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NUCLEO 1
1) LO STATO DI DIRITTO: QUALI SONO GLI ELEMENTI CHE LO CARATTERIZZANO?
Lo Stato di diritto è una forma di Stato, con cui si intende il rapporto tra il potere pubblico e i
cittadini e tra l’autorità e le libertà, affermatasi nel XVIII secolo.
Gli elementi che hanno determinato il passaggio dallo Stato assoluto allo Stato di diritto sono stati:
- La rivendicazione e la garanzia delle libertà,
- L’assoggettamento del potere e del suo esercizio al diritto
- La conseguente formazione di un primo nucleo di gerarchia delle fonti
- L’introduzione di istituti di giustiziabilità dell’esercizio del potere
- La teoria della separazione del potere
Infatti, la Rivoluzione francese condusse alla dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino.
Rivendicare e affermare i diritti significa che il sovrano è obbligato a rispettare il diritto, e quindi il
sovrano non è più legibus solutos, cioè non è più sciolto dai vincoli di legge.
Siccome gli atti di esercizio del sovrano devono rispettare le dichiarazioni dei diritti, secondo il
principio di legalità, nasce una gerarchia delle fonti; quindi, un atto fonte del diritto del sovrano
non è più libero di emanare qualsiasi comanda, ma deve rispettare almeno le dichiarazioni dei
diritti, che sono una fonte sopraordinaria.
Se esiste una gerarchia delle fonti gli atti del re diventano quindi giustiziabili/sindacabili, cioè gli
atti emanati dal re in contrasto con la fonte gerarchicamente superiore sono considerati illegittimi.
Quindi nello Stato di diritto tutti, compreso chi esercita il potere sovrano, sono sottoposti al
diritto, e per far si che ciò avvenga occorre che vi sia la separazione dei poteri.
I poteri dello Stato sono:
- Potere legislativo: potere di dettare le regole
- Potere esecutivo: potere di attuare le regole
- Potere giudiziario: potere di affermare la conformità o la difformità di atti e
comportamenti alla legge, quindi è il potere di far rispettare le leggi
Come definito da Locke e Montesquieu, qualora questi poteri fossero nelle mani di una sola
persona o di un solo organo, si tratterebbe di una tirannia.
Per questo l’interpretazione dei giudici, in particolare dei giudici penali, non può essere
un’interpretazione estensiva e analogica, ma deve essere tendenzialmente restrittiva, perché ha
che a fare con la libertà delle persone; infatti, prendersi la libertà di un’interpretazione troppo
estensiva vorrebbe andare a condannare persone al di là della volontà dei legislatori, e quindi
vorrebbe dire che il giudice diventa un po' legislatore.
Anche oggi siamo in uno Stato di diritto, ma più precisamente uno Stato costituzionale (retto da
una Costituzione), democratico, sociale.
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2) LA NOSTRA È UNA COSTITUZIONE RIGIDA. COSA SIGNIFICA?
COME È POSSIBILE MODIFICARE LA COSTITUZIONE (CON QUALE PROCEDIMENTO)?
E TUTTA LA COSTITUZIONE È MODIFICABILE?
E COSA ACCADE ALLE LEGGI E AGLI ATTI AVENTI FORZA DI LEGGE CHE CONTRASTANO CON LA
COSTITUZIONE?
La Costituzione è l’insieme delle regole fondamentali riguardo i 2 elementi essenziali dello stato:
- la forma di Stato: rapporto tra libertà e autorità
- la forma di Governo: rapporto tra organi di vertice dello stato
Questo procedimento aggravato, che è descritto nell’art 138 della Costituzione, definisce che
l’approvazione di una legge costituzionale o la legge di revisione costituzionale richiede un
procedimento articolato composto da due deliberazioni:
- La prima deliberazione prevede che la legge debba essere approvata in testo identico da
entrambe le due camere (Senato e Camera dei deputati); quindi se una delle due approva il
testo modificandolo, dovrà riproporlo e farlo riapprovare anche dall’altra camera.
Dopodiché bisogna attendere un tempo minimo di 3 mesi
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Il procedimento aggravato di revisione costituzionale non permette, però, di modificare tutta la
costituzione.
