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Riassunto istituzioni di diritto privato

Istituzioni di diritto privato (Università degli Studi di Verona)

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CAPO I. IL DIRITTO PRIVATO IN GENERALE


Il diritto si manifesta sotto due differenti profili:
• diritto oggettivo: il termine è usato per indicare sia un singolo precetto giuridico che l'insieme
delle regole poste in una determinata organizzazione sociale al fine di disciplinare la condotta
degli uomini;
• diritto soggettivo: è il potere attribuito ai soggetti di agire per il soddisfacimento dei propri
interessi, potere riconosciuto e garantito dall'ordinamento giuridico, cioè dal diritto oggettivo.
Caratteristiche proprie del comando giuridico:
➢ alterità (o bilateralità o intersubiettività): il diritto regola le azioni degli uomini che hanno
rilevanza nei rapporti sociali. Ogni relazione di vita regolata dal diritto costituisce un rapporto
giuridico in cui vi sono sempre almeno due persone, tra le quali l’una è il soggetto attivo cui
appartiene il diritto, l’altra è il soggetto passivo a cui spetta il corrispondente obbligo.
➢ Statualità: si indicano due concetti distinti
◦ lo Stato crea, o riconosce, le norma obbligatorie e le sue parole sono comandi;
◦ lo Stato garantisce l'osservanza dell'ordinamento giuridico.
➢ Obbligatorietà: l’importanza sociale dell’ordinamento giuridico ne impone l’applicazione con una
serie di norme, il rispetto delle quali viene assicurato mediante il possibile ricorso alla forza.
DISTINZIONI FONDAMENTALI
✗ Diritto Pubblico: regola l’organizzazione dello Stato, degli enti pubblici, e i loro reciproci
rapporti. Regolare reciproche relazioni tra Stato ed enti pubblici da una parte e cittadini dall'altra.
Il rapporto giuridico pubblico è dominato dal fatto che vi partecipa almeno un ente che si presenta
come portatore di interessi superiori.
✗ Diritto Privato disciplina le relazioni reciproche dei soggetti fissando presupposti e limiti agli
interessi dei singoli. Nel rapporto giuridico privato le persone vengono a trovarsi in condizione di
parità.
✗ Diritto naturale: complesso delle norme che rispondono al fondamentale bisogno di libertà e
giustizia, vive nella coscienza dei popoli e rappresenta l'ideale di giustizia cui gli uomini aspirano.
COSTITUZIONE E FONTI DEL DIRITTO
L’espressione fonte del diritto comprende un doppio significato:
✔ fonti di conoscenza o cognizione: testi che contengono le norme giuridiche, costituiscono degli
strumenti mediante i quali si rendono conoscibili le disposizioni prodotte dalle fonti di produzione;
✔ fonti di produzione: ogni atto o fatto abilitato dall’ordinamento a produrre norme giuridiche, e
quindi a modificare e innovare l'ordinamento giuridico stesso. Si parla di:
◦ fonti materiali: quando si mettono in risalto i fattori che determinano il sorgere del precetto
giuridico (esigenze ideali, coscienza del popolo, bisogni economici ecc...);
◦ fonti formali quando si vogliono indicare i procedimenti che l’atto fonte, con le sue
disposizioni, deve percorrere per ottenere il crisma della giuridicità.
Le fonti formali previste dall'art. 1 delle disposizioni preliminari al c.c. sono quattro:
1. leggi;
2. regolamenti;
3. norme in materia di lavoro;
4. usi.
La Costituzione, entrata in vigore il 1° gennaio 1948 contiene:
• nei Principi Fondamentali e nella Parte Prima (diritti e doveri dei cittadini), precetti
immediatamente vincolanti e alcune solenni affermazioni di principio, i quali fissano il modello di
un sistema politico, economico e sociale cui si deve uniformare tutta la vita giuridica.
• Nella Seconda Parte viene strutturato l’Ordinamento della Repubblica: Parlamento, Presidente
della Repubblica, Governo, Magistratura, Regioni, Province, Comuni, Corte costituzionale.
Le diverse fonti di produzione si organizzano secondo una precisa gerarchia:
➢ il criterio gerarchico: serve a risolvere i contrasti tra norme poste da fonti di diverso grado;
➢ il criterio cronologico: in un contrasto tra norme dello stesso grado, poste in diversi momenti,
prevale la più recente;
➢ il criterio di competenza: risolve contrasti tra norme provocati dal fatto che la costituzione
assegna, a specifiche fonti, competenze particolari, le quali sono sottratte alla disciplina di ogni
altra fonte.
LEGGI, TESTI UNICI, CODICI
Legge è la fonte di produzione principale del nostro ordinamento. Il comando (o la regola) che essa
contiene (norma) proviene dalla volontà di un legislatore ed è formulato in determinate parole
(disposizione). L'atto legislativo contiene comandi generali e astratti. Il testo unico è un riordinamento di
leggi già in vigore, fatto per facilitarne la conoscenza e l’applicazione. I codici sono testi organici che
hanno valore normativo di per sé, senza riferimento a leggi precedenti; diretti a regolare la totalità di un
vasto campo dell’attività giuridica.
Il codice civile, in vigore dal 21 aprile 1942, è diviso in sei libri: precedono questi i 16 articoli rimasti in
vigore delle disposizioni sulla legge in generale (preleggi) che hanno numerazione indipendente. I libri
sono divisi in titoli, i titoli in capi, i capi in sezioni e queste eventualmente in paragrafi. La distinzione
fondamentale è però quella in articoli, numerati progressivamente da 1 a 2969. L’articolo può essere
diviso in uno o più commi. Accompagnano il testo del Codice 256 articoli di disposizioni di attuazione e

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transitorie.
Equiparati alle leggi, sono gli atti avente forza di legge: il decreto legge, emesso dal potere esecutivo in
attesa della conversione in legge entro 60 giorni operata dal Parlamento ed il decreto legislativo
emesso dal potere esecutivo dopo la legge delega del Parlamento.
REGOLAMENTI
I regolamenti sono fonti adottate dagli organi del potere esecutivo o da altre autorità nei limiti in cui è
loro attribuita un’autonoma potestà normativa. Non attribuiscono particolari diritti, obblighi o facoltà ma
ne regolano l’esercizio. Si distinguono diversi tipi di regolamento:
• esecutivo: inteso come mezzo per facilitare la retta applicazione delle leggi e ad assicurarne
l’operatività;
• di attuazione: emanati per integrare atti legislativi contenenti norme di principio;
• indipendenti: emanati nelle materie in cui manchi una disciplina di legge e che non risultino
coperti da riserva di legge;
• di organizzazione: testi con i quali l’esecutivo provvede a disciplinare i pubblici uffici.
USI
L’uso è una regola di condotta osservata uniformemente e costantemente dai membri di una società con
la convinzione di obbedire ad un imperativo giuridico. Esso si forma in maniera spontanea.
Sotto il profilo materiale l’uso deve essere:
➢ costante, la costanza è determinata dall’uniformità e dalla continuità degli atti compiuti, cioè
ogni qualvolta si avvera una situazione, questa sia regolata in modo uguale;
➢ generale, deve essere osservato da tutti i membri della società considerata;
➢ durevole, occorre cioè vedere se l’uso ha acquistato un’autorità indiscutibile.
Sotto il profilo psicologico deve esserci:
➢ convinzione: occorre il generale convincimento che sia obbligatorio seguire quella determinata
condotta.
Esso ha efficacia, al di fuori di un esplicito richiamo, solo quando manchi del tutto la legge che disciplini
una materia (praeter legem). Non è ammesso l’uso contra legem.
Dagli usi di cui abbiamo parlato, chiamati anche normativi, vanno tenuti distinti gli usi contrattuali o
negoziali che sono contemplati in clausole d’uso o sottintesi per pratiche generali create nei vari mercati.
Gli usi accertati si presumono esistenti fino a prova contraria; l'esistenza di usi non accertati può essere
provata con ogni mezzo.
GIURISPRUDENZA, DOTTRINA, EQUITA'
Si ricordano come fonti indirette:
✔ la giurisprudenza cioè il complesso delle decisione giudiziarie;
✔ la dottrina cioè i risultati dello studio scientifico del diritto;
✔ l'equità, cioè la tendenza ad applicare con criterio di umanità e di sostanziale uguaglianza le
disposizioni generali, astratte e rigide della legge.
La sentenza del giudice è vincolante solo nei confronti delle parti circa il rapporto controverso. Ciascun
giudice non è tenuto a seguire precedenti interpretazioni tuttavia si deve dire che le sentenze delle corti
più alte non hanno solo un valore morale, ma hanno anche una notevole importanza pratica per la loro
forza persuasiva.
LEGGE NELLO SPAZIO
Nel diritto internazionale privato, che mira a regolare i conflitti tra diverse legislazioni, si distinguono:
• norme di applicazione che stabiliscono quando, e sotto quali condizioni, deve applicarsi il diritto
interno;
• norme di rinvio che stabiliscono in altri casi l’applicazione del diritto straniero.
Rilevante in tale contesto è la legge 218/1995 sulla “riforma del sistema italiano del diritto internazionale
privato”.
La legge applicabile si determina in relazione a:
1. cittadinanza del soggetto, per quanto riguarda stato e capacità delle persone, rapporti familiari,
donazioni e successioni;
2. luogo in cui si trova la cosa o l’atto è compiuto, per quanto attiene a proprietà, diritti reali, fatti
illeciti;
3. scelta degli interessati, per quanto concerne le obbligazioni contrattuali.
In ogni caso, la legge straniera non è applicata quando la legge straniera sia in contrasto con i
fondamentali principi che regolano la convivenza sociale.
SUCCESSIONE DELLE LEGGI NEL TEMPO
La legge, dopo la sua promulgazione (atto con il quale il Capo dello Stato ne afferma l’esistenza e ne
ordina l’esecuzione), viene inserita nella Raccolta ufficiale degli Atti normativi della Repubblica Italiana, e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale. Essa entra in vigore in tutto il territorio dello Stato dopo la vacatio
legis (15 giorni per consentire ai consociati di venire a conoscenza della legge): tale termine può essere
allungato, oppure abbreviato o addirittura annullato. Una volta che la legge è entrata in vigore, a tutti è
fatta obbligo di osservarla, indipendentemente dalla conoscenza che se ne abbia.
La legge può essere abrogata:
• con effetto ex nunc (ossia da ora, senza effetto retroattivo):
◦ per dichiarazione espressa dal legislatore;
◦ in seguito a referendum popolare;

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• tacitamente:
◦ per incompatibilità delle nuove norme poste in essere dal legislatore con la vecchia
legislazione;
◦ perché la legge più recente regola l’intera materia già disciplinata dalla legge anteriore;
• per cause intrinseche:
◦ quando le leggi sono stabilite per un certo tempo;
◦ per un determinato compito;
◦ sono emanate in vista di speciali circostanze e per il solo perdurare di queste.
La legge viene annullata, con effetto retroattivo sui rapporti ancora pendenti, per riconoscimento di
illegittimità costituzionale fatto con sentenza della Corte costituzionale.
L'art.11 disp. prel. c.c. stabilisce il principio fondamentale dell’irretroattività delle leggi: la legge non
può avere efficacia per i fatti avvenuti nel tempo anteriore alla sua pubblicazione. Spesso il legislatore
accompagna la nuova legge con norme transitorie dirette appunto a regolare i rapporti giuridici che sono
sottoposti al trapasso di legislazione. Già nei lavori preparatori del Codice Napoleonico si cercavano
infatti di trovare criteri in grado di regolare tali situazioni: tra i più noti abbiamo il criterio dei diritti
quesiti (diritti ormai acquisiti con la precedente legislazione perché si sono soddisfatti tutti i requisiti che
la legge precedente richiedeva): diritti che sono cioè entrati a far parte del patrimonio del soggetto e per
questo non possono più perdersi, poteri e facoltà sono invece sottoposti alla disciplina della legge nuova.
Al principio di irretroattività così delineato, fanno eccezione le norme retroattive:
✗ le leggi penali che stabiliscono pene più leggere o non riconoscono più come reati alcune azioni;
✗ le leggi interpretative in quanto la legge in esame viene chiarita e non sostituita con una nuova
norma;
✗ leggi che aboliscono un intero istituto giuridico per la mutata coscienza politica o determinati
requisiti.
Secondo il contenuto della norma si distinguono:
1. norme precettive: contengono un comando rivolto ai destinatari;
2. norme proibitive: contengono un divieto;
3. norme permissive: concedono o garantiscono ai soggetti determinate facoltà;
4. norme cogenti (dette anche imperative, assolute, o di ordine pubblico), sono quelle che si
impongono in ogni categoria;
5. norme relative: sono quelle derogabili dalle parti. Nell’ambito di questa seconda categoria fa una
ulteriore distinzione tra:
• norme dispositive: regolano un rapporto, ma poi prevedono che l’espressa volontà delle parti
possa disciplinarlo in modo anche diverso. Sono ispirate a fini di utilità generale.
• Norme suppletive: intervengono a disciplinare tutto un rapporto soltanto in mancanza di
volontà delle parti. Sono stabilite nell'interesse del singolo.
Sotto il profilo della sanzione delle norme distinguiamo:
1. norme primarie: pongono la regola;
2. norme secondarie: stabiliscono la sanzione per l’eventuale infrazione;
3. norme perfette: sono munite di un’idonea sanzione (nullità o pena);
4. norme imperfette: prevedono doveri non sanzionati;
5. norme relativamente imperfette: munite di sanzioni non adeguate.
Le sanzioni estreme sono:
• l'esecuzione: si comprendono l'esecuzione forzata e la nullità dell'atto compiuto in dispregio delle
norme, mirano a ottenere il medesimo risultato che si ottiene con l'obbedienza forzata;
• la pena: infligge al violatore un male che non è in relazione diretta con la lesione compiuta.
Sanzioni intermedie fra i due tipi ricordati sono:
➢ il risarcimento;
➢ la riparazione;
che mirano ad un equivalente di ciò che si sarebbe ottenuto con l'obbedienza della norma.
✔ Diritto comune: contiene le norme dettate in generale per tutti i rapporti in un determinato tipo;
✔ diritto speciale: forma un insieme proprio e caratteristico, che soddisfa particolari esigenze della
vita e si riferisce a materie (caccia, pesca...), circostanze (stato di guerra) ben determinate, o a
persone che esercitano tipiche funzioni o attività. È applicazione del sistema, con adattamenti a
un ramo che ha speciali esigenze.
Quando c'è un diritto speciale, le sue norme prevalgono su quelle di diritto comune.
✔ Diritto eccezionale: devia, a causa di esigenze particolari, dai principi che reggono tutto un
ramo del diritto o un istituto giuridico. Esso non è estendibile per analogia. Si caratterizza per la
sua contraddizione al sistema delle altre norme.
APPLICAZIONE DEL DIRITTO
L’ordinamento giuridico prevede l’esistenza di apparati cui è assegnato il compito di applicare le norme:
funzione che è attribuita anzitutto agli organi giurisdizionali. Il giudice è sottoposto alle leggi: applica, non
crea il diritto. Al centro di tale attività si pone il giudizio, strumento attraverso cui la norma diventa il
comando concreto della sentenza. La prima operazione del giudice è diretta all’accertamento dello stato
di fatto, in questa fase il giudice dipende dalle parti interessate; mentre in un secondo momento, il
giudice deve trovare la norma idonea a regolare il caso.

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A seconda del soggetto che realizza l’interpretazione della norma, si distingue tra interpretazione:
• dottrinale fatta dagli studiosi del diritto per fini scientifici, didattici o anche pratici il cui obiettivo
principale è cercare il vero nel campo giuridico;
• giudiziale compiuta dal giudice con gli scopi e gli effetti che le sono caratteristici;
• autentica compiuta dal potere legislativo al fine di attribuire univoco significato ad un testo che
lascerebbe spazio a diverse interpretazioni.
MODI DI INTERPRETAZIONE
Per intendere il senso della legge, si seguono due procedimenti, e il primo è un mezzo per il secondo.
➢ L’interpretazione letterale: ha l’obiettivo di ricercare il significato proprio delle parole nella loro
connessione, essa ci offre la base oggettiva. In quest'ambito si distingue:
◦ il momento lessicale: volto a determinare il significato delle parole in sé considerate;
◦ il momento grammaticale: cerca il significato del discorso normativo secondo le regole della
grammatica e della sintassi.
➢ L’interpretazione logica: tende a stabilire il vero contenuto della legge, lo scopo cui mira la
legge. Ci darà la voluntas legis, l’elemento vitale che ha carattere decisivo.
Per la ricerca dell'effettivo contenuto della norma si applicano alcuni criteri, in particolare:
1. criterio storico: il contenuto di una norma giuridica è spesso il risultato di una lunga elaborazione
storica, scaturisce dalla volontà del legislatore di risolvere un problema pratico di convivenza;
2. criterio sistematico: una norma giuridica, che presa da sola potrebbe avere un significato, ne può
acquistare uno diverso quando sia posta in relazione con altre norme costituenti il diritto vigente.
Poiché nessuna norma vive da sola, ma si inserisce in un sistema complesso col quale occorre
coordinarla, si deve preferire, nel dubbio, quell’interpretazione che la renda più coerente con le
altre.
Diritto vivente: diritto che viene consolidandosi nella realtà di una tradizione giurisprudenziale, che
tiene conto di quella che è una meta costante dell'ideale giuridico per far convivere il diritto con la
giustizia.
RISULTATO DELL'INTERPRETAZIONE DI UNA NORMA
Secondo i risultati a cui perviene l’interpretazione della norma, si parla di:
✔ interpretazione dichiarativa: quando i risultati della chiara interpretazione letterale coincidono
con quelli dell’interpretazione logica;
✔ interpretazione estensiva: quando il significato della norma viene esteso dall’interpretazione
logica oltre il senso che si potrebbe ricavare dalla semplice lettura del testo;
✔ interpretazione restrittiva: quando l’interpretazione logica restringe il significato proprio
dell’espressione usata dalla legge.
In seguito all’interpretazione estensiva o restrittiva, il comando della legge non viene alterato ad arbitrio
dall’interprete, ma viene inteso meglio, correggendone un’imperfetta manifestazione.
INTEGRAZIONE DEL COMANDO LEGALE
Il giudice deve colmare le inevitabili lacune del sistema normativo: dovrà ricercare la volontà implicita
della legge, ricorrendo all’analogia di casi simili o materie analoghe; quando nemmeno il caso analogo si
trovi regolato, dovrà far ricorso ai principi generali dell'ordinamento vigente.
Il ricorso all’analogia è un’espressione del principio di uguaglianza di trattamento che è alla base di tutto
l’ordinamento giuridico: i casi simili devono essere regolati da norme simili (analogia legis). I presupposti
per dell’applicazione per analogia sono:
1. il caso deve essere assolutamente non previsto;
2. deve esistere almeno un elemento di identità tra il caso previsto e quello non previsto;
3. l’identità dei due casi deve riguardare l'elemento in vista del quale il legislatore ha formulato la
regola che disciplina il caso previsto e che pertanto ne costituisce la ratio.
L’analogia costituisce soltanto uno sviluppo del diritto esistente. Si differenzia dall’interpretazione
estensiva per le seguenti caratteristiche:
a) per invocare l’analogia occorre la mancanza di una norma che regoli la materia di cui si tratta:
mancanza di una specifica voluntas legis, oltre che di espressa dichiarazione legislativa;
b) l’interpretazione serve a conoscere ciò che il legislatore ha pensato, l'analogia ciò che il
legislatore avrebbe pensato se avesse previsto il caso;
c) l’analogia scopre nuove norme mentre ciò non avviene per l’interpretazione estensiva nella quale
si ha la scelta di un significato più comprensivo tra i vari possibili risultati di una interpretazione.
L’art. 14 delle disposizioni preliminari non consente il procedimento analogico per le norme penali ed
eccezionali; casi per cui è invece ammessa l’interpretazione estensiva.
Il processo analogico, scoprendo e comparando i nessi di identità fra i vari casi e le regole giuridiche che li
disciplinano, perviene, seguendo la logica del diritto, a individuare principi sempre più vasti che possono
collegare casi o materie apparentemente lontani. Si arriva così alla formulazione dei principi generali
dell’ordinamento vigente in un dato momento storico (analogia iuris). Questi principi non sono scritti, ma
esistono e sono impliciti come presupposti razionali del diritto positivo.
CLAUSOLE GENERALI
le clausole generali rappresentano una tecnica attraverso cui si vuole garantire all’ordinamento
legislativo l’adeguamento rispetto al tumultuoso evolversi dei fatti sociali. Nello specifico, ci riferiamo a
concetti spesso utilizzati dalle codificazioni come ordine pubblico, buon costume, giusta causa (…).
Dall’ordinamento non ne scaturisce una definizione in astratto, ma si affida all’interprete il compito di

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determinarne il contenuto in relazione al concreto evolversi dei modelli di comportamento sociale nonché
dei codici deontologici affermatisi nella prassi. Le norme che contengono clausole generali sono destinate
a valorizzare il ruolo del giudice in quanto estendono il margine di discrezionalità nell'adattare la regola
giuridica alla mutevolezza dei fatti e dei valori sociali.
SOGGETTO DI DIRITTO
Soggetto di diritto è innanzitutto la persona fisica, tuttavia la qualità di soggetto di diritto può essere
assunta anche da entità diverse dall’uomo: è il caso della persona giuridica ossia dell’organizzazione
collettiva che, in quanto munita di autonomia patrimoniale perfetta, vede riconosciuta dal sistema
giuridico la qualità di soggetto di diritto inteso nella sua più ampia estensione.
DIRITTO SOGGETTIVO E INTERESSI LEGITTIMI
Il diritto soggettivo è costituito da un potere, attribuito alla volontà del soggetto e garantito
dall’ordinamento giuridico, per conseguire il soddisfacimento dei propri interessi. Più precisamente
consiste nel potere di esigere da altri l’osservanza di un dovere e di un obbligo. Gli elementi costitutivi
sono due: interesse e volontà. Le due fondamentali tipologie dei diritti soggettivi sono:
• il diritto di proprietà e gli altri diritti reali: connotati dal carattere dell'assolutezza;
• i diritti di credito: vengono qualificati come diritti soggettivi relativi avendo riguardo alla limitata
cerchia di soggetti nei cui confronti questi possono essere fatti valere.
Il contenuto del diritto soggettivo è formato dalle facoltà giuridiche che sono semplici manifestazioni del
diritto stesso.
L’interesse legittimo è un potere attribuito ad un soggetto al fine di tutelare interessi individuali e
interessi della collettività. Gli interessi legittimi attribuiscono ai soggetti che ne sono titolari, i poteri idonei
ad influire sul corretto esercizio del potere amministrativo.
L’ordinamento riconosce nel campo pubblicistico (es. rispetto ai mezzi di comunicazione sociale) e nel
campo privatistico (es. tutela del consumatore) la protezione di interessi che sono della comunità nel suo
complesso, i cd. interessi diffusi (es. ecologia). Quest'ultimi si possono a loro volta distinguere dagli
interessi collettivi appartenenti ad una vasta collettività di soggetti, tutti identici rispetto ad analoghi
interessi di altri membri.
POTESTA' GIURIDICHE E DIRITTI POTESTATIVI
Le potestà sono attribuite al singolo per il soddisfacimento di interessi che non sono direttamente i suoi,
perché rappresentano un potere attribuito ad un soggetto per la tutela di un interesse altrui (es. potestà
genitori – figli). I diritti potestativi, sono una categoria di diritti soggettivi nei quali l’interesse dello
stesso soggetto agente è tutelato mediante il riconoscimento di poteri diretti a creare modificare o
estinguere una situazione con una manifestazione unilaterale della sua volontà. Essi non attribuiscono al
titolare un'immediata signoria sulla cosa, né un posizione di pretesa rispetto ai singoli obbligati; la
realizzazione dell’interesse si attua quindi in maniera indipendente da colui che deve subirne gli effetti.
Il rapporto giuridico è una relazione di vita riconosciuta dall'ordinamento giuridico con l'attribuzione di un
diritto a un soggetto, cui corrisponde la subordinazione di uno o più altri soggetti. Tutto il diritto privato si
articola su questa struttura: non c’è diritto senza obbligo e non c’è obbligo senza diritto.
Conseguentemente alle attribuzioni sopraelencate corrispondo situazioni giuridiche di “svantaggio” o di
vincolo che nello specifico possono concretizzarsi in obblighi ed oneri.
L’obbligo riguarda il caso in cui il soggetto passivo del rapporto deve rispondere a una precisa pretesa
altrui. Nell’onere, il sacrificio dell’interesse proprio è imposto con riguardo a un altro interesse proprio da
curare, e pertanto la relativa imposizione corrisponde a un comando finale stabilito in vista del
raggiungimento di indeterminato fine. Esempio di obbligo: il debitore deve pagare. Esempio di onere:
l’acquirente, se vuole assicurarsi contro altre alienazioni del bene immobile, deve trascrivere l’acquisto.
CLASSIFICAZIONE DEI DIRITTI
• Diritti non patrimoniali sono quelli che attuano prevalentemente interessi di natura morale;
• diritti patrimoniali tutelano interessi economici, valutabili in denaro. Il complesso dei diritti
patrimoniali del soggetto costituisce il suo patrimonio.
• Diritto assoluto: impone una generale soggezione a favore del titolare, con un generico obbligo
negativo di non turbare e non violare il diritto stesso da parte degli altri consociati (valido erga
omnes);
• diritto relativo è quello che impone a uno o più persone determinate di fare o non fare alcunché,
in modo che l’eventuale azione già dall’origine si dirige solo contro di queste.
• Diritti non trasmissibili: ogni soggetto ha alcuni diritti personalissimi, detti anche originari
perché gli sono riconosciuti dalla nascita.
• Di regola i diritti sono trasmissibili e la trasmissione dei diritti opera in due modi, i modi di
acquisto si distinguono in:
◦ originari: l’acquisto di un diritto è indipendente dal diritto di altro soggetto;
◦ derivati: presuppongono cessione o trasmissione del diritto da altra persona.
• Diritti accessori: hanno vita e vengono trasmessi insieme con altri diritti (diritti principali) cui
accedono per rapporto di dipendenza.
I diritti reali hanno per oggetto immediato una cosa, valgono erga omnes e impongono a chiunque
l’obbligo, sempre negativo, di rispettarne l’esercizio; i diritti di obbligazione si dirigono verso uno o più
soggetti passivi determinati e impongono l’obbligo di dare, fare o non fare alcunché suscettibile di
valutazione economica. I diritti reali, che sono soltanto quelli tipicamente previsti e regolati dalla legge,
hanno a propria tutela un’azione reale esperibile contro chiunque, salva la determinazione in concreto di
chi sia l’offensore del diritto. I diritti di obbligazione sono forniti di un’azione personale che va diretta nei

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confronti del soggetto passivo del rapporto obbligatorio.


Fatti giuridici: cause del sorgere, del modificarsi, o dell'estinguersi dei diritti. Si distingue tra:
• fattispecie astratta: situazione tipica prevista dalla norma;
• fattispecie concreta: costituita dal fatto specifico di cui si tratta.
Il fatto che determina l'acquisto di un diritto ne costituisce il titolo, l'acquisto avviene:
➢ a titolo derivativo: il diritto viene acquistato per effetto di un rapporto con persona legittimata,
che sarà chi può legittimamente disporre del diritto;
➢ a titolo derivativo: il diritto si collega all'esistenza di un precedente titolare da cui è trasferito. Il
fenomeno dell'acquisto a titolo derivativo si chiama successione e consiste nella trasmissione
della titolarità del diritto da una persona ad un'altra.
Il luogo costituisce la dimensione spaziale in cui un fatto giuridico si colloca.
Il tempo può venire preso in considerazione:
✗ quale periodo corrente fra due momenti (durata);
✗ quale punto fisso in cui una situazione viene a nascere, a maturarsi o a cessare (data).
Il computo del tempo avviene sula base del calendario comune, che è il calendario Gregoriano. I giorni si
calcolano sempre interi, dalla mezzanotte alla mezzanotte successiva (computo civile). Il giorno iniziale
non viene calcolato, mentre viene calcolato il giorno finale.
Il tempo utile è quello durante il quale è possibile compiere alcuni atti giuridici, vengono esclusi i giorni
festivi. Il tempo continuo comprende anche i giorni festivi. La regola è che viene calcolato il tempo
continuo; però, se il giorno di scadenza è giorno festivo, il termine finale viene protratto al primo giorno
successivo non festivo.
I fatti giuridici si distinguono in:
✔ naturali: non dipendono dall'attività consapevole dell'uomo, anche se riguardano la sua stessa
persona, quali la nascita, la morte...;
✔ umani: posti in essere da un soggetto di diritto.
Una prima distinzione tra gli atti giuridici è tra:
• atti leciti: non contrastano con l'ordinamento;
• atti vietati: costituiscono la violazione di un obbligo.
Tra gli atti leciti assume dominante rilievo la categoria degli atti negoziali nei quali le conseguenze
giuridiche sono quelle che appaiono volute dal soggetto.
Tra gli atti leciti caratterizzati da un'attività consapevole e volontaria si distinguono importanti categorie:
1. i negozi giuridici: costituiti da manifestazioni di volontà dirette a ottenere determinati effetti
giuridici, nei quali le modificazioni nelle situazioni giuridiche sono direttamente legate alla volontà
di chi pone in essere l'atto;
2. gli atti giuridici in senso stretto: atti umani leciti, giuridicamente rilevanti, che non sono
negozi, pur essendo il presupposto di vari effetti giuridici. Caratteristica comune ai vari atti di
questa categoria è data dal fatto che le conseguenze giuridiche non sono stabilite dalla volontà di
chi li pone in essere ma sono preordinate dalla legge.
3. Gli atti reali od operazioni materiali: caratterizzati dal fatto che la disciplina giuridica è dettata
in relazione ad un evento esteriore. La conseguenza giuridica è collegata all'accadimento;
4. la dichiarazione di scienza o di verità: si ha quando un atto ha la funzione di affermare ciò che
è o si sa (es. confessione).

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CAPO II. IL NEGOZIO GIURIDICO E IL CONTRATTO

SEZIONE I. IL NEGOZIO GIURIDICO IN GENERALE


I negozi giuridici sono manifestazioni di volontà rivolta a uno scopo pratico che consiste nella costituzione,
modificazione o estinzione di una situazione meritevole di tutela secondo l’ordinamento giuridico.
Il negozio giuridico è il mezzo con il quale si attua l’autonomia dei soggetti: il soggetto a seconda della
propria situazione giuridica potrà contrattare, dare procura o far testamento ecc. ma fin tanto che tali
facoltà restano in potenza non andranno a variare alcuna situazione. Tramite i negozi i soggetti possono
modificare i rapporti giuridici.
CLASSIFICAZIONE:
➢ Negozi tra vivi e mortis causa : I negozi mortis causa hanno efficacia con la morte di colui che
l’ha posto in essere. A tale categoria (testamenti) si contrappongono gli altri negozi tra vivi.
➢ Negozi unilaterali, bilaterali e plurilaterali : Secondo il numero delle parti che intervengono
nel negozio. (negozi unilaterali: dichiarazioni di volontà provenienti da una sola parte, es.
accettazione di eredità, rinuncia, procura)
➢ Negozi solenni e non solenni: Si distinguono i negozi per i quali è richiesta una determinata
forma pena la nullità (solenni); tale forma è richiesta per la validità del negozio (se manca il
negozio è nullo).
➢ Negozi gratuiti e onerosi: Nei primi un soggetto concede un vantaggio senza corrispettivo
(donazione) nel secondo c’è un corrispettivo (compravendita).
➢ Negozi di amministrazione e disposizione:
o Atti di ordinaria amministrazione: si conserva il patrimonio limitandosi a trarne i frutti.
o Atti eccedenti l’ordinaria amministrazione: implicano un mutamento che incide
sull’essenza economica del patrimonio attraverso vendite, donazioni, transazioni, ecc…(v.
art. 374).
o Atti di disposizione: atti di notevole importanza (art. 375) sottoposti a uno speciale e più
rigoroso regime (es. vendita di beni immobili, divisioni, transazioni, concordati,
costituzione di garanzie reali…).
ELEMENTI DEL NEGOZIO GIURIDICO:
1. Elementi essenziali :
o Comuni per tutti i negozi: uno o più soggetti, la volontà, forma di manifestazione della
volontà, causa.
o Richiesti solo per taluni: l’oggetto (dato dalla cosa + prezzo) per i negozi patrimoniali,
il rischio per l’assicurazione, la scadenza per la cambiale.
2. Elementi naturali: sono degli effetti giuridici che derivano dal negozio considerato (es. la
garanzia per vizi della cosa nella compravendita, il compenso nel mutuo o nel mandato).Sono
stabiliti dalla legge per i singoli tipi di negozi, non dalle parti, le quali, invece, nei limiti consentiti
possono escluderli.
3. Elementi accidentali: sono elementi apposti dalle parti sotto forma di clausole, che incidono
sulla disciplina legale senza intaccare il particolare tipo di negozio. Tra queste varie clausole
negoziali che, IN CONCRETO; esistono solo se espressamente volute, talune hanno una particolare
incidenza, trovandosi ripetute in corrispondenza a situazioni ricorrenti; esse sono la CONDIZIONE,
il TERMINE, il MODUS.
ELEMENTI ESSENZIALI
A) IL SOGGETTO
Il negozio è posto in essere da una o più volontà. Ci deve essere un autore dell’atto volitivo fornito della
capacità di agire. Il negozio produce le sue conseguenze rispetto ad almeno un altro soggetto: ci sarà
pertanto un titolare dell’interesse in questione, dotato della capacità di diritto (parte in senso sostanziale).
La parte (o centro d’interessi) può essere semplice o complessa (composta da una o più persone).
- La rappresentanza -
La legge concede a terze persone la legittimazione ad agire nell’interesse del soggetto che è titolare del
rapporto giuridico: la rappresentanza.
Nella rappresentanza la volontà di un soggetto interviene per il compimento di negozi giuridici valevoli
per altri. Non tutti i negozi possono essere compiuti per rappresentanza: non è ammessa per gli atti
personalissimi ( testamento)
° Rappresentanza diretta: Il rappresentante ha il potere di agire in nome e per conto del
rappresentato (o dominus), rimane estraneo alle conseguenze dell’atto compiuto e collabora alla
formazione della volontà del dominus (a differenza del messo o portavoce che trasmette solo la volontà).
 Rappresentanza indiretta: Il rappresentante agisce per conto, ma non in nome del dominus.
Dunque ricadono nella sfera giuridica del rappresentante le conseguenze dell’atto compiuto e
rimane responsabile nei confronti dei terzi.
N.B. Rappresentanza = potere conferito ad un soggetto di compiere atti produttivi di effetti in capo ad un
altro soggetto. Si manifesta anche nei rapporti tra il rappresentante e i terzi con i quali si viene a
contrattare ed essa non deve essere necessariamente espressa, potendo anche risultare indirettamente,
purchè in modo CERTO ed UNIVOCO, dalle circostanze del caso concreto o dalla struttura dell’atto.
Differisce dalla rappresentanza indiretta, la quale non si manifesta ai terzi e quindi non è rappresentanza;
ha rilevanza solo tra il dominus e chi agisce per lui, giacchè quest’ultimo agisce per conto – cioè
nell’interesse – ma non in nome del primo, che rimane in disparte.
La conseguenza è questa: colui che soltanto indirettamente agisce nell’interesse altrui acquista diritto o

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assume obbligazioni che ricadono entro la propria sfera giuridica , con l’obbligo personale di trasmettere
al dominus il risultato del suo agire, mentre egli rimane responsabile di fronte agli altri. Si viene pertanto
a costituire un fenomeno di interposizione di persona : interposizione reale.
Il potere di rappresentanza può trovare la sua fonte nella legge o nella volontà del dominus, per mezzo di
un negozio giuridico che è la procura.
- La procura –
La procura attribuisce un potere al rappresentante; questi, infatti, agendo in nome e per conto del
rappresentato, lo può impegnare nei confronti di altri soggetti. Pertanto il potere di rappresentanza ha
significato principalmente verso i terzi e solo di riflesso verso il rappresentato.
La procura è, quindi, un atto unilaterale rivolto ai terzi - ma non necessariamente in forma recettizia
– costitutivo di poteri: talora essa è compresa in altri negozi, come il mandato, talora sta a sé, ma in ogni
caso si distingue dal negozio nel quale può essere compresa. Il mandato può contenere o meno una
procura, ma si tratta comunque di negozi diversi, tanto sotto il profilo strutturale , quanto sul piano degli
effetti.
Il mandato è un contratto, cioè un atto bilaterale, dal quale deriva un obbligo per il mandatario di
compiere uno o più atti giuridici per curare l’affare che egli si è assunto.
Non è sempre necessario che la procura risulti da un documento, ma in ogni caso la procura conferita per
compiere un atto formale deve avere la forma richiesta per l’atto che il rappresentante ha il potere di
compiere (art. 1392). Es. per la compravendita di beni immobili sarà necessaria la procura scritta
(peraltro, per ottenere la trascrizione sarà altresì necessario l’atto pubblico, oppure l’autenticazione della
scrittura), per l’atto di fondazione la procura per atto pubblico ecc…
La modificazione o la revoca dei poteri deve essere portata a conoscenza dei terzi con mezzi idonei;
altrimenti non saranno opponibili ai terzi se non si prova che questi effettivamente le conoscevano (art.
1396).
Il falsus procurator è quel rappresentante che ha agito senza poteri o eccedendo i limiti della procura:i
terzi non acquistano diritti dal dominus ma neppure possono sottrarsi unilateralmente dall’affare
compiuto. E infatti:
 Il dominus può sanare con una ratifica, l’atto compiuto senza poteri in suo nome (art. 1399)
 Se il dominus non ratifica, il contratto è definitivamente inefficace. Il falsus procurator, sua volta,
avendo agito a nome altrui, non acquista la posizione di contraente in proprio; sarà responsabile
verso il terzo per i danni che questi abbia sofferto confidando nella validità (efficacia) del
contratto (art. 1398).
Ps. Netta è la distinzione tra fare l’atto di ratifica, con il quale si sana, di regola con effetti retroattivi (art.
1399), la mancanza di potere (mancanza di legittimazione come vizio a monte dell’atto) e la convalida
con la quale, invece, si sana - pure di regola con effetti retroattivi – un vizio intrinseco dell’atto (sanatoria
dell’annullabilità).
La procura può essere speciale quando riguarda un affare o una speciale categoria di affari e
generale, quando si estende a tutti gli affari del rappresentato e comprende di regola solo gli atti di
ordinaria amministrazione ( art. 1708). Può inoltre essere espressa, quando deriva da una dichiarazione,
o tacita quando deriva da un comportamento concludente.
I requisiti necessari per porre in essere una procura sono la capacità d’agire del dominus e la
capacità d’intendere e di volere del rappresentante quando agisce per il rappresentato (art. 1389).
Il negozio della procura è annullabile, qualora il rappresentante si trovi in una condizione di conflitto
d’interessi con il dominus rappresentato, su domanda di quest’ultimo, sempreché il conflitto stessi sia
riconoscibile dal terzo. (art. 1394). Parimenti è annullabile il negozio che il rappresentante abbia concluso
con se stesso.
Le cause di estinzione della procura sono la morte del rappresentato o del rappresentante, e la rinunzia
del rappresentante. E’ inoltre revocabile da colui che l’ha conferita.
Nel campo commerciale si distingue la figura dei rappresentanti commerciali, che sono:
 Gli institori: sono operatori preposti all’esercizio di tutta un’impresa o di un suo ramo per il
compimento degli affari che vi sono attinenti.
 I procuratori: ha il potere di rappresentare l’imprenditore concludendo contratti per lui ma senza
essere preposto all’esercizio di un’impresa
 I commessi: possono compiere solo quei negozi che sono in rapporto con le operazioni di cui sono
incaricati
ELEMENTI ESSENZIALI. LA VOLONTA’
L’elemento della volontà da vita al negozio giuridico purché essa non rimanga all’interno dell’animo del
soggetto ma venga dichiarata manifestandosi vera e seria (es. non è valida una dichiarazione fatta per
esempio scolastico oppure un contratto concluso sulle scene).
 Violenza assoluta: mira alla costrizione fisica della manifestazione della volontà (es. quando Caio
prende la mano di Tizio e la guida forzatamente a sottoscrivere una dichiarazione). In questo caso
il negozio è radicalmente nullo.
 Errore Ostativo: si a quando per distrazione, ignoranza del significato della parola in lingua
straniera il soggetto dice una cosa mentre ne voleva dire un’altra. In questo caso il negozio è
annullabile.
 Dissenso: si ha quando il destinatario di una dichiarazione ha dato la sua adesione fraintendendo
il vero contenuto del discorso
✔ se ha dato origine ad un apparente accordo la fattispecie corrisponde ad un errore ostativo e il
negozio è annullabile;

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✔ se ciascuna delle parti ha manifestato una volontà nell'equivoco si riconosce un vizio mortale
che porta alla nullità radicale del negozio
 Riserva mentale: si ha quando il soggetto dichiara ciò che tuttavia egli, nel suo interno, non vuole.
In questo caso il soggetto rimane vincolato alla sua dichiarazione.
L’accordo simulatorio è un negozio nel quale volutamente le parti dichiarano una volontà che non
corrisponde al loro reale comune volere. Il contrasto tra quanto voluto e quanto dichiarato è conosciuto e
voluto concordemente da entrambi i soggetti:
 Si ha simulazione assoluta quando si dichiara di volere mentre in realtà i due soggetti non
vogliono alcun negozio (es. si finge una cospicua donazione per figurare).
 Si ha simulazione relativa quando i contraenti vogliono porre in essere un negozio giuridico e
dichiarano invece di volerne fare un altro che copre il primo (es. si fa apparire una vendita dove in
realtà si fa una donazione).
o Particolare forma della simulazione relativa è la simulazione di persona che serve a
nascondere la vera persona con la quale si vuole contrattare. È un accordo simulatorio tra
tre persone, la terza è un prestanome con la quale si fa apparire di volersi obbligare e la
quale non assume alcune obbligazione.
Gli effetti della simulazione:
 Tra le parti:
➢ simulazione assoluta: il negozio non produce alcun effetto tra le parti;
➢ simulazione relativa: avrà valore giuridico il negozio dissimulato qualora risponda ai requisiti
di forma e di sostanza stabiliti dalla legge;
➢ simulazione di persona: il negozio avrà valore tra i soggetti che effettivamente lo vollero.
 I terzi che abbiano ricevuto pregiudizio dalla simulazione potranno invocare la circostanza che il
contratto è solo simulato che porterà, oltre alla nullità del negozio, anche alla possibilità di
avvantaggiarsi del contratto effettivamente voluto (es. la legge tutela il terzo che abbia contratto
in buona fede facendo salvo il suo acquisto, art. 1415).
 tutela concessa ai creditori delle parti che hanno concluso il negozio simulato:
➢ i creditori del simulato alienante avranno l'interesse a invocare il carattere fittizio
dell'alienazione, hanno cioè interesse a far cadere l'atto simulato in forza del quale sarebbe
diminuita la garanzia del loro credito per l'uscita di un ben dal patrimonio del loro debitore;
➢ i creditori del simulato acquirente hanno l'interesse di far considerare efficace l'atto di
acquisto che ha aumentato la consistenza patrimoniale del loro debitore.
Nel conflitto tra i creditori delle parti, i creditori del simulato alienante avranno la precedenza sui
creditori chirografari (non garantiti da pegno o ipoteca) del fittizio acquirente purché il loro credito
risulti anteriore all'atto simulato.
Il negozio indiretto ha come caratteristica la divergenza tra lo scopo pratico perseguito dalle parti e la
funzione tipica del negozio che viene posto in essere: essendo sostanzialmente voluto, ha piena validità e
la disciplina è quella del negozio posto in essere purché non costituisca frode alla legge o non serva a
realizzare motivi illeciti comuni.
Il negozio fiduciario si ha quando la dichiarazione di volontà risultante opera il trasferimento della
titolarità di un diritto, il cui esercizio viene limitato da un'intesa interna con la quale l'avente causa si
obbliga a esercitare il diritto in una maniera determinata.
Il trust è un istituto fiduciario che si attua quando un soggetto trasferisce la proprietà di tutti i propri beni,
o di una parte di essi, ad una società o ad una persona di fiducia che è tenuta ad amministrarli
nell'interesse di un terzo che gode di tutti i vantaggi e di tutte le utilità derivanti dalla loro gestione.
I vizi della volontà sono l’errore, la violenza e il dolo. Tali fattori non determinano contrasto tra la volontà e
ciò che appare esteriormente (come nella violenza assoluta) ma tra volontà formata e volontà ipotetica
quale sarebbe stata senza l'influsso di qualche elemento (es. violenza morale: per evitare un grave danno
minacciatogli, Tizio preferisce stipulare il contratto). Conseguenza dei vizi è l’annullabilità.
1. L’errore è una falsa rappresentazione della realtà che concorre a determinare la volontà del
soggetto:
o L’errore-vizio (o errore-motivo) indica che la falsa conoscenza influisca sulla volontà del
soggetto
o L’errore ostativo riguarda la manifestazione della volontà
Data le uguali conseguenze stabilite dalla legge (annullamento) non è necessario distinguere con
esattezza tali casi di errore. Inoltre l’errore può essere di due specie:
o L’errore di diritto che consiste nella falsa conoscenza o ignoranza della norma che ha
determinato la volontà del soggetto (L’errore di diritto non può essere invocato per
sottrarsi a un comando della legge. La falsa conoscenza della legge è fatta valere per le
conseguenza causate sul negozio concluso tra le parti e mira solo ad annullare gli effetti
giuridici del negozio stesso). L’errore di diritto è essenziale solo qualora verte su un
elemento che è stata la ragione unica o principale che ha indotto il soggetto a compiere
quel negozio. Non sono annullabili per errore sull'esistenza o sul significato di una norma:
matrimonio, accettazione dell'eredità, transazione, confessione.
o L’errore di fatto è essenziale quando riguarda:
 Sulla natura o sull’oggetto del negozio: credevo di dare in locazione e invece ho
sottoscritto un contratto di vendita, credevo di comprare grano e invece era un
altro prodotto.
 Sull’identità dell’oggetto della prestazione o sulla qualità dello stesso oggetto:

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credevo di comprare il grano di Sempronio e invece ho comprato il grano di


Tuscolano (riguarda la qualità dell’oggetto).
 Sull’identità e sulle qualità della persona (solo quando detta facoltà abbia un
rilievo essenziale, cioè quando il soggetto è addivenuto a contratto unicamente
per errore sulla persona): stipulo un contratto di Società con Caio credendolo un
facoltoso finanziere.
Requisito purché tali errori siano rilevanti per l’annullabilità del negozio sono l'essenzialità e la
loro riconoscibilità. (art. 1431 “Errore Riconoscibile. L’errore si considera riconoscibile quando, in
relazione al contenuto, alle circostanze del contratto ovvero alle qualità dei contraenti, una
persona di normale diligenza avrebbe potuto rilevarlo”).
2. La violenza è intesa come vizio della volontà, in quanto tale è riconducibile alla violenza morale
(diversa è la già vista violenza assoluta nella quale la coazione esclude la volontà). Il processo
formativo della volontà è alterato da una minaccia (volontà non libera) che renderà in negozio
annullabile. La minaccia deve essere di tale gravità da far temere un male ingiusto per se o i suoi
beni. La gravità del male si valuta con un duplice criterio:
o Elemento oggettivo: dato dal danno minacciato alle cose o alle persone
o Elemento soggettivo: dato dalla valutazione che ne fa la persona che subisce la violenza.
Non è rilevante il timore reverenziale o la minaccia di far valere un diritto (se non qualora esso sia
diretto a conseguire vantaggi ingiusti).
3. Il dolo consiste in quei raggiri o artifizi che vengono adoperati per ingannare una persona e per
approfittare dell’errore nel quale essa è caduta, allo scopo di farle compiere un negozio. Il dolo
che vizia il negozio giuridico è il dolus malus, mentre il dolus bonus è costituito dagli
accorgimenti, dalle esaltazioni pubblicitarie della propria merce, tollerate o ammesse nella vita
degli affari. È causa di annullabilità solo quando è stato decisivo per la determinazione della
volontà, cioè quando senza l'inganno il concludente non avrebbe prestato il consenso. Il dolo
incidente è quello che è servito unicamente a stabilire patti più gravosi, cioè quando il negozio si
sarebbe comunque concluso, ma a condizioni diverse; è causa dell'obbligo di risarcimento da
imporre alla parte in malafede.
ELEMENTI ESSENZIALI. LA FORMA
La forma è il modo di manifestazione della volontà negoziale. In alcuni casi la volontà negoziale si
manifesta con la realizzazione dello scopo (es. prendo il giornale e lascio la moneta sul banco), si parla di
negozi di attuazione o volontà. Negli altri casi la manifestazione di volontà si distingue in:
 Tacita: essa viene a esistere per mezzo di fatti dimostrativi, si tratta cioè di un contegno che
sarebbe incompatibile con una volontà diversa da quella che si traduce dai fatti stessi, il cui
significato deve essere univoco.
 Espressa: può essere manifestata con parole, scritti o cenni che abbiano lo scopo diretto della
dichiarazione. La dichiarazione deve essere riconoscibile da parte di terzi. In alcuni casi la
dichiarazione per produrre i propri effetti deve necessariamente essere ricevuta dal destinatario
(dichiarazione recettizia). L’uso di una precisa forma di manifestazione è imposto per determinati
atti giuridici. Ad esempio negli atti solenni è richiesta per tutti i negozi immobiliari, testamento e i
più importanti atti di famiglia a pena di nullità, art.1350. In altri casi la forma scritta è richiesta
non per la validità del negozio (ad substantiam) ma come mezzo di prova in giudizio della
avvenuta stipulazione (ad probationem). Rimane esclusa la prova per testimoni e presunzioni
semplici, basta un documento scritto anche posteriore dal quale risulti che una volontà si è
manifestata. Sono ammissibili confessione e giuramento.
ELEMENTI ESSENZIALI. LA CAUSA
Il potere riconosciuto alla volontà dei soggetti deve trovare nella sua esplicazione una giustificazione. La
causa così intesa, come ragione e funzione economico-sociale di ciascun negozio, non si deve confondere
con lo scopo individuale che induce il soggetto al negozio, cioè il motivo. Tutti coloro che stipulano una
compravendita perseguono lo stesso scopo pratico, che è quello di scambiare la cosa con un prezzo. La
causa va quindi distinta:
✔ dal motivo;
✔ dall'oggetto;
✔ dalla volontà.
Una volta che ci sia la volontà si presume che esista una causa. L'esistenza di una causa lecita è
elemento essenziale per la giuridica esistenza di ogni negozio. Il negozio astratto produce i suoi effetti
prescindendo dalla causa, essa viene in rilievo solo eventualmente o successivamente senza che ciò
impedisca l'efficacia del negozio. La differenza tra negozio illecito e atto illecito:
 Negozio illecito: non produce gli effetti che si vorrebbero, comporta la nullità del negozio. Esso è
illecito quando ne è illecita la causa, quando ne è illecito il motivo perseguito dalle parti oppure
quando sono illeciti la condizione o l’oggetto. L'illiceità si ha quando uno di tali elementi è
contrario a norme imperative, all'ordine pubblico o al buon costume.
 Atto illecito: comporta l’obbligo di risarcimento, produce cioè un effetto giuridico non voluto.
Gli atti di liberalità (donazione, istituzione di erede, legato) sono nulli quando illecito è il motivo
determinante che sia unico ed espresso, i contratti sono nulli quando il motivo illecito sia unico e comune
ad entrambe le parti.
SEZIONE II. GLI ELEMENTI ACCIDENTALI DEL NEGOZIO GIURIDICO
I soggetti sono liberi di fissare tutte le clausole che essi stimano convenienti. La pratica negoziale conosce
alcune clausole applicabili a quasi tutti i negozi e sono: la condizione, il termine e il modus, tali clausole

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vengono dette elementi accidentali poiché possono far parte oppure no di un negozio ma una volta
dedotti, tali elementi acquistano rilevanza come parte integrante della volontà. Alcuni atti non ammettono
tali aggiunte e vengono chiamati actus legitimi o negozi giuridici puri (es. matrimonio, accettazione
dell’eredità).
LA CONDIZIONE
La condizione costituisce una limitazione agli effetti giuridici del negozio che si fanno dipendere dal
verificarsi di un evento futuro e incerto (art. 1353). Differisce dalla condizione legale o tacita che indica un
presupposto dal quale la legge fa dipendere l'efficacia dell'atto (es. morte nei confronti del testamento) e
dalla presupposizione che è una condizione non sviluppata che ricade fra gli elementi che influiscono sulla
determinazione volitiva ('si vuole perché si ritiene che'). Non possono costituire condizione gli
avvenimenti presenti o passati anche se ignorati dalle parti (manca lo stato di incertezza obiettiva) ne
tanto meno accadimenti futuri ma sicuri (in quel caso avremo un termine e non una condizione):
 Giorno incerto, evento incerto: il giorno delle nozze di Tizio – CONDIZIONE
 Giorno certo, evento incerto: quando Tizio diverrà maggiorenne – CONDIZIONE
 Giorno incerto, evento certo: quando Tizio morirà – TERMINE
 Giorno certo, evento certo: il 20 marzo 2004 – TERMINE
Le condizioni possono essere:
✔ sotto il profilo degli effetti che ne derivano:
◦ Sospensive: sospendono fino all'avverarsi dell'evento il sorgere dell'effetto giuridico
◦ Risolutive: eliminano il rapporto scaturito dal negozio condizionato
✔ rispetto alla causa produttrice dell'avvenimento:
◦ Potestative: l'avverarsi dell'evento dipende dalla volontà di una parte (differisce dalla
condizione meramente potestativa o arbitraria che ha riguardo alla pura volontà del soggetto)
◦ Casuali: se il fatto dipende dal caso o da terzi
◦ Miste: se la volontà del soggetto e un elemento estraneo concorrono a produrre l'evento.
Negli atti tra vivi la condizione:
• illecita sia sospensiva che risolutiva rende nullo il negozio;
• impossibile
◦ sospensiva: rende nullo il negozio;
◦ risolutiva: si considera non apposta.
Negli atti di ultima volontà le condizioni impossibili o illecite si considerano come mai apposte (regola
sabiniana) salvo che costituiscano l'unico motivo che ha indotto il testatore a disporre, in questo caso la
nullità investe la disposizione testamentaria (art.634).
Ci sono due periodi di tempo:
• quello in cui è incerto il verificarsi dell'evento;
• quello in cui subentra una situazione di certezza in quanto:
◦ la condizione è mancata;
◦ la condizione si è verificata.
Durante la pendenza, la condizione è sospensiva: il diritto non nasce, si trova in uno stato di aspettativa
che si tramuterà in diritto al verificarsi dell'evento.
Se la condizione mancata è:
• sospensiva: il diritto non sorge;
• risolutiva: il diritto si consolida e rimane definitivo.
Se la condizione che si verifica è:
• sospensiva: il diritto si considera come fosse nato incondizionato;
• risolutiva: il diritto è come se non fosse mai sorto.
L'avverarsi della condizione ha efficacia retroattiva ex tunc.
IL TERMINE
Il termine è un momento dal quale cominciano a verificarsi (termine di adempimento), o fino al quale
durano (termine di efficacia), gli effetti giuridici del negozio. Si distingue dalla condizione perché si
riferisce a un avvenimento futuro e certo. Esplica la sua efficacia ex nunc: non vengono distrutti gli effetti
prodotti prima della scadenza. Quando il periodo di tempo è compiuto si dice che si ha scadenza del
termine, mentre il tempo corre durante il periodo necessario per il suo verificarsi. Il termine si presume a
favore del debitore: può se vuole adempiere prima del termine di esigibilità. Se è a favore del creditore
esso è legittimato ad esigere la prestazione prima della scadenza (termine di eseguibilità). Art. 1186 il
debitore perde il beneficio del termine e il creditore può chiedere subito la prestazione se esiste un
pericolo che minaccia i soddisfacimento del credito:
1. per sopraggiunta insolvenza del debitore;
2. per diminuzione delle garanzie reali o personali;
3. per mancata prestazione delle garanzie promesse.
Termine essenziale: la prestazione è dovuta per un momento ben preciso in modo che una prestazione
successiva non possa più farsi o non avrebbe più valore. Il mancato rispetto di tale termine importa
risoluzione del contratto ipso iure.
IL MODUS
Il modus, o onere, è un peso imposto dall'autore di un atto di liberalità a carico del beneficiario; consiste
nel destinare una parte del vantaggio della liberalità a scopi di pubblica utilità o a favore di terze persone

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estranee al negozio oppure per un interesse cui non corrisponde un destinatario con personalità giuridica.
Il modus si distingue dalla condizione perché costituisce un atto volitivo accessorio e la disposizione
principale viene attuata senza attendere l'adempimento dell'onere (obbliga ma non sospende). Il
beneficiario di una disposizione a titolo particolare (legato o donazione) non è tenuto nell'esecuzione del
suo obbligo oltre il valore di ciò che ha ricevuto. Chiunque abbia interesse può agire per ottenere
l'adempimento dell'onere.
Se l'onere non viene adempiuto l'atto di liberalità non cade, ma chiunque abbia interesse può agire per
ottenere l'adempimento dell'onere. Il modus impossibile o illecito è nullo e la disposizione di liberalità
rimane valida.
SEZIONE III. PATOLOGIA DEL NEGOZIO
Sono tutti quei casi nei quali la deviazione dalle regole di vita del negozio porta un vizio che può essere
mortale. Le conseguenze del vizio variano a seconda di quando esso si rivela:
 Se il negozio è nato male: nullo, annullabile o rescindibile
 Se il vizio si manifesterà nella vita del rapporto: risolubile
Principio di conservazione: tendenza legislativa alla conservazione di efficacia degli atti giuridici. Non tutti
i negozi viziati diventano inefficaci, infatti talora un negozio è valido anche se concluso in contraddizione
con qualche comando legislativo (la sanzione non consiste nella nullità dell'atto ma in una pena). Diremo
che il negozio è nullo se manca il soggetto ed è inefficace se il soggetto non è legittimato (es. la vendita
immobiliare è nulla se manca la forma scritta, è inefficace se il venditore non è proprietario
dell'immobile). Il termine inefficacia indica tutti i casi in cui il negozio non produce i suoi effetti, si
distingue tra:
• inefficacia temporanea: il negozio, pur valido, non raggiunge la sua efficacia normale o la
raggiungerà solo in un secondo tempo;
• inefficacia relativa: si manifesta rispetto ad alcuni soggetti.
LA NULLITA'
La forma più grave di invalidità del negozio è la nullità, essa può essere fatta valere da chiunque ne abbia
interesse. Il negozio nullo è come non fosse mai esistito. A norma dell'art. 1418 l'atto è nullo quando
manchi uno dei requisiti essenziali del negozio o quando il negozio sia contrario a norme imperative o
illecito. Non è richiesto che la sanzione di nullità sia testuale, può essere anche solo virtualmente
contenuta nel sistema e può essere rilevata d'ufficio. Le cause possono essere:
 riguardo al soggetto: mancanza di capacità giuridica
 riguardo alla volontà: dichiarazione fatta senza intenzione, violenza fisica assoluta, malinteso,
incapacità assoluta ecc.
 riguardo alla forma: mancanza della forma richiesta ad substantiam
 riguardo alla causa: causa mancante o illecita, motivo illecito determinante
 riguardo al contenuto: oggetto mancante, impossibile, illecito, indeterminato e indeterminabile.
Regole per la dichiarazione di nullità: la nullità opera di diritto, il giudice sarà eventualmente chiamato ad
accertare che l'atto sia nullo con una sentenza dichiarativa, ma può anche essere rilevata senza domanda
di parte, ossia d'ufficio. L'azione per far dichiarare la nullità è imprescrittibile. Per la nullità non è
ammessa la convalida. L'accertamento della nullità ha effetto retroattivo ex tunc nei confronti delle parti e
dei terzi. Tutto quanto sia dato in esecuzione di un contratto nullo deve essere restituito (restitutio in
integrum); la regola non vale per l'incapace che deve restituire solo ciò che è stato rivolto in suo effettivo
vantaggio. La conversione di un negozio nullo avviene senza una nuova volontà, ma utilizzando gli
elementi validi dell'atto ed eliminando quelli invalidi. Essa può essere:
• formale: il negozio che aveva un difetto di forma si tramuta in un altro di uguale contenuto e con
gli stessi effetti, sempre che per quest'ultimo la forma sia sufficiente;
• sostanziale: il negozio invalido non si sana, ma si trasforma in un altro con effetti più ristretti nel
presupposto che se le parti avessero conosciuto l'invalidità del primo, avrebbero voluto
ugualmente il negozio nei nuovi termini.
L'ANNULLABILITA'
La figura dell'annullabilità prevede che l'atto esiste e può anche produrre i suoi effetti, ma è data facoltà a
un soggetto di chiederne l'annullamento, eliminando retroattivamente ogni diretta conseguenza. Tale
situazione di pendenza può cessare con:
 l'annullamento e l'atto si toglie di mezzo;
 con la prescrizione dell'azione di annullamento (5 anni, art. 1442).
 con la convalida e l'atto rimane pienamente efficace (1444)
o convalida espressa: dichiarazione dell'intento di sanare con espressa indicazione dell'atto
e del motivo dell'invalidità;
o convalida tacita: esecuzione volontaria dell'atto annullabile, è legittimato a convalidare il
negozio colui che potrebbe chiedere l'annullamento.
I casi di annullamento previsti testualmente sono (1425):
 riguardo ai soggetti: per incapacità di agire, per incapacità d'intendere e di volere
 riguardo alla volontà: per errore ostativo o errore nella trasmissione.
L'annullamento dell'atto annullabile è pronunciato con sentenza costitutiva, su domanda della parte
legittimata(annullabilità relativa). Ci sono casi di annullabilità assoluta quando l'annullamento può essere
fatto valere da chiunque vi abbia interesse (per l'annullamento del testamento e in alcuni casi di
annullamento del matrimonio). La pronuncia dell'annullamento è retroattiva e i suoi effetti si attuano
verso tutti, anche terzi, solo se esso dipende da incapacità legale. Per le altre cause i suoi effetti non sono

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opponibili ai terzi che hanno acquisito diritti a titolo oneroso in buona fede da colui contro il quale
l'annullamento è richiesto e pronunziato.
Qualora ci sia un contrasto tra la dichiarazione e la volontà di un soggetto essa verrà risolta in modo
diverso in base alla tipologia di negozio. In alcuni negozi quali matrimonio, testamento e donazione viene
dato particolare rilievo alla ricerca della volontà mentre in tutti gli altri il legislatore si è ispirato al
principio dell’affidamento. Affidamento vuol dire protezione in buona fede. Esempio classico
dell’affidamento è quando Tizio vende a Caio il suo fondo, ma l’atto è annullabile per violenza morale, se
poi Sempronio compra da Caio ignorando il vizio del titolo di quest’ultimo, il successivo annullamento
della prima alienazione non potrà essergli opposto. Quindi Sempronio, che aveva acquistato in buona fede
rimarrà proprietario di ciò che aveva acquistato; questo vale solo se il titolo era annullabile, non se fosse
stato radicalmente nullo e non se l'annullabilità deriva da incapacità legale.
LA RESCISSIONE
La rescissione è un istituto che tutela gli interessi che possono venir lesi dal negozio tramite la violazione
di un criterio di giustizia o di equità. Rivela l'esistenza di un generico obbligo per l'attività negoziale di non
abusare dell'altrui bisogno per trarne vantaggi abnormi. I casi di rescissione sono due:
 L’art. 1447: obbligazioni a condizioni inique per la necessità nota alla controparte di salvare se o
altri da pericolo imminente di un danno grave alla persona (es. chi sta per affogare promette di
tutto al suo salvatore)
 L’art. 1448: obbligazioni concluse con una persona che si trovi in stato di bisogno che accetta di
concludere un negozio nel quale si riscontrino i seguenti tre presupposti:
o Il valore della prestazione supera il doppio del valore della controprestazione ( lesione
obiettiva di oltre il 50% accompagnata da)
o Dall’abuso che compie una delle parti (consapevolezza della situazione della controparte)
o Dello stato di bisogno della controparte.
Il risultato della rescissione è molto simile a quello dell’annullamento, libera dall’obbligo di adempiere alle
prestazioni non eseguite e fa restituire quanto già adempiuto. Il negozio rescindibile non potrà essere
convalidato da un successivo atto di volontà del soggetto che lasci perdurare lo stato di squilibrio dei
valori. L’azione si prescrive in un anno. Tale rimedio non è ammesso per i contratti aleatori. Il contraente
contro il quale è domandata la rescissione può evitarla offrendo una modifica del contratto che lo
riconduca ad equità. Di regola non pregiudica i diritti acquistati dai terzi.
SEZIONE IV. I CONTRATTI IN GENERALE
Il contratto è l’accordo di due o più parti per costituire, regolare o estinguere tra loro un rapporto giuridico
patrimoniale (art. 1321). Il diritto riconosce l’obbligatorietà dei patti e presta le sue sanzioni per far
rispettare il risultato di un libero accordo. I soggetti devono osservare i comandi imposti dalla legge tanto
quanto i precetti che essi stessi hanno volontariamente stabilito. L'autonomia privata, autocomando dei
singoli, è riconosciuta con forza di legge. Tale libertà è regolamentata dall’art. 1322 che definisce il
concetto di autonomia contrattuale secondo il quale le parti si vincolano unicamente se lo vogliono
(libertà di contrarre), danno ai loro accordi il contenuto che vogliono (libertà contrattuale).
Le parti possono seguire uno degli schemi tipici previsti e regolati dalla legge (contratti nominati) o
possono concludere contratti che non trovano un’espressa disciplina nella legge (contratti innominati).
L'interesse perseguito dalle persone che concludono un contratto atipico deve essere meritevole di tutela
secondo l'ordinamento giuridico. Al generale requisito della causa del contratto nominato corrisponde la
meritevolezza degli interessi perseguiti nei contratti innominati. Il contratto misto: è un modo per
considerare la realtà di una varia composizione negoziale, rappresenta la riunione in un unico atto di
elementi di più tipi contrattuali volendo le parti perseguire insieme le cause di diversi contratti nominati.
Mediante i contratti normativi i contraenti dettano le regole che saranno vincolanti per i loro eventuali
futuri rapporti senza che sorgano immediatamente legami di diritto-obbligo.
I requisiti del contratto sono: l’accordo delle parti, la causa, l’oggetto e la forma quando prescritta o pena
la nullità (art. 1325).
L’ACCORDO TRA LE PARTI
Il codice non parla di persone ma di parti in quanto anche più persone possono raggrupparsi in un unico
centro d’interessi che costituisce la parte. Il contratto è formato quando c’è il consenso di tutte le parti,
ovvero quando si trova il punto d’incontro tra gli opposti interessi dopo trattative liberamente condotte.
L'art. 1395 dichiara annullabile il contratto con se stesso, tale regola non si applica:
• quando ci sia un'autorizzazione specifica del rappresentato;
• quando il contenuto del contratto sia determinato in modo da escludere la possibilità del conflitto
d'interessi.
Per arrivare all’accordo è necessario che ci siano due manifestazioni di volontà:
 Proposta (o offerta): è la dichiarazione che contiene tutti gli elementi del contratto, emessa
manifestando l’intenzione di obbligarsi, di regola deve dirigersi ad un destinatario.
 Accettazione: dichiarazione diretta al proponente, deve essere definitiva, incondizionata e
pienamente conforme alla proposta. L’accettazione perfezionerà il contratto purché essa arrivi in
un congruo termine stabilito dal proponente o quello necessario per la natura degli affari o degli
usi.
La maggior parte dei contratti si conclude tra persone che si trovano nello stesso luogo, ma i contratti si
formano anche tra persone lontane (per lettera, per mezzo di messi o altri modi). In quest’ultimo caso ha
maggiore rilevanza il momento in cui si deve considerare concluso il contratto. L’art. 1326 stabilisce che il
contratto è concluso nel momento in cui chi ha fatto la proposta ha conoscenza dell’accettazione dell’altra

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parte. (La presunzione legale di conoscenza considera proposta, accettazione, revoca e ogni altra
dichiarazione conosciute nel momento in cui giungono all’indirizzo del destinatario). Nei contratti che
richiedono una forma scritta, proposta e accettazione devono essere redatte per iscritto: non è invece
necessaria la contestualità. Con l'esecuzione diretta del destinatario della proposta il contratto si presume
essere già stato accettato. La proposta può essere fatta con un'offerta al pubblico che contenga tutti gli
elementi del contratto alla cui conclusione è diretta: non può essere revocata se non nelle stesse forme
dell'offerta o in forme equivalenti. Fino al momento in cui il contratto non si perfeziona, il proponente può
revocare la proposta purché tale revoca sia emessa prima che il proponente abbia conoscenza
dell’accettazione. Se nel frattempo l'accettante, dopo aver spedito l'accettazione, ha intrapreso in buna
fede l'esecuzione del contratto ha diritto all'indennizzo delle perdite subite. L'accettazione può essere
revocata senza responsabilità solo se la revoca giunge a conoscenza del proponente prima
dell'accettazione.
Per la chiarezza dei rapporti, la legge riconosce la proposta irrevocabile che può risultare da un atto
unilaterale (proposta ferma, art. 1329: il proponente con atto unilaterale si impegna a non revocare la
propria proposta per un certo periodo di tempo), da contratto (patto di opzione: le parti convengono che
una di esse rimane vincolata alla propria dichiarazione e l'altra ha la facoltà di accettarla o meno) o dalla
legge (quando la proposta impone obblighi a carico del solo proponente: fideiussione, art. 1333. è
irrevocabile la proposta diretta alla conclusione di ogni contratto che importi obbligazioni a carico del solo
proponente. Se il destinatario non rifiuta la proposta entro il termine richiesto dalla natura dell'affare o
dagli usi il contratto è concluso).
L'atto unilaterale recettizio, che non richiede accettazione, diventa efficace nel momento in cui la
dichiarazione perviene a conoscenza del destinatario (1334), conoscenza che si presume nel momento in
cui la dichiarazione giunge all'indirizzo del destinatario.
Per il contratto unilaterale: la conoscenza della proposta è un impedimento alla revoca, non si
producono effetti senza l'accettazione espressa o tacita, il contratto è concluso se la proposta non viene
rifiutata nel termine richiesto dalla natura degli affari o dagli usi.
Per la conclusione del contratto è necessario la presenza contemporanea delle volontà di tutte le parti.
Per motivi particolari la legge ammette due eccezioni riconoscendo che la proposta continui ad aver
valore per la conclusione del contratto anche dopo la morte del proponente o sopravvenuta incapacità:
 Quando la proposta è stata fatta irrevocabilmente
 Quando la proposta è stata fatta da un imprenditore nell’esercizio della sua impresa.
Nei contratti reali si chiede, in aggiunta allo scambio dei consensi, anche la consegna della cosa.
Spesso la conclusione del contratto è preceduta da lettere d’intenti, progetti di contratto, minute di
contratto e contratti preliminari. Per quanto riguarda il contratto preliminare, con il quale i soggetti
s’impegnano a stringere un dato rapporto tra loro, è un vero contratto con il quale sorgono obbligazioni di
facere per le parti di un consenso da prestare. Preliminare improprio: contratto definitivo di immediata
efficacia, con l'impegno di riprodurre il consenso in una forma particolare. Se una parte non osserva
l'obbligo assunto dal contratto preliminare la parte disposta ad adempiere può chiedere una sentenza che
produrrà gli effetti del contratto che non viene concluso (sentenza costitutiva); è quindi un rapporto
contrattuale che nasce da una sentenza. L’art. 1337 obbliga le parti, “nello svolgimento delle trattative e
nella formazione del contratto, devono comportarsi secondo buona fede”. E’ definita infatti responsabilità
precontrattuale, il comportamento scorretto nella fase preparatoria per la conclusione dell’accordo es.
colui che agisce senza averne i poteri. Il risarcimento per tale violazione è limitato ai così detti interessi
negativi che corrispondono alla diminuzione patrimoniale che il soggetto non avrebbe subito se non
avesse contratto o non avesse fatto affidamento sullo stato delle trattative e al vantaggio che avrebbe
altrimenti conseguito con altro contratto (es. avrebbe venduto ad altri o comperato da altri lo stesso
oggetto in momento favorevole).
QUALIFICAZIONE DEL CONTRATTO E INTERPRETAZIONE
La qualificazione, cioè la determinazione dei criteri che il giudice deve seguire per qualificare come
dell'uno o dell'altro tipo di contratto che gli sia sottoposto, è materia sottratta all'autonomia: la legge si
applica alle situazioni oggettive, oggetto e causa, e il giudice deve procedere d'ufficio alla qualificazione
indipendentemente dal nomen usato dalle parti. Egli dovrà valutare l'intenzione secondo il contenuto
dell'accordo quale gli risulta in seguito alla propria attività interpretativa e lo qualificherà per la
determinazione del tipo di contratto le cui norme saranno da applicare in concreto. Nella ricerca delle
effettive intenzioni dei contraenti il giudice deve indagare quale fu l'intento pratico, concreto, perseguito
dalle parti.
LA LIBERTA’ CONTRATTUALE
I privati sono liberi di stabilire se, con chi e a quali condizioni contrattare, nonché di decidere quale
contenuto dare al regolamento negoziale destinato a disciplinare i rapporti contrattuali che si instaurano.
• Ipotesi di limitazioni alla libertà di decidere se emettere o meno la dichiarazione di volontà
destinata a dar vita all'unitario negozio contrattuale: il soggetto si trova ad essere giuridicamente
obbligato ad accettare o rifiutare la conclusione di un contratto. Le fonti di queste limitazioni
possono essere la legge o un negozio precedentemente concluso dal soggetto.
• Ipotesi di limitazioni alla libertà di stabilire con chi instaurare il rapporto contrattuale es. quando
sussiste un diritto di prelazione di fonte legale o convenzionale.
• Ipotesi di limitazioni alla libertà delle parti di decidere i contenuti del regolamento negoziale
destinato a disciplinare il rapporto tra loro instaurato con la stipulazione. Spesso la limitazione si
sostanzia nel divieto di inserire nel regolamento negoziale determinate clausole.

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• Ipotesi nelle quali la libertà dei privati di decidere i contenuti del contratto in concreto risulta
fortemente limitata se non azzerata: contrattazione per adesione, che si ha quando è solo una
delle parti a determinare il contenuto del contratto, l'altra può solo accettare sottostando alle
condizioni. La contrattazione per adesione si dice standardizzata quando il regolamento negoziale
imposto da una delle due parti viene impiegato 'in serie' per regolamentare con modalità sempre
identiche una pluralità di rapporti contrattuali dello stesso tipo. Quest'ultimo tipo, impiegato
soprattutto nei contratti tra imprese o imprese e consumatori implica una minor perdita di tempo,
meno spese e una maggior razionalizzazione dell'attività con i rischi di una conoscenza sommaria
dei contenuti e di abusi da parte delle imprese predisponenti.
DISCIPLINA DELLE CONDIZIONI GENERALI DI CONTRATTO
Sono le clausole predisposte unilateralmente per disciplinare in modo uniforme una pluralità di rapporti
contrattuali dello stesso tipo.
Art.1341 c.1 affinché le condizioni generali predisposte da uno dei contraenti producano effetto nei
confronti dell'altro, necessario e sufficiente è che quest'ultimo, al momento della conclusione del
contratto, sia stato posto in condizione di conoscerne i contenuti (per via telematica per consentirgli la
memorizzazione e la riproduzione). Soddisfatto questo requisito le clausole predisposte entrano a far
parte del regolamento negoziale. Tali clausole restano interne al soggetto che le predispone e non
vengono riprodotte in un testo contrattuale destinato ad essere sottoscritto dalle parti.
Nell'art.1342 si prevede un modulo con clausole predisposte per la sottoscrizione di entrambe le parti e
quindi per una per una formale accettazione espressa.
L'art.1341 c.2 contiene un elenco tassativo di tutta una serie di clausole, ritenute particolarmente
onerose, che per produrre effetto nei confronti del contraente che abbia aderito alle condizioni generali di
contratto nelle quali esse siano inserite devono essere specificamente approvate per iscritto. Sono sono
presenti più clausole ivi elencate è sufficiente che l'aderente apponga un'unica sottoscrizione in calce ad
una dichiarazione prestampata recante la manifestazione della sua volontà di accettare tutte le clausole
'vessatorie' presenti nel regolamento negoziale. Se l'aderente non le ha sottoscritte sono da considerarsi
nulle ferma restando la validità della restante parte del contratto.
L'art.9 L.192/1998 impone all'impresa il divieto di abuso dello stato di dipendenza economica di un'altra
impresa nei suoi confronti: sono quindi nulle tette le clausole ingiustificatamente gravose o
discriminatorie.
Due regole d'interpretazione:
• le clausole aggiunte per iscritto dalle parti valgono sulle precedenti anche se quelle prestampate
non sono state cancellate (art.1342 c.2)
• se la formulazione di una clausola è ambigua si fa prevalere il significato più favorevole
all'aderente (1370).
CONCETTO DI CORRISPETTIVITA' DELLE PRESTAZIONI
Il risultato del contratto spesso non è così giusto come si vorrebbe in astratto e mossi da preoccupazioni
di giustizia, gli organi legislativi interni intervengono nella valutazione del contenuto contrattuale. Dal
fatto che l'usura è un reato si deduce la nullità radicale dei contratti derivanti dallo sfruttamento di
situazioni che abbiano permesso un insopportabile squilibrio tra prestazione e controprestazione. Inoltre
all'art.33 del Codice del consumo si stabilisce che le clausole inserite in un contratto concluso da un
consumatore con un professionista che determinano, a carico del consumatore, uno squilibrio significativo
dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto, sono da considerare vessatorie e di conseguenza nulle.
GLI EFFETTI DEL CONTRATTO
Il contratto ha forza di legge tra le parti (1372). Il contratto è contemporaneamente un atto giuridico e un
regolamento: crea un rapporto e ne dà la disciplina. Dal contratto derivano conseguenze personali
(costituisce, modifica o scioglie un vincolo obbligatorio) ed effetti reali. Dopo che un diritto è stato
alienato a una terza persona, il dante causa si trova privato di ogni potere al riguardo e l’acquisto di un
secondo avente causa dovrebbe essere inefficace, come acquisto da soggetto non legittimato. Ma la
legge adotta diversi criteri per dirimere il conflitto tra più aventi causa dello stesso autore:
 Se si tratta di acquisto di un diritto immobiliare: è preferito chi per primo ha trascritto l’atto
 Se si tratta di un bene mobile: è preferito chi per primo ha ricevuto il possesso in buona fede
 Se si tratta di un credito, tra più concessionari è preferito chi per primo ha notificato la cessione al
debitore (o chi per primo ha ricevuto l'accettazione del debitore stesso)
 Se si tratta di un diritto personale di godimento: è preferito il contraente che per primo lo ha
conseguito.
Solo dove non ci sia uno di questi criteri di preferenza vale la regola della priorità nella conclusione del
contratto.
Il contratto ha il contenuto che le parti hanno voluto, e si esegue come esse hanno stabilito. Integrazione
del contenuto negoziale: il contenuto del contratto è integrato per forza di legge da molte clausole d'uso,
clausole cioè che si intendono consuetudinariamente inserite. Integrazione degli effetti del contratto per
una completa disciplina del rapporto: quando le parti non hanno previsto e provveduto, si applica la
legge; dove manca la legge si ricorre agli usi; se nemmeno gli usi danno la regola, si troverà una
soluzione secondo equità. Il contratto come vincolo giuridico impone un'osservanza, esso deve essere
eseguito secondo buona fede (1375). Ciascuna parte deve comportarsi in modo da evitare alla
controparte dei danni che pur non entrano nella specifica previsione di obblighi (si parla di un dovere di
protezione). L'inadempimento degli obblighi sorgenti dal contratto costituisce l'ipotesi tipica di
responsabilità contrattuale.

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RELATIVITA' DEI CONTRATTI


Per relatività di un contratto si intende la limitazione degli effetti contrattuali rispetto ai soggetti.
Gli eredi, continuatori della personalità giuridica del loro autore, subentrano in tutti i suoi rapporti
patrimoniali.
Gli aventi causa, o successori a titolo particolare, subentrano nella posizione patrimoniale loro ceduta e
quindi risentono i soli effetti del contratto in base al quale il loro dante causa ha acquistato il diritto.
Terzo è colui che rimane estraneo al contratto.
Gli effetti diretti del contratto sono di regola quelli voluti e che non toccano i terzi, mentre toccano i terzi
gli effetti riflessi o le conseguenze del contratto.
Si ha contratto per persona da nominare (artt.1401 e ss.) quando una parte, nella conclusione
dell'accordo, si riserva la facoltà di nominare successivamente la persona destinata ad acquistare i diritti
e assumere gli obblighi nascenti dal contratto. La dichiarazione di nomina del contraente definitivo
(electio amici) deve essere comunicata alla controparte entro il termine fissato dai contraenti (e, in
mancanza, dopo 3 giorni), accompagnata dall'atto di accettazione della persona nominata oppure dalla
procura anteriore al contratto. In assenza di una electio amici valida, il contratto produce i suoi effetti tra i
contraenti originari. Fatta validamente l'electio amici, la persona nominata acquista tutti i diritti e assume
gli obblighi con effetto retroattivo del momento in cui il contratto fu concluso: assume ex tunc la posizione
del contraente.
Contratto a favore di terzi (1372) la legge dichiara generalmente valido ed efficace il contratto
stipulato a favore di un terzo, purché lo stipulante vi abbia un interesse. Il terzo (beneficiario) non diventa
parte del contratto, ma acquista un diritto di credito nei confronti del promittente, in virtù del contratto
concluso tra lo stipulante (colui che vuole procurare il vantaggio al terzo) e il promittente (colui che dovrà
eseguire la prestazione nei confronti del terzo). Il terzo può accettare o rinunciare al diritto, se dichiara
alle parti di volerne approfittare, la stipulazione diviene irrevocabile: fino al momento dell'accettazione lo
stipulante può revocare la destinazione del suo atto. Se la prestazione deve essere eseguita dopo la
morte dello stipulante, il beneficio è revocabile anche per testamento. Revocata la stipulazione o
dichiarato il rifiuto di volerne approfittare, il promittente sarà obbligato nei confronti dello stipulante, salvo
che le parti non abbiano stabilito diversamente.
Promessa del fatto di un terzo: si può promettere ad altri la prestazione o l'azione di una terza
persona ma naturalmente non si può costringere il terzo ad eseguire la prestazione promessa. Se il terzo
aderisce nulla quaestio, nel caso contrario il promittente è tenuto ad indennizzare l'altro contraente al
quale viene fatta la promessa e su di lui ricade la responsabilità della dimostrazione di aver fatto il
possibile per indurre il terzo a compiere la prestazione promessa. Si tratta in sostanza di un'assunzione di
garanzia.
INTERPRETAZIONE DEL CONTRATTO E DEL NEGOZIO IN GENERALE
L'interpretazione è autentica quando viene compiuta dalle parti per mezzo di un successivo negozio di
accertamento. Art.1362 stabilisce che nell'interpretare il contratto si deve indagare quale sia stata la
comune intenzione dei contraenti. La differenza tra questo articolo e l'art.12 delle disposizioni preliminari,
dov'è scritto che nell'interpretazione della legge si deve ricercare il senso fatto palese dal significato
proprio delle parole e dalla intenzione del legislatore, è che con l'interpretazione della legge si mira a
chiarire il senso di un testo, con l'interpretazione del negozio privato si ricerca una volontà ricorrendo alle
sue varie espressioni e manifestazioni. La volontà legale è impersonale, obiettivata in un testo e precisata
dall'esistenza di tutte le altre norme dello stesso ordinamento, con le quali va collegata. La volontà
negoziale è una volontà puntuale, cioè propria dell'agente, rispetto alla quale la formula usata
rappresenta solo un modo di esprimersi. Ciò che si deve ricercare è il voluto e la volontà da apprezzare è
quella che si rivela nel comportamento esteriore.
Un primo gruppo di norme che mirano a interpretare e a ricostruire la volontà espressa (artt.1362-1365)
appartengono alla interpretazione storica, soggettiva o in concreto. Un secondo gruppo di regole dettate
per sciogliere ulteriori dubbi (artt.1367-1371) appartengono alla interpretazione oggettiva il cui fine
generale è di determinare, nell'incertezza, un congruo significato della clausola o dell'intero contratto. Il
secondo gruppo trova applicazione solo quando i criteri offerti dal primo non siano valsi a dare un
significato privo di dubbi. L'art.1366 impone l'obbligo dell'interpretazione secondo buona fede, che è
l'interpretazione onesta.
Principio della conservazione del contratto: nel dubbio le clausole del contratto devono interpretarsi nel
senso in cui posso avere un significato e produrre degli effetti.
Se questi criteri non bastano, si applica l'art.1370 che stabilisce che, se la clausola di dubbio significato è
stata predisposta da uno dei contraenti, o inserita in moduli o formulari, si deve interpretare in senso
sfavorevole all'autore (interpretatio contra stipulatorem).
La legge si richiama agli usi interpretativi, che rientrano nella categoria degli usi contrattuali, per
interpretare il contenuto negoziale dell'atto. Essi si fondano sulla pratica generale: sono elementi di fatto
ai quali la volontà dei soggetti può direttamente collegarsi, riuscendo a prevalere sulle norme dispositive.
Hanno una funzione integrativa della fattispecie negoziale e una funzione interpretativa per la
determinazione della volontà dei soggetti. Per la loro conoscenza ci si può valere di raccolte di enti
autorizzati.
Gli usi tecnici sono modi di agire comune, che si seguono o per l'utilità pratica che essi presentano o per
la convenienza sociale alla quale si ispirano. Essi costituiscono un fatto, ma non un fatto normativo;
costituiscono un collegamento del diritto con il fatto.
Come extrema ratio l'art.1371 stabilisce due regole:
• il contratto a titolo gratuito deve essere inteso nel senso meno gravoso per l'obbligato;

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• il contratto a titolo oneroso si deve cercare la soluzione che realizzi un equo contemperamento
degli interessi delle parti.
LA CLASSIFICAZIONE DEI CONTRATTI
Valgono anche per i contratti alcune distinzioni che si fanno per i negozi giuridici in generale: solenni o
non solenni, onerosi o a titolo gratuito. Abbiamo già ricordato i contratti nominati e innominati, principali e
accessori, i contratti normativi, i contratti collettivi e i contratti di adesione.
• Riguardo al modo e al momento di perfezione del vincolo distinguiamo: i contratti consensuali
dai reali. La maggior parte dei contratti si perfeziona con il semplice consenso delle parti. Ci sono
alcuni contratti per i quali il consenso, pur sempre necessario, non è sufficiente e il contratto si
perfeziona solo con la consegna della cosa (es. comodato, mutuo, deposito, pegno ecc.): si tratta
dei contratti reali. La consegna non è un effetto obbligatorio del contratto reale, ma un elemento
costitutivo dello stesso. I contratti reali sono tutti unilaterali, cioè danno origine all'obbligazione di
una sola parte; infatti al momento della perfezione del contratto è già avvenuta la consegna, e
relativamente alla cosa consegnata sorgono obblighi di restituzione, di custodia o altro, a carico
di chi ha ricevuto la cosa.
• Riguardo all'efficacia che sono destinati ad avere immediatamente distinguiamo: contratti con
efficacia reale (o traslativi) e contratti obbligatori. I primi producono obbligazioni da
adempiere ed effetti reali: valgono, cioè, a trasferire o a costituire diritti in capo ad altri
(compravendita); i secondi producono soltanto effetti obbligatori, in altre parole senza realizzare
automaticamente per il semplice consenso l'effetto voluto, fanno assumere alle parti
l'obbligazione di un certo atto da compiere e di un comportamento da osservare. Nella stessa
categoria dei contratti con efficacia reale, alcuni contratti diretti alla costituzione di diritti reali
parziari, si possono chiamare anche costitutivi di diritti reali (es. contratto di costituzione di
usufrutto). Nei contratti aventi per oggetto il trasferimento della proprietà di cosa determinata, o
la costituzione o il trasferimento di altro diritto reale, se sono consensuali, l'effetto reale si attua
per effetto immediato del consenso (principio consensualistico art.1376).
In alcune ipotesi anche nella vendita o negli altri contratti solitamente traslativi l'efficacia reale
può essere differita o eventuale. Trasferimento di cosa generica (1378): in tal caso il
trasferimento avviene con l'individuazione. Per l'individuazione non basta un atto del venditore: è
fatta d'accordo tra le parti o nei modi da loro stabiliti; trattandosi di cose da trasferire da un luogo
all'altro l'individuazione avviene anche per mezzo della consegna al vettore o allo spedizioniere.
La vendita di una determinata massa di cose è soggetta alle norme generali sull'efficacia
traslativa del consenso, anche se per talune conseguenze le cose vendute devono essere
numerate pesate o misurate. Non c'è efficacia reale immediata anche nella vendita di cosa
futura o di cose altrui (la proprietà passa al compratore quando il bene entra nel patrimonio
del venditore), nella vendita alternativa (occorre la concentrazione), nella vendita sottoposta
a condizione sospensiva, nella vendita con patto di riservato dominio. Nel trasferimento
a termine il rischio passa all'acquirente nel momento del consenso anche prima della scadenza
del termine iniziale.
• Si distingue tra contratti commutativi e aleatori o di sorte. Si ha contratto aleatorio quando la
determinazione di quella che sarà la prestazione o la controprestazione dipende da un fattore
d’incertezza (es. contratto di assicurazione), che può volgere il vantaggio del contratto verso una
parte o piuttosto verso l'altra. Il rischio incide sui contenuti del contratto, che resta caratterizzato
da prestazioni corrispettive. Nei contratti commutativi le prestazioni vengono stabilite in
precedenza come punto d'arrivo delle trattative. Dove si corre l'alea, non c'è una corrispondenza
iniziale oggettiva e non c'è eccessiva onerosità che meriti di essere valutata per venire incontro
alla parte che ne rimane gravata. Si nega per i contratti aleatori:
◦ la possibilità della rescissione per lesione;
◦ la possibilità della risoluzione per eccessiva onerosità.
• Riguardo al tempo in cui l'efficacia si manifesta si distinguono: contratti a esecuzione
immediata dai contratti a esecuzione differita. I primi ricevono un’esecuzione immediata con
la perfezione del negozio, mentre i secondi sono destinati ad avere un’esecuzione soltanto in un
momento ulteriore rispetto al tempo della loro perfezione. Secondo un altro criterio si distinguono
i contratti a esecuzione istantanea dai contratti di durata: nei primi la vita del rapporto
obbligatorio che si pone in essere non è diretta a prolungarsi nel tempo (gli effetti potranno
anche manifestarsi in un tempo futuro ma l’esecuzione del contratto si esaurisce in un solo
momento); mentre nei secondi si ha il prolungarsi dell’efficacia, la durata dell'effetto, ed essi
possono avere efficacia immediata o differita, ma sono destinati in ogni caso a produrre effetti
per un periodo di tempo più o meno lungo. Nella categoria dei contratti di durata ci sono:
◦ i contratti a esecuzione continuata: la prestazione di una parte ha continuità ininterrotta
nel tempo;
◦ i contratti a esecuzione periodica: dai quali sorge l'obbligo di ripetere nel tempo la
prestazione.
Nei contratti di durata:
◦ il verificarsi della condizione risolutiva non ha effetto retroattivo;
◦ se non è fissata una scadenza la situazione rimane immutata fino a che una delle parti
manifesti la volontà di sottrarsi alla sua continuazione ;

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◦ se è previsto un termine, la scadenza è spesso prorogabile, tacitamente o espressamente.


È ammessa la risoluzione per eccessiva onerosità nei contratti di durata e a esecuzione differita.
IL DIRITTO DI RECESSO
In linea di principio non è dato alle parti di sciogliere unilateralmente il vincolo assunto da un contratto
(1372 c.1). Vi sono, tuttavia, delle ipotesi nelle quali le parti hanno diritto potestativo di sciogliere il
rapporto instaurato. Ai fini dell’esercizio è necessaria e sufficiente una dichiarazione unilaterale della
volontà di una parte di avvalersi del diritto di recesso:
 Recesso legale: la legge prevede che la parte di un dato rapporto contrattuale possa recedere.
Es. un contratto di appalto, d’opera o di società
 Recesso convenzionale: altre volte è lo stesso regolamento negoziale a prevedere che, a certe
condizioni, o al verificarsi di determinati presupposti, una parte abbia il diritto di recedere dal
contratto. Nei contratti ad esecuzione continuata o periodica dei quali le parti non abbiano
provveduto a fissare un termine si ammette l’atto unilaterale di recesso in qualunque momento,
per tutti gli altri casi tale facoltà è ammessa fino a che il contratto non abbia avuto principio di
esecuzione (1373). Nei contratti di durata il diritto di recedere può essere esercitato anche
successivamente ma non ha effetto retroattivo.
SEZIONE V. PROVA E PUBBLICITA’ DEGLI ACCADIMENTI GIURIDICI RILEVANTI
LE PROVE
L’esistenza di un fatto ha valore concreto per la realizzazione del corrispondente diritto solo in quanto si
possa dimostrarne l’esistenza. I mezzi di prova sono uomini, cose e fatti. La prova ha per oggetto i fatti
giuridici (fatti naturali e atti umani): i fatti devono venire provati dalle parti, dai fatti il giudice desumerà il
diritto. L'assunzione delle prove in giudizio è retta dal principio dispositivo secondo il quale il giudice
deve porre soltanto i fatti provati dalle parti e quelli di comune esperienza. Talora si deve seguire il
principio opposto (inquisitorio) quando il giudice, per un interesse pubblico coinvolto nel processo,
deve ricercare anche di sua iniziativa le prove che più gli consentano di approssimarsi alla verità storica.
Cardine del sistema per l'assunzione delle prove rimane la regola sull'onere della prova: la prova dei
fatti che stanno a fondamento dell'azione viene lasciata all'interesse della parte: è un onere, non
soddisfacendo il quale l'attore non vedrà accolta la sua domanda. Analogamente, se il convenuto vuole
opporsi alle pretese dovrà, a sua volta, provare i fatti che contrastino con le pretese dell’attore. In alcuni
casi la legge stabilisce l’inversione dell’onere della prova, un esempio tipico si ha per inadempimento
delle obbligazioni in sede di responsabilità contrattuale: la legge presuppone una colpa nel debitore
inadempiente e ammette che lo stesso debitore si liberi dalla responsabilità solamente se egli stesso provi
che l’adempimento fu impossibile per un fatto a lui non imputabile (art. 1218).
Il giudice prima di ammettere una prova deve giudicare: 1) se questa è possibile secondo la legge; 2) se è
concludente il fatto. Le prove si distinguono in:
• Precostituite: si preparano contemporaneamente alla conclusione del negozio (es. atto scritto)
e possono, in qualsiasi tempo, essere presentate al soggetto che le richiede o al giudice;
• semplici: si assumono al momento del processo, es. come avviene per la testimonianza.
In funzione del risultato immediato cui si mira si distinguono:
 la prova storica: oggetto di tale prova è il fatto stesso da giudicare, essa vuole rappresentare
direttamente il fatto accaduto. Con tale prova si prova con sicurezza un fatto.
 La prova critica: la convinzione del giudice non si forma nell’esame diretto delle circostanze da
valutare ma sul significato che ha un fatto o una situazione che a sua volta sarà oggetto di prova. In
tale caso, oltre alla sicurezza del fatto dedotto, si deve dimostrare la verosimiglianza logica
dell’argomentazione che se ne vuol trarre. Regola generale: nessuno può costituire prova a favore
di se stessi.
Il giudice valuta le prove liberamente eccettuati i casi in cui la legge attribuisce l'efficacia della prova e
questo avviene quando la legge commisura a priori ad un certo mezzo di prova l'idoneità a dimostrare in
modo preciso e per regola incontestabile l'esistenza di un fatto (prova legale). È una regola generale che
un soggetto con la sua dichiarazione non può costituire prova a favore di se stesso. I mezzi di prova
possono essere:
 La presunzione: è la prova critica per eccellenza, è un’argomentazione logica, fatta dalla legge o
dal giudice, per mezzo della quale è possibile indurre l’esistenza o il modo d'essere di un fatto
ignoto partendo dalla conoscenza di un fatto noto. Le presunzioni si dividono in:
o Presunzione legale: se la legge stabilisce imperativamente le conseguenze che si
debbono trarre dalla provata esistenza di certi fatti. Si distinguono in:
 Assolute: non ammettono alcuna prova in contrario.
 Relative: consentono che l’interessato provi il contrario di quanto si
presume.
o Presunzione semplice: costituisce una congettura che abbia fondamento in fatti
che offrano elementi gravi, precisi e concordanti. Il giudice può utilizzarla soltanto quando
è ammissibile la prova per testimoni. Nella pratica si dice che non si contano ma si
pesano, cioè il loro significato logico dipende dal valore critico che può essere attribuito
nell'insieme ai fatti su cui si fondano. Ammettono in ogni caso prova contraria.
 Gli atti scritti: sono prove precostituite, si suddividono in due tipologie:
o Atto pubblico: è il documento redatto da un pubblico ufficiale nell’esercizio delle
sue funzioni, competente a riceverlo sia per materia, sia per territorio e personalmente
capace. Deve essere esteso con l'osservanza di tutte le formalità che la legge impone

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sotto pena di nullità dell'atto. Ha grande efficacia probatoria: fa pubblica fede (erga
omnes) sia della provenienza dell'atto, sia di ciò che si è svolto alla presenza del pubblico
ufficiale e dei testimoni quando per legge sono richiesti, fino a che non venga impugnato
con la querela di falso. L'eventuale falso dovrà essere dimostrato con particolare rigore
e sono previste delle pene per chi la propone senza fondamento.
o Scrittura privata: è documento di parte, contiene una dichiarazione scritta
proveniente dai soggetti interessati e firmata da questi ultimi. Per attribuire forza di prova
alla scrittura privata occorre stabilire la paternità del documento (autenticità delle firme);
accertata questa si deciderà circa il valore probatorio delle dichiarazioni contenute. La
scrittura fa piena prova, fino a querela di falso, delle dichiarazioni da parte di chi l'ha
sottoscritta, quando sia stata accertata l'autenticità delle firme che può avvenire in tre
modi:
 con un previo accertamento dell'identità dei sottoscrittori, fatta dal notaio o altro pubblico
ufficiale autorizzato, che autentichi la firma al momento della sottoscrizione;
 con il riconoscimento di colui contro il quale si invoca la scrittura, riconoscimento che può
essere anche tacito;
 con l'accertamento giudiziale.
Per quanto riguarda il contenuto delle dichiarazioni, si applicheranno le regole generali per
la prova critica: nello scritto riconosciuto del sottoscrittore, avrà valore di prova solo
quanto egli dichiara contro il suo interesse. Di fronte ai terzi vigono regole speciali per la
prova della data della scrittura privata: quando la data non appare dall'autenticazione
della firma, ottiene la certezza di fronte ai terzi con la registrazione dell'atto fatta all'ufficio
del registro oppure la data sarà certa come conseguenza di qualche altro fatto dal quale si
deduca che la formazione dell'atto avvenne prima di un certo giorno.
o Libri e scritture contabili obbligatori per tutte le imprese soggette a registrazione,
sono indicati all'art.2214:
 libro giornale: indica giorno per giorno le operazioni e va vidimato annualmente alla
chiusura delle operazioni;
 libro degli inventari: si chiude con il bilancio e il conto finale profitti e perdite e che deve
essere presentato annualmente alla vidimazione entro tre mesi dal termine fissato per la
presentazione annuale della dichiarazione dei redditi;
 tutti gli altri libri che siano richiesti dalla natura e dalle dimensioni dell'impresa.
Tutte le scritture contabili fanno prova contro l'imprenditore: per il principio della
inscindibilità, chi vuole giovarsi di tali scritture deve accettarle nella loro interezza e non
può estrarne degli elementi. Nei rapporti fra imprenditori, i libri contabili fanno prova
anche a favore, limitatamente agli affari reciproci riguardanti l'esercizio delle rispettive
imprese: eccezione alla regola generale per la quale nessuno può costituire
prove a favore di se stesso.
o Carte domestiche fanno prova in due casi e sempre e soltanto contro colui che le
ha scritte:
 quando si dichiara di aver ricevuto un pagamento;
 quando il debitore annota un debito.
o Telegramma: ha l'efficacia probatoria della scrittura privata se l'originale è stato
firmato e consegnato o anche solo fatto consegnare dal mittente all'ufficio.
 La prova testimoniale: la prova per testimoni consiste nell’assumere da un terzo dichiarazioni
riguardanti fatti svolti in sua presenza o dei quali abbia sentito parlare. La legge non ammette tale
prova:
o Quando il valore dell’oggetto eccede € 2,58 salvo che il giudice, valutando le
circostanze, le consenta anche oltre.
o Quando si tratta di accertare patti aggiunti o contrari all’atto scritto, che si
affermano stipulati prima o contemporaneamente al contratto.
o Quando il contratto esige la forma scritta ad substantiam, oppure quando lo scritto
sia richiesto per la prova.
I testimoni possono anche essere minori d’età.
 La confessione è il riconoscimento di uno o più fatti sfavorevoli per il confitente che ne ammette
l’esistenza. L’efficacia della confessione è decisiva quando riguarda diritti disponibili purché sia
fatta o in giudizio o alla controparte. Il giudice ne deve trarre ragionevolmente ogni conseguenza
(prova legale). È irrevocabile proprio in quanto dichiarazione di scienza e non di volontà, per la
quale conta la coscienza del contenuto e non la volontà degli effetti: può quindi essere invalidata
soltanto per violenza o errore di fatto. Può essere:
o giudiziale: resa davanti al giudice (prova legale), e può essere spontanea o provocata per mezzo
dell'interrogatorio formale;
o stragiudiziale: viene fatta da una parte all'altra e ha lo stesso valore della confessione giudiziale;
o se fatta a un terzo o è contenuta in un testamento il giudice può valutarla liberamente.
 Il giuramento è la prova estrema alla quale si ricorre in mancanza di ogni altra con la quale ci si
rivolge alla coscienza morale dell’individuo. Il giuramento è
o decisorio quando una parte lo deferisce alla controparte e ne fa dipendere la
decisione della contesa.

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 Si dice deferito quando una parte chiede all’altra che giuri sopra alcuni
fatti
 Si dice riferito se questi fatti sono comuni a entrambe le parti e la parte
che dovrebbe giurare riferisce il giuramento a colui che lo aveva deferito
chiedendogli di giurare sopra i medesimi fatti.
o Suppletorio è quando viene deferito (imposto) dal giudice a una delle parti e serve
ad integrare le prove sui fatti che non sono del tutto provati ma che non sono
nemmeno del tutto sforniti di prova
 Estimatorio è una sottospecie di giuramento suppletorio e viene deferito
dal giudice a una delle parti quando non è possibile stabilire altrimenti il
valore della cosa domandata.
Per la chiamata a giurare occorre la capacità di agire e la legittimazione a disporre dei diritti ai quali
la controversia si riferisce. Colui che rifiuta il giuramento soccombe dato che il giuramento può
essere deferito soltanto su fatti decisivi.
PUBBLICITA’ E TRASCRIZIONE
La pubblicità riguarda quei procedimenti con i quali si vuole rendere conoscibile ai terzi l’esistenza di
alcuni fatti, di situazioni giuridicamente rilevanti, oppure il contenuto di negozi e di atti giuridici. Lo scopo
che l'ordinamento persegue è uno scopo di tutela dei terzi, da conseguire per mezzo di un adeguato
sistema di informazione. Si distinguono tre tipi di pubblicità:
 Pubblicità-notizia: vuole rendere conoscibile un atto senza però incidere sulla validità ed efficacia
di quest’ultimo né sulla sua opponibilità ai terzi (es: pubblicazione matrimoniale). È pertanto il
contenuto di un obbligo e non di onere delle parti;
 Pubblicità dichiarativa: ha lo scopo di rendere opponibile verso i terzi il negozio e costituisce un
onere per le parti. La mancanza di tale pubblicità non incide sulla validità ed efficacia del negozio,
ma lo rende inopponibile a determinati terzi.
 Pubblicità costitutiva: senza di essa il negozio non è né opponibile ai terzi né produce effetto tra
le parti (es. iscrizione ipotecaria).
Per rendere conoscibile ai terzi :
➢ la proprietà di un bene mobile si provvede mediante il possesso;
➢ per i crediti occorre la notificazione al debitore;
➢ per i valori mobiliari e i titoli di credito ci sono diverse forme di legittimazione secondo il regime
previsto per le varie categorie;
➢ per i diritti reali di proprietà o di godimento sui beni immobili e beni mobili registrati si applica il
regime della trascrizione;
➢ per le ipoteche vige il regime della iscrizione che è una forma di pubblicità costitutiva, gli effetti
dell'ipoteca cominciano con la sua pubblicità.
La trascrizione è il mezzo di pubblicità delle vicende giuridiche relative a beni immobili e mobili
registrati. L’art.2643 stabilisce l’obbligo della trascrizione per: alienazione della proprietà, costituzione di
servitù, usufrutto, superficie, comunione, enfiteusi ed altri. L'elencazione dell'art.2643 si ritiene tassativa
rispetto alle categorie ivi contemplate, tuttavia l'art.2645 precisa che vanno trascritti anche altri atti o
provvedimenti che producano almeno talune delle stesse conseguenze giuridiche. L’istituto della
trascrizione mira a soddisfare diverse esigenze:
 Avere nei registri immobiliari un quadro delle situazioni giuridiche dei beni: sottoponndo
all’obbligo della trascrizione tutti gli atti che incidono sulla proprietà immobiliare e tramite il
principio della continuità della trascrizione secondo il quale non ha effetto la trascrizione operata
contro Tizio, se a sua volta il diritto di costui non risulta dalla trascrizione a suo favore di un altro
atto.
 Assicurare il rispetto della pubblicità attuando sanzioni e imponendo l'obbligo di trascrivere a
carico dei notai e degli altri pubblici ufficiali che abbiano ricevuto l'atto soggetto a trascrizione o
imponendo un onere alle parti che costituisce il principio fondamentale della priorità della
trascrizione come titolo prevalente per l’acquisto. Chi ha trascritto per primo ha la preferenza
assoluta rispetto ad eventuali pretese o diritti di altri aventi causa dallo stesso autore, quando
tali diritti siano incompatibili o diminuiscano il suo acquisto. La finalità contro terzi concorrenti
raggiunge i suoi effetti indipendentemente dalla buona fede. Una volta trascritto l'atto, non
avrebbero efficacia altre trascrizioni di diritti anche se con titoli di data certa anteriore. Questi
effetti fondamentali sono espressamente previsti solo per gli atti elencati negli artt.2643 e 2645.
 Tutelare i terzi acquirenti contro il pericolo che venga meno il diritto del loro dante causa. Come
regola la trascrizione non sana i vizi del titolo.
Gli artt. 2625 e 2653 elencano domande relative ad atti soggetti a trascrizione che vanno trascritte. Talora
anche la sola trascrizione della domanda ha una funzione conservativa di salvaguardia contro chi
trascrive posteriormente. Nei confronti di chi ha trascritto la domanda non possono essere fatti valere gli
atti di disposizione che posteriormente fossero compiuti da colui contro il quale la domanda venne
trascritta. Se la trascrizione delle domante dirette all’annullamento (o alla nullità) di un atto trascritto
viene fatta dopo 5 anni dalla trascrizione dell’atto essa non potrà essere opposta ai terzi interessati, cioè
non pregiudicherebbe i diritti acquistati a qualunque titolo in buona fede dai terzi che avessero trascritto
prima della trascrizione della stessa domanda di nullità o annullamento (pubblicità sanante). L'art.2645-
bis disciplina la trascrizione del contratto preliminare: tale articolo consente di trascrivere i
preliminari aventi ad oggetto la conclusione di uno dei contratti di cui ai nn. 1, 2, 3, 4, dell'art.2643. La
pubblicità di questi preliminari è ammessa solo se essi sono stati stipulati nelle forme dell'atto pubblico o

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della scrittura privata autenticata o giudizialmente accertata. Per effetto di questa pubblicità la
trascrizione del successivo contratto definitivo o di altro atto che costituisca esecuzione del preliminare
trascritto prevale sulle trascrizioni e iscrizioni eseguite dopo la trascrizione del preliminare: questo effetto
viene meno qualora il contratto definitivo non venga trascritto entro un anno dalla data convenuta dalle
parti per l'esecuzione del preliminare, e in ogni caso quando, a fronte dell'inadempimento della
controparte, non sia stata trascritta entro 3 anni la domanda giudiziale. L'art.2645-ter disciplina la
trascrizione degli atti di destinazione relativi sia ai beni immobili che ai beni mobili registrati e
prevede un vincolo di destinazione opponibile ai terzi e si assiste ad u ampliamento delle ipotesi di
limitazione della responsabilità patrimoniale. I beni vincolati ad uno scopo ed i loro frutti possono essere
impiegati solo per la realizzazione del fine di destinazione e possono costituire oggetto di esecuzione solo
per debiti contratti per tale scopo. L'articolo richiede l'oggettiva destinazione del debito allo scopo,
indipendentemente dalla soggettiva conoscenza del creditore circa la destinazione del debito con un
conseguente regime di maggior favore per i beni destinati ad uno scopo atipico rispetto a quelli vincolati
in fondo patrimoniale.
I registri di trascrizione sono tenuti con criterio personale (per soggetto): gli atti vengono cioè pubblicati in
registri dove i beni sono considerati in relazione alle persone. Nel catasto fondiario sono registrati i beni e
vengono seguite le vicende dei successivi trapassi, ha valore fiscale. La trascrizione si attua nell'ufficio dei
registri immobiliari che ha competenza territoriale sulla località dove i beni si trovano presentando una
domanda allegata a un titolo e una nota in doppio originale. Il titolo può essere una sentenza, un atto
pubblico o una scrittura privata autenticata; la nota contiene gli estremi per individuare i beni e le
persone e l'atto giuridico di cui si tratta. Solo il contenuto della nota sarà in sostanza opponibile ai terzi. Il
conservatore preposto all'ufficio dei registri immobiliari tiene alcuni registri: il registro generale d'ordine,
in cui deve annotare giornalmente gli atti che mano a mano gli vengono presentati; il numero d'ordine
assegnato stabilisce la priorità tra diverse trascrizioni a tra una trascrizione e una iscrizione o
annotazione. Vengono indicati gli atti trascritti a favore (il soggetto nominato compare come avente
causa) e contro (il soggetto nominato è il dante causa). A ogni trascrizione contro deve corrispondere una
precedente trascrizione a favore, per la necessaria continuità.
Per la pubblicità dei fatti relativi ai beni mobili registrati le procedure sono analoghe, differiscono nel
criterio di registrazione (criterio reale e non personale). In ogni comune sono tenuti quattro registri dello
stato civile: di nascita, di cittadinanza, di matrimonio e di morte (hanno efficacia probatoria esclusiva). La
pubblicità degli atti relativi alla successione (registro delle successioni) di un defunto sono situati presso la
cancelleria di ogni tribunale.
SEZIONE VI. ESERCIZIO E DURATA NEL TEMPO DEI DIRITTI
LA PRESCRIZIONE
La prescrizione costituisce un modo di estinzione dei rapporti giuridici per inerzia del titolare del diritto.
Ogni diritto si estingue per prescrizione quando il titolare non lo esercita per un periodo di tempo
determinato dalla legge, vige la regola dell’imprescrittibilità dei diritti personali. Anche fuori dal campo
personale però vi sono diritti imprescrittibili come l’azione per far dichiarare la nullità radicale dei negozi o
del diritto di proprietà e neppure la relativa azione di rivendica. I requisiti sono:
1. Esistenza di un diritto che poteva essere esercitato dal soggetto
2. Mancato esercizio del diritto stesso
3. Passaggio del periodo di tempo stabilito dalla legge
La prescrizione è istituto di ordine pubblico e non può essere derogata dal privato. L’onere di sollevare
l'eccezione di prescrizione spetta a colui contro il quale si invoca un diritto. Il termine di prescrizione
ordinario è di 10 anni; la legge prevede anche termini diversi:
 In 5 anni si prescrivono: il diritto al risarcimento del danno derivante da atto illecito; il credito per
pigioni, fitti, pensioni, vitalizie e alimentari, gli interessi e tutto ciò che si paga periodicamente di
anno in anno o di mese in mese, le indennità per cessazione del rapporto di lavoro, i diritti da
rapporti sociali quando si riferiscono a società regolarmente iscritte, l’azione di annullamento di
un negozio.
 In 20 anni si prescrivono i diritti reali su cose altrui: superficie, il diritto dell’enfiteuta, l’usufrutto e
le servitù.
 Vi sono inoltre le prescrizioni presuntive di pagamento della durata di 6 mesi, 1 anno o 3 anni.
Esse prevedono la presunzione del pagamento della prestazione rispettivamente di albergatori,
commercianti e professionisti.
Il termine di prescrizione inizia dal momento in cui il diritto può essere esercitato. Se il diritto inizialmente
o per un certo periodo non si può esercitare si ha la sospensione. Essa si ha nei soli casi nei quali il
legislatore ha riconosciuto essere impossibile o assai difficile l'esercizio del diritto:
 Per la situazione soggettiva del titolare: minore o interdetto
 Per relazioni specifiche intercorrenti tra chi subisce prescrizione e chi se ne avvantaggia: familiari,
amministratori di persone giuridiche ecc.
Il periodo in cui perdura la causa di sospensione non viene calcolato al fine del periodo necessario per la
prescrizione. Si ha interruzione quando il titolare compie un atto nel quale la legge ravvisa la volontà di
esercitare il proprio diritto. In tal caso deve decorrere un nuovo periodo di prescrizione.
LA DECADENZA
Il decorso del tempo può essere considerato anche per un altro effetto giuridico: la decadenza. Nella
prescrizione il decorso del tempo porta, a vantaggio di un altro titolare, la perdita di un diritto già
acquisito, ma non esercitato per un certo tempo. Nella decadenza si ha riguardo del compimento di
un’attività che il soggetto deve svolgere entro un certo termine, trascorso il quale è impedito all’esercizio

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del potere da parte del suo titolare. Nella decadenza è implicito un onere: quando il termine è di
decadenza spetta all’interessato dare prova di aver agito prima della scadenza.

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CAPO III. I SOGGETTI E IL DIRITTO DELLE PERSONE


SEZIONE I. LA PERSONA FISICA
Il nostro sistema è basato su due principi:
• ogni essere umano ha, in quanto tale, la personalità giuridica;
• tutti gli uomini hanno la stessa personalità.
Personalità vuol dire essere soggetto di diritti, con attitudine a diventare titolare di ogni situazione di
diritto o dovere giuridico. La personalità corrisponde alla capacità giuridica.
I diritti della personalità si fanno valere erga omnes sono inalienabili, irrinunciabili, imprescrittibili. Lo
status o stato di un soggetto è la sua posizione rispetto all'appartenenza a determinati gruppi sociali e
corrisponde alla distinzione giuridica di ciascuna persona da tutte le altre. È una situazione soggettiva
derivante da una relazione personale per sua natura non temporanea, fonte di diritti, doveri e poteri. I
diritti di stato si affermano erga omnes: sono inalienabili e imprescrittibili; sono di ordine pubblico poiché
toccano la condizione giuridica fondamentale e permanente degli individui. Non sono riconosciute
limitazioni circa la prova della loro esistenza, non hanno valore decisivo le prove semplici come la
confessione e il giuramento. La capacità giuridica si acquista dal momento della nascita (art.1). Il feto
separato ha bisogno di un altro requisito per cominciare la sua esistenza giuridica: deve nascere vivo, un
nato morto non è persona. Il nascituro concepito non ha una vera e propria capacità giuridica; tuttavia la
legge (art.1 c.2) gli riconosce alcuni diritti di carattere patrimoniale subordinati all’evento della nascita
(capacità a succedere in un testamento, di essere beneficiario di una donazione).
La fine della persona avviene solo con la morte, con essa alcuni rapporti giuridici si estinguono (diritti
personalissimi e alcuni diritti patrimoniali), altri si trasmettono a terze persone. La “morte legale” si
identifica con la cessazione irreversibile di tutte le funzioni dell’encefalo. Chi ha interesse deve provare la
morte, di regola la proverà con l'atto di morte. Se vengono smarriti o distrutti i registri la morte può
essere provata con ogni mezzo. Quando per effetto di infortunio o incidente, due o più soggetti siano
deceduti e non sia possibile provare il momento della morte di ciascuno, tutti sono considerati morti nello
stesso momento (art.4): ipotesi di commorienza.
Si distinguono tre ipotesi:
 Scomparsa: basta la scomparsa dal domicilio o dall'ultima residenza, accompagnata dalla
mancanza di notizie della persona (senza che sia passato un determinato periodo di tempo).
L’eventuale successione aperta in favore di uno scomparso viene devoluta a coloro i quali sarebbe
spettata in sua mancanza. Inoltre il tribunale su istanza di qualunque interessato o del pubblico
ministero può nominare un curatore allo scomparso e dare altri provvedimenti conservativi del
patrimonio.
 Assenza: alla dichiarazione di assenza si ricorre quando la scomparsa dura da almeno due anni
di. Il provvedimento è preso con sentenza del tribunale su istanza degli interessati. I beni dello
scomparso passano in possesso temporaneo ai suoi eredi secondo testamento o, in mancanza di
questo, secondo successione legittima (titolare dei beni rimane l'assente). L’assenza non scioglie
il matrimonio, quindi il coniuge non può risposare; se però riuscisse a contrarre un nuovo
matrimonio, finché dura l'assenza, questo non può essere impugnato. L'assenza cessa con:
✗ l'accertamento della morte;
✗ il ritorno dell'assente;
✗ la dichiarazione di morte presunta.
 Dichiarazione di morte presunta: trascorsi dieci anni dal giorno al quale risale l’ultima notizia,
il pubblico ministero, o qualunque interessato, può chiedere che il tribunale emetta con sentenza
una dichiarazione di morte presunta dello scomparso. Il termine è abbreviato per il caso di
scomparsa in seguito a operazioni belliche o infortuni. La sentenza stabilisce che il soggetto si
considera morto dalla data dell’ultima notizia. È una forma di accertamento, in via indiretta, della
morte. Gli effetti sono retroattivi: gli eredi entrano nel godimento definitivo dei beni, con piena
disponibilità degli stessi e cessano le cautele stabilite in favore dell'assente. Il coniuge può
contrarre nuovo matrimonio. Se il presunto morto ritorna, gli effetti della dichiarazione cessano ex
nunc; i beni risultanti dall'inventario che non siano stati consumati vengono restituiti nello stato in
cui si trovano.
SEZIONE II. CAPACITA’ GIURIDICA E CAPACITA’ DI AGIRE
La capacità giuridica o capacità di diritto è l’attitudine a essere titolari di diritti e doveri. Per capacità
di agire si intende l’attitudine di un soggetto a porre in essere validamente atti idonei ad incidere sulle
situazioni giuridiche di cui è titolare, si acquista con il compimento del diciottesimo anno (maggiore età). Il
possesso della capacità d’agire costituisce il requisito di validità degli atti negoziali, che sono annullabili
se il soggetto che li ha compiuti, nel momento in cui ha manifestato la propria volontà si sia trovato in uno
stato di incapacità di intendere o di volere.
La validità degli atti giuridici in senso stretto non è subordinata al possesso della capacità legale d'agire:
necessario e sufficiente è che il suo autore fosse di fatto capace di intendere e di volere nel momento in
cui l'ha compiuto.
Per quanto riguarda gli atti illeciti, la capacità legale d'agire non è presupposto necessario affinché un
soggetto che abbia con una condotta colposa o dolosa cagionato ad altri un danno ingiusto possa essere
chiamato a rispondere delle conseguenze: l'obbligazione risarcitoria sorge in capo a colui che ha agito alla
sola condizione che nel momento in cui ha agito fosse capace di intendere e di volere.
Cause di incapacità legale d'agire possono essere:
 La minore età: fino al compimento del diciottesimo anno d'età ogni persona è priva della
capacità legale d'agire, quindi le è preclusa la possibilità di porre in essere validamente qualsiasi

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atto negoziale. Il principio generale soffre di deroghe stabilite dalla legge:


o l'art.2 fa salve le leggi speciali che ammettono a prestare un'attività lavorativa persone
che ancora non abbiano compiuto il diciottesimo anno d'età (purché abbia concluso il
periodo di istruzione obbligatoria e sempre che la sua età non sia inferiore ai quindici
anni). Con l'instaurazione del rapporto contrattuale di lavoro subordinato il minore
acquista la capacità di porre validamente in essere gli atti di esercizio dei diritti che ne
derivano.
o Si ha un'ulteriore eccezione in materia di diritto d'autore: si riconosce al minorenne che
abbia compiuto sedici anni la capacità di porre validamente in essere gli atti di esercizio e
disposizione dei diritti che gli competono sulle opere che ha creato e di esperire le azioni
necessarie per farli valere in giudizio.
Tra il raggiungimento della piena capacità e l'incapacità del minore, ci può essere un periodo
intermedio di limitata capacità di agire, che si ottiene con l’emancipazione e si consegue ipso iure
con il matrimonio.
 La salute del soggetto: l’ordinamento si preoccupa di porre rimedio alle situazioni di deficienza
psico-fisica in cui può versare un soggetto predisponendo diversi strumenti di protezione:
o l'amministrazione di sostegno: la nomina di un amministratore di sostegno può essere
richiesta a beneficio di una persona che per effetto di un’infermità ovvero di una
menomazione fisica o psichica si trovi nell’impossibilità anche parziale di provvedere ai
propri interessi (404). La nomina dell'amministratore di sostegno viene disposta dal
giudice tutelare con decreto motivato, immediatamente esecutivo, il cui contenuto verrà
determinato tenendo conto della particolarità della situazione concreta. Il provvedimento
individuerà la persona dell’amministratore di sostegno e del beneficiario nonché la durata,
i limiti e l'oggetto dell'incarico definendo quali atti necessiteranno dell'intervento
dell'amministratore di sostegno e in quale forma, quando cioè egli dovrà agire per nome e
per conto del beneficiario e quando semplicemente lo assisterà. Il beneficiario conserva la
capacità di agire per tutti gli atti che non richiedono la rappresentanza esclusiva o
l’assistenza necessaria dell’amministratore di sostegno e può porre in essere tutti gli atti
della quotidianità. Gli atti compiuti in violazione delle indicazioni contenute nella legge o
nel decreto sono annullabili. L’istanza per la nomina di un amministratore di sostegno può
essere promossa dallo stesso soggetto beneficiario, anche se minore, interdetto o
inabilitato, o da diretti interessati: familiari entro il quarto grado, il tutore, il curatore o il
pubblico ministero. Gli effetti dell’amministrazione di sostegno decorrono da quando viene
emesso il decreto del quale deve essere data pubblicità con annotazione a cura del
cancelliere nell'apposito registro assieme al decreto di apertura e ad ogni altro
provvedimento assunto dal giudice nel corso della procedura. Decreto di apertura e di
chiusura devono essere comunicati entro dieci giorni all’ufficiale di stato civile per le
annotazione in margine all'atto di nascita del beneficiario. Il tempo può essere
determinato o indeterminato: il giudice ha la facoltà di modificare o integrare in ogni
momento le decisioni assunte e di revocare, anche d'ufficio, la misura.
o Interdizione giudiziale: si ha quando una persona si trova affetta da abituale infermità di
mente che la rende incapace di provvedere ai propri interessi. La determinazione
dell’infermità mentale è materia della patologia psichiatrica, accertata la quale il giudice
potrà disporre l’interdizione con sentenza. I presupposti sono due:
 vizio di mente abituale;
 conseguente inettitudine ad attendere i propri interessi.
Tali presupposti sono necessari per chiedere il provvedimento, ma non sono sufficienti per
avere direttamente le conseguenze dell'incapacità, in quanto essa deriva soltanto dalla
sentenza che la stabilisce. L’interdizione porta l’incapacità generale circa i negozi
patrimoniali o familiari (non può stipulare contratti, fare testamento, sposare, riconoscere
figli naturali) un tutore lo deve rappresentare in tutti gli atti in cui è possibile una
rappresentanza. Gli atti compiuti dall'interdetto dopo la sentenza di interdizione sono
annullabili. Ha effetto dalla pubblicazione della sentenza, la quale viene annotata, a cura
del cancelliere, nel registro delle tutele e comunicata all’ufficiale di stato civile per la
notazione a margine dell'atto di nascita. L’interdizione ha effetto fino alla morte del
soggetto o fino a una sentenza di revoca.
o L'inabilitazione: la legge stabilisce che si può pronunciare in quattro casi:
 per coloro che si trovano in una condizione di attuale e abituale malattia di mente
non così grave da procedere all’interdizione;
 per coloro che per prodigalità spendono il denaro per motivi futili o frivoli;
 per coloro che abusano di bevande alcoliche o di stupefacenti;
 per i sordi e ciechi dalla nascita o dalla prima infanzia che non abbiano ricevuto
un’educazione sufficiente.
Vizio di mente o la prodigalità sono presupposti per la sentenza, ma solamente la
sentenza produce l'inabilitazione. Con l’inabilitazione il soggetto non può compiere in
prima persona atti eccedenti l’ordinaria amministrazione e si deve nominare un curatore
che integra con il suo assenso la volontà dell’inabilitato. È ammesso, su specifica
autorizzazione del giudice, che l'inabilitato possa compiere senza l'assistenza del curatore
taluni atti eccedenti l'ordinaria amministrazione. Ha effetto dalla pubblicazione della

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sentenza, la quale viene annotata, a cura del cancelliere, nel registro delle tutele e
comunicata all’ufficiale di stato civile per l'annotazione a margine dell'atto di nascita.
L’inabilitazione ha effetto fino alla morte del soggetto o fino a una sentenza di revoca. In
generale gli atti compiuti dall'inabilitato senza l'osservanza delle prescritte formalità sono
annullabili.
Il procedimento per l'istituzione dell'amministrazione di sostegno, per l'interdizione o l'inabilitazione è
possibile promuoverlo per i maggiori d'età, ma anche per chi abbia compiuto il diciassettesimo anno, in
quest'ultima ipotesi gli effetti della pronuncia decorreranno dal raggiungimento dei 18 anni. Il giudice è in
ogni caso tenuto a sentire personalmente la persona a cui il procedimento si riferisce: è previsto anche
che vengano sentite le persone più vicine all'interessato. Il giudice ha inoltre la facoltà di emettere un
provvedimento diverso da quello chiesto nella domanda. Nelle more del procedimento possono venire
adottate anche misure provvisorie: prima della nomina dell'amministratore di sostegno il giudice tutelare
dispone anche d'ufficio i provvedimenti urgenti per la cura della persona in questione e per la gestione del
suo patrimonio potendo procedere alla nomina di un amministratore di sostegno provvisorio, indicando gli
atti che è autorizzato a compiere. Durante il procedimento di interdizione o inabilitazione il giudice può
nominare un rispettivamente un tutore provvisorio e un curatore provvisorio.
Il minore e l'interdetto sono sottoposti a incapacità generale: non possono validamente concludere
alcun negozio giuridico. L'atto che viene eventualmente compiuto è annullabile. Alcuni atti possono
essere compiuti dal rappresentante, altri atti non ammettono gli interventi di estranei (atti
personalissimi). Accanto agli incapaci troviamo organi di tutela o di potestà familiare che hanno il duplice
compito:
• di proteggere la persona curando anche gli interessi dell'incapace;
• di rappresentarlo o assisterlo nel compimento degli atti giuridici.
Il minore è sottoposto alla potestà dei genitori. Se i genitori:
✗ sono entrambi morti;
✗ sono decaduti dalla potestà;
✗ sono stati sospesi dall'esercizio della potestà;
si apre il procedimento per la nomina di un tutore che provvederà alla cura della persona del minore e
all'amministrazione del suo patrimonio. Alla potestà dei genitori sono sottoposti i figli (minorenni non
emancipati) legittimi, legittimati, naturali e adottivi; la potestà è esercitata di comune accordo da
entrambi i genitori. I genitori hanno il dovere di provvedere al mantenimento, all’educazione e
all’istruzione dei loro figli; il dovere è di entrambi i genitori in proporzione alle loro sostanze e alle loro
capacità di lavoro. Chi ha l'esercizio della potestà deve destinare la residenza dalla quale il minore non
può allontanarsi senza permesso. Il domicilio del minore è quello della famiglia o del genitore presso cui
convive. I poteri e i diritti di natura patrimoniale comprendono la rappresentanza legale del minore,
l’amministrazione dei beni e l’usufrutto legale. Ciascun genitore, singolarmente, può porre in essere un
atto di ordinaria amministrazione in nome del minore mentre per gli atti eccedenti l’ordinaria
amministrazione è necessario l’accordo di entrambi i genitori (e sono annullabili se compiuti da uno solo
senza la partecipazione dell'altro. Gli atti elencati all'art.320 c.3 e gli altri atti eccedenti l'ordinaria
amministrazione del patrimonio del minore possono essere compiuti dai genitori solo se concorrono due
fattori:
1. la preventiva autorizzazione del giudice tutelare;
2. la necessità o utilità evidente per il figlio.
Gli atti compiuti senza anche uno solo di questi presupposti sono annullabili.
Se sorgono conflitti d'interessi tra i figli, o tra questi e i genitori, il giudice nomina un curatore speciale.
L'eredità devoluta ai minori deve essere accettata sempre con beneficio d'inventario; per l'eredità, la
donazione o il legato è richiesta l'autorizzazione ad accettare del giudice tutelare. I genitori hanno in
comune l'usufrutto legale sui beni del minore il cui ricavato andrà a beneficio della famiglia; ad eccezione
dei beni indicati all'art.324. Detto usufrutto è inalienabile e non è oggetto di esecuzione da parte dei
creditori.
• Tutela: Quando un minore non abbia chi eserciti la potestà dei genitori, e in tutti i casi per
l'interdetto, si ricorre alla tutela. Le disposizioni sulla tutela dei minori si applicano anche alla
tutela degli interdetti. La tutela si apre nel domicilio del minore o dell'interdetto. L'ufficiale di stato
civile, il notaio, il cancelliere o i parenti prossimi del minore, nei casi indicati dalla legge, devono
dare pronta notizia al giudice tutelare dei fatti da cui deriva la necessità di provvedere. Il tutore
viene nominato dal giudice tutelare che nella scelta deve seguire i criteri dell'art.348. La tutela
può essere:
◦ volontaria: il giudice nomina la persona designata dal genitore che per ultimo esercitò la
potestà;
◦ legittima: la tutela è affidata ad un parente prossimo o a un affine del minore, cominciando
dagli ascendenti;
◦ dativa: è affidata ad altre persone, scelte liberamente dal giudice tutelare;
◦ assistenziale: è affidata ad un ente di assistenza.
Il tutore svolge una funzione di interesse pubblico e il suo ufficio è gratuito e irrinunciabile; le sue
funzioni sono analoghe a quelle della potestà dei genitori. Il protutore, nominato dallo stesso
giudice, rappresenta il minore quando l'interesse di quest'ultimo è in conflitto con quello del
tutore e sostituisce il tutore quando questi viene definitivamente a mancare, con l'obbligo di

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promuovere subito la nomina di un nuovo tutore.


• Curatela: il soggetto emancipato o inabilitato trovano una integrazione alla loro volontà
mediante l’intervento di un curatore che non ha la rappresentanza, cioè non sostituisce
l'incapace. Le differenze tra tutela e curatela sono:
◦ il tutore tendenzialmente rappresenta l'incapace, il curatore lo assiste;
◦ il curatore interviene per alcuni atti, il tutore sempre salvo in casi particolari relativi ad atti di
ordinaria amministrazione;
◦ il curatore interviene di regola soltanto per rapporti patrimoniali; il tutore ha anche funzioni di
carattere personale.
L'emancipato e l'inabilitato compiono da soli gli atti di ordinaria amministrazione; con l'assistenza
del curatore possono stare in giudizio e riscuotere capitali sotto condizione di un idoneo impiego.
Con l'autorizzazione del giudice tutelare e il consenso del curatore essi compiono gli atti eccedenti
l'ordinaria amministrazione.
• Amministrazione di sostegno: il giudice nel formulare il contenuto del decreto di nomina
dell'amministratore di sostegno ha la più ampia discrezionalità per cercare la soluzione che meglio
si confaccia alla protezione del beneficiario. Il giudice decide modalità e termini dell'incarico del
nominato, definendone la durata, che può essere anche a tempo indeterminato. La persona
dell'amministratore di sostegno va scelta dal giudice con esclusivo riguardo alla cura e agli
interessi del beneficiario, e può essere indicata dal beneficiario medesimo in previsione della
propria futura incapacità. Se vengono meno i presupposti dell'esistenza dell'amministratore di
sostegno il giudice tutelare, su ricorso del beneficiario, dell'amministratore, del p.m. o da uno dei
soggetti indicati nell'art.406 può disporre la cessazione dell'amministrazione di sostegno.
È incapacità naturale l'incapacità di intendere e di volere, dovuta a qualsiasi causa, anche transitoria.
Consiste nell'effettiva inettitudine psichica, in cui viene a trovarsi un soggetto, normalmente capace, nel
momento in cui compie un determinato atto. L'art.428, con alcune cautele, consente l'annullamento
degli atti compiuti in una situazione di minoranza psichica non accertata da preventivo provvedimento di
interdizione. Si pone il problema di tutelare la persona che in buona fede ha contratto con l'incapace
naturale:
• per gli atti unilaterali, l'annullabilità è ammessa solo nel caso in cui dall'atto possa derivare un
grave pregiudizio per colui che ha contratto in stato di incapacità naturale;
• per i contratti, l'annullabilità è ammessa quando sussiste la malafede, cioè quando il contraente
era a conoscenza delle anomale condizioni in cui si trovava l'altra parte. La malafede è desumibile
dalle clausole del contratto, dal danno che ne può derivare oppure da altri elementi.
L'azione per l'annullamento si prescrive in 5 anni, decorrenti dal giorno nel quale l'atto è stato compiuto e
può essere proposta solo dalla persona che ha compiuto l'atto in stato di incapacità naturale e non dalla
controparte. La sanità della mente è necessaria per la validità di taluni atti, a prescindere dall'esistenza o
meno di un pregiudizio per il loro autore: così e per il matrimonio, per il testamento e per la donazione.
La condanna all'ergastolo, o alla reclusione per un tempo non inferiore a 5 anni per un reato doloso,
porta come pena accessoria, l'interdizione legale del condannato. Essa si applica ipso iure: deriva da
una sentenza di condanna, ma non è stabilita dalla sentenza. Gli effetti dell'interdizione legale si
riferiscono a tutti gli atti di natura patrimoniale, ma non a quelli di diritto personale o familiare.
L'interdetto legale può quindi sposarsi, riconoscere figli naturali ecc... E' un istituto anomalo perché non è
una forma di protezione dell'incapace, ma una pena. Per i contratti stipulati dall'interdetto legale,
qualunque interessato può chiedere l'annullamento.
La sentenza dichiarativa del fallimento priva il fallito dell'amministrazione e della disponibilità dei suoi
beni: gli atti di disposizione e amministrazione del proprio patrimonio eventualmente posti in essere dal
fallito posteriormente alla pronuncia della sentenza di fallimento sono inefficaci nei confronti dei creditori.
Questa non è una forma di incapacità d'agire: perché l'atto compiuto non è invalido e non è impugnabile
dallo stesso fallito. Esso può compiere gli atti di natura personale e familiare, per gli atti patrimoniali
provvede un curatore nominato dal tribunale.
ANNULLABILITA' DEGLI ATTI NEGOZIALI COMPIUTI PERSONALMENTE DALLA PERSONA INCAPACE D'AGIRE
L'atto compiuto dal bambino che ignora il valore delle parole che pronuncia è radicalmente nullo. È,
invece, di regola annullabile il negozio compiuto dal minore o dall'interdetto: il primo ha la capacità per
compiere qualche singolo atto previsto dalla legge, il secondo se legale conserva la capacità per gli atti di
diritto familiare e per il testamento, se giudiziale non può concludere nessun negozio.
In materia di diritti patrimoniali la legge prevede due ipotesi:
• che la persona sia legalmente riconosciuta come incapace;
• oppure che si trovi in stato di capacità non dichiarata.
In tutti questi casi i negozi conclusi sono annullabili. L'annullamento per incapacità non dichiarata richiede
gli ulteriori presupposti del grave pregiudizio o della malafede della controparte, mentre per l'incapacità
dichiarata vale il principio per cui il soggetto può chiedere l'annullamento senza essere tenuto a
dimostrare di aver subito un danno e a prescindere dalla circostanza che il suo stato di incapacità fosse o
meno conosciuto dalla controparte in occasione della stipulazione del contratto: basta quindi che il
soggetto sia legalmente incapace perché gli atti da lui compiuti siano annullabili. Nel caso in cui il minore
con artifizi e raggiri inganni la controparte sulla sua vera età il contratto rimane fermo e valido (1426).
L'annullamento può essere chiesto soltanto dall'incapace (o da chi per lui): il contratto ha di conseguenza
una stabilità unilaterale, è claudicante. L'annullabilità di regola, è quindi relativa ed è sanabile con la

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convalida.
L'azione di annullamento si prescrive in 5 anni: se si tratta di interdetti o inabilitati, i 5 anni cominciano a
correre dal momento del passaggio in giudicato della sentenza che revoca l'interdizione o l'inabilitazione,
oppure dalla morte della persona; se di un minore dal raggiungimento della maggiore età; se del
beneficiario di una amministrazione di sostegno, dalla cessazione dello stato di sottoposizione
all'amministrazione di sostegno; se di un incapace non dichiarato dal giorno della stipulazione del
negozio. L'eccezione di incapacità è perpetua. Il soggetto che, dopo aver concluso un contratto in stato di
incapacità di agire, ometta di darvi esecuzione e venga per questo convenuto in giudizio dalla controparte
con una domanda giudiziale volta ad ottenerne la condanna all’adempimento del contratto rimasto
ineseguito può cioè paralizzare la domanda dell'attore eccependo l’annullabilità del contratto senza alcun
limite temporale, e quindi anche se nel frattempo è già scaduto il termine di prescrizione quinquennale
dell’azione che egli avrebbe potuto esperire per ottenere l’annullamento del negozio. Questa regola
integra opportunamente la difesa dell’incapace. Altrimenti, chi vincolasse contrattualmente un incapace,
approfittando appunto della sua inferiorità, potrebbe attendere lo scadere dei cinque anni dal giorno della
riacquistata capacità di agire e in seguito pretendere l’adempimento dell’obbligo, forse anche dimenticato
perché per lungo tempo non ne venne pretesa l'esecuzione. Nei confronti dei terzi, estranei al contratto
concluso con l'incapace, i quali abbiano acquistato diritti da uno dei contraenti, l'annullamento ha una
diversa efficacia: se deriva da incapacità legale, è opponibile anche ai terzi, se deriva da altra causa sono
fatti salvi i diritti acquistati a titolo oneroso dai terzi di buona fede.
SEZIONE III. I DIRITTI DELLA PERSONALITA’
Ogni uomo ha la possibilità astratta di essere titolare di diritti; a ogni individuo sono riconosciuti dei diritti
chiamati “diritti inviolabili dell’uomo” e sono:
• assoluti: possono essere fatti valere nei confronti di tutti;
• non patrimoniali: in quanto tali diritti non possono assumere un valore di scambio;
• inalienabili: al soggetto non è consentito alcun potere dispositivo su di essi;
• intrasmissibili: si estinguono con la morte del titolare;
• imprescrittibili: non si estinguono per uso;
• irrinunciabili: non sono suscettibili di essere dismessi mediante un atto di rinuncia.
Tra i diritti inviolabili dell'uomo sono ricompresi il diritto alla vita e un diritto all'integrità fisica, tali
diritti sono protetti dal diritto penale, che punisce l'omicidio e le lesioni personali, e dal diritto civile, che
prevede l'obbligo al risarcimento del danno per tutti gli atti lesivi di questo bene. La Costituzione
riconosce inoltre il diritto alla salute all'art.32 come fondamentale diritto dell'individuo da intendere sia
come diritto al rispetto dell'integrità fisica, sia come diritto all'assistenza sanitaria. Altro diritto essenziale
della persona è quello all’integrità morale o all’onore (per il diritto penale nessuna pena è infamante) e
sono tutelati dal diritto penale attraverso la punizione dei reati di ingiuria e diffamazione per i quali
impone l'obbligo di risarcire i danni anche morali. Va annoverato il diritto alla propria immagine
previsto il divieto di pubblicare il ritratto di una persona senza il consenso della medesima, e dopo la sua
morte, senza il consenso dei suoi congiunti. Soprattutto ad opera della giurisprudenza, si è venuto
affermando un più ampio e generale diritto alla riservatezza, ovvero alla protezione della vita privata
quale diritto fondamentale dell'individuo a porsi al riparo dalle più svariate forme di intrusione nella
propria sfera d'intimità. Si parla poi di un vero e proprio diritto all'identità personale diretto ad
assicurare almeno una protezione contro l'attribuzione di fatti, di idee politiche e religiose, di situazioni
personali riguardanti il sesso o la capacità dell'individuo non corrispondenti alla realtà. Non si può
prendere conoscenza né divulgare il contenuto di lettere senza il doppio assenso di chi le ha scritte e
del destinatario. Tutela eguale è stabilita per i documenti segreti o carte di famiglia, come pure per i
segreti professionali. La tutela della libertà è considerata essenziale diritto della persona: la libertà è il
diritto principe. Sono nulli i negozi con i quali si sacrifichi in modo assoluto tale sommo bene.
La tutela del nome è diretta alla cura di un interesse individuale e della società; avere un nome è un
diritto e un dovere. Il nome si compone del prenome e del cognome che il nome della famiglia: il primo è
dativo, è cioè dichiarato da uno dei genitori, da un loro procuratore speciale o da chi altri faccia la
dichiarazione di nascita; il secondo viene assunto dai figli legittimi senza bisogno di speciale attribuzione.
Se i genitori sono ignoti, l’ufficiale di stato civile o il direttore dell’ospizio stabiliscono il nome da imporre.
Il prenome o il cognome può essere modificato su domanda e per giustificati motivi es. perché ridicolo,
vergognoso o riveli l’origine illegittima, mediante decreto; oppure in seguito ad avvenimenti della vita (si
pensi al figlio naturale che assume il cognome del genitore che per primo lo ha riconosciuto). La moglie
aggiunge al proprio, il cognome del marito e lo conserva durante lo stato vedovile. L'adottato assume il
solo cognome del padre adottivo. L'adottato in casi particolari e l'adottato maggiore d'età aggiungono
invece il cognome dell'adottante premettendolo al loro.
SEZIONE IV. LA SEDE GIURIDICA DELLA PERSONA
La vita di ciascuno è legata all’atto di nascita che viene fatto e resta nei registri che si trovano nel luogo
della nascita. Il nostro sistema attua una distinzione tra dimora, residenza e domicilio:
 dimora: indica il luogo nel quale la persona si trova anche solo in via transitoria (soggiorno in
vacanza). Ha scarso rilievo giuridico, non è definita dal codice civile e vi si ricorre solo in via
sussidiaria, quando non sia nota la residenza, per la notifica degli atti giudiziari.
 Residenza: indica il luogo nel quale la persona dimora abitualmente con una stabilità duratura
accompagnata dalla volontà di fissarvi la propria abitazione. La residenza può essere trasferita
con doppia dichiarazione ai comuni del luogo di partenza e arrivo. La residenza anagrafica è unica
con rilievo anche per l'esercizio dei diritti e dei doveri del cittadino, si ritiene che si possano avere

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più residenze di fatto quando la dimora abituale sia indifferentemente in più luoghi.
 Domicilio: è determinato dal luogo dove una persona ha stabilito la sede principale dei propri
affari o interessi. Ogni persona ha un solo domicilio generale. Nel domicilio si intende trovarsi il
soggetto indipendentemente dal fatto di una sua effettiva presenza.
Conseguenze:
➢ la residenza:
◦ determina il luogo dove va fatta la pubblicazione e dove viene celebrato il matrimonio;
◦ stabilisce la competenza del tribunale per l'adozione.
➢ Il domicilio determina il luogo dove:
◦ si apre la tutela;
◦ si apre la successione per causa di morte;
◦ viene dichiarato il fallimento dell'imprenditore.
Effetti comuni sono la determinazione della competenza territoriale degli organi giudiziari e la fissazione
del luogo dove alcuni atti giudiziari vanno notificati.
SEZIONE V. LE PERSONE GIURIDICHE IN GENERALE
La persona giuridica è un organismo unitario che viene considerato dall’ordinamento come soggetto di
diritto, come un ente fornito di capacità giuridica propria e distinto dalle persone fisiche che concorrono a
formarlo. La persona giuridica costituisce un centro d'interessi distinto dall'uomo singolo e dagli uomini
che lo compongono. Devono coesistere quattro elementi nell’organizzazione di una persona giuridica:
 persone: partecipano alla vita della persona giuridica sempre, o come soggetti che formano la
volontà dell’ente o come destinatari della sua attività;
 patrimonio: qualunque sia lo scopo perseguito dalla persona giuridica, un patrimonio è sempre
indispensabile in quanto l'attività delle persone per il raggiungimento dello scopo si trasforma
necessariamente in rapporti economici e giuridici e senza base economica non avrebbe senso
riconoscere obblighi a carico di un ente;
 scopo: lo scopo perseguito dall’ente costituisce l’elemento unificatore delle persone e dei beni che
la compongono. E’ sufficiente uno scopo di qualsiasi natura, purché possibile e lecito: una stessa
persona giuridica può perseguire anche più scopi. Alla natura dello scopo fa riferimento la
principale distinzione operante all'interno delle persone giuridiche:
o gli enti che perseguono scopi ideali: una distinzione importante si fa tra
 le associazioni: gruppi di persone riunite per il conseguimento di un loro scopo.
 le fondazioni: enti destinati alla volontà di un fondatore alla cura dei beni legati a
una determinata opera.
La distinzione appare fondata sulla prevalenza delle persone nelle associazioni e
del patrimonio nelle fondazioni (prevalenza e non esclusione dell'altro elemento
costitutivo). Circa la volontà: nelle fondazioni è esterna all'ente in quanto
proveniente dal fondatore, nelle associazioni è interna, in quanto deriva dagli
stessi membri dell'ente.
o Gli enti che perseguono scopi di lucro: ricomprendono le società commerciali e le società
di capitali disciplinate nel libro V del codice civile.
L'insieme degli elementi descritti costituisce l'elemento materiale, o sostrato.
 L'elemento formale è il riconoscimento.
Un'altra distinzione si fa tra:
✔ persone pubbliche: hanno uno scopo di carattere pubblico, sono attive nell'interesse dello Stato.
Si riscontrano manifestazioni di volontà dotate di un plusvalore, hanno cioè una superiorità
rispetto alla volontà di altri soggetti di diritto con i quali vengono in relazione. L'orientamento più
affermato desume la qualifica pubblica dell'ente:
• dal suo inserimento istituzionale nell'organizzazione della Pubblica Amministrazione;
• per la sua relazione di ausiliarietà con lo Stato od altro ente pubblico in ragione del pubblico
interesse connesso con l'oggetto della sua attività;
• dal suo assoggettamento ad uno speciale regime giuridico caratterizzato dall'attribuzione di
alcuni poteri e prerogative analoghi a quelli statali e dall'assoggettamento ad un sistema di
controlli inversamente proporzionale alla sua autonomia.
Sono persone giuridiche pubbliche lo Stato, gli enti autarchici territoriali, le istituzioni pubbliche di
beneficenza ecc...
✔ Persone private: hanno uno scopo privato. Sono le società commerciali, le associazioni, le
fondazioni ecc...
L'odierna tendenza è di ridurre l'ampia categoria degli enti pubblici mediante la soppressione di quelli
ritenuti inutili e la privatizzazione di quelli operanti in settori un tempo ritenuti di rilevanza pubblica.
Sulla base dello scopo perseguito si differenziano le persone giuridiche ecclesiastiche da quelle civili es.
parrocchie, capitoli, conventi. Gli enti ecclesiastici sono persone giuridiche private dotate di speciale
autonomia in ragione del loro carattere peculiare che lo Stato riconosce e tutela specificamente. Vengono
riconosciuti come persone giuridiche agli effetti civili e sono tenuti all'iscrizione nel registro delle persone
giuridiche private. Sono enti ecclesiastici anche le istituzioni espresse dalle diverse confessioni religiose,
che abbiano stipulato intese con lo Stato.
ATTRIBUZIONE DELLA PERSONALITA' GIURIDICA. IL REGISTRO DELLE PERSONE GIURIDICHE
Con l’espressione persona giuridica si intendono quegli enti che hanno ottenuto il riconoscimento
statale. L’ente dotato di personalità giuridica costituisce un centro unificato di imputazione di diritti e di

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obblighi ed è dotato di perfetta autonomia patrimoniale.


L’art. 12 c.c. (ora abrogato) prevedeva che il riconoscimento fosse attribuito con decreto del Presidente
della Repubblica, il Governo poteva delegare questa facoltà ai prefetti. L’atto di riconoscimento, dotato
di efficacia costitutiva, era un atto discrezionale perché subordinato a valutazioni di opportunità da
parte della P.A. con riguardo allo scopo dell’ente ed alla sufficienza dei mezzi patrimoniali. Il vecchio
sistema era vivacemente criticato dalla dottrina perché di tipo “concessorio”, cioè affidato alla
discrezionalità della P.A, mentre più favorevole il sistema di tipo “normativo” previsto per le società, per le
quali l'acquisto della personalità giuridica è conseguenza dell'iscrizione nel registro delle imprese. In
effetti il d.p.r. 10/02/2000 ha radicalmente modificato il sistema di attribuzione del riconoscimento. Le
associazioni, le fondazioni e le “altre istituzioni di carattere privato” acquistano la personalità giuridica
mediante il riconoscimento determinato dall’iscrizione nel registro delle persone giuridiche istituito presso
le prefetture. La domanda è presentata alla prefettura nella cui provincia è stabilita la sede dell’ente. I
richiedenti devono allegare alla domanda copia autentica dell’atto costitutivo e dello statuto. Ai fini del
riconoscimento è necessario che siano state soddisfatte le condizioni previste da norme di legge o di
regolamento per la costituzione dell’ente, che lo scopo sia possibile e lecito e che il patrimonio risulti
adeguato alla realizzazione dello scopo. Il prefetto deve provvedere all'iscrizione entro 120 giorni dalla
data di presentazione della domanda.
La differenza tra vecchio e nuovo sistema consiste nel fatto che nel sistema precedente la registrazione
non era requisito essenziale per l’acquisto della personalità giuridica, ma assolveva ad una funzione di
pubblicità, rendendo conoscibili a tutti gli elementi identificativi dell’ente, gli atti conclusi e le vicende che
lo riguardavano. Altra novità rilevante è lo spostamento della competenza alla tenuta del registro
dall’autorità giudiziaria al prefetto.
ORGANI DELLA PERSONA GIURIDICA
La relazione tra chi agisce per l’ente e la persona giuridica costituisce una particolare forma di
rappresentanza. Si discosta dalla classica forma di rappresentanza (dove il rappresentante sostituisce la
volontà del rappresentato con la propria) per l’inesistenza di una volontà dell’ente. La volontà della
persona giuridica è invece riferita da quella espressa dalle persone fisiche che formano l’organo
amministrativo dell’ente. Questo fenomeno viene chiamato rappresentanza istituzionale o organica. In
virtù di tale legame i comportamenti illeciti tenuti dagli organi a danno dei terzi sono imputati all’ente
(purché si tratti sempre di atti posti in essere nell’ambito dei fini dell’ente stesso). La responsabilità
dell’ente non esclude l’ulteriore responsabilità dell’autore dell’illecito.
CAPACITA' DELLE PERSONE GIURIDICHE
La persona giuridica è dotata di capacità giuridica generale. Si ammette che gli enti (anche non
riconosciuti) godono di quei diritti che non sono legati alla fisicità della persona. È quindi riconosciuta loro
la tutela del nome, dei segni distintivi, dell'onore e all'identità personale. In alcuni casi la giurisprudenza
riconosce alla persona giuridica il risarcimento del danno non patrimoniale conseguente alla violazione di
diritti della personalità. L'art. 979 limita a una durata massima di trent'anni l'usufrutto costituito a favore
di una persona giuridica. La persona giuridica è anche capace di agire ad attua questa sua capacità per
mezzo dei propri organi.
ORGANI DELLA PERSONA GIURIDICA
Tra la persona fisica titolare dell'organo e la persona giuridica esiste una coordinazione per rendere
possibile la manifestazione attiva della personalità: la volontà di un individuo (o di una pluralità di
individui) interviene necessariamente come elemento attivo di un'altra personalità che altrimenti non
potrebbe esprimersi, si chiama rappresentanza istituzionale o organica. Il concetto di organo
consente di imputare all'ente tutti i comportamenti giuridicamente rilevanti. All'esterno, di fronte ai terzi,
la situazione è uguale a quella della rappresentanza generale.
RESPONSABILITA' DELLA PERSONA GIURIDICA
I comportamenti illeciti tenuti dagli organi a danno dei terzi sono imputati all’ente. Si ritiene che la
responsabilità dell’ente non venga meno anche in caso di illecito doloso, purché si tratti di atto posto in
essere nell’ambito delle proprie attribuzioni e per il fine proprio dell’ente stesso. La responsabilità della
persona giuridica viene configurata come responsabilità diretta. La responsabilità dell’ente non esclude
l’ulteriore responsabilità dell’autore dell’illecito tenuto in via solidale. I principi delineati si applicano
anche agli enti privi di riconoscimento.
Per quanto riguarda la responsabilità penale si riteneva tradizionalmente che potesse configurarsi solo a
carico delle singole persone fisiche: sembrava si escludesse che la persona giuridica potesse essere
soggetto attivo di reati. Ora invece, il d. lgs. 231/2001, prevede che l’ente, senza distinzione tra enti
riconosciuti e non riconosciuti, sia responsabile per i reati commessi nel suo interesse e a suo vantaggio
da persone che rivestono funzioni di direzione, gestione e rappresentanza. Le sanzioni in questi casi sono
di tipo pecuniario, ma è anche prevista l’interdizione dell’esercizio di quell’attività alla quale si riferisce
l’illecito.
Può inoltre accadere che l’ente abusi della personalità giuridica, approfittando della disciplina speciale (e
soprattutto del privilegio dell’autonomia patrimoniale perfetta) in assenza delle condizioni che ne
giustificano l’applicazione. I giudici per colpire il fenomeno cercano di risalire dalla forme alla realtà della
persona giuridica e ricorrono anche alle figure della frode alla legge o della simulazione.
ESTINZIONE DELLE PERSONE GIURIDICHE E DEVOLUZIONE DEI BENI
L’art. 27 c. 1 dispone che le persone si estinguono per le cause previste nell’atto costitutivo e nello
statuto, il raggiungimento dello scopo e della sopravvenuta impossibilità di conseguirlo. Quando si tratta
di fondazione, gli stessi eventi possono dar luogo, oltre che ad estinzione, a trasformazione su intervento
dell'autorità governativa. Altre possibili cause di estinzione per le associazioni sono la delibera

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assembleare di scioglimento, lo scadere del termine di durata se previsto, la dichiarazione di nullità del
contratto associativo e il venir meno di tutti i membri. L'art. 29 fa menzione di uno scioglimento
autoritativo “a norma di legge”; provvedimento previsto in via eccezionale dal legislatore per sanzionare
il divieto di ricostruire il partito fascista e di fondare associazioni segrete. Se la Prefettura accerta
l'esistenza di una delle cause di estinzione della persona giuridica dà comunicazione della dichiarazione di
estinzione agli amministratori e al presidente del tribunale affinché dia l'avvio al procedimento di
liquidazione dei beni. Il verificarsi di una causa di estinzione determina il passaggio alla liquidazione, per
provvedere alla sorte dei beni che facevano parte del patrimonio ed alla definizione dei rapporti giuridici
pendenti. Soddisfatti, in sede di liquidazione, i creditori dell’ente, i beni residui sono devoluti in
conformità dell’atto costitutivo o dello statuto. Il presidente del tribunale provvede a che sia data
comunicazione ai competenti uffici affinché dispongano la cancellazione dell'ente dal registro medesimo.
La cancellazione segnerà l'effettivo momento di estinzione della persona giuridica.
SCISSIONE E TRASFORMAZIONE
I fenomeni di scissione di associazioni si verificano quando un gruppo di iscritti, dimettendosi per
costituire un'altra associazione, o una struttura minore, si stacca da un ente associativo di carattere
nazionale, ovvero un'associazione da una federazione. Le conseguenze giuridiche delle vicende, che
hanno interessato negli ultimi anni la maggioranza dei partiti, attengono alla titolarità dei diritti e degli
obblighi spettanti ai vecchi partiti trasformati. Può anche avvenire che un'associazione si trasformi in
una fondazione. L'assemblea dovrà deliberare la relativa modifica statutaria, il cui effetto è subordinato
all'approvazione dell'autorità. La riforma societaria del 2003 ha introdotto la c.d. trasformazione
eterogenea che prevede la trasformazione delle società di capitali in associazioni non riconosciute,
comunioni d'azienda e fondazioni e dispone che comunioni d'azienda, associazioni riconosciute e
fondazioni possano trasformarsi in società di capitali.
SEZIONE VI. LE ASSOCIAZIONI RICONOSCIUTE
La costituzione tutela solennemente la libertà associativa ed in modo particolare le associazioni religiose,
sindacali e partiti politici. La garanzia della libertà di associazione si inquadra nell'ampio risalto attribuito
dal legislatore costituzionale ai valori del pluralismo ed all'autonomia delle formazioni sociali. L'unico
limite posto alla libertà associativa è quello della legge penale, sono inoltre vietate le associazioni segrete
e quelle che perseguono anche indirettamente, scopi politici mediante organizzazioni di carattere militare.
L’associazione prende vita da un atto di autonomia: il contratto associativo. L'art.14 c.1 c.c. prevede
che l'associazione debba essere costituita per atto pubblico in quanto titolo per il riconoscimento della
persona giuridica. La forma dell'atto costitutivo di un'associazione non riconosciuta è invece libera. I
contratti associativi sono contratti consensuali, di durata, a titolo oneroso, con efficacia o reale o
obbligatoria. Sono contratti plurilaterali, strutturati in modo che il numero delle parti possa variare, in cui
le prestazioni sono dirette al perseguimento di uno scopo comune, da realizzarsi attraverso lo svolgimento
di una attività. Tipica del contratto associativo è la struttura aperta, che rende possibile l’ingresso di
nuove parti e l’esodo, che può essere volontario (mediante recesso) o forzoso (esclusione). Il contratto è
formato da due documenti:
• l’atto costitutivo in cui si manifesta la volontà delle parti di dar vita al rapporto;
• lo statuto: in cui si trova la regolamentazione del rapporto, cioè le norme dedicate
all'organizzazione e al funzionamento dell'ente.
I due documenti si compongono, però, in un unico negozio giuridico. L’art. 16 dispone che l’atto
costitutivo della persona giuridica debba contenere la denominazione dell’ente, l’indicazione dello scopo,
del patrimonio, della sede, le norme sull’ordinamento e l’amministrazione, che deve determinare i diritti e
gli obblighi degli associati e le condizioni della loro ammissione. L’atto può, inoltre, includere norme
relative all’estinzione dell’ente e alla devoluzione del patrimonio. Lo scopo, le condizioni per l'ammissione
degli associati, le regole sull'ordinamento interno e l'amministrazione sono requisiti indispensabili anche
quando si tratta di associazioni non riconosciute.
L’associazione è titolare di un patrimonio che a norma di legge deve essere adeguato alla realizzazione
dello scopo. Nel caso della persona giuridica il patrimonio svolge anche la funzione di consentire il
soddisfacimento delle ragioni dei creditori, mentre quando si tratta di associazione non riconosciuta, dei
debiti rispondono anche coloro che hanno agito in nome e per conto dell'ente.
Il patrimonio è in genere formato dai contributi degli associati, da sovvenzioni dello Stato e di altri
enti pubblici, da liberalità di terzi e da proventi dell'attività economica eventualmente svolta dall'ente. Il
patrimonio dell’associazione riconosciuta è perfettamente autonomo rispetto a quello dei suoi membri. Le
associazioni non riconosciute sono dotate di un fondo comune, la cui autonomia nei confronti del
patrimonio dei membri è analoga a quella del patrimonio di cui è titolare l'associazione riconosciuta. I
singoli associati, infatti, non possono durante la vita dell’ente, chiedere la divisione del fondo comune, né
pretendere la quota in caso di recesso. Ne consegue che sul fondo non potranno soddisfare le proprie
ragioni neppure i creditori personali degli associati. I creditori dell'associazione non riconosciuta devono
far valere i loro diritti sul fondo comune e se esso non è sufficiente delle obbligazioni assunte in nome e
per conto dell'associazione rispondono personalmente e solidalmente coloro che hanno agito. Si ritiene
comunemente che l'unica caratteristica richiesta ad associazioni e fondazioni dal legislatore del codice sia
l'assenza di distribuzione di utili tra gli associati. Alla normativa del codice si aggiunge ora quella del d.p.r.
n. 361/2000, che all’art. 1 richiede come unici requisiti dello scopo la possibilità e liceità. La natura non
lucrativa dello scopo non preclude la possibilità che associazione e fondazione svolgano un’attività
imprenditoriale, purché i proventi siano destinati al perseguimento dello scopo dell’ente.
Organi necessari dell’associazione, riconosciuta e non riconosciuta, sono l’assemblea e gli
amministratori, possono aggiungersi organi eventuali di controllo o di giustizia interna, come il consiglio

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dei probiviri.
Agli amministratori sono attribuite le funzioni di gestire e di rappresentare l’ente nei confronti dei terzi; ad
essi spetta anche l’obbligo di eseguire le attività previste dalla legge, quali la convocazione annuale
dell’assemblea per l’approvazione del bilancio. Lo statuto determina la composizione dell’organo
amministrativo, indica coloro cui spetta la rappresentanza dell’ente, le modalità di nomina e la durata in
carica dei componenti. La funzione rappresentativa può essere attribuita anche ad altri organi, quali il
presidente dell’associazione. Di regola lo statuto indicherà anche le carica cui è connessa la
rappresentanza in giudizio dell’ente. Quando si tratta di associazioni non riconosciute tale funzione
compete a chi ne detiene la presidenza o la direzione.
L’organo amministrativo può essere formato da una sola persona, anche se generalmente le norme
statutarie prevedono un consiglio di amministrazione, organo collegiale che delibera a maggioranza.
Per le associazioni riconosciute l’art. 18 c.c. dispone che gli amministratori sono responsabili verso l’ente
secondo le norme del mandato, l'azione di responsabilità è deliberata dall’assemblea, organo collegiale
con funzione deliberante cui partecipano, in linea di principio, tutti gli associati. Sono di sua competenza
tutte le decisioni concernenti la vita, la disciplina e l’attività dell’assemblea ed in particolare:
l’approvazione del bilanci, le modifiche dell’atto costitutivo e dello statuto, lo scioglimento
dell’associazione e la devoluzione del patrimonio, nomina e revoca degli amministratori, azione di
responsabilità contro questi ultimi. L’assemblea delibera secondo il principio maggioritario, la cui
operatività è subordinata all’adozione del metodo collegiale, cui viene attribuita la proprietà di
trasformare una pluralità di dichiarazioni individuali nella volontà collettiva: la delibera viene considerata
come espressione della volontà dell’ente, vincolante anche per i dissidenti.
La qualità di associato si acquisisce tramite stipulazione dell’accordo associativo o, se l’ente è già
costituito, con successiva adesione. L’art. 16 prevede che l’atto costitutivo debba contenere le condizioni
per l’ammissione di nuovi soci, cioè l’indicazione di requisiti necessari per poter far parte del gruppo. Si
sottolinea che non esiste un dovere del gruppo di accogliere le domande di tutti coloro che siano in
possesso dei requisiti previsti nell’atto costitutivo. A norma dell’art. 1332 c.c. l’adesione “deve essere
diretta all’organo che sia stato costituito per l’attuazione del contratto o, in mancanza di esso, a tutti i
contraenti originari (l'atto costitutivo può stabilire differenti modalità). Alla titolarità del rapporto
associativo sono ricollegati obblighi (i più rilevanti sono i contributi di carattere economico) e diritti (che
consistono nella partecipazione dell’ente e nella facoltà di fruire i servizi dell’associazione). La qualità di
associato è normalmente intrasmissibile, fatta salva tuttavia una diversa volontà espressa nell’atto
costitutivo e nello statuto.
Spesso lo statuto contiene clausole che prevedono sanzioni a carico dell’associato che ne contravvenga
le norme o assuma un comportamento pregiudizievole per gli interessi comuni. La sanzione massima, cioè
l’esclusione, può essere deliberata dall’assemblea solo in presenza di gravi motivi. Contro la delibera è
ammesso il ricorso all’autorità giudiziaria per chiederne l’annullamento. Si è visto che l’associato escluso
non può ripetere i contributi versati, né vantare diritti su patrimonio dell’ente. L’atto costitutivo non può
vietare il ricorso all’autorità giudiziaria.
Al potere di esclusione corrisponde la facoltà di recedere che è attribuita all'associato a meno che
questi non abbia assunto l'obbligo di fare parte del gruppo per un tempo determinato. È nulla la clausola
statutaria che esclude la facoltà di recesso o la rende troppo difficoltosa ed è nullo il patto con cui ci si
impegni a rimanere nell’associazione indefinitamente. La dichiarazione di recesso è negozio unilaterale
recettizio, che deve essere indirizzato per iscritto agli amministratori.
SEZIONE VII. LE ASSOCIAZIONI NON RICONOSCIUTE
La breve disciplina dell’associazione non riconosciuta era destinata, nel disegno del legislatore del ’42, a
regolare forme associative minori e di scarsa rilevanza in generale. Nella pratica è avvenuto che i più
rilevanti gruppi organizzati, quali i partiti politici ed i sindacati, ansiosi di libertà immune da ogni
controllo statale abbiano scelto di costruirsi e “vivere” nelle forme dell’ente di fatto. Dal tempo
dell’emanazione del codice, la dottrina e la giurisprudenza hanno progressivamente minimizzato le
differenze tra enti dotati di riconoscimento e gruppi non riconosciuti, approdando, nella sostanza, a
considerare anche questi ultimi soggetti di diritto del tutto distinti dalle persone dei membri. Recenti
interventi legislativi hanno poi provveduto a cancellare la rilevante disparità tra enti relativa alla capacità
di accettare eredità e donazioni.
I punti essenziali in cui la disciplina diverge riguardano la registrazione e l’autonomia patrimoniale
che nelle associazioni non riconosciute è imperfetta: dei debiti sociali risponde infatti non solo
l’associazione con il fondo comune, ma anche coloro che hanno agito in nome e per conto
dell’associazione stessa (gli amministratori).
Secondo l’opinione ora prevalente tutti gli enti:
• sono dotati di capacità giuridica e di agire;
• sono titolari di diritti personalissimi e patrimoniali;
• possono acquistare diritti ed alienare beni senza alcun controllo.
L’atto costitutivo dell’associazione non riconosciuta è, al pari delle altre, un contratto, per esso però non
è prevista alcuna forma particolare (non è necessario né l’atto pubblico e neppure l’atto scritto), può
perciò tacitamente risultare dall’attività del gruppo organizzato. Elementi essenziali dell’atto costitutivo
sono lo scopo, le condizioni per l’ammissione degli associati, le regole sull’ordinamento interno. La
dottrina prevalente ritiene che anche l’associazione non riconosciuta sia caratterizzata dal principio della
porta aperta ossia dalla necessaria previsione della possibilità di adesione da parte di terzi. Quanto al
recesso e all’esclusione degli associati, si ritiene applicabile in via analogica l’art. 24 c.c.

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Del fondo comune è titolare l’associazione non riconosciuta. Su questo fondo possono soddisfare le
proprie ragioni i creditori dell’associazione, ma non i creditori personali degli associati. Anche il fondo
comune è costituito dai contributi degli associati, dai beni acquistati con questi contributi e da ogni altro
bene pervenuto all’associazione a qualunque titolo da soggetti pubblici e privati. Come per l’associazione
riconosciuta, fino allo scioglimento dell’ente sussiste il divieto di divisione del fondo comune e lo
scioglimento del rapporto con un solo associato, per recesso come per esclusione, non gli attribuisce
alcun diritto sul fondo comune stesso.
La disciplina dell'organizzazione interna è rimessa all'autonomia degli associati, espressa generalmente
nello statuto che accompagna l'atto costitutivo. Il potere di amministrazione e rappresentanza spetta
all'organo indicato dallo statuto. L'art.38 c.c. prevede, oltre alla responsabilità dell'associazione, ossia del
fondo comune, la responsabilità personale e solidale di coloro che hanno agito in nome e per conto
dell'associazione medesima. I semplici associati sono esenti da ogni responsabilità. Tale responsabilità si
giustifica con la mancanza di qualsiasi forma di controllo sull'idoneità del patrimonio a costituire
un'adeguata garanzia per i creditori. La responsabilità del fondo comune si estende anche alle
obbligazioni non negoziali derivanti da illeciti compiuti da amministratori o da dipendenti dell'associazione
ed imputabili ad essa a titolo di responsabilità diretta.
Valgono per l’associazione non riconosciuta le medesime ragioni di estinzione previste per gli enti dotati
di personalità. Verificatasi la causa di estinzione automatica o deliberato lo scioglimento non potranno
compiersi nuove operazioni e dovrà procedersi alla liquidazione. La devoluzione dei beni residuati dalla
liquidazione va effettuata in conformità dell’atto costitutivo e dello statuto ovvero secondo quanto
abbiano eventualmente deliberato gli associati superstiti. Per le associazioni non riconosciute il codice
riconosce implicitamente il diritto dei membri superstiti a chiedere la divisione del fondo comune dopo
l’estinzione dell’ente. In mancanza di clausole statutarie o deliberazione degli accordi provvederà a
riguardo l’autorità governativa. Esaurita anche la fase della devoluzione dei beni, l’associazione si
estingue senza che sia necessaria alcuna particolare formalità.
SEZIONE VIII. LE FONDAZIONI
La Fondazione è una organizzazione stabile costituita per destinare un patrimonio al perseguimento di
uno scopo. Il patrimonio viene sottratto alla disponibilità del fondatore e degli amministratori per essere
unicamente destinato alla realizzazione degli scopi statutari. Negli ultimi anni il legislatore ha imposto,
nell'ambito del processo di privatizzazione delle imprese pubbliche e degli enti pubblici economici, la
trasformazione coattiva di enti pubblici in tipi particolari di fondazioni di diritto privato (fondazioni
bancarie, fondazione enti-lirici, fondazioni universitarie).
Anche nella fondazione si distinguono tradizionalmente due elementi costitutivi:
• quello materiale: il substrato, costituito dal patrimonio vincolato allo scopo;
• quello formale: il riconoscimento.
La fondazione è dotata di capacità giuridica generale ed ha capacità di agire, che attua per mezzo
degli organi. Il codice non disciplina una forma di fondazione non riconosciuta: la ragione è che tale tipo di
fondazione viene sottratta ad ogni controllo pubblico, rischiando di immobilizzare patrimoni anche
rilevanti per scopi che nel tempo sono diventati inutili.
La fondazione si costituisce con un atto di privata autonomia mediante il quale il fondatore manifesta la
volontà di dar vita ad un ente, che dovrà provvedere alla realizzazione di uno scopo da lui determinato,
destinando i mezzi patrimoniali necessari. Il negozio di fondazione è atto unilaterale non recettizio.
Fondatori possono essere sia soggetti privati sia enti, anche societari.
Al pari dell’associazione, anche per la fondazione la parte normativa dell’atto costitutivo, contenente le
clausole che disciplinano l’attività e le vicende dell’ente, prende il nome di statuto.
Si applica al negozio di fondazione l’art. 16 c.c.: l’atto costitutivo e lo statuto devono necessariamente
contenere la denominazione, l’indicazione dello scopo, del patrimonio, della sede, le norme
sull’ordinamento e sull’amministrazione. Sono facoltative le clausole relative all’estinzione dell’ente, alla
sua trasformazione ed alla devoluzione del patrimonio. Il patrimonio svolge anche la funzione di
assicurare il soddisfacimento delle ragioni dei creditori, ragioni non altrimenti garantite. Dei debiti della
fondazione risponde solo il patrimonio dell'ente.
La dottrina sino ad ora prevalente ritiene che l'assenza di distribuzione degli utili non sia requisito
sufficiente ad identificare le finalità perseguibili nelle forme della fondazione dovendo l’istituto perseguire
necessariamente fini caritatevoli, assistenziali, culturali e cioè di interesse generale. Infatti solo in
vista di finalità di un rilevante interesse collettivo l’ordinamento “tollererebbe” gli inconvenienti che si
collegano all’istituto della fondazione: gli impedimenti alla circolazione dei beni e al libero
sfruttamento delle risorse economiche. È pienamente ammissibile una fondazione titolare di impresa:
l'esigenza che l'ente debba rivolgersi al soddisfacimento di uno scopo socialmente rilevante non gli
preclude la possibilità di esercitare attività di natura economica, anche in forma imprenditoriale, purché i
profitti siano impiegati per assolvere le tipiche finalità di indole altruistica.
L’unico organo previsto dal c.c. per la fondazione è il consiglio di amministrazione, perché l’ente è
sprovvisto di altri componenti e di governo assembleare. L’organo amministrativo deriva il proprio potere
dal negozio di fondazione. Gli amministratori non possono:
• modificare liberamente il contenuto dell'atto costitutivo;
• deliberare lo scioglimento dell'ente;
• variare il fine dell'ente;
essendo vincolati, nello svolgimento della propria attività, al perseguimento dello scopo prefissato dal
fondatore. La composizione e le modalità di nomina dei suoi componenti sono generalmente determinate

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dell’atto di fondazione, che deve anche stabilirne i poteri e le funzioni, e contenere l’indicazione di chi ha
la rappresentanza dell’ente. Quando queste disposizioni mancano o non siano attuabili provvede l’autorità
governativa. Accanto al consiglio di amministrazione sono spesso previsti altri organi collegiali quali
assemblee, consigli generali, comitati esecutivi. L'organo amministrativo può essere formato da una sola
persona, ma è più normale la previsione di u consiglio di amministrazione, che delibera a maggioranza.
Per quanto riguarda la responsabilità e il potere di rappresentanza le norme sono comuni a
fondazioni e associazioni.
I poteri di controllo attribuiti all'autorità governativa sono ora esercitati dalle prefetture, regioni o province
autonome competenti. Il codice attribuisce all'autorità pubblica poteri di vigilanza sull'amministrazione
dell'ente con lo scopo di proteggerne gli interessi e garantire l'effettiva destinazione del patrimonio allo
scopo voluto dal fondatore. L'autorità pubblica può:
• coordinare l'attività di più fondazioni, ovvero unificare la loro amministrazione, rispettando la
volontà del fondatore;
• provvedere a trasformare le fondazioni il cui scopo è divenuto impossibile o di scarsa utilità, o il
cui patrimonio è divenuto insufficiente, evitando l'estinzione dell'ente.
Si applica anche alle fondazioni l’art. 27 c.c. che prevede alcune tra le possibili cause di estinzione
dell’ente. Altre cause di estinzione sono lo scadere del termine di durata, qualora previsto, e la
dichiarazione di nullità dell’atto di fondazione.
Non è consentito inserire nello statuto una clausola secondo cui, in caso di estinzione, i beni residui
tornino al fondatore o siano devoluti ai suoi eredi, perché una disposizione di questo tipo sarebbe
incompatibile con la rilevanza sociale e collettiva dello scopo che caratterizza le fondazioni. L'autonomia
concessa al fondatore è circoscritta alla possibilità di indicare persone giuridiche che perseguano fini
analoghi, cui i beni residui andranno devoluti. In mancanza provvederà l'autorità governativa.
SEZIONE IX. I COMITATI
Gli art. 39-42 sono riservate ad una sommaria disciplina dei comitati, dal tenore delle norme del codice,
la disciplina si riferisce ad organizzazioni volontarie di persone che intendono promuovere il
perseguimento di scopi collettivi ed esterni ai promotori utilizzando mezzi finanziari raccolti mediante
oblazioni o pubbliche sottoscrizioni.
In dottrina e in giurisprudenza si discute se il comitato sia riconducibile entro lo schema dell’associazione
oppure della fondazione. Alcuni riconoscono al comitato una duplice natura, associativa nella fase
iniziale di costituzione del patrimonio e di fondazione nella fase seguente.
Il comitato si distingue dall’associazione per la necessaria altruità dello scopo, mentre l’associazione può
essere volta a realizzare anche l’interesse dei suoi componenti. Altra caratteristica è la struttura
normalmente chiusa del comitato. Anche la durata temporanea è considerata caratteristica frequente del
comitato.
L’ente si costituisce con accordo plurilaterale: il contratto di comitato, stipulato da un gruppo di
persone denominate “promotori”, è un contratto per la cui conclusione non richiesta alcuna forma
particolare. L’accordo contrattuale può risultare implicitamente dal programma sottoscritto dai promotori.
Componenti del comitato possono essere sia le persone fisiche, sia enti, riconosciuti e non riconosciuti,
privati e anche pubblici. La scelta delle regole organizzative è affidata implicitamente ai suoi membri. In
base all’art. 40 c.c. gli organizzatori e coloro che assumono la responsabilità dei fondi raccolti sono
responsabili personalmente e solidalmente della conservazione dei fondi e della loro destinazione allo
scopo annunziato. La responsabilità è configurabile nei confronti del comitato, degli oblatori, della
pubblica autorità e degli eventuali terzi beneficiari. La violazione dell'impegno importa l'obbligo di
risarcimento del danno rappresentato dalla sottrazione delle somme alla loro destinazione.
I comitati sono regolati dal codice come una figura di ente sprovvisto di riconoscimento, ma pur non
essendo persone giuridiche sono, secondo la giurisprudenza e la dottrina, figure giuridiche soggettive
titolari di diritti non patrimoniali e patrimoniali. È riconosciuto che i comitati possano avere titolarità
diretta dei rapporti relativi sia a beni mobili che immobili.
Il comitato dispone di una dotazione patrimoniale costituita dai fondi raccolti e dall'eventuale fondo
comune conferito dai membri. Delle obbligazioni assunte dagli organi rappresentativi del comitato
nell'esercizio dei loro poteri rispondono: il comitato con i propri fondi e tutti i componenti senza alcuna
distinzione tra chi ha agito e chi non ha agito. Nessuna responsabilità sussiste a carico degli oblatori, che
sono solo tenuti ad effettuare il versamento delle somme promesse mediante sottoscrizione. Dalla
previsione del 1°comma art. 41 si deduce implicitamente che i comitati possano ottenere la personalità
giuridica. In questo caso il comitato assume la veste dell’associazione riconosciuta o più frequentemente
della fondazione.
L’art. 42 c.c. prevede tre cause di estinzione del comitato:
1. l’insufficienza dei fondi raccolti;
2. l’impossibilità dello scopo o la sua realizzazione;
3. eventi già previsti come cause di estinzione dell’ente associativo.
Non sono queste però le sole cause di estinzione possibili:
• può infatti ipotizzarsi la fine dell’ente a causa del venir meno di tutti i membri;
• in caso di delibera di scioglimento adottata dai componenti;
• per l’invalidità dell’atto costitutivo;
• per qualsiasi ragione prevista nell’atto costitutivo stesso.
L’estinzione del comitato comporta il passaggio alla fase di liquidazione, analogamente a come

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abbiamo visto avvenire per gli altri tipi di ente. L’art. 42 risolve il problema della sorte di un eventuale
residuo di fondi raccolti disponendo che sia l’autorità governativa a stabilire la devoluzione di tali beni, a
meno che l’atto costitutivo non abbia diversamente disposto, intervento giustificato per il fatto che il
patrimonio è costituito con i contributi offerti da terzi per il perseguimento di uno scopo ritenuto
socialmente utile.
DIFFONDERSI DELL'ASSOCIAZIONISMO E LEGISLAZIONE DI SOSTEGNO
Agli enti che si dedicano alla realizzazione di interessi generali il legislatore dedica attenzione, attribuendo
come incentivo privilegi, immunità fiscali e contributi finanziari. Dalla normativa emerge che il requisito
della personalità giuridica non ha alcuna rilevanza al fine di ottenere gli incentivi, mentre è prevista
l'iscrizione in registri allestiti e sistemi di controllo. Nell'ambito della normativa fiscale il legislatore ha
previsto un regime di favore per gli enti non commerciali di tipo associativo e ha individuato particolari
soggetti (Onlus) cui ha riconosciuto un regime privilegiato in ragione della specialità dei fini. Esse non
costituiscono una nuova tipologia giuridica di ente, ma una qualità rilevante in sede tributaria. Possono
assumere tale qualificazione le associazioni, i comitati, le fondazioni, le società cooperative e gli altri enti
di carattere privato, con o senza personalità giuridica. Alle Onlus è consentito solo il perseguimento di
finalità di solidarietà sociale, con esclusione della possibilità di effettuare cessioni di beni o prestazioni di
servizi ai propri soci o associati. Esse sono registrate all'anagrafe unica istituita presso il Ministero
dell'economia e delle finanze e sono sottoposte al controllo di un'Authority.
SEZIONE X. L'IMPRESA SOCIALE
Il d. lgs. 155/2006 ha introdotto nel nostro ordinamento un particolare tipo di impresa destinato a operare
nel non profit. In base all'art.1 possono acquisire la qualifica di impresa sociale tutte le organizzazioni
private, compresi gli enti di cui al libro V del c.c., che esercitino in via stabile e principale un'attività
economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o servizi di utilità sociale, diretta a
realizzare finalità di interesse generale.
Per la costituzione dell'impresa sociale è richiesto l'atto pubblico, l'atto costitutivo dovrà essere iscritto in
un'apposita sezione del registro delle imprese.
L'impresa sociale deve destinare gli utili e gli avanzi di gestione allo svolgimento dell'attività statutaria o
ad incremento del patrimonio: è vietata la distribuzione di utili, avanzi di gestione, fondi e riserve in
favore di amministratori, soci, partecipanti, lavoratori o collaboratori. L'assenza di scopo di lucro deve
essere preservata anche in caso di trasformazione, fusione, scissione e cessione d'azienda. In caso di
cessazione d'impresa il patrimonio residuo deve essere devoluto ad organizzazioni non lucrative di utilità
sociale, associazioni, comitati, fondazioni ed enti ecclesiastici, secondo le norme statutarie.
Nelle imprese sociali il cui patrimonio superi i ventimila euro delle obbligazioni assunte risponde solo
l'organizzazione con il proprio patrimonio; tuttavia quando risulti che il patrimonio è diminuito di oltre un
terzo rispetto a tale importo delle obbligazioni assunte rispondono personalmente e solidalmente anche
coloro che hanno agito in nome e per conto dell'impresa.

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CAPO IV. IL DIRITTO DI FAMIGLIA


SEZIONE I. LA FAMIGLIA IN GENERALE
La Costituzione riconosce solennemente i diritti della famiglia quale società fondata sul matrimonio.
L'evoluzione moderna ha consacrato due principi:
• l'uguaglianza tra uomo e donna nel matrimonio, sia nei reciproci rapporti, sia nell'esercizio delle
potestà sui figli;
• la rilevanza del valore e dell'interesse dei figli nell’organizzazione dei vincoli familiari.
L'interesse della famiglia non sempre coincide con quello egoistico dei singoli: mentre massima è la
libertà che il diritto garantisce ai soggetti, minima è l’autonomia che viene loro riconosciuta nel
regolamento del rapporto di famiglia.
Nella maggior parte, gli atti giuridici familiari costituiscono atti puri, che non ammettono termine o
condizione, e atti personalissimi che non ammettono rappresentanza. L'esercizio dei diritti e dei poteri
familiari è regolato da norme particolari: intorno ad essi non è ammessa negoziazione, non sono
rinunziabili, non sono soggetti a prescrizione, non possono costituire oggetto di transazioni tra le parti. Nei
processi che li riguardano vige il principio inquisitorio: le parti non sono arbitre delle prove, un'eventuale
confessione non avrebbe valore di prova legale.
LA PARENTELA E L'AFFINITA'
Dal matrimonio, come origine della famiglia, derivano tre diversi ordini di rapporti:
 rapporto di coniugio: rapporto tra marito e moglie;
 rapporto di parentela: rapporto tra genitori e figli, tra i figli e tra tutti coloro che hanno lo stesso
sangue, che cioè discendono gli uni dagli altri (linea retta), o derivano da un capostipite comune
(linea collaterale). Nel vincolo che lega tra loro due fratelli, la legge tiene conto dell’eventualità
che in comune vi sia solamente il padre (fratelli consanguinei) oppure solo la madre (fratelli
uterini)
 rapporto di affinità: rapporto tra il coniuge e i parenti dell’altro coniuge.
Computazione dei gradi di parentela (76): tanti sono i gradi quante sono le generazioni, intendendo per
generazioni il rapporto che esiste tra generante e generato. Medesimo risultato si ottiene contando le
persone che si incontrano salendo allo stipite comune e poi discendendo all'altro parente, togliendone
una. La parentela è riconosciuta nell'ambito della famiglia legittima, che comprende anche i figli
legittimati e gli adottivi. L'accertamento, volontario o giudiziale, della filiazione naturale produce effetti
limitati al rapporto che si istituisce tra il genitore e il figlio, salvi:
➢ gli alimenti;
➢ nel diritto successorio art.468;
➢ l'obbligo e il diritto alla collazione;
➢ l'impedimento al matrimonio.
Anche l'adozione di persone maggiori d'età e l'adozione in casi particolari limitano i loro effetti al rapporto
tra adottante e adottato. Nel vincolo che lega tra loro due fratelli:
• se lo stipite comune è soltanto dalla parte del padre: fratelli consanguinei;
• se lo stipite comune è soltanto dalla parte della madre: fratelli uterini.
L'affinità (78) è come un riflesso della parentela: i gradi di affinità corrispondono esattamente ai gradi di
parentela. Gli effetti giuridici dell'affinità si manifestano specialmente in tema di impedimenti al
matrimonio, in qualche ipotesi di diritto agli alimenti, di indennità in caso di morte del lavoratore. Tra affini
non esistono diritti ereditari. Il rapporto di affinità non cessa per la morte del coniuge da cui deriva.
IL DIRITTO AGLI ALIMENTI
Il diritto alla prestazione alimentare può derivare: da un contratto, da testamento. Ci occupiamo
dell'obbligo stabilito dalla legge, con fondamento nella solidarietà familiare. Gli alimenti vengono attribuiti
a una persona in considerazione della sua incapacità di provvedersi il necessario per vivere e ne viene
fatto carico a un’altra tenuto conto delle sue possibilità economiche. L’espressione alimenti nel linguaggio
giuridico significa alimentazione, alloggio, vestiario, cura della persona e della sua istruzione scolastica.
L’art. 433Stabilisce un ordine successivo tra le varie categorie di persone che devono alimenti in base al
rapporto familiare: prevede coniuge, figli e discendenti prossimi, genitori e ascendenti prossimi e
adottanti, generi e nuore, suocero e suocera e in ultimo i fratelli. Si passa da una categoria all’altra
quando manchi il congiunto di una categoria o non sia in grado di provvedere.
Gli alimenti sono dovuti nei limiti del necessario a favore di chi ne ha bisogno, mentre chi è obbligato al
mantenimento deve provvedere a tutte le occorrenze di vita in proporzione delle sue sostanze e delle sue
possibilità. Tra coniugi ogni reciproco obbligo di prestazione per i bisogni vitali è assorbito in un più
generale dovere di assistenza anche materiale. Tra affini l'obbligo agli alimenti cessa con le nuove nozze
di chi riceve gli alimenti o la morte del coniuge dei figli e degli ascendenti.
Prima del coniuge e di qualsiasi altro parente o affine, obbligato alla prestazione degli alimenti è il
donatario. L'art.437 stabilisce una specie di obbligo eventuale a restituire, fondato sulla riconoscenza.
L'ammontare della prestazione dovuta viene commisurato ai bisogni dell'alimentando e alle condizioni
economiche dell'obbligato; comprende tutto ciò che è necessario alla vita. I fratelli ai fratelli devono
soltanto gli alimenti strettamente necessari per vivere; se l'alimentando è minore, l'obbligo può
comprendere pure l'educazione e l'istruzione. L'obbligato può scegliere se mantenere l'alimentando nella
propria casa provvedendo direttamente, o se corrispondergli un assegno periodico anticipato. L'obbligo in
concreto non decorre prima della domanda: gli alimenti sono dovuti solo alla domanda giudiziale, oppure
dalla costituzione in mora dell'obbligato. La sentenza del giudice, che concreta l'ammontare preciso della
prestazione dovuta, è sempre soggetta a revisione. Il diritto agli alimenti ha lo scopo di garantire la vita:

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non è quindi vincolante un'eventuale rinuncia da parte di chi possa versare in bisogno e non sono
ammessi cessione, compensazione, transazione o compromesso. L'adempimento dell'obbligazione
alimentare è assicurato da sanzioni penali. L'obbligo degli alimenti cessa con la morte dell'obbligato.
SEZIONE II. IL MATRIMONIO
L’art. 29 della Costituzione riconosce il matrimonio come fondamento della famiglia. Il matrimonio può
intendersi in due differenti modi:
 come atto giuridico: ossia le manifestazioni di volontà, espresse nella celebrazione che è un atto
giuridicamente valido a base della vita del rapporto coniugale. Per i canonisti esso è
contemporaneamente un sacramento e un contratto tra le parti, per i civilisti è un atto solenne,
nel quale la forma assume rilievo particolare perché necessaria e sufficiente per l'esistenza del
matrimonio civile. Il matrimonio come atto è regolato o dal diritto civile (matrimonio civile), o dal
diritto canonico (matrimonio canonico o concordatario).
 Come rapporto giuridico: nascente dall'atto giuridico. Qualunque sia stato il rito scelto dagli sposi
per la celebrazione, gli effetti del matrimonio sono sempre regolati dal diritto civile.
I SOGGETTI
I requisiti sono:
 L’età: il diritto civile richiede la maggiore età. Tuttavia il tribunale per i minorenni, su istanza
dell'interessato, accertata la maturità psicofisica e la fondatezza delle ragioni addotte, può
ammettere per motivi gravi al matrimonio chi abbia compiuto sedici anni. Il diritto canonico
conosce il limite dei 16 e dei 14 anni per l'uomo e per la donna per quanto attiene alla validità del
matrimonio.
 La capacità mentale: l’art. 85 vieta il matrimonio all’interdetto. Inoltre l’art. 120 dice che può
essere impugnato anche il matrimonio contratto da colui che si provi essere stato incapace di
intendere e di volere, per qualunque causa, al momento della celebrazione. L'inabilitato può
contrarre matrimonio valido. Il diritto canonico non conosce l'impedimento dell'interdizione, è
richiesta soltanto la generica capacità di intendere e di volere. Secondo gli artt. 12 e 16 della
legge matrimoniale, il matrimonio religioso dell'interdetto non può venire trascritto per gli effetti
civili.
Gli impedimenti sono:
 La parentela, l’affinità e l’adozione: in particolare il matrimonio è vietato
o tra ascendenti e discendenti in linea retta, legittimi o naturali;
o fra fratelli e sorelle, siano essi germani, consanguinei o uterini;
o tra zii e nipoti, salvo dispensa del tribunale;
o tra affini in linea retta (suocero e nuora) o collaterale (per i cognati è ammessa dispensa
da parte del Tribunale ordinario);
o tra adottante, adottato e i suoi discendenti.
 Il vincolo di precedente matrimonio: impedimento a contrarre matrimonio civile sarà ogni
precedente matrimonio civilmente valido; per il diritto canonico si considera soltanto il vincolo
religioso. L'art.12 della legge matrimoniale vieta la trascrizione del matrimonio cattolico celebrato
da una persona legata da vincolo civile con altra persona, e quella del matrimonio
successivamente celebrato in chiesa tra le stesse persone già legate da vincolo civile.
 Il delitto: per non consentire ai colpevoli di un grave reato di giovarsi delle conseguenze del loro
illecito agire come avverrebbe se l'omicida potesse sposare chi resta vedovo della sua vittima.
 Il lutto vedovile: la vedova non può contrarre matrimonio per il periodo di dieci mesi (tempus
legendi= tempo del pianto) dalla morte del coniuge (o dopo l’annullamento o scioglimento o
divorzio); mira ad evitare difficoltà nell’attribuire la paternità ai figli che dovessero nascere. Cessa
con la nascita di un figlio. L'impedimento è sconosciuto al diritto della Chiesa.
Una malattia fisica o psichica come un'anomalia o deviazione sessuale, tali da impedire lo svolgimento
della vita coniugale, offrono alla controparte la possibilità di impugnazione soltanto quando si accerti che
quest'ultima non avrebbe prestato il suo consenso se avesse esattamente conosciuta la situazione.
La giurisprudenza canonica riconosce come causa di nullità l'impotenza alla congiunzione e soltanto
questa: non la sterilità.
LA PUBBLICAZIONE
I preliminari del matrimonio consistono nelle pubblicazioni. La pubblicazione ha lo scopo di rendere
noto il progettato matrimonio, perché se qualcuno conosce l’esistenza di eventuali impedimenti sia posto
in grado di fare opposizione. La pubblicazione:
• per il matrimonio civile si fa richiesta all’ufficiale di stato civile del comune dove uno degli sposi
ha residenza. Questa scelta influisce sulla competenza per la celebrazione del matrimonio, perché
il matrimonio sarà celebrato nella casa comunale del luogo della pubblicazione (106).
• Per il matrimonio cattolico le pubblicazioni vanno fatte mediante affissione alle porte della chiesa
parrocchiale, per la durata di almeno 8 giorni comprese due domeniche successive. Il parroco
deve investigare per vedere se non esistano impedimenti. Oltre ai nubendi, anche il parroco farà
richiesta all'ufficiale dello stato civile, perché alla porta della casa comunale venga fatta la
pubblicazione civile.
Prima che il matrimonio sia celebrato, alcune persone possono avere l'interesse, o il dovere, di fare
opposizione. Se non vengono presentati atti di opposizione e si tratta di matrimonio cattolico, l’ufficiale di
stato civile rilascia il certificato dell’avvenuta pubblicazione, il quale ha la natura di un nulla osta alla
celebrazione con effetti civili e comporta un impegno assoluto a trascrivere il matrimonio a cui si riferisce.

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Se prima della trascrizione apparisse evidente l'esistenza di un impedimento, la trascrizione non potrebbe
essere rifiutata; se ne sarà il caso, lo stesso ufficiale dello stato civile denuncerà la circostanza affinché
siano iniziate le pratiche per la procedura di annullamento.
Celebrazione: gli sposi si presentano personalmente all'ufficiale di stato civile competente, che, davanti a
due testimoni, legge gli artt. 143, 144 e 147, riceve da ciascuna delle parti, l'una dopo l'altra, la
dichiarazione di consenso, e di seguito dichiara che esse sono unite in matrimonio. Immediatamente dopo
viene compilato l'atto di matrimonio che sarà poi iscritto nell'apposito registro di stato civile. Nel
matrimonio cattolico, l'essenza della forma religiosa consiste nello scambio del consenso davanti al
parroco e ad almeno due testimoni. Quando gli sposi sono uniti in matrimonio secondo il rito della Chiesa,
è necessario che il celebrante ricordi gli effetti civili del matrimonio, dando lettura degli artt.143, 144 e
147. Il parroco subito dopo la celebrazione deve redigere l'atto di matrimonio in doppio originale. Uno di
questi sarà trasmesso all'ufficiale dello stato civile del comune in cui il matrimonio è stato celebrato, per
la sua trascrizione. Con la trascrizione, fatta per lo scopo che è caratteristico della pubblicità nei registri
dello stato civile, il matrimonio religioso acquista efficacia civile, e l'acquista retroattivamente. La
trascrizione è:
➢ ordinaria: quando il matrimonio cattolico è stato preceduto dal rilascio del certificato
dell'avvenuta pubblicazione e l'atto viene trasmesso dal parroco entro i cinque giorni dalla
celebrazione. Gli effetti della trascrizione retroagiscono alla celebrazione.
➢ Tardiva: se l'atto di matrimonio non viene trasmesso entro i 5 giorni. Essa deve essere richiesta da
entrambi i contraenti, o anche da uno di essi, con la conoscenza e senza l'opposizione dell'altro, e
a condizione che ambedue abbiano conservato lo stato libero ininterrottamente dalla celebrazione
alla richiesta.
➢ Straordinaria: caso in cui il matrimonio religioso non è stato preceduto dalla pubblicazione civile.
LE PROVE DEL MATRIMONIO
La legge limita rigorosamente l'attribuzione del diritto di stato coniugale a chi presenta l'atto di
celebrazione estratto dai registri dello stato civile nei quali viene iscritto l'atto di matrimonio civile e viene
trascritto il matrimonio cattolico. Il possesso di stato consiste in un complesso di circostanze dalle quali
l'esperienza della vita sociale desume l'esistenza di un corrispondente titolo giuridico. Il semplice
possesso di stato di coniuge non è prova sufficiente del matrimonio, però quando è conforme all'atto di
celebrazione, vale a sanare ogni eventuale difetto di forma.
LA PROMESSA DI MATRIMONIO
La promessa di matrimonio non obbliga, per la rottura della promessa non si applica il generale obbligo di
risarcimento dei danni per inadempimento e non sarebbe riconosciuta una penale stabilita dagli
interessati. La promessa (81) obbliga a risarcire il danno cagionato all'altra parte per le spese fatte e le
obbligazioni assunte prime del rifiuto a celebrare il matrimonio a causa della promessa poi non
mantenuta, sempre che la promessa risulti da atto scritto e che il rifiuto non sia determinato da giusta
causa. La domanda di risarcimento deve essere proposta entro un anno dal giorno del rifiuto di celebrare
il matrimonio. Conseguenza della rottura è sempre il diritto alla restituzione dei doni fatti a causa del
promesso matrimonio (80) limitatamente agli oggetti inconsumabili o comunque non consumati.
IL CONSENSO
Il consenso deve essere prestato dagli sposi personalmente; non è ammessa rappresentanza (il
matrimonio per procura è possibile solamente per i militari in tempo di guerra e per chi risiede all’estero).
Il matrimonio è un atto puro: se all'interrogazione del celebrante uno dei nubendi risponde aggiungendo
al si una indicazione di termine o condizione, l'ufficiale non può procedere alla celebrazione; ma se ciò
nonostante il matrimonio è celebrato, il termine o la condizione si hanno per non apposti. Si dice che si
tratta di una volontà formale (il sì), e non contenutistico: essa si esprime con l'adesione a quello che è il
matrimonio come istituto configurato nel sistema.
L’art. 122 prevede due vizi del volere con rilevanza sulla validità del matrimonio:
➢ la violenza morale: minaccia grave diretta a estorcere il consenso o timore di eccezionale gravità
derivante da cause esterne allo sposo;
➢ l’errore: deve riguardare l’identità della persona oppure deve essere un errore essenziale su
qualità personali dell’altro coniuge (condanna a gravi pene, delinquenza, impotenza, falsa
attribuzione di gravidanza in atto)
In tali casi il consenso è viziato e il coniuge vittima dell’errore può richiedere l’annullamento e vi è un
termine per chiedere l'annullamento; un anno di coabitazione, dopo che il coniuge ha riacquistato la
libertà o riconosciuto l'errore, vale come sanatoria. Anche la simulazione è prevista tra le cause di
invalidità del matrimonio: si può avere quando gli sposi abbiano convenuto di non adempiere gli obblighi
e di non esercitare i diritti discendenti dal matrimonio. Il termine di decadenza dell'azione è di un anno, a
decorrere dalla celebrazione del matrimonio ovvero se i contraenti abbiano convissuto come coniugi dopo
la celebrazione.
INVALIDITA' DEL MATRIMONIO
L'invalidità del matrimonio si ha per cause che lo viziano per un difetto di base. Si distingue dallo
scioglimento che consiste nella fine del rapporto matrimoniale per estinzione dovuta alla morte di uno
dei due coniugi o al divorzio. Per il diritto civile vi è:
✔ una irregolarità nell'atto di matrimonio, quando esso, pur contratto senza l'osservanza di uno dei
requisiti imposto per legge, rimane ugualmente valido. Ipotesi del matrimonio contratto dalla
vedova prima che sia trascorso il tempo del pianto e del matrimonio che non sia stato preceduto
dalla pubblicazione.
✔ Inesistenza del matrimonio: non vi è stata pubblica celebrazione né una registrazione dell'atto

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come avvenuto.
✔ Annullabilità assoluta insanabile: quando il matrimonio è annullabile a iniziativa di qualunque
soggetto, senza limite di tempo e senza possibilità di sanatoria. Sono cause principali: identità di
sesso tra gli sposi, precedente matrimonio in atto di almeno uno degli sposi, parentela, affinità e
adozioni previsti dall’art. 87. In altri casi l'annullabilità, pur essendo assoluta, è sanabile con il
decorso di un certo periodo di tempo.
✔ Annullabilità relativa: l'annullamento può essere chiesto soltanto da alcune persone
espressamente determinate. Per il difetto di età, per i vizi del volere e per il matrimonio
dell’interdetto per infermità di mente. Essa può essere sanabile con un anno di coabitazione dopo
cessata la causa in cui consisteva il difetto.
La dichiarazione di nullità o la sentenza di annullamento hanno efficacia retroattiva: il matrimonio si
dovrebbe considerare come mai avvenuto. Il matrimonio annullato si dice putativo quando è stato
contratto in buona fede da almeno uno dei coniugi (cioè nell'ignoranza dei vizi dell'atto) oppure il
consenso sia stato estorto con la violenza o determinato da timore d'eccezionale gravità. L'annullamento
in tali casi non retroagisce: gli effetti come atto valido si producono fino alla sentenza nei riguardi del
coniuge o dei coniugi che contrassero matrimonio in buona fede o cedendo alla violenza.
Se entrambi i coniugi erano in buona fede, il giudice può disporre, per un periodo massimo di 3 anni,
l’obbligo di corrispondere somme a favore del coniuge che non abbia adeguate fonti di reddito e non si sia
risposato. Se la nullità viene imputata all’altro coniuge o a un terzo può essere imposto ai responsabili
l'obbligo di pagare una congrua indennità. Rispetto ai figli nati o concepiti prima della sentenza di nullità,
il matrimonio putativo produce gli stessi effetti del matrimonio valido.
LA SOCIETA’ CONIUGALE
Dal matrimonio sorgono li obblighi:
• della fedeltà: il rapporto dell'uno rispetto all'altro coniuge si deve intendere come esclusivo, cioè
con esclusione di ogni altro;
• dell'assistenza: concetto generico che va dalla dedizione reciproca alla collaborazione
nell'interesse della famiglia e al reciproco aiuto economico;
• della coabitazione nella residenza fissata d'accordo.
Con la riforma della L.151/1975 si è posto l'accento sulla parità e si è affermato il nuovo principio
dell'accordo come criterio-base del governo della famiglia. Poi a ciascuno spetta il potere di attuare
l'indirizzo concordato. Nell'ipotesi di disaccordo, l'art.145 prevede che ciascuno dei coniugi possa
chiedere, senza formalità, l'intervento del giudice che tenterà di raggiungere una soluzione concordata.
Se si tratta di un affare essenziale del governo familiare o la fissazione della residenza, e soltanto se
richiesto espressamente da entrambi i coniugi, il giudice interverrà adottando, con provvedimento non
impugnabile, la soluzione che ritiene più adeguata. La residenza familiare e la sua scelta fanno parte
dei provvedimenti da prendere d'accordo. Per il domicilio si dispone che ciascuno dei coniugi ha il proprio
domicilio nel luogo dove egli ha stabilito la sede principale dei propri affari o interessi. Per la
cittadinanza il coniuge straniero o apolide, di cittadino italiano acquista la cittadinanza dopo sei mesi di
residenza nel territorio, o dopo tre anni dalla data del matrimonio se questo non è stato sciolto, annullato
o ne siano cessati gli affetti civili e non vi sia separazione legale tra i coniugi. Per il nome la moglie
aggiunge al proprio cognome quello del marito e lo conserva durante lo stato vedovile purché non passi a
nuove nozze.
La famiglia è organizzata secondo il regime patrimoniale primario, regime essenziale che la legge
stabilisce per assicurare la soddisfazione dei bisogni vitali di ordine economico. La legge si riferisce ai
bisogni di tutta la famiglia, sulla base di un obbligo di contribuzione.
Con la L.154/2001 il legislatore ha introdotto l'istituto degli ordini di protezione contro gli abusi
familiari allo scopo di tutelare il coniuge o altri conviventi dai gravi pregiudizi all'integrità fisica o morale,
ovvero alla libertà, che possano essergli arrecati dall'altro coniuge o da altro convivente. Il giudice, in virtù
di questo dettato, può ordinare al coniuge che abbia tenuto una condotta pregiudizievole:
• la cessazione della condotta medesima;
• l'allontanamento dalla casa familiare;
• l'inibizione dall'avvicinarsi ai luoghi abitualmente frequentati dalla vittima degli abusi.
E può disporre l'assistenza dei servizi sociali del territorio o di un centro di mediazione familiare ed
eventualmente il pagamento periodico di un assegno a carico dell'autore degli abusi, a favore delle
persone componenti il nucleo familiare che rimangono privi di mezzi adeguati.
LO SCIOGLIMENTO DEL MATRIMONIO
Ogni rapporto matrimoniale cessa con la morte di uno dei coniugi. Lo scioglimento opera ex nunc: restano
in vita tutti gli effetti del matrimonio valido prodotti fino alla cessazione del rapporto. La legge 1
dicembre 1970, n. 898 ha introdotto lo scioglimento del matrimonio per divorzio. Può essere sciolto
tanto il matrimonio civile quanto il matrimonio concordatario, in presenza di situazioni o casi
tassativamente previsti dall'art.3 della legge sempre che il giudice accerti che la comunione spirituale e
materiale tra i coniugi non può essere mantenuta o ricostituita.
Il divorzio può essere chiesto da un coniuge nei confronti dell’altro quando:
• questi si sia reso colpevole di reati gravi;
• questi abbia ottenuto all’estero l’annullamento;
• non ci sia stata consumazione del rapporto;
• sia stato dichiarato giudizialmente il mutamento di sesso.

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La causa di divorzio di gran lunga prevalente è una separazione legale (pronunciata con sentenza passata
in giudicato) che duri da almeno tre anni dal giorno della comparizione delle parti davanti al presidente
del tribunale. I tra anni devono essere decorsi al momento della presentazione della domanda giudiziale
di divorzio. Il divorzio può essere pronunciato in seguito a:
 procedimento contenzioso: promosso, con ricorso davanti al tribunale competente, dall’uno o
dall’altro coniuge. Esperito dal presidente del tribunale un tentativo di conciliazione, la procedura
prosegue con ritmo accelerato, anche per l'eventuale ricorso in appello. Il pubblico ministero,
chiamato ad intervenire, non può impugnare le sentenze che ritenesse lesive del diritto o della
giustizia, se non a difesa degli interessi patrimoniale dei figli.
 Procedura concordata (c.d. divorzio congiunto): si esplica mediante domanda presentata da
entrambi i coniugi. Il tribunale decide immediatamente l'accoglimento. Pur se richiesto
congiuntamente, il divorzio deriva dalla sentenza del giudice e non dall'accordo delle parti
omologato dal giudice.
La sentenza passata in giudicato viene annotata sia a margine dell'atto di matrimonio sia a margine
dell'atto di nascita. È irrevocabile, e le parti d'accordo non possono farne cessare gli effetti: una
riconciliazione richiederebbe la celebrazione di un nuovo matrimonio.
Il divorzio scioglie il vincolo, e ciascuno dei coniugi può contrarre nuovo matrimonio. La moglie perde il
cognome che aveva aggiunto al proprio, fatta salva l'ipotesi che il tribunale accolga la sua richiesta
autorizzandola a conservare anche il cognome del marito, per il particolare interesse di uno dei suoi figli.
Conseguenze patrimoniali:
• con la cessazione dl rapporto si apre il tema della divisione dei beni comuni;
• il tribunale dispone l'obbligo per un coniuge di somministrare periodicamente a favore dell'altro
un assegno, quando quest'ultimo non ha mezzi adeguati o comunque non può procurarseli per
ragioni oggettive, dando valenza all'aspetto assistenziale del contributo, no implica quindi uno
stato di bisogno. Nella determinazione dell'ammontare di questo assegno il giudice deve tener
conto del contributo personalmente dato da ciascun coniuge alla situazione patrimoniale della
famiglia e delle ragioni della decisione. L'obbligo di prestare l'assegno cessa se il coniuge al quale
dovrebbe essere corrisposto passa a nuove nozze. Il coniuge divorziato che sia titolare
dell'assegno e che non sia passato a nuove nozze, ha diritto, in caso di morte dell'ex coniuge, alla
pensione di reversibilità e ad una quota pari al 40% dell'indennità di fine rapporto di lavoro
percepita dall'ex coniuge. Il diritto all'assegno è indisponibile, viene attribuito con carattere di
prestazione periodica (le parti d'accordo possono anche procedere a una soluzione una tantum).
La corresponsione dell'assegno è assicurata attraverso lo strumento dell'ordine giudiziale di
pagamento rivolto a coloro che siano debitori del debitore dell'assegno, è previsto il sequestro dei
beni del coniuge obbligato in caso di inadempienza. Il giudice, nel fissare l'ammontare
dell'assegno ha il potere discrezionale di farlo decorrere retroattivamente dalla domanda
introduttiva, perché, di regola, esso spetterebbe soltanto dal giorno della decisione definitiva. È
ammessa la revisione di quanto deciso, mediante nuova sentenza da pronunciare in camera di
consiglio, a causa dei mutamenti delle rispettive situazioni economiche o la ricorrente
svalutazione monetaria.
Gli obblighi verso la prole perdurano anche in capo al genitore passato a nuove nozze. È il tribunale del
divorzio a stabilire l’affidamento dei figli, con possibilità di ammettere anche l'affidamento congiunto o
alternato. La L.54/2006 ha introdotto la regola dell'affido condiviso: i figli verranno affidati ad entrambi
i genitori, salvo che il tribunale non reputi tale scelta contraria all'interesse del minore stesso. La legge ha
stabilito che il godimento della casa familiare andrà attribuito tenendo prioritariamente conto
dell'interesse dei figli. Il diritto al godimento si perderà qualora l'assegnatario:
✔ non abiti stabilmente nella casa;
✔ cessi di abitare stabilmente nella casa;
✔ conviva;
✔ contragga nuovo matrimonio.
L'assegnazione immobiliare va trascritta per essere opponibile ai terzi. La potestà è esercitata da
entrambi i genitori.
Il matrimonio cattolico può essere sciolto per dispensa pontificia quando sia stato rato ma non
consumato, quando cioè il consenso non sia stato seguito dall'unione fisica degli sposi. Una decisione
della Corte Costituzionale è venuta a impedire che tale provvedimento possa avere efficacia civile: la
situazione di inconsumazione è riconosciuta dalla legge italiana solo come una della cause di divorzio.
LA SEPARAZIONE PERSONALE
La separazione si dice di fatto quando i coniugi, senza alcuna procedura formale, vivono separati,
ciascuno per conto proprio e la situazione non è regolata dalla legge. Soltanto quando la separazione di
fatto abbia una giusta causa ne deriva che l'allontanamento dalla residenza familiare non produce la
sospensione del diritto all'assistenza dovuta al coniuge allontanatosi. La presenza di una separazione di
fatto impedisce alla coppia di chiedere l'adozione di minori.
La separazione legale è:
 giudiziale o contenziosa: deriva dalla sentenza del giudice e si ha quando si verifichino fatti tali da
rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza o da recare grave pregiudizio all’educazione
della prole;
 consensuale: deriva dall'accordo delle parti e acquista efficacia con l’omologazione del tribunale.
Se l’accordo relativo ai figli è in contrasto con il loro interesse il giudice rifiuterà l’omologazione.
Il procedimento ha inizio con un ricorso al presidente del tribunale del luogo dell'ultima residenza comune

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ai coniugi i quali devono presentarsi personalmente al presidente che tenta di conciliarli. Se il tentativo
non riesce, dispone i provvedimenti temporanei e urgenti che reputa opportuni nell'interesse dei coniugi e
della prole. I provvedimenti del tribunale in materia (compreso il decreto di omologazione) devono essere
annotati a margine dell'atto di matrimonio anche per rendere conoscibile una causa di scioglimento della
comunione legale. La preventiva riconciliazione tra i coniugi comporta anche l'abbandono della domanda
di separazione e i fatti precedenti non possono valere a giustificare una successiva domanda di
separazione. Lo stato di separazione cessa per successiva riconciliazione, cioè per accordo espresso delle
parti o per il semplice ripristino della convivenza coniugale. Una nuova domanda di separazione sarà
ammissibile soltanto in conseguenza di nuovi fatti sopravvenuti dopo la riconciliazione.
Gli effetti della separazione sono limitati. Viene meno dell’obbligo della coabitazione, rimangono come
residui l’obbligo della fedeltà e di assistenza morale. Con la sentenza che sancisce la separazione il
tribunale attribuisce al coniuge che non abbia mezzi economici adeguati, e al quale non sia addebitata la
separazione, un assegno mensile che corrisponde al più ampio concetto di mantenimento da intendersi
come incapacità di mantenere il tenore di vita analogo a quello goduto durante la convivenza.
Il giudice nel pronunciare la separazione giudiziale può, soltanto su richiesta, dichiarare a quale dei
coniugi essa sia addebitabile, in considerazione del suo comportamento contrario ai doveri che derivano
dal matrimonio. La dichiarazione di addebito produce conseguenze tra gli effetti della separazione:
➢ nei rapporti patrimoniali: si nega al coniuge al quale la separazione sia addebitata il diritto al
mantenimento, commisurato in relazione alle circostanze e ai redditi dell'obbligato;
➢ nella successione ereditaria: il coniuge cui è addebitata la separazione con sentenza passata in
giudicato perde i normali diritti successori.
L'assegno al coniuge comprende comunque (cioè anche al coniuge cui non spetta il mantenimento per
essergli stata addebitata la separazione) il suo diritto agli alimenti. La sentenza costituisce titolo per
l'iscrizione di ipoteca giudiziale e, in caso di inadempienza, il giudice può:
✗ disporre un sequestro;
✗ può imporre ai terzi tenuti a corrispondere anche periodicamente somme di denaro all'obbligato
che una parte di esse venga versata direttamente all'avente diritto.
Nei riguardi dei figli, la L.54/2006:
✔ per quanto riguarda l'affidamento: vige la regola dell'affidamento condiviso in forza del quale i
figli vengono affidati ad entrambi i genitori, salvo che ciò non sia contrario al loro interesse
morale e materiale, in quel caso troverà applicazione lo strumento dell'affidamento esclusivo. La
Cassazione ha stabilito che nell'ipotesi in cui il giudice opti per l'affidamento esclusivo deve
fornire una duplice motivazione: una in positivo, sulla idoneità del genitore affidatario, una in
negativo sulla inidoneità educativa dell'altro genitore. Il giudice potrà tener conto dell'eventuale
accordo dei genitori.
✔ Per quanto riguarda il mantenimento: ciascuno dei genitori vi provvede in modo proporzionale al
proprio reddito, salvo accordi liberamente sottoscritti dalle parti. Il giudice potrà disporre la
corresponsione di un assegno per realizzare il principio di proporzionalità. Il giudice, valutate le
circostanze, può disporre in favore dei figli maggiorenni non indipendenti economicamente il
pagamento di un assegno periodico, da versare direttamente all'avente diritto.
✔ Il godimento della casa familiare è attribuito tenendo prioritariamente conto dell'interesse dei
figli. Esso viene meno nel caso che l'assegnatario non abiti o cessi di abitare stabilmente nella
casa familiare o conviva con una terza persona o contragga nuovo matrimonio. Il venir meno del
diritto di godimento è subordinato ad un giudizio di conformità all'interesse della prole. Ai fini
dell'opponibilità ai terzi si è espressamente previsto che il provvedimento di assegnazione e
quello di revoca siano trascrivibili.
✔ Per quanto riguarda la potestà sui figli essa è esercitata da entrambi i genitori. Le decisioni di
maggiore interesse per i figli relative all'istruzione, all'educazione e alla salute sono assunte di
comune accordo tenendo conto delle capacità, dell'inclinazione naturale e delle aspirazioni dei
figli. In caso di disaccordo la decisione è rimessa al giudice. Per le decisioni su questioni di
ordinaria amministrazione, il giudice può stabilire che i genitori esercitino la potestà
separatamente.
✔ È previsto il diritto dei genitori di chiedere in qualunque momento la revisione delle disposizioni
concernenti l'affidamento dei figli, l'attribuzione dell'esercizio della potestà su di esse e delle
eventuali disposizioni relative alla misura e alla modalità del contributo.
IL REGIME PATRIMONIALE TRA I CONIUGI
Il sistema dei rapporti relativi ai patrimoni personali si fonda su un regime legale che dovrebbe costituire
la regola: la comunione dei beni. La pubblicità del regime patrimoniale si attua attraverso un sistema
in negativo: l'operatività del regime di comunione deve ritenersi esistente fino a che un sistema diverso
risulti convenuto con notazione a margine dell'atto di matrimonio o della trascrizione nei registri
immobiliari.
La legge propone due istituti:
• quello della comunione legale dei beni;
• e l'impresa familiare.
Nel regime pattizio, che si instaura mediante una convenzione matrimoniale (che va fatta sempre per
atto pubblico) si può stabilire:
➢ la separazione dei beni: a ciascuno è riconosciuta una propria indipendente posizione
patrimoniale;
➢ una comunione convenzionale: il cui regolamento è fissato dagli interessati;

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➢ un fondo patrimoniale.
Esistono norme speciali per il diritto all'abitazione familiare: concetto che si riferisce allo stato di fatto
di una abitazione, della casa dove vive la famiglia, composta da una base immobiliare e da un complesso
di diritti che le sono relativi. La casa di abitazione, in caso di separazione e divorzio, è attribuita tenendo
prioritariamente conto dell'interesse dei figli e in via successoria essa è riservata al coniuge superstite
insieme ai mobili che la arredano oltre ai suoi diritti alla quota.
La convenzione matrimoniale è un contratto ad hoc diretto a derogare al regime di comunione dei beni
per stabilire quello che dovrà essere il regime patrimoniale della famiglia. Per la forma della convenzione
è richiesta ad substantiam. Per essere opposta ai terzi, deve risultare da un'indicazione a margine
dell'atto di matrimonio; se si riferiscono ad immobili devono anche essere trascritte nei registri
immobiliari. Il minore ammesso a contrarre matrimonio e l'inabilitato partecipano alle loro convenzioni
matrimoniali con l'assistenza delle persone indicate negli artt. 165 e 166. Non è necessario che le
convenzioni siano anteriori al matrimonio: possono essere stipulate in qualunque momento e per ogni
mutamento è richiesto il consenso di tutte le persone che sono state parti delle convenzioni anteriori, o
dei loro eredi.
Il regime legale di comunione dei beni rappresenta l'affermazione di una linea di fondamentale equità
fra i coniugi creata per attribuire equamente ai coniugi gli incrementi patrimoniali avvenuti durante il
matrimonio come frutto di una cooperazione, non ha invece lo scopo di fissare un patrimonio comune per
la vita familiare. Il regime si articola in due aspetti:
✗ comunione di acquisti;
✗ comunione di gestione.
Costituiscono oggetto della comunione (177):
✔ gli acquisti compiuti dai due coniugi insieme o separatamente durante il matrimonio;
✔ le aziende gestite da entrambi i coniugi e costituite dopo il matrimonio. Qualora si tratti di aziende
appartenenti ad uno dei coniugi anteriormente al matrimonio ma gestite da entrambi, la
comunione concerne solo gli utili e gli incrementi.
✔ I frutti dei beni propri di ciascuno dei coniugi, percepiti e non consumati allo scioglimento della
comunione (fattispecie della c.d. comunione de residuo).
✔ I proventi dell'attività separata di ciascuno dei coniugi se, allo scioglimento della comunione, non
sono stati consumati (comunione de residuo).
Non cadono nel regime di comunione, restando beni personali di ciascun coniuge:
• i beni acquistati dal coniuge prima del matrimonio;
• i beni acquistati successivamente al matrimonio per effetto di donazione o successione ereditaria;
• gli acquisti a titolo non negoziale;
• i beni di uso strettamente personale di ciascun coniuge;
• i beni che servono all'esercizio della professione del coniuge;
• i beni ottenuti a titolo di risarcimento del danno nonché la pensione attribuita allo stesso titolo;
• i beni ricevuti come prezzo dell'alienazione di beni individuali.
Per la gestione dei beni in comunione, l'amministrazione è di entrambi i coniugi:
1. gli atti di ordinaria amministrazione possono essere compiuti da ciascuno dei coniugi
disgiuntamente;
2. per gli atti eccedenti l'ordinaria amministrazione è richiesto l'accordo di entrambi, fatta salva la
possibilità di ottenere dal giudice l'autorizzazione a compiere gli atti stessi quando ciò sia
necessario nell'interesse della famiglia o dell'azienda e uno dei coniugi si rifiuti di prestare il
consenso, o nelle ipotesi di impedimento.
Gli atti compiuti senza il necessario consenso di entrambi i coniugi sono annullabili se riguardano beni
immobili o beni mobili registrati; si deve ritenere che essi siano validi se riguardano beni mobili.
I creditori particolari di uno dei coniugi possono soddisfarsi in via sussidiaria sui beni della comunione fino
al valore della quota del coniuge obbligato; i creditori della comunione possono agire in via sussidiaria sui
beni dei coniugi.
La comunione si scioglie:
a) per morte di uno dei coniugi;
b) per assenza di uno dei coniugi;
c) per fallimento di uno dei coniugi;
d) per annullamento del matrimonio;
e) per scioglimento del matrimonio;
f) per separazione legale;
g) per mutamento convenzionale del regime legale.
La divisione dei beni della comunione si effettua ripartendo in parti uguali l'attivo e il passivo; il giudice
può stabilire, nell'interesse della prole, che uno dei coniugi continui a godere parte dei beni spettanti
all'altro a titolo di usufrutto fino alla maggiore età di tutti i figli.
REGIME DI SEPARAZIONE DEI BENI
L'art.215 ammette la libera scelta degli sposi per sottrarsi alle conseguenze del regime legale di
comunione. I coniugi, con espressa convenzione o con dichiarazione espressa nell'atto di celebrazione del
matrimonio, possono pattuire che ciascuno conservi la titolarità esclusiva dei beni acquistati durante il
matrimonio. La scelta del regime di separazione può essere effettuata anche al momento della
celebrazione del matrimonio, ed annotata a margine dell'atto matrimoniale. Il marito dispone del proprio

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patrimonio e la moglie conserva pari autonomia sui propri beni personali, entrambi hanno l'obbligo di
contribuire ai bisogni della famiglia.
Ciascun coniuge può provare con ogni mezzo , nei confronti dell'altro, la proprietà esclusiva di un bene,
ma ove nessuno dei coniugi riesca a dimostrare la titolarità esclusiva i beni si considerano di proprietà
indivisa di entrambi i coniugi.
FONDO PATRIMONIALE
I coniugi, ma anche un terzo estraneo, possono conferire dei beni immobili, mobili registrati o titoli di
credito in un fondo destinato a far fronte ai bisogni della famiglia. Può essere costituito sia prima sia
durante il matrimonio. La proprietà dei beni spetta a entrambi i coniugi se non stato diversamente
stabilito nell'atto di costituzione. Quando il fondo cessa:
• per morte di uno dei coniugi;
• se vi sono figli minori, al compimento della maggiore età dell'ultimo di questi;
• per annullamento del matrimonio;
• per la cessazione degli effetti civili del matrimonio;
il giudice, considerate le circostanze, può anche attribuire ai figli, in godimento o in proprietà, una quota
dei beni. L'amministrazione segue le regole del regime di comunione legale. L'art.170 esclude
l'esecuzione sui beni del fondo e sui loro frutti per debiti che il creditore conosceva essere stati contratti
per scopi estranei ai bisogni della famiglia. La costituzione del fondo deve seguire il doppio binario di
pubblicità, compresa l'annotazione a margine dell'atto di matrimonio.
COMUNIONE CONVENZIONALE
E' riconosciuto ai coniugi, non soltanto la possibilità di escludere il regime di comunione, ma anche quello
di regolarlo diversamente. Essi possono ricomprendere nella comunione anche beni di cui erano titolari
prima del matrimonio, o anche ricomprendervi tutti i redditi di qualsiasi natura di pertinenza di ciascuno.
Possono comprendere nella comunione anche beni che ne sarebbero di regola esclusi.
Gli accordi dei coniugi relativi al regolamento dei loro rapporti patrimoniali possono essere mutati in ogni
tempo: per la modificazione è richiesto il consenso di tutti coloro che li hanno formati o dei loro eredi; non
è più necessaria l'autorizzazione del giudice.
IMPRESA FAMILIARE
Il fenomeno è quello di un lavoro condotto da un soggetto insieme con più membri della famiglia in modo
continuativo. Al familiare che presta l'attività lavorativa acquista i seguenti diritti:
➢ il diritto al mantenimento;
➢ il diritto alla partecipazione agli utili ed incrementi aziendali;
in proporzione alla quantità e qualità del lavoro prestato. L'impresa familiare costituisce un organismo di
natura collettiva e le decisioni più importanti devono essere prese con la maggioranza dei partecipanti.
L'impresa familiare non va confusa con l'impresa coniugale che si riferisce a imprese e aziende
costituite dai coniugi prima o dopo il matrimonio per il compimento dell'attività in comune. In tale ipotesi i
coniugi sono coimprenditori.
SEZIONE III. LA FILIAZIONE
Il codice indica i tre doveri principali verso i figli:
• mantenimento;
• istruzione;
• educazione.
Si ha filiazione legittima quando concorrono quattro presupposti:
➢ matrimonio valido, o putativo, tra i genitori; la prova è facile.
➢ Figlio partorito dalla donna sposata: la maternità risulta chiaramente e basta l'atto di nascita.
➢ Figlio generato dal marito: per la paternità sovviene la legge con la presunzione di paternità
dell'art.231: padre è semplicemente il marito della madre. È una presunzione relativa con prova
contraria limitata: la prova contraria è ammessa solo nei casi tassativamente indicati nell'art.235,
mediante l'esercizio dell'azione di disconoscimento della paternità. Le dichiarazioni dell'atto di
nascita hanno valore, per la paternità, soltanto indirettamente, attraverso l'esistenza di una
presunzione. Questa presunzione opera quando nell'atto di nascita si dichiari per la donna la
qualità di coniugata.
➢ Concepimento avvenuto in costanza di matrimonio: la presunzione legale, detta presunzione di
legittimità è presunzione assoluta per quanto si riferisce al figlio nato nel periodo indicato
(sarebbe vano tentare di dimostrare che il figlio nato nel periodo indicato non sia stato concepito
in costanza di matrimonio. Dice l'art.232 che si presume concepito durante il matrimonio il figlio
nato quando sono trascorsi 180 giorni dalla celebrazione del matrimonio e non sono ancora
trascorsi i 300 giorni dallo scioglimento o annullamento di esso. Il legislatore parifica al figlio
concepito in costanza di matrimonio il figlio nato nel matrimonio, anche se, essendo nato nei
primi sei mesi, il suo concepimento è stato certamente illegittimo. Qui però si ammette
un'opposizione da parte del padre o dello stesso figlio, con una azione di disconoscimento.
Lo status di figlio legittimo si prova con l’atto di nascita che è appunto il titolo dello stato. Titolo è
l'elemento necessario per l'accertamento ufficiale della qualifica di figlio legittimo, ha efficacia probatoria
esclusiva e deve essere riconosciuto e rispettato da tutti. L'atto di nascita si forma con la dichiarazione di
nascita, da fare entro dieci giorni all’ufficiale di stato civile presso il comune nel cui territorio è avvenuto il
parto. In mancanza di atto di nascita basta un continuo possesso di stato di figlio legittimo, ovvero devono
concorrere i seguenti elementi:
✔ il nomen: il figlio deve aver sempre portato il cognome del padre;

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✔ il tractatus: si richiede che il figlio abbia ricevuto il trattamento riconosciuto ai figli legittimi sia dal
padre, sia dalla famiglia;
✔ la fama: la considerazione del figlio nei rapporti sociali dev'essere stata quella di cui godono
generalmente i figli legittimi.
La persona alla quale non sia ufficialmente attribuito lo stato di figlio legittimo pur sussistendo a suo
favore tutti e quattro i presupposti di cui abbiamo parlato può esercitare un’azione di reclamo della
legittimità dimostrando l’esistenza del matrimonio e la maternità. La prova contraria può essere data con
qualunque mezzo (243). L'azione di reclamo è imprescrittibile.
L'azione di contestazione della maternità si esercita per negare la maternità stessa. Si esercita nei
casi di:
• supposizione di parto;
• sostituzione di neonato.
L'azione è imprescrittibile e può essere proposta anche contro chi abbia un atto di nascita conforme al
possesso di stato. Il Codice comprende questa azione nell'ambito dell'azione di contestazione della
legittimità (248): può esercitarsi senza limiti di tempo, da chiunque, risultando genitore, abbia interesse
a negarne il presupposto anche nei casi in cui il figlio sia nato dopo i 300 giorni dallo scioglimento o
dall'annullamento del matrimonio, oppure quando il matrimonio era nullo per incesto o bigamia.
Natura diversa hanno le azioni di disconoscimento della paternità che vertono sull'elemento incerto
della fattispecie. Sono proponibili in due ordini di ipotesi:
➢ si ha un vero e proprio disconoscimento esercitato nei confronti del figlio nato prima dei 180 giorni
dalla celebrazione del matrimonio. In questo caso non occorre altra prova.
➢ Disconoscimento esercitato nei confronti del figlio concepito in costanza di matrimonio
(impugnativa di paternità). Può essere esercitato contro la presunzione di paternità:
1. quando nel periodo legale del concepimento (ovvero nei giorni che vanno dal 300° al 180°
prima della nascita) i coniugi non hanno coabitato;
2. quando in detto periodo il marito era impotente;
3. quando in detto periodo la moglie ha commesso adulterio o ha tenuto celata al marito la
propria gravidanza e la nascita del figlio, mostrando di credere di essere altri e non il marito il
padre di suo figlio.
L’azione di disconoscimento può essere esercitata dal marito della madre:
• entro un anno dalla nascita;
• dal giorno in cui si presume che ne abbia avuto conoscenza;
• dal giorno in cui il marito sia venuto a conoscenza dell'adulterio della moglie;
• dal giorno in cui sia venuto a conoscenza della propria impotenza di generare.
Può essere esercitata anche dalla madre nel termine di sei mesi dalla nascita o dallo stesso figlio entro un
anno dal compimento della maggiore età o dalla sua conoscenza dei fatti (o da un curatore speciale
nominato dal giudice su richiesta del figlio che abbia sedici anni, o dal pubblico ministero quando si tratti
di un minore di età inferiore). Il presunto padre, la madre e il figlio sono litisconsorti necessari nel giudizio
di disconoscimento: cioè devono tutti essere chiamati a intervenire (247).
Costituzione (art. 30 c.3): la legge assicura ai figli nati fuori dal matrimonio ogni tutela giuridica e sociale
compatibile con i diritti dei membri della famiglia legittima. Con la riforma del diritto di famiglia:
a) la condizione dei figli naturali, nati da rapporto tra genitori non uniti in matrimonio, si è
parificata a quella dei figli legittimi sia nel rapporto con i genitori sia nei diritti ereditari;
b) si è ammesso il riconoscimento o la dichiarazione della filiazione anche quando il genitore
all'epoca del concepimento era unito in matrimonio con altra persona (figli adulterini);
c) si è ammessa una limitata possibilità di riconoscimento dei figli incestuosi;
d) si è prevista senza limiti l'azione per ricercare anche la paternità naturale.
Si può riconoscere come figlio naturale soltanto colui che non ha già uno stato di figlio legittimo; per
ottenere un diverso accertamento, sarebbe necessaria un'azione di contestazione della legittimità.
Quando il genitore non senta il dovere di procedere a un riconoscimento volontario, si deve ricorrere
all'accertamento giudiziale. Il riconoscimento è un atto volontario, la sua efficacia non è sempre
strettamente legata alla sua struttura unilaterale perché quando il figlio ha compiuti i sedici anni di età,
l’efficacia dell’atto del genitore è subordinata all’assenso dell'interessato. Il riconoscimento può essere
fatto da uno soltanto o da entrambi i genitori, congiuntamente quanto separatamente. Quando uno dei
genitori abbia già effettuato il riconoscimento, se il figlio non abbia compiuto i sedici anni, l'altro genitore
non può di regola fare il proprio riconoscimento senza il consenso del primo. Il consenso non può essere
rifiutato ove il riconoscimento risponda all’interesse del figlio (sulla legittimità decide il tribunale). Per la
capacità, sono richiesti sedici anni compiuti; il riconoscimento fatto dall'interdetto giudiziale è
impugnabile. Il riconoscimento è un atto puro ed nulla ogni clausola diretta a limitarne gli effetti. La forma
richiesta per il riconoscimento è:
✔ l’atto pubblico notarile nell’atto di nascita;
✔ in apposita dichiarazione fatta davanti a un ufficiale di stato civile;
✔ con testamento e ha valore solo alla morte del testatore e anche se il testamento sia stato
revocato.
La maternità è dimostrata provando l'identità di colui che si pretende essere figlio e di colui che fu
partorito dalla donna che si assume essere madre. Il criterio generale per la ricerca della paternità si basa
sull'onere di fornire una prova positiva: non bastano né la dichiarazione della madre, né la sola esistenza

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di rapporti tra la madre e il preteso padre all'epoca del concepimento. La prova della paternità può darsi
con ogni mezzo (consentendo l'introduzione della prova dei gruppi sanguigni o dell'analisi del DNA). Se il
figlio è minore, competente è il tribunale per i minorenni.
Fermo restando il divieto di riconoscimento, tutti i figli, anche quelli nati da genitori tra i quali sussiste, e
sia loro riconosciuto, un vincolo di parentela o di affinità di cui all'art.251 c.1, potranno esperire azione per
la dichiarazione giudiziale di paternità e maternità naturali e conseguire in tal modo lo status di figli.
L'azione per ottenere l'accertamento può essere esercitata dal figlio senza limiti di tempo; se muore prima
di avere intentata l'azione, questa può essere promossa dai suoi discendenti entro due anni dalla sua
morte. Se il figlio ha raggiunto i sedici anni, occorre anche il suo consenso per iniziare o proseguire
l'azione.
LA PROCREAZIONE MEDICALMENTE ASSISTITA
La materia della procreazione medicalmente assistita ha trovato una disciplina legislativa nella L.
40/2004. Tale legge ha stabilito che il ricorso a tecniche di procreazione medicalmente assistita sia
consentito al fine di contrastare e superare la condizione di sterilità o infertilità della coppia. Possono far
ricorso alla PMA:
1. le coppie;
2. formate da persone maggiorenni;
3. di sesso diverso;
4. coniugate o conviventi;
5. in età potenzialmente fertile;
6. i cui componenti siano entrambi viventi.
Le coppie che intendono accedere alle pratiche di PMA sono tenute preventivamente a manifestare un
consenso alle stesse dopo aver ricevuto ben precise informazioni. La volontà dei soggetti di accedere alle
tecniche di PMA deve essere manifestata per iscritto e può essere revocata da ciascuno dei componenti la
coppia fino al momento della fecondazione dell’ovulo. I nati in seguito all’applicazione di tali tecniche
hanno lo stato di figli legittimi (se i genitori sono uniti in matrimonio) o di figli naturali riconosciuti (se i
genitori sono conviventi). La legge preclude alla madre che sia ricorsa a tecniche di PMA la possibilità di
dichiarare la volontà di non essere nominata nell'atto di nascita del figlio al fine di garantire al nato
l'acquisizione dello status previsto dalla legge.
Prima dell'approvazione della nuova legge, il ricorso alla fecondazione eterologa, che si ha quando
l'embrione viene prodotto utilizzando materiale genetico estraneo alla coppia. Il legislatore del 2004 ha
deciso di vietare senza eccezioni tale pratica, ma non ha previsto sanzioni a carico dei soggetti che siano
egualmente ricorsi alla PMA eterologa e ne ha disciplinato le conseguenze. Si è stabilita l'impossibilità per
il marito, che abbia acconsentito alla sottoposizione della moglie alle pratiche di PMA eterologa, di
disconoscere il nato; inoltre il terzo donatore di gameti non acquisisce alcuna relazione giuridica con i
nato e non può far valere alcun diritto, né essere titolare di obblighi nei suoi confronti.
Per quanto riguarda la maternità surrogata, essa si verifica quando una donna si limita a portare a
compimento una gravidanza dando alla luce un bambino il cui materiale genetico le è completamente
estraneo; si intende cioè la pratica con la quale una donna partorisce un figlio per conto terzi. La
fattispecie potrebbe realizzarsi attraverso:
• la c.d. locazione d'utero: una donna si limita a portare a compimento una gravidanza, dando alla
luce un bambino il cui materiale genetico le è completamente estraneo;
• la maternità surrogata vera e propria: una donna porta a termine una gravidanza per conto terzi
e presta anche il proprio materiale genetico, che potrà essere fecondato o con il seme del marito
della donna committente o di un donatore terzo.
Il nostro legislatore prevede la pena della reclusione da uno a tre anni e la multa da 600.000 al 1.000.000
di euro per chi realizza, pubblicizza o organizza la surrogazione di maternità. Il ruolo di madre spetterà a
colei che ha messo al mondo il neonato e nessun diritto potrà essere riconosciuto alla madre
committente.
Ad oggi la quantità di embrioni in vitro (risultato dell’unione dei gameti avvenuto in ambiente
extracorporeo) producibili è individuata caso per caso dal sanitario. Si potranno programmare più cicli di
PMA, con conseguente liceità della crioconservazione degli embrioni in soprannumero, non impiantati per
scelta del sanitario, da utilizzarsi in successivi trasferimenti.
La legge consente al medico di astenersi dal prendere parte alle procedure di PMA quando abbia
preventivamente sollevato l'obiezione di coscienza.
FIGLI IRRICONOSCIBILI E LORO DIRITTI
L'art.251 afferma che non possono essere riconosciuti i figli nati da persone tra le quali esiste un rapporto,
anche solo naturale, corrispondente alla parentela in linea retta all'infinito o in linea collaterale di secondo
grado o un vincolo di affinità in linea retta, salvo che:
• i genitori al tempo del concepimento ignorassero il vincolo esistente tra loro;
• sia stato dichiarato nullo il matrimonio da cui deriva l'affinità.
Quando uno solo dei genitori è stato in buona fede, il riconoscimento del figlio può essere fatto
unicamente a lui. Il riconoscimento dev'essere autorizzato dal tribunale per i minorenni, avuto riguardo
all'interesse del figlio e alla necessità di evitare allo stesso qualsiasi pregiudizio.
LO STATO DI FIGLIO NATURALE
In seguito all'accertamento o al riconoscimento il genitore assume tutti i doveri e tutti i diritti che egli
avrebbe nei confronti dei figli legittimi. Il figlio assume il cognome del genitore che per primo lo ha

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riconosciuto; se il riconoscimento è stato fatto contemporaneamente da entrambi i genitori, assume il


cognome del padre; se la filiazione nei riguardi del padre è stata accertata per seconda, il figlio può
assumere il cognome del padre aggiungendolo o sostituendolo a quello della madre; se il figlio è minore la
decisione spetta al giudice. Per quanto attiene alla potestà sui figli:
• se il riconoscimento è effettuato da un solo genitore: spetta a colui che lo ha effettuato;
• se il riconoscimento è effettuato da entrambi i genitori:
◦ se convivono, l'esercizio della potestà spetta congiuntamente ad entrambi;
◦ se non convivono, la potestà spetta al genitore con il quale il figlio convive;
◦ se il figlio non convive con nessuno di loro, l'esercizio della potestà spetta al primo che ha
fatto il riconoscimento.
LEGITTIMAZIONE DEI FIGLI PROCREATI FUORI DEL MATRIMONIO
La legge prevede che i figli naturali possano acquistare lo stato di figli legittimi con la legittimazione. Il
carattere costitutivo della legittimazione spiega la sua efficacia ex nunc. La legittimazione può essere:
• per susseguente matrimonio:
◦ se il riconoscimento è stato anteriore al matrimonio, la legittimazione avrà effetto dal giorno
del matrimonio;
◦ se anteriore è stato il matrimonio, il figlio si considera legittimato dal giorno del
riconoscimento.
• Per provvedimento del giudice, ad essa si può ricorrere solo quando sussistono alcuni presupposti:
◦ l'età di sedici anni per chi chiede la legittimazione;
◦ il consenso del figlio legittimando se ha sedici anni o di chi per lui se di età inferiore e non sia
già riconosciuto;
◦ l'assenso dell'altro coniuge se esiste e non sia legalmente separato.
Possono essere legittimati i figli premorti allo scopo di favorire i loro discendenti, cioè soltanto quando il
legittimando abbia lasciato figli legittimi o figli naturali riconosciuti.
La differenza tra gli effetti della legittimazione e quelli del riconoscimento si ha nel fatto che soltanto il
vincolo che nasce dalla legittimazione si estende a tutti i membri della famiglia.
AFFIDAMNETO E ADOZIONE
L'affidamento è un rapporto di funzione di cura. Può essere inteso in un duplice significato:
• affidamento ai soggetti che avrebbero titolo per prenderne cura;
• affidamento di minori perché manca una persona che abbia titolo a prenderne cura.
L’interesse del legislatore si è rivolto alla ricerca di strumenti adeguati ad assicurare l’assistenza e la cura
dei minori abbandonati. La L. 184/1983 afferma che il minore ha il diritto di crescere ed essere educato
nell’ambito della propria famiglia. La legge regola due istituti:
➢ l’affidamento: è un rimedio contingente previsto per il minore che temporaneamente è privo di
un idoneo ambiente familiare. Il rimedio sarà di ricorrere a un'assistenza esterna per supplire a
una carenza dei soggetti che avrebbero l dovere e il diritto di provvedere a quei minori, anche
legittimi, che si trovino in stato di abbandono materiale o morale, o che siano figli di ignoti o
riconosciuti soltanto dalla madre che non può provvedere al loro allevamento. Questo rimedio è
previsto in una duplice articolazione:
o affidamento di tipo familiare: il minore abbandonato viene di preferenza affidato a una
famiglia, possibilmente con figli minori, o a una persona singola, oppure a una comunità
familiare, al fine di assicurargli il mantenimento, l’educazione e l’istruzione.
o Affidamento a un istituto di assistenza pubblico o privato : a tale ricovero si provvede solo
ove non sia possibile un conveniente affidamento familiare, e va realizzato di preferenza
nell'ambito della regione di residenza del minore.
➢ L’adozione: istituto per dare una famiglia nuova al minore che sia privo di uno stabile rapporto di
vita. Il significato dell’istituto è quello di creare un rapporto giuridico che si ispira al vincolo
naturale di paternità e maternità. E’ rivolto all’adozione dei minori e gli adottanti non scelgono, né
designano il minore, ma devono affidarsi all’ufficio che loro attribuirà un qualsiasi abbandonato.
L’attuale sistema prevede tre forme di intervento:
o l’adozione legittimante: riguarda i coniugi che siano riconosciuti idonei a educare, istruire
e mantenere dei minori. E’ permessa ai coniugi uniti in matrimonio da almeno tre anni,
non separati neppure di fatto. Sono consentite agli stessi coniugi più adozioni anche con
atti successivi. Tutti i minori in stato di abbandono possono essere adottati senza limiti di
età; chi ha compiuto i dodici anni deve essere personalmente sentito, chi ha compiuto 14
anni è chiamato a dare il proprio consenso che può essere revocato fino alla pronuncia
definitiva dell'adozione. L’adottante deve avere almeno 18 anni di differenza con
l’adottato e non deve superare i 45 anni, limite derogabile in presenza di particolari
circostanze indicate. Il procedimento di adozione si articola in tre fasi:
 dichiarazione di adottabilità: presuppone lo stato di abbandono del minore in
quanto privo di assistenza morale e materiale da parte di genitori o parenti tenuti
a provvedervi. Durante lo stato di adottabilità è sospeso l’esercizio della potestà
dei genitori, il tribunale per i minorenni nomina un tutore. Contro la sentenza che
dichiara lo stato di adottabilità è ammesso ricorso entro trenta giorni; lo stesso
tribunale per i minorenni deciderà con sentenza, contro la quale, a sua volta, è

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ammesso ricorso alla sezione per i minorenni della Corte d'appello.


 Affidamento preadottivo: i coniugi che intendono adottare presenteranno generica
domanda al tribunale per i minorenni specificando la loro eventuale disponibilità
ad adottare più fratelli. Infatti, se non esistono gravi ragioni, non può essere
disposto isolatamente l’affidamento di singoli fratelli che siano tutti in stato di
adottabilità. La domanda decade dopo due anni dalla presentazione. Il tribunale,
sceglie tra le più domande a disposizione, affidando i minori alla coppia che
ritiene la più idonea alle esigenze del singolo caso. Il tribunale vigila sul regolare
andamento dell’affidamento e nel caso vengano accertate difficoltà di idonea
convivenza può anche revocare l’affidamento avvenuto.
 Sentenza di adozione: il tribunale, decorso un anno dall’affidamento, fatti gli
accertamenti e sentite le persone indicate decide di fare luogo o meno
all’adozione.
Per effetto dell’adozione l’adottato acquista lo stato di figlio legittimo degli adottanti, dei
quali assume e trasmette il cognome. L'adottato instaura rapporti di parentela o affinità
con i congiunti dei genitori adottivi. Il minore straniero adottato da cittadini italiani ne
acquista la cittadinanza. Con l’adozione cessano i rapporti dell’adottato verso le famiglie
d’origine, salvo i divieti matrimoniali. L’adottato raggiunti i 25 anni d’età può accedere a
informazioni che riguardano la sua famiglia d’origine e l’identità dei propri genitori
biologici.
o L’adozione in casi particolari: si può avere anche se non sussistono tutti i presupposti per
l’ordinaria adozione dei minori. È prevista per i minori senza che sia da rimediare a uno
stato di abbandono; offre il grande vantaggio per gli adottanti di conoscere il minore da
adottare. E’ necessaria una differenza d’età di almeno 18 anni. È ammessa soltanto
quando:
 il minore è orfano di entrambi i genitori e l’adottante è una persona a lui unita da
vincolo di parentela entro il sesto grado o da rapporto di fatto stabile e duraturo
preesistente alla perdita dei genitori;
 l’adottante sia il coniuge del genitore, anche adottivo, del minore;
 il minore sia persona handicappata e sia orfano di entrambi i genitori;
 sia stata constatata l’impossibilità di affidamento preadottivo.
Non è fissata un'età massima per l'adottante. In presenza di particolari condizioni
l'adozione è consentita anche a chi non è coniugato. Gli adottati di questa categoria non
assumono una posizione identica a quella dei figli legittimi: non ha efficacia legittimante,
con estensione del rapporto ai parenti dell'adottante e non si estingue il vincolo con la
famiglia di origine (della quale non perde il cognome che va aggiunto a quello
dell’adottante). L’adottante ha il dovere di mantenere, educare e istruire l’adottato, ne
amministra i beni con poteri analoghi a quelli del tutore. L’adottato cumula i diritti
successori nei riguardi dei genitori di origine e dei genitori adottivi.
o L’adozione di persone maggiori d’età: segue le linee direttrici dell’adozione ordinaria. Essa
mira a soddisfare l’interesse di una persona adulta a conseguire i vantaggi connessi alla
qualità giuridica di figlio, quali il diritto di portare il cognome dell’adottante e l’aspettativa
di esserne l’erede. L'adozione è pronunciata dal tribunale ordinario; è il consenso prestato
dalle parti il presupposto essenziale del provvedimento del giudice. È necessario anche
l'assenso dei genitori dell'adottando, del coniuge dell'adottante e dell'adottato, e degli
eventuali figli legittimi dell'adottante. L'adottante deve avere almeno 35 anni e deve
superare almeno di 18 l'età dell'adottando.
o L'adozione internazionale: per le ipotesi dell'adozione in Italia dei minori stranieri e
dell'adozione di minori italiani che espatriano essendo adottati all'estero.

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CAPO V. LE SUCCESSIONI PER CAUSA DI MORTE


SEZIONE I. PRINCIPI GENERALI
Principio fondamentale è che con la morte i diritti patrimoniali si trasmettono ad altri soggetti. È la
legislazione ordinaria che:
• disciplina e limita la successione legittima là dove manca, in tutto o in parte, la disposizione
testamentaria;
• determina le quote che vanno necessariamente devolute ad alcuni più stretti congiunti.
La successione mortis causa si attua tra un autore, detto anche ereditando o de cuius, e il
successore, che assume la diversa veste di erede o di legatario.
OGGETTO DELLA SUCCESSIONE
Con la morte del titolare si estinguono
Il creditori del de cuius diventano in ogni caso creditori dell'erede, e il patrimonio unificato con
l'accettazione dell'eredità costituisce comune garanzia per i creditori dell'uno e dell'altro.
Nella successione a titolo particolare, il legatario acquista il solo diritto a ricevere i singoli beni per
i quali è stato istituito. Non si attua confusione tra i patrimoni, il legatario non risponde dei debiti ereditari
ed è tenuto all’adempimento degli oneri a lui espressamente imposti soltanto entro limiti del valore
ricevuto.
CAPACITA’ GIURIDICA DI SUCCEDERE E INDEGNITA’
La capacità di succedere concerne la capacità giuridica. I requisiti sono:
1. l’esistenza della persona: ossia la sopravvivenza del chiamato, quando si apre una
successione alla quale sarebbe chiamata una persona scomparsa, questo chiamato si salta, e la
successione è devoluta a coloro ai quali sarebbe spettata in mancanza di detta persona. Se il
chiamato è irraggiungibile per ragioni diverse dalla sua scomparsa si avrà giacenza dell'eredità.
2. E’ sufficiente che al momento dell’apertura della successione il chiamato sia concepito (si
presume tale chi è nato entro i trecento giorni dalla morte del de cuius), se non è ancora nato, il
diritto alla successione è subordinato all'evento della nascita.
Con testamento possono essere chiamati a succedere anche i non concepiti al momento della morte del
de cuius, purché si tratti di figli di una determinata persona che sia vivente nel momento dell'apertura.
Le persone giuridiche, le associazioni, le fondazioni e gli enti non riconosciuti hanno capacità di
ricevere per successione; quando non si tratti di società, l'accettazione dell'eredità a loro devoluta deve
farsi con beneficio d'inventario.
Accanto all’incapacità troviamo l’indegnità a succedere. E’ indegno, e come tale escluso dalla
successione, il chiamato che abbia compiuto uno degli atti per i quali il Codice all'art.463 prevede tale
conseguenza (elencazione tassativa). Si distinguono due ordini di cause:
• ipotesi di gravi colpe verso la persona del de cuius;
• ipotesi di gravi atti contro la libertà testamentaria o il testamento.
L'indegnità ha sempre carattere relativo: in nessun caso si diventa indegni a succedere in generale, si
perde il diritto solo rispetto al tizio che si è gravemente offeso o di cui si voleva carpire l'eredità.
L'indegnità ha carattere personale, e pertanto in luogo dell'indegno si può aprire la successione a favore
dei suoi rappresentanti. L’indegno acquista l’eredità o il legato, ma con sentenza del giudice l’acquisto
può essere posto nel nulla (l'azione per far valere l'indegnità si prescrive nel termine della prescrizione
ordinaria). La dichiarazione di indegnità ha effetto retroattivo; l’indegno è parificato al possessore di
malafede, deve quindi restituire i frutti che gli sono pervenuti dell’apertura della successione. Essa è
causa di esclusione che funziona sia nella successione legittima quanto nella testamentaria. L'indegno
può essere riabilitato espressamente con atto pubblico o con successivo testamento della persona della
cui successione si tratta.
SEZIONE II. LE SUCCESSIONI LEGITTIME
Nella successione legittima, o intestata, la legge determina un sistema completo di categorie di
successibili, dai più stretti congiunti fino allo Stato. Se il chiamato è indegno, l'esclusione vale solo se non
esistono suoi discendenti con diritto di rappresentazione. La successione nel patrimonio del defunto
avviene per il rapporto di parentela o di coniugio con il successore, senza riguardo all'origine dei beni. Il
criterio seguito dalla legge è generalmente quello della prossimità del vincolo familiare.
SUCCESSIONE DEI PARENTI
Eredi per eccellenza sono i discendenti legittimi e naturali il cui stato sia legalmente accertato. La parità
tra figli legittimi e naturali è assoluta; ai figli legittimi sono equiparati i legittimati e gli adottivi. La
categoria dei discendenti esclude tutti gli altri parenti; essi concorrono solamente con il coniuge. Se
mancano i discendenti, succedono i genitori o ascendenti legittimi e gli adottanti di un'adozione
legittimante. Vale la regola che il prossimo esclude i remoti: se c'è un genitore non succedono i nonni. Se
ci sono più ascendenti dello stesso grado l’eredità si divide per metà a favore della linea paterna e metà a
favore della linea materna. I genitori o gli ascendenti concorrono con il coniuge superstite e con i fratelli
del de cuius; escludono tutti gli altri collaterali. Genitori e fratelli sono ammessi alla successione per capi,
purché in nessun caso la quota in cui succedono i genitori o uno di essi sia inferiore alla metà. I fratelli e le
sorelle unilaterali (consanguinei, se dello stesso padre e di madre diversa; uterini se della stessa madre e
di padre diverso), quando concorrono con i germani, conseguono la metà della quota che in concreto
andrà ai germani. Se chi muore non lascia prole, né genitori o ulteriori ascendenti, né fratelli o loro
discendenti, succedono gli altri parenti fino al sesto grado (qui pure vale la regola che il più vicino esclude
gli altri).
SUCCESSIONE DEI GENITORI NATURALI E DEI FIGLI NON RICONOSCIBILI

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Se il figlio naturale muore senza lasciare prole, alla sua eredità hanno diritto insieme con il coniuge, i
genitori che lo hanno riconosciuto o dei quali fu dichiarato figlio; quando uno solo dei genitori abbia
legittimato il figlio, l’altro rimane escluso. Per i figli non riconoscibili ai sensi dell'art.251, dopo la morte dei
genitori, potranno agire per ottenere una declaratoria di paternità o maternità naturale al fine di
succedere quali figli naturali del de cuius.
SUCCESSIONE DEL CONIUGE SUPERSTITE
Il coniuge concorre con i figli legittimi o naturali, con gli ascendenti e con i fratelli del defunto; in
mancanza a lui si devolve tutta l’eredità. Quando con il coniuge concorrono i figli, egli ha diritto alla metà
dell’eredità se alla successione concorre un solo figlio, e ad un terzo negli altri casi. Al coniuge sono
devoluti i due terzi se concorre con gli ascendenti legittimi o con fratelli e sorelle anche se unilaterali,
oppure con gli uni e con gli altri. Presupposto per i diritti ereditari del coniuge è l’esistenza di un valido
matrimonio. La separazione coniugale non importa diminuzione di diritti successori quando al coniuge
superstite non è stata addebitata la separazione con sentenza passata in giudicato. Quando sussiste
l’addebito della separazione a tale coniuge spetta solo un assegno vitalizio se al momento dell’apertura
della successione godeva degli alimenti a carico del coniuge deceduto. La riconciliazione, anche di fatto,
fa riacquistare in pieno i diritti successori. Con il divorzio i coniugi perdono il reciproco diritto successorio
se la morte avviene dopo l’annotazione della relativa sentenza nei registri dello stato civile. In caso di
morte del coniuge che sia obbligato a dare un assegno periodico, al beneficiario superstite può essere
attribuita una quota della pensione o degli assegni, anche in concorso con il nuovo coniuge del divorziato.
Spetta al coniuge, anche come successore legittimo il diritto di abitazione della casa adibita a residenza
familiare e di uso sui mobili che la corredano se di proprietà del defunto o comune.
LA SUCCESSIONE DELLO STATO
In mancanza di ogni altro chiamato dalla legge, l’eredità è devoluta al patrimonio dello stato. Il
presupposto può aversi:
• quando il de cuius non abbia lasciato né eredi testamentari ne successibili ex lege;
• quando tutti i chiamati abbiano rinunciato all’eredità;
• quando tutti i chiamati abbiano perso il diritto di accettare per prescrizione o decadenza.
Le eredità vacanti vanno a chi rappresenta la collettività assicurando in ogni caso una successione che
garantisca la continuità dei rapporti giuridici del defunto. Lo Stato acquista i beni del defunto a titolo di
erede, è l'unico erede necessario perché l'acquisto avviene senza accettazione e senza possibilità di
rinunzia. Poiché l’acquisto opera di diritto, lo Stato può reclamare la qualifica ereditaria anche dopo il
decennio entro cui di regola è ammessa l’accettazione. Lo Stato non risponde mai dei debiti e dei legati
oltre il valore dei beni acquistati, senza che debba invocare il beneficio d'inventario.
SEZIONE III. LE SUCCESSIONI TESTAMENTARIE
L’art. 587 definisce il testamento: “un atto revocabile con il quale taluno dispone, per il tempo in cui
avrà cessato di vivere, di tutte le proprie sostanze o di una parte di esse”, è valido ed efficace anche l’atto
di ultima volontà che contenga anche soltanto disposizioni di ordine non patrimoniale. Il testamento è
l'atto riconosciuto alla persona per una efficace esplicazione della volontà in ordine alla successione dei
propri diritti. Il testamento contiene talora atti di disposizione la cui concreta efficacia dipende
dall’accettazione dell’eredità da parte dell’erede, il quale assume gli obblighi corrispondenti, venendosi
talvolta a costituire rapporti che non esistevano nella sfera del defunto. Il testamento è:
1. un negozio mortis causa: ha efficacia con l’apertura della successione e più che per produrre
dirette conseguenze, vale a predisporre per la futura successione un ordine diverso da quello
legale.
2. Un atto unilaterale per eccellenza: manifesta la sua rilevanza indipendentemente
dall’accettazione, che si riferisce alla successione e non al testamento.
3. Un atto unipersonale: non si può fare testamento da più persone nel medesimo atto, né con
disposizioni a vantaggio reciproco( testamento reciproco), né a vantaggio di altri (testamento
congiuntivo). È dichiarata nulla la disposizione fatta dal testatore a condizione di essere a sua
volta avvantaggiato dal testamento dell'erede o del legatario (condizione captatoria).
4. Un atto formale: il testamento è un negozio solenne e nella manifestazione formale deve
trovarsi completa la volontà testamentaria: soltanto la volontà che risulta dal testamento è
volontà efficace mortis causa. La completezza formale non esclude che il testatore possa rinviare
la determinazione di qualche elemento a situazioni non precisate nel documento: in questi casi si
ha dichiarazione per relationem. Ci può essere un rinvio, un riferimento, che riguardi la persona
del chiamato, oppure l’oggetto della disposizione, o simili elementi. Essa sarà valida soltanto
quando non implichi incompletezza nell’elemento di volontà del testatore con un rinvio a
determinazioni altrui.
5. Un atto revocabile: la volontà testamentaria della persona può risultare da un complesso di
testamenti successivi; quella che conta è l’ultima volontà, con prevalenza, se ci sono contenuti
contraddittori, delle disposizioni che sono espresse negli atti di data posteriore; quando le
successive disposizioni sono tra loro compatibili, la volontà testamentaria risulterà dal loro
complesso.
L’efficacia delle disposizioni di carattere non patrimoniale non viene meno anche se nell’atto manchino
completamente disposizioni di carattere patrimoniale come ad esempio il riconoscimento di figlio
naturale, la manifestazione di volontà di legittimare, la designazione della persona del tutore,
l’autorizzazione di disporre dei propri organi dopo la morte a vantaggio di terzi, per revocare altro
testamento, per riabilitare l’indegno, per riconoscere un debito.

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Problema distinto è quello della rilevanza delle manifestazioni di ordine morale o personale (es. obbligo
all’erede di distruggere un manoscritto, di visitare la tomba, formalità per i funerali); per alcuni di questi
rapporti provvedono leggi speciali, per le altre disposizioni non esistono obblighi di adempimento perché
manca il titolare del credito, del diritto; se il testatore vuole assicurarsene l’osservanza, deve imporla
sotto forma di condizione o di modus quando ci sia un soggetto che abbia interesse alla prevista
esecuzione.
CAPACITA’ DI DISPORRE E INCAPACITA' DI RICEVERE PER TESTAMENTO
L’art. 591 dice che possono disporre per testamento tutti coloro che non sono dichiarati incapaci dalla
legge. E sono incapaci di testare:
1. i minori: prima dei diciotto anni nessuno ha la capacità di disporre testamento e non varrebbe
l’assistenza di organi tutelari essendo il testamento atto unilaterale;
2. gli interdetti per infermità di mente: i lucidi intervalli di tempo non contano, il testamento fatto
dall’interdetto è sempre invalido;
3. coloro che si provi essere stati, per qualsiasi causa, incapaci di intendere o di volere nel momento
in cui hanno fatto testamento.
Conseguenze di tali forme di incapacità a testare è l’annullabilità assoluta, e il testamento può essere
impugnato da chiunque vi abbia interesse. L’azione si prescrive in 5 anni da quando viene data
esecuzione alle disposizioni testamentarie.
C'è un'incapacità relativa, che non colpisce il testamento, ma le disposizioni in favore del tutore fatte dal
pupillo prima che sia approvato il conto. È incapacità a testare del pupillo.
La capacità di ricevere per testamento è più ampia della capacità è più ampia della capacità di ricevere
per successione in generale perché nelle successioni testamentarie possono essere chiamati anche i
nascituri non concepiti e le persone giuridiche non ancora costituiti o riconosciuti; gli indegni possono
succedere soltanto se un testamento li ha riabilitati. Ci sono però delle limitazioni: incapaci a ricevere
sono il notaio, i testimoni e l’interprete intervenuti nella formazione del testamento pubblico, e chi ha
scritto la scheda o ricevuto il testamento segreto se consegnato in plico non sigillato.
FORMA DEI TESTAMENTI
Il formalismo aiuta ad assicurare una certa serietà e offre maggior precisione a chi lo deve applicare,
evitando alcune delle possibili controversie in materia di prova. Le formalità sono date dalla
manifestazione e dalla documentazione. I due aspetti sono distinti nell’atto del notaio, mentre
coincidono nel testamento olografo. Eccezionalmente è consentito di ricostruire il documento perduto
sempre che sia stato redatto nelle forme legali, l’art. 684 riconosce valore al testamento olografo
distrutto, nel senso che il suo contenuto ricostituito possa essere fatto valere, purché la distruzione sia
stata opera di persona diversa dal testatore, o si provi che con la distruzione il testatore non ebbe
intenzione di revocarlo.
La legge distingue:
• i testamenti ordinari, che sono:
◦ il testamento olografo, tipico testamento privato. I suoi vantaggi sono comodità, gratuità e
segretezza; segreto rimane il contenuto, e anche il fatto del compimento dell'atto. Gli
svantaggi sono il pericolo di soppressioni, alterazioni o smarrimento, è meno sicura
l'autenticità e spesso vi si notano difficoltà interpretative. I requisiti del testamento olografo
sono:
▪ la scrittura;
▪ la data, deve contenere l'indicazione del giorno, mese ed anno. Questi dati possono
risultare anche da equipollenti. È annullabile il testamento con la data scritta a macchina,
o con un datario. La non verità della data è irrilevante; la prova che la data scritta non è
vera si ammette quando si faccia questione di capacità del testatore o di revoca. Se
manca la data, il testamento è annullabile su istanza di chiunque vi abbia interesse entro
un termine di cinque anni dal giorno in cui è stata data esecuzione alle disposizioni
testamentarie.
▪ La sottoscrizione, è elemento necessario in tutte le scritture private, per completare il
documento con il suggello che è indice di una dichiarazione seria e definitiva, e per
facilitare la prova della paternità dell'atto. Essa deve essere posta alla fine delle
dichiarazioni, se qualche aggiunta non è sottoscritta, la stessa non vale come disposizione
testamentaria. Contiene di regola il prenome e il cognome. Se manca l'autografia o la
sottoscrizione, il testamento è nullo.
Tutte di mano del testatore. Non vale se scritto a macchina o con carattere stampatello
(l'autografia è richiesta anche per stabilire l'autenticità del documento). L'intervento della
scrittura di un terzo è causa di invalidità dell'intero atto. Se si scrive su carta non è richiesta
carta bollata. Il testamento scritto in forma di lettera è valido, purché sia l'espressione di una
precisa attuale volontà di disporre mortis causa.
◦ Il testamento per atto di notaio, che sono:
▪ il testamento pubblico (603): è ricevuto dal notaio in presenza di due testimoni che
devono essere maggiorenni, in pieno godimento dei diritti civili, e non possono essere
parenti , affini o coniuge del notaio o del testatore. La dichiarazione verbale del testatore
viene documentata dal notaio che, sempre in presenza dei testimoni, dà lettura all'atto;
infine tutti sottoscrivono. Se il testatore non può sottoscrivere il notaio deve indicarne la

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ragione secondo le dichiarazioni del testatore. Per il testatore del sordo o del muto è
richiesto l'intervento di un interprete, e quando il testatore sia incapace anche di leggere,
il numero dei testimoni è raddoppiato. Il testamento deve indicare il luogo, la data della
redazione e l'ora della sottoscrizione.
▪ Il testamento segreto (604), nella sua struttura si distinguono:
✔ la scheda di sottoscrizione: contiene la sostanza delle disposizioni. Può essere scritta a
mano dal testatore (quindi è sufficiente la sottoscrizione alla fine), oppure da terzi o a
macchina (il testatore deve sottoscrivere ciascun mezzo foglio, unito o separato). Non
è necessario che la scheda sia datata, ma essa va sigillata per garanzia di segretezza
e per evitare alterazioni.
Il testatore consegna la scheda al notaio in presenza di due testimoni.
✔ L'atto di ricevimento: scritto sullo stesso involto che contiene la scheda, viene
sottoscritto dal notaio, dal testatore e dai due testimoni. È necessario l'intervento
personale del testatore.
Se la scheda testamentaria ha una data e l'atto di ricevimento indica una data diversa,
quest'ultima è la data del testamento. Il testamento segreto può essere ritirato in ogni
momento dalle mani del notaio, il quale redige un verbale di restituzione.
In entrambe le forme la mancanza di redazione per iscritto da parte del notaio della
dichiarazione del testatore e la mancanza di sottoscrizione del notaio o del testatore sono
causa di nullità; dagli altri difetti deriva l'annullabilità.
• I testamenti speciali, riconosciuti per determinate situazioni o circostanze. Sono testamenti
pubblici con requisiti di forma molto ridotti rispetto ai testamenti ordinari, ricevuti da persone che
rivestono determinate cariche (sindaco, ministri del culto ecc.) o anche dal notaio ma con forme
semplificate. I testamenti speciali sono tre:
◦ testamenti in occasione di malattie contagiose o calamità pubbliche, o anche in presenza di
un infortunio;
◦ testamenti in navigazione marittima o aerea;
◦ testamenti dei militari.
Sono casi tassativi, hanno limitata efficacia nel tempo; in generale essi perdono efficacia dopo tre
mesi dal ritorno alla situazione normale.
Tutti i testamenti, comunque fatti, hanno lo stesso valore e uguale efficacia.
PUBBLICAZIONE DEL TESTAMENTO E SUA ESECUZIONE
Perché i testamenti abbiano esecuzione è necessario che dopo la morte del testatore siano resi pubblici.
Il testamento pubblico è eseguibile senz’altro. Il notaio, su richiesta di qualunque interessato, passa
l’atto nel fascicolo generale degli atti tra vivi e lo registra nel repertorio generale; dopodiché ognuno può
prenderne conoscenza.
Il testamento segreto viene aperto e pubblicato dal notaio che l’ha ricevuto; alla presenza di due
testimoni, egli fa un verbale in cui trasfonde tutto il contenuto dell’atto che resta presso di lui.
Il testamento olografo deve essere portato a un notaio da chiunque se ne trovi in possesso
dopo la morte del testatore. La pubblicazione viene fatta come per il testamento segreto.
Una copia di tutti i testamenti pubblici e una copia di tutti i verbali di pubblicazione di testamenti segreti
ed olografi vengono trasmesse alla cancelleria del tribunale nella cui giurisdizione si è aperta la
successione. Quivi può rivolgersi chiunque creda di avere interesse a qualche vocazione testamentaria. Il
testamento produrrà i suoi effetti quando, in qualsiasi modo e in qualunque momento, sarà venuto a
conoscenza degli interessati. Il notaio che ha ricevuto il testamento pubblico, appena gli è nota la morte
del testatore, e il notaio presso cui furono pubblicati il testamento olografo o segreto devono comunicare
l’esistenza dell’atto agli eredi e ai legatari di cui conoscono l’indirizzo. La legge fa decorrere i termini di
annullabilità dal giorno in cui è stata data esecuzione alle disposizioni testamentarie, cioè dal giorno in cui
si è concretamente realizzato per l'erede o per il legatario l'effetto pratico della successione.
ESECUTORE TESTAMENTARIO
Il testatore nomina uno o più esecutori testamentari con il compito di curare che le sue disposizioni
abbiano fedele esecuzione. L'accettazione dell'esecutore e l'eventuale sua rinuncia devono risultare da
dichiarazioni fatte alla cancelleria del tribunale competente. L’esecutore è chiamato a far rispettare la
volontà del testatore che risulta dal testamento. Egli deve accertare i diritti dei chiamati alla successione
e individuare le persone alle quali deve consegnare i beni. Per esercitare le sue funzioni, l’esecutore deve
amministrare la massa ereditaria prendendo anche possesso dei beni che ne fanno parte (di regola il
possesso no può durare più di un anno). Se tra i chiamati all'eredità vi sono minori, interdetti, assenti o
persone giuridiche, l'esecutore fa apporre i sigilli e fa redigere un inventario. L’ufficio è gratuito, tuttavia il
testatore può fissare una retribuzione a carico dell’eredità; le spese vanno in ogni caso rimborsate.
DISPOSIZIONI TESTAMENTARIE E LORO DESTINATARI
In primo luogo deve essere chiaramente indicato il destinatario di ogni disposizione. È necessaria, se
non la determinazione espressa del destinatario, almeno la sua sicura determinabilità.
Il testamento, come negozio, non è un atto recettizio, ma le disposizioni in esso contenute non hanno
effetto se non sono fatte in favore di un soggetto che sia determinabile con precisione e che sia capace di
ricevere.
Altrettanto essenziale è la determinazione del contenuto delle singole disposizioni. E’ nulla la disposizione
testamentaria con la quale si fa dipendere dall’arbitrio di un terzo l’indicazione dell’erede o del legatario,
o la determinazione della quota di eredità e l’oggetto del legato.

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Per la validità delle disposizioni per l’anima si richiede che siano determinati i beni o che sia
determinabile la somma da impiegarsi nei suffragi. Esse si considerano come un onere a carico dell’erede
o del legatario. Le disposizioni in favore dei poveri, si intendono fatte in favore dei poveri del luogo
dove il testatore aveva domicilio al tempo della morte, e i beni sono devoluti al Comune.
VOLONTA’ TESTAMENTARIA
Si riconosce che la tutela della libertà o spontaneità dev’essere maggiore nel testamento che nei negozi
tra vivi. Se la volontà non è genuina il testamento deve cadere:
• la volontà deve essere spontanea;
• la volontà deve essere espressa compiutamente: devono ricavarsi gli elementi per determinare
l’oggetto del lascito e il suo destinatario;
• la volontà deve essere definitiva: il testamento deve contenere, non un progetto, ma un’effettiva
determinazione attuale ( la definitività è relativa perché il testamento è sempre revocabile);
• la volontà deve essere espressa: la dichiarazione assorbe la volontà e vi deve corrispondere.
Il legislatore ha stabilito che l’errore sull’indicazione dell’erede, del legatario o della cosa che forma
oggetto della disposizione (dichiarazione erronea o putativa), anziché essere causa di annullamento
della disposizione stessa, venga corretto, e la volontà abbia effetto purché risulti in modo non equivoco a
quale persona o a quale cosa il testatore intendeva realmente riferirsi.
I vizi del volere, errore, violenza e dolo sono cause di annullabilità; l’azione di annullamento è proponibile
da chiunque vi abbia interesse. Il termine di prescrizione decorre dal giorno in cui l’interessato ha avuto
notizia della causa viziante.
Agli effetti dell’invalidità del testamento la legge riconosce rilevante il motivo impulsivo quando sia
erroneo, per errore di fatto o di diritto (causa di annullabilità) o illecito (causa di nullità). In entrambi i casi
è richiesto che sia determinante e unico. Il motivo erroneo, che sia stato il solo a determinare il testatore,
per aver rilevanza deve risultare dalle parole usate nel contesto del testamento. Il motivo illecito è causa
di nullità quando risulti da testamento, e sia stato l'unico determinante. Il motivo finale assume un
rilievo minore. Non è ammesso che nella ricerca della volontà del testatore si vada oltre la volontà
manifestata.
Le principale regole sull’interpretazione dei contratti si applicano per analogia anche ai testamenti. Per
chiarire il significato delle espressioni usate dal testatore, si ricorrerà ad ogni mezzo di prova. L’interprete
non deve attenersi al senso letterale delle parole, e per determinare l’intenzione del testatore valuterà il
comportamento complessivo, anche posteriore alla redazione dell’atto. Le espressioni usate dal testatore
vanno interpretate non nel significato tecnico-giuridico ma nel significato che presumibilmente intendeva
il de cuius. Lo stesso vale per le formule usate, che vanno intese e rispettate secondo la presunta volontà
del testatore, anche al di là delle regole giuridiche. Ricordiamo che va comunque ricercata sempre la
volontà contenuta nel testamento (volontà testamentaria) e non quella del testatore, cioè la volontà che
si ritenga corrispondere alle vere intenzioni del testatore.
CONDIZIONE, TERMINE E MODUS
L’istituzione di erede non ammette il termine: ne iniziale, perché l’erede è chiamato a continuare senza
soluzioni nel tempo la personalità del defunto, ne finale perché accettata l’eredità si è sempre eredi. Un
eventuale termine sarebbe come non apposto. E’ invece ammesso il legato a termine.
Tanto l’istituzione d’erede quanto il legato possono essere sottoposti a condizione sospensiva o risolutiva
(art. 634 la regola sabiniana dice che le condizioni impossibili o illecite vanno considerate come non
scritte, se però la condizione illecita ha costituito in concreto l’unico motivo determinante della
disposizione, questa è nulla). Illecito è il perseguire con una disposizione testamentaria uno scopo
contrario al sistema delle norme imperative, all'ordine pubblico o al buon costume. La condizione
captatoria o condizione di reciprocità, non è irrilevante, perché fa annullare la disposizione cui è apposta.
 Se la condizione è sospensiva, la legge dà alcune prescrizioni per amministrare i beni che sono
oggetto della disposizione;
o se la condizione sospensiva è potestativa, cioè se il suo avverarsi dipende dalla sola
volontà dell’erede o del legatario istituito (es. lascio il palazzo di Napoli a Tizio se andrà ad
abitare in quella città), e non è indicato un termine per la sua attuazione, gli interessati
possono chiedere al giudice che fissi un termine al chiamato.
 Se la condizione è risolutiva (es. lascio il palazzo di Messina a Tizio, purché egli poi non stabilisca
in altra città la sua residenza), l’autorità giudiziaria, può imporre all’erede o al legatario una
idonea garanzia a favore di coloro ai quali l’eredità o il legato dovrebbero devolversi
nell’eventuale avverarsi della condizione.
Anche per le disposizioni testamentarie vale la regola generale delle condizioni che hanno efficacia
retroattiva: il verificarsi della condizione, per la sua retroattività, toglie efficacia alle alienazioni concluse
nel frattempo dall’erede.
La figura del modus, o onere, costituisce un'obbligazione accessoria imposta al successore, la quale viene
in qualche misura a limitare il beneficio del lascito. La possibilità riconosciuta al testatore di imporre un
modus costituisce a suo favore uno strumento di comando di grande rilievo: per suo mezzo il testatore
può creare situazioni che sarebbero sottratte al suo diretto potere di disposizione, imponendo all’erede di
obbedire, se non preferisce rinunciare all’eredità. Una volta accettata l’eredità o il legato, erede e
legatario sono obbligati a eseguire l’obbligazione modale. Mentre per il legatario c’è un limite di rischio
(egli non resta obbligato al di là del vantaggio ricevuto), tale limite non esiste per l’erede che risponde
oltre il vantaggio ricevuto.
Il modus, di solito, obbliga l’erede o il legatario, ma l’inosservanza dell’obbligo non risolve il lascito; la

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risoluzione può essere collegata alla volontà espressa in questo senso dal testatore o al carattere
dell’onere come motivo essenziale del lascito. L’onere, che non sia di carattere strettamente personale, si
trasmette anche agli eredi che subentrano per qualsiasi causa all’erede onerato.
LEGATI
E’ legato ogni diretta attribuzione mortis causa a titolo particolare (588). La conseguenza
fondamentale della distinzione tra eredità e legato si trova nei limiti della responsabilità: soltanto l’erede
risponde dei debiti che erano del de cuius e dei pesi imposti per testamento, e di regola ne risponde
illimitatamente. Ci sono due tipi di legato:
• legato di specie: la disposizione ha per contenuto un bene che si trova individuato nel
patrimonio del testatore. Il diritto si trasmette dal testatore al legatario nel momento dell'apertura
della successione. Il legatario può esercitare contro chiunque l'azione di rivendica. Il legatario
deve solo domandare il possesso all'erede, e i frutti della cosa legata sono dovuti al legatario dal
momento della morte del testatore.
• Legato di quantità o di genere: la disposizione ha per contenuto una cosa generica. A tale
tipologia si addice la distinzione tra
◦ l'onorato, che è il legatario;
◦ l'onerato, che è colui sul quale grava l’obbligo di fare la prestazione. In questo caso, c’è
l’obbligo di prestazione da parte dell’onerato, che è di regola l’erede, ma che può essere
anche un altro legatario.
La determinazione del bene viene fatta di regola dall'onerato.
L'erede che è tenuto a pagare i debiti del de cuius, ha uguale obbligo anche per i legati stabiliti nel
testamento, ed è responsabile dell'adempimento con tutto il suo patrimonio personale. Se il testatore non
ha diversamente disposto, alla prestazione del legato sono tenuti indistintamente tutti gli eredi, ciascuno
in proporzione della sua quota ereditaria.
Il prelegato, che è il legato a vantaggio di un erede, è valido come legato per l'intero. Ciò significa che: il
coerede si presenterà alla pari degli altri legatari per ottenere l'integrale esecuzione di detto lascito a
titolo particolare, ritenendosi essere intenzione del testatore di disporre il prelegato come un lascito
distinto da prendersi prima della divisione ereditaria, ne consegue che il coerede prelegatario non dovrà
computare nella sua quota. Il prelegato assume ulteriore significato quando il chiamato rinuncia all'eredità
pur chiedendo l'intero legato, oppure quando egli alieni la sua quota ereditaria, la quale non comprende il
prelegato.
Quando la cosa legata appartiene all’onerato oppure a un terzo, il legato è nullo se non risulta da un
documento che il testatore sapeva che la cosa non era in sua proprietà.
Il legato di un credito e il legato di liberazione di un debito hanno effetto per la sola parte di credito
e del debito che sussiste alla morte del testatore.
Se vengono stabiliti pesi a carico del legatario, la responsabilità dello stesso è entro il valore delle cose da
lui ricevute in legato. Il bene passa al legatario con i suoi accessori e le pertinenze; se è stato legato un
fondo vi comprendono anche gli edifici; i frutti sono di regola di spettanza del legatario dal momento
dell'apertura della successione. Le spese per la prestazione del legato sono a carico dell’onerato, così che
il vantaggio del legatario si intende al netto.
INVALIDITA’, CADUCITA’ E REVOCA DEL TESTAMENTO O DELLE DISPOSIZIONI TESTAMENTARIE
I casi di invalidità del testamento o delle singole disposizioni testamentarie sono previsti dalla legge Ci
sono casi di nullità, per i quali non è ammessa la prescrizione, e casi di annullabilità per i quali l'esercizio
dell'azione di annullamento è limitato nel tempo. Entrambe sono fatte valere da chiunque vi abbia
interesse e ammettono la sanatoria. L’art. 590 dispone che la nullità delle disposizioni testamentarie non
può essere fatta valere da chi, conoscendo la causa di nullità, ha, dopo la morte del testatore, confermato
la disposizione o dato ad essa volontaria esecuzione.
Tra le cause di invalidità si distinguono:
• quelle che si riferiscono alla formazione dell’atto e che lo colpiscono nella sua interezza:
◦ l'incapacità di agire, l'azione di annullabilità è proponibile entro i cinque anni da quando le
disposizioni ivi contenute furono effettivamente eseguite;
◦ la violenza fisica: è causa di nullità radicale.
• Quelle che toccano soltanto singole disposizioni:
◦ i vizi del volere, l’azione di annullabilità relativa va proposta entro cinque anni dal giorno nel
quale, dopo l’apertura della successione, si è venuti a conoscenza del vizio;
◦ il motivo illecito è causa di nullità;
◦ la mancanza di determinazione dell’oggetto o del beneficiario del lascito è causa di nullità;
◦ è nulla la disposizione fatta sotto condizione di reciprocità;
◦ è nullo il legato di cosa che non sia del testatore se non risulta che il disponente sapeva
trattarsi di cosa d'altri.
La caducità può toccare l’intero testamento o singole disposizioni: si ha quando, indipendentemente
dalla volontà del testatore, le sue disposizioni non possono raggiungere l’effetto voluto.
L’intero testamento fatto da chi non aveva o ignorava di avere discendenti, cade per sopravvenienza di
figli:
➢ quando sopravvenga un discendente benché postumo;
➢ in seguito a legittimazione o adozione;
➢ quando venga riconosciuto un figlio naturale.

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Il testamento cade anche quando si dimostri che al tempo dell’atto il testatore ignorava di avere già
discendenti. La legge stabilisce che il testamento conserva efficacia se i figli, in favore dei quali la
caducità è prevista, per qualsiasi motivo non vengono alla successione poiché si tratta di decadenza
legale fondata su ragioni di solidarietà di sangue. La caducità delle singole disposizioni avviene:
✗ per ragioni che si riferiscono alla persona del destinatario (premorienza, commorienza, assenza,
rinunzia, incapacità, indegnità);
✗ per ragioni che toccano la sostanza delle disposizioni (per perimento della cosa legata, per il
verificarsi della condizione risolutiva o per deficienza della condizione sospensiva);
✗ per lesione di legittima.
Infine il legato può restare senza effetto quando, nell’accettazione beneficiata, il patrimonio del de cuius
sia tutto assorbito dai debiti.
La revocabilità è caratteristica di un negozio che è appunto negozio di ultima volontà. La facoltà di
revocare o mutare le disposizioni testamentarie non è in alcun modo rinunciabile: qualunque impegno a
non revocare o modificare il testamento sarebbe senza effetto. La revoca è sempre un negozio: talvolta si
riferisce all'intero testamento, talvolta a singole disposizioni. La revoca è espressa quando viene
esplicitamente disposta con un nuovo testamento o con atto ricevuto da notaio in presenza di due
testimoni. La revoca di un testamento è a sua volta revocabile con le stesse forme richieste per l’atto di
revoca espressa. Quando c’è revoca della revoca, si ha reviviscenza delle antiche disposizioni fissate
prima della revoca. Si ha revoca tacita o implicita quando le nuove disposizioni sono incompatibili con
quelle di un testamento anteriore. L'effetto di revoca rimane anche quando le nuove disposizioni restano
senza efficacia per una causa di caducità che sia indipendente dalla volontà del testatore. Ci sono alcuni
casi di revoca presunta: la distruzione del testamento olografo, o la cancellazione di una sua parte,
fanno presumere la volontà di revoca totale o parziale, purché non si dimostri che il testamento fu
distrutto, lacerato o cancellato da persona diversa dal testatore, oppure si provi che il testatore non ebbe
l’intenzione di revocarlo. Se la distruzione non significa revoca, si può ottenere la ricostruzione del
documento che avrà così la sua efficacia. Il riconoscimento del figlio naturale è un atto che rimane
efficace anche se contenuto in un testamento revocato.
SEZIONE IV. I DIRITTI DEI LEGITTIMARI
DIRITTO ALLA LEGITTIMA
La legittima è riservata ad alcune categorie di successibili, che sono appunto i legittimari: i discendenti
legittimi e naturali, il coniuge e, solo in mancanza di questi, gli ascendenti. Essi nel momento in cui si apre
la successione acquistano diritto a una quota parte del patrimonio del de cuius. La quota che non si può
disporre a titolo di liberalità si chiama quota indisponibile, o legittima, o riserva, e coloro che ne
hanno diritto si chiamano legittimari, riservatari o eredi necessari.
• La successione legittima è quella che si apre a favore degli eredi legittimi in mancanza di
testamento, oppure quando esso sia invalido o inefficace, in tutto o in parte;
• la successione nella legittima riguarda i diritti intangibili degli eredi legittimari, e quindi si attua
anche contro il testamento.
Il diritto alla legittima è intangibile, il nostro diritto non conosce la diseredazione; solamente chi incorre in
uno dei casi di indegnità fissati dalla legge viene escluso dai diritti che la legge gli riserva. Il limite di
rispetto, cui è sottoposto colui che abbia dei legittimari, è soltanto quello di non ledere quantitativamente
l'ammontare della quota riservata. In mancanza di attribuzioni specifiche, i legittimari hanno diritto di
partecipare all'eredità come i chiamati per quota; recentemente i legislatore ha inciso sul principio della
legittima in natura consentendone il superamento mediante un atto di autonomia privata anteriore
all'apertura della successione. Il legittimario non è un erede. Il legittimario pretermesso, cioè escluso
dalla successione con un testamento che sia a totale vantaggio di altri successibili, afferma i suoi diritti
alla successione affermando un diritto proprio agendo contro il testamento e solo quando avrà esperito
vittoriosamente l’azione di riduzione egli è considerato erede. Nel caso di legittimario non pretermesso,
ma leso nella quota riservatagli dalla legge, quando abbia accettato la chiamata ereditaria, anche se
inferiore all'ammontare del suo diritto, il legittimario diventa erede e come tale soggetto alla relativa
disciplina, pur conservando l'eventuale diritto alla reintegrazione della sua quota di riserva. Se al
legittimario è lasciato un legato in sostituzione di legittima, l’interessato avrà il diritto di scelta:
• se pretende la legittima perde il legato;
• il conseguimento del legato implica rinuncia a far valere il diritto di legittimario,e il successore non
acquista la qualità di erede. Questo legato non si deve confondere con il lascito in conto di
legittima, una specie di assegno divisionale che non toglie al chiamato il diritto di chiedere un
supplemento quando il valore del lascito sia inferiore alla quota riservata per legge.
LE QUOTE DEI LEGITTIMARI
La quota disponibile non può mai essere inferiore alla piena proprietà di un quarto del patrimonio del
defunto, che si computa aggiungendo al relictum (dopo detratti i debiti) al donatum.
Le quote si riferiscono al patrimonio del de cuius (il relictum, ovvero quanto lasciato, dopo essere stato
depurato dai debiti, più il donatum, ovvero quanto donato), mentre nella successione legittima si parla di
quote del solo di asse ereditario.
La prima categoria è quella dei discendenti legittimi, legittimati o naturali e sono equiparati anche i figli
adottivi. I discendenti del figlio succedono per rappresentazione anche nel diritto alla legittima. Ai
discendenti è riservata:
• la metà del patrimonio del de cuius se il figlio è uno solo (la quota rimane tale se, al posto
dell'unico figlio, subentrano i suoi rappresentanti);

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• i due terzi se i figli sono più di uno: la divisione avverrà in questo caso in parte uguale fra
tutti.
In dottrina e in giurisprudenza si ritiene che il figlio rinunciante non fa numero ai fini del calcolo della
quota indisponibile; rilevante è il numero di legittimari che in concreto adiscono l'eredità e concorrono alla
ripartizione di quanto riservato. In contrasto con tale orientamento sono intervenute le Sezioni Unite della
Cassazione.
Nel concorso tra figlio legittimo e naturale, al figlio legittimo è attribuito il riconoscimento di una limitata
pretesa di commutazione: possono soddisfare in denaro o in beni immobili ereditari la porzione
spettante ai figli naturali che non vi si oppongano. Nel caso di opposizione decide il giudice, valutate le
circostanze personali e patrimoniali.
I figli concorrono nella successione con il coniuge superstite e la loro presenza esclude gli ascendenti della
categoria dei legittimari:
➢ quando il figlio è uno: spetta un terzo al figlio e un terzo al coniuge;
➢ quando i figli sono più di uno: il testatore può liberamente disporre di un quarto del patrimonio, al
coniuge un quarto dell'intero patrimonio, una metà è riservata a tutti i figli, tra i quali la divisione
va fatta in parti uguali.
Se il coniuge superstite è l’unico legittimario, ha diritto alla metà del patrimonio ed essa rimane tale
anche in caso di concorso con gli ascendenti legittimi.
La separazione tra i coniugi non fa di regola ostacolo al godimento del diritto della quota legittima,
tuttavia il coniuge a cui è stata addebitata la separazione ha diritto soltanto a un assegno vitalizio sempre
che all'apertura della successione godesse degli alimenti a carico del coniuge decaduto (la stessa
disposizione si applica nel caso in cui la separazione sia stata addebitata ad entrambi i coniugi. Con il
divorzio si perdono i diritti successori; spetta all'ex coniuge che versa in stato di bisogno il diritto
all'assegno a carico dell'eredità. Al coniuge sono riservati i diritti di abitazione sulla casa adibita a
residenza familiare e di uso sui mobili che la corredano, se di proprietà del defunto o comuni.
Se chi muore non lascia figli legittimi né naturali, a favore degli ascendenti legittimi è riservato un terzo
del patrimonio. Come legittimari, essi concorrono con il coniuge superstite.
AZIONE DI RIDUZIONE E REINTEGRAZIONE DEI DIRITTI DEI LEGITTIMARI
La tutela dei diritti legittimari richiede:
• che si determini qual è la massa ereditaria per stabilire l’ammontare delle quote. Tale operazione
si attua con la riunione fittizia, mediante la quale si vuole vedere qual è l’ammontare del
patrimonio ereditario calcolando oltre al relictum, anche i beni che ne sono già usciti a titolo di
liberalità, e detraendo i debiti. Sull’asse così determinato si calcola la quota di cui il defunto
poteva disporre nel concorso con gli aventi diritto. Questo computo è una operazione preliminare.
• Che si conoscano quali e quanti sono i legittimari tra cui si apre il concorso.
Per la reintegrazione dei suoi diritti, il legittimario si varrà di una azione di riduzione e d’una eventuale
conseguente azione di restituzione. L’azione di riduzione, con cui il legittimario fa valere il suo titolo, si
dirige in primo luogo contro le disposizioni testamentarie; queste sono ridotte proporzionalmente, per
quanto è necessario a ricostruire la quota indisponibile senza distinguere tra eredi e legatari. Quando la
riduzione delle azioni testamentarie non sia sufficiente si agisce contro i donatari. Le donazioni si riducono
cominciando dell’ultima e risalendo via via alle anteriori. Tale ordine nella riduzione delle liberalità si
spiega perché la vera lesione della legittima comincia dal momento in cui le attribuzioni liberali superano
la disponibile. Per chiedere la riduzione delle donazioni e dei legati fatti a persone che non sono coeredi, il
legittimario deve avere accettato l’eredità con beneficio d’inventario. Il legittimario deve imputare alla
propria proporzione di legittima le donazioni ed i legati a lui fatti, salvo che sia stato espressamente
dispensato dal testatore.
L'azione è riconosciuta alla persona del legittimario contro chi abbia ricevuto benefici al di là della
disponibile. L’azione è personale: è proponibile solo dal legittimario; se però il legittimario non ha
esercitato l’impugnativa, né vi ha rinunziato, l’azione può essere fatta valere dai suoi eredi o aventi causa,
cioè da coloro ai quali il diritto venne trasmesso dopo l'apertura della successione. L'azione si considera
personale con riferimento alla sua destinazione, essendo diretta contro la persona di chi ha ricevuto
benefici oltre la disponibile: qualunque sia stata la destinazione dei beni ricevuti con disposizioni lesive, il
beneficiario risponde in proprio. La riduzione mira a far dichiarare senza effetto un lascito o una
donazione.
L’effetto reale è collegato all’azione di restituzione che il legittimario può esercitare per ottenere
soddisfazione concreta dei suoi diritti. Il legittimario, dopo aver fatto riconoscere il suo diritto contro il
beneficiario diretto della liberalità, può ottenere da quest'ultimo la restituzione dell'immobile del quale
pesi e ipoteche restano efficaci se la riduzione è domandata dopo vent’anni dalla trascrizione della
donazione, salvo in questo caso l’obbligo del donatario di compensare in denaro i legittimari in ragione del
conseguente minor valore dei beni, purché la domanda sia stata proposta entro dieci anni dall’apertura
della successione.
Se il beneficiario della liberalità ha già ceduto il bene stesso a terzi, l’azione di restituzione è esperibile
contro il terzo avente causa, previa l'escussione dei beni del donatario. Il terzo può sempre evitare la
restituzione della cosa donate pagando l’equivalente in natura; tuttavia il terzo si sottrae all’azione di
restituzione se il suo atto di acquisto immobiliare è avvenuto a titolo oneroso ed è stato trascritto prima
della trascrizione della domanda di riduzione e sempre che, quest’ultima, sia stata trascritta decorsi dieci
anni dall’apertura della successione. Il legittimario può chiedere la restituzione del bene al terzo avente
causa dal donatario solo se non sono trascorsi vent'anni dalla trascrizione della donazione. Contro i terzi
acquirenti può anche essere chiesta, entro il termine dei venti anni, la restituzione dei beni mobili,

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oggetto della donazione, salvi gli effetti del possesso in buona fede. Si ammette che l’azione di riduzione
sia soggetta alla prescrizione ordinaria decennale:
✔ se la lesione deriva da donazioni, la prescrizione comincia a decorrere dall'apertura della
successione;
✔ se la lesione deriva da disposizioni testamentarie, la prescrizione decorre dal momento in cui la
disposizione testamentaria lesiva della legittima sia stata accettata dal chiamato all'eredità.
SEZIONE V. ACQUISTO DELL’EREDITA’ E DEL LEGATO
L’eredità si acquista con un atto volontario di accettazione mentre il diritto alla cosa legata si ottiene
senza bisogno di accettazione (rimane salva la facoltà di rinunziare):
➢ quando si parla di legato di specie il legatario ne acquista ipso iure la proprietà alla morte del
testatore;
➢ nel legato di quantità immediatamente si acquista un diritto di credito.
Il possesso dell’eredità viene trasmesso ipso iure all’apertura della successione; l’erede è possessore di
diritto, anche se non si trova nella situazione di fatto che dovrebbe formare la sostanza del possesso. Il
legatario deve sempre richiedere il possesso della cosa all'onerato; per il legato di quantità, l'onerato,
tenuto all'adempimento, dovrà intervenire per l'individuazione dell'oggetto. Il chiamato all’eredità può
esercitare le azioni possessorie anche prima di aver acquistato il diritto ereditario. Inoltre prima
dell’accettazione può compiere atti conservativi, di vigilanza e di amministrazione e può farsi autorizzare
dal giudice a vendere i beni che non si conservano.
Quando l'eredità o il legato hanno come oggetto diritti su beni immobili, l'acquisto deve risultare
trascritto:
✗ per l'acquisto dell'eredità si trascrive un atto da cui risulti l'accettazione;
✗ per il legato la trascrizione si fa sulla base di un estratto autentico del testamento.
L'accettazione dell'eredità e l'acquisto del legato si devono rendere pubblici principalmente agli effetti
della continuità delle trascrizioni.
DIRITTO DI RAPPRESENTAZIONE
E’ regola generale che ciascun chiamato ha diritto di venire alla successione per il suo titolo personale
costituito:
• dal proprio grado di parentela rispetto al de cuius;
• da una vocazione testamentaria.
Il diritto di rappresentazione fa subentrare i discendenti legittimi o naturali nel luogo e nel grado del loro
ascendente quando sussistono due presupposti:
➢ che il diretto chiamato sia o figlio o fratello del de cuius;
➢ che il chiamato non possa o non voglia accettare, cioè sia premorto, indegno, assente o rinunzi
alla successione.
Quando c’è rappresentazione la divisione non si fa per capi ma per stirpi. Stirpe è il gruppo di discendenti
di ciascun chiamato; nell’ambito delle stirpi la successione si fa per capi. Si ha rappresentazione anche
nella successione testamentaria, per l’eredità o per il legato, in tutti i casi in cui sarebbe ammessa nella
successione legittima. Nella successione testamentaria, però, la rappresentazione si attua soltanto
quando il testatore non abbia provveduto per le ipotesi di premorienza, assenza, indegnità o rinunzia del
chiamato a sostituirlo con un altro, la sostituzione prevale sulla rappresentazione. Rappresentazione non
vuol dire rappresentanza, quindi che succede in rappresentazione succede direttamente al de cuius.
Quando il chiamato non venga alla successione e manchino i presupposti per una chiamata in
rappresentazione:
✔ nelle successioni legittime l'eredità si devolve a ulteriori chiamati;
✔ nelle successioni testamentarie i legati si estinguono a tutto vantaggio degli onerati, e l'eredità si
devolve secondo le regole della successione legittima.
SOSTITUZIONI E FEDECOMMESSO ASSISTENZIALE
Il testatore che istituisce un erede o nomina un legatario talora fa anche delle sostituzioni, cioè delle
chiamate di secondo grado. Si distinguono due tipi di sostituzioni:
 l'ordinaria: con la quale si provvede a sostituire la persona del chiamato nell’ipotesi che l’istituito
non voglia o non possa venire alla successione. È una forma di devoluzione che vale a
determinare il chiamato a succedere. Una volta verificatosi il presupposto per la chiamata del
sostituto, è come se egli fosse stato nominato fin dal principio, e la sua accettazione avrà sempre
effetto retroattivo. Il chiamato in sostituzione può esercitare l'azione interrogatoria perché sia
fissato un termine all'accettazione del chiamato di primo grado. La chiamata del sostituto prevale
sopra il diritto di rappresentazione.
 Fedecommissaria: con la quale si ha una doppia vocazione, in ordine successivo, nominandosi un
secondo beneficiario per il tempo in cui il primo avrà cessato di godere l’eredità o il legato. La
sostituzione fedecommissaria oggi è proibita, fatto salvo un caso chiamato fedecommesso
assistenziale. La sostituzione fedecommissaria implica una doppia vocazione con l’obbligo per il
primo chiamato di conservare per restituire. L’art. 692 vuole assicurare la possibilità di un
vantaggio ereditario a persone o enti che abbiano assistito un interdetto, prevedendo e
consentendo una chiamata in loro favore dopo che beneficiaria diretta del lascito sia stata
appunto la persona bisognosa dell’assistenza.
Il lascito di doppio grado è consentito soltanto dal genitore, ad altro ascendente o al coniuge
dell’interdetto.
La sostituzione fedecommissaria è proibita, tuttavia la prima chiamata può conservare il suo
valore. Si ritiene che la sostituzione fedecommissaria valga come sostituzione ordinaria

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nell'ipotesi che il primo chiamato non possa o non voglia accettare.


DIRITTO DI ACCRESCIMENTO
Quando uno dei chiamati all’eredità o al legato non possa o non voglia succedere, talora si attua
l’accrescimento. Si parte dal criterio che quando sono chiamati insieme più eredi o legatari, la
destinazione va mantenuta tra le persone designate dal testatore. Per l’accrescimento si richiedono alcuni
presupposti:
• ci deve essere una chiamata congiuntiva, o solidale
◦ nell’eredità sono necessarie:
▪ la chiamata dei due o più eredi deve essere fatta nello stesso testamento;
▪ la chiamata nell’universalità dei beni deve essere fatta senza determinazione di parti per i
singoli eredi, o con attribuzioni in parti uguali.
◦ Nel legato si richiede unicamente che a più legatari sia lasciato lo stesso oggetto.
• Non deve risultare una diversa volontà del testatore: se il testatore ha escluso l’accrescimento,
conseguenza sarà che le parti rese vacanti saranno attribuite secondo regole generali.
• Non ci devono essere i presupposti per la rappresentazione.
• L’evento che rende inefficace la chiamata deve manifestarsi prima dell’acquisto: se un coerede o
collegatario muore dopo l’acquisto, il diritto alla quota o al bene si trasmetterà secondo l’ordine
della sua personale successione. Per il legato di usufrutto è stabilita una regola diversa:
◦ usufrutto congiuntivo: se più persone insieme sono chiamate all'usufrutto in modo che tra di
loro il godimento sia sùbito in comune, quando uno dei titolari muore, pur dopo essere entrato
in godimento del diritto, la sua quota si accresce alle altre;
◦ usufrutto successivo: più persone sono chiamate successivamente e gode il diritto solo quella
chiamata per prima.
(RIASSUMENDO) IN MANCANZA DI VOCAZIONE DIRETTA
Quando per qualsiasi ragione la vocazione diretta non può avere efficacia per il tutto o per una parte
dell’asse, si provvede, secondo vari criteri successivi di devoluzione:
1. si ha riguardo, di preferenza, alla sostituzione;
2. in secondo luogo viene la rappresentazione;
3. si avrà poi eventualmente l’accrescimento;
4. Infine, alle quote ereditarie si applicheranno le regole della vocazione legittima e i legati, in
mancanza di beneficiari, resteranno senza effetto.
ACCETTAZIONE DELL’EREDITA’
L’accettazione è il negozio unilaterale, non recettizio, per mezzo del quale l’erede acquista il diritto
all’eredità con effetto dal giorno dell’apertura della successione. Per il negozio di accettazione occorre la
capacità di agire. Gli incapaci devono essere rappresentati o assistiti.
• È negozio puro: l’accettazione condizionata o a termine è nulla, come nulla sarebbe
l’accettazione pro parte (es. se il chiamato per un terzo accettasse solo un sesto o un singolo
bene). Non è in contrasto con questa regola la possibilità riconosciuta a chi rinuncia all'eredità di
domandare il legato a lui fatto: il legato si acquista senza bisogno di accettazione.
• È irrevocabile.
• Il diritto di accettare l’eredità si prescrive in dieci anni: il termine decorre dal giorno
dell’apertura della successione.
◦ In caso di istituzione condizionale, il termine decorre dal giorno in cui si verifica la condizione.
◦ Per i chiamati di secondo grado, se vi è stata accettazione da parte dei primi chiamati, il
termine non corre fino a che l'acquisto dei primi non sia venuto meno.
Ogni interessato può esperire l’azione interrogatoria, per far fissare dal giudice un termine entro il
quale il chiamato dichiari se accetta o rinunzia. Se il termine trascorre senza che il chiamato si
esprima, il silenzio equivale a rinunzia e i chiamati ulteriori avranno diritto di acquistare l'eredità.
• È espressa o tacita:
◦ è espressa:
▪ quando il chiamato dichiara per iscritto di accettare;
▪ quando il chiamato in uno scritto assume la qualifica di erede.
◦ E’ tacita quando il chiamato tiene un contegno che sarebbe incompatibile con la volontà di
rinunziare, compie cioè un fatto concludente.
La rinunzia all’eredità, quando viene fatta verso corrispettivo o a favore di alcuni soltanto dei chiamati,
implica una sostanziale accettazione con successivo trasferimento dei diritti (ha gli effetti
dell’accettazione tacita).
In alcune ipotesi le stesse conseguenze che deriverebbero dall'accettazione sono stabilite dalla legge a
prescindere dalla volontà espressa o tacita del chiamato (accettazione legale, coatta o presunta):
➢ se il chiamato si trova a qualsiasi titolo nel possesso effettivo di beni ereditari, anche di un solo
bene del compendio, la legge stabilisce che, trascorsi tre mesi senza un atto di rinunzia, e senza
che sia fatto l’inventario, il chiamato si intende erede puramente e semplicemente.
➢ Il chiamato che abbia sottratto o nascosto beni dell'eredità decade dalla facoltà di rinunciare e si
considera erede puro e semplice.
➢ Se il chiamato all’eredità muore senza aver accettato, il diritto di accettazione si trasmette ai suoi
eredi: l’erede del chiamato non può accettare la trasmissione di questo diritto e rinunziare al

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resto, la rinuncia all'eredità propria del trasmittente include la rinuncia all'eredità a lui devoluta.
L'accettazione dell'eredità propria del trasmittente trasferisce la facoltà, non l'obbligo, di
accettare le eredità a lui devolute ma non ancora accettate.
Come effetto dell’accettazione, in seguito alla compenetrazione dei patrimoni, l’erede risponde delle
obbligazioni del suo autore e dei pesi che furono imposti con testamento. Contro queste conseguenze,
l’erede non potrebbe difendersi chiedendo l’annullamento dell’accettazione per errore sulla consistenza
effettiva dell’eredità. L’accettazione è impugnabile solo per dolo o per violenza. Tuttavia l’erede
subirà le conseguenze della mancata conoscenza di una circostanza tanto grave quale sarebbe la
scoperta di un testamento di cui non si aveva notizia al tempo dell’accettazione: l’erede è tenuto a
soddisfare i legati scritti nel testamento rinvenuto dopo l’accettazione soltanto fino alla concorrenza
dell’attivo ereditario, e, se egli è un legittimario, solamente con i beni della disponibile.
L'accettazione non produce effetti in caso di errore ostativo, che esclude la volontà.
BENEFICIO D’INVENTARIO
Per evitare le conseguenze della confusione ereditaria il chiamato all’eredità può accettare con beneficio
d’inventario. L’erede limita la sua responsabilità:egli non risponde dei debiti ereditari e dei legati oltre il
valore dei beni allo stesso pervenuti a titolo di successione. L’accettazione beneficiata è sempre nella
facoltà del chiamato e può farsi nonostante l’eventuale divieto del testatore. Essa viene fatta con
dichiarazione ricevuta da un notaio o dal cancelliere del tribunale del circondario in cui si è aperta la
successione, ed è inserita nel registro delle successioni conservato nello stesso tribunale. Entro un mese
da questa inserzione, la dichiarazione va trascritta, a cura del cancelliere, all'ufficio dei registri immobiliari
del luogo in cui si è aperta la successione.
La dichiarazione di accettazione con beneficio va preceduta o seguita dalla redazione dell’inventario, nella
forma prescritta dal c.p.c. Se i chiamati all’eredità sono più di uno, tutti approfittano dell’accettazione
beneficiaria fatta anche da uno solo. Per il termine iniziale:
• se il chiamato è nel possesso effettivo dei beni ereditari deve iniziare l'inventario entro i tre mesi
se non vuole essere considerato accettante puro e semplice;
• se il chiamato non è nel possesso effettivo dei beni ereditari, può fare la dichiarazione fino a che
non abbia accettato puramente, entro il normale termine dei dieci anni.
Se l'inventario non è stato preceduto dalla dichiarazione di accettazione beneficiata, l'accettazione deve
essere fatta nei quaranta giorni successivi al compimento dell'inventario stesso.
I creditori del defunto e i legatari hanno il diritto di essere soddisfatti sui beni ereditari con preferenza
rispetto ai creditori personali dell'erede.
SEPARAZIONE DEI BENI DEL DEFUNTO DA QUELLI DELL’EREDE
I creditori personali del defunto, quando sono minacciati dalla confusione con l’infelice situazione
patrimoniale dell’erede, oltre alla tutela che godono se ci fu l’accettazione beneficiata, trovano un diretto
e più sicuro rimedio chiedendo la separazione dei beni del defunto da quelli dell’erede. Per chiedere tale
separazione i creditori o i legatari devono agire entro tre mesi dall’apertura della successione. La
separazione:
• dei beni mobili si esercita con domanda al tribunale del luogo dove si è aperta la successione, il
giudice ordina l'inventario e dà disposizioni per la conservazione dei beni, che verranno a trovarsi
sotto sequestro.
• Degli immobili: il diritto si attua mediante iscrizione sopra i singoli beni, nei modi stabiliti per le
ipoteche e con l'indicazione del credito, del nome del defunto e di quello dell'erede.
Il separatista (creditori del defunto e i legatari) rispetto ai creditori personali dell'erede ha diritto di farsi
pagare per intero sui beni separati. La separazione ottenuta da un singolo creditore non giova agli altri. Il
diritto del separatista è una qualificazione del credito ed è una garanzia reale. I rapporti tra creditori
separatisti e non separatisti sono disciplinati in modo da tutelare maggiormente i separatisti da coloro che
sono rimasti inermi:
➢ se il valore complessivo dei beni del defunto è sufficiente per il pagamento integrale dei debiti: il
creditore separatista ha diritto di soddisfarsi per intero sui beni separati, se i separatisti non
conseguono uguale risultato, subiscono le conseguenze della loro imprevidenza per la mancata
domanda di separazione che le espone al concorso con i creditori personali dell'erede.
➢ se i beni del de cuius sono insufficienti ad estinguere integralmente la passività, la tutela del
creditore separatista sarà ridotta: questi, non eviterà il concorso anche dei non separatisti nella
liquidazione del ricavato della vendita dei beni separati.
Esempio:
Si dia il caso che i beni ereditari ammontino a 90 e che vi siano tre creditori ereditari chirografari A, B e C,
ciascuno per un valore di 30, e solo A abbia chiesto la separazione; visto che i beni nel loro complesso si
mostrano sufficienti a sanare le passività: A avrà diritto a soddisfarsi integralmente sui beni separati (30)
e il rimanente (60) sarà a disposizione dei non separatisti B e C in concorrenza con i creditori dell’erede.
Nel caso in cui vi siano tre creditori ereditari chirografari A, B e C ciascuno di 40, di cui solo A separatista.
Dato che i beni non sono sufficienti a coprire i debiti:
✗ si sommerà fittiziamente il valore della parte separata (40) a quella non separata (50) e si
determinerà così quanto spetta in linea teorica a ciascun creditore (90:3=30);
✗ sul valore dei beni separati si soddisferà con “preferenza” A, il quale avrà diritto di conseguire la
sua quota (30) sui beni separati;
✗ Il residuo valore dei beni separati (10) verrà diviso tra B e C, escludendo il concorso con i creditori
dell’erede;

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✗ Il valore dei beni non separati (50) rimarrà a disposizione di B e C in concorrenza con i creditori
personali dell’erede e dunque con il rischio di non conseguire in concreto il residuo valore (25) a
ciascuno spettante.
Il creditore separatista conserva il diritto di far valere la sua pretesa anche sui beni propri dell'erede
accettante.
Il diritto dei legatari, anche quando essi chiedono la separazione, viene sempre in seconda linea rispetto
ai creditori del defunto. Gli stessi creditori non separatisti hanno preferenza sui legatari quando riescano a
dimostrare che il pagamento integrale dei loro diritti di credito non avrebbe lasciato margine nel
patrimonio ereditario per delle liberalità.
RINUNZIA ALL’EREDITA’ O AL LEGATO
La rinunzia all’eredità deve risultare espressamente: è negozio solenne che si fa con dichiarazione
ricevuta da notaio o dal cancelliere del tribunale dove è stata aperta la successione; la dichiarazione va
inserita nel registro delle successioni. Il rifiuto alla chiamata può essere compiuto fino a che il diritto di
accettare non sia prescritto. Al chiamato in secondo grado, per conoscere le intenzioni del chiamato prima
di lui, è concessa l’azione interrogatoria: decorso il termine fissato dal giudice senza che il chiamato si
pronunzi, o passato il decennio per la prescrizione del diritto di accettazione, l’eredità si ha per rifiutata.
Il chiamato perde la facoltà di rifiuto:
• in seguito ad abusi, se sottrae beni ereditari;
• se, trovandosi nel possesso effettivo dei beni ereditari, lascia passare tre mesi dall’apertura della
successione.
La rinunzia:
1. è un negozio puro, ed è nulla se fatta sotto condizione, a termine, o solo in parte;
2. non può essere fatta prima dell’apertura della successione e neppure dopo l’accettazione;
3. ha sempre efficacia retroattiva: il rinunziante è come se non fosse stato mai chiamato all’eredità,
può tuttavia conseguire sulla disponibile il legato a lui fatto;
4. è revocabile: il rinunziante, se non è passato il termine di prescrizione, ha il diritto di accettare
fino a che un chiamato di grado ulteriore non abbia a sua volta acquistato l’eredità;
5. è talvolta pregiudizievole agli interessi del rinunziante. Facciamo l’ipotesi che il chiamato rinunzi
per ragioni morali alla sua eredità o per avvantaggiare persone chiamate in subordine. In queste
ipotesi i creditori, entro cinque anni, possono farsi autorizzare ad accettare in nome e luogo del
rinunziante al solo scopo di agire per soddisfarsi sui beni ereditari fino alla concorrenza dei loro
crediti (comunque i creditori non divengono eredi).
6. È impugnabile per violenza e per dolo, non per errore. Per evitare le conseguenze di eventuali
errori, il chiamato può tutelarsi con l'accettazione beneficiata.
La rinunzia al legato si riallaccia a criteri diversi: poiché non è necessaria l’accettazione, se l’interessato
esercita l’azione interrogatoria e trascorre il termine fissato dal giudice senza che il legatario faccia alcuna
dichiarazione, l’acquisto del legato diventa irrinunciabile. L’acquisto diviene definitivo anche con il
decorso del termine di prescrizione della facoltà di rinunziare.
EREDITA’ GIACENTE
L’istituto è importante per le situazioni di incertezza, anche se temporanee, che si hanno:
• sia quando il chiamato non si sa se accetterà;
• sia quando non si sa chi sarà il soggetto che abbia titolo alla chiamata.
I presupposti per la giacenza dell’eredità sono due:
1. il chiamato non deve aver fatta l'accettazione;
2. il chiamato non deve essere nel possesso effettivo dei beni ereditari.
Nella previsione legislativa si comprende anche l'ipotesi che il chiamato sia sconosciuto o irraggiungibile
per ragioni diverse dalla sua scomparsa.
In presenza di tali presupposti, la giacenza dell’eredità ha inizio con la nomina di un curatore, che viene
fatta dal tribunale del circondario dove si è aperta la successione. Il curatore non è rappresentante
dell’erede, ma amministra e cura le ragioni dell’eredità, che in questo caso è considerato come un
patrimonio autonomo. I poteri del curatore sono analoghi a quelli dell’erede che abbia accettato con
beneficio di inventario, egli cessa qualunque suo incarico quando l’erede accetta.
AZIONI A TUTELA DELL’EREDE O DEL LEGATARIO
Il c.p.c. Regola il procedimento di apposizione dei sigilli, con il quale i coloro che possono aver diritto
alla successione hanno facoltà di chiedere al tribunale o anche al giudice di pace, l'applicazione di un
efficace rimedio preventivo contro il pericolo di sottrazione dei beni, di alterazione dei documenti, di
modifiche dello stato dei fatti.
All’erede è riservata la petizione dell’eredità: l’erede ha il diritto di chiedere il riconoscimento della sua
qualità ereditaria contro chiunque possieda tutti o parte dei beni ereditari. Tale azione ha i caratteri
dell’assolutezza (erga omnes) e dell’imprescrittibilità e ha carattere universale poiché chi agisce con la
petizione dell’eredità mira direttamente a far riconoscere la propria qualifica ereditaria. L'azione si
esercita contro chi possiede a titolo di erede o senza alcun titolo. Se il possessore accampasse un titolo di
acquisto diverso da quello ereditario, l’erede dovrebbe agire con la rivendica.
Il legatario di un legato di specie può agire direttamente in rivendica contro chiunque possegga il bene: il
legatario di quantità ha invece azione personale verso l’onerato.
EREDE APPARENTE. ACQUISTO DELL’EREDE E GLI ACQUISTI DALL’EREDE.
La petizione di eredità si esercita per far valere i diritti dell’erede vero contro l’erede apparente e contro

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chi non ha titolo alcuno. Il codice regola:


a) i rapporti tra l’erede vero e l’erede apparente che abbia posseduto i beni ereditari (535): quando
la posizione dell’erede apparente viene in rilievo di fronte alla restituzione che egli deve fare
all’erede vero, si ha riguardo alla sua situazione di buona fede ovvero quando si è immesso nel
possesso ignorando i vizi del suo titolo. La sostanza della buona fede è data da un errore, sia esso
di fatto o di diritto, che deve essere scusabile, più precisamente non deve dipendere da colpa
grave. Le conseguenze sono uguali alla figura generale del possesso in buona fede, per la
restituzione dei frutti, le spese, i miglioramenti e le addizioni. Se l’erede apparente ha alienato in
buona fede una cosa dell’eredità è obbligato a restituire al vero erede il corrispettivo ricevuto o a
far subentrare lo stesso nel diritto di conseguirlo (si richiede la buona fede anche nel momento
dell'alienazione).
L’erede apparente di mala fede è tenuto agli obblighi di restituzione del possessore di mala fede,
se poi l’erede apparente abbia alienato i beni quando già conosceva di non avere un titolo valido,
è responsabile verso l’erede fino alla concorrenza del valore reale del bene, e non per il solo
prezzo di alienazione.
b) I rapporti tra l’erede vero e gli aventi causa dell’erede apparente (534): per i diritti dei terzi aventi
causa dall'erede apparente nei confronti dell'erede vero, la buona fede dell'erede apparente è
irrilevante e si dà valore invece alla buona fede del singolo avente causa. L’erede può agire contro
gli aventi causa di chi non aveva un giusto titolo sui beni ereditari. Sono salvi i diritti acquisti dai
terzi che provino di aver contratto in buona fede e a titolo oneroso (caso tradizionale di tutela di
buona fede). La buona fede è richiesta nell’acquirente, sul quale ricade l’onere della prova. Se la
domanda per la petizione di eredità da parte dell’erede vero è trascritta dopo cinque anni dalla
trascrizione dell’accettazione dell’eredità o dell’acquisto del legato fatta dall’erede o dal legatario
apparente, il diritto del terzo avente causa è salvo pur che si tratti di acquisto fatto in buona fede
anche se a titolo gratuito.
La disciplina dell’acquisto dall’erede apparente non si ritiene applicabile all’acquisto del legato apparente.
SEZIONE VI. I RAPPORTI TRA COEREDI. LA DIVISIONE
COMUNIONE EREDITARIA
Nell’ipotesi in cui più persone siano chiamate pro quota alla stessa eredità, abbiamo il caso tipico di
comunione ereditaria, regolata dalle norme generali sulla comunione. Ogni coerede ha i diritti che la legge
attribuisce a chi si trova in comunione, per il godimento, l’amministrazione, la facoltà di chiedere la
divisione della cosa comune ecc. A favore di ciascun erede esiste un diritto di prelazione nell’acquisto
della quota o di parte di essa che uno di loro voglia alienare a degli estranei. Quindi il coerede che vuole
alienare a estranei la propria quota ereditaria o parte di essa deve notificare la proposta di alienazione,
indicandone il prezzo agli altri coeredi i quali, a parità di condizione, hanno un diritto di prelazione che
dev'essere esercitata nel termine di due mesi dall'ultima delle notificazioni. In mancanza della
notificazione, i coeredi hanno diritto di riscattare la quota dall’acquirente estraneo e da ogni successivo
avente causa, finché duri lo stato di comunione (retratto successorio).
RIPARTIZIONE TRA COEREDI DEI PESI EREDITARI
I coeredi devono contribuire al pagamento dei debiti ereditari senza vincolo di solidarietà, ciascuno in
proporzione della sua quota. Se un coerede non paga la sua parte, il creditore non ha diritto di rivolgersi
ad altri. E’ riconosciuto il potere al testatore di disporre una diversa ripartizione dei debiti tra gli eredi:
gravano sugli eredi tanto i debiti precedenti del de cuius, quanto i nuovi oneri che il testatore impone ai
successori. La norma generale della divisibilità dei pesi ereditari trova un limite quando uno dei beni
assegnati all’erede sia già sottoposto a ipoteca per debiti del de cuius. Il creditore del defunto conserva la
garanzia per l’intero ammontare del suo credito a carico di colui che verrà a trovarsi proprietario del bene
ipotecato. In questi casi il coerede che ha pagato avrà diritto di rivalsa verso gli altri coeredi, detraendo la
parte della sua quota. Il legatario non è tenuto a pagare i debiti del testatore; se il legatario è costretto a
pagare il debito perché il bene ricevuto è gravato da ipoteca, subentra nelle ragioni del creditore contro
gli eredi.
FORMAZIONE DELLA MASSA EREDITARIA E COLLAZIONE
La massa ereditaria è formata soltanto da ciò che si trova nel patrimonio al momento dell’apertura della
successione. La facoltà di donare per atto tra vivi è di regola assoluta e il ciò che è stato donato non entra
in considerazione per una redistribuzione mortis causa del patrimonio del defunto. Abbiamo visto che il
donatum viene considerato accanto al relictum nella riunione fittizia che si deve fare per giudicare se i
legittimari siano stati lesi nel loro diritto alla quota indisponibile. Ma la riunione fittizia è soltanto
un’operazione di computo, che non aumenta la massa da dividere. Soltanto quando la massa ereditaria
non sia sufficiente per soddisfare le pretese dei legittimari si toccano anche i singoli atti di donazione con i
quali il de cuius abbia disposto tra vivi oltre la disponibile.
La collazione ereditaria si attua nei soli casi di concorso tra discendenti o dei discendenti con il
coniuge. Con la collazione la riunione del relictum al donatum non è soltanto fittizia, ma viene a costituire,
aumentandola, l’effettiva massa da suddividere tra i coeredi. Il figlio che concorre alla successione con
altri figli legittimi o naturali, e ciascuno dei loro discendenti, nonché il coniuge in loro concorso, devono
conferire ai coeredi tutto ciò che hanno ricevuto in vita a titolo di liberalità da de cuius. La collazione si
attua tanto nelle successioni legittime, quanto nelle testamentarie, sempre che i discendenti o il coniuge
siano chiamati per quote, e sempre che il testatore non abbia disposto una dispensa. Questa dispensa
dalla collazione può essere attuata o nello stesso atto di donazione o per testamento. Il donatario può
evitare la collazione rinunziando all’eredità. Non va conferito ciò che si riceve a titolo di legato.
L’obbligo di collazione è reciproco: ciascun figlio e il coniuge devono conferire reciprocamente nei riguardi

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degli altri, per formare la massa da suddividere secondo le quote fissate dalla legge o dal testamento.
Oggetto di collazione sono tutte le donazione, tanto le dirette (solenni o manuali), quanto le indirette,
come la rinunzia a un credito. Sono soggette a collazione le spese fatte a causa di matrimonio o per
avviare il figlio all’esercizio di una attività produttiva, per procurare al figlio un ufficio e i premi pagati di
assicurazioni sulla vita a favore dell’erede e le spese fatte per il pagamento dei suoi debiti.
Dalla collazione risulta un aumento della massa ereditaria, alla quale si deve far riferimento per
concretare le quote stabilite dalla legge o dal testamento. Ma tale aumento va soltanto a vantaggio dei
coeredi discendenti o del coniuge perché le quote degli altri saranno compiute unicamente sul relictum.
Con la collazione i beni donati dal de cuius ritornano per l’intero. La collazione dei beni immobili si fa, a
scelta del coerede donatario:
• o in natura, restituendo alla massa da suddividere lo stesso bene ricevuto;
• o per l’equivalente, cioè per imputazione: il valore del bene da conferire riferito al momento
dell'apertura della successione.
I beni mobili vanno conferiti soltanto per impugnazione. La collazione del denaro donato si fa prelevando
da parte dell’erede donatario una minore quantità del denaro che si trova nell’eredità. Se però il denaro è
stato donato per l’investimento in un determinato bene si calcola il valore dell’immobile e non del denaro
perché donato fu l’immobile e non il denaro fornito per acquistarlo (costituisce donazione indiretta
dell'immobile).
IMPUTAZIONI, PRELIEVI E RIPARTIZIONE DEI CREDITI IN DENARO
Quando uno dei coeredi aveva debiti verso il de cuius o quando ha assunto debiti verso gli altri eredi in
dipendenza dei rapporti di comunione deve imputare alla propria quota il valore dei debiti stessi. Questa
imputazione dei debiti non aumenta la massa del relictum. Essa si attua verso tutti gli eredi. In tutti i casi
di imputazione c’è un coerede che nella divisione dell’eredità deve ricevere qualche cosa meno degli altri.
L'equilibrio si ristabilisce con un prelievo che gli altri eredi fanno della stessa massa ereditaria, in
proporzione delle rispettive quote.
DIVISIONE
La legge riconosce a ogni coerede la facoltà di chiedere lo scioglimento della comunione, e nella divisione
il coerede ha diritto ad avere, per quanto possibile, in natura, una parte proporzionale di tutte le specie di
beni che formano l’attivo ereditario. La divisione è dell'asse, con attribuzione in concreto a ciascun
coerede di tutta la quota spettante i beni in natura o conguagli. Ciò non esclude che consensualmente gli
eredi possano procedere ad attribuzioni parziali (a stralcio). La divisione può essere:
• amichevole: si attua mediante l’accordo di tutti i chiamati. Se tra i beni da dividere ci sono gli
immobili, la divisione si fa per atto scritto che va trascritto agli effetti della continuità delle
trascrizioni. Ogni condividente ha titolo per iscrivere ipoteca legale sugli immobili assegnati ad
altri condividenti a garanzia del pagamento di eventuali conguagli.
• Giudiziale: le operazioni si svolgono sotto la direzione del giudice istruttore o di un notaio da lui
delegato. Il giudizio deve essere promosso nei confronti di tutti i coeredi. Fatti i prelevamenti per i
conguagli tra le quote si procede alla formazione di tante porzioni quante sono le quote da
dividere. Le porzioni devono comprendere, in proporzione all’entità delle rispettive quote, un
complesso di immobili, mobili e crediti di egual misura e qualità. L’assegnazione delle porzioni è
fatta con estrazione a sorta.
La divisione ha natura dichiarativa del diritto preesistente, e non è titolo d’acquisto. Ogni coerede è
reputato fin dall’apertura della successione solo successore nei beni della sua porzione ed è come se non
avesse mai avuto diritti sugli altri beni ereditari.
ASSEGNI DIVISIONALI E DIVISIONE DEL TESTATORE
Quando il testatore ha stabilito particolari norme per formare le porzioni, queste sono vincolanti per gli
eredi. Mentre con l’indicazione di assegni divisionali il testatore può disporre, con efficacia non immediata,
in funzione della futura divisione egli può anche evitare la formazione della comunione ereditaria,
attribuendo direttamente ai singoli eredi tanto la disponibile quanto la parte indisponibile dei suoi beni
(divisione del testatore).
Con gli assegni divisionali il testatore indica quali beni andranno a comporre la quota già stabilita per i
singoli chiamati (assegnazione nella quota): sono i cosiddetti assegni divisionali semplici aventi efficacia
meramente obbligatoria che non evitano l'insorgere della comunione ereditaria per lo scioglimento della
quale si dovrà procedere mediante successiva divisione contrattuale o giudiziale.
Con la divisione del testatore si ha una concreta attribuzione di beni: il testatore divide i beni tra i
coeredi mediante assegnazioni (c.d. assegni divisionali qualificati) destinate ad avere efficacia reale
immediata evitando l'instaurarsi della comunione ereditaria. Tale divisione rende superflua la divisione
costituendo una ripartizione diretta dei beni tra i singoli eredi. Se nella divisione del testatore è
pretermesso uno degli eredi legittimari l’atto è nullo, se invece ne deriva solo una lesione del diritto alla
legittima, il legittimario eserciterà l’azione di riduzione contro i coeredi. E’ parimenti nulla la divisione
nella quale non sia compreso taluno degli eredi nominato nella chiamata ereditaria.
ANNULLAMENTO E RESCISSIONE DELLA DIVISIONE
La divisione è destinata a cadere:
• se manca la partecipazione di un contitolare del diritto in comunione;
• qualora esista un titolo per una diversa ripartizione.
La divisione è annullabile quando è fatta per contratto stipulato con violenza o dolo.
L’errore non è causa di annullabilità, tuttavia:
➢ se l’errore è causa di grave pregiudizio il condividente avrà il rimedio della rescissione;

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➢ se l’errore ha condotto all’omissione di beni ereditari, si farà un supplemento di divisione;


➢ se l’errore è consistito nell’attribuire a un condividente un bene che non faceva parte dell’asse,
l’assegnatario del bene verrà considerato evitto.
La rescissione per lesione presuppone soltanto il fatto della lesione oltre il quarto (es. invece di 800 ha
ricevuto meno di 600); non è richiesta la prova dello stato di bisogno o dell’abuso che gli altri ne abbiano
fatto. Suo scopo è quello di assicurare corrispondenza tra il dovuto e il ricevuto. L’azione si prescrive in
due anni dalla divisione. L'azione di rescissione si esercita contro ogni atto che abbia avuto
sostanzialmente l'effetto di far cessare tra coeredi la comunione ereditaria. Per effetto della rescissione la
divisione va rifatta. I condividenti contro quali è stata promossa domanda di rescissione possono evitarla
offrendo un supplemento a integrazione del giusto valore.
SEZIONE VII. IL PATTO DI FAMIGLIA
DEFINIZIONE E DISCIPLINA DEL PATTO DI FAMIGLIA
La L.55/2006 ha introdotto nel nostro ordinamento l'istituto del patto di famiglia, contratto con cui:
• l'imprenditore trasferisce, in tutto o in parte, l'azienda ad uno o più discendenti;
• il titolare di partecipazioni societarie trasferisce, tutto o in parte, le proprie quote ad uno o più
discendenti.
Alla sua formazione devono partecipare anche il coniuge e tutti coloro che sarebbero legittimari ove in
quel momento si aprisse la successione del disponente. È un contratto plurilaterale, che si caratterizza
per la presenza di tre possibile categorie di partecipanti:
1. l'imprenditore o il titolare di partecipazione societarie (disponente);
2. il discendente o i discendenti cui vengono trasferite l'azienda o le quote societarie (assegnatari
dei beni d'impresa);
3. gli altri legittimari esistenti al momento in cui si conclude il contratto (partecipanti non
assegnatari dei beni d'impresa).
Estranei al patto di famiglia sono i legittimari sopravvenuti: legittimari che hanno acquisito tale qualità
ovvero sono venuti ad esistenza solo in un momento successivo alla formazione della fattispecie cui la
legge riconosce, all'apertura della successione dell'imprenditore, un diritto di credito nei confronti dei
partecipanti del patto.
Quanto è ricevuto dai contraenti non è soggetto né a collazione, né a riduzione.
Il patto do famiglia richiede, a pena di nullità, la forma dell'atto pubblico. Nell'individuazione della causa,
oltre allo spirito di liberalità, possiamo rinvenire una funzione distributiva di alcune sostanze in via
anticipata rispetto all'apertura della successione. Il patto può essere annullato in presenza di vizi del
volere, ma l'azione si prescrive in un anno, e il termine inizierà a decorrere dal momento in cui è cessata
la violenza, ovvero è stato scoperto l'errore o il dolo.

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CAPO VI. LE DONAZIONI


SEZIONE I. GLI ATTI DI LIBERALITA’ FRA VIVI
PRINCIPI GENERALI
La donazione è un contratto speciale, tipico, mediante il quale si trasmettono diritti a titolo
liberale. Atto di liberalità non corrisponde ad atto a titolo gratuito; la categoria comprende i soli atti i cui
l'impoverimento di un soggetto si accompagna all'arricchimento in favore di un altro. Lo spirito di
liberalità consiste nell'intento di realizzare un'attribuzione patrimoniale cui non corrisponde un interesse
economico.
CAUSA E MOTIVI DEGLI ATTI DI LIBERALITA’
La ragione dell’attribuzione liberale si trova nell’attuazione dell’animus donandi, ossia della coscienza di
compiere un atto che arricchisca gratuitamente il donatario. L'animus donandi costituisce la causa
comune dei negozi liberali, e non va confuso con i motivi individuali che lo determinano. I motivi possono
essere vari e diversi ma l’animus caratteristico è in definitiva sempre uguale.
Pur sancendo che la donazione rimuneratoria è donazione, la legge la sottrae ad alcune vicende e
conseguenze proprie delle donazioni ordinarie, in tema di revoca, di obbligo ad alimenti, di garanzia per
evizione ed esige la forma solenne.
Un’altra categoria di donativi viene invece esclusa testualmente dall’ambito delle donazioni: sono le
liberalità d’uso che si sogliono fare in occasione di servizi resi in conformità agli usi o al costume
sociale. Si tratta sempre di atti a titolo gratuito, non obbligatori (es. mancia data a chi non avrebbe titolo
di compenso). A questi atti di liberalità no si applicano le conseguenze proprie delle donazioni; non
richiedono la forma pubblica, non sono revocabili per ingratitudine o sopravvenienza di figli, non danno
diritto agli alimenti in favore del donante e non se ne tiene conto nei riguardi della futura successione del
donante.
Solamente quando il motivo unico determinante dell'atto è stato erroneo è ciò risulti dall'atto stesso, o
quando il solo motivo determinante, sempre risultante dall'atto, sia illecito, si ha invalidità della
donazione.
NEGOZIO MISTO CON DONAZIONE E DONAZIONI INDIRETTE
Talora in un solo negozio, che può apparire o di liberalità o atto a titolo oneroso, sono frammisti elementi
dell’una e dell’altra categoria (es. chi acquista di chi acquista per un prezzo intenzionalmente molto
superiore al valore del bene o vende a un prezzo molto inferiore a quello altrimenti realizzabile). In questi
casi ci troviamo di fronte ad un negozio indiretto, e precisamente ad una donazione indiretta che le parti
attuano utilizzando una compravendita.
Il concetto di donazione indiretta si ricava per esclusione, vi si comprendono tutti gli atti di liberalità che
non si possono qualificare donazioni dirette nella quale l’impoverimento di un soggetto e il corrispondente
arricchimento si attuano immediatamente con l’attribuzione, per contratto, del diritto dell’uno a favore
dell’altro contraente. Nella donazione indiretta il donante attua la liberalità ricorrendo a un diverso mezzo
giuridico, che solo di riflesso arreca il gratuito beneficio. Nelle donazioni indirette la liberalità coincide con
il risultato dell'atto, mentre nelle donazioni dirette la liberalità costituisce il contenuto, l'oggetto
immediato dell'atto. Esempi tipici di donazioni indirette sono la remissione di un debito, il pagamento di
un debito altrui, l’espromissione gratuita, il contratto a favore di un terzo, la costituzione di una rendita
vitalizia o l’assicurazione a vantaggio di un terzo.
La donazione indiretta non richiede la forma dell'atto pubblico ed è soggetta ad alcune delle regole tipiche
delle donazioni.
LIBERALITA’ TRA VIVI E FUTURA SUCCESSIONE
In alcune situazioni le liberalità tra vivi vengono considerate come anticipo di successione; su questo
fondamento si spiega l’istituto della collazione. L’azione di riduzione si rivolge anche contro le donazioni,
dirette o indirette, perché il limite alla disponibilità del patrimonio di chi lasci eredi legittimari è stabilito
nei riguardi delle liberalità in generale, sia tra vivi, sia mortis causa. Le incapacità a ricevere sono stabilite
dalla legge in modo analogo rispetto alle donazioni e rispetto alle disposizioni mortis causa. La nullità
della donazione non può essere fatta valere dagli eredi o aventi causa del donante i quali, dopo la morte
del donante stesso, abbiano coscientemente confermato la donazione o vi abbiano dato volontaria
esecuzione.
REVOCA DELLE LIBERALITA’
Le liberalità fatte validamente con atto tra vivi non sono revocabili, hanno valore immediato, anche se
l’esecuzione sia rinviata con l’apposizione di un termine o resti incerta per la pendenza di una condizione.
Soltanto in due ipotesi la legge ammette, su domanda, la revoca delle liberalità:
1. per ingratitudine del donatario: la domanda di revoca per ingratitudine è accoglibile per i soli fatti
previsti dall’art. 801 che sono in parte analoghi alle cause di indegnità a succedere. È però
sufficiente a colpire il donatario anche un atto generico di ingiuria grave verso il donante. La
domanda va proposta entro un anno dal fatto o dalla notizia di esso, da parte del donante, o dei
suoi eredi, contro il donatario o i suoi eredi.
2. Per sopravvenienza di figli del donante che al tempo della donazione non aveva o ignorava di
avere figli o discendenti legittimi. Può essere richiesta entro 5 anni dalla nascita dell’ultimo figlio.
La revoca delle donazioni non si attua di diritto; essa costituisce l’esercizio di un diritto potestativo che si
esplica con domanda giudiziale. La revoca non ha efficacia retroattiva reale, pertanto sono salvi i diritti
acquistati dai terzi anteriormente alla domanda.
Sono irrevocabili le liberalità fatte a titolo di rimunerazione, quelle non soggette a collazione e le
donazioni obnuziali. Il diritto alla restituzione dei doni tra fidanzati, quando alla promessa non segua il
matrimonio avviene su domanda del donante indipendentemente dalla ragione per cui il matrimonio non

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viene contratto.
SEZIONE II. IL CONTRATTO DI DONAZIONE
La forma tipica di donazione è definita dall’art. 769 come un contratto. Riguardo al contenuto dell’atto, si
distinguono:
• le donazioni con effetto reale, con le quali si trasferisce o si costituisce il diritto su di un bene;
• le donazioni liberatorie, con le quali si rinunzia a un diritto, quale un usufrutto, una servitù, un
credito;
• le donazioni promissorie, con le quali si assume un’obbligazione verso il donatario.
L’accettazione del donatario è un elemento costitutivo della stessa esistenza del negozio. L’atto di offerta
del donante non è donazione (eccezione è la donazione obnuziale); fino a che la donazione non è perfetta
con l’accettazione notificata al donante, tanto il donante quanto il donatario possono revocare la propria
dichiarazione. La morte dell’una o dell’altra parte impedisce la perfezione del negozio.
OGGETTO DELLA DONAZIONE
Può essere oggetto della donazione ogni bene che si trovi nel patrimonio del donante. Per la validità della
donazione di cose mobili, queste devono essere specificate con indicazione di valore, nell’atto stesso della
donazione. E’ nulla la donazione di beni futuri, fatta eccezione per i frutti non ancora separati.
Oggetto della donazione possono essere una sola o più cose. Se l’oggetto di donazione è una universalità
di fatto, e il donante ne ha conservato il godimento trattenendola presso di sé, si reputano comprese nella
donazione anche le cose che vi si aggiungono successivamente. La donazione che ha per oggetto
prestazioni periodiche si estingue, di regola, alla morte del donante. Il donante può riservare a vantaggio
proprio o di altri l’usufrutto delle cose donate.
FORMA E CAPACITA’
La donazione è negozio solenne: deve essere fatto per atto pubblico, sotto pena di nullità, alla
presenza di testimoni. L’atto pubblico è richiesto qualunque sia l’oggetto della liberalità, cosa mobile o
immobile. Quando non sono contenute nello stesso atto, la forma pubblica è richiesta tanto per l’offerta
quanto per l’accettazione. Nelle donazioni manuali al requisito di forma è sostituita la trasmissione del
possesso. Si richiede:
• che si tratti di cose mobili;
• che abbiano modesto valore;
• che sia stata fatta l'effettiva tradizione del possesso al donatario.
Per donare è richiesta la piena capacità di disporre. I minori, gli interdetti e gli inabilitati sono sempre
incapaci di donare. Fuori dai casi di incapacità legale, è impugnabile la donazione fatta da chi nel
momento dell’atto era incapace d’intendere e di volere; l’annullamento non è subordinato all’esistenza
dei requisiti di malafede e danno. La sentenza di inabilitazione ha, rispetto alle donazioni, un’efficacia più
vasta che nei riguardi degli altri negozi. E’ annullabile l’atto fatto dopo l’inizio del giudizio di inabilitazione;
se poi l’inabilitazione viene dichiarata per prodigalità, può essere annullata anche la donazione fatta nei
sei mesi anteriori all’inizio del relativo giudizio. La donazione è un atto personale che non consente
rappresentanza.
La capacità di ricevere si distingue dalla capacità di accettare. Anche il nascituro può essere destinatario
di una donazione: e sia pure non concepito, purché figlio di una determinata persona vivente al tempo
della donazione.
EFFETTI DELLA DONAZIONE
L’effetto reale della donazione di cosa determinata non è accompagnato da obbligazioni analoghe a
quelle che gravano sul venditore. Il donante è tenuto a garanzia verso il donatario per l'evizione che
questi può soffrire delle cose donate:
➢ se ha espressamente promesso la garanzia;
➢ se l’evizione dipende dal dolo o dal fatto personale di lui;
➢ se si tratta di donazione che impone oneri al donatario o di donazione rimuneratoria.
L’obbligazione assunta nella donazione promissoria è da valutare con minor rigore rispetto alle regole
generali sulle obbligazioni; il donante, in caso di inadempimento o di ritardo nell’eseguire la donazione,
sia responsabile soltanto per dolo o colpa grave.
Il donatario ha sempre l’obbligo di fornire gli alimenti al donante che in seguito ne venga ad avere
bisogno, purché non si tratti di donazione obnuziale o di donazione rimuneratoria. Il donatario, però, non è
tenuto oltre il valore della donazione tuttora esistente nel suo patrimonio.
E’ ammessa la condizione risolutiva di riversibilità al donante, che può essere posta sia per il caso di
premorienza del solo donatario, sia per la premorienza e del donatario e dei suoi discendenti. Quando si
verifica il presupposto della riversione, si risolvono ex tunc tutte le alienazioni fatte dal donatario, e i beni
ritornano al donante liberi, di regola, da pesi o ipoteche.

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CAPO VII. I BENI E I DIRITTI REALI


SEZIONE I. LE COSE, I BENI E I DIRITTI REALI IN GENERALE
OGGETTO DEI DIRITTI. COSE E BENI
Il primo titolo del libro terzo del Codice tratta dei beni, definiti come le cose che possono formare
oggetto di diritti. Bene è l’oggetto di cui tiene conto il diritto, mentre il termine cosa conserva il senso
vastissimo di entità immateriale o materiale.
PATRIMONIO
Il patrimonio è l’insieme dei rapporti giuridici con diretta rilevanza economica di cui una
persona sia titolare; è composto di diritti e di obblighi aventi ciascuno il proprio oggetto.
• In senso giuridico comprende pure il contenuto passivo, cioè la titolarità degli obblighi valutabili
pecuniariamente, oltre che dei diritti.
• Nel suo significato economico viene valutato al netto, cioè come l’insieme dei valori che
rimangono dopo detratte le passività.
• Talora la parola è usata per denotare soltanto l'insieme delle attività, cioè dei soli diritti valutabili
in denaro (patrimonio lordo).
Dalla definizione si deduce che ogni persona ha un solo patrimonio. Talvolta la legge stacca alcuni beni
dagli altri dello stesso soggetto formandone quasi un patrimonio separato come il fondo patrimoniale e i
beni sottoposti a ipoteca. Altre volte abbiamo addirittura patrimoni autonomi, che si considerano, collegati
a un soggetto al quale non si riconosce una distinta capacità giuridica (es. fondazioni non riconosciute).
Le cose, con riferimento al patrimonio, si distinguono in:
➢ cose che attualmente fanno parte del patrimonio di qualcuno;
➢ cose che rimangono fuori dal patrimonio.
La distinzione è diversa dall’altra che si fa tra:
✗ res in commercio: cose che sono suscettibili di rapporti giuridici;
✗ res extra commercium: cose che non sono suscettibili di rapporti giuridici. Sono fuori commercio:
◦ le cose esistenti in quantità superiori ai bisogni della società, in modo che il loro godimento
non è causa di conflitto di interessi come l’acqua del mare e l’aria;
◦ le cose che il diritto vieta costituiscano oggetto di rapporti giuridici privati (es. i beni
demaniali).
Tutte le cose extra commercium sono necessariamente extra patrimonium mentre non è vera la
proporzione inversa.
Sono in commercio fuori dal patrimonio:
✔ le cose di nessuno (res nullius), come i pesci nelle acque pubbliche;
✔ le cose mobili che siano state abbandonate con l’animo di rinunziare al diritto sopra di esse.
Non sono invece fuori patrimonio le cose smarrite, perché non c’è stata rinunzia al diritto sopra le stesse.
DISTINZIONE TRA BENI IMMOBILI E BENI MOBILI
La distinzione è riportata dalla legge al suo senso naturalistico, secondo il significato delle parole:
• sono beni immobili
◦ per natura tutte le cose che non si possono trasportare da un luogo a un altro senza alterarne
la consistenza, quindi, oltre al suolo, tutte le cose che naturalmente o artificialmente fanno
corpo con il suolo;
◦ per determinazione di legge i mulini, i bagni e gli altri edifici galleggianti assicurati
saldamente alla riva, costruzioni e piantagioni ecc... incorporate al suolo anche se fatte per
uno scopo transitorio.
• La categoria dei beni mobili è determinata in via di esclusione: sono mobili tutti i beni che non
rientrano nella categoria degli immobili.
I relativi principi si applicano anche ad alcuni beni come energie o diritti che non sono per natura né
mobili né immobili. Sono sottoposti al regime immobiliare i diritti reali che riguardano beni immobili
(diritto di servitù prediale, diritto di usufrutto...). Le disposizioni sui beni mobili si applicano a tutti gli altri
diritti (diritto di pegno, di credito...) e alle energie naturali (energia elettrica, nucleare ecc.).
Per quanto riguarda la forma degli atti, l’art. 1350 richiede l’atto scritto per la validità delle convenzioni
che si riferiscono ai diritti reali immobiliari mentre i negozi sui beni mobili sono di regola a forma libera.
Il regime di pubblicità si attua per i beni immobili con la trascrizione; mentre riguardo ai mobili è il fatto
del possesso che acquista significato.
I beni immobili sono suscettibili di ipoteca, mentre la garanzia sopra un bene mobile si costituisce
ricevendolo in pegno. Va ricordata l’esistenza di una categoria di beni mobili iscritti che per essere iscritti
in particolari registri (beni mobili registrati: navi, aeromobili, autoveicoli), sono sottoposti a un regime che
si avvicina a quello che vige per gli immobili.
ALTRE PRINCIPALI DISTINZIONI TRA LE COSE IN COMMERCIO
Cose specifiche e generiche:
 cosa specifica è una data cosa individuata;
 cosa generica è qualsiasi cosa di un dato tipo.
La qualificazione ha notevole importanza pratica a proposito dell’oggetto delle obbligazioni. Se
l’obbligazione di dare è generica il debitore deve consegnare al creditore una cosa rientrante nel genere
indicato, ma non inferiore alla media; mentre nella ipotesi di cosa specifica, il debitore deve dare
esattamente la cosa di cui si tratta. Nella compravendita di cosa generica la proprietà non passa con il
consenso: occorre la specificazione.

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Cose fungibili e infungibili:


 cose fungibili: quando le cose sono identiche le une alle altre, o si valutano come equivalenti
per utilità e valore. Rientrano nella categoria tutte quelle cose che vengono considerate a peso,
numero e misura; esempio tipico è il denaro. Per riconoscere un bene come fungibile si guarda
prevalentemente alla valutazione degli interessati.
Cose consumabili e inconsumabili:
 cose inconsumabili sono le cose che si prestano a utilizzazioni ripetute anche se l’uso produce
il logorio delle stesse.
L’importanza della distinzione si rivela specialmente a proposito dell’usufrutto. Se tale diritto ha
per oggetto cose che si deteriorano a poco a poco, l’usufruttuario può servirsene, secondo l’uso
al quale sono state destinate, e alla fine dell’usufrutto le restituirà nello stato in cui si troveranno;
mentre, delle cose consumabili, l’usufruttuario ha il diritto di servirsi, ma con l’obbligo di pagare,
al termine dell’usufrutto, il valore della loro consistenza iniziale.
Cose divisibili e indivisibili:
 divisibili solo quelle cose che possono essere frazionate in parti omogenee, con il risultato che
la parte si differenzia dal tutto solo per la minore quantità e il proporzionale minor valore, e non
per la sua qualità o per la funzione cui il bene è destinato;
 indivisibili sono quelle cose delle quali elementi non hanno la funzione della cosa intera
(indivisibilità per natura). Vi è anche una indivisibilità per legge, stabilita in relazione alla
rilevanza sociale e all'uso cui il bene è destinato (es. parti comuni di un edificio in condominio).
Vi è, infine, una indivisibilità convenzionale quando i soggetti hanno considerato indivisibile una
prestazione che all'incontro sarebbe divisibile per natura.
Le conseguenze dell’indivisibilità della cosa sono principalmente due:
o l’indivisibilità della prestazione;
o l’impossibilità di sciogliere direttamente un’eventuale comunione sulla cosa stessa,
dovendosi invece, ricorrere alla vendita dell’intera cosa, oppure alla corresponsione di
una quota di valore agli altri condomini da parte di chi la preleva per intero.
RAPPORTI DI CONNESSIONE TRA LE COSE
Cose semplici: nella valutazione giuridica sono quelle che costituiscono un tutto unitario, sono quelle
che apparentemente non appaiono composte. Quando la cosa semplice è divisibile i singoli beni, che sono
il prodotto della divisione, vengono a trovarsi rispetto al bene originario come parti rispetto a un'entità
maggiore, con differenza solo quantitativa.
Cose composte: sono quelle che risultano da più elementi che conservano la loro individualità materiale
per una possibile scomposizione, essendo però complementari gli uni rispetto agli altri. La
complementarità deve essere necessaria, nel senso che senza uno di detti elementi non si avrebbe
neppure la cosa di cui si parla. L'elemento decisivo è dato dalla complementarietà economica, nella quale
ogni componente perde la sua individualità. L'unità è data dalla funzione cui il bene è destinato; cioè gli
elementi di cui il bene è composto, anche se fisicamente separati o meccanicamente separabili, devono
apparire essenziali per la destinazione economica o sociale dello stesso.
Il rapporto di connessione per accessorietà si riferisce a cose che conservano la loro individualità
materialmente differenziata, senza fondersi nell’unità di elementi complementari.
• Si ha incorporazione: quando una cosa viene naturalmente o artificialmente compenetrata in
un’altra anche solo a scopo transitorio. Suo presupposto è l’appartenenza di entrambe le cose alla
stessa persona. L’incorporazione deve avvenire materialmente (case incorporate al suolo) e
dev’essere voluta dal proprietario. Con l’incorporazione si aggiunge una cosa a un’altra cosa
principale per completarne o perfezionarne la sostanza. Il bene mobile incorporato in un immobile
deve essere considerato come cosa immobile.
• La pertinenza consiste nel legame non materiale ma solo economico e giuridico, per cui una
cosa, senza perdere affatto la sua individualità e senza subire modificazioni è destinata in modo
durevole al servizio o all’ornamento di altra cosa. Il legame pertinenziale sorge nel momento della
destinazione fatta in modo durevole. Ci può essere una pertinenza di immobile ad altro immobile
(parcheggio rispetto a una casa di abitazione); c'è anche pertinenza di mobile a mobile (cornice di
un quadro). Per aversi la pertinenza è necessaria la volontà del proprietario della cosa principale;
occorre inoltre che egli abbia la disponibilità anche della cosa accessoria per poterla
durevolmente destinare al servizio dell’altra.
I proprietari di una cosa destinata come pertinenza di un immobile altrui non potranno opporre i
loro diritti al terzo in buona fede che abbia acquistato il bene principale, se i diritti sulla loro cosa
non risultano da scrittura con data certa anteriore. Però le pertinenze, dato che conservano piena
individualità, possono formare oggetto di separati atti o rapporti giuridici. Quando non viene
diversamente disposto, gli atti e i rapporti giuridici che hanno per oggetto la cosa principale
comprendono anche le pertinenze.
Le universalità (o cose collettive) sono costituite da una pluralità di cose che conservano una loro
distinta identità, ma che sono unificate in vista di una particolare valutazione fatta dai soggetti che ne
dispongono. Si distinguono:
• universalità di mobili: sono formate da cose in senso stretto. Soltanto le universalità di mobili
rientrano nella teoria delle cose. Si tratta di complessi di cose omogenee, che appartengono alla
stessa persona. L’unificazione è data dalla destinazione unitaria, in vista di una funzione comune,
complessiva, che consiste nel far meglio perseguire la finalità di ciascun bene. Ogni elemento

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conserva il suo essere di cosa semplice, e può formare oggetto di singoli atti giuridici.
• Universalità di diritto: sono costituite da più rapporti giuridici considerati unilateralmente. Non
rientrano nella classificazione delle cose perché ne sono oggetto specialmente alcuni diritti. La
pluralità di rapporti connessi è ridotta a unità per volontà di legge senza che vi sia un nesso
economico e senza la necessità di un’aggregazione materiale tra i suoi eterogenei elementi.
Comprende anche elementi passivi, e possono farne parte sia beni mobili sia beni immobili e
relativi diritti (un es. tipico è l’eredità, sintesi di elementi attivi e passivi che sono permutabili per
surrogazione reale, nel senso che, se col denaro ereditario si compera qualche cosa, anche questa
entra nell’eredità, come vi entra il denaro che si ricava dalle vendite).
FRUTTIFICAZIONE
Sono frutti naturali quelli che provengono direttamente dalla cosa. L’art. 820 specifica che sono tali i
prodotti agricoli (grano, fieno, latte ecc...), i parti degli animali e i prodotti di miniere, cave e torbiere. I
frutti naturali formano parte della cosa finché non avviene la separazione. Fino a quel momento essi
seguono le sorti giuridiche della cosa; però, come per le universalità, anche i frutti possono formare
oggetto di distinti rapporti e atti giuridici, quali cose future. La separazione segna il momento
dell’acquisto della proprietà sui frutti per colui che abbia diritto agli stessi senza essere il proprietario
della cosa. Il possessore di buona fede fa suoi i frutti separati fino al giorno della domanda giudiziale; i
frutti che in quel giorno si trovano ancora pendenti appartengono di diritto al proprietario rivendicante.
Sono frutti civili quelli che si traggono dalla cosa come corrispettivo del godimento che altri ne abbia: gli
interessi dei capitali, le rendite, i prezzi delle locazioni ecc. Si acquistano giorno per giorno, in ragione
della durata del diritto. Chi fa suoi i frutti deve, entro il limite del loro valore, rimborsare colui che abbia
fatto delle spese per la produzione e per il raccolto.
REGIME PARTICOLARE DI ALCUNI BENI
L’art. 815 tratta dei beni mobili registrati (navi e galleggianti, automobili,aeromobili), sottoposti a
speciali forme di pubblicità. A loro viene applicato un particolare regime per le alienazioni, per la
costituzione di garanzie e per la pubblicità, regime che si avvicina a quello stabilito per gli immobili.
Tuttavia, dove la legge non dispone diversamente, vale per gli stessi la disciplina propria dei beni mobili. I
beni registrati non costituiscono una categoria a sé stante che si possa giustapporre alle due
fondamentali categorie di beni mobili e immobili: tutti i beni che non sono immobili sono mobili. La
disciplina speciale prevista per questi beni, in parte è comune a tutta la categoria, in parte invece è
stabilita singolarmente o nel codice della navigazione o in leggi speciali.
I beni appartenenti allo Stato, alle regioni, alle province e ai comuni fanno parte o del demanio o
del patrimonio dello stato. Il demanio è composto:
• di beni che sono destinati alla generalità:
◦ perché, per il generale godimento, non tollerano l’appartenenza privata (acque del mare, dei
fiumi e dei laghi);
◦ perché lo Stato li destina a usi di pubblico generale interesse (strade);
• di beni che servono a servizi pubblici;
• di opere costruite per la difesa militare (fortezze, cantieri di guerra).
L'art. 822 ne contiene un elenco tassativo, prevedendo però la possibilità che la legge assoggetti altri beni
al regime del demanio pubblico. I beni demaniali devono appartenere allo Stato o agli altri enti pubblici
territoriali (comune, provincia, regione), perché i beni degli enti pubblici non territoriali sono sottoposti
alle regole generali sulla proprietà. Il demanio costituisce una proprietà pubblica, assolutamente
incommerciabili; e non sono oggetto di ipoteca o di possesso privato; non ne è quindi ammessa
usucapione a vantaggio di privati. Sopra gli stessi beni non possono essere costituiti diritti reali limitati.
I beni pubblici che non sono del demanio costituiscono il patrimonio dello Stato, delle regioni, province e
comuni:
• patrimonio indisponibile del quale fanno parte le foreste, le miniere, le cave e le torbiere, le cose
di interesse storico, artistico, archeologico, paleontologico ecc., le caserme, gli armamenti, gli
aeroplani e le navi da guerra e inoltre gli edifici destinati a sede di uffici pubblici con i loro arredi.
• Per esclusione, tutti gli altri beni degli enti pubblici che non sono destinati a pubblico interesse o
servizio, costituiscono il patrimonio disponibile, che in gran parte è sottoposto alle regole del
diritto comune.
Un bene demaniale può passare al patrimonio dello Stato o degli altri enti pubblici territoriali, quando
cessa la destinazione che è propria del demanio.
Tra i beni appartenenti agli enti ecclesiastici meritano menzione gli edifici destinati all’esercizio pubblico
del culto cattolico; questi, anche se appartengono a privati, non possono essere sottratti alla loro
destinazione se non dopo le formalità e i permessi previsti dalla legislazione che applica in materia il
Concordato con la S. Sede.
DIRITTI SULLE COSE E DIRITTI REALI IN PARTICOLARE
I diritti reali limitati si distinguono in:
1. diritti di godimento: si hanno quando la limitazione del diritto del proprietario corrisponde a un
diritto di godimento attribuito ad altri come l’enfiteusi, superficie, usufrutto, uso, abitazione,
servitù;
2. diritti di garanzia: pegno e ipoteca
La categoria dei diritti reali è costituita da un numero chiuso, questi sorgono quando sulla cosa si
costituisce una delle poche figure tipicamente previste dalla legge e ad essa si ricorra.
SEZIONE II. LA PROPRIETA’

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La proprietà è l’attribuzione di un bene al titolare del diritto per il suo interesse e costituisce
essenzialmente un’affermazione di libertà.
CONTENUTO DEL DIRITTO DI PROPRIETA’
L’art. 832 dice che il proprietario ha diritto di godere e disporre delle cose in modo pieno ed esclusivo,
entro i limiti e con l’osservanza degli obblighi stabiliti dall’ordinamento giuridico. Il diritto di godere si
esprime nell'aspetto dinamico come diritto sui frutti del fondo che già nascono entro la sfera del
proprietario. Si riconosce espressamente al titolare il potere giuridico di disporre dell'oggetto anche
indipendentemente dalla totale alienazione.
Il testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia prevede che, salvi casi
tassativamente elencati dalla legge, il diritto di edificare può essere esercitato solo in presenza di
specifici titoli abilitativi:
• il permesso di costruire: provvedimento formale della P. A. che viene rilasciato al proprietario
dell'immobile o a chi abbia titolo per chiederlo. È trasferibile, insieme all'immobile, ai successori e
aventi causa. È irrevocabile e oneroso.
• La denuncia di inizio attività: rappresenta una dichiarazione della parte corredata da una specifica
documentazione, che viene sottoposta al controllo solo successivo della P. A. Il suo utilizzo è
previsto, in tutti i casi in cui non è richiesto il permesso di costruire e anche in alternativa ad esso.
La proprietà esiste se mancano alcuni degli elementi che ne formano il contenuto normale. Essa, cessata
la causa che ne limitava l’estinzione, riprende automaticamente la sua ampiezza. E’ il fenomeno della
elasticità, caratteristica di un diritto che comprende un indeterminato numero di facoltà. La proprietà nel
suo contenuto non è frazionabile.
La proprietà è un diritto esclusivo: per far dichiarare inesistenti le pretese accampate da terzi, basta
che il proprietario, mediante azione negatoria, dimostri il suo titolo di proprietà, mentre chi afferma di
avere dei diritti sulla cosa deve darne prova positiva. Esclusività vuol dire anche che sulla stessa cosa non
può esistere più di un diritto di proprietà: ciò non impedisce l’esistenza di una comproprietà per quota. Il
diritto di proprietà e l’azione diretta a farlo valere non sono soggetti a prescrizione estintiva.
ESTENSIONE DELLA PROPRIETA’ IMMOBLIARE
L’art. 840 riconosce che il diritto sul terreno si estende anche al sottosuolo e limita l’esercizio di tale
diritto quando viene meno l’interesse. La zona in profondità a cui si estende il diritto di regola sarà quella
prima parte di terreno che è utilizzabile per l’attività agraria o per gli edifici, ma certamente sarebbe
lecito trarre vantaggio anche da uno sfruttamento più profondo.
Simile soluzione viene data anche al problema dei limiti della proprietà sullo spazio sovrastante. La
proprietà immobiliare ha per oggetto uno spazio: tutto ciò che si trova in quello spazio è oggetto di
proprietà come proiezione dello stesso diritto di base e vi rientra quindi l’utilizzazione del soprassuolo, in
funzione cioè dell'interesse economico.
VINCOLI DI DIRITTO PUBBLICO
In maniera sempre più vasta sono riconosciuti i limiti alla proprietà privata per ragioni di interesse
pubblico. Oggi sono rilevanti le conseguenze che il proprietario deve subire per l’applicazione di leggi
urbanistiche o di norme speciali. L’espropriazione per pubblico interesse è prevista nel terzo comma
dell’art. 42 della Cost. e nell’art.834 del Codice. Presupposti e requisiti del grave provvedimento sono una
ragione di pubblico interesse e il pagamento di una giusta indennità. La requisizione originariamente
aveva significato soltanto militare; oggi però può venire applicata anche per le esigenze
dell’amministrazione civile. Si distingue dall’espropriazione perché ha un campo di applicazione più
ampio, si estende alla proprietà per ogni sorta di beni mobili e immobili e può riferirsi anche al solo uso
temporaneo degli stessi. Si richiede una grave urgente necessità pubblica e il pagamento di una giusta
indennità.
LIMITI NELL’INTERESSE PRIVATO E RAPPORTI DI VICINATO
Ci sono nella legge alcune disposizioni precise che regolano questa che è materia molto delicata. A
proposito delle immissioni (fumo, scuotimento, esalazioni nocive...) è stabilito il criterio generale della
normale tollerabilità per chi deve subire una certa attività. Quando è superata la normale tollerabilità, il
giudice, ordinerà la cessazione della causa del danno o, per contemperare gli eventuali sacrifici con le
esigenze della produzione dovrà almeno fissare un’equa indennità. I limiti legali di buon vicinato sono
regolati dal Codice in quattro sezioni:
1. le acque;
2. Le distanze per costruzioni, piantagioni, scavi ecc.
3. Le luci e le vedute.
4. Lo stillicidio.
Le norme che prevedono questi limiti hanno carattere preventivo, e si applicano indipendentemente
dall’esistenza di un danno; se nonostante il rispetto della norma, il fatto del proprietario reca un danno al
vicino, non c’è diritto al risarcimento. Questi limiti legali sono diritti e obblighi che sorgono
automaticamente con il diritto di proprietà di cui fanno parte; essi non sono soggetti a prescrizione, sono
reciproci e quindi senza corrispettivo, e tutelabili per mezzo dell’azione negatoria.
La materia delle distanze e dei limiti da rispettare nelle costruzioni è sottoposta anche ai regolamenti
comunali e ai piani regolatori generali: quando i regolamenti sono esplicazione, modificazione o
integrazione delle norme sulla distanza delle costruzioni, fissate dal Codice, danno diritto al proprietario
dell’immobile vicino, che ha subito la violazione, di ottenere, oltre al risarcimento del danno, la riduzione
in pristino (es. l’abbattimento dell’edificio). Quando invece l’illegittimità di una costruzione dipende
dall’inosservanza di una norma tendente ad attuare finalità di interesse generale collettivo, o urbanistico,

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della collettività (ragioni di estetica degli abitati o di igiene), il diritto del privato si limita al risarcimento
dei danni subiti.
DISTANZE PER LE COSTRUZIONI
Tra edificio ed edificio, muro e muro, l’art. 873 stabilisce che si deve rispettare una distanza di almeno tre
metri. I regolamenti comunali fissano limiti maggiori, ma non possono consentire distanze inferiori. La
norma non si applica ai muri di cinta. Se è vero che la costruzione dovrebbe rispettare la distanza dal
confine di metà della distanza minima legale tra edifici, chi non la rispetta non agisce illecitamente: il
proprietario opera sul suo anche se costruisce sul confine. Però non è giusto che il vicino, se vuole a sua
volta costruire, debba tenersi lontano dal confine per più della metà della distanza regolamentare; perciò,
la legge concede al proprietario confinante una facoltà di scelta:
• ritirarsi fino a rispettare la distanza complessiva di tre metri;
• ottenere la comunione del muro appoggiandovi anche il suo edificio e pagando la metà del valore
del muro;
• costruire in aderenza facendo combaciare le due opere murarie, escludendo la comunione del
muro.
Chi apre pozzi, cisterne, buche biologiche, deve rispettare almeno la distanza di due metri dal confine; se
si tratta di fossi o canali, il proprietario deve osservare una distanza tra il ciglio del fosso e il confine,
uguale almeno alla profondità massima dell'escavo.
Nelle piantagioni vanno rispettate le seguenti distanze di confine:
➢ tre metri per gli alberi di alto fusto;
➢ un metro e mezzo per gli alberi il cui tronco non supera l’altezza di tre metri;
➢ mezzo metro per le viti, gli arbusti, le siepi e le piccole piante fruttifere.
Nonostante il rispetto delle distanze legali, può darsi che l’albero, venuto ad alto sviluppo, protenda i suoi
rami o estenda le sue radici fino al fondo del vicino; la legge stabilisce che il vicino può costringere il
proprietario dell’albero a tagliare i rami che sporgano oltre il confine, e può egli stesso recidere le
invadenti radici. I frutti caduti naturalmente su di un fondo dall’albero del vicino appartengono al
proprietario del fondo sul quale sono caduti. Se vengono piantati o comunque nascono degli alberi a
distanza inferiore alla legale, il vicino può esigere che si estirpino.
APERTURA DI LUCI E VEDUTE
La possibilità di ottenere luce e aria dal fondo del vicino (apertura di luci) oppure di affacciarsi e guardare
senza il sussidio di scale, appoggi o altro sia di fronte, sia lateralmente od obliquamente, per mezzo di
balconi o finestre (apertura di veduti o prospetti) viene regolata dalla legge. Per aprire le luci non occorre
rispettare distanze dal fondo del vicino; possono aprirsi perfino nel muro posto sul confine, ma se il muro
è comune occorre il consenso del vicino. I requisiti che la finestra deve rispettare per essere aperta come
luce sono:
• una inferriata idonea a garantire la sicurezza;
• una grata dalle maglie di non più di tre centimetri quadrati per evitare il passaggio di oggetti;
• l’apertura deve essere fatta a una certa altezza, sia rispetto al pavimento del locale lumeggiato
(due metri o due e mezzo), sia rispetto al fondo del vicino.
Per aprire delle vedute, se non c’è di mezzo una pubblica via, occorre:
✔ la distanza di un metro e mezzo dal fondo vicino quando si tratta di una visuale diretta;
✔ quando il fondo del vicino può essere visto solo da un lato, va osservata la distanza di
settantacinque centimetri, che si misura dal più vicino lato della finestra o dal più vicino sporto.
Si consideri che una finestra ha una veduta diretta e due oblique; un balcone ha tre vedute dirette.
Quando si è acquistato il diritto di aprire finestre a veduta mediante servitù, il proprietario del fondo
servente non può portare alcuna sua costruzione a una distanza minore di tre metri.
Per quanto riguarda lo stillicidio: il proprietario deve costruire in maniera tale che le acque piovane
vadano a scolare sul proprio terreno.
DIRITTI SULLE ACQUE E SUI PRODOTTI DEL SOTTOSUOLO
Bisogna fare una prima fondamentale distinzione tra:
• acque pubbliche: sono demaniali, appartengono allo Stato, ma l’utilizzazione e la gestione sono
demandate alle regioni. Tutte le acque superficiali e sotterranee sono pubbliche e costituiscono
una risorsa che è salvaguardata ed utilizzata secondo criteri di solidarietà.
• Poche sono le acque che non presentano tali caratteristiche e che pertanto sono private,
sottoposte al regime del Codice Civile.
Esiste un diritto di sfruttamento anche delle acque sotterranee, che consiste nel portarle alla superficie.
Non è consentito l’emungimento delle vene, che si potrebbe operare da parte del proprietario del fondo a
valle, producendo un’alterazione del fluire naturale delle acque, ed è vietata anche la recisione delle vene
stesse, che si operasse da parte del proprietario del fondo a monte; ne deriva che ogni proprietario non
può sfruttare illimitatamente le acque che si trovano nel suo sottosuolo.
Per le acque superficiali: il proprietario del suolo ha il diritto di utilizzare le acque private in esso esistenti;
però non è un godimento senza limiti: non si può modificare il corso delle acque in danno di altri fondi. Se
sorge una controversia tra proprietari cui può giovare un’acqua privata, l’autorità giudiziaria deve
conciliare gli opposti interessi, tenendo presenti i vantaggi che possono derivare all’agricoltura o
all’industria dall’uso a cui l’acqua è destinata, e fissando una congrua indennità ai proprietari che
supportino diminuzione del proprio diritto.
Il codice regola anche alcuni rapporti passivi, pesi o vincoli, ai quali si deve sottostare: il proprietario del
fondo se ha diritto allo sfruttamento delle acque, ha pure l’obbligo di ricevere le acque che scolano

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naturalmente dal fondo superiore.


Le miniere, che offrono di solito materiali più rari e preziosi (il lavoro in esse è più difficile e pericoloso),
fanno parte del patrimonio indisponibile dello Stato. Per la ricerca di sostanze minerali è necessario
l’ottenimento di una concessione che riconosce il relativo diritto di godimento, il cui rilascio ora è di
competenza delle regioni.
Per le cave e le torbiere, che presentano normalmente maggior facilità di lavorazione, si riconosce una
limitata disponibilità a favore del proprietario del suolo. È oggetto di proprietà privata, con la conseguenza
che potrà goderne anche l'usufruttuario del fondo dove essa si trova. Lo sfruttamento della cava o della
torbiera costituisce anche un obbligo, o per lo meno un onere se si vuole evitare l'espropriazione.
COMUNIONE E CONDOMINIO
Non è fenomeno raro che il diritto su di un bene appartenga a più soggetti insieme; si dice allora che c’è
una comunione tra i diversi titolari. Quando il diritto che spetta a più soggetti è la proprietà di un bene,
oltre al termine generico di comunione, si usa quello di condominio. Non possono esistere due diritti di
proprietà sullo stesso bene, ma di uno stesso diritto possono essere titolari più soggetti insieme.
Nell’interno del rapporto ciascun condomino avrà diritto a una quota dell’intero, tradizionalmente si parla
del diritto a una quota ideale, nel senso che, essendo io proprietario per una metà, non ho diritto alla
materiale divisione per due di ogni parte che compone il bene, ma la metà indica il quantum del mio
potere sulla cosa fin che dura la comunione, e rappresenta la misura del mio diritto nella divisione.
La divisione ha natura dichiarativa e pertanto la parte materiale dei beni che sarà attribuita in concreto a
ciascun condomino, si intende come fosse stata fin dall’inizio oggetto di sua esclusiva proprietà. La
comunione è:
• volontaria, quando nasce per accordo tra i partecipanti;
• legale o forzosa, se il suo titolo è nella legge;
• incidentale, quando sorge per circostanze fortuite.
Ogni partecipante:
➢ può usare per conto suo del bene comune, anche modificandolo per trarne maggior possibilità di
godimento, purché egli non alteri la destinazione d’uso e non venga diminuito l’egual diritto che
spetta a tutti gli altri;
➢ può disporre del suo diritto alienando la quota o cedendone il godimento ad altri;
➢ può chiedere lo scioglimento della comunione in ogni momento, purché non sia stipulato il patto
di rimanere in comunione.
Ciascun condomino gode gli utili della cosa in proporzione della sua quota, e nella stessa misura partecipa
alle spese. Alla collettività dei membri è attribuita l’amministrazione della cosa comune. Secondo il
criterio democratico che si esprime nel principio maggioritario, essi deliberano a maggioranza circa
l’ordinaria amministrazione e l’uso della cosa. Detta maggioranza si calcola secondo il criterio economico
del valore delle quote (le quote si presumono uguali). Alla deliberazione unanime dei condomini è
riservato il potere di compiere gli atti di alienazione o di costituzione di diritti reali sul fondo comune, e il
potere di stipulare locazioni ultranovennali. La facoltà di alienare è riservata a ciascun partecipante per la
sua quota, ma soltanto insieme con gli altri per l’alienazione dell’intero bene. Non è sufficiente una
maggioranza.
La comunione si scioglie con la divisione, che può avvenire con una spartizione materiale della cosa, ove
sia possibile, oppure con una ripartizione della somma ricavata dalla vendita della cosa stessa.
CONDOMINIO DI EDIFICI
Le caratteristiche di questo fenomeno si trovano nella circostanza che, accanto alla proprietà solitaria
spettante a ciascun condomino sul proprio piano o appartamento, esiste una comunione forzosa di tutti i
condomini sopra alcune parti del bene, quali il suolo, le fondazioni, i muri maestri, i tetti, le scale, i cortili,
ecc. che non ammette divisione, né la rinunzia del condomino alla contribuzione delle spese necessarie.
La creazione di un condominio può formare oggetto di un contratto su cosa futura. La partecipazione a ciò
che è proprietà comune nell’edificio, proporzionale al valore della parte di piena proprietà, offre il criterio
anche per determinare i poteri di ciascuno circa l’amministrazione e gli obblighi per le spese necessarie.
Quando alcune spese riguardano cose destinate a servire in modo diverso o esclusivo alcuni condomini, il
criterio di ripartizione è proporzionale all’uso. Un particolare diritto spetta al proprietario dell’ultimo piano,
il quale può sopraelevare l’edificio, pagando agli altri un’indennità e sempre che le strutture dell’edificio
consentano la sopraelevazione senza pericolo.
Dobbiamo considerare il condominio come ente di gestione, che mira ad assicurare il buon funzionamento
della difficile situazione di compenetrazione di diritti comuni e diritti individuali. L’assemblea dei
condomini delibera con determinate maggioranze dei presenti all’atto di votazione; essa deve anche
nominare un amministratore quando i condomini sono più di quattro. Se l'assemblea non provvede, la
nomina viene fatta dal giudice. Esso dura in carica un anno ma l’assemblea può revocarlo. Se i condomini
sono più di dieci, è obbligatoria la formazione di un regolamento di condominio (altrimenti il regolamento
è facoltativo). Per le frequenti controversie circa l’uso delle parti condominiali è competente il giudice di
pace.
MULTIPROPRIETA’
Il termine multiproprietà identificava quella figura giuridica complessa che consiste nel godimento
turnario di un bene, da parte di più soggetti, secondo prestabiliti periodi di tempo. Si tratta di un negozio
atipico assai diffuso nella prassi specialmente nel campo degli immobili ad uso abitativo, detto anche
contratto di Timesharing. Si distingue, a seconda del bene oggetto del contratto, tra:una
multiproprietà reale (o immobiliare) e azionaria:

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• una multiproprietà reale o immobiliare: si riferisce a complessi abitativi siti per lo più in località
turistiche e di solito composti da appartamenti arredati. Con la stipulazione del contratto
l’acquirente acquista il diritto ad usufruire dell’immobile per un periodo fisso ogni anno, secondo
le regole stabilite nel contratto stesso. Per quanto riguarda l’amministrazione di questi immobili,
le funzioni che in un normale condominio sarebbero tipiche dell’assemblea e dell’amministratore
sono differite ad una società di gestione, che provvede sia per quanto concerne l’edificio in
generale sia per i vari appartamenti.
Altra cosa è la multiproprietà alberghiera: i comproprietari di un complesso alberghiero lo affittano
a una società di gestione, riservandosi la facoltà di godere, singolarmente, di determinate unità
giovandosi dei servizi dell’albergo.
• La multiproprietà e il godimento frazionato nel tempo possono essere collegati all’acquisto di una
partecipazione sociale (multiproprietà azionaria): l’acquirente non diviene titolare di diritti reali
ma stringe con la società un’autonoma convenzione collegata allo status di socio, in base alla
quale all’azionista è attribuito, verso un corrispettivo, il diritto personale di godimento di una
porzione di beni sociali per una determinata frazione spazio temporale.
SEZIONE III. IL POSSESSO
FONDAMENTO DELLA TUTELA POSSESSORIA
Come si spiega che il semplice possesso di un bene, lo stato di fatto, trovi una sua difesa efficace ed
importante nel nostro Codice?
1. Chi si trova in una situazione di fatto può intanto esercitare i poteri corrispondenti, e la legge gli
attribuisce la sua forza fintantoché non sia dimostrato il contrasto con l’altrui diritto.
2. Dimostrare continuamente il perfetto fondamento di ogni pretesa porterebbe ad un sistema lento
e macchinoso. Di qui la necessità di una tutela più semplice e pronta nell’interesse della società e
degli stessi titolari dei diritti. Se il proprietario, a ogni atto che costituisce esercizio del suo diritto,
dovesse dar la prova della sua piena legittimazione, si troverebbe gravemente ostacolato nel
godimento, per la lunga e difficile dimostrazione del suo titolo, mentre la tutela del possessore in
quanto tale è assai rapida: basta che egli dimostri il possesso.
3. La tutela del possesso, come tutela dello stato di fatto, è per sua essenza di carattere provvisorio:
non è la difesa di un diritto. Il possesso non è un diritto. Non dobbiamo confondere il possesso con
il diritto di possedere, cioè con una delle facoltà che spettano in primo luogo al proprietario.
La tutela possessoria quindi si riferisce a una situazione di fatto, e non corrisponde a un sommario
accertamento di un diritto corrispondente.
Il proprietario ha sempre, come proprietario, il diritto di possedere; se è pure in possesso del bene avrà
altresì il possesso, nel senso che può ottenere una difesa del semplice stato di fatto in cui consiste il suo
possesso.
Riguardo al possesso, il titolare e il non titolare del diritto sono trattati nello stesso modo: il ladro è
protetto nel suo possesso anche contro il proprietario derubato. Il proprietario non può riprendere
violentemente o clandestinamente al ladro la cosa che gli è stata rubata se non nell’immediato.
Esiste un compossesso tra i più soggetti che esercitano insieme il possesso su di uno stesso bene,
ciascuno di questi partecipanti è tutelato nel suo possesso anche contro i compossessori.
POSSESSO E DETENZIONE
Il possesso è definito come un potere sulla cosa che si manifesta in un’attività corrispondente
all’esercizio del diritto di proprietà o di un altro diritto reale. C’è il possesso corrispondente alla proprietà;
è possesso anche l'esercizio in concreto di un diritto corrispondente a un diverso diritto reale sulla cosa
altrui (possesso dei diritti). La qualificazione della figura del possesso dei diritti deriva dall'animus, cioè
l'intendimento di tenere quella determinata cosa, o quale proprietario, o ad altro titolo. Si può possedere,
oltre che direttamente, anche per mezzo di altra persona, che ha la detenzione della cosa. Si ha
detenzione quando manca l’animus di esercitare la proprietà o altro diritto sulla cosa. Si avrà detenzione e
non possesso in chi tiene la cosa:
a) nell’interesse altrui a causa di un rapporto di dipendenza (domestico nell'interesse del padrone);
b) nell’interesse altrui ma senza una dipendenza, a titolo di amicizia;
c) nell’interesse altrui per l’adempimento di una propria obbligazione;
d) nell’interesse proprio del detentore per esercitare un diritto personale sopra la cosa altrui.
Non si ha detenzione in chi tiene l’oggetto materialmente presso di sé, senza saperlo.
La legge presume il possesso in chi tiene la cosa, mentre la detenzione deve essere provata; passato il
momento iniziale, purché non venga compiuto un atto di interversione possesso o detenzione
continueranno così come sono sorti. La detenzione come stato di fatto deve semplicemente cedere a chi
dimostri di avere diritto al godimento diretto della cosa.
ACQUISTO E PERDITA DEL POSSESSO. SUCCESSIONE NEL POSSESSO
Il possesso si può acquistare originariamente, mediante l’apprensione fisica diretta della cosa,
accompagnata dall’animus. E’ da notare che non costituiscono fondamento per l’acquisto del possesso, gli
atti che si compiono per altrui tolleranza, quando il godimento di fatto del bene si fonda su un permesso,
espresso o tacito, ma sempre revocabile del titolo di diritto.
Più frequenti sono i modi di acquisto derivativi, quali la consegna e la successione:
• la consegna può essere:
◦ effettiva quando materialmente si trasferisce il possesso della cosa;
◦ simbolica che si attua con il passaggio dei documenti concernenti la cosa, con la consegna
delle chiavi o con altro mezzo;

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◦ consensuale quando il vecchio possessore trasferisce ad altri il diritto a possedere,


conservando però la detenzione.
Per determinare da quando il possesso ha preso inizio una prima regola ci dice che il possesso attuale non
fa presumere il possesso anteriore. Secondo un’altra regola, quando c’è un titolo, il possesso attuale fa
presumere quello anteriore fino alla data del titolo stesso. Infine si presume il possesso intermedio a
vantaggio del possessore attuale che abbia posseduto anche in tempo più remoto.
Abbiamo detto che sia il possesso, sia la detenzione, continuano così come sono iniziati: in seguito la
situazione giuridica muta solo per causa proveniente da un terzo, o in forza a un atto di opposizione fatto
dal detentore o materialmente, o con dichiarazione giudiziale o extragiudiziale. Per questa interversione
del possesso, cioè per questo mutamento del titolo o della qualifica del possesso, non basterebbe un
mutamento dell'animus.
La perdita del possesso avviene per il venir meno di uno o di tutti e due gi elementi che lo costituiscono.
Per quanto riguarda l’elemento materiale, la perdita avviene soltanto quando la cosa venga presa da un
terzo, o venga smarrita.
Per ottenere la continuità, e cioè per far godere al possessore attuale anche gli effetti del possesso di un
precedente possessore, la legge riconosce due forme di congiunzione che si invocano, specialmente in
tema di usucapione, per sommare il tempo dei successivi possessi:
➢ la successione nel possesso: si attua a favore del solo erede e avviene di diritto senza
interruzione;
➢ l’accessione del possesso: si verifica nella successione a titolo particolare, sia per atto tra vivi, sia
mortis causa a favore del legatario.
EFFETTI DEL POSSESSO. POSSESSO QUALIFICATO AD USUCAPIONEM E POSSESSO IN BUONA FEDE
Possesso ad usucapionem: per l’usucapione e per l’esercizio dell’azione di manutenzione, il possesso deve
essere pacifico e pubblico, cioè l’acquisto non dev’essere stato violento o clandestino. Inoltre si chiede:
• la continuità, si riferisce allo stesso possessore: il possesso non è continuo se egli ha
abbandonato il bene di cui si tratta;
• la non interruzione: significa che non ci deve essere stata azione verso terzi, vuoi con l’esercizio
del loro diritto in contrasto con il possesso, vuoi privando effettivamente il possessore del
godimento del bene.
Possesso in buona fede: è quello di chi possiede ignorando di ledere l’altrui diritto. La buona fede non è un
fattore solo psicologico, nel senso che basta a porla in essere la semplice ignoranza di ledere il diritto
altrui, occorre che detta ignoranza non dipenda da negligenza grave. La buona fede si presume fino a
prova contraria, è sufficiente la buona fede iniziale (ovvero al momento dell’acquisto del possesso). Effetti
del possesso:
1. diritti e obblighi del possessore nella restituzione della cosa : si considera la situazione del
possessore che restituisce il godimento del bene in seguito ad azione del proprietario avente
diritto. La legge riconosce particolari conseguenze in favore della buona fede. Riguardo ai
frutti prodotti del bene che è oggetto di restituzione:
• il possessore di buona fede fa suoi i frutti naturali separati fino al giorno in cui il
proprietario ha predisposto la domanda giudiziale e quelli civili maturati fino allo stesso
giorno; egli deve restituire invece quelli percetti e percipiendi (cioè che avrebbe percepito
usando la diligenza del buon padre di famiglia) durante il periodo che va dalla domanda
giudiziale fino al momento della restituzione della cosa fruttifera.
• Se il possesso era di mala fede, il possessore risponde per tutti i frutti già percepiti o
percipiendi, dovendoli restituire in natura o nel loro valore.
Il possessore ha diritto al rimborso delle spese fatte per riparazioni straordinarie e di quelle
fatte per le riparazioni ordinarie quando è tenuto alla restituzione dei frutti. Il diritto al
rimborso per le riparazioni ordinarie spetta anche al possessore di mala fede.
2. Possesso di buona fede in materia di mobili (art.1153). L’impossessamento fatto in buona
fede, con l’apparente giustificazione di un titolo, è circostanza che viene a produrre le stesse
conseguenze che potrebbero derivare da una corrispondente situazione giuridicamente
perfetta. Titolo sarà un negozio e la presenza di altri elementi richiesti dall’art. 1153 vale a
sanare il difetto di legittimità del suo autore. L'art.1153 stabilisce i seguenti requisiti:
• deve esserci acquisto del possesso (la legge parla di consegna);
• deve esserci un titolo astrattamente idoneo a trasferire la proprietà o l’altro diritto reale di
cui si tratta;
• l’acquirente deve essere in buona fede nel momento della trasmissione del possesso;
ovvero l’acquirente deve ignorare che il suo autore non sia proprietario e deve ignorare
l’eventuale illegittima provenienza della cosa.
Ad escludere la buona fede è sufficiente l’esistenza di un ragionevole sospetto circa una
situazione di illegittima provenienza del bene, purché si tratti di un dubbio derivante da
circostanze serie, concrete e non ipotetiche. La regola dell’art. 1153 non si applica alle
universalità dei beni mobili, né ai beni mobili registrati, vale invece per i titoli di credito. Il
possesso di buona fede produce l'acquisto immediato del diritto sul bene, libero da tutti i pesi
che non risultano dal titolo e di cui l'acquirente ignorava l'esistenza. In forza di tre fattori
possesso, buona fede e titolo si riconosce un acquisto, a titolo originario, che fa estinguere la
proprietà altrui. Se manca il titolo, il possessore di buona fede potrà a suo tempo acquistare il
diritto per mezzo dell’usucapione. L'acquisto in buona fede del possesso è titolo preferenziale

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tra più aventi causa dello stesso autore, indipendentemente dalla data del titolo.
DIFESA DEL POSSESSO
Mentre dura l’offesa, di fronte cioè a colui che vuole violentemente sottrarre il bene al possessore, questi
può agire a titolo di legittima difesa (ci deve essere immediatezza). Al possessore che venga privato del
possesso, o che venga in esso molestato, sono concessi speciali rimedi giudiziari:
• azioni possessorie:
◦ azione di reintegrazione (o azione di spoglio): compete a qualunque possessore e anche al
detentore, fatta eccezione per chi detiene la cosa per ragioni di ospitalità o di servizio. Viene
concessa soltanto contro atti di privazione del possesso violenti o clandestini compiuti con un
atteggiamento che contrasti con la volontà del possessore. L’azione può essere rivolta anche
contro il terzo successore al titolo particolare che abbia fatto l’acquisto con la consapevolezza
dell’avvenuto spoglio. L’azione va proposta entro l’anno dallo spoglio, o dal giorno della sua
scoperta quando lo spoglio stesso sia stato clandestino. La restituzione è ordinata dal giudice
senza dilazione, sulla semplice notorietà del fatto, dopo sommario accertamento
dell'esistenza di un precedente possesso, anche ingiustificato, e dello spoglio avvenuto.
◦ Azione di manutenzione: è concessa soltanto al possessore si un bene immobile o di una
universalità di mobili. Il possesso deve avere i requisiti che caratterizzano il possesso ad
usucapionem e deve durare da almeno un anno. L’azione va proposta al giudice competente
entro un anno dall’avvenuta turbativa e mira alla manutenzione del possesso tramite
l’immediata cessazione delle molestie. Le turbative o molestie possono essere:
▪ di fatto: un terzo scava una buca, taglia degli alberi, esercita il passaggio con carri sul mio
fondo;
▪ di diritto: un terzo intima all’affittuario del mio fondo di pagare a lui il fitto.
• Azioni di nunciazione: vengono concesse al possessore in quanto tale, ma sono pure
riconosciute al proprietario o al titolare del diritto anche a prescindere dal possesso.
SEZIONE IV. ACQUISTO E DIFESA DELLA PROPRIETA’
MODI DI ACQUISTO DELLA PROPRIETA’
Si distinguono in originari e derivativi:
• si ha titolo originario quando a fondamento del titolo di proprietà non si trova la derivazione dal
diritto di un precedente titolare.
• Titolo derivativo è quello che si attua mediante trasmissione o successione di diritti dell’uno
all’altro soggetto; il diritto di chi si pretende proprietario viene a dipendere dall'esistenza del
diritto di un precedente dante causa. Ai soli modi di acquisto derivativi si applica il principio per il
quale l'acquisto è di regola condizionato dall'esistenza, nell'autore, del diritto di cui si tratta.
Essenziale presupposto per la difesa della proprietà è la dimostrazione, da parte di chi la pretende, di
averne titolo.
Modi di acquisto originari sono: l’occupazione, l’usucapione, l’accessione, la specificazione, la
fruttificazione e infine l’acquisto in buona fede del possesso di beni mobili.
OCCUPAZIONE E INVENZIONE
L’occupazione: è possibile solamente per i beni mobili, gli immobili non sono mai res nullius e quando
non sono di proprietà dei privati, spettano al patrimonio dello Stato. Consiste nel materiale
impossessamento della cosa, accompagnato dall’intenzione di farla propria, rientra nella categoria di atti
giuridici nei quali la manifestazione coincide con una attuazione diretta della volontà. Si possono occupare
quelle cose che non sono in proprietà di alcuno per due motivi:
 perché non sono mai state proprietà di nessuno;
 perché sono state abbandonate dal proprietario.
La caccia e la pesca sono regolate da norme speciali e le relative statuizioni sono demandate alla
competenza delle regioni.
L’invenzione: le cose smarrite non possono essere occupare semplicemente come fossero abbandonate,
lo smarrire non implica la perdita di proprietà. E’ fatto obbligo al ritrovatore, che non conosca il
proprietario, di consegnare le cose al sindaco del luogo, il quale renderà nota la consegna per mezzo di
pubblicazione nell’albo del comune. Il proprietario, al quale la cosa venga restituita, deve pagare, se il
ritrovatore lo richiede, un premio del dieci percento fino al valore di € 5,16 e del cinque percento per il
sovrappiù. Trascorso un anno dall’ultimo giorno della pubblicazione senza che si presenti il proprietario, la
cosa diviene proprietà di chi l’ha trovata.
Il tesoro è qualunque cosa mobile di pregio, nascosta o sotterrata, di cui nessuno può provare di essere
proprietario. Se la cosa è ritrovata in un fondo o in un mobile altrui, e sia stata scoperta per caso, spetta
per metà al ritrovatore e per metà al proprietario del bene nel quale il tesoro era nascosto.
USUCAPIONE
Prescrizione e usucapione rispondono all’esigenza fondamentale di certezza nelle situazioni giuridiche,
nell’usucapione l’accento è posto sull’interesse che il soggetto per lungo tempo ha dimostrato di avere
per la cosa.
Il diritto di proprietà non si perde per il solo fatto dell’inerzia del proprietario, essendo, così come la
relativa azione di rivendicazione, imprescrittibile. Si perde però di fronte a chi abbia titolo per
l’usucapione; il proprietario inerte deve cedere di fronte a chi ha usucapito. L’inerzia del titolare è un
presupposto necessario per l’usucapione del possessore, l’esercizio effettivo del diritto di proprietà del
titolare è causa interruttiva di un’eventuale usucapione in corso.
Elemento primo dell’usucapione è il possesso, che deve avere i requisiti di cui abbiamo parlato. Non è

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richiesto che il possesso sia in buona fede. Per usucapire la proprietà, il possesso deve essere con l’animo
di tenere la cosa come propria, perché il godimento di fatto corrispondente a un diverso diritto reale su
cosa altrui porterebbe all’acquisto del diritto relativo (ad esempio, di servitù). Non sono usucapibili i beni
sottratti alla disponibilità dei privati (beni demaniali). Circa il tempo necessario per l’usucapione, il tempo
necessario si calcola tenendo conto anche dell'eventuale successione dei possessi:
• il periodo normale per acquistare la proprietà o gli altri diritti reali sopra beni immobili (art. 1158)
o universalità di beni mobili (art. 1160) è di venti anni;
• per gli immobili c’è una usucapione decennale a favore di chi abbia acquistato il possesso in
buona fede, in forza di un titolo astrattamente idoneo al trasferimento della proprietà, che sarà un
negozio traslativo posto in essere da chi non sia legittimato; questo titolo, inefficace ma non
invalido, deve essere trascritto, e dalla data di trascrizione decorre il decennio.
• Per le universalità di mobili l’usucapione è decennale quando il possesso si fonda su di un
acquisto in buona fede con titolo idoneo.
• Per i beni mobili, l’usucapione si attua in vent’anni se il possesso sia acquistato in mala fede, in
dieci anni se sia stato acquistato in buona fede ma non ci sia il titolo. Se ci sono
contemporaneamente titolo astrattamente idoneo e possesso iniziato in buona fede, l’acquisto
della proprietà è istantaneo.
• Se si tratta di beni mobili registrati, l’usucapione ordinaria si compie in dieci anni, se però
l’acquisto fu fatto in buona fede in base a titolo trascritto, l’usucapione si compie in tre anni dalla
trascrizione.
Circa le cause di impedimento, di sospensione o di interruzione, si applicano i principi generali già
illustrati a proposito della prescrizione. Nell'usucapione ordinaria ventennale per gli immobili non si
applicano riguardo al terzo possessore:
➢ le cause di sospensione riconosciute dall'art.2942;
➢ l'impedimento derivante da condizione o termine.
L’usucapione è interrotta di fatto quando il possessore è privato, nel possesso per oltre un anno.
ALTRI MODI D’ACQUISTO A TITOLO ORIGINARIO
L’accessione, l’unione e la commistione si possono far rientrare tutte in un ampio concetto di
accessione intesa come espansione della proprietà: qualche cosa che è altrui si unisce materialmente e
viene quindi attratta alla mia proprietà. L’accessione deriva da atto umano o da un evento naturale.
 Accessione di immobile a immobile:
o alluvione o incremento insensibile delle terre prospicienti un corso d’acqua;
o avulsione per l'aggiunta considerevole e riconoscibile di un pezzo di terreno staccatosi dal
fondo posto a monte;
o isola nata nel fiume;
o alveo derelitto.
Il terreno delle isole nate da fiume o abbandonato dal mare, dai fiumi, laghi o stagni, appartiene al
demanio pubblico, quale che sia stata la causa del fenomeno, naturale o fatto dall’uomo.
 Accessione di mobili a immobili: è conseguenza dell’opera dell’uomo, riguarda piantagioni,
costruzioni o altre opere. Il fenomeno si presenta con frequenza, a vantaggio del proprietario del
suolo: e ciò anche nel caso di costruzione sul suolo di un coniuge fatta con i mezzi della
comunione legale che esista con l’altro coniuge. Un’eccezione riguarda l’occupazione in buona
fede di una porzione di fondo attiguo al proprio fatta nella costruzione di un edificio; se il
proprietario del fondo occupato non fa opposizione entro tre mesi, l’autorità giudiziaria può
attribuire anche la proprietà del suolo occupato al costruttore dell’edificio, il quale però sarò
tenuto a pagare il doppio del valore della superficie occupata.
 Accessione di mobili a mobili prevede le due forme di unione e della commistione. Se cose
appartenenti a due o più proprietari sono state unite o mescolate in modo tale da formare un sol
tutto, e non è possibile separarle senza danno in modo tale da restituire a ciascuno la sua
proprietà, l’oggetto dell’unione o commistione resta in condominio, in proporzione del valore delle
cose spettanti a ciascuno. Se però una delle cose si può riguardare come principale o vale molto
più delle altre, il proprietario della cosa principale acquista la proprietà del tutto, salvo il
compenso per gli altri, e con l’obbligo di risarcimento quando l’unione o commistione sia avvenuta
per sua colpa grave.
La specificazione: il principio è che la proprietà della cosa trasformata spetta a chi ha fatto il lavoro utile.
La proprietà può tuttavia riconoscersi al proprietario della materia, se il valore di questa sorpassi di molto
il valore dell’attività trasformatrice. Naturalmente nell’un caso o nell’altro dovrà essere pagato il valore
della materia o quella del lavoro utile.
AZIONI A DIFESA DELLA PROPRIETA’
Le azioni riconosciute al proprietario, dette azioni petitorie, sono quattro. Inoltre al proprietario spettano
pure due azioni di nunciazione.
1. Azione di rivendicazione: ha lo scopo di far conseguire al proprietario il possesso definitivo
della cosa con ogni suo incremento. La rivendicazione viene esercitata da chi si pretende
proprietario, e non sia in possesso del bene; si dirige contro chiunque possiede o detiene la cosa.
Se la rivendica è immobiliare, la trascrizione della citazione fa sì che la sentenza avrà effetto
anche contro coloro che avessero acquistato diritti dal convenuto successivamente alla
trascrizione stessa. L’azione di rivendica è imprescrittibile.
Per avere ragione nell’azione di rivendica, l’attore deve dimostrare il suo diritto di proprietà; non

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basta provare un valido titolo di acquisto, compravendita... se non si dimostra che il dante causa
aveva a sua volta acquistato validamente lo stesso diritto da altro soggetto e così via. Si deve
risalire a un acquisto a titolo originario e a quello si appoggeranno efficacemente i successivi titoli
di trasferimento.
2. Azione negatoria: ha lo scopo di tutelare la pienezza del diritto di proprietà sulla cosa con
libertà dai pesi o dalle servitù pretese da altri sulla stessa. L’azione si esercita soltanto:
• contro le molestie cui corrisponda la pretesa di un diritto;
• quando dall’altrui pretesa ci sia motivo per temere un pregiudizio.
E’ sufficiente che il proprietario dia la prova del suo dominio, essendo sufficiente qualunque
mezzo di prova; spetterà eventualmente al convenuto la dimostrazione dell’esistenza di un valido
fondamento giuridico della sua pretesa. Se il proprietario rimarrà vincitore, avrà ottenuto una
tutela definitiva.
3. Azione di regolamento di confini: presuppone l’incertezza dei confini, e si esercita in due casi
diversi:
• ipotesi in cui si chiama il giudice a decidere dove arrivi il limite reciproco tra due fondi mentre
neppure le parti hanno una pretesa oggettivamente precisa;
• ipotesi di una zona di terreno ben delimitata che si discute se appartenga all’uno o all’altro
confinante.
È un'azione reale (sono in gioco gli interessi di attore e convenuto come proprietari) ed è
imprescrittibile con l'unico limite che può essere eccepita l'usucapione. Si tratta di un’azione dal
carattere duplice, nella quale entrambe le parti hanno un’analoga reciproca posizione di pretesa e
di difesa. Ogni mezzo di prova è ammesso: sarà rilevante il possesso, le consuetudini, le
testimonianze...; se nessuna delle parti dimostra il fondamento di una diversa pretesa e in
mancanza di altri elementi, il giudice dovrà attenersi al confine delineato dalle mappe catastali.
Presupposto caratteristico e unico necessario è l’incertezza del confine, la quale è poi molte volte
la causa di possesso promiscuo; anzi spesso si agisce con l’azione di confini appunto per porre
fine alla promiscuità.
4. Azione per l’apposizione di termini: viene intentata dal proprietario quando, non essendoci
incertezza sul confine tra i fondi, si vuole apporre la pietra o altro segno materiale del confine
stesso. La chiamata in giudizio del vicino viene fatta per dividere le spese e per attuare una
collaborazione che eviti successive discussioni. È di competenza del giudice di pace.
AZIONI DI NUNCIAZIONE A TUTELA DEL PROPRIETARIO E DEL POSSESSORE. CONCORSO DI AZIONI
PETITORIE E POSSESSORIE
Le azioni di nunciazione, che spettano sia al possessore in quanto tale, sia al titolare del diritto, che
abbia o non abbia il possesso della cosa, sono due:
• la denunzia di nuova opera: è diretta a impedire pericoli o limitazioni di godimento della cosa in
seguito a nuove attività da altri intraprese sul fondo vicino e si tende a evitare una illiceità. Il
giudice può permettere o vietare la continuazione dell’opera, dopo una prima sommaria
cognizione del fatto. L’azione non può essere proposta se l’opera è terminata o se è trascorso un
anno dal suo inizio.
Qualora il giudice decide di non vietare la continuazione, l’autore è tutelato nell’ipotesi che un più
attento esame dell’autorità giudiziaria competente dimostri che egli aveva invece fondato motivo
per denunziare la nuova opera. Se il risultato del giudizio definitivo sia favorevole al convenuto, è
giusto che quest’ultimo sia risarcito dagli eventuali danni derivanti dall’ordine di sospensione.
Pertanto una cauzione sarà di regola imposta a carico di colui che ottiene ragione nel provvisorio
giudizio.
• La denunzia di danno temuto viene diretta contro il pericolo di un danno grave e prossimo,
derivante da un edificio, albero o altre cose inanimate che siano però già esistenti nel fondo del
vicino. Il giudice stabilisce i provvedimenti atti a impedire il pericolo, oppure dispone idonee
garanzie. Nell’uno e nell’altro caso il giudizio ha carattere provvisorio. Per iniziativa della parte
interessata, alla decisione provvisoria potrà far seguito un provvedimento definitivo, volto alla
preservazione della cosa che forma oggetto della proprietà o del possesso; ma di per se la
decisione del giudice non risolve la questione del diritto alla continuazione dell’opera e non
pregiudica futuri accertamenti di pericoli o di danni.
Rimane da considerare l’ipotesi di concorso tra le azioni possessorie e le petitorie: i due tipi di azioni non
si escludono. La legge consente che anche in corso di giudizio petitorio siano proposte domande relative
al possesso davanti allo stesso giudice investito dalla causa principale. Le due cause procedono
contemporaneamente. La norma fa salva la possibilità di domandare la reintegrazione al giudice
competente per il possessorio, il quale darà i provvedimenti temporanei indispensabili: poi ciascuna parte
potrà decidere di proseguire il giudizio davanti al giudice del petitorio. Invece il convenuto nel giudizio
possessorio non può avanzare domanda petitoria né difendersi con eccezioni che tocchino la
dimostrazione della proprietà. La questione circa il possesso andrebbe decisa senza tener conto delle
eccezioni petitorie. Soltanto in seguito potranno essere vagliate le questioni circa l’esistenza del diritto di
proprietà e del diritto di possedere che ne fa parte.
A questo tradizionale principio che vieta il cumulo delle due azioni ha dato un duro colpo la Corte
Costituzionale che ha dichiarato l’illegittimità della subordinazione della proposizione dell’azione sul
fondamento del diritto (petitorio) alla definizione della controversia sul possesso, se da questo possa
derivare irreparabile pregiudizio al convenuto.

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SEZIONE V. LA PROPRIETA’ SUPERFICIARIA, L’ENFITEUSI, GLI USI CIVILI E GLI ONERI REALI
SUPERFICIE E PROPRIETA’ SUPERFICIARIA
Il codice prevede due ipotesi di superficie:
1. una proprietà superficiaria su costruzione esistente, edificata in base a titolo proveniente
dal proprietario del fondo, oppure alienata separatamente dalla proprietà del suolo,e che viene
quindi ad appartenere a un soggetto (superficiario) diverso dal proprietario del fondo;
2. un diritto di costruire.
Non è ammessa la proprietà separata delle piantagioni. Le eventuali piantagioni sul suolo altrui sono
regolate dalle norme sulle accessioni.
La costituzione del diritto di superficie può essere fatta anche a tempo determinato: pensiamo alla
concessione per costruire capanni o chioschi. Il diritto di superficie è un tipico diritto reale. Fintanto che
esiste un puro e semplice diritto di costruire, c’è solo il diritto reale su fondo altrui. Il diritto di fare la
costruzione si prescrive per non uso ventennale. Quando viene a costituirsi il bene di proprietà separata
nel fondo altrui, il diritto di superficie si incorpora con la proprietà dello stesso bene e si parla di proprietà
superficiaria. Il diritto di superficie si costituisce per contratto, a titolo oneroso, o gratuito, oppure per
testamento. La proprietà superficiaria relativamente a un bene già esistente si acquista anche per
usucapione.
ENFITEUSI
Si ha enfiteusi quando il proprietario, che non vuole direttamente interessarsene, cede ad altri il
godimento di un immobile, con l’obbligo di pagare un canone e di migliorare il fondo. La costituzione, che
è fatta in perpetuo o per lungo termine corrisponde a una virtuale alienazione.
L’enfiteusi può essere costituita anche per il miglioramento dei fondi urbani, si attua prevalentemente per
i fondi rustici incolti o trascurati, quando il titolare del bene non possa o non voglia assumersi le cure e le
spese di una più razionale coltura. Si può verificare anche l’ipotesi di chi voglia riadattare un fatiscente
castello medioevale.
Riguardo alla durata, il limite minimo è di vent’anni. Circa il titolo, può essere costituita per contratto, per
testamento o per usucapione.
In relazione diretta con il bene si trovano due soggetti:
• il proprietario che concede ad altri il fondo (concedente o direttario, come titolare del dominio
diretto);
• colui che riceve il fondo (enfiteuta o utilista, come titolare del dominio utile). L’enfiteuta deve
migliorare il fondo. Deve pagare al concedente un canone periodico, comunemente annuo, in una
somma di denaro o in una quantità fissa di prodotti. L’enfiteuta deve pagare le imposte e gli altri
pesi che gravano sul fondo e deve fare una ricognizione del diritto del concedente, quando ne
venga fatta richiesta un anno prima del compimento del ventennio. I diritti dell’enfiteuta sono gli
stessi che avrebbe il proprietario sui frutti del fondo, sul tesoro e sui prodotti del sottosuolo.
Importante è il diritto di affrancazione o riscatto che consiste nella facoltà concessa all’enfiteuta di
diventare proprietario puro e semplice del fondo, pagando la somma che si ottiene capitalizzando il valore
del canone annuo.
L’enfiteuta perde il diritto:
➢ per non uso durante 20 anni;
➢ per devoluzione che consiste nel diritto che ha il concedente di riavere il fondo libero quando
l’enfiteuta non adempia l’uno o l’altro dei suoi obblighi ovvero
◦ se non porta miglioramenti al fondo, o peggio se lo deteriora;
◦ se è in mora nel pagamento di due annualità di canone.
Può tuttavia ottenere l'affrancazione, anche dopo la richiesta di devoluzione, pagando il debito prima che
sia intervenuta la sentenza che accoglie la domanda di devoluzione.
USI CIVICI E ANTICHE PROPRIETA’ COLLETTIVE
Gli usi civici sono diritti spettanti sulla proprietà altrui (pubblica o privata) a una collettività di persone
es. cittadini di un comune che hanno diritto di far legna in un bosco. Il diritto, negli usi civici, spetta al
singolo quale membro di collettività e non personalmente come individuo. Pertanto, gli usi civici sono
considerati diritti collettivi di carattere pubblico e come tali sono essenzialmente inalienabili e
imprescrittibili.
ONERI REALI
Nell’alienazione del diritto enfiteutico fatta al concedente, dell’atto di vendita, il precedente enfiteuta è
liberato dai suoi obblighi, quindi il canone dovrà essere pagato dal nuovo enfiteuta.
Onere reale è ogni prestazione a carattere periodico che è dovuta dal soggetto solo in quanto è nel
godimento di un bene e consiste nel dare o nel fare qualche cosa. Colui che si trova nel godimento del
bene gravato da onere reale risponde delle prestazioni il cui obbligo si è maturato dal momento del suo
possesso e di quelle maturate in precedenza. Nell’onere reale il collegamento con la cosa costituisce il
titolo, unico, dell’obbligo di prestazione. Il titolare del corrispondente diritto si gioverà di un’azione reale;
questa realità ha significato di garanzia, per cui il creditore può sempre ricavare forzatamente dal fondo
gravato il valore della prestazione che gli è dovuta.
L’onere reale si estingue, oltre che per le ordinarie cause di estinzione dei diritti, per il perimento o per
l’abbandono del fondo. Tra gli oneri reali vanno annoverati il censo, il canone enfiteutico e l'onere del
pagamento dei tributi consorziali.
SEZIONE VI. I DIRITTI REALI SULLA COSA ALTRUI. LE SERVITU’ PREDIALI IN PARTICOLARE
CATEGORIA DEI DIRITTI REALI DI GODIMENTO SULLA COSA ALTRUI

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La proprietà, come diritto pieno ed esclusivo, può essere compressa da diritti che altre persone abbiano
verso il proprietario del bene e da diritti esistenti sulla cosa stessa. Questi diritti si chiamano diritti
limitati o parziari.
Tutti i diritti limitati di cui parliamo sono diritti reali, come diritti patrimoniali assoluti.
Il diritto di seguito è una diretta conseguenza della realità: esso è proprio di tutti i diritti reali sulla cosa
altrui, appunto perché seguono la cosa, la quale rimane sempre oggetto del diritto di cui si tratta,
chiunque ne sia il proprietario.
I diritti reali su cosa altrui si sogliono distinguere in due grandi categorie: diritti di garanzia e diritti di
godimento. I diritti reali di garanzia (ci riferiamo a pegno e ipoteca, ai quali la dottrina ha negato la
qualifica di diritti reali) consistono nel vincolo giuridico cui è assoggettata la cosa per la garanzia a
vantaggio di un creditore. Tali diritti si fondano sul valore di scambio della cosa. I diritti limitati di
godimento conferiscono al titolare un più o meno ampio potere di utilizzazione della cosa e vengono
costituiti sia a favore di una persona determinata sia a favore di un soggetto in quanto proprietario di un
determinato fondo.
I diritti reali sulla cosa altrui sono unicamente quelli tipici, previsti e regolati dalla legge. Solo per quanto
riguarda la servitù è stata lasciato un margine di elasticità, nel senso che la volontà dei costituenti può
stabilire una serie indefinita di vincoli reali corrispondenti a diverse utilizzazioni, sempre restando entro il
tipo servitù.
CARATTERISTICHE COMUNI DEI DIRITTI REALI DI GODIMENTO SU COSA ALTRUI
I diritti reali sopra la cosa altrui si esercitano senza bisogno che il proprietario faccia alcunché; la cosa
stessa fornisce l'utilità pratica che ne è il contenuto. L'atteggiamento del proprietario deve consistere in
un sopportare, lasciar fare, oppure in un non fare, nel non esercitare taluna delle sue facoltà.
Una volta che i diritti parziari sulla cosa altrui non abbiano più un proprio distinto titolare, si estinguono
completamente. La confusione, o consolidazione, che si ha quando proprietà e usufrutto, ovvero
proprietà dominante e proprietà del fondo servente, si riuniscono nella stessa persona, è una
caratteristica causa di estinzione di questi diritti.
Altra caratteristica comune dei diritti reali parziali è la loro estinzione per non uso ventennale.
La difesa di questi diritti è accordata sopra tutto con l’azione confessoria, la quale, è il contrario
dell’azione negatoria che è prevista a difesa della proprietà. Si esercita da chi pretende di avere il diritto
reale sulla cosa altrui, contro il proprietario e contro chiunque ne contesti l’esercizio. I diritti reali parziari
sono oggetto di possesso, e quindi chi si trova nell’effettivo godimento di uno di tali diritti può esercitare
le relative azioni possessorie.
SERVITU’ IN GENERALE
L’art.1027 definisce la servitù come un peso, cioè come la limitazione imposta al godimento di un
fondo, per l’utilità di un altro fondo appartenente a diverso proprietario; per utilità si intende non
solo un vantaggio economico, ma anche una maggiore comodità o amenità. La costituzione di servitù è
ammessa anche a vantaggio o a carico di un fondo futuro. La costituzione di servitù è ammessa anche a
vantaggio o a carico di un fondo futuro.
Il contenuto della servitù si concreta sempre nel vantaggio per un fondo e nella restrizione di godimento
per un altro fondo. Esistono, quindi, un fondo servente e un fondo dominante: la servitù è costituita a
vantaggio del proprietario del fondo dominante contro una corrispondente limitazione nel diritto dell’altro
proprietario. La predialità presuppone un concetto impersonale dell’utilità da trarre dal fondo: per
l’essenza della servitù non basta un solo vantaggio del proprietario che non sia in relazione con un
vantaggio del fondo; il proprietario del fondo dominante riceve il vantaggio della servitù attraverso il suo
bene.
Talvolta esistono a carico del fondo servente alcuni obblighi di fare, obblighi che sono prestazioni
accessorie rispetto al contenuto principale della servitù, e dai quali è previsto che il proprietario del fondo
servente possa liberarsi con l'abbandono del fondo.
Sono requisiti comuni di tutte le servitù la vicinanza dei fondi e la perpetua causa. Caratteristiche
giuridiche comuni sono l'inscindibilità e l'indivisibilità. Occorre almeno una certa vicinanza dei fondi,
vicinanza tale da permettere l'utilità diretta per il fondo dominante. Elemento essenziale della servitù è
l’utilità del fondo dominante; l’interesse e l’attitudine a soddisfarlo del fondo servente devono essere non
contingenti. Il requisito della perpetua causa significa che la servitù anche se non è destinata a durare
perpetua, deve rispondere a una durevole utilità per il fondo dominante.
La servitù, costituita in relazione a u bisogno del fondo dominante, e per sua natura indivisibile; non può
essere acquistata, esercitata o perduta se non interamente. Se il fondo dominante o quello servente
vengono divisi tra più proprietari, la servitù sussiste interamente a favore o a carico di ciascuno di essi.
DISTINZIONI TRA LE SERVITU’
Una prima distinzione ha importanza pratica specialmente in relazione ai modi d'acquisto:
• servitù apparenti: sono quelle servitù al cui esercizio vengono destinate opere visibili e
permanenti (es. acquedotto). Per opere si intendono quelle opere artificiali o tracce naturali di
natura permanente da cui si possono dedurre gli elementi della servitù. Deve essere manifesta
anche la loro funzionalità rispetto al vantaggio del fondo dominante.
• Esempi di servitù non apparenti sono le servitù che prevedono il divieto di fabbricare o di
innalzamento della costruzione oltre una certa altezza, la servitù di attingere acqua o la servitù di
pascolo.
Trova applicazione nella legge per stabilire la diversa decorrenza del termine iniziale della prescrizione la
distinzione tra:
➢ servitù continue: sono quelle servitù per il cui esercizio non è necessario il fatto dell’uomo;

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➢ servitù discontinue: sono quelle servitù per il cui esercizio si rende necessaria l’attività umana.
➢ Servitù positive: sono quelle per le quali il fondo servente deve sopportare l’attività del
proprietario del fondo dominante (es. diritto di passaggio).
➢ Servitù negative: sono le servitù a causa delle quali viene proibito al proprietario del fondo
servente di esercitare una delle facoltà normalmente contenute nel suo diritto di proprietà (servitù
di non sopraelevare).
Circa il titolo costitutive è importante la distinzione tra:
✗ servitù volontarie: vengono costituite per effetto di un atto di parte (contratto o testamento) o
per usucapione;
✗ servitù coattive: hanno la loro fonte nel comando legislativo e nel caso che il proprietario del
fondo servente non acconsenta di addivenire a un contratto, sono costituite con sentenza del
giudice.
Può darsi che una servitù volontaria e una servitù coattiva abbiano uguale contenuto ma a seconda che si
tratti dell’uno a dell’altra cambiano le conseguenze: il proprietario del fondo servente può far cessare le
servitù coattive quando siano venuti meno alcuni dei requisiti necessari per la loro costituzione, mentre le
servitù che siano state costituite per volontà degli interessati non cessano solo perché ne sia venuta a
mancare l’utilità attuale.
SERVITU’ COATTIVE O LEGALI
Le servitù coattive sono previste in ipotesi nelle quali la legge attribuisce al proprietario il diritto di
ottenere la costituzione di una servitù sopra il fondo di altro proprietario, coattivamente, cioè senza
bisogno del consenso di chi la deve subire. Le servitù coattive si differenziano nella loro sostanza dalle
volontarie, perché queste ultime costituiscono delle vere limitazioni poste dal di fuori all’esercizio della
proprietà; le prime, invece, rientrano tra i limiti legali che determinano in astratto il contenuto di
proprietà. Le servitù coattive si differenziano dai limiti di buon vicinato perché mancano la reciprocità, la
gratuità, la nascita automatica con il solo presupposto della vicinanza dei fondi. Inoltre le servitù sono
sempre poste a vantaggio di un fondo, mentre ciò non si può dire per tutti gli altri limiti legali.
La legge stabilisce in astratto il diritto a ottenere una servitù coattiva in favore del proprietario di un
fondo. Perché sorga la servitù è necessario che il diritto venga determinato e attuato in concreto:
• o per mezzo di un accordo tra proprietario del fondo dominante e proprietario del fondo servente
(scritto e trascritto);
• o per mezzo di una sentenza del giudice, il quale stabilirà le modalità di esercizio della servitù e
l’indennità dovuta al proprietario del fondo servente.
Il proprietario che viene gravato dalla servitù coattiva ha sempre diritto a una indennità. Servitù coattive
sono:
➢ il passaggio coattivo: costituisce una grave limitazione del diritto che ha il proprietario di
escludere ogni altra persona dal suo fondo. Tre sono le ipotesi nelle quali si deve concedere il
passaggio coattivo:
✗ quando un fondo intercluso tra le proprietà altrui non ha una via d’accesso sulla strada
pubblica, oppure può procurarsela soltanto con eccessivo dispendio o disagio;
✗ quando è diretta all’ampliamento del passaggio esistente, allo scopo di farvi transitare veicoli
di qualsiasi specie;
✗ quando il fondo abbia bensì un accesso alla via pubblica, ma insufficiente e non ampliabile: un
nuovo passaggio sarà concesso nell’interesse generale dell’agricoltura o dell’industria.
In tutte le ipotesi previste devono escludersi dalla costituzione della servitù passiva le case, i
cortili, i giardini ecc. E’ sempre dovuta una indennità proporzionale al danno subito dal fondo
servente.
➢ La somministrazione coattiva dell’acqua a un edificio o a un fondo: il proprietario di un edificio ha
diritto alla somministrazione dell’acqua, anche se egli potrebbe procurarsela altrove ma con
eccessivo dispendio; per il fondo servente deve fornire soltanto quella che eccede i suoi bisogni e
nella misura massima delle esigenze indispensabili del fondo dominante.
➢ L’acquedotto coattivo: consiste nel diritto di far passare le acque proprie attraverso fondi altrui.
Per la costituzione di tale servitù sono necessari alcuni requisiti:
✗ che il richiedente abbia il diritto di disposizione o di godimento delle acque;
✗ che queste acque siano sufficienti per l’uso al quale si vogliono destinare;
✗ che il passaggio richiesto sia il più conveniente per il fondo servente;
✗ che venga costruito un apposito acquedotto, quando il proprietario del fondo servente non
consente il passaggio dell’acqua attraverso un suo acquedotto già esistente.
➢ Lo scarico coattivo delle acque: tale servitù è fatta allo scopo di prosciugare e bonificare i terreni e
vi si applicano gli stessi principi della servitù di acquedotto coattivo.
➢ L’appoggio e l’infissione di chiusa: colui che ha già il diritto di far derivare acque per proprio uso
da fiumi, torrenti, canali, laghi, serbatoi ecc., può chiedere tale servitù.
➢ Il passaggio coattivo di linee telefoniche e di elettrodotti: consistono nel diritto di far passare le
condutture elettriche e gli impianti funicolari attraverso i fondi altrui e di compiere nei fondi stessi
le opere, le occupazioni e le riparazioni necessarie.
MODI DI COSTITUZIONE DELLE SERVITU’ VOLONTARIE
Tutte le servitù volontarie possono costituirsi per titolo: contratto o testamento. Il contratto deve essere in
forma scritta e in ogni caso il titolo va trascritto. Per costituire servitù sul fondo che appartiene in comune
a diversi proprietari è necessario il consenso di tutti; può concederla anche l’enfiteuta. Se la servitù sul
fondo altri viene acquistata dall'enfiteuta o dall’usufruttuario rimane acquisita al fondo.

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Mentre le servitù non apparenti si costituiscono soltanto per titolo, le servitù apparenti possono
acquistarsi anche per usucapione e per destinazione del padre di famiglia: tale destinazione è
indipendente dall’esistenza di un atto di volontà diretto a costituire servitù.
ESERCIZIO E ESTINZIONE DELLE SERVITU’
Le norme del Codice in materia di contenuto ed esercizio delle servitù hanno soltanto valore dispositivo: si
applicano cioè quando il titolo non disponga al riguardo. Il diritto del titolare del fondo dominante si
estende a tutto ciò che è necessario per trarre l’utilità assicurata dalla servitù. Con l’acquisto della servitù
si acquistano tutte le facoltà accessorie necessarie per il suo esercizio. Circa il modo di esercizio il criterio
per determinare il contenuto del diritto è dato dal possesso, cioè dalla esistente situazione di fatto
rispetto al godimento che si ha sul fondo servente. La servitù va usata in modo da soddisfare il bisogno
del fondo dominante con il minor aggravio del fondo servente. Il proprietario del fondo servente non può
compiere alcuna cosa che tenda a diminuire l’esercizio della servitù o a renderlo più incomodo.
Le servitù si estinguono per:
• rinunzia del proprietario del fondo dominante;
• la scadenza del termine o il verificarsi della condizione risolutiva;
• abbandono del fondo servente;
• prescrizione;
• impossibilità di uso e mancanza di utilità protratte per venti anni;
• confusione.
Le servitù coattive si estinguono anche in seguito a sentenza che accerti esser venuta meno la situazione
di fatto che era stata la ragione per l’acquisto della servitù.
Il mutamento della situazione di fatto, che porti all’impossibilità concreta della servitù volontaria e il venir
meno dell’utilità della servitù stessa fanno estinguere il diritto soltanto con il decorso del termine di
prescrizione. Entro il ventennio la possibilità d’uso o d’utilità possono ripresentarsi, e ritorna allora anche
la servitù.
La servitù si estingue per prescrizione quando non se ne usi per venti anni. Se più sono i titolari della
servitù, il godimento da parte di uno di essi impedisce la prescrizione; così pure la sospensione o
l'interruzione a vantaggio di uno dei proprietari del fondo dominante giova anche agli altri.
SEZIONE VII. L’USUFRUTTO, L’USO E L’ABITAZIONE
DEFINIZIONE DELL’USUFRUTTO
L'usufruttuario ha il diritto di usare e di godere, non ha invece un diritto alla consumazione del bene. Egli
può trarre dalla cosa ogni utilità che questa è in grado di dare dovendo rispettare l'esistenza della cosa
stessa e la sua destinazione economica. Il proprietario del bene che è oggetto di usufrutto si chiama nudo
proprietario. L’usufrutto è per sua essenza un diritto temporaneo e in nessun caso la durata dell’usufrutto
può eccedere la vita dell’usufruttuario in quanto è un diritto assolutamente intrasmissibile agli eredi. La
morte che sopravviene prima della scadenza estingue sempre il diritto. Se l’usufrutto è ceduto a terzi, il
diritto si estingue nel concessionario alla morte del cedente, cioè di colui in favore del quale il diritto fu
costituito. L’usufrutto costituito a favore di persona giuridica non può durare più di trent’anni.
L’usufrutto è un diritto reale, cioè un diritto che il soggetto ha direttamente sulla cosa, in concorrenza con
il diritto del proprietario; appartiene quindi alla categoria dei diritti di godimento sulla cosa altrui.
Nell’usufrutto il diritto persegue il bene che ne è oggetto, chiunque ne sia il proprietario. L’usufrutto si
costituisce per volontà dell’uomo, con atto tra vivi, o mortis causa, oppure per usucapione. L’usufrutto su
di un bene mobile si potrà conseguire anche come effetto dell’acquisto in buona fede, con un titolo
appunto di usufruttuario, del possesso del bene.
Il contratto di costituzione di usufrutto su beni immobili dev’essere fatto per iscritto e va reso pubblico per
mezzo della trascrizione. L’usufrutto si costituisce talvolta anche per legge, com’è per l’usufrutto legale
sui beni dei figli minori a favore dei genitori.
OGGETTO DELL’USUFRUTTO
Qualunque bene, mobile o immobile, può formare oggetto di usufrutto; comprese universalità di diritto e
di fatto e anche beni immateriali (es. usufrutto del diritto di autore) o le cose consumabili (quasi
usufrutto). In tale ultima ipotesi la legge stabilisce che l’usufruttuario acquista la proprietà del bene
consumabile; al termine dell’usufrutto egli sarà obbligato:
• a pagarne il valore, se fu fatta la stima;
• a consegnare altrettante cose della medesima specie e qualità;
• a pagare il valore che cose della stessa specie avranno alla fine dell’usufrutto.
Se oggetto dell’usufrutto sono cose deteriorabili, l’usufruttuario può servirsene secondo l’uso al quale
sono destinate, per restituirle poi nello stato in cui si troveranno alla fine dell’usufrutto. Quando si tratti di
impianti, opifici o macchinari, l’usufruttuario deve fare le riparazioni e anche le sostituzioni necessarie per
assicurarne il regolamentare funzionamento.
DIRITTI INERENTI ALL’USUFRUTTO
L’usufruttuario ha il diritto di ottenere il possesso della cosa nello stesso stato in cui si trova.
L'usufruttuario fa suoi tutti i frutti naturali e civili; se l'usufruttuario e il proprietario si succedono nel
godimento di un fondo entro il periodo ciclico della produzione agraria, i prodotti della terra si dividono in
proporzione della durata del rispettivo diritto sul fondo stesso, così come le spese. L’usufruttuario può
vendere (cessione dell’usufrutto) e ipotecare il suo diritto purché non sia vietata dal titolo costitutivo o
dalla legge.
A tutela del suo diritto all’usufruttuario spetta l’azione confessoria; inoltre, se è nel godimento del bene,

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potrà esercitare le azioni possessorie; infine può intentare anche le azioni di enunciazione. I diritti che
spettano al nudo proprietario sono quello di alienare e ipotecare la nuda proprietà; fare propri i tesori e gli
alberi di alto fusto non fruttiferi. Egli può esigere il pagamento degli interessi delle somme pagate per
riparazioni straordinarie, per carichi gravanti sulla proprietà o per liti che interessino anche il diritto
dell’usufruttuario. Può far promuovere dal giudice i provvedimenti contro gli abusi eventuali compiuti
dall'usufruttuario, facendogli togliere l'amministrazione o facendo cessare l'usufrutto.
OBBLIGHI NASCENTI DALL’USUFRUTTO
Prima di prendere possesso del bene, l’usufruttuario deve compiere, a sue spese, l’inventario dei beni
mobili e la descrizione dei beni immobili; se non ne è dispensato, deve dare un'idonea garanzia (se
l'obbligo di garanzia non è osservato, oppure se le garanzie sono insufficienti, viene tolta all'usufruttuario
l'amministrazione, ma gli vengono comunque attribuiti i frutti). Durante l’usufrutto, l’usufruttuario deve
usare la diligenza del buon padre di famiglia. Cessato l’usufrutto, il principale obbligo dell’usufruttuario, o
dei suoi eredi, è di restituire la cosa che formava oggetto del diritto.
ESTINZIONE DELL'USUFRUTTO
Altro caso di estinzione è il totale perimento della cosa su cui il diritto è costituito: se c’è un
responsabile del perimento, e così pure se il bene venne espropriato o requisito, l’usufrutto si trasferisce
sull’indennità dovuta. Oppure può esserci surrogazione reale: si ha quando la cosa era assicurata, in tal
caso l’usufrutto si trasporta sull’indennità dovuta all’assicuratore.
Un altro modo di estinzione è l’abuso: deve trattarsi di un abuso grave da parte dell’usufruttuario, il
quale abbia alienato il bene, oppure lo abbia deteriorato o lasciato andare in deperimento per mancanza
di ordinarie riparazioni.
A garanzia del rimborso delle somme anticipate dove c'era l'obbligo del proprietario, all'usufruttuario
spetta il diritto di ritenzione sul bene in usufrutto, fino al completo soddisfacimento delle sue ragioni.
USO E ABITAZIONE
L’uso è una specie di usufrutto limitato, e il diritto di abitazione è una particolarità di uso che ha per
oggetto una cosa adibita appunto ad abitazione per il titolare del diritto stesso. L’usuario può usare
direttamente la cosa mobile o immobile altrui e, se questa fruttifera, ha pure il diritto di goderne i frutti
ma non oltre le rendite che gli forniscono i mezzi necessari alla vita sua e della propria famiglia. Egli
venderà i frutti naturali che la famiglia non gode direttamente, fino a trarne la somma necessaria per i
bisogni familiari.
Anche per l’abitazione è fissato un limite al godimento: questo è riconosciuto alla sola persona del titolare
e ai membri della sua famiglia.
I diritti di uso e di abitazione sono personalissimi, nel senso che non possono essere ceduti. Ancora meno
vicino al diritto reale è l’attribuzione che, dell’abitazione, viene fatta al coniuge separato cui vengono
affidati i figli: sarà solo un titolo di preferenza a ottenere la possibilità concreta di conservare la situazione
di fatto e di diritto nella casa abitata.
SEZIONE VIII. LA PROPRIETA' INTELLETTUALE
TUTELA GIURIDICA DELL'INOVAZIONE
La proprietà intellettuale ha ad oggetto la tutela di risultati innovativi realizzati nel campo delle opere di
carattere creativo, dell'innovazione tecnologica e della comunicazione d'impresa.
Tali diritti:
• sono esclusivi;
• garantiscono al loro titolare un periodo di tempo limitato, di sottrazione alle regole della
concorrenza;
• hanno una durata limitata nel tempo 8il titolare del diritto gode di un diritto esclusivo di
sfruttamento dell'opera, ma solo per un periodo limitato di tempo che varia in relazione
all'intensità dell'esclusiva).
Decorso il periodo di protezione il trovato torna in pubblico dominio e può essere sfruttato
economicamente da chiunque vi abbia interesse.

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CAPO VIII. I DIRITTI DI OBBLIGAZIONE IN GENERALE


SEZIONE I. VITA ED EFFICACIA DELL’OBBLIGAZIONE
FONTI DELLE OBBLIGAZIONI IN GENERALE
Il rapporto obbligatorio si considera come una situazione giuridica e l’esistenza di tale rapporto richiede
una causa. Le obbligazioni derivano da contratto, da fatto illecito, o da ogni altro atto o fatto idoneo a
produrle in conformità dell’ordinamento giuridico. Predominanza tra tutte le fonti è attribuita al contratto,
strumento caratteristico della collaborazione volontaria, base della nostra vita di relazione nel campo
economico.
Dal contratto possono sorgere rapporti obbligatori di qualsiasi genere e del più vario contenuto, in quanto
l’ordinamento giuridico attribuisce alle parti la facoltà di accordarsi come vogliono; ciascuno,
manifestando la propria volontà, può essere il più efficace tutore dei propri interessi, perciò è consentito
alle parti di dettare le norme dei loro reciproci rapporti.
L’art. 1987 limita espressamente il riconoscimento della promessa unilaterale ai soli casi ammessi per
legge.
In altre ipotesi, il vincolo obbligatorio sorge senza la volontà di colui che viene a trovarsi obbligato: si dice
comunemente che fonte dell'obbligazione, quando manchi la volontà dell'obbligato, è la legge. Nella
categoria di fonti rispetto alle quali il vincolo non è voluto dall'obbligato, troviamo principalmente ancora
l’atto illecito; anche quando l’illecito è volontario (doloso), non è l’obbligazione di risarcimento che è
volontaria, perché chi ne rimane obbligato non ha voluto tale conseguenza giuridica del suo atto, e cioè
l’obbligo di riparare.
In conseguenza di un agire lecito, l'obbligazione può sorgere in due ipotesi particolari:
• gestione di affari;
• pagamento dell'indebito.
EFFETTI DELLE OBBLIGAZIONI E SANZIONI PER L’INADEMPIMENTO
Norme generali di fondamentale importanza sono contenute:
➢ nell'art. 1176 il quale dice che nell’adempimento dell’obbligazione il debitore deve usare la
diligenza del buon padre di famiglia;
➢ nell'art. 1218 il quale sancisce l’obbligo del risarcimento del danno per l’inadempimento quando
il debitore non provi l’impossibilità di adempiere derivante da causa a lui non imputabile.
L’obbiettivo giuridico della realizzazione del diritto del creditore si attua mediante l’azione personale che
mira in primo luogo all’esecuzione diretta dell’obbligo. Dove non sia possibile l’esecuzione con
l’adempimento coattivo ad opera del giudice, la pretesa del creditore si dirige a ottenere il risarcimento
del danno, rimedio generalissimo al quale il creditore ricorre, non soltanto quando non sia possibile
l'esecuzione forzata diretta, ma anche quando egli preferisca tale forma di soddisfazione.
In genere le due principali forme di sanzione giuridica sono l’esecuzione e la pena, nelle obbligazioni la
figura della pena rimane del tutto secondaria; essa è attuata quando le parti, stabilendo una clausola
penale, abbiano inteso aggravare la misura del danno da liquidare. Il risarcimento del danno è la più
importante tra le sanzioni per chi viola il comando obbligatorio. Art. 1218: il debitore che non segue
esattamente la prestazione dovuta è tenuto al risarcimento del danno. Non si deve interpretare però
come se il debitore fosse posto nell’alternativa di adempiere l’obbligazione o di risarcire il danno; è
prevista, dove possibile, anche una esecuzione forzata in forma specifica. Se l'obbligo è di consegnare
una cosa determinata, l'avente diritto può ottenere la consegna o il rilascio. Se non è adempiuto un
obbligo di fare, l’avente diritto può ottenere che esso sia eseguito a spese dell’obbligato ma attraverso
l’attività altrui talora si ottiene lo stesso risultato. Se è violata un'obbligazione di non fare, l'avente diritto
può ottenere che a spese dell'obbligato sia distrutto ciò che è stato fatto in violazione dell'obbligo.
SODDISFAZIONE CONCRETA DEGLI INTERESSI DEL CREDITORE
C’è un principio generale per cui il debitore risponde delle obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e
futuri. I due poli per determinare l'efficacia delle obbligazioni sono:
• l’art. 1218 stabilisce la responsabilità del debitore e precisa che il contenuto
dell’obbligazione si converte, da quello che era l’originario oggetto, nell’obbligo di pagare una
somma di denaro a titolo di risarcimento;
• l’art. 2740 precisa che il soddisfacimento delle pretese del creditore si attua con la soggezione di
tutto il patrimonio dell’obbligato con la liquidazione del patrimonio stesso.
I creditori hanno tutti un egual diritto di essere soddisfatti sui beni del debitore. La realizzazione si attua
però in modo diverso nell’esecuzione singolare.
La responsabilità patrimoniale del debitore non si estende ad alcuni beni: per esempio vi sono
parzialmente sottratti stipendi e salari, non possono essere pignorati il letto, alcuni vestiti e gli strumenti
per il lavoro.
SEZIONE II. NATURA ED ELEMENTI DEL RAPPORTO OBBLIGATORIO
CONCETTO DI OBBLIGAZIONE
Se c’è un debitore ci sarà necessariamente anche un creditore: debitore e creditore sono i soggetti del
rapporto obbligatorio che è un rapporto personale. Il rapporto obbligatorio, come situazione giuridica, si
afferma di fronte a tutti, ma il suo contenuto consiste nella pretesa di un soggetto alla prestazione di uno
o più altri soggetti; l’elemento caratteristico è dato dal soggetto passivo, dall'obbligato, nei cui riguardi si
concepisce il diritto di credito. I diritti di obbligazione hanno il carattere della determinatezza: il diritto
presuppone uno o più scopi da perseguire, che consistono nella soddisfazione di interessi del creditore nei
confronti di uno o più debitori. C’è un rapporto personale tra il creditore e il debitore, che implica una
soggezione del debitore di fronte al creditore. L’obbligazione, quando è assunta volontariamente, diventa

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necessità in conseguenza del riconoscimento giuridico.


L’obbligazione è vincolo giuridico; contenuto dell'obbligo è una prestazione.
La presenza di una prestazione da adempiere distingue le obbligazioni dagli altri obblighi giuridici da
osservare anche nel diritto privato.
CONTENUTO DELL’OBBLIGAZIONE NEL DIRITTO MODERNO
L’obbligazione consiste in un vincolo personale, che non va confuso con l’effetto finale, cioè con il risultato
di quella che dovrà essere la prestazione del debitore. L’obbligo di condotta, come oggetto
dell’obbligazione, consiste in un comportamento che il debitore deve tenere idoneo a soddisfare
l’interesse del creditore, cioè in una prestazione. Il dovere di prestazione del debitore ha come correlativo
un diritto di credito, una pretesa del creditore.
Si impone alle parti un comportamento fondato sulla buona fede nell’esercizio dei propri diritti, quanto
nell’adempimento dei propri doveri. La correttezza richiesta al debitore va anche al di là dell’osservanza
letterale del titolo che lo vincola: potrebbe trovarsi a dover eseguire prestazioni non previste o a tollerare
modifiche della prestazione, e un suo rifiuto va considerato contrario a buona fede se la condotta che gli
viene richiesta non comporta un sacrificio apprezzabile e non previsto a priori.
DEBITO E RESPONSABILITA’ PATRIMONIALE
Il diritto del creditore, che ha per oggetto una prestazione del debitore, nell'ipotesi che questa prestazione
non si attui, si concreta nella pretesa a una diversa soddisfazione patrimoniale. Così l’obbligazione si
potrebbe anche scomporre nei due elementi:
• del debito, che si riferisce al diretto rapporto tra i soggetti;
• della responsabilità che consiste quasi in una proiezione dell’obbligo sul patrimonio dell’obbligato.
La regola è che la responsabilità si manifesta come conseguenza del debito. Ma ci sono casi di
responsabilità senza debito.
Al posto del vincolo personale del debitore si afferma una maggior considerazione della responsabilità
patrimoniale; una stessa obbligazione può continuare ad esistere pur se mutano i soggetti.
OGGETTO DELL’OBBLIGAZIONE E PRETESA DEL CREDITORE AL RISULTATO
Dobbiamo fare una distinzione secondo le diverse obbligazioni:
• in alcuni casi vediamo che si tratta del preciso dovere di compiere quanto è possibile, e potremmo
parlare di obbligazione di mezzi;
• in altri casi si è obbligati a un risultato.
Nelle obbligazioni contrattuali di fare si distingue secondo quello che fu l’accordo delle parti. Se
l’obbligazione è di risultato, l’adempimento si intende avvenuto soltanto quando il risultato è raggiunto;
se è di mezzi, l’obbligazione è adempiuta quando è stata impiegata l’attività che si poteva richiedere alla
diligenza del buon padre di famiglia.
Qualunque sia l'oggetto immediato dell'obbligo, quando il debitore dimostra di aver fatto quanto poteva
richiedersi alla diligenza del buon padre di famiglia rimane esente da responsabilità per inadempimento.
PATRIMONIALITA’ DELLA PRESTAZIONE
L’art. 1174 dice che la prestazione deve essere suscettibile di valutazione economica e corrispondere a
un interesse, anche non patrimoniale, del creditore. Il requisito della patrimonialità della prestazione non
presuppone come necessario l’interesse pecuniario del creditore: l’interesse alla prestazione non implica
che la prestazione stessa debba arrecare un vantaggio economico.
La prestazione deve essere economicamente valutabile, perché l’obbligazione, nel suo contenuto e nelle
sanzioni previste per l’inadempimento, fa parte dei rapporti patrimoniali. Fuori dal campo patrimoniale ci
saranno degli obblighi, ma non delle obbligazioni in senso tecnico. Gli obblighi di carattere puramente
morale sono lasciati alla spontaneità dell’adempimento. Per gli obblighi di carattere giuridico che non
hanno contenuto patrimoniale, come quelli del diritto di famiglia, le sanzioni sono diverse.
ALTRI REQUISITI DELLA PRESTAZIONE
La prestazione deve essere possibile.
L’impossibilità può essere:
➢ assoluta e oggettiva: è la sola che determina la nullità dell’obbligazione, cosi che la prestazione
non può essere in nessun modo adempiuta, qualunque sia il soggetto ad essa obbligato;
➢ relativa: è l’impossibilità che ha riguardo alla sola persona del debitore o alla sua capacità
economica o alle sue attitudini. In tali casi l’impossibilità andrà valutata sul piano
dell’inadempimento.
➢ Fisica: quando la prestazione è impossibile in natura, come sarebbe quella di chi si impegnasse a
dare una cosa già distrutta o a compiere un’azione inattuabile in concreto;
➢ giuridica: quando la prestazione, pur non consistendo di per sé un illecito, non è possibile in
conseguenza di un divieto legislativo.
➢ Originaria o sopravvenuta: però l’obbligazione è riconosciuta valida quando la prestazione
inizialmente impossibile diviene possibile prima dell’avverarsi della condizione sospensiva o della
scadenza del termine iniziale. L’impossibilità temporanea non impedisce l’esistenza
dell’obbligazione, così, di regola è valida l’obbligazione di prestare cose future, subordinata
all'esistenza della cosa quando si dovrà adempiere.
➢ Parziale: anche la nullità dell’obbligazione è parziale quando ciò che rimane possibile abbia
un’esistenza autonoma economicamente utile per le parti interessate.
La prestazione deve essere lecita. Una prestazione che sia contraria a norme imperative, all’ordine
pubblico o al buon costume non può formare il contenuto di valida obbligazione. Non dobbiamo
confondere il concetto di prestazione illecita con quello di causa illecita. Non sempre è illecita la

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prestazione quando la causa è illecita.


La prestazione deve essere determinata o determinabile. L’oggetto della prestazione dev’essere
certo e individuato. Non è necessario che l’individuazione esista già dal principio; basta che fin dall’inizio
esistano gli elementi necessari per determinare la prestazione quando dovrà essere eseguita.
L’obbligazione non determinata esiste ugualmente purché sia determinabile. La concretizzazione del
contenuto della prestazione può essere lasciata a un elemento estrinseco, oppure alle parti stesse o
all’equo arbitrio di un terzo che si chiama arbitratore.
VARIE SPECIE DI OBBLIGAZIONI IN RAPPORTO ALLA PRESTAZIONE E AL SUO OGGETTO
Esaminando il contenuto dell’obbligazione secondo altri criteri distintivi si può trovare:
➢ una prestazione positiva che ha per oggetto un dare o un fare:
o l’obbligazione di dare ha per oggetto la disponibilità materiale della cosa. Ha un contenuto
speciale quando mira al trasferimento di un diritto reale. L’art. 1177 prevede
un’importante obbligazione accessoria stabilendo che l’obbligo di consegnare include
quello di custodire fino alla consegna. È sottospecie delle obbligazioni di dare quella
che ha per contenuto una restituzione: il creditore ha un diritto personale con riferimento
ad una cosa determinata, che si avvicina quasi al diritto reale.
 Si ha obbligazione generica di dare quando oggetto della prestazione sia una
cosa generica oppure una cosa considerata fungibile. Nelle obbligazioni che hanno
per oggetto una cosa generica il debitore deve prestare una cosa di qualità non
inferiore alla media. La genericità è concepibile solo in una prima fase del
rapporto obbligatorio: nell’esecuzione la cosa deve necessariamente essere
determinata. Indipendentemente dall’esecuzione, l’oggetto del rapporto si può
determinare mediante la individuazione.
o La prestazione di fare ha per oggetto un servigio.
La distinzione tra l’obbligazione di dare e di fare ha importanza per determinare il valore della
prestazione, o per l'applicazione dei diversi mezzi di esecuzione in forma specifica previsti nei due
casi dalla legge; talora però il contenuto della prestazione è un misto di dare e di fare.
➢ Una posizione negativa: ha per oggetto un non dare, un non fare o il sopportare un’attività
altrui altrimenti non permessa. Hanno per contenuto non un mutamento ma la conservazione
della situazione. Caratteristico è il fatto che la subordinazione del debitore viene messa in
evidenza soltanto con l'inadempimento. Per essere validi, gli impegni negativi non debbono
restringere di troppo la possibile attività del soggetto.
Altre distinzioni si riferiscono al momento dell’adempimento:
➢ l’esecuzione della prestazione è istantanea nelle obbligazioni che si perfezionano con unico atto;
➢ si prolunga invece nel tempo nei rapporti di durata (es. locazione) o nelle obbligazioni negative.
Le obbligazioni accessorie: sono le obbligazioni che hanno fondamento in altro rapporto giuridico, e vi
rimangono connesse in modo da dipendere da quest’ultimo.
IDENTIFICAZIONE DEL RAPPORTO OBBLIGATORIO
Gli elementi che individuano l’obbligazione sono due:
• il contenuto: va inteso in senso largo, compresi eventualmente anche gli elementi di tempo e di
luogo. Non è sufficiente la considerazione del solo contenuto per individuare un’obbligazione.
• La causa: neppure la causa è sufficiente all’individuazione.
Ogni obbligazione pertanto si distingue dalle altre per il contenuto che essa ha in relazione a una causa
determinata. Complessa si dirà l’obbligazione nella quale più prestazioni sono dovute in virtù di unico
vincolo, quando c’è un nesso che le stringe tutte.
OBBLIGAZIONI CUMULATIVE, ALTERNATIVE E FACOLTATIVE
Nelle prestazioni complesse per pluralità di oggetti può essere stabilito che il debitore sia obbligato alla
prestazione di tutti gli oggetti cumulativamente, oppure alla prestazione dell’uno o dell’altro
alternativamente. Nelle obbligazioni cumulative il debito ha contenuto multiplo, e il debitore non sarà
liberato che in seguito all’adempimento di tutto ciò che è posto in obbligazione. Nell’obbligazione
alternativa abbiamo un unico rapporto con due (art. 1285) o più (art. 1291) oggetti, ma il
debitore si libera con la prestazione di uno solo. La fonte dell’obbligazione alternativa è di regola la
volontà delle parti, ma può essere anche la legge; il diritto di scelta spetta al debitore o al creditore;
eccezionalmente può spettare anche a un terzo; se la legge o la volontà delle parti non hanno stabilito
diversamente, la scelta spetta al debitore. Al creditore può spettare per patto, o come conseguenza della
mora del debito quando questi non abbia eseguito in termine né l’una né l’altra delle prestazioni dovute.
Una volta che la scelta sia fatta, si dice avvenuta la concentrazione dell’obbligazione; da quel momento
l’obbligazione si intende come semplice. L’obbligazione non si estingue se prima della scelta una di
queste prestazioni diviene impossibile per causa non imputabile al debitore: l’obbligazione si concentra
sull’altra prestazione possibile. Se invece la prestazione diviene impossibile dopo la scelta, l’obbligazione
si estingue perché in seguito alla concentrazione l’obbligazione era divenuta come semplice.
Obbligazione facoltativa: c’è una sola prestazione obbligatoria ma il debitore ha la possibilità di
eseguire una prestazione diversa. Dato che l’obbligazione facoltativa ha un solo contenuto, basta che
l’adempimento della prestazione principale divenga impossibile per causa non imputabile al debitore
perché l’obbligazione si estingua.
SOGGETTI DELL’OBBLIGAZIONE
Due soggetti, attivo il creditore, e passivo il debitore, costituiscono i cardini essenziali per l’esistenza
stessa e per la vita del rapporto obbligatorio. Non è sempre necessario che i soggetti attivo e passivo

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siano individualmente determinati in modo certo fin dall’inizio del rapporto; è sufficiente che essi siano
determinabili. Un’importante ipotesi di obbligazione con soggetto determinabile è quella della promessa
al pubblico che impegna il promittente ad una determinata prestazione in favore di chi si trovi in una
determinata situazione o compie una data azione.
Si parla di obbligazioni ambulatorie: quando la persona dell’uno o dell’altro soggetto dell’obbligazione
sia mutevole. L’ambulatorietà si deve intendere nel senso che la titolarità del rapporto dipende dalla
titolarità di un altro rapporto.
Tra le obbligazioni con soggetti mediamente determinati vanno ricordate le obbligazioni reali nelle quali
la persona del debitore può mutare in dipendenza del rapporto di proprietà o possesso che viene a
esistere tra il soggetto e una determinata cosa. Nell’onere reale si considera il peso che è fatto gravare
obiettivamente sul fondo per ottenere la prestazione di cui si tratta da colui che risponde con la cosa
stessa; nell’obbligazione reale la proprietà non è gravata da un peso, ma l’appartenenza del bene vale per
individuare il soggetto che resta personalmente obbligato.
L’onere reale è tutelato con azione reale, l’obbligazione reale invece con azione personale, il primo ha
sempre per contenuto una prestazione positiva (fare o dare) mentre la seconda può consistere anche nel
non fare.
CORRETTEZZA E BUONA FEDE NEL CONTEGNO DEI SOGGETTI
L’art. 1175 sancisce solennemente che sempre il debitore e il creditore devono comportarsi secondo le
regole della correttezza, in relazione alle esigenze del mercato e ai principi di solidarietà umana e sociale.
Obbligo di correttezza e dovere di buona fede rispondono a uno stesso criterio. La buona fede è richiesta
nel contegno delle parti durante le trattative, nell’interpretazione e nell’esecuzione del contratto; inoltre
la solidarietà sociale impone l’obbligo di mettere sull’avviso la controparte circa le possibili cause di
invalidità del contratto che si vuole concludere.
Il principio di buona fede nelle obbligazioni, come obbligo etico di comportamento onesto (buona fede
oggettiva), costituisce un concetto diverso dalla buona fede quale situazione psicologica di ignoranza
dell’altrui lesione (buona fede soggettiva). La buona fede oggettiva riguarda l’attività sotto il profilo di un
obbligo da osservare; la buona fede soggettiva si considera rilevante per valutare una situazione
preesistente, alla quale vengono riconosciute particolari conseguenze positive.
OBBLIGAZIONI SOGGETTIVAMENTE COMPLESSE. OBBLIGAZIONI DIVISIBILI E INDIVISIBILI
Ciascuna parte di un unico rapporto obbligatorio può essere formata da più soggetti. Quando ci sono più
debitori o più creditori per una sola prestazione; se è indivisibile viene esclusa la possibilità di prestazioni
parziali a carico o a favore dei singoli interessati.
Si ha indivisibilità assoluta quando la prestazione ha per oggetto una cosa indivisibile (quadro) oppure
un fatto che non ammette esecuzione parziale (costituzione di servitù). L’indivisibilità è relativa
quando l’obbligazione ha per contenuto la prestazione che riguarda una cosa o un fatto naturalmente
divisibile, ma che cessa di essere tale per riguardo alla rilevanza sociale o all’uso della cosa, oppure al
modo come lo hanno considerato i soggetti. Tale intenzione può risultare anche espressamente da un
patto di indivisibilità.
Nelle obbligazioni indivisibili ciascun debitore ha l’obbligo di eseguire la prestazione per intero al creditore
(indivisibilità passiva) e ciascun creditore può esigere l’intera prestazione dal debitore o dai debitori
(indivisibilità passiva).
OBBLIGAZIONI PARZIALI E SOLIDALI
Nell’obbligazione con più soggetti una distinzione va fatta nella stessa struttura del vincolo, secondo che:
• il dovere dell’adempimento incida sopra ciascuno degli obbligati solo per la sua rata;
• il dovere dell'adempimento incida sopra ciascuno degli obbligati per l'intero.
L'obbligazione si chiama:
➢ parziaria quando l’obbligo o il diritto di ognuno è proporzionale alla sua partecipazione al vincolo
obbligatorio;
➢ solidale attiva quando essendoci più di un creditore, ciascuno ha diritto di pretendere la
prestazione per l’intero: la prestazione ottenuta da uno dei creditori libera il debitore verso tutti;
➢ solidale passiva quando più sono i debitori e ciascuno ha l’obbligo di eseguire la prestazione pro
toto: l’adempimento di un debitore libera anche tutti gli altri.
L’obbligazione solidale non presuppone un solo vincolo; tanti sono i rapporti obbligatori quanti sono i
soggetti attivi o i soggetti passivi. Il totale che si deve pagare non è però la somma di singole prestazioni:
la prestazione è una sola, a carico di ciascuno dei debitori o per ogni creditore. Tali rapporti devono avere
la stessa causa e uguale contenuto; inoltre i debiti devono avere un’unica fonte obbligatoria. L'identità del
rapporto non viene esclusa per la presenza di modalità che si riferiscono all'una o all'altra obbligazione.
Della situazione esistente tra debitori e creditori, normalmente non si comunicano agli altri cointeressati i
fattori pregiudizievoli e si estendono invece quelli vantaggiosi. La solidarietà attiva e passiva operano
soltanto nei rapporti esterni e l’obbligazione si divide tra i soggetti; nel concorso, le parti di ciascun
debitore o creditore, se non risulta diversamente, si presumono uguali. Se però uno è insolvente la perdita
si ripartisce tra tutti gli altri. La funzione pratica della solidarietà consiste nel rafforzamento del diritto del
creditore nella fase di attuazione.
La solidarietà passiva è un fenomeno assai rilevante: se in un rapporto ci sono più debitori questi si
presumono obbligati solidalmente rispetto al creditore. La solidarietà è quindi la regola. L’obbligazione
sarà parziaria soltanto quando così sia espressamente stabilito dalla legge o dal titolo.
E’ più rara invece la solidarietà attiva. Essa non si presume: la solidarietà non è espressamente stabilita il
debitore che si trova di fronte a più creditori è obbligato al pagamento frazionato verso ciascuno di loro, e
anzi non sarebbe liberato verso gli altri se pagasse il totale a uno solo. Fonte della solidarietà attiva è la

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legge o la volontà delle parti contraenti. Il debitore ha la scelta di pagare all’uno o all’altro dei creditori in
solido: la possibilità di scelta dura fino al momento in cui uno dei creditori prevenga gli altri con una
domanda giudiziale.
OBBLIGAZIONI IMPERFETTE
Le obbligazioni imperfette sono rapporti obbligatori ai quali l’ordinamento giuridico riconosce soltanto
alcuni degli effetti che sono propri dell’obbligazione civile. La figura dell'obbligazione naturale è tipica
obbligazione imperfetta. Esse definiscono un rapporto che pur non essendo munito di azione per
costringere il debitore all’adempimento, tuttavia ottiene un parziale riconoscimento: l’esecuzione
spontanea del dovere morale viene infatti considerata come pagamento di un debito. L’art. 2034 prevede
due ipotesi di obbligazioni imperfette:
 nel primo comma si riconosce efficacia all’adempimento spontaneo fatto da un soggetto capace
di agire in esecuzione di doveri morali o sociali che non siano legalmente coercibili;
 nel secondo comma si parla di altri casi nei quali la legge espressamente prevede che non si
possa pretendere l’adempimento, ma neppure si debba restituire ciò che si ha ricevuto a titolo di
pagamento.
Nell’uno e nell’altro caso la conseguenza della irreparabilità è collegata al solo pagamento fatto
spontaneamente, cioè senza costrizione: non sarebbero cioè riconosciute altre cause di estinzione di quel
rapporto obbligatorio e l’obbligazione non sarebbe presupposto sufficiente per l’efficacia di un negozio
che sopra di esse si fondasse.
OBBLIGAZIONI NATURALI
La categoria delle obbligazioni naturali è prevista nel primo comma dell’art. 2034 che riconosce efficacia
al fatto delle prestazioni eseguite in adempimento di doveri morali o sociali. I doveri morali o sociali
debbono riferirsi a rapporti con altre persone, perché altrimenti non si potrebbe parlare di adempimento
come fatto a un creditore. La moralità del rapporto deve essere valutata alla stregua della coscienza
etica dell’uomo medio. A tali doveri viene data rilevanza giuridica soltanto nel momento e per mezzo
dell’adempimento, che presuppone la capacità del soggetto. Fino al momento del pagamento non esiste
relazione giuridica che possa mettere in moto il sistema delle sanzioni o coercizioni; ma quando il
pagamento è fatto spontaneamente da persona capace diviene irrevocabile.
Gli elementi, i requisiti e gli effetti dell’adempimento di un dovere morale sono diversi da quelli della
donazione. Nell’obbligazione naturale c’è un dovere da compiere, nell’altro caso la presenza dell’animus
donandi costituisce l’elemento prevalente. Diversi sono anche i requisiti riguardo alla forma, non è
richiesta la forma pubblica con la presenza di due testimoni, che sarebbe dovuta per la donazione, ma si
ritiene necessaria la forma scritta quando l’adempimento consiste nella prestazione di un immobile. Infine
diversi sono gli effetti per l’adempimento di un obbligo morale in quanto la prestazione attuata non è
sottoposta al regime delle donazioni, non è revocabile per ingratitudine o sopravvenienza dei figli, non è
oggetto di collazione, né può venire sottoposta a riduzione per lesione di legittima ecc.
SEZIONE III. L’ADEMPIMENTO DELL’OBBLIGAZIONE
ADEMPIMENTO E ESTINZIONE DELL’OBBLIGAZIONE
L’obbligazione tende a un fine e il modo normale di estinzione dovrebbe essere l’adempimento da parte
dell’obbligato. L’interesse del creditore può essere soddisfatto anche altrimenti con l’esecuzione forzata:
sia in forma specifica sia mediante risarcimento del danno a carico del debitore inadempiente.
L’esecuzione della prestazione dovuta può essere opera anche del terzo estraneo, e in tal caso
l’obbligazione del debitore si estingue di riflesso, perché il creditore non ha diritto di ricevere due volte
quello che gli era dovuto. Infine ci sono altri modi di estinzione del debito indipendenti dall’adempimento:
alcuni con soddisfazione diretta o indiretta dell’interesse del creditore (es. compensazione), altri senza
tale carattere satisfattorio (es. impossibilità della prestazione).
NATURA E REQUISITI DELLA SOLUTIO
Il termine adempimento corrisponde a quello che tradizionalmente si chiama pagamento. Solutio è la
forma di estinzione tipica, perfetta, dell’obbligazione. Il pagamento non è un negozio giuridico che
richieda una specifica volontà del debitore, tanto meno è necessaria per l'essenza e la validità del
pagamento, la volontà di accettarlo da parte del creditore. In una classificazione degli atti giuridici,
l’adempimento è il tipico atto dovuto.
Poiché il pagamento non è un negozio, non è necessaria la capacità di agire del solvente e così pure la
sua validità non può essere posta in questione per vizi del volere.
Il debitore nell’adempimento della prestazione deve usare la diligenza del buon padre di famiglia e
l'obbligazione deve essere esattamente adempiuta: dunque per vedere se il debitore ha fatto quello che
era suo obbligo fare si prende come punto di riferimento la figura dell’uomo medio e per evitare la
responsabilità contrattuale si pretende appunto che il debitore non si tenga al di sotto di tale diligenza
media.
Il debitore minore, la cui obbligazione resti inadempiuta, subirà le conseguenze dell'inadempimento alla
pari di un soggetto capace.
AUTORE E DESTINATARIO DEL PAGAMENTO
Chi deve adempiere alla prestazione è sempre il debitore; anche un terzo qualsiasi può pagare per lui pur
contro la volontà del creditore quando non si tratti di prestazioni infungibili che il creditore abbia interesse
obbiettivamente valutabile di vedere eseguita personalmente dal debitore. Il pagamento del terzo può
essere legittimamente rifiutato dal creditore quando il debitore abbia manifestato la sua opposizione:
l'opposizione del debitore autorizza il rifiuto all'offerto, ma non è vincolante per il creditore, il quale può
ricevere tale pagamento.
Destinatario del pagamento deve essere il creditore o un suo rappresentante: questi è un semplice

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esattore per conto altrui indicato dal creditore.


Per la piena efficacia del pagamento è richiesta la capacità del destinatario: il pagamento fatto
all’incapace libera il debitore solo entro il limite in cui questi riesca a provare che il pagamento è stato
rivolto a vantaggio di chi l’ha ricevuto. Estingue efficacemente l’obbligazione anche il pagamento fatto al
creditore apparente, cioè il pagamento fatto in buona fede a colui che in base a criteri obiettivi appariva
legittimato a ricevere.
PRESUPPOSTO DEL PAGAMENTO E SUO OGGETTO. ADEMPIMENTO PARZIALE
Dove non c’è debito non ci può essere fatto estintivo, e ciò che viene dato verrà a far sorgere un diverso
rapporto come fonte dell’obbligazione di restituire.
L’oggetto del pagamento deve corrispondere al contenuto della prestazione obbligatoria; non si è
obbligati a dare qualche cosa di diverso, né ci si può liberare mediante una prestazione con diverso
contenuto. Il creditore può legittimamente rifiutare un parziale adempimento dell’obbligazione, anche se
la prestazione è divisibile.
SURROGATI DELL’ADEMPIMENTO DIRETTO. DAZIONE IN PAGAMENTO
Per liberarsi non di rado accade che il debitore offra al creditore una prestazione diversa da quella che è
oggetto dell’obbligazione; se il creditore accetta questa specie di surrogato, l’obbligo si estingue con una
prestazione in luogo dell’adempimento che si chiama dazione in pagamento.
Con essa, l’obbligazione si estingue mediante l’effettiva esecuzione della diversa prestazione. Questo è
l’elemento distintivo della dazione in pagamento rispetto alla novazione, per mezzo della quale invece
l’obbligazione originaria si estingue con l’assunzione di una diversa obbligazione. Alla dazione in
pagamento si estendono i principi della vendita.
OBBLIGAZIONI PECUNIARIE E CLAUSOLE MONETARIE. CONSEGUENZE DELL’INFLAZIONE
Il pagamento dell’obbligazione pecuniaria, che ha per oggetto una somma di denaro, va fatto con
moneta che abbia corso legale nello Stato al tempo dell’adempimento e per il suo valore nominale. In
applicazione del principio nominalistico si deve guardare la sola equivalenza numerica, per quanto sia
diminuito (o eventualmente aumentato) il valore effettivo della moneta. Si considerano:
• debiti di valuta quelli che hanno per oggetto una somma di denaro che rimane sempre uguale nel
suo ammontare, nonostante le variazioni del mercato monetario;
• debiti di valore quelli che hanno per oggetto una prestazione considerata per il suo concreto
significato economico, che deve essere stimato secondo le condizioni di mercato; il denaro in cui
viene espressa detta valutazione ha solo funzione strumentale.
La moneta legale, come mezzo di estinzione delle obbligazioni pecuniarie, serve anche per il pagamento
di obbligazioni che fossero state determinate in una moneta non avente più corso legale. La moneta non
perisce, anche se sostituita, e si fa un ragguaglio tra il valore nominale della moneta fuori corso e quello
della moneta legale nuova.
Il fenomeno di una continua inflazione e della conseguente svalutazione monetaria ha dominato il campo
dei rapporti economici. Si prevedono talvolta dei tassi di rivalutazione. I mezzi di tutela in presenza di
diritto al risarcimento del danno in caso di inadempimento dell’obbligazione pecuniaria arrivano a
comprendere anche l’eventuale danno da svalutazione monetaria. Frequenti e varie sono le clausole di
garanzia monetaria, per mezzo delle quali si tende a trasformare un debito di moneta in debito di valore.
OBBLIGAZIONE DEGLI INTERESSI
Il denaro si considera in generale un bene naturalmente fecondo. I crediti di una somma di denaro quando
sono:
• liquidi: determinati nel loro ammontare;
• esigibili: non sottoposti a termine o condizione;
producono interessi di pieno diritto.
La regola di cui parliamo non è assoluta: in qualche caso per legge o per volontà delle parti anche i crediti
di denaro sono infruttiferi.
Gli interessi già maturati producono interessi solo in due ipotesi:
1. quando il loro pagamento sia domandato giudizialmente, con apposita specifica richiesta;
2. per effetto di un accordo posteriore alla loro scadenza.
Nell’un caso e nell’altro però si deve trattare di interessi dovuti per almeno sei mesi.
L’obbligazione degli interessi ha carattere di obbligazione accessoria. Il tasso legale degli interessi è
determinato nella misura del 2,5% in ragione di anno. Le parti possono anche fissare un tasso superiore o
inferiore a quello legale però gli interessi superiori devono essere determinati per iscritto, altrimenti sono
dovuti soltanto nella misura legale. La possibilità di determinare interessi elevati non è però illimitata,
perché al di sopra della misura di un corrispettivo del valore della controprestazione abbiamo l’usura, cioè
un illecito. E’ sufficiente la sproporzione significativa tra i corrispettivi dati o promessi e la prestazione di
denaro o altra utilità. E’ usuraio di regola il tasso che supera il tasso medio aumentato della metà,
praticato dalle banche nel precedente bimestre. L’effetto invalidante dell’usura è totale e cade l’obbligo
del mutuatario di pagare anche gli stessi interessi nella misura legale.
Interessi compensativi: sono dovuti a compenso del godimento di denaro altrui. Appartengono a
questa categoria il mutuo o la dilazione di pagamento.
Interessi moratori: sono dovuti con funzione risarcitoria in caso di ritardato pagamento di una somma.
I danni per il ritardato pagamento (mora) si valutano secondo gli interessi che la somma di cui si tratta
potrebbe produrre.
TEMPO E LUOGO DEL PAGAMENTO
Il luogo dell’adempimento non si determina con una regola che valga per tutti i casi. È riconosciuto valore

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prevalente alla volontà delle parti, che nell’atto da cui sorge l’obbligazione possono precisare dove le
singole prestazioni saranno eseguite. In mancanza, valgono gli usi. In terza linea vengono in
considerazione la natura della prestazione o altre circostanze. Se né la convenzione, ne gli usi, ne le
circostanze del rapporto determinano il luogo dell’adempimento valgono le regole suppletive dell’art.
1182.
L’obbligazione di consegnare una cosa determinata dev’essere adempiuta nel luogo in cui si trovava
quando l’obbligazione è sorta. Se si tratta di una somma di denaro la consegna va fatta al domicilio del
creditore (debiti portabili), se tale domicilio è diverso da quello che il creditore aveva quando è sorta
l’obbligazione, e tale mutamento rende più gravoso l’adempimento, il debitore ha diritto di eseguire il
pagamento al proprio domicilio.
Negli altri casi i debiti sono chiedibili e cioè si devono adempiere nel domicilio che il debitore ha nel
momento della scadenza. Se il debito è chiedibile, finché il creditore non si fa vivo presso il debitore a
chiedere l’adempimento, quest’ultimo non cade in mora, anche se il termine dell’obbligazione sia scaduto.
IMPUTAZIONE DEI PAGAMENTI
Se un soggetto ha più debiti della stessa specie verso la stessa persona la legge dispone che in primo
luogo spetta al debitore, quando paga, il diritto di dichiarare quale debito intende soddisfare. Se il
debitore non si cura di fare l’imputazione, questa può essere fatta dal creditore in occasione del rilascio
della quietanza. Se ne il debitore ne il creditore provvedono a indicare il debito che si intende soddisfatto
con il pagamento, la legge fissa un ordine:
• prima si estinguono i debiti scaduti;
• poi i meno garantiti;
• poi quelli che l’obbligato aveva maggiore interesse a estinguere;
• infine i debiti più antichi.
Qualora questi criteri non soccorrano, l’imputazione si intende fatta proporzionalmente.
OBBLIGHI E DIRITTI CONNESSI CON IL PAGAMENTO
Il pagamento talora richiede delle spese: in mancanza di patti in contrario, le spese sono a carico del
debitore, così che il creditore ha diritto al netto.
Il debitore ha diritto di ottenere, a sue spese, una quietanza che attesti il pagamento ricevuto. Se del
credito esiste un documento, e questo non venga restituito, il debitore può esigere che nel titolo stesso
sia fatta annotazione del pagamento.
Se non viene rilasciata una quietanza, il pagamento può essere provato in altro modo. Per la prova, l’ art.
2726 sottopone il pagamento alle stesse regole e limitazioni fissate per la prova dei contratti. Del
pagamento ricevuto fanno fede anche le carte e i registri domestici; tra imprenditori vigono le facilitazioni
di prova, per mezzo delle scritture contabili. In seguito al pagamento cessano le garanzie del credito.
SEZIONE IV. I MODI DI ESTINZIONE DIVERSI DALL’ADEMPIMENTO
DIVERSI MODI DI ESTINZIONE DELLE OBBLIGAZIONI
Il vincolo derivante dal rapporto obbligatorio è destinato all’estinzione: l’obbligazione si estingue non
soltanto quando lo scopo è raggiunto, ma anche quando esso non sia più raggiungibile.
La morte è una causa di estinzione propria soltanto di alcuni rapporti:
• rapporto di mandato;
• obbligo di lavoro;
• in qualche caso della società.
Alcune cause di estinzione toccano più direttamente il diritto del creditore: l’obbligo del debitore si
estingue soltanto di riflesso, perché viene a mancare il credito corrispondente. Ciò avviene per:
➢ l’adempimento del terzo;
➢ per il verificarsi casuale di quanto dovuto;
➢ per conseguimento dello scopo da parte del creditore.
Nel caso di impossibilità della prestazione, è il diritto del creditore che si estingue di riverbero per una
causa che tocca più direttamente l’obbligo dell’altra parte.
Ci sono modi di estinzione a carattere satisfattorio, con i quali si realizza il vantaggio del credito; con altri
modi invece il debito si estingue senza che il creditore sia soddisfatto. In alcuni casi l’estinzione avviene
per legge, in altri è conseguenza della volontà degli interessati.
NOVAZIONE
La novazione, che richiede la volontà dei due soggetti del rapporto, attiene alla figura del contratto
liberatorio. I soggetti dell’obbligazione possono accordarsi per la semplice estinzione del debito, oppure si
accordano accettando in pagamento una cosa al posto di un’altra, oppure possono sostituire un nuovo
rapporto al precedente e abbiamo la novazione.
La novazione si distingue dalla dazione in pagamento perché quest’ultima è un modo di estinzione
satisfattorio mentre con la novazione non abbiamo adempimento, bensì sostituzione di un’obbligazione
con un’altra. Elementi essenziali per la novazione oggettiva sono:
1. l'obbligazione originaria da novare: se essa non esiste la novazione è senza effetto. Sarebbe una
nullità per mancanza di causa; infatti la nuova obbligazione non sarebbe giustificata se sorgesse
per sostituire ciò che non esiste. Conseguenza che si avrà se l’obbligazione originaria era nulla.
Se, invece, questa derivi da un titolo annullabile, la novazione è valida solo se il debitore ha
assunto il nuovo debito conoscendo il vizio del titolo originario.
2. Un oggetto o un titolo diverso: è necessaria una vera trasformazione, e non sarebbe sufficiente
modificare una delle modalità accessorie: non producono novazione il rilascio di un documento, la
modifica di un termine o simili mutamenti.

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3. Una volontà di estinguere la precedente obbligazione con la creazione di un nuovo vincolo : ove
non si dimostri la sua l’esistenza avremo assunzione di un rapporto obbligatorio accanto
all’antico.
La novazione si fa per contratto; e di questo presuppone i requisiti generali di validità; se la novazione è
invalida resterà in vita l’antico rapporto.
REMISSIONE DEL DEBITO
Se il diritto soggettivo, e il diritto di credito in particolare, consiste nel riconoscimento del prevalere di una
volontà, è logico che il diritto stesso venga a cessare e che il rapporto obbligatorio si estingua quando il
soggetto attivo rinuncia al suo potere. Su questo principio si fonda l’estinzione dell’obbligazione per
remissione del debito, vista come atto abdicativo unilaterale. Elemento essenziale che porta alla
rinunzia è la volontà del creditore. Accanto a questo principio fondamentale il debitore ha diritto di non
ricevere, se non vuole, un atto di liberalità dal creditore. Quindi il debito si estingue per semplice volontà
del creditore, purché il debitore non si opponga dichiarando in un congruo termine di non volerne
approfittare. La remissione oltre che per negozio tra vivi, è possibile per atto mortis causa; può essere
espressa o tacita:
• la remissione espressa produce i suoi effetti quando è comunicata al debitore;
• tacitamente, la remissione avviene con la restituzione volontaria del documento originale del
credito fatta dal creditore al debitore (remissione reale); ha effetti non soltanto a favore della
persona alla quale il titolo è restituito, ma anche a favore degli altri debitori in solido.
COMPENSAZIONE
Quando tra le stesse persone intercorrono due diversi rapporti di debito e credito in direzione inversa, è
più semplice evitare un duplice pagamento; si estinguono, fino alla concorrenza dello stesso valore, le
reciproche relative pretese. La compensazione trova la sua ragione nel comune buon senso. E’ un modo di
estinzione a carattere satisfattorio perché ciascun creditore resta soddisfatto nel suo diritto ottenendo
l’estinzione del proprio debito. La compensazione è:
• legale quando si tratta di due debiti:
◦ omogenei: es. debiti entrambi di una somma di denaro;
◦ liquidi: debiti la cui esistenza è certa e il cui ammontare è precisamente determinato in
qualità e quantità;
◦ esigibili: non sottoposti né a termine iniziale ne a condizione sospensiva e non derivanti da
obbligazioni naturali.
Opera per legge per il semplice fatto della coesistenza dei due debiti reciproci, e non c’è bisogno
di un atto di volontà delle parti o del giudice. Però il giudice non può rilevare la compensazione
d'ufficio, se uno degli interessati non dichiara di avvalersene. La compensazione ha effetto
automatico dal giorno della coesistenza dei due debiti, l'eventuale dichiarazione del giudice avrà
effetto retroattivo.
• Giudiziale: quando uno dei debiti reciproci, non essendo liquido, sia tuttavia di facile e pronta
liquidazione. In questo caso la compensazione non avviene di diritto, ma il giudice può dichiararla,
con effetto ex nunc, per la parte del debito che appare sicura; può anche sospendere la condanna
al pagamento del debito liquido fino all'accertamento del credito opposto in compensazione.
• Volontaria quando avviene per accordo delle parti, pur non ricorrendo i presupposti richiesti per
il verificarsi di una delle altre forme.
La compensazione può attuarsi anche solo parzialmente, cioè fino alla concorrenza del minore dei due
debiti. E’ escluso da compensazione il credito per la restituzione di cose di cui il proprietario sia stato
ingiustamente spogliato; per la restituzione di cosa depositata o data in comodato e per un credito
impignorabile.
CONFUSIONE
Si ha confusione quando nel rapporto obbligatorio viene a trovarsi un unico soggetto sia come debitore
sia come creditore. È un modo di estinzione satisfattorio, perché il creditore-debitore si libera di quello che
era un suo debito. Nella confusione il vincolo si estingue per legge, e i terzi che hanno dato garanzia per il
debitore sono liberati. Può verificarsi in seguito ad atti tra vivi, oppure nella successione ereditaria per
tutti i rapporti in cui l’erede fosse debitore o creditore del defunto. Se gli eredi sono più d’uno, il debitore
coerede è liberato soltanto fino alla concorrenza della sua quota ereditaria sul credito che era del defunto.
SEZIONE V. MODIFICAZIONE NEGLI ELEMENTI DEL RAPPORTO OBBLIGATORIO
TRASFORMAZIONI NEL TITOLO. DIFFERENZA TRA NOVAZIONE E RIPRODUZIONE, TRA RIPRODUZIONE E
ACCERTAMENTO
Le modificazioni nel titolo costituiscono un rinnovo del rapporto tra gli stessi soggetti: es. il debito di
cento a titolo di risarcimento danni può novarsi nel debito per lo stesso ammontare a titolo di mutuo.
Modificazioni formali si hanno con la riproduzione o rinnovamento testuale del contratto che è fonte
delle singole obbligazioni: c’è soltanto un mutamento estrinseco nella fonte del rapporto perché le parti si
mettono d'accordo riproducendo nei suoi termini oggettivi un precedente negozio; mutato è solo il testo
che contiene un negozio il quale resta sostanzialmente invariato.
Altri negozi hanno lo scopo di accertare l'esistenza di una precedente situazione sotto forma di un
accertamento fatto d'accordo tra le parti, o con il riconoscimento che un soggetto faccia del diritto
altrui; l'obbligazione sarà più certa, ma il titolo rimane quello anteriore. Il riconoscimento esula dalla
figura negoziale.
TRASFORMAZIONI NEL CONTENUTO O NEI SOGGETTI
La modificazione può riguardare il contenuto dell’obbligazione. Ci sono casi di modificazione che si

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attuano per:
• volontà dei soggetti del rapporto (es. novazione);
• modificazioni legali o giudiziali;
• surrogazione reale;
• transazione.
La trasformazione può intervenire tra i soggetti:
• nella successione mortis causa;
• nei rapporti tra vivi (cessione del credito, delegazione, espromissione, accollo...)
SURROGAZIONE REALE E SUBINGRESSO DEL CREDITORE
Surrogazione reale si ha quando, per volontà di legge, si sostituisce una cosa a un’altra quale oggetto
del rapporto. Importante è la surrogazione nell’indennità dovuta dall’assicuratore al posto della cosa
soggetta a privilegio, pegno o ipoteca, che sia perita o deteriorata; si segue il criterio economico per cui la
prelazione ha significato non per la cosa in se ma per il suo valore. Ne ricaviamo l’esistenza di un più
generale diritto di subingresso, che la legge riconosce al creditore nei diritti del debitore, quando la
prescrizione avente per oggetto una cosa determinata è divenuta impossibile. Il creditore, che ha visto
estinguersi per impossibilità sopravvenuta il suo credito alla prestazione di cosa determinata, anche a
prescindere da responsabilità del debitore, subentra nei diritti spettanti al debitore stesso in dipendenza
del fatto che ha causato l’impossibilità, e può esigere quanto il debitore abbia conseguito a titolo di
risarcimento.
MODIFICAZIONI NEI SOGGETTI DELL’OBBLIGAZIONE E SUCCESSIONE
Se l’obbligazione è un valore nel patrimonio del creditore, essa sarà trasmissibile analogamente agli altri
diritti patrimoniali e pertanto la possibilità di una sostituzione nella persona del creditore è stata ammessa
con una certa facilità.
Più difficile è la sostituzione nella persona del debitore perché il significato del rapporto obbligatorio è
strettamente connesso con la sua posizione e con il suo patrimonio personale. Si è ammessa anche la
successione particolare nel debito, però non si ha sostituzione per atto tra vivi del debitore senza
l’assenso del creditore.
Unico caso di trasmissione di debiti senza l’assenso del creditore è quello della successione ereditaria,
nella quale anche il debito passa come uno degli elementi dell’intero patrimonio che si trasferisce.
SUCCESSIONE NEL CREDITO E SURROGAZIONE NEI DIRITTI DEL CREDITORE
Successione nel credito vuol dire trasferimento ad altri del credito così com’era nel patrimonio
dell’autore. La successione nel credito è:
• a titolo universale;
• a titolo particolare:
◦ se deriva da un apposito atto di disposizione, abbiamo la cessione del credito;
◦ se è conseguenza di un altro fatto (di solito il pagamento), abbiamo la surrogazione.
La surrogazione è una forma di successione nel diritto del creditore. Poiché si deve vedere come una
conseguenza del pagamento, essa rappresenta un’anomalia perché di regola la soddisfazione del
creditore estingue il credito; pertanto essa è riconosciuta nei soli casi previsti dalla legge. Il Codice
prevede tre forme di surrogazione:
1. la surroga per volontà del creditore è detta anche surroga per quietanza, perché va fatta
espressamente e contemporaneamente al pagamento, praticamente nella quietanza. Un terzo
paga e il creditore, indipendentemente dalla volontà del debitore, ricevendo il pagamento,
surroga chi ha pagato nel suo diritto. Dev’essere contemporanea al pagamento, perché altrimenti
chi paga estingue l’obbligazione e non sarebbe quindi possibile una successione nel credito.
2. La surroga per volontà del debitore si chiama surroga per imprestito: avviene,
indipendentemente dalla volontà del creditore soddisfatto, quando il debitore per pagare prende a
mutuo la somma di un terzo surrogando il mutuante nei diritti del creditore.
3. In altri casi la legge autorizza il terzo che paga a surrogarsi nei diritti del creditore senza
che sia richiesto il concorso della volontà dell’una o dell’altra parte del rapporto di obbligazione.
Sono casi limitati: es. l'assicuratore che ha pagato il danno all'assicurato si surroga nelle ragioni
dello stesso verso l'autore del danno. Al di fuori delle ipotesi previste non è consentito al terzo che
paga di surrogarsi nel credito.
La surrogazione, come forma di successione nel credito si distingue dalla cessione volontaria fatta dal
creditore a un terzo, perché nella surrogazione si ha il pagamento del debito, mentre nella cessione
l’alienante intende trasmettere il mero diritto.
CESSIONE DEL CREDITO. FACTORING
La cessione del credito rientra nelle facoltà del creditore; essa avviene senza l’assenso del debitore.
Non sono cedibili i crediti a carattere strettamente personale:
• il diritto a ricevere gli alimenti;
• i crediti di prestazioni a vantaggio specifico di determinati soggetti.
Il rapporto tra cedente e cessionario sorge in forza del contratto di cessione, che si perfeziona con il
consenso. Il cedente deve consegnare al cessionario i documenti probatori del credito che siano in suo
possesso.
Nei riguardi del debitore ceduto, la cessione ha effetto quando questi l’abbia accettata, oppure quando la
cessione gli sia stata notificata. Dopo l’accettazione o la notificazione, creditore, a tutti gli effetti, è

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unicamente il cessionario. La notificazione o l’accettazione della cessione hanno significato anche rispetto
ai terzi, perché l’uno e l’altro atto producono un effetto che è analogo a quello che si consegue con i
mezzi di pubblicità. Se il medesimo credito ha formato oggetto di più cessioni a diversi soggetti, l’acquisto
viene fatto da chi per primo ha attuato la notificazione o da chi per primo ha ricevuto l’accettazione del
debitore ceduto.
La cessione è fatta in luogo di adempimento quando il cedente, che sia debitore verso il cessionario in
base a diverso rapporto, intende liberarsi del suo debito attribuendo allo stesso cessionario il credito che
egli ha nei confronti di un terzo: l’obbligazione preesistente verso il cessionario si estingue soltanto con la
riscossione del credito ceduto.
Una forma di contratto che si può far rientrare nello schema della cessione dei crediti è in uso nel
commercio sotto il nome di factoring. È un contratto mediante il quale un'impresa cede crediti presenti e
futuri ad un soggetto, detto factor (anch'esso imprenditore) ricevendo l'importo degli stessi, dedotto un
corrispettivo, che costituisce il guadagno del factor.
DELEGAZIONE, ESPROMISSIONE, ACCOLLO E SUCCESSIONE NEL DEBITO
I mutamenti nel lato soggettivo passivo dell’obbligazione danno origine a diverse situazioni. Non si può
ottenere la liberazione del debitore precedente senza il consenso del creditore. Le figure negoziali di
possibili modificazioni nel soggetto passivo dell'obbligazione sono la delegazione, l'espromissione e
l'accollo. Per ciascuna delle figure abbiamo due possibilità:
1. il cumulo dei debitori;
2. la sostituzione del nuovo all'antico debitore il quale corrispondentemente rimane liberato.
Quando nella delegazione, nell’espromissione o nell’accollo il creditore non consenta espressamente la
liberazione del debitore originario c’è un nuovo debitore che si aggiunge all’antico. Però mentre
nell’espromissione e nell’accollo il nuovo debitore è obbligato solidalmente con il precedente, nella
delegazione il creditore non può escutere il debitore originario se prima non ha richiesto l’adempimento al
debitore delegato.
DELEGAZIONE
Tizio, delegante, incarica Sempronio, delegato, di assumersi il debito verso Caio suo creditore,
delegatario.
Il rapporto tra delegante e delegato si chiama rapporto di provvista; quello tra delegante e delegatario
si chiama rapporto di valuta. L'espresso riferimento a questi rapporti sottostanti, rende la delegazione
titolata o causale; in mancanza, abbiamo la delegazione pura o astratta. La delegazione può essere
cumulativa oppure con liberazione dell'antico debitore.
Il debitore delegato, poiché ha accettato la delegazione obbligandosi verso il creditore delegatario, non
può opporre a quest'ultimo le eccezioni del rapporto di provvista che avrebbe potuto opporre al
delegante; il creditore non deve essere esposto al pericolo di eccezioni che quest'ultimo avrebbe potuto
opporre al delegante. Il delegato può opporre le eccezioni relative al rapporto di valuta tra il delegante e il
delegatario soltanto quando si tratti di delegazione titolata.
L’obbligazione del debitore delegato è indipendente dai vizi dei due rapporti base, almeno quando le parti
non abbiano convenuto altrimenti. Il delegante può revocare l’incarico conferito al delegato fino a quando
quest’ultimo non abbia assunto l’obbligazione nei confronti del delegatario o non abbia eseguito la sua
prestazione. Nella delegazione cumulativa il delegato che paga può estinguere contemporaneamente tre
obbligazioni: quella tra lui e il delegatario e quelle del rapporto di valuta e del rapporto di provvista.
ESPROMISSIONE
Un terzo, con sua iniziativa nei confronti del creditore, assume il debito altrui. Non è richiesto il concorso
con la volontà del debitore originario. L’espromittente può revocare la proposta fino all’accettazione del
creditore. Anche l’espromissione può essere cumulativa (o semplice) o con liberazione del creditore. La
liberazione del creditore originario avviene nelle due forme della novazione (espromissione novativa) o
della successione particolare nel debito (espromissione privativa).
Il terzo intervenuto non può opporre al creditore le eccezioni relative all'eventuale suo rapporto con il
debitore originario. Egli può opporre al creditore le eccezioni che sarebbero state proponibili dall'originario
debitore; esclusi i casi:
1. che le eccezioni siano personali al debitore;
2. che le eccezioni derivino da fatti posteriori all'espromissione;
3. che si tratti di eccezione di compensazione.
ACCOLLO
L’accollo si costituisce con un contratto tra debitore e terzo che è destinato ad avere efficacia sulla sfera
giuridica di un'altra persona: il creditore. Il legislatore ha concepito tale figura come un contratto a favore
di terzi. L'adesione del creditore rende irrevocabile l'accordo che lo riguarda. Es. nella divisione uno dei
coeredi si assume di fronte agli altri l’obbligo di pagare i debiti. L’accordo può concludersi per un rapporto
di carattere interno, non destinato ad avere effetti nei riguardi diretti del creditore (accollo semplice):
l’accollante si impegna al pagamento senza assumere diretta posizione di debitore. Nell’accollo
cumulativo l’effetto per il creditore è simile a quello che gli deriva da una garanzia personale.
Nell’accollo privativo, con la liberazione del vecchio debitore si attua una vera e propria successione nel
debito: il terzo accollante è obbligato verso il creditore che ha aderito alla stipulazione con i limiti delle
eccezioni derivanti sia dal rapporto originario tra i due vecchi titolari che rimane sempre fondamentale,
sia dalla convenzione di accollo tra vecchio e nuovo debitore.
CESSIONE DEL CONTRATTO
La legge ammette la cessione del contratto, cioè la cessione ad altri della complessa posizione che un

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contraente ha rispetto a obblighi e diritti nell’ambito di uno dei contratti sinallagmatici, sempre che le
relative prestazioni non siano ancora state eseguite. Sono tali i contratti che il Codice chiama a
prestazioni corrispettive nei quali sorgono tra le parti obbligazioni reciproche e
interdipendenti: il venditore è contemporaneamente creditore e debitore, ha diritto al prezzo, ma ha
pure gli obblighi relativi alla consegna.
Si parla di cessione soltanto nei contratti corrispettivi perché negli altri rapporti si cede la sola prestazione
di creditore, oppure alla sostituzione del debitore. La cessione non è effettuabile senza la volontà del
contraente ceduto. L’assenso, che ha la natura di un autorizzazione può essere, oltre che successivo,
anche preventivo; in tal caso la sostituzione dell’altro contraente è efficace nei confronti del ceduto
soltanto dal momento in cui gli è stata notificata o in cui egli l’ha accettata. La cessione del contratto
opera una vera successione e implica liberazione del cedente nei confronti dell'altra parte del contratto
originario.
SEZIONE VI. L’INADEMPIMENTO E LA RESPONSABILITA’ CONTRATTUALE
DIVERSE CONSEGUENZE DEL MANCATO ADEMPIMENTO
L’obbligazione può rimanere inadempiuta o perché viene a mancare la possibilità obiettiva di eseguire la
prestazione, oppure perché il debitore personalmente non è in grado o non vuole adempiere.
L’art. 1176 stabilisce qual è la diligenza richiesta nell’adempimento; l’art. 1218 fissa i criteri per
determinare la responsabilità del debitore che non adempie l’obbligazione e indica il criterio per
esonerare da responsabilità il debitore inadempiente; l'art 1256 ribadisce che l'impossibilità
sopravvenuta è causa di estinzione dell'obbligazione quando non sia imputabile al debitore.
Anche il solo ritardo colposo è fonte di responsabilità. Si dice che il debitore è in mora quando non
adempie nel tempo stabilito; tanto nel caso che successivamente adempia, quanto nel caso di definitivo
inadempimento, c'è un ritardo, una mora.
IMPOSSIBILITA’ SOPRAVVENUTA PER CAUSA NON IMPUTABILE AL DEBITORE
Si deve precisare una importante distinzione:
• l’impossibilità oggettiva di adempiere produce l’estinzione dell’obbligo specifico;
• solamente quando tale impossibilità non dipende da colpa, l’obbligo si estingue senza che
rimanga una responsabilità del debitore, cioè con totale liberazione di quest’ultimo.
Perché il debitore possa pretendere una sua totale liberazione:
➢ deve trattarsi di una reale impossibilità oggettiva;
➢ tale impossibilità dev’essere sopravvenuta, ma sorta prima della mora;
➢ la circostanza sopravvenuta dev’essere inevitabile, non determinata da colpa del debitore.
Singoli caratteri dell’impossibilità:
1. è proprio quando la prestazione è impossibile che vengono all’esame le ragioni che escludono la
responsabilità dell’inadempimento. L’impossibilità viene valutata oggettivamente: la
prestazione deve essere impossibile in sé e per sé. L’obbligazione non si estingue per
impossibilità temporanea, finché non si esclude un’utile possibilità avvenire; si estinguerà invece
quando l’impossibilità dura fino alla scadenza di un termine essenziale. Conseguenza
dell'impossibilità temporanea è l'esonero del debitore da responsabilità per ritardo.
2. L’impossibilità deve essere sopravvenuta. Se si trattasse di impossibilità originaria, addirittura
il rapporto non sarebbe mai validamente sorto, per mancanza di un elemento essenziale. Se
l’impossibilità si verifica dopo la mora del debitore, questi non è liberato dall’obbligo di risarcire le
conseguenze dell’inadempimento.
3. Come terzo elemento abbiamo l’inevitabilità. Tradizionalmente si contrappongono il caso fortuito
o la forza maggiore alla responsabilità per colpa. L'impossibilità oggettiva deve ricondursi a una
causa estranea ai rischi che per tale attività sono tipicamente normali. Con un'inversione
dell'onere della prova, il codice stabilisce che il debitore, se vuole sottrarsi alla responsabilità per
inadempimento, deve dare la prova liberatoria, dimostrando la mancanza di colpa. Non si richiede
che l’impossibilità fosse imprevedibile, è sufficiente che l’impossibilità sia sopravvenuta e non
evitabile. Se l’impossibilità è parziale, anche l’estinzione dell’obbligazione è parziale, e il debitore
è tenuto alla prestazione per la parte che rimane possibile; se la prestazione ha per oggetto una
cosa determinata, rimane l'obbligo di consegnare la cosa stessa anche se deteriorata, come si
devono consegnare i residui di cosa perita.
L’obbligazione principale si estingue; ma al creditore può competere il diritto di subingresso nelle ragioni
spettanti al debitore in dipendenza del fatto che ha causato l’impossibilità di prestare una cosa
determinata: così sarà per l’azione di risarcimento contro il terzo che ha dato causa all’impossibilità. Il
creditore può esigere la prestazione quanto il debitore abbia ricevuto a titolo di risarcimento o come
compenso di assicurazione.
MORA DEL CREDITORE
La mora del creditore implica un ostacolo all'adempimento, per quel che dipende dal destinatario. Il
creditore è in mora quando, senza legittimo motivo, non accetta di ricevere il pagamento offertogli,
oppure non compie quanto è necessario perché il debitore possa adempiere l’obbligazione.
Non esiste obbligo a carico del creditore perché si presti a ricevere l’adempimento; il debitore pretende
soltanto di aver modo di liberarsi dall’obbligazione anche se il creditore non vuol ricevere l’adempimento.
Con gli effetti della mora del creditore si mira a far sì che l’obbligazione non diventi più gravosa per il
debitore o che la sua posizione non diventi comunque peggiore, come conseguenza del fatto che
l'obbligazione rimane inadempiuta.
Per aversi mora del creditore è necessario che il debitore faccia una offerta solenne al creditore. Quando

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l’offerta non è solenne ne deriva soltanto che il debitore non sarà considerato inadempiente; non ci sarà
mora del creditore, ma egli eviterà di incorrere in una sua mora e neppure dovrà pagare l’eventuale pena
convenzionale stabilita per il ritardo.
L’offerta solenne deve essere reale se l’obbligazione ha per oggetto denaro, titoli di credito, cose mobili
da consegnare al domicilio del creditore; le cose di cui si tratta sono messe a disposizione del creditore
con l'effettiva esibizione del bene da consegnare che il pubblico ufficiale deve portare con sé; l'offerta
avvenuta e la risposta ricevuta vanno indicate nel verbale. Se si tratta di cose mobili da consegnare in
luogo diverso, l’offerta consiste in una intimazione a riceverle; se si tratta di beni immobili, l’offerta
consiste in una intimidazione a prenderne possesso; se la prestazione consiste in un fare, il creditore è
costituito in mora mediante un'intimazione a ricevere la prestazione o a compiere gli atti necessari per
renderla possibile.
Eseguita l’offerta, il creditore che senza giustificato motivo non accetta la prestazione si considera in
mora. Gli effetti della mora del creditore sono:
1. il rischio per l’impossibilità della prestazione verificatasi successivamente rimane a carico del
creditore, il quale non si libererebbe dell’obbligo di adempiere la sua controprestazione;
2. non sono più dovuti interessi o frutti oltre a quelli eventualmente percepiti dal debitore;
3. il creditore è tenuto a risarcire gli eventuali danni derivanti al debitore per la mora e deve
rimborsare le spese fatte nel frattempo per la custodia e la conservazione della cosa.
LIBERAZIONE DEL DEBITORE SENZA INTERVENTO DEL CREDITORE
Per estinguere il debito senza l’intervento del creditore è necessario, una volta effettuata l’offerta, di un
ulteriore procedimento. Prima di tutto il debitore deve fare il deposito della cosa dovuta. Il deposito si
attua in stabilimenti di pubblico deposito (per il denaro o titoli equivalenti presso istituti di credito) e
produce effetto liberatorio soltanto dopo che sia stato accettato dal creditore o dopo la sentenza che
concede il cosiddetto giudizio di convalida. Dopo l’accettazione o la sentenza, il debitore non può ritirare
la cosa depositata. Se oggetto dell’obbligazione è la consegna di un immobile, l’effetto liberatorio si
ottiene nel momento in cui il debitore consegna la cosa dovuta a un sequestratario che viene nominato
dal giudice.
INADEMPIMENTO PER CAUSA IMPUTABILE AL DEBITORE
Per la responsabilità del debitore inadempiente la legge prevede un’inversione dell’onere della prova:
spetta al debitore il compito di dimostrare che l’inadempimento o il ritardo venne determinato da causa a
lui non imputabile. Se il debitore non riesce, l’inadempienza è a lui imputabile.
Se l’inadempimento dipende da dolo, derivano conseguenze più gravi in relazione all’ammontare dei
danni da risarcire. Il debitore inadempiente è responsabile anche per i fatti degli ausiliari, in analogia a
quanto previsto per gli atti illeciti dall'articolo 2049. Oltre alle sanzioni generali di inadempimento
dell’obbligazione (esecuzione in forma specifica, pena, risarcimento del danno), altra conseguenza a
carico del debitore potrà essere la perdita del beneficio del termine per altri eventuali debiti dello stesso
debitore moroso. Le regole di questo sistema di sanzioni legali ammettono variazioni e deroghe per
volontà delle parti:
• i soggetti possono stabile che rimanga a carico del debitore anche il rischio dell’inadempimento
per forza maggiore (assunzione del rischio), in modo che l'obbligato non possa invocare neppure
l'impossibilità sopravvenuta senza sua colpa;
• è consentito l’esonero preventivamente concordato della stessa responsabilità per colpa (c.d.
clausola di non responsabilità);
• non è ammesso l’esonero preventivo anche delle conseguenze che siano per derivare dal dolo o
dalla colpa grave poiché sarebbe in contrasto con la fondamentale esigenza di buona fede;
• è nullo il patto che esonera o limita la responsabilità per fatti del debitore (o dei suoi ausiliari) che
costituiscono violazione di obblighi derivanti da norme di ordine pubblico.
MORA DEL DEBITORE
Il ritardo colposo nell’esecuzione dell’obbligazione diventa inadempimento illecito quando sussistono
alcuni presupposti, in seguito ai quali si pongono conseguenze a carico del debitore. In qualche caso,
ritardo equivale a inadempimento definitivo per esempio, quando sia previsto un termine essenziale. Più
generalmente, si dirà che il ritardo corrisponde all’inadempimento definitivo quando la prestazione sia
divenuta o non più possibile o non più utile al creditore.
Sia il colposo ritardo (la mora), sia il colposo inadempimento costituiscono un illecito del debitore e
pertanto producono l’obbligo del risarcimento.
Primo presupposto delle regole sulla mora è di stabilire un momento dal quale il debitore si considera già
inadempiente; da quel momento è posto a suo carico una serie di conseguenze, indipendentemente
dall’eventuale futuro adempimento dell’obbligazione. La prestazione deve essere certa e indiscussa nel
suo titolo.
• Primo presupposto della mora è la scadenza del debito, che corrisponde alla sua esigibilità.
• Secondo presupposto è la colpevolezza del debitore.
La mora deve essere constatata con certezza. Il debitore viene a cadere in mora in due modi diversi, che
vanno tradizionalmente sotto il nome di mora ex re e di mora ex persona:
➢ si ha mora ex re quando il debitore cade in mora senza che sia necessaria alcuna azione del
creditore. Questo avviene:
a) quando la prestazione deve essere eseguita entro un termine indicato e si tratti di debiti
portabili. Il debitore è costituito in mora ipso iure nel momento della scadenza.

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b) Nei debiti derivanti da atto illecito extracontrattuale la mora comincia dal momento stesso del
fatto compiuto, perché in quel momento nasce per il responsabile il dovere di restituire e di
riparare.
c) Quando il debitore abbia dichiarato per iscritto di non voler eseguire la prestazione.
➢ Si ha mora ex persona in tutti gli altri casi.
Per la costituzione in mora è necessaria una intimazione o anche solo una richiesta, fatte, l’una o l’altra,
per iscritto. Per la costituzione in mora quando non c’è termine si richiede l’intimazione del creditore.
Intimazione, o richiesta, possono essere fatte nei modi più diversi purché risultino da atto scritto. Anche
se c’è il termine, un atto di costituzione in mora è necessario quando l’adempimento deve essere
domandato al domicilio del debitore.
Gli effetti della mora del debitore sono:
• l’obbligo di risarcire i danni;
• l’assunzione da parte del debitore moroso del rischio per impossibilità sopravvenuta. Il debitore
indennizzerà il creditore delle conseguenze della forza maggiore che si sia verificata dopo la
mora.
La costituzione in mora interrompe la prescrizione ex art. 2943.
Si chiama purgazione della mora l’eliminazione dello stato di illegittimo ritardo e dei relativi effetti. La
mora si purga per la rinuncia del creditore al credito, o soltanto alla mora; essa deve risultare sempre
chiaramente e non si presume.
CONSEGUENZE DELL’INADEMPIMENTO, RISARCIMENTO E LIQUIDAZIONE DEI DANNI
Le norme sul risarcimento dei danni valgono in gran parte per la responsabilità contrattuale. I danni
patrimoniali che il debitore deve risarcire sono tanto il danno emergente quanto il lucro cessante: il
risarcimento è previsto per le sole conseguenze dirette e immediate dell’inadempimento di cui il debitore
è responsabile.
Quando l’inadempimento è colposo, l’obbligo del risarcimento si estende ai soli danni che potevano
prevedersi al tempo in cui è sorta l’obbligazione; se invece il debitore inadempiente ha agito con dolo,
cioè con la cosciente volontà di violare l'obbligo, risarcirà anche i danni imprevisti e imprevedibili (sempre
nei limiti delle conseguenze dirette). Il risarcimento è dovuto nell’ammontare dell’interesse legale sulle
somme liquide o poi liquidate anche se il creditore non ha subito alcun danno; si applica senza eccezioni il
presupposto della fecondità del danaro. Se il creditore riesce a dimostrare di aver subito un danno
maggiore, gli spetta anche l’ulteriore risarcimento, salvo sia stata convenuta la misura degli interessi
moratori.
La svalutazione monetaria è un rischio che grava sul creditore prima della mora. Quando il debitore è in
ritardo il pregiudizio dato dal deprezzamento della moneta deve essere sopportato dalla parte
inadempiente.
La valutazione del danno rispetto al tempo che passa (mora) presenta due facce: il danno causato in
passato viene indicato secondo una valutazione di allora, ma questa liquidazione, in tempi di oscillazioni
valutarie, deve essere riveduta per rapportarla al diverso peso della moneta di oggi; inoltre in danno va
collegato al fatto del ritardato pagamento della somma liquidata, per il tempo che è trascorso dalla
liquidazione fino al pagamento della somma nella moneta attuale.
Perché il danno sia risarcito, occorre stabilirne l’ammontare, occorre cioè che il debito relativo sia
liquidato. E veniamo alla liquidazione. La liquidazione può avvenire:
• in via legale: misura dei danni-interessi al tasso legale per l’inadempimento delle obbligazioni
pecuniarie;
• in via convenzionale: per accordo successivo, o con la stipulazione preventiva di una clausola
penale;
• in via giudiziale.
Quando il danno non possa essere provato nel suo preciso ammontare, il giudice valuterà
equitativamente le circostanze.
Nelle controversie giudiziarie il procedimento diretto ad accertare una responsabilità civile si può svolgere
in due fasi; in primo giudizio si stabiliscono il fondamento della responsabilità e i criteri del risarcimento; si
riserva a un secondo giudizio la liquidazione in concreto. Il giudice, nella seconda fase, che, come detto, in
mancanza di precisi dati di valutazione, sarà condotta con criteri equitativi, deve anche fare delle
previsioni sui danni che potrebbero verosimilmente derivare in futuro come conseguenza
dell’inadempimento.
SEZIONE VII. IL SINALLAGMA E LA RISOLUZIONE DEI RAPPORTI CONTRATTUALI
CONTRATTO A PRESTAZIONI CORRISPETTIVE
Il contratto, in quanto negozio, è sempre un negozio bilaterale o plurilaterale: anche contratti unilaterali
sono necessariamente negozi bilaterali. La bilateralità del contratto si riferisce agli effetti obbligatori che
ne sorgono.
Sinallagma è il legame reciproco che in alcuni contratti esiste tra la prestazione e la controprestazione:
legame tanto forte, da rendere le obbligazioni stesse interdipendenti. Sono contratti sinallagmatici, o a
prestazioni corrispettive, quei contratti dai quali sorgono contemporaneamente nell’una e
nell’altra parte obblighi e diritti a prestazioni reciproche collegate tra loro da un rapporto di
interdipendenza. Unilaterali, o con prestazioni di una sola parte, sono gli altri. Es. di contratti a
prestazioni corrispettive: la compravendita, la permuta, la locazione, il contratto di trasporto,
l’assicurazione; esempi di contratti con prestazioni da una sola parte sono la donazione, la fideiussione, il
mandato, il deposito gratuito, il mutuo, il comodato.

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Il sinallagma si distingue in:


• genetico: sta a significare il reciproco rapporto di giustificazione causale che deve intercorrere tra
le contrapposte obbligazioni nascenti dal contratto nel momento della sua stipulazione. Non basta
la pretesa originaria delle contrapposte obbligazioni aventi per contenuto una diversa prestazione
e controprestazione collegate tra loro da una ragione genetica; il diritto segue anche la vita del
rapporto, e pertanto il contratto può venir risolto se in seguito una delle due obbligazioni viene a
mancare o non può essere eseguita; qui hanno fondamento la risoluzione per inadempimento e la
risoluzione per impossibilità sopravvenuta.
• La prestazione di una parte rimane legata non solo all'esistenza originaria, ma anche al perdurare
dell’obbligazione corrispondente della controparte e quindi all’adempimento a alla possibilità di
adempimento (sinallagma funzionale).
Tutti i contratti corrispettivi sono onerosi, ma la proposizione inversa non vale, perché onerosi possono
essere anche alcuni contratti unilaterali (mutuo, deposito, mandato).
RISOLUZIONE DEI CONTRATTI IN GENERALE
La risoluzione colpisce non il negozio, ma il rapporto. La risoluzione è:
• volontaria, quando le parti con un nuovo consenso, detto anche mutuo dissenso, pongono fine
alle conseguenze del rapporto obbligatorio esistente tra di loro;
• legale: è prevista generalmente per i soli contratti a prestazioni corrispettive. La causa della
risoluzione si manifesta nei tre casi regolati dal Codice nel capo che si intitola la risoluzione del
contratto:
◦ l’inadempimento della controparte;
◦ l’impossibilità sopravvenuta di una prestazione;
◦ l’eccessiva onerosità;
rompono il vincolo di corrispettività, tolgono la giustificazione causale che unisce la prestazione
alla controprestazione.
RISOLUZIONE PER INADEMPIMENTO ED ECCEZIONE DI INADEMPIMENTO
Quando il soggetto che non ha adempiuto e che non è pronto ad adempiere chiede la prestazione della
controparte, quest’ultima può assumere un atteggiamento passivo, difendendosi con l’eccezione di
inadempimento. È legittimo il rifiuto a eseguire la propria prestazione quando esso è conforme a buona
fede, ossia quando è giustificato da un non lieve inadempimento dell'altra parte; occorre anche che la
prestazione della controparte non sia sottoposta a un diverso, posticipato, termine iniziale. È riconosciuto
ad ogni contraente il diritto di sospendere la prestazione di lui dovuta quando le condizioni patrimoniali
della controparte siano tali da porre in evidente pericolo il conseguimento della controprestazione.
L’eccezione di inadempimento ha quindi prima di tutto un carattere di tutela immediata perché essa
non richiede il previo intervento del giudice. Il suo effetto sarà soltanto sospensivo, di un atteggiamento di
attesa, ammesso fino a un successivo chiarimento della situazione. L'inadempimento attribuisce al
creditore insoddisfatto il diritto di agire per la risoluzione dell'obbligo posto a proprio carico. Nel reagire
attivamente all’altrui inadempimento, il contraente sceglie tra la risoluzione e l’adempimento, ma non è
consentito che la domanda di risoluzione si muti in richiesta di adempimento. Nell’uno e nell’altro caso al
contraente insoddisfatto è riconosciuto il diritto ad avere in più il risarcimento del danno per l’illecito
comportamento della controparte.
La risoluzione viene chiesta con domanda giudiziale (sottoposta al termine della prescrizione ordinaria).
La risoluzione è sempre conseguenza della volontà della parte che la chiede in seguito all’inadempimento
della controparte; il giudice non può concedere dilazioni all’inadempiente dopo la domanda di risoluzione,
lo stesso inadempiente non può adempiere la propria prestazione. L’azione giudiziale non è però
necessaria. Dopo la scadenza del termine stabilito per l’esecuzione, la parte non soddisfatta può intimare
per iscritto all’altra parte una diffida entro un congruo termine (di almeno quindici giorni), dichiarando
che, decorso inutilmente detto termine, il contratto si intenderà risoluto. Passato il termine senza che la
controparte adempia od opponga eccezioni al diritto del diffidante, la risoluzione avviene senza intervento
del giudice. Ma neppure il procedimento monitorio è sempre necessario. Se ne prescinde in due ipotesi:
1. quando i contraenti hanno inserito nel contratto una clausola risolutiva espressa, prevedendo
espressamente l’effetto risolutivo in conseguenza dell’altrui inadempimento, la risoluzione si
verifica in seguito alla semplice dichiarazione della parte di avvalersi della clausola.
2. Quando la prestazione deve eseguirsi entro un termine essenziale, la risoluzione opera di diritto,
purché l’interessato all’adempimento non dichiara entro tre giorni dalla scadenza di volere
ugualmente esigere la prestazione.
Gli effetti della risoluzione sono di regola retroattivi, con obbligazioni restitutorie in capo ai contraenti del
rapporto risolto, e fatto salvo il risarcimento del danno che può essere causato; non sono peraltro
pregiudicati i diritti acquisiti dai terzi, salvi gli effetti della trascrizione della domanda.
Il sinallagma per patto può scindersi; cioè si rende l’una prestazione indipendente dall’altra mediante una
clausola limatrice della proponibilità di accezioni. È escluso il valore di detta clausola per le eccezioni di
nullità, annullabilità e rescindibilità del contratto.
RISOLUZIONE PER IMPOSSIBILITA’ SOPRAVVENUTA
L’obbligazione che non può essere adempiuta si estingue in applicazione di quanto stabilisce l’art. 1256;
in forza della risoluzione del contratto (art. 1463), cade anche l’obbligo della controprestazione la quale
non sarebbe affatto divenuta impossibile; ma il contraente si libera perché la sua obbligazione era unita
dal sinallagma funzionale con l’altrui obbligazione.

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L’impossibilità temporanea ha effetti soltanto di carattere sospensivo sull’obbligazione colpita da


impossibilità di prestazione; e quindi nemmeno l’obbligazione per la controprestazione si estingue.
Quando uno scambio è realizzabile, perché l’impossibilità è soltanto parziale, il creditore ha diritto a una
corrispondente riduzione della prestazione da lui dovuta, ma si ritorna alla risoluzione totale quando
l'adempimento parziale non soddisfa l'interesse che il creditore aveva alla prestazione.
SOPPORTAZIONE DEL RISCHIO E PERICOLO NEL CONTRATTO
Il problema del rischio nei contratti riguarda l'incidenza del fortuito nell'ambito delle obbligazioni delle
parti che si trovano contrapposte in uno stesso rapporto contrattuale che avrebbe per suo oggetto la
prestazione divenuta impossibile. La legge stabilisce che le conseguenze economiche del fatto estraneo
dal quale dipende l’impossibilità della prestazione ricadano sopra il debitore che doveva eseguire la
prestazione stessa, il rispettivo creditore è liberato dall’obbligo della controprestazione. La risoluzione del
contratto quindi non riguarda la prestazione impossibile, la cui obbligazione venne estinta per la
sopravvenuta impossibilità, ma tocca la controprestazione che vi era legata. L'impossibilità sopravvenuta,
che ha estinto l'obbligazione impossibile, è causa di risoluzione anche dell'altra.
Rispetto al contratto unilaterale, cioè quando l’obbligazione è a solo vantaggio di una parte senza
corrispettivo, è giusto che il rischio sia tutto a carico del creditore che perde il diritto alla prestazione; si
tratta di estinzione dell’obbligazione unilaterale.
Nei contratti che trasferiscono la proprietà, o costituiscono o trasferiscono diritti reali, la conseguenza
dannosa di un caso fortuito che ne colpisca l’oggetto è subita direttamente da colui che ha acquistato il
diritto; poiché l’effetto del contratto si attua immediatamente, e quindi il diritto viene acquistato prima
dell’evento dannoso, colui che è diventato titolare del diritto sulla cosa ha da adempiere la corrispondente
obbligazione. L’acquirente ha l’obbligo di eseguire la controprestazione anche se la cosa non gli è stata
consegnata.
La regola propria del rischio nei contratti traslativi si applica soltanto quando l’efficacia reale è immediata,
e non invece nei casi di alienazione di un diritto con efficacia obbligatoria. Se l’effetto dell’obbligazione è
sottoposto a termine iniziale, il rischio del perimento manifestatosi nell’intervallo è supportato
dall’acquirente, come nella vendita con efficacia immediata. Se invece il contratto traslativo è sottoposto
a condizione sospensiva, il rischio sta a carico dell’alienante per il perimento che si manifestasse durante
tutto il tempo di pendenza della condizione.
RISOLUZIONE PER ECCESSIVA ONEROSITA’
La rescissione per lesione ultra dimidium costituisce un rimedio per i più gravi squilibri economici nella
conclusione del contratto, quando una parte abusi dello stato di bisogno dell’altra.
Vediamo il diverso rimedio della risoluzione quando l’obbligo di una prestazione, assunto
contrattualmente, sia divenuto troppo oneroso per il sopravvenire di avvenimenti straordinari e
imprevedibili. Non si può parlare di eccessiva onerosità quando lo squilibrio economico della nuova
situazione non supera i limiti di incidenza della normale incertezza che ogni contraente deve affrontare
circa i vantaggi e gli oneri dell'atto. La risoluzione ha effetto relativamente alle sole prestazioni troppo
onerose ancora da eseguire. Infine l’applicazione del rimedio viene esclusa per i contratti aleatori.
La risoluzione del contratto a prestazioni corrispettive può essere evitata dalla controparte interessata con
l’offerta di modificare equamente le clausole del contratto al fine di eliminare la sopravvenuta onerosità.
La risoluzione è rimedio eccezionale, concesso per motivi di equità concreta, ed è giusto che se ne possa
evitare l’applicazione quando ne siano tolti i presupposti.
Anche per i contratti unilaterali, nel sopravvenire di forti squilibri, è prevista la possibilità di ottenere una
revisione, con la riduzione della prestazione oppure con una modificazione nelle modalità di esecuzione,
tali da ricondurre l’equità nel rapporto. Questo rimedio contro l’imprevisione è concesso in via giudiziaria.
La sentenza di risoluzione produce gli stessi effetti, sia tra le parti, sia di fronte ai terzi.

CAPO IX. LE GARANZIE DELL’OBBLIGAZIONE


SEZIONE I. LA TUTELA DEL CREDITO E LE GARANZIE DELL’OBBLIGAZIONE
RESPONSABILITA’ PATRIMONIALE E GARANZIE
In seguito all’inadempimento del debitore si vede la responsabilità, cioè la soggezione del debitore alla
sanzione. Il debitore risponde dell’adempimento dell’obbligazione con tutti i suoi beni presenti e futuri.
L’obbligazione originaria si converte in un obbligo di risarcimento che ha per presupposto una
liquidazione: ogni debito e la conseguenza del suo inadempimento si riducono a una somma di denaro.
Ottenuta questa determinazione, si riducono in denaro i beni che si trovano nel patrimonio del debitore,
mediante vendita forzata o simile procedimento. A conclusione, sulla somma ricavata si attribuisce al
creditore quanto gli spetta.

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Perché la responsabilità patrimoniale sia efficace in concreto, l’interesse del creditore ha due esigenze
fondamentali:
1. il debitore non deve avere troppi debiti, perché è chiaro che le porzioni sono destinate a diminuire
in funzione del numero dei condividenti;
2. i beni ai quali si rivolge l’aspettativa del creditore non devono scomparire.
Per assicurare il creditore, in parte funziona il generale sistema della legge, e in parte è costituito il
sistema delle garanzie lasciate alla cura degli interessati. Il sistema delle garanzie si pone accanto alla
generica responsabilità, in rafforzamento alle sanzioni. La responsabilità riguarda la posizione del
debitore; le garanzie riguardano la parte del creditore quale rafforzamento dei suoi diritti.
Vediamo in quale maniera la generica responsabilità del debitore si può rafforzare mediante garanzie:
a) moltiplicando i soggetti passivi, o meglio il numero dei responsabili;
b) concretando la responsabilità sopra un bene determinato che non possa essere sottratto alla
soddisfazione del creditore, il quale ottiene in più anche una ragione di preferenza;
c) ottenendo un anticipo di esecuzione a titolo di caparra.
MEZZI DI CONSERVAZIONE DELLA RESPONSABILITA’ PATRIMONIALE
Contro il pericolo dell’insolvenza, il creditore ha:
• un rimedio preventivo: il sequestro conservativo;
• un mezzo per valorizzare il patrimonio del debitore, per conservare il valore nonostante l’inerzia
del titolare: l’azione surrogatoria;
• un mezzo assai importante per riparare alle conseguenze della frode con la quale fossero fatti
scomparire i beni che costituiscono l’oggetto della responsabilità: l’azione revocatoria, o pauliana.
AZIONE SURROGATORIA
Al creditore è riconosciuto un mezzo per riparare alle conseguenze dell’inerzia giuridica del debitore,
sostituendosi a lui nell’esercizio di singoli diritti o di azioni nel proprio interesse.
La surrogatoria ha carattere strumentale, giova al creditore per raggiungere un ulteriore scopo; per suo
mezzo si recuperano o si conservano beni sopra i quali potrà soddisfarsi. Infatti chi agisce in surrogatoria
fa acquistare al patrimonio del debitore gli aumenti che a quest’ultimo sono dovuti e impedisce le
diminuzioni che gli deriverebbero dalla sua incuria. Non si deve tuttavia pensare che l’azione surrogatoria
abbia come oggetto la sostituzione in una posizione patrimoniale o amministrativa altrui, come se il
creditore potesse direttamente sostituirsi a proprio vantaggio nell’attività materiale concreta del proprio
debitore. La surrogatoria, ammette la sostituzione soltanto in singoli atti giuridici a diretto vantaggio del
debitore. Non tutti i diritti possono essere esercitati per surrogatoria: ne sono esclusi quelli di carattere
prettamente personale, come l’esercizio delle azioni in materia familiare.
AZIONE REVOCATORIA O PAULIANA
Di fronte al pericolo di una esecuzione forzata, il debitore tende a sottrarre i suoi beni alla responsabilità
generica facendo passare in altre mani la titolarità del diritto sui propri beni in due modi:
1. o fingendo di concludere alienazioni con un compiacente amico: il negozio è simulato e al
creditore spettano i mezzi che gli sono riconosciuti;
2. o conclude effettive alienazioni, preferendo donare, o ricevere poco per sé, piuttosto che lasciare
tutto esposto alle pretese dei suoi creditori. In questa ipotesi di alienazione non simulata, ma
relativamente voluta, il creditore eserciterà il rimedio dell’azione revocatoria.
I presupposti fondamentali dell’azione revocatoria sono due:
• la frode è elemento essenziale, per aversi frode è sufficiente la conoscenza del pregiudizio che
l’atto può arrecare alle ragioni del creditore. Dato che la revocatoria si esercita contro atti di
alienazione, c’è anche un terzo interessato all’atto stesso: l’acquirente. La posizione di questo
terzo non merita riguardo se egli pure ha agito in mala fede. Se il terzo acquirente ha acquistato
non conoscendo la frode, si fa una distinzione:
◦ se l’acquisto è stato fatto a titolo oneroso, la buona fede impedisce la revoca;
◦ se l’acquisto è stato fatto a titolo gratuito la legge tutela il creditore.
La prova della malafede può essere data con ogni mezzo.
• Il pregiudizio che può derivare alle attese del creditore. Il debitore è libero di agire sui propri beni
fintantoché non sia minacciata la garanzia che il restante patrimonio potesse offrire.
Può essere revocato anche l'atto di alienazione anteriore all'assunzione del debito, soltanto però quando
tale alienazione fosse stata dolosamente preordinata al fine di pregiudicare il soddisfacimento del futuro
creditore. Effetto della revocatoria è la dichiarazione di inefficacia dell’atto di alienazione. La sentenza che
accoglie la domanda in revocatoria consente di esercitare l’azione esecutiva anche direttamente sui beni
che furono alienati con frode pur se divenuti proprietà di un soggetto diverso dal debitore, contro il quale
potrà dunque eccezionalmente attivarsi la peculiare procedura di esecuzione contro il terzo proprietario.
La legge estende l'efficacia recuperatoria del bene anche contro il terzo avente causa da chi è stato parte
dell'atto che si revoca. La revocatoria si estende anche alla seconda alienazione se fatta a titolo gratuito,
o quando il terzo subacquirente a titolo oneroso sia stato in mala fede nel momento dell’acquisto.
L’azione per revocare l’atto compiuto in frode si prescrive con il decorso di cinque anni dalla data dello
stesso.
SEQUESTRO CONSERVATIVO E ALTRE FORME DI SEQUESTRO
Il sequestro è la più tipica manifestazione delle misure cautelari, esse sono dei provvedimenti che, per
avere efficacia, devono essere dati senza ritardo, senza attendere il risultato definitivo di una
controversia, mirando a evitare che la situazione, nell’attesa, risulti compromessa.

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Il sequestro conservativo ha lo scopo di evitare il pericolo che il creditore perda la garanzia generica
sui beni del debitore. Il pericolo può verificarsi sia con la scomparsa materiale del bene (denaro), sia con il
passaggio del bene in altra sfera giuridica (vendita, trasmissione del possesso). Si distingue dall’azione
revocatoria perché è rimedio preventivo, e si mostra efficace rispetto a quei beni che, come i mobili,
difficilmente potrebbero essere raggiunti con l’esercizio della pauliana, una volta che fossero usciti dal
possesso del debitore.
La diversa funzione caratterizza la differenza tra il sequestro conservativo e il sequestro giudiziario;
quest’ultimo si riferisce:
• o ai beni che rappresentano lo specifico oggetto di una controversia e viene attuato al fine di
sottrarli alla disponibilità diretta di uno piuttosto che di un altro contendente;
• o a documenti o cose da cui possono desumersi elementi di prova e delle quali sia opportuna la
temporanea custodia.
Il codice regola il sequestro convenzionale che è attuato d’accordo tra le parti.
ESECUZIONE COATTIVA
Il diritto del creditore all’esecuzione sui beni del debitore costituisce un completamento del suo diritto di
azione. Lo Stato avoca a se il compito dell’attuazione del diritto, sia nella fase di cognizione, per il
riconoscimento dei diritti, sia nella fase di esecuzione per la realizzazione concreta degli stessi. La legge
prevede alcune eccezioni alla generale pignorabilità dei beni del debitore per es. il demanio dei poveri,
composto dai beni mobili strettamente necessari per la vita del debitore e della sua famiglia. Impignorabili
sono alcuni diritti che si considerano personalissimi pur nel campo dei diritti patrimoniali, quali i diritti
d’uso e di abitazione, l’usufrutto legale del genitore, ecc.
L’esecuzione coattiva segue procedure diverse, secondo che abbia per oggetto beni mobili, immobili o
crediti. L’esecuzione forzata ha come presupposti necessari che il creditore non soddisfatto agisca per un
conto certo, liquido, esigibile, e che agisca in forza di un titolo esecutivo, ossia in forza di un documento
necessario e sufficiente per mettere in moto la procedura coattiva. Tali titoli sono: la sentenza esecutiva;
la cambiale; ogni atto ricevuto da notaio, nonché scrittura privata relativa a obbligazioni di somme di
denaro in esse documentate.
CONCORSO DEI CREDITORI E CAUSE DI PRELAZIONE. I PRIVILEGI
I creditori hanno tutti un egual diritto sul patrimonio del comune debitore. Se tutti i creditori non possono
essere soddisfatti, sul ricavato dell’esecuzione singolare si fa una ripartizione proporzionale, senza tener
conto del tempo in cui i creditori sono sorti. La realizzazione del concreto soddisfacimento è di regola
lasciata all’interesse e alla diligenza del singolo creditore, fatta eccezione per i beni sopra i quali sono
costituiti pegno o ipoteca, e con riserva del fallimento. La distribuzione di quanto si è ricavato dal
procedimento esecutivo si fa con parità di trattamento soltanto tra coloro che sono intervenuti
all’esecuzione prima che il processo sia concluso.
A questa regola si sottraggono i crediti per i quali esistono cause legittime di prelazione, che sono
privilegi, pegno e ipoteca. Le cause legittime di prelazione costituiscono un diritto singolare per il quale
non è ammessa estensione analogica.
Il privilegio è titolo di prelazione accordato dalla legge in considerazione della causa del credito. E’ una
qualificazione dello stesso credito. Esso generalmente è occulto perché non risulta da mezzi di pubblicità.
Tra più crediti privilegiati non si guarda alla priorità nel tempo di costituzione dell’uno o dell’altro, ma
sempre unicamente alla causa del credito secondo l’ordine stabilito dalla legge.
I privilegi sono tutti legali, cioè devono trovare riconoscimento nella legge; si distinguono in mobiliari e
immobiliari, secondo che si facciano valere sul ricavato della vendita coattiva eseguita sui beni mobili
oppure sugli immobili del debitore. I privilegi mobiliari sono generali o speciali, i privilegi immobiliari sono
di regola speciali.
Il privilegio generale consiste in un riconoscimento che viene fatto alla causa del credito,
indipendentemente da ogni rapporto con i beni mobili che sono sottoposti a esecuzione. Il privilegio
speciale, che si esplica soltanto sopra determinati mobili o determinati immobili, è giustificato dal
particolare rapporto di connessione esistente tra il credito e la cosa sul ricavato della cui vendita
giudiziale esso si esercita. Essi, se la legge non dispone diversamente, hanno un diritto di seguito: cioè
possono esercitarsi anche nei confronti degli acquisti fatti dai terzi posteriormente al loro sorgere. In
alcuni casi la legge accorda a chi abbia un privilegio speciale anche un diritto di ritenzione.
Se le cose sottoposte a privilegio, pegno o ipoteca sono perite o deteriorate, le somme dovute dagli
assicuratori per indennizzo sono vincolate al pagamento dei relativi debiti secondo il loro grado. Altra
regola stabilisce che il creditore quando è garantito da ipoteca, pegno o privilegio speciale su un
determinato bene non può procedere su altri beni del debitore se non sottopone a esecuzione anche il
bene ipotecato, pignorato o che è oggetto dello speciale privilegio.
Di regola il credito munito di privilegio speciale immobiliare è preferito al credito garantito da ipoteca,
invece il privilegio speciale su beni mobili non può essere esercitato, di regola, in pregiudizio del credito
garantito da pegno.
La legge determina minutamente l'ordine dei singoli privilegi generali o speciali sui mobili: preferenza
assoluta è sempre riconosciuta alle spese di giustizia. Seguono: i crediti riguardanti le retribuzioni dovute
ai prestatori di lavoro subordinato; i crediti relativi alle provvigioni del rapporto di agenzia; i crediti
maturati dal coltivatore diretto come corrispettivo della vendita dei propri prodotti; i crediti aventi ad
oggetto il corrispettivo dei servizi prestati o dei manufatti venduti da imprese artigiane o società
cooperative di produzione e lavoro; i crediti delle società cooperative agricole.
Se concorrono più crediti con lo stesso grado di preferenza, si applica la regola generale del concorso,
suddividendo il ricavato in proporzione del rispettivo importo.

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ESECUZIONE CONCORSUALE. FALLIMENTO


La materia del fallimento è regolata da un decreto entrato in vigore contemporaneamente al codice civile,
chiamato legge fallimentare, che prevedeva sostanzialmente una procedura liquidatoria, caratterizzata da
una forma di esecuzione concorsuale, stabilita per regolare il concorso dei creditori dell'imprenditore
commerciale insolvente, in modo da garantire la par condicio dei creditori, con una esecuzione universale
sia per la massa dei creditori concorrenti, sia per la totalità dei beni liquidati. I principi cardine della
materia erano quelli della tutela paritetica dei creditori e del carattere punitivo del fallimento, allo scopo
di indurre l'imprenditore a porre in essere tutto quanto in suo potere al fine di evitare il fallimento.
Il fallimento è una situazione, uno status, che richiede la dichiarazione giudiziale; senza la relativa
sentenza, ci sarà un debitore inadempiente, o anche insolvente, ma non un fallito.
Presupposti per la dichiarazione del fallimento sono:
• la qualifica di imprenditore commerciale del debitore: soltanto l’imprenditore commerciale è
sottoposto alla procedura concorsuale;
• lo stato di insolvenza: si ha quando il debitore non è in grado di soddisfare regolarmente le proprie
obbligazioni. La prova dello stato di insolvenza richiede che dal confronto fra l'attivo e il passivo
patrimoniale risulti il definitivo venir meno della possibilità dell'imprenditore di operare sul
mercato.
Il fallimento viene dichiarato con sentenza del tribunale del luogo dove si trova la sede principale
dell’impresa all'esito di un procedimento giurisdizionale e contenzioso. Questo inizia su domanda dello
stesso debitore, di uno dei creditori, su iniziativa del pubblico ministero o anche d’ufficio.
Con la sentenza dichiarativa del fallimento, il tribunale nomina il giudice delegato e il curatore; ordina al
fallito di depositare i bilanci e le scritture contabili; assegna ai creditori e ai terzi che vantino diritti reali
sui beni mobili in possesso del fallito un termine per la presentazione delle domande di ammissione dei
loro crediti e stabilisce il luogo, il giorno e l'ora dell'adunanza in cui si procederà all'esame dello stato
passivo. La sentenza dichiarativa di fallimento deve venire annotata nel registro delle imprese e trascritta
nei registri immobiliari.
Il giudice delegato vigila l'opera del curatore e controlla la regolarità della procedura; tra i suoi compiti
più importanti vi è quello di autorizzare il curatore a stare in giudizio come attore o come convenuto.
Il curatore è scelto negli albi degli avvocati, dei procuratori, dei dottori in economia e commercio e dei
ragionieri, o tra chi abbia svolto funzioni di amministrazione, direzione e controllo in s.p.a. è pubblico
ufficiale; ha diritto a un compenso, che gli viene liquidato dal tribunale. È il vero organo propulsivo della
procedura: non solo ha l'amministrazione del patrimonio fallimentare e la rappresentanza esterna
dell'ufficio, ma è il soggetto attivo della procedura concorsuale, dovendo provvedere alle principali
operazioni.
Un ulteriore organo è il comitato dei creditori, che vigila sull'operato del curatore ed esprime pareri nei
casi previsti dalla legge, o quando richiesto dal tribunale o dal giudice delegato. È nominato nel corso
della procedura dal giudice delegato; è compreso di tre o cinque membri.
La dichiarazione di fallimento:
• priva il fallito dell'amministrazione e della disponibilità dei beni;
• blocca ogni azione individuale, esecutiva o cautelare, anche se già iniziata;
• sospende il corso degli interessi, legali o convenzionali, sui creditori chirografari fino alla
dichiarazione di chiusura;
• sospende i rapporti pendenti finché il curatore non esercita il suo potere di scelta tra subingresso
nel rapporto e il recesso dello stesso;
• l'azione revocatoria fallimentare è esperibile, in forza della quale i creditori devono restituire
quanto avessero già ricevuto, pur come pagamento del proprio credito.
Nella complessa procedura del fallimento si distinguono nettamente due gruppi di operazioni:
➢ l'accertamento del passivo: il procedimento ha natura giurisdizionale. Il giudice delegato forma lo
stato passivo del fallimento dopo aver esaminato le varie domande di ammissione, sentiti
eventualmente i singoli intervenuti, compresi il curatore e il fallito e lo rende esecutivo con
decreto e il curatore informa immediatamente ciascun creditore, comunicando l'esito della
rispettiva domanda. Contro il decreto possono proporre opposizione i singoli creditori e il curatore
entro trenta giorni dalla comunicazione del curatore.
➢ L’operazione più delicata affidata al curatore è la ricostruzione dell’attivo. Essa comprende
l’attività di recupero di tutti i beni che devono esservi considerati presenti almeno agli effetti della
soddisfazione dei creditori. Entro sessanta giorni dalla redazione dell'inventario, il curatore
predispone un programma di liquidazione, sottoposto al comitato dei creditori e al giudice
delegato, che ne autorizza i singoli atti. Esso costituisce l'atto di pianificazione e di indirizzo in
ordine alle modalità e ai termini per la realizzazione dell'attivo. Importanza centrale assume la
revocatoria fallimentare per mezzo della quale si estende l’efficacia dell’azione pauliana.
Alcuni atti sono dichiarati inefficaci nei riguardi della massa dei creditori, pertanto il terzo
acquirente si vedrà privato di quanto ha ricevuto, con la povera soddisfazione di insinuare nel
passivo il suo eventuale credito. Per alcuni atti l’efficacia opera ipso iure, senza bisogno di uno
speciale giudizio di revocazione: sono gli atti a titolo gratuito e i pagamenti di debiti non scaduti
fatti nei due ultimi anni che precedono la sentenza dichiarativa di fallimento. Per altri atti la
revoca è ammessa su istanza del curatore.
Una volta formata la massa dell’attivo, si procede alla liquidazione; la vendita avviene tramite procedure
competitive. La ripartizione dell’attivo tra i creditori si esegue sulla base di appositi piani di riparto,

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presentati ogni quattro mesi dal curatore e approvati dal giudice delegato. La legge stabilisce un ordine
da seguire nella ripartizione delle somme.
La procedura di fallimento si chiude:
• per mancanza di attivo o per compiuta ripartizione finale: il tribunale, entro cinque anni dal
decreto che ha dichiarato la chiusura, può ordinare la riapertura del fallimento, quando nel
patrimonio del fallito risultino attività in misura tale da rendere utile il provvedimento;
• per l’integrale pagamento dei debiti o per mancanza di domande di ammissione al passivo.
Con la chiusura del fallimento cessano gli effetti sul patrimonio del fallito e decadono gli organi della
procedura. Il fallimento può cessare anche per effetto di un concordato fallimentare, che consente la
soddisfazione paritetica dei creditori con esclusione della liquidazione. Esso può essere proposto:
➢ da uno o più creditori o da un terzo, anche prima della chiusura dello stato passivo;
➢ dal fallito o da società partecipate o controllate dallo stesso, sopo il decorso di un anno dalla
dichiarazione di fallimento e purché non siano decorsi due anni dal decreto che rende esecutivo
lo stato passivo.
La proposta deve prevedere la ristrutturazione dei debiti e la soddisfazione dei crediti in una qualsiasi
forma. Sussiste la possibilità che i creditori vengano suddivisi in classi, secondo posizione giuridica ed
interessi economici omogenei con previsione (motivata) di trattamenti differenziati. La proposta di
concordato è presentata dal giudice delegato che, richiesto il parere al curatore ed al comitato dei
creditori ed acquisito il parere favorevole del curatore, ne ordina la comunicazione ai creditori. Il
concordato è approvato dalla maggioranza dei creditori con diritto di voto, o dei creditori che risultino da
un elenco provvisorio predisposto dal curatore ed approvato dal giudice delegato. È poi necessario un
giudizio di omologazione del tribunale, nel quale i creditori possono esporre le ragioni di una loro
opposizione. Se il concordato è omologato diviene obbligatorio per tutti, e la sua esecuzione da parte del
fallito estingue l'obbligazione civile verso i singoli creditori.
La liquidazione coatta amministrativa è un procedimento di natura concorsuale previsto per
l'insolvenza di taluni tipi di imprese che vengono escluse dalla procedura fallimentare (di assicurazione, di
credito). Viene disposta, oltre che per situazioni di crisi economica, anche per grave irregolare
funzionamento, o per altre ragioni di pubblico interesse che consiglino la soppressione dell'ente. Alla
procedura sono applicabili le norme in materia di fallimento, sostituendosi al curatore il commissario
liquidatore, al giudice delegato l'organo amministrativo di vigilanza e al comitato dei creditori il comitato
di sorveglianza composto da tre o cinque membri esperti nel ramo di attività esercitato dall'impresa,
possibilmente tra i creditori.
Il piano di risanamento è una forma di risoluzione della crisi di tipo privatistico, che pertanto presenta
la snellezza, l'elasticità e la riservatezza di un iter affidato esclusivamente all'imprenditore e ai suoi
creditori. I momenti essenziali della sua realizzazione sono:
1. l'individuazione delle cause della crisi e la ricostruzione della reale situazione d'impresa;
2. la nomina di un professionista specializzato nella ristrutturazione delle imprese in crisi, che attesti
la ragionevolezza del piano e mantenga i rapporti con i creditori;
3. la redazione di un piano industriale e finanziario con la supervisione del professionista;
4. la predisposizione di una convenzione che il professionista deve illustrare e sottoporre
all'accettazione dei creditori;
5. l'esecuzione del programma previsto nella convenzione sottoscritta.
Importanti limiti all'efficacia delle soluzioni stragiudiziali:
• non è previsto alcun blocco delle iniziative individuali in pendenza del procedimento;
• in sede fallimentare non sono riconosciuti i crediti sorti in esecuzione del piano.
Gli accordi di ristrutturazione consistono in accordi tra il debitore e una maggioranza qualificata dei
creditori (60%) e rappresentano una via ibrida in quanto coinvolgono un controllo pubblico che si
estrinseca nell'omologazione giudiziale dell'accordo intercorso tra le parti. L'imprenditore che abbia
raggiunto un accordo con il sessanta per cento dei propri creditori può depositarlo in tribunale ai fini
dell'omologazione, con la documentazione e una relazione sull'attuabilità dell'accordo redatta da un
professionista iscritto nel registro dei revisori contabili, quest'ultima deve espressamente prevedere
l'idoneità dello stesso ad assicurare il pagamento dei creditori estranei. L'unico limite che incontrano i
creditori estranei è il divieto di iniziare o proseguire azioni esecutive o cautelari sul patrimonio del
debitore nei sessanta giorni dalla pubblicazione dell'accordo nel registro delle imprese. L'accordo diviene
efficace a far data dalla sua pubblicazione nel registro delle imprese; non è richiesto che esso preveda il
rispetto della par condicio dei creditori. Entro trenta giorni dalla pubblicazione dell'accordo nel registro
delle imprese i creditori e ogni altro interessato possono proporre opposizione, in ordine alle quali il
tribunale decide sulla base di un giudizio a cognizione piena. Esaurite le opposizioni o in assenza di
opposizioni, il tribunale omologa l'accordo con decreto motivato all'esito di un giudizio in camera di
consiglio nel quale non è prevista alcuna udienza di comparizione.
Il concordato preventivo si attua nelle forme di una procedura pubblica di tipo concorsuale: essendo
maggiori le garanzie circa la sua regolarità e il rispetto della par condicio dei creditori, una volta
omologato, risulta vincolante per tutti i creditori, anche se dissenzienti, e i debiti assunti dall'imprenditore
in occasione o in funzione della procedura, in caso di successivo fallimento, sono prededucibili. La
procedura si articola in quattro momenti:
1. l'ammissione dell'imprenditore al concordato;
2. la deliberazione dei creditori in merito alla proposta di concordato;

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3. l'omologazione del concordato;


4. l'esecuzione del concordato.
Presupposto per l'ammissione alla procedura è lo stato di crisi dell'imprenditore; egli può proporre un
piano che prevede la ristrutturazione dei debiti e la soddisfazione dei crediti in qualsiasi forma. I creditori
possono essere suddivisi in classi omogenee e può essere loro offerto un trattamento differenziato: il
principio della par condicio risulta applicato, anche se solo all'interno delle classi. La domanda di
concordato deve essere presentata in forma di ricorso, con una relazione aggiornata sulla situazione
patrimoniale, economica e finanziaria dell'impresa, uno stato delle attività e un elenco dei creditori e dei
titolari di diritti reali sui beni e la relazione di un professionista in legge che attesti la fattibilità del piano e
la veridicità dei dati aziendali esposti. Il tribunale verifica l'ammissibilità della domanda in un
procedimento in camera di consiglio, sentito il debitore, e con decreto non reclamabile, viene dichiarata
l'ammissibilità o l'inammissibilità della proposta di concordato. In caso di esito negativo, il tribunale
dichiara il fallimento. Durante la procedura:
• il debitore conserva l'amministrazione dei suoi beni e l'esercizio dell'impresa, sotto la vigilanza del
commissario giudiziale e la direzione del giudice delegato;
• dalla data di presentazione del ricorso e sino all'omologazione del concordato i creditori con titolo
anteriore al decreto di ammissibilità non possono iniziare o proseguire azioni esecutive.
AMMINISTRAZIONE STRAORDINARIA DELLE GRANDE IMPRESE IN STATO DI INSOLVENZA
Per le imprese di dimensioni non piccole, il legislatore ha previsto l'amministrazione straordinaria
delle grandi imprese in stato di insolvenza, istituto finalizzato ad evitare il fallimento. Possono essere
assoggettate alla procedura le imprese:
• di natura privata;
• con un numero di dipendenti non inferiore a 200 da almeno un anno;
• che abbiano un'esposizione debitoria per un ammontare complessivo non inferiore ai due terzi sia
dell'attivo dello stato patrimoniale, sia dei ricavi dell'ultimo esercizio;
• che si trovino in stato di insolvenza;
• ma che presentino concrete prospettive di recupero dell'equilibrio economico delle attività
imprenditoriali.
Possono essere sottoposte ad amministrazione straordinaria anche prive di questi requisiti ma legate
all'impresa assoggettata a procedura da vincoli di controllo attivo o passivo o da direzione unitaria. Con
questo istituto viene prevalentemente curato l'interesse pubblico alla continuazione dell'attività
imprenditoriale: il fine è rimuovere gli effetti della situazione di insolvenza. Con la sentenza che dichiara lo
stato di insolvenza vengono nominati il giudice delegato e uno o tre commissari giudiziali; viene ordinato
il deposito delle scritture contabili e assegnato ai creditori un termine per la presentazione delle loro
domande. L'ammissione viene disposta dal tribunale con decreto motivato che il commissario giudiziale
deposita entro trenta giorni dalla dichiarazione dello stato di insolvenza. In caso di valutazione negativa il
tribunale dichiara con decreto motivato il fallimento. La procedura aperta si converte in fallimento, se nei
termini di legge no viene eseguito il programma di cessione di beni o di ristrutturazione. Si chiude invece
fisiologicamente:
1. se non sono proposte domande di ammissione;
2. se l'imprenditore recupera la capacità di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni;
3. con il concordato;
4. con il pagamento di tutti i crediti e le spese, in caso di programma di cessione dei beni;
5. con la ripartizione finale dell'attivo, in caso di programma di cessione dei beni.
Il legislatore ha previsto un'ulteriore speciale procedura di ristrutturazione industriale di grandi
imprese in stato di insolvenza, per le imprese con 500 dipendenti da almeno un anno e debiti per oltre
300 milioni di euro.
SOGGEZIONE VOLONTARIA ALLE CONSEGUENZE DELLA RESPONSABILITA’ PATRIMONIALE. CESSIONE DEI
BENI E ANTICRESI
In qualche caso vale meglio per gli interessati sostituire alla procedura esecutiva una cessione volontaria
dei beni ai creditori. La cessione dei beni darà il miglior risultato pratico quando il debitore offre tutte le
sue attività alla generalità dei creditori. La cessione si attua mediante un contratto, che richiede la forma
scritta ad substantiam con il quale il debitore incarica i creditori: 1) di liquidare la attività; 2) di ripartire il
ricavato in pagamento dei loro crediti. La cessione produce effetti limitati ai soggetti che vi partecipano.
La cessione dei beni non è una vera e propria cessione attuata a soddisfacimento del debito essendo
invece destinata a trasformare i beni nel denaro necessario alla sodi fazione dei creditori. Il debitore
cedente conserva un diritto di controllo sulla gestione e alla fine ha diritto ad avere un rendiconto.
Sostanzialmente satisfattoria è la funzione del rapporto di anticresi: è quel contratto con il quale il
debitore o un terzo per lui, si obbliga a consegnare un immobile al creditore affinché questi ne percepisca
i frutti, imputandoli agli interessi, se dovuti, quindi al capitale. Richiede la forma scritta ad substantiam,
non può avere una durata superiore a dieci anni.
RAFFORZAMENTO CONVENZIONALE DEL DIRITTO AL RISARCIMENTO: CLAUSOLA PENALE E CAPARRA
I contraenti possono stabilire con apposita clausola una somma da pagare o altra prestazione da eseguire
nell'ipotesi di inadempimento. La clausola ha la funzione di liquidare preventivamente i danni; si chiama
clausola penale perché essa rappresenta anche una specie di pena per l'inadempimento.
Il solo fatto della liquidazione preventiva costituisce un rafforzamento dell'obbligazione, perché il debitore
sarà maggiormente stimolato ad adempiere conoscendo la sanzione già determinata nel suo ammontare.

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Inoltre il creditore è agevolato perché evita di dover dare la dimostrazione del danno subito.
Il danno effettivamente subito dal creditore sarà minore o maggiore dell'ammontare della penale: a la
penale è dovuta ugualmente nella misura stabilita, e di regola il creditore non può pretendere un ulteriore
risarcimento. Il codice ammette una deroga per volontà delle parti, le quali, stipulando la penale, possono
convenire alche la risarcibilità del danno ulteriore.
È concesso al giudice il potere di ridurre l'ammontare della penale quando l'equità lo esige. Il creditore
conserva intatto il diritto all'esecuzione ma non può pretendere di cumulare la prestazione principale e la
penale stabilita per l'inadempimento. Indipendente dall'esecuzione è però la penale per il ritardo, la quale
appunto potrà essere pretesa anche oltre l'ammontare della prestazione da adempiere.
Una situazione del tutto diversa si ha quando le parti convenzionalmente riconoscono anche il diritto di
recesso per chi preferisca pagare la somma. Il codice tratta nella stessa sezione anche della caparra:
clausola penale e caparra hanno la funzione di rafforzare il diritto del creditore al risarcimento, fonte di
entrambi è la volontà delle parti. La caparra consiste in una somma di denaro o in una quantità di cose
fungibili che l'una parte effettivamente consegna nelle mani della controparte: si ammette per i soli
contratti a prestazioni corrispettive (mentre la penale può essere stabilita in aggiunta a qualsiasi
obbligazione); inoltre la caparra viene data solo per l’inadempimento, e non anche per il ritardo
nell’adempimento. Essa ha funzione soprattutto confirmatoria. Quanto si dà a titolo di caparra, come
conferma dell’accordo, nel caso normale, cioè quando il contratto viene adempiuto, dev’essere calcolato
come anticipo della prestazione, e cioè come principio di pagamento.
La caparra non vale come mezzo di liquidazione del danno ma come parziale garanzia concreta, cioè
come anticipo ricevuto per il pagamento dei danni che saranno liquidati dal giudice. Nel caso in cui sia il
promittente a non volere eseguire il contratto, l'altra parte può recedere dal contratto per l'inadempienza
della controparte ottenendo che gli sia restituito il doppio della caparra; se egli però lo preferisce, può far
valere i suoi diritti in via ordinaria, chiedendo l’esecuzione del contratto o la risoluzione con effetto
definitivo per l’inadempimento della controparte, oltre al risarcimento dei danni effettivamente subiti.
Talora la caparra ha carattere penitenziale quando è stabilito dalle parti. Il carattere penitenziale le si può
attribuire in sede di interpretazione di volontà. Caparra penitenziale (1386) vuol dire che vi è connesso il
diritto di recesso: data la caparra, i contraenti si riservano la scelta tra l’adempimento e il recesso.
MISURE COERCITIVE. DIRITTO DI RITENZIONE
Le misure coercitive sono mezzi indiretti per influire sul debitore al fine di ottenere che egli adempia la
sua obbligazione. Il diritto di ritenzione è quel diritto, che la legge concede in qualche caso al creditore,
di trattenere una cosa ch’egli avrebbe l’obbligo di restituire al proprietario al fine di indurre quest’ultimo a
pagare. Esso non è regola generale, è previsto:
• a vantaggio del coerede che conferisce un immobile in natura, fino al rimborso delle spese e dei
miglioramenti;
• a vantaggio dell’usufruttuario, che, quando restituisce il bene al proprietario, ha diritto al rimborso
delle spese da lui sostenute che sarebbero state di spettanza del proprietario;
• a vantaggio del compratore che ha visto risolto il suo acquisto per effetto del riscatto esercitato
dalla controparte.
Il diritto di ritenzione è pure concesso al possessore in buona fede. Il possessore dovendo restituire il bene
di cui non ha la proprietà, può talora affermare qualche diritto nei confronti del proprietario, per spese,
miglioramenti che abbiano attinenza con la cosa da restituire.
GARANZIE SEMPLICI. FIDEIUSSIONE, AVALLO, MANDATO DI CREDITO
Si definiscono garanzie semplici quelle che si stabiliscono a vantaggio del creditore senza la
costituzione di un particolare rapporto con una cosa determinata e senza la costituzione di un diritto di
prelazione. Esse sono chiamate garanzie personali, perché si concretano nell’assunzione, da parte di un
terzo, di un obbligo personale, accessorio ad altra obbligazione principale. La garanzia semplice si attua
con un allargamento della responsabilità patrimoniale: accanto alla responsabilità offerta dal patrimonio
del debitore principale, si pone quella di un altro patrimonio, del garante; il fideiussore risponde con tutti i
suoi beni, mentre il terzo datore di ipoteca o di pegno risponde solo con il bene dato in ipoteca o in pegno.
La fideiussione si costituisce per contratto: in forza del quale un terzo si accorda con il creditore e si
obbliga verso lo stesso garantendo l’adempimento di un’obbligazione altrui. La volontà del fideiussore
deve risultare da una sua espressa ed esplicita dichiarazione. La fideiussione costituisce obbligazione
accessoria; può essere prestata anche per parte del debito o a condizioni meno onerose. La fideiussione
può essere prestata anche a condizioni più onerose o future, ma con la previsione dell’impegno massimo
garantito. L’obbligazione del fideiussore non ha di regola carattere sussidiario, perché egli è obbligato in
solido con il debitore principale: quindi a lui direttamente può rivolgersi il creditore dopo la scadenza del
debito. Sussidiarietà si ha soltanto se è pattuito il fideiussore, convenuto a pagare, può opporre il
beneficio al creditore, invitandolo prima a escutere il debitore principale: ma deve indicare i beni di
quest’ultimo che siano passabili di esecuzione forzata. In ogni caso il fideiussore ha per lo meno un
interesse ad avvertire il debitore principale di aver ricevuto la richiesta di pagamento dal creditore,
perché, se omette tale avviso e paga, il debitore potrà opporgli tutte le eccezioni che avrebbe potuto
opporre direttamente al creditore e se il debitore, non essendo stato posto in condizione di sapere che il
fideiussore ha pagato, pagasse anche lui, non sarebbe tenuto a rifondere la somma al garante. Il
fideiussore che ha pagato ha diritto di subingresso nelle ragioni del creditore e inoltre gli è riconosciuta
una azione specifica contro il debitore per la reintegrazione patrimoniale, comprendente gli interessi e le
spese da lui sostenute. È fissata per il creditore una decadenza dal diritto verso il fideiussore se entro sei
mesi dalla scadenza dell’obbligazione garantita egli non abbia agito contro il debitore e non abbia poi

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proseguito con diligenza le azioni intraprese.


Alla stessa funzione sostanziale risponde l’avallo, che è la garanzia prestata per una cambiale:
costituisce obbligazione cambiaria e di questa ha l'efficacia; è valido anche se l’obbligazione garantita è
nulla per qualsiasi causa che non sia un vizio di forma.
Il mandato di credito ha come risultato una garanzia personale: si prevede che una persona dia a
un’altra l’incarico di far credito a una terza persona; quando l’incarico è accettato, chi l’ha ricevuto non
può rinunciarvi, ma deve aprire il credito al terzo, e chi ha dato il mandato garantisce il debito futuro
come fosse una fideiussione. Il mandante può revocare l’incarico: con l’obbligo però di risarcire i danni
eventuali.
Una forma anomala di garanzia è applicata tra società collegate. Un'impresa rilascia lettere di
gradimento (o lettere di patrocinio), a una banca segnalando che la società presentata è controllata
direttamente o indirettamente dalla scrivente, oppure dichiarandosi informata del contratto di apertura di
credito o di mutuo che viene concluso dalla banca stessa con altra società di cui la prima tiene un
pacchetto di azioni e impegnandosi a informare di ogni eventuale vendita delle azioni possedute.
Sempre maggior rilievo va poi acquisendo una nuova forma di garanzia detta autonoma o a prima
richiesta. Nell’accezione specifica del termine il contratto autonomo di garanzia è contratto con cui il
garante si obbliga a compiere una prestazione a favore del beneficiario a sua semplice richiesta senza
poter sollevare eccezioni in ordine alla validità, all’efficacia o alle vicende del rapporto di base, perfino
nelle ipotesi in cui l'obbligazione principale sia nulla.
SEZIONE II. IL PEGNO E L’IPOTECA
GARANZIE SU SINGOLI BENI CON PRELAZIONE E DIRITTO DI SEGUITO
I pericoli principali per il creditore sono:
a) il concorso di troppe pretese sui beni del patrimonio del debitore che si rivelino insufficienti;
b) la sottrazione da parte del debitore di alcuni beni con i quali egli dovrebbe rispondere dei debiti.
Contro questi pericoli l’ordinamento conosce garanzie speciali, che attribuiscono:
1. un diritto di prelazione;
2. un diritto di seguito.
Il creditore non soltanto ottiene il diritto di soddisfarsi a preferenza dagli altri creditori sul ricavato della
vendita del bene che ne è oggetto, ma potrà procedere a esecuzione sul bene anche se questo passi in
proprietà d’altri.
La differenza tra pegno e ipoteca sta nell’oggetto:
• il pegno si costituisce sopra beni mobili (non registrati), le universalità di mobili, i crediti e altri
diritti aventi per oggetto beni mobili;
• l'ipoteca si costituisce sopra immobili e taluni diritti immobiliari (usufrutto, superficie, enfiteusi) e
le rendite dello Stato.
Con il pegno si sottrae al proprietario il godimento del bene attraverso la consegna materialmente della
cosa al creditore; l’ipoteca si costituisce mediante iscrizione in pubblici registri, e il bene che ne è
oggetto rimane in godimento del proprietario. Sia con il pegno che con l'ipoteca si costituiscono diritti
destinati a valere nei confronti dei terzi: per gli immobili la pubblicità si attua per mezzo di indicazioni in
pubblici registri, mentre per i mobili è il possesso che ha rilievo come pubblicità di fatto.
Pegno e ipoteca si classificano come diritti reali di garanzia. Dei diritti reali essi hanno i caratteri della
immediatezza e dell’assolutezza. Immediata è la reazione tra creditore e cosa sottoposta al vincolo: per
l’esercizio del potere che spetta al titolare del diritto di pegno o di ipoteca non occorre la prestazione di
alcun soggetto; assoluto è il diritto, perché prelazione e diritto di seguito si esplicano erga omnes.
Alcune caratteristiche generali sono comuni ai due diritti:
• accessorietà: se l’obbligazione principale manca o finisce, anche la garanzia non ha ragione
d’essere o si estingue;
• specialità: i diritti di cui parliamo sono costituiti soltanto rispetto a singoli beni, rientrano
nell’oggetto della garanzia anche gli accessori della cosa;
• determinatezza: la garanzia giova unicamente per determinati crediti, oltre al credito principale
sono garantiti i diritti connessi, e cioè, in più del capitale, gli interessi dovuti...
• indivisibilità: il diritto si estende sull’intero bene che ne è oggetto e sulle sue parti, a garanzia
dell’intero credito e di ogni parte di esso.
Quando la cosa data in garanzia perisca o si deteriori in modo da essere insufficiente alla sicurezza del
creditore, questi può chiedere che gli sia prestata idonea garanzia su altri beni (supplemento d’ipoteca o
di pegno), e in mancanza, ha diritto all’immediato pagamento del suo credito.
Vietato è il patto con il quale le parti stabiliscono che, in mancanza del puntuale pagamento del credito
garantito, l’obbligazione di restituire l’oggetto del pegno, dell’ipoteca o dell’anticresi si risolva, nel senso
che la proprietà del bene passi al creditore. La ragione del divieto è di impedire che il debitore venga
costretto al patto, che avrebbe spesso carattere usuraio, sia per ottenere il prestito, sia per ottenere
dilazioni all’obbligo di restituire.
PEGNO
Distinguiamo:
• il diritto di pegno: per cui il creditore ha garanzia su di un determinato bene mobile altrui;
• il contratto di pegno: modo ordinario con il quale il diritto stesso si costituisce.
Il contratto mediante il quale si costituisce il diritto di pegno appartiene alla categoria dei diritti reali:
perché il pegno sia costituito, non basta il consenso degli interessati, essendo necessaria anche la

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consegna della cosa al creditore o a un terzo designato dalle parti. Il prendere possesso del bene a titolo
di pegno corrisponde a una generica funzione di pubblicità, assicura il creditore contro l’alienazione del
bene mobile come libero a terzi di buona fede, e mette sull’avviso eventuali altri creditori perché nella
generale responsabilità patrimoniale del debitore non c’è da far conto in pieno del bene di cui si tratta.
Se il creditore pignoratizio era in buona fede nel momento dell’acquisto, è anche al sicuro contro ogni
pretesa, da parte di un terzo, di diritti sulla cosa contrastanti con il pegno. Per la difesa del suo possesso,
il creditore pignoratizio può esercitare, oltre alle azioni possessorie, anche l’azione di rivendicazione a
nome del costituente. Il possesso non consente al creditore, senza il consenso del proprietario, né l'uso né
la disposizione della cosa; il possesso gli è dato solo come mezzo per attuare la garanzia. Se però la cosa
produce frutti, il creditore di regola li farà suoi, imputandoli prima alle spese e agli interessi, poi al
capitale. Se il creditore abusa della cosa avuta in pegno, il costituente può domandarne il sequestro.
Per l’esercizio della prelazione nei confronti dei creditori chirografari sono necessari due presupposti:
➢ la cosa data in pegno dev’essere rimasta in possesso del creditore o del terzo designato dalle
parti;
➢ quando il credito garantito è un credito di denaro che eccede le lire cinquemila (€ 2,58), il
contratto di pegno deve risultare da atto scritto avente data certa contenente sufficiente
indicazione del credito e della cosa.
Finché il debitore non ha adempiuto interamente la sua obbligazione, non ha diritto alla restituzione della
cosa data in pegno.
Come avviene la realizzazione delle pretese del creditore quando il debitore è inadempiente. Il creditore:
1. può far vendere giudizialmente la cosa e soddisfarsi con prelazione, rispetto agli altri creditori, sul
prezzo ricavato dall’espropriazione (art. 2796-2797);
2. può chiedere al giudice che gli venga assegnata la cosa in pagamento, fino alla concorrenza del
debito, secondo la stima del bene stesso (art. 2798).
Prima di procedere alla vendita del bene avuto in pegno, il creditore deve intimare al debitore di pagare.
C’è un breve termine per fare opposizione: cinque giorni.
Il pegno si costituisce mediante contratto; per l'esercizio del diritto di prelazione è necessario l'atto
scritto, e inoltre la sua costituzione deve essere stata notificata al debitore del credito dato in pegno,
oppure da questi accettata con scrittura avente data certa. Si ha pegno irregolare quando il diritto di
garanzia ha per oggetto una cosa fungibile: nella maggior parte dei casi una somma di denaro. E’ pegno
irregolare, perché il creditore non è tenuto a conservare e a restituire la stessa cosa ricevuta.
Quest’ultima figura è di larga applicazione nelle così dette cauzioni, rispetto alle quali si osserva anche
un’altra deviazione dalla normale figura di pegno: la garanzia non è data per un debito preciso ma per un
debito eventuale, specialmente per future responsabilità nelle cui conseguenze si venisse a incorrere.
IPOTECA. SUO OGGETTO E CARATTERISTICHE DEL DIRITTO
L’ipoteca si costituisce mediante iscrizione nei registri immobiliari, mentre il bene rimane ad altri
soggetti, diversi dal creditore. Sono oggetto di ipoteca:
• i beni immobili: la legge richiede che siano in commercio;
• l’usufrutto dei beni immobili, escluso l’usufrutto legale dei genitori;
• il diritto di superficie;
• il diritto del concedente e quello dell’enfiteuta.
L’ipoteca si estende ai miglioramenti, alle costruzioni e alle altre accessioni dell’immobile ipotecato. Per
iscrivervi ipoteca, il bene deve trovarsi nel patrimonio del soggetto contro il quale si iscrive. L’ipoteca può
essere costituita anche su una quota di beni indivisi: produrrà effetti soltanto rispetto a quei beni che
nella divisione verranno assegnati al costituente. Allo scopo di evitare che la garanzia si risolva nel nullo
quando al costituente, in sede di divisione, siano attribuiti beni diversi da quelli sopra i quali era costituita
ipoteca contro di lui, la legge prevede un trasporto dell’ipoteca. Perché si attui tale surroga reale, l’ipoteca
va nuovamente iscritta entro 90 giorni dalla trascrizione della divisione.
L’ipoteca è speciale, nel senso che la garanzia specifica è concessa sopra uno, due, dieci beni, tutti
individualmente determinati. La designazione dell’immobile ipotecato deve essere fatta con la chiara
indicazione della sua natura, del comune in cui si trova, dai dati catastali.
L’assoluta incertezza circa l’ammontare del credito garantito è causa di invalidità dell’iscrizione, così
come l'incertezza sulla persona del debitore o del creditore, o sull'identità dei beni. La garanzia è data per
un credito liquido, espresso in somma di denaro; se l’ammontare non risulta dal titolo in base al quale si
chiede l’iscrizione, la somma deve essere determinata dal creditore nella nota che presenta al
conservatore dei registri immobiliari.
Leggi speciali ammettono la costituzione della garanzia ipotecaria sopra beni mobili registrati. Si attua
senza che il proprietario sia privato del possesso, con la iscrizione in un pubblico registro. La differenza
fondamentale tra i pubblici registri speciali dei beni registrati e i registri immobiliari, è che nei primi le
iscrizioni avvengono con criterio reale e non personale. Quindi, per sapere se esiste garanzia reale, si
ricerca sotto l’indicazione del bene e non sotto il nome del proprietario, come invece si fa nei registri
immobiliari.
FONTI DELL’IPOTECA
La legge distingue tra:
• ipoteca legale: si ha quando il titolo per l’accensione del diritto è offerto al creditore direttamente
dalla legge, senza il concorso della volontà del debitore. I Casi di ipoteca legale sono
tassativamente elencati dalla legge. Hanno titolo per l’accensione di ipoteca: l’alienante
sull’immobile venduto, a garanzia dell’adempimento degli obblighi collegati all’alienazione; il

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condividente sull’immobile assegnato ad altro condividente, per le somme dovute a conguaglio.


• Ipoteca giudiziale: trova il titolo nella legge; per la sua iscrizione si richiede l’esistenza di una
condanna al pagamento di somma o all’adempimento di altra obbligazione ovvero al risarcimento
dei danni da liquidarsi successivamente. Il giudice condanna all’adempimento o al pagamento, e
nulla più: la sentenza che contiene la condanna costituisce un titolo in forza del quale il creditore
può accendere l’ipoteca su qualsiasi bene immobile appartenente al debitore senza bisogno del
consenso di quest’ultimo ed anche in caso di sua opposizione.
• Ipoteca volontaria: è di regola concessa per contratto, ma la legge ne ammette anche la
concessione per atto unilaterale; questo è uno dei casi nei quali il codice riconosce effetti
vincolanti alla dichiarazione unilaterale di volontà. Non si ammette però la costituzione in forza di
testamento. Per la forma dell’atto di concessione è richiesta la forma scritta; per procedere poi
all’iscrizione è necessario che la sottoscrizione di chi ha concesso l’ipoteca sia autenticata o
accertata giudizialmente.
PUBBLICITA’ DELLE IPOTECHE E DIRITTO DI SEGUITO
La funzione essenziale della garanzia ipotecaria si manifesta specialmente nei riguardi dei terzi, sia
perché la preferenza che essa offre si riferisce ai creditori, sia perché il vincolo segue il bene
nell’eventualità che questo passi in proprietà altrui. Da qui deriva l’esigenza della pubblicità.
La pubblicità si attua mediante iscrizione nell’apposito registro tenuto presso l’ufficio dei registri
immobiliari che ha competenza territoriale sulla località dove l'immobile si trova. L’iscrizione è mezzo di
pubblicità che ha notevoli analogie estrinseche con la trascrizione. Si attua nello stesso ufficio, richiede le
stesse forme (titolo autentico o autenticato, e due note), ha lo stesso carattere personale (per l'ipoteca si
deve ricercare il nome del proprietario del fondo contro cui l'ipoteca potrebbe essere trascritta).
E’ concorrente con la trascrizione: nel caso di conflitto tra atto trascritto e atto iscritto contro lo stesso
titolare del diritto immobiliare, prevale quello per il quale è stata presentata la richiesta anteriore, cioè
quello cui venne assegnato numero più basso nel registro generale d’ordine. L’iscrizione è considerata
elemento costitutivo del diritto di ipoteca, mentre la trascrizione ha natura dichiarativa.
Un diritto all’ipoteca esiste anche prima dell’iscrizione, esso è imprescrittibile, mentre l’effetto
dell’iscrizione è limitato a venti anni; decaduta l’iscrizione, si può ottenere una nuova iscrizione, il che
vuol dire che un diritto esiste anche a prescindere dalla pubblicità. Per evitare la cessione degli effetti
dell’ipoteca con il decorso dei vent’anni dall’iscrizione è necessario che il creditore provveda a rinnovare
l’iscrizione stessa prima del compimento del ventennio.
La pubblicità propria delle ipoteche non esclude l’efficacia anche di più atti successivamente iscritti,
mentre una trascrizione esclude l’efficacia di ogni altra trascrizione di atti con eguale contenuto. Come la
trascrizione, anche l’iscrizione non vale a sanare i vizi del titolo, e se questo è invalido, l’ipoteca sarà
inefficace.
Nell’ipoteca ha un grande significato il diritto di seguito, il bene può essere alienato, può essere
sottoposto a diritti parziari di godimento a vantaggio di terzi, può essere anche dato in garanzia ipotecaria
ad altri creditori, ma l’effetto dell’iscrizione è intangibile: il creditore ha diritto di attuare la sua pretesa e
di farsi pagare con preferenza sul bene ipotecato, anche dopo qualsiasi atto di disposizione che venga
compiuto sul bene stesso.
ONERI E FACOLTA’ DEL TERZO NON DEBITORE
In due ipotesi il creditore può agire con l’azione ipotecaria a danno di chi personalmente non è debitore:
• quando ci fu un terzo datore di ipoteca, che ha costituito garanzia ipotecaria sui beni propri per un
debito altrui;
• quando sopravviene un terzo acquirente dell’immobile ipotecato.
Mentre il proprietario dell’immobile gravato per liberarsi dal vincolo deve pagare il debito iscritto, il terzo
acquirente, per sottrarsi a ogni impegno, ha in più la possibilità di procedere al rilascio dell’immobile
gravato. Il rilascio del bene si attua mediante una dichiarazione alla cancelleria del tribunale. Con il
rilascio, il terzo si libera dalle noie del processo esecutivo ma conserva un diritto eventuale sul bene o sul
residuo della somma ricavata dalla vendita dopo la soddisfazione dei creditori iscritti.
Il terzo acquirente o il terzo datore se pagano i crediti iscritti, e anche il terzo acquirente che rilascia il
bene, hanno regresso verso il debitore per essere da lui indennizzati così come quando subiscono
l’espropriazione.
Oltre ai due modi per liberarsi dalla responsabilità di cui abbiamo parlato, il terzo acquirente ne ha un
altro: può promuovere la procedura di purgazione. L’acquirente di un immobile gravato da ipoteca fa
notificare ai creditori iscritti un atto con il quale mette a loro disposizione o il prezzo stipulato per
l’acquisto, o il valore da lui stesso dichiarato. Ciascun creditore ipotecario entro 40 giorni dalla
notificazione può rifiutare il prezzo offerto, chiedendo invece la regolare esecuzione sul bene; ma per far
questo, il creditore che si oppone deve offrire un prezzo superiore di almeno il dieci per cento indicato dal
terzo acquirente che ha chiesto la purgazione. Se nessun creditore fa opposizione nella forma ora
indicata, passato il termine dei quaranta giorni il valore del bene si intende definitivamente fissato nel
prezzo offerto, che sarà quindi versato ai creditori secondo l’ordine di iscrizione.
ORDINE TRA LE IPOTECHE
Il creditore ipotecario, il quale nel concorso viene dopo i creditori con privilegio speciale sopra lo stesso
immobile, ha diritto di prelazione rispetto a tutti i creditori chirografari. Ma, poiché si possono iscrivere
anche più ipoteche sullo stesso bene, c’è un ordine di preferenza tra i vari creditori che hanno iscritto
ipoteca sull’immobile. Mentre fra i privilegi la preferenza è determinata dalla legge in ragione della causa
del credito, fra le ipoteche la preferenza è determinata dal grado. Nei rapporti tra i creditori ipotecari si

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deve rispettare un ordine, che viene stabilito con il criterio della priorità nel tempo dell’iscrizione.
L’ipoteca che è stata iscritta per prima si dice che è di primo grado, poi viene quella di secondo grado...
La priorità della data, il grado, risulta dall’ordine di prestazione quale appare dal registro generale
d’ordine. Il creditore iscritto di secondo grado farà valere la sua pretesa sopra il ricavato della esecuzione
sul bene ipotecato soltanto dopo la piena soddisfazione del creditore di primo grado.
Ciascun creditore di grado posteriore può estinguere, mediante pagamento, il credito di chi ha un’ipoteca
anteriore, disinteressandolo dall’esercizio dell’azione esecutiva, e surrogandosi per legge nei suoi diritti
(surroga ipotecaria per pagamento).
Tra creditori di diverso grado c’è un’altra forma che va sotto lo stesso nome di surroga ipotecaria (per
evizione), ma che non è vera surrogazione, perché non implica sostituzione del credito. È in sostanza, un
trasporto di ipoteca, per evitare le conseguenze dell’arbitrio di chi aveva la scelta per soddisfare il suo
credito munito di ipoteca di primo grado su fondi diversi, sui quali fondi altri creditori avevano ipoteche di
ordine successivo e quindi di capienza subordinata.
Il grado ipotecario può venire modificato per patto tra gli interessati. E’ ammessa la cessione di grado tra
due creditori ipotecari; essa è diversa dalla cessione di ipoteca, che è ammessa soltanto con la cessione
del relativo credito. Dalle modificazioni deve esser fatta annotazione nel registro delle iscrizioni.
RIDUZIONE ED ESTINZIONE DELLE IPOTECHE
La legge, su domanda degli interessati, ammette la riduzione dell’ipoteca, la quale si attua in alcuni casi
riducendo la somma per la quale è stata presa l’iscrizione, in altri casi restringendo l’iscrizione a una parte
soltanto dei beni. L’ipoteca si può restringere anche se ha per oggetto un solo bene, quando questo abbia
parti distinte o tali che si possono facilmente distinguere.
L’ipoteca si estingue:
• per l’estinzione del credito garantito;
• per cause proprie.
L’ipoteca cessa per una delle cause elencate nell’art. 2878. E’ chiaro che se perisce il bene, cessa anche
la garanzia; e così pure l’ipoteca si estingue se il creditore vi rinunzia, se spira il termine per la cui durata
è stata concessa...
Infine, anche la prescrizione è prevista a vantaggio del terzo acquirente: l’ipoteca non può essere fatta
valere contro di lui oltre i venti anni dalla trascrizione del suo titolo di acquisto. Estinta l’ipoteca, il
proprietario del bene gravato ha interesse a ottenere la cancellazione dell’iscrizione. Soltanto dopo la
cancellazione, o passati i venti anni dall’iscrizione, l’immobile apparirà libero verso chiunque, senza
necessità per il terzo di indagare se l’ipoteca sia estinta o no. La cancellazione non può avvenire per
iniziativa del Responsabile dell’Ufficio del Territorio; occorre la domanda di parte, corredata da un titolo.

CAPO X. I PRINCIPALI CONTRATTI NOMINATI


SEZIONE I. CONTRATTI DI ALIENAZIONE DI BENI
COMPRAVENDITA. CARATTERI FONDAMENTALI DEL CONTRATTO E SUOI ELEMENTI
L’art. 1470 definisce la vendita come il contratto che ha per oggetto il trasferimento della proprietà di
una cosa o il trasferimento di altro diritto verso il corrispettivo di un prezzo. Vendita e rispettiva compera
formano insieme un solo contratto sinallagmatico: alle obbligazioni del venditore corrispondono opposte
obbligazioni del compratore.
La vendita è tipicamente un contratto consensuale che si perfeziona con il semplice consenso delle
parti, a prescindere dalla consegna della cosa compravenduta: si ha vendita perfetta anche senza
pagamento del prezzo e senza trasferimento materiale del possesso della cosa venduta. La
compravendita è un contratto ad effetti sia reali che obbligatori: determina da un lato c’è il trasferimento
in capo al compratore del diritto di proprietà sulla cosa oggetto del contratto, dall’altro il sorgere di
obbligazioni in capo sia al venditore che all’acquirente. Di regola ha efficacia traslativa immediata: è
sufficiente il consenso delle parti legittimamente manifestato a far passare la proprietà del bene in capo
al compratore.
L’efficacia reale immediata costituisce soltanto la regola. Esistono numerosi casi di vendita obbligatoria
nei quali il passaggio della proprietà si verifica solamente in un secondo momento rispetto al
perfezionamento del contratto. Esempi tipici di vendita obbligatoria sono:
• la vendita di cosa generica: proprietà e rischio passano al compratore soltanto con
l'individuazione;

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• la vendita di cosa altrui: il compratore diventa proprietario solo quando il venditore acquista a sua
volta dal titolare della cosa compravenduta la proprietà della medesima;
• la vendita di cosa futura: la proprietà passa in capo all'acquirente nel momento in cui la cosa
viene ad esistenza.
Si suol dire che elementi essenziali della compravendita sono il consenso, la cosa e il prezzo: il consenso
deve avere tutti i presupposti e i requisiti della volontà contrattuale; quando si parla di cosa e di prezzo, si
specificano i due elementi che costituiscono l'oggetto della vendita. La validità del consenso presuppone
la capacità dei contraenti.
La legge stabilisce particolari divieti a comprare:
➢ gli amministratori dei beni dello Stato e degli altri enti pubblici non possono acquistare i beni
affidati alla loro cura;
➢ gli ufficiali pubblici non possono comprare i beni che sono venduti per loro ministero;
➢ coloro che per legge amministrano beni altrui non possono comprare tali beni;
➢ i mandatari non possono acquistare i beni che sono stati incaricati di vendere.
Nei primi due casi, l’acquisto è nullo, negli altri due è solamente annullabile sia per gli acquisti realizzati
direttamente, sia per quelli effettuati per interposta persona. L’alienazione e l’acquisto di taluni beni
costituiscono atti che eccedono l’ordinaria amministrazione, pertanto per i medesimi, quando il soggetto è
incapace, sono richieste speciali autorizzazioni.
La compravendita non richiede, di regola, forme determinate. E’ però solenne la vendita di beni
immobili, per la quale è richiesta ad substantiam la forma scritta. Non è invece richiesta la forma scritta
ad substantiam per le clausole accessorie relative a elementi non essenziali della compravendita. Se
oggetto della vendita è un edificio o una sua parte, si richiede a pena di nullità (sanabile con intervento di
una delle parti), che dall'atto risultino gli estremi del permesso di costruire. Se oggetto della vendita è un
terreno al contratto dev'essere allegato dalle parti, a pena di nullità (sanabile con l'intervento di almeno
una delle due parti), il certificato di destinazione urbanistica, il documento contenente le prescrizione
urbanistiche riguardanti l'area interessante, rilasciato dal dirigente o responsabile del competente ufficio
comunale entro il termine perentorio di trenta giorni dalla presentazioni della relativa domanda da parte
dell'interessato.
La proprietà dell’immobile più volte compravenduto passa al primo trascrivente: la giurisprudenza
ammette che il primo acquirente possa agire per danni anche verso il secondo acquirente primo
trascrivente quando ne risulti provata la cooperazione nell’inadempimento del comune autore.
OGGETTO DELLA COMPRAVENDITA
Nell’oggetto di questo contratto si comprendono tanto la cosa, quanto il prezzo; nel linguaggio comune
per oggetto della vendita si intende la cosa alienata. La cosa venduta può essere un bene materiale o un
diritto. Nella vendita di immobili la legge distingue:
• il contratto a misura: la determinazione dei confini dell’immobile avviene attraverso la
misurazione, se l’immobile è venduto con l’indicazione della sua misura e per un prezzo stabilito
in ragione di un tanto per ogni unità, il compratore ha diritto a una riduzione del prezzo se la
misura effettiva è inferiore a quella indicata nel contratto; se, al contrario, è superiore, il
compratore deve corrispondere il supplemento del prezzo, ma ha facoltà di recedere dal contratto
qualora l’eccedenza oltrepassi la ventesima parte (5%) della misura dichiarata.
• Il contratto a corpo: si ha quando il bene è venduto come unità a sé per un prezzo globale; se a
titolo indicativo è fatta menzione anche della misura si ha diritto a una riduzione o a un
supplemento del prezzo solo quando la misura reale sia inferiore o superiore di un ventesimo
rispetto a quella indicata nel contratto.
Anche una universalità può formare oggetto di compravendita.
L’eredità come complesso di diritti è alienabile soltanto dopo l’apertura della successione. Oggetto della
vendita di eredità sono la generalità dei diritti e obblighi ereditari di carattere patrimoniale. La vendita
dell’eredità richiede sempre la forma scritta ad substantiam, anche se il complesso non contenga beni
immobili.
La compravendita di cosa generica è valida anche se fatta allo scoperto: il venditore si impegna
efficacemente anche se non ha la disponibilità dei beni venduti. La vendita di cosa specifica presuppone
l'esistenza dell'oggetto al momento del contratto nonché la sua disponibilità.
Vendita di cosa futura è, ad esempio, la vendita di un edificio da costruire o di un raccolto ancora da fare.
L’acquisto della proprietà si verifica quando la cosa viene ad esistere. E’ spesso vendita aleatoria. L’alea
nell’intenzione delle parti talvolta riguarda anche l’esistenza della cosa. Quando però l’alea non riguarda
l’esistenza, ma soltanto la qualità o la qualità e la quantità d’insieme, la vendita è nulla se la cosa
venduta non verrà affatto ad esistere.
La vendita di cosa altrui è valida e vincolante, anche se non immediatamente efficace rispetto al
passaggio della proprietà del bene. La fattispecie della vendita di cosa altrui ricorre sia nel caso in cui
entrambe le parti siano a conoscenza del fatto che, al momento della conclusione del contratto, la cosa
non è di proprietà dell’alienante, sia nell’ipotesi in cui solamente l’acquirente o solamente l’alienante
ignorino tale circostanza. In tutti i casi il contratto è valido come accordo di negoziare un bene non a
disposizione del venditore. Il venditore deve procurare l’acquisto della cosa per il compratore, al quale la
proprietà si trasmetterà quando il venditore diventerà titolare del diritto alienato. Tuttavia il compratore
che non era a conoscenza dell’altruità del bene potrà chiedere la risoluzione del contratto se nel
frattempo il venditore non gli abbia fatto acquistare la proprietà della cosa; il venditore sarebbe tenuto a
restituirgli il prezzo pagato e a rimborsargli le spese sopportate per la conclusione della vendita.

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L’inadempimento del venditore porterà le normali conseguenze in ordine alla responsabilità per danni.
L’alienante che ignorasse il suo difetto di legittimazione potrebbe chiedere l’annullamento del contratto
per errore sulle qualità giuridiche della prestazione.
Per quanto concerne l’ipotesi in cui la vendita abbia ad oggetto un bene mobile di cui il compratore ignori
l’alienità: il compratore non solo acquista immediatamente la proprietà del bene, ma l’acquista a titolo
originario e non a titolo derivativo, come accade, invece, nella vendita di cosa altrui.
PREZZO
Il prezzo, quantificato in moneta, è elemento essenziale della vendita; se invece del prezzo in denaro si
stabilisce la corresponsione di un altro bene, abbiamo una permuta. Il prezzo deve essere vero e certo,
cioè determinato o determinabile. Non è richiesto un prezzo giusto. Ci sono però dei limiti, oltre i quali
talora il contratto è rescindibile per lesione enorme.
La determinazione del prezzo può essere rimessa a un terzo arbitratore. Se il terzo non accetta l’incarico,
o se le parti non si accordano per la nomina o l’eventuale sostituzione, l’arbitratore è nominato dal
presidente del tribunale.
Due clausole frequenti specialmente nei rapporti internazionali di commercio marittimo:
• la vendita cif o caf: si ha quando nel prezzo sono comprese le spese di trasporto e l’assicurazione;
• la clausola fob: significa che il venditore si impegna a sopportare le spese di caricamento della
merce venduta sulla nave noleggiata dal compratore.
OBBLIGHI DEL VENDITORE
L’obbligo principale del venditore nella vendita con efficacia reale immediata è tenuto a consegnare la
cosa, vale a dire ad attuare la tradizione del possesso. In tutti i casi in cui la consegna non venga
effettuata contestualmente al perfezionamento del contratto, sul venditore graverà l’obbligo di custodia.
Nella vendita obbligatoria il venditore deve prima di tutto fare acquistare al compratore la proprietà della
cosa con la consegna o con l’individuazione nella vendita di genere; con l’acquisto del bene venduto nella
vendita di cosa altrui; attuando la separazione nella vendita dei frutti pendenti. Il venditore, una volta
fatto acquistare al compratore il diritto di proprietà, è gravato dall'obbligo di consegna.
La consegna della cosa va fatta nello stato in cui questa si trova, insieme con i documenti relativi alla
proprietà e all’uso della stessa, insieme (salva diversa volontà delle parti) agli accessori, le pertinenze, i
frutti naturali non separati al giorno della vendita e i frutti civili maturati dopo la vendita.
In mancanza di patto speciale e di usi contrari, la consegna deve avvenire nel luogo dove il venditore
aveva il domicilio, ovvero nel luogo dove la cosa si trovava al momento del contratto.
GARANZIA PER L’EVIZIONE
Evizione si ha quando il compratore è privato del diritto sul bene acquistato, in conseguenza di una
pronunzia giudiziaria che accerta un difetto, anteriore alla vendita, nel diritto del dante causa. Presuppone
che un terzo abbia ottenuto vittoria di causa esercitando rispetto al bene l’azione di rivendica o la
confessoria o l’azione di riduzione. Distinguiamo tre momenti a seconda del quale il compratore venga a
conoscenza dell’esistenza del difetto nel diritto del dante causa:
a) pericolo dell'evizione: quando il compratore ha ragione di temere che la cosa acquistata o una
parte di essa venga rivendicata o quando la cosa alienata risulti gravata da garanzie o da vincoli
di indisponibilità, o quando il diritto che il venditore aveva sulla cosa si riveli viziato, e tali
circostanze non siano state dichiarate nel contratto, il compratore può sospendere il pagamento
del prezzo ancora dovuto.
b) Evizione minacciata o pretesa dal terzo in giudizio: quando il compratore viene convenuto
in giudizio da un terzo che pretende di avere diritti sulla cosa venduta, deve chiamare in causa il
venditore, implicato nel giudizio petitorio instaurato contro il compratore attuale possessore,
perché negoziandosi la proprietà di quest’ultimo, si discute della sua legittimazione ad alienare. Il
venditore è esonerato dalle conseguenze della garanzia se riesce a dimostrare che esistevano
ragioni sufficienti per far respingere la pretesa del terzo evincente.
c) Evizione compiuta: con il passaggio in giudicato della sentenza a favore del terzo, il venditore è
tenuto, nei confronti del compratore, a restituirgli il prezzo pagato, a rimborsargli le spese fatte in
occasione della vendita e a risarcirgli i danni subiti. E’ in tale ipotesi che si manifesta in pieno
l’effetto della garanzia, dovendo il venditore tenere sollevato in toto il compratore.
VIZI, MANCANZA DI QUALITA’ E ALIUD PRO ALIO
Il venditore è tenuto a garantire che la cosa venduta sia immune da vizi che la rendono inidonea all’uso
cui è destinata o ne diminuiscono in modo apprezzabile il valore. Il contenuto di questa garanzia riguarda i
vizi della cosa nella sua entità materiale o nella sua funzione, mentre l’evizione riguarda la situazione
giuridica della cosa stessa. La garanzia non è dovuta se, nel momento in cui il contratto veniva concluso, i
vizi erano effettivamente noti al compratore o erano comunque facilmente riconoscibili da parte di
quest’ultimo.
La garanzia è dovuta per tutti e soltanto i vizi presenti nella cosa sin dal momento della stipulazione del
contratto di vendita e non per i vizi venuti in essere in un momento successivo.
Qualora la cosa consegnata al compratore in esecuzione del contratto di compravendita si riveli affetta da
vizio, il compratore può esperire nei confronti del venditore due azioni c.d. edilizie:
• l’azione c.d. redibitoria: con la quale si domanda la risoluzione del contratto, la quale comporta lo
scioglimento del rapporto contrattuale cui consegue, per il venditore l’obbligo di rimborsare
integralmente le somme di denaro versategli dal compratore a titolo di prezzo e, per il
compratore, l’obbligo di riconsegnare al venditore la cosa viziata.
• L’azione c.d. estimatoria: con la quale si domanda la riduzione del prezzo, cioè una decurtazione

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del corrispettivo pecuniario in misura corrispondente alla diminuzione del valore e dell’utilità della
cosa cagionata dal vizio che si è in essa manifestato.
Il compratore è libero di scegliere se esercitare l’azione redibitoria o l’azione estimatoria. Se tuttavia,
dopo essere stata consegnata al compratore, la cosa è perita per caso fortuito o per colpa dello stesso
compratore o è stata da questi trasformata o alienata a terzi, può essere esperita soltanto l’azione
estimatoria; per contro, se dopo essere stata consegnata al compratore la cosa è perita in conseguenza
dei vizi, può essere esercitata soltanto l’azione redibitoria.
Il codice civile non accorda al compratore la possibilità di esperire nei confronti del venditore l’azione di
esatto adempimento: si esclude che il compratore possa pretendere dal venditore la riparazione della
cosa viziata o la consegna di un’altra cosa in sostituzione di quella rivelatasi affetta da vizi. Al compratore
viene riconosciuto il diritto al risarcimento dei danni che egli abbia sofferto per aver ricevuto in consegna
una cosa che, a causa dei vizi in essa presenti, ha un valore economico inferiore rispetto a quanto
previsto dal contratto e dei danni che siano derivati dai vizi della cosa, e cioè dei danni a persone o cose
che si sono verificati a causa del vizio presente nel bene consegnato al compratore.
La relativa azione può essere esperita dal compratore in aggiunta alle azioni edilizie o eventualmente
anche in via autonoma ed alternativa rispetto ad esse. Il venditore può tuttavia evitare di essere
condannato al risarcimento dimostrando di aver ignorato senza colpa i vizi della cosa, cioè provando che il
vizio non gli era noto, e che questa ignoranza non può essere imputata ad una sua negligenza.
Al di fuori delle ipotesi in cui l'esistenza del difetto sia stata riconosciuta o occultata dal venditore: il
compratore ha l’onere di denunciare al venditore il vizio entro un termine di decadenza di otto giorni,
decorrente dalla data in cui il vizio è stato scoperto (trattandosi di vizi apparenti, il termine di otto giorni
inizia a decorrere dalla data della consegna del bene). Il mancato assolvimento dell'onere determina la
decadenza del compratore dai diritti alla risoluzione del contratto, alla riduzione del prezzo e dal diritto al
risarcimento dei danni.
In secondo luogo, il compratore ha l’onere di esercitare i diritti di cui è divenuto titolare, in virtù della
constatata presenza di un vizio, prima che sia trascorso un anno dal giorno in cui è entrato in possesso
del bene che gli è stato venduto. Il mancato assolvimento di questo onere legittima il venditore,
eventualmente chiamato a rispondere del vizio, a paralizzare le azioni esercitate dal compratore.
Diversa dall’ipotesi in cui la cosa venduta si riveli affetta da un vizio è l’ipotesi in cui la cosa consegnata al
compratore risulta priva di qualità essenziali per l’uso cui essa è destinata o di qualità che sono state
promesse dal venditore in occasione della stipulazione del contratto. In tali casi il compratore può
domandare la risoluzione del contratto o la riduzione del prezzo nonché, in aggiunta o in alternativa, il
risarcimento dei danni derivati dalla mancanza della qualità essenziale o promessa.
Anche per i rimedi al compratore nell’ipotesi di mancanza di qualità valgono peraltro i medesimi termini di
decadenza e di prescrizione previsti per le azioni edilizie.
Il c.d. aliud pro alio datum ricorre quando, in esecuzione di una compravendita di cosa specifica, venga
consegnato al compratore un bene diverso da quello dedotto nel contratto e del quale egli è già divenuto
proprietario; o quando, in esecuzione di una compravendita di cosa generica, venga consegnata al
compratore una cosa appartenente ad un genere diverso rispetto a quello contemplato nel contratto. In
queste ipotesi sussistono gli estremi di un inadempimento dell’obbligazione di consegna gravante sul
venditore, al quale il compratore può reagire avvalendosi della risoluzione del contratto e, in aggiunta, il
risarcimento del danno.
I diritti del compratore si prescrivono nell'ordinario termine decennale, ed il loro titolare non è gravato
dall'onere di denunciare tempestivamente al venditore l'inesatto adempimento dell'obbligo di consegna.
GARANZIA DI BUON FUNZIONAMENTO
La garanzia di buon funzionamento opera, in alternativa o in aggiunta alla garanzia per vizi, soltanto
se e nella misura in cui le parti l'abbiano specificatamente concordata con una apposita pattuizione,
inserendo nel contratto una clausola nella quale si prevede che il venditore garantisca per un tempo
determinato il funzionamento della cosa venduta. Essa attribuisce al compratore il diritto di pretendere
che il venditore provveda a sostituire la cosa che rivela un difetto di funzionamento o a ripararla in modo
da assicurarne il buon funzionamento. Il difetto di funzionamento deve essere denunciato entro 30 giorni
dalla scoperta, e i diritti attribuiti all’acquirente si prescrivono in sei mesi, decorrenti dalla scoperta del
difetto di funzionamento.
Il compratore che invoca la garanzia di buon funzionamento è tenuto soltanto a dimostrare il dato
oggettivo del mancato funzionamento, spettando per contro al venditore provare che il difetto di
funzionamento è dipeso da eventi verificatisi posteriormente alla consegna della cosa, o dalla condotta
dello stesso compratore.
OBBLIGHI DEL COMPRATORE
L’obbligo principale del compratore è di pagare il prezzo, le spese della vendita e le altre spese
accessorie, salvo patto contrario. Il prezzo della vendita va pagato nel termine e nel luogo fissati dal
contratto. Se non c’è patto speciale, il pagamento deve avvenire nel momento e nel luogo della consegna.
Quando è stabilito un momento diverso, senza che sia determinato il luogo, il prezzo va pagato al
domicilio del venditore. Se non c’è un termine espressamente stabilito a favore di uno dei contraenti, le
prestazioni sinallagmatiche devono avvenire simultaneamente, e ciascuna parte può negare
l’adempimento se l’altra non dimostra di essere parimenti pronta ad adempiere.
CONSEGUENZE PARTICOLARI DELL’INADEMPIMENTO NELLA COMPRAVENDITA DI COSE MOBILI
Se il compratore non si presenta per ricevere la cosa acquistata, il venditore può depositarla in un luogo
di pubblico deposito, per conto e a spese dell’acquirente, dandogliene sollecito avviso. L’inadempimento
di una delle parti offre fondamento alla risoluzione di diritto. Occorre anche una riparazione a favore della

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parte che non è inadempiente con la preventiva determinazione del risarcimento dovuto o con la
possibilità di una pronta esecuzione in forme specifica. Infine il venditore può farsi restituire le cose non
pagate.
La risoluzione avviene di diritto, sia a vantaggio del venditore, sia a vantaggio del compratore, quando,
prima della scadenza del termine una delle parti abbia fatto l’offerta della propria prestazione e l’altra
abbia poi lasciato scadere il termine senza adempiere. La risoluzione avviene ipso iure, purché entro otto
giorni dalla scadenza l’interessato comunichi all’inadempiente che intende valersi della risoluzione legale.
Se la comunicazione non è fatta nel termine indicato, si applicheranno le norme generali relative alla
risoluzione per inadempimento.
Per riparare in concreto alle conseguenze dell’inadempimento del compratore o del venditore, è prevista
in taluni casi una esecuzione in forma specifica, con i seguenti mezzi:
• la vendita coattiva o vendita in danno, si ha quando il compratore non adempie l’obbligazione
di pagare il prezzo e il venditore esercita di conseguenza il diritto di far vendere, per conto e a
spese del compratore, la cosa ai pubblici incanti per mezzo di una persona autorizzata a compiere
tali atti. Il venditore ha poi diritto alla differenza tra il prezzo convenuto e il ricavato netto della
vendita, oltre al risarcimento di un eventuale maggior danno.
• La compera coattiva, o in danno, per inadempimento del venditore che non consegna la cosa,
è ammessa purché si tratti di cose fungibili, aventi prezzo di mercato; le merci si fanno acquistare,
a spese del venditore, per mezzo di persona autorizzata. Il compratore ha diritto di ricevere la
differenza tra il prezzo di acquisto e il prezzo stabilito nel contratto ineseguito, oltre al
risarcimento dell’eventuale danno.
• Come ulteriore mezzo di difesa del venditore abbiamo una vendita a pronti contanti, consegnando
la cosa senza ricevere la controprestazione, la legge consente all’alienante di riprendere il
possesso del bene venduto a condizione che questo si trovi inalterato presso il compratore-
debitore e che la domanda sia proposta entro quindici giorni dalla consegna.
PATTO DI RISCATTO E PATTO DI RISERVATO DOMINIO
Con il patto di riscatto il venditore si riserva il diritto di riavere la proprietà della cosa venduta mediante
la restituzione del prezzo e il rimborso delle spese fatte dal compratore. L’istituto risponde all’esigenza di
venire incontro al venditore bisognoso di denaro, lasciandogli la speranza di riavere il bene una volta
superata la crisi di liquidità. Va configurato come previsione di un diritto potestativo del venditore.
L’esercizio del riscatto non dipende però dal solo atto di volontà del venditore; per l’efficacia della
dichiarazione è necessario che essa sia accompagnata dal versamento di tutte le somme liquide che il
venditore deve restituire al compratore a norma. Il diritto di riscatto si può esercitare entro il termine
massimo di due anni per i beni mobili e di cinque anni per gli immobili. Le parti possono stabilire termini
più brevi; al contrario, se stabiliscono un termine maggiore, esso si riduce a quello legale. Il patto di
riscatto è sostanzialmente una condizione risolutiva potestativa della vendita, la clausola relativa va
stipulata nel momento in cui il contratto si perfeziona, ma può essere contenuta materialmente in un atto
separato. Se manca la contemporaneità, il patto aggiunto assume il solo valore obbligatorio della
promessa di retrovendita. Il riscatto ha efficacia reale, per cui tutti gli aventi causa del compratore
vengono privati dei loro diritti sulla cosa. Occorre che il patto sia opponibile ai terzi: se si tratta di beni
immobili e di beni mobili registrati, esso deve risultare dalla trascrizione.
Carattere obbligatorio ha il patto di retrovendita, in forza del quale le parti si impegnano a fare
eventualmente una nuova vendita in senso inverso. Per l’esercizio del riscatto è sufficiente una
manifestazione di volontà del venditore, mentre per la retrovendita deve intervenire anche il consenso del
compratore.
La vendita con riserva di proprietà è una forma particolare di vendita nella quale l’effetto traslativo
rimane strettamente subordinato all’effettivo adempimento della controparte. La cosa viene consegnata
subito, ma il trasferimento definitivo del diritto è rinviato al tempo dell’integrale pagamento del prezzo
dovuto. I rischi per il perimento della cosa tuttavia passano nel compratore già dal momento della
consegna. Questo patto di riservato dominio in pratica viene impiegato nella vendita a rate a porta un
vantaggio notevole al venditore nei casi di concorso tra più venditori. Il mancato pagamento di una sola
rata, che non superi l'ottava parte del prezzo, non dà diritto alla risoluzione del contratto.
ALTRE CLAUSOLE O PATTI AGGIUNTI E FORME SPECIALI DI VENDITA
Il patto di prelazione consiste nel diritto di un soggetto ad essere preferito rispetto ad altri nella
stipulazione di un contratto. In materia di compravendita esso si concreta nella facoltà che il venditore si
riserva, qualora il compratore decida di rivendere la cosa, di ricomprarla, a parità di condizioni, con
preferenza rispetto ad altri eventuali acquirenti. Il patto ha efficacia obbligatoria, vincolando
personalmente il solo contraente.
La vendita con riserva di gradimento è in sostanza una forma di opzione, per la quale il solo venditore
rimane vincolato, mentre l’obbligo del compratore è sottoposto a una condizione meramente potestativa.
La vendita acquista efficacia concreta se entro un congruo termine il compratore comunica il suo libero
gradimento.
Se la cosa si trova presso il venditore, qualora il compratore la ritiri senza esaminarla, si deve ritenere
che, rinunciando all’esame preventivo, egli abbia inteso accettarla. Se il compratore non esamina
preventivamente la merce e si rifiuta di perfezionare la vendita, incorre in responsabilità precontrattuale.
Se la cosa si trova presso il compratore e questi non si pronuncia nel termine stabilito dal contratto o dagli
usi o in un congruo termine fissato dal giudice, la cosa si considera di suo gradimento.
Diversa è la vendita a prova, nella quale il contratto è vincolante per entrambe le parti, purché la cosa

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abbia le qualità pattuite o sia idonea all'uso cui è destinata. In caso di contestazione si ricorrerà a un
perito che dovrà constatare la reale rispondenza della cosa allo scopo cui è destinata.
La vendita in massa, o a forfait, ha per oggetto un gruppo di cose. Il trasferimento della proprietà è
immediato, anche se nel momento della conclusione del contratto il prezzo totale non è determinato.
Il pactum addictionis in diem è il patto con il quale le parti acconsentono alla risoluzione della vendita,
nell’ipotesi in cui entro un certo termine il venditore trovi un terzo che gli offra una maggiorazione sul
prezzo.
La vendita su documenti è figura del commercio marittimo nelle vendite tra paesi lontani. Si hanno due
tipi di documenti:
1. i documenti rappresentativi delle merci, la cui funzione rappresentativa fa si che la consegna dei
medesimi corrisponda alla consegna delle merci. Il possesso giustificato di tali documenti
attribuisce il diritto esclusivo di ottenere dal vettore la consegna delle merci, il venditore si libera
dall'obbligo e ha diritto al pagamento del prezzo.
2. Gli altri documenti.
ALIENAZIONI DI EDIFICI DA COSTRUIRE E TUTELA DEGLI ACQUIRENTI
Si è introdotta una disciplina volta a tutelare l’acquirente nell’ipotesi in cui il costruttore, prima
dell’ultimazione dei lavori di realizzazione dell’edificio, venga a trovarsi in una situazione di crisi tale da
mettere seriamente in pericolo il buon esito dell’affare e la restituzione di quanto eventualmente già
corrisposto dall’acquirente, oltre al risarcimento dei danni da questi subiti a causa dell’inadempimento
contrattuale. La normativa si applica a qualsiasi contratto che venga concluso da una persona fisica con
un imprenditore.
La tutela è garantita attraverso l’imposizione al costruttore/venditore dell’obbligo di procurare il rilascio e
consegnare all’acquirente una fideiussione per un importo pari alla somma che quest’ultimo abbia già
pagato a titolo di corrispettivo, o debba pagare prima del trasferimento della proprietà o di altro diritto
reale di godimento. Il contratto concluso senza che tale fideiussione sia stata tempestivamente
presentata è colpito da una nullità che può essere fatta valere solo dall’acquirente (nullità c.d. relativa).
All’acquirente viene riconosciuto il diritto di ricevere, all’atto della stipulazione del definitivo, una polizza
assicurativa della responsabilità civile nella quale il costruttore potrebbe incorrere, nell’ipotesi in cui nei
dieci anni successivi alla consegna, l’edificio dovesse rovinarsi in tutto o in parte per vizi del terreno o
della costruzione o manifestare difetti gravi.
Non sono revocabili gli atti aventi come effetto il trasferimento della proprietà o di altro diritto di
godimento di immobili da costituire nei quali l’acquirente si impegni a stabilire, entro dodici mesi
dall’acquisto o dalla loro utilizzazione, la residenza propria o di suoi parenti o affini entro il terzo grado.
L'esclusione concerne solo gli atti a titolo oneroso e sempre che il prezzo concordato dalle parti sia giusto.
RIPORTO
Il riporto è il contratto con il quale taluno (riportato) con effetto immediato trasferisce ad altri
(riportatore) la proprietà di titoli di credito e contemporaneamente acquista il diritto di riavere, alla
scadenza di un termine, altrettanti titoli della stessa specie. Il trasferimento si fa verso il pagamento di un
prezzo. Nel secondo trasferimento il prezzo va rimborsato; il rimborso sarà alla pari, se non si è convenuto
un eventuale aumento (riporto) o una diminuzione (deporto).
Lo scopo del contratto è di fornire denaro a chi ne ha temporaneamente bisogno e non vuol perdere in
modo definitivo un certo numero di titoli, oppure di fornire titoli a chi ne abbisogna per un limitato periodo
di tempo. Oggetto del riporto sono soltanto titoli di credito. Il riporto è contratto reale, in quanto si
perfeziona con la consegna dei titoli ed è contratto con efficacia reale immediata. Vendita e ricompera
costituiscono due elementi di un’operazione unitaria, effetto dell’unico contratto originario.
PERMUTA
Permuta è il nome giuridico del baratto; in luogo del pagamento di un prezzo, si ha il reciproco
trasferimento della proprietà di cose o di diritti dall’uno all’altro contraente. Se per una cosa di valore
maggiore viene data, oltre ad altro oggetto, un’aggiunta a conguaglio in denaro, si ha permuta, e non
vendita. La permuta è un contratto consensuale con effetto reale immediato: la proprietà sui due oggetti
si trasferisce con il solo consenso. Come regola generale alla permuta si applicano le norme sulla vendita.
Le spese del contratto, salvo patto contrario, si dividono tra i permutanti in parti uguali. In caso di
evizione, il contraente evitto ha diritto di scelta tra il riavere la cosa data o il ricevere il valore di quella
che gli è stata evitta, secondo le norme stabilite per la vendita fatto salvo il risarcimento dei danni.
CONTRATTO ESTIMATORIO
Il contratto estimatorio dà origine a un rapporto complesso, che è un misto di deposito, di
autorizzazione e di vendita. Il rapporto ha inizio con la consegna di una cosa mobile stimata. Il ricevente
assume l’obbligo di pagare il prezzo, salvo che non voglia invece restituire la cosa ricevuta. L’obbligazione
ha per oggetto il pagamento del prezzo, ma con la facoltà di restituire la cosa: si tratta pertanto di
un’obbligazione facoltativa. Il rischio del perimento della cosa o del suo deterioramento viene sempre
sopportato dal ricevente, il quale potrà giovarsi della facoltà di restituire la cosa ricevuta soltanto se essa
è rimasta intatta in sua mano. La facoltà di restituire la merce può essere esercitata soltanto entro il
termine convenuto.
CONTRATTO DI SOMMINISTRAZIONE
La somministrazione è il contratto con il quale una parte si obbliga, verso corrispettivo di un prezzo, ad
eseguire a favore dell’altra prestazioni periodiche o continuative di cose. Si tratta tipicamente di un
contratto di durata ma talvolta anche a esecuzione continuata, con più prestazioni di egual contenuto e
con lo stesso prezzo.
Il contratto di somministrazione si distingue altresì dall’appalto perché ha per oggetto la prestazione di

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cose, mentre oggetto dell’appalto è il compimento di un’opera o di un servigio.


L’entità della somministrazione si commisura al fabbisogno, quando le parti non abbiano stabilito un
criterio diverso. La somministrazione è contratto consensuale, a efficacia obbligatoria, a prestazioni
corrispettive. Il somministrante non è soltanto obbligato a dare dei beni; deve anche prestarsi a curare
l’imballaggio e il trasporto delle cose, e a provvedere alla manutenzione dei mezzi per la fornitura. Il
somministrato deve pagare il prezzo, che è determinato con uguale misura per le varie successive
prestazioni.
SEZIONE II. CONTRATTI DI LOCAZIONE E DI PRESTITO
LOCAZIONE IN GENERALE
La concessione temporanea di godimento di una cosa verso corrispettivo costituisce un tipo di
contratto di largo impiego nella pratica, che va sotto il nome di locazione-conduzione. La locazione dei
beni mobili si suole chiamare nolo, o noleggio.
Si distingue la locazione ordinaria, nella quale il godimento delle cose non esige l’esercizio di un’attività
da parte del soggetto che ne riceve l’uso, dal contratto che ha per oggetto beni produttivi, chiamato
affitto, che richiede l’espletamento di un’attività simile.
La locazione è un contratto consensuale ad effetti obbligatori che determina il sorgere in capo al
conduttore di un diritto personale di godimento. E’ un contratto sinallagmatico: tramite la sua
conclusione le due parti, il locatore e il conduttore (o locatario), assumono l’obbligo di prestazioni
corrispettive, da un lato il locatore si impegna a far godere al conduttore una cosa mobile o immobile per
un determinato arco di tempo, dall’altro il conduttore si obbliga a pagare un corrispettivo (canone di
locazione). Il corrispettivo è chiamato anche pigione per le case di abitazione o fitto nell’ambito dei beni
produttivi. Per la durata del rapporto contrattuale di locazione sono previsti limiti massimi e minimi, non
può essere stabilita per un tempo eccedente i trent’anni mentre per i fondi destinati al rimboscamento
può essere di novantanove anni.
Quando nel contratto è fissato un termine convenzionale, il rapporto di locazione di regola cessa con lo
spirare del tempo senza che sia necessaria la disdetta. Se il conduttore, dopo la scadenza del termine, è
lasciato nella detenzione del bene, la locazione si considera rinnovata (rinnovazione tacita). Se, prima
della scadenza del termine, il locatore dà licenza al conduttore, anche se il godimento del bene si protrae
oltre il tempo consentito, non si ha rinnovazione tacita. Nella locazione con durata legare deve comunque
essere comunicata la disdetta, altrimenti il contratto non cessa con lo spirare del tempo. La locazione
superiore ai nove anni è atto eccedente l’ordinaria amministrazione e per il relativo contratto, se
riguardante beni immobili, la legge richiede la forma scritta e la trascrizione.
Il contratto di locazione dev’essere rispettato anche dall’acquirente del bene locato. E’ necessario però
che il contratto abbia una data certa anteriore all’alienazione della cosa locata; la locazione non trascritta
di beni immobili urbani va rispettata dall'acquirente entro il limite massimo del novennio.
Come contratto a prestazioni corrispettive, la locazione è sottoposta alle norme sulla cessione del
contratto: con il consenso della controparte, un diverso soggetto si sostituisce a uno dei contraenti
originari, rimanendo invariato il contenuto del rapporto. Diversa è la sublocazione, con la quale, sulla base
del rapporto originario che rimane, si crea un nuovo rapporto tra il conduttore e un terzo, spesso anche
con un diverso contenuto (prezzo, durata). È concessa al locatore anche un’azione diretta contro il
subconduttore, quando sublocare è consentito, per soddisfare il suo credito sul prezzo della sublocazione
non ancora versato al primo conduttore inadempiente.
Gli obblighi principali gravanti sul locatore sono tre, egli deve:
1. consegnare al conduttore la cosa locata in buono stato di manutenzione;
2. mantenere la cosa in buono stato locativo,in modo da servire all’uso: il locatore è tenuto ad
eseguire le riparazione necessarie ma non quelle di piccola manutenzione che sono a carico del
conduttore, così come a carico del conduttore sono molti oneri accessori;
3. garantire il pacifico godimento della cosa durante la locazione: deve garantire il conduttore dalle
molestie dei terzi che reclamino diritti sulla cosa locata. Ogni altra molestia di terzi, che non
pretendano di avere diritti, è estranea al contenuto della garanzia.
Gli obblighi principale del conduttore sono due, egli deve:
1. prendere in consegna la cosa e osservare la diligenza del buon padre di famiglia nel servirsene
per l’uso determinato; risponde delle perdite e dei deterioramenti della cosa che avvengono nel
corso della locazione, anche se derivante da incendio, qualora non provi che siano accaduti per
causa a lui non imputabile.
2. Pagare il corrispettivo secondo i termini convenuti, ma sempre entro i limiti di legge.
Alla fine della locazione il conduttore deve restituire la cosa nello stato in cui l'ha ricevuta, fatto salvo il
deterioramento dovuto all'uso normale. Le cose mobili si devono restituire nel luogo dove sono state
consegnate.
MIGLIORAMENTI E ADDIZIONI ALLA COSA LOCATA
La regola fondamentale è che il conduttore non ha diritto a indennità per i miglioramenti. Dai
miglioramenti si distinguono le addizioni: miglioramenti estrinsechi, delle aggiunte. Quando sono
separabili, il conduttore ha il diritto di portali con sé, purché il locatore non preferisca esercitare il suo
diritto di ritenerli presso di sé. In tal caso il locatore deve pagare al conduttore un indennizzo nella misura
della minor somma tra l’importo della spesa e il valore attuale delle addizioni. Se le addizioni non sono
separabili, valgono anche per queste le norme che abbiamo visto per i miglioramenti.
LOCAZIONE DI IMMOBILI URBANI
Per quanto concerne la locazione di immobili adibiti ad abitazione, la legge permette di scegliere tra

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due diverse modalità contrattuali:


• la prima possibilità consiste nel definire liberamente l’entità del canone: in questo caso il
contratto ha un durata minima di 4 anni, con rinnovo automatico, a meno che il proprietario non
decida di avvalersi della facoltà di disdire la locazione. Alla seconda scadenza ciascuna delle parti
può attivare la procedura per il rinnovo del contratto a nuove condizioni o per la rinuncia al
rinnovo stesso, comunicando la propria intenzione almeno sei mesi prima. Se le parti non si
attivano in questo senso il contratto si intende rinnovato tacitamente.
• La seconda modalità prevede la possibilità per le parti di aderire a contratti-tipo definiti sulla base
di quanto stabilito in appositi accordi tra le associazioni dei proprietari e quelle degli inquilini: la
durata minima è di 3 anni con la possibilità di proroga di 2 anni. La legge tende a incentivare
quest'ultimo tipo di contrattazione mediante una riduzione dell'incidenza fiscale.
In entrambi i casi è richiesta la forma scritta. E’ nulla ogni pattuizione volta a determinare un importo del
canone di locazione superiore a quello risultante dal contratto scritto e registrato, allo stesso modo è nullo
ogni accordo volto a derogare ai limiti di durata. La legge vieta la sublocazione di tutto il bene locato ad
uso abitativo; la sublocazione parziale è invece ammessa, purché le parti non l’abbiano esclusa nel
contratto, ma il conduttore deve darne avviso al locatore indicando la persona del subconduttore, i termini
e la durata del rapporto.
E’ prevista la successione dei congiunti conviventi nei casi di morte del conduttore, di scioglimento del
matrimonio e di separazione tra coniugi.
Per quanto concerne gli immobili destinati a uso diverso dall’abitazione, non è previsto un criterio
legale di determinazione del canone. La durata del contratto è fissata in almeno sei anni se nell’immobile
locato si svolge un’attività di lavoro autonomo o un’attività industriale, commerciale, artigianale o di
interesse turistico, e in almeno nove anni se in esso viene svolta un’attività alberghiera. Il rinnovo del
contratto può essere negato dal locatore solo nei casi tassativamente indicati dalla legge. E’ previsto che
il conduttore possa sublocare l’immobile o cedere il contratto di locazione anche senza il consenso del
locatore, purché venga ceduta o locata l’azienda e data comunicazione al locatore mediante lettera
raccomandata con avviso di ricevimento.
AFFITTO IN GENERALE
Le norme che regolano l’affitto, cioè la locazione di beni produttivi per l’esercizio di un’attività del
conduttore, dovrebbero essere ispirate al criterio di facilitare la produttività dei beni anche nel pubblico
interesse. L’affittuario può prendere ogni iniziativa per incrementare il rendimento della cosa
compatibilmente con i diritti del proprietario e con l’interesse della produzione. Il locatore ha sempre
diritto di controllo per vedere se l’affittuario osserva i suoi obblighi e può chiedere la risoluzione del
contratto se la controparte non destina al servizio della cosa i mezzi necessari, se non osserva le regole
della buona tecnica, o se muta la destinazione economica del bene locato. La legge non consente il
subaffitto senza il consenso del locatore.
AFFITTO DEI FONDI RUSTICI
Si distinguono nettamente due tipi di affitto di fondi rustici:
• affitto a coltivatore diretto: la categoria comprende coloro che coltivano il fondo con il proprio
lavoro e quello della propria famiglia, sempre che la forza lavorativa costituisca almeno un terzo
di quella occorrente per le normali necessità di coltivazione del fondo, tenuto conto anche
dell’impiego di macchine agricole. Il lavoro della donna è considerato equivalente a quello
dell’uomo. Sono equiparati al coltivatore diretto le cooperative costituite dai lavoratori agricoli e i
gruppi di coltivatori diretti, riuniti in forme associate, che si propongano e attuino la coltivazione
diretta dei fondi, nonché i tecnici dell'agricoltura in età non superiore ai cinquantacinque anni che
si impegnino a coltivare in proprio i fondi per almeno nove anni.
Per la durata è stabilito un minimo di 15 anni (di 6 anni per l’affitto particellare che riguarda quei
terreni classificati come montani che non costituiscono da soli una unità produttiva e per l'affitto
di terreni destinati all'alpeggio). È prevista una rinnovazione tacita di altrettanti 15 anni, se non
viene data regolare disdetta almeno un anno prima della scadenza. Una risoluzione prima della
scadenza può avvenire per recesso del conduttore o in seguito a gravi inadempimenti. Nel caso di
morte dell’affittuario, il contratto si scioglie alla fine dell’annata agraria in corso, salvo che tra gli
eredi vi sia persona che abbia esercitato e continui a esercitare attività agricola in qualità di
coltivatore diretto o di imprenditore agricolo professionale. Il canone di affitto deve essere
corrisposto in denaro, per i miglioramenti è prevista la facoltà di eseguirli per ciascuna delle parti,
con l’osservanza di particolari procedimenti. Lo stesso vale per le addizioni e trasformazioni
agrarie.
E’ vietato il subaffitto, il quanto istituto idoneo ad avallare forme di intermediazione speculativa,
in cui il concessionario potrebbe prendere in affitto il fondo al solo scopo di riaffittarlo ad un
canone maggiorato. La violazione di questo divieto può essere fatta valere solo dal locatore ed
entro quattro mesi dalla data in cui ne è venuto a conoscenza. Scaduto detto termine,
sopravviene un diritto di surroga da parte del subaffittuario nella posizione giuridica del primo
affittuario.
• Affitto a conduttore non coltivatore: la durata minima fissata è sempre di quindici anni, e
decorre dalla data di inizio dell’ultimo contratto in corso tra le parti, sia nel caso di nuova
convenzione sottoscritta, sia nel caso di tacita rinnovazione e proroga del precedente contratto.
La misura del canone da pagare dal conduttore è la stessa che risulta dai coefficienti previsti per
l’affitto a coltivatore diretto, maggiorato di dieci punti. I contratti agrari ultranovennali, anche se

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verbali e non trascritti, sono validi ed hanno effetto anche riguardo ai terzi.
LOCAZIONE FINANZIARIA, O LEASING
Il leasing (locazione con facoltà di comprare) consiste nella cessione in uso di beni, per i quali le ragioni
dell’impiego superano quella prospettiva che è normale nelle locazioni ordinarie della restituzione per
eventuali altri usi.
La locazione finanziaria di regola coinvolge tre soggetti: il fornitore del bene, il destinatario che prende il
bene in godimento e il concedente-finanziatore: il finanziatore acquista il bene dal fornitore e lo cede in
godimento all’utilizzatore, il quale è tenuto a versare, per un determinato arco di tempo, un canone
periodico, dopodiché, al termine del contratto, può scegliere se acquistare il bene versando una somma
ulteriore, se restituirlo o se rinnovare il contratto.
Il leasing va collocato tra i contratti innominati, con possibilità eventualmente di fare ricorso alle norme
sulla locazione e sulla vendita. Nel contratto di leasing il concedente è tenuto a garantire all’utilizzatore il
pacifico godimento del bene; l’utilizzatore dal canto suo è tenuto ad aver cura del bene, ad usarlo in modo
ragionevole e a conservarlo nello stato in cui gli è stato consegnato. Solitamente le riparazioni ordinarie e
straordinarie del bene sono a carico dell’utilizzatore. L’eventuale trasferimento della proprietà della cosa
locata si verifica solo nel momento in cui l’utilizzatore utilizza l’opzione di acquisto.
Si ritiene che i tipi di leasing siano almeno due:
1. leasing di godimento: è un’operazione finanziaria volta a consentite l’utilizzazione per un
determinato arco di tempo di beni di rado consumo. In tale tipo di leasing la durata del contratto
coincide con la vita economica e tecnologica del bene e il pagamento dei canoni costituisce in
sostanza il corrispettivo per il godimento; in tale fattispecie l’acquisto del bene da parte del
concessionario alla scadenza del contratto si riduce ad un’eventualità marginale ed accessoria.
2. Leasing traslativo: è finalizzato a fare in modo che l’utilizzatore, alla scadenza del contratto,
acquisti la proprietà del bene. Di regola il godimento ha ad oggetto beni di consumo durevole. In
tale tipologia di leasing le parti assegnano ai canoni la funzione e la consistenza di corrispettivo
del bene.
COMODATO
E’ comodato il prestito di una cosa, mobile o immobile, inconsumabile e infungibile, da restituire poi nella
sua individualità. Non è escluso il comodato di un bene consumabile quando la cosa è data con l'intesa
che non venga consumata ma che sia restituita nella sua stessa individualità.
Il comodato è contratto reale, perché si perfeziona con la consegna della cosa. E’ un contratto unilaterale,
perché ne sorge il solo obbligo di restituire lo stesso bene ricevuto. E’ obbligatorio, perché il comodatario
acquista sulla cosa solamente un diritto personale. E’ essenzialmente gratuito.
Il comodato vero e proprio si distingue da quello che si chiama comodato precario, dove si dice che se
una cosa è data senza termine, e un termine non risulta dalla destinazione d’uso, l’obbligo di restituire è
ad nutum del comodante.
Il comodatario è tenuto a custodire e a conservare la cosa con la diligenza del buon padre di famiglia,
servendosene soltanto per l’uso determinato. Sono vietati il subcomodato e ogni altra cessione di
godimento. L’obbligo principale del comodatario è la restituzione della cosa ricevuta. Quando il contratto
ha per oggetto una cosa deteriorabile la restituzione va fatta nello stesso stato in cui la cosa si troverà. Si
riconosce valido il comodato immobiliare anche senza forma scritta.
MUTUO
Il mutuo è contratto reale. La cosa data a prestito passa in proprietà del mutuatario, facoltà di
consumarla a piacimento e con l’obbligo di restituire altrettanto dello stesso genere e qualità.
Comunemente oggetto del contratto sono cose consumabili e fungibili: tipico è il prestito di denaro.
Il mutuo è contratto traslativo, con l’effetto del passaggio immediato della proprietà. Secondo la
concezione tecnico-giuridica, il mutuo è contratto unilaterale, perché sorge l’obbligo del mutuatario di
restituire il tantundem. L’obbligazione degli interessi rafforza il carattere unilaterale del contratto, perché
anche essa grava sul mutuatario. Diversa è la valutazione economica del mutuo a interessi che, è
contratto a prestazioni corrispettive: il mutuante permette il godimento delle cose prestate e in compenso
ha diritto agli interessi da parte del mutuatario. Al mutuo si applica un rimedio che è proprio dei contratti
corrispettivi: la risoluzione per inadempimento. È ammessa la risoluzione del contratto a domanda del
mutuante se il mutuatario non paga gli interessi. È concesso al mutuante il diritto all’immediata
restituzione dell’intero ammontare del mutuo, qualora il mutuatario, obbligandosi a una restituzione
rateale, venga meno, ingiustificatamente, al pagamento anche di una sola rata.
Nel mutuo la regola è per la restituzione della stessa quantità di beni. Però se il mutuo è di denaro, il
contratto è naturalmente a titolo oneroso; salvo patto contrario, chi ha ricevuto a prestito una somma
deve corrispondere anche gli interessi. Gli interessi dovuti sono quelli legali del 3 per cento. Per interessi
superiori al tasso legale è necessario l’atto scritto. Se sono convenuti interessi usurai, la clausola è nulla:
il prestito è valido ma non sono dovuti interessi.
Il termine per la restituzione, fissato nel contratto, si presume stipulato a favore di entrambe le parti, non
è ammessa la restituzione anticipata; se però il mutuo è gratuito, il termine si presuppone a favore del
mutuatario. Se il termine non è fissato, oppure è stato convenuto che il mutuatario paghi quando potrà, il
termine di restituzione è stabilito dal giudice con riguardo alle circostanze.
Il codice ha pure regolato la promessa accettata di mutuo (che costituisce un preliminare dell’obbligo
assunto bilateralmente di contrarre un prestito) secondo il quale il mutamento delle condizioni
patrimoniali della controparte autorizza il promittente a sospendere o a rifiutare la prestazione.
SEZIONE III. CONTRATTI DI PRESTAZIONE DI SERVIGI
CONTRATTO D’OPERA E APPALTO

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Nel contratto d’opera colui che assume l’impegno di realizzare una determinata opera la esegue
personalmente, eventualmente avvalendosi dell’ausilio di collaboratori o di famigliari; nel contratto
d’appalto la realizzazione dell’opera avviene mediante un’organizzazione di grande o media impresa cui
l’obbligato è preposto. Il contratto d’opera e il contratto d’appalto si differenziano per la struttura e la
dimensione dell’impresa cui sono commissionate le opere: il contratto d’opera coinvolge la piccola
impresa, la cui organizzazione è tale da non consentire il perseguimento delle iniziative di impresa in
assenza dell’attività esecutiva dell’imprenditore; il contratto di appalto presuppone una vasta
organizzazione di mezzi, e una prevalenza del capitale sulla prestazione del lavoro diretto
dell’appaltatore.
Tanto nel contratto d’opera, quanto nell’appalto, la prestazione di un bene o di un servizio si intende
sempre come risultato, e non come attività lavorativa subordinata. Il rischio del risultato è sempre a
carico del prestatore d’opera o appaltatore. Il contratto d’opera e l’appalto possono concernere non soli il
compimento di un’opera, ma anche la prestazione di un servizio.
Norme comuni ai due contratti regolano la misura del corrispettivo: se non è determinata dalle parti e
neppure determinabile secondo le tariffe e gli usi, è stabilita dal giudice. In entrambi i contratti uguale è la
garanzia dovuta per i difetti dell’opera; l’accettazione dell’opera libera la controparte dalla responsabilità
per difformità e dalla garanzia per vizi conosciuti o riconoscibili; il committente può recedere anche dopo
l’inizio del lavoro, purché ne paghi le conseguenze. Altre norme sono diverse: così la morte
dell’appaltatore non scioglie di regola il contratto perché nella vastità dell’impresa è riconosciuto minor
rilievo all’attività individuale, sia pure del titolare, mentre quando muore il prestatore d’opera il rapporto
si estingue.
Il contratto d’opera si avvicina alla vendita quando anche la materia è data dal prestatore d’opera. Si ha
contratto d’opera, o di vendita, secondo che le parti abbiano dato prevalenza al lavoro da eseguire o alla
materia. I vizi dell’opera vanno denunziati entro il termine di decadenza di otto giorni, e l’azione relativa si
prescrive in un anno dalla consegna, con gli stessi termini cioè delle azioni edilizie.
Nell'appalto i materiali sono di regola forniti dall’appaltatore, il quale si procura direttamente il lavoro
necessario al compimento dell’opera. Il prezzo viene stabilito globalmente, oppure a misura, un tanto in
proporzione alla quantità dell’opera prodotta. È caratteristico il rischio dell’appaltatore, il quale per il
prezzo stabilito deve fornire l’opera completa.
Il committente ha diritto di verificare l’opera compiuta prima che gli venga consegnata. Questo collaudo è
anche un onere per il committente, perché se non lo compie entro un breve tempo, l’opera s’intende
accettata.
Per l’appaltatore che ha costruito edifici o altri immobili c’è una eccezionale responsabilità: nei dieci anni
successivi al compimento dell’opera egli è responsabile se l’edificio, per vizio del suolo o per difetto di
costruzione, rovina in tutto o in parte, oppure presenta gravi difetti o evidente pericolo di rovina. Quando
l’appalto ha per oggetto prestazioni periodiche o continuative di servizi, non è facile distinguerlo dal
contratto di somministrazione, il criterio fondamentale di distinzione sta nel contenuto della prestazione,
che è nell’appalto prevalentemente un fare, nella somministrazione un dare.
Il contratto di appalto può avere ad oggetto l’esecuzione di opere pubbliche: il ruolo di appaltante viene
svolto da una pubblica amministrazione. Ciò nonostante l’appalto resta un contratto di diritto privato. La
presenza di una p.a. influisce sulla disciplina contrattuale comportando il riconoscimento a fare del
soggetto appaltante di un ampio potere di ingerenza. La fase formativa dell’appalto consiste in un
procedimento amministrativo: la scelta del contraente-appaltatore avviene tramite l’espletamento di una
gara, le cui modalità di svolgimento devono essere pubblicate in maniera adeguata. E’ stata istituita
un’autorità di vigilanza sul lavori pubblici, la quale ha il compito di verificare che la disciplina legislativa e
regolamentare in materia di lavori pubblici venga rispettata.
Negli ultimi anni si è andato sviluppando il fenomeno del decentramento produttivo: accade che
determinate imprese affidino ad altre la produzione di componenti del prodotto finito o lo svolgimento di
singole fasi del processo produttivo. In tal modo i costi di produzione vengono contenuti, si consegue a
una maggiore flessibilità delle strutture e si usufruisce di una tecnologia avanzata.
Esistono due tipi di subfornitura: la subfornitura di prodotti e la subfornitura di lavorazione
mediante i quali un imprenditore si impegna o ad effettuare per conto di un’impresa committente
lavorazioni su prodotti semi lavorati o su materie prime forniti dalla committente, o a fornire prodotti o
servizi destinati ad essere incorporati nell’ambito dell’attività economica del committente.
Il contratto di subfornitura deve essere stipulato in forma scritta a pena di nullità. In caso di nullità per
difetto di forma, il subfornitore ha diritto al pagamento delle prestazioni già effettuate e al risarcimento
delle spese sostenute in buona fede ai fini dell’esecuzione del contratto. Il contratto di subfornitura deve
contenere: l’indicazione dei requisiti specifici del bene o del servizio richiesti dal committente; il prezzo
pattuito; i termini e le modalità di consegna, di collaudo e di pagamento.
La fornitura di beni e servizi oggetto del contratto di subfornitura senza l’autorizzazione del committente
non può essere a sua volta ulteriormente affidata in subfornitura per una quota superiore al 50% del
valore della fornitura stessa, pena nullità. Il subfornitore è responsabile del funzionamento e della qualità
della parte di prodotto o dell’assemblaggio da lui prodotti o del servizio da lui fornito; non può invece
essere ritenuto responsabile per difetti di materiali o attrezzi fornitigli dal committente per l’esecuzione
del contratto, purché provveda a segnalarne l’esistenza tempestivamente.
Il committente conserva la proprietà intellettuale in ordine ai progetti e alle prescrizioni di carattere
tecnico da lui comunicati al fornitore e sopporta i rischi ad essi relativi. Il fornitore è tenuto alla
riservatezza e risponde della corretta esecuzione di quanto richiesto, sopportando i relativi rischi.
CONTRATTO D’OPERA NELLE PROFESSIONI INTELLETTUALI

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Avvocati, commercialisti, notai, ragionieri, medici, ingegneri, artisti, insegnanti privati prestano la loro
opera liberale in base a un contratto a prestazioni corrispettive; si suole indicare questo tipo di contratto
con l’espressione di contratto d’opera intellettuale.
I professionisti hanno diritto a un compenso, detto onorario. L’onorario è determinato da tariffe. La misura
del compenso va adeguata all’importanza dell’opera e al decoro della professione. Agli esercenti le
professioni legali è vietato stipulare con i propri clienti il patto patto in forza del quale il cliente sarebbe
tenuto a cedere al legale parte dei beni o dei crediti costituenti l’oggetto della controversia. Importante è
la limitazione di responsabilità prevista nell’art. 2236: quando la prestazione implica la soluzione di
problemi tecnici di speciale difficoltà, il prestatore d’opera non risponde dei danni, se non in caso di dolo o
colpa grave. Poiché le obbligazioni inerenti all’esercizio di un’attività professionale sono obbligazioni di
mezzo e non di risultato, l’avvocato o il medico non sono responsabili se la causa viene perduta o il
paziente muore. Ciò vale per tutti i liberi professionisti (fatta eccezione per i notai), sempre che non
commettano errori tecnici in materie di comune conoscenza professionale, o non siano negligenti negli
interventi da compiere nello sviluppo delle pratiche. Il cliente ha facoltà di recedere dal contratto quando
vuole, rimborsando le spese e compensando il professionista per il lavoro eseguito.
MANDATO
Il mandato è il contratto con il quale un soggetto si obbliga a compiere uno o più atti giuridici per conto
di altri. Il mandato è con rappresentanza o senza rappresentanza, secondo che il mandatario abbia o non
il potere di impegnare direttamente il mandante spendendo il suo nome. Il potere di rappresentanza però
non ha la sua fonte nel mandato, che ha effetti limitati alle parti, e dal quale deriva l'obbligo del
mandatario verso il mandante. La rappresentanza presuppone una procura, esplicita, o anche soltanto
implicita.
Il mandante, anche se i terzi non hanno conosciuto l'esistenza del mandato, ha diritto di far valere in via
diretta verso di loro i diritti di credito sorti in virtù del negozio di gestione, cioè nell’esecuzione del
mandato. Quando l’affare trattato per conto del mandante è stato l’acquisto di cose mobili, il mandante
può rivendicarne la proprietà anche verso i terzi, fatti salvi gli effetti del possesso di buona fede. Quando il
mandatario ha trattato per conto del mandante l’acquisto di beni immobili o di mobili registrati, è
necessario un nuovo autonomo atto di trasferimento del mandatario al mandante. Se però il mandatario
non si presta spontaneamente a ritrasferire la proprietà dell’immobile acquistato per conto del mandante,
questi invocherà a sua tutela contro il mandatario l’applicazione delle norme sull’obbligo a contrarre e
sulla sua esecuzione in forma specifica.
Il mandato è speciale o generale, secondo che sia conferito per il compimento di singoli atti o per tutti gli
atti di ordinaria amministrazione; è un contratto consensuale che si perfeziona con il semplice accordo
delle parti. E’ obbligatorio, perché dà origine soltanto a rapporti consensuali; è contratto a titolo oneroso.
La misura del compenso, se non è determinata dalle parti, e non si ricava dalle tariffe o dagli usi, è fissata
dal giudice. L’onerosità è solo naturale al contratto, e le parti possono accordarsi per la gratuità.
Nell’esercizio del rapporto, il mandatario deve usare la diligenza del buon padre di famiglia. Se il mandato
è gratuito, la responsabilità per colpa è valutata con minor rigore. Nell’esecuzione del mandato, il
mandatario non può delegare ad altri i suoi compiti; se sostituisce altri a se stesso senza autorizzazione e
senza necessità, risponde dell’operato del sostituto. Quando il mandatario eccede i limiti fissati nel
mandato, l’atto che esorbita resta a suo carico; il mandante tuttavia può far suo l’affare con la ratifica.
Se sono nominati più mandatari si presume che ciascuno possa agire indipendentemente dagli altri. Il
mandato congiuntivo deve risultare espressamente, e non ha effetto fino a che tutte le persone
designate non abbiano accettato l’incarico. Il mandato congiuntivo genera la responsabilità solidale di
tutti i mandatari verso il mandante, che esiste anche ogniqualvolta più mandatari abbiano agito
congiuntamente.
Da non confondersi con il mandato congiuntivo è il mandato collettivo, che è quello conferito da più
persone con unico atto per un affare di interesse comune: tutti i mandati sono responsabili in solido e la
revoca, per avere efficacia, dev'essere fatta da tutti coloro che hanno conferito l'incarico, salvo che non
ricorra una giusta causa.
Il mandato si estingue con la scadenza del termine, con il compimento dell’affare per cui fu concepito, per
revoca del mandante, per rinuncia del mandatario, per morte o sopravvenuta incapacità sia del mandante
che del mandatario.
COMMISSIONE
Commissione è il nome del mandato senza rappresentanza che ha per oggetto l’acquisto o la vendita di
beni per conto del committente da parte del commissionario, il quale agisce in nome proprio. La
commissione si riferisce quindi soltanto ad affari di compravendita. Alla commissione si applicano tutte le
norme relative al mandato senza rappresentanza. Il commissionario non risponde per il buon fine degli
affari; è responsabile nei confronti del committente secondo le regole della diligenza che si richiede
nell'esecuzione del mandato. Al commissionario spetta una provvigione che viene maggiorata se egli ha
garantito al committente l'esecuzione dell'affare da parte del terzo contraente. Il commissionario può
concludere l'affare per conto proprio quando si tratta dell'acquisto di titoli, divise o merci aventi un prezzo
corrente,a meno che il committente non abbia diversamente disposto.
CONTRATTO DI TRASPORTO E LA SPEDIZIONE
Il contratto di trasporto è il contratto in virtù del quale il vettore si obbliga, verso corrispettivo, a
trasferire persone o cose da un luogo ad un altro. Talora c’è un destinatario, al quale le cose debbono
essere consegnate, che può essere un terzo beneficiario.
Il contratto di trasporto è di regola consensuale; reale è il contratto di trasporto ferroviario il quale non si
intende concluso prima della consegna della merce alla ferrovia. E’ contratto obbligatorio, e di regola non

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solenne. E’ contratto bilaterale, perché il corrispettivo rientra nel sinallagma tra le prestazioni delle due
parti. Il credito del vettore è privilegiato e rafforzato da un diritto di ritenzione.
Nei trasporti cumulativi, quando più vettori successivamente contribuiscono al trasporto fino a
destinazione definitiva, la partecipazione dei vari vettori ha carattere indivisibile, e pertanto il danno per il
ritardo o l’interruzione si determina in ragione dell’intero percorso, dalla partenza all’arrivo; però soltanto
nei trasporti di cose, e non nel trasporto di persone, c’è una responsabilità solidale tra i vettori.
Nel trasporto terrestre di persone è regolata particolarmente la responsabilità del vettore; le norme
relative sono inderogabili. Indipendentemente dalla responsabilità per inadempimento del contratto o per
ritardo nel trasporto, è affermato il carattere contrattuale della responsabilità per i sinistri che colpiscono
il viaggiatore durante il viaggio e per la perdita o l’avaria del bagaglio anche non espressamente
consegnato al vettore. Non occorre dimostrare la colpa del vettore; il quale se vuole sottrarsi alla
responsabilità, deve provare la causa liberatoria, dimostrando di avere adottato tutte le misure atta a
evitare il danno.
Uguali regole valgono per il trasporto gratuito di persone. Si deve distinguere il trasporto gratuito, che
si compie in esecuzione di un obbligo di trasportare assunto senza corrispettivo, dal trasporto amichevole,
fatto per cortesia, nel quale il trasporto viene compiuto senza l’assunzione di un obbligo corrispondente. Il
trasporto amichevole non è da considerare come rapporto obbligatorio fondato su contratto. Mancando
l’obbligazione del trasportatore, una sua eventuale responsabilità avrà carattere extracontrattuale, con la
conseguenza che l’onere di provare la colpa di un incidente di trasporto graverà sul danneggiato.
Nel trasporto terrestre di cose assumono particolare importanza i documenti che le parti si rilasciano.
Il mittente, su richiesta del vettore, rilascia una lettera di vettura da lui sottoscritta, con tutte le
indicazioni degli elementi del trasporto. Su richiesta del mittente, il valore deve rilasciare un documento,
che è il duplicato della lettera di vettura, oppure una ricevuta di carico, che provano il ricevimento della
merce da trasportare. Duplicato e ricevuta assumono la natura di titoli di credito causali. Mediante girata
del titolo si trasferiscono i diritti verso il vettore, e principalmente il diritto di ricevere la merce nel luogo di
destinazione.
Fino al momento in cui le cose sono giunte a disposizione del destinatario, il mittente che sia in possesso
dei documenti di carico ha un diritto di contrordine, che può esercitare modificando la destinazione, o
anche chiedendo la sospensione del trasporto e la restituzione della merce.
Il vettore è responsabile della perdita e dell’avaria delle cose ricevute per il trasporto dal momento in cui
le riceve al momento in cui le riconsegna al destinatario; ha tuttavia la possibilità di provare che il danno
è dovuto a cause a lui non imputabili.
Il trasporto marittimo è regolato dal codice della navigazione. Il contratto è stipulato dal mittente che si
chiama caricatore, con l’armatore che ha le funzioni di vettore. Contro un corrispettivo, nolo, il mittente
acquista il diritto di fare un carico totale o parziale, su nave determinata o indeterminata.
Il trasporto aereo è regolato dal codice della navigazione, con norme in gran parte analoghe al trasporto
marittimo.
Il trasporto, marittimo o aereo, rappresenta uno dei tre contratti tipici del diritto della navigazione; gli altri
due, locazione e noleggio, rientrano nella categoria dei contratti aventi per oggetto l’utilizzazione
dell’intera nave o dell’aeroplano come mezzo di trasporto. Mentre nella locazione oggetto è la res, intesa
come nave o aereo con i suoi accessori materiale, nel noleggio oggetto è piuttosto un opus, avendo il
noleggiatore nei confronti del noleggiante il diritto alla disposizione di un funzionante mezzo di trasporto.
Il noleggiatore, pagando il nolo, acquista il diritto ad avere, per un determinato tempo, l’uso completo del
mezzo viaggiante.
SPEDIZIONE
La spedizione è una sottospecie del mandato senza rappresentanza: un mandato con il quale lo
spedizioniere assume l’obbligo di concludere, in nome proprio e per conto del mandante, un contratto di
trasporto e di compiere le operazioni accessorie. È un mandato a stipulare contratti di trasporto: obbligo
dello spedizioniere è di concludere per conto altrui uno o più contratti di trasporto; con la conclusione di
tali contratti, lo spedizioniere esaurisce il suo compito principale.
Compiti accessori dello spedizioniere possono essere le operazioni necessarie o utili al trasporto (presa a
domicilio, imballaggio, sdoganamento, assicurazione, consegna). Lo spedizioniere figura come contraente
in nome proprio, pure agendo per conto altrui.
CONTRATTO DI AGENZIA
Il contratto di agenzia è il contratto con cui una parte (l’agente) assume stabilmente l’incarico di
promuovere per conto dell’altra (il proponente), verso retribuzione, la conclusione di contratti in una zona
determinata. L’incarico di promuovere va distinto da quello di concludere i contratti; spesso la conclusione
di questi resta una prerogativa del preponente.
Elemento essenziale del rapporto è il carattere sistematico e continuativo dell’attività promozionale
esercitata dall’agente nell’interesse del proponente. Il rapporto è di durata e può essere a tempo
determinato o indeterminato. Nel secondo caso, ciascuna delle parti può recedere il contratto dandone
preavviso all’altra entro un congruo termine. Quando l’estinzione del contratto avviene per un fatto non
imputabile all’agente il proponente è tenuto a corrispondere un’indennità proporzionale all’ammontare
delle provvigioni liquidate nel corso del contratto.
L’agente rimane un soggetto autonomo che, come tale, si addossa il rischio relativo all’organizzazione
commerciale nella zona di sua competenza. Tuttavia, pur essendo un lavoratore autonomo, quando lavora
per un’unica ditta, l’agente viene a trovarsi in una posizione analoga a quella di un impiegato. Proprio in
virtù dell’ambiguità insita nella figura dell’agente, il quale si colloca a metà strada tra il soggetto
autonomo e il lavoratore subordinato, la disciplina del rapporto di agenzia presenta parecchie analogie

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con quella del lavoro subordinato. L’agente ha diritto alla provvigione su tutti gli affari portati a
esecuzione nella zona, mentre rimangono a suo carico le spese di agenzia. L’agente ha diritto alla
provvigione anche per gli affari conclusi direttamente dal preponente con terzi che egli aveva in
precedenza acquisito come clienti per affari dello stesso tipo o che appartengano alla zona o alla
categoria di clienti a lui riservati, salvo che sia diversamente pattuito.
Di regola ogni agente ha il diritto di esclusiva per un ramo di attività e per una data zona; essendo
l’agente compensato con una provvigione sugli affari, il criterio topografico può aiutare a stabilire quali
operazioni commerciali siano state procurate dall’attività commerciale di ciascuno di tali collaboratori
d’impresa.
Per quanto concerne il patto di non concorrenza, patto nel quale l’agente si impegna a non fare
concorrenza al preponente nel periodo successivo allo scioglimento del contratto, si richiede che esso sia
stipulato per iscritto a pena di nullità. Il patto deve riguardare la medesima zona, clientela e genere di
beni e servizi per i quali era stato concluso il contratto di agenzia e la sua durata non può eccedere i due
anni successivi all’estinzione del contratto.
CONTRATTO DI AFFILIAZIONE COMMERCIALE (FRANCHISING)
L'affiliazione commerciale, o franchising, è un contratto tra soggetti giuridici economicamente e
giuridicamente indipendenti, in forza del quale una parte (affiliante) concede la disponibilità all’altra
(affiliato), verso corrispettivo, di un insieme di diritti di proprietà industriale o intellettuale relativi a
marchi, denominazioni commerciali, insegne, disegni, diritti di autore, brevetti, assistenza e consulenza
tecnica e commerciale, inserendo l’affiliato in un sistema costituito da una pluralità di affiliati distribuiti
sul territorio, al fine di commercializzare determinati beni o servizi.
Si tratta di un contratto a prestazioni corrispettive caratterizzato dalla necessità che i contraenti siano
entrambi imprenditori. Il corrispettivo a cui è tenuto l'affiliato si specifica nel c.d. diritto d’ingresso che
consiste in una somma fissa rapportata anche al valore economico e alla capacità di sviluppo della rete,
che l’affiliato versa al momento della stipula del contratto di affiliazione commerciale, e nelle c.d.
royalties, ossia una percentuale variabile o fissa da versarsi periodicamente.
Il contratto di affiliazione commerciale deve essere redatto per iscritto a pena di nullità, e deve
necessariamente indicare una serie di elementi espressamente specificati nel testo legislativo. Può essere
pattuito sia a tempo indeterminato che a tempo determinato (mai inferiore ai tre anni).
L’affiliante ha l’obbligo di informare l’affiliato in modo preciso ed esaustivo in merito al sistema di
franchising, ed è tenuto a consegnare, almeno trenta giorni prima della sottoscrizione, una copia
completa del contratto di affiliazione. La comunicazione di false informazioni configura un’ipotesi di dolo
che legittima la parte ingannata a richiedere l’annullamento del contratto, nonché a pretendere il
risarcimento del danno nei limiti dell’interesse negativo.
MEDIAZIONE
Mediatore è colui che mette in relazione due o più persone per la conclusione di un affare. Alcune
conseguenze vengono anche solo dal fatto che l'intermediario abbia efficacemente contribuito
all'avvicinamento delle parti nella conclusione dell'affare. La legge consente l’esercizio dell’attività di
mediazione soltanto agli iscritti in un ruolo speciale istituito presso le Camere di commercio. L’esercizio
professionale dell’intermediazione negli affari costituisce un reato se attuato da non iscritti, e l’eventuale
attività per l’avvicinamento delle parti svolta da un non iscritto non darebbe alcun diritto a provvigione.
La mediazione è contratto unilaterale perché gli obblighi di colui che si giova del mediatore non trovano
corrispondenza in un obbligo di questi per la cura dell’affare. Il mediatore deve agire in autonomia: è
mediatore solo chi non sia legato a una delle parti da rapporti di dipendenza, collaborazione o
rappresentanza.
Il diritto alla provvigione spetta sempre quando l’intervento del mediatore è risultato efficace: sia che
abbia soltanto contribuito ad avvicinare le parti, sia che ne abbia facilitato le trattative.
La provvigione è dovuta al mediatore da entrambe le parti, perché entrambe si sono giovate della sua
opera, anche se una sola, o nessuna, ne abbia sollecitato l’intervento. Però non c’è solidarietà tra l’uno e
l’altro contraente: il mediatore ha rapporti distinti con i due soggetti del contratto principale. Se più
mediatori sono intervenuti nell'affare, a ciascuno va una quota della provvigione spettante
complessivamente. Ai fini della configurabilità del diritto alla provvigione è indispensabile che l’affare
mediato sia stato concluso. Nell’ipotesi in cui non venga concluso, il mediatore ha diritto soltanto al
rimborso delle spese sostenute per l'attività di mediazione. Il mediatore assume una diretta responsabilità
se non informa le parti di ogni circostanza a lui nota.
In due casi il mediatore risponde per l’esecuzione dell’affare:
➢ quando ha dato garanzia;
➢ quando non ha manifestato il nome del contraente.
CONTRATTO DI DEPOSITO
Il deposito è il contratto con cui una parte (il depositario) riceve dall’altra (il depositante) una cosa
mobile con l’obbligo di custodirla e di restituirla in natura. Dal contratto di deposito sorge l’obbligazione
principale di custodire per restituire; esso riguarda soltanto le cose mobili.
Il deposito è contratto reale: si perfeziona con la consegna della cosa al depositario, che la riceve in
detenzione. Il depositario non acquista né la proprietà né il possesso della cosa: detenendola nel solo
interesse del depositante, non può disporre della cosa depositata, né servirsene, ne darla in deposito ad
altri senza il consenso del depositante.
E’ contratto normalmente gratuito; la presunzione di gratuità viene meno per la manifestazione di una
diversa volontà delle parti. Il depositante deve rimborsare al depositario le spese da questi sostenute per
la conservazione della cosa e deve tenerlo indenne dalla perdite eventualmente cagionate dal deposito. Il

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depositario può ritenere la cosa soggetta al privilegio finché non è soddisfatto del suo credito e può anche
venderla secondo le norme stabilite per la vendita del pegno. E’ un contratto unilaterale e rimane tale
anche quando il depositante è tenuto a pagare un compenso: tale corrispettivo forma oggetto di
un’obbligazione accessoria. Non sarebbe pensabile la risoluzione del contratto, con la conseguente
estinzione dell’obbligo di custodire, per inadempienza del soggetto che non paghi il compenso pattuito.
La diligenza richiesta nel custodire è quella ordinaria del buon padre di famiglia: se il deposito è gratuito,
il giudice valuterà con minor rigore l'eventuale responsabilità del depositario.
Il depositario deve restituire la cosa ad nutum del depositante. Tuttavia le parti potrebbero convenire un
termine nell’interesse del depositario (deposito vincolato): in tal caso il depositante non potrebbe
pretendere la restituzione del bene prima del tempo. Anche il depositario può richiedere un qualunque
tempo che il depositante riprenda la cosa, purché non sia stabilito un termine a vantaggio del
depositante.
E’ ammesso il deposito irregolare: ha per oggetto una quantità di denaro o di altre cose fungibili, con
facoltà per il depositario di servirsene. Al depositario passa la proprietà delle cose depositate, con
l'obbligo di restituire il tantundem. Esso assolve a una doppia funzione:
• di custodia, nell’interesse del depositante;
• di credito, nell’interesse del depositario.
Quest’ultimo effetto è analogo a quello del prestito di cose fungibili, e si osservano le norme proprie del
mutuo. Nel deposito irregolare la cosa è data in custodia per la sicurezza del depositante, che conserva il
diritto di ripeterla ad nutum, nel mutuo il prestito viene fatto soprattutto per soddisfare l'interesse del
mutuatario all'uso e al godimento del bene, pertanto il contratto deve avere una certa durata.
Nel deposito in albergo, l’albergatore è responsabile di ogni deterioramento, distruzione o sottrazione
delle cose portate dal cliente con sé. In tali ipotesi la responsabilità dell’albergatore è illimitata soltanto se
la perdita o il deterioramento della cosa sono dovuti a sua colpa; in caso contrario, la sua responsabilità è
limitata al valore della cosa, fino ad un limite massimo pari a cento volte il prezzo di locazione
dell’alloggio per una giornata. L’albergatore risponde invece illimitatamente per le cose che il cliente gli
abbia specificatamente consegnato con finalità di custodia e per quelle che abbia rifiutato di accettare in
custodia, violando l'obbligo di riceverle posto a suo carico. Le norme sul deposito alberghiero sono
inderogabili, onde sono nulli i patti tendenti ad escludere o a limitare preventivamente le responsabilità
dell’albergatore.
Il deposito nei magazzini generali, che sono pubblici magazzini appositamente organizzati per la
raccolta e la custodia di merci. Quando il deposito ha ad oggetto merci dello stesso genere appartenenti a
proprietari diversi, se tutti gli interessati sono d'accordo, il deposito può essere fatto alla rinfusa: ogni
depositante acquista il diritto ad una quota della rivalsa venutasi a formare corrispondente a quella
depositata. I magazzini generali possono vendere le merci per conto del depositante, se le merci non sono
ritirate al termine del contratto e non è rinnovato il deposito o quando è decorso un anno dalla data del
deposito, in ogni caso quando le merci sono minacciate di deperimento. I magazzini generali rispondono
della conservazione delle merci depositate, a meno che non si riesca a dimostrare che la perdita, il calo o
l'avaria è derivata dal caso fortuito, dalla natura delle merci o dai vizi di esse o dell'imballaggio.
A richiesta del depositante vengono emessi due titoli rappresentativi delle merci depositare: la fede di
deposito e la nota di pegno, titoli di credito causali trasmissibili per girata. Entrambi rappresentano le
merci; la nota di pegno le rappresenta al solo scopo di facilitare al depositante la concessione di un
credito garantito sopra le merci depositate. La fede di deposito, quando vi è unita la nota di pegno, da
diritto alla riconsegna delle merci; il possesso legittimato del titolo attribuisce il possesso e la disponibilità
della cosa. La nota di pegno serve per costituire in pegno le cose depositate.
SEQUESTRO CONVENZIONALE
Il sequestro giudiziario si ottiene per i beni che sono oggetto di una controversia. Lo stesso scopo si può
perseguire anche per accordo delle parti interessate, le quali affidano a un terzo la cosa rispetto alla quale
sia nata fra loro controversia, perché la custodisca e la restituisca, quando la controversia sarà definita, a
chi ne avrà diritto. Questo è il sequestro convenzionale che può avere per oggetto singoli beni mobili o
immobili o anche l’intero patrimonio. Il contratto è a titolo oneroso: in ogni caso il sequestratario ha diritto
al rimborso delle spese sostenute.
SEZIONE IV. CONTRATTI ALEATORI DI RENDITA
CONTRATTI ALEATORI
Con il gioco e con la scommessa si persegue un fine di lucro da parte di entrambi i soggetti. Il vincente
non ha diritto di chiamare in giudizio la controparte per ottenere la posta convenuta: però chi ha ottenuto
il pagamento spontaneo della vincita, avvenuta senza frode, può difendere quanto ha ricevuto mediante
un’eccezione d’irripetibilità, purché il perdente che ha pagato non sia un incapace.
Un altro contratto aleatorio può essere il contratto di alimenti, quando una persona si obbliga verso
un’altra per fornirle quanto necessario al sostentamento di tutta una vita.
CONTRATTI DI RENDITA
Il contratto di rendita vitalizia è tipicamente aleatorio; il contratto di rendita perpetua non dipende
dalla incerta durata di una vita. Nella costituzione di rendita in ogni caso viene corrisposto un bene o un
capitale; chi lo riceve deve fare delle prestazioni periodiche determinate. Si ha rendita:
• perpetua quando le prestazioni da farsi sono dovute senza limite di tempo. Una parte conferisce
all’altra il diritto di esigere in perpetuo la prestazione periodica di una somma di denaro o di una
certa quantità di altre cose fungibili, quale corrispettivo dell’alienazione di un immobile o della
cessazione di un capitale. La rendita perpetua è:

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◦ fondiaria quando si costituisce mediante l’alienazione di un immobile, è contratto traslativo di


proprietà che va assoggettato alle norme sulla vendita o sulla donazione, a seconda che
l'alienazione sia fatta a titolo oneroso o a titolo gratuito;
◦ semplice quando si costituisce mediante la cessione di un capitale irripetibile, costituisce un
comune diritto di credito e non un onere inerente al fondo.
In ogni caso la rendita deve avere una garanzia immobiliare: viene garantita sul fondo alienato se
si tratta di rendita fondiaria, e con l’iscrizione di un’ipoteca sopra qualche immobile se la rendita è
semplice. Ogni nove anni il creditore ha diritto a una ricognizione; il debitore nonostante
qualunque convenzione in contraria, ha sempre il diritto di riscatto. Il riscatto, che si può
convenire non venga esercitato prima della morte del beneficiario o prima di un certo tempo
stabilito, si effettua mediante il pagamento della somma che risulta dalla capitalizzazione della
rendita annua sulla base dell’interesse legale (moltiplicando 10 volte il valore della prestazione
annua). Anche il riscatto della rendita semplice avviene non con la restituzione del capitale
ceduto, ma con la capitalizzazione del canone annuo.
• Vitalizia quando l’obbligo di pagare le annualità cessa con la morte di una persona, si costituisce
per la durata della vita di una persona; è ammesso anche il riferimento alla durata della vita di un
terzo non beneficiario della rendita. Il contatto è nullo quando manca l’alea, come se la rendita
fosse costituita con riferimento alla vita di una persona già defunta. La rendita vitalizia, oltre che
per contratto oneroso, può essere costituita anche per donazione o per testamento.
nell’incertezza del termine sta il carattere aleatorio del vitalizio.
La rendita non è soggetta a risoluzione per il mancato pagamento di rate scadute. Soltanto il fatto che il
promittente non dia o diminuisca le garanzie pattuite è causa di risoluzione.
CONTRATTO DI ASSICURAZIONE IN GENERALE
Assicurazione vuol dire ripartizione dei rischi, oppure anche assunzione di rischi da parte di un terzo,
che spesso è un’impresa con scopi di lucro. Con l’assicurazione si dà valore alla soddisfazione del
danneggiato rispetto alla ricerca di una responsabilità dell’autore del danno.
L’assicurazione è il contratto col quale l’assicuratore, dietro pagamento di un premio, si obbliga a rivalere
l’assicurato, entro i limiti convenuti, del danno a esso prodotto da un sinistro (assicurazione contro i
danni), ovvero a pagare un capitale o una rendita al verificarsi di un evento attinente alla vita umana
(assicurazione sulla vita).
Tra le innovazioni di maggiore rilievo introdotte dal codice delle assicurazioni private spicca l’introduzione
dell’indennizzo diretto nel ramo r.c. auto: in caso di sinistro l’assicurato da risarcire può e deve
rivolgere la propria pretesa direttamente alla sua assicurazione, la quale si rivarrà poi sulla compagnia
che assicura il responsabile del danno. La procedura di liquidazione veloce non potrà essere applicata
laddove nell’incidente siano coinvolti più di due veicoli, veicoli con targhe straniere e quando i danni alla
persona superino i 9 punti.
Il contratto di assicurazione è consensuale, è aleatorio, perché ha come oggetto un rischio (come evento
futuro non desiderato) da assicurare, ed è a prestazioni corrispettive, perché all’obbligazione
dell’assicuratore corrisponde l’obbligazione dell’assicurato a pagare il premio. Le imprese di assicurazione
devono limitare l'oggetto sociale all'esercizio dei soli rami vita o dei soli rami danni e della relativa
riassicurazione; è vietato l'esercizio cumulativo, da parte di una stessa società, dell'assicurazione danni e
dell'assicurazione vita, fatta eccezione per le assicurazioni infortuni e malattia.
Il rischio è meglio assicurato quanto più è ripartito e quanto è più larga la massa dei premi che si
raccolgono. La disciplina cui è sottoposta la società per azioni offre maggiore possibilità di controllo da
parte dell’autorità. Il capitale della società assicuratrici solo in piccola parte serve come strumento
dell’attività sociale; la sua principale funzione è di garanzia per gli assicurati. Controparte nel contratto
non è necessariamente l’assicurato, perché l’assicurazione può essere stipulata anche per conto altrui. La
copertura del rischio può essere assunta insieme da varie compagnie e si ha così una coassicurazione. Ma
spesso le singole società assicuratrici si assicurano a loro volta per una più larga ripartizione dei rischi,
mediante contratti di riassicurazione. Abbiamo due tipi fondamentali di assicurazione:
• l’assicurazione contro i danni con la quale l’assicuratore si obbliga a rifondare all’assicurato i
danni di eventuali sinistri. L’indennizzo dovuto dall’assicuratore svolge una funzione di
risarcimento del danno effettivamente subito dall’assicurato, restando esclusa la possibilità che
quest’ultimo possa trarre un vantaggio economico dal verificarsi del sinistro ed essere così indotto
a provocarlo.
• L’assicurazione sulla vita con la quale l’assicuratore si obbliga a pagare una somma al verificarsi
di un evento attinente alla vita umana, fatta eccezione per il sequestro di persona. L’assicurazione
sulla vita ha carattere provvidenziale: l’assicurato mira a garantire determinate disponibilità
finanziarie ai soggetti che gli sopravvivono oppure a se stesso per un’età nella quale le sue
capacità reddituali saranno diminuite.
Elemento essenziale del contratto è l’alea: l’assicurazione è nulla se il rischio non esiste nel momento
della conclusione del contratto. Se il rischio cessa dopo la conclusione del contratto, i premi devono
corrispondersi ugualmente all'assicuratore fino a quando egli abbia avuto notizia della cessazione.
L’assicuratore non è obbligato per i sinistri causati da dolo o colpa grave dell’assicurato (salvo un patto
contrario).
Il premio, cioè il prezzo che l’assicurato deve pagare, viene calcolato su di un complesso di fattori. La
continuità nella copertura del rischio dipende dall’adempimento dell’obbligo di pagare i premi; la
copertura resta sospesa, dopo il breve termine di quindici giorni, se il rinnovo delle rate di pagamento non

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avviene regolarmente. La prova del contratto di assicurazione richiede l’atto scritto.


La prova del contratto di assicurazione richiede l'atto scritto. La polizza è l'atto dell'assicuratore che
contiene l'indicazione di tutti gli elementi del rapporto. Il contratto si forma sulla base di una proposta
sottoscritta da chi chiede l'assicurazione. L’assicuratore, ricevuta la proposta, svolge indagini per valutare
la consistenza del rischio. Per tradizione, l’assicurazione è un contratto basato sulla buona fede. Se il
contraente sia stato in dolo o in colpa grave nel fare dichiarazioni inesatte o reticenti il contratto è
annullabile da parte dell’assicuratore purché agisca entro tre mesi dalla conoscenza della circostanza. Se
il contraente ha agito senza colpa grave l'assicuratore può recedere dal contratto rendendolo inefficace
solo per l'avvenire.
Il contratto di assicurazione si intende concluso quando il cliente proponente riceve notizia
dell’accettazione dell’assicuratore. Tuttavia la conclusione non coincide necessariamente con il
perfezionamento del rapporto, cioè con il momento dal quale l’assicuratore comincia a sopportare il
rischio; questo presuppone di regola il pagamento del premio o della prima rata dello stesso e viene
fissato alla mezzanotte successiva al giorno nel quale si attua il rilascio della polizza.
ASSICURAZIONE CONTRO I DANNI
L’interesse dell’assicurazione è l’interesse al risarcimento; occorre un interesse diretto e non
artificialmente creato. L’assicurazione contro i danni è essenzialmente contratto di indennità, e non deve
risolversi in un’occasione di lucro: l’obbligazione dell’assicuratore è limitata al risarcimento del danno
effettivamente sofferto dell’assicurato. Quando l’assicurazione è contratta per una cifra eccedente il
valore delle cose assicurate se vi è stato dolo il contratto non è valido; se non vi è stato dolo il contratto
ha effetto soltanto fino al valore reale del bene assicurato e il contraente avrà diritto per l’avvenire a una
riduzione proporzionale del premio. Più frequente è l'ipotesi di assicurazione parziale che si ha quando
l'assicurazione risulta fatta per una somma minore del valore venale della cosa assicurata. In tale ipotesi
l’assicuratore risponde dei danni soltanto in maniera ridotta, cioè nella stessa proporzione in cui il valore
effettivo della cosa assicurata si trova in rapporto alla somma per cui è stata fatta l'assicurazione (es. si
assicura per 1.000 € un bene del valore di 10.000 €, se il danno è di 2.000 € si applica la proporzione:
10.000:1.000=2.000:al danno risarcibile). L’assicurato deve dare avviso del sinistro entro tre giorni
all’assicuratore e deve fare quanto possibile per il salvataggio delle cose assicurate, cercando almeno di
ridurre il danno. Se dolosamente non adempie a questi obblighi egli perde il diritto all’indennità.
L’alienazione delle cose assicurate non scioglie il rapporto.
L’assicurazione della responsabilità civile: l’assicuratore è obbligato, nei limiti della somma prevista
dal contratto (massimale), a tenere indenne l’assicurato di quanto questi dovrà pagare a terzi a titolo di
risarcimento danni a causa di eventi che comportano una sua responsabilità civile, accaduti durante il
tempo dell'assicurazione, che comportano una sua responsabilità civile (contrattuale o extracontrattuale),
con esclusione soltanto dei danni derivanti da fatti dolosi. In tale ipotesi l’assicuratore ha facoltà di pagare
direttamente il terzo danneggiato l’indennità dovuta; è obbligato al pagamento diretto se l’assicurato lo
richiede. Tuttavia il danneggiato non può agire direttamente contro l’assicuratore, né può chiamarlo in
causa: quest’ultima facoltà è, concessa solamente all’assicurato. In talune ipotesi il legislatore ha ritenuto
opportuno rendere obbligatoria l’assicurazione della responsabilità civile in relazione ad attività
particolarmente pericolose.
Nella responsabilità automobilistica l’assicurazione costituisce un vantaggio, non soltanto contro i
rischi per il patrimonio dell’assicurato ma altresì per i terzi che vengono tutelati contro le insufficienze
economiche dell’eventuale responsabile di danni arrecati nella circolazione. La legge prevede l’obbligo di
non porre in circolazione il veicolo senza che sia stato preventivamente assicurato per i danni arrecati a
terzi. L’adempimento di tale obbligo deve essere comprovato da un apposito certificato rilasciato
dall’assicuratore, da che risulti il periodo di assicurazione per il quale sono stati pagati il premio o la rata
di premio. Tale contrassegno deve essere applicato sul veicolo cui l’assicurazione si riferisce. La
liquidazione dei danni viene facilitata con un primo accertamento da parte delle imprese di assicurazione.
Se la liquidazione così proposta non viene accettata, l’assicurato può ricorrere all’accertamento che verrà
fatto da un perito assicurativo che stabilità l’ammontare del risarcimento in base all’entità del danno.
ASSICURAZIONE SULLA VITA
Il contraente è talora persona diversa dall’assicurato, alla cui vita si riferisce l’alea del contratto; e diverso
ancora può essere il beneficiario cui è destinato il pagamento della somma assicurata. Al fine di evitare
illecite speculazioni sulla vita altrui, è vietato concludere assicurazioni per il caso di morte di un terzo
senza il consenso dello stesso, da provarsi per iscritto. Si fa una distinzione fondamentale, secondo che
l’evento preso in considerazione, al quale si riferisce l'alea del contratto:
• sia la morte (a vantaggio di terzi);
• la sopravvivenza dell’assicurato (a vantaggio dello stesso).
Nello stabilire il premio, l’assicuratore tiene conto di molte circostanze relative alle probabilità di una più o
meno lunga durata del contratto prima che si verifichi l’evento aleatorio, e quasi sempre richiede una
visita medica. Se non viene pagato il premio del primo anno, l’assicuratore ha diritto di esigere la somma
convenuta; se non viene pagato quello degli anni successivi, il contratto è risoluto di diritto, nel senso che
l’assicuratore ha diritto di evitare che un successivo pagamento dei premi ristabilisca la vita del rapporto
trattenendo i premi già inutilmente versati.
La legge stabilisce che l’assicuratore non è tenuto al pagamento della somma assicurata nell’ipotesi di
suicidio che avvenga nei primi due anni del contratto. L’assicurazione fatta per un diverso beneficiario ha
la struttura tipica del contratto a favore di terzi. La designazione deve risultare per iscritto, e può essere
fatta anche posteriormente al contratto, con dichiarazione diretta all’assicuratore, o con testamento. La
designazione si può sempre revocare o modificare fino al momento in cui il beneficiario abbia dichiarato di

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volerne approfittare.
SEZIONE V. CONTRATTI DI BANCA E CONTO CORRENTE
OPERAZIONI BANCARIE IN GENERALE
Tutto il diritto bancario è un diritto speciale regolato da leggi speciali sull’esercizio del credito e la difesa
del risparmio; trova una regolamentazione unitaria e sistematica nel nuovo Testo Unico delle leggi in
materia bancaria.
Costituiscono attività bancaria la raccolta di risparmio tra il pubblico e l'esercizio del credito. L’esercizio
dell’attività bancaria è riservato esclusivamente ad imprese autorizzate dalla Banca d’Italia, le banche.
L’impresa bancaria è essenzialmente commerciale, può essere esercitata solo in forma di società per
azioni o di società cooperativa per azioni a responsabilità limitata. L’organizzazione e l’esercizio
dell’attività bancaria sono sottoposte al continuo controllo degli organi di vigilanza della Banca d’Italia.
Le banche non svolgono esclusivamente l’attività di raccolta del risparmio e di finanziamento, che è loro
tipicamente riservata, ma forniscono una sempre più vasta gamma di servizi: es. cassette di sicurezza, il
deposito di titoli in custodia e amministrazione.
GRUPPI BANCARI
Capogruppo di un gruppo bancario può essere una banca ovvero una società finanziaria con sede in Italia,
non controllata da un’altra banca o società finanziaria, e che controlli direttamente o indirettamente altre
società bancarie, finanziarie e strumentali. Le società finanziarie, tuttavia, possono essere a capo di un
gruppo bancario solo quando, nell’ambito del gruppo, abbia rilevanza la componente bancaria.
Le operazioni bancarie fondamentali si distinguono in:
• passive, per mezzo delle quali la banca raccoglie capitali ricevendo credito dai suoi clienti
(deposito di denaro, risconto, emissione di assegni circolari o di vaglia bancari);
• attive, per mezzo delle quali la banca impegna, con la concessione di crediti, la propria
disponibilità di capitali (apertura di credito, anticipazione bancaria, sconto, mutui pignoratizi o
ipotecari).
I contratti devono essere redatti per iscritto e un esemplare degli stessi deve essere materialmente
consegnato al cliente, a pena di nullità, la quale può essere fatta valere solo dal cliente (nullità relativa).
Esso deve contenere l'espressa indicazione del tasso d’interesse. Si considerano nulle e non apposte le
clausole che facciano rinvio agli usi per la determinazione dei tassi d'interesse applicati. Norma
fondamentale è quella che disciplina l’esercizio da parte delle banche della facoltà di modificare
unilateralmente le condizioni, i prezzi e i tassi applicati. La legge prevede che:
a) la facoltà di modificare unilateralmente i tassi, i prezzi e le altre condizioni di contratto deve
essere subordinata alla sussistenza di un giustificato motivo;
b) il cliente deve essere informato circa la sussistenza del giustificato motivo in maniera precisa, tale
da consentire una valutazione;
c) qualunque modifica deve essere comunicata espressamente al cliente in forma scritta o mediante
altro supporto durevole, preventivamente accettato dal cliente;
d) la comunicazione inviata deve contenere in modo evidenziato la frase 'Proposta di modifica
unilaterale del contratto' e deve essere effettuata 30 giorni prima dell'eventuale applicazione
delle nuove condizioni di contratto;
e) La modifica si intende approvata se il cliente non recede dal contratto entro 60 giorni dal
ricevimento della comunicazione.
DEPOSITI BANCARI IN DENARO
Costituiscono la principale operazione passiva. Il deposito di denaro fa sorgere nella banca l’obbligo di
restituire il tantundem alla scadenza del termine convenuto (deposito vincolato), ovvero ad nutum del
depositante con la sola osservazione degli eventuali periodi di preavviso (deposito libero).
Il deposito bancario è un contratto a prestazioni complesse, che tiene del deposito irregolare e del mutuo.
C’è l’interesse del creditore di porre al sicuro i capitali riservandosene la disponibilità (funzione di
custodia), e c’è l’interesse della banca di procurarsi le somme, che servono alle sue operazioni attive. Si
devono inoltre considerare gli elementi del compenso, che comunemente è dato dalla banca al
depositante sotto forma di un periodico interesse. Dove non ci siano norme speciali per il deposito
bancario, e manchino disposizioni del contratto o usi, si applicano le norme sul mutuo.
Il deposito bancario è spesso documentato da un libretto di deposito rilasciato al cliente, detto anche
libretto in conto corrente o a risparmio. Le annotazioni sul libretto, fanno piena prova dei rapporti tra
banca e depositante, prevalendo su quanto risulta nei registri della banca. Nel caso di libretti emessi al
portatore chi possiede il libretto può disporre delle somme depositate, la banca è liberata se paga al
possessore, anche se non è il depositante. Se il libretto è nominativo, il solo soggetto che vi è intestato
può compiere operazioni di esazioni del credito.
APERTURA DI CREDITO E ANTICIPAZIONE BANCARIA
L’apertura di credito costituisce una fondamentale operazione attiva: è il contratto mediante il quale la
banca (accreditante) si obbliga di mettere a disposizione del cliente (accreditato) una somma di denaro
per un dato periodo o a tempo indeterminato. Caratteristica del contratto è la disponibilità della somma:
la banca concede un fido al cliente, il quale può ottenere la somma a credito entro il limite previsto come
massimo.
E’ contratto consensuale, perché il contratto è perfetto anche prima di qualsiasi prelevamento. E’
contratto unilaterale, perché ne sorge l’obbligo della banca di tenere aperto il credito al cliente, il quale da
parte sua non ha l’obbligo, ma solo il diritto di fare prelevamenti. L'apertura di credito è allo scoperto,
quando la banca trova sufficiente la generica garanzia personale dell'accreditato, la quale non si estingue
prima della fine del rapporto per il solo fatto che l'accreditato non sia più debitore della banca. Se

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l'apertura di credito è a tempo indeterminato, ciascuna delle parti può recedere dal contratto in ogni
momento, previa disdetta con preavviso. Se è a tempo determinato, il recesso prima della scadenza del
termine è ammesso soltanto per una giusta causa.
L’anticipazione bancaria è una sottospecie dall’apertura di credito. Serve al finanziamento di operazioni
su merci. Sua caratteristica è che l’anticipato fornisce alla banca finanziatrice (anticipante) una garanzia
reale con pegno su merci o su titoli. La costituzione del pegno è immediata; basta che la somma sia
messa a disposizione, e la garanzia sarà per un credito futuro ed eventuale. Il pegno può essere regolato
o irregolare.
SCONTO E RISCONTRO
Il titolare di un credito non ancora scaduto può realizzare subito il valore che gli è necessario, rivolgendosi
a una banca (scontatrice), la quale anticipa l’importo al cliente (scontatario) ricevendo in cessione il
credito e detraendo gli interessi sulla somma anticipata. Il contratto di sconto si avvicina al mutuo
garantito della cessione di un credito.
Il risconto è lo sconto di titoli scontati. La banca A che ha scontato un credito altrui, avendo poi bisogno di
denaro, risconta il titolo presso la banca B ricevendone credito.
OPERAZIONI ACCESSORIE DI BANCA. DEPOSITO REGOLARE E SERVIZIO DELLE CASSETTE DI SICUREZZA
Se il cliente deposita in banca cose di pregio per ottenerne soltanto la custodia, la proprietà degli oggetti
resta al depositante (deposito regolare) il quale deve rifondere alla banca le spese e pagare un compenso
per il servizio. In qualunque evenienza, il depositante ha diritto di riavere per intero i valori depositati. Il
deposito a custodia è:
• chiuso, quando si consegna un involto che deve essere restituito nella sua integrità;
• aperto, quando si consegnano cose o titoli individuati da restituire nella loro identità.
Assai più diffuso è il deposito di titoli di amministrazione: l’obbligo di custodia si completa con una serie di
altre prestazioni, le quali addossano alla banca doveri di diligenza.
Con il servizio delle cassette di sicurezza la banca mette a disposizione del cliente una cassetta dove egli
può deporre tutto ciò che intende preservare dai pericoli di furti, incendi o altro. Al cliente è assicurata la
segretezza anche di fronte alla banca. La cassetta non può essere aperta senza il concorso di due
persone, e precisamente di chi rappresenta la banca, che ne ha una chiave, e del cliente, che ha la chiave
di una seconda serratura. La banca risponde dell’idoneità e la custodia dei locali e per l’integrità della
cassetta; non per il contenuto di questa. La banca si libera della sua responsabilità per l’integrità della
cassetta soltanto se riesce a dimostrare l’esistenza di un caso fortuito. Se la cassetta è intestata a più
persone, ciascuna ha il diritto di procedere separatamente all’apertura. Nel caso di morte di un
intestatario, la banca non consentirà l’apertura della cassetta se non in seguito all’accordo di tutti gli
aventi diritto o secondo le modalità stabilite dal giudice.
OPERAZIONI DI CREDITO AGRARIO
Il credito agrario ha per oggetto la concessione di finanziamenti destinati alle attività agricole e
zootecniche, nonché alle attività a queste connesse, quali l’agriturismo, la manipolazione, conservazione,
trasformazione, commercializzazione e valorizzazione dei prodotti. Le operazioni di credito agrario si
attuano mediante la concessione di prestiti con speciali tassi di favore, con speciali scadenze e speciali
garanzie.
Le operazioni di credito agrario o peschereccio possono essere effettuate mediante l’utilizzo di cambiale
agraria o pesca: questa cambiale è un titolo di credito equiparato ad ogni effetto alla cambiale ordinaria:
contiene in più l’indicazione del rapporto di valuta, in cui si rivelano lo scopo del prestito, il fondo per cui il
prestito è concesso e le garanzie da cui è assistito.
CONTRATTO DI CONTO CORRENTE
Il contratto di conto corrente permette alle parti ad obbligarsi ad annotare in un conto i crediti
derivanti dalle reciproche rimesse; i crediti divengono pertanto inesigibili e indisponibili fino alla chiusura
del conto. Il conto corrente appartiene alla categoria dei contratti normativi. Le parti stabiliscono che
quando una di esse effettua una rimessa, l’altra si obbliga a scriverla nel conto, e in corrispondenza la
prima perde il diritto di esigere il credito o di disporne.
I tre punti fondamentali del rapporto di conto corrente sono:
1. obbligatoria inserzione nel conto delle rimesse ricevute;
2. inesigibilità dei singoli crediti per la durata stabilita;
3. esigibilità del saldo a chiusura di ciascun periodo, dopo operatasi la compensazione fino a
concorrenza delle partite contrapposte.
I crediti immessi nel conto diventano inestinguibili, ma conservano la loro individualità. La chiusura del
conto avviene alla scadenza stabilita dal contratto o dagli usi; in mancanza, al termine di ogni semestre.
Alla chiusura si liquida il saldo, semplificando il conto. Se il saldo non viene chiesto, si considera come
prima rimessa di un nuovo conto, e il contratto si intende rinnovato a tempo indeterminato.
OPERAZIONI BANCARIE IN CONTO CORRENTE
Quando si parla di operazioni bancarie in conto corrente ci si riferisce ad una particolare modalità di
esecuzione di operazioni, che rispondono a tipi contrattuali diversi. La caratteristica delle operazioni in
conto corrente consiste nella loro particolare forma di contabilizzazione. Quando il regolamento in conto
corrente accede ad una determinata operazione, la clausola non altera la struttura del contratto: allo
schema contabile del conto di gestione, si aggiunge l’effetto di attribuire al cliente la facoltà di aumentare
o diminuire liberamente il credito o il debito mediante successivi apporti o prelievi, che verranno annotati.
In ogni momento, il correntista potrà disporre delle somme, che risultano dai depositi effettuati e dal fido
ricevuto e potrà essere autorizzato a disporre degli importi mediante assegni. Corrisponde in capo alla

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banca, l'obbligo di ricevere nuovi versamenti ed elevare la posizione debitoria e di conservare presso di sé
la somma dovuta fino a che dura il rapporto.
Il contratto di conto corrente bancario (o conto corrente passivo o conto corrente di corrispondenza)
è una fattispecie contrattuale autonoma, il cui contenuto negoziale consiste nell'espletamento, da parte
della banca, di un servizio di cassa per conto del cliente.
La banca, per l’esecuzione degli incarichi ricevuti, risponde secondo le regole del mandato. Le somme
riscosse o pagate dalla banca in esecuzione degli incarichi vengono accreditate o addebitate al cliente, e
riconosciute reciprocamente mediante scambio di corrispondenza. I fondi necessari per le operazioni
dovrebbero essere forniti dal cliente con i suoi versamento o con le somme riscosse per lui. Alle volte però
la banca si impegna ad eseguire anche pagamenti allo scoperto, cioè con fondi che essa anticipa al
cliente; vi è pertanto compresa un’apertura di credito.
SEZIONE VI. CONTRATTI DIRETTI ALLA SOLUZIONE DI CONTROVERSIE
TRANSAZIONE
La transazione è il contratto con il quale le parti pongono fine a una lite già cominciata o prevengono
una lite che sta per sorgere tra loro, facendosi reciproche concessioni.
Con la transazione:
• non novativa: le parti non sempre operano soltanto sulle rispettive pretese del rapporto in
contesa;
• novativa: costituiscono nuovi rapporti;
• mista: modificano o estinguono altri rapporti preesistenti.
Essenziale alla transazione è una incertezza subiettiva che si vuole eliminare, data anche dal solo fatto
dell’esistenza di un conflitto attuale o potenziale tra le parti, qualificato da opposte pretese. È annullabile
la transazione fatta su lite già decisa con sentenza passata in giudicato, del quale almeno una delle parti
non aveva notizia. La transazione può avere come oggetto diritti patrimoniali di qualsiasi natura. Deve
trattarsi però di diritti disponibili. Quando la situazione di cui si discute è sottratta alla disponibilità delle
parti, occorre l’intervento del giudice.
Allo scopo di tutelare il contraente più debole, la legge dichiara invalide le rinunzie e le transazioni che
hanno per oggetto diritti del prestatore di lavoro derivanti da disposizioni inderogabili della legge o dei
contratti e accordi collettivi. L'impugnativa deve essere proposta, a pena di decadenza, entro sei mesi
dalla data di cessazione del rapporto o della data della rinuncia o transazione, se queste sono posteriori
alla cessazione. La transazione non può essere provata con testimoni e richiede la prova scritta. Quando
ha per oggetto beni immobili, la forma scritta è richiesta ad substantiam e l'atto deve essere trascritto.
Produce tra le parti lo stesso effetto di una sentenza passata in giudicato.
COMPROMESSO E CLAUSOLA COMPROMISSORIA
L’accertamento di diritti controversi può farsi anche per mezzo di arbitrati, o giudici privati, i quali
ricevono il potere di risolvere il conflitto da un contratto fra gli interessati, che si chiama convenzione
d'arbitrato, nozione riassuntiva delle figure del compromesso e della clausola compromissoria.
Il convenzione d'arbitrato è contratto accessorio e richiede la forma scritta ad substantiam. L’accordo
compromissorio, che ha per oggetto l’attribuzione di un potere, contiene una rinuncia reciproca a ricorrere
all’autorità giudiziaria. Se uno dei contraenti adisce il giudice dello Stato, l’altro può opporre l’eccezione di
compromesso, e il giudice dichiara improcedibile la domanda. Le controversie che non riguardano diritti
disponibili, non possono neppure essere deferite alla decisioni di arbitri. A pena di nullità, il compromesso
deve determinare l’oggetto della controversia e deve contenere la nomina degli arbitri, oppure deve
stabilire il numero di essi e il modo per nominarli.
L’obbligo degli arbitri non deriva dal compromesso stipulato dagli interessati, ma dalla loro accettazione.
Con l’accettazione; gli arbitri si obbligano a decidere la controversia secondo le norme di diritto, salvo che
le parti li abbiano autorizzati a decidere secondo equità. La decisione degli arbitri, che si chiama lodo, ha
dalla data della sua ultima sottoscrizione gli effetti della sentenza pronunciata dall'autorità giudiziaria,
quanto alla efficacia di accertamento e costitutiva; la parte che intende ottenere l’esecuzione forzata ha
l’onere di depositare il lodo insieme all’atto contenente l’accordo compromissorio, nella cancelleria del
tribunale nella cui circoscrizione le parti o gli arbitri hanno eletto la sede dell’arbitrato, e il tribunale
dichiarerà il lodo esecutivo con suo decreto.
Mentre il compromesso serve per dirimere le controversie già sorte tra le parti, la clausola
compromissoria consiste in un patto aggiunto a un contratto; con detta clausola si stabilisce che tutte le
eventuali controversie nascenti sull’applicazione del contratto dovranno essere decise da arbitri.

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CAPO XI. I CONTRATTI DEI CONSUMATORI


INTRODUZIONE
L'Unione Europea contribuisce, con la propria azione, al rafforzamento della protezione dei consumatori:
spiccano un gruppo di direttive emanate a partire dagli anni '80 a seguito della cui attuazione
nell'ordinamento italiano si è venuto a creare, all'interno del nostro sistema generale dei contratti, un vero
e proprio sottosistema dei cosiddetti contratti dei consumatori. È un insieme di provvedimenti che
contengono una serie di regole speciali destinate a trovare applicazione tutte le volte in cui un contratto
venga concluso da un consumatore con un professionista. La ratio di questi provvedimenti risiede
nell'esigenza di assicurare ai consumatori forme particolari e tendenzialmente inderogabili di protezione:
gli interessi economici dei consumatori sono esposti al rischio di essere sacrificati dal momento che i
professionisti dispongono di una forza economica e contrattuale e di una quantità di conoscenze e
informazioni superiore rispetto a quella di cui godono i consumatori.
NOZIONI DI CONSUMATORE E PROFESSIONISTA
Consumatore è la persona fisica che agisce per scopi estranei all'attività imprenditoriale o professionale
eventualmente svolta; professionista è la persona fisica o giuridica che agisce nell'esercizio della
propria attività imprenditoriale o professionale, ovvero un suo intermediario. La qualificazione di una parte
contrattuale è dunque legata:
• alla natura del soggetto che conclude il contratto (persona fisica o ente collettivo);
• agli scopi in vista dei quali egli agisce quando stipula un contratto.
Possono essere qualificate come consumatori tutte e soltanto le persone fisiche che concludono un
contratto per uno scopo estraneo all'attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta. Non
sono mai suscettibili di essere qualificati come consumatori gli enti collettivi (riconosciuti e non) dotati di
autonoma soggettività giuridica. Le persone fisiche che esercitano un'attività imprenditoriale o un'attività
professionale possono essere qualificate come consumatori soltanto se il contratto che concludono (con
un professionista) non è ricollegabile, nemmeno indirettamente, all'attività che svolgono.
Il contratto di fideiussione stipulato per garantire un debito altrui non può essere considerato un contratto
del consumatore se il debito garantito era stato assunto, da parte della persona che ne è gravata,
nell'esercizio della sua attività imprenditoriale o professionale.
DISCIPLINA DELLE CLAUSOLE VESSATORIE
Il Capo inserito nel c.c. nel 1996 'Dei contratti dei consumatori' trova applicazione a qualsiasi contratto,
quali che ne siano l'oggetto e la causa, onde tutti i negozi conclusi da un consumatore con un
professionista, e ha introdotto nel nostro sistema privatistico una forma di controllo contenutistico dei
contratti per adesione, colmando la grave lacuna che caratterizza la nostra disciplina codicistica delle
condizioni generali di contratto. Tali disposizioni sono state abrogate ed il loro contenuto è stato trasfuso
negli artt. 33-37 del codice del consumo. Le clausole che risultino vessatorie sono nulle, ferma restando la
validità della restante parte del contratto: l'autorità giudiziaria, investita di una controversia relativa ad un
contratto concluso da un consumatore con un professionista, può dichiarare con sentenza di
accertamento la nullità delle clausole che ritenga vessatorie. Una clausola deve ritenersi vessatoria

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quando la sua presenza nel regolamento negoziale determina, a carico del consumatore, un significativo
squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto, in contrasto con i dettami della buona fede.
L'applicazione di questa definizione è agevolata dall'elenco delle clausole che si presumono vessatorie
fino a prova contraria: starà al professionista fornire la prova contraria necessaria a superare la
presunzione, dimostrando che la clausola sospetta non determina in quel particolare contratto un
significativo squilibrio tale da giustificarne la valutazione in termini di vessatorietà.
Non tutte le clausole dei contratti dei consumatori sono soggette al controllo contenutistico di
vessatorietà, al giudizio sono sottratte:
• le clausole che determinano le prestazioni principali che costituiscono oggetto del contratto, a
condizione che dette prestazioni siano state individuate in modo chiaro e comprensibile;
• le clausole che riproducono disposizioni di legge;
• le clausole che sono state inserite nel regolamento negoziale a seguito di una trattativa
individuale, che può dirsi avvenuta nei casi in cui la clausola è stata fatta oggetto di una vera e
propria negoziazione, condotta dalle parti su un piano di parità (ciò non vale per le tre categorie di
clausole menzionate all'art.36 c.2 che devono considerarsi sempre e comunque nulle).
Il legislatore ha poi imposto ai professionisti che concludono contratti con i consumatori di formulare le
relative clausole in modo chiaro e comprensibile, tutte le volte in cui esse vengano redatte per iscritto.
L'art.37 prevede l'azione inibitoria collettiva che le sole associazioni dei consumatori iscritte nell'elenco
delle associazioni rappresentative a livello nazionale, le Camere di commercio e le associazioni
rappresentative dei professionisti possono esperire per chiedere all'autorità giudiziaria di vietare ai
professionisti che si avvalgono di condizioni generali del contratto dal contenuto vessatorio di continuare
a farne.
CONTRATTI CONCLUSI FUORI DEL LOCALI COMMERCIALI E A DISTANZA
Il codice del consumo reca una disciplina speciale applicabile a tutti e soltanto i contratti aventi ad
oggetto la fornitura di beni immobili o la prestazione di servizi (non finanziari) che vengano
stipulati da un consumatore con un professionista fuori dei locali commerciali (di quest'ultimo) o a
distanza.
Un contratto con il quale un professionista si obbliga a fornire ad un consumatore un bene mobile o a
prestargli un servizio può dirsi negoziato fuori dei locali commerciali nelle ipotesi in cui il
consumatore abbia emesso la propria dichiarazione contrattuale (proposta o accettazione):
1. durante la visita del professionista presso il suo domicilio, il suo posto di lavoro o in un locale nel
quale egli si trova per ragioni di lavoro, studio o cura;
2. durante una escursione organizzata dal professionista al di fuori dei locali in cui si svolge la sua
attività professionale o imprenditoriale;
3. mediante la sottoscrizione di una nota d'ordine in un'area pubblica o aperta al pubblico;
4. per corrispondenza o sulla base ed in seguito alla consultazione di un catalogo avvenuta non in
presenza del professionista (o di un suo incaricato).
Un contratto concluso da un professionista con un consumatore per la fornitura di un bene mobile o la
prestazione di un servizio è a distanza quando è stato negoziato e stipulato esclusivamente attraverso
l'impiego di una o più tecniche di comunicazione a distanza e nell'ambito di un sistema di vendita di beni
(o prestazione di servizi) a distanza organizzato dal professionista. Al consumatore viene attribuito il
diritto di recedere ad nutum dal contratto concluso con il professionista ponendo fine agli effetti
giuridici prodotti da dichiarazioni negoziali emesse in situazioni nelle quali la manifestazione della volontà
di concludere il contratto non può di regola essere preceduta e sorretta da una adeguata e meditata
ponderazione dei contenuti e della convenienza dell'affare. Il consumatore ha l'onere di manifestare per
iscritto la propria volontà di esercitarlo e di inviare la relativa dichiarazione al professionista mediante
lettera raccomandata con avviso di ricevimento entro il termine di dieci giorni lavorativi.
• Nei contratti per la prestazione di servizi il termine per l'esercizio del diritto di recesso inizia a
decorrere dalla stipulazione del negozio soltanto se, in questa data, gli obblighi informativi sono
già stati puntualmente e tempestivamente adempiuti dal professionista. In caso contrario il
termine inizia a decorrere dal giorno in cui le informazioni imposte dalla legge vengono
effettivamente ricevute dal consumatore. Una volta trascorsi 90 giorni nel caso del contratto a
distanza, 60 giorni nel caso del contratto concluso fuori dai locali commerciali, dalla stipulazione
del contratto senza che il professionista gli abbia fatto pervenire le informazioni dovute e senza
che sia stato esercitato il diritto di pentimento, il consumatore decade definitivamente dal diritto
di recedere dal contratto.
• Nei contratti relativi a beni (mobili) il termine per l'esercizio del diritto di recesso inizia a decorrere
dal giorno in cui il consumatore riceve il bene che il professionista si è impegnato a procurargli;
qualora nel omento della trasmissione del possesso del bene gli obblighi informativi gravanti sul
professionista non siano stati ancora adempiuti, o siano stati adempiuti in modo inesatto o
incompleto, il termine per recedere non inizia a decorrere se non dal giorno in cui il consumatore
effettivamente riceve tutte le informazioni cui ha diritto. Una volta trascorsi 90 giorni nel caso del
contratto a distanza, 60 giorni nel caso del contratto concluso fuori dai locali commerciali, dalla
stipulazione del contratto senza che il professionista gli abbia fatto pervenire le informazioni
dovute e senza che sia stato esercitato il diritto di pentimento, il consumatore decade
definitivamente dal diritto di recedere dal contratto.
Il tempestivo esercizio del diritto di recesso da parte del consumatore determina lo scioglimento del

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rapporto contrattuale, con la conseguenza che le parti sono liberate dalle obbligazioni sorte per effetto
della stipulazione del contratto. Se il consumatore aveva già versato in tutto o in parte il corrispettivo del
bene o del servizio previsto dal contratto, il professionista è tenuto a rimborsagli integralmente, non oltre
30 giorni dalla data in cui è venuto a conoscenza dell'esercizio del diritto di recesso, tutte le somme
riscosse. Il consumatore che avesse eventualmente già ricevuto in consegna il prodotto oggetto del
negozio è per parte sua obbligato a restituirlo al professionista mettendolo a sua disposizione con le
modalità ed entro i termini stabiliti dal contratto. Quando si tratti di contratti per la prestazione di servizi,
qualora i servizi vengano in tutto o in parte forniti, con il consenso del consumatore, prima della scadenza
del termine entro il quale quest'ultimo potrebbe avvalersi del diritto di recesso:
➢ se il contratto è stato concluso fuori dai locali commerciali si prevede che il recesso possa
produrre effetti soltanto ex nunc;
➢ se il contratto è stato stipulato a distanza la circostanza che la prestazione dei servizi sia già
stata iniziata preclude al consumatore la possibilità stessa di recedere dal negozio.
SPECIALE REGIME DELLE VENDITE DI BENI DI CONSUMO
Alla disciplina 'Della vendita dei beni di consumo' sono soggetti:
• i contratti di compravendita di beni di consumo;
• i contratti di permuta con i quali un professionista trasferisce ad un consumatore un bene di
consumo verso un corrispettivo non pecuniario;
• i contratti di somministrazione di beni di consumo;
• tutti i contratti comunque finalizzati alla fornitura di beni di consumo da fabbricare o produrre.
Deve considerarsi bene di consumo qualsiasi bene mobile, anche da assemblare, non importa se nuovo
od usato. Vengono disciplinati soltanto alcuni aspetti attinenti ai presupposti e ai contenuti della
responsabilità nella quale incorre il professionista che consegna al consumatore beni che si rivelano non
conformi al contratto. Una novità per il nostro ordinamento è costituita dall'assoggettamento della
responsabilità del professionista per le inesattezze materiali della prestazione ad una disciplina unitaria.
Inoltre, le nuove norme codicistiche hanno carattere imperativo, e non sono in nessun caso suscettibili di
essere derogate in senso sfavorevole al consumatore: qualsiasi pattuizione rivolta ad escludere o limitare
preventivamente i diritti attribuiti a quest'ultimo dalle disposizioni del codice del consumo sarebbe
radicalmente nulla.
L'art. 129 del codice del consumo raccoglie tutte le forme di inesattezza materiale della prestazione
all'interno di una categoria, quella del difetto di conformità al contratto. La presenza, in un bene di
consumo, di un difetto di conformità legittima il consumatore ad esperire, nei confronti del professionista,
quattro rimedi fra loro alternativi:
1. diritto alla risoluzione del contratto;
2. diritto alla riduzione del prezzo;
3. diritto di pretendere il ripristino della conformità del bene al contratto mediante la sostituzione
della cosa consegnata con una cosa del medesimo genere ma priva di difetti;
4. diritto di pretendere il ripristino della conformità del bene al contratto mediante la riparazione
del bene.
I diritti sono tutti assoggettati al medesimo termine di prescrizione: ventisei mesi, decorrenti dalla data in
cui il bene è stato consegnato al consumatore; sono tutti esercitabili a condizione che il compratore abbia
denunciato il difetto di conformità entro due mesi dal giorno in cui il difetto è stato scoperto. In sostanza
l'art.129 del codice del consumo configura la conformità al contratto del bene mobile come oggetto di una
obbligazione (quella di consegnare beni conformi al contratto), il cui inadempimento legittima il
consumatore ad esercitare i diritti che gli sono attribuiti a prescindere dalla colpa del venditore: la
responsabilità del venditore per le inesattezze materiali della prestazione viene ricondotta nell'ordinaria
responsabilità per inadempimento.
CREDITO AL CONSUMO
Nella nozione di credito al consumo si prestano ad essere ricompresi tutti i negozi attraverso i quali un
professionista (di norma una banca o un intermediario finanziario) concede credito ad un consumatore
sotto forma di dilazione di pagamento, di finanziamento o di altra analoga facilitazione finanziaria. I
contratti in questione vengono assoggettati ad un regime speciale che si sostanzia in una serie di regole
finalizzate a garantire che il consumatore venga informato in modo completo e puntuale su tutti gli
aspetti ed i profili rilevanti dell'operazione di credito al consumo per poter decidere in modo consapevole
e ponderato se concludere o meno l'operazione di finanziamento e si trovi a disporre di u quadro corretto
e completo dei diritti e delle prerogative che il contratto e la legge gli riconoscono. La pubblicità relativa
alle operazioni di credito al consumo deve essere sempre integrata con l'indicazione del tasso medio
effettivo globale e del relativo periodo di validità. Si prevede per i contratti di credito al consumo il
requisito della forma scritta ad substantiam, imponendo al professionista di consegnare al consumatore
una copia del contratto e stabilendo che il documento che reca il testo del regolamento negoziale deve
contenere una serie di indicazioni analiticamente elencate. Si esclude che al consumatore possano essere
richieste o addebitate somme di denaro se no sulla base di espresse previsioni contrattuali e si sancisce la
nullità delle clausole che, per la determinazione delle condizioni economiche applicabili al finanziamento
concesso al consumatore, prevedono un mero rinvio agli usi.
CONTRATTI DI VIAGGIO E TIMESHARING IMMOBILIARE
La disciplina concernente i viaggi, le vacanze ed i circuiti 'tutto compreso' si applica a tutti i contratti in
forza dei quali un consumatore, verso il corrispettivo di un prezzo forfettario, acquista un pacchetto
turistico, e cioè il diritto di usufruire di una prefissata combinazione di almeno due dei servizi indicati

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nell'art. 84 del codice del consumo per un periodo di tempo non inferiore alle 24 ore o comprensivo di
almeno una notte. Ai contratti attraverso i quali un professionista attribuisce ad un consumatore, a titolo
oneroso, la titolarità di una posizione giuridica che lo legittima a godere di un immobile destinato ad uso
abitativo, alberghiero o turistico, per un periodo determinato dell'anno non inferiore ad una settimana, si
applica la normativa concernente taluni aspetti dei contratti relativi all'acquisizione di un diritto di
godimento a tempo parziale di beni immobili. Le due normative presentano caratteristiche comuni:
• impongono al professionista l'obbligo di informare il consumatore, prima della conclusione del
contratto, in merito agli elementi e agli aspetti rilevanti del negozio, stabilendo che le
informazioni devono essere fornite per iscritto;
• il contratto deve rivestire la forma scritta a pena di nullità, al consumatore deve esserne
consegnata una copia (nonché una traduzione nella lingua dello Stato in cui si trova il bene
immobile, nel caso di contratti di timesharing), le clausole del contratto devono essere redatte in
termini chiari e precisi ed in lingua italiana (o nella lingua scelta dall'acquirente);
• vengono individuati in modo puntuale gli elementi e le clausole che devono necessariamente
essere presenti nel testo contrattuale che viene fatto sottoscrivere al consumatore.
IL codice del consumo contiene un serie di disposizioni rivolte a regolamentare specifici profili dei
contratti di vendita di pacchetti turistici: viene prevista la possibilità per il consumatore di cedere il
contratto a terzi anche senza il contratto del professionista; vengono determinati i diritti che spettano al
consumatore nell'ipotesi in cui il professionista si avvalga della facoltà di modificare unilateralmente il
prezzo originariamente pattuito, o nell'ipotesi in cui alcuni dei servizi promessi vengano modificati,
sostituiti o cancellati del tutto; vengono dettate regole peculiari per la responsabilità del professionista
per i danni derivati dall'inesatto adempimento del contratto.
L'art.73 del codice del consumo attribuisce al consumatore il diritto di recedere ad nutum dal
contratto di timesharing immobiliare, senza essere tenuto a motivare le ragioni della sua decisione, e
senza che il professionista possa da lui pretendere il pagamento di alcuna penalità. Al professionista viene
imposto il divieto di esigere o ricevere acconti dall'acquirente prima della scadenza del termine entro
il quale può essere esercitato il diritto di recesso per evitare che il consumatore possa essere indotto ad
astenersi dall'avvalersi del diritto in questione per il timore di non riuscire a recuperare le somme già
anticipate al professionista.
TUTELA GIURISDIZIONALE DEGLI INTERESSI COLLETTIVI DEI CONSUMATORI: RUOLO E POTERI DELLE
ASSOCIAZIONI DEI CONSUMATORI
Esiste il rischio che gli imprenditori e i professionisti approfittino delle scarse conoscenze del consumatore
medio e tengano nei suoi confronti comportamenti che sarebbero vietati oppure pretendano di far valere
determinate clausole da loro stessi predisposte nonostante si tratti di clausole nulle. L'art.139 del codice
dei consumatori attribuisce alle associazioni dei consumatori e degli utenti rappresentative a
livello nazionale, che siano iscritte nell'apposito elenco tenuto presso il Ministero dello sviluppo
economico, la legittimazione ad agire a tutela degli interessi collettivi dei consumatori, a fronte delle
lesioni dei loro interessi e diritti eventualmente perpetrate dai professionisti attraverso comportamenti
tenuti in violazione delle disposizioni del codice del consumo. Le associazioni dei consumatori iscritte nel
citato elenco possono convenire davanti l'autorità giudiziaria il professionista che abbia violato le
prescrizioni del codice del consumo, per ottenere che nei suoi confronti venga pronunciata una sentenza
che:
• inibisca la prosecuzione o il compimento degli atti contrastanti con le prescrizioni del codice del
consumo riconosciuti lesivi di interessi collettivi dei consumatori;
• disponga l'adozione delle ulteriori misure eventualmente suscettibili di correggere o eliminare gli
effetti delle violazioni accertate;
• ordini la pubblicazione della decisione in uno o più quotidiani a diffusione nazionale o locale.
Ove gli ordini impartiti dal giudice non vengano eseguiti con le modalità e dentro i termini stabiliti nel
provvedimento di accoglimento dell'azione inibitoria promossa dall'associazione dei consumatori, in un
apposito, successivo giudizio potrà essere irrogata una sanzione pecuniaria nei confronti del
professionista inadempiente, il quale si troverà costretto a versare (nelle casse dello Stato) una somma di
denaro il cui ammontare varierà in relazione alla quantità e alla gravità delle inadempienze in cui sia
incorso.

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CAPO XII. VARIE FONTI DI OBBLIGAZIONI NON CONTRATTUALI


SEZIONE I. OBBLIGAZIONI NON CONTRATTUALI DA ATTO LECITO
PROMESSE UNILATERALI
Si esclude che la promessa unilaterale sia un tipo generico di fonte di obbligazione, com’è invece il
contratto.
Importanza di primo piano hanno le promesse unilaterali contenute nei titoli di credito: sono tutte ipotesi
riconosciute espressamente dalla legge. Una norma applicabile a tutti gli atti unilaterali obbligatori
recettizi è: l'atto è efficace quando perviene a conoscenza della persona alla quale è destinato. La
promessa di pagamento e la ricognizione del debito, quali promesse obbligatorie non titolate sono
semplici dichiarazioni unilaterali recettizie, aventi carattere negoziale, indirizzate alla persona del
creditore, con cui il dichiarante promette di pagare una determinata somma o si riconosce debitore di una
somma. Sono la conferma di un precedente impegno: l'impegno precedente di cui si tratta troverà la sua
fonte causale in un contratto o in altra fonte di obbligazione, ma esse bastano a fondare una
corrispondente pretesa del creditore. A proposito di questi negozi si parla di astrazione processuale dalla
causa: essi sono fatti valere senza bisogno di invocare il titolo che ne è alla base; con inversione
dell'onere della prova, è sempre riconosciuta al debitore convenuto in giudizio la facoltà di invocare la
mancanza e i difetti del rapporto fondamentale.
La promessa al pubblico: colui che rivolgendosi al pubblico promette qualche cosa a chi si trovi in una
situazione o a chi compia una determinata azione è vincolato dalla promessa appena questa è resa
pubblica. Promessa al pubblico è promessa di una prestazione unilaterale che si farà in una determinata
circostanza, senza che sia necessaria la formazione di un contratto; offerta al pubblico è la proposta ad
una persona indeterminata a concludere un contratto. La promessa al pubblico è fonte di obbligazione,
l’offerta al pubblico no, in quanto l’obbligazione potrà sorgere soltanto a contratto concluso. Mentre
l'offerta al pubblico di concludere un contratto ha valore indefinito nel tempo, ed è sempre revocabile
purché la revoca abbia la stessa pubblicità dell'offerta, la promessa conserva l’efficacia vincolante per un
anno e prima della scadenza non può essere revocata senza giusta causa.
GESTIONE DEGLI AFFARI ALTRUI
La liceità dell’intervento negli affari altrui è subordinata alla presenza di alcuni presupposti:
1. l’affare deve essere utile: l'utilità deve valutarsi obiettivamente al momento in cui sia stato
intrapreso l'affare;
2. non deve essere iniziato contro la volontà del dominus;
3. il gestore deve avere coscienza che si tratta di affare altrui;
4. deve trattarsi di un’attività lecita;
5. è necessaria la capacità di agire del gestore.
Le gestione deve essere utilmente iniziata; non conta se per circostanze sopravvenute la gestione si
mostrerà più dannosa che utile al dominus, sul quale ricade il rischio dell'affare condotto per suo conto. Si
richiede che essa sia assunta scientemente, con la coscienza e la volontà di agire per altri. La gestione

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può essere:
➢ semplice: si ha quando taluno agisce in nome proprio nell’interesse altrui;
➢ rappresentativa: si ha quando si agisce direttamente in nome del dominus.
Gli effetti dell’una e dell’altra si avvicinano a quelli del mandato senza o con rappresentanza. Ci sono
degli obblighi per il gestore e degli obblighi per il dominus:
a) il gestore deve anzitutto continuare la gestione e condurre l’affare iniziato fino al suo
compimento. Nel compimento dell’affare il gestore è sottoposto a tutti gli obblighi del mandatario.
b) Il dominus deve adempiere le obbligazioni sorte in nome suo o tenere indenne il gestore delle
obbligazioni da questi assunte, e deve corrispondere al gestore stesso il rimborso di tutte le spese
necessarie o utili, più gli interessi.
ARRICCHIMENTO SENZA CAUSA. RESTITUZIONE E RIEQUILIBRIO DI INTERESSI
Tutte le volte in cui al depauperamento di un soggetto corrisponda l'arricchimento senza causa di un altro
soggetto, l'ordinamento riconosce al depauperato una speciale azione di ingiustificato arricchimento.
È un’azione generale (ha quindi un campo di applicazione indeterminato); ha carattere sussidiario, ossia è
proponibile soltanto quando il danneggiato non abbia azioni più dirette per ottenere la reintegrazione del
pregiudizio subito.
PAGAMENTO DELL’INDEBITO
Il pagamento si trova senza giustificazione causale o quando l'accipiens non era creditore, o quando il
solvens non era debitore.
• Indebito oggettivo: sia quando chi nulla deve paga a chi non ha alcun credito, sia quando chi
pur dovendo adempiere un’obbligazione paga a chi non ha diritto al pagamento di cui si tratta.
Nell’indebito oggettivo l’accipiens riceve un arricchimento in senso assoluto perché il credito non
esisteva.
• Indebito soggettivo: si ha quando chi nulla deve paga a chi è creditore di una terza persona.
Nell’indebito soggettivo il credito esisteva, ma chi ha pagato non era debitore. Il creditore riceve
quanto gli spetta, e pertanto il diritto alla restituzione presuppone necessariamente nel solvens
non debitore un suo errore; perché altrimenti il pagamento sarebbe stato valido, dato che ognuno
può adempiere anche l’obbligazione altrui. Non solo è richiesto l’errore, ma tale errore improprio
deve essere scusabile, tale cioè che neppure l’uomo diligente lo avrebbe potuto evitare.
In entrambe le ipotesi è prevista un’azione di ripetizione dell’indebito. Nell'indebito oggettivo è dovuta
senz’altro la restituzione; nell'indebito soggettivo l’obbligo di restituzione viene meno quando l’accipiens,
ricevendo il pagamento, si è privato in buona fede del titolo o delle garanzie del credito. In questa ipotesi,
gli è accordata di diritto la surrogazione nei diritti che il creditore aveva verso il vero debitore: potrà
quindi agire contro quest’ultimo. La ripetizione non è ammessa:
 in seguito a prescrizione, per il decorso di dieci anni;
 quando la prestazione non dovuta costituiva, anche da parte del solvens, offesa al buon costume;
l’immoralità dello scopo dev’essere stata la spinta al pagamento fatto: es. corruzione, prestazioni
sessuali.
Circa il contenuto dell’obbligo di restituzione, bisogna fare una distinzione, l’accipiens ha l’obbligo di
restituire, oltre a ciò che ha ricevuto, anche i frutti e gli interessi:
➢ se egli era in mala fede, questi si computano dal giorno del pagamento ricevuto;
➢ se era in buona fede soltanto dal giorno della domanda di restituzione.
Colui al quale la cosa viene restituita ha tutti gli obblighi del proprietario che viene reintegrato nel suo
possesso, e cioè deve rimborsare il corrispettivo delle spese e dei miglioramenti secondo le regole
esposte a suo luogo; se l'accipiens era in buona fede avrà pure il diritto di ritenzione.
AZIONE GENERALE DI ARRICCHIMENTO
Il contenuto dell’indennizzo o della restituzione che si invoca con l’esercizio dell’azione di arricchimento è
limitato al vantaggio ottenuto entro il limite massimo della corrispondente diminuzione patrimoniale. Il
vantaggio da computare va contenuto entro l’ammontare di quanto si trova nel patrimonio dell’arricchito
al momento della domanda. Oggetto sarà la richiesta di un indennizzo o la restituzione, secondo che
l’arricchimento non sia o sia avvenuto con la prestazione di una cosa determinata. L’azione di
arricchimento non soltanto non è proponibile quando la legge lo esclude, ma neppure quando ci sia una
norma particolare che regoli la fattispecie. Chi invoca il rimedio dell’azione generale può ottenere un
risultato limitato alla somma minore tra l’impoverimento da lui ricevuto e il corrispondente arricchimento
ottenuto da altra persona, risultato che è generalmente inferiore a quello che si consegue con l’esercizio
delle altre specifiche azioni previste dalla legge.
SEZIONE II. GLI ATTI ILLECITI E LA RESPONSABILITA’ EXTRACONTRATTUALE
ILLECITO CIVILE IN GENERALE. DIFFERENZA RISPETTO ALL’ILLECITO PENALE
Sono previsti dal Codice due distinti tipi di responsabilità civile da illecito.
• Negli artt. 2043 e seguenti l’ordinamento sanziona, sotto la denominazione di atti illeciti le azioni
lesive delle altrui situazioni soggettive e le considera fonte dell’obbligazione di risarcimento. È il
caso di una responsabilità extracontrattuale. Premettiamo tre osservazioni di carattere
generale:
◦ non ogni attività illecita costituisce fattispecie generatrice di responsabilità civile. Elemento
costitutivo è non solo l’agire illecitamente ma l’agire causando danno ad altri: art. 2043
“Qualunque fatto… che cagiona ad altri un danno ingiusto…”; qualunque fatto: la formula ci
presenta una tipica clausola generale dell'ordinamento.
◦ Dallo studio dell’illecito civile rimane estranea la valutazione penale. Con la legislazione civile

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si vogliono tutelare gli interessi privati e si mira alla reintegrazione di singoli diritti lesi; la
legislazione penale vuol tutelato un prevalente interesse pubblico, con la finalità di punizione
per reprimere le violazioni dell’ordine giuridico generale. Il concorso di due diverse valutazioni
dello stesso fatto si nota esteriormente nella celebrazione di quei processi penali nei quali
l’accusa contro l’imputato è sostenuta insieme dal pubblico ministero, il quale rappresenta
l’interesse dello Stato alla giusta punizione del reo, e dalla parte civile, la quale dovrebbe
rappresentare l’interesse del soggetto, che abbia subito un danno, a ottenere risarcimento.
◦ Non è soltanto l’attività illecita che può causare responsabilità civile. L’elemento di
antigiuridicità, che corrisponde all'ingiustizia del danno arrecato, è considerato in casi
particolari sufficiente fonte di responsabilità, indipendentemente dall’altro presupposto
normale che è la colpevolezza.
• Negli artt. 1218 e seguenti è previsto un altro comportamento che genera responsabilità civile:
consiste in quella violazione dell’altrui diritto che si attua con l’inadempimento di precedenti
obbligazioni. È il caso di una responsabilità contrattuale.
STRUTTURA DELL’ATTO ILLECITO: FATTO, GIURIDICITA’, ANTIGIURIDICITA’, COLPEVOLEZZA
Modernamente si usa distinguere nell’analisi dell’atto illecito il fatto materiale, l’antigiuridicità e la
colpevolezza: di norma si risponde solo del danno che sia effetto di attività ingiusta, dolosa o colposa:
1. il fatto: nella nozione di fatto si comprende il comportamento della persona, che può consistere
nel fare o nel non fare, cioè in comportamenti commissivi e omissivi (questi ultimi rilevanti solo se
c'è un preciso obbligo giuridico di attivarsi), e l’evento dannoso, cioè l’attuarsi di una situazione in
senso sfavorevole al soggetto. Tra l’atto e l’evento deve intercorrere un nesso di causalità
giuridicamente rilevante: si reputano conseguenze collegate da un nesso di causalità rilevante
quelle che, in base alla comune esperienza, era oggettivamente prevedibile derivassero
dall’azione.
2. L’antigiuridicità: non ogni fatto che rechi danno genera l’obbligo del risarcimento. Esso
dev’essere in contrasto con un dovere giuridico: perciò l’art. 2043 richiede un “danno ingiusto”.
Dottrina e giurisprudenza attribuivano tradizionalmente la tutela civile solo in presenza: 1) di un
danno da risarcire; 2) della lesione di un diritto soggettivo. La nozione di danno ingiusto veniva
così ricondotta esclusivamente alla lesione di un diritto assoluto, criterio che permette di
distinguere l’illecito extracontrattuale, rispetto al quale si considera violazione la norma che
impone di rispettare i diritti protetti extra omnes, dall’illecito contrattuale, che presuppone la
violazione della norma che impone al debitore di eseguire la sua prestazione dovuta al creditore.
Questa nozione di danno ingiusto è stata allargata oltre la violazione di un diritto reale o di un
diritto della personalità, estendendosi alla più larga categoria di interessi non elevati al rango di
diritti soggettivi, ma pur sempre corrispondenti a situazioni protette dall'ordinamento.
3. La colpevolezza: oltre che antigiuridico, l’atto per essere qualificato illecito dev’essere colpevole.
L’art. 2043 nelle prime parole prevede il fatto doloso o colposo. Mentre l’antigiuridicità si riferisce
all’atto come lesivo del diritto, la colpevolezza riguarda il soggetto che ha compiuto l’atto, cioè il
suo contegno. Presupposto della colpevolezza è l’imputabilità. Non è responsabile del fatto illecito
chi non aveva la capacità di intendere o di volere al momento in cui lo ha commesso, cioè chi al
momento del fatto non era idoneo a rendersi conto della portata e del significato della propria
condotta; purché lo stato di incapacità non derivi da sua colpa (es. ubriaco). Quando il fatto
dannoso è compiuto da un soggetto di intende o di volere risponde delle conseguenze la persona
che ne aveva la sorveglianza.
o Si ha dolo (atto illecito doloso): quando la lesione giuridica è compiuta con coscienza e
volontà dell’atto lesivo;
o Si ha colpa in senso stretto (atto colposo): quando l’atto viene compiuto per negligenza,
imprudenza, imperizia.
La colpevolezza è esclusa, con esonero della responsabilità, quando l’evento dannoso dipende da
causa estranea, causa che tradizionalmente si riconosce nel caso fortuito o nella forza maggiore.
o Il caso fortuito è un evento naturale, o ad esso assimilato, indipendente dalla volontà
umana, che esce dalla ragionevole prevedibilità e non può essere ovviato senza cautele
superiori a quelle della diligenza dovuta. La fattispecie caso fortuito è costituita da due
elementi:
 il caso, cioè l'evento naturale;
 il carattere fortuito dell'evento, si ha quando l'evento è determinato dal
concorso accidentale e imprevedibile di varie circostanze, che producano un
effetto del tutto inatteso.
Il giudizio sulla natura fortuita del caso porta alla valutazione del grado di diligenza
impiegabile dall'autore per prevedere o per evitare l'evento. Per l'operatore medio, la
misura della diligenza pretendibile è normale: non si può ragionevolmente pretendere che
l'operatore medio preveda in concreto tutto il prevedibile e adotti coerenti universali
prudenze.
4. Cause di esclusione dell’antigiuridicità: in certe ipotesi la violazione della norma può essere
eccezionalmente giustificata. Le esimenti rappresentano circostanze particolari in presenza delle
quali un fatto perde i tratti della riprovevolezza. Le cause di esclusione dell’antigiuridicità
codificate sono la legittima difesa e lo stato di necessità. I giudici hanno individuato altre cause
che giustificano la condotta di chi cagiona un danno ad altri: l'esercizio del diritto e l'adempimento

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di un dovere. La dottrina ha dedicato molta attenzione al consenso dell'avente diritto.


ILLECITO EXTRACONTRATTUALE E CONTRATTUALE
Si ha illecito extracontrattuale o aquiliano (2043 e ss.) se si viola un diritto o una situazione giuridica
tutelata in modo assoluto, cioè verso tutti i consociati; si ha illecito contrattuale o da inadempimento
(1176, 1218) se si viola un diritto relativo. In tutti e due i casi si risponde mediante il risarcimento dei
danni prodotti.
Nettamente diversa è la regola da applicare in tema di onere della prova:
• circa l’illecito contrattuale, esiste una presunzione di colpa per chi non ha adempiuto la propria
obbligazione, presunzione che viene a cadere solo quando il debitore dimostri che
l'inadempimento o il ritardo non sono a lui imputabili;
• per l’extracontrattuale la presunzione non esiste e chi pretende il risarcimento del danno deve
dimostrare la colpevolezza di colui che egli afferma essere autore dell’atto illecito e causa diretta
del danno.
Un’ulteriore rilevante differenza di disciplina giuridica è il diverso termine di prescrizione dell’azione di
responsabilità: cinque anni per l’illecito extracontrattuale, dieci anni per le conseguenze della violazione
di un’obbligazione.
Le clausole di esonero da responsabilità sono disciplinate dal codice solo in ambito contrattuale e sono
escluse per l'illecito extracontrattuale dalla dottrina tradizionale, che ne proclama l'inammissibilità
ontologica.
PARTICOLARI FATTISPECIE GENERATRICI DI RESPONSABILITA EXTRACONTRATTUALE: RESPONSABILITA’ PER
FATTO ALTRUI E RESPONSABILITA’ OGGETTIVA
Accanto al caso normale in cui il danno è direttamente prodotto dal soggetto, sono particolarmente
regolate alcune ipotesi nelle quali l’evento dannoso è opera diretta o di altre persone, o di cose, o di
animali. Vi è comunque, a carico del soggetto chiamato a rispondere, un’inversione dell’onere di provare
l’imputabilità, che si traduce in una presunzione di responsabilità:
• responsabilità per gli incapaci: si parla di culpa in vigilando quando la responsabilità è
attribuita a coloro che sono tenuti alla sorveglianza della persona incapace di intendere o di
volere. L’art. 2047 riguarda l’ipotesi in cui il soggetto agente non è personalmente responsabile:
la norma si applica a coloro sui quali incombe l'obbligo di sorveglianza in ragione della loro
qualità, dell'ufficio o della specifica attività professionale. Per evitare l’imputazione di
responsabilità per fatto illecito dell’incapace, il sorvegliante dovrà provare di aver adottato tutte
le misure che apparissero idonee a scongiurare il danno.
La legge precisa che del danno cagionato dal figlio minore o dal pupillo se di fatto capaci di
intendere e di volere, essi sono responsabili, e anche i genitori o tutore che abitavano con loro nel
tempo in cui venne commesso il fatto; i precettori sono invece responsabili per il danno cagionato
dal fatto illecito degli allievi o apprendisti nel tempo in cui costoro erano sotto la loro vigilanza. La
responsabilità ex art. 2048 può dunque coesistere con la eventuale diretta responsabilità anche
del minore o dell’incapace legale.
Per questi casi di culpa in vigilando è ammessa la prova liberatoria: coloro che erano tenuti alla
sorveglianza sono liberati dalla responsabilità se provano di non aver potuto impedire il fatto.
• Responsabilità per danni da cose: sempre più importante è la responsabilità connessa alla
situazione di proprietà, o anche al semplice fatto che una cosa sia sotto il controllo di una
persona, la quale assume la responsabilità dei danni che derivano dall’oggetto di cui si tratta.
L’art. 2051 parla di responsabilità per le cose in custodia; la dottrina e la giurisprudenza hanno
allargato il contenuto di questa responsabilità per danni da cose, partendo da un generico obbligo
di custodia, che si vuole collegato con il diritto di proprietà e con gli altri diritti di godimento.
• Responsabilità per danni cagionati da animali: l’art. 2052 prevede una responsabilità
aquiliana in capo al proprietario o su chi utilizza animali, che cagionano danni ad altri. Tale
responsabilità presuppone l’esistenza di un nesso causale tra il fatto dell’animale e il danno subito
dal danneggiato. In questa ipotesi il codice prevede come prova liberatoria il caso fortuito, inteso
come un fattore esterno, che deve presentare i caratteri dell’imprevedibilità, inevitabilità e
assoluta eccezionalità.
• Responsabilità per danni derivanti da rovina di edificio: in caso di danni derivanti da rovina
di un edificio o di una sua parte il proprietario è tenuto al risarcimento. Tale responsabilità può
essere vinta provando che l’evento dannoso non è da attribuire a vizio di costruzione o difetto di
manutenzione. La norma può essere applicata in via analogia anche al titolare di un diritto reale di
godimento sull’edificio, che comporti l’obbligo di manutenzione del medesimo.
• Attività pericolose: Il legislatore fissa un’altra presunzione di colpa per chi trae giovamento
della situazione di fatto da cui può essere derivato il danno. L’art. 2050 pone carico di chi esercita
un’attività pericolosa ogni possibile conseguenza a danno dei terzi, se non prova di avere adottato
tutte le misure idonee ad evitare il danno. Talora è la legge stessa che determina le conseguenze
di responsabilità connesse all'esercizio di particolari attività.
• Responsabilità oggettiva: si parla di responsabilità oggettiva nel senso che non è richiesta la
colpa; essa si richiama a generica equità. Si invoca una responsabilità da accadimento, in
contrapposizione a responsabilità da condotta. Questa responsabilità oggettiva, qualificata anche
“responsabilità da rischio lecito”, non costituisce una categoria generale da giustapporre alla
generale responsabilità ex art. 2043.

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• Responsabilità del dominus: il criterio della responsabilità dei padroni e dei committenti si
riallaccia ai concetti di razionalità, di equità, di rischio (in materia di infortuni sul lavoro). Per i
padroni e i committenti, non è ammessa la prova liberatoria. Se mi sono scelto dei collaboratori
per la mia attività, io stesso rispondo di quanto essi stiano per compiere nell’esercizio delle
attività che svolgono per me.
• Responsabilità del produttore: la responsabilità del produttore per i danni subiti dal
consumatore a causa di difetti che risalgono al ciclo economico-produttivo si ispira ad un principio
di responsabilità oggettiva disciplinata dal Codice di consumo e stabilisce che sul danneggiato
incombe l’onere di provare unicamente il difetto, il danno e la loro connessione causale. Per
evitare la condanna risarcitoria il produttore dovrà provare l’esistenza di una delle cause di
esclusione della responsabilità espressamente previste dal legislatore. Il danneggiato ha diritto al
risarcimento integrale dei danni derivanti dalla morte e dalle lesioni personali, mentre il danno a
cose è risarcibile sono nella misura che eccede la somma di 387 euro. I termini prescrizionali
previsti dalla disciplina in esame sono brevi: 3 anni dal giorno in cui il danneggiato ha avuto (o
avrebbe dovuto avere) conoscenza del danno, del difetto e dell'identità del responsabile. L'azione
non può comunque essere intentata dopo 10 anni dalla messa in circolazione del prodotto che ha
cagionato il danno.
• Responsabilità delle persone giuridiche: in conseguenza al principio della rappresentanza
istituzionale, la responsabilità civile della persona giuridica privata è responsabilità diretta
dell’ente e pertanto tale responsabilità della persona giuridica si estende anche agli atti compiuti
dal titolare dell’organo che trascenda i limiti dei propri poteri, purché egli abbia agito sempre
nell’ambito delle funzioni istituzionalmente riconosciute all’organo che impersona.
• Responsabilità da circolazione stradale: una forma di responsabilità particolarmente
importante e grave è prevista dall’art. 2054 per la circolazione dei veicoli. Il conducente di
un’automobile, di una bicicletta o di altro mezzo è obbligato a riparare il male prodotto a persone
o a cose dalla circolazione del veicolo, se non prova di aver fatto tutto il possibile per evitare il
danno. Si prescinde dalla prova di una colpa, salva restando la possibilità della prova liberatoria
per il presunto responsabile, subordinata a una ben difficile dimostrazione. Oggettiva è la
responsabilità che grava, solidamente con il conducente, sul proprietario del veicolo (o
sull'usufruttuario) quando non riesca a provare che la circolazione del veicolo sia avvenuta contro
la sua volontà (occorre cioè la prova di un concreto comportamento ostativo). Nel caso di scontro
tra veicoli si presume, fino a prova contraria (presunzione sussidiaria: cioè si applica se non si
riesce ad accertare in concreto cause e colpe), che ciascuno dei conducenti abbia concorso in
misura uguale a produrre il danno subito dai singoli veicoli. In ogni caso conducente e proprietario
del veicolo sono responsabili dei danni derivanti da vizi di costruzione o manutenzione.
VALUTAZIONE DEL DANNO
Quando si parla di danni risarcibili si fa riferimento ai pregiudizi economici derivanti dalla lesione di una
situazione soggettiva protetta. Alla base della disciplina risarcitoria, vi è il principio della riparazione
integrale, secondo cui il quantum dell’obbligazione risarcitoria deve equivalere all’entità del danno subito.
Tra i pregiudizi in concreto risarcibili bisogna distinguere:
• il damnum emergens, e cioè un’effettiva diminuzione patrimoniale;
• il lucrum cessans cioè un mancato guadagno.
Il calcolo di quanto occorre per la reintegrazione del danneggiato, non si limita al computo del suo valore
ma si estende alla più vasta riparazione, non solo per le perdite, ma anche per il conto in cui si deve
tenere il mancato guadagno.
Il danno che non risulti con precisione nel suo ammontare viene valutato dal giudice con equità, cioè a
prescindere da una dimostrazione analitica. L’art. 1227 c.2 stabilisce una esenzione di responsabilità
quando il danno avrebbe potuto essere evitato con l’impiego di ordinaria previdenza o diligenza da parte
di chi lo abbia subito. Il primo comma dello stesso articolo prevede una diminuzione di risarcimento per il
caso di concorso della colpa dell’autore e della colpa della vittima del danno.
La determinazione del danno risarcibile è uguale e per l’illecito extracontrattuale e per quello contrattuale
con una differenza: nella responsabilità extracontrattuale si risponde per tutti i danni quali risultano
applicando il criterio della dipendenza, ossia di una adeguata diretta causalità; per la responsabilità
contrattuale c’è una limitazione, perché si distingue secondo il grado della colpevolezza del soggetto: se
egli ha agito con dolo, risponde dei danni prevedibili e non prevedibili; se con colpa, cioè per negligenza,
imprudenza, ecc., soltanto di quelli prevedibili al momento nel quale è sorta l’obbligazione.
DANNO NON PATRIMONIALE
L’art. 2059 recita: “Il danno non patrimoniale deve essere risarcito solo nei casi previsti dalla legge”. Il
danno di cui parla l'articolo si identifica con le conseguenze pregiudizievoli di natura non economica che
scaturiscono dall'atto illecito. Il suo risarcimento postula la verifica della sussistenza degli elementi nei
quali si articola l'illecito civile di cui all'art. 2043c.c.:
• condotta;
• nesso causale tra condotta ed evento di danno caratterizzato dall'ingiustizia determinata dalla
lesione di interessi meritevoli di tutela.
La Corte costituzionale nel 1986 ha distinto tra il danno patrimoniale conseguente alla menomazione
fisica e il danno non patrimoniale derivante dalla lesione del bene giuridico tutelato dall'ordinamento. La
Corte puntualizzò la necessità di distinguere l'evento materiale naturalistico che è l'elemento costitutivo
dell'illecito dalle altre conseguenze dannose che dall'evento possono seguire, casualmente connesse al

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medesimo fatto da un secondo nesso di causalità. Il danno biologico viene configurato come danno
evento, interno alla fattispecie lesiva; i danni patrimoniali e morali costituiscono danni conseguenza.
L'importanza di tale costruzione teorica è stata quella di aver evidenziato l'essenza di danno biologico,
cioè la lesione di un diritto costituzionalmente garantito e pregiudizio alla attività realizzatrici della
persona da risarcire sempre e comunque, senza limitazione alcuna.
Con una sentenza del 2003 la Corte ha affermato che alla risarcibilità del danno non patrimoniale non
osta il mancato positivo accertamento della colpa dell’autore del danno quando essa debba ritenersi
sussistente in base ad una presunzione di legge. Fu accolta, con questa sentenza, un'interpretazione
costituzionalmente orientata dell'art. 2059 c.c. che porta a ricomprendere, nell'astratta previsione della
norma, ogni danno di natura non patrimoniale derivante da lesione di valori inerenti alla persona, dunque:
• sia il danno morale soggettivo, inteso come turbamento dello stato d’animo dell'offeso;
• sia il danno biologico in senso stretto, inteso come lesione dell’interesse costituzionalmente
garantito all’integrità psichica e fisica della persona, conseguente ad un accertamento medico;
• sia il danno esistenziale, derivante dalla lesione di altri interessi di rango costituzionale inerenti
alla persona.
Il danno patrimoniale è pertanto risarcibile:
a) quando il fatto illecito sia astrattamente configurabile come reato: la vittima avrà diritto al
risarcimento del danno non patrimoniale scaturente dalla lesione di qualsiasi interesse della
persona tutelato dall'ordinamento, anche se privo di rilevanza costituzionale;
b) quando ricorra una delle fattispecie in cui la legge espressamente consente il ristoro del danno
non patrimoniale anche al di fuori di una ipotesi di reato: la vittima avrà diritto al risarcimento del
danno non patrimoniale scaturente dalla lesione dei soli interessi della persona che il legislatore
ha inteso tutelare attraverso la norma attributiva del diritto al risarcimento;
c) quando il fatto illecito abbia violato in modo grave diritti inviolabili della persona, come tali
oggetto di tutela costituzionale: la vittima avrà diritto al risarcimento del danno non patrimoniale
scaturente dalla lesione di tali interessi che non sono individuati ex ante dalla legge ma dovranno
essere selezionati caso per caso dal giudice. Tale danno è però risarcibile a tre condizioni:
1. che l'interesse leso abbia rilevanza costituzionale;
2. che la lesione dell'interesse sia grave, nel senso che l'offesa superi una soglia minima di
tollerabilità;
3. che il danno non sia futile, vale a dire che non consista in meri disagi o fastidi, o nella lesione
di diritti del tutto immaginari.
Circa la funzione della riparazione del danno non patrimoniale: è chiaro che essa, a differenza del
risarcimento del danno patrimoniale, non tende alla restituzione in integrum. Non ha una funzione
risarcitoria in senso tecnico, ma piuttosto una più generica funzione satisfattoria e punitiva.
La liquidazione del danno non patrimoniale è affidata ad un apprezzamento equitativo del giudice che
dovrà considerare i caratteri peculiari della fattispecie concreta. Sarà necessario tenere conto di quanto
grande, duraturo e profondo risulta il dolore del soggetto offeso, anche con riguardo al suo grado di
sensibilità.
ILLECITI CONTRO LA PERSONA
1. Il danno biologico: con l’espressione “danno alla persona” ci si riferisce alle situazioni in cui un
soggetto subisce una lesione al diritto alla salute o ad un altro diritto della personalità. La
crescente considerazione del diritto soggettivo alla salute e l'esigenza di evitare ingiustizie hanno
portato all'elaborazione di un nuovo tipo di danno: il danno biologico, inteso come lesione
dell’integrità psico-fisica in sé e per sé considerata. La giurisprudenza ha ricompreso nella nozione
di danno biologico tutte le ipotesi non reddituale, come i danni estetici, quelli alla vita di relazione,
i danni da riduzione della capacità lavorativa generica. All'interno di questa categoria deve essere
ricondotto anche il danno psichico. E’ stata data una definizione legislativa di danno biologico,
inteso come lesione temporanea o permanente all’integrità psicofisica della persona suscettibile
di accertamento medico-legale, che esplica una incidenza negativa sulle attività quotidiane e sugli
aspetti dinamico-relazionali della vita del danneggiato, indipendentemente da eventuali
ripercussioni sulla sua capacità di produrre reddito.
2. Il danno biologico da morte: la Corte costituzionale nel 1994 ha ritenuto non configurabile il
diritto al risarcimento del danno biologico da morte, subito dalla vittima per il fatto stesso della
morte, da trasmettersi in eredità nell'ipotesi in cui la morte del danneggiato avvenga
simultaneamente all'illecito. Il danno biologico si caratterizza per essere un danno alla vita che
continua. Solo nel caso in cui trascorra un apprezzabile lasso di tempo tra l’illecito e il decesso, il
diritto a chiedere il risarcimento del danno si acquista e conseguentemente si trasmette agli
eredi. La Corte ha invece ritenuto risarcibile il danno biologico subito dai congiunti di diritto a
seguito del decesso del familiare, qualora si manifesti in un'alterazione dell'equilibrio mentale,
medicalmente accertabile. Dalla morte di un congiunto, causata da un fatto illecito di un terzo,
potranno derivare:
1. danni di natura patrimoniale, nella duplice forma di danno emergente e di lucro cessante;
2. danni non patrimoniali, e cioè il dolore e le sofferenze patite per la morte del familiare;
3. un danno biologico subito iure proprio, consistente in una menomazione dell’integrità psico-
fisica, che deve essere accertata da un consulente tecnico d’ufficio.
3. Il danno esistenziale: con questa figura si vuole attribuire rilevanza alle ripercussioni esistenziali

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negative che discendono dalla lesione di una situazione soggettiva protetta dall’ordinamento.
Vengono ricondotte all’interno della categoria tutte quelle ipotesi caratterizzate dall’assenza di
ripercussioni patrimoniali nella sfera del soggetto leso, che tuttavia subisce una compromissione
della sua possibilità di realizzazione personale ed un peggioramento delle condizioni di vita.
Pregiudizi esistenziali sono stati riscontrati nell’ambito di rapporti familiari, sociali, e nell’ambito di
attività culturali e religiose.
DANNI ECOLOGICI E AMBIENTALI
Non si deve identificare la tutela ecologica o protezione del singolo e dei suoi beni, con la più generale
tutela ambientale che ha portato alla definitiva consacrazione del bene ambientale, concepito come
interesse meritevole della più efficace protezione e tutela anche sotto il profilo risarcitorio. Il Codice
dell'ambiente definisce il danno ambientale come qualsiasi deterioramento significativo e misurabile di
una risorsa naturale o dell'utilità assicurata da quest'ultima. Il giudizio risarcitorio rimane ancorato al
principio di colpevolezza (e non ad una regola di responsabilità oggettiva) e ad una regola di tipicità del
torto ambientale, in quanto il giudice è tenuto a riscontrare la violazione di una legge o di un
provvedimento.
Dal testo normativo emerge la volontà di accentrare in capo allo Stato le competenze in materie di danno
ambientale; non sono più legittimati a promuovere l'azione risarcitoria gli enti locali territoriali: ad essi e
alle associazioni di protezione ambientale viene conferita una mera funzione di collaborazione all'esercizio
dell'azione ministeriale. Regioni, Province autonome, enti locali, persone fisiche e giuridiche, che sono o
potrebbero essere colpite da danno ambientale, sono legittimate a presentare denunce e osservazioni,
correlate da documenti e informazioni, concernenti qualsiasi caso di danno ambientale, e a chiedere
l'intervento statale a tutela dell'ambiente. Il ripristino della precedente situazione appare come la
sanzione principale: il risarcimento per equivalente deve operare soltanto nell'ipotesi in cui non si possa
procedere al ripristino.
RISARCIMENTO IN FORMA SPECIFICA
Il risarcimento può essere chiesto anche in forma specifica, cioè attuando una reintegrazione in natura
della precedente situazione quando tale maniera non risulti eccessivamente gravosa per il debitore.
RIPARAZIONE AL DI LA’ DELLA RESPONSABILITA’
L’art. 2047 afferma che quando la vittima di un fatto compiuto dall’incapace non è riuscita a ottenere il
risarcimento da chi è tenuto alla sorveglianza, il giudice, in considerazione delle condizioni economiche
delle parti, può condannare l’autore del danno ( che si presuppone irresponsabile) a un’equa indennità. Lo
stesso discorso vale per l’equa indennità che l’art. 2045 assicura alla vittima dell’azione compiuta in stato
di necessità, cioè senza un vero illecito.
SOLIDARIETA’ E PRESCRIZIONE
Se più persone hanno concorso nel fatto illecito, ciascuna risponde per il danno solidalmente con le altre,
secondo l’art. 2055. Per la prescrizione quinquennale il termine decorre dal giorno in cui il fatto si è
verificato; intendendosi per fatto, non la semplice azione od omissione (cioè il comportamento doloso o
colposo), ma l’evento lesivo nel suo complesso, comprensivo anche delle conseguenze: decorre cioè dal
giorno in cui il danno si è effettivamente verificato o manifestato.
SEZIONE III. I TITOLI DI CREDITO E LA CIRCOLAZIONE DEI VALORI MOBILIARI
DIRITTI AD AVERE: RAPPRESENTAZIONE O DOCUMENTAZIONE. CIRCOLAZIONE DEI VALORI RAPPRESENTATI
Il credito è di un bene il cui valore si manifesta, oltre che mediante la soddisfazione nei confronti del
debitore, anche nella sua circolazione mediante il trasferimento a terzi. Il diritto di credito è in generale
una posizione giuridica cedibile.
Tuttavia, la cessione ordinaria del credito non dà al cessionario la sicurezza di ottenere dal debitore il
pagamento. Innanzitutto, egli dovrà provare l’esistenza del credito e il suo acquisto. In secondo luogo, egli
corre un duplice rischio:
• quello di aver acquistato il credito da un soggetto che non era il vero creditore: in questo caso,
egli non ne diviene titolare;
• quello derivante dal fatto che il debitore, quando egli pretenderà l’adempimento, potrà opporgli
tutte le eccezioni che avrebbe potuto opporre al cedente.
Per questo la sapienza giuridica ha sviluppato l’istituto dei titoli di credito, che viene incontro alle
esigenze della circolazione di queste posizioni giuridiche.
Il titolo di credito è un documento, che menziona appunto un diritto di credito e che è necessario e
sufficiente per l’esercizio di questo diritto, letterale ed autonomo, che vi è menzionato. Si dice che il
credito è incorporato nel documento: colui che è proprietario del documento è titolare del credito.
L'incorporazione è il vincolo giuridico, il collegamento tra documento e diritto: Attraverso questo vincolo si
ottengono due risultati:
1. acquista il credito chi acquista il documento;
2. poiché il documento è un bene mobile, alla sua circolazione si può applicare il principio “possesso
vale titolo”.
Colui che acquista il documento da chi non era proprietario ne diviene proprietario e diviene titolare del
credito incorporato, se il documento, il titolo di credito, gli viene consegnato ed egli è in buona fede. Il
cessionario del titolo può pretendere dal debitore l'adempimento del credito, senza che questi gli possa
opporre eccezioni che non risultano dal tenore letterale del documento: il concessionario può esigere la
prestazione nella misura e nei tempi che risultano dal titolo. Chi presenta il titolo non ha bisogno di dare
altra prova del suo diritto. Perché si abbia titolo di credito occorre che il debitore sottoscriva un
documento e lo destini alla circolazione.

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TITOLI DI CREDITO E CARATTERISTICHE DELLA LORO EFFICACIA


Il titolo di credito oltre a provare l’esistenza del credito, ne assicura l’efficacia giuridica, in quanto la legge
limita le possibilità di vederne contestata la realizzazione. In primo luogo, il documento diventa requisito
indispensabile per l’esazione del credito: il portatore, finché il titolo è in sua mano, non corre il rischio di
vedersi opporre l’estinzione del diritto per pagamento fatto ad altri. Inoltre, il credito documentato nel
titolo può essere fatto valere nei termini precisi che risultano dal contesto, e a colui che si legittima come
titolare non sono opponibili né le eccezioni relative alla circolazione del credito, né le eccezioni derivanti
da rapporti personali tra emittente e precedente portatore, e neppure le eccezioni che si riferiscono alla
costituzione del titolo.
La legittimazione all’esercizio del diritto rappresentato dal titolo di credito si basa sopra l’esistenza di due
elementi:
1. un documento, cioè un titolo propriamente detto;
2. il possesso dello stesso in conformità alle norme che ne disciplinano la circolazione.
Il credito relativo ha per oggetto la prestazione di una somma di denaro o la consegna di merci specifiche.
Il documento sottoscritto dall’emittente deve contenere tutto ciò che si riferisce al diritto di cui è titolo.
Per l’esercizio dei diritti menzionati nel titolo è indispensabile il possesso del titolo stesso. Il possesso però
dev’essere in vario modo giustificato secondo la legge di circolazione dei diversi titoli.
Le principali caratteristiche del titolo di credito sono:
 letteralità: il credito è tale quale letteralmente risulta menzionato nel documento. Lo scritto del
documento indica anche il contenuto del diritto. Ogni avente causa è sicuro che non gli verranno
opposte restrizioni al diritto derivanti da convenzioni o altro che non risultino da titolo.
 Autonomia: vuol dire indipendenza dalle obbligazioni dei singoli debitori l’una dall’altra. Nessuna
obbligazione cambiaria è obbligazione accessoria, e ognuna vale indipendentemente dalla validità
delle altre, indipendentemente anche dalla validità della stessa emissione del titolo.
 Inopponibilità delle eccezioni: ogni successivo titolare del diritto contenuto nel titolo di credito
ha verso l’obbligato un diritto immune da tutte le eccezioni derivanti dal succedersi dei vari
titolari; è come se in ciascun creditore il diritto fosse sorto per la prima volta. Ciascun debitore
può opporre al possessore del titolo soltanto le eccezioni a questo personali, e le eccezioni reali,
ossia quelle che riguardano gli elementi contenuti nel titolo: di forma, quelle fondate sul testo
letterale del titolo, quelle che dipendono dalla falsità della propria firma, da difetto di capacità o
rappresentanza al momento dell’emissione. Tutte le altre eccezioni non possono avere valore
contro il rigore dell’obbligazione rappresentata nel titolo di credito; purché non si dimostri che il
possessore, conoscendone l’esistenza nel momento dell’acquisto del titolo, ha avuto coscienza di
arrecare danno al debitore.
OBBLIGAZIONE CARTOLARE. TITOLI CAUSALI E ASTRATTI
L’obbligazione e il diritto incorporati nel titolo di credito si chiamano anche obbligazioni e diritto cartolari,
come dipendenti e connessi al documento. Si ha titolo causale quando la prestazione dovuta consiste
nella prestazione di un contratto speciale, diversa da una semplice obbligazione pecuniaria, oppure
quando il titolo ha per oggetto una partecipazione. Sono titoli causali i titoli di deposito e quelli di
trasporto. Titoli astratti in senso proprio sono soltanto quelli ammessi come tali dalla legge, la quali li
assoggetta a precisi requisiti formali. La prestazione del debitore consiste nell'obbligo di pagare una
somma senza riferimento alla particolare causa del rapporto sottostante all'emissione.
DISTINZIONE DEI TITOLI E LEGITTIMAZIONE DEL CREDITORE SECONDO DIVERSE LEGGI DI CIRCOLAZIONE
Nella circolazione del titolo, il credito si trasferisce dall’uno all’altro soggetto e la cessione è pienamente
efficace indipendentemente dalla notificazione al debitore e dalle altre formalità che le sono equiparate. I
titoli di credito si distinguono in:
• titoli al portatore: il possessore è legittimato a chiedere l’adempimento mediante la sola
presentazione del titolo al debitore. Il possesso acquistato in buona fede assicura contro la
rivendicazione da parte di terzi e attribuisce la preferenza tra più aventi causa (es. biglietti di
banca, obbligazioni di società per azioni, assegni bancari). La facoltà di emettere titoli al
portatore, contenente l'obbligazione di pagare una somma di denaro è limitata ai soli casi stabiliti
dalla legge.
• Titoli all’ordine: la consegna del titolo deve essere accompagnata dalla girata scritta sullo
stesso. La girata è un ordine incondizionato di pagamento, scritto nel titolo e sottoscritto dal
creditore cedente (girante), con il quale egli indica un nuovo titolare del diritto (giratario). Il
giratario può a sua volta cedere il titolo con una nuova girata, e così la circolazione avviene
rapidamente e semplicemente, con il vantaggio,rispetto al titolo al portatore, che l’avente diritto è
meno esposto ai pericoli del furto o dello smarrimento. Il possessore di un titolo all’ordine si
legittima in base a una serie continua di girate. Nei casi di smarrimento, furto o distruzione dei
titoli all’ordine è ammessa, previa denunzia del fatto al debitore una procedura di ammortamento
che mira a privare di efficacia il vecchio titolo, sostituendolo con un duplicato, oppure
ammettendo direttamente la soddisfazione del creditore.
• Titoli nominativi: sono intestati a una persona determinata, tanto sul titolo quanto negli appositi
registri dell’ente che ha emesso il titolo. La legittimazione all'esercizio del diritto presuppone, oltre
al presupposto del titolo, la coincidenza delle due intestazioni a favore della stessa persona.
L’emittente non procederà alle formalità del trasferimento se l’identità e la capacità di disporre di
colui che fa l’alienazione del titolo non gli vengano provate mediante certificato di un notaio o di
un agente di cambio; ogni annotazione nel registro e sul titolo è fatta a cura e sotto la

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responsabilità dell’emittente.
TITOLI CAMBIARI IN GENERALE
Nella cambiale moderna troviamo chi deve fare il pagamento, il quale dà ordine ad altri di pagare per
conto suo dopo un certo tempo, garantendo anche personalmente la soddisfazione del credito
menzionato nel titolo. I vantaggi offerti dai titoli cambiari sono stati utilmente applicati anche alla forma
più semplice dello strumento di credito, cioè alla cambiale propria che contiene l'impegno diretto a pagare
da parte dell'emittente il quale rimane debitore principale. La possibilità di porre un termine di scadenza
fa si che il titolo si presti particolarmente per facilitare le operazioni di credito.
L’introduzione dell’Euro quale moneta unica europea la cui adozione è stata resa obbligatoria per l'Italia a
partire dal 1 gennaio 2002 comporta alcune modifiche alla disciplina dei titoli di credito. Un euro è diviso
in cento centesimi: la presenza di cifre decimali rappresenta un'importante novità per il nostro Paese e
richiede una particolare attenzione per il cambiamento che comporta nelle abitudini dei cittadini. E’
necessario che le cambiali e gli assegni siano predisposti appositamente per la nuova moneta.
CAMBIALE
La cambiale si definisce come il titolo di credito all’ordine, formale e astratto, che attribuisce al legittimo
possessore il diritto incondizionato di farsi pagare una somma determinata alla scadenza indicata.
La cambiale tratta contiene un ordine di pagare che l’autore del titolo (traente) dà a un terzo (trattario).
Il trattario può accettare o meno l’ordine del traente; nel primo caso diventa debitore principale sia nei
riguardi del primo prenditore, sia verso qualunque successivo giratario; se non accetta, il rifiuto
dell’accettazione non comporta per il trattario conseguenze. Nelle cambiali pagabili a vista, poiché la
cambiale scade con la presentazione, l’accettazione coincide con il pagamento. L’obbligo di presentare la
cambiale all’accettazione può anche essere stabilito dal traente o dal girante. Al solo traente la legge
riconosce la facoltà di escludere la presentazione per l’accettazione o limitarla prima o dopo un certo
termine.
Il vaglia, o pagherò cambiario, o cambiale propria contiene la diretta promessa dell’emittente, che
rimane sempre obbligato principale.
Mentre la cambiali sono strumenti di credito, gli assegni sono mezzi di pagamento.
ASSEGNO BANCARIO
L’assegno bancario ha la struttura della cambiale tratta; consiste nella disposizione che il cliente dà alla
banca, senza indicazioni o limiti di scadenza, per il pagamento che essa deve fare all’ordine di persona
determinata o anche al portatore. Esso viene scritto su moduli presi posti dall’istituto trattario, ed è
sottoposto a una tassa fissa di bollo in misura minima.
ASSEGNO CIRCOLARE
L’assegno circolare ha struttura analoga al pagherò cambiario; esso contiene l’obbligazione cambiaria
di un banchiere mittente di pagare a vista una somma determinata in qualsivoglia sede o succursale della
banca, o presso i suoi corrispondenti.
ELEMENTI E REQUISITI DELLE CAMBIALI
Gli elementi che devono essere contenuti nella cambiale sono:
1. nel contesto del titolo, che può essere redatto in lingua italiana o straniera, la tratta deve
contenere la parola “cambiale” o quella corrispondente nella lingua in cui è scritto il titolo; il
vaglia o cambiale propria deve contenere l’espressione “vaglia cambiario” o “pagherò cambiario”
o cambiale”, oppure la loro traduzione nella lingua straniera. Queste parole sono insostituibili.
2. Nella cambiale dev’essere espresso l’ordine incondizionato di pagare una somma determinata,
mentre nel vaglia la somma da pagare sarà oggetto di incondizionata promessa. Nell’ipotesi di
divergenza tra la somma scritta in cifra e quella scritta in lettere vale quest’ultima.
3. Nella cambiale deve essere sempre indicato il nome, il luogo e la data di nascita ovvero il codice
fiscale del debitore; per la cambiale tratta si indicheranno i dati del trattario, cioè colui che è
designato a pagare, mentre nel vaglia si indicheranno quelli dello stesso emittente. Se il debitore
è una società si dovranno indicare la denominazione esatta e completa, l'indirizzo della sede
legale e il codice fiscale.
4. L’indicazione della scadenza deve essere precisa e deve essere unica per l’intera somma
dell’obbligazione cambiaria. Sono ammesse le forme di indicazione:
a) a giorno fisso;
b) a vista, cioè al momento della presentazione;
c) a certo tempo data, quando il tempo che intercorre fino alla scadenza si computa a
cominciare da data futura;
d) a certo tempo vista, quando dal giorno della presentazione comincia a decorrere il periodo di
scadenza scritto nel titolo.
Se manca una indicazione di scadenza, la cambiale è ritenuta a vista.
5. La legge richiede l’indicazione del luogo di pagamento. Se tale informazione manca, suppliscono
alcuni criteri prestabiliti.
6. La cambiale al portatore non è valida; infatti la cambiale è, per definizione, un titolo all’ordine
pertanto deve essere indicato nel titolo il nome di colui al quale va fatto il pagamento, cioè del
prenditore.
7. Devono essere indicate la data e il luogo di emissione.
8. Elemento essenziale è la sottoscrizione di colui che emette la cambiale, traente o emittente. Ogni
firma cambiaria deve essere autografa, e deve contenere prenome e cognome o la ditta di colui
che si obbliga.

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CAMBIALE IN BIANCO E CAMBIALE INCOMPLETA


La cambiale è per definizione un titolo completo. Il titolo nel quale manchi alcuno dei requisiti indicati
dalla legge non vale come cambiale o vaglia cambiario. Nell’ipotesi della cambiale in bianco il
completamento del titolo è affidato al portatore dello stesso sulla base dell’accordo intervenuto tra il
sottoscrittore del documento ed il primo prenditore (c.d. accordo di riempimento). Questo elemento
formale della cambiale può essere lasciato in bianco all’atto dell’emissione salva la sussistenza della firma
del sottoscrittore, emittente o traente, senza la quale non si può parlare di emissione del titolo. Secondo
la legge cambiaria, in capo a chi apponga la firma su un foglio in bianco si deve ritenere che la firma
debba essere apposta nell’ambito di un documento riconoscibile come predisposto per il completamento
come titolo di credito. Il portatore decade dal diritto di riempire la cambiale dopo tre anni dal giorno
dell’emissione del titolo. In questo periodo il titolo può circolare in bianco con gli effetti della circolazione
cambiaria. Chi riceve una cambiale in bianco riceve anche il diritto al riempimento che è inerente al titolo.
Se la cambiale viene completata contrariamente agli accordi intervenuti, la loro inosservanza non può
essere opposta al portatore, a meno che questi abbia acquistato la cambiale in mala fede, ovvero abbia
commesso colpa grave acquistandola. L’abusivo riempimento costituisce reato di falso.
Quando la cambiale sia emessa priva di alcuni elementi, ma la mancanza di qualche requisito formale non
sia voluto e preordinata dal sottoscrittore, si parla di cambiale incompleta. La dottrina prevalente
equipara il titolo incompleto al titolo in bianco, cosicché il sottoscrittore del titolo incompleto, poi
arbitrariamente riempito dal prenditore, non può eccepire al terzo portatore di buona fede il difetto di
autorizzazione a riempire il titolo.
VARIE SOTTOSCRIZIONI CAMBIARIE. OBBLIGATI PRINCIPALI E DI REGRESSO
Non basta che il trattario, nei suoi rapporti con il traente, sia obbligato ad accettare: egli non assume
alcuna obbligazione cambiaria prima dell’atto formale di accettazione, che si attua con la sottoscrizione
sul titolo cambiario. E’ sufficiente la firma sulla facciata anteriore; se invece la sua firma è posta sul verso,
deve essere accompagnata dalla parola accetto che vale a distinguerla da una firma di girata.
La presentazione del titolo è obbligatoria nelle cambiali a certo tempo vista; talora infatti si conviene che
l’accettazione non sia fatta prima di un termine. L’accettazione può anche essere parziale. La mancata
accettazione si fa risultare con il protesto, che è una solenne constatazione fatta nelle forme che
vedremo. Se il trattario accetta, assume l’obbligazione cambiaria principale che è incondizionata e
astratta.
AVALLO
L’obbligazione di ogni debitore cambiario può essere garantita da una terza persona, che assume,
sottoscrivendo il titolo, la corrispondente propria obbligazione, anch’essa di carattere cambiario.
L’obbligazione dell’avallante è sullo stesso piano di quella dell’avallato; ma può limitarsi a una parte
soltanto dell’intera somma cambiaria. E’ astratta, indipendente cioè dai rapporti dell’avallante con
l’avallato; è autonoma, nel senso che la sua validità ed efficacia non dipende da quella dell’obbligazione
garantita. Formalmente si costituisce ponendo la firma sul titolo accompagnata dalla formula “per avallo”;
questa qualificazione non è necessaria se è posta sulla faccia principale. Se l’avallante non indica per
quale degli obbligati è data garanzia, la legge stabilisce che essa venga intesa per il traente o per
l’emittente, cioè nel senso in cui ha maggior valore. L’obbligazione dell’avallante ha la sostanza
dell’obbligazione del fideiussore; una volta che egli abbia pagato, può rivelarsi cambiariamente
sull’avallato e sui firmatari anteriori.
GIRATA
Data l’incorporazione del diritto nel titolo, per la legittimazione cambiaria dei successivi prenditori è
necessario il trasferimento del possesso materiale del titolo. Allo stesso deve corrispondere una girata. La
girata, che contiene l'ordine, dato dal girante al debitore, di pagare al nuovo creditore cambiario, viene
fatta a tergo della cambiale o sul foglio di allungamento che si aggiunge materialmente al titolo quando
questo sia insufficiente a contenere una lunga serie di successivi trasferimenti. Essa può essere in pieno,
indicando il nome del giratario, o in bianco contenente la sola firma del girante. La girata non può essere
parziale: conferisce tutti i diritti inerenti alla cambiale, e ciascun giratario acquista un diritto autonomo. Se
la girata è in bianco, ciascuno può riempirla con il proprio nome o con quello di altra persona. Il traente o
l’emittente possono impedire il trasferimento del titolo per girata scrivendo la formula “non all’ordine” con
la conseguenza che il titolo sarà trasferibile soltanto nella forma e con gli effetti della ordinaria
concessione dei crediti; se la clausola viene scritta da un girante, le successive girate non hanno effetto
nei suoi confronti.
La girata per procura o per incasso giova soltanto per far riscuotere la cambiale: il debitore cambiario può
opporre al giratario le eccezioni personali al girante, che è il rappresentato, e non quelle personali allo
stesso giratario. La girata o valuta in garanzia po in pegno, costituisce la cambiale in pegno presso il
giratario attribuendogli l’esercizio dei relativi diritti sulla cambiale: non possono essere opposte al
giratario le eccezioni opponibili al giranti.
Tra gli obbliganti cambiari si distinguono:
• gli obbligati principali che sono l’accettante, l’emittente e i loro avallanti;
• gli obbligati di regresso che sono il traente, i giranti, e i loro avallanti, l’obbligo dei quali è
subordinato al mancato pagamento da parte dei primi.
Ciascuno obbligato cambiario risponde verso chi si legittima possessore della cambiale e verso i firmatari
che vengono dopo di sé, ed è garantito dai firmatari che lo precedono. Quando un obbligato di regresso
paga, ha diritto di rivalersi sull’obbligato principale, sugli anteriori e sugli eventuali loro avallanti.
EFFICACIA DELLA CAMBIALE
L’obbligazione cartolare, quale risulta dal titolo, grava sopra ciascuno di coloro che hanno sottoscritto la

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cambiale anteriormente al portatore, ma è indipendente dalle eccezioni fondate su rapporti che siano
personali ai precedenti obbligati o portatori: con il limite che riconosce l'azione di dolo generale a favore
dell'obbligato contro colui che abbia acquistato la cambiale sapendo di agire a danno del debitore. Il
pagamento della cambiale è sottoposto in gran parte alle regole generali dei pagamenti in moneta. Però il
portatore non può rifiutare il pagamento parziale, altrimenti perde, per la somma offerta e rifiutata, il
regresso contro i precedenti obbligati.
La cambiale deve essere presentata per il pagamento al trattario o all’emittente nel giorno della scadenza
o nei due giorni feriali successivi. Se non è presentata entro detto termine nel luogo indicato dal titolo,
ciascun debitore può liberarsi del debito, depositando la somma dovuta presso l’istituto di emissione o
agenzia della banca d’Italia.
Il rifiuto a pagare viene constatato mediante protesto, atto solenne, non soggetto a contestazione, che
costituisce in mora il debitore. Esso consiste nell’atto steso a verbale da un notaio, da un ufficiale
giudiziario o da un aiutante ufficiale giudiziario, il quale attesta di aver presentato la cambiale, e
constatato che questa non è stata pagata, riferisce le risposte avute dal debitore. Nel caso che il debitore
sia fallito, il protesto non è necessario, bastando la sentenza di fallimento.
La mancanza del protesto entro i termini pregiudica l’azione di regresso contro il traente o i giranti. Però
se è scritta la clausola “senza spese” o altre equivalenti il protesto non è necessario per far salva l’azione
di regresso. Il levare protesto non costituisce un onere per il creditore che voglia esercitare i suoi diritti
verso un obbligato principale.
AZIONI CAMBIARIE
L’azione cambiaria diretta si esercita contro gli obbligati principali: accettante, emittente e loro avallanti.
Se l’obbligato principale rifiuta il pagamento o è insolvibile, la pretesa del portatore sarà rivolta contro
uno degli obbligati in via di regresso; l’azione di regresso si esercita con libertà di scelta contro il traente, i
giranti, i loro avallanti o gli intervenienti.
L’azione diretta si prescrive in tre anni; quella di regresso, se è esercitata dal portatore si prescrive in un
anno, se è esercitata da altro obbligato che ha pagato o contro cui è stata promossa da parte di altro
creditore cambiario l’azione di regresso, si prescrive in sei mesi. Per l'esercizio dell'azione è necessario il
possesso del titolo, giustificato da una serie ininterrotta di girate. Per l'esercizio dell'azione giudiziaria di
regresso è necessario in più il protesto.
Il debitore può opporre a chi agisce contro di lui soltanto poche eccezioni. Le eccezioni opponibili si
dicono:
• reali quando valgono di fronte a qualunque portatore della cambiale;
• personali quando giovano soltanto di fronte a uno o più determinati creditori cambiari.
La cambiale è direttamente un titolo esecutivo, quando, sottoscritta e pagabile in Italia, sia in regola con il
bollo. In modo rapido il portatore si soddisfa aggredendo i beni, prima che il debitore abbia avuto modo di
farli sparire.
Nei rapporti diretti tra portatore della cambiale e suo immediato debitore si può agire anche in base al
rapporto extracartolare con l’azione causale. In tale ipotesi il titolo potrà valere come documento in un
rapporto che verrà giudicato e risolto in tutti i suoi aspetti. Anche per l’esercizio dell’azione causale è
necessario che sia accertata con il protesto la mancanza di accettazione o di pagamento. Quando il
possessore della cambiale non può esercitare alcuna delle azioni accennate, la legge gli concede un
ulteriore mezzo: l'azione di arricchimento che si esercita contro il traente o l'accettante, l'eminente o il
girante, per la somma di cui si siano ingiustamente arricchiti a danno del possessore del titolo. Tale azione
si prescrive nel termine di un anno dal giorno in cui venne perduta la possibilità di esercitare l'azione
cambiaria.
L’ASSEGNO BANCARIO O CHEQUE
L’assegno bancario, che ha assunto la funzione di mezzo di pagamento, originariamente propria della
cambiale, si avvicina nella struttura a quella della cambiale tratta, contenente un ordine di pagamento.
L’assegno viene tratto su di un banchiere, è sempre pagabile a vista, non può essere emesso in bianco, e
non può contenere la promessa di interessi. Non si ammettono l'accettazione del trattario e l'assegno di
garanzia di un altro debito.
Se nella provvista presso il banchiere mancano fondi sufficienti, l’assegno conserva la sua validità; però il
traente viene sottoposto a sanzioni, sia amministrative, sia fiscali, perché l’assegno si tramuterebbe in
strumento di credito, in analogia a quella che è la funzione della cambiale, che è sottoposta, per questo,
alle tasse di bollo di cui si è detto.
L’assegno bancario va presentato al pagamento entro termini brevissimi: otto, da quello indicato come
data di emissione se è pagabile nello stesso comune in cui fu emesso, quindici giorni se in comuni diversi
dalla madre patria. L’inosservanza di questi termini fa perdere al portatore l’azione di regresso contro i
giranti ma non contro il traente. Il possessore dell’assegno può agire in base alla promessa di pagamento
contenuta nel titolo contro il traente o contro i giranti. Il procedimento è assistito dal rigore cambiario; le
eccezioni opponibili sono quelle che abbiamo visto per la cambiale.
L’assegno è sbarrato se sulla faccia anteriore si tracciano due linee parallele. Lo sbarramento è:
• generale se tra le due linee non vi è alcuna indicazione: la banca su cui l’assegno è tratto non può
pagare l’assegno che a un banchiere o a un suo proprio cliente; il banchiere non può comunque
acquistare un assegno sbarrato che da un cliente a lui già noto per precedenti rapporti o da altro
banchiere.
• Speciale se tra le due sbarre è posto il nome di una banca: il pagamento dev’essere fatto al
banchiere designato tra le due sbarre, se questi è il trattario, il pagamento verrà fatto soltanto a

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un suo cliente. Il vantaggio dello sbarramento è che l’eventuale ladro non vorrà affrontare il
pericolo di riscuotere l’assegno direttamente, ma dovrà cercare di girarlo al cliente di un
banchiere.
Se all’assegno è apposta la clausola “non trasferibile” esso non viene pagato ad altri che non sia il
prenditore; può essere girato a un banchiere solo “per l’incasso”. L’assegno confermato, a taglio fisso, è
un tipo conosciuto nella pratica per dare al portatore la certezza dell’esistenza di fondi presso la banca.
Questi tipi di assegno sono tratti su modelli speciali rilasciati dal banchiere, che si impegna a pagare entro
il limite massimo indicato.
ASSEGNO CIRCOLARE
Come promessa di pagamento, direttamente emessa da un banchiere, con l’efficacia di un titolo
cambiario di facile circolazione, l’assegno circolare adempie alla funzione di mezzo per eseguire
pagamenti anche in luoghi lontani da quello di emissione. L’assegno circolare viene emesso soltanto da
istituti specialmente autorizzati, i quali devono aver depositato presso la Banca d’Italia una cauzione: su
questa cauzione la massa di portatori di assegni ha diritto di privilegio. La banca che emette l’assegno si
impegna a pagare la somma promessa in ogni luogo ove esiste una sua filiale o un suo corrispondente.
Anche l’assegno circolare è sempre pagabile a vista, ed è sottoposto alla disciplina cambiaria. L’assegno
circolare deve essere presentato per il pagamento entro trenta giorni dalla data di emissione, se passa
questo termine il possessore perde il diritto di regresso verso gli eventuali giranti, e gli rimane soltanto
l’azione diretta contro l’emittente.
TITOLI CAUSALI
Nei titoli causali il diritto del legittimo portatore del titolo non è il diritto a una semplice prestazione
pecuniaria, ma comprende una più complessa prestazione derivante da speciale rapporto, oppure un
insieme di ragioni, diritti o poteri che derivano dall’appartenenza a una collettività. Le due più notevoli
categorie di titoli causali sono:
• i titoli rappresentativi delle merci: l’art. 1996 fissa alcuni punti
◦ il titolo attribuisce al portatore il diritto alla consegna delle merci indicate;
◦ il possesso del titolo attribuisce anche il possesso delle merci, che si esercita per mezzo di
colui che pratica il trasporto o la custodia;
◦ l’atto di disposizione sul titolo equivale a disposizioni delle merci.
• Le azioni di società.
DOCUMENTI DI LEGITTIMAZIONE E TITOLI IMPROPRI
Le norme sui titoli di credito non si applicano ai titoli di legittimazione e ai titoli impropri. Sono documenti
di legittimazione quelli che, avendo soltanto funzione probatoria, servono per facilitare l’esecuzione di
un contratto (biglietti di lotteria, i biglietti di tram e treno). Essi non incorporano un diritto da far valere
per loro mezzo, ma sono documenti, il cui possesso facilita la realizzazione concreta, la soddisfazione di
un diritto. Se riguardano diritti trasmissibili, questi si trasmettono secondo le regole generali, e non
mediante trasferimento del documento. Il documento non è sempre necessario, né sufficiente.
Titoli impropri o apparenti sono quei documenti che facilitano il trasferimento del credito,
consentendolo senza l’osservanza delle forme proprie della cessione, ma che non hanno le caratteristiche
dell’autonomia e della letteralità. Anche la cessione del contratto può attuarsi mediante la girata del
documento che ne contiene la prova. Però il così detto stabilito, pur quando sia girabile non esprime una
promessa unilaterale, come i titoli di credito, ma prova un contratto con tutte le sue clausole per le
reciproche obbligazioni.
CARTOLARIZZAZIONE
Il legislatore ha introdotto nell’ordinamento italiano una forma di cessione a titolo oneroso dei crediti
pecuniari, sia esistenti, sia futuri, a fronte dell’emissione di titoli rappresentativi di tali crediti, che va sotto
il nome di cartolarizzazione. Tale istituto consente una possibilità di smobilizzo dei crediti bancari, con
conseguente ottenimento di liquidità senza la preoccupazione della gestione di tali crediti, ponendo sul
mercato un nuovo tipo di strumento finanziario. Il sistema prevede la cessione a titolo di un portafoglio di
crediti pecuniari idonei a produrre flussi di cassa pluriennali, che un cedente fa ad una società cessionaria
creata ad hoc affinché quest’ultima cartolarizzi il credito trasformandolo in un titolo rappresentativo o in
un valore mobiliare.
Il patrimonio costituito dai crediti ceduti nell’ambito dell’operazione di cartolarizzazione viene a costituire
un patrimonio separato finalizzato ad uno scopo: esso risulta isolato sia da quello proprio della società
cessionaria, sia da quello costituito da altri portafogli di crediti ceduti nell’ambito di altre operazioni di
cartolarizzazione eventualmente effettuate dalla stessa società.
CAMBIALE FINANZIARIA
La cambiale finanziaria costituisce un nuovo strumento di finanziamento che permette alle imprese,
purché i bilanci degli ultimi tre esercizi siano in utile e i titoli emessi siano assistiti da garanzia in misura
non inferiore al 50% del loro valore di sottoscrizione, di raccogliere tra il pubblico capitale di credito a
breve termine. Esse vengono emesse in serie nell’ambito di un’unica operazione di finanziamento e
presentano caratteristiche comuni di taglio e durata: devono essere emesse con taglio minimo di 50.000
€ e con scadenza tra i tre e i dodici mesi dalla data di emissione.
Le cambiali finanziarie sono definite come valori mobiliari e pertanto soggette a tutta la disciplina ad essi
relativa, in particolare a quella in tema di offerta al pubblico.

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