura, etc.
La Costituzione italiana esprime il suo carattere pluralista in vari articoli, a partire dal
fondamentale articolo 2 à “la personalità dell’uomo si sviluppa nelle “formazioni sociali”
delle quali fa parte”.
L’esistenza di soggetti variegati determina nello Stato contemporaneo un problema che
esige una risposta dal diritto: quello della convivenza pacifica fra soggetti portatori di
interessi diversi e a volte contrapposti. Il problema viene affrontato attraverso quattro tipi
di strumenti:
1) La previsione di processi decisionali basati sul principio di maggioranza;
2) La sottrazione di alcune decisioni alla sfera delle maggioranze;
3) Il perseguimento della coesione sociale per mezzo della promozione dell’uguaglianza
sostanziale e del dialogo tra le culture;
4) Il riconoscimento dell’autonomia delle comunità locali per le decisioni di interesse
locale.

11

Scaricato da Sofia Digiuni (dsofia2013@libero.it)


lOMoARcPSD|11500446

STATO DEMOCRATICO
Lo Stato democratico è quella forma di Stato nella quale esiste una tendenziale
corrispondenza tra governanti e governati (la sovranità appartiene al popolo).

Per poter sostenere che uno Stato è democratico, occorre che sia presente un complesso di
caratteristiche, che consentano effettivamente al popolo di esprimere la sovranità:
1) Principio di maggioranza: si adottano soltanto decisioni che dispongono di un
verificato consenso della maggioranza dei soggetti politicamente attivi;
2) È garantito il rispetto di coloro che non sono in maggioranza;
3) Deve sussistere una possibilità per gruppi politici diversi di concorrere liberamente
per il governo del paese. Ciò implica libere elezioni. Non si può parlare di possibilità
di concorrere liberamente per il governo dello Stato se non è assicurata una parità di
condizioni (par condicio) in questi settori della vita collettiva;
4) Le decisioni delle maggioranze vanno adottate ed eseguite sotto il controllo delle
minoranze, che devono poter attivare strumenti di controllo.
Da tutto ciò deriva una nuova separazione dei poteri, ovvero una bipartizione, che distingue
il circuito della decisione politica, dove le maggioranze decidono, da quello delle garanzie,
che è sottratto alle maggioranze.
Nel circuito della decisione politica, che prende avvio le elezioni ed è guidato dalla sovranità
popolare, rientrano il potere legislativo e il potere esecutivo.
STATO COSTITUZIONALE
Uno Stato costituzionale è la forma di Stato caratterizzata da Costituzione rigida.
La Costituzione rigida è quella Costituzione che si pone al vertice del sistema delle fonti.
La Costituzione riesce a prevalere sulla legge grazie alla presenza di due garanzie:
a) Giustizia costituzionale (istituto che consente di eliminare le leggi contrarie alla
Costituzione);
b) Procedimento “aggravato” di revisione costituzionale (sono richieste maggioranze
più ampie per modificare la Costituzione di quelle che possono approvare una legge).
Detto con altre parole, la Costituzione rigida è una Costituzione “garantita”, una
Costituzione la cui supremazia è assicurata per mezzo di appositi strumenti giuridici.
Funzione “unificante” della Costituzione rigida àNello Stato pluralista la volontà generale
non c’è più. Il Parlamento è il luogo dove si esprime, attraverso la legge, la volontà della
maggioranza. Il “luogo” della volontà condivisa diventa la Costituzione.
Nello Stato costituzionale, la Costituzione è il frutto di un potere costituente che si esprime
nella forma pattizia, attraverso un “compromesso costituzionale” tra le diverse componenti
della società pluralista. Nello Stato costituzionale le Costituzioni sono anche un pactum

12

Scaricato da Sofia Digiuni (dsofia2013@libero.it)


lOMoARcPSD|11500446

societatis, cioè un accordo sui principi del vivere insieme. La parola “compromesso” è l’asse
portante dello Stato costituzionale.
Le garanzie della rigidità:
a) La giustizia costituzionale:
Le Costituzioni rigide istituiscono un sistema di controllo della costituzionalità delle
leggi. Esse sottopongono la legge al controllo dei giudici. Il principio di legalità si
estende anche al legislatore. Nello Stato costituzionale, anche la legge deve trovare
fondamento e limiti in una norma previa che è la Costituzione.
Lo Stato costituzionale si basa sulla separazione tra il piano della Costituzione, che è
di tutti, e il piano della legge, che è quello dove le maggioranze politiche governano
e decidono. Il garante della separazione tra i due piani è la giustizia costituzionale;
b) La revisione costituzionale:
Consiste nella previsione, da parte della Costituzione medesima, di procedure per la
propria modifica diverse dal procedimento legislativo ordinario. Sono necessarie,
per modificare la Costituzione, maggioranze più ampie della maggioranza politica del
momento, ovvero della maggioranza di governo. Essendo la Costituzione rigida frutto
di un compromesso tra i soggetti della società pluralista, anche per modificarla è
necessario che si ripeta quel compromesso.
Lo Stato costituzionale cerca di consentire la convivenza pacifica dei soggetti del pluralismo
attraverso la Costituzione rigida, con una sequenza di questo tipo:
a) Costituzione rigida: luogo dove si scrivono i principi comuni;
b) Le maggioranze politiche che vincono le elezioni devono rispettare questo nucleo di
principi;
c) Se non lo rispettano c’è un giudice;
d) Per modificare questo nucleo ci vuole un vasto accordo, simile a quello inziale.

STATO SOCIALE
Per mantenere unita la società pluralista lo Stato contemporaneo si avvale della promozione
di politiche pubbliche volte a rimuovere le disuguaglianze economico-sociali più evidenti.
Lo Stato sociale è quella forma di Stato che ha come fine l’uguaglianza sostanziale.
Uguaglianza formale vuol dire che tutti i soggetti sono uguali davanti alla legge e debbono
essere trattati allo stesso modo.
Uguaglianza sostanziale significa uguaglianza di risultato e consiste nella rimozione delle
differenze che ostacolano il raggiungimento dell’uguaglianza formale.
Uguaglianza formale: tutti uguali, tutti trattati allo stesso modo.
Uguaglianza sostanziale: tutti diversi, tutti trattati ragionevolmente in modo diverso.
Questi caratteri si possono trovare in svariati articoli della Costituzione.

13

Scaricato da Sofia Digiuni (dsofia2013@libero.it)


lOMoARcPSD|11500446

STATO DECENTRATO (Stato regionale in Italia)


Un ulteriore strumento per affrontare il problema della pacifica convivenza nello Stato
pluralista è costituito dalla distribuzione di quote di potere decisionale sul territorio, in
favore di enti infrastatali.
Lo Stato regionale mirava a far fronte alle differenze geografiche ed economiche esistenti
tra le varie parti del paese, e a rispondere a concrete richieste di autonomia provenienti da
alcune aree insulari o di confine, ove si erano insediati governi autonomi ancor prima
dell’approvazione della Costituzione (art. 5 Cost.).
Per quanto riguarda gli enti locali, la loro autonomia consiste essenzialmente nella
possibilità, per gli organi elettivi di questi enti di adottare decisioni autonome nell’ambito
delle competenze ad essi riconosciute dalla legge.
La Costituzione prevede due tipi di regioni, quelle a statuto speciale e quelle a statuto
ordinario, occupandosi direttamente soltanto delle competenze di queste ultime, mentre
per le regioni a statuto speciale sono previste apposite leggi costituzionali che ne definiscono
l’autonomia in termini più ampi.
Con la legge cost. n. 1 del 1999 è stata riconosciuta alle regioni piena autonomia statuaria,
anche per quanto attiene alla forma di governo, attraverso la sottrazione degli statuti
all’approvazione parlamentare.
Le funzioni amministrative, sulla base del principio di sussidiarietà, sono attribuite in primo
luogo ai comuni, che continuano ad avere un ruolo importante nello Stato decentrato
italiano. L’autonomia finanziaria delle regioni è sulla carta accresciuta, ma occorrerà
attendere gli esiti concreti dell’attuazione legislativa, che va sotto il nome di federalismo
fiscale.
La Corte costituzionale ha cercato di delimitare il potere dello Stato centrale applicando il
principio di leale collaborazione, in base al quale, quando lo Stato interviene in materie che
interferiscono con le competenze regionali, deve farlo assicurando che le regioni siano
coinvolte in tali decisioni. La sede principale in cui avvengono queste negoziazioni è la
Conferenza Stato-regioni ovvero, quando sono coinvolti anche i comuni e le province, la
Conferenza unificata Stato-regioni-autonomie locali.

14

Scaricato da Sofia Digiuni (dsofia2013@libero.it)


lOMoARcPSD|11500446

CAPITOLO 3:
OLTRE LO STATO: ORDINAMENTI INTERNAZIONALI E
SOVRANAZIONALI
LA SOVRANITÀ NELLO STATO CONTEMPORANEO E L’ORDINAMENTO
INTERNAZIONALE
Nel XX secolo si è assistito a una messa in discussione della sovranità esterna. Tale
trasformazione ha subìto un’accelerazione negli ultimi decenni determinando una crisi dello
Stato.
Lo sviluppo rapidissimo e inarrestabile del livello internazionale è frutto quantomeno di due
fenomeni:
1) Le distanze si sono “accorciate”: il progresso tecnico ha consentito più rapide
comunicazioni, con importanti riflessi sugli scambi economici;
2) Queste più agevoli interazioni, supportate dagli sviluppi tecnologici, hanno visto il
deflagrare di guerre devastanti, di portata “mondiale”.
Alla fine della Seconda guerra mondiale, fu chiaro che le interazioni più facili tra Stati
dovevano essere orientate nel senso di un rafforzamento della pace e del benessere,
adottando misure preventive nei confronti di Stati che portavano avanti politiche espansive
di potenza e di discriminazione razziale.
Nacquero così istituzioni che consentirono una sorta di controllo reciproco fra Stati e
facilitarono gli scambi economici.
Dopo la Seconda guerra mondiale si sviluppò enormemente l’ordinamento internazionale,
inteso come ordinamento giuridico il cui elemento plurisoggettività è rappresentato dagli
Stati.
Dopo il fallimento della Società delle Nazioni venne modellata, a seguito della Seconda
guerra mondiale, l’organizzazione delle Nazioni Unite (ONU).
L’ONU è uno dei paradigmi di un nuovo ordine internazionale garantito da un ordinamento
internazionale basato sulla individuazione di stabili rapporti tra Stati fondati sul diritto
internazionale pattizio. Ovvero trattati internazionali che vincolano gli Stati verso interessi
e obiettivi comuni: sicurezza militare, scambi economici, tutela dell’ambiente e regolazione
delle transazioni finanziarie.
Ciò significa che aderendo, gli Stati limitano volontariamente la loro sovranità al momento
di condizionare i propri ordinamenti ai trattati, alle decisioni, alle regole delle istituzioni
internazionali e sovranazionali.
L’ordinamento internazionale risulta così un insieme composito di enti, organismi,
istituzioni, patti, trattati che danno vita al diritto pubblico internazionale e che sono
accomunati da alcuni elementi:
- La centralità degli Stati come principali protagonisti;

15

Scaricato da Sofia Digiuni (dsofia2013@libero.it)


lOMoARcPSD|11500446

- La difficoltà di formalizzare e classificare tutte le esperienze di diritto internazionale;


- L’impegno a garantire il mantenimento della pace e le condizioni di benessere tra le
nazioni;
- L’impegno a garantire il rispetto dei diritti umani fondamentali.

LE ORGANIZZAZIONI INTERNAZIONALI A CARATTERE MONDIALE


Le organizzazioni internazionali si dividono in due categorie:
1) A carattere mondiale: tendenzialmente partecipano tutti gli Stati, a prescindere dalla
loro collocazione geografica;
2) A carattere regionale: fanno parte Stati che appartengono a una medesima area.
Entrambe le categorie sono accomunate dal fatto che si tratta di enti dotati di personalità
giuridica, creati dagli Stati stessi tramite accordi di diritto internazionale, i quali ne
prevedono, accanto alle funzioni e agli obiettivi, anche gli organi.
La più importante organizzazione internazionale a carattere mondiale è senz’altro l’ONU:
è un’organizzazione di tipo politico. Oggi i suoi ambiti di intervento non riguardano solo la
sicurezza, ma anche le questioni ambientali, la promozione di condizioni di vita dignitose, il
sostegno ai soggetti più deboli. Gli enti istituiti dall’ONU sono:
- UNICEF à Bambini;
- FAO à Cibo;
- ICCP à Clima;
- UNHCR à Rifugiati;
- UNESCO à Cultura.
Ogni Stato membro è rappresentato nell’Assemblea generale. Il frutto delle riunioni è
l’approvazione di raccomandazioni. Nel Consiglio di sicurezza (organo esecutivo) siedono
solo 15 Stati membri, di cui 5 a titolo permanente con diritto di veto, mentre gli altri 10
vengono eletti dall’Assemblea con mandato biennale. Tale disparità ha ragioni prettamente
storiche che risalgono ai delicati equilibri successivi alla Seconda guerra mondiale.
Il meccanismo del veto rappresenta forse l’esempio più lampante della fragilità del diritto
internazionale rispetto alla forza della politica internazionale, tanto che non si è ancora
riusciti ad eliminarlo, pur essendo venute meno le sue ragioni storiche.
Al Consiglio spetta porre in essere le attività necessarie per mantenere la pace e la sicurezza
internazionale, come:
- Organizzazione di missioni di pace;
- Invio di propri contingenti per il mantenimento dell’ordine nei paesi teatri di conflitto;
- Imposizione di sanzioni economiche;
- Azioni militari collettive.
Il Consiglio economico e sociale è l’organo che coordina l’attività economica e sociale
dell’ONU. È composto da 54 Stati membri eletti dall’Assemblea con mandato triennale.

16

Scaricato da Sofia Digiuni (dsofia2013@libero.it)


lOMoARcPSD|11500446

Il Segretariato è l’organismo che si occupa di far funzionare la macchina dell’ONU. Al suo


vertice vi è il Segretario generale, che rappresenta l’intera organizzazione.
La Corte internazionale di giustizia è l’organo arbitrale dell’ONU. I 15 giudici che vi siedono
(eletti dall’Assemblea e dal Consiglio di sicurezza) deliberano sulle controversie fra Stati in
base alla volontaria sottoposizione delle parti al loro giudizio.
Dopo la Seconda guerra mondiale, si sviluppò l’idea che il diritto internazionale avesse come
compito precipuo la difesa dei diritti umani e, grazie anche agli sforzi dell’ONU, nacque il
reato di genocidio. Si tennero i primi processi penali internazionali contro capi e funzionari
imputati di crimini di guerra o contro l’umanità. I processi di Norimberga e Tokyo
rappresentarono un tentativo maldestro e contrario al principio di precostituzione del
giudice, poiché gli Alleati istituirono un tribunale ad hoc rappresentativo dei soli paesi
vincitori. Al 7 novembre 2016, 124 paesi hanno aderito alla Corte penale internazionale che,
dal 2002, accoglie all’Aja i giudizi ad essa sottoposti dai governi firmatari e dal Consiglio di
sicurezza delle Nazioni Unite.
Siccome la Seconda guerra mondiale ebbe effetti anche sui rapporti di natura economica tra
gli Stati, i delegati di tutti i paesi alleati, pensarono che fosse venuto il tempo di approntare
strumenti internazionali che non solo garantissero la pace, ma anche la stabilità degli
scambi monetari. Vengono quindi firmati a Bretton Woods due accordi, che prevedono la
costituzione di:
- Fondo monetario: ha l’obiettivo di promuovere la cooperazione monetaria
internazionale e la stabilizzazione dei cambi;
- Banca mondiale: nata con lo scopo di contribuire alla ripresa del sistema produttivo
dopo la Seconda guerra mondiale, oggi agisce nella direzione di aiutare i paesi
emergenti.
Questo sistema vacillò quando gli USA annunciarono la sospensione della convertibilità del
dollaro in oro à Subentra FMI per garantire stessa funzione di cambio.
Altra istituzione, avente finalità economiche e commerciali è l’Organizzazione mondiale del
commercio, rappresenta l’ordinamento giuridico del commercio internazionale. L’OMC è
quindi il luogo in cui si discutono gli aspetti giuridici del commercio internazionale, col fine
di addivenire a un sempre più agevole scambio di beni e servizi a livello mondiale e di
risolvere le eventuali controversie internazionali sul commercio.
Vi sono poi organizzazioni sempre a tendenza globale ma con obiettivi molto più specifici,
come l’INTERPOL e la FIFA.
Esistono anche organizzazioni che, nate su base regionale, si sono successivamente
sviluppate fino ad includere Stati di diversi continenti. È questo il caso della Organizzazione
per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE). Gli obiettivi di questa organizzazione
consistono nella promozione di più alti livelli di crescita economica alla luce del concetto di
sviluppo sostenibile, di occupazione, di tenore di vita, favorendo gli investimenti e la
competitività e mantenendo la stabilità finanziaria.

17

Scaricato da Sofia Digiuni (dsofia2013@libero.it)


lOMoARcPSD|11500446

LE ORGANIZZAZIONI INTERNAZIONALI A CARATTERE REGIONALE


Le organizzazioni internazionali a carattere regionale riuniscono sotto obiettivi comuni
Stati che appartengono a una medesima area geografica.
In Europa:
- Unione europea (UE);
- Consiglio d’Europa.
Sul modello della Comunità economica Europea, abbiamo:
- Mercosur: organizzazione del mercato comune del Sud America (eliminazione dazi);
- Caribbean Community: consente l’integrazione dei mercati dei paesi caraibici;
- Comunità Andina: progressiva integrazione economica dei paesi andini;
- ASEAN: maggiore integrazione politica ed economica tra i paesi aderenti;
- NAFTA: trattato di libero scambio commerciale.

L’UNIONE EUROPEA
L’Unione europea costituisce un’organizzazione sui generis, che rappresenta un unicum nel
panorama comparato mondiale. Infatti, quello europeo può essere qualificato come un
ordinamento sovranazionale, in quanto la cooperazione tra gli Stati membri avviene ad un
livello più stretto e meno occasionale di quanto accada con i normali strumenti di diritto
internazionale.
Il processo di integrazione europea si è messo in moto negli anni immediatamente successivi
alla Seconda guerra mondiale, a partire dalla firma (1951) del Trattato istitutivo della
Comunità europea del carbone e dell’acciaio (CECA). Hanno fatto seguito, nel 1957, il
Trattato istitutivo della Comunità economica europea (CEE) e il Trattato istitutivo della
Comunità europea per l’energica atomica (EURATOM). Nel 1965 ci fu il Trattato di fusione,
che fuse i tre organi precedentemente citati. Nel 1992 il Trattato di Maastricht, istituì
l’istituzione europea.
L’avvio del processo di integrazione si è svolto soprattutto nella sfera economica. Gli
obiettivi della CEE erano alquanto limitati: creare un’unione doganale, abolire gli ostacoli
alla libera circolazione di persone, merci, capitali e servizi; ad armonizzare le politiche
economiche, sociali e fiscali.
L’ordinamento comunitario ha però successivamente subìto importanti trasformazioni, al
punto che i vincoli che legano gli Stati membri sono ormai ben più stretti di quelli presenti
tra i componenti di una Confederazione:
a) La Corte di giustizia ha affermato la propria competenza a sindacare il rispetto del
diritto europeo da parte degli Stati membri operando, di fatto, come una vera e
propria corte costituzionale;
b) Le modifiche apportate ai trattati hanno ampliato notevolmente le competenze
originarie, estendendole anche alla politica estera e di difesa comune, allo sviluppo
di una stretta collaborazione nel settore della giustizia e degli affari interni, alla
creazione di una moneta unica e alla istituzione di una cittadinanza europea.

18

Scaricato da Sofia Digiuni (dsofia2013@libero.it)


lOMoARcPSD|11500446

Nel 1999 è stata proclamata la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea,
assumendo carattere vincolante solo nel 2009 con il Trattato di Lisbona. A livello
istituzionale, nell’ambito del Consiglio è stato esteso l’uso del voto a maggioranza e sono
stati ampliati i poteri di decisione del Parlamento europeo, eletto a suffragio universale e
diretto dai cittadini.
Il Trattato di Lisbona riprende molte norme contenute nel trattato costituzionale, ma
esclude alcuni punti particolarmente controversi: l’espressione “Costituzione” e
l’introduzione dei simboli dell’Unione. Le norme sull’Unione europea sono distribuite in due
diversi atti:
1) Trattato sull’Unione Europea (TUE) à principi e norme fondamentali;
2) Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE) à regole di funzionamento,
disciplina del mercato interno, etc.
In parallelo all’adozione dei vari Trattati, la composizione si è ampliata, attraverso successivi
allargamenti. Attualmente infatti l’UE è composta da 28 membri.
Molto si è discusso e si discute sulla natura attuale dell’Unione europea. Nei fatti si riscontra
una presenza sempre più forte dell’Unione in molteplici materie, al punto che la sovranità
degli Stati membri appare in discussione. Nonostante le “riserve di sovranità nazionale” è arduo
ipotizzare che uno Stato membro possa uscire dall’Unione: difficilmente gli Stati membri sarebbe
ro in grado, da soli, di tornare ad esercitare le competenze che hanno devoluto l’UE (vedi BREXIT).
L’Unione europea agisce secondo il metodo comunitario: le decisioni vengono assunte non
all’unanimità degli Stati membri, come tipico del diritto internazionale, ma a maggioranze
variamente modulate. Il metodo definito intergovernativo viene mantenuto per pochi settori.
Gli organi dell’Unione europea sono:
- Il Consiglio europeo:
Riunisce i capi di Stato o di governo che, assistiti dai ministri degli esteri e da un membro
della Commissione, decidono periodicamente le linee di indirizzo delle politiche europee.
Definisce gli orientamenti e le priorità politiche generali dell’Unione;

- Il Consiglio dell’UE:
Attua gli indirizzi approvati dal Consiglio europeo. In esso siedono i ministri degli Stati
membri, in base alle questioni dell’ordine del giorno. Le decisioni richiedono normalmente
una maggioranza qualificata con voto ponderato calcolato sulla base del numero di paesi e
della popolazione che essi esprimono. Approva la legislazione europea, insieme con il
Parlamento, coordina le politiche economiche degli Stati membri, firma accordi tra l’Unione
e paesi terzi, approva il bilancio dell’Unione, elabora la politica estera e di difesa dell’Unione
e coordina la cooperazione fra i tribunali e le forze di polizia nazionali dei paesi membri;

- La Commissione:
Da impulso e esecuzione alla legislazione europea. Istituzione che rappresenta l’Unione
europea poiché i membri non rappresentano gli interessi dello Stato di provenienza, ma
rappresentano gli interessi generali dell’Unione. Ha potere di iniziativa legislativa, gestisce

19

Scaricato da Sofia Digiuni (dsofia2013@libero.it)


lOMoARcPSD|11500446

il bilancio, rappresenta l’UE a livello internazionale, vigila sull’applicazione del diritto


europeo insieme alla Corte di giustizia, e attua le politiche dell’Unione;

- Il Parlamento:
Unica istituzione direttamente rappresentativa. Composto da cittadini dell’Unione eletti a
suffragio universale e diretto dai popoli degli Stati membri per un mandato quinquennale. Il
suo ruolo principale è di adottare il bilancio congiuntamente al Consiglio dell’UE e di
esercitare funzioni di controllo sulle altre istituzioni europee;

- La Corte di giustizia:
Organo incaricato di interpretare il diritto dell’Unione in maniera tale che la sua
interpretazione nei paesi membri sia uniforme e ha anche funzioni di risoluzione delle
controversie tra i governi degli Stati dell’Unione e le sue istituzioni. Costituita da un giudice
per ogni Stato membro;

- La Banca Centrale Europea:


Istituzione competente a garantire, attraverso la politica monetaria europea, la stabilità dei
prezzi e del valore dell’euro;

- La Corte dei conti europea:


Verifica la regolarità dei bilanci dell’Unione.
I rapporti tra le istituzioni dell’Unione generano una forma di governo nuova e atipica: il
Parlamento non è il vero e proprio organo legislativo. Manca inoltre il potere giudiziario. La
Corte di giustizia non ha poteri giurisdizionali ordinari.

IL CONSIGLIO D’EUROPA E LA CONVENZIONE EUROPEA DEI DIRITTI


DELL’UOMO
Nell’immediato Secondo dopoguerra gli Stati che stavano costruendo la Comunità
economica del carbone e dell’acciaio, nel frattempo conducevano i negoziati per l’istituzione
di un’organizzazione a carattere regionale, denominata Consiglio d’Europa, che avesse lo
scopo di attuare un’unione più stretta fra i paesi membri per tutelare e promuovere gli ideali
e i principi condivisi e per favorire il progresso economico e sociale. Oggi il Consiglio è
composto da 47 Stati. I suoi organi principali sono:
- Comitato dei ministri à organo decisionale;
- Assemblea parlamentare à riunisce rappresentanti;
- Corte europea dei diritti dell’uomo (vedi più avanti);
- Congresso dei poteri locali e regionali à garantire sede privilegiata tra confronti
regioni-comuni d’Europa;
- Commissario per i diritti umani;
- Segretario generale à responsabile delle attività del Consiglio d’Europa.
Il principale strumento operativo del Consiglio d’Europa è la Convenzione europea per la
salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU). È il primo strumento
di diritto internazionale che consente di fare ricorso contro uno Stato firmatario per
violazione dei diritti in essa codificati. Competente a giudicare è la Corte europea dei diritti
dell’uomo, che ha la legittimazione a condannare lo Stato responsabile al ripristino della
20

Scaricato da Sofia Digiuni (dsofia2013@libero.it)


lOMoARcPSD|11500446

situazione anteriore alla violazione o alla equa soddisfazione se non è possibile rimuovere
le conseguenze della violazione. Questa forza coercitiva distingue la Convenzione dalla
maggior parte dei trattati, i quali sono generalmente privi di meccanismi sanzionatori.

LA PERMEABILITÀ DEGLI ORDINAMENTI NAZIONALI NELL’EPOCA DELLA


GLOBALIZZAZIONE
Sulla base del principio dell’ingerenza umanitaria, organizzazioni sovranazionali o
semplicemente alleanze di Stati sono oggi autorizzate a intervenire militarmente nella sfera
di un altro Stato in nome della tutela dei diritti umani.
Alla fine del XX secolo la globalizzazione è venuta ad essere l’elemento caratterizzante la
perdita di sovranità statale.
La globalizzazione può essere definita come l’intensificazione di relazioni economiche e
sociali mondiali che collegano tra loro località molto lontane, facendo sì che gli eventi
locali vengano modellati da eventi che si verificano a migliaia di chilometri e viceversa.
Nella sua dimensione più prettamente economica, la globalizzazione descrive
l’interconnessione tra i fattori della produzione su scala mondiale, che si realizza attraverso
lo scambio di beni e servizi all’interno di mercati inter-connessi.
In risposta alla crescita del potere economico la globalizzazione ha assunto altre sembianze.
Difatti, ai poteri economici globali, è divenuto sempre più rilevante il ruolo delle
organizzazioni internazionali come il Fondo monetario internazionale, la Banca mondiale,
l’Organizzazione mondiale del commercio l’ONU, l’UE.
Le esigenze delle nuove relazioni economiche e sociali hanno determinato soluzioni nuove
anche sulla prospettiva delle fonti del diritto.
L’interazione tra ordinamenti nazionali, sovranazionali e internazionali è sempre più
frequente, con la conseguenza di rendere gli Stati atomi di una molecola molto più grande
e complessa.

21

Scaricato da Sofia Digiuni (dsofia2013@libero.it)


lOMoARcPSD|11500446

CAPITOLO 4:
LE FONTI DEL DIRITTO: CONSIDERAZIONI GENERALI
LE FONTI NORMATIVE
Come si producono le regole giuridiche?
Chiamiamo convenzionalmente fonti del diritto quei “meccanismi” che pongono in essere
regole giuridiche. È fonte del diritto ogni atto o fatto abilitato dall’ordinamento a produrre
norme giuridiche.
Il diritto disciplina anche i modi per produrre regole giuridiche, e ne abbiamo due:
1) Abbiamo le fonti di produzione giuridica, fonti che pongono in essere nuove regole
di comportamento o regole di organizzazione che tutti debbono osservare;
2) Abbiamo le fonti sulla produzione giuridica, che sono i meccanismi (organi e
procedure) attraverso i quali si producono le fonti di produzione.
Queste non vanno confuse con le fonti di cognizione.
Le fonti di cognizione sono tutti quei supporti, di solito scritti, attraverso i quali si rendono
conoscibili le fonti di produzione. à (Gazzetta Ufficiale, Bollettini Ufficiali, Internet, etc.)
www.normattiva.it à Sito messo a disposizione dal Governo.

ALCUNE CONSIDERAZIONI SULLA CLASSIFICAZIONE DELLE FONTI


NORMATIVE E SULLA CRISI DELLO STATO COME “MONOPOLISTA” DEL
DIRITTO
La situazione di Stato moderno ha subito delle profonde modificazioni negli ultimi due secoli,
tanto che oggi si può parlare di una vera e propria crisi del ruolo dello Stato come
“monopolista” della produzione delle regole giuridiche. Oggi, infatti, cresce in maniera
esponenziale il ruolo delle regole giuridiche prodotte al di fuori dello Stato.
Oggi le fonti normative sono molteplici. Non esiste cioè un solo modo attraverso cui si
creano nuove norme giuridiche. Dai livelli internazionali o sovranazionali ai livelli statali
infine ai livelli infrastatali, numerosissimi sono i soggetti e le procedure da cui si producono
regole giuridiche.

IL PROBLEMA DELLE ANTINOMIE E IL SISTEMA DELLE FONTI NORMATIVE


Cosa accade se due norme giuridiche pongono tra di loro regole contraddittorie? Cosa
accade se una fonte è in contrasto con l’altra?
Queste contraddizioni normative si chiamano antinomie.
Cosa da sì che un insieme di regole giuridiche divenga un vero sistema giuridico, ovverosia
un insieme ordinato di regole giuridiche, una forma di organizzazione sociale?
Un insieme è ordinato se esistono dei criteri per risolvere i conflitti logici e strutturali che si
pongono al suo interno.

22

Scaricato da Sofia Digiuni (dsofia2013@libero.it)


lOMoARcPSD|11500446

I CRITERI PER RISOLVERE LE ANTINOMIE NORMATIVE


CRITERIO GERARCHICO
In base al criterio della gerarchia, nel
conflitto tra le regole poste da due
fonti, prevale la regola posta dalla
fonte superiore.
Il criterio gerarchico presuppone un
ordinamento “a gradi” delle fonti
normative, cioè presuppone che sia
possibile identificare fonti “superiori”
e fonti “inferiori” in una scala basata
sulla diversa forza degli atti
normativi.
Per forza di un atto normativo si
intende la sua capacità di produrre
nuovo diritto, di innovare Figura 1 - La piramide delle fonti del diritto
l’ordinamento giuridico creando
nuove regole (forza attiva), nonché la capacità di resistere all’innovazione portata da un
atto diverso (forza passiva).
Se il contrasto tra due regole dovesse verificarsi, ciò significa che la fonte inferiore nasce
viziata. È per questo motivo per cui dalla violazione del principio di gerarchia deriva
l’invalidità dell’atto normativo inferiore e dunque la sua annullabilità.
L’annullamento è l’istituto giuridico attraverso il quale un atto invalido viene eliminato dal
sistema normativo.
L’atto è eliminato retroattivamente, fin dal momento in cui era entrato in vigore, per cui gli
effetti giuridici eventualmente prodotti vengono meno, con il solo limite dei rapporti
esauriti, che non vengono rimessi in discussione.
CRITERIO DELLA COMPETENZA
Secondo il criterio della competenza, nel conflitto tra le regole poste da due fonti prevale
la regola posta alla fonte competente.
Tale criterio si applica quando una fonte superiore attribuisce a fonti di produzione che
hanno determinate caratteristiche, e solo ad esse, la possibilità di disciplinare certe materie,
con l’esclusione di tutte le altre. La violazione del criterio della competenza costituisce
sempre in una violazione del principio della gerarchia.
L’inosservanza del principio di competenza rappresenta una patologia da cui deriva
l’invalidità dell’atto normativo incompetente e la sua annullabilità.
CRITERIO CRONOLOGICO
Secondo il criterio cronologico, nel conflitto tra le regole poste da due fonti, prevale la regola
più recente.

23

Scaricato da Sofia Digiuni (dsofia2013@libero.it)


lOMoARcPSD|11500446

L’unico fattore che dev’essere presupposto in questo caso è il decorso del tempo.
Il principio cronologico ci dice che se due regole pongono tra loro contenuti totalmente o
parzialmente contraddittori andrà applicata quella successiva. Il decorso del tempo è un
fenomeno fisiologico (e non patologico!): le regole si succedono nel tempo per adeguarsi al
mutare della realtà. La regola posta dalla fonte successiva semplicemente prende il posto
della precedente, senza per questo doverla eliminare. Quest’ultima, infatti, continuerà ad
applicarsi per i casi precedentemente accaduti.
ABROGAZIONE
Si chiama abrogazione l’effetto che una norma successiva produce nei confronti di quella
precedente, e cioè il fenomeno per cui la norma successiva delimita temporalmente la
sfera di applicazione di quella precedente.
Può essere operata da tutti gli operatori giuridici, mentre per il criterio gerarchico può
operare solo il giudice amministrativo.
Modalità di abrogazione:
1) Espressa à Il legislatore elenca esplicitamente le disposizioni abrogate;
2) Tacita à l’abrogazione deriva da un’incompatibilità tra le nuove norme e quelle
precedenti;
3) Implicita à il nuovo atto normativo disciplina completamente la materia già
disciplinata dall’atto normativo precedente.
DEROGA
La deroga è quell’istituto attraverso il quale si risolve un’antinomia tra norme giuridiche
diverse sul piano della generalità.
La generalità di una norma è la sua maggior o minore attitudine ad applicarsi ai
comportamenti ovvero alle condotte prese in considerazione.
Nel caso della deroga il conflitto nasce tra una norma più generale (derogata) ed un’altra
(derogante) di tipo particolare: l’eccezione della regola.
La differenza tra abrogazione e deroga sta nel fatto che mentre nella prima la norma
abrogata cessa di avere efficacia per il futuro, la norma derogata non perde invece la sua
efficacia ma viene limitato il suo campo di applicazione.

CRISI DELL’ORDINE GERARCHICO DEL SISTEMA DELLE FONTI


Nel momento in cui le strutture gerarchiche sono state progressivamente sostituite da
strutture a rete e la pluralistica società ha scalzato la società borghese, anche le forme di
produzione normativa autonoma e convenzionale tendono a riguadagnare spazio; e, di
conseguenza, il principio di competenza recupera un ruolo centrale anche a scapito del
principio gerarchico.

24

Scaricato da Sofia Digiuni (dsofia2013@libero.it)


lOMoARcPSD|11500446

ATTI E FATTI NORMATIVI


In che modo le fonti producono le regole?
Se osserviamo il panorama delle fonti ci accorgiamo che esse possono consistere in atti
ovvero in fatti, a seconda che esse siano l’espressione della volontà.
Per fonti atto si intendono quelle fonti di produzione del diritto che sono il risultato di
procedimenti finalizzati a produrre norme giuridiche.
Sono fonti atto gli atti normativi approvati da organi collegiali (Parlamento, Governo) oppure
monocratici (Presidente della Repubblica, del Consiglio) in grado di produrre regole
giuridiche.
Esistono nel sistema giuridico però anche fonti fatto, ovvero fatti normativi, in cui le regole
non nascono dalla volontà espressa di regolare in un certo modo i comportamenti bensì
da accanimenti esterni rispetto alla volontà.
L’esempio più noto di fatto normativo è la consuetudine o l’uso, in cui la norma giuridica
nasce dalla ripetizione costante nel tempo di un determinato comportamento. Un alto
esempio di fonte fatto è la convenzione, ossia l’accordo tacito tra soggetti politici
sull’applicazione delle regole costituzionali.
Un dato che caratterizza i sistemi normativi contemporanei è che la gran parte delle norme
giuridiche è prodotta da fonti atto à vanno distinti i sistemi giuridici di common law da
quelli di civil law.
Il common law si è sviluppato in Inghilterra. In questo sistema il diritto consuetudinario
riveste un ampio spazio, costituito dalle pronunce dei giudici, mentre le fonti atto vere e
proprie hanno soltanto una funzione derogatoria.
Il civil law è invece il sistema giuridico proprio dell’Europa (e non solo): la maggior parte del
diritto è prodotta da fonti atto e ha alla base la codificazione.
Tutti gli atti normativi che abbiamo citato utilizzano il linguaggio (in particolare la scrittura)
per esprimere la volontà di produrre certe regole. Questo perché un atto scritto dovrebbe
avere una maggiore certezza ed oggettività rispetto a concetti più difficili da definire
esattamente come la consuetudine, il costume, l’uso.

INTERPRETAZIONE: DISPOSIZIONE E NORMA


Si indica con il termine disposizione l’atto in senso proprio, la formulazione linguistica che
costituisce la fonte; mentre con il termine norma intendiamo il significato dell’atto, la
regola giuridica che poi utilizzeremo per decidere come comportarci.
Quindi la disposizione è un testo da comprendere, mentre la norma è il significato del testo.
L’attività che consente di cogliere il significato (norma) di una formulazione normativa
(disposizione) si chiama interpretazione giuridica.
Due ultime precisazioni: la prima si collega con la natura linguistica delle fonti atto.
Il diritto è un fenomeno che presenta moltissime analogie con il linguaggio. Si tratta di
analizzare un significante per estrarne i significati.

25

Scaricato da Sofia Digiuni (dsofia2013@libero.it)


lOMoARcPSD|11500446

La seconda precisazione segue la prima: l’interpretazione di una disposizione non è mai


un’operazione univoca, ma risente di numerosi fattori, quali il fine, il tempo, lo spazio.
L’attività interpretativa costituisce sempre un’approssimazione per tentativi.
COROLLARIO N. 1 – NON ESISTE NECESSARIAMENTE UN RAPPORTO BIUNIVOCO TRA
DISPOSIZIONI E NORME
La credenza che se c’è un testo di legge ci sarà solo un significato attribuibile e quindi una
sola regola giuridica da rispettare, è errata.
Ogni disposizione ha sempre un certo grado di indeterminatezza, poiché sono possibili
diverse attribuzioni di significato. La possibilità di diverse interpretazioni del medesimo
testo comporta che ad ogni disposizione non corrisponde sempre una sola norma, ma
spesso una molteplicità.
Una sola norma può essere prodotta da diverse disposizioni tra loro “combinate”
(combinato disposto). In questo caso la norma applicabile deriva dall’interpretazione
congiunta di più disposizioni.
COROLLARIO N. 2 – UNA NORMA PUÒ VIVERE PIÙ A LUNGO DI UNA DISPOSIZIONE (e
viceversa)
Questo corollario deriva dal criterio cronologico.
Quando due fonti pongono tra loro discipline diverse, va applicata la più recente, la quale
abroga la precedente. (Per capire meglio questo corollario, vedere criterio cronologico)
Al momento attuale potremmo trovarci a dover applicare moltissime norme estratte da
disposizioni che in realtà sono state abrogate. All’opposto, esistono disposizioni
formalmente in vigore ma che non sono più in grado di produrre norme.

LE NORME POSSONO ESSERE REGOLE O PRINCIPI


Le regole sono norme giuridiche più specifiche, mentre i principi sono norme più generiche
o, se si vuole, le regole hanno normalmente una portata applicativa più ristretta mentre i
principi hanno una portata più ampia.
I principi sono norme aperte a diverse modalità applicative, mentre le regole sono soggette
ad applicazione categorica (sì/no) nel momento in cui si verificano le circostanze prese in
considerazione dalla norma. Da questa distinzione, ne derivano alcune conseguenze:
a) Conflitti tra regole e principi:
Se due regole sono in contraddizione tra loro, solo una sarà applicabile. Per definire quale
delle norme debba essere applicata, occorre osservare da quali fonti esse derivano. Dinanzi
a due o più principi tra loro in conflitto, la situazione è del tutto diversa.
Avendo contenuti di per sé generali e suscettibili di applicazioni diverse, si cercherà di
“bilanciare” i due principi ovvero di applicare entrambi nella misura maggiore possibile.
b) I principi generano le regole:
I principi possono essere attuati mediante un processo di specificazione il quale fa sì
che da un principio (generale) nascano diverse regole (specifiche).

26

Scaricato da Sofia Digiuni (dsofia2013@libero.it)


lOMoARcPSD|11500446

I principi rappresentano i valori di riferimento del sistema normativo. Da un lato sono in


grado di orientare l’attività di interpretazione delle regole, dall’altro essi generano regole
concrete.

LE NORME POSSONO ESSERE GENERALI O SPECIALI


Un’altra distinzione importante da fare è quella tra norme speciali e norme generali, vale a
dire norme che stanno in un rapporto di species a genius e che pertanto producono l’effetto
della deroga e non dell’abrogazione né dell’annullamento.
In caso di contrasto tra una norma speciale e una norma generale l’interprete deve preferire
la prima, anche se è anteriore. Il principio di specialità ha un valore solo inter partes quando
è disposto dal giudice. Se il legislatore indica una prevalenza di una norma speciale sull’altra
generale, abbiamo una delimitazione della sfera di applicazione della norma generale.

L’ORDINAMENTO GIURIDICO, LE DISPOSIZIONI E LE NORME


L’ordinamento giuridico è
composto da norme e non da
disposizioni.
Il sistema giuridico non è composto
da testi, codici, o leggi, bensì dai
significati di tali documenti; solo i
significati delle disposizioni sono in
grado di orientare il
comportamento delle persone. La
comprensione esatta del fenomeno
giuridico dipende dall’attività
interpretativa.

Figura 2 - Risoluzione delle antinomie normative

27

Scaricato da Sofia Digiuni (dsofia2013@libero.it)


lOMoARcPSD|11500446

CAPITOLO 5: LE SINGOLE FONTI DEL DIRITTO


LA COSTITUZIONE COME FONTE NORMATIVA E LE LEGGI COSTITUZIONALI
L’APPROVAZIONE DELLA COSTITUZIONE
La Costituzione italiana è stata approvata dall’Assemblea costituente, che è stata eletta,
con sistema proporzionale, il 2 giugno 1946, nella stessa data nella quale si è svolto anche il
referendum istituzionale per la scelta tra repubblica e monarchia.
L’Assemblea costituente ha lavorato negli anni 1946-1947, fino all’approvazione (22
dicembre 1947) del testo della Costituzione (entrata in vigore in data 1° gennaio 1948) e ha
avuto come protagonisti i partiti politici antifascisti, che si sono accordati su un nucleo di
principi comuni, inserendoli nella Costituzione rigida. Essi hanno assimilato le principali idee
costituzionali che si stavano affermando sullo scenario internazionale dopo le distruzioni
della Seconda guerra mondiale.
La Costituzione italiana è frutto di un patto tra le forze antifasciste protagoniste della
Resistenza e riconducibili principalmente a tre tradizioni culturali: cattolica, marxista,
liberal-democratica. Tale accordo è stato reso possibile dal “velo di ignoranza”, ossia dal
fatto che nel momento della rifondazione dell’ordinamento, nessun partito politico poteva
sapere se le soluzioni istituzionali prescelte lo avrebbero avvantaggiato o danneggiato. Le
forze costituenti lavorarono quindi nella consapevolezza di stare scrivendo un testo
destinato a durare nel tempo.
LEGGI COSTITUZIONALI E DI REVISIONE COSTITUZIONALE
Le maggioranze politiche debbono rispettare la Costituzione. La legge, statale o regionale,
deve rispettare la Costituzione. La mera affermazione della supremazia vorrebbe dire ben
poco se non esistessero le garanzie della rigidità della Costituzione, contenute nel titolo
“Garanzie costituzionali”.
Tratteremo qui il tema della revisione costituzionale: è vero che la Costituzione rigida è del
tutto immodificabile? No, ma esistono dei limiti alla possibilità di modifica.
La Costituzione prevede nell’art. 138 una procedura speciale ed “aggravata” attraverso la
quale viene prodotta una fonte che prende il nome di legge costituzionale. Le leggi
costituzionali nel nostro ordinamento possono servire a:
a) Modificare il testo della Costituzione;
b) Soddisfare le riserve di legge costituzionale;
c) Irrigidire la disciplina di certe materie che, in tal caso, viene sottratta alla disponibilità
del legislatore ordinario.
Il procedimento aggravato di revisione costituzionale prevede che occorre una doppia
deliberazione da parte di ciascuna Camera e tra le due deliberazioni deve intercorrere un
intervallo di tempo ( ≥ 3 mesi).
La prima deliberazione segue le regole del procedimento legislativo ordinario (maggioranza
semplice). La seconda deliberazione ha caratteri differenti: da un lato, non possono essere

28

Scaricato da Sofia Digiuni (dsofia2013@libero.it)


lOMoARcPSD|11500446

apportati emendamenti al testo votato in prima deliberazione, dall’altro, è richiesta la


maggioranza dei 2/3 dei componenti di ciascuna Camera.
Le leggi costituzionali anche se, nella seconda deliberazione, non hanno raggiunto la
maggioranza dei 2/3, ma almeno la maggioranza assoluta (maggioranza dei componenti) di
ciascuna Camera, possono essere sottoposte a referendum popolare se, entro tre mesi dalla
loro pubblicazione, ne facciano domanda almeno 1/5 dei membri della Camera. La legge
sottoposta a referendum non è promulgata se non è approvata dalla maggioranza dei voti
validi.

Figura 3 - Procedimento di revisione costituzionale ex art. 138 Cost.

All’interno della Carta costituzionale è possibile operare una sorta di distinzione tra “principi
supremi” e regole costituzionali “ordinarie”, nel senso che attraverso la revisione
costituzionale si può modificare o integrare la Costituzione, ma non in tutte le sue previsioni;
esistono, infatti, alcuni principi che sono sottratti alla revisione, perché, modificando
questi, in realtà si darebbe vita ad un vero e proprio nuovo ordinamento costituzionale.
LA COSTITUZIONE COME FONTE
Appena la nuova Costituzione repubblicana è entrata in vigore, si è posto il problema della
sua efficacia. Esisteva una corrente di interpretazione molto radicata all’interno della
magistratura per la quale occorreva distinguere all’interno delle disposizioni della
Costituzione tra quelle che ponevano in essere norme direttamente precettive e quelle
invece meramente programmatiche. Si intendeva affermare, con quelle programmatiche,
che moltissimi articoli della Costituzione si limitavano a fissare obiettivi e non vere e proprie
regole. Chi ha risolto questo problema di interpretazione è stata la Corte costituzionale: ha
fin da subito chiarito che, in primis, la Costituzione è anch’essa composta di vere e proprie
norme giuridiche, in quanto tali, vincolanti immediatamente per tutti i cittadini e i pubblici
funzionari, e in un sistema a Costituzione rigida qualsiasi legge deve rispettare tutte le
norme della Costituzione.

29

Scaricato da Sofia Digiuni (dsofia2013@libero.it)


lOMoARcPSD|11500446

LE FONTI INTERNAZIONALI ED EUROPEE


I PRINCIPI COSTITUZIONALI SULLE FONTI INTERNAZIONALI ED EUROPEE
Il sistema delle fonti italiano si apre alle fonti provenienti da altri ordinamenti, che lo
integrano in coerenza con la visione evolutiva della sovranità esterna. Alle condizioni che
la Costituzione stabilisce, possono entrare a far parte dell’ordinamento italiano le fonti del
diritto internazionale e del diritto dell’Unione europea.
L’art. 10 Cost. si riferisce alle “norme di diritto internazionale generalmente riconosciute”,
stabilendo che l’ordinamento italiano si conforma ad esse. La Corte ha espressamente
affermato che anche le norme internazionali consuetudinarie possono essere oggetto del
controllo di costituzionalità, quanto al rispetto dei “principi supremi”.
Un ruolo centrale circa i rapporti tra l’Italia e gli ordinamenti extrastatuali è svolto dall’art.
11 Cost. Tale articolo, dopo aver proclamato il principio pacifista, afferma che l’Italia
“consente, a condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad
un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia tra le Nazioni; promuove e favorisce le
organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo”.
L’art. 11 Cost. è stato completato più di recente dall’art. 117, il quale non si limita a
prevedere la possibilità che l’Italia entri a far parte di organizzazioni internazionali, ma
stabilisce i principi costituzionali relativi al rapporto tra le fonti interne e le fonti
internazionali ed europee. Le fonti del diritto internazionale e quelle comunitarie sono
vincolanti nell’ordinamento italiano.
IL DIRITTO INTERNAZIONALE PATTIZIO
Una volta che un trattato internazionale sia stato negoziato e concluso, esso deve essere
innanzitutto ratificato, cioè approvato dall’organo competente. La ratifica spetta al
Presidente della Repubblica. Per tre categorie di trattati è necessaria una previa
autorizzazione del Parlamento, con apposita legge di autorizzazione alla ratifica:
1) Trattati di natura politica;
2) Trattati che prevedono arbitrati o regolamenti giudiziari;
3) Trattati che importano variazioni del territorio od oneri alle finanze o modificazioni
di leggi.
Soltanto a seguito della ratifica avverrà la stipulazione del contratto. A quel punto, il
trattato dovrà essere recepito nel diritto interno.
Una questione per lunghi anni irrisolta in Italia ha riguardato l’efficacia da attribuire alle
disposizioni del trattato una volta che siano state recepite attraverso l’ordine di esecuzione.
I trattati internazionali sono vincolanti per le fonti primarie successive. In caso di antinomia
tra un trattato ed una fonte primaria successiva, si applica il criterio della gerarchia. I trattati
si collocano in tal modo in una posizione intermedia tra la legge e la Costituzione: nel giudizio
di costituzionalità operano come norme interposte, ovvero come parametri del giudizio per
cui le leggi interne in contrasto con il loro contenuto devono essere dichiarate
incostituzionali. La Corte costituzionale si assume l’onere di verificare la costituzionalità
dei trattati. Trattati internazionali stipulati dall’Italia à CEDU.

30

Scaricato da Sofia Digiuni (dsofia2013@libero.it)


lOMoARcPSD|11500446

LE FONTI EUROPEE
Le fonti del diritto europeo si distinguono in fonti di diritto originario e fonti di diritto
derivato.
Le fonti di diritto originario sono i trattati istitutivi delle Comunità europee e quelli che,
successivamente, li hanno modificati. Possono essere considerati le basi costituzionali
dell’UE.
Le fonti di diritto derivato sono i regolamenti, direttive, raccomandazioni, pareri e decisioni:
esse sono adottate dagli organi dell’Unione europea.
I regolamenti costituiscono le fonti più rilevanti nell’ordinamento dell’Unione europea.
Sono vincolanti in tutti i loro elementi e dotati dei caratteri della generalità e dell’astrattezza.
Hanno diretta applicabilità nei confronti di tutti i soggetti all’interno degli Stati membri.
Anche le direttive sono fonti di diritto vincolanti, ma non hanno diretta applicabilità. Non
producono automaticamente effetti giuridici nei confronti dei soggetti all’interno degli Stati
membri. Questo non significa che le direttive non producano alcun effetto giuridico nei
confronti dei soggetti all’interno degli Stati: essi, infatti, sono vincolanti in via diretta al loro
rispetto, attraverso gli atti normativi di attuazione. In alcuni casi le direttive possono
contenere norme provviste del carattere dell’effetto diretto: qualora esse siano
incondizionate e sufficientemente precise (direttive self-executing).
Le decisioni sono fonti di diritto derivato vincolanti. Sono obbligatorie in tutti i loro elementi
e non richiedono alcun atto interno di recepimento da parte degli Stati. Sono sprovviste dei
caratteri della generalità e dell’astrattezza, rivolgendosi a destinatari specifici.
Le raccomandazioni e i pareri sono fonti di diritto derivato non vincolanti. Attraverso le
raccomandazioni, gli organi dell’Unione europea invitano gli Stati a conformarsi a un
determinato comportamento; con i pareri, essi fanno conoscere il loro punto di vista su una
determinata materia, svolgendo una funzione di orientamento.
Per razionalizzare e rendere certa l’attuazione degli obblighi comunitari, il Parlamento ha
introdotto una disciplina, prevedendo che l’intervento nominativo statale si realizzi
attraverso due distinti provvedimenti legislativi:
1) Legge di delegazione europea: contiene:
a) Le deleghe al governo per approvare decreti legislativi;
b) Le autorizzazioni al governo per il recepimento delle direttive attraverso
regolamenti;
c) I principi fondamentali a cui si debbono attenere le regioni nell’esercizio delle loro
competenze legislative nelle materie previste.
2) La legge europea: mezzo con cui il Parlamento realizza direttamente gli interventi
normativi necessari all’adempimento degli obblighi europei.
Cosa accade nel caso in cui si verifichi comunque un’antinomia tra una legge italiana e una
fonte europea e questa non venga sanata neppure nella fase discendente? Le conseguenze
sono diverse a seconda che la fonte europea sia o meno self-executing. Le antinomie devono
essere risolte attraverso la disapplicazione del diritto interno incompatibile con il diritto
europeo. Questa scelta si basa sul principio di competenza.
31

Scaricato da Sofia Digiuni (dsofia2013@libero.it)


lOMoARcPSD|11500446

Tuttavia, la possibilità di limitare la sovranità dello Stato italiano non è assoluta. La Corte
sottolinea come tali limitazioni di sovranità non siano ammissibili. Se, dunque, sono
ammissibili dei limiti alla sovranità italiana, è necessario che le fonti europee rispettino i
controlimiti (principi supremi, Cost., etc.).
Le direttive che si configurano come norme interposte tra il diritto nazionale e gli artt. 11 e
117, per cui le fonti primarie interne con esse incompatibili devono essere dichiarate
incostituzionali.

LE FONTI NAZIONALI
LA CRISI DELLA LEGGE
Oggi lo “spazio normativo” è sempre più densamente popolato da fonti diverse e sovente
di estrazione non nazionale; fonti tra le quali vi è una competizione molto forte che mette
sempre più in crisi anche i criteri “classici” di risoluzione delle antinomie.
La legge diviene lo strumento privilegiato per la realizzazione dell’indirizzo politico
governativo e un mezzo per eliminare gli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo della
persona e la sua partecipazione alla vita dello Stato, in connessione al carattere “sociale”
della forma di Stato.
LA LEGGE ORDINARIA: NATURA, CONTENUTO E PROCEDIMENTO
Per legge si intende l’atto normativo, deliberato dalle due Camere del Parlamento in un
identico testo, promulgato dal Presidente della Repubblica e pubblicato sulla Gazzetta
Ufficiale, che trova le sue norme sulla produzione negli artt.70 e seguenti della
Costituzione.
Tale atto viene definito anche legge formale ordinaria, da cui si distinguono gli atti legislativi
che la Costituzione equipara ad essa quanto alla loro “forza”, benché dotati di forma diversa.
Nel momento in cui si attribuisce il potere legislativo alle Camere, l’art. 70 Cost. impedisce
di istituire altri tipi di fonti aventi forza di legge. Da ciò, derivano due principi molto
importanti per comprendere la natura della legge come fonte primaria:
1) Numero “chiuso” delle fonti primarie: esse sono solo stabilite dalla Costituzione. Per
creare nuove fonti che abbiano forza attiva e/o passiva primaria è necessaria una
fonte costituzionale.
2) Gli unici limiti che valgono per il legislatore sono quelli stabiliti direttamente dalla
Costituzione o da fonti pari ordinate.
IL CONTENUTO DELLA LEGGE
Si ha una riserva di legge quando una norma della Costituzione riserva alla legge la
disciplina di una determinata materia escludendo, o ammettendo solo in parte, che essa
possa essere oggetto di altre fonti normative.
La riserva è interpretata come riserva di fonti primarie, per cui possono intervenire anche
atti aventi forza di legge.

32

Scaricato da Sofia Digiuni (dsofia2013@libero.it)


lOMoARcPSD|11500446

Tipologie di riserve:
- Riserva rinforzata: il legislatore deve limitare la sua discrezionalità in attuazione di
istituti e limiti specifici già fissati dalle disposizioni costituzionali. Possono essere
distinte in due sottotipi:
a) La discrezionalità del legislatore è limitata sotto il profilo del procedimento;
b) La discrezionalità del legislatore riguarda il contenuto della legge.
- Riserva relativa: quando la legge deve intervenire solo a definire gli aspetti generali
e qualificanti della disciplina;
- Riserva assoluta: l’intera materia dev’essere disciplinata da fonti primarie.
Le leggi provvedimento (leggi non sono generali e astratte ma anche come provvedimenti
individuali applicabili singolarmente) non figurano come un obbligo del genere al legislatore,
infatti non vi è un obbligo per cui la legge deve essere generale ed astratta.
Ragionevolezza: le scelte legislative devono essere coerenti, in modo tale da non porsi in
contrasto con il principio di uguaglianza.
L’oggetto della legge serve per imporre un certo procedimento di approvazione o per
escluderla dalla possibilità di essere sottoposta a referendum abrogativo.
Abbiamo anche numerosi casi di leggi a cadenza “annuale”, come: legge di bilancio, legge
di delegazione europea, legge europea, legge annuale di semplificazione, legge annuale per
il mercato e la concorrenza, legge annuale per le micro, piccole e medie imprese.
IL PROCEDIMENTO LEGISLATIVO
Il procedimento è una successione necessaria di fasi regolate dal diritto al termine della
quale si produce un atto valido e perfetto tipico della funzione esercitata.

POTERE FUNZIONE ATTI TIPICI

Legislativo Legislativa Procedimento Legge


legislativo

Esecutivo Esecutiva Procedimento Provvedimento


amministrativo amministrativo

Giudiziario Giurisdizionale Processo giuridico Sentenza

“La funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle due Camere”. L’iter formativo di
una legge è molto articolato, in tre fasi:
1) Iniziativa;
2) Costitutiva;
3) Integrativa dell’efficacia ed entrata in vigore.

33

Scaricato da Sofia Digiuni (dsofia2013@libero.it)


lOMoARcPSD|11500446

FASE DELL’INIZIATIVA (ART. 71 COST.)


l’iniziativa delle leggi spetta anzitutto al Governo, a ciascun parlamentare e agli altri organi
ed enti a cui è conferita dalla Costituzione. Anche dal popolo, che la esercita mediante la
proposta da parti di almeno 50'000 elettori di un progetto redatto in articoli.
Le forme quantitativamente preponderanti sono quella governativa e parlamentare. Quella
governativa ha maggiori probabilità di andare in porto. Questo perché i disegni di legge
governativi sono spesso attuazione del programma politico della maggioranza, quel
programma sul quale si fonda il rapporto fiduciario. Sul piano giuridico va ricordato che
alcune tipologie di leggi possono essere presentate soltanto dal Governo.
FASE COSTITUTIVA: ISTRUTTORIA E APPROVAZIONE (ART. 72 COST.)
Essa attiene all’esame, alla discussione, e alla votazione. Obbligatoriamente questa fase
deve svolgersi innanzitutto nelle commissioni (pag.253) permanenti che compongono
ciascun ramo del Parlamento. Ogni disegno di legge è affidato alla commissione competente
per materia.
Si distinguono quattro subprocedimenti di approvazione delle leggi ordinarie:
1) Procedura normale: commissione opera in sede referente;
La commissione presenta all’Assemblea una relazione in cui propone di accogliere o
respingere il progetto. Possono anche essere presentate relazioni di minoranza.
Secondo le disposizioni del regolamento di ciascuna Camera, durante la fase di esame
nelle commissioni, queste possono chiedere informazioni al Governo e svolgere
un’attività istruttoria e conoscitiva. Dopo la fase dell’esame segue la fase della
discussione, che si svolge in Assemblea e comprende la discussione articolo per
articolo e la discussione finale. A questo punto l’Assemblea discute e delibera sulla
legge articolo per articolo. Segue l’approvazione finale del progetto di legge nel suo
complesso;

2) Procedura abbreviata: approvazione d’urgenza di alcuni disegni di legge;


I tempi della discussione e della votazione si riducono drasticamente. Un esempio è
l’approvazione delle leggi di conversione del decreto-legge, che richiede di arrivare
alla decisione entro i sessanta giorni dalla pubblicazione del decreto nella Gazzetta
Ufficiale;

3) Procedura decentrata e deliberante: la commissione assume il nome di


“deliberante” o “legislativa”;
Questa procedura si caratterizza per un diverso ruolo delle commissioni. Esse
sostituiscono l’Assemblea nella discussione e nell’approvazione della legge. Quindi,
l’iter del progetto di legge inizia e conclude in commissione. Il Governo può tuttavia
richiedere il ritorno al procedimento normale. Esclusi tassativamente i disegni di
legge in materia costituzionale;

34

Scaricato da Sofia Digiuni (dsofia2013@libero.it)


lOMoARcPSD|11500446

4) Procedura in sede redigente: commissione in sede redigente;


Consiste nell’affidare alle commissioni la redazione del progetto di legge, riservando
però l’approvazione finale alle Assemblee. Procedimento caduto in disuso.
Per la legge di bilancio, il procedimento per l’approvazione ha delle caratteristiche
particolari. Partecipano, oltre che la commissione bilancio, anche tutte le altre commissioni
permanenti. È impedito che i caratteri della manovra vengano sostanzialmente alterati e
che l’approvazione si protragga per lungo tempo, in modo da evitare il cosiddetto “esercizio
provvisorio”. È prevista l’istituzione della sessione di bilancio, che è un periodo nel quale le
Camere sono impegnate esclusivamente nella discussione e approvazione delle leggi di
bilancio, con tempi stretti.
FASE INTEGRATIVA DELL’EFFICACIA ED ENTRATA IN VIGORE (ART. 74 COST.)
Si divide in promulgazione e pubblicazione. La promulgazione, che avviene entro 30 giorni
dalla data di approvazione parlamentare, è disposta dal Presidente della Repubblica. Può
anche rifiutarsi di promulgare la legge, esercitando il potere di rinvio. Alla promulgazione
segue la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana. La pubblicazione
serve a rendere gli atti normativi, legge compresa, conoscibili. Per consentire l’effettiva
conoscenza delle leggi, entrano in vigore 15 giorni dopo la pubblicazione (vacatio legis).
Durante questo periodo di tempo, gli effetti della legge sono sospesi. Si presume, una volta
pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale, che la legge sia conosciuta da tutti (ignorantia legis non
excusat). Tutti gli atti normativi sono inseriti anche nella Raccolta Ufficiale à doppia
pubblicazione.
GLI ATTI DEL GOVERNO CON FORZA DI LEGGE
Il principio che abbiamo descritto precedentemente soffre due eccezioni.
La Costituzione, attribuisce il potere legislativo anche al Governo che, sotto controllo del
Parlamento, può emanare due tipi di atti aventi la stessa forza della legge: il decreto
legislativo e il decreto-legge.
Questa eccezione al principio della separazione dei poteri, per cui la funzione legislativa
viene delegata al Governo, è un dato comune a molte Costituzioni.
Le Camere in questi casi non si spogliano del potere legislativo; con l’adozione dei decreti
legislativi o dei decreti-legge il Governo esercita un potere diverso da quello del
Parlamento; diverso perché è limitato.
Questi provvedimenti sono generalmente indicati con la formula atti aventi forza di legge,
una formula che esprime la loro equiparazione alla legge.
IL DECRETO LEGISLATIVO (art. 76 Cost.)
L’istituto della delegazione legislativa si realizza attraverso due procedimenti:
- Legge delega;
- Decreto legislativo.
La delega consiste nel trasferimento temporaneo della funzione legislativa in capo al
Governo.

35

Scaricato da Sofia Digiuni (dsofia2013@libero.it)


lOMoARcPSD|11500446

Il Parlamento rimane padrone di revocare la deroga.


La legge delega deve determinare:
1. L’oggetto: la precisa materia da disciplinare;
Non si può effettuare una delega senza limiti di contenuto, deve avere un confine
puntuale. Può comprendere oggetti distinti suscettibili di separata disciplina;

2. I principi:
Le norme generali di carattere sostanziale, immediatamente riconducibili all’oggetto
della delega; e i criteri direttivi, norme strumentali di carattere procedurale che
guidano l’esercizio in concreto del potere delegato;

3. Il termine: occorre fissare esattamente la data o il periodo di tempo entro il quale


essa può essere esercitata. No permanente o senza scadenza;
Il Governo deve rispettare tutti i limiti che la legge delega gli pone: in caso contrario, esso
può venir dichiarato incostituzionale.
L’esercizio della delega avviene mediante l’adozione da parte del Consiglio dei ministri del
decreto legislativo e l’emanazione dello stesso da parte del Presidente della Repubblica.
Molte leggi di delega prevedono che il Governo debba ottenere un parere dalle competenti
commissioni parlamentari sullo schema di decreto. Il procedimento di approvazione dei
decreti legislativi è divenuto molto più “partecipato” di quanto non preveda la Costituzione.
Deleghe integrative-correttive: è frequente l’inserimento, nelle leggi di delega, di clausole
che consentono al Governo, una volta scaduto il termine, di correggere il decreto legislativo
emanato entro un successivo periodo di tempo, con lo scopo di introdurre gli aggiustamenti
necessari alla luce della prima esperienza applicativa.
Per quanto riguarda le materie delegabili, il Governo non può essere delegato a modificare
o integrare la Costituzione, come pure non può essere abilitato ad adottare determinazioni
legislative che realizzano una funzione di controllo parlamentare.
Una delle più frequenti applicazioni dell’istituto della delegazione legislativa trova luogo nel
caso dei codici, che contengono la disciplina organica di un settore, e dei testi unici.
Si intendono per testi unici quei testi che raccolgono una serie di fonti di produzione in
vigore con lo scopo di riunirle, razionalizzarle, in un unico documento.
I testi unici possono essere semplici mezzi di conoscenza (testi unici meramente
compilativi) delle norme in vigore oppure possono introdurre innovazioni (testi unici
normativi).
IL DECRETO LEGGE (art. 77 Cost.)
Il fondamento del potere governativo deriva dal fatto che si sia venuta a creare una
situazione di straordinaria necessità ed urgenza.
Il decreto-legge è un atto del Governo con forza di legge, adottato in casi straordinari di
necessità e urgenza.

36

Scaricato da Sofia Digiuni (dsofia2013@libero.it)


lOMoARcPSD|11500446

La Costituzione consente al Governo di alterare l’ordine normale dei poteri, adottando


provvedimenti provvisori con forza di legge. Il Governo nello stesso giorno in cui il decreto-
legge è emanato ha l’obbligo di trasmetterlo alle Camere chiedendone la conversione in
legge. Le Camere sono convocate e si riuniscono entro cinque giorni. La conversione in legge
deve avvenire entro sessanta giorni dalla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale. Appena
adottato, il decreto-legge diventa oggetto di un apposito disegno di legge di conversione ed
in questa formula è presentato alle Camere. La legge di conversione ha, perciò, l’effetto di
ripristinare il normale ordine costituzionale per mezzo di una sostituzione della fonte: la
legge si sostituisce completamente al decreto-legge. Il decreto-legge è quindi una fonte
davvero “paradossale”: esso è destinato in ogni caso a scomparire dopo sessanta giorni. Se
il decreto nasce illegittimo (mancanza di presupposti necessità/urgenza à verificati da PdR
e Parlamento) sul piano costituzionale la sua invalidità “si trasmette” alla legge di
conversione.
Le Camere possono regolare con legge i rapporti giuridici sorti sulla base dei decreti non
convertiti, dando così vita a quel tipo di legge che si chiama sanatoria, la quale ha il proprio
compito di “salvare” gli effetti prodotti dal decreto-legge decaduto sollevando il Governo
dalle responsabilità alle quali sarebbe tenuto. Se non si approva una legge di sanatoria, il
Governo risponde direttamente di tutti gli effetti prodotto sia nei confronti dei cittadini
che delle istituzioni.
Nella concreta pratica di oggi il Parlamento apporta normalmente moltissimi emendamenti
al decreto-legge in sede di conversione, spesso travolgendo completamente il testo
dell’originario decreto.
La reiterazione è la prassi per cui, al sessantesimo giorno di vigenza di un decreto-legge non
convertito, se ne ripresenta un altro di identico contenuto.

IL REFERENDUM ABROGATIVO (art. 75 Cost.)


Il referendum abrogativo è un istituto attraverso il quale il corpo elettorale è chiamato a
pronunciarsi direttamente circa “l’abrogazione, totale o parziale, di una legge o di un atto
avente valore di legge” dello Stato.
Se l’esito è favorevole all’abrogazione ne risulterà mutato l’ordinamento normativo statale
vigente.
Possono essere oggetto del referendum abrogativo leggi e atti con forza di legge dello Stato.
Attraverso il referendum se ne determina l’abrogazione, ovvero la perdita di efficacia ex
nunc, per il futuro (non retroattiva). Sono escluse dal referendum alcune categorie di leggi:
tributarie e di bilancio, di amnistia e indulto, di autorizzazione alla ratifica dei trattati
internazionali. Non sono ammissibili referendum abrogativi che abbiano ad oggetto a la
Costituzione, le leggi costituzionali, i regolamenti parlamentari, gli atti legislativi a forza
passiva peculiare etc. (limiti impliciti).

37

Scaricato da Sofia Digiuni (dsofia2013@libero.it)


lOMoARcPSD|11500446

Il procedimento referendario si articola in varie fasi:


a) L’iniziativa spetta ai consigli regionali/500'000 elettori (più frequente). La richiesta
dev’essere depositata presso la Corte di cassazione entro il 30 settembre di ogni
anno;
b) L’Ufficio centrale per il referendum effettua, entro il 31 ottobre, un controllo sulla
legittimità delle richieste. Se rileva irregolarità, assegna un termine ai proponenti per
sanarle. L’Ufficio decide con ordinanza definitiva entro il 15 dicembre;
c) La Corte costituzionale giudica sull’ammissibilità delle richieste dichiarate illegittime,
con sentenza da pubblicarsi entro il 10 febbraio;
d) Se le richieste sono ammesse, il Presidente della Repubblica, su deliberazione del
Consiglio dei ministri, indice il referendum, fissando la data della votazione in una
domenica compresa tra il 15 aprile e il 15 giugno;
e) Sono previsti due quorum: uno di partecipazione o strutturale (referendum produce
effetti solo se ha partecipato alla votazione la maggioranza degli aventi diritto) e uno
circa l’esito (la disposizione legislativa è abrogata soltanto se in tal senso si esprime
la maggioranza dei voti validi);
f) Nel caso di abrogazione, essa è dichiarata dal Presidente della Repubblica con
decreto; conseguenza dell’abrogazione referendaria è che il Parlamento non può
approvare una disciplina che sia sostanzialmente riproduttiva di quella abrogata.
L’esito referendario si caratterizza come “norma interposta”. Nel caso in cui l’esito
del referendum sia contrario all’abrogazione, per cinque anni la stessa disposizione
non potrà essere sottoposta nuovamente a referendum abrogativo.
Un lungo discorso meriterebbe l’esame della ricca prassi, che ha visto lo svolgimento di 67
referendum, a fronte di un numero di richieste di gran lunga maggiore. Esso è divenuto sia
uno strumento di indirizzo politico che un motore per le riforme.
I REGOLAMENTI DELL’ESECUTIVO
Esaminiamo le fonti di carattere secondario, poste gerarchicamente in posizione
subordinata rispetto alla legge. I regolamenti adottati dal Governo sono fonti secondarie.
I regolamenti governativi sono fonti secondarie, con le quali il Governo, nel rispetto delle
fonti primarie, pone regole di carattere sostanziale, organizzativo, procedurale oppure
provvede a disporre quanto necessario per dare attuazione ed esecuzione alle leggi.
Le leggi del Parlamento per poter essere applicate necessitano di altre regole che
specifichino come si può dare loro attuazione: a ciò provvedono i regolamenti. Il potere
regolamentare del Governo non è disciplinato dalla Costituzione. Richiama questo tipo di
fonte solo elencando i poteri del Presidente della Repubblica includendo anche
l’emanazione dei regolamenti, limitando la potestà del Governo di emanare regolamenti
solo nelle materie nelle quali lo Stato ha potestà legislativa esclusiva.
Le fonti secondarie (a differenza delle primarie) sono a numero aperto, cioè modellabili dal
potere legislativo. Esse non hanno uno spazio costituzionalmente definito, ma il loro spazio
è fortemente limitato dall’esistenza delle riserve di legge previste in Costituzione.

38

Scaricato da Sofia Digiuni (dsofia2013@libero.it)


lOMoARcPSD|11500446

Vanno distinti i regolamenti governativi dai regolamenti ministeriali ed interministeriali,


emanati dal singolo ministro o di concerto con uno o più ministri. Questi ultimi debbono
rispettare i regolamenti governativi per cui si potrebbe dire che esiste un rapporto di
“microgerarchia” tra le fonti secondarie.
Ai regolamenti governativi può essere assegnato il compito di disciplinare:
- Regolamenti di esecuzione: esecuzione delle leggi, decreti legislativi, regolamenti
dell’UE;
- Regolamenti di attuazione: attuazione e integrazione delle leggi e dei decreti
legislativi recanti norme di principio, fuori dalle materie di competenza regionale;
- Regolamenti di organizzazione: organizzazione e funzionamento delle
amministrazioni pubbliche secondo le disposizioni dettate dalla legge.
Ad essi spetta anche il compito della delegificazione.
La delegificazione è l’istituto mediante il quale una legge, da un lato, attribuisce al potere
regolamentare del Governo il compito di regolare una certa materia, già oggetto di
disciplina da parte di una precedente legge e, dall’altro, dispone l’abrogazione di tale
disciplina precedente a decorrere dall’entrata in vigore dei regolamenti di delegificazione.
In tal modo, salvando il principio di gerarchia, si affida ai regolamenti governativi il potere di
ridisciplinare interi settori normativi, anche se prima coperti da leggi.
Regolamenti indipendenti à emanati in materie non riservate alla legge e non disciplinate
da leggi o atti con forza di legge.

LE FONTI REGIONALI E LOCALI


Le regioni a statuto speciale sono disciplinate non dalla Costituzione, ma dai rispettivi
statuti, approvati con leggi costituzionali.
Alle regioni a statuto ordinario è la Costituzione che attribuisce la potestà normativa
primaria e secondaria.
Per questi enti, è necessario (art. 123 Cost.) di dotarsi di uno statuto.
Lo statuto è una fonte primaria del diritto con cui la regione disciplina rilevanti aspetti
della sua organizzazione e struttura interna: forma di governo, principi fondamentali di
organizzazione e funzionamento, diritto di iniziativa e referendum su leggi e
provvedimenti amministrativi della regione, e pubblicazione di leggi e regolamenti
regionali.
Lo statuto dev’essere approvato due volte dal Consiglio regionale, a maggioranza assoluta
dei componenti dell’organo e con un intervallo tra la prima e la seconda approvazione di
due mesi. Dopo le due approvazioni la legge viene pubblicata sul Bollettino Ufficiale e da
quel momento decorrono i tre mesi entro i quali 1/50 degli elettori possa richiedere un
referendum sullo statuto. Decorsi i tre mesi, in assenza di richiesta del referendum, la legge
viene promulgata, ripubblicata e, decorso il termine di vacatio legis, entra in vigore. Nel

39

Scaricato da Sofia Digiuni (dsofia2013@libero.it)


lOMoARcPSD|11500446

caso in cui invece venga richiesto il referendum, la legge è promulgata e quindi ripubblicata
solo se sia stata approvata dalla maggioranza dei voti validi.
Le regioni hanno potestà legislativa, in riferimento ad ogni materia non espressamente
riservata alla legislazione dello Stato, vale a dire la competenza legislativa residuale.
Abbiamo una “tripartizione”:
1) Competenza legislativa esclusiva statale: insieme di materie in cui il soggetto
legittimato a porre le fonti legislative è lo Stato;
2) Competenza legislativa concorrente: insieme di materie in cui i soggetti legittimati
a porre le fonti legislative sono due: Stato e regioni;
3) Competenza legislativa residuale regionale: insieme di tutte le materie non
ricomprese negli elenchi del secondo e terzo comma dell’art. 117. In questo caso le
regioni hanno potestà legislativa che vede come vincolo solo la Costituzione ovvero
gli obblighi comunitari e internazionali.
Il “criterio di prevalenza” ha comportato l’attribuzione della potestà normativa in oggetto
allo Stato.
La “chiamata di sussidiarietà” è la capacità dello Stato di “attrarre” a sé la competenza
legislativa regionale.

40

Scaricato da Sofia Digiuni (dsofia2013@libero.it)


lOMoARcPSD|11500446

CAPITOLO 6: DIRITTI E DOVERI


LIBERTÀ ED UGUAGLIANZA NELLA COSTITUZIONE ITALIANA
L’architettura della Carta costituzionale dimostra il rilievo dato dalla protezione dei diritti.
- Primi 12 articoli sono qualificati come Principi fondamentali;

- Parte prima composta di 42 articoli ed intitolata Diritti e doveri dei cittadini:


È articolata in quattro titoli dedicati, rispettivamente, ai rapporti civili, rapporti etico-
sociali, rapporti economici, rapporti politici. La libertà, quindi, consiste in un
progressivo intreccio di “rapporti”, cioè di relazioni, in cui la persona umana è
inevitabilmente inserita;

- Parte seconda contenente l’Ordinamento della Repubblica.


L’architettura dei diritti e delle libertà è ispirata e ordinata da due “punti di fuga” prospettici
contenuti tra i Principi fondamentali che aprono il testo costituzionale: gli artt. 2 e 3.
ART. 2: I DIRITTI INVIOLABILI E I DOVERI INDEROGABILI
“La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle
formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri
inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”.
L’ordinamento pone al centro la protezione dei diritti fondamentali della persona, termine
che ben sintetizza la visione dell’uomo sottesa alla Costituzione repubblicana (principio
personalista). Infatti, la persona non è soltanto l’individuo in sé isolatamente considerato,
bensì è l’individuo inteso nella sua proiezione sociale, inevitabilmente immerso e legato a
quei gruppi umani ove fiorisce e si sviluppa la sua individualità, conformemente al carattere
pluralista della forma di Stato.
Nello stabilire che la Repubblica “riconosce” e “garantisce” i “diritti inviolabili”, questo
articolo afferma che i diritti preesistono allo Stato; il “proprietario” dei diritti è
originalmente la persona e non l’ordinamento giuridico statale. Si apre quindi una stagione
centrata sul concetto di inviolabilità.
Inviolabilità intesa come garanzia di intangibilità dei diritti stessi, non eliminabili neanche
ad opera dell’organo espressivo della volontà popolare, quale è il Parlamento.
Diritti inviolabili: diritto alla salute, alla vita, a manifestare il proprio pensiero, etc.
“Nuovi” diritti (appena introdotti): identità sessuale, privacy, etc.
Va infine ricordato che l’ultima parte dell’art. 2 afferma che la Repubblica “richiede
l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica, sociale”.
Il principio/valore della solidarietà è la ragione dei doveri inderogabili a carico dei singoli
e delle formazioni sociali.
I doveri inderogabili sono legati ad un valore (solidarietà) che è ritenuto anch’esso una
dotazione originaria dell’uomo e della sua propensione alla socialità. doveri-nopegno-diritti.

41

Scaricato da Sofia Digiuni (dsofia2013@libero.it)


lOMoARcPSD|11500446

Esiste quindi una correlazione tra diritti e doveri nel disegno costituzionale.
ART. 3: L’UGUAGLIANZA
In Italia il principio di uguaglianza trova una maturazione che è il frutto dell’incontro in
Assemblea costituente tra gli ideali del movimento operaio di matrice social-comunista, del
movimento cattolico-democristiano e della tradizione liberale, che si colloca al cuore del
“compromesso costituzionale”. L’esito è un articolo “composito”.
1° comma à uguaglianza in senso formale: “tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e
sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, razza, di lingua, religione, di
opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”. (Tutti uguali di fronte alla legge).
Riprende il concetto di principio di legalità.
2° comma à uguaglianza in senso sostanziale: la Repubblica si impegna a “rimuovere gli
ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei
cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di
tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.
L’uguaglianza giuridica presuppone la diversità (pag. 144). Come può essere quindi
formulato il criterio del giudizio di uguaglianza? Occorre trattare in maniera eguale
situazioni uguali ed in maniera ragionevolmente differenziata situazioni diverse.
Il giudizio di uguaglianza tende spesso a configurarsi come un giudizio di ragionevolezza.
Con l’espressione “ragionevolezza” ci si riferisce all’adeguatezza delle decisioni del
legislatore alla realtà concreta, alla loro proporzionalità ed equità.
Analogo logicamente, ma differente per portata applicativa, è il giudizio di non
discriminazione. Quest’ultimo è la versione internazionale del principio di uguaglianza, il suo
impiego si deve soprattutto alle Corti ed alle Carte internazionali.

I SINGOLI DIRITTI COSTITUZIONALI


LIBERTÀ PERSONALE
La tutela della libertà fisica e psichica della persona è considerata come una priorità logica
rispetto all’intero impianto del nuovo sistema costituzionale democratico.
Abbiamo quattro commi che individuano con puntualità le condizioni che permettono allo
Stato di limitare la libertà fisica della persona: “Non è ammessa forma alcuna di detenzione,
di ispezione o perquisizione personale, né qualsiasi altra restrizione della libertà personale,
se non per atto motivato dell’Autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge”
(riserva di legge e di giurisdizione).
I commi 3 e 4 prevedono delle deroghe a queste garanzie, come l’arresto in flagranza di
reato. In tali circostanze l’intervento dell’autorità giudiziaria non è necessario prima del
provvedimento restrittivo, ma successivamente al fine di convalidare gli atti adottati.
I DIRITTI SOCIALI
Sono diritti sociali quelli che nascono da bisogni della persona (salute, lavoro, etc.) e che
trovano soddisfazione in quegli ambiti di vita sociale o comunitaria necessari al libero

42

Scaricato da Sofia Digiuni (dsofia2013@libero.it)


lOMoARcPSD|11500446

sviluppo della persona umana (famiglia, scuola, luoghi di lavoro, etc.), fino a richiedere
l’azione della Repubblica laddove sia necessario rimuovere gli ostacoli che impediscono
tale piena e libera soddisfazione.
DIRITTO ALLA SALUTE
Le norme costituzionali dedicate ai diritti sociali proseguono con le previsioni relative alla
tutela della salute: la tutela della sfera fisica della persona e la tutela della salute hanno lo
stesso oggetto.
“La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della
collettività”.
Il diritto alla salute riguarda, da un lato, i rapporti tra il cittadino e il potere pubblico e,
dall’altro, i rapporti privati. La Repubblica garantisce “cure gratuite agli indigenti”, ma dice
anche che “Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per
disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della
persona umana”.
ALTRI DIRITTI
LIBERTÀ DI DOMICILIO
Protezione dello spazio primario di vita. Art. 14 à Non si possono eseguire ispezioni o
perquisizioni o sequestri, se non nei casi stabiliti dalla legge secondo le garanzie prescritte
per la tutela della libertà personale. Gli accertamenti e le ispezioni per motivi di sanità e
incolumità pubblica o a fini economici e fiscali sono regolati da leggi speciali.
LIBERTÀ E SEGRETEZZA DELLA CORRISPONDENZA
Diritto di ciascuno di comunicare con altri soggetti; diritto di ricevere, senza interferire,
tali comunicazioni.
LIBERTÀ DI RIUNIONE E DI ASSOCIAZIONE
Art. 17 à le riunioni si debbano svolgere in modo pacifico e senz’armi.
Libertà di associazione à per fini non vietati dalla legge (consegue diritto a non associarsi).
LIBERTÀ DI MANIFESTAZIONE DEL PENSIERO
Art. 21 à unico limite: buon costume. Limiti impliciti: diritti all’onere e reputazione,
riservatezza, sicurezza dello Stato. Diritto di informazione.
DIRITTI POLITICI
Diritto di voto à Cost à Dovere civico. Voto à personale, uguale, libero, segreto.
DOVERI COSTITUZIONALI
Progresso materiale/spirituale della società. Prestazioni personali o patrimoniali non
possono essere imposte. Difesa della Patria. Concorrere alle spese pubbliche. Fedeltà alla
Repubblica.
CITTADINANZA à Ius soli (nascendo sul territorio Stato); Ius sanguinis (nascita genitori citt.)

43

Scaricato da Sofia Digiuni (dsofia2013@libero.it)


lOMoARcPSD|11500446

CAPITOLO 7: LA COSTITUZIONE ECONOMICA


DEFINIZIONE DI COSTITUZIONE ECONOMICA
La Costituzione economica è l’insieme delle norme costituzionali che riguardano le
posizioni o le relazioni degli individui e della Repubblica, intesi come soggetti economici.

L’IMPATTO DEL DIRITTO EUROPEO SULLA COSTITUZIONE ECONOMICA


L’adesione al Trattato CEE e le sue successive modifiche hanno fatto virare la Costituzione
economica dell’Italia verso una forma di neoliberismo in cui, pur essendo il mercato
fortemente regolato, il principio di libertà di concorrenza e la creazione di un mercato unico
hanno inciso fortemente sul governo dell’economia.
L’articolo del Trattato istitutivo della Comunità economica europea fissa l’obiettivo della
promozione di uno sviluppo armonioso delle attività economiche nell’insieme della
Comunità.
Strumentali a tale obiettivo sono le “quattro libertà”:
1) Libertà di circolazione delle persone;
2) Libertà di circolazione dei servizi;
3) Libertà di circolazione delle merci;
4) Libertà di circolazione dei capitali.
La libertà di concorrenza diviene una pietra miliare della Costituzione economica, necessaria
per garantire le “quattro libertà”.
Da un lato, il divieto di aiuti di Stato e l’obbligo di apertura dei mercati hanno provocato la
questione della compatibilità dei monopoli pubblici e degli interventi diretti dello Stato. Le
regole europee non vietano la proprietà pubblica delle imprese in sé, ma pongono limiti
all’incidenza degli assetti imprenditoriali sul regime della concorrenza. D’altra parte, i
principi di rigore finanziario introdotti dall’Europa hanno imposto un risanamento dei conti
pubblici e un controllo dell’equilibrio finanziario che hanno obbligato gli Stati con un
disavanzo eccessivo (Italia) a cercare di fare cassa anche attraverso la cessione delle proprie
partecipazioni azionarie.
L’inglobamento della politica monetaria tra le competenze europee ha chiuso infine la
possibilità per gli Stati di utilizzare la leva inflazionistica per abbassare nominalmente i debiti.
La realizzazione di un’Unione economica monetaria venne confermata per la prima volta
dal Consiglio europeo nel giugno del 1988.
Le scelte di politica monetaria sono sottratte alla competenza degli Stati dell’UE.
Passaggio da Stato imprenditore a Stato regolatore.
Principio di sussidiarietà à aiuta a leggere il ruolo dello Stato; delimita l’iniziativa privata e
l’intervento pubblico nel fine ultimo dello sviluppo della persona umana.

44

Scaricato da Sofia Digiuni (dsofia2013@libero.it)


lOMoARcPSD|11500446

CAPITOLO 8: LE FORME DI GOVERNO


DEFINIZIONE
La forma di governo indica le modalità con le quali la funzione di indirizzo politico è
ripartita tra gli organi costituzionali e le relazioni che intercorrono tra questi.
Per funzione di indirizzo politico si intende la determinazione, di volta in volta, delle finalità
da perseguire da parte dei poteri pubblici; in altre parole, la scelta delle politiche pubbliche
che dovranno essere attuate.
Non si tratta di una funzione libera, in quanto essa trova il suo quadro di riferimento e i suoi
limiti nella Costituzione.
Il concetto di forma di governo è strettamente legato a quello di forma di Stato. Una
precondizione per poter parlare di forma di governo è l’esistenza della separazione dei
poteri.

LA FORMA DI GOVERNO COSTITUZIONALE PURA


Nella forma di governo costituzionale pura esiste una netta separazione dei poteri: al re e
al suo Governo spetta il potere esecutivo, al Parlamento il potere legislativo, alla
magistratura il potere giudiziario.
Il re manteneva la legittimazione dinastica, il Parlamento era formato sulla base del principio
rappresentativo, benché la rappresentanza fosse limitata a una parte del popolo, a causa
delle restrizioni del diritto di voto.

LA FORMA DI GOVERNO PARLAMENTARE


La forma di governo parlamentare è quella nella quale il Governo è legato al Parlamento
da un rapporto di fiducia.
La prima forma di governo parlamentare si vide con l’ordinamento britannico, con re
Giorgio I.
La fiducia è l’elemento costitutivo del rapporto tra Governo e Parlamento.
Si determina una forma di governo parlamentare dualista, nella quale il Governo aveva una
“doppia fiducia”, essendo legato sia al Parlamento che al re. In un momento successivo, in
collegamento all’allargamento del suffragio, giunse a maturazione la forma di governo
parlamentare monista: in essa il re perde ogni possibilità di incidere sulla composizione del
Governo, che è determinata unicamente dalla volontà del Parlamento.
A partire dall’Austria, iniziò a svilupparsi il tentativo di rendere più funzionale la forma di
governo parlamentare attraverso la sua razionalizzazione, ossia la scrittura nella
Costituzione delle regole sul rapporto di fiducia. Attraverso appositi congegni giuridici si
voleva assicurare la governabilità, ovverosia la stabilità e l’efficienza del Governo.
Cancellierato e premierato à valorizzata figura del primo ministro.
Mozione di sfiducia costruttiva à il Parlamento può votare la sfiducia al primo ministro
solo se ne elegge contestualmente un altro.

45

Scaricato da Sofia Digiuni (dsofia2013@libero.it)


lOMoARcPSD|11500446

IN ITALIA
Forma di governo à relazione tra organi dello Stato (Parl – Gov – PdR)
Relazione fiduciaria tra Parlamento e Governo. Il Governo deve avere la fiducia del
Parlamento (cioè delle due Camere).
Forma di governo:
- Classica à NO FIDUCIA
- Razionalizzata à SÌ FIDUCIA
- Monismo à POTERE SOLO PARLAMENTO
- Dualismo à POTERE RE E PARLAMENTO

LA FORMA DI GOVERNO PRESIDENZIALE


La forma di governo presidenziale si caratterizza per la presenza di un potere esecutivo
monocratico, affidato a un Presidente della Repubblica eletto direttamente dal popolo,
non legalo al Parlamento da un rapporto di fiducia.
Questa forma fu introdotta negli Stati Uniti d’America. Il Presidente della Repubblica non è
solo capo dello Stato, ma anche capo del Governo. L’Esecutivo è quindi monocratico, anche
se il Presidente si avvale dei segretari di Stato, che svolgono una funzione simile a quella dei
ministri, ma non rispondono al Parlamento, bensì al Presidente che, come li ha nominati,
così li può revocare.
Il Gabinetto, formato dal Presidente e dai segretari, non è un organo dotato di uno specifico
rilievo e di competenze proprie.
La separazione tra esecutivo e legislativo non è assoluta. I rapporti tra gli organi sono
strutturati in modo da creare un sistema di pesi e contrappesi (checks and balances) che
eviti i comportamenti arbitrari.
Il Presidente, il Vicepresidente e tutti i titolari di cariche pubbliche civili ritenuti colpevoli di
tradimento, di corruzione o di altri gravi reati possono essere messi in stato d’accusa dal
Congresso tramite l’impeachment.
Tutte le nomine che il Presidente può compiere sono soggette a ratifica da parte del Senato,
che può in tal modo incidere profondamente su tali scelte.
In casi di divided governement il Presidente incontra serie difficoltà a portare avanti la sua
politica. Attraverso il veto presidenziale sulle leggi il Presidente può influire sull’esercizio
delle funzioni del Congresso.

LA FORMA DI GOVERNO DIRETTORIALE


La caratteristica della forma di governo direttoriale è l’assenza di figure monocratiche di
rilievo costituzionale e la divisione del potere politico tra un Parlamento eletto e un
Governo (Direttorio) che svolge sia le funzioni di Esecutivo che di capo dello Stato ed è
composto da ministri individuati dal Parlamento.
Questa forma di governo prendere il nome dal Direttorio, ideato nell’ultima fase della
Rivoluzione francese. Evitare potere nelle mani di un solo uomo. Oggi solo in Svizzera.

46

Scaricato da Sofia Digiuni (dsofia2013@libero.it)


lOMoARcPSD|11500446

LA FORMA DI GOVERNO SEMIPRESIDENZIALE


La forma di governo semipresidenziale è quella nella quale convivono un Presidente della
Repubblica dotato di legittimazione popolare diretta, a cui spettano le competenze proprie
del potere esecutivo e un Governo collegiale condizionato all’esistenza di un rapporto di
fiducia col Parlamento.
Abbiamo quindi un carattere bicefalo del potere esecutivo (PdR e primo ministro) che vede
prevalere ora l’uno ora l’altro in base al concreto variare dei rapporti di forza tra Presidente
e maggioranza parlamentare.
La V Repubblica francese rappresentò il prototipo di tale forma di governo.
Il Presidente gode di vasti poteri: nomina il primo ministro, presiede il Consiglio dei ministri,
può sottoporre a referendum qualunque progetto di legge riguardante i pubblici poteri, può
sciogliere anticipatamente il Parlamento.
Nelle situazioni di coabitazione (es: PdR di Sx, maggioranza di Dx) il ruolo del Presidente
risulta notevolmente depotenziato.

LA FORMA DI GOVERNO NEOPARLAMENTARE


La forma di governo neoparlamentare è basata sulla elezione diretta del vertice
dell’esecutivo, che però è al contempo vincolato dal rapporto di fiducia con l’assemblea
legislativa. I due organi, vertice dell’esecutivo e assemblea legislativa, sono legati dal
principio aut simul stabunt, aut simul cadent, per cui se uno dei due per qualche motivo
viene meno, anche l’altro è costretto a dimettersi e si torna a votare contestualmente per
entrambi.
Questa forma di governo è stata adottata anche in Italia dal 1993 per i comuni e le province
e dal 1995 per le regioni.

SISTEMI ELETTORALI E FORME DI GOVERNO


Con riferimento al governo parlamentare esiste un legame fondamentale tra le forme di
governo e i sistemi politici in cui esse concretamente vivono. I sistemi politici sono
profondamente influenzati dalle diverse legislazioni elettorali.
La parte centrale della legislazione elettorale è il sistema elettorale, ossia il meccanismo
volto a trasformare i voti in seggi.
I sistemi elettorali si dividono in due grandi famiglie:
1) Sistema maggioritario;
2) Sistema proporzionale.

Un sistema è maggioritario quando chi ottiene più voti all’interno di una circoscrizione
(collegio elettorale) conquista tutti i seggi assegnati alla circoscrizione stessa.
Di solito in questi casi si tratta di piccoli collegi. Ogni partito presenta un candidato e viene
eletto quello che ottiene più voti. Nei sistemi a doppio turno se il candidato non raggiunge
il 50% nel primo, si va al ballottaggio.
47

Scaricato da Sofia Digiuni (dsofia2013@libero.it)


lOMoARcPSD|11500446

I sistemi proporzionali prevedono circoscrizioni plurinominali nelle quali la competizione si


svolge non tra candidati ma tra liste concorrenti: i seggi sono attribuiti alle liste in
proporzione ai voti che ottengono.
Questo sistema funziona nelle circoscrizioni più grandi. Il sistema proporzionale favorisce
una tendenziale corrispondenza tra l’organo elettivo e la volontà popolare espressa dai
voti, ma non garantisce la governabilità. In assenza di una maggioranza chiara risultante
dalle elezioni, è necessario formare governi di coalizione, sovente molto instabili.
Per minimizzare i difetti dei due sistemi sono stati elaborati sistemi misti, con l’introduzione
della soglia di sbarramento (no seggi a partiti sotto una certa percentuale) e del premio di
maggioranza (partito che ha più voti, ottiene un numero di seggi supplementare rispetto a
quello previsto).

FORMA DI GOVERNO E SISTEMI ELETTORALI IN ITALIA


LA FORMA DI GOVERNO PARLAMENTARE PREVISTA DALLA COSTITUZIONE E LA SUA
APPLICAZIONE
Negli anni dell’Assemblea costituente, la scelta in favore di una forma di governo
parlamentare apparve inevitabile. Essa era prefigurata dalla Costituzione provvisoria: vi si
prevedeva una forma di governo parlamentare, destinata a durare fino all’entrata in vigore
della nuova Costituzione. Peraltro, i principali partiti politici erano sostenitori di tale forma
di governo.
Nell’ordine del giorno Perassi i costituenti si impegnavano ad adottare una forma di governo
parlamentare, ma con dispositivi idonei ad evitare quelle che erano chiamate le
“degenerazioni del parlamentarismo”. Tali dispositivi sono assai limitati: sono contenuti
nell’art. 94 Cost., che disciplina il rapporto di fiducia tra Governo e Parlamento. Per questo
motivo la forma di governo italiana è definita una forma di governo parlamentare
debolmente razionalizzata.
I grandi partiti politici ritenevano che il sistema elettorale dovesse fornire una garanzia della
democrazia partecipativa e del pluralismo partitico e optarono per un sistema elettorale
proporzionale. I costituenti decisero anche di non costituzionalizzare il sistema elettorale.
Nel corso della I legislatura (1948-1953) il sistema mostrò la tendenza ad un funzionamento
bipolare (Camere hanno diversi orientamenti politici). Al termine della I legislatura venne
approvata la “legge truffa”, che prevedeva una correzione maggioritaria alla legge
elettorale della Camera: veniva assegnato un premio di maggioranza ai partiti “apparentati”.
Il fallimento della legge portò alla sua abrogazione e il sistema proporzionale venne
ristabilito.
I Governi di coalizione avevano una durata molto limitata (42 Governi i 8 legislature).
L’instabilità era generata da problemi interni alle coalizioni, rispetto ai quali i meccanismi
previsi nell’art. 94 Cost. si dimostrano del tutto inutili: le crisi di Governo non furono mai
conseguenza di un voto di sfiducia, ma assumevano sempre carattere extraparlamentare.
La frammentazione del sistema partitico si proiettava, attraverso il sistema elettorale
proporzionale, sulla composizione delle Camere. Si è pertanto parlato di multipartitismo
estremo e polarizzato.
48

Scaricato da Sofia Digiuni (dsofia2013@libero.it)


lOMoARcPSD|11500446

Durante la XI legislatura è avvenuto il cambiamento dell’intero sistema partitico nato nel


Secondo dopoguerra. In questo clima l’attenzione si è concentrata sulla riforma delle leggi
elettorali. Un decisivo impulso in questa direzione è derivato dal “movimento referendario”.
Tale movimento promosse due referendum abrogativi volti a manipolare le leggi elettorali
del 1948.
In conseguenza ai referendum il Parlamento fu costretto ad approvare le nuove leggi per la
Camera e per il Senato. Venne introdotto, per entrambe le Camere, un sistema elettorale
misto (mattarellum).
La svolta maggioritaria portò all’introduzione degli elementi per la formazione di un sistema
politico bipolare: individuazione di una maggioranza politica e di un Presidente del
Consiglio attraverso il voto popolare.
Il Parlamento è intervenuto nuovamente sul sistema elettorale nel 2005. Analogo per le due
Camere, si trattava di un sistema proporzionale, con scrutinio di lista e liste bloccate,
accompagnato da rilevanti correttivi: un premio di maggioranza eventuale e di entità
variabile e soglie di sbarramento per le coalizioni e per le liste. Le prime due applicazioni di
tale legge hanno confermato la tendenza alla bipolarizzazione del sistema politico italiano.
Un risultato diverso è emerso dalle elezioni del 2013, che hanno prodotto un quadro
politico articolato intorno a tre coalizioni o liste. Seguì la “migrazione” di parlamentari da un
gruppo politico all’altro.
LA LEGGE ELETTORALE TRA CORTE COSTITUZIONALE E PARLAMENTO
Nel 2014 la Corte costituzionale ha dichiarato l’incostituzionalità di due aspetti del sistema
elettorale del 2005:
- Il premio di maggioranza:
La Corte ha stabilito che i premi di maggioranza previsti erano sproporzionati
rispetto alla stabilità del governo del Paese.
- Le liste bloccate:
L’insieme delle condizioni dettate dal sistema elettorale non permetteva ai cittadini
di esprimersi liberamente sulla scelta dei rappresentanti, la quale risultava in questo
modo totalmente rimessa alle decisioni dei partiti.
A seguito di tale sentenza, il Parlamento ha approvato una nuova legge elettorale nel 2015,
l’Italicum. L’intervento legislativo è stato limitato alla legge elettorale relativa alla Camera
dei deputati, giacché per il Senato della Repubblica era in corso una proposta di revisione
costituzionale respinta poi dal referendum popolare del 4 dicembre 2016.
Anche la legge del 2015 è stata sottoposta al giudizio della Corte costituzionale che, nel
2017, ha dichiarato l’incostituzionalità di alcune delle disposizioni sul ballottaggio del
sistema delle candidature multiple.
Qual è il sistema elettorale oggi vigente in Italia?
a) Per l’elezione della Camera dei deputati si applica l’Italicum. Si tratta di un sistema
proporzionale con soglie di sbarramento ed eventuale premio di maggioranza. Per
quanto riguarda le soglie di sbarramento, partecipano alla ripartizione dei seggi tutte
le liste che abbiano ottenuto almeno il 3% dei voti validi su base nazionale.
49

Scaricato da Sofia Digiuni (dsofia2013@libero.it)


lOMoARcPSD|11500446

b) Per l’elezione dei 315 componenti del Senato della Repubblica, si applica il sistema
previsto dalla legge del 2005. Si tratta di un sistema proporzionale, dove concorrono
alla ripartizione dei seggi liste o coalizioni, e sono previste soglie di sbarramento, ma
senza alcun premio di maggioranza.
È facile rilevare che esistono significative differenze tra i due sistemi elettorali. La più
evidente riguarda il premio di maggioranza, che alla Camera dei deputati può scattare
qualora una lista superi la soglia del 40%, mentre non esiste al Senato. Inoltre, al Senato non
è prevista la doppia preferenza di genere. Anche le soglie di sbarramento sono diverse per
le due Camere.
Con due leggi elettorali diverse, la possibilità di avere maggioranze distinte nelle due
Camere è più elevata.

LA FORMA DI GOVERNO REGIONALE E LOCALE


Si possono individuare nell’ordinamento italiano due distinti modelli: da un lato ci sono le
regioni e i comuni, la cui forma di governo è neoparlamentare; dall’altro le province e le
città metropolitane, per le quali le legge prevede l’elezione indiretta degli organi.
La forma di governo delle regioni ordinarie ha subìto un forte mutamento a partire dalla
legge del 1995 che ha impresso una svolta in senso maggioritario al sistema di governo
regionale in Italia.
Se regione sceglie elezione diretta del presidente della giunta à governo neoparlamentare.
Se regione sceglie elezione indiretta del presidente della giunta à governo parlamentare.
Gli organi necessari della regione sono:
- Il presidente: rappresenta la regione, nomina e revoca la giunta, funzione legislativa,
rapporti con lo Stato, l’UE, etc.;
- La giunta: organo collegiale che partecipa all’attuazione dell’indirizzo politico ed
esercita le funzioni amministrative di competenza della regione. Composta da
assessori;
- Il consiglio: titolare della funzione legislativa.
Per i comuni la legge ha previsto l’elezione diretta del sindaco e ha introdotto sistemi
elettorali tendenti a garantire una consistente maggioranza nei consigli comunali. Segue una
distinzione:
- Comuni fino a 15'000 abitanti à elezione del sindaco avviene con sistema
maggioritario e votazione in un turno unico;
- Comuni con oltre 15'000 abitanti à elezione del sindaco avviene con sistema
proporzionale e doppio turno.
Il sindaco è l’organo responsabile dell’amministrazione comunale. La giunta è composta dal
sindaco e da un numero di assessori stabiliti dagli statuti. Il consiglio è l’organo di indirizzo
e di controllo politico amministrativo.

50

Scaricato da Sofia Digiuni (dsofia2013@libero.it)


lOMoARcPSD|11500446

Gli organi provinciali non sono più eletti dal popolo: il presidente è eletto dai sindaci dei vari
comuni della provincia, mentre il consiglio provinciale è eletto dai sindaci e dai consiglieri
dei comuni compresi nel territorio provinciale; è inoltre prevista un’assemblea dei sindaci.
La stessa legge stabilisce regole analoghe per le città metropolitane, i cui organi sono il
sindaco metropolitano, il consiglio metropolitano e la conferenza metropolitana.

51

Scaricato da Sofia Digiuni (dsofia2013@libero.it)


lOMoARcPSD|11500446

CAPITOLO 9: IL CIRCUITO DELLA DECISIONE POLITICA


Nello Stato costituzionale, il principio della separazione dei poteri si sviluppa attraverso due
distinti “circuiti”: il circuito della decisione politica e quello delle garanzie.
Il “circuito della decisione politica” è il processo attraverso il quale la funzione di indirizzo
politico si forma e si attua, a partire dal momento delle elezioni, quindi attraverso la
formazione del Parlamento, dell’Esecutivo e poi lo svolgimento dell’attività di governo.
Fanno parte di questo circuito il Parlamento, il Governo e il Presidente della Repubblica.
Quest’ultimo è di difficile classificazione in quanto svolge una funzione che lo pone al confine
tra i circuiti della decisione politica e delle garanzie. Per perseguire il proprio indirizzo
politico il Governo si avvale dell’amministrazione pubblica statale.

IL PARLAMENTO
DEFINIZIONE
Il Parlamento è l’organo legislativo dello Stato italiano. È un organo complesso, costituito
da due assemblee (Camera dei deputati e Senato della Repubblica), la cui funzione
principale, sebbene non l’unica, è quella legislativa.
IL PARLAMENTO NELLA COSTITUZIONE
In base all’art. 55 Cost., il Parlamento si compone della Camera dei deputati e del Senato
della Repubblica, entrambi organi elettivi cui spetta la titolarità del rapporto fiduciario e a
cui spettano identiche funzioni.
La scelta del sistema bicamerale portò a due Camere elette a suffragio universale diretto,
dotate di pari funzioni, ma con una composizione in parte differente:
- Diverso numero dei membri elettivi (630 deputati; 315 senatori + vita);
- Differenza nell’elettorato attivo e passivo (Camera: 18 anni attivo, 25 passivo;
Senato: 25 anni attivo, 40 anni passivo);
- Disuguaglianza nella formazione delle circoscrizioni elettorali (Camera eletta su
base nazionale; Senato su base regionale).
L’organizzazione e il funzionamento delle Camere sono disciplinate dalla Costituzione
soltanto nei tratti generali, mentre è lasciata ai regolamenti parlamentari la disciplina di
dettaglio. L’art. 64 Cost. stabilisce che ciascuna assemblea deve dotarsi di un proprio
regolamento, adottato a maggioranza assoluta dei componenti.
Ciascuna Camera dura in carica 5 anni. La legislatura dura dall’entrata in funzione delle
Camere (prima riunione) fino alla loro naturale scadenza. La prima riunione ha luogo non
oltre il ventesimo giorno dalle elezioni. La legislatura può essere più breve: il Presidente della
Repubblica può, sentiti i rispettivi presidenti, sciogliere le Camere.
Esse possono anche essere prorogate in caso di guerra. La prorogatio serve per evitare
discontinuità nell’esercizio dei poteri parlamentari nel periodo che intercorre tra lo
scioglimento delle Camere e le nuove elezioni.

52

Scaricato da Sofia Digiuni (dsofia2013@libero.it)


lOMoARcPSD|11500446

La Costituzione prevede di regola il principio della pubblicità delle sedute: il pubblico può
assistervi in apposite tribune. Tuttavia, ciascuna delle due Camere e il Parlamento in seduta
comune possono deliberare di adunarsi in seduta segreta.
Un discorso particolare dev’essere fatto per le maggioranze. In Assemblea è necessaria la
presenza della maggioranza dei componenti per la validità delle sedute (quorum
strutturale), mentre le decisioni sono assunte con la maggioranza dei presenti (quorum
funzionale). Il quorum funzionale coincide con la maggioranza semplice. La Costituzione
può stabilire maggioranze più elevate, dette maggioranze qualificate (maggioranza assoluta
dei 2/3).
La Costituzione tace sul sistema elettorale che, per le due Camere, è rimesso alla legge
ordinaria.
Il Parlamento in seduta comune è un organo collegiale composto da tutti i parlamentari
per lo svolgimento di funzioni tassativamente individuate nella Costituzione.
Queste funzioni riguardano per lo più l’elezione di alcune cariche dello Stato e la funzione
“accusatoria”. Esso è presieduto dal presidente della Camera, si riunisce nell’aula della
Camera dei deputati e usa come proprie regole di funzionamento e organizzazione quelle
del regolamento della Camera.
Le competenze del Parlamento in seduta comune sono:
a) Elegge, in composizione integrata con i delegati regionali, il Presidente della
Repubblica e assiste al suo giuramento;
b) Elegge 1/3 dei membri della Corte costituzionale;
c) Elegge 1/3 dei membri del Consiglio superiore della magistratura;
d) Ha la competenza a mettere in stato d’accusa il Presidente della Repubblica;
e) Provvede alla formazione e all’aggiornamento della lista di 45 nomi tra cui vengono
sorteggiati 16 giudici non togati che si affiancano alla Corte costituzionale in sede di
giudizio sui reati del Presidente della Repubblica.
LO STATUS DEL PARLAMENTARE
I parlamentari godono di un insieme di diritti e doveri inerenti alla carica che formano il
nucleo specifico del loro status. Non si tratta di privilegi, ma di misure vòlte a garantire il
libero adempimento della funzione svolta.
La Costituzione stabilisce che sia la legge a determinare i casi di ineleggibilità e
incompatibilità con l’ufficio di deputato o senatore e dispone il divieto di appartenere ad
ambedue le Camere. A tali ipotesi, è ora affiancata dalla normativa primaria quella di
incandidabilità, che determina una preclusione alla possibilità di esercitare il diritto di
elettorato passivo, ipotesi che occorre, particolarmente, nel caso di condanna per alcune
categorie di delitti.
Ciascuna Camera giudica i titoli di ammissione dei suoi componenti e le cause sopraggiunte
di ineleggibilità e di incompatibilità, rimettendo pertanto il controllo sul rispetto di tali
norme alla volontà delle maggioranze politiche, anziché ad un giudice indipendente. Tale
attività, denominata verifica dei poteri, è svolta da ciascuna Camera per mezzo di un
apposito organo interno (Giunta).
53

Scaricato da Sofia Digiuni (dsofia2013@libero.it)


lOMoARcPSD|11500446

Sono previste anche garanzie, le immunità funzionali, finalizzate ad affermare la più


assoluta indipendenza dei singoli parlamentari e del collegio a cui appartengono rispetto a
tutti gli altri poteri dello Stato. Tali garanzie consistono anzitutto nell’insindacabilità: i
membri del Parlamento non possono essere chiamati a rispondere delle opinioni espresse e
dei voti dati nell’esercizio delle loro funzioni. Ciò comporta che nei confronti dei deputati e
senatori non possono essere avviate azioni di responsabilità in sede civile, penale e
amministrativa per le opinioni espresse e i voti dati.
Le previsioni dell’insindacabilità, devono essere lette in stretto rapporto con le norme che
vietano il cosiddetto mandato imperativo: “Ogni membro del Parlamento rappresenta la
Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato”. I membri del Parlamento non
possono essere revocati e ogni patto o promessa da essi sottoscritti non produce alcuna
conseguenza politica. Il divieto di mandato imperativo implica anche la garanzia della libertà
dei parlamentari dai partiti o dai movimenti politici che li hanno candidati e con i quali sono
collegati. Questa norma consente pertanto che i parlamentari cambino “gruppo
parlamentare”, un fenomeno che viene definito transfughismo.
Per i singoli parlamentari è altresì prevista un’immunità dagli arresti e da ogni altro atto di
coercizione per reati non collegati direttamente alle funzioni e limitatamente al periodo di
permanenza in carica (inviolabilità).
L’ORGANIZZAZIONE DELLE CAMERE: PRESIDENTI, GRUPPI, COMMISSIONI E GIUNTE
Ai 315 senatori del Senato della Repubblica si aggiungono un massimo di cinque senatori a
vita nominati dal Presidente della Repubblica tra coloro che hanno illustrato la patria per
altissimi meriti nel campo sociale, scientifico, etc., più ancora gli eventuali ex Presidenti della
Repubblica, che al termine del mandato divengono di diritto senatori a vita.
La Camera e il Senato sono, dunque, collegi molto numerosi che hanno una complessa
articolazione interna, giustificata anche dal fatto che ad essi è riconosciuta una particolare
forma di garanzia e di indipendenza.
GLI ORGANI FONDAMENTALI DELLE DUE CAMERE
1) Il presidente di Assemblea:
Ha il compito di rappresentare all’esterno la Camera e di esprimerne la volontà; egli
dirige i lavori dell’assemblea e assicura il corretto svolgimento di questi e il buon
andamento dell’amministrazione interna nel rispetto delle norme della Costituzione
e del regolamento. Definisce il calendario dei lavori parlamentari e nomina i
componenti delle autorità indipendenti;
Quanto alla loro elezione, i regolamenti delle due Camere richiedono nelle prime
votazioni maggioranze qualificate e successivamente la maggioranza semplice, per
evitare il potere di blocco delle minoranze. Subito dopo vengono scelti i quattro
vicepresidenti, i quali coadiuvano i presidenti soprattutto nella direzione
dell’Assemblea.

2) L’ufficio di presidenza:
È un organo con compiti amministrativi, di disciplina interna e di natura politico-
amministrativa; ha potere normativo in ordine ai regolamenti minori delle Camere.
54

Scaricato da Sofia Digiuni (dsofia2013@libero.it)


lOMoARcPSD|11500446

3) I gruppi parlamentari:
Essi non sono veri e propri organi e agiscono nell’interesse proprio. I loro atti sono
espressione dell’interesse di ciascun gruppo e non dell’intero collegio. Si di un piano
giuridico i gruppi sono organizzazioni volontarie. I regolamenti prevedono che
ciascun parlamentare debba appartenere obbligatoriamente a un gruppo. Coloro
che non esprimono una preferenza sono costretti ad iscriversi al gruppo misto. I
regolamenti delle Camere prevedono un numero minimo di partecipanti per evitare
un’eccessiva parcellizzazione (20 deputati, 10 senatori).

4) La conferenza dei presidenti dei gruppi:


Organo collegiale la cui funzione principale è di predisporre il programma e il
calendario dei lavori, e perciò di stabilire i tempi dedicati alle attività parlamentari e
le questioni prioritarie sulle quali l’Assemblea dovrà lavorare.

5) Le giunte:
Articolazioni interne che si occupano del corretto funzionamento delle Camere e
dello status dei parlamentari. Le giunte più importanti sono quelle per il
regolamento, delle elezioni, per le autorizzazioni a procedere.

6) Le commissioni permanenti:
Svolgono funzioni essenziali e costituzionalmente necessarie relative al
procedimento legislativo. Sono organi monocamerali composti in modo da
rispecchiare la proporzione interna dei gruppi parlamentari. Attualmente sono
previste 14 commissioni permanenti tanto alla Camera quanto al Senato.
Le funzioni delle commissioni permanenti riguardano la funzione legislativa e il loro
ruolo politico.
Circa la funzione legislativa, quando è presentato un disegno di legge, le commissioni
hanno:
a) Il compito di rielaborarne il testo, se ritenuto necessario, e di riferire all’Assemblea
i risultati del loro esame (commissione in sede referente);
b) Su incarico del presidente, il compito di deliberare una legge al posto
dell’Assemblea (commissione in sede deliberante);
c) Possono redigere definitivamente e approvare articoli di un progetto di legge
(commissione in sede redigente).
Infine, possono svolgere attività inerenti alla funzione di indirizzo politico e di
controllo. Al loro interno si può anche sviluppare un dibattito politico e di seguito
possono essere approvati atti relativi alle funzioni ispettive e conoscitive dell’organo
parlamentare.

7) Le commissioni speciali:
Composte sempre in modo proporzionale ai gruppi parlamentari. Possono esistere
commissioni monocamerali o bicamerali. Svolgono compiti molto delicati connessi a
settori importantissimi della vita costituzionale (vedi commissioni di inchiesta p.254).

55

Scaricato da Sofia Digiuni (dsofia2013@libero.it)


lOMoARcPSD|11500446

LE FUNZIONI DEL PARLAMENTO


Nel vasto insieme delle attribuzioni del nostro Parlamento possono essere identificate le
seguenti funzioni:
1. FUNZIONE NORMATIVA:
Attività in cui il Parlamento produce “norme” giuridiche di diverso grado. Si tratta di
una funzione complessa, che si esplica in diversi momenti della vita parlamentare.
a) Leggi ordinarie: Il punto di partenza dell’analisi è l’art. 70 Cost., nel quale si legge:
“la funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle due Camere”. Gli articoli
successivi individuano il procedimento legislativo, disciplinando con cura le
diverse fasi;
b) Leggi costituzionali: Le Camere esercitano il potere di approvare le leggi
costituzionali e di revisione costituzionale secondo il procedimento previsto
dall’art. 138 Cost.;
c) Potestà regolamentare: La Camera ha il potere di approvare il proprio
regolamento interno che disciplina l’organizzazione, il funzionamento e
soprattutto contiene le disposizioni di attuazione in materia di procedimento
legislativo. I regolamenti sono adottati a maggioranza assoluta dei componenti di
ciascuna Camera;
d) Pareri su schemi di decreti legislativi: Le Camere per mezzo delle proprie
commissioni sono chiamate a dare nel procedimento di approvazione dei decreti
legislativi dei pareri obbligatori.

2. FUNZIONE DI INDIRIZZO:
Esercitata dal Parlamento nei confronti del Governo. I regolamenti della Camera e del
Senato prevedono tre tipi di indirizzo:
a) La mozione: È la più rilevante. Consiste in un documento concernente tutti o
determinati aspetti dell’azione del Governo, che l’Assemblea è chiamata a
deliberare. La discussione sulla mozione si conclude con un voto che, se positivo,
impegna politicamente il Governo a comportarsi nel modo indicato nella mozione.
Possiamo richiamare la mozione di fiducia, cioè l’atto con il quale viene concessa
la fiducia al Governo, e la mozione di sfiducia, l’atto con il quale si mette fine al
rapporto fiduciario;
b) La risoluzione: Atto utilizzabile anche da un singolo parlamentare con il quale le
commissioni e l’Assemblea possono esprimere il loro punto di vista e un indirizzo
al Governo sull’argomento in discussione;
c) L’ordine del giorno: Consiste in un documento a carattere accessorio rispetto ad
un altro testo su cui l’Assemblea o una commissione è chiamata a deliberare;

3. FUNZIONE DI INFORMAZIONE E CONTROLLO:


Esercitata nei confronti del Governo e della pubblica amministrazione. Strumenti di
controllo sul Governo. Gli strumenti informativi più importanti sono:
a) Le interpellanze: Può svolgersi sono in Assemblea. Consiste in una domanda rivolta
al Governo circa i motivi della sua condotta su una questione di particolare rilievo
o di carattere generale;
56

Scaricato da Sofia Digiuni (dsofia2013@libero.it)


lOMoARcPSD|11500446

b) Le interrogazioni: Atto di sindacato ispettivo, consiste in una semplice richiesta


che ogni deputato o senatore può rivolgere al ministro competente per avere
informazioni o spiegazioni su un oggetto determinato;
c) Le interrogazioni a risposta immediata: Lo svolgimento di queste interrogazioni
avviene in un contraddittorio immediato che si svolge in un tempo definito a
cadenza settimanale e in diretta radiotelevisiva (question time).

Oltre a questi atti di informazione esiste la commissione d’inchiesta, che ha come


scopo quello di consentire alle Camere o alle commissioni di acquisire informazioni in
generale su temi ritenuti di rilevante interesse. Altre tipologie sono le audizioni e le
indagini conoscitive.
Particolarmente rilevante è oggi la mole di dati che affluiscono all’interno del
Parlamento a seguito della prassi di affiancare all’approvazione di nuove leggi
l’obbligo di presentare una relazione annuale sullo stato di attuazione della legge.
GLI ATTI DI INDIRIZZO POLITICO-ECONOMICO E LA MANOVRA DI FINANZA PUBBLICA
Gli atti di indirizzo politico-economico sono una serie di provvedimenti che provengono sia
dal Parlamento sia dal Governo e hanno come principale obiettivo quello di assicurare il
corretto funzionamento dei mercati e di disciplinare l’intervento pubblico nell’economia
(es: legge di bilancio, leggi di assestamento, programma del Governo).
La sessione di bilancio è uno dei momenti essenziali, più complessi e connaturali all’attività
parlamentare. Non abbiamo più solo la legge di approvazione del bilancio e del rendiconto
annuale, ma anche una serie variegata di atti, non tutti di natura legislativa.
La manovra di finanza pubblica è disciplinata dalla legge n. 196/2009. Alcune modifiche di
legge hanno recepito le nuove regole adottate dall’Unione europea in materia di
coordinamento delle politiche economiche degli Stati membri e conformato la disciplina
ed i contenuti della legge di bilancio alle nuove disposizioni costituzionali introdotte. È stata
così prevista una nuova scansione temporale nella presentazione dei documenti di bilancio,
al fine di adeguarlo al nuovo quadro europeo.
Dal punto di vista del ciclo di bilancio, l’anno è suddiviso in un semestre europeo ed in un
semestre nazionale.
Con il semestre europeo si indica il ciclo di coordinamento delle politiche economiche e di
bilancio nell’ambito dell’Unione europea.
Nel semestre nazionale gli obiettivi anticipati e concordati a livello europeo vengono
introiettati nella legge di bilancio: tale legge costituisce la base per la gestione finanziaria
dello Stato e si articola in due sezioni:
- La prima sezione contiene scelte e previsioni di carattere macroeconomico
sviluppate attraverso disposizioni in materia di entrata e di spesa;
- La seconda sezione contiene il bilancio vero e proprio, inteso in senso contabile, e
cioè le previsioni di entrata e di spesa, espresse in termini di competenza e di cassa.

57

Scaricato da Sofia Digiuni (dsofia2013@libero.it)


lOMoARcPSD|11500446

LA COMPLESSA GENESI E LO SVILUPPO IN SEDE NAZIONALE ED EUROPEO DELLA LEGGE DI


BILANCIO
1) Documento di economia e finanzia (DEF);
2) Nota di aggiornamento del DEF;
3) Documento programmatico di bilancio:
Il Governo presenta il disegno di legge di bilancio in Parlamento, successivamente la
Commissione europea adotta un parere sul documento programmatico di bilancio;
4) Approvazione Legge di bilancio: Camere lo approvano entro la fine dell’anno;
5) Ufficio parlamentare di bilancio.

LA PARTECIPAZIONE DEL PARLAMENTO ALLA “FASE ASCENDENTE” DELLE POLITICHE


EUROPEE
Le Camere intervengono nel circuito delle decisioni europee partecipando anche alla
formazione del contenuto degli atti dell’UE (fase ascendente). La legge e i regolamenti
parlamentari stabiliscono procedure di raccordo istituzionale tra Parlamento e Governo.
Obiettivo di tali strumenti è consentire il rafforzamento nella fase di formazione della
posizione italiana.
La legge stabilisce che, prima dello svolgimento delle riunioni del Consiglio europeo, il
Governo debba illustrare alle Camere la posizione che intende assumere tenendo conto
degli eventuali indirizzi dalle stesse formulati.
Tra le informazioni che il Governo deve fornire alle Camere rientrano quelle riguardanti:
- Il coordinamento delle politiche economiche e di bilancio ed il funzionamento dei
meccanismi di stabilizzazione finanziaria;
- Le iniziative rivolte alla conclusione di accordi che hanno ad oggetto l’introduzione o
il rafforzamento di regole in materia finanziaria o monetaria, o che producano
comunque conseguenze rilevanti sulla finanza pubblica;
- La nomina di membri italiani da parte del Governo in istituzioni, organi ed organismi
europei.
Per quanto riguarda più propriamente la partecipazione del Parlamento italiano alla
formazione di atti UE, la legge stabilisce che i progetti di atti UE, gli atti preordinati alla loro
formulazione e le loro modificazioni devono venire trasmessi alle Camere, a cura del
Presidente del Consiglio.
Un rilievo particolare ha assunto il controllo sulla applicazione del principio di sussidiarietà
previsto dai Trattati come uno dei cardini dell’Unione. La legge disciplina le modalità
attraverso le quali il Parlamento italiano effettua il controllo del rispetto del principio di
sussidiarietà nelle proposte atti dell’Unione.

58

Scaricato da Sofia Digiuni (dsofia2013@libero.it)


lOMoARcPSD|11500446

IL GOVERNO
DEFINIZIONE, COMPOSIZIONE E ORGANIZZAZIONE
Il Governo è l’organo costituzionale responsabile di promuovere e attuare l’indirizzo
politico dello Stato ed è il vertice dell’amministrazione statale.
Il Governo è un organo costituzionale complesso, composto da tre organi che hanno
competenze proprie e una propria discrezionalità di azione. Essi sono (art. 92 Cost.):
- Presidente del Consiglio (organo monocratico);
- Ministri (organi monocratici);
- Consiglio dei ministri (organo collegiale formato dalla riunione dei primi due).
Tali organi sono necessari in quanto individuati direttamente dalla Costituzione. Esistono
organi non necessari previsti dalla legislazione ordinaria. Tra gli organi monocratici non
necessari si collocano i vicepresidenti del Consiglio, i ministri senza portafoglio, i viceministri,
i sottosegretari. Tra gli organi collegiali non necessari più importanti vi sono i comitati
interministeriali, sede di raccordo fra più ministri.
Il Governo svolge funzioni politiche, deliberative e di controllo. Le funzioni politiche
consistono nell’individuazione del programma di governo, quelle deliberative consistono
nell’adozione degli atti conseguenti a tale programma, e quelle di controllo mirano alla
verifica del rispetto degli obiettivi posti da parte della pubblica amministrazione, di cui il
Governo rappresenta il vertice.
Il Governo ha una doppia veste: da un lato è organo di indirizzo politico, per attuare il quale
può assumere decisioni politiche e di alta amministrazione; dall’altro, è organo di vertice
del potere esecutivo e competente a controllarne l’attività di cui risponde.
Il Consiglio dei ministri è l’organo a cui viene primariamente attribuita la funzione di
indirizzo politico. Determina la politica generale del governo, approvando i disegni di legge,
gli atti aventi forza di legge e i regolamenti governativi. Decide altresì la eventuale
apposizione della questione di fiducia. Il Consiglio (convocato e presieduto dal Presidente
del Consiglio) può essere anticipato da riunioni “informali” e preparatorie e non ha modalità
di pubblicità dei lavori, al di fuori di sintetici comunicati stampa.
Il Presidente del Consiglio dei ministri ha la funzione di dirigere la politica del Governo
senza collocarsi su di un piano di superiorità formale rispetto agli altri ministri. Nonostante
ciò, ricopre comunque una posizione differente, perché è lui a dirigere la politica generale
del governo e a esserne responsabile, a mantenere l’unità di indirizzo politico e
amministrativo, promovendo e coordinando l’attività dei ministri e a rappresentare il
Governo nella sua unità (art. 95 Cost.).
I singoli ministri agiscono da un lato in quanto membri del Consiglio dei ministri, ma
dall’altro sono al vertice delle amministrazioni a cui sono preposti (MIUR à complesso
amministrativo nel quale ricadono scuole, università etc.).
I ministri senza portafoglio non hanno un dicastero di riferimento, ma esercitano funzioni
delegate dal Presidente del Consiglio. “Senza portafoglio” poiché il bilancio dello Stato non
assegna loro specifici capitoli di spesa.

59

Scaricato da Sofia Digiuni (dsofia2013@libero.it)


lOMoARcPSD|11500446

Tra gli organi monocratici non necessari, i sottosegretari di Stato hanno il compito di
assistere i ministeri a cui appartengono, compresa la presidenza del Consiglio, e possono
esercitare alcune funzioni ministeriali su delega del ministro. Partecipano in rappresentanza
del ministro ai lavori parlamentari o possono svolgere la funzione di viceministri.
Tra gli organi collegiali non necessari vi sono comitati interministeriali istituiti per legge e
comitati di ministri che invece di volta in volta il Presidente ha facoltà di istituire.
Queste linee fondamentali di definizione e organizzazione del Governo si ricavano solo in
parte dalla Costituzione (solo 5 articoli dedicati al Governo in quanto organo di indirizzo
politico), mentre la loro sostanza si desume prevalentemente dalla legislazione e dalla
prassi.
IL GOVERNO NELLA COSTITUZIONE
LA FORMAZIONE E LA CADUTA DEL GOVERNO
Le norme costituzionali dedicate alla formazione del Governo sono alquanto sintetiche e
lasciano molto spazio alla prassi. Estremamente laconica è la previsione della nomina,
secondo cui “il Presidente della Repubblica nomina il Presidente del Consiglio dei ministri e,
su proposta di questo, i ministri”.

Fino a quando il sistema elettorale italiano è stato proporzionale, il Presidente della


Repubblica ha avuto un ruolo molto attivo nell’individuazione di un soggetto intorno a cui
convergesse il consenso dei partiti, al fine di affidargli l’incarico di Presidente del Consiglio.
Il Presidente della Repubblica apriva in via di prassi le consultazioni con alcune figure chiave
del sistema costituzionale (ex Presidenti della Repubblica, presidenti delle due Camere,
senatori a vita, etc.). Inoltre, ricorreva frequentemente agli istituiti del mandato esplorativo
o del preincarico (ulteriori consultazioni delegate).
Oggi la funzione delle consultazioni presidenziali può subire forti oscillazioni. Se le
consultazioni si svolgono all’esito di elezioni politiche che delineano una maggioranza
parlamentare chiara, esse finiscono per essere svuotate di significato, in quanto i Presidenti
dei gruppi parlamentari si limitano ad indicare quale Presidente del Consiglio il leader della
coalizione che ha vinto le elezioni.
Se il Governo dev’essere formato in seguito a una crisi di Governo (parlamentare à
mozione di sfiducia; extraparlamentare à bocciatura di un atto su cui lo stesso ha posto
una questione di fiducia) le consultazioni mantengono la loro originaria funzione, potendo
esercitare il Presidente della Repubblica un ruolo maggiormente discrezionale. Nel caso in
cui dal voto e, soprattutto, dalla successiva ripartizione dei seggi non emerga una chiara
maggioranza politica, il Presidente della Repubblica torna ad avere un ruolo cruciale nelle
consultazioni. Il Presidente della Repubblica mantiene un ruolo determinante nella
formazione del Governo nel caso di “Governo dei tecnici”, Governo che non è espressione
di una forza o un’alleanza di forze politiche, ma viene nominato, per affrontare momenti
molto delicati dal punto di vista istituzionale-politico o economico, con l’appoggio,
naturalmente, della maggioranza delle forze politiche parlamentari.

60

Scaricato da Sofia Digiuni (dsofia2013@libero.it)


lOMoARcPSD|11500446

Una volta nominati, il Presidente del Consiglio e i ministri, giurano nelle mani del Presidente
della Repubblica prima di assumere le funzioni. Tale giuramento ha valore altamente
simbolico e si inserisce nel quadro dell’obbligo di fedeltà alla Repubblica. Il Governo, dopo
la nomina, non è ancora nel pieno dei suoi poteri e si limita svolgere compiti di ordinaria
amministrazione finché non ottiene la fiducia delle Camere. Entro dieci giorni dalla nomina,
il Governo deve presentarsi alle Camere col programma che intende attuare, e in seguito a
tale esposizione deve ottenere a maggioranza semplice in ciascuna aula la fiducia sulla base
di una mozione votata per appello nominale (parlamentari chiamati ad esprimere, in modo
palese, la loro posizione, con un sì o con un no alla mozione).
La mozione di sfiducia è l’atto attraverso cui la fiducia può essere revocata. Non è sufficiente
un semplice voto contrario delle Camere su una proposta del Governo per obbligarlo a
dimettersi, ma occorre un voto su un’apposita mozione.
Diversa ancora è l’ipotesi della questione di fiducia, prevista dai regolamenti parlamentari,
quale il voto negativo di una Camera su una proposta del Governo non comporta l’obbligo
delle dimissioni. Tuttavia, se il Governo appone sulla proposta la questione di fiducia e
questa non viene approvata, esso è obbligato alle dimissioni. Il fatto che le proposte su cui
essa è apposta non sono emendabili, ne rende molto frequente l’utilizzo, pertanto il
Parlamento è chiamato a votare un no o un sì secco. Ciò ha dato origine ai
maxiemendamenti che il Governo, ponendo la questione di fiducia, blinda rispetto a
possibili modifiche in Parlamento. È un abuso dei poteri governativi. Ad esempio: votazione
decreto legge à assume questione di fiducia à mette pressione alle Camere e alla
maggioranza à VOTO NOMINALE à ottima evitare franchi tiratori à se voto contro alla
proposta e sono nella maggioranza, non verrò ricandidato.
Con la sfiducia individuale abbiamo la sfiducia ad un singolo ministro.
LA RESPONSABILITÀ DEL GOVERNO
Il Governo è doppiamente responsabile degli atti che compie: politicamente e
giuridicamente. Con “responsabilità”, si intende che un soggetto risponde a un altro degli
atti compiuti. In questo senso il principio di responsabilità, assieme a quello di
rappresentanza, completa il significato dinamico ed effettivo della democrazia. Su
Sul piano costituzionale esistono diverse forme di responsabilità. Esiste una responsabilità
di tipo giuridico, ogni qualvolta è possibile citare in giudizio per violazione di norme
giuridiche i titolari di funzioni pubbliche.
a) I singoli esponenti del Governo sono civilmente responsabili per i danni arrecati a
terzi nell’esercizio delle loro funzioni e innanzi alla Corte dei conti per danni arrecati
alla pubblica amministrazione.
b) Penalmente il Presidente del Consiglio e i ministri sono responsabili per i reati
ministeriali, per quei reati che commettono nell’esercizio delle funzioni di governo,
dei quali rispondono, anche dopo la cessazione della carica, dinanzi alla magistratura
ordinaria. Per ciò, occorre l’autorizzazione parlamentare, che può essere negata a
maggioranza assoluta se l’Assemblea ritenga che il ministro abbia agito per tutela di
un interesse dello Stato costituzionalmente rilevante o per il perseguimento di un
preminente interesse pubblico.
61

Scaricato da Sofia Digiuni (dsofia2013@libero.it)


lOMoARcPSD|11500446

Al di fuori dei reati ministeriali, ciascun membro del Governo risponde dei reati
comuni come qualsiasi altro cittadino.
c) Esiste poi una responsabilità di tipo politico, ogni qualvolta si ha la possibilità di
chiedere conto delle azioni di una persona o di un organo investito di un pubblico
potere, sul piano degli obiettivi o dei risultati politici che esso ha realizzato o intende
realizzare. La responsabilità politica del Governo è sancita dal rapporto di fiducia col
Parlamento e dal correlativo potere di sfiducia.
Il Presidente del Consiglio è responsabile della direzione della politica generale del Governo.
Gli spetta il mantenimento dell’unità di indirizzo politico e amministrativo e la promozione
e il coordinamento dell’attività dei ministri. Egli si trova in una posizione di preminenza ma
non di superiorità gerarchica rispetto ai ministri, per cui non può revocarli. Può sospendere
l’adozione di un atto ministeriale sottoponendolo al Consiglio dei ministri.
I ministri sono individualmente responsabili degli atti che provengono dal ministero che
dirigono. Essi sono responsabili collegialmente, in quanto membri del Governo, degli atti del
Consiglio dei ministri.
IL GOVERNO NELLA PRASSI: L’EVOLUZIONE DELLA FIGURA DEL PRESIDENTE DEL
CONSIGLIO
Il Presidente del Consiglio è un primus inter pares. Egli si distacca dagli altri componenti
acquisendo una centralità che è divenuta oggi particolarmente accentuata nella prassi. Il
Presidente del Consiglio si individua nel leader della coalizione o del partito vincente. La
centralità assunta dal Presidente del Consiglio non dipende soltanto dal cambiamento del
sistema elettorale. Essa si collega a una tendenza più generale di tutti gli Stati
contemporanei al rafforzamento del potere esecutivo rispetto agli altri poteri.

IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA


DEFINIZIONE
Il Presidente della Repubblica è un organo costituzionale monocratico, la cui presenza
qualifica il nostro ordinamento come repubblicano e contribuisce alla razionalizzazione
della forma di governo parlamentare.
La definizione di sintesi del suo ruolo si trova nell’art. 87 Cost, che lo qualifica come capo
dello Stato e rappresentante dell’unità nazionale.
Come capo dello Stato egli è chiamato a verificare il corretto funzionamento
dell’ordinamento costituzionale e a fungere da arbitro finale delle controversie politiche tra
essi, quale “gran consigliere” della Repubblica.
Come rappresentante dell’unità nazionale egli rappresenta simbolicamente non soltanto
l’unità della popolazione, ma l’unità di una comunità statale che condivide un insieme di
valori comuni.

62

Scaricato da Sofia Digiuni (dsofia2013@libero.it)


lOMoARcPSD|11500446

IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA NELLA COSTITUZIONE


IL MANDATO PRESIDENZIALE
Il Presidente della Repubblica è eletto da un collegio elettorale composto da tutti i
parlamentari, ai quali si aggiunge un numero fisso di delegati regionali. L’elezione avviene
da parte del Parlamento in seduta comune, con l’aggiunta di tre delegati appositamente
eletti dai Consigli regionali per ogni regione, in modo che sia assicurata la rappresentanza
delle minoranze. L’integrazione dei delegati regionali è motivata dalla ratio di rendere il
Presidente rappresentante non solo dello Stato centrale, ma anche delle realtà territoriali.
Per l’elezione del capo dello Stato, ai parlamentari e ai delegati regionali è chiesto soltanto
di esprimersi con voto segreto. La segretezza del voto è prevista per garantire ai votanti una
scelta libera e indipendente rispetto a eventuali pressioni.
Per assicurarsi che sul Presidente ricada il consenso di una maggioranza più ampia rispetto
a quella che sostiene il Governo, i costituenti hanno previsto un quorum qualificato pari ai
2/3 dei componenti il collegio elettorale. Dalla quarta votazione in poi è sufficiente la
maggioranza assoluta, ovvero il sostegno del 50% +1 dei componenti del collegio medesimo.
Per quanto riguarda i requisiti soggettivi, l’art. 84 Cost. richiede che il Presidente sia
cittadino italiano, abbiamo compiuto cinquant’anni e goda dei diritti civili e politici, ovvero
abbia la piena capacità di agire e sia titolare del diritto di voto. L’ufficio presidenziale è
incompatibile con qualsiasi altra carica, sia pubblica che privata.
L’incarico dura sette anni in maniera tale da differenziarlo rispetto alla durata della
legislatura: si tratta di una misura che serve ad assicurare l’indipendenza del Presidente, che
ha una durata in carica più lunga della maggioranza che lo ha eletto. Può terminare
anticipatamente per cause naturali, come la morte o l’impedimento permanente, oppure a
seguito di dimissioni e di destituzione in caso di condanna, per attentato alla Costituzione e
alto tradimento, da parte della Corte costituzionale.
Il Presidente della Repubblica uscente può essere rieletto (vedi Napolitano). Se il Presidente
temporaneamente è impossibilitato a svolgere il suo ruolo, la supplenza spetta al
presidente del Senato.
La durata del mandato comincia a decorrere quando il Presidente presta giuramento di
fedeltà alla Repubblica e osservanza della Costituzione davanti al Parlamento in seduta
comune, assumendo in tal modo le sue funzioni. Trenta giorni prima che scada il settennato,
il Presidente della Camera dei deputati è tenuto a convocare il Parlamento in seduta
comune integrato dai delegati regionali, affinché l’elezione del nuovo Capo dello Stato
possa svolgersi prima del termine del mandato del Presidente in carica. Nel caso in cui
l’assemblea elettiva non faccia in tempo ad eleggere il successore entro tale termine, si
ritiene che possa aversi la prorogatio del Presidente uscente, ovvero che egli sia abilitato
all’ordinaria amministrazione e allo svolgimento degli atti improrogabili. (Vedi eccezioni a
pag. 277-278).
L’ultimo comma dell’art. 84 Cost. è invece dedicato alla dotazione e all’assegno
presidenziali. I mezzi materiali di sostentamento, il complesso di beni mobili e immobili del
Presidente e la sua famiglia, sono sottoposti a riserva di legge.

63

Scaricato da Sofia Digiuni (dsofia2013@libero.it)


lOMoARcPSD|11500446

LE FUNZIONI DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA


Il Presidente della Repubblica, garante
dell’ordine costituzionale, si colloca in un
punto di snodo tanto nei rapporti tra le
istituzioni quanto in quelli tra le istituzioni e i
cittadini.
Le principali funzioni sono previste all’art. 87
Cost., ma altre ne vanno, aggiunte, che si
trovano sparse nella parte II della
Costituzione:
a) Relative alla rappresentanza della
nazione e alla garanzia della sua unità:
Spetta al Presidente di indire le elezioni
e i referendum e di convocare le
Camere per la loro prima seduta;
Figura 4 - Posizione del Presidente della Repubblica
nell'organizzazione dei poteri.
b) Relative al potere normativo: Il
Presidente promulga le leggi, e in questa sede ha un potere autonomo di rinvio alle
Camere della delibera legislativa laddove ravvisi specifiche ragioni di opportunità
politico-istituzionale o la ritenga manifestamente incostituzionale. Inoltre, emana gli
atti del Governo aventi forza di legge e i regolamenti governativi e autorizza la
presentazione alle Camere dei disegni di legge governativi;

c) Relative al potere giurisdizionale: Il Presidente decide, con proprio decreto, i ricorsi


straordinari contro gli atti amministrativi, che tuttavia sono decisi dal Consiglio di
Stato, concede la grazia e commuta le pene, presiede il Consiglio superiore della
magistratura;

d) Relative alla funzione esecutiva: Nomina i più alti funzionari dello Stato, su
indicazione del Governo;

e) Elettive: Nomina altresì cinque membri della Corte costituzionale e i senatori a vita;

f) Relative ai rapporti internazionali: Il Presidente accredita e riceve i rappresentanti


diplomatici e ratifica i trattati internazionali dietro autorizzazione delle Camere;

g) Relative alla difesa dello Stato: Ha il comando delle forze armate, presiede il
Consiglio supremo di difesa e dichiara lo stato di guerra previa deliberazione delle
Camere.
Infine, il Presidente conferisce le onorificenze della Repubblica per alti meriti.
Egli riveste un ruolo defilato nei momenti di stabilità politica, che diventa però essenziale
nei momenti di instabilità e crisi.

64

Scaricato da Sofia Digiuni (dsofia2013@libero.it)


lOMoARcPSD|11500446

Il Presidente della Repubblica ha il potere di nominare il Presidente del Consiglio e i ministri


e quello di sciogliere le Camere. La combinazione di questi due poteri, vale a dare al
Presidente un ruolo attivo nella gestione delle crisi parlamentari ed extraparlamentari e
nella riattivazione del circuito fiduciario che lega Parlamento e Governo.
Lo scioglimento delle Camere può essere richiesto dal Presidente del Consiglio o ritenuto
necessario dal Presidente della Repubblica.
LA RESPONSABILITÀ DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA E LA CONTROFIRMA
Il Presidente della Repubblica è politicamente irresponsabile (il re “non può sbagliare”).
Il Presidente non è responsabile degli atti compiuti nell’esercizio delle sue funzioni à nessun
atto del Presidente della Repubblica è valido se non è controfirmato dai ministri proponenti,
che ne assumono la responsabilità.
La controfirma rappresenta uno snodo essenziale nel delicato rapporto tra Presidente della
Repubblica e Governo.
Si possono distinguere gli atti presidenziali in tre categorie:
a) Atti formalmente presidenziali ma sostanzialmente governativi: La funzione della
controfirma vale come attestazione della conformità del decreto presidenziale
all’atto “proposto” dal Governo e come indicazione della provenienza dell’atto
(nomina dei ministri, emanazione dei regolamenti, etc.);
b) Atti sostanzialmente e formalmente presidenziali: La controfirma vale come presa
d’atto della volontà presidenziale e assunzione da parte del Governo della
responsabilità dell’atto (promulgazione delle leggi, concessione della grazia, etc.);
c) Atti complessi: La controfirma vale come indicazione della provenienza, complessa
appunto, dell’atto e come reciproco controllo (nomina del Presidente del Consiglio,
scioglimento delle Camere).
L’art. 89 pone in capo al Presidente del Consiglio il potere di controfirma quanto meno per
gli atti che hanno valore legislativo.
La firma del Presidente del Consiglio può essere esclusiva (nomina) o concorrente con quella
del ministro competente (atti avente valore legislativo). La controfirma del Presidente del
Consiglio vale a garantire che l’atto è espressione dell’indirizzo politico del Governo e ad
accertare la conformità della volontà del ministro proponente con quella del Consiglio dei
ministri.
Non tutti gli atti del Presidente della Repubblica debbono essere controfirmati: sono
esclusi gli atti che adotta in qualità di Presidente del Consiglio superiore della magistratura
e di Presidente del Consiglio supremo di difesa, nonché gli atti personalissimi (dimissioni,
dichiarazione di impedimento permanente). Non vengono controfirmati nemmeno gli atti
frutto di esternazioni atipiche (messaggi orali, comunicazioni, etc.).
Il Presidente è responsabile soltanto per i reati di attentato alla Costituzione e di alto
tradimento. In tal caso, il Presidente viene messo in stato d’accusa dal Parlamento in seduta
comune a maggioranza assoluta ed è giudicato dalla Corte costituzionale in composizione
integrata, con la presenza, oltre che dei quindici giudici che la compongono, di sedici giudici

65

Scaricato da Sofia Digiuni (dsofia2013@libero.it)


lOMoARcPSD|11500446

aggregati. Il giudizio si conclude con l’applicazione, da parte della Corte costituzionale, di


sanzioni penali, costituzionali, amministrative e civili.
Il Presidente della Repubblica risponde come un qualsiasi cittadino per gli atti compiuti al di
fuori delle sue funzioni, sia in sede civile che amministrativa e penale.
IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA NEI MUTAMENTI DELLA FORMA DI GOVERNO
ITALIANA
La figura del Presidente della Repubblica nel corso degli anni ha cambiato più volte
fisionomia, diventando ora un notaio silente ora un arbitro attivo dell’ordinamento
costituzionale. L’una veste piuttosto che l’altra sono dovute in primo luogo al grado di
stabilità del sistema politico. Un contesto socio-economico debole e uno scarso rispetto
reciproco tra le forze politiche potranno determinare una presenza costante e vivace del
Presidente nell’arena politica. La stessa personalità del Presidente può produrre un diverso
modo di interagire con gli altri soggetti istituzionali e col corpo elettorale. Il sistema
elettorale è senz’altro una variabile fondamentale anche per quanto riguarda le funzioni
presidenziali. Infatti, un sistema tendenzialmente maggioritario renderà i poteri
presidenziali di nomina del Presidente del Consiglio e di scioglimento delle Camere meno
discrezionali. Al contrario, un sistema proporzionale accresce la probabilità che il
Presidente debba attivamente intervenire nei rapporti tra le forze politiche, nell’esercizio
dei suoi poteri di soluzione delle crisi e di individuazione del Presidente del Consiglio.

66

Scaricato da Sofia Digiuni (dsofia2013@libero.it)


lOMoARcPSD|11500446

CAPITOLO 10: LA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE


DEFINIZIONE
La pubblica amministrazione è l’insieme delle strutture, delle persone, delle risorse e delle
attività preposte stabilmente dalla legge alla gestione e alla cura concreta degli interessi
generali.
L’origine dell’amministrazione in senso stretto si fa risalire alla nascita dello Stato moderno.
I moduli amministrativi nati nello Stato assoluto si sono perfezionati in quello liberale di
diritto. Essi hanno risentito fortemente della distinzione tra common e civil law.
Per gli ordinamenti di civil law il prototipo di amministrazione pubblica è basato su un forte
accentramento amministrativo. Per gli ordinamenti common law manca l’asimmetria che
caratterizza i rapporti tra pubblica amministrazione e soggetti dell’ordinamento giuridico nei
sistemi di civil law.
Dire oggi quali strutture e quali attività rientrino nella pubblica amministrazione non è così
agevole, tant’è che si pongono una serie di problemi di natura pratica.
Il ruolo dello Stato nell’economia è ancora molto forte. Per tale ragione, a livello europeo,
sono previste deroghe alle regole sulla concorrenza quando l’attività economica è esercitata
da un soggetto pubblico. Per la legislazione europea sono soggetti pubblici lo Stato, ogni
“ente pubblico territoriale”, nonché ogni “organismo di diritto pubblico”. I parametri di
individuazione di un organismo di diritto pubblico sono non solo strutturali-formali, ma
soprattutto sostanziali-funzionali.
Il soggetto pubblico è ogni soggetto avente personalità giuridica che risenta del controllo
dello Stato, di un ente locale o di un altro organismo di diritto pubblico e che sia costituito
per soddisfare bisogni generali non reperibili nel mercato, è quindi da considerarsi
soggetto gravitante nell’orbita della pubblica amministrazione.
L’attività amministrativa è l’insieme di atti e comportamenti posti in essere da una
pubblica amministrazione nell’esercizio delle sue funzioni per raggiungere gli interessi
generali della collettività di riferimento, interessi che vengono individuati dagli organi di
indirizzo politico attraverso la legislazione e, in ultima analisi, dalla stessa Costituzione.
L’atto o il comportamento amministrativo è imperativo, ovverosia dotato di una particolare
forza giuridica che lo rende efficace ed eseguibile nei confronti del destinatario, in forza
dell’autoritarietà del soggetto amministrativo che lo pone in essere.
Una buona parte dell’attività amministrativa può concludersi tramite atti consensuali,
contratti ad oggetto pubblico, nonché seguendo procedimenti che garantiscono una
maggiore partecipazione degli interessati, rispetto al modello tradizionale.

PRINCIPI DI RILEVANZA COSTITUZIONALE IN MATERIA DI PUBBLICA


AMMINISTRAZIONE
La Costituzione dedica espressamente alcune norme alla pubblica amministrazione. Vi è poi
una categoria di principi di derivazione comunitaria che sono comunque fondamentali per
determinare l’assetto e le linee evolutive della pubblica amministrazione.
67

Scaricato da Sofia Digiuni (dsofia2013@libero.it)


lOMoARcPSD|11500446

L’AMMINISTRAZIONE PER I MINISTERI


Il modello della pubblica amministrazione italiana riflette originariamente quello
napoleonico.
Il modello dell’amministrazione per ministeri, caratterizzato da una forte gerarchia e dalla
responsabilità diretta dei ministri per l’attività amministrativa nel loro settore rappresenta
il primo modello burocratico dello Stato italiano, nel quale l’amministrazione statale
ministeriale coincide con l’amministrazione pubblica.
L’aumento dei compiti statali e l’impegno dello Stato a garantire alcuni diritti sociali
portarono ben presto alla constatazione che l’amministrazione per ministeri non era più
sufficiente, ma doveva essere abbinata a forme di amministrazione parastatali, legate allo
Stato e all’Esecutivo, ma estranee e parallele al modello ministeriale. Ad esse furono affidati
i fini secondari dello Stato, ovvero la cura dei servizi pubblici, l’intervento dell’economia con
la finalità sociale, etc.
In epoca fascista il “parastato” raggiunse il livello più alto, con la creazione di
un’amministrazione parallela a quella ministeriale e difficilmente governabile dai ministri.
Tale struttura fu sostanzialmente riprodotta nella Costituzione del 1948, quale unitario
braccio esecutivo del Governo. La Costituzione è intervenuta nella pubblica amministrazione
in maniera più prudente, sostanzialmente correggendo, ma non rivoluzionando l’assetto
dello Stato liberale e di quello fascista: “i ministri sono responsabili individualmente degli atti
dei loro dicasteri”.
LA RISERVA DI LEGGE E IL PRINCIPIO DI LEGALITÀ
La Costituzione si preoccupa anche di garantire che il funzionamento della pubblica
amministrazione non sia totalmente assoggettato all’indirizzo politico di maggioranza.
Tra i vari istituti previsti a tal fine si colloca la riserva di legge relativa riguardo
all’organizzazione degli uffici pubblici, alle attribuzioni e alle responsabilità dei funzionari.
Per alcune categorie di funzionari pubblici (magistrati) può essere limitato il diritto di
iscriversi ai partiti politici.
Il fatto che i poteri amministrativi debbano esser disciplinati con legge, vuol dire sottrarre
all’arbitrio del Governo l’organizzazione della pubblica amministrazione.
Accanto alla riserva di legge si colloca il principio di legalità, in base al quale l’attività
amministrativa trova necessario fondamento nella disciplina legislativa e in conformità a
questa deve essere esercitata. L’attività amministrativa non può svolgersi in contrasto con
la legge.
Dal principio di legalità discendono alcune caratteristiche fondamentali dell’attività
amministrativa:
- La tipicità e la nominatività dei provvedimenti amministrativi (solo atti previsti da
legge);
- Eccezionalità degli atti tipici e innominati (necessità e urgenza);

68

Scaricato da Sofia Digiuni (dsofia2013@libero.it)


lOMoARcPSD|11500446

- Discrezionalità amministrativa.
La discrezionalità amministrativa è quella per cui la pubblica amministrazione non è libera
di scegliere gli obiettivi da perseguire, ma, dovendo rispettare i limiti positivi e negativi
previsti dal legislatore, mantiene una libertà di giudizio e di scelta solo nella misura in cui
il legislatore gliela concede.
LA RESPONSABILITÀ DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE
La Costituzione italiana responsabilizza i singoli agenti della pubblica amministrazione,
prevedendo che i funzionari e i dipendenti dello Stato e degli enti pubblici sono direttamente
responsabili sul piano penale, civile e amministrativo degli atti compiuti in violazione di
diritti. Il costituente ha voluto enfatizzare la posizione del funzionario pubblico non solo
quanto ai suoi poteri, ma anche in riferimento ai suoi doveri e alla sua responsabilità.
La Costituzione pone a carico degli impiegati pubblici anche doveri più generici e solenni,
come quello di operare in maniera disinteressata al servizio esclusivo della nazione e ad
adempiere con disciplina e onore alle funzioni pubbliche.
La Costituzione prevede che all’impiego presso l’amministrazione pubblica si acceda con
concorso pubblico, evitando che i posti vacanti siano occupati da persone legate al potere
politico o comunque non meritevoli.
La Costituzione stabilisce anche che “contro gli atti della pubblica amministrazione è sempre
ammessa la tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi dinanzi agli organi di
giurisdizione ordinaria o amministrativa” e che “Il Consiglio di Stato e gli altri organi di
giustizia amministrativa hanno giurisdizione per la tutela nei confronti della pubblica
amministrazione degli interessi legittimi e anche dei diritti soggettivi”.
LA SEPARAZIONE TRA POLITICA E AMMINISTRAZIONE
La responsabilità dirigenziale è rafforzata attraverso la previsione per cui i ministri non
possono revocare, riformare o avocare a sé o comunque adottare atti di competenza dei
dirigenti, ma possono solo svolgere una funzione di definizione di obiettivi e programmi e di
verifica e controllo dei risultati.
Questo significa che tra dirigenti e ministri non corre un rapporto di gerarchia e l’atto
dirigenziale non è impugnabile dinanzi al ministro con il ricorso gerarchico.
Se è vero che il Governo esercita un potere di indirizzo e controllo strategico
sull’amministrazione statale, è anche vero che quest’ultima deve poter operare
perseguendo gli stessi interessi generali di cui ha la cura concreta, anteponendoli, se del
caso, ai desiderata politici.
Un’evidente manifestazione di questo bilanciamento, è la disciplina dello spoils system.
L’istituto dello spoils system consiste nella possibilità per la maggioranza politica di
collocare persone di propria fiducia nei ruoli apicali della pubblica amministrazione.
In apparenza à contraddizione al principio dell’autonomia e responsabilità gestionale. Ma
è anche à attuazione del principio della correlazione fra attività di indirizzo politico e
attività amministrativa. Le modalità attuative dello spoils system sono quindi fondamentali.

69

Scaricato da Sofia Digiuni (dsofia2013@libero.it)


lOMoARcPSD|11500446

DECENTRAMENTO E PLURALISMO AMMINISTRATIVO


La Costituzione accoglie l’obiettivo del “più ampio decentramento amministrativo” e,
mentre mantiene l’unità e l’indivisibilità della Repubblica, consacra i principi dell’autonomia
e del decentramento, promuovendo le autonomie locali.
Il principio di sussidiarietà nei rapporti tra Stato, regioni e enti locali (sussidiarietà
verticale) prevede che i comuni sono i titolari “naturali” delle funzioni amministrative,
salvo esse non possano essere svolte in maniera più efficiente e efficace dagli enti di
governo superiori.
Il principio di sussidiarietà orizzontale mira a regolare le capacità gestionali degli enti
pubblici con quelle dei soggetti dell’ordinamento giuridico: tutti i livelli di governo, dallo
Stato ai comuni, debbono infatti favorire “l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e
associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale”.
Alla luce di questo ampio significato di sussidiarietà, si può sostenere che la Costituzione
italiana va oltre il semplice decentramento amministrativo, introducendo un pluralismo
amministrativo che comporta il riconoscimento della capacità di cura e gestione degli
interessi generali anche da parte dei privati, in forma individuale o associata.
I PRINCIPI RELATIVI AL RAPPORTO TRA LA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE E I SOGGETTI
DELL’ORDINAMENTO GIURIDICO
Alcuni dei principi di rilevanza costituzionale riguardano direttamente il rapporto tra la sfera
pubblica e la sfera privata.
Il principio di imparzialità sottintende l’obbligo per la pubblica amministrazione di svolgere
la propria attività in maniera disinteressata rispetto alle situazioni giuridiche coinvolte
dall’azione amministrativa e in maniera equidistante rispetto ai soggetti interessati. Il fine
dell’imparzialità non è soltanto quello di evitare favoritismi, ma più in generale quello di
obbligare l’amministrazione ad acquisire tutti gli interessi rilevanti e valutarli
oggettivamente.
Da ciò discendono alcuni principi che si collegano alla nozione di un giusto procedimento
amministrativo, tra cui i principi di pubblicità e trasparenza e di partecipazione. La
conoscibilità dell’attività amministrativa garantita tramite la pubblicità e la motivazione
degli atti o più miratamente attuata tramite il diritto di accesso ai documenti amministrativi
è infatti sia uno stimolo per l’amministrazione ad agire legittimamente, sia una garanzia di
una maggiore possibilità di considerare tutti gli interessi coinvolti nella decisione che dovrà
adottare la pubblica amministrazione.
Il principio del buon andamento è quello che reca con sé la maggior parte dei principi
impliciti, trattandosi di una clausola aperta e molto generica. Buon andamento significa che
l’attività amministrativa dev’essere svolta secondo le modalità più adeguate per conseguire
il risultato migliore. Esse deve quindi essere orientata al principio di economicità, principio
di efficienza, principio di efficacia.
Una specificazione di questi tre criteri è il divieto di aggravamento del procedimento, per
cui la pubblica amministrazione non può aggravare il procedimento se non per straordinarie
e motivate esigenze imposte dall’istruttoria. Complementare a questo divieto vi è il principio
70

Scaricato da Sofia Digiuni (dsofia2013@libero.it)


lOMoARcPSD|11500446

di semplificazione, per cui l’amministrazione dev’essere condotta secondo regole di


snellezza e di celerità che evitino irrigidimenti e aggravamenti burocratici.
Corollari e specificazioni del principio di buon andamento sono inoltre alcuni principi di
derivazione europea. Tra questi ricordiamo il principio della certezza del diritto, il principio
del legittimo affidamento, il principio di proporzionalità.

GLI ATTI AMMINISTRATIVI, I VIZI E I RIMEDI


GLI ATTI DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE
L’amministrazione pubblica persegue gli scopi per i quali è costituita attraverso una serie di
atti, comportamenti e attività giuridicamente distinti rispetto a quelli di natura privata. La
legge sul procedimento amministrativo impone che debba agire secondo le regole del diritto
privato ogni qualvolta non debba adottare atti autoritativi.
L’insieme più importante di atti amministrativi è costituito dai provvedimenti:
manifestazioni di volontà aventi rilievo che, provenendo dalla pubblica amministrazione
nell’esercizio delle sue funzioni, sono in grado di determinare effetti giuridici in maniera
unilaterale, a prescindere dal concorso della volontà dei soggetti su cui tali effetti
ricadono.
Si tratta di atti imperativi capaci di costituire, modificare o estinguere situazioni giuridiche
soggettive (imperatività del provvedimento). Nel caso in cui i destinatari dell’atto non
collaborino al raggiungimento degli effetti da esso prodotto, esso può comunque trovare
esecuzione unilateralmente (esecutorietà del provvedimento).
Il principio di legalità obbliga la pubblica amministrazione a utilizzare procedimenti e
modelli provvedimentali previsti tipicamente e nominativamente dalla legge.
I provvedimenti sono solo quelli previsti dall’ordinamento, e la dottrina ne ha elaborato una
principale classificazione:
- Provvedimenti restrittivi: riducono la sfera giuridica del destinatario, imponendogli
obblighi o divieti, oppure limitandone facoltà e diritti (comandi, divieti, provvedimenti
ablativi);
- Provvedimenti ampliativi: ampliano la sfera giuridica del destinatario,
consentendogli o conferendogli nuove posizioni giuridiche attive (ammissioni,
autorizzazioni, concessioni, dispense).
Autorizzazione à pubblica amministrazione verifica che il soggetto possieda i requisiti
necessari per l’esercizio di un diritto comunque spettante al soggetto richiedente.
Concessione à viene attribuito al richiedente un diritto che originariamente non possiede.
I provvedimenti amministrativi sono adottati a seguito di un procedimento i cui passaggi
sono definiti dalla legge.
Per procedimento amministrativo si intende una sequenza preordinata di atti (atti
endoprocedimentali), finalizzati a produrre un atto finale, il provvedimento giustappunto.
Vi sono moduli ulteriori basati su un modello consensuale della pubblica amministrazione
(contratti pubblici, atti consensuali, accordi di diritto pubblico).

71

Scaricato da Sofia Digiuni (dsofia2013@libero.it)


lOMoARcPSD|11500446

I VIZI DEGLI ATTI AMMINISTRATIVI


Patologia dell’atto amministrativo à pubblica amministrazione viziata sul piano giuridico.
Sono definiti vizi di legalità i “vizi” degli atti amministrativi conseguenti alla loro
contrarietà alla norma previa, così come quelli degli altri atti giuridici assoggettati al
principio di legalità.
Si distinguono in vizi formali o sostanziali. I vizi di merito attengono invece alla
inopportunità degli atti.
I vizi di legittimità sono:
1) Violazione della legge: mancato rispetto delle norme giuridiche inderogabili;
2) Incompetenza: l’autore dell’atto è diverso da quello a cui l’ordinamento assegna il
potere di emanare l’atto stesso;
3) Eccesso di potere: vizio che riguarda la discrezionalità amministrativa.
Figure sintomatiche dell’eccesso di potere: sviamento di potere, travisamento dei
fatti, illogicità, disparità di trattamento.
Le conseguenze dei vizi di legittimità sono:
1) Nullità: il provvedimento è nullo quando è stato emanato in violazione delle norme
attributive del potere, è invece annullabile quando è difforme dalle norme che
disciplinano l’esercizio del potere;
2) Annullabilità: i vizi meno gravi determinano l’annullabilità dell’atto, ciò significa che
l’atto, seppur viziato, è immediatamente efficace e produttivo di effetti giuridici
nell’ordinamento.
I RIMEDI CONTRO I VIZI DEGLI ATTI AMMINISTRATIVI
Autotutela à pubblica amministrazione dinanzi ad un atto annullabile può decidere
autonomamente di sanare il vizio o di annullare l’atto.
Di fronte ad un atto della pubblica amministrazione viziato esistono due tipi di rimedi: in via
amministrativa, in via giurisdizionale.
a) RIMEDI IN VIA AMMINISTRATIVA:
La tutela amministrativa si attiva mediante un ricorso all’amministrazione:
1. Ricorso in opposizione: ha come destinatario l’organo che ha emanato l’atto e
può essere presentato solo nel caso in cui sia previsto espressamente dalla legge;
2. Ricorso gerarchico proprio: il soggetto si rivolge all’organo gerarchicamente
superiore a quello che ha emanato l’atto viziato chiedendo di revocarlo, annullarlo
o modificarlo;
3. Ricorso gerarchico improprio: il soggetto si rivolge a un organo investito di un
potere di generica vigilanza, diverso da quello gerarchicamente superiore
all’autore dell’atto viziato (solo nel caso in cui la legge lo preveda espressamente);
4. Ricorso straordinario al capo dello Stato: può riguardare solo provvedimenti
definitivi e può avere ad oggetto solo vizi di legittimità (rimedio alternativo alla
tutela giurisdizionale).

72

Scaricato da Sofia Digiuni (dsofia2013@libero.it)


lOMoARcPSD|11500446

b) RIMEDI IN VIA GIURISDIZIONALE:


Possono essere fatti valere solo vizi di legittimità degli atti amministrativi.
La Costituzione adotta una distinzione tra i tipi di posizione giuridica soggettiva che
l’amministrazione può ledere con il suo atto: l’interesse legittimo e il diritto
soggettivo.
Sulla base di queste diverse posizioni vengono ad esistere due diverse giurisdizioni:
1. Giustizia ordinaria à si occupa della lesione dei diritti soggettivi;
2. Giustizia amministrativa à si occupa degli interessi legittimi.
Il diritto soggettivo è la pretesa di un soggetto che l’ordinamento giuridico garantisca un
bene della vita (ad esempio che venga tutelato il suo diritto di proprietà, il suo diritto di
ricevere un determinato servizio).
Per interesse legittimo si intende la pretesa che la pubblica amministrazione, quando
interferisce con l’interesse qualificato di un soggetto privato, agisca rispettando la legge,
cioè realizzi il miglior contemperamento tra l’interesse generale fissato per legge e gli altri
interessi individuali in gioco.
Sulla distinzione tra diritto soggettivo e interesse legittimo si fonda il doppio sistema di
tutela giurisdizionale, dove il contenzioso in materia di diritti soggettivi spetta ai giudici
ordinari, mentre quello in materia di interessi legittimi ricade nella competenza del giudice
amministrativo. I giudici amministrativi sono giudici speciali perché non fanno parte
dell’ordinamento giudiziario.
L’istituzione della doppia giurisdizione, avvenuta nel 1889, fu un passo verso un più ampio
controllo dell’operato amministrativo.
Questa ripartizione di compiti tra la giurisdizione amministrativa e la giurisdizione ordinaria
è stata messa in discussione dall’evoluzione post-costituzionale:
- In primo luogo, da un lato i giudici ordinari possono in alcuni casi annullare gli atti
amministrativi e, dall’altro, il giudice amministrativo talora può giudicare la lesione
dei diritti;
- In secondo luogo, molti caratteri delle due giurisdizioni stanno convergendo, effetto
questo della “de-specializzazione” che spinge il diritto amministrativo ad avere
caratteri sempre più vicini al diritto civile.

LA BUROCRAZIA IN ITALIA E LA NECESSITÀ DI UNA RIFORMA


Le direzioni attraverso cui si sta ancora con fatica cercando di snellire la pubblica
amministrazione e di ridurne i compiti sono le seguenti:

1. Semplificazione: spesso l’attività amministrativa è costellata di duplicazioni e atti


inutili, che possono o essere eliminati o essere adottati dal privato;

2. Soppressione degli enti inutili: di molti enti si fa fatica persino a ricordarne


l’esistenza, mentre altri hanno ormai esaurito il loro compito;

73

Scaricato da Sofia Digiuni (dsofia2013@libero.it)


lOMoARcPSD|11500446

3. Privatizzazione degli enti pubblici economici e liberalizzazione dei servizi pubblici:


per garantire che il passaggio della produzione e della fornitura di questi servizi dal
pubblico al privato non mettesse a rischio i diritti sociali, una serie di leggi e atti
normativi ha regolato la privatizzazione degli enti pubblici economici da un lato, e la
liberalizzazione dei servizi pubblici a livello nazionale e locale, dall’altro.

4. Informatizzazione: gli interventi in materia di informatizzazione sono stati numerosi


e confluiscono nel raggiungimento del modello di e-government, che dovrà facilitare
gli individui ad interagire con la pubblica amministrazione, a gestire le pratiche
burocratiche che li riguardano, etc.;

5. Responsabilizzazione: la constatazione delle inefficienze della pubblica


amministrazione ha portato a una riconsiderazione più dinamica dei doveri dei
pubblici dipendenti, allargando la nozione di responsabilità verso un obiettivo di
responsabilizzazione dei dipendenti pubblici.

74

Scaricato da Sofia Digiuni (dsofia2013@libero.it)


lOMoARcPSD|11500446

CAPITOLO 11: IL CIRCUITO DELLE GARANZIE


Esiste un ambito di scelte che la Costituzione sottrae alle maggioranze politiche, per affidarlo
al “circuito delle garanzie”.
Con circuito delle garanzie intendiamo riferirci all’insieme degli organi indipendenti dal
potere politico e sprovvisti di legittimazione democratica, che agiscono sulla base di una
legittimazione di tipo tecnico-giuridico.
Nel decidere essi sono guidati non da considerazioni di opportunità politica, ma dalle regole
giuridiche che istituzionalmente sono chiamati a garantire: pertanto, tali organi devono
ordinariamente motivare le decisioni che prendono.
Organi di garanzia:
- Corte costituzionale: esercita la funzione di giustizia costituzionale;
- Magistratura: applica le regole giuridiche alla risoluzione delle controversie;
- Autorità indipendenti: nuovi organi di garanzia che sono sprovvisti di una specifica
disciplina di rango costituzionale;
- Presidente della Repubblica: svolge un’importante funzione di garanzia, collocandosi
sulla linea di snodo tra circuito della decisione politica e circuito delle garanzie.

LA GIUSTIZIA COSTITUZIONALE
DEFINIZIONE, ORIGINE E MODELLI
La giustizia costituzionale è una forma di garanzia giurisdizionale della rigidità della
Costituzione, ovvero della sua supremazia su tutti gli atti e i comportamenti dei poteri
pubblici, compresa la legge del Parlamento.
Garanzia giurisdizionale à funzione svolta soggetto estraneo al circuito dell’indirizzo
politico, che agisce attraverso lo strumento del processo.
In Italia l’organo di giustizia costituzionale è la Corte costituzionale.
Il nucleo centrale della giustizia costituzionale è il controllo giurisdizionale di
costituzionalità delle leggi. Le ulteriori competenze che la giustizia costituzionale svolge
vengono definite “altre” competenze.
Modello statunitense di giustizia costituzionale:
Il modello statunitense viene definito:
1) Diffuso: il controllo di costituzionalità delle leggi è svolto da qualsiasi giudice,
nell’esercizio dei suoi ordinari poteri interpretativi;
2) Concreto e incidentale:
1. Concreto: il controllo viene svolto nel momento in cui il giudice deve applicare
una legge ad un caso concreto;
2. Incidentale: il controllo di costituzionalità costituisce un “incidente” processuale
nell’ambito di un giudizio che ha un oggetto diverso, nel quale ad un certo punto
sorge un dubbio sulla costituzionalità di una norma che dev’essere applicata.

75

Scaricato da Sofia Digiuni (dsofia2013@libero.it)


lOMoARcPSD|11500446

3) Inter partes ed ex tunc:


1. Inter partes: disapplicazione della legge nel caso concreto à perdita di efficacia
limitata al caso;
2. Ex tunc: disapplicazione della legge nel caso concreto à perdita di efficacia
retroattiva.
Modello austriaco di giustizia costituzionale:
Il modello austriaco viene definito:
1) Accentrato: ai singoli giudici non è consentito disapplicare le leggi incostituzionali: il
controllo di costituzionalità può essere svolto solo da un giudice specializzato
(tribunale costituzionale) à privilegio del legislatore;
2) Astratto e principale:
1. Astratto: il controllo di costituzionalità delle leggi è svolto indipendentemente
dall’applicazione della legge ad un caso concreto;
2. Principale: esiste un giudizio ad hoc, che si instaura appositamente per il controllo
di costituzionalità della legge.
3) Erga omnes ed ex nunc:
1. Erga omnes: effetti delle decisioni di incostituzionalità à la legge è privata di
efficacia per tutti i soggetti dell’ordinamento;
2. Ex nunc: effetti delle decisioni di incostituzionalità à la legge è privata di efficacia
per il futuro.

LA GIUSTIZIA COSTITUZIONALE IN ITALIA


Pur prevista dalla Costituzione, la giustizia costituzionale ha iniziato effettivamente a
funzionare sono nel 1956, anno in cui sono stati nominati tutti i membri della Corte
costituzionale.
Il sistema di giustizia costituzionale disciplinato nella Costituzione italiana rientra nel
modello austriaco.
La Corte costituzionale è disciplinata dalla sezione I del titolo VI della Costituzione (Garanzie
costituzionali), agli artt. 134-137.

Competenze della Corte costituzionale (art. 134 Cost.):


La Corte costituzionale giudica:
- Sulla legittimità costituzionale delle leggi e degli atti aventi forza di legge dello Stato
e delle regioni;
- Sui conflitti di attribuzione tra i poteri dello Stato, tra lo Stato e le regioni e tra le
regioni,
- Sulle accuse promosse dal Parlamento in seduta comune contro il Presidente della
Repubblica;
- La Corte esercita il giudizio di ammissibilità del referendum abrogativo.

76

Scaricato da Sofia Digiuni (dsofia2013@libero.it)


lOMoARcPSD|11500446

Composizione della Corte costituzionale:


La composizione della Corte esprime il suo carattere peculiare, a metà strada tra gli organi
giurisdizionali e quelli politici.
La Corte costituzionale è composta da quindici giudici, nominati per 1/3 dal Presidente della
Repubblica, per 1/3 dal Parlamento in seduta comune e per 1/3 dalle supreme magistrature
ordinaria e amministrative.
I giudici costituzionali sono selezionati tra magistrati, professori universitari in materie
giuridiche e avvocati dopo 20 anni di esercizio.
La durata della carica di giudice costituzionale è pari a nove anni e il mandato non può
essere rinnovato. Tra i suoi membri, la Corte elegge un presidente, che resta in carica per
tre anni.
Si tratta di una composizione particolarmente equilibrata, che consente un’adeguata
presenza di competenze tecnico-giuridiche e di sensibilità politica.
Le competenze tecnico-giuridiche sono assicurate dal requisito della consolidata esperienza
nel mondo del diritto che tutti i giudici costituzionali devono avere. La sensibilità politica è
garantita dal fatto che ben dieci giudici sono eletti o nominati da soggetti non giurisdizionali
(PdR, Parlamento à seduta comune, maggioranza qualificata dei 2/3).
IL GIUDIZIO SULLA LEGITTIMITÀ COSTITUZIONALE DELLE LEGGI
LE VIE D’ACCESSO
Il giudizio di legittimità costituzionale delle leggi può essere instaurato soltanto attraverso
due vie:
- Il giudizio in via incidentale: importante ruolo svolto dai giudici comuni à una
questione di costituzionalità può essere sollevata da un giudice (giudice a quo) nel
momento in cui deve applicare una legge in un giudizio pendente di fronte a lui. Egli,
qualora abbia un dubbio sulla costituzionalità della legge che deve applicare può
sospendere il processo e richiedere un’ordinanza di rimessione, nella quale deve
motivare l’esistenza della rilevanza e della non manifesta infondatezza della
questione di legittimità costituzionale (RILEVANZA: necessità di applicare quella
norma per risolvere la controversia. NON MANIFESTA INFONDATEZZA: esistenza di
un dubbio ragionevole circa la costituzionalità della norma.);

- Il giudizio in via principale: può essere promosso con ricorso dallo Stato qualora
ritenga che una legge regionale ecceda la competenza della regione, o dalle regioni
quando ritengano che una legge statale invada la loro competenza. La legge
dev’essere impugnata entro sessanta giorni dalla pubblicazione, per cui una volta
decorso questo termine tale rimedio non è più esperibile e per ottenere
l’eliminazione di una legge incostituzionale non resta che la via incidentale.
Le vie d’accesso al giudizio della Corte costituzionale sono “strette”: in Italia è molto difficile
sottoporre una questione alla Corte, soprattutto perché non esiste la possibilità di un
accesso diretto da parte dei singoli individui. I giudici rappresentano i “portieri” della Corte.

77

Scaricato da Sofia Digiuni (dsofia2013@libero.it)


lOMoARcPSD|11500446

L’OGGETTO E IL PARAMETRO
Nell’atto introduttivo del giudizio dev’essere indicata la questione di costituzionalità, che si
compone di due elementi, “oggetto” e “parametro”, che vengono posti a confronto.
La questione costituisce il thema decidendum sul quale la Corte è chiamata a decidere: sulla
base del principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, la Corte non può
pronunciarsi su un oggetto e in relazione ad un parametro diversi da quelli indicati
nell’atto introduttivo.
Illegittimità costituzionale consequenziale à dalla dichiarazione di incostituzionalità di una
norma deriva l’incostituzionalità di un’ulteriore norma.
L’oggetto del giudizio di legittimità costituzionale è costituito dagli atti della cui legittimità
costituzionale si dubita.
ATTI SINDACABILI: Possono essere oggetto del giudizio tutte le fonti primarie, le leggi
costituzionali e di revisione costituzionale, le norme di diritto internazionale
consuetudinario à La Corte ha ritenuto che debbano esser sottoposte al suo controllo
“tutte le leggi, gli atti e le norme le quali, pur provviste della stessa efficacia delle leggi
formali, ordinarie e costituzionali, siano venute ad esistenza per vie diverse dal
procedimento legislativo”.
ATTI NON SINDACABILI: sono esclusi dal controllo di costituzionalità i regolamenti
governativi, i regolamenti europei (non rientrano tra gli atti aventi forza di legge dello Stato
e delle regioni), i regolamenti parlamentari (poiché atti interni alle Camere), le altre fonti
secondarie e gli atti amministrativi (possono essere disapplicati inter partes dai giudici
ordinari, o annullati, con effetti erga omnes, dai giudici amministrativi.
Per parametro si intende la norma della Costituzione che si reputa inviolata.
Rientrano nel parametro del giudizio di legittimità costituzionale la Costituzione e le leggi
costituzionale. Escluse le fonti primarie.
Eccezione: quando le fonti primarie costituiscono in via indiretta il parametro diretto del
giudizio, operano come “norme interposte” (es: legge delega).
Sono norme interposte le fonti primarie che, richiamate dalla Costituzione, ne integrano il
contenuto.
LE DECISIONI: TIPOLOGIA ED EFFETTI
La Corte costituzionale, al termine del suo giudizio, può pronunciarsi nel senso
dell’inammissibilità o dell’accoglimento:
- Ordinanze: decisioni brevi con le quali la Corte rigetta la questione di legittimità
costituzionale senza entrare nel merito, ritenendo che manchino alcuni requisiti
essenziali; oppure dichiara la questione inammissibile, in quanto già risolta in senso
positivo; o la dichiara manifestamente infondata, perché del tutto carente del fumus
necessario.
- Sentenze: decisioni più ampiamente motivate, con le quali la Corte si pronuncia sul
merito della questione di legittimità costituzionale che le è stata sottoposta: in esse

78

Scaricato da Sofia Digiuni (dsofia2013@libero.it)


lOMoARcPSD|11500446

la Corte effettua il confronto tra l’oggetto ed il parametro. Possono essere di


accoglimento o di rigetto.
a) Sentenze di accoglimento: la Corte accoglie la questione di legittimità
costituzionale, cioè dichiara l’incostituzionalità degli atti normativi sottoposti
al suo giudizio, che vengono annullati. Tali sentenze determinano la perdita di
efficacia, erga omnes ed ex tunc (retroattiva) delle norme dichiarate
incostituzionali. L’effetto retroattivo incontra il limite dei rapporti esauriti
(eccezione: libertà personale);
b) Sentenze di rigetto: la Corte costituzionale rigetta la questione di legittimità
così come le è stata proposta, dichiarandola non fondata. Gli unici effetti di
questo tipo di sentenza sono inter partes e hanno carattere preclusivo: il
giudice a quo, nello stesso grado di giudizio, non può risollevare la questione.
È possibile che lo stesso giudice, in un altro giudizio, risollevi identica
questione.
c) Sentenze interpretative: sentenze peculiari, che si collocano in una posizione
intermedia tra le sentenze di accoglimento e quelle di rigetto. Si distinguono
sentenze interpretative di accoglimento, con le quali la Corte accoglie la
questione di legittimità costituzionale con esclusivo riferimento ad una norma
desumibile dalla legge per via interpretativa, e sentenze interpretative di
rigetto, con le quali la Corte rigetta la questione sulla base di una specifica
interpretazione della legge;
d) Sentenze manipolative: sentenze di accoglimento che non si limitano ad
eliminare una norma dall’ordinamento, ma introducono nuove norme,
ritenute costituzionalmente necessarie:
1. Sentenze additive: la Corte dichiara l’incostituzionalità di un’omissione
legislativa, aggiungendo allo stesso tempo la norma mancante;
2. Sentenze sostitutive: la Corte dichiara incostituzionale una norma e
colma il vuoto che si viene a determinare, aggiungendo la norma
mancante.

LE ALTRE COMPETENZE: IN PARTICOLARE, IN CONFLITTI DI ATTRIBUZIONE


La seconda competenza della Corte costituzionale è il giudizio sui conflitti di attribuzione.
a) A partire dagli anni Novanta hanno assunto una certa consistenza i conflitti di
attribuzione tra poteri dello Stato. I soggetti legittimati a promuovere il conflitto
sono i tre poteri tradizionali (legislativo, esecutivo, giudiziario) e gli organi
costituzionali. Ogni singolo giudice è legittimato a sollevare un conflitto di
attribuzione, poiché si tratta di un “potere diffuso”.
L’oggetto del conflitto è costituito da qualunque atto che sia ritenuto lesivo della
sfera costituzionale di un altro potere. Il parametro è dato da tutte le norme
costituzionali che determinano la sfera di attribuzioni o assegnano la sfera di
competenza di ciascun potere. Il procedimento può essere avviato attraverso un
ricorso, con il quale uno dei poteri dello Stato denuncia una lesione delle sue
attribuzioni. La decisione dovrà dichiarare qual è il potere al quale spetta la

79

Scaricato da Sofia Digiuni (dsofia2013@libero.it)


lOMoARcPSD|11500446

competenza controversa e, se necessario, annullare l’atto che ha dato luogo al


conflitto;
b) I conflitti di attribuzione tra Stato e regioni sono meno frequenti di quelli tra poteri
dello Stato. L’oggetto del conflitto è costituito da qualsiasi atto dello Stato o delle
regioni che invada la sfera di competenze dell’uno o delle altre. Il parametro è
costituito da tutte le disposizioni della Costituzione. Il giudizio si instaura con un
ricorso dello Stato o della regione contro l’atto ritenuto lesivo della propria sfera di
competenza. Sulla base del ricorso, la Corte costituzionale individua l’ente cui spetta
la competenza e se necessario annulla l’atto adottato dal soggetto incompetente.

L’EVOLUZIONE DEL SISTEMA DI GIUSTIZIA COSTITUZIONALE IN ITALIA DAL 1956 AD


OGGI
La Corte costituzionale ha contribuito a difendere i principi e i valori dello Stato
costituzionale e a rendere viva la Costituzione.
Ciò è avvenuto attraverso quattro fasi:
1) Attuazione della Costituzione (1956-1970):
la Corte costituzionale, occupandosi di eliminare, attraverso la dichiarazione di
incostituzionalità, le leggi adottate durante il regime fascista, ha operato come
organo di modernizzazione e di democratizzazione dell’ordinamento italiano;
2) Mediazione dei conflitti sociali e politici ed il controllo di ragionevolezza (1975-
1985): la Corte è stata chiamata a giudicare la costituzionalità di leggi più recenti,
approvate dal Parlamento repubblicano, operando essenzialmente attraverso lo
strumento del controllo di ragionevolezza;
3) Lo smaltimento dell’arretrato (1985-1995):
la Corte si è impegnata a smaltire l’arretrato che si era venuto a creare negli anni
precedenti. Si parla, infatti, della fase dell’“efficienza operativa”.
4) La fase più recente (1995-oggi):
la Corte si trova oggi spesso nel pieno dibattito politico. Per cercare di difendersi da
ciò, ha cercato di dialogare sempre più con gli altri giudici, sia nazionali che
sovranazionali. La Corte tende a “decentrare” il controllo di costituzionalità,
richiedendo sempre più spesso ai giudici comuni di fornire un’interpretazione della
legge conforme alla Costituzione, prima di sollevare la questione di legittimità
costituzionale. Inoltre, la Corte fa di frequente riferimento alle fonti e alle giurisdizioni
sovranazionali. Questo ampio dialogo ha portato ad un sistema multilivello.

80

Scaricato da Sofia Digiuni (dsofia2013@libero.it)


lOMoARcPSD|11500446

LA MAGISTRATURA
I GIUDICI NELLA TRADIZIONE DEGLI ORDINAMENTI DI CIVIL LAW E DI COMMON LAW
- Civil law: ai giudici viene attribuito un ruolo subordinato a quello del potere
legislativo: essi sono considerati bouche de la loi e hanno soltanto la funzione di
applicare la legge ai casi concreti. Le loro decisioni servono a risolvere le singole
controversie e non creano vincoli nei confronti degli altri giudici: i precedenti
giudiziari, cioè, non sono vincolanti.
- Common law: i giudici godono di un margine di creatività molto più ampio. Essi non
si limitano ad applicare meccanicamente la legge alle singole fattispecie concrete,
ma, attraverso l’interpretazione, la innovano. Le pronunce così adottate sono
vincolanti nei confronti degli altri giudici (stare decisis). Le decisioni dei giudici
finiscono per configurarsi come fonti del diritto.
I PRINCIPI COSTITUZIONALI SULLA MAGISTRATURA E LA GIURISDIZIONE
I principi a tutela degli individui:
a) Diritto di difesa:
Dal punto di vista dei soggetti dell’ordinamento, l’art. 24 Cost. stabilisce l’inviolabilità
in ogni stato e grado del giudizio del diritto di difesa e riconosce a tutti il diritto di
agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi, prevedendo la
garanzia per i non abbienti dei mezzi necessari per agire e difendersi in giudizio;
b) Giusto processo:
Il processo si svolge sulla base del principio del contraddittorio tra le parti: l’imputato
e la parte lesa dal reato sono posti in condizioni di parità davanti ad un giudice terzo
ed imparziale ed hanno le stesse garanzie di difesa. Inoltre, la Costituzione stabilisce
il principio dell’obbligo di motivazione di tutti i provvedimenti giurisdizionali: tale
obbligo è funzionale alla garanzia del doppio grado di giudizio;
c) Giudice naturale:
Si tratta del principio della precostituzione del giudice, in base al quale il giudice
competente a risolvere una controversia deve essere stato determinato prima che
sia avvenuto il fatto dal quale essa ha avuto origine.
I principi di organizzazione della magistratura:
a) Autonomia e indipendenza:
“La magistratura costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro
potere”; “I giudici sono soggetti soltanto alla legge”. La posizione dei giudici è
protetta sia cercando di evitare possibilità di influenza e di controllo da parte di
soggetti interni allo stesso potere giudiziario (indipendenza interna), sia escludendo
interferenze di altri poteri dello Stato (indipendenza esterna).
1. Indipendenza interna:
I. Organizzazione della magistratura: è escluso il principio
gerarchico: non esiste alcun vincolo di subordinazione dei
magistrati rispetto ad altri giudici superiori;

81

Scaricato da Sofia Digiuni (dsofia2013@libero.it)


lOMoARcPSD|11500446

II. Funzionamento della magistratura: ogni giudice è titolare della


funzione giurisdizionale: la sentenza di ogni giudice, se non
impugnata rappresenta la decisione definitiva sulla controversia.
2. Indipendenza esterna: riguarda i rapporti tra il potere giudiziario e gli altri poteri
dello Stato. Il meccanismo principale di garanzia di tale forma di indipendenza è il
Consiglio superiore della magistratura (CSM).

b) Il Consiglio superiore della Magistratura (CSM):


Il CSM è l’organo istituito per garantire l’autonomia e l’indipendenza della
magistratura.
1. Composizione del CSM:
La Costituzione non stabilisce il numero dei membri del CSM, ma si limita a
prevedere che sia composto da tre membri di diritto e da altri componenti (oggi
24). I membri di diritto sono il Presidente della Repubblica (che lo presiede), il
primo presidente e il procuratore generale della Corte di cassazione. Gli altri
componenti sono eletti per 2/3 da tutti i magistrati ordinari tra giudici, pubblici
ministeri e magistrati della Corte di cassazione e per 1/3 dal Parlamento in seduta
comune tra professori ordinari in materie giuridiche e avvocati dopo quindici anni
di esercizio della professione. I membri elettivi del CSM durano in carica quattro
anni e non sono immediatamente eleggibili.
2. Funzioni del CSM:
Il CSM adotta le decisioni relative alla carriera e allo status dei magistrati: le
funzioni riguardano le assunzioni, le assegnazioni e i trasferimenti, le promozioni
e i provvedimenti disciplinari nei loro confronti. Per evitare un’eccessiva
autoreferenzialità del potere giudiziario, il procedimento disciplinare nei
confronti dei magistrati prevede la partecipazione anche del ministro della
giustizia.

c) Reclutamento per concorso pubblico:


La Costituzione stabilisce il principio secondo il quale si può accedere alla carriera
giudiziaria solo in seguito ad un concorso pubblico;

d) Limitazioni all’attività politica, associativa e a funzioni diverse:


La Costituzione prevede la possibilità che siano introdotte limitazioni al diritto dei
magistrati di iscriversi a partiti politici. Inoltre, limita l’eleggibilità degli stessi alle
elezioni politiche e amministrative. Sempre a garanzia dell’indipendenza dei
magistrati, la legge vieta la partecipazione, oltre che ad associazioni segrete anche a
quelle i cui vincoli sono oggettivamente incompatibili con l’esercizio di funzioni
giudiziarie. La legge stabilisce dei limiti per l’accettazione da parte dei magistrati di
funzioni diverse rispetto a quelle giudiziarie.

82

Scaricato da Sofia Digiuni (dsofia2013@libero.it)


lOMoARcPSD|11500446

GIUDICI ORDINARI E GIUDICI SPECIALI


Sono giudici ordinari i giudici di pace, i tribunali, le Corti d’appello e la Corte di cassazione:
essi possono esercitare funzioni civili o penali e giudicano sulla lesione dei diritti soggettivi.
I giudici di pace e i tribunali svolgono funzioni giurisdizionali civili o penali di primo grado. Il
nostro sistema si basa sul meccanismo del doppio grado di giudizio: le parti del processo
possono richiedere ai tribunali il riesame delle decisioni dei giudici di pace, per i motivi e nei
termini stabiliti dal codice di procedura penale e dal codice di procedura civile.
Le Corti d’appello sono organi giurisdizionali collegali (secondo grado) competenti a
giudicare sui ricorsi proposti contro le sentenze dei tribunali. Possono essere civili o penali.
Contro le sentenze delle Corti d’appello è possibile fare ricorso alla Corte di cassazione. Sia
le sentenze di primo, che di secondo grado, se non impugnate entro i termini stabiliti dalla
legge, diventano definitive e acquistano forza di giudicato.
La Corte di cassazione è l’organo giudiziario di vertice: le sue sentenze sono definitive e
contro di esse non è ammesso alcun ricorso ulteriore. Le sue funzioni principali si
distinguono in impugnatoria e nomofilattica:
- Impugnatoria: la Corte giudica sui ricorsi provenienti dalle Corti di appello. Tuttavia,
effettua un giudizio di legittimità: si limita a verificare, nelle sentenze delle Corti
d’appello, l’esatta interpretazione e applicazione del diritto;
- Nomofilattica: assicura l’uniforme interpretazione della legge e l’unità del diritto
oggettivo nazionale.
L’art. 102 Cost. stabilisce il divieto di istituire giudici straordinari o giudici speciali: sono
ammesse esclusivamente sezioni specializzate per determinate materie. Tuttavia, la
Costituzione ammette l’esistenza di quelli previsti dallo stesso testo costituzionale.
I giudici speciali sono quei giudici che non fanno parte dell’ordinamento giudiziario: essi
sono i tribunali amministrativi regionali, il Consiglio di Stato, la Corte dei conti e i tribunali
militari in tempo di pace.
I Tribunali amministrativi regionali (TAR) e il Consiglio di Stato esercitano le funzioni di
giustizia amministrativa rispettivamente in primo e in secondo grado: contro le decisioni dei
TAR è ammesso il ricorso al Consiglio di Stato, le cui sentenze sono definitive. La Corte dei
conti è un organo giurisdizionale competente nelle materie di contabilità pubblica e nelle
altre specificate dalla legge. I Tribunali militari in tempo di pace hanno giurisdizione per i
reati militari commessi da appartenenti alle Forze armate.
IL PUBBLICO MINISTERO
Il pubblico ministero esercita l’azione penale, ovvero adotta gli atti dai quali prende avvio il
processo penale. Si tratta di un obbligo del pubblico ministero, che è tenuto ad esercitare
l’azione ogni qual volta egli venga a conoscenza di una notizia di reato (principio della
obbligatorietà dell’azione penale).
Il pubblico ministero può essere definito come un magistrato che vigila sull’osservanza
della legge, sulla pronta e regolare amministrazione della giustizia, sulla tutela dei diritti

83

Scaricato da Sofia Digiuni (dsofia2013@libero.it)


lOMoARcPSD|11500446

dello Stato, delle persone giuridiche e degli incapaci e fa eseguire i giudicati e ogni altro
provvedimento del giudice.
L’art. 108 Cost. prevede che ne debba essere assicurata l’indipendenza. Per questo motivo,
l’opportunità della separazione della carriera di giudice da quella di pubblico ministero
(mettere a rischio l’imparzialità del giudice) come riforma non è stata approvata.
PROFILI EVOLUTIVI DEL RUOLO DEL GIUDICE NELLO STATO CONTEMPORANEO
Nello Stato contemporaneo si è determinato un mutamento profondo dell’attività
giurisdizionale.
La magistratura è passata da custode della legge a custode dei diritti, ovvero organo
finalizzato al riconoscimento dei diritti costituzionali dei cittadini.

LE AUTORITÀ INDIPENDENTI
DEFINIZIONE
Le autorità indipendenti sono organi statali che, in condizioni di autonomia rispetto agli
altri poteri pubblici e nel rispetto dei principi di neutralità e imparzialità, svolgono un ruolo
di garanzia di alcuni diritti fondamentali ovvero di regolazione di settori legati alle libertà
economiche.
La previsione costituzionale manca perché la principale spinta alla creazione di queste
autorità è emersa di recente, legata alla necessità di regolare i processi di liberalizzazione
del mercato avviati negli anni Novanta.
Lo Stato ha visto progressivamente mutare il proprio ruolo da attore economico ad arbitro
di sistema. Ruolo che serve a proteggere i diritti e gli interessi degli individui non soltanto
dagli attori economici più forti, ma anche dalla politica stessa.
L’idea che questi organismi possano far meglio rispetto all’amministrazione
tradizionalmente intesa non deriva solo dal fatto che essi sono estranei al circuito politico-
elettorale, ma anche dal fatto che i loro componenti sono scelti tra persone altamente
qualificate e con modalità che tendono a garantirne l’autonomia rispetto alle maggioranze
di governo.
In Italia, le autorità indipendenti non sono state ancora riunite sotto un’unica disciplina, né
costituzionale, né legislativa: ciò ha generato negli anni una forte confusione circa la loro
“identità”.
LE CARATTERISTICHE DELLE AUTORITÀ INDIPENDENTI
Le autorità indipendenti sono:
a) Organi di natura amministrativa: la loro funzione consiste nel “provvedere” al
corretto svolgimento di taluni diritti e libertà, specialmente di natura economica. Per
esercitare tale funzione le autorità sono dotate di poteri amministrativi, poteri
normativi e paragiurisdizionali. Le funzioni sono assoggettate al principio di legalità;
b) Indipendenti rispetto al governo: tale indipendenza è garantita dalle modalità di
nomina, dalle modalità di decadenza, dall’autonomia rispetto alle direttive del
Governo, dall’autonomia contabile e organizzativa;
84

Scaricato da Sofia Digiuni (dsofia2013@libero.it)


lOMoARcPSD|11500446

c) Neutrali e imparziali rispetto ai consociati;


d) Necessarie allo svolgimento di un ruolo di garanzia di diritti legati prevalentemente
alla libertà economica.
LE PRINCIPALI AUTORITÀ INDIPENDENTI
Debbono essere tenute fuori da tale categoria le “false autorità indipendenti” sono agenzie
dotate di una maggiore o minore autonomia, ma non separate dal Governo, come nel caso
delle Agenzie fiscali.
Le principali autorità indipendenti sono:
1) Banca d’Italia:
La garanzia che la Banca d’Italia deve assicurare è quella della correttezza delle
operazioni bancarie.
La Banca d’Italia ha due macro-funzioni: quella monetaria e quella di controllo sulle
banche e sugli intermediari finanziari in generale;

2) Commissione nazionale per la società e la borsa (CONSOB):


La garanzia che la CONSOB deve assicurare è quella della correttezza delle
operazioni nel mercato mobiliare, con la finalità di tutelare le operazioni di
risparmio diffuso garantendo la massima trasparenza informativa e la correttezza
degli operatori.

3) Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni (IVASS):


L’IVASS ha il compito di garantire la correttezza delle operazioni sul mercato
assicurativo, ma in un’ottica di più stretto collegamento con la vigilanza bancaria.

4) Autorità garante della concorrenza sul mercato (ANTITRUST):


La garanzia che l’ANTITRUST deve assicurare è quella del rispetto delle regole della
concorrenza nel libero mercato dei beni e servizi, salvo che tale competenza per
alcuni settori specifici non sia già assegnata ad altra autorità.

5) Autorità per l’energia elettrica, il gas e il sistema idrico (AEEGSI) e Autorità per le
garanzie nelle comunicazioni (AGCOM):
La garanzia che l’AEEGSI deve assicurare è quella del rispetto delle regole nel
mercato della fornitura di gas, acqua e energia elettrica; mentre l’AGCOM
garantisce il rispetto delle regole nel mercato delle telecomunicazioni,
dell’audiovisivo e dell’informazione.

6) Commissione di garanzia per l’attuazione della legge sullo sciopero nei servizi
pubblici essenziali:
La garanzia che la Commissione deve assicurare è quella della fornitura dei servizi
pubblici essenziali in caso di sciopero. Inoltre, relativamente al rapporto tra datore
di lavoro e lavoratori, la Commissione garantisce anche la parità di armi nei conflitti
relativi al mercato del lavoro, che si manifestano, tra l’altro, anche con l’esercizio
dello sciopero.

85

Scaricato da Sofia Digiuni (dsofia2013@libero.it)


lOMoARcPSD|11500446

7) Garante per la protezione dei dati personali:


La garanzia che il Garante deve assicurare è quella della correttezza del
trattamento dei dati personali, che nell’attuale società dell’informazione e
dell’informatica ha acquisito il carattere di diritto individuale.

8) Autorità nazionale anticorruzione (ANAC):


Autorità che si occupa della prevenzione della corruzione nell’ambito delle
amministrazioni pubbliche, delle società partecipate e controllate anche mediante
l’attuazione della trasparenza in tutti gli aspetti gestionali, nonché mediante
l’attività di vigilanza nell’ambito dei contratti pubblici, degli incarichi e comunque
in ogni settore della pubblica amministrazione che potenzialmente possa sviluppare
fenomeni corruttivi, evitando nel contempo di aggravare i procedimenti con
ricadute negative sui cittadini e sulle imprese.
AUTORITÀ INDIPENDENTI E TRASFORMAZIONI DELLA DEMOCRAZIA
Assumono una serie di decisioni fondamentali che vengono sottratte al Parlamento e al
Governo. Si collocano al di fuori del circuito della decisione politica, sfuggendo ai
meccanismi attraverso i quali viene fatta valere la responsabilità politica e collocandosi in
un’area di garanzia.
Queste caratteristiche fanno sì che molto spesso emerga la proposta di una loro disciplina a
livello costituzionale.
Il potenziale deficit democratico delle autorità indipendenti viene enfatizzato dal rischio
della “cattura del regolatore”, per cui i portatori di interessi che hanno maggiore forza e
potere di negoziazione sono spesso in grado di influenzare il regolatore indipendente,
rendendo così “generali” i propri interessi particolari.
Per sanare questa assenza di responsabilità nei confronti dell’elettorato e per scongiurare il
rischio della cattura del regolatore, l’ordinamento giuridico ha previsto il rafforzamento di
alcune garanzie nei procedimenti delle autorità indipendenti, volte a conferire loro
maggiore trasparenza e partecipazione.
Attraverso i meccanismi di partecipazione, il procedimento davanti alle autorità
indipendenti si apre al contraddittorio, alla discussione orale in audizioni, etc.
Per quanto tali autorità siano indipendenti rispetto agli organi costituzionali, esse hanno una
responsabilità diffusa anche nei confronti di questi ultimi. Tale responsabilità si esercita
attraverso le relazioni annuali sull’attività.
Rientrano in questo rapporto anche altri meccanismi di dialogo, come i poteri consultivi e
le audizioni parlamentari, che possono costituire un’occasione di confronto e di conoscenza
degli orientamenti delle autorità.

86

Scaricato da Sofia Digiuni (dsofia2013@libero.it)

Potrebbero piacerti anche