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RISERVA DI LEGGE E PRINCIPIO DI LEGALITA’ (Domanda Esame)

La riserva di legge è lo strumento con cui la Costituzione prevede che la disciplina di una determinata materia
sia regolata soltanto dalla legge primaria e non da fonti di tipo secondario. La riserva di legge ha una funzione
di garanzia in quanto vuole assicurare che in materie particolarmente delicate, come nel caso dei diritti
fondamentali del cittadino, le decisioni vengano prese dall'organo più rappresentativo del potere sovrano
ovvero dal parlamento.
(La riserva di legge è uno strumento che la Costituzione pone per limitare il potere legislativo)
Il principio di legalità sostiene che l’esercizio di qualsiasi potere pubblico si fondi su una norma che ne
attribuisce la competenza: la funzione è di assicurare un uso regolato, non arbitrario, controllabile e
giustiziabile del potere pubblico.
Per quanto riguarda la riserve di legge, bisogna distinguere tra:
- Riserve di legge :
All’interno delle riserve di legge troviamo:
° Riserve alla legge formale
° Riserve alle fonti primarie (legge ordinaria)
° Riserva assoluta
° Riserva relativa
° Riserva rinforzata

- Riserve ad altri atti diverse dalla legge: sono rare, si tratta principalmente di: o Riserve a favore della
legge Costituzionale
o Riserve a favore dei regolamenti parlamentari
La riserva di legge formale impone che sulla materia intervenga il solo atto legislativo prodotto attraverso il
procedimento parlamentare. (Solo la legge formale può regolare la materia in questione)
Il fine di questa riserva è quello di riservare all’approvazione parlamentare tutte quelle leggi che rappresentano
strumenti attraverso i quali il Parlamento controlla l’operato del Governo. Per esempio è il governo a stipulare i
trattati internazionali e a chiedere al Parlamento di autorizzarne la ratifica da parte del presidente della
repubblica (Art.80)
La riserva di legge alle fonti primarie impone che sulla materia possa intervenire oltre che la legge formale,
anche le fonti primarie. Abbiamo visto che tale riserva si divide in

- Riserva assoluta: esclude qualsiasi intervento di fonti sub-legislative dalla disciplina della materia, che dovrà
essere regolata dalla legge formale. Riserve di questo genere si trovano nella parte della Costituzione dedicata
alle liberta fondamentali.
- Riserva relativa: non esclude che alla disciplina della materia concorra anche il regolamento amministrativo,
ma richiede che la legge disciplini preventivamente almeno i principi a cui il regolamento deve attenersi.
- Riserva rinforzate: sono un meccanismo mediante il quale la Costituzione non si limita a riservare la
disciplina di una materia alla legge, ma pone ulteriori vincoli al legislatore. Si possono distinguere
o Riserve rinforzate per contenuto: si hanno in quei casi in cui la Costituzione prevede che una determinata
regolazione possa esser fatta dalla legge ordinaria soltanto con contenuti particolari.
o Riserve rinforzate per procedimento: prevedono che la disciplina di una determinata materia debba seguire un
procedimento aggravato rispetto al normale procedimento legislativo.

LA COSTITUZIONE (Domanda esame)


Negli ordinamenti giuridici moderni, la fonte posta al vertice della gerarchia delle fonti è la Costituzione. Il
termine Costituzione tuttavia è impiegato nel linguaggio tecnico dei giuristi con tre significati diversi:
1) Costituzione intesa come “scheletro politico” in quanto indica gli elementi che caratterizzano un
determinato sistema politico, come tale sistema è organizzato e come funziona.
2) Costituzione intesa come “manifesto politico”, si tratta di un documento fondamentale che segna il trionfo
di un ideale.
3) La Costituzione intesa come un “testo normativo”, una “fonte del diritto”, da cui derivano diritti, doveri,
obblighi e divieti. E’ questo il reale significato applicato dai giudici quanto menzionano il termine
Costituzione.
L’emanazione della Costituzione segna il passaggio tra due fasi diverse:
Con la Costituzione si esaurisce il potere “costituente” ed inizia il potere “costituito”.
Nel linguaggio tecnico il potere costituente è definito come l’unico potere libero. Tale potere crea la
Costituzione la quale costituisce il potere costituito.
Affermare che tutti i poteri politici hanno una Costituzione non comporta che essi siano basati su un testo
normativo chiamato Costituzione. Infatti la Costituzione come documento scritto è una conquista abbastanza
recente, dovuta al trionfo del Costituzionalismo, movimento filosofico e politico che fece della Costituzione
scritta un obiettivo irrinunciabile. In conclusione l’emanazione della Costituzione segna la fine del potere
costituente e sancisce l’inizio del potere costituito.