Infatti, alcune parti della costituzione sono immodificabili:
- La forma repubblicana, perché, secondo l’art 139., la repubblica è stata una scelta
irretrattabile fatta il 2 giugno 1946
- Principi fondamentali, cioè gli art. 1-12 della costituzione, perché definiscono i caratteri
salienti dello Stato democratico e sociale
- I diritti costituzionali, cioè quelli definiti diritti inviolabili dell’uomo, secondo l’art. 2 della
Costituzione, perché le persone nascono già con alcuni diritti
- Procedimento di revisione costituzionale
Le leggi e gli atti aventi forza di legge sono sottoposti al controllo di costituzionalità da parte
della Corte costituzionale, infatti la Costituzione non può essere contraddetta dalle leggi e dagli
atti aventi di legge.
La Corte Costituzionale ha il potere di sindacare i conflitti di ordine costituzionale tra i poteri dello
Stato e tra Stato e Regioni, oltre che di sindacare la legittimità delle leggi, statali e regionali, e degli
atti aventi forza di legge
Ad esempio, l’art 27 prevede che la pena di morte è vietata. Se il Parlamento con una legge
prevedesse la pena di morte per casi particolari di omicidio e la approvasse, questo non sarebbe
comunque accettato perché sarebbe dichiarata in contrasto con la costituzione dalla Corte
costituzionale. Infatti, l’approvazione della legge da parte del parlamento cambierebbe la
costituzione.
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3) QUALI SONO LE DISPOSIZIONI DEL TFUE CHE RIGUARDANO LA POLITICA ECONOMICA DELL’UE?
QUALI I CONTENUTI ESSENZIALI DEL FISCAL COMPACT E DEL MES?
QUALI SONO GLI INTERVENTI MONETARI ESPANSIVI?
COS’È IL RECOVERY FUND?
Il trattato sul funzionamento dell'unione europea (TFUE) è il trattato stipulato a Roma nel 1957 che
ha dato origine alla Comunità economica europea, con le modifiche che si sono succedute nel
tempo, in particolare di Maastricht e di Lisbona (2009), dove ha cambiato nome in trattato sul
funzionamento dell'Unione europea (prima era il Trattato della Comunità Europea (TCE)).
È composto da 400 articoli circa, e riguarda le competenze e l’organizzazione dell'Unione europea
nelle varie materie.
Il trattato sul funzionamento dell'unione europea (TFUE) definisce e regola 2 aspetti fondamentali
della politica economica dell’Unione Europea:
- Coordinamento delle politiche economiche degli Stati membri, e indirizzi di massima e
sorveglianza multilaterale (art. 121 TFUE)
- Controllo per evitare disavanzi pubblici eccessivi: patto di stabilità e crescita (art. 126 TFUE)
L’articolo 121 del Trattato sul Funzionamento dell'Unione Europea prevede che ci sia un
coordinamento delle politiche economiche degli Stati membri attraverso la predisposizione di
indirizzi di massima ad opera del Consiglio per gli affari economici e del Consiglio Europeo (che è
l'organo che riunisce i capi di Stato e di governo e che prende le decisioni più strategiche).
A questi indirizzi di massima devono attenersi gli Stati membri nello svolgere le loro politiche
economiche nazionali.
Il Consiglio verifica che gli Stati membri rispettino gli indirizzi di massima attraverso un controllo
multilaterale denominato “sorveglianza multilaterale”.
Le conseguenze in caso di mancato rispetto consistono essenzialmente in un richiamo al Paese
membro di attenersi agli indirizzi di massima (hanno più un rilievo politico), senza giungere a
sanzioni più significative o di natura economica.
L’articolo 126 del Trattato sul Funzionamento dell'Unione Europea, invece, prevede il controllo
per evitare disavanzi pubblici eccessivi.
Questo avviene mediante i parametri di Maastricht, che sono stati conservati come indici di una
corretta economia:
- L'indebitamento non deve superare il 60% del PIL del Paese membro
- Lo Stato membro, in caso di maggior indebitamento, deve dimostrare di diminuire quel
debito in modo da giungere al massimo il 60% del PIL
- Il deficit di bilancio annuale non deve essere superiore al 3% del PIL
Su questo tema il controllo da parte delle istituzioni unionali è molto più forte e stringente, e può
far sorgere anche sanzioni di natura economica.
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Il Fiscal compact, firmato nel 2012 per far fronte alla crisi economica del 2008, stabilisce due
aspetti principali:
- Divieto di disavanzi di bilancio
- Progressiva riduzione dei debiti pubblici eccessivi
Il divieto di disavanzi di bilancio prevede che il bilancio statale deve chiudersi in pareggio senza
fare ricorso a un ulteriore indebitamento, quindi le entrate (tributarie o da altre fonti, escluso
l'indebitamento) devono pareggiare le spese.
