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Lezione 10/03/2021

LE FONTI DEL DIRITTO

Il primo riferimento di cui trattiamo è di Montesquieu, il quale scrisse nel 1748 il trattato “De
l’espirit des lois” (Lo spirito delle leggi), in cui per la prima volta parlò di una nuova teoria.
Secondo Montesquieu, il quale riprese i pensieri di John Lock, i poteri di uno stato
democratico sono divisi in tre grandi filoni:

1) Potere legislativo (ossia il potere di fare le leggi);


2) Potere esecutivo (ossia il potere di far eseguire le leggi);
3) Potere giudiziario (ossia il potere di far rispettare e, nel caso in cui qualcuno
trasgredisca, giudicare/erogare sanzioni nei confronti dei trasgressori).

Nel nostro ordinamento questi tre poteri possono essere attribuiti rispettivamente al
Parlamento (potere legislativo), al Governo (potere esecutivo) ed alla Magistratura (potere
giudiziario). Il nostro sistema costituzionale, e dunque anche delle fonti, si basa su questa
tripartizione.

Abbiamo già definito che il nostro è uno Stato di diritto moderno, il quale deve dunque
aspirare alla certezza del diritto (ossia sapere con certezza che se si compie una determinata
azione vi sono specifiche conseguenze). Le fonti del diritto sono tutti quegli atti e/o fatti
produttivi di diritto, tutti quegli atti che contengono norme giuridiche ed infine tutti i mezzi
attraverso cui il diritto li porta a conoscenza ai cittadini (i quali ovviamente devono tutti far
parte di uno stesso ordinamento/comunità).

Le fonti del diritto sono tutti quegli atti/fatti che l’ordinamento giuridico qualifica come tali,
attribuendo loro il potere di produrre norme giuridiche.

N.B. Fonte del diritto = da dove nasce il diritto

La prima divisione che si deve fare è quella tra fonti atto e fonti fatto. Le fonti atto sono tutti
gli atti scritti che sono l’espressione di un soggetto/ente/organo al quale l’ordinamento
giuridico ha attribuito il potere di produrre delle norme (es. legge = fonte atto, in quanto atto
scritto/prodotto dal parlamento, il quale ha il potere di produrre norme giuridiche). Le fonti
fatto invece sono tutti quei comportamenti umani che si ripetono nel tempo (che dunque
diventano abitudine), o tutti quei fatti socialmente rilevanti, a cui l’ordinamento attribuisce
una valenza normativa. Da sottolineare è che le fonti fatto sono di minore importanza rispetto
ad una fonte atto, perché ogni qual volta che vi è qualcosa di scritto (fonte atto) la fonte fatto
decade.

Le fonti poi possono essere divise in fonti di produzione e fonti di cognizione. Le fonti di
produzione sono le fonti vere e proprie, ossia quelle che sono in grado di produrre delle
norme giuridiche (es. norme emanate dal Parlamento). Le fonti di cognizione sono invece gli
strumenti attraverso cui si può portare a conoscenza i soggetti verso cui sono dirette le fonti
atto emanate (es. Gazzetta Ufficiale). Dunque, le fonti di cognizione non creano diritto, a
differenza delle fonti di produzione.

Abbiamo già definito che ogni ordinamento giuridico moderno e democratico deve aspirare
come ultimo fine alla certezza del diritto, ossia sapere a cosa corrisponde (ovvero come
reagisce lo Stato o la comunità) il fare una determinata azione. A volte però non è di facile
determinazione la norma da applicare a quel caso specifico: si parla di antinomie normative.
La parola antinomie deriva dal latino “contro la norma”: di fatto, può accadere che al
contempo esistano due o più norme che disciplinano una medesima situazione, e che allo
stesso tempo sono in contrasto tra loro. In questo caso servono appunto le fonti del diritto, le
quali ci permettono di identificare quale norma applicare a quel caso specifico. Vi sono
diversi criteri da applicare in questi casi:

a) Criterio cronologico  tra due normative di pari livello che sono in contrasto tra loro,
si sceglie la normativa più recente (dunque automaticamente la normativa nuova
abroga quella vecchia);
b) Criterio speciale  nel caso in cui vi siano due norme di parti livello in contrasto tra
loro, la norma speciale (e dunque specifica per quel caso) abroga la norma generale;
c) Criterio gerarchico  tale criterio è il più importante di tutti. In questo caso esiste una
classifica delle fonti, dalla più importante alla meno importante, che decide quale
delle due norme applicare al caso che si sta considerando. La classifica presenta il
seguente ordine:
1) La Costituzione e tutte le fonti costituzionali (Leggi costituzionali e Leggi
di revisione costituzionale);
2) Fonti comunitarie (Regolamenti e Direttive comunitarie);
3) Fonti dell’ordinamento statale:
- Leggi ordinarie;
- Atti aventi forza di legge: sono atti equiparabili alla legge (Decreto-
legge e Decreto legislativo);
- Referendum abrogativo;
- Testi unici;
- Decreto del presidente della repubblica;
- Regolamenti dell’esecutivo e degli organi costituzionali
4) Fonti regionali (leggi e regolamenti regionali);
5) Statuti comunali, provinciali e delle città metropolitane. In questa
categoria rientrano anche le leggi fatte dalle provincie autonome di Trento
e Bolzano.
Si hanno poi le fonti di secondo grado. Tale categoria risulta essere meno importante,
ed in essa rientrano: gli atti amministrativi, decreto del presidente del consiglio,
decreto ministeriale. Al di sotto degli atti amministrativi e delle categorie normative
appena definitive, vi sono le norme interne e le circolari.
Le fonti primarie sono comuni a tutto il diritto, mentre le fonti secondarie sono di
competenza del diritto amministrativo. Tale distinzione è importante in quante le fonti
secondarie, a differenza di quanto accade con le fonti primarie (ovviamente sempre in
base poi al loro rispettivo grado di importanza), non possono mai
innovare/modificare/cambiare l’ordinamento giuridico, ma possono solamente
spiegarlo (es: DM e DPCM possono spiegare/interpretare meglio una normativa,
come ad esempio una legge, già esistente).

La fonte più importante è la Costituzione. La Costituzione è la legge fondamentale dello


Stato, la quale traccia tutte le caratteristiche essenziali, ed enuncia tutti i principi che sono
alla base del nostro stato del diritto. La nostra Costituzione presenta alcune particolarità:

1) È votata: in quanto è stata formato da un organo, il quale è stato votato dal popolo
italiano;
2) È scritta;
3) È lunga: perché non contiene solo i principi, ma anche le disposizioni che disciplinano
ogni settore della vita pubblica e privata, ed inoltre tutti gli aspetti della vita
giuridica/economica/sociale del nostro ordinamento;
4) È rigida: in quanto per modificarla serve una procedura particolare (procedura
aggravata). L’iter per modificare è aggravato perché, per evitare quanto era già
accaduto con lo Statuto Albertino (1848-1948), il quale poteva essere modificato
anche dalla sola legge, e come spiegato dall’art.138 della Costituzione, rispetto a
quanto previsto per le leggi ordinarie (dove l’iter è Parlamento, Camera, Senato), con
le leggi costituzionali si prevede il loro stesso iter, al quale però è aggiunto un periodo
di almeno 3 mesi di stop tra una votazione/approvazione e l’altra. Inoltre, la
Costituzione può essere modificata se lo stesso testo, con i tempi definiti prima, per 4
volte è approvato da Camera e Senato. Tuttavia, ci può essere, in caso di mancata
maggioranza assoluta (e dunque parziale 50+1 o i 2/3 dell’assemblea), si può proporre
il referendum costituzionale (maggiore espressione di democrazia).

Al di sotto della Costituzione si trovano le norme comunitarie. Le norme comunitarie si


dividono in:

1) Regolamenti: senza alcuna modifica si applicano direttamente all’interno


dell’ordinamento giuridico nazionale;
2) Direttive: a differenza dei regolamenti non si applicano direttamente. La direttiva è un
risultato/qualcosa da raggiungere, ovvero sono le disposizioni che devono essere
seguite, ma ogni stato può decidere come arrivare a rispettare quelle direttive. Ecco
perché non vi è la mera applicazione di un testo, ma si lascia discrezione al singolo
stato di scegliere come raggiungere dal punto di vista normativo il risultato definito a
livello europeo.

Al terzo posto della classifica di identificano le fonti statali, ovvero le leggi ordinarie, il
decreto-legge, i decreti legislativi, ecc. Per definire tali fonti si prenda l’art.117 della
Costituzione, il quale va a definire tutte le materie di competenza dello Stato e le materie di
competenza della Regione. Le leggi ordinarie per l’approvazione devono essere approvate
con il medesimo testo dalla Camera e dal Senato; dopo la loro approvazione la legge
ordinaria passa alla firma del Presidente della Repubblica, il quale può anche rifiutarsi di
firmare l’approvazione della legge e rinviarla così alle Camere. Questa seconda possibilità
può avvenire una volta sola; e nel caso in cui venga riapprovato dalle Camere il medesimo
testo senza alcuna modifica rispetto a quello precedente, il Presidente è costretto alla firma,
ma non ne risulta responsabile (non vi è il guarda sigilli).

Riprendo l’iniziale ripartizione dei poteri (legislativo, esecutivo, giudiziario), il decreto-legge


e il decreto legislativo risultano essere una deroga a questi poteri. I decreti-legge sono degli
atti giuridici emanati dal Governo, e sono disciplinati dall’art.77 della Costituzione. Tale
articolo definisce che, sempre in deroga al principio di divisione dei poteri, in casi gravi di
necessità e/o d’urgenza il Governo può di fatto emanare un testo, solitamente invece
formulato dal Parlamento, che entro 2 giorni è portato al Consiglio dei Ministri per
l’approvazione. Tale testo rimane in vigore (in carica) per 60 giorni, durante i quali il
Parlamento si deve riunire e decidere se convertire in legge o meno quel decreto-legge.
Importante però sottolineare che se il Parlamento decide di far decadere tale testo, alla fine è
come se non fosse mai stato formulato (decade ex nullo). Ciò accade perché comunque il
Parlamento rimane sovrano.

N.B. L’atto amministrativo può essere impugnato solamente davanti al giudice


amministrativo, e non ad esempio alla Corte Costituzionale perché non ha la caratteristica
intrinseca di poter innovare.

I decreti legislativi sono un altro strumento con cui si delega temporaneamente alla
ripartizione tra i poteri: sono delle norme che vengono emanate dal Governo, sempre in
deroga al principio di divisione dei poteri. I decreti legislativi sono disciplinati dall’art.76
della Costituzione, il quale prevede che sia il Parlamento stesso a delegare, attraverso la legge
delega o legge delegata, il Governo a legiferare in una specifica situazione. Tale legge delega
deve assolutamente contenere: i principi ed i criteri direttivi ai quali il Governo si ispira e si
deve attenere; il limite di tempo entro cui il Governo deve legiferare; l’oggetto definito e
preciso del decreto. Vi è lasciata la possibilità al Governo di avvalersi anche di organi di
consultazione, i quali sono organi pubblici ma esterni allo Stato stesso (es. Consiglio di Stato,
Corte dei Conti), ai quali viene attribuita la possibilità di consigliare al Governo come
comporre il testo per cui hanno ottenuto la delega. Dopo la composizione del testo il Governo
lo manda al Parlamento per la sua approvazione, il quale, nonostante siano solitamente testi
molto tecnici, si riserva la possibilità/capacità di modificarlo prima dell’approvazione.

In conclusione, possiamo dire che per il decreto-legge e decreto legislativo, i quali risultano
essere norme composte dal Governo, e dunque forme di deroga del principio di ripartizione
dei poteri del nostro ordinamento, l’ultima approvazione rimane di competenza del
Parlamento (aspetto dunque che ristabilisci la ripartizione dei poteri).

I testi unici sono dei testi di legge (norme di collegamento) mirati disciplinare a specifiche
situazioni. Essi hanno il compito di raccogliere tutti le normative della materia e ordinarle.
Dunque, il compito dei testi unici non è quello di innovare, ma bensì di fare da “ponte” a tutte
le norme che sono presenti per la materia. La presenza dei testi unici da la possibilità di
identificare, nel caso in cui si volesse innovare quella materia, agevolmente il testo da
riformare. Ultimo aspetto da considerare è che i testi unici sono testi altamente tecnici, i quali
dunque vengono di norma composti dal singolo ministero competente della materia in esame.
All’interno delle norme ordinarie si identificano poi i referendum abrogativi. Il referendum
abrogativo (art.75 della Costituzione) è il più importante istituto di democrazia diretto, perché
offre al popolo di potersi esprimere riguardo all’attività del Parlamento e dunque di influire
sull’indirizzo politico che è stato preso, senza la mediazione del Parlamento. Per
comprendere se il Parlamento è “democratico”, e quindi espressione del volere del popolo,
bisogna andare ad analizzare gli argomenti di cui tratta, ossia se sono argomenti d’interesse
della maggioranza (50+1) delle persone. Se tale maggioranza è presente, allora la democrazia
viene rispettata; in caso contrario vi è un problema nell’aspetto democratico. Il referendum
abrogativo è come può dunque intervenire il popolo: questo può essere richiesto da almeno
500.000 elettori o da 5 consigli regionali. Tuttavia, vi sono alcune materia per cui non è
possibile richiedere il referendum abrogativo, le quali sono elencate all’art.75 della
Costituzione.

Vi sono poi i regolamenti interni, i quali sono formalmente degli atti amministrativi (in
quanto si rivolgono e sono emanati da un organo con potere amministrativo), ma allo stesso
tempo hanno forza normativa. Per questi regolamenti viene lasciata ampia discrezionalità per
la loro composizione, l’unico aspetto che debbono rispettare è che non devono contenere
disposizioni contrarie alla Costituzione ed alle norme comunitarie.

Si hanno poi le fonti regionali, tra cui identifichiamo gli statuti regionali, le leggi regionali ed
i regolamenti regionali (i cui potere sono disciplinati dall’art.117 comma 6 della
Costituzione). In merito agli statuti regionali va precisato che vi sono degli statuti di regioni a
carattere speciale: in questo caso gli statuti sono equiparati alle leggi statali.

N.B. Si sono definite “Città metropolitane”, in quanto anche a livello amministrativo vi è la


necessità di distinguere dal punto di vista normativo città che presentano una diversa
importanza a livello produttivo/storico/turismo/economico (es. un atto per Roma non può
presentare le stesse caratteristiche di un atto per Isernia).

La più importante tra le fonti secondarie è l’atto amministrativo generale. Gli atti
amministrativi generali sono dei provvedimenti contenenti proposizioni prescrittive generali a
contenuto non normativo, i quali sono rivolti ad una pluralità di soggetti che non è
determinabile a priori (ossia non posso sapere prima a quanta gente verrà rivolta: es. bando di
gara).

Vi sono poi le norme interne e le circolari. Tutte le pubbliche amministrazioni possono


emanare delle norme interne e/o circolari, le quali hanno il compito di regolare il
funzionamento dei propri uffici o le modalità di svolgimento della propria attività. Dunque,
tali norme hanno come destinatario soltanto coloro che fanno parte di una
determinata/specifica amministrazione (es. circolare del Comune di Roma può essere
applicata solo al Comune di Roma). La circolare è un atto che non ha carattere normativo,
ossia non può contenere norme. Attraverso la circolare l’amministrazione fornisce
indicazioni in via generale ed astratta per quanto riguarda le modalità in cui si devono
comportare in futuro i dipendenti all’interno dei propri uffici. Risulta quindi avere in generale
poca validità in quanto molto ristretta, anche se presenta comunque maggiore
validità/importanza rispetto ad una qualsiasi fonte fatto. La Cassazione inoltre ha stabilito che
la circolare amministrativa ha una funzione semplicemente interpretativa di una norma di
legge; non può dunque andare contro la norma di legge. Quindi la circolare è priva di
efficacia verso l’esterno ed è priva di innovazione, in quanto può interpretare solamente una
norma già esistente all’interno di uno specifico ufficio. In conclusione, essa costituisce la
forma di fonte più bassa in assoluto che esista: al di sotto infatti vi sono solamente le fonti
fatto.

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