Costituzioni flessibili dalle Costituzioni rigide


Sono Costituzioni flessibili quelle Costituzioni che non prevedono un procedimento particolare per la loro
modificazione, ma consentono che quest’ultima avvenga attraverso la normale attività legislativa.

Si definiscono invece Costituzioni rigide quelle che dispongono per la modificazione del testo costituzionale,
un procedimento particolare più complesso di quello previsto per la formazione delle leggi ordinarie.
Rimanendo in tema di Costituzioni flessibili, in linea di principio non è prevedibile una forma di controllo
giudiziario della corrispondenza delle leggi alla costituzione, in quanto, se la legge dispone diversamente dalla
Costituzione, è proprio la Costituzione a cedere non la legge; Parlando invece di Costituzioni rigide la
prevalenza della Costituzione sulla legge ordinaria viene garantita da un giudice che ha il compito di non
consentire che non vengano applicate leggi contrarie alla Costituzione.
Le Costituzioni flessibili, tipicamente brevi, sono tipiche dell’800, mentre le rigide, tipicamente lunghe, sono
tipiche del 900. Le Costituzioni rigide, risultano lunghe in quanto non si limitano a disciplinare le regole del
potere pubblico e della produzione delle leggi, ma contengono svariati principi che riguardano materie che
vanno dal credito al risparmio, dall’ambiente alla famiglia.

NB: lo Statuto Albertino del 1848 era una costituzione “flessibile”.


Come già detto le Costituzioni rigide sono tipiche del 900. Tali costituzioni sono Costituzioni garantite in
quanto garantiscono la prevalenza delle sue regole rispetto a qualsiasi altra regola. Le garanzie che offre la
Costituzioni rigida sono di due tipi:
- Il procedimento di revisione Costituzionale, basato sul fatto che per modificare una legge Costituzionale vi
è la necessita di un ampio consenso; questo procedimento come già detto è più complesso del normale
procedimento legislativo. E’ importante sottolineare che nessuna legge rigida non è modificabile.
I procedimenti di revisione Costituzionale sono diversi da Paese a Paese.
- Il controllo di legittimità delle leggi (Corte Costituzionale)