In Italia il pareggio di bilancio è stato recepito in Costituzione, infatti nel 2012 la legge
costituzionale 1 del 2012 ha modificato l'articolo 81 della Costituzione prevedendo che il bilancio
debba chiudersi sempre in pareggio, salvo soltanto due ipotesi:
- far fronte a cicli economici negativi, quindi per far fronte ad un momento di crisi
- per far fronte a calamità naturali, quindi eventi eccezionali che obbligano lo Stato a
intervenire con una spesa suppletiva
La progressiva riduzione dei debiti pubblici eccessivi, invece, prevede che tutti i Paesi, i quali
hanno un debito pubblico complessivo superiore al 60% rispetto al PIL, debbano rientrare nel 60%
al ritmo di 1/20 all'anno per vent'anni.
Il fiscal compact è stato oggetto di critica da parte di molti economisti, che sostengono che il fiscal
compact chieda agli Stati, in particolare a quelli con maggiori difficoltà come la Grecia, l'Italia, la
Spagna e il Portogallo, di adottare politiche restrittive (bilancio in pareggio e rientro dal debito
pubblico) in un momento nel quale, invece, sarebbe necessaria una spesa pubblica per far ripartire
la loro economia.
Ad esempio, prima della pandemia l'Italia aveva un debito pubblico di all'incirca 2300 miliardi, pari
a circa il 130% del prodotto interno lordo. Per rispettare i parametri del fiscal compact, dovrebbe
avere un debito complessivo non superiore ai 1000 miliardi all'incirca e, quindi, dovrebbe rientrare
di 1300 miliardi in 20 anni, cioè circa 70 miliardi l’anno.
Ma è una cifra sproporzionata e significherebbe chiedere a un Paese, che già ha un’economia non
performante, dei sacrifici che lo condurrebbero a una crisi economica ancora più grave.
Il Fondo Salva Stati (MES) è uno strumento introdotto sempre nel 2012 dall’Unione Europea per
affrontare questa situazione.
Il Fondo Salva Stati è uno stock di capitale molto elevato (700 miliardi originariamente, e poi
ulteriormente accresciuto) che serve a finanziare i Paesi in difficoltà quando questi Paesi non
hanno risorse sufficienti per effettuare le spese pubbliche necessari (ex. per pagare gli stipendi per
pagare le pensioni per pagarla sanità).
Quindi in queste situazioni il Fondo Salva Stati interviene con un aiuto finanziario al Paese in
difficoltà concedendo un prestito.
Il prestito è concesso a condizioni che vengono stabilite in un apposito contratto stipulato con il
Paese in difficoltà, le quali impegnano il Paese ad adottare politiche di rientro dal debito pubblico.
Ad esempio, quando la Grecia ha dovuto farsi prestare delle risorse finanziarie dal Fondo Salva
Stati si è vista imporre alcune condizioni particolarmente pesanti; come l’obbligo di vendita di tutti
i porti a società private, in modo che la Grecia potesse fare cassa da queste vendite, e quindi
potesse utilizzare la cassa per ripianare il debito.
Per questo il Fondo Salva Stati è visto come una trappola, perché il Paese in difficoltà si vede
concesso un prestito, ma si vede imposte delle condizioni particolarmente rigide che non aiutano
l’economia, anzi l’affossano ulteriormente.
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La difficoltà economica di alcuni Stati rischiava di tramutarsi in un attacco dei mercati finanziari ai
Paesi col debito pubblico più grande e con un'economia più in difficoltà, a causa della mancanza di
fiducia da parte degli investitori internazionali in questi Stati.
Per far fronte a questa situazione sono stati introdotti gli interventi monetari espansivi della
Banca Centrale europea:
- piani di rifinanziamento a lungo termine
- alleggerimento quantitativo
Inizialmente sono stati attuati i piani di rifinanziamento a lungo termine, cioè la Banca Centrale
europea ha concesso prestiti di durata triennale alle banche richiedenti a un tasso di interesse pari
soltanto all' 1%.
Le banche hanno sfruttato questa possibilità, richiedendo i prestiti e investendoli in titoli del
debito pubblico che rendevano circa il 3/5%, per guadagnare sul differenziale di tasso di interesse
dato che pagavano solo l’1% della Bce.
