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Per comunicazione si intende il rapporto tra un mittente (soggetto che fornisce una notizia o esprime
un’opinione o una critica) e un destinatario, per informazione si intende il contenuto trasmesso.
L’ordinamento giuridico è il complesso delle regole per le quali siamo tenuti a tenere determinati
comportamenti, individua quali sono gli atti e i fatti che sono idonei a produrre diritto, a produrre norme
giuridiche, ovvero le fonti del diritto:
• Fonti di produzione: producono la regola (atti o fatti), gli atti o i fatti che l’ordinamento giuridico prevede che
producano norme giuridiche.
• Fonti di cognizione: gli strumenti che rendono conoscibile le regole (Gazzetta ufficiale, B.U.R., G.U.U.E.).
• Fonti sulla produzione: indicano il procedimento di formazione delle regole e quali atti o fatti possono dare
origine alle regole.
L’atto è la manifestazione di volontà che viene inserita in un testo scritto, semplicemente la legge che viene
approvata dal parlamento. Il fatto è ad esempio la consuetudine, essa rappresenta una fonte del diritto e non è
scritta, con consuetudine si intende un comportamento tenuto da più persone perché convinte che esso sia
obbligatorio dal punto di vista giuridico.
Disposizioni preliminari al codice civile o preleggi, l’articolo 1 designa la gerarchia delle fonti del diritto
italiano:
• Leggi;
• Regolamenti;
• Norme corporative;
• Usi: le consuetudini, l’articolo 8 delle preleggi afferma che nelle materie non regolate dalle leggi e dai
regolamenti gli usi hanno efficacia solo in quanto sono da essi richiamati. È necessario che leggi o regolamenti
dicano espressamente che su quella materia hanno effetto e quindi valgono gli usi.
Gli atti normativi entrano in vigore e quindi diventano obbligatori per tutti dopo la pubblicazione, entrano in
vigore quindici giorni dopo la pubblicazione. Trascorsi i quindici giorni l’atto è obbligatorio, vige così la
presunzione di conoscenza della legge: ignorantia legis non excusat.
Cosa succede quando due fonti dello stesso tipo e di pari forza stabiliscono norme contrastanti? La fonte più
recente nel tempo prevale sulla prima, in questo caso si procede con l’abrogazione: meccanismo attraverso il
quale una fonte del diritto può cessare di produrre i suoi effetti a causa dell’intervento di una fonte di pari
grado, ma successiva nel tempo. Prevale in caso di contrasto fra fonti dello stesso tipo (due leggi, due
regolamenti ecc.) la fonte più recente. La fonte più risalente nel tempo cessa di essere efficace, la legge deve
adeguarsi ai cambiamenti della società.
C’è una grande divisione fra due famiglie di diritti, ossia fra due sottosistemi di norme:
• Diritto pubblico: organizzazione dei pubblici poteri e rapporti tra l’autorità pubblica e i privati, rapporti
dominati dalla prevalenza dell’interesse pubblico su quello privato;
• Diritto privato: regola i rapporti tra soggetti privati che stanno in una posizione di parità.
L’oggetto specifico del diritto costituzionale può essere diviso in quattro argomenti:
- Le fonti del diritto: meccanismi con cui si producono le norme giuridiche nell’ordinamento italiano,
- L’organizzazione costituzionale dello Stato: i rapporti tra gli organi costituzionali (il Parlamento, il Governo, il
Presidente della Repubblica ecc., la forma di governo) e quelli tra l’apparato dello Stato e il popolo (la forma di
Stato), il rapporto tra Stato centrale e autonomie territoriali (Regioni, Città metropolitane e Comuni);
- Le libertà e i diritti costituzionali;
- La giustizia costituzionale.
1) Il criterio gerarchico: le fonti sono poste in una scala ideale secondo la loro forza (fonti primarie e fonti
secondarie). La scala gerarchica comporta che non operi il meccanismo dell’abrogazione tra fonti che stanno
su gradini diversi, in caso di contrasto tra due norme si preferisce la norma che occupa il posto più elevato nel
sistema delle fonti: la prevalenza della norma superiore su quella inferiore si esprime con l’annullamento della
norma inferiore.
Cosa succede quando due fonti dello stesso tipo e di pari forza stabiliscono norme contrastanti?
La fonte più recente nel tempo prevale sulla prima. Si tratta del criterio dell’abrogazione: meccanismo
attraverso il quale una fonte del diritto può cessare di produrre i suoi effetti a causa dell’intervento di una fonte
di pari grado, ma successiva nel tempo. Prevale in caso di contrasto fra fonti dello stesso tipo (due leggi, due
regolamenti ecc.) la fonte più recente, la fonte più risalente nel tempo cessa di essere efficace.
Questo avviene perché la legge deve adeguarsi ai cambiamenti della società.
2) Il criterio della competenza :i l criterio gerarchico non è sufficiente ad esaurire i rapporti tra le fonti, la
Costituzione ha introdotto alcune fonti alle quali ha affidato la disciplina di materie specifiche sottraendola alla
legge statale. La Costituzione, legge superiore a tutte le altre, stabilisce che sia un determinata fonte a
disciplinare una data materia e non altre, si dice che la competenza a dettare regola è riservata ad una fonte. In
questi casi la fonte statale perde parte della sua forza attiva nei confronti di queste fonti.
Esempio: la Costituzione prevede che il procedimento di formazione delle leggi in Parlamento sia assegnato
alla disciplina dettata dai regolamenti parlamentari.
La Costituzione.
La Costituzione è il documento politico fondamentale che contiene gli ideali politici di convivenza civile, è
anche la legge fondamentale, ovvero un testo normativo e una fonte del diritto. La Costituzione contiene la
tutela dei diritti e la separazione dei poteri.
La Costituzione, dovendo contenere la tutela dei diritti e la separazione dei poteri, rappresenta un limite per tutti
i poteri, le Costituzioni servono a limitare i poteri. Tutti i poteri vanno limitati dalla Costituzione (il potere del
Parlamento, il potere del Governo, il potere della magistratura, il potere del Presidente della Repubblica), la
Costituzione è la legge fondamentale che limita tutti i poteri.
Cosa significa dire che la Costituzione è la legge fondamentale? La caratteristica fondamentale della norma
giuridica è la sanzione, quando essa viene violata prevede una sanzione, deve esserci una conseguenza alla sua
violazione. Anche la Costituzione in quanto legge fondamentale del nostro ordinamento deve essere rispettata e
se non è rispettata è prevista una sanzione, si parla di Costituzione rigida: è una Costituzione che si difende
dalle violazioni. Come si difende una Costituzione? Una Costituzione si difende, ponendo limiti al potere, limiti
alla maggioranza che detiene il potere politico. La Costituzione si difende:
1) Prevedendo un procedimento speciale di modificazione (servono maggioranze speciali per cambiare la
Costituzione);
2) Istituendo un giudice chiamato Corte costituzionale che può annullare le leggi ‘ordinarie’ contrastanti con la
Costituzione;
3) Riconoscendo che ci sono diritti, principi e valori intoccabili. Neppure con il procedimento previsto per la
modifica della Costituzione si possono toccare i diritti, i principi, i valori intoccabili. Se accade questo si ha un
colpo di Stato.
La Costituzione è la fonte fondamentale del nostro ordinamento, è stata approvata da un organo chiamato
assemblea costituente costituitosi nel 1946. La Costituzione italiana è così strutturata:
• Artt. 1-12 Principi fondamentali, questi principi sono intoccabili.
• Artt. 13-54 Parte I: Diritti e doveri dei cittadini;
• Artt. 55-139 Parte II: Ordinamento della Repubblica (Parlamento, Governo, Presidente della Repubblica,
Magistratura, Regioni ed enti locali, Corte costituzionale).
Apertura della Costituzione alla dimensione internazionale (art. 11 Cost.): “L’Italia ripudia la guerra come
strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali;
consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento
che assicuri la pace e la giustizia fra le nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a
tale scopo”.
L’art. 11 della Costituzione prevede che l’Italia possa limitare la propria sovranità a favore di organizzazioni
internazionali, è il caso dell’ONU e dell’Unione europea.
Il diritto prodotto dalle Istituzioni dell’Unione europea è sempre più influente, mentre il diritto prodotto
dall’Unione europea prevale sul diritto prodotto dagli Stati nazionali.
Diritto Europeo.
• Trattati europei (diritto convenzionale): sono accordi firmati da tutti i governi degli stati che appartengono
all’Unione Europea e stabiliscono quali funzioni e quali poteri gli stati cedono all’ordinamento Europeo e alle
istituzione Europee.
In questo caso si parla del trattato di Lisbona che deve essere approvato dal Parlamento italiano che approva
una legge per darvi esecuzione, esso prevede le funzione dell’Unione Europea e i poteri delle istituzioni
dell’UE.
• Diritto europeo derivato, il Trattato UE e il Trattato TFUE istituiscono le seguenti fonti del diritto:
Regolamento, Direttiva, Decisione.
• La Corte di giustizia dell’Unione europea: assicura il rispetto del diritto nella interpretazione e
nell’applicazione del presente Trattato.
Il Regolamento Europeo:
• ha portata generale;
• è obbligatorio in tutti i suoi elementi;
• è direttamente applicabile verso gli Stati membri dell’Unione europea, senza bisogno che gli Stati vi diano
esecuzione con leggi;
• è una fonte primaria;
• prevale sulla legge statale che però non è abrogata ma disapplicata.
La Direttiva Europea è vincolante verso gli Stati per quanto riguarda il risultato da raggiungere, salva restando
la competenza degli organi nazionali in merito alla forma e ai mezzi con i quali dare alla direttiva l’esecuzione.
Gli Stati membri hanno un termine per dare attuazione alla direttiva europea.
Le Decisioni:
• sono obbligatorie in tutti i loro elementi;
• sono direttamente applicabili;
• sono rivolte a destinatari specifici (Stato membro o persona giuridica).
Le fonti primarie.
1) Le leggi Ordinarie: sono leggi formali. Art. 70 Cost.: “La funzione legislativa è esercitata collettivamente
dalle Camere”. Le leggi sono approvate a maggioranza relativa, ovvero dalla metà più uno dei presenti nelle
Camere tranne i casi nei quali la Costituzione prevede maggioranze speciali diverse.
Le leggi ordinarie sono approvate dalla Camere sullo stesso testo, sono promulgate dal Presidente della
Repubblica e vengono pubblicate sulla Gazzetta ufficiale.
2) I Decreti Legge sono atti con forza di legge, Art. 77 Cost
- Comma 2: “Quando in casi straordinari di necessità e urgenza, il Governo adotta, sotto la sua
responsabilità, provvedimenti provvisori con forza di legge, deve il giorno stesso presentarli per la conversione
alle Camere, che anche se sciolte, sono appositamente convocate e si riuniscono entro cinque giorni. I decreti
perdono efficacia sin dall’inizio, se non sono convertiti in legge entro sessanta giorni dalla loro
pubblicazione.”
- Comma 3: “Le Camere possono tuttavia regolare con legge i rapporti giuridici sorti sulla base del decreto non
convertito.”
I presupposti per poter attuare un Decreto Legge sono tre:
- casi straordinari: eccezionali o imprevedibili;
- casi di necessità: impossibilità di ricorrere a strumenti ordinari;
- casi d’urgenza: bisogna provvedere immediatamente.
3)I Decreti Legislativi sono atti con valore di legge, Art. 76 Cost.: «L’esercizio della funzione legislativa non
può essere delegato al Governo se non con determinazione di principi e criteri direttivi e soltanto per tempo
limitato e per oggetti definiti».
La legge di delegazione viene approvata dalle Camere e affida al Governo il potere di disciplinare una data
materia, a patto che rispetti i principi e i criteri direttivi posti dalla legge di delegazione. La legge di
delegazione fissa il termine entro il quale il Governo interviene con il decreto legislativo, inoltre fissa l’oggetto.
La Costituzione consente alle regioni a statuto ordinario e speciale di emanare fonti primarie (leggi)
limitatamente al loro territorio e a materie specifiche, lo Stato si priva così in tutto o in parte della disciplina
legislativa su quelle materie. Spetta alle Regioni la potestà legislativa in riferimento ad ogni materia non
espressamente riservata alla legislazione dello Stato.
Il principio di separazione dei poteri è un principio basilare e universale secondo il quale se non esiste un previo
divieto od obbligo imposto da una autorità legittima, esiste libertà di fare o non fare, libertà giuridicamente
tutelata. Esso costituisce il meccanismo ideale al quale dovrebbe corrispondere la realtà sociale.
1)Prima vanno formulate le norme generali e astratte che prescrivono in astratto i comportamenti di fare o non
fare, con la conseguenza che tutto il resto resta libero, e questa libertà deve essere tutelata nel modo più efficace
possibile di fronte alle aggressioni minacciate o tentate o portate;
2) Poi quando viene richiesto dalla regole, vanno concretamente applicate le regole di comportamento se
necessario usando la forza o per impedire la violazione delle regole o per punire chi ha violato le regole;
3) Se nascono controversie intorno alla corretta applicazione o non applicazione delle regole, diventa necessario
che vi siano soggetti imparziali che accertino se vi è stata violazione e poi ristabiliscano il diritto violato fino è
umanamente possibile. Queste tre funzioni, porre regole generali e astratte, accertare la corrispondenza tra
quanto accaduto e la previsione del diritto e adottare le misure che ne conseguono se vi è stata violazione di
norme devono essere svolte da persone, organi e strutture distinte e reciprocamente indipendenti per lo
svolgimento della funzione loro attribuita.
La distinzione e reciproca indipendenza nell’esercizio della funzione permette di sperare che ciascun potere
non abusi di essa. Coloro che dettano e pongono le norme non possono applicare in concreto tali regole e non
possono accertare se violazioni vi sono state. Il Parlamento non può ordinare l’arresto di una persona e
giudicarla; coloro che applicano in concreto le regole non possono crearle e non possono giudicare da se stessi
se le hanno bene o male applicate; coloro che giudicano sulla corretta applicazione delle regole non possono
però crearle e devono limitarsi ad accertare se violazione vi è stata e a prescrivere le misure previste dalle
norme.
Attribuzione ad ogni potere di una funzione ben determinata e distinta dalle funzioni attribuite agli altri poteri:
ciascuna funzione deve essere attribuita a poteri distinti sennò se più funzioni fossero attribuite e concentrate in
capo al medesimo potere si apre la strada all’arbitrio, al sopruso. Se la funzione legislativa e quella esecutiva
fossero attribuite al medesimo potere, questo potere potrebbe adottare leggi tiranniche, e se il potere che fa le
leggi potesse anche giudicare le liti, verrebbe messo in grado di fronte ad una determinata controversia di
derogare alla legge generale, introducendo una regola arbitraria.
I poteri, distinti e separati, dovrebbero potersi condizionare reciprocamente, in modo tale che ciascun potere
freni gli eccessi degli altri. Il potere lasciato a se stesso tende ad abusare, si crea tra i diversi poteri un sistema di
controllo reciproco, ovvero un sistema di pesi e contrappesi.
Magistrature speciali: alcuni organi titolari di funzioni giurisdizionali sono però previsti dalla stessa
Costituzione:
• Consiglio di Stato
• Corte dei Conti
• Tribunali militari
L’art. 102 deve essere interpretato nel senso che non possono essere istituiti altri giudici speciali.
Giurisdizione e Giudici.
La Giurisdizione è la parte di funzione giurisdizionale attribuita ad una magistratura (ordinaria o speciale),
mentre il Giudice è un funzionario dello Stato legato ad esso da un rapporto di impiego a cui accede tramite
concorso pubblico. Il giudice amministra la giustizia in nome del popolo ma non c’è legame diretto tra giudice e
popolo (caso di giudici elettivi).
I giudici ordinari amministrano la giustizia civile e penale attraverso organi giudicanti e organi requirenti, si
divide in:
• Giurisdizione Civile: le cause civili possono essere intentate davanti ad un Giudice di Pace o ad un
Tribunale, a seconda del valore della causa o della materia.
Il processo è atto di parte: il giudice civile è un soggetto passivo che decide in base alla domanda e alle prove e
ai documenti presentati dalle parti. Nel processo civile le parti sono:
- Attore: chi inizia la causa;
- Convenuto: controparte chiamata in giudizio.
Il principio del doppio grado di giurisdizione: la parte che ha perso la causa (soccombente) può chiedere un
nuovo giudizio (Giudizio d’appello) ad altro giudice (Giudice d’appello) al quale si chiede di: rivalutare i fatti
accaduti (merito) e di rivalutare l’applicazione delle norme giuridiche (diritto).
Il principio del doppio grado di giurisdizione è un principio generale che non è però esplicitato dalla
Costituzione.
Il terzo grado di giurisdizione prevede il ricorso alla Corte di Cassazione, è un giudizio sul solo diritto
(legittimità) cioè la Cassazione valuta solo la corretta applicazione delle norme al caso.
• Giurisdizione Penale: si occupa dei reati, illeciti a cui si applica la sanzione penale. Il giudice penale si attiva
su impulso del Pubblico Ministero (PM) un magistrato che rappresenta lo Stato, i reati sono perseguibili o
d’ufficio (non è necessario che ci sia una denuncia affinché si attivi il PM, si tratta dei reati più gravi) o su
querela di parte (si pensi al reato di diffamazione).
- Art. 112 Cost.: «Il pubblico ministero ha l’obbligo di esercitare l’azione penale», significa che quando un PM
viene a conoscenza di una notizia di reato ha l’obbligo di avviare l’indagine;
- Art. 109 Cost.: «L’autorità giudiziaria dispone direttamente della polizia giudiziaria».
A seconda della gravità del reato il processo penale può essere intentato davanti:
- Giudice di pace
- Tribunale
- Corte d’Assise.
LA CORTE COSTITUZIONALE
Il controllo di costituzionalità.
Il controllo di costituzionalità può essere:
• Diffuso: ogni giudice, quando nella risoluzione di una data controversia riscontra l’illegittimità di una legge
rispetto alla Costituzione (cioè della legge che deve applicare) può dichiararlo e disapplicare quella legge in
relazione al caso che sta risolvendo (USA).
• Accentrato: il giudice non può dichiarare l’incostituzionalità ma deve investire della questione un giudice
apposito, il giudice costituzionale (Italia).
La Corte Costituzionale.
La Corte Costituzionale è un tribunale che ha il compito di annullare le leggi dell’ordinamento che violano la
Costituzione, attraverso la sua attività Costituzione viene rispettata.
• Giustizia costituzionale: sistema di controllo giurisdizionale del rispetto della Costituzione.
• Corte costituzionale: organo giurisdizionale deputato ad assicurare il rispetto della Costituzione.
Art. 134 Cost.: «La Corte costituzionale giudica: sulle controversie relative alla legittimità costituzionale delle
leggi e degli atti, aventi forza di legge, dello Stato e delle Regioni; sui conflitti di attribuzione tra i poteri dello
Stato e su quelli tra lo Stato e le Regioni, e tra le Regioni; sulle accuse promosse contro il Presidente della
Repubblica, a norma della Costituzione.»
Giudici Costituzionali.
Si tratta di un organo collegiale composto da 15 membri che durano in carica 9 anni, scelti da soggetti diversi
tra categorie diverse ma con competenze tecniche specifiche:
• 5 giudici nominati dal Presidente della Repubblica;
• 5 Giudici eletti dal Parlamento in seduta comune;
• 5 giudici nominati dalla magistratura.
Art. 135 Cost.: «I giudici della Corte sono scelti tra i magistrati delle giurisdizioni superiori, i professori
ordinari di università in materie giuridiche e gli avvocati dopo 20 anni di esercizio. La carica di giudice
costituzionale è incompatibile con quella di parlamentare, di consigliere regionale e con la professione di
avvocato.»
Il controllo relativo alla costituzionalità delle leggi potrebbe avvenire teoricamente in due modi:
• Controllo preventivo: prima dell’entrata in vigore della legge (Francia);
• Controllo successivo: dopo l’entrata in vigore (Italia).
Il giudice a quo, prima di mandare gli atti alla Corte Costituzionale deve fare un doppio controllo:
• Rilevanza della norma per il giudizio: la norma deve essere applicata in quel giudizio;
• Non manifesta infondatezza della questione: il dubbio di costituzionalità non deve essere palesemente
infondato.
Il giudice dovrà sospendere il giudizio e investire della questione la Corte costituzionale perché questa si
pronunci sulla effettiva incostituzionalità della legge. Rispetto a quel giudizio, il ricorso alla Corte è un
incidente cioè qualcosa che si inserisce nel suo normale corso e che in qualche modo lo blocca.
La libertà di comunicazione e la libertà di manifestazione del pensiero si distinguono tra loro soltanto per la
diversa modalità prescelta per fare giungere al destinatario il proprio pensiero. Le espressioni del pensiero
disciplinate dall’art. 15 Cost., in quanto coperte da segreto, non possono non indirizzarsi formalmente e
sostanzialmente altro che a destinatari previamente individuati, sennò la segretezza delle comunicazioni
tutelata da tale norma non avrebbe senso. Invece, le espressioni disciplinate dall’art. 21 Cost. sono
inconciliabili con la segretezza non solo quando sono rivolte ad una generalità di soggetti, ma anche quando
sono rivolte ad un singolo o ad una ristretta pluralità di soggetti.
La comunicazione è segreta quando vengono scelte modalità di comunicazione dalle quali si presume la
volontà che quella comunicazione sia riservata e che siano esclusi i terzi dal conoscerla.
Ad esempio nel caso di una cartolina postale si tratta di libertà di manifestazione del pensiero perché la
cartolina viene trasmessa con modi che non ne rendono segreto il contenuto.
L’Evoluzione tecnologica dei mezzi di comunicazione ha generato un ampliamento delle dimensioni del
fenomeno informativo, si parla di fenomeno della convergenza multimediale: un unico mezzo consente la
realizzazione di svariati servizi comunicativi e informativi. Uno stesso tipo di comunicazione presenta talvolta i
connotati di entrambe le libertà (determinatezza dei destinatari e diffusività del messaggio).
Il parametro della determinatezza dei destinatari si rivela insufficiente a segnare il discrimine tra art. 15 e art. 21
Cost. Esempi:
• Social network, chat, social group: l’utente a volta non sa se la conversazione alla quale partecipa è una
comunicazione chiusa al pubblico o meno. Ad esempio se un utente ha un profilo privato i contenuti da lui
pubblicati non posso essere diffusi.
• Servizi televisivi su richiesta (Video on Demand): l’utente richiede al fornitore la trasmissione di un
programma nell’orario desiderato. L’utente interagisce con il gestore del servizio. Però non si applica l’art. 15
Cost. perché la persona del destinatario è irrilevante per l’emittente: la comunicazione ha un carattere
originariamente non riservato e comunque non personalizzato in funzione dei soggetti riceventi individualmente
considerati. Quindi, per il video on demand si applica l’art. 21 della Costituzione e non l’art. 15, perché non è
comunicazione riservata.
Caso: un quotidiano pubblica il contenuto di una mailing list di magistrati, il giornale fa una campagna contro
questi magistrati affermando che dalle conversazioni pubblicate si capisce che questi magistrati sono faziosi e
che hanno un’antipatia nei confronti della persona pubblica di cui stavano parlando nei messaggi.
Uno dei magistrati si reca da un giudice e dice che si tratta di violazione della segretezza della comunicaizone e
il tribunale gli da ragione.
Le mailing list dovrebbero essere assimilate alla corrispondenza privata di cui all’art. 15 Cost., da ciò
l’inapplicabilità della scriminante del diritto di cronaca. Blog, forum, on line e siti di discussione liberamente
accessibili sul web sono invece riconducibili all’art. 21 Cost.
Sia nella libertà di comunicazione sia nella libertà di manifestazione del pensiero bisogna distinguere tre fasi:
1) emissione del messaggio;
2) trasmissione del messaggio;
3) ricezione del messaggio.
Nell’art. 15 Cost. la ricezione del messaggio deve poter avvenire per volontà del mittente al riparo della
curiosità dei terzi. Quindi il mittente deve preoccuparsi di porre al riparo della curiosità dei terzi anche le fasi
dell’emissione e della trasmissione.
Informazione e comunicazione.
Comunicazione è un termine con doppia derivazione.
• Origine greca: comunicazione nel senso di rendere comune e partecipare, viene sottolineato il concetto di
comunità.
• Origine latina: condividere, comunicazione come scambio di significati, si presuppone la presenza di un
mittente, di un destinatario e di un messaggio.
Informazione in senso generale è un’accezione sfumata della comunicazione, è il contenuto veicolato: lo
strumento sociale di conoscenza legato al concetto di comunità.
La libertà di manifestazione del pensiero è la pietra angolare dell’ordine democratico, non può esserci una
democrazia se non viene tutelata la libertà di manifestazione del pensiero o se non c’è una libera informazione
perché tutti i diritti esercitati dall’uomo presuppongono l’informazione.
Il principio della libera manifestazione del pensiero è tra quelli più analiticamente regolamentati nella
Costituzione repubblicana.
L’articolo 21 non tratta di radio e televisione, non compaiono una serie di profili concettuali che invece in altri
testi contemporanei sono presenti. Il rilevare alcune lacune nella formulazione dell’art. 21 Cost. non significa
disconoscere il valore sostanziale della disposizione. Dottrina e giurisprudenza costituzionale hanno contribuito
a fornire una lettura espansiva articolata della libertà di manifestazione del pensiero. Ricorrenti sono stati i
tentativi di aggiornamento formale del testo in relazione ai nuovi mezzi di comunicazione.
Venne fatta una proposta emendativa 1317 presentata al Senato nella XVII Legislatura (2013-2018) con cui era
stata proposta l’aggiunta, dopo il primo comma, della seguente previsione: «Tutti hanno il diritto di accedere
liberamente alla rete Internet. La Repubblica rimuove gli ostacoli di ordine economico e sociale al fine di
rendere effettivo questo diritto. La legge promuove e favorisce le condizioni per lo sviluppo della tecnologia
informatica».
L’articolo 21 riconosce vari passaggi, sopratutto tre momenti socialmente e politicamente significativi e
qualificanti della libertà di manifestazione del pensiero:
1) Informazione e cronaca: fondamentale per la formazione del pensiero e della critica.
2) Critica dell’esistente: la critica può organizzarsi e diventare una lotta organizzata.
3) Proposta e programma di mutamento: la lotta organizzata che si manifesta in una proposta di cambiare la
situazione esistente.
L’articolo 2 garantisce la manifestazione del proprio pensiero e il fatto che possa essere trasmesso il pensiero di
altri purché sia riprodotto in modo legale, ovvero senza violare i diritti altrui. Ad esempio attraverso l’intervista.
L’articolo 21 garantisce anche il diritto d’autore, ovvero il prodotto dell’ingegno, proprio perché garantisce il
pensiero garantisce anche il frutto del pensiero. Il diritto d’autore è il divieto che venga diffusa quell’opera da
altri senza il consenso di chi l’ha creata e degli eredi nel caso in cui chi l’ha creata sia scomparso.
Ad esempio per distribuire un film serve il consenso del regista e dell’autore.
Il falso.
Un altro tema importante è quello della falsità, la Costituzione non dice nulla su questo. Il falso si distingue se
viene trasmesso con la volontà di dire una bugia o se viene trasmesso con la convinzione che sia vero.
Dal punto di vista della nostra Costituzione affinché una notizia falsa possa essere punita è necessario che
quella falsità danneggi dei diritti fondamentali delle persona, ad esempio diffondere notizie false che possono
ledere la salute altrui. Se una falsità non danneggia diritti altrui non viene punita.
Il nostro ordinamento ha una norma specifica sulle notizie false, Art. 656 del codice penale: punisce la
diffusione di notizie false, esagerate e tendenziose atte a turbare l’ordine pubblico. Notizie tendenziose atte a
turbare l’ordine pubblico, quindi non solo le notizie consapevolmente false ma anche quelle tendenziose che
interpretano i fatti, sia pure in modo sbagliato.
In molti pensano che questo articolo non rispetti pienamente la Costituzione perché l’ordine pubblico non è
previsto in Costituzione e non è previsto nemmeno come limite nei confronti della libertà di manifestazione del
pensiero. Questo articolo introduce un limite alla libertà di pensiero che non è previsto in Costituzione.
Mezzi di comunicazione.
Come sancito dall’articolo 21 tutti hanno diritto di manifestare il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni
altro mezzo di diffusione, ma ciò non significa che tutti hanno garantita la possibilità di usare tutti i mezzi in
condizioni di eguaglianza.
Nonostante i limiti di concentrazione tutti i mezzi di comunicazione di massa sono nella proprietà di
pochissimi soggetti, quelli più forti economicamente. I mezzi di diffusione più importanti, quotidiani e mezzi
radiotelevisivi, non sono egualitariamente a disposizione di tutti, ma solo di pochi, cosicché la proclamazione di
principio della Costituzione per quanto concerne i mezzi di diffusione dovrebbe leggersi così: «tutti possono
manifestare liberamente il proprio pensiero con quei mezzi di diffusione che riescono ad usare col consenso dei
proprietari di tali mezzi».
Ad esempio per poter accedere ad alcuni mezzi di comunicazione, come la tv, deve esserci il consenso di chi li
controlla. Non vi è l’obbligo da parte di chi controlla questi mezzi di metterli a disposizione delle persone, su
questo punto la Costituzione non si esprime.
Il diritto ad essere informati esiste nel nostro ordinamento, ma esiste perché ci sono degli obblighi da parte della
controparte. Perché possano esistere diritti ad essere informati devono esserci obblighi informativi, affinché ci
siano obblighi informativi è necessario che l’obbligo di dare una certa informazione sia un obbligo imposto
perché c’è in ballo un valore o un diritto costituzionale. Ad esempio un medico ha l’obbligo di informarmi sulle
terapie perché quell’obbligo è imposto dall’obbiettivo di tutelare la salute.
Il buon costume.
Il buon costume è un limite espresso, un limite che l’articolo 21 in modo chiaro prevede come limite delle
manifestazioni di pensiero. Il buon costume è una clausola generale che va interpretata, fa riferimento alla
tutela della sensibilità collettiva e quando venne introdotto faceva riferimento alla tutela del pudore sessuale,
quindi c’era l’intento di proteggere i minori dai contenuti osceni. Per esempio veniva vietata la pubblicità dei
mezzi di contraccezione perché si riteneva che violasse la tutela del pudore sessuale.
C’era una norma del codice penale che prevedeva come reato il fatto di diffondere stampati osceni o che
facessero riferimento a particolari raccapriccianti che potessero istigare le persone a compiere delitti o al
suicidio. La Corte Costituzionale affermò la correttezza di quella norma attraverso la sentenza costituzionale n.
293 del 2000 perché interpretò il buon costume come protezione della dignità umana.
Nel 2000 Vittorio Feltri fondò la rivista Libero e nello stesso anno fece una campagna contro la pedofilia, diede
la notizia di una grande inchiesta internazionale della magistratura penale su un traffico di minori che venivano
rapiti per scopi pedo-pornografici pubblicando le immagini (prese da internet) di questi minori seviziati. Feltri
venne colpito da un procedimento davanti all’ordine dei giornalisti, secondo i quali lui con quel tipo di
informazione aveva violato la dignità umana. Feltri si difese spiegando che aveva utilizzato quelle immagini
con l’intenzione di risvegliare le coscienze collettive, ma non fu necessario perché avrebbe potuto fare la stessa
informazione senza indugiare su quegli aspetti raccapriccianti (le immagini).
Il concetto di buon costume è un concetto generale che viene interpretato alla luce dell’evoluzione della società.
Diffamazione.
La libertà di pensiero e di informare hanno dei limiti, ovvero i diritti degli altri. Quando un giornalista scrive un
articolo o esprime un’opinione potrebbe incorrere nella diffamazione (nel caso in cui abbia aggredito o
danneggiato la reputazione di un’altra persona), però il codice penale afferma che l’esercizio di un diritto
esclude la punibilità, significa che se il giornalista dimostra di aver esercitato in modo corretto il proprio diritto
non può essere punito. Per dimostrare che l’informazione esercitata dal giornalista sia corretta egli deve
dimostrare di aver soddisfatto tre criteri:
• che abbia detto il vero;
• che quello che ha detto riguardasse un argomento di interesse pubblico;
• che il linguaggio utilizzato fosse improntato a educazione e civiltà.
La stampa.
Il mezzo di manifestazione del pensiero che la Costituzione protegge in modo particolare è la stampa, le regole
che riguardano l’informazione sono costruite intorno alla stampa. Articolo 21 Cost. c. 2: «La stampa non può
essere soggetta ad autorizzazioni o censure» questo sostanzialmente significa due cose:
• Divieto di autorizzazioni per la stampa: provvedimenti preventivi che rimessi al potere discrezionale
dell’autorità amministrativa possono impedire la pubblicazione degli scritti destinati al pubblico come giornali
e periodici. In sostanza sono vietati provvedimenti che prevedono che un’autorità amministrativa decida a
propria discrezione se uno scritto possa uscire.
Durante tutta l’epoca del fascismo la stampa fu soggetta ad autorizzazione, era soggetta alla licenza
dell’autorità di pubblica sicurezza che aveva il potere discrezionale di decidere se autorizzare o meno l’uscita
degli scritti.
• Divieto di censura: divieto di controllo preventivo sulla stampa, adottato con provvedimento contenente un
giudizio sulla manifestazione del pensiero rimesso alla P.A. Questo controllo riguarda il contenuto dello
stampato, c’è un divieto di esercitare un controllo di tipo politico, ideologico e culturale sul contenuto dello
stampato proprio perché c’è la libertà di pensiero. L’autocensura non è fronteggiabile.
La stampa è un fenomeno che comprende tutte le riproduzioni tipografiche o comunque ottenute con mezzi
meccanici o fisico-chimici, in qualsiasi modo destinate alla pubblicazione (art. 1 legge n. 47 del 1948).
Destinate alla pubblicazione significa che deve esserci un servizio di distribuzione. C’è un grosso problema, si
applicano a internet le norme che riguardano la stampa?
Solo le forme di registrazione sono ammesse, la registrazione è un obbligo per la stampa e viene effettuata dal
tribunale del luogo nel quale lo stampato viene pubblicato, ovvero del territorio competente. Bisogna
presentarsi al tribunale con una serie di documenti:
• Una dichiarazione firmata del proprietario del giornale e del direttore o vice direttore responsabile: ovvero
qualcuno che risponda dei contenuti dello stampato e perciò deve esercitare l’obbligo di controllo sui contenuti
che vengono pubblicati, questo permette di tutelare i lettori. Nel caso di un articolo diffamatorio risponde di
diffamazione colui che l’ha scritto, ma risponde anche il direttore responsabile per mancato controllo.
• Un documento da cui risulta l’iscrizione all’ordine dei giornalisti del direttore responsabile;
• Una copia dello statuto dell’impresa giornalistica.
Sulla base di questi documenti il tribunale ordina le registrazione del giornale presso il registro della cancelleria
del tribunale. Nel caso in cui un giornale venga pubblicato senza registrazione è un reato di stampa clandestina
perché non viene indicato un responsabile che risponde per mancato controllo sui contenuti.
La registrazione non è un’autorizzazione perché il tribunale è obbligato a registrare il giornale se vengono
presentati in modo regolare tutti i documenti, non si tratta di una scelta.
I commi 3 e 4 dell’articolo 21 riguardano il sequestro della stampa: «Si può procedere a sequestro soltanto per
atto motivato dell'autorità giudiziaria nel caso di delitti, per i quali la legge sulla stampa espressamente lo
autorizzi, o nel caso di violazione delle norme che la legge stessa prescriva per l'indicazione dei responsabili.
In tali casi, quando vi sia assoluta urgenza e non sia possibile il tempestivo intervento dell'autorità giudiziaria, il
sequestro della stampa periodica può essere eseguito da ufficiali di polizia giudiziaria, che devono
immediatamente, e non mai oltre ventiquattro ore, fare denunzia all'autorità giudiziaria. Se questa non lo
convalida nelle ventiquattro ore successive, il sequestro s'intende revocato e privo d'ogni effetto».
• Violazione delle norme: nel caso di uno stampato che esca senza la registrazione, ovvero di una stampa
clandestina;
• Delitti: stampati che offendono il buon costume o la pubblica decenza, stampati che violino il diritto d’autore
(ad esempio citare sul giornale un’opera senza che venga indicato l’autore) e stampati che compiono apologia
di fascismo (stampati che inneggino al fascismo).
Il problema venne posto in Assemblea Costituente, sopratutto per quanto riguarda i finanziatori dei giornali
perché spesso in Italia i giornali rappresentano gli interessi dei loro editori e proprietari. Sapere quelli che sono
gli interessi economici, finanziari e politici che si celano dietro alla stampa è fondamentale e si lega all’articolo
3 della Costituzione: «È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che,
limitando di fatto la libertà e la uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e
l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese».
Significa che se non c’è una legge che obbliga le imprese editoriali a rendere noti coloro che finanziano la
stampa ci si trova di fronte ad un ostacolo sociale perché questa ignoranza è un ostacolo ad una libera
formazione delle opinioni, perché altrimenti ci si formerebbe un opinione che non tiene conto che dietro ad un
giornale ci siano forti interesse economici, politici e finanziari.
Ad esempio ci sono giornali che decidono di non ricevere finanziamenti da imprese che hanno rapporti di
aziende che producono armamenti
La Corte europea dei diritti dell’uomo ha emesso delle sentenze dove ha assicurato una tutela molto ampia e
importante della libertà di informazione, a volte anche di più rispetto all’articolo 21.
Il giornalismo è l’attività informativa più importante perché i giornalisti sono coloro che dal punto di vista
professionale svolgono l’attività informativa che si esprime sia nel diritto di cronaca (diritto di trasmettere e
raccontare fatti di interesse pubblico) sia nel diritto di critica (esprimere il punto di vista sui fatti di interesse
pubblico).
La legge che regola la professione giornalistica è la legge n. 69/1963 che ha il merito di garantire la libertà di
informazione dei giornalisti sopratutto sotto due punti di vista: innanzitutto per essere giornalisti è necessario
sottoporsi all’esame di stato (gestito dalla categoria dei giornalisti), il secondo aspetto riguarda il governo
deontologico (è la categoria stessa che si occupa di punire i professionisti che si comportano scorrettamente).
Gonella: «Non lo Stato, ma i giornalisti sono delegati ad abilitare i giornalisti alla loro professione. Questo è il
carattere peculiare del nostro esame che è di Stato, ma che è, per volontà dello Stato, affidato alla professione».
Le regole di correttezza professionale dei giornalisti derivano dall’articolo 2 e sono contenute nel documento
deontologico più importante: il Testo Unico dei doveri del giornalista, qui sono confluite tutte le carte
deontologiche che riguardano i giornalisti.
Costituisce attività giornalistica: la raccolta, il commento, l’elaborazione di notizie, quindi di fatti caratterizzati
dall’attualità, destinate a formare oggetto di comunicazione interpersonale. Il giornalismo si occupa di fatti di
attualità che vengono da lui raccolti, commentati ed elaborati, con lo scritto, con la grafica e con riprese video
per essere forniti al pubblico.
Si tratta di un’attività creativa perché l’attività non si esaurisce nella raccolta della notizia e dunque nella sua
prospettazione asettica. La notizia viene sempre selezionata, elaborata e commentata. Il giornalista è un filtro
tra il fatto e il pubblico che di esso viene portato a conoscenza. Si tratta di un’attività intellettuale, presentando
inoltre la caratteristica della intermediazione tra il fatto e il pubblico.
Il giornalismo è legato ad un’ordine, si tratta di un’associazione alla quale si deve appartenere se si vuole
svolgere in via professionale l’attività giornalistica. L’istituzione dell’Ordine completa e definisce l’autonomia
del giornalista e degli istituti che lo rappresentano; è anche un’ente di diritto pubblico, ovvero è regolato da
leggi di diritto pubblico, come tutti gli ordini professionali che esistono.
L’attività giornalistica segue anche le regole del codice civile, l’articolo 2229 del codice civile definisce
professioni intellettuali quelle riconosciute come tali dalla legge e per il cui esercizio è necessaria l’iscrizione in
appositi albi o elenchi. L’art. 2229 codice civile devolve agli ordini professionali l’accertamento dei requisiti
per la iscrizione negli albi e negli elenchi, la tenuta dei medesimi e il potere disciplinare sugli iscritti.
Nel caso in cui vengano gravemente violate le regole di etica professionale danneggiando l’immagine di tutta la
professione nei confronti della società è prevista la radiazione dall’albo.
Le persone che ritengono di essere danneggiate dai giornalisti per diffamazione spesso non si rivolgono al
giudice penale perché dovrebbero dimostrare la dolosità (la volontà del giornalista di violare la reputazione)
ma, si rivolgono al giudice civile per il risarcimento del danno perché può essere ottenuto anche se la
diffamazione del giornalista è avvenuta per colpa (un giornalista che è stato negligente e non sapeva che la
notizia non fosse veritiera).
Organizzazione.
Il giornalismo è l’attività di mediazione finalizzata alla conoscenza della realtà da parte della comunità, i
giornalisti sono gli intermediari necessari della nostra conoscenza della realtà.
I soggetti dell’attività giornalistica sono:
• I professionisti: svolgono attività giornalistica in modo esclusivo e continuato;
• I pubblicisti: svolgono attività giornalistica non occasionale e retribuita, anche se esercitano
contemporaneamente altre professioni o impieghi. I pubblicisti non devono superare l’esame di stato, viene
semplicemente iscritto nell’elenco dei pubblicisti, per fare ciò è necessario dare prova di aver svolto l’attività
giornalistica per almeno due anni mediante la presentazione della propria attività (per esempio dei suoi scritti
certificati dal direttore responsabile). Sono sottoposti alle regole deontologiche del testo unico dei giornalisti.
• I direttori responsabili di carattere tecnico, professionale o scientifico, che possono iscriversi in elenchi
speciali pur non esercitando l’attività giornalistica;
• I telecinefotoperatori che sono iscritti nell’elenco dei professionisti o in quello dei pubblicisti;
• I praticanti ai sensi della legge n. 69 del 1963, vi è un apposito registro per i praticanti. I requisiti per
l’iscrizione nel registro dei praticanti sono il compimento dei 18 anni di età, l’assenza di procedimenti penali
gravi, il possesso di un titolo di studio non inferiore alla licenza media superiore o in mancanza il superamento
di una prova di cultura generale. Il praticantato deve svolgersi per 18 mesi presso un quotidiano, servizio
giornalistico radiofonico o televisivo, agenzia di stampa a diffusione locale e con almeno 4 giornalisti
professionisti redattori ordinari, o ancora presso un periodico a diffusione nazionale con almeno 6 giornalisti
professionisti redattori ordinari.
La prova orale consiste in un colloquio diretto ad accertare la conoscenza dei principi dell'etica professionale,
delle norme giuridiche attinenti al giornalismo e specificatamente delle tecniche e pratiche inerenti all'esercizio
della professione. In particolare è richiesta la conoscenza delle seguenti materie:
• elementi di storia del giornalismo;
• elementi di sociologia e di psicologia dell'opinione pubblica;
• tecnica e pratica del giornalismo: elementi teorici fondamentali; esercitazione di pratica giornalistica;
• norme giuridiche attinenti al giornalismo: elementi di diritto pubblico; ordinamento giuridico della
professione di giornalista e norme contrattuali e previdenziali; norme amministrative e penali concernenti la
stampa; elementi di legislazione sul diritto di autore;
• etica professionale;
• i media nel sistema economico italiano.
Lo svolgimento della prova orale comprende anche la discussione di un argomento di attualità, liberamente
scelto dal candidato e anticipato in forma scritta con una tesina, nel settore della politica interna, della politica
estera, dell'economia, del costume, dell'arte, dello spettacolo, dello sport, della moda o in qualsiasi altro campo
specifico nel quale egli abbia acquisito una particolare conoscenza professionale durante il praticantato.
Problemi.
L’Italia ha delle regole sul giornalismo che non hanno delle somiglianze con quelle degli altri paesi, l’ordine dei
giornalisti non esiste nella maggior parte degli altri paesi e questo da luogo ad una serie di problemi di
legittimità costituzionale. L’ordine professionale è una struttura associativa necessaria di chi si dedica allo
svolgimento prevalentemente in forma autonoma di un’attività intellettuale a contenuto tecnico-professionale
considerata di pubblico interesse. Gli ordini esistono e si giustificano nella misura in cui garantiscono alla
società i principi di fede pubblica, cioè che la società possa riporre un’adeguata fiducia nei confronti di quel
professionista.
Si può sostenere che siano costituzionalmente illegittime alcune disposizioni inerenti all’Ordine e alle sue
attribuzioni:
• Primo problema: per svolgere in modo professionale l’attività giornalistica bisogna aver superato l’esame di
stato e iscriversi nell’albo dei professionisti, questo è una limitazione della libertà di pensiero che può essere
esercitata da tutti indipendentemente dall’appartenenza ad un’ordine?
• Secondo problema: il fatto che bisogna essere assunti presso l’azienda editoriale per svolgere la pratica
implica il rischio che per adeguarsi a quell’impresa editoriale il praticante (soggetto debole) debba limitare la
sua libertà di pensiero, c’è il rischio di omologazione ideologica?
Questi aspetti furono presentati alla corte costituzionale che si è espressa tramite una sentenza importantissima:
la sentenza n. 11 del 1968 nella quale afferma la peculiare funzione svolta dall’Ordine: autotutela della
categoria, funzione di contrastare il potere economico dei datori di lavoro e di vigilare sulla dignità
professionale degli iscritti al fine di evitare che questi vedano limitato e compromesso l’esercizio della libertà di
informazione. Il contenuto è il seguente:
• Differenza sostanziale tra l’esercizio della libertà di stampa da parte di un soggetto comune, cosa sempre
ammessa, e l’esercizio della libertà di stampa da parte di un soggetto professionalmente qualificato come
giornalista; la legge n. 69 del 1963 disciplina solamente la professione giornalistica, non disciplina affatto l’uso
del giornale come mezzo di manifestazione e di diffusione del pensiero. Mentre l’art. 21 Cost. disciplina l’uso
dello scritto come mezzo della libera espressione; la legge professionale disciplina l’esercizio della professioni
giornalistica. Le due discipline si pongono su piani diversi.
• Un conto è la possibilità per tutti e non solo per i giornalisti professionisti di servirsi della stampa, cosa
sempre ammessa; un conto invece è la disciplina della professione giornalistica, di chi intende svolgere in modo
professionistico il giornalismo. Questo non viola l’art. 21 Cost.
Sempre nella sentenza 11 del 1968 sull’art. 29 che richiede per l’iscrizione dei professionisti, fra l’altro,
l’iscrizione nel registro dei praticanti e l’esercizio della pratica per almeno 18 mesi. Il pericolo che l’accesso al
registro dei praticanti e, mediatamente all’albo sia rimesso alla completa discrezionalità degli editori, dei
direttori e degli altri giornalisti già iscritti: «La Corte osserva che, se è vero che ove il soggetto interessato non
trovi un giornale che lo assuma come praticante egli non potrà mai intraprendere la carriera giornalistica, è
altrettanto vero che neppure il giornalista iscritto può svolgere la sua attività professionale se non trova un
editore disposto ad assumerlo; il che dimostra che ci si trova di fronte a conseguenze che non derivano dalla
legge in esame, ma dalla struttura privatistica delle imprese editoriali, nell’ambito della quale la non
discriminazione può essere assicurata soltanto dalla concorrenza della molteplicità delle iniziative giornalistiche
(la Corte lancia una direttiva affermando che l’unica soluzione per evitare la discriminazione è un sistema
pluralistico nel quale ci siano più imprese editoriali, più è ampio il numero delle imprese e minore diventa la
possibilità di discriminazioni perché c’è un’offerta maggiore)».
I giornalisti di nazionalità straniera.
I giornalisti di nazionalità straniera (art. 36) possono iscriversi in un elenco speciale se hanno compiuto 21 anni
e sempre che lo Stato di cui sono cittadini pratichi il trattamento di reciprocità. Questa sentenza è assurda (si
pensi alle persone che vengono da paesi dove le libertà fondamentali non sono riconosciute). Secondo la Corte
costituzionale (sentenza n. 11 del 1968) non è ragionevole che lo straniero in genere e lo straniero qualificato
dal fatto di appartenere ad uno Stato che non riconosce le libertà democratiche siano trattati nello stesso modo,
perché per lo straniero a cui nel proprio Stato non sono riconosciute le libertà democratiche la clausola di
reciprocità si traduce in una grave limitazione della libertà di chi versa nelle condizioni che giustificano la
concessione dell’asilo politico secondo l’art. 10, comma 3 Cost. Qui si tratta di uno straniero che deve poter
godere almeno in Italia di tutti quei fondamentali diritti democratici che non siano strettamente inerenti allo
status civitatis. Pertanto questa clausola deve essere dichiarata illegittima costituzionalmente.
Fotografia.
Si è molto discusso se la fotografia potesse essere ritenuta attività giornalistica, la fotografia è un mezzo
importantissimo ed un grande mezzo di manifestazione del pensiero, essa può anche avere una connotazione
artistica. La fotografia può avere anche uno scopo informativo, attraverso essa si posso trasmettere conoscenze
su fatti di interesse pubblico, opinioni, punti di vista, commenti e critiche. La fotografia può svegliare le
coscienze su determinati eventi e produrre mobilitazioni e lotte rispetto a determinate questioni di interesse
politico e sociale.
Affinché i fotografi possano essere considerati giornalisti che svolgono attività informativa continuativa devono
avere due caratteristiche:
• l’immagine deve o sostituire o completare l’informazione scritta;
• l’operatore fotografico deve svolgere questa attività in modo autonomo, deve avere un’autonomia decisionale
e operativa nella scelta e nella narrazione del fatto.
Il fotoreporter svolge attività giornalistica quando organizzando le foto secondo uno sviluppo concettuale le
rende omogenee con titoli e commenti in modo che l’insieme risulti idoneo a svolgere le funzioni di
concettualizzazione dell’evento e a descrivere il fatto per fornire la notizia o il commento.
Ad esempio per anni facebook oscurò la foto di una bambina nuda che fuggiva dai bombardamenti, tramite
ricorso si riuscì ad far cambiare l’algoritmo di facebook perché la foto aveva la funzione di svegliare le
coscienze ed alimentare il dibattito sopra le atrocità della guerra.
Il Consiglio nazionale è composto da non più di sessanta membri di cui due terzi professionisti e un terzo
pubblicisti, eletti dagli iscritti agli Ordini regionali e interregionali, prevedendo in ciascuna categoria almeno un
rappresentante delle minoranze linguistiche riconosciute.
Austria e Danimarca.
In Austria e in Danimarca vi è un’inesistenza di una legge sulla professione giornalistica. In Austria non c’è
nessun Ordine professionale ma solo un sindacato a iscrizione facoltativa. Un apposito Consiglio, composto da
rappresentanti dei sindacati dei giornalisti, degli editori e dei periodici e dei fotoreporters rilascia una speciale
Carte de Press agli aspiranti giornalisti, dopo averne accertato la qualificazione professionale in base al lavoro
svolto e alle prestazioni effettuate.
Germania.
In Germania non vi sono normative che proteggano il titolo professionale di giornalista e disciplinino
l’esercizio della professione giornalistica. Chiunque può esercitarla, anche senza titolo di studio. La via più
usuale di accesso alla professione consiste nell’iniziare un periodo di due anni di praticantato retribuito. I
giornalisti per bilanciare il potere degli editori in grado di assumere in piena libertà senza condizionamenti di
alcun genere hanno dato vita a quattro sindacati.
Portogallo.
Il Portogallo è l’unico paese con una situazione simile a quella italiana. Qui opera un Ordine dei giornalisti
previsto da una legge del 1979. La legge portoghese del 13 gennaio 1999 prevede uno statuto con l’elenco dei
diritti e dei doveri del giornalista, essa venne modificata dalla legge n. 64 del 2007, che prevede come
condizione imprescindibile per l’esercizio della professione giornalistica il conseguimento dell’abilitazione e
del titolo rilasciato dalla Commissao da Carteira Profissional de Jornalista CCPJ.
Una tutela privilegiata all’attività informativa viene garantita dall’articolo 51, infatti il diritto di cronaca
permette di invocare a chi lo esercita l’operatività di una clausola generale di non punibilità affermata dall’art.
51 codice penale, in base alla quale «l’esercizio di un diritto o l’adempimento di un dovere imposto da una
norma giuridica o da un ordine legittimo della pubblica autorità esclude la punibilità».
Nel caso del diritto di informare quando vengono rispettai i criteri dell’interesse pubblico, della verità e della
continenza vuol dire che il diritto è stato esercitato correttamente e non può esserci punizione e quindi non può
esserci diffamazione.
Diffamazione a mezzo stampa.
L’articolo 595 del codice Penale si occupa della diffamazione: «Chiunque, fuori dei casi indicati nell'articolo
precedente, comunicando con più persone, offende l'altrui reputazione, è punito con la reclusione fino a un anno
o con la multa fino a euro 1.032. Se l'offesa consiste nell'attribuzione di un fatto determinato, la pena è della
reclusione fino a due anni, ovvero della multa fino a euro 2.065. Se l'offesa è recata col mezzo della stampa o
con qualsiasi altro mezzo di pubblicità, ovvero in atto pubblico, la pena è della reclusione da sei mesi a tre anni
o della multa non inferiore a euro 516. Se l'offesa è recata a un Corpo politico, amministrativo o giudiziario, o
ad una sua rappresentanza o ad una autorità costituita in collegio, le pene sono aumentate».
Davanti al giudice penale è necessario dimostrare la presenza del dolo, ovvero la volontà libera e consapevole
di diffondere notizie o commenti con la consapevolezza che quel commento può danneggiare l’altrui
reputazione, bisogna che ci sia la coscienza e la volontà di ciò che si dice, di ciò che si scrive e di ciò che si
manifesta. Davanti ad un giudice civile è sufficiente che ci sia stata la colpa, ovvero che il giornalista sia stato
incauto e negligente,è più semplice dimostrare la diffamazione a mezzo stampa davanti ad un giudice civile.
Pene per la diffamazione, Art. 13 Legge n. 47 del 1948: «Nel caso di diffamazione commessa col mezzo della
stampa, consistente nell’attribuzione di un fatto determinato, si applica la pena della reclusione da uno a sei
anni e quella della multa non inferiore a lire 500.000».
La diffamazione a mezzo stampa è applicabile a internet? No perché in base all’articolo 1 della legge n.
47/1948: «Sono considerate stampe e stampati, ai fini di questa legge, tutte le riproduzioni tipografiche o
comunque ottenute con mezzi meccanici o fisico-chimici, in qualsiasi modo destinati alla pubblicazione».
L’art. 30 della legge 6 agosto 1990, n. 223 ha esteso l’aggravante medesima anche alla radio e alla televisione,
pubbliche e private, eliminando così ogni disparità di trattamento basata sul diverso mezzo di comunicazione
attraverso cui la diffamazione si realizza. Si tratta della prima legge riguardante il sistema radio-visivo italiano.
La diffamazione a mezzo stampa è quindi punibile con la reclusione (anche se è avvenuto rarissimamente), il
problema è: la pena carceraria è legittima per un reato di opinione? La Corte Europea dei diritto dell’uomo
parla dell’informazione come watchdog in numerose sentenze e afferma che le sanzioni a carico dei giornalisti
sono un’ingerenza nell’esercizio del diritto di informazione. Ritiene l’ingerenza legittima solo a tre condizioni:
1) che l’ingerenza sia prevista dalla legge;
2) che sia un mezzo necessario per perseguire finalità legittime nel contesto di una società democratica;
3) che essa sia proporzionata al fatto.
In alcune sentenze la corte europea ha affermato che la pena carceraria è una pena eccessiva, nella sentenza del
2 aprile 2009 Kydonis c. Grecia la Corte Europea dei Diritti dell’uomo ha ritenuto che le pene detentive non
sono compatibili con la libertà di espressione, perché il carcere ha un effetto deterrente sulla libertà dei
giornalisti di informare con effetti negativi sulla collettività che ha a sua volta diritto a ricevere informazioni. Il
carcere ha un effetto dissuasivo per l’esercizio della libertà di stampa. Non solo; molte sentenze hanno
riconosciuto la violazione dell’art. 10 della Corte Europea dei Diritti dell’uomo in assenza di proporzionalità
tra comportamento e sanzione pecuniaria, a causa dell’eccessivo peso economico della sanzione sulla persona
accusata di diffamazione. Questo significa che se un giornalista riceve una condanna a risarcimento del danno
da parte di giudici italiani avrebbe la possibilità di ricorrere alla Corte Europea, quest’ultima può anche
verificare se il risarcimento del danno a cui è stato condannato il giornalista sia eccessivo perché una sanzione
eccessivamente pesante ha l’effetto di minaccia nei confronti della libertà di informare.
Il Direttore responsabile autorizza la pubblicazione di articoli ritenuti lesivi della reputazione altrui. L’ Art. 57
del codice penale «Salva la responsabilità dell’autore della pubblicazione e fuori dei casi di concorso il
direttore o il vice direttore responsabile, il quale omette di esercitare sul contenuto del periodico da lui diretto
il controllo necessario ad impedire che col mezzo della pubblicazione siano commessi reati, è punito a titolo di
colpa, se un reato è commesso, con la pena stabilita da tale reato diminuita di un terzo». Quindi se colui che ha
firmato l’articolo viene condannato a sei anni il direttore verrà condannato a due anni perché a lui spetta un
terzo della pena di chi viene condannato per diffamazione. Non è detto che il direttore responsabile volesse la
diffamazione, però avrebbe dovuto esercitare il controllo sulla testata giornalistica; viene quindi messa in
evidenza la posizione di preminenza del direttore responsabile nella redazione e l’obbligo di controllo sui
contenuti degli scritti.
Possono esserci dei casi in cui il direttore responsabile non risponde solamente in base all’articolo 57 del codice
penale (per mancato controllo) ma potrebbe rispondere anche lui per diffamazione insieme a chi ha scritto
l’articolo (concorso) per esempio condividendo i contenuti diffamatori.
Caso Sallusti
La Cassazione con la sentenza n. 41249/2012: ha confermato la condanna a 14 mesi di carcere nei confronti di
Alessandro Sallusti, direttore de Il Giornale, colpevole di avere diffamato un magistrato della Repubblica. Il
Direttore fu chiamato a rispondere per culpa in vigilando rispetto ad un articolo anonimo pubblicato sulla
testata da lui diretta, ma soprattutto per concorso nel reato di diffamazione a mezzo stampa avendo egli
approvato e modificato il testo dell’articolo oggetto di contestazione.
Il Giornale fece una campagna sul caso di una ragazzina di tredici anni che decise di abortire, la legge consente
l’interruzione volontaria della gravidanza ma avendo la minore meno di quattordici anni serviva il consenso dei
genitori e di un giudice dei minori che ha il compito di verificare che la decisione della minore sia libera e la
sua capacità di intendere e di volere. In questo caso c’era il consenso della madre, ma non del padre che era
andato via.
Il Giornale fece una campagna contro la decisione del giudice tutelare sulla base di un elemento: la ragazza
dopo aver abortito era stata ricoverata in un reparto di malattie mentali. Sulla base di questo dato il giornale di
Sallustri fece una campagna durissima contro il giudice affermando che avesse costretto la ragazza ad abortire.
Il magistrato denunciò il giornalista che aveva scritto quegli articoli e anche il direttore del giornale perché i
titoli erano in prima pagina e implicano il coinvolgimento e quindi la responsabilità del direttore.
Sallusti fu condannato al 14 mesi di carcere perché il Giornale non corresse mai le notizie, in più Sallusti aveva
già condanne precedenti per diffamazione a mezzo stampa. Si rivolse alla Corte Europea dei diritti dell’uomo
che affermò quello che aveva affermato anche nel caso precedente, ovvero la diffamazione c’era stata però la
pena carceraria era eccessiva.
Il Presidente della Repubblica Napolitano nel dicembre 2012 intervenne commutando la pena detentiva in
sanzione pecuniaria (carcere come extrema ratio per i reati di opinione).
Proposte di legge per modificare la disciplina della diffamazione a mezzo stampa e per eliminare la pena
della detenzione.
Nel maggio 2013 sono state presentate alle Camere svariate proposte di legge che puntano a modificare la
disciplina della diffamazione a mezzo stampa eliminando la pena detentiva per i delitti contro l’onore come
ingiuria e diffamazione. Il Disegno di legge Costa era composto di tre articoli: i reati di ingiuria e diffamazione
sono conservati come delitti e quindi non sono depenalizzati; ad essi non si applicherebbe più la pena detentiva
ma solamente una sanzione pecuniaria (multa).
Altri provvedimenti previsti dal Disegno:
• Obbligo di rettifica imposto ai siti giornalistici on line registrati in base all’art. 5 legge n. 47/1948.
• La rettifica, per tutte le testate comprese naturalmente anche quelle cartacee, dovrà avvenire entro 48 ore e
senza commento (senza le code, ovvero quando comunque il giornalista ribadisce che crede in quello che ha
scritto).
• La rettifica tempestiva e completa, dopo una valutazione del magistrato, eviterà anche le sanzioni pecuniarie
perché anche se è stato commesso un errore si con la rettifica si è provveduto alla sua riparazione.
In Commissione giustizia della Camera è stato chiarito che l’obbligo di rettifica e le sanzioni in caso di
pubblicazione di notizie diffamatorie varrebbero solamente per i siti on line giornalistici, ossia le testate web
registrate e dotate di direttore responsabile, mentre resterebbero escluse dalla fattispecie di reato i blog non
registrati.
Il tribunale di Bari e di Salerno sollevarono un questione di legittimità costituzionale, la reclusione alla luce di
quanto affermato dalla Corte Europea (caso Belpietro e Sallusti) rispetta l’articolo 21 della Costituzione? È una
pena legittima per chi fa informazione?
La Corte Costituzionale afferma che bisogna valutare se la pena carceraria possa essere proporzionata a questi
fatti e questo deve deciderlo il Parlamento con una legge. Questa è una scelta che spetta a chi fa le leggi e deve
quindi essere il Parlamento ad assumersi questa responsabilità riesaminando questa questione ed intervenendo
con una legge che faccia ordine su questa delicata materia. La Corte Costituzionale rinvia all’udienza pubblica
del 22 giugno 2021 la trattazione delle questioni di legittimità costituzionale sollevate dal Tribunale ordinario di
Salerno e dal Tribunale ordinario di Bari. Il Parlamento ha tempo fino a giugno del 2021 per intervenire in
materia, se così non fosse sarà la Corte Costituzionale ad intervenire in materia.
Con utilità sociale dell’informazione si intende la rilevanza oggettiva del fatto narrato, la divulgazione di ogni
informazione che risponda all’interesse della collettività a essere tenuta al corrente su particolari aspetti
dell’organizzazione sociale.
Tutta l’editoria del gossip risponde a questo? Nella maggior parte dei casi il gossip ha il consenso della persona
interessata, diversa è invece la questione dell’intimità sociale di persone che rivestono cariche pubbliche,
allorquando una persona riveste una funzione socialmente rilevante anche il suo operato come soggetto privato
interessa il pubblico nella misura in cui esso possa avere attitudine a incidere pregiudizievolmente sull’esercizio
delle sue funzioni e sulla istituzione che egli rappresenta.
Per esempio una giornalista può pubblicare un articolo dove viene reso pubblico il fatto che un personaggio
politico soffra di una determinata malattia perché questa può incidere sul suo operato. La privacy di queste
persone si riduce.
Il Decreto Legislativo 196 afferma che l’attività giornalistica permette la pubblicazione di dati personali senza il
consenso del titolare quando questi dati vengono utilizzati per motivi di informazione giornalistica.
Il Garante della privacy è un’autorità amministrativa indipendente, è un soggetto pubblico indipendente nei
confronti del potere politico che svolge un’attività amministrativa sul campo della privacy. Egli controlla che
sia rispettata la legge sulla privacy, in materia del trattamento dei dati personali e sensibili e ha il potere di
disporre il blocco dei dati.
«Il Garante promuove ai sensi dell’articolo 12 l’adozione da parte del Consiglio nazionale dell’ordine dei
giornalisti di un codice di deontologia relativo al trattamento dei dati di cui all’articolo 136, che prevede
misure ed accorgimenti a garanzia degli interessati rapportate alla natura dei dati, in particolare per quanto
riguarda quelli idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale».
Questo codice deontologico contiene tutte quelle regole di correttezza professionale che vengono imposte al
giornalista rispetto al rapporto tra giornalista e privacy. Il Codice deontologico relativo al trattamento dei dati
personali nell'esercizio dell’attività giornalistica (1998) è previsto dal Dlgs. n. 196/2003 e allegato al Testo
unico dei doveri del giornalisti. Con un testo unico vi è un’interpretazione più ordinata di tutte queste regole.
Secondo il Garante il principio di essenzialità dell’informazione comporta una particolare attenzione circa la
reale necessità di divulgare dati, immagini e dettagli non strettamente necessari per dare conto di fatti di
cronaca e vicende giudiziarie. Necessità di assicurare un’adeguata tutela dei diritti di soggetti coinvolti dalla
utilizzazione o dalla diffusione di immagini relative a comportamenti strettamente personali raccolte con
tecniche intrusive all’interno di luoghi di privata dimora, all’insaputa degli interessati e comunque senza il loro
consenso. Non costituisce invece violazione della privacy la raccolta di immagini, realizzate con artifizi o
raggiri effettuata in un luogo aperto al pubblico come il ristorante o un spiaggia dove chiunque avrebbe potuto
fotografare o filmare persone note senza ricorrere all’uso scorretto di tecniche invasive.
Se l’utilità sociale non pare definibile a priori il giornalista e poi il giudice dovrà valutare la presenza di questo
requisito in base alle circostanze oggettive e soggettive che di volta in volta qualificano un evento. L’atto di
portare a conoscenza del pubblico dati medici sullo stato di salute di una persona potrebbe rappresentare una
violazione della riservatezza personale o all’opposto una manifestazione legittima del diritto di cronaca seconda
che la persona in questione sia un noto attore o un Capo di Stato. Per l’attore questa conoscenza soddisfa
solamente una mera curiosità del pubblico; per il Capo di Stato, invece, la conoscenza può contribuire alla
formazione di una pubblica opinione su fatti oggettivamente rilevanti per la collettività quali per esempio la
stabilità di un governo.
Il caso arrivò al Garante che pone precisi paletti entro i quali i diritti in conflitto possano trovare un equilibrio.
Secondo il Garante il giornalismo non ha operato nel modo corretto violano le regole dell’interesse pubblico e
dell’essenzialità. Come si sarebbe potuto tutelare adeguatamente il diritto ad essere informati dei clienti a
rischio infezione nel rispetto della riservatezza e della dignità della donna? Sarebbe stato sufficiente, come del
resto è avvenuto in casi di cronaca successivi, un ricorso da parte dei media a procedure informative più
selettive quali «la divulgazione della notizia della sieropositività … di una persona che si prostituiva
abitualmente in una determinata zona, accompagnata … dall’istituzione di numeri verdi o di altri servizi di
informazione e assistenza».
Banche dati.
Art. 2. Banche dati di uso redazionale e tutela degli archivi personali dei giornalisti. Adeguamento del codice
deontologico al Regolamento europeo n. 679 del 2016 secondo il dlgs. n. 101 del 2018
• Il giornalista che raccoglie notizie deve rendere note la propria identità, la propria professione e le finalità
della raccolta salvo che ciò comporti rischi per la sua incolumità o renda altrimenti impossibile l’esercizio della
funzione informativa; evita artifici e pressioni indebite. Fatta palese tale attività, il giornalista non è tenuto a
fornire gli altri elementi dell’informativa.
• Se i dati personali sono raccolti presso banche dati di uso redazionale, le imprese editoriali sono tenute a
rendere noti al pubblico, mediante annunci, almeno due volte l’anno, l’esistenza dell’archivio e il luogo dove è
possibile esercitare i diritti previsti dal Regolamento. Le imprese editoriali indicano altresì fra i dati della
gerenza il responsabile del trattamento al quale le persone interessate possono rivolgersi per esercitare i diritti
previsti dal Regolamento.
• Gli archivi personali dei giornalisti sono tutelati, per quanto concerne le fonti delle notizie e il giornalista può
conservare i dati raccolti per tutto il tempo necessario al perseguimento delle finalità proprie della sua
professione.
Giornalismo d’inchiesta.
Il giornalismo d’inchiesta è una tipologia peculiare a sé stante di cronaca e ha una caratteristica fondamentale:
la notizia viene acquisita in modo diretto, autonomo e attivo da parte del giornalista e non mediata da fonti
esterne mediante la ricezione passiva di informazioni. Il giornalismo d’inchiesta è l’espressione più alta e nobile
dell’attività di informazione; con tale tipologia di giornalismo, infatti, maggiormente si realizza il fine di detta
attività quale prestazione intellettuale volta alla raccolta, al commento e alla elaborazione di notizie destinate a
formare oggetto di comunicazione interpersonale attraverso gli organi di informazione, per sollecitare i cittadini
ad acquisire conoscenza di tematiche meritevoli, per il rilievo pubblico delle stesse.
Due giornalisti fecero un’indagine sulla malasanità ed ebbero dei commenti negativi su un laboratorio di analisi
privato. Si presentarono con due contenitori sterili all’interno dei quali misero del tè e lo spacciarono per
liquido organico, in seguito gli vennero presentate delle analisi come se si trattasse di liquidi organici.
Il laboratorio clinico denunciò i giornalisti per diffamazione e li accusò di aver utilizzato l’artificio della
menzogna perché non si erano presentati e avrebbero dovuto dire che quello nei contenitori era tè.
La Cassazione si pronunciò in favore dei giornalisti e vennero assolti, potevano comportarsi nel modo in cui si
sono comportati perché lo afferma anche l’articolo 2 del codice deontologico, non è infatti necessario rivelarsi e
qualificarsi quando potrebbe essere a rischio la propria inchiesta giornalistica.
Il giornalismo d’inchiesta è il tipo di giornalismo che è maggiormente collegato con il principio di sovranità
popolare. L’articolo 1 della Costituzione afferma che la sovranità appartiene al popolo e per poter esercitare
questa sovranità necessita di informazioni su fatti di interesse pubblico, quindi questo tipo di giornalismo è
quello che permette maggiormente di esercitare la sovranità popolare.
Il giornalista è un medium, è un testimone dei fatti che formalizza, gerarchizza, contestualizza ed elabora in
notizia. Il giornalista non può invece essere un costruttore di fatti, un creatore di fatti, un soggetto che
determina i fatti (il problema dell’agente provocatore). Deve essere un medium, un mezzo, un fattore di
mediazione fra una fonte e gli utenti.
Verità e continenza.
Nel nostro ordinamento costituzionale la libertà di manifestazione del pensiero incontra il limite della verità dei
fatti in riferimento al diritto di cronaca dei giornalisti e a condizioni ben determinate: la verità oggettiva o
putativa dei fatti (dunque quantomeno comprovata da una seria verifica delle fonti delle notizie), condizione
che la giurisprudenza ritiene rispettata fino a quando si possa dimostrare la buona fede del cronista.
La verità putativa è rispettata quando ad esempio un giornalista ha effettuato una serie verifica delle fonti.
Anche una notizia incomplete viene considerata non vera.
Per la giurisprudenza è necessaria l’inesistenza di fonti privilegiate che dispensino il giornalista dall’onere
dell’esame, del controllo e della verifica dei fatti, bisogna impedire che le varie fonti d’informazione,
attribuendosi reciprocamente credito, finiscano per legittimarsi a vicenda creando una spirale di
autoreferenzialità. Sennò il semplice riscontro di una fonte privilegiata basterebbe ad esonerare il cronista dallo
svolgere i ricordati compiti di verifica e dalla conseguente responsabilità, nell’eventualità in cui la notizia
dovesse rivelarsi non vera.
Le agenzie giornalistiche sono quelle imprese che hanno come attività quella di cercare e trasmettere
informazioni per i propri clienti. I dispacci delle agenzie giornalistiche costituiscono fonti di autorevolezza e
quindi i giornali possono dare a queste agenzie di stampa una presunzione di verità perché non è possibile al
giornalista controllare determinate fonti in tempi brevi.
Verità nell’ambito della cronaca giudiziaria. La cronaca giudiziaria è lecita quando diffonda la notizia di un
provvedimento giudiziario, ovvero riferisca o commenti l’attività investigativa o giudiziaria, mentre non lo è
quando le informazioni desumibili da un provvedimento giudiziario vengano utilizzate per proprie ricostruzioni
o ipotesi giornalistiche, di per sé offensive.
Homo Videns.
Giovanni Sartori è l’autore del libro Homo videns nel quale fa un’analisi molto pessimistica del passaggio
dall’Homo sapiens all’Homo videns, ovvero una persona che acquisisce il proprio sapere sopratutto grazie alle
immagini e abbandona la lettura. Viene criticato il momento in cui la televisione è diventata il principale
strumento di informazione. Nel libro fa una distinzione molto interessante:
• Sotto-informazione: informazione del tutto insufficiente che impoverisce troppo la notizia che dà, o altrimenti
il non informare affatto (omissione informativa o silenzio di fatto), la pura e semplice eliminazione di nove
notizie su dieci; ridurre troppo.
• Informazione: trasformazione del fatto grezzo in notizia, la trasformazione non permette al destinatario di
disporre degli elementi essenziali del fatto avente rilievo pubblico (verità e interesse pubblico, mediante
l’indice dell’essenzialità, risultano nella sotto-informazione carenti).
• Disinformazione: distorsione dell’informare, il dare notizie falsanti che inducono l’ascoltatore in inganno.
Informazione falsa o fuorviante, diffusa con il proposito consapevole di ingannare il destinatario. La
disinformazione come manipolazione distorsiva dell’informazione. Può essere deliberata o riflettere una
deformazione professionale.
Sotto-informazione e disinformazione sono due fenomeni che appartengono alle fake news.
Si presenta il problema della legge professionale n. 69, che pone a carico dei giornalisti e degli editori l’obbligo
di rispettare il segreto sulla fonte delle notizie fiduciarie, ma non spiega cosa succede se un giornalista viene
convocato da un giudice nell’ambito di un procedimento penale e la magistratura potrebbe avere informazioni
utili se venisse a conoscenza della fonte della notizia. Il problema è: come deve comportarsi il giornalista?
Un tempo il nostro ordinamento giuridico non contemplava i giornalisti fra le categorie di professionisti che
hanno il diritto di astenersi dal testimoniare a causa del segreto.
Era costituzionalmente legittimo che il giornalista, un tempo, a differenza di altri professionisti (medici,
avvocati, sacerdoti ecc.) non potesse davanti ad un giudice tacere sulla fonte che gli aveva trasmesso la notizia?
L’esigenza di riservatezza è posta in correlazione a quella del soddisfacimento di interessi fondamentali di chi
fornisce la notizia; nel senso che la conoscenza di questa è strumentale per la prestazione in favore di colui che
ne ha bisogno. Il quale non potrebbe non confidarsi senza sacrificare di regola interessi costituzionalmente
garantiti. E la normativa in esame è appunto dettata per assicurare in pari tempo il soddisfacimento di questi
ultimi e la tutela della riservatezza. Questo vale per il segreto professionale sulla notizia (medici, avvocati ecc.).
Il segreto del giornalista è diverso perché non riguarda il fatto che viene pubblicato ma solamente l’identità
della fonte. Per quanto riguarda i segreti professionali l’opponibilità al giudice del segreto mira alla tutela di
interessi coperti da garanzia costituzionale individuale (libertà di coscienza, il diritto alla salute, il diritto alla
difesa ecc.), i quali prevalgono sull’interesse generale alla realizzazione della giustizia (segreto professionale di
medici, avvocati, sacerdoti, farmacisti ecc.) Il segreto professionale del giornalista, invece, è statuito dalla legge
a garanzia della sua libertà di informazione e conosce, a differenza degli altri segreti professionali, tutti i limiti
legislativamente disposti e costituzionalmente giustificati che siano legati all’interesse di giustizia.
Nel 1981 la Corte Costituzionale pronunciò una sentenza importantissima, Sentenza numero 1:
1. Non si vuole invero disconoscere l'esistenza di una vera e propria libertà di cronaca dei giornalisti
(comprensiva dell'acquisizione delle notizie) e di un comune interesse all'informazione, quale risvolto passivo
della libertà di manifestazione del pensiero, né il ruolo svolto dalla stampa come strumento essenziale di quella
libertà; che è, a sua volta, cardine del regime di democrazia garantito dalla Costituzione.
2. Sta di fatto che l'interesse protetto dall'art. 21 della Costituzione non è in astratto superiore a quello parimenti
fondamentale della giustizia: nei cui confronti è stato anzi ritenuto cedevole nelle concrete situazioni giuridiche
esaminate dalle precedenti sentenze n. 25 del 1965 e n. 18 del 1966.
3. Nel conflitto tra tali due istanze deve essere il legislatore nella sua discrezionalità a realizzare la ragionevole
ed equilibrata composizione degli opposti interessi.
La Corte costituzionale non annulla la legge che non permette al giornalista di avvalersi del segreto verso il
giudice. Deve essere il Parlamento ad intervenire sulla materia.
La vicenda del segreto professionale sulla fonte è esplosa in Italia attraverso due casi storici molto importanti, il
primo è quello di Oriana Fallaci. Pasolini venne ucciso e un ragazzo all’ora minorenne si dichiarò colpevole, la
Fallaci qualche mese dopo scrisse un reportage nel quale affermava di aver saputo da fonti attendibili che
Pasolini fu ucciso da tre persone, facendo intendere che il suo omicidio fosse stato premeditato.
Il giudice che si stava occupando dell’inchiesta relativa all’omicidio Pasolini convocò la Fallaci e gli chiese di
svelare le sue fonti, la Fallaci si rifiutò perché le sue fonti volevano rimanere anonime perché temevano per la
loro vita. Il giudice decise quindi di incriminare la Fallaci per falsa testimonianza e per testimonianza reticente
e venne condannata.
Sull’onda di questo caso venne modificato l’articolo 200 del codice di procedura penale:
1. Non possono essere obbligati a deporre su quanto hanno conosciuto per ragione del proprio ministero, ufficio
o professione, salvi i casi in cui hanno l'obbligo di riferirne all'autorità giudiziaria.
2. Il giudice, se ha motivo di dubitare che la dichiarazione resa da tali persone per esimersi dal deporre sia
infondata, provvede agli accertamenti necessari. Se risulta infondata, ordina che il testimone deponga.
3. Le disposizioni previste dai commi 1 e 2 si applicano ai giornalisti professionisti iscritti nell'albo
professionale, relativamente ai nomi delle persone dalle quali i medesimi hanno avuto notizie di carattere
fiduciario nell'esercizio della loro professione. Tuttavia se le notizie sono indispensabili ai fini della prova del
reato per cui si procede e la loro veridicità può essere accertata solo attraverso l'identificazione della fonte della
notizia, il giudice ordina al giornalista di indicare la fonte delle sue informazioni.
Venne introdotto per la prima volta nel nostro sistema il diritto di non dire il nome della fonte davanti al giudice
penale.
Quando un Giudice obbliga un giornalista a rivelare la sua fonte deve dimostrare che sia l’unico modo per poter
arrivare ad accertare la prova di reato ed individuare i responsabili, se ci sono altri mezzi meno invasivi della
libertà di informazione per arrivare ad accertare la prova del reato il Giudice deve perseguire queste strade.
Solo i professionisti godono della tutela del segreto professionale sulla fonte. L’art. 200 c.p.p. esclude i
pubblicisti. Anche i praticanti sono esclusi, sebbene siano sottoposti alla vigilanza dell’Ordine dei giornalisti.
Sono sorti numerosi dubbi di costituzionalità rispetto al principio di eguaglianza-ragionevolezza di cui all’art. 3
Costituzione, infatti ci sono stati casi in cui alcuni tribunali hanno riconosciuto ad una giornalista pubblicista il
diritto di avvalersi del segreto professionale sulla fonte.
Il segreto professionale sulle fonti si estende «a tutte le indicazioni che possono condurre all’identificazione di
coloro che hanno fornito fiduciariamente le notizie». Rientrano pertanto nel segreto professionale anche
«l’indicazione relativa alle utenze telefoniche di cui il giornalista disponeva» e probabilmente anche «tutti
quegli ulteriori elementi (e.g. i luoghi in cui si è recato in un determinato periodo) che possano comunque
essere utili a stabilire un collegamento investigativo tra questi e la fonte al fine di rintracciarla» .
Il giornalista ricevette da una fonte fidata alcune informazioni su una società di programmi elettronici, la Tetra
Ltd. Il giornalista rivelò che tale società aveva accumulato numerosi debiti e perdite di gestione. La Società
Tetra, paventando il rischio che la divulgazione di tali notizie pregiudicasse la sua immagine e l’andamento dei
bilanci chiese all’Alta Corte di giustizia inglese che fosse vietata la pubblicazione di quelle informazioni e che
il giornalista venisse condannato a rivelare la fonte delle informazioni ricevute, al fine di evitare nuove fughe di
notizie. Secondo l’Alta Corte di giustizia e la Corte di appello inglesi il diritto alla protezione delle fonti
giornalistiche può incontrare limiti insuperabili nell’interesse della giustizia, della sicurezza nazionale nonché
ai fini di prevenzione di disordini o di delitti.
Secondo la Corte di Strasburgo il ricorso di Goodwin è fondato ai sensi dell’art. 10 CEDU, qualificando il
diritto alla protezione delle fonti giornalistiche come parte integrante del diritto di ogni giornalista a ricercare le
notizie, argomentando che l’assenza di tale protezione potrebbe dissuadere le fonti non ufficiali dal fornire
notizie importanti al giornalista, con al conseguenza che quest’ultimo correrebbe il rischio di non ottenere
quelle informazioni indispensabili all’esercizio del diritto di cronaca e al soddisfacimento del diritto ad essere
informati da parte dei cittadini. L’interesse del giornalista a preservare la confidenzialità delle proprie fonti è
collegato alla volontà di non scoraggiare fonti future e quindi di non ostacolare il proprio futuro lavoro.
Secondo pertanto i giudici di Strasburgo l’ordine di divulgazione delle fonti dell’informazione nel caso di
specie è stato giudicato mancante dei requisiti della necessità, della ragionevolezza e della proporzionalità,
considerato che eventuali limitazioni del diritto alla tutela delle fonti sono ammissibili soltanto in presenza di
un preminente interesse pubblico, tutelabile unicamente attraverso la mancata divulgazione delle fonti.
Per la Corte europea dei diritti dell’uomo provvedimenti come perquisizioni nei giornali e sequestro di
computer e documenti non solo sono in contrasto con la CEDU ma costituiscono uno degli atti più gravi a
danno della libertà di stampa, molto più gravi rispetto alla ripetuta richiesta al giornalista di svelare il nome
della fonte. Tanto più che quella classificazione dei giornalisti (la lista) è una questione di interesse pubblico
che la collettività deve conoscere, anche quando la notizia è attinta da materiale coperto da segreto perché su
tutto prevale la libertà di stampa, che può venire limitata solo in casi eccezionali e in presenza di un bisogno
sociale imperativo che deve essere dimostrato.
La Corte europea ha quasi sempre ritenuto sproporzionati perquisizioni e sequestri di materiali (specie
informatici) dei giornalisti. Ma ha ritenuto giustificato l’agire delle autorità in un caso in cui la fonte era
manifestamente un appartenente a organizzazioni terroristiche e in un altro in cui l’identificazione della fonte
era indispensabile per smantellare una rete di pedofili.
Internet non ha barriere di accesso ed è in grado di garantire un’offerta informativa di immediata fruizione,
all’insegna dell’enorme velocità, della transnazionalità, di una eccezionale interattività e di una diffusività
massima. Al world wide web si applicano sia l’art. 21 Cost. sia l’art. 10 CEDU. L’esercizio via Internet di una
libertà costituzionalmente garantita alimenta un circuito per una democrazia elettronica, intesa come
uguaglianza nelle condizioni di accesso per via telematica delle informazioni e come pari opportunità di
partenza nella navigazione in Rete per attingere notizie e opinioni su fatti di interesse pubblico.
L’unico limite opponibile a tale esercizio è rappresentato dalla necessità di tutela di beni di uguale portata
costituzionale e di pari valore sociale.
Noam Chomsky studiando la comunicazione di massa individuò tre meccanismi con i quali nel corso della
seconda metà del secolo scorso viene prima monopolizzato e poi orientato il potere di informare l’opinione
pubblica.
• Dimensione, proprietà e orientamento al profitto dei media.
• Filtro di controllo sui media sta nella pubblicità.
• Scelta delle fonti.
Il passaggio a internet rispecchia un passaggio di questo tipo «passiamo dall’era dei media di massa a quella
della massa di media». «Infatti, i media-tradizionali, stampa in primo luogo e televisione, sono media-centrici,
in quanto basati sulla centralità e sulla supremazia del mezzo di comunicazione e dei suoi titolari che elaborano
integralmente il contenuto informativo e lo diffondono in senso verticale ai destinatari i quali da quel contenuto
attingono, da una posizione ‘passiva’, le proprie conoscenze. Al contrario il complesso dell’informazione,
veicolata da Internet nelle differenti modalità (blog, siti di informazione, social media ecc. ), pare costituire o
contribuire a costituire un sistema iocentrico in cui ogni internauta possiede il potere di comunicare suoni, testi,
immagini, di scambiare dell’informazione, di redistribuirla, di mescolarla a diversi documenti, di realizzare sue
proprie foto e di mettere tutto sulla Rete dove masse di persone le vedranno, e a loro volta parteciperanno,
discuteranno, contribuiranno, faranno circolare».
(I media di massa erano strumenti caratterizzati da un rapporto gerarchico tra chi produce il contenuto, ovvero
l’informazione, e chi ne fruiva poiché non era possibile l’interazione, mentre la rete con le grandi possibilità
che offre permette in linea teorica a chiunque di poter partecipare ed elaborare contenuti di comunicazione ed
informativi.)
Il sistema io-centrico fa presupporre una sorta di rapporto informativo orizzontale. La disintegrazione del
giornalismo tradizionale è data da due fenomeni fra loro legati:
• l’esplosione della massa di informazioni;
• la competizione continua fra fonti di contenuti.
Quale rapporto si instaura con l’informazione tradizionale? La risposta è molto diversificata. Abbiamo i
professionisti dell’informazione, i quali, pur provenendo dai mezzi tradizionali di informazione, come carta
stampata e/o televisioni, operano anche sul web. Esistono le versioni online delle testate giornalistiche e della
carta stampata e delle emittenti televisive.
Insorgono, però, problemi interpretativi, in quanto la websfera costruisce la cosiddetta società della
comunicazione, nella quale non pare esservi linea divisoria fra professionisti dell’informazione e internauti, dal
momento che anche questi ultimi contribuiscono direttamente alla costruzione e alla diffusione dei contenuti
informativi. Ogni cittadino è in grado di essere parte attiva della continua elaborazione e diffusione di contenuti
informativi, riferenti ad eventi e tematiche di interesse pubblico. Il cittadino può fare tutto questo ricorrendo ai
moltissimi strumenti della società delle reti, quali computer, telefono, tablet ecc.
La oscillante valenza della connessione in rete tra la forma di comunicazione e il mezzo di diffusione del
pensiero rende estremamente difficile conciliare istituti e regole nati per una comunicazione al pubblico con
una comunicazione dai connotati molto incerti. A fronte di mezzi tecnici che consentono il raggiungimento
simultaneo di una cerchia molto ampia di destinatari, la tutela della segretezza delle comunicazioni, art. 15
Cost, è resa di fatto sempre più difficile da assicurare a causa della oggettiva facilità di captazione dei messaggi
e per le conseguenti pressioni della libertà di informazione e del diritto di cronaca. Es. caso dei messaggi di
posta elettronica scambiati mediante il sistema delle mailing list, alle quali può aderire un numero astrattamente
illimitato di persone, anche se individuate e conosciute dagli altri iscritti.
La giurisprudenza riconduce il sistema di comunicazione delle mailing list nell’ambito della libertà di
comunicazione di cui all’art. 15 Cost. come forma di corrispondenza epistolare privata e quindi segreta. Il
Tribunale di Milano nel 2007 affrontò un caso molto importante: il caso della pubblicazione sulla stampa
quotidiana di stralci di messaggi di posta elettronica scambiati fra gli utenti di una mailing list, insieme ai nomi
dei magistrati autori di alcuni di quei messaggi, con relativa sede di appartenenza e posizione ricoperta
dall’interno dell’ufficio. Il giornale prendeva posizione critica nei confronti di tale mailing list, riconducendola
alle due correnti di sinistra dei giudici e titolando «il partito dei giudici si trova in una chat per condannare il
Cavaliere». Il Tribunale ha escluso l’applicabilità dell’esimente del diritto di cronaca, assimilando i messaggi in
questione alla corrispondenza epistolare privata e ravvisando nella avvenuta pubblicazione gli estremi della
violazione del segreto epistolare.
L’esimente è una causa di non punibilità: significa che se un giornalista esercita correttamente il diritto di
informare non è responsabile di quello che scrive perché si è comportato direttamente. In questo caso il
Tribunale ritiene che non si possa dire che il giornalista abbia esercitato correttamente il diritto di cronaca e
quindi afferma per questo giornalista non si possa applicare l’esimente. Le comunicazioni della mailing list
sono come la posta privata e vi è quindi stata una violazione del segreto epistolare.
A blog, forum on line, siti di discussione liberamente accessibili sul Web essendo liberamente accessibili sul
web sono tutelati dall’art. 21 Cost. La facilità e l’economicità dell’accesso, la disponibilità di applicazioni per la
costruzione di siti personali e pagine di social networking che consentono il caricamento di contenuti di diversa
natura in Rete, hanno favorito negli ultimi anni e molto rapidamente la diffusione sul Web di informazioni
multimediali da parte di soggetti che nell’ambito cartaceo non avrebbero avuto la possibilità di diventare
produttori e diffusori di contenuti.
Problemi interpretativi.
Esistono delle leggi relative alla stampa cartacea. Tutte le regole che riguardano la stampa cartacea sono
applicabili all’informazione online?
L’articolo 1 legge n. 47/1948 considera stampa tutte le produzioni tipografiche o comunque ottenute con mezzi
meccanici o fisico-chimici in qualunque modo destinati alla pubblicazione. Il tipo di strumenti con cui viene
divulgata l’informazione su Internet è diverso dalla stampa cartacea. Tali strumenti non sono omogenei fra loro,
non svolgono in un unico modo la funzione informativa e spesso prescindono proprio dalla finalità di diffusione
di informazioni.
Il tema della parificazione del Web alla stampa cartacea è stato esaminato dalle legge n. 62 del 2001
sull’editoria elettronica. All’articolo 1 comma 1 estende la nozione di prodotto editoriale, precisando che tale
deve intendersi quello «realizzato su supporto cartaceo, ivi compreso il libro, o su supporto informatico,
destinato alla pubblicazione o, comunque, alla diffusione di informazioni presso il pubblico con ogni mezzo,
anche elettronico, o attraverso la radiodiffusione sonoro o televisiva, con esclusione dei prodotti discografici o
cinematografici. Si ha una definizione di prodotto che prescinde dal tipo di supporto o di veicolo per basarsi
esclusivamente sul contenuto.
L’articolo 2 della legge n. 47/1948 afferma che tutti i prodotti editoriali ai sensi della legge n. 62/2001 per
l’applicazione della legge sulla stampa devono recare il luogo e la data della pubblicazione, il nome e il
domicilio dello stampatore, nel caso dell’editoria online il riferimento va inteso alla collocazione del server, il
nome del proprietario e del direttore responsabile. Nel caso di pubblicazioni diffuse al pubblico con periodicità
regolare e contraddistinte da una testata viene previsto anche l’obbligo di registrazione presso il Tribunale.
Sulla nozione di prodotto editoriale e di stampa occorre fare alcune precisazioni. La dottrina prevalente,
valorizzando l’inciso «ai fini della presente legge» contenuto nell’art. 1 della legge n. 62/2001, sostiene infatti
che l’equivalenza tra prodotto editoriale e pubblicazioni in forma elettronica varrebbe solo ai fini
dell’applicazione della medesima legge in cui è contenuto, con l’effetto che gli obblighi informativi e di
registrazione sarebbero necessari solamente per l’accesso alle forme di finanziamento, diretto e indiretto, per le
imprese editoriali. In poche parole l’unico effetto della registrazione del prodotto informativo online è che
attraverso la registrazione può fare la domanda per accedere al finanziamento pubblico per le imprese editoriali.
Nella precisazione «ai fini della presente legge» lo scopo del legislatore era di circoscrivere la portata della
norma, ovvero di qualificare l’informazione online come prodotto editoriale solo in riferimento alla possibilità
di godere dei contributi previsti dalla legge erogati da un apposito fondo, oppure alla possibilità di beneficiare
del credito d’imposta a vantaggio delle imprese editoriali che effettuano investimenti e programmi di
ristrutturazione.
Una conferma in questo senso proviene da una disposizione come l’art. 7, comma 3, decreto legislativo n. 70
del 2003 sul commercio elettronico prevede che la registrazione della testata editoriale telematica è
obbligatoria esclusivamente per le attività per le quali il prestatore del servizio intenda avvalersi delle
provvidenze previste dalla legge sull’editoria.
Comunque, l’equiparazione tra prodotto editoriale elettronico e stampa rileva solamente ai fini della
partecipazione ai finanziamenti pubblici, e non può essere utilizzata per estendere alle pubblicazioni on line le
prerogative tipiche della stampa tradizionale.
Dato che l’unico effetto della registrazione è la possibilità di accesso al finanziamento tutte le altre regole che
riguardano la stampa cartacea non possono essere applicate al sito informativo online, ad esempio nel caso di
un giornale cartaceo che fa informazione a livello periodico e che non è registrato si tratterebbe di reato di
stampa clandestina mentre ad un sito di informazione online non registrato non si applica questo reato, per
stabilire ciò servirebbe una legge penale specifica (che preveda espressamente che i siti informativi online non
registrati sono responsabili del reato di stampa clandestina). Il principio fondamentale del rapporto tra stampa
cartacea e informazione online è che non si possono applicare le regole della carta stampata all’informazione
online, per fare ciò sarebbe una legge specifica.
Prima dell’emanazione della legge 7 marzo 2001 n. 62 la giurisprudenza sembrava orientata verso una
equiparazione di trattamento giuridico tra informazione tradizionale e informazione on line. Il Tribunale di
Roma il 6 novembre 1997 ha ritenuto che un periodico telematico, Interlex, dovesse essere registrato ai sensi
dell’art. 5 della legge sulla stampa. Il periodico telematico possiederebbe secondo i giudici sia il requisito
ontologico sia quello finalistico relativo alla diffusione delle notizie, pur con una tecnica di diffusione diversa
dalla stampa.
Caso Ruta.
Spartiacque è il caso Ruta. Il Tribunale di Modica l’8 maggio 2008 dopo l’entrata in vigore della legge n. 62 del
2001 ha condannato per violazione dell’art. 5 della legge n. 47 del 1948 sull’obbligo di registrazione della
testata Carlo Ruta, curatore di accadeinsicilia.net, blog antimafia in cui lo scrittore giornalista condensava un
grande lavoro di inchiesta e di ricostruzione di fatti di cronaca. Il blog viene chiuso perché considerato stampa
clandestina ai sensi dell’art. 16 l. n. 47 del 48. La decisione del Tribunale di Modica si basa sull’equiparazione
tra carta stampata ed editoria online in considerazione della regolare periodicità delle notizie pubblicate sul
blog, contraddistinto da una testata e quindi prodotto editoriale per il Tribunale a tutti gli effetti in base alla
legge n. 62 del 2001.
La sentenza però non tiene conto della corretta applicazione della legge n. 62 del 2001 che richiede come si è
detto ai fini dell’assimilabilità dei prodotti online ai prodotti cartacei altri requisiti come l’accesso ai
finanziamenti pubblici. La terza sezione penale della Cassazione assolve Ruta perché il fatto non sussiste,
cassando la sentenza di I e quella di II grado, escludendo la possibilità di applicare il reato di stampa
clandestina a un sito internet di informazione. Cassazione senza rinvio perché i blog non sono testate
giornalistiche e non hanno obbligo di registrazione a meno che non intendano ricevere pubblici finanziamenti.
Le regole di diritto penale non possono essere applicate a reati diversi rispetto a quelli per i quali sono previsti,
si tratta del divieto di analogia perché non si può applicare una legge prevista per la stampa cartacea a casi
diversi dalla stampa cartacea. Il contrario significherebbe applicare un trattamento sfavorevole a casi per i quali
non c’è una regola specifica.
Perché il periodico telematico non risponde dei contenuti scritti da altri? Su un sito internet con continui post
non è possibile che una persona possa realmente esercitare il controllo su tutti i contenuti.
Responsabilità del blogger.
Il Tribunale di Aosta, con sentenza del 25 maggio 2006, ha ritenuto che il gestore di un blog ha una posizione
identica a quella di un direttore di testata giornalistica. Il medesimo ha infatti il totale controllo di quanto viene
postato e, per l’’effetto, allo stesso modo di un direttore di giornale, ha il dovere di eliminare gli scritti offensivi,
anche se pubblicati in forma anonima. Il gestore di un blog risponde pertanto ex art. 596 bis ai sensi del quale
se il delitto di diffamazione è commesso col mezzo della stampa, le disposizioni relative al reato di
diffamazione si applicano anche al direttore o vicedirettore responsabile, all’editore e allo stampatore.
Il gestore del blog, invece, risponderà del reato di diffamazione per non aver impedito la pubblicazione o
disposto la rimozione degli scritti contenenti espressioni diffamatorie, permettendo o agevolando la diffusione
degli espressioni lesive dell’altrui onore e reputazione. Equiparando il blog ad una testata giornalistica, diverrà
pertanto ad esso applicabile la vasta normativa già esistente in tema di diffamazione a mezzo stampa e
diverranno rilevanti le pronunce giurisprudenziali in argomento.
Rappresenta un caso ambiguo perché attraverso la sentenza ha ritenuto che il gestore del blog fosse come il
direttore di una testata giornalistica e il blogger fu condannato perché il tribunale affermò, in contrarietà a
quelle che sono le regole di diritto, che il gestore di un blog avesse il totale controllo di quanto postato ed il
dover di provvedere ad eliminare tutti gli scritti offensivi.
La Corte di Appello di Torino, invece, ha ritenuto che tale parificazione tra il gestore di un blog e il direttore di
un giornale non fosse giuridicamente sostenibile, ed ha assolto il gestore del blog in relazione ai post da lui non
firmati, quindi non riconducibili a lui, pur confermando la condanna per i soli post scritti direttamente dal
gestore. Il titolare del blog è stato assolto dal reato di omesso controllo poiché tutti i post che non sono scritti
dal gestore del blog devono essere considerati anonimi
«L’interpretazione evolutiva e costituzionalmente orientata del termine stampa non può riguardare tutti in
blocco i nuovi mezzi, informatici e telematici, di manifestazione del pensiero (forum, blog, newsletter, mailing
list, pagine Facebook), a prescindere dalle caratteristiche specifiche di ciascuno di essi, ma deve essere invece
riconosciuta a quei casi che, per i profili strutturale e finalistico che li connotano, sono riconducibili nel
concetto stampa in senso più ampio».
La stampa non può essere interpretata in modo originalista, ovvero non possiamo interpretare la parola stampa
secondo quelle che erano le concezioni del 1948 dove per stampa si intendeva solamente quello che c’era in
quel periodo (il giornale cartaceo). La stampa è lo strumento elettivo dell’informazione e della comunicazione e
perciò non va intesa solamente nel senso cartaceo ma con un concetto evolutivo.
Un quotidiano o un periodico telematico è strutturato come un vero e proprio giornale tradizionale, con una sua
organizzazione redazionale e un direttore responsabile (spesso coincidenti con quelli della pubblicazione
cartacea) non potendo, per converso, paragonarsi ai siti web innanzi citati, in cui chiunque può inserire dei
contenuti, ed assumendo, invece, una sua peculiare connotazione, funzionalmente coincidente con quella del
giornale tradizionale. Ne consegue che appare incongruente, sul piano della ragionevolezza, ritenere che non
soggiaccia alla stessa disciplina prevista per quest’ultimo.
Le notizie devono essere contestualizzate ed elaborate, non può essere un semplice assemblaggio di notizie
provenienti da fonti esterne.
SISTEMA RADIOTELEVISIVO
Storia ed evoluzione.
La radio e la televisione sono tipi di comunicazione pervasiva nei confronti di un pubblico ampio e
indifferenziato. Sono stati i primi strumenti di comunicazione di massa rivolti aduna sfera indeterminata e
generale di persone. La stampa non aveva le caratteristiche di essere un mezzo rivolto ad un pubblico variegato,
è sempre stato uno strumento in un certo senso di élite perché si rivolgeva alle classi più colte.
La radio e la televisione costituiscono un laboratorio importante per capire i rapporti tra l’autorità e la società.
Storicamente in Italiana ci sono stati due grandi modelli che riguardano la radio e la televisione:
• Modello europeo: radio e tv nascono come mezzi di comunicazione controllati dallo stato che aveva il
monopolio di queste trasmissioni, ovvero gli unici enti che potevano trasmettere erano quelli controllati dallo
stato. Il servizio pubblico radiofonico in Italia nasce per tre ragioni:
1) Tecniche: limitata disponibilità dell’etere e delle frequenze, se il sistema radiotelevisivo fosse andato in
mano a dei privati solamente uno avrebbe potuto controllarlo perché non c’erano abbastanza ripetitori.
2) Economiche: impedire che in un settore ad alta potenzialità, nel quale esistono forti barriere all’ingresso, per
gli alti costi delle infrastrutture, risulti esposto agli abusi di grandi potentati economici privati e ai rischi degli
oligopoli privati (solamente un grande privato avrebbe avuto la forza di gestire l’infrastruttura radiotelevisiva).
3) Politiche: il mezzo è importante per la costruzione e la formazione del consenso. Grazie al controllo da parte
dello stato quest’ultimo poteva trasmettere ai cittadini la propria visione del mondo in modo da formare un
consenso nella società introno a questa visione
• Modello Americano: la radiodiffusione viene lasciata al mercato. Nacquero imprese commerciali private.
Il 3 gennaio 1954 iniziano le trasmissioni del servizio pubblico televisivo. Si tratta di una televisione
generalista con palinsesto predefinito e aperto alla fruizione gratuita degli utenti con due eccezioni: acquisto
dell’apparecchio ricevente e il versamento del canone.
Il servizio radiofonico viene affidato con licenza esclusiva all’Uri, Unione radiofonica italiana, che nel 1927
viene trasformata in Eiar - Ente italiano audizioni radiofoniche. Nel 1929 l’Eiar ottiene la concessione esclusiva
di trasmissioni per 25 anni.
Con una deliberazione dell’assemblea societaria nel 1952, la Rai assume l’attuale denominazione Rai -
radiotelevisione italiana e nel gennaio 1954 dopo due anni di sperimentazioni viene avviato il servizio
televisivo nazionale. La concessione per la trasmissione è affidata dallo Stato in via esclusiva alla Rai per conto
dello Stato.
La linea editoriale della RAI si basava sul modello della Bbc: informare, educare, intrattenere. L’assetto
istituzionale della RAI era vincolato al Governo a prevalenza democristiana, quindi era uno strumento di
formazione del consenso, sopratutto per allineare la società ad una cultura cattolica.
La Rai si incaricò del compito di garantire una cultura di massa al popolo italiano, che aveva grosse sacche di
analfabetismo. Nella vita quotidiana la gente parlava nei propri dialetti, la lingua italiana cominciò ad essere un
collante nazionale con la trasmissione rai di Mike Bongiorno “Lascia o raddoppia?”. Venivano trasmesse in
diretta le opere teatrali dei grandi classici, le grandi opere letterarie venivano rappresentate a livello
cinematografico sotto forma di sceneggiati.
Negli anni 70 cominciano ad esserci delle spinte molto forti per rompere il monopolio pubblico. Il benessere
economico cominciava a diffondersi in quegli anni e di conseguenza cominciarono ad esserci le prime domande
di partecipazione, ricerca di spazi economici delle imprese e l’emersione della pubblicità. Iniziano a diffondersi
le trasmissioni via cavo privati ed illegali, in seguito a questo fenomeno la Corte costituzionale intervenne con
due importanti sentenze che fecero cambiare la prospettiva:
• Nella sentenza 225/1974 viene affrontato il seguente problema: Chi può trasmettere in Italia programmi
esteri? Solo la rai o anche società private?
La sentenza afferma l’incostituzionalità della riserva statale per la ritrasmissione dei programmi esteri sul
territorio nazionale perché i ripetitori di stazioni che trasmettono programmi esteri non operano sul numero
limitato di bande di trasmissione che giustifica la riserva statale. Quest’ultima sbarra la via alla libera
circolazione delle idee, compromette un bene essenziale della vita democratica, finisce per realizzare una specie
di autarchia nazionale delle fonti di informazione. La ritrasmissione di programmi esteri fa riferimento a bande
di frequenza diverse da quelle utilizzate dai servizi nazionali di telecomunicazione.
Vengono poi inseriti i cosiddetti sette comandamenti della Corte Costituzionale, ovvero lancia sette direttive al
Parlamento intimandolo di modificare la legge sulla radiotelevisione adeguandola a questi principi fissati dalla
Corte:
1) che gli organi direttivi dell'ente gestore (si tratti di ente pubblico o di concessionario privato purché
appartenente alla mano pubblica) non siano costituiti in modo da rappresentare direttamente o indirettamente
espressione, esclusiva o preponderante, del potere esecutivo e che la loro struttura sia tale da garantirne
l'obiettività;
2) che vi siano direttive idonee a garantire che i programmi di informazione siano ispirati a criteri di
imparzialità e che i programmi culturali, nel rispetto dei valori fondamentali della Costituzione, rispecchino la
ricchezza e la molteplicità delle correnti di pensiero (si stabilisce il principio del pluralismo interno)
3) che per la concretizzazione di siffatte direttive e per il relativo controllo siano riconosciuti adeguati poteri al
Parlamento, che istituzionalmente rappresenta l'intera collettività nazionale (si vuole che la rai sia sottoposta al
controllo del Parlamento perché è l’organo eletto dal popolo nel quale sono presenti anche i partiti
dell’opposizione);
4) che i giornalisti preposti ai servizi di informazione siano tenuti alla maggiore obbiettività e posti in grado di
adempiere ai loro doveri nel rispetto dei canoni della deontologia professionale;
5) che, attraverso una adeguata limitazione della pubblicità, si eviti il pericolo che la radiotelevisione,
inaridendo una tradizionale fonte di finanziamento della libera stampa, rechi grave pregiudizio ad una libertà
che la Costituzione fa oggetto di energica tutela (il rischio è che la pubblicità vada tutta nella televisione e che i
giornali ne soffrano economicamente);
6) che, in attuazione di un'esigenza che discende dall'art. 21 della Costituzione, l'accesso alla radiotelevisione
sia aperto, nei limiti massimi consentiti, imparzialmente ai gruppi politici, religiosi, culturali nei quali si
esprimono le varie ideologie presenti nella società;
7) che venga riconosciuto e garantito - come imposto dal rispetto dei fondamentali diritti dell'uomo - il diritto
anche del singolo alla rettifica (fondamentale per due obbiettivi: da un lato corregge la mancanza di verità della
notizia, dall’altro tutela i diritti fondamentali dell’utente nel caso li vada ad attaccare).
• Nella Sentenza 226/1974 viene affrontato il seguente problema: le tv via cavo private possono inserirsi nel
settore radiotelevisivo? Si giustifica ancora il monopolio pubblico?
La sentenza afferma che è legittima costituzionalmente l’esclusiva statale per la radiodiffusione in ambito
nazionale; invece è illegittima la riserva statale dei servizi televisivi via cavo su scala locale. I canali realizzabili
con cavo sono illimitati e di costo esiguo almeno in ambito locale. L’estensione del monopolio statale alla
televisione via cavo non si giustifica in base all’esistenza di un monopolio di fatto per ragioni tecniche come
per la televisione via etere.
Il monopolio statale in ambito locale per le trasmissioni via cavo viola la libertà di impresa prevista dall’art. 41
Costituzionale. La riduzione dell’ambito di operatività della riserva statale non pone problemi al principio del
pluralismo. Il cavo poi garantisce una sua utilizzazione illimitata e tale per i costi di gestione da fare salvo il
principio del pluralismo. Invece per la installazione di reti via cavo destinate a coprire il territorio nazionale
servono per la Corte costituzionale costi molto più elevati.
Il Parlamento nel 1975 approva la prima legge sulla Rai, si tratta della legge numero 103 e risponde alle
direttiva della Corte Costituzionale:
• l’attività radio-diffusiva a livello nazionale viene qualificata come servizio pubblico essenziale e a carattere di
preminente interesse generale;
• principi di obiettività, indipendenza e apertura alle diverse tendenza politiche, sociali e culturali;
• limitazione al ricorso alla pubblicità come fonte di provento per il sistema radiotelevisivo pubblico con un
tetto di affollamento pubblicitario (5% giornaliero);
• limite sui proventi derivanti dalla pubblicità;
• canone di abbonamento come mezzo principale di finanziamento;
• la RAI è sottoposta all’indirizzo e alla vigilanza di una commissione parlamentare: la commissione bicamerale
per l’indirizzo e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi.
Questa legge stabilisce anche che i direttori dei telegiornali e dei giornali radio sono direttori responsabili e
quindi possono rispondere di mancato controllo sui contenuti che vengono trasmessi. A loro viene applicato
l’articolo 57 del codice penale.
La corte Costituzionale continua a lavorare sulla questione del sistema radiotelevisivo e con la Sentenza
numero 202 del 1976 aggiunge un tassello molto importante: stabilisce l’incostituzionalità del monopolio
statale su tutti i servizi di radiodiffusione radiofonica e televisiva su scala locale via etere (violazione dell’art.
21 Cost.) e afferma l’illegittimità parziale della riserva statale all’attività radiotelevisiva così come definita
dalla legge. A livello locale vi è la disponibilità di frequenze utilizzabili sufficienti a scongiurare la formazione
di monopoli od oligopoli privati, questo significa l’apertura ad operatori privati per le trasmissioni via etere ma
in ambito locale. Nasce così un sistema radiotelevisivo misto almeno in ambito locale.
La Corte costituzionale con la sentenza n. 148 del 1981 affermava la legittimità della permanente riserva allo
Stato della radiotelevisione via etere a livello nazionale. Le ragioni della riserva allo Stato non si collegano
tanto alla natura di servizio pubblico essenziale di preminente interesse generale dell’attività radiotelevisiva
svolta su scala nazionale quanto piuttosto all’assenza di una disciplina idonea a contrastare i fenomeni
concentrazionistici in atto e gli effetti negativi sul tasso di pluralismo delle fonti di informazione che essi
producono (non vi è una legge che possa contrastare i monopoli e gli oligopoli privati).
La maggiore disponibilità tecnica del mezzo non è condizione sufficiente a garantire il pluralismo informativo:
serve un’altra condizione, una disciplina di mercato dell’informazione radiotelevisiva tale da eliminare ogni
rischio del formarsi di situazioni di monopolio od oligopolio privato. Diverse sarebbero le conclusioni se il
legislatore, affrontando in modo completo e approfondito il problema della regolamentazione delle tv private
apprestasse un sistema di garanzie efficace al fine di ostacolare in modo effettivo la realizzazione di
concentrazioni monopolistiche o oligopolistiche che non solo nell’ambito delle connessioni fra varie emittenti
ma anche in quello dei collegamenti fra le imprese operanti nei settori vari dell’informazione incluse quelle
pubblicitarie.
Il settore privato non segue regole se non quelle finalizzate alla massima espansione consentita dalle condizioni
generali del mercato, le tv via cavo via cavo si accordano tra di loro creando un network (un collegamento)
dando luogo ad un fenomeno chiamato interconnessione funzionale: è la messa in onda in contemporanea (da
varie emittenti) di programmi preregistrati superando l’ambito locale al quale la Corte costituzionale aveva
ancorato il diritto dei privati all’esercizio dell’attività radiotelevisiva. Era un modo per aggirare il divieto della
Corte Costituzionale.
In seguito a quanto accadeva nel 1984 i pretori di Torino, Roma e Pescara sequestrano gli impianti della
Fininvest di Berlusconi. Craxi poi si occuperà di emanare il decreto legge n. 807 del 1984 che pone norme
transitorie che sanciscono la possibilità per le singole emittenti private di proseguire le proprie attività,
compresa l’attività di interconnessione funzionale attraverso l’esercizio degli impianti già in funzione. Viene
così salvato il gruppo Fininvest. La radiotelevisione è il frutto di un grande scontro politico che c'è in Italia:
c’erano infatti dei partiti che sostenevano l’oligopolio pubblico su scala nazionale e altri che volevano
liberalizzare la radiotelevisione e inserire dei privati su scala nazionale (Craxi è uno di questi ed è amico di
Berlusconi).
Il decreto legge viene convertito in legge, nella legge n. 10 del 1985 si rinvia ad una legge futura di riforma la
predisposizione delle norme dirette a evitare situazioni di oligopolio e ad assicurare la trasparenza degli assetti
proprietari delle emittenti radiotelevisive private nonché le norme volte a regolare la pubblicità nazionale e
quella locale. (Il problema del rischio della formazione si oligopoli privati viene rinviato, c’è stata
un’occupazione dell’etere in assenza di una legge).
La Corte Costituzionale con la sentenza n. 826 del 1988 minaccia di dichiarare l’incostituzionalità della legge
n. 10 del 1985 perché priva di garanzia di pluralismo. Solo il carattere effettivamente transitorio della disciplina
giustifica una decisione interlocutoria (salva la legge n. 10 solo perché è momentanea), non vi è pluralismo se
vi sono due monopoli, l’uno pubblico l’altro privato. Viene sottolineata la necessità di intervenire con una legge
sul pluralismo radiotelevisivo.
La Corte cost. sollecita il Parlamento entro un termine non fissato ad approvare una legge di regolamentazione
del settore radiotelevisivo. L’attesa per l’adozione di una disciplina definitiva non avrebbe potuto protrarsi oltre
un termine ragionevole senza determinare con ciò, per il venire meno di quella transitorietà, l’impossibilità per
il giudice costituzionale di non arrivare ad una dichiarazione di incostituzionalità ove di nuovo sollecitato a
intervenire sulla medesima legge. Tecnica decisoria: assoluzione condizionata di una disciplina legislativa
ordinaria, ritenuta in sé incostituzionale, ma provvisoriamente assolvibile in ragione proprio della sua
transitorietà.
La Corte cost. si rivolge al legislatore puntando non solo a orientarne il profilo dei contenuti ma anche quello
dei tempi di produzione normativa.
La Corte auspica una legge che permetta la concretizzazione del pluralismo in tutte le sue declinazioni:
• Esterno: presenza attiva del maggior numero possibile di fonti, in relazione alla disponibilità dei mezzi tecnici
necessari;
• Interno: espressione nel mezzo del maggior numero possibile di opinioni, tendenze politiche, ideologiche e
culturali presenti nel tessuto sociale;
• Sostanziale: concreta possibilità di scelta per il cittadino tra una molteplicità di fonti informative fra loro
differenziate nei contenuti culturali ecc. (La Corte cost. Per la prima volta parla di un diritto all’informazione,
questo implica di dover imporre a chi informa degli obblighi di contenuto).
Direttive Europee.
La direttiva europea n. 552 del 3 ottobre 1989 è nota come direttiva «Televisione senza frontiere» e pone
l’accento su questioni che non erano ancora state affrontate in Italia, come ad esempio il tema della pubblicità:
- Art. 16: divieto di trasmissione di messaggi pubblicitari che offendano la dignità umana, che comportino
discriminazioni di sesso o di razza, che offendano convinzioni politiche o religiose, che rechino pregiudizio alla
salute o alla sicurezza dei cittadini o all’ambiente, così come prevede il divieto di trasmissione di messaggi
pubblicitari che tendano a sfruttare la credulità dei minori;
- Art. 13: divieto di ogni forma di pubblicità delle sigarette e degli altri prodotti del tabacco;
- Art. 14: divieto di pubblicità di medicinali per i quali sia obbligatoria la ricetta medica;
- Art. 15: previsione di restrizioni per la pubblicità di bevande alcoliche.
- Art. 10: divieto di pubblicità subliminale e clandestina;
- Art. 11: i messaggi pubblicitari vanno trasmessi tra le trasmissioni e non nel corso delle trasmissioni. Per
meglio precisare l’inserimento dei messaggi pubblicitari è legittimo anche all’interno delle trasmissioni ma con
un articolato regime differenziato a seconda della natura della trasmissioni stesse.
La direttiva si occupò anche della determinazione dell’indice massimo di affollamento pubblicitario: 18% del
tempo di trasmissione quotidiano; 20 % di quello orario; con la possibilità che il limite venga elevato al 20%
quando la pubblicità televisiva assuma la veste delle vendite dirette al pubblico di beni o servizi (il
teleshopping).
Per le sponsorizzazioni è obbligatoria la loro riconoscibilità attraverso l’indicazione dello sponsor all’inizio e/o
alla fine del programma; divieto di ogni forma di condizionamento da parte dello sponsor del contenuto del
programma, la cui responsabilità è affidata alle scelte autonome dell’emittente.
Per le sponsorizzazioni vigono discipline diverse rispetto a quelle stabilite per la pubblicità ordinaria: se
valgono anche per le sponsorizzazioni i limiti relativi ai prodotti del tabacco e ai medicinali, non valgono
invece né gli altri limiti di contenuti né i limiti quantitativi relativi all’indice di sovraffollamento.
Vi furono poi della modifiche successive, oggi è in vigore la Direttiva 2010/13/UE nota come Servizi di media
audiovisivi SMA che persegue il fine di istituire un quadro moderno, flessibile e semplificato per i contenuti
audiovisivi. Viene fatta una distinzione tra servizi lineari che riguardano i servizi di televisione nazionale,
internet, la telefonia mobile che i telespettattori ricevono passivamente dai servizi non lineari che i
telespettatori scelgono di vedere come i servizi on demand ad esempio.
Legge Mammì.
La legge n. 223 del 1990 detta anche legge Mammì è la legge che avrebbe dovuto recepire e applicare i principi
stabilita dalla Corte Costituzionale sulla materia.
Gli obiettivi della legge erano:
• Quadro di principi comuni sull’esercizio dell’attività radiotelevisiva sia per il pubblico sia per il privato;
• Regolamentazione del regime concessorio, sulla base della pianificazione delle frequenze disponibili;
• Disciplina apposita antitrust;
• Disciplina della pubblicità radiotelevisiva;
• Meccanismi di garanzia per una corretta applicazione della legge.
La legge afferma che l’attività diretta alla diffusione di programmi radiofonici e televisiva è un’attività di
preminente interesse generale. Anche le emittenti privati svolgono un’attività di interesse generale e per tanto
si sancisce che: (Art. 1) pluralismo, obiettività, completezza e imparzialità dell’informazione, apertura alle
diverse tendenze politiche, sociali, culturali e religiose sono i principi fondamentali del sistema radiotelevisivo
che si realizza con il concorso di soggetti pubblici e privati.
Altre importanti decisioni della legge Mannì:
- Limite di concentrazione proprietaria di tre canali per impresa, la misura massima di concessioni che
potevano essere affidate ad un privato non poteva essere superiore al 25% di tutte le concessioni nazionali che
dovevano essere 12 per poter permettere la concentrazione di tre canali (il gruppo Fininvest poteva così
controllare in maniera legittima la proprietà di tre reti private nazionali);
- Assegnazione delle frequenze mediante concessione. Regime concessorio: il diritto a trasmettere può essere
attribuito solamente dai pubblici poteri con un provvedimento amministrativo discrezionale di concessione.
- Divieto di essere titolari contemporaneamente di una concessione di livello nazionale e di una di livello locale,
si vuole che nel mercato locale radiotelevisivo entrino delle imprese che non siano controllate dalle imprese che
controllano le reti nazionali.
- Divieto di rilascio di concessioni televisiva a livello nazionale a chi opera nel campo della stampa quotidiana
con una tiratura superiore al 16 % di quella complessiva sul territorio nazionale;
- Rapporti tra emittenti e concessionarie di pubblicità: la legge prevedeva che qualora esistessero situazioni di
controllo o collegamento tra titolari di concessioni radiotelevisive e imprese concessionarie di pubblicità, queste
ultime non potessero raccogliere pubblicità per più di tre reti televisive, per più di tre reti nazionali e tre locali
ovvero per più di una rete nazionale e sei locali, comprese quelle di cui sono i titolari i soggetti controllanti o
collegati.
La Corte cost. Interviene con la sentenza n. 420 del 1994 affermando l’incostituzionalità della norma della
legge Mammì che nel fissare una misura massima di concessioni assentibili allo stesso soggetto pari al 25 %
delle concessioni nazionali e comunque a non più di tre, prevede un limite alla concentrazione inadeguato e
inidoneo. La Mammì prevede che il numero massimo di reti nazionali sia 9 ed il 25% di 9 non è 3
(concentrazione proprietaria). Ancora si sollecita il Parlamento ad intervenire con una legge adeguata che
rispetti e realizzi il pluralismo.
Il Parlamento emana il decreto legge n. 323 del 1993 conv. in legge n. 422/1993 che legittima per un triennio
fino all’agosto 1996 il proseguimento delle trasmissioni attivate. In seguito con la legge n. 249 del 1997 viene
sancita la possibilità di proseguire in via transitoria l’esercizio delle reti eccedenti gli stessi limiti a patto che le
trasmissioni siano effettuate su frequenze terrestri e via satellite o via cavo, la proroga è a tempo indeterminato.
Il problema è che non viene fissato un termine entro il quale i programmi eccedenti debbano essere trasmessi
esclusivamente via satellite o via cavo. La fissazione del termine è in capo all’Agcom, un’autorità indipendente
dal potere politico con il compito di garantire che il sistema radiotelevisivo rispetti la legge ed i limiti di
concentrazione proprietaria.
Nel frattempo comincia a svilupparsi la tecnologia digitale che permette allo spettro elettromagnetico di
veicolare un numero maggiore di canali. Ci sono nuove opportunità di offerta e nuove modalità di fruizione dei
contenuti: pay tv; pay-per-view, video on demand.
La legge n. 66 del 2001 sancisce il passaggio definitivo dal sistema di trasmissione analogico al sistema digitale
entro la fine del 2006, chiamato anche switch off.
Il parlamento provvede con l’emanazione del decreto legislativo n. 177 del 31 luglio 2005, conosciuto anche
come legge Gasparri che introduce la normativa antitrust:
• Autorizza la prosecuzione della possibilità di trasmettere anche alle reti eccedenti, l’importante è che tutte le
reti televisive passassero al digitale.
• Limite antitrust: 20% del totale dei ricavi complessivi derivanti dal sistema integrato delle comunicazioni
(S.I.C.), nel quale confluiscono l’attività radiotelevisiva, l’attività di produzione e distribuzione di contenuti per
programmi radiotelevisivi e radiofonici di qualunque forma tecnica, l’editoria quotidiana, periodica, libraria,
elettronica anche mediante internet, nonché l’attività di produzione e di distribuzione di opere cinematografiche
e l’attività di intermediazione pubblicitaria.
• Tale limite scende al 10% del sistema medesimo per quelle imprese i cui ricavi nel settore delle comunicazioni
elettroniche siano superiori al 40% rispetto al totale dello specifico mercato.
• Divieto per le imprese televisive a livello nazionale che esercitano l’attività attraverso più di una rete di
entrare nel settore dell’editoria anche tramite società controllate o collegate.
DIRITTO D’AUTORE
Principi generali sui contratti.
Il contratto è un accordo fra due o più parti (la parte è un centro di interessi unico) diretto alla costituzione, alla
modificazione o alla estinzione di rapporti giuridici di natura patrimoniale. Il contratto ha forza di legge fra le
parti, deve essere completo e quindi dettagliato, deve essere redatto in forma corretta. Due soggetti
addivengono alla stipulazione di un contratto dopo avere negoziato ogni patto.
Dal punto di vista oggettivo affinché il contratto possa ritenersi concluso e quindi avente forza di legge fra le
parti è necessario l’accordo fra le parti. L’art. 1326 del codice civile afferma che il contratto è concluso quando
chi ha fatto la proposta ha conoscenza dell’accettazione dell’altra parte.
Il principio dell’autonomia contrattuale significa che le parti sono libere di concludere contratti che ritengono
conformi alla loro volontà, determinandone il contenuto nei limiti della legge, e di adottare contratti non
appartenenti ai tipi aventi una disciplina specifica. Il principio dell’autonomia contrattuale comporta una serie
di conseguenze:
• Libertà di determinare il contenuto del contratto;
• Concludere contratti che non appartengono ai tipi espressamente previsti dalla legge, si pensi ai contratti
atipici (non previsti dal codice civile) a patto però che siano diretti a realizzare interessi meritevoli di tutela
secondo l’ordinamento giuridico.
Il principio di autonomia contrattuale incontra dei limiti: i limiti imposti dalla legge nelle norme imperative che
sono norme inderogabili dalle parti. Sono inderogabili quelle disposizioni di legge la cui violazione comporta
l’inefficacia del contratto tramite la previsione della nullità o dell’annullabilità.
Il contratto di leasing è un esempio di contratto atipico che si è formato in modo libero attraverso i traffici
economici delle parti. Con questo contratto un soggetto concede ad un altro il diritto di usare un bene a fronte
del pagamento di un canone periodico. Alla scadenza del contratto l’utilizzatore del bene ha la facoltà di
acquistare il bene stesso, esercitando il diritto di opzione di acquisto. Un altro esempio di contratto atipico è il
franchising: un imprenditore attribuisce ad un altro il diritto di vendere i suoi prodotti usando il suo marchio e
la sua assistenza commerciale, deve essere pagato un corrispettivo nel momento della stipulazione del contratto.
Gli elementi costitutivi dell’accordo sono due manifestazioni di volontà: la proposta e l’accettazione. La
proposta è la dichiarazione del soggetto che assume l’iniziativa e che deve contenere tutti gli elementi essenziali
dell’accordo e deve giungere al destinatario. L’accettazione è la manifestazione di volontà del ricevente di
aderire alla proposta ricevuta; deve essere completa e non parziale, incondizionata e totalmente conforme ai
requisiti prima esposti. In caso di accettazione non conforme ai requisiti esposti il contratto non può ritenersi
concluso e la risposta assume il ruolo di nuova proposta, questa volta da parte del ricevente e rivolta al primo
offerente, il quale dovrà accettarla a sua volta in modo completo, incondizionato e conforme totalmente
affinché l’incontro delle manifestazioni di volontà faccia sorgere l’esistenza del contratto.
Il contratto può venire concluso sottoscrivendo un unico documento oppure, come spesso accade, tramite lo
scambio di due dichiarazioni di volontà identiche, anche se confezionate in diversi documenti, basta che siano
conformi nel contenuto. Es. la proposta di una campagna pubblicitaria può giungere dall’agenzia
all’inserzionista tramite una lettere e l’inserzionista può concludere un contratto con una lettera inversa che ne
accetta il contenuto.
Ci sono casi nei quali la legge impone che un contratto sia concluso in una determinata forma a pena di nullità,
cioè ad substantiam, il contratto viene qualificato come formale, quando nessuna forma sia richiesta o quando
la forma venga richiamata dal legislatore solo ai fini della prova dell’esistenza del contratto, cioè ad
probationem, il contratto viene qualificato come non formale.
L’Art. 2177 del codice civile definisce il diritto d’autore come diritto esclusivo, è un diritto esclusivamente
dell’autore che può essere fatto valere nei confronti di chiunque e non può essere ceduto nemmeno tramite un
contratto. Inoltre non va mai in prescrizione.
Art. 2575 codice civile: oggetto del diritto d’autore sono le opere dell’ingegno di carattere creativo. L’ingegno
è un’attività dell’intelletto umano volta ad esprimere un pensiero con formulazione ed esplicazione di idee,
concetti e giudizi. Se in tale processo si innesta la creatività l’opera dell’intelletto umano assurge ad opera
dell’ingegno e rientra nell’ambito della tutela del diritto d’autore; il procedimento intellettuale non dotato di
creatività non rientra in tale nozione e non gode della tutela precipua. La creatività è quell’organica originalità
di creazione a prescindere dal valore o dal merito dell’opera. Il concetto giuridico non coincide con quello di
creazione, originalità e novità assoluta, riferendosi, invece, alla personale e individuale espressione di una
oggettività o di elementi già esistenti. Per creatività si intende la soggettiva visione dell’autore nella
realizzazione della forma dell’opera del suo intelletto, l’impronta individuale dell’autore.
Durante i lavori preparatori della legge del 1941 venne sottolineato che occorre che l’opera abbia un merito, sia
pure modesto, perché sennò non a avrebbe il valore creativo che giustifica la protezione e da dà all’opera la
necessaria originalità.
Le regole sul diritto d’autore non proteggono l’idea astratta in sé ma l’espressione concretizzata dall’autore. Il
risultato poi deve essere esteriorizzato dall’autore trasferendolo su un supporto, si deve distinguere l’opera
dell’ingegno rispetto al supporto meccanico nel quale l’opera viene incorporata:
• Corpus mysticum: l’opera in quanto idea creativa ed è un bene giuridico autonomo perché è un bene
immateriale;
• Corpus mechanicum: bene materiale sul quale viene fissata l’opera, CD per opere musicali, stampa per la
fotografia, DVD per le opere filmiche.
La distinzione permane anche con l’avvento delle nuove tecnologie digitali stante la fissazione di un’opera
dell’ingegno a mezzo di un codice binario non elimina la necessità di un supporto che traduca il codice binario
nell’opera percepibile dai sensi dell’uomo senza il device hardware l’opera digitale non è percepibile.
Il corpus mysticum e il corpus mechanicum sono beni giuridici diversi e distinti con diritti diversi, autonomi e
indipendenti; la proprietà del corpus mechanicum non coincide con la titolarità del diritto d’autore e viceversa.
Il buon costume è l’unico limite alla libertà di manifestazione del pensiero ai sensi dell’art. 21 comma 6 Cost.,
mentre l’art. 33 Cost. dice che l’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento, il limite del buon
costume non è espressamente previsto come limite specifico della libertà di cui all’art. 33 Cost.
L’art. 529 del codice penale afferma che: «Non è considerata oscena l’opera d’arte o l’opera di scienza, salvo
che per motivo diverso da quello di studio, sia offerta in vendita, venduta o comunque procurata a persona
minore degli anni diciotto». Viene detto che quando l’opera è considerata opera d’arte è esclusa l’oscenità,
l’unico limite è se quell’opera venga, per un motivo diverso dallo studio o dalla ricerca, venduta a una persona
minorenne (in quel caso verrebbe considerata opera oscena e quindi perseguibile dal punto di vista legislativo,
unico elemento del buon costume).
Con la creazione dell’opera dell’ingegno nascono i diritti previsti per legge, il principio generale è che l’autore
è colui che crea l’opera dell’ingegno. Distinzione fra acquisto:
• A titolo originario: quando la titolarità del diritto sorge in capo al titolare senza essere il risultato del
trasferimento da parte di un altro soggetto;
• A titolo derivativo: quando il diritto viene acquisito da un altro soggetto a qualsiasi causa inter vivos, tramite
contratto o mortis causa per successione.
L’art. 2576 del codice civile e l’art. 6 della Legge sul diritto d’autore sono identici nel contenuto: «Il titolo
originario dell’acquisto del diritto d’autore è costituito dalla creazione dell’opera, quale particolare espressione
del lavoro intellettuale». L’Autore è colui che crea l’opera con il proprio intervento ed un rapporto creativo,
ancorché minimo. Egli acquista i diritti d’autore sia di natura patrimoniale sia di natura morale per il fatto di
avere creato l’opera senza bisogno di formalità alcuna o registrazione. La legge non prescrive alcuna forma di
pubblicità costitutiva o dichiarativa per gli effetti della titolarità.
Quando l’opera è in comune fra più autori si applicano le disposizioni sulla comunione ordinaria ai sensi
dell’art. 100 e seguenti del codice civile. È prevista l’unanimità dei consensi per la pubblicazione dell’opera
inedita, per le modificazioni e le utilizzazioni diverse da quelle della prima pubblicazione. L’esercizio dei diritti
morali può venire compiuto da ciascun coautore autonomamente rispetto agli altri. I contributi dei terzi che non
hanno alcun effetto creativo non hanno rilievo ai fini del riconoscimento del diritto d’autore.
Per quanto riguarda il rapporto di lavoro è principio assodato che quando la prestazione del lavoratore ha ad
oggetto la creazione dell’opera dell’ingegno, i diritti patrimoniali dell’opera così creata spettano al datore di
lavoro in quanto risultato della prestazione lavorativa retribuita regolarmente e appositamente. Lo stesso vale
per le opere di programma per elaboratore e di disegno industriale.
I diritti morali di paternità (diritto di essere riconosciuto come il creatore dell’opera) sono inalienabili e
spettano sempre e solo al dipendente autore. L’acquisto derivativo in capo al datore di lavoro avviene per legge
senza che debba esserci una specifica previsione contrattuale all’interno del contratto di lavoro subordinato
essendo sufficiente che le mansioni lavorative prevedano anche genericamente la creazione di opere
dell’ingegno.
I diritti nascenti da una fotografia non creativa in forza del rapporto di lavoro spettano al datore di lavoro entro i
limiti dell’oggetto e delle finalità del contratto. Qui vi è l’applicazione di un principio del diritto del lavoro
secondo il quale il risultato dell’attività lavorativa del dipendente spetta al datore di lavoro, a patto che il
risultato sia oggetto della prestazione del lavoratore prevista dal contratto di lavoro subordinato (deve essere
indicato nel contratto di lavoro la mansione specifica del fotografo).
Il sistema normativo ha così bilanciato e contemperato i due interessi contrapposti: quello del datore di lavoro
che investe e corrisponde un quid economico al lavoratore (autore dell’opera), e l’interesse dell’autore a vedersi
attribuita la creatività: al datore di lavoro spettano i diritti di natura economica; al lavoratore autore spettano i
diritti della personalità e della paternità che sono inalienabili oltre naturalmente al diritto patrimoniale del
corrispettivo della sua attività lavorativa.
Il contratto di commissione è un contratto nel quale chi incarica (il committente) diventa il titolare del risultato
artistico, diventando il proprietario dell’opera. Il committente può esercitare i diritti di utilizzazione dell’opera,
ovvero riprodurla oppure esporla in pubblico,queste facoltà devono però essere inserite nel contratto di
commissione. Esso si lega al fenomeno del mecenatismo: fenomeno per il quale le arti debbano essere favorite
attraverso attività di sostegno finanziario o attraverso la commissione di opere artistiche.
I diritti patrimoniali devono essere specificati nel contratto facendo riferimento alla volontà delle parti.
Diverso è il caso in cui il lavoratore dipendente crei un’opera dell’ingegno al di fuori della sua prestazione
lavorativa, (acquisto a titolo originario direttamente in capo all’autore): qualora il datore di lavoro voglia
utilizzare l’opera dell’ingegno così creata sarà necessaria la contrattualizzazione di un nuovo rapporto giuridico
tra il lavoratore e il datore di lavoro avente ad oggetto l’opera dell’ingegno. Questo si applica nell’eventualità in
cui il lavoratore abbia creato l’opera dell’ingegno durante l’orario di lavoro sospendendo le mansioni per le
quali è stato assunto, fermo restando tutte le altre azioni disciplinari da applicarsi gradatamente in relazione
della gravità dell’inadempimento del lavoratore.
I diritti possono essere acquistati anche tramite mortis causa, quando muore l’autore di un’opera si apre la
successione e i suoi eredi subentreranno nella titolarità dei diritti, sia patrimoniali che morali.
Nel caso dei ghostwriter si fa un contratto dove si sancisce che questi ultimi cedono sia i diritto patrimoniali che
morali dell’opera. Se il ghostwriter volesse rivalersi quel contratto è valido? Il contratto è valido per quanto
riguarda i diritti patrimoniali ma è nullo per i diritti morali perché la paternità dell’opera è un diritto che non è
trasferibile.
L’opera di ingegno.
I presupposti per qualificare un’opera di ingegno sono la concretizzazione di una idea colorata di un minimo
gradiente di creatività. Art. 2575 codice civile e art. 1 L.A. introducono la tutela, affermando che sono protette
le opere di ingegno di carattere creativo che appartengono alla letteratura, alla musica, alle arti figurative,
all’architettura, al teatro e alla cinematografia, qualunque sia il modo o la forma di espressione (anche i
software e le banche dati).
Le opere vengono classificate in quattro generi, in base alla loro modalità di fruizione:
• opere fruibili con la lettura;
• opere che devono essere rappresentate o eseguite per essere fruite e godute come musica, film e teatro;
• opere fruibili con la vista come opere di arte figurativa bi e tridimensionali;
• opere di applicazione utilitaria come software e banche dati.
Art. 108 sul diritto d’autore stabilisce che «l'autore che abbia compiuto sedici anni di età ha la capacita di
compiere tutti gli atti giuridici relativi alle opere da esso create e di esercitare le azioni che ne derivano».
La ragione si trova nel fatto che la natura del diritto d’autore quale espressione dell’intelletto umano dell’autore
che sviluppa capacità lavorativa tramite le opere dell’ingegno è in linea con l’età per la quale l’infrasedicenne
può stipulare contratti di lavoro.
L’elenco delle opere non è da considerarsi tassativo, anzi esso è esemplificativo: qualunque risultato creativo
dell’ingegno ancorché non sussumibile in uno dei tipi elencati è oggetto di tutela di tutti i diritti d’autore.
Un’altra distinzione riguarda la ripartizione tra:
• Opere semplici: opera dell’ingegno semplice è il risultato dell’attività creativa di un unico autore di una
qualunque forma essa si concretizzi di cui al citato art. 2 L.A. o in una qualunque altra forma non
espressamente inserita nell’elenco.
• Opere in comunione: le opere in comunione sono quelle realizzate con l’apporto creativo indistinto di più
autori, dove il contributo di ciascuno non è distinguibile da quello degli altri coautori. Si tratta di una opera
semplice che viene realizzata con il contributo creativo di più autori, ad esempio come un’opera letteraria
scritta a quattro mani o, similarmente, una campagna pubblicitaria ideata da più autori.
Per poterla riprodurre serve il consenso di tutti.
• Opere collettive: sono costituite dalla riunione di opere o parti di opere che hanno carattere di creazione
autonoma per effetto della scelta e del coordinamento da parte di un unico soggetto. L’opera collettiva viene
tutelata come opera originale. Titolare del diritto d’autore dell’opera collettiva è colui che ha organizzato e
diretto la creazione dell’opera stessa. La ragione deve essere individuata nella creatività dell’autore nello
scegliere e coordinare le singole opere che compongono l’opera collettiva.
Esempi di opere collettive: giornali e riviste formate da più opere dell’ingegno sia di natura letteraria sia visiva.
Anche i telegiornali sono opere collettive nelle quali i diritti d’autore spettano alle emittenti televisive.
• Opere composte: sono il risultato di molteplici contributi creativi distinti di più autori che contribuiscono alla
formazione di un’opera diversa dai singoli contributi di ciascuno. È il caso delle opere drammatico-musicali
con parole, delle composizioni musicali con parole e delle opere cinematografiche o pantomimiche. In tutte
queste fattispecie vediamo che siamo dinanzi a più autori delle singole parti (parte musicale e parte letteraria) la
cui unione contribuisce a creare l’opera composta. Mentre l’opera in comunione è il risultato dei contributi
creativi di più soggetti che non hanno autonomia ed identità singola, ma che contribuiscono a formare un
unicum unitario, nell’opera composta i singoli contributi sono autonomamente individuabili ma fusi nel
risultato finale che è il risultato così composta da questi.
Esempio: due coautori di un brano musicale composto a quattro mani sono coautori in comunione del brano,
l’opera sarà quindi in comunione: l’autore di un brano musicale e l’autore della parte letteraria sono coautori
dell’opera musicale complessa finale, in questo caso si parla di opera composta.
I diritti di natura patrimoniale hanno durata limitata nel tempo: per tutta la vita dell’autore o fino al termine del
settantesimo anno solare dopo la sua morte. In caso di più autori la durata dei diritti di utilizzazione economica
spettante a ciascuno dei coautori si determina sulla vita del coautore che muore per ultimo. Gli eredi del
coautore defunto per primo si vedono prorogato il termine di 70 anni di vigenza del diritto d’autore dopo la
morte dell’ultimo coautore. Per le opere cinematografiche la durata di tutela dei diritti patrimoniali è garantita
sino al settantesimo anno dopo la morte dell’ultimo dei coautori. Nelle opera collettive, in cui l’identità delle
singole opere che le compongono rimane distinta dal risultato finale, ciascun autore ha il suo termine di durata
di protezione; l’opera collettiva è invece tutelata dal punto di vista della sua utilizzazione patrimoniale per 70
anni dalla sua prima pubblicazione. Allo scadere del termine l’opera diventerà di pubblico dominio e di libera
utilizzazione.
I diritti di natura morale non hanno un termine, sono imprescrittibili, e dopo la morte dell’autore possono essere
fatti valere senza limiti di tempo dal coniuge e dai figli e, in loro mancanza, dai genitori e dagli altri discendenti
diretti e in assenza di questi ultimi dai fratelli e dalle sorelle e dai loro discendenti.
La violazione dei diritti morali implica una loro patrimonializzazione che concerne la quantificazione del danno
derivante. Sotto l’aspetto patologico, a seconda che la violazione colpisca una categoria o l’altra dei diritti
d’autore si prospettano diversi istituti giuridici di riferimento. Il plagio consiste nella violazione di diritti sia
patrimoniali che morali.
La parodia.
La parodia è il risultato di un’attività creativa di un autore, che rilegge e reinterpreta in dimensione grottesca o
ironica un’opera preesistente conservandone la forma esteriore e stravolgendone il senso intrinseco. Si tratta di
una tecnica diretta a conseguire un effetto comico burlesco o satirico riprendendo e stravolgendo i contenuti
concettuali di un’opera dell’ingegno mediante l’uso dei suoi elementi esteriori ed estrinseci.
Quale rapporto c’è tra opera parodiata e opera parodistica? Vi è una relazione di rielaborazione caratterizzata
da un notevole apporto creativo ed innovativo che lo distingue dal rapporto tra l’opera originaria e l’opera
derivata in quanto vi è lo stravolgimento del significato dell’opera parodiata e la rilettura in chiave comica e
burlesca del messaggio nell’opera parodistica.
Nell’ordinamento giuridico italiano non vi è una norma espressa sull’istituto della parodia. La direttiva europea
CE 2001/29 sull’armonizzazione di alcuni profili del diritto d’autore nella società dell’informazione all’art. 5
prevede che fra le eccezioni e le limitazioni che gli Stati membri possono prevedere nei confronti dell’esclusiva
dei diritti d’autore proprio l’utilizzo dell’opera dell’ingegno a scopo di caricatura, parodia o pastiche. Il pastiche
è di derivazione francese, è un’opera dell’ingegno in cui l’autore ha volutamente imitato lo stile di un altro
autore o di altri autori.
Il diritto d’autore non protegge l’idea in sé ma la forma espressiva con la quale l’idea viene concretizzata dal
suo autore e considerato che la parodia consiste nello stravolgimento del nucleo ideologico dell’opera
parodiata, stravolgendone la forma espressiva in chiave comica, si può dire che tra l’opera parodiata e l’opera
parodistica non vi è una identità di rappresentazione né appropriazione di forma espressiva. Quindi la parodia
nasce come opera autonoma basata su una idea comune. Non può allora essere necessario il consenso
dell’autore dell’opera parodiata. Se però l’opera parodistica non raggiunge un risultato burlesco e comico,
questa opera non può considerarsi effettivamente parodia, ma mera rielaborazione che rientra nell’art. 4 L.A.
che invece richiede l’autorizzazione dell’autore dell’opera originaria.
Non si configura come parodia la rielaborazione in chiave burlesca di un’opera la cui forma espressiva sia già
in chiave comica. In questa situazione la successiva rivisitazione va considerata come rielaborazione che rientra
nell’art. 4 L.A. e richiede l’autorizzazione dell’autore dell’opera originaria.
La comicità stravolge e rovescia il significato originario dell’opera parodiata: questo è l’elemento essenziale
per la qualificazione della parodia.
Ci sono dei casi in cui lo scopo comico non rientra tra gli obbiettivi di chi rielabora un testo, ad esempio un
artista prende spunto da un’opera precedente e ne stravolge il significato, lo fa per sfruttare la notorietà
dell’opera precedente e per avere così dei vantaggi economici senza dover riconoscere i diritti d’autore
all’autore dell’opera da cui a preso spunto.
Ad esempio un regista aveva sfruttato i nomi delle opere teatrali di famoso attore italiano e li aveva utilizzati
per dei film porno, i parenti intentarono una causa per violazione del diritto d’autore ma persero, secondo il
tribunale non violava il diritto d’autore perché non esisteva una concorrenza commerciale tra la
rappresentazione pornografica e le opere di De Filippo, si tratta di due opere non confondibili sotto ogni punto
di vista.
I fondamenti dei diritti morali d’autore sono l’articolo 21 e l’articolo 2: «La Repubblica riconosce e garantisce i
diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e
richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale»
I diritti morali sono strettamente collegati con la personalità dell’autore, sorgono solo in capo alla persona fisica
creatrice dell’opera (si fondano sul legame intellettuale tra autore e opera) e non a favore di persone giuridiche
che saranno solamente titolari eventualmente di diritti patrimoniali. I diritti morali sono inalienabili e non
possono essere trasferiti a terzi con atti inter vivos. diritti morali sono trasmissibili mortis causa a favore degli
eredi dell’autore e in particolare dal coniuge e dai figli e, in loro mancanza, dai genitori e dagli altri ascendenti
ed i discendenti, dai fratelli e dalle sorelle e dai loro discendenti. Gli eredi possono tutelare i diritti morali
dell’autore de cuius (defunto) senza limiti di tempo e quindi sempre in perpetuo. I diritti patrimoniali durano
fino a settanta anni dopo la morte.
I diritti morali non sono rinunciabili. Le modifiche dell’opera devono essere conosciute e accettate: l’autore che
presta il consenso alle modificazioni dell’opera non è più ammesso ad agire in giudizio per impedire
l’esecuzione o per chiedere la eliminazione delle modificazioni. Se quindi l’autore presta il consenso alle
modificazioni significa che le ha conosciute e che le ha ritenute non lesive della sua personalità. Questa
eccezione vale solamente per i diritti morali all’integrità dell’opera e non anche per il diritto di paternità che
può sempre venire riconosciuto.
I diritti morali sono imprescrittibili: non si estinguono mai per il non esercizio del diritto d’autore protratto nel
tempo. L’autore dell’opera potrà agire nel caso in cui abbia subito violazione dei propri diritti morali senza
limiti di tempo, salva la prescrizione dell’azione per il risarcimento del danno sottoposta all’estinzione nel
termine di 5 anni ai sensi dell’art. 2947 del codice civile.
Il restauro non influisce sui diritti morali di integrità dell’opera. Il restauro di un’opera dell’ingegno che subisce
danni a causa di eventi che non sono controllabili dal proprietario dell’opera non può configurarsi come
modifica che lede i diritti morali d’autore. Il restauro è l’intervento diretto sul bene attraverso un complesso di
operazioni finalizzate all’integrità materiale e al recupero del medesimo. Il fine è il ripristino del corpo
dell’opera nello stato di fatto precedente senza l’introduzione di modifiche che vadano ad influire sulla
percezione dell’opera verso il pubblico, senza pertanto modificare in peggio quella essenza e quel significato
che l’artista ha attribuito alla scultura.
Le interruzioni pubblicitarie durante le opere filmiche violano i diritti morali all’integrità dell’opera filmica?
Ci fu un grande dibattito e anche la giurisprudenza si divise:
• L’interruzione pubblicitaria costituisce una violazione del diritto d’autore, trattandosi di una modificazione
dell’opera (Corte di Appello di Roma del 16 ottobre 1989). Lo spettatore a causa dell’interruzione pubblicitaria
ha meno strumenti per comprendere i contenuti dell’opera stessa;
• Si deve tenere conto degli interessi patrimoniali delle TV private e della pluralità delle TV stesse (Tribunale di
Roma 20 febbraio 1987). Lo spot pubblicitario non incide sulla narrazione del film ma solamente sulla modalità
di comunicazione al pubblico del film stesso.
Si è cercato di bilanciare questi interessi contrapposti: la legge Mammì e TUSMAR hanno introdotto principi
regolatori sull’inserimento degli spot pubblicitari nelle trasmissioni televisive che siano opere filmiche, teatrali,
liriche, musicali e di altro genere. Si impone una programmazione della pubblicità entro certi limiti e per una
certa durata, nelle opere filmiche le interruzioni pubblicitarie possono avvenire solo ogni 30 minuti di
programmazione; nelle opere teatrali si devono osservare gli intervalli abitualmente effettuati nelle sale teatrali.
Le interruzioni pubblicitarie di per sé non violano l’integrità dell’opera filmica, tuttavia si deve prestare
attenzione sul contenuto degli spot.
«Il produttore ha facoltà di apportare alle opere utilizzate nell'opera cinematografica le modifiche necessarie per
il loro adattamento cinematografico. L'accertamento delle necessità o meno delle modifiche apportate o da
apportarsi all'opera cinematografica, quando manchi l'accordo tra il produttore e uno o più degli autori è fatto
da un collegio di tecnici nominato dal Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo secondo le norme
fissate dal regolamento». L’oggetto del diritto del produttore non riguarda l’opera cinematografica che nasce
quando viene ultimato il montaggio finale ma riguarda le opere come singoli contributi che la compongono.
L’opera cinematografica è un’opera complessa. Esempi: le musiche devono essere sincronizzare con le
immagini in movimento, può essere necessario che siano tagliate o modificate per tale fine; altra facoltà si
riferisce al fatto di mantenere una parte del dialogo in lingua originaria quando necessario per l’essenza
dell’opera e pertanto inserire i sottotitoli in traduzione è una facoltà.
Per modifiche necessarie si intendono le modifiche per l’adattamento dei singoli contributi creativi fra di loro e
per il risultato finale che è la realizzazione dell’opera cinematografica. Il termine finale perché il produttore
eserciti questa facoltà è l’ultimazione del montaggio: arrivati alla fine dell’opera tutte le modifiche necessarie
per l’uso successivo dell’opera, come la distribuzione o l’adattamento televisivo o altre necessità di mercato,
non rientrano più nella facoltà esclusiva del produttore ma vanno autorizzate dai rispettivi autori. La ragione e
l’interesse sottesi all’art. 47 LA sono i seguenti: prevalenza dell’interesse del produttore ad ottimizzare l’opera
per il recupero degli investimenti economici necessari per la realizzazione dell’opera stessa