LA COSTITUZIONE ITALIANA
La Costituzione italiana entrò in vigore il 1 Gennaio del 1948. Essa fu approvata dall’assemblea costituente
(organo legislativo ed elettivo preposto alla stesura di una costituzione per la neonata Repubblica e che diete
vita alla Costituzione della Repubblica Italiana nella sua forma originaria; l’assemblea fu eletta
contemporaneamente al referendum istituzionale riguardante la scelta tra monarchia e Repubblica).
E’ una Costituzione lunga e aperta; aperta nel senso che non pretende di individuare il punto di equilibrio tra i
“diversi interessi” ma si limita ad elencarli lasciando alla legislazione successiva il compito di individuare il
punto di bilanciamento.
“Immaginando la Costituzione come un testo che detta le regole di un gioco, regole non modificabile se non
con il consenso di larga parte dei giocatori, la Costituzione non potrà certo dire quale dei giocatori è destinato a
vincere la partita. Ogni giocatore vorrà introdurvi ulteriori regole che ritiene necessarie per proteggere la
propria posizione e si comporterà quindi con grande prudenza, pensando ad immettere quelle regole che gli
assicurino di non essere eliminato rapidamente dal gioco, piuttosto che immettere quelle che gli facilitino la
vittoria.”
La Costituzione italiana del 1948 si compone di parti diverse:
1) Principi fondamentali (art. 1-12): affermano i valori fondamentali di libertà,
uguaglianza e solidarietà, principi ancora oggi di vitale importanza che stabiliscono i
criteri generali a cui devono attenersi le leggi ordinarie.
2) Parte prima - diritti e doveri dei cittadini (art. 13-54): questa prima parte della
costituzione regola i rapporti civili (Titolo I), i rapporti etico-sociali (Titolo II), rapporti
economici (Titolo III) ed infine i rapporti politici (Titolo IV).
3) Parte seconda - ordinamento della Repubblica (art. 55-139): questa seconda parte è
dedicata alla organizzazione Costituzionale dello Stato cioè al Parlamento (Titolo I) al PdR (Titolo II), al
Governo (Titolo III) alla magistratura (Titolo IV), Regioni, provincie, comuni (Titolo V) ed infine garanzie
Costituzionali (Titolo VI).
Degni di particolare rilievo sono i 12 articoli dedicati ai “principi fondamentali”: tali principi rappresentano le
premesse ideologiche e politiche che i costituenti hanno trascritto prendendole dai manifesti politici con la
consapevolezza che i loro ideali, talvolta opposti, sarebbero stati destinati a coesistere e bilanciarsi.
In realtà molti di questi principi non si sono tradotti in strumenti di regolazione giuridica; infatti, il fatto che la
Costituzione fondi la Repubblica italiana sul lavoro (art. 1) o riconosca il lavoro come un diritto fondamentale
(art. 4) non basta a fondare situazioni giuridiche soggettive. Tali principi sono affermazioni di significato
essenzialmente politico, e poi il legislatore a dare sostanza a questi principi. Ciò non vuol dire che i due articoli
citati in precedenza sono inutili sotto il profilo giuridico: siccome è il legislatore a dare sostanza a questi
principi, sono i giudici che possono impugnare le leggi che vanno in direzione opposta a quella indicata dalla
Costituzione, che ostacolano, anziché favorire, il raggiungimento di questi obiettivi.

COSTITUZIONE E LEGGI COSTITUZIONALI


La Costituzione della Repubblica Italiana del 1948 rappresenta il vertice della gerarchia delle fonti
dell’ordinamento italiano. Essa è quindi il fondamento di validità delle fonti primarie. La nostra costituzione
come già detto è una costituzione rigida, il cui mutamento, chiamato in linguaggio tecnico, revisione
costituzionale, è soggetto ad un procedimento complesso e particolare. Con lo stesso procedimento tuttavia
sono approvate anche le leggi costituzionali, che la Costituzione stessa prevede per la sua integrazione.
Più precisamente l’articolo 138 parla delle “leggi di revisione della Costituzione e delle altre leggi
costituzionali”. L’articolo prosegue indicando che le leggi di revisione sono quelle rivolte a modificare il testo
della Costituzione, mentre le seconde, sono quelle che integrano la Costituzione, hanno lo stesso rango
costituzionale delle leggi di revisione, e non possono essere modificate dalla semplice legge ordinaria.

Rispetto al procedimento legislativo ordinario, il procedimento di revisione costituzionale presenta le seguenti


diversità, che lo rendono più complesso:
- La legge di revisione deve essere approvata due volte da ciascuna camera: mentre il procedimento ordinario
prevedere una sola deliberazione di ciascuna camera sul testo in questione, a maggioranza relativa, seguita
successivamente dalla promulgazione da parte del PDR, il procedimento per le leggi costituzionali, disciplinato
appunto dall’art. 138, prevede due deliberazioni da parte delle Camere. La prima deliberazione è a maggioranza
relativa: basta che i sì superino i no. Siccome in questa fase le camere possono apportare al progetto di legge
costituzionale qualsiasi emendamento, il progetto è destinato a viaggiare tra Camera e Senato.
- Tra le due approvazioni di ogni Camera, devono trascorrere almeno tre mesi: la seconda votazione infatti può
essere effettuata solo dopo che sia trascorso un intervallo di tre mesi dalla prima. I regolamenti delle Camere
vietano che siano portati emendamenti al testo votato in precedenza, perché altrimenti il procedimento
dovrebbe ripartire dall’inizio. Nella seconda approvazione si aprono due strade: Se il consenso sulla riforma è
cosi ampio che nella votazione in ciascuna Camera si esprime la maggioranza qualificata dei 2/3 dei membri, la
legge è fatta e viene promulgata dal PDR. Tuttavia, se ciò non avviene, basta che la legge sia approvata con la
maggioranza assoluta (metà più uno dei membri di ciascuna camera). Tuttavia in questo caso non si tratta di
un’approvazione definitiva: il testo approvato dal Parlamento è pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale, in modo da
darne la massima pubblicità; entro tre mesi dalla pubblicazione può essere chiesto un referendum popolare
(referendum di revisione costituzionale), in modo da sottoporre il testo ad approvazione popolare. (Raccolta di
almeno 500.000 firme). Se nel referendum, per la cui validità non è richiesto un quorum minimo di votanti (a
differenza del referendum abrogativo: ci vogliono due quorum, sia strutturale che funzionale), i consensi
superano i voti sfavorevoli, la legge viene promulgata; altrimenti la volontà della maggioranza parlamentare è
vanificata.
I primi due aggravamenti (duplice approvazione della legge di revisione da parte delle Camere e periodo di
tempo di tre mesi tra un approvazione e l’altra) mirano ad assicurare che la volontà di modificare la
costituzione abbia una certa stabilità e non sia dovuta al formarsi di maggioranze occasionali. La necessità della
maggioranza assoluta nella seconda votazione invece, mira ad assicurare che la volontà di mutamento sia la
volontà di una vera maggioranza del Parlamento, e non il frutto dell’assenza di molti Parlamentari.
Richiedendo un referendum inoltre si è introdotto un meccanismo atto a verificare se la volontà’ del Parlamento
corrisponde o meno a quella degli elettori.

LIMITI DELLA REVISIONE COSTITUZIONALE


Tuttavia non tutta la Costituzione è revisionabile. Vi è almeno un limite esplicito alla revisione del testo
costituzionale, posto dall’art.139: “La forma repubblicana non può essere oggetto di revisione costituzionale”.
Come si è già sottolineato, la scelta a favore della repubblica era stata compiuta dal popolo italiano prima che
l’assemblea costituente si fosse insediata, per cui lo stesso potere di scelta dei costituenti ne è rimasto
vincolato. Se colleghiamo dunque strettamente l’articolo

139 al referendum istituzionale che ha portato alla scelta della repubblica, possiamo estendere il concetto di
“forma repubblicana” espresso nell’articolo, che quindi comprende nel suo significato non solo il carattere
elettivo del Capo dello Stato, ma anche il principio della sovranità popolare, e di conseguenza il carattere
democratico della Repubblica stessa. In tal modo il limite esplicito si allarga e si arricchisce, perché così
facendo si pongono a riparo anche quei principi quali la libertà, l’eguaglianza del voto, la liberta di espressione,
di riunione ecc., principi indispensabili per potere definire “democratico” un ordinamento politico. (I principi
costituiscono i limiti impliciti)
Un’altra estensione che riguarda i limiti alla revisione costituzionale è stata elaborata tramite le interpretazioni
di altre disposizioni costituzionali, per esempio tramite l’interpretazione dell’articolo 2 della costituzione che
dichiara i diritti inviolabili dell’uomo, oppure tramite l’articolo 5, che dichiara la Repubblica “una e
indivisibile”.

PROCEDIMENTO LEGISLATIVO
Il procedimento consiste in una serie coordinata di atti rivolti ad uno stesso risultato finale: il risultato del
procedimento legislativo è la legge formale. Gli atti di cui si compone il procedimento legislativo sono:
1) L’iniziativa legislativa;
2) La deliberazione delle Camere
3) La promulgazione

1. L’iniziativa legislativa consiste nella presentazione di un progetto di legge ad una Camera. Nel linguaggio
tecnico i progetti di legge si chiamano disegni di legge se presentati dal Governo, oppure proposta di legge
negli altri casi.
In ogni caso, un progetto di legge, consiste in ciò:
- Il testo dell’articolato che il proponente sottopone all’esame della Camera, nella speranza che venga
trasformato in legge;
- La relazione che accompagna l’articolato e che ne illustra gli scopi e le caratteristiche;
L’iniziativa è riservata ad alcuni soggetti indicati dalla Costituzione:
- Iniziativa governativa: Il Governo è l’unico soggetto che ha il potere di iniziativa su
tutte le materie: su alcune materie addirittura è totalmente riservata solo al Governo. La formazione del disegno
di legge è organizzata anch’essa in un ulteriore procedimento: vi è l’iniziativa di uno o più ministri, la
deliberazione del Consiglio dei ministri, e l’autorizzazione del PDR. Il procedimento termina con la
presentazione alla Camera.
- Iniziativa parlamentare: ogni deputato ed ogni senatore può presentare progetti di legge alla Camera cui
appartiene, salvo per le materie in cui l’iniziativa è riservata esclusivamente al Governo. Solitamente accade
che le proposte siano collettive, sottoscritte cioè da più parlamentari.
- Iniziativa popolare: prevede che il progetto di legge possa essere proposto da parte di 50.000 elettori.
- Iniziativa regionale: la costituzione riconosce anche ai Consigli regionali il potere di presentare progetti di
legge alle Camere.

NB: L’iniziativa legislativa non crea mai un obbligo per la Camera di deliberare. Il progetto di legge è
stampato e distribuito ai membri della Camera, al cui il presidente comunica notizia, ma che la sua discussione
sia inserita nei programmi di lavoro della Camera dipende dall’importanza che viene attribuita al progetto
stesso. La pratica dell’insabbiamento è, infatti, il risultato dei disinteressi dei gruppi parlamentari, verso la
proposta di legge stessa.

2. L’approvazione delle leggi, è la seconda fase, la più importante, tanto da essere considerata il cuore del
procedimento legislativo. L’art. 72.1 vieta che un progetto di legge sia discusso direttamente dalla Camera:
prima deve essere esaminato dalla “commissione permanente” competente. Ma le funzioni che la commissione
è chiamata a svolgere sono diverse a seconda della “sede” in cui è chiamata ad esaminare il progetto.
In relazione alle diverse funzioni che possono essere svolte dalla commissione, si distinguono tre procedimenti
principali:
- Procedimento ordinario, per commissione referente: si svolge attraverso l’esame del progetto di legge da parte
della commissione, che svolge in questo caso un lavoro in “sede referente”; il progetto di legge viene quindi
trasmesso all’assemblea, o all’aula, che procede alla discussione generale, detta anche “prima lettura”, la quale
fa riferimento alla linee generali del progetto di legge. Tale prima lettura termina con la votazione per passare o
meno alla “seconda lettura”, che consiste nella discussione, articolo per articolo del progetto, con la votazione
degli eventuali emendamenti (questi possono essere soppressivi, modificativi o aggiuntivi). Terminata tale fase,
l’aula procede alla “terza lettura”, che consiste nell’approvazione finale dell’intero testo della legge, che a
seguito degli emendamenti approvati può essere anche radicalmente diverso dal testo iniziale.

NB: La votazione avviene mediante voto palese per procedimento elettronico; la maggioranza richiesta è
quella semplice. (favorevoli > contrari)
- Procedimento per commissione deliberante: tale procedimento consente alla commissione, che in questo caso
svolge il suo lavoro in “sede deliberante”, di assorbire tutte le fasi del procedimento di approvazione,
sostituendo l’aula; in pratica la commissione esaurisce tutte e tre le letture senza che il progetto di legge debba
essere discusso e votato dell’assemblea. Data la particolarità di questo procedimento, molte sono le garanzie di
cui è circondato:
o Alcune materie sono escluse da tale procedimento (leggi in materie elettorale, proposte di legge
costituzionale, legge approvazione bilancio)
o Per la composizione della commissione viene disposto che sia seguito il criterio della rappresentanza
proporzionale dei gruppi parlamentari
o E’ sempre possibile far tornare indietro il disegno di legge dalla commissione deliberante, fino
all’approvazione definitiva. Ciò avviene se in Governo o 1/10 dei componenti della Camera o 1/5 della
commissione lo richiedono.
- Procedimento per commissione redigente: è un procedimento non previsto dalla Costituzione ma dai
regolamenti parlamentari. E’ una via di mezzo tra i due procedimenti descritti in precedenza. Questo
procedimento serve a sgravare l’assemblea della discussione e approvazione degli emendamenti, decentrandoli
in commissione; riservando all’aula l’approvazione finale. Inoltre, valgono per questo procedimento le stesse
garanzie elencate nel procedimento per commissione deliberante.

3. La promulgazione e la pubblicazione della legge, è la terza ed ultima fase del procedimento legislativo,
chiamata “fase integrativa dell’efficacia”.
Conclusa la fase dell’approvazione la legge è perfetta, ma non è efficace (non è in grado di produrre effetti
giuridici). L’efficacia è data dalla promulgazione da parte del PDR. E’ il governo che deve trasmettere la legge
al PDR, il quale deve promulgarla entro trenta giorni. Il PDR svolge un controllo formale (il testo approvato da
entrambe le camere deve essere identico) e sostanziale: il presidente infatti ha il potere di rinviare la legge alle
Camere con un messaggio motivato. Bisogna però tener conto che:
- Sia l’atto di promulgazione che l’eventuale messaggio di rinvio devono essere controfirmati dal Governo;
- Il rinvio può essere compiuto una volta sola: dice infatti l’art.74.2 che “se le camere approvano nuovamente la
legge, questa deve essere promulgata”. Il potere di rinvio non è quindi un potere di veto, ma solo una forma di
“controllo con richiesta di riesame”.

LEGGI RINFORZATE E FONTI ATIPICHE


Non tutte le leggi sono eguali. Attraverso il meccanismo della riserva di legge, la Costituzione ha frantumato
la categoria della legge ordinaria, ed ha creato alcune figure di leggi che si distaccano dalla “tipologia
tradizionale” della normale legge approvata dal Parlamento. La costituzione ha cioè previsto che per
disciplinare una determinata materia, sia necessario seguire dei procedimenti particolari di formazione della
legge, più complessi di quello ordinario: si tratta delle così dette leggi rinforzate.
Esistono inoltre altre leggi, che si allontano dalla tipologia tradizionale in virtu’ della propria forza attiva o
passiva. Tali leggi, non avendo esattamente la stessa forza attiva o la stessa forza passiva delle altre leggi
ordinarie, sono chiamate leggi atipiche.

LEGGE DI DELEGA E DECRETO LEGISLATIVO DELEGATO


La legge di delega è la legge con cui le Camere possono attribuire al Governo l’esercizio del proprio potere
legislativo.
Il decreto legislativo, chiamato anche decreto delegato è il conseguente atto con forza di legge emanato dal
Governo in esercizio della delega conferitagli dalla legge (dal Parlamento).
Ci sono occasioni in cui le Camere preferiscono affidare al Governo il potere legislativo; ciò accade soprattutto
per affrontare argomenti e materie tecnicamente molto complesse. Gli atti emanati dal Governo prendono il
nome di atti con forza di legge ordinaria; l’atto in se’ non sarà una legge formale, ma come sappiamo, avrà
della legge la caratteristica della forza. Per abilitare il Governo a deliberare questi tipi di atti è necessaria una
legge di delega del Parlamento.

L’art. 76 della Costituzione, delimita il potere di delega, fissando alcuni limiti alla legge di delegazione;
vincoli il cui mancato rispetto costituisce un vizio di illegittimità’ costituzionale della legge stessa e dei decreti
emanati in forza di essa.
I vincoli posti dall’articolo 76 sono i seguenti:
- La delega può essere conferita esclusivamente con legge formale
- L’esercizio della funzione legislativa non può essere delegato al Governo “se non con
determinazione di principi e criteri direttivi, e soltanto per tempo limitato e per oggetti definiti”: La delega deve
essere concessa per un tempo limitato, che non deve essere irragionevolmente lungo. L’indicazione del limite
temporale, entro il quale il Governo dovrà esercitare il potere delegato, è necessario affinché la legge di delega
sia effettivamente tale. La delega deve poi indicare “oggetti definiti”; deve essere indicato con chiarezza
l’ambito della disciplina da emanare. La delega non deve quindi essere generale ma dev’essere circoscritta a
singoli argomenti. Infine la legge delega deve contenere i principi e i criteri direttivi; deve essere indicato il
contenuto principale della disciplina da emanare, in modo da restringere il cerchio nel quale opera il Governo,
tali principi e criteri servono da guida per l’esercizio del potere delegato.
- La legge di delega deve essere approvata con “procedimento ordinario (referente)”.

Il decreto legislativo delegato: Il potere esecutivo (Governo) esercita le proprie funzioni attraverso la forma
del “decreto”. I decreti sono gli atti che il Governo emana nell’esercizio delle proprie funzioni legislative che
gli sono riconosciute dalla Costituzione.
Per quanto riguarda ai decreti emanati in forza di legge di delega, i così detti decreti delegati, la loro
formazione segue questo procedimento:

- Proposta del ministro o dei ministri competenti;


- Delibera del Consiglio dei ministri;
- Emanazione da parte del PDR.

Di tutte le fasi procedimentali deve essere data indicazione nella “premessa” del decreto.
L’emanazione del decreto deve avvenire entro il termine stabilito dalla legge di delegazione, mentre, scaduto il
termine, viene meno ogni potere del Governo di deliberare le norme delegate. Emanato il decreto il potere
delegato è comunque esaurito.
Il decreto legislativo in sintesi, dev’essere conforme a quanto stabilito nella legge di delega, ed inoltre, il
decreto legislativo, pur avendo forza di legge, non può modificare la legge di delega, perché è da essa che
deriva lo stesso potere delegato.

_DECRETO LEGGE E LEGGE DI CONVERSIONE


Il decreto legge è un atto con forza di legge che il Governo può adottare “in casi straordinari di necessità
e urgenza”. Il decreto-legge deve essere deliberato dal Consiglio dei ministri, emanato dal PDR, ed
immediatamente pubblicato sulla Gazzetta ufficiale. Entra in vigore immediatamente dopo la pubblicazione in
Gazzetta ufficiale, ma gli effetti prodotti sono provvisori, perché i decreti legge “perdono efficacia sin
dall’inizio” se il Parlamento non li “converte in legge” entro 60 giorni dalla loro pubblicazione.

La disciplina del decreto legge è disciplinata dall’art. 77 della Costituzione. Non possono essere oggetto di
decreto legge le materie coperte da riserva di assemblea (Art.72), ad esempio le leggi elettorali.
Il decreto-legge ha le sue origini ai tempi dello Statuto Albertino (1848).
La costituzione italiana attuale ammette esplicitamente il decreto legge nell’art. 77 della Costituitone,
circondandolo però di limitazioni e garanzie. Deve trattarsi infatti di “casi straordinari e di urgenza”, in tali
circostanze il Governo può adottare sotto la sua responsabilità “provvedimenti provvisori con forza di legge”;
ma il Governo deve “presentarli il giorno dopo per la conversione alle Camere, le quali anche se sono sciolte,
sono appositamente convocate e si riuniscono entro 5 giorni” .
Presentando il decreto-legge, il Governo chiede al Parlamento di produrre la legge di conversione, legge che
converte in legge il decreto: “E’ convertito in legge il decreto X”.
E’ prefissato il massimo periodo di durata del decreto-legge, e sono severamente disciplinate le conseguenze
della mancata conversione: “i decreti perdono efficacia sin dall’inizio, se non sono convertiti in legge entro 60
giorni dalla loro pubblicazione”. La perdita di efficacia del decreto-legge, è chiamata decadenza. Va a crearsi in
tal caso una situazione paradossale, perché se il decreto-legge decade, tutto ciò che era stato compiuto in forza
del decreto- legge è come se fosse stato compiuto senza una base legale; quindi tutti gli effetti che aveva
prodotto andranno eliminati in quanto costituiscono degli illeciti: va ripristinata quindi la situazione precedente.

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