Allora vi è stato chi ha pensato che questa misura non fosse una misura che aiutasse l'economia,
ma che facesse guadagnare solo le banche; ma in realtà questa era una misura pensata per far sì
che le banche utilizzassero quest’iniezione monetaria per acquistare titoli del debito pubblico, e
quindi calmierare lo spread.
Ad esempio, il differenziale rispetto alla Germania dell’interesse pagato dallo Stato italiano sui
titoli del debito pubblico si è abbassato a seguito di questi interventi monetari espansivi, e così
l'Italia ha potuto mettere al riparo il proprio debito pubblico dal rischio che nessuno volesse più
comperare i titoli rappresentativi di questo debito, se non a tassi altissimi, che avrebbero
aggravato ulteriormente il debito pubblico.
La Banca Centrale europea ha fatto diventare questi interventi monetari espansivi costanti e stabili
attraverso l’alleggerimento quantitativo.
Infatti, attraverso l’alleggerimento quantitativo la Banca Centrale europea ogni mese ha dato 60
miliardi di euro alle banche, acquistando azioni e titoli anche tossici, in modo da far sparire questi
titoli tossici dal mercato e ridare moneta disponibile sui mercati.
Questi interventi monetari espansivi hanno consentito ai mercati dei Paesi membri, e a quello
europeo in generale, di non cadere in una recessione interminabile.
L'Unione europea per prendere questi 750 miliardi, per la prima volta nella sua storia, assumerà
prestiti sui mercati finanziari a tassi più favorevoli rispetto a molti Stati membri.
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È come se l'Unione europea stesse emettendo degli eurobond, cioè titoli rappresentativi di un
debito pubblico non più dei singoli Stati, ma dell'Unione europea nel suo complesso.
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4) QUALI SONO LE FONTI DEL DIRITTO DELL'UNIONE EUROPEA?
QUALI LE FONTI PRIMARIE?
QUALI LE FONTI DERIVATE?
QUALI LE FONTI VINCOLANTI E QUALI QUELLE NON VINCOLANTI?
QUALI LE DIFFERENZE TRA REGOLAMENTI E DIRETTIVE?
Le fonti del diritto dell’Unione Europea si classificano in fonti primarie e fonti derivate.
I trattati per entrare in vigore devono essere preventivamente ratificati da tutti gli Stati membri
secondo le rispettive norme interne.
La modificazione dei trattati è determinata anche dall’adesione di nuovi Stati membri all’Unione
Europea.
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Le fonti del diritto derivato sono individuate dall’art 288 del TFUE, e sono le fonti che derivano la
loro legittimazione dai trattati.
Le fonti del diritto derivato sono 5:
- Raccomandazione: espressione di una forte indicazione affinché ci si comporti in un certo
modo (-> invito a conformarsi)
- Parere: espressione di un forte consiglio
- Regolamenti
- Direttive
- Decisioni: atti che vengono adottati con processo legislativo, e che sono obbligatorie in
tutti i propri elementi, ma non hanno il carattere della generalità e sono dirette a
determinati destinatari (singoli Stati o singoli individui)
La raccomandazione e il parere sono atti non vincolanti (=>non hanno efficacia vincolante) (“soft
law”).
I regolamenti e le direttive sono atti normativi vincolanti, cioè hanno carattere legislativo, mentre
le decisioni sono atti vincolanti ma di portata individuale.
Regolamenti e direttive, dopo i trattati, sono le fonti più importanti nell’ambito dell’UE, e si
differenziano su 3 differenti caratteri:
Regolamento Direttiva
Chi riguarda? Ha portata generale. Ha portata individuale
Cioè riguarda tutti i soggetti dell’ordinamento Vincola solo uno, o più, Stati membri a cui è
dell’Ue: Stati, persone fisiche e persone rivolta.
giuridiche (cittadini e imprese) Quindi non i cittadini.
Obbligatorietà È obbligatorio in tutti i suoi elementi È obbligatoria solo per quanto riguarda il
risultato da raggiungere, e non in merito
alla forma e ai mezzi con cui raggiungerli
* Le direttive possono produrre effetti diretti quando gli Stati membri tardano a darvi attuazione
rispetto al termine per il recepimento disposto dalle stesse direttive.
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5) QUALI SONO I PRINCIPI IN BASE AI QUALI LE FONTI DEL DIRITTO DELL'UNIONE EUROPEA
ESPLICANO EFFETTI NEL NOSTRO ORDINAMENTO?
APPLICAZIONE DIRETTA ED EFFETTO DIRETTO: QUALE DIFFERENZA?
QUALI FONTI SONO "SELF-EXECUTING"?
Sono 3 i principi in base ai quale le fonti dell’Unione europea esplicano effetti nell’ordinamento
italiano:
- Principio del primato dell’UE
- Principio dell’applicazione diretta
- Principio dell’effetto diretto
Il principio del primato dell’UE definisce che i trattati, i regolamenti e le direttive prevalgono sulle
leggi dell’ordinamento interno, fatti salvi i principi supremi della Costituzione.
In riguardo a questo tema, nel 1962 la Corte costituzionale italiana e la Corte di giustizia CE
avevano idee diverse sul fatto che trattati, i regolamenti e le direttive europee dovessero
prevalere o meno sul diritto interno degli Stati.
Si è arrivati, con la sentenza della Corte costituzionale n.14 del 1964, alla conclusione che le fonti
dell’UE, siccome entrano nello Stato e assumono efficacia attraverso una legge, devono valere
quanto una legge, e quindi, secondo il principio di successione delle leggi nel tempo, prevalgono
sulle leggi interne in quanto più recenti.
Secondo questa logica, nel caso in cui lo Stato non condividesse il contenuto del trattato,
regolamento o direttiva potrebbe emanare una nuova legge, quindi più recente, che prevale e
contrasta la fonte europea; ciò significherebbe che lo Stato voglia riaffermare la propria sovranità
sull’Unione europea, violando di conseguenza l’art 11 costituzionale “limitazioni della sovranità al
fine di un’organizzazione internazionale”, e quindi la legge emanata sarebbe incostituzionale.
Questo ha portato a dire che i trattati, regolamenti e direttive prevalgono sulle leggi
dell’ordinamento interno.
Prevalgono su tutte le leggi, anche quelle costituzionali, fatti salvi i principi supremi della
Costituzione dell’Italia, cioè i primi 54 articoli. (limite dei principi supremi)
Il principio dell’effetto diretto riguarda le direttive, che non sono direttamente applicabili, ma è
necessario che Stato con una propria legge recepisca la direttiva e ne stabilisca mezzi e forma per
raggiungere il risultato vincolato dall’UE.
Le direttive quando vengono adottate dall’UE contengono il risultato da raggiungere e il termine
entro il quale lo Stato deve recepire la direttiva stessa
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Il principio dell’effetto diretto definisce due situazioni:
- se lo Stato membro non recepisce la direttiva entro il termine e, se la direttiva è
incondizionata e già sufficientemente dettagliata e precisa, qualunque giudice può dare
effetto diretto alla direttiva, anziché alla norma interna contrastante
- se lo Stato membro non recepisce la direttiva entro il termine, e se la direttiva non è
incondizionata e sufficientemente dettagliata e precisa, lo Stato inadempiente è
condannato a risarcire i danni causati ai soggetti interessati al tempestivo recepimento
della direttiva.
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6) QUALI SONO GLI STRUMENTI CHE CONSENTONO ALLE FONTI DEL DIRITTO DELL'UNIONE
EUROPEA DI FARE INGRESSO NEL NOSTRO ORDINAMENTO?
CHE DIFFERENZA C'È TRA RICORSO PER INFRAZIONE E RINVIO PREGIUDIZIALE?
A COSA SERVONO LA LEGGE EUROPEA E LA LEGGE DI DELEGAZIONE EUROPEA?
Gli strumenti attraverso cui le norme dell’UE entrano nel nostro ordinamento:
- Ricorso per infrazione
- Legge europea e legge di delegazione europea
- Competenze pregiudiziali
Il ricorso per infrazione, regolato dagli artt 258-260 TFUE, è volto all’accertamento di violazioni del
diritto dell'Unione europea da parte di uno Stato membro e, precisamente, della mancata
osservazione da parte di uno Stato membro di un obbligo imposto dall'Unione europea (ex. uno
Stato membro non ha recepito una direttiva)
L'iniziativa del ricorso per infrazione può essere assunta dalla Commissione europea oppure da
ciascuno degli Stati membri.
Se l'iniziativa è assunta dalla Commissione, la Commissione, dopo aver messo in mora lo Stato
membro inadempiente e tenuto conto delle sue osservazioni, se reputa che sia stato violato il
diritto dell’Unione europea emette un parere motivato, diretto a determinare la cessazione della
violazione degli obblighi da parte dello Stato.
Se l’iniziativa è assunta da un altro Stato membro, deve essere lo stesso interpellata la
Commissione europea che, dopo aver visto illustrate le rispettive posizioni degli Stati interessati,
emette un parere motivato.
Qualora lo Stato verso cui è stato diretto il parere della Commissione non si conformi a tale
parere, la Commissione o lo Stato membro che ha assunto l’iniziativa può presentare ricorso alla
Corte di Giustizia, dando così inizio alla fase contenziosa.
In questa fase la Corte di Giustizia, dopo aver riconosciuto che lo Stato membro interessato ha
violato uno degli obblighi imposti dal diritto dell'Unione europea, pronuncia una sentenza di
accertamento che obbliga lo Stato membro a prendere i provvedimenti comportati dall'esecuzione
della sentenza.
Nel caso in cui lo Stato membro non adotti provvedimenti indicati, si apre una seconda fase
contenziosa, introdotta sempre dalla Commissione europea, che precisa i punti sui quali lo Stato
membro non si è conformato alla Corte di Giustizia e che si conclude con la condanna dello Stato
membro al pagamento di una somma forfettaria o di una penalità.
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La legge europea e legge di delegazione europea consentono di monitorare e adeguare ogni anno
l’ordinamento interno con quello europeo.
La legge 234/2012, evoluzione della legge 86/1989, stabilisce che ogni anno lo Stato italiano
adegui e conformi il proprio ordinamento all’ordinamento dell’UE, e per farlo il Governo ogni anno
deve presentare al parlamento:
- Un disegno di legge europea, che contiene le disposizioni per l’adempimento degli obblighi
derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione europea
- un disegno di delegazione europea, che delega il Governo per il recepimento delle direttive
europee e l'attuazione degli altri atti dell'Unione europea
Ogni giorno ci possono essere contrasti e dubbi interpretativi tra norme interne e norme europee.
Se vi è un contrasto il giudice:
- Applica il trattato o il regolamento europeo, e disapplica la norma interna.
- Da effetto diretto alla direttiva scaduta e sufficientemente dettagliata, non applicando la
norma interna
Mentre se c’è un dubbio interpretativo, viene effettuato un rinvio pregiudiziale.
Il rinvio pregiudiziale può essere richiesto da qualunque persona fisica o giuridica risulti coinvolta
in un processo, che quindi richiede l'intervento in via pregiudiziale della Corte di Giustizia per la
corretta interpretazione e applicazione del diritto dell'Unione europea.
Il rinvio pregiudiziale operato dall’organo giurisdizionale dello Stato membro sospende il giudizio
pendente, che potrà riprendere il suo corso soltanto dopo che la Corte di giustizia si sia espressa.
Il giudizio dinanzi alla Corte di Giustizia si conclude con la sentenza, che vincola il giudice che ha
effettuato il rinvio, ma ha anche una portata generale, costituendo per qualunque giudice un
orientamento da seguire.
Quindi la Corte di Giustizia ha il compito di accertare la validità e fornire la corretta interpretazione
degli atti dell'Unione europea.
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NUCLEO 2
1) LA CITTADINANZA: I MODI DI ACQUISTO E LA TITOLARITÀ DEI DIRITTI (DI LIBERTÀ, POLITICI E
SOCIALI)
Uomo ≠ cittadino:
- Uomo è un’espressione generica che riguarda qualunque uomo, indipendentemente dalla
cittadinanza.
- Cittadino fa riferimento agli uomini con la cittadinanza italiana
La legge che disciplina la cittadinanza in Italia è la legge 91 del 1992, modificata in senso restrittivo
dalla legge n.94 del 2009, che prevede come criteri di acquisto della cittadinanza:
- “ius sanguinis”
- “ius soli”
- “iuris communicatio”
- Concessione
- Beneficio di legge
Il criterio principale di acquisto della cittadinanza è lo “ius sanguinis”, in virtù del quale è cittadino
italiano il figlio, anche adottivo, di almeno un genitore italiani.
=> legame di sangue
Ad inizio ‘900 era pressoché l’unico criterio possibile per l’acquisto della cittadinanza e si fondava
sul fatto che la cittadinanza si trasmetteva per consanