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INTRODUZIONE AL DIRITTO
DIRITTO PUBBLICO
CAPITOLO 1: COS’È IL DIRITTO?
IL DIRITTO COME “FENOMENO”
Molto spesso la nostra conoscenza è distorta da “pregiudizi”, cioè da idee che ci derivano
dal contesto in cui viviamo e che osserviamo quasi per osmosi, ma che non rispondono
necessariamente ad un’osservazione realistica e disincantata del fenomeno. Ad esempio, è
frequentissimo il “pre”-giudizio secondo cui il diritto ha a che fare esclusivamente con il
potere e, soprattutto, con quello che i giuristi chiamano il potere pubblico: lo Stato, le
autorità costituite, insomma le istituzioni abilitate all’uso legittimo della forza.
“Il diritto presuppone lo Stato”. Secondo questa impostazione, lo studio del diritto coincide
con l’analisi delle regole, dei comandi e degli ordini che vengono dallo Stato o da altre
autorità di potere.
Lo Stato gioca un ruolo del tutto peculiare e rilevantissimo nella produzione odierna del
diritto, ma essa è anche una pesante riduzione.
Lo Stato è uno dei produttori del diritto. Il diritto e i suoi obblighi spesso nascono da atti dei
privati o da istituzioni non statali.
“È UN MONDO DI NORME”
Le regole giuridiche attengono alle ragioni dei comportamenti umani, prima che ai
comportamenti stessi.
IL DIRITTO PUBBLICO
Il diritto pubblico è quell’insieme di norme che ha per oggetto l’ordinamento giuridico dello
Stato.
In ogni ordinamento giuridico esistono:
a) Norme sulla plurisoggettività (1): chi sono i suoi membri;
b) Norme sulla plurisoggettività (2): regolano rapporti tra soggetti di ordinamento
giuridico;
c) Norme sulle istituzioni: individuano organi e disciplinano i loro poteri;
d) Norme sui rapporti tra le istituzioni e la plurisoggettività: regolano rapporti tra
organizzazione e i soggetti dell’ordinamento;
e) Norme sulla normazione: stabiliscono come produrre norme;
f) Norme che regolano i rapporti con altri ordinamenti giuridici.
Appartengono allo stato tutte queste norme, tranne la b), che fa parte del diritto privato.
Le norme di diritto pubblico e le norme di diritto privato di differenziano per l’oggetto della
disciplina, in quanto nelle norme di diritto pubblico compare sempre lo Stato.
I rapporti regolati dal diritto pubblico sono sempre diseguali, poiché lo Stato si colloca in una
posizione di supremazia.
Ci soffermeremo sul diritto costituzionale: l’insieme di norme che sono contenute nella
fonte denominata Costituzione e su quelle relative all’organizzazione dello Stato e alle fonti
del diritto.
LE FORME DI STATO
La forma di uno Stato è, sul piano descrittivo, l’insieme degli elementi esteriori che servono
a coglierne l’essenza, mentre, sul piano prescrittivo, è l’insieme delle finalità per le quali lo
Stato stesso esiste.
Da questa espressione possiamo trarne una prima definizione, più strettamente giuridica,
che qualifica lo Stato come il modo attraverso il quale la sovranità si distribuisce
personalmente e territorialmente (popolo e territorio).
LO STATO ASSOLUTO
Lo Stato Assoluto nacque tra il XV e il XVII secolo e tramontò alla fine del XVIII secolo, con la
Rivoluzione francese.
Esso si caratterizzava per la concentrazione di potere nelle mani del sovrano assoluto e dei
suoi apparati amministrativi.
La “legittimazione” del potere era chiaramente di tipo trascendente e dinastico: il sovrano
era tale perché figlio del precedente sovrano e, in ultimo, per volere divino.
Quanto alle finalità, lo Stato Assoluto perseguiva essenzialmente quella dell’affermazione
della propria potenza, ovvero della propria sovranità, esterna ed interna.
Il monarca tentava di imporre la propria la propria sovranità, non riuscendoci però del tutto.
Per tale ragione lo Stato Assoluto viene definito anche come Stato per ceti, in quanto spesso
continuavano ad esistere le strutture sociali dell’ordinamento feudale.
La costituzione dello Stato Assoluto è stata definita come la risultante di un insieme di
rapporti tra la monarchia e i ceti, che caratterizzavano il particolarismo giuridico
dell’ordinamento feudale.
In questo contesto nacque lo Stato di polizia, nel periodo dell’assolutismo illuminato (XVIII).
Non cambiò il modo di organizzazione del potere, quanto le finalità perseguite, ovvero il
benessere e la felicità dei sudditi.
Lo Stato Assoluto terminò con l’avvento delle rivoluzioni industriali, sviluppano le classi
sociali con la borghesia.
Quindi, nello Stato liberale di diritto si perseguivano essenzialmente le finalità che stavano
a cuore alla classe borghese, quindi era funzionale alle esigenze della borghesia: per questo
è stato definito Stato monoclasse.
Lo Stato liberale utilizzava il diritto per limitare l’arbitrio dei titolari del potere pubblico. Gli
istituti giuridici dei quali si serviva erano:
- Principio di legalità;
- La nozione moderna di Costituzione;
- Il principio della separazione dei poteri.
GLI STRUMENTI DELLO STATO LIBERALE DI DIRITTO
IL PRINCIPIO DI LEGALITÀ E IL RUOLO DELLA LEGGE
Secondo il principio di legalità, ogni atto dei pubblici poteri deve trovare fondamento e
limiti in una norma giuridica previamente adottata.
Nello Stato di diritto è il diritto che crea il potere, il titolare del potere è tale perché il potere
gli viene attribuito alla base delle norme giuridiche e perché opera nel rispetto delle norme
giuridiche. Quindi, la legittimazione del potere è di tipo legale-razionale.
Per comprendere principio di legalità à “Norma previa”.
Tale norma intesa sia come generale e astratta, sia come prodotto del Parlamento, è
considerata come “espressione della volontà generale”. Per comprendere il ruolo
garantistico della legge, occorre soffermarsi sui due aspetti enunciati:
1) La legge era caratterizzata dalla generalità e l’astrattezza. Le norme generali sono
norme che si applicano a tutti i soggetti dell’ordinamento, a differenza delle norme
settoriali. Le norme astratte sono suscettibili di ripetute applicazioni nel tempo, le
norme concrete (ad hoc) esauriscono la loro efficacia in un’unica applicazione. Il
carattere della generalità e dell’astrattezza della legge si collega strettamente alla
concezione del principio di uguaglianza, affermando che gli uomini nascono e
rimangono liberi e uguali nei diritti. Dire che tutti gli atti dei poteri pubblici,
soprattutto quelli limitativi dei diritti, si devono fondare sulla legge significa impedire
trattamenti differenziati à valenza garantistica del principio di legalità à
uguaglianza. Così facendo, si rendono gli atti di applicazione della legge “misurabili”,
nel senso che tali atti sono “viziati” e pertanto possono essere annullati da un giudice
imparziale. Un corollario del principio di legalità è il principio di giustiziabilità degli
atti viziati.
2) “Tutti i cittadini hanno diritto di concorrere, personalmente o mediante i loro
rappresentanti, alla sua formazione”. Nello Stato di diritto si scelse la democrazia
rappresentativa, nella quale la volontà dei cittadini si esprime indirettamente,
attraverso rappresentanti eletti. La legge era il prodotto del Parlamento, in cui
almeno una delle due Camere era elettiva. Ogni membro delle assemblee elettive
rappresentava la nazione. “Il principio di ogni sovranità risiede essenzialmente nella
Nazione”. L’elezione dei rappresentanti avveniva attraverso il suffragio limitato (da
cui deriva la grande “finzione” sulla quale si regge lo Stato liberale di diritto). Donne
escluse a priori. Come conseguenza di tale “artificio”, era possibile:
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La funzione legislativa era l’attività volta a predisporre norme giuridiche generali e astratte
ed era attribuita al Parlamento.
La funzione esecutiva consisteva nell’applicazione della legge generale e astratta, attribuita
al Governo.
La funzione giurisdizionale consisteva nell’applicazione della legge con esclusivo riferimento
alle controversie, svolta dalla magistratura.
Sulla base del principio di legalità e di separazione dei poteri si delineò un ulteriore principio,
quello della tipicità degli atti, secondo il quale ogni atto ha una forma tipica, in quanto
prodotto a seguito di un altro procedimento.
L’atto del potere legislativo si caratterizza per la forza, intesa come capacità di innovare
l’ordinamento giuridico. L’atto del potere esecutivo si connota con l’esecutorietà, cioè la
capacità di imporsi immediatamente ed autoritativamente ai destinatari. L’atto del potere
giudiziario produce l’effetto del giudicato, ovvero fa stato tra le parti del giudizio, in modo
definitivo.
LA CRISI DELLO STATO LIBERALE DI DIRITTO
Estensione del suffragio universale: Giolitti in Italia nel 1912. Dopo la Prima guerra mondiale
si ebbe un ulteriore allargamento à percentuali molto basse, ma sufficienti a scardinare la
struttura dello Stato liberale di diritto.
Tale trasformazione mise in evidenza le molteplici contraddizioni sulle quali si reggeva lo
Stato liberale di diritto.
QUALI DIRITTI? I DIRITTI DI CHI?
È vero che la sua finalità era la garanzia dei diritti, ma quali diritti? I diritti di chi? A ben
vedere, i diritti che si volevano garantire erano assai pochi, soltanto quelli che oggi
chiamiamo libertà negative, ovvero le pretese di escludere ingerenze esterne nella sfera
personale dell’individuo. Si volevano tutelare i diritti della borghesia.
QUALE UGUAGLIANZA?
Nello Stato liberale di diritto il principio di uguaglianza veniva solennemente proclamato,
ma in realtà si mantenevano e preservavano le disuguaglianze. Il carattere liberista di questa
forma di Stato consentiva il perpetuarsi delle disuguaglianze sociali.
QUALE NAZIONE?
Il principio di ogni sovranità risiedeva nella nazione; tuttavia il suffragio limitato faceva sì
che la nazione fosse composta solo dai soggetti dotati del diritto di voto e che di
conseguenza la legge, espressione della volontà generale, fosse il prodotto della volontà di
pochi.
QUALE COSTITUZIONE?
La Costituzione pretendeva di porsi come atto giuridico vincolante per tutti i poteri pubblici.
Ciò non accadde per due ragioni:
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Tale forma di Stato in molti paesi si è sviluppata come una conseguenza dell’evoluzione dello
Stato liberale di diritto (USA), mentre per altri paesi hanno instaurato tale forma di Stato
dopo aver attraversato esperienze autoritarie (ITA, GER, SPA, RUS). Lo Stato contemporaneo
ebbe ampia attrazione anche da paesi che non arrivavano dallo Stato liberale di diritto.
La diffusione di questa forma di Stato è avvenuta attraverso vari “cicli costituzionali”.
Per ciclo costituzionale si intende un periodo storico caratterizzato dalla produzione di
Costituzioni che presentano caratteri simili.
Molte organizzazioni internazionali o sovranazionali chiedono agli Stati membri di adottare
questa forma di Stato (esempio: UE).
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STATO DEMOCRATICO
Lo Stato democratico è quella forma di Stato nella quale esiste una tendenziale
corrispondenza tra governanti e governati (la sovranità appartiene al popolo).
Per poter sostenere che uno Stato è democratico, occorre che sia presente un complesso di
caratteristiche, che consentano effettivamente al popolo di esprimere la sovranità:
1) Principio di maggioranza: si adottano soltanto decisioni che dispongono di un
verificato consenso della maggioranza dei soggetti politicamente attivi;
2) È garantito il rispetto di coloro che non sono in maggioranza;
3) Deve sussistere una possibilità per gruppi politici diversi di concorrere liberamente
per il governo del paese. Ciò implica libere elezioni. Non si può parlare di possibilità
di concorrere liberamente per il governo dello Stato se non è assicurata una parità di
condizioni (par condicio) in questi settori della vita collettiva;
4) Le decisioni delle maggioranze vanno adottate ed eseguite sotto il controllo delle
minoranze, che devono poter attivare strumenti di controllo.
Da tutto ciò deriva una nuova separazione dei poteri, ovvero una bipartizione, che distingue
il circuito della decisione politica, dove le maggioranze decidono, da quello delle garanzie,
che è sottratto alle maggioranze.
Nel circuito della decisione politica, che prende avvio le elezioni ed è guidato dalla sovranità
popolare, rientrano il potere legislativo e il potere esecutivo.
STATO COSTITUZIONALE
Uno Stato costituzionale è la forma di Stato caratterizzata da Costituzione rigida.
La Costituzione rigida è quella Costituzione che si pone al vertice del sistema delle fonti.
La Costituzione riesce a prevalere sulla legge grazie alla presenza di due garanzie:
a) Giustizia costituzionale (istituto che consente di eliminare le leggi contrarie alla
Costituzione);
b) Procedimento “aggravato” di revisione costituzionale (sono richieste maggioranze
più ampie per modificare la Costituzione di quelle che possono approvare una legge).
Detto con altre parole, la Costituzione rigida è una Costituzione “garantita”, una
Costituzione la cui supremazia è assicurata per mezzo di appositi strumenti giuridici.
Funzione “unificante” della Costituzione rigida àNello Stato pluralista la volontà generale
non c’è più. Il Parlamento è il luogo dove si esprime, attraverso la legge, la volontà della
maggioranza. Il “luogo” della volontà condivisa diventa la Costituzione.
Nello Stato costituzionale, la Costituzione è il frutto di un potere costituente che si esprime
nella forma pattizia, attraverso un “compromesso costituzionale” tra le diverse componenti
della società pluralista. Nello Stato costituzionale le Costituzioni sono anche un pactum
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societatis, cioè un accordo sui principi del vivere insieme. La parola “compromesso” è l’asse
portante dello Stato costituzionale.
Le garanzie della rigidità:
a) La giustizia costituzionale:
Le Costituzioni rigide istituiscono un sistema di controllo della costituzionalità delle
leggi. Esse sottopongono la legge al controllo dei giudici. Il principio di legalità si
estende anche al legislatore. Nello Stato costituzionale, anche la legge deve trovare
fondamento e limiti in una norma previa che è la Costituzione.
Lo Stato costituzionale si basa sulla separazione tra il piano della Costituzione, che è
di tutti, e il piano della legge, che è quello dove le maggioranze politiche governano
e decidono. Il garante della separazione tra i due piani è la giustizia costituzionale;
b) La revisione costituzionale:
Consiste nella previsione, da parte della Costituzione medesima, di procedure per la
propria modifica diverse dal procedimento legislativo ordinario. Sono necessarie,
per modificare la Costituzione, maggioranze più ampie della maggioranza politica del
momento, ovvero della maggioranza di governo. Essendo la Costituzione rigida frutto
di un compromesso tra i soggetti della società pluralista, anche per modificarla è
necessario che si ripeta quel compromesso.
Lo Stato costituzionale cerca di consentire la convivenza pacifica dei soggetti del pluralismo
attraverso la Costituzione rigida, con una sequenza di questo tipo:
a) Costituzione rigida: luogo dove si scrivono i principi comuni;
b) Le maggioranze politiche che vincono le elezioni devono rispettare questo nucleo di
principi;
c) Se non lo rispettano c’è un giudice;
d) Per modificare questo nucleo ci vuole un vasto accordo, simile a quello inziale.
STATO SOCIALE
Per mantenere unita la società pluralista lo Stato contemporaneo si avvale della promozione
di politiche pubbliche volte a rimuovere le disuguaglianze economico-sociali più evidenti.
Lo Stato sociale è quella forma di Stato che ha come fine l’uguaglianza sostanziale.
Uguaglianza formale vuol dire che tutti i soggetti sono uguali davanti alla legge e debbono
essere trattati allo stesso modo.
Uguaglianza sostanziale significa uguaglianza di risultato e consiste nella rimozione delle
differenze che ostacolano il raggiungimento dell’uguaglianza formale.
Uguaglianza formale: tutti uguali, tutti trattati allo stesso modo.
Uguaglianza sostanziale: tutti diversi, tutti trattati ragionevolmente in modo diverso.
Questi caratteri si possono trovare in svariati articoli della Costituzione.
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CAPITOLO 3:
OLTRE LO STATO: ORDINAMENTI INTERNAZIONALI E
SOVRANAZIONALI
LA SOVRANITÀ NELLO STATO CONTEMPORANEO E L’ORDINAMENTO
INTERNAZIONALE
Nel XX secolo si è assistito a una messa in discussione della sovranità esterna. Tale
trasformazione ha subìto un’accelerazione negli ultimi decenni determinando una crisi dello
Stato.
Lo sviluppo rapidissimo e inarrestabile del livello internazionale è frutto quantomeno di due
fenomeni:
1) Le distanze si sono “accorciate”: il progresso tecnico ha consentito più rapide
comunicazioni, con importanti riflessi sugli scambi economici;
2) Queste più agevoli interazioni, supportate dagli sviluppi tecnologici, hanno visto il
deflagrare di guerre devastanti, di portata “mondiale”.
Alla fine della Seconda guerra mondiale, fu chiaro che le interazioni più facili tra Stati
dovevano essere orientate nel senso di un rafforzamento della pace e del benessere,
adottando misure preventive nei confronti di Stati che portavano avanti politiche espansive
di potenza e di discriminazione razziale.
Nacquero così istituzioni che consentirono una sorta di controllo reciproco fra Stati e
facilitarono gli scambi economici.
Dopo la Seconda guerra mondiale si sviluppò enormemente l’ordinamento internazionale,
inteso come ordinamento giuridico il cui elemento plurisoggettività è rappresentato dagli
Stati.
Dopo il fallimento della Società delle Nazioni venne modellata, a seguito della Seconda
guerra mondiale, l’organizzazione delle Nazioni Unite (ONU).
L’ONU è uno dei paradigmi di un nuovo ordine internazionale garantito da un ordinamento
internazionale basato sulla individuazione di stabili rapporti tra Stati fondati sul diritto
internazionale pattizio. Ovvero trattati internazionali che vincolano gli Stati verso interessi
e obiettivi comuni: sicurezza militare, scambi economici, tutela dell’ambiente e regolazione
delle transazioni finanziarie.
Ciò significa che aderendo, gli Stati limitano volontariamente la loro sovranità al momento
di condizionare i propri ordinamenti ai trattati, alle decisioni, alle regole delle istituzioni
internazionali e sovranazionali.
L’ordinamento internazionale risulta così un insieme composito di enti, organismi,
istituzioni, patti, trattati che danno vita al diritto pubblico internazionale e che sono
accomunati da alcuni elementi:
- La centralità degli Stati come principali protagonisti;
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L’UNIONE EUROPEA
L’Unione europea costituisce un’organizzazione sui generis, che rappresenta un unicum nel
panorama comparato mondiale. Infatti, quello europeo può essere qualificato come un
ordinamento sovranazionale, in quanto la cooperazione tra gli Stati membri avviene ad un
livello più stretto e meno occasionale di quanto accada con i normali strumenti di diritto
internazionale.
Il processo di integrazione europea si è messo in moto negli anni immediatamente successivi
alla Seconda guerra mondiale, a partire dalla firma (1951) del Trattato istitutivo della
Comunità europea del carbone e dell’acciaio (CECA). Hanno fatto seguito, nel 1957, il
Trattato istitutivo della Comunità economica europea (CEE) e il Trattato istitutivo della
Comunità europea per l’energica atomica (EURATOM). Nel 1965 ci fu il Trattato di fusione,
che fuse i tre organi precedentemente citati. Nel 1992 il Trattato di Maastricht, istituì
l’istituzione europea.
L’avvio del processo di integrazione si è svolto soprattutto nella sfera economica. Gli
obiettivi della CEE erano alquanto limitati: creare un’unione doganale, abolire gli ostacoli
alla libera circolazione di persone, merci, capitali e servizi; ad armonizzare le politiche
economiche, sociali e fiscali.
L’ordinamento comunitario ha però successivamente subìto importanti trasformazioni, al
punto che i vincoli che legano gli Stati membri sono ormai ben più stretti di quelli presenti
tra i componenti di una Confederazione:
a) La Corte di giustizia ha affermato la propria competenza a sindacare il rispetto del
diritto europeo da parte degli Stati membri operando, di fatto, come una vera e
propria corte costituzionale;
b) Le modifiche apportate ai trattati hanno ampliato notevolmente le competenze
originarie, estendendole anche alla politica estera e di difesa comune, allo sviluppo
di una stretta collaborazione nel settore della giustizia e degli affari interni, alla
creazione di una moneta unica e alla istituzione di una cittadinanza europea.
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Nel 1999 è stata proclamata la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea,
assumendo carattere vincolante solo nel 2009 con il Trattato di Lisbona. A livello
istituzionale, nell’ambito del Consiglio è stato esteso l’uso del voto a maggioranza e sono
stati ampliati i poteri di decisione del Parlamento europeo, eletto a suffragio universale e
diretto dai cittadini.
Il Trattato di Lisbona riprende molte norme contenute nel trattato costituzionale, ma
esclude alcuni punti particolarmente controversi: l’espressione “Costituzione” e
l’introduzione dei simboli dell’Unione. Le norme sull’Unione europea sono distribuite in due
diversi atti:
1) Trattato sull’Unione Europea (TUE) à principi e norme fondamentali;
2) Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE) à regole di funzionamento,
disciplina del mercato interno, etc.
In parallelo all’adozione dei vari Trattati, la composizione si è ampliata, attraverso successivi
allargamenti. Attualmente infatti l’UE è composta da 28 membri.
Molto si è discusso e si discute sulla natura attuale dell’Unione europea. Nei fatti si riscontra
una presenza sempre più forte dell’Unione in molteplici materie, al punto che la sovranità
degli Stati membri appare in discussione. Nonostante le “riserve di sovranità nazionale” è arduo
ipotizzare che uno Stato membro possa uscire dall’Unione: difficilmente gli Stati membri sarebbe
ro in grado, da soli, di tornare ad esercitare le competenze che hanno devoluto l’UE (vedi BREXIT).
L’Unione europea agisce secondo il metodo comunitario: le decisioni vengono assunte non
all’unanimità degli Stati membri, come tipico del diritto internazionale, ma a maggioranze
variamente modulate. Il metodo definito intergovernativo viene mantenuto per pochi settori.
Gli organi dell’Unione europea sono:
- Il Consiglio europeo:
Riunisce i capi di Stato o di governo che, assistiti dai ministri degli esteri e da un membro
della Commissione, decidono periodicamente le linee di indirizzo delle politiche europee.
Definisce gli orientamenti e le priorità politiche generali dell’Unione;
- Il Consiglio dell’UE:
Attua gli indirizzi approvati dal Consiglio europeo. In esso siedono i ministri degli Stati
membri, in base alle questioni dell’ordine del giorno. Le decisioni richiedono normalmente
una maggioranza qualificata con voto ponderato calcolato sulla base del numero di paesi e
della popolazione che essi esprimono. Approva la legislazione europea, insieme con il
Parlamento, coordina le politiche economiche degli Stati membri, firma accordi tra l’Unione
e paesi terzi, approva il bilancio dell’Unione, elabora la politica estera e di difesa dell’Unione
e coordina la cooperazione fra i tribunali e le forze di polizia nazionali dei paesi membri;
- La Commissione:
Da impulso e esecuzione alla legislazione europea. Istituzione che rappresenta l’Unione
europea poiché i membri non rappresentano gli interessi dello Stato di provenienza, ma
rappresentano gli interessi generali dell’Unione. Ha potere di iniziativa legislativa, gestisce
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- Il Parlamento:
Unica istituzione direttamente rappresentativa. Composto da cittadini dell’Unione eletti a
suffragio universale e diretto dai popoli degli Stati membri per un mandato quinquennale. Il
suo ruolo principale è di adottare il bilancio congiuntamente al Consiglio dell’UE e di
esercitare funzioni di controllo sulle altre istituzioni europee;
- La Corte di giustizia:
Organo incaricato di interpretare il diritto dell’Unione in maniera tale che la sua
interpretazione nei paesi membri sia uniforme e ha anche funzioni di risoluzione delle
controversie tra i governi degli Stati dell’Unione e le sue istituzioni. Costituita da un giudice
per ogni Stato membro;
situazione anteriore alla violazione o alla equa soddisfazione se non è possibile rimuovere
le conseguenze della violazione. Questa forza coercitiva distingue la Convenzione dalla
maggior parte dei trattati, i quali sono generalmente privi di meccanismi sanzionatori.
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CAPITOLO 4:
LE FONTI DEL DIRITTO: CONSIDERAZIONI GENERALI
LE FONTI NORMATIVE
Come si producono le regole giuridiche?
Chiamiamo convenzionalmente fonti del diritto quei “meccanismi” che pongono in essere
regole giuridiche. È fonte del diritto ogni atto o fatto abilitato dall’ordinamento a produrre
norme giuridiche.
Il diritto disciplina anche i modi per produrre regole giuridiche, e ne abbiamo due:
1) Abbiamo le fonti di produzione giuridica, fonti che pongono in essere nuove regole
di comportamento o regole di organizzazione che tutti debbono osservare;
2) Abbiamo le fonti sulla produzione giuridica, che sono i meccanismi (organi e
procedure) attraverso i quali si producono le fonti di produzione.
Queste non vanno confuse con le fonti di cognizione.
Le fonti di cognizione sono tutti quei supporti, di solito scritti, attraverso i quali si rendono
conoscibili le fonti di produzione. à (Gazzetta Ufficiale, Bollettini Ufficiali, Internet, etc.)
www.normattiva.it à Sito messo a disposizione dal Governo.
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L’unico fattore che dev’essere presupposto in questo caso è il decorso del tempo.
Il principio cronologico ci dice che se due regole pongono tra loro contenuti totalmente o
parzialmente contraddittori andrà applicata quella successiva. Il decorso del tempo è un
fenomeno fisiologico (e non patologico!): le regole si succedono nel tempo per adeguarsi al
mutare della realtà. La regola posta dalla fonte successiva semplicemente prende il posto
della precedente, senza per questo doverla eliminare. Quest’ultima, infatti, continuerà ad
applicarsi per i casi precedentemente accaduti.
ABROGAZIONE
Si chiama abrogazione l’effetto che una norma successiva produce nei confronti di quella
precedente, e cioè il fenomeno per cui la norma successiva delimita temporalmente la
sfera di applicazione di quella precedente.
Può essere operata da tutti gli operatori giuridici, mentre per il criterio gerarchico può
operare solo il giudice amministrativo.
Modalità di abrogazione:
1) Espressa à Il legislatore elenca esplicitamente le disposizioni abrogate;
2) Tacita à l’abrogazione deriva da un’incompatibilità tra le nuove norme e quelle
precedenti;
3) Implicita à il nuovo atto normativo disciplina completamente la materia già
disciplinata dall’atto normativo precedente.
DEROGA
La deroga è quell’istituto attraverso il quale si risolve un’antinomia tra norme giuridiche
diverse sul piano della generalità.
La generalità di una norma è la sua maggior o minore attitudine ad applicarsi ai
comportamenti ovvero alle condotte prese in considerazione.
Nel caso della deroga il conflitto nasce tra una norma più generale (derogata) ed un’altra
(derogante) di tipo particolare: l’eccezione della regola.
La differenza tra abrogazione e deroga sta nel fatto che mentre nella prima la norma
abrogata cessa di avere efficacia per il futuro, la norma derogata non perde invece la sua
efficacia ma viene limitato il suo campo di applicazione.
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All’interno della Carta costituzionale è possibile operare una sorta di distinzione tra “principi
supremi” e regole costituzionali “ordinarie”, nel senso che attraverso la revisione
costituzionale si può modificare o integrare la Costituzione, ma non in tutte le sue previsioni;
esistono, infatti, alcuni principi che sono sottratti alla revisione, perché, modificando
questi, in realtà si darebbe vita ad un vero e proprio nuovo ordinamento costituzionale.
LA COSTITUZIONE COME FONTE
Appena la nuova Costituzione repubblicana è entrata in vigore, si è posto il problema della
sua efficacia. Esisteva una corrente di interpretazione molto radicata all’interno della
magistratura per la quale occorreva distinguere all’interno delle disposizioni della
Costituzione tra quelle che ponevano in essere norme direttamente precettive e quelle
invece meramente programmatiche. Si intendeva affermare, con quelle programmatiche,
che moltissimi articoli della Costituzione si limitavano a fissare obiettivi e non vere e proprie
regole. Chi ha risolto questo problema di interpretazione è stata la Corte costituzionale: ha
fin da subito chiarito che, in primis, la Costituzione è anch’essa composta di vere e proprie
norme giuridiche, in quanto tali, vincolanti immediatamente per tutti i cittadini e i pubblici
funzionari, e in un sistema a Costituzione rigida qualsiasi legge deve rispettare tutte le
norme della Costituzione.
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LE FONTI EUROPEE
Le fonti del diritto europeo si distinguono in fonti di diritto originario e fonti di diritto
derivato.
Le fonti di diritto originario sono i trattati istitutivi delle Comunità europee e quelli che,
successivamente, li hanno modificati. Possono essere considerati le basi costituzionali
dell’UE.
Le fonti di diritto derivato sono i regolamenti, direttive, raccomandazioni, pareri e decisioni:
esse sono adottate dagli organi dell’Unione europea.
I regolamenti costituiscono le fonti più rilevanti nell’ordinamento dell’Unione europea.
Sono vincolanti in tutti i loro elementi e dotati dei caratteri della generalità e dell’astrattezza.
Hanno diretta applicabilità nei confronti di tutti i soggetti all’interno degli Stati membri.
Anche le direttive sono fonti di diritto vincolanti, ma non hanno diretta applicabilità. Non
producono automaticamente effetti giuridici nei confronti dei soggetti all’interno degli Stati
membri. Questo non significa che le direttive non producano alcun effetto giuridico nei
confronti dei soggetti all’interno degli Stati: essi, infatti, sono vincolanti in via diretta al loro
rispetto, attraverso gli atti normativi di attuazione. In alcuni casi le direttive possono
contenere norme provviste del carattere dell’effetto diretto: qualora esse siano
incondizionate e sufficientemente precise (direttive self-executing).
Le decisioni sono fonti di diritto derivato vincolanti. Sono obbligatorie in tutti i loro elementi
e non richiedono alcun atto interno di recepimento da parte degli Stati. Sono sprovviste dei
caratteri della generalità e dell’astrattezza, rivolgendosi a destinatari specifici.
Le raccomandazioni e i pareri sono fonti di diritto derivato non vincolanti. Attraverso le
raccomandazioni, gli organi dell’Unione europea invitano gli Stati a conformarsi a un
determinato comportamento; con i pareri, essi fanno conoscere il loro punto di vista su una
determinata materia, svolgendo una funzione di orientamento.
Per razionalizzare e rendere certa l’attuazione degli obblighi comunitari, il Parlamento ha
introdotto una disciplina, prevedendo che l’intervento nominativo statale si realizzi
attraverso due distinti provvedimenti legislativi:
1) Legge di delegazione europea: contiene:
a) Le deleghe al governo per approvare decreti legislativi;
b) Le autorizzazioni al governo per il recepimento delle direttive attraverso
regolamenti;
c) I principi fondamentali a cui si debbono attenere le regioni nell’esercizio delle loro
competenze legislative nelle materie previste.
2) La legge europea: mezzo con cui il Parlamento realizza direttamente gli interventi
normativi necessari all’adempimento degli obblighi europei.
Cosa accade nel caso in cui si verifichi comunque un’antinomia tra una legge italiana e una
fonte europea e questa non venga sanata neppure nella fase discendente? Le conseguenze
sono diverse a seconda che la fonte europea sia o meno self-executing. Le antinomie devono
essere risolte attraverso la disapplicazione del diritto interno incompatibile con il diritto
europeo. Questa scelta si basa sul principio di competenza.
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Tuttavia, la possibilità di limitare la sovranità dello Stato italiano non è assoluta. La Corte
sottolinea come tali limitazioni di sovranità non siano ammissibili. Se, dunque, sono
ammissibili dei limiti alla sovranità italiana, è necessario che le fonti europee rispettino i
controlimiti (principi supremi, Cost., etc.).
Le direttive che si configurano come norme interposte tra il diritto nazionale e gli artt. 11 e
117, per cui le fonti primarie interne con esse incompatibili devono essere dichiarate
incostituzionali.
LE FONTI NAZIONALI
LA CRISI DELLA LEGGE
Oggi lo “spazio normativo” è sempre più densamente popolato da fonti diverse e sovente
di estrazione non nazionale; fonti tra le quali vi è una competizione molto forte che mette
sempre più in crisi anche i criteri “classici” di risoluzione delle antinomie.
La legge diviene lo strumento privilegiato per la realizzazione dell’indirizzo politico
governativo e un mezzo per eliminare gli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo della
persona e la sua partecipazione alla vita dello Stato, in connessione al carattere “sociale”
della forma di Stato.
LA LEGGE ORDINARIA: NATURA, CONTENUTO E PROCEDIMENTO
Per legge si intende l’atto normativo, deliberato dalle due Camere del Parlamento in un
identico testo, promulgato dal Presidente della Repubblica e pubblicato sulla Gazzetta
Ufficiale, che trova le sue norme sulla produzione negli artt.70 e seguenti della
Costituzione.
Tale atto viene definito anche legge formale ordinaria, da cui si distinguono gli atti legislativi
che la Costituzione equipara ad essa quanto alla loro “forza”, benché dotati di forma diversa.
Nel momento in cui si attribuisce il potere legislativo alle Camere, l’art. 70 Cost. impedisce
di istituire altri tipi di fonti aventi forza di legge. Da ciò, derivano due principi molto
importanti per comprendere la natura della legge come fonte primaria:
1) Numero “chiuso” delle fonti primarie: esse sono solo stabilite dalla Costituzione. Per
creare nuove fonti che abbiano forza attiva e/o passiva primaria è necessaria una
fonte costituzionale.
2) Gli unici limiti che valgono per il legislatore sono quelli stabiliti direttamente dalla
Costituzione o da fonti pari ordinate.
IL CONTENUTO DELLA LEGGE
Si ha una riserva di legge quando una norma della Costituzione riserva alla legge la
disciplina di una determinata materia escludendo, o ammettendo solo in parte, che essa
possa essere oggetto di altre fonti normative.
La riserva è interpretata come riserva di fonti primarie, per cui possono intervenire anche
atti aventi forza di legge.
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Tipologie di riserve:
- Riserva rinforzata: il legislatore deve limitare la sua discrezionalità in attuazione di
istituti e limiti specifici già fissati dalle disposizioni costituzionali. Possono essere
distinte in due sottotipi:
a) La discrezionalità del legislatore è limitata sotto il profilo del procedimento;
b) La discrezionalità del legislatore riguarda il contenuto della legge.
- Riserva relativa: quando la legge deve intervenire solo a definire gli aspetti generali
e qualificanti della disciplina;
- Riserva assoluta: l’intera materia dev’essere disciplinata da fonti primarie.
Le leggi provvedimento (leggi non sono generali e astratte ma anche come provvedimenti
individuali applicabili singolarmente) non figurano come un obbligo del genere al legislatore,
infatti non vi è un obbligo per cui la legge deve essere generale ed astratta.
Ragionevolezza: le scelte legislative devono essere coerenti, in modo tale da non porsi in
contrasto con il principio di uguaglianza.
L’oggetto della legge serve per imporre un certo procedimento di approvazione o per
escluderla dalla possibilità di essere sottoposta a referendum abrogativo.
Abbiamo anche numerosi casi di leggi a cadenza “annuale”, come: legge di bilancio, legge
di delegazione europea, legge europea, legge annuale di semplificazione, legge annuale per
il mercato e la concorrenza, legge annuale per le micro, piccole e medie imprese.
IL PROCEDIMENTO LEGISLATIVO
Il procedimento è una successione necessaria di fasi regolate dal diritto al termine della
quale si produce un atto valido e perfetto tipico della funzione esercitata.
“La funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle due Camere”. L’iter formativo di
una legge è molto articolato, in tre fasi:
1) Iniziativa;
2) Costitutiva;
3) Integrativa dell’efficacia ed entrata in vigore.
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2. I principi:
Le norme generali di carattere sostanziale, immediatamente riconducibili all’oggetto
della delega; e i criteri direttivi, norme strumentali di carattere procedurale che
guidano l’esercizio in concreto del potere delegato;
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caso in cui invece venga richiesto il referendum, la legge è promulgata e quindi ripubblicata
solo se sia stata approvata dalla maggioranza dei voti validi.
Le regioni hanno potestà legislativa, in riferimento ad ogni materia non espressamente
riservata alla legislazione dello Stato, vale a dire la competenza legislativa residuale.
Abbiamo una “tripartizione”:
1) Competenza legislativa esclusiva statale: insieme di materie in cui il soggetto
legittimato a porre le fonti legislative è lo Stato;
2) Competenza legislativa concorrente: insieme di materie in cui i soggetti legittimati
a porre le fonti legislative sono due: Stato e regioni;
3) Competenza legislativa residuale regionale: insieme di tutte le materie non
ricomprese negli elenchi del secondo e terzo comma dell’art. 117. In questo caso le
regioni hanno potestà legislativa che vede come vincolo solo la Costituzione ovvero
gli obblighi comunitari e internazionali.
Il “criterio di prevalenza” ha comportato l’attribuzione della potestà normativa in oggetto
allo Stato.
La “chiamata di sussidiarietà” è la capacità dello Stato di “attrarre” a sé la competenza
legislativa regionale.
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Esiste quindi una correlazione tra diritti e doveri nel disegno costituzionale.
ART. 3: L’UGUAGLIANZA
In Italia il principio di uguaglianza trova una maturazione che è il frutto dell’incontro in
Assemblea costituente tra gli ideali del movimento operaio di matrice social-comunista, del
movimento cattolico-democristiano e della tradizione liberale, che si colloca al cuore del
“compromesso costituzionale”. L’esito è un articolo “composito”.
1° comma à uguaglianza in senso formale: “tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e
sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, razza, di lingua, religione, di
opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”. (Tutti uguali di fronte alla legge).
Riprende il concetto di principio di legalità.
2° comma à uguaglianza in senso sostanziale: la Repubblica si impegna a “rimuovere gli
ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei
cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di
tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.
L’uguaglianza giuridica presuppone la diversità (pag. 144). Come può essere quindi
formulato il criterio del giudizio di uguaglianza? Occorre trattare in maniera eguale
situazioni uguali ed in maniera ragionevolmente differenziata situazioni diverse.
Il giudizio di uguaglianza tende spesso a configurarsi come un giudizio di ragionevolezza.
Con l’espressione “ragionevolezza” ci si riferisce all’adeguatezza delle decisioni del
legislatore alla realtà concreta, alla loro proporzionalità ed equità.
Analogo logicamente, ma differente per portata applicativa, è il giudizio di non
discriminazione. Quest’ultimo è la versione internazionale del principio di uguaglianza, il suo
impiego si deve soprattutto alle Corti ed alle Carte internazionali.
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sviluppo della persona umana (famiglia, scuola, luoghi di lavoro, etc.), fino a richiedere
l’azione della Repubblica laddove sia necessario rimuovere gli ostacoli che impediscono
tale piena e libera soddisfazione.
DIRITTO ALLA SALUTE
Le norme costituzionali dedicate ai diritti sociali proseguono con le previsioni relative alla
tutela della salute: la tutela della sfera fisica della persona e la tutela della salute hanno lo
stesso oggetto.
“La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della
collettività”.
Il diritto alla salute riguarda, da un lato, i rapporti tra il cittadino e il potere pubblico e,
dall’altro, i rapporti privati. La Repubblica garantisce “cure gratuite agli indigenti”, ma dice
anche che “Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per
disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della
persona umana”.
ALTRI DIRITTI
LIBERTÀ DI DOMICILIO
Protezione dello spazio primario di vita. Art. 14 à Non si possono eseguire ispezioni o
perquisizioni o sequestri, se non nei casi stabiliti dalla legge secondo le garanzie prescritte
per la tutela della libertà personale. Gli accertamenti e le ispezioni per motivi di sanità e
incolumità pubblica o a fini economici e fiscali sono regolati da leggi speciali.
LIBERTÀ E SEGRETEZZA DELLA CORRISPONDENZA
Diritto di ciascuno di comunicare con altri soggetti; diritto di ricevere, senza interferire,
tali comunicazioni.
LIBERTÀ DI RIUNIONE E DI ASSOCIAZIONE
Art. 17 à le riunioni si debbano svolgere in modo pacifico e senz’armi.
Libertà di associazione à per fini non vietati dalla legge (consegue diritto a non associarsi).
LIBERTÀ DI MANIFESTAZIONE DEL PENSIERO
Art. 21 à unico limite: buon costume. Limiti impliciti: diritti all’onere e reputazione,
riservatezza, sicurezza dello Stato. Diritto di informazione.
DIRITTI POLITICI
Diritto di voto à Cost à Dovere civico. Voto à personale, uguale, libero, segreto.
DOVERI COSTITUZIONALI
Progresso materiale/spirituale della società. Prestazioni personali o patrimoniali non
possono essere imposte. Difesa della Patria. Concorrere alle spese pubbliche. Fedeltà alla
Repubblica.
CITTADINANZA à Ius soli (nascendo sul territorio Stato); Ius sanguinis (nascita genitori citt.)
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IN ITALIA
Forma di governo à relazione tra organi dello Stato (Parl – Gov – PdR)
Relazione fiduciaria tra Parlamento e Governo. Il Governo deve avere la fiducia del
Parlamento (cioè delle due Camere).
Forma di governo:
- Classica à NO FIDUCIA
- Razionalizzata à SÌ FIDUCIA
- Monismo à POTERE SOLO PARLAMENTO
- Dualismo à POTERE RE E PARLAMENTO
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Un sistema è maggioritario quando chi ottiene più voti all’interno di una circoscrizione
(collegio elettorale) conquista tutti i seggi assegnati alla circoscrizione stessa.
Di solito in questi casi si tratta di piccoli collegi. Ogni partito presenta un candidato e viene
eletto quello che ottiene più voti. Nei sistemi a doppio turno se il candidato non raggiunge
il 50% nel primo, si va al ballottaggio.
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b) Per l’elezione dei 315 componenti del Senato della Repubblica, si applica il sistema
previsto dalla legge del 2005. Si tratta di un sistema proporzionale, dove concorrono
alla ripartizione dei seggi liste o coalizioni, e sono previste soglie di sbarramento, ma
senza alcun premio di maggioranza.
È facile rilevare che esistono significative differenze tra i due sistemi elettorali. La più
evidente riguarda il premio di maggioranza, che alla Camera dei deputati può scattare
qualora una lista superi la soglia del 40%, mentre non esiste al Senato. Inoltre, al Senato non
è prevista la doppia preferenza di genere. Anche le soglie di sbarramento sono diverse per
le due Camere.
Con due leggi elettorali diverse, la possibilità di avere maggioranze distinte nelle due
Camere è più elevata.
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Gli organi provinciali non sono più eletti dal popolo: il presidente è eletto dai sindaci dei vari
comuni della provincia, mentre il consiglio provinciale è eletto dai sindaci e dai consiglieri
dei comuni compresi nel territorio provinciale; è inoltre prevista un’assemblea dei sindaci.
La stessa legge stabilisce regole analoghe per le città metropolitane, i cui organi sono il
sindaco metropolitano, il consiglio metropolitano e la conferenza metropolitana.
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IL PARLAMENTO
DEFINIZIONE
Il Parlamento è l’organo legislativo dello Stato italiano. È un organo complesso, costituito
da due assemblee (Camera dei deputati e Senato della Repubblica), la cui funzione
principale, sebbene non l’unica, è quella legislativa.
IL PARLAMENTO NELLA COSTITUZIONE
In base all’art. 55 Cost., il Parlamento si compone della Camera dei deputati e del Senato
della Repubblica, entrambi organi elettivi cui spetta la titolarità del rapporto fiduciario e a
cui spettano identiche funzioni.
La scelta del sistema bicamerale portò a due Camere elette a suffragio universale diretto,
dotate di pari funzioni, ma con una composizione in parte differente:
- Diverso numero dei membri elettivi (630 deputati; 315 senatori + vita);
- Differenza nell’elettorato attivo e passivo (Camera: 18 anni attivo, 25 passivo;
Senato: 25 anni attivo, 40 anni passivo);
- Disuguaglianza nella formazione delle circoscrizioni elettorali (Camera eletta su
base nazionale; Senato su base regionale).
L’organizzazione e il funzionamento delle Camere sono disciplinate dalla Costituzione
soltanto nei tratti generali, mentre è lasciata ai regolamenti parlamentari la disciplina di
dettaglio. L’art. 64 Cost. stabilisce che ciascuna assemblea deve dotarsi di un proprio
regolamento, adottato a maggioranza assoluta dei componenti.
Ciascuna Camera dura in carica 5 anni. La legislatura dura dall’entrata in funzione delle
Camere (prima riunione) fino alla loro naturale scadenza. La prima riunione ha luogo non
oltre il ventesimo giorno dalle elezioni. La legislatura può essere più breve: il Presidente della
Repubblica può, sentiti i rispettivi presidenti, sciogliere le Camere.
Esse possono anche essere prorogate in caso di guerra. La prorogatio serve per evitare
discontinuità nell’esercizio dei poteri parlamentari nel periodo che intercorre tra lo
scioglimento delle Camere e le nuove elezioni.
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La Costituzione prevede di regola il principio della pubblicità delle sedute: il pubblico può
assistervi in apposite tribune. Tuttavia, ciascuna delle due Camere e il Parlamento in seduta
comune possono deliberare di adunarsi in seduta segreta.
Un discorso particolare dev’essere fatto per le maggioranze. In Assemblea è necessaria la
presenza della maggioranza dei componenti per la validità delle sedute (quorum
strutturale), mentre le decisioni sono assunte con la maggioranza dei presenti (quorum
funzionale). Il quorum funzionale coincide con la maggioranza semplice. La Costituzione
può stabilire maggioranze più elevate, dette maggioranze qualificate (maggioranza assoluta
dei 2/3).
La Costituzione tace sul sistema elettorale che, per le due Camere, è rimesso alla legge
ordinaria.
Il Parlamento in seduta comune è un organo collegiale composto da tutti i parlamentari
per lo svolgimento di funzioni tassativamente individuate nella Costituzione.
Queste funzioni riguardano per lo più l’elezione di alcune cariche dello Stato e la funzione
“accusatoria”. Esso è presieduto dal presidente della Camera, si riunisce nell’aula della
Camera dei deputati e usa come proprie regole di funzionamento e organizzazione quelle
del regolamento della Camera.
Le competenze del Parlamento in seduta comune sono:
a) Elegge, in composizione integrata con i delegati regionali, il Presidente della
Repubblica e assiste al suo giuramento;
b) Elegge 1/3 dei membri della Corte costituzionale;
c) Elegge 1/3 dei membri del Consiglio superiore della magistratura;
d) Ha la competenza a mettere in stato d’accusa il Presidente della Repubblica;
e) Provvede alla formazione e all’aggiornamento della lista di 45 nomi tra cui vengono
sorteggiati 16 giudici non togati che si affiancano alla Corte costituzionale in sede di
giudizio sui reati del Presidente della Repubblica.
LO STATUS DEL PARLAMENTARE
I parlamentari godono di un insieme di diritti e doveri inerenti alla carica che formano il
nucleo specifico del loro status. Non si tratta di privilegi, ma di misure vòlte a garantire il
libero adempimento della funzione svolta.
La Costituzione stabilisce che sia la legge a determinare i casi di ineleggibilità e
incompatibilità con l’ufficio di deputato o senatore e dispone il divieto di appartenere ad
ambedue le Camere. A tali ipotesi, è ora affiancata dalla normativa primaria quella di
incandidabilità, che determina una preclusione alla possibilità di esercitare il diritto di
elettorato passivo, ipotesi che occorre, particolarmente, nel caso di condanna per alcune
categorie di delitti.
Ciascuna Camera giudica i titoli di ammissione dei suoi componenti e le cause sopraggiunte
di ineleggibilità e di incompatibilità, rimettendo pertanto il controllo sul rispetto di tali
norme alla volontà delle maggioranze politiche, anziché ad un giudice indipendente. Tale
attività, denominata verifica dei poteri, è svolta da ciascuna Camera per mezzo di un
apposito organo interno (Giunta).
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2) L’ufficio di presidenza:
È un organo con compiti amministrativi, di disciplina interna e di natura politico-
amministrativa; ha potere normativo in ordine ai regolamenti minori delle Camere.
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3) I gruppi parlamentari:
Essi non sono veri e propri organi e agiscono nell’interesse proprio. I loro atti sono
espressione dell’interesse di ciascun gruppo e non dell’intero collegio. Si di un piano
giuridico i gruppi sono organizzazioni volontarie. I regolamenti prevedono che
ciascun parlamentare debba appartenere obbligatoriamente a un gruppo. Coloro
che non esprimono una preferenza sono costretti ad iscriversi al gruppo misto. I
regolamenti delle Camere prevedono un numero minimo di partecipanti per evitare
un’eccessiva parcellizzazione (20 deputati, 10 senatori).
5) Le giunte:
Articolazioni interne che si occupano del corretto funzionamento delle Camere e
dello status dei parlamentari. Le giunte più importanti sono quelle per il
regolamento, delle elezioni, per le autorizzazioni a procedere.
6) Le commissioni permanenti:
Svolgono funzioni essenziali e costituzionalmente necessarie relative al
procedimento legislativo. Sono organi monocamerali composti in modo da
rispecchiare la proporzione interna dei gruppi parlamentari. Attualmente sono
previste 14 commissioni permanenti tanto alla Camera quanto al Senato.
Le funzioni delle commissioni permanenti riguardano la funzione legislativa e il loro
ruolo politico.
Circa la funzione legislativa, quando è presentato un disegno di legge, le commissioni
hanno:
a) Il compito di rielaborarne il testo, se ritenuto necessario, e di riferire all’Assemblea
i risultati del loro esame (commissione in sede referente);
b) Su incarico del presidente, il compito di deliberare una legge al posto
dell’Assemblea (commissione in sede deliberante);
c) Possono redigere definitivamente e approvare articoli di un progetto di legge
(commissione in sede redigente).
Infine, possono svolgere attività inerenti alla funzione di indirizzo politico e di
controllo. Al loro interno si può anche sviluppare un dibattito politico e di seguito
possono essere approvati atti relativi alle funzioni ispettive e conoscitive dell’organo
parlamentare.
7) Le commissioni speciali:
Composte sempre in modo proporzionale ai gruppi parlamentari. Possono esistere
commissioni monocamerali o bicamerali. Svolgono compiti molto delicati connessi a
settori importantissimi della vita costituzionale (vedi commissioni di inchiesta p.254).
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2. FUNZIONE DI INDIRIZZO:
Esercitata dal Parlamento nei confronti del Governo. I regolamenti della Camera e del
Senato prevedono tre tipi di indirizzo:
a) La mozione: È la più rilevante. Consiste in un documento concernente tutti o
determinati aspetti dell’azione del Governo, che l’Assemblea è chiamata a
deliberare. La discussione sulla mozione si conclude con un voto che, se positivo,
impegna politicamente il Governo a comportarsi nel modo indicato nella mozione.
Possiamo richiamare la mozione di fiducia, cioè l’atto con il quale viene concessa
la fiducia al Governo, e la mozione di sfiducia, l’atto con il quale si mette fine al
rapporto fiduciario;
b) La risoluzione: Atto utilizzabile anche da un singolo parlamentare con il quale le
commissioni e l’Assemblea possono esprimere il loro punto di vista e un indirizzo
al Governo sull’argomento in discussione;
c) L’ordine del giorno: Consiste in un documento a carattere accessorio rispetto ad
un altro testo su cui l’Assemblea o una commissione è chiamata a deliberare;
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IL GOVERNO
DEFINIZIONE, COMPOSIZIONE E ORGANIZZAZIONE
Il Governo è l’organo costituzionale responsabile di promuovere e attuare l’indirizzo
politico dello Stato ed è il vertice dell’amministrazione statale.
Il Governo è un organo costituzionale complesso, composto da tre organi che hanno
competenze proprie e una propria discrezionalità di azione. Essi sono (art. 92 Cost.):
- Presidente del Consiglio (organo monocratico);
- Ministri (organi monocratici);
- Consiglio dei ministri (organo collegiale formato dalla riunione dei primi due).
Tali organi sono necessari in quanto individuati direttamente dalla Costituzione. Esistono
organi non necessari previsti dalla legislazione ordinaria. Tra gli organi monocratici non
necessari si collocano i vicepresidenti del Consiglio, i ministri senza portafoglio, i viceministri,
i sottosegretari. Tra gli organi collegiali non necessari più importanti vi sono i comitati
interministeriali, sede di raccordo fra più ministri.
Il Governo svolge funzioni politiche, deliberative e di controllo. Le funzioni politiche
consistono nell’individuazione del programma di governo, quelle deliberative consistono
nell’adozione degli atti conseguenti a tale programma, e quelle di controllo mirano alla
verifica del rispetto degli obiettivi posti da parte della pubblica amministrazione, di cui il
Governo rappresenta il vertice.
Il Governo ha una doppia veste: da un lato è organo di indirizzo politico, per attuare il quale
può assumere decisioni politiche e di alta amministrazione; dall’altro, è organo di vertice
del potere esecutivo e competente a controllarne l’attività di cui risponde.
Il Consiglio dei ministri è l’organo a cui viene primariamente attribuita la funzione di
indirizzo politico. Determina la politica generale del governo, approvando i disegni di legge,
gli atti aventi forza di legge e i regolamenti governativi. Decide altresì la eventuale
apposizione della questione di fiducia. Il Consiglio (convocato e presieduto dal Presidente
del Consiglio) può essere anticipato da riunioni “informali” e preparatorie e non ha modalità
di pubblicità dei lavori, al di fuori di sintetici comunicati stampa.
Il Presidente del Consiglio dei ministri ha la funzione di dirigere la politica del Governo
senza collocarsi su di un piano di superiorità formale rispetto agli altri ministri. Nonostante
ciò, ricopre comunque una posizione differente, perché è lui a dirigere la politica generale
del governo e a esserne responsabile, a mantenere l’unità di indirizzo politico e
amministrativo, promovendo e coordinando l’attività dei ministri e a rappresentare il
Governo nella sua unità (art. 95 Cost.).
I singoli ministri agiscono da un lato in quanto membri del Consiglio dei ministri, ma
dall’altro sono al vertice delle amministrazioni a cui sono preposti (MIUR à complesso
amministrativo nel quale ricadono scuole, università etc.).
I ministri senza portafoglio non hanno un dicastero di riferimento, ma esercitano funzioni
delegate dal Presidente del Consiglio. “Senza portafoglio” poiché il bilancio dello Stato non
assegna loro specifici capitoli di spesa.
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Tra gli organi monocratici non necessari, i sottosegretari di Stato hanno il compito di
assistere i ministeri a cui appartengono, compresa la presidenza del Consiglio, e possono
esercitare alcune funzioni ministeriali su delega del ministro. Partecipano in rappresentanza
del ministro ai lavori parlamentari o possono svolgere la funzione di viceministri.
Tra gli organi collegiali non necessari vi sono comitati interministeriali istituiti per legge e
comitati di ministri che invece di volta in volta il Presidente ha facoltà di istituire.
Queste linee fondamentali di definizione e organizzazione del Governo si ricavano solo in
parte dalla Costituzione (solo 5 articoli dedicati al Governo in quanto organo di indirizzo
politico), mentre la loro sostanza si desume prevalentemente dalla legislazione e dalla
prassi.
IL GOVERNO NELLA COSTITUZIONE
LA FORMAZIONE E LA CADUTA DEL GOVERNO
Le norme costituzionali dedicate alla formazione del Governo sono alquanto sintetiche e
lasciano molto spazio alla prassi. Estremamente laconica è la previsione della nomina,
secondo cui “il Presidente della Repubblica nomina il Presidente del Consiglio dei ministri e,
su proposta di questo, i ministri”.
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Una volta nominati, il Presidente del Consiglio e i ministri, giurano nelle mani del Presidente
della Repubblica prima di assumere le funzioni. Tale giuramento ha valore altamente
simbolico e si inserisce nel quadro dell’obbligo di fedeltà alla Repubblica. Il Governo, dopo
la nomina, non è ancora nel pieno dei suoi poteri e si limita svolgere compiti di ordinaria
amministrazione finché non ottiene la fiducia delle Camere. Entro dieci giorni dalla nomina,
il Governo deve presentarsi alle Camere col programma che intende attuare, e in seguito a
tale esposizione deve ottenere a maggioranza semplice in ciascuna aula la fiducia sulla base
di una mozione votata per appello nominale (parlamentari chiamati ad esprimere, in modo
palese, la loro posizione, con un sì o con un no alla mozione).
La mozione di sfiducia è l’atto attraverso cui la fiducia può essere revocata. Non è sufficiente
un semplice voto contrario delle Camere su una proposta del Governo per obbligarlo a
dimettersi, ma occorre un voto su un’apposita mozione.
Diversa ancora è l’ipotesi della questione di fiducia, prevista dai regolamenti parlamentari,
quale il voto negativo di una Camera su una proposta del Governo non comporta l’obbligo
delle dimissioni. Tuttavia, se il Governo appone sulla proposta la questione di fiducia e
questa non viene approvata, esso è obbligato alle dimissioni. Il fatto che le proposte su cui
essa è apposta non sono emendabili, ne rende molto frequente l’utilizzo, pertanto il
Parlamento è chiamato a votare un no o un sì secco. Ciò ha dato origine ai
maxiemendamenti che il Governo, ponendo la questione di fiducia, blinda rispetto a
possibili modifiche in Parlamento. È un abuso dei poteri governativi. Ad esempio: votazione
decreto legge à assume questione di fiducia à mette pressione alle Camere e alla
maggioranza à VOTO NOMINALE à ottima evitare franchi tiratori à se voto contro alla
proposta e sono nella maggioranza, non verrò ricandidato.
Con la sfiducia individuale abbiamo la sfiducia ad un singolo ministro.
LA RESPONSABILITÀ DEL GOVERNO
Il Governo è doppiamente responsabile degli atti che compie: politicamente e
giuridicamente. Con “responsabilità”, si intende che un soggetto risponde a un altro degli
atti compiuti. In questo senso il principio di responsabilità, assieme a quello di
rappresentanza, completa il significato dinamico ed effettivo della democrazia. Su
Sul piano costituzionale esistono diverse forme di responsabilità. Esiste una responsabilità
di tipo giuridico, ogni qualvolta è possibile citare in giudizio per violazione di norme
giuridiche i titolari di funzioni pubbliche.
a) I singoli esponenti del Governo sono civilmente responsabili per i danni arrecati a
terzi nell’esercizio delle loro funzioni e innanzi alla Corte dei conti per danni arrecati
alla pubblica amministrazione.
b) Penalmente il Presidente del Consiglio e i ministri sono responsabili per i reati
ministeriali, per quei reati che commettono nell’esercizio delle funzioni di governo,
dei quali rispondono, anche dopo la cessazione della carica, dinanzi alla magistratura
ordinaria. Per ciò, occorre l’autorizzazione parlamentare, che può essere negata a
maggioranza assoluta se l’Assemblea ritenga che il ministro abbia agito per tutela di
un interesse dello Stato costituzionalmente rilevante o per il perseguimento di un
preminente interesse pubblico.
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Al di fuori dei reati ministeriali, ciascun membro del Governo risponde dei reati
comuni come qualsiasi altro cittadino.
c) Esiste poi una responsabilità di tipo politico, ogni qualvolta si ha la possibilità di
chiedere conto delle azioni di una persona o di un organo investito di un pubblico
potere, sul piano degli obiettivi o dei risultati politici che esso ha realizzato o intende
realizzare. La responsabilità politica del Governo è sancita dal rapporto di fiducia col
Parlamento e dal correlativo potere di sfiducia.
Il Presidente del Consiglio è responsabile della direzione della politica generale del Governo.
Gli spetta il mantenimento dell’unità di indirizzo politico e amministrativo e la promozione
e il coordinamento dell’attività dei ministri. Egli si trova in una posizione di preminenza ma
non di superiorità gerarchica rispetto ai ministri, per cui non può revocarli. Può sospendere
l’adozione di un atto ministeriale sottoponendolo al Consiglio dei ministri.
I ministri sono individualmente responsabili degli atti che provengono dal ministero che
dirigono. Essi sono responsabili collegialmente, in quanto membri del Governo, degli atti del
Consiglio dei ministri.
IL GOVERNO NELLA PRASSI: L’EVOLUZIONE DELLA FIGURA DEL PRESIDENTE DEL
CONSIGLIO
Il Presidente del Consiglio è un primus inter pares. Egli si distacca dagli altri componenti
acquisendo una centralità che è divenuta oggi particolarmente accentuata nella prassi. Il
Presidente del Consiglio si individua nel leader della coalizione o del partito vincente. La
centralità assunta dal Presidente del Consiglio non dipende soltanto dal cambiamento del
sistema elettorale. Essa si collega a una tendenza più generale di tutti gli Stati
contemporanei al rafforzamento del potere esecutivo rispetto agli altri poteri.
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d) Relative alla funzione esecutiva: Nomina i più alti funzionari dello Stato, su
indicazione del Governo;
e) Elettive: Nomina altresì cinque membri della Corte costituzionale e i senatori a vita;
g) Relative alla difesa dello Stato: Ha il comando delle forze armate, presiede il
Consiglio supremo di difesa e dichiara lo stato di guerra previa deliberazione delle
Camere.
Infine, il Presidente conferisce le onorificenze della Repubblica per alti meriti.
Egli riveste un ruolo defilato nei momenti di stabilità politica, che diventa però essenziale
nei momenti di instabilità e crisi.
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- Discrezionalità amministrativa.
La discrezionalità amministrativa è quella per cui la pubblica amministrazione non è libera
di scegliere gli obiettivi da perseguire, ma, dovendo rispettare i limiti positivi e negativi
previsti dal legislatore, mantiene una libertà di giudizio e di scelta solo nella misura in cui
il legislatore gliela concede.
LA RESPONSABILITÀ DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE
La Costituzione italiana responsabilizza i singoli agenti della pubblica amministrazione,
prevedendo che i funzionari e i dipendenti dello Stato e degli enti pubblici sono direttamente
responsabili sul piano penale, civile e amministrativo degli atti compiuti in violazione di
diritti. Il costituente ha voluto enfatizzare la posizione del funzionario pubblico non solo
quanto ai suoi poteri, ma anche in riferimento ai suoi doveri e alla sua responsabilità.
La Costituzione pone a carico degli impiegati pubblici anche doveri più generici e solenni,
come quello di operare in maniera disinteressata al servizio esclusivo della nazione e ad
adempiere con disciplina e onore alle funzioni pubbliche.
La Costituzione prevede che all’impiego presso l’amministrazione pubblica si acceda con
concorso pubblico, evitando che i posti vacanti siano occupati da persone legate al potere
politico o comunque non meritevoli.
La Costituzione stabilisce anche che “contro gli atti della pubblica amministrazione è sempre
ammessa la tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi dinanzi agli organi di
giurisdizione ordinaria o amministrativa” e che “Il Consiglio di Stato e gli altri organi di
giustizia amministrativa hanno giurisdizione per la tutela nei confronti della pubblica
amministrazione degli interessi legittimi e anche dei diritti soggettivi”.
LA SEPARAZIONE TRA POLITICA E AMMINISTRAZIONE
La responsabilità dirigenziale è rafforzata attraverso la previsione per cui i ministri non
possono revocare, riformare o avocare a sé o comunque adottare atti di competenza dei
dirigenti, ma possono solo svolgere una funzione di definizione di obiettivi e programmi e di
verifica e controllo dei risultati.
Questo significa che tra dirigenti e ministri non corre un rapporto di gerarchia e l’atto
dirigenziale non è impugnabile dinanzi al ministro con il ricorso gerarchico.
Se è vero che il Governo esercita un potere di indirizzo e controllo strategico
sull’amministrazione statale, è anche vero che quest’ultima deve poter operare
perseguendo gli stessi interessi generali di cui ha la cura concreta, anteponendoli, se del
caso, ai desiderata politici.
Un’evidente manifestazione di questo bilanciamento, è la disciplina dello spoils system.
L’istituto dello spoils system consiste nella possibilità per la maggioranza politica di
collocare persone di propria fiducia nei ruoli apicali della pubblica amministrazione.
In apparenza à contraddizione al principio dell’autonomia e responsabilità gestionale. Ma
è anche à attuazione del principio della correlazione fra attività di indirizzo politico e
attività amministrativa. Le modalità attuative dello spoils system sono quindi fondamentali.
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LA GIUSTIZIA COSTITUZIONALE
DEFINIZIONE, ORIGINE E MODELLI
La giustizia costituzionale è una forma di garanzia giurisdizionale della rigidità della
Costituzione, ovvero della sua supremazia su tutti gli atti e i comportamenti dei poteri
pubblici, compresa la legge del Parlamento.
Garanzia giurisdizionale à funzione svolta soggetto estraneo al circuito dell’indirizzo
politico, che agisce attraverso lo strumento del processo.
In Italia l’organo di giustizia costituzionale è la Corte costituzionale.
Il nucleo centrale della giustizia costituzionale è il controllo giurisdizionale di
costituzionalità delle leggi. Le ulteriori competenze che la giustizia costituzionale svolge
vengono definite “altre” competenze.
Modello statunitense di giustizia costituzionale:
Il modello statunitense viene definito:
1) Diffuso: il controllo di costituzionalità delle leggi è svolto da qualsiasi giudice,
nell’esercizio dei suoi ordinari poteri interpretativi;
2) Concreto e incidentale:
1. Concreto: il controllo viene svolto nel momento in cui il giudice deve applicare
una legge ad un caso concreto;
2. Incidentale: il controllo di costituzionalità costituisce un “incidente” processuale
nell’ambito di un giudizio che ha un oggetto diverso, nel quale ad un certo punto
sorge un dubbio sulla costituzionalità di una norma che dev’essere applicata.
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- Il giudizio in via principale: può essere promosso con ricorso dallo Stato qualora
ritenga che una legge regionale ecceda la competenza della regione, o dalle regioni
quando ritengano che una legge statale invada la loro competenza. La legge
dev’essere impugnata entro sessanta giorni dalla pubblicazione, per cui una volta
decorso questo termine tale rimedio non è più esperibile e per ottenere
l’eliminazione di una legge incostituzionale non resta che la via incidentale.
Le vie d’accesso al giudizio della Corte costituzionale sono “strette”: in Italia è molto difficile
sottoporre una questione alla Corte, soprattutto perché non esiste la possibilità di un
accesso diretto da parte dei singoli individui. I giudici rappresentano i “portieri” della Corte.
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L’OGGETTO E IL PARAMETRO
Nell’atto introduttivo del giudizio dev’essere indicata la questione di costituzionalità, che si
compone di due elementi, “oggetto” e “parametro”, che vengono posti a confronto.
La questione costituisce il thema decidendum sul quale la Corte è chiamata a decidere: sulla
base del principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, la Corte non può
pronunciarsi su un oggetto e in relazione ad un parametro diversi da quelli indicati
nell’atto introduttivo.
Illegittimità costituzionale consequenziale à dalla dichiarazione di incostituzionalità di una
norma deriva l’incostituzionalità di un’ulteriore norma.
L’oggetto del giudizio di legittimità costituzionale è costituito dagli atti della cui legittimità
costituzionale si dubita.
ATTI SINDACABILI: Possono essere oggetto del giudizio tutte le fonti primarie, le leggi
costituzionali e di revisione costituzionale, le norme di diritto internazionale
consuetudinario à La Corte ha ritenuto che debbano esser sottoposte al suo controllo
“tutte le leggi, gli atti e le norme le quali, pur provviste della stessa efficacia delle leggi
formali, ordinarie e costituzionali, siano venute ad esistenza per vie diverse dal
procedimento legislativo”.
ATTI NON SINDACABILI: sono esclusi dal controllo di costituzionalità i regolamenti
governativi, i regolamenti europei (non rientrano tra gli atti aventi forza di legge dello Stato
e delle regioni), i regolamenti parlamentari (poiché atti interni alle Camere), le altre fonti
secondarie e gli atti amministrativi (possono essere disapplicati inter partes dai giudici
ordinari, o annullati, con effetti erga omnes, dai giudici amministrativi.
Per parametro si intende la norma della Costituzione che si reputa inviolata.
Rientrano nel parametro del giudizio di legittimità costituzionale la Costituzione e le leggi
costituzionale. Escluse le fonti primarie.
Eccezione: quando le fonti primarie costituiscono in via indiretta il parametro diretto del
giudizio, operano come “norme interposte” (es: legge delega).
Sono norme interposte le fonti primarie che, richiamate dalla Costituzione, ne integrano il
contenuto.
LE DECISIONI: TIPOLOGIA ED EFFETTI
La Corte costituzionale, al termine del suo giudizio, può pronunciarsi nel senso
dell’inammissibilità o dell’accoglimento:
- Ordinanze: decisioni brevi con le quali la Corte rigetta la questione di legittimità
costituzionale senza entrare nel merito, ritenendo che manchino alcuni requisiti
essenziali; oppure dichiara la questione inammissibile, in quanto già risolta in senso
positivo; o la dichiara manifestamente infondata, perché del tutto carente del fumus
necessario.
- Sentenze: decisioni più ampiamente motivate, con le quali la Corte si pronuncia sul
merito della questione di legittimità costituzionale che le è stata sottoposta: in esse
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LA MAGISTRATURA
I GIUDICI NELLA TRADIZIONE DEGLI ORDINAMENTI DI CIVIL LAW E DI COMMON LAW
- Civil law: ai giudici viene attribuito un ruolo subordinato a quello del potere
legislativo: essi sono considerati bouche de la loi e hanno soltanto la funzione di
applicare la legge ai casi concreti. Le loro decisioni servono a risolvere le singole
controversie e non creano vincoli nei confronti degli altri giudici: i precedenti
giudiziari, cioè, non sono vincolanti.
- Common law: i giudici godono di un margine di creatività molto più ampio. Essi non
si limitano ad applicare meccanicamente la legge alle singole fattispecie concrete,
ma, attraverso l’interpretazione, la innovano. Le pronunce così adottate sono
vincolanti nei confronti degli altri giudici (stare decisis). Le decisioni dei giudici
finiscono per configurarsi come fonti del diritto.
I PRINCIPI COSTITUZIONALI SULLA MAGISTRATURA E LA GIURISDIZIONE
I principi a tutela degli individui:
a) Diritto di difesa:
Dal punto di vista dei soggetti dell’ordinamento, l’art. 24 Cost. stabilisce l’inviolabilità
in ogni stato e grado del giudizio del diritto di difesa e riconosce a tutti il diritto di
agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi, prevedendo la
garanzia per i non abbienti dei mezzi necessari per agire e difendersi in giudizio;
b) Giusto processo:
Il processo si svolge sulla base del principio del contraddittorio tra le parti: l’imputato
e la parte lesa dal reato sono posti in condizioni di parità davanti ad un giudice terzo
ed imparziale ed hanno le stesse garanzie di difesa. Inoltre, la Costituzione stabilisce
il principio dell’obbligo di motivazione di tutti i provvedimenti giurisdizionali: tale
obbligo è funzionale alla garanzia del doppio grado di giudizio;
c) Giudice naturale:
Si tratta del principio della precostituzione del giudice, in base al quale il giudice
competente a risolvere una controversia deve essere stato determinato prima che
sia avvenuto il fatto dal quale essa ha avuto origine.
I principi di organizzazione della magistratura:
a) Autonomia e indipendenza:
“La magistratura costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro
potere”; “I giudici sono soggetti soltanto alla legge”. La posizione dei giudici è
protetta sia cercando di evitare possibilità di influenza e di controllo da parte di
soggetti interni allo stesso potere giudiziario (indipendenza interna), sia escludendo
interferenze di altri poteri dello Stato (indipendenza esterna).
1. Indipendenza interna:
I. Organizzazione della magistratura: è escluso il principio
gerarchico: non esiste alcun vincolo di subordinazione dei
magistrati rispetto ad altri giudici superiori;
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dello Stato, delle persone giuridiche e degli incapaci e fa eseguire i giudicati e ogni altro
provvedimento del giudice.
L’art. 108 Cost. prevede che ne debba essere assicurata l’indipendenza. Per questo motivo,
l’opportunità della separazione della carriera di giudice da quella di pubblico ministero
(mettere a rischio l’imparzialità del giudice) come riforma non è stata approvata.
PROFILI EVOLUTIVI DEL RUOLO DEL GIUDICE NELLO STATO CONTEMPORANEO
Nello Stato contemporaneo si è determinato un mutamento profondo dell’attività
giurisdizionale.
La magistratura è passata da custode della legge a custode dei diritti, ovvero organo
finalizzato al riconoscimento dei diritti costituzionali dei cittadini.
LE AUTORITÀ INDIPENDENTI
DEFINIZIONE
Le autorità indipendenti sono organi statali che, in condizioni di autonomia rispetto agli
altri poteri pubblici e nel rispetto dei principi di neutralità e imparzialità, svolgono un ruolo
di garanzia di alcuni diritti fondamentali ovvero di regolazione di settori legati alle libertà
economiche.
La previsione costituzionale manca perché la principale spinta alla creazione di queste
autorità è emersa di recente, legata alla necessità di regolare i processi di liberalizzazione
del mercato avviati negli anni Novanta.
Lo Stato ha visto progressivamente mutare il proprio ruolo da attore economico ad arbitro
di sistema. Ruolo che serve a proteggere i diritti e gli interessi degli individui non soltanto
dagli attori economici più forti, ma anche dalla politica stessa.
L’idea che questi organismi possano far meglio rispetto all’amministrazione
tradizionalmente intesa non deriva solo dal fatto che essi sono estranei al circuito politico-
elettorale, ma anche dal fatto che i loro componenti sono scelti tra persone altamente
qualificate e con modalità che tendono a garantirne l’autonomia rispetto alle maggioranze
di governo.
In Italia, le autorità indipendenti non sono state ancora riunite sotto un’unica disciplina, né
costituzionale, né legislativa: ciò ha generato negli anni una forte confusione circa la loro
“identità”.
LE CARATTERISTICHE DELLE AUTORITÀ INDIPENDENTI
Le autorità indipendenti sono:
a) Organi di natura amministrativa: la loro funzione consiste nel “provvedere” al
corretto svolgimento di taluni diritti e libertà, specialmente di natura economica. Per
esercitare tale funzione le autorità sono dotate di poteri amministrativi, poteri
normativi e paragiurisdizionali. Le funzioni sono assoggettate al principio di legalità;
b) Indipendenti rispetto al governo: tale indipendenza è garantita dalle modalità di
nomina, dalle modalità di decadenza, dall’autonomia rispetto alle direttive del
Governo, dall’autonomia contabile e organizzativa;
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5) Autorità per l’energia elettrica, il gas e il sistema idrico (AEEGSI) e Autorità per le
garanzie nelle comunicazioni (AGCOM):
La garanzia che l’AEEGSI deve assicurare è quella del rispetto delle regole nel
mercato della fornitura di gas, acqua e energia elettrica; mentre l’AGCOM
garantisce il rispetto delle regole nel mercato delle telecomunicazioni,
dell’audiovisivo e dell’informazione.
6) Commissione di garanzia per l’attuazione della legge sullo sciopero nei servizi
pubblici essenziali:
La garanzia che la Commissione deve assicurare è quella della fornitura dei servizi
pubblici essenziali in caso di sciopero. Inoltre, relativamente al rapporto tra datore
di lavoro e lavoratori, la Commissione garantisce anche la parità di armi nei conflitti
relativi al mercato del lavoro, che si manifestano, tra l’altro, anche con l’esercizio
dello sciopero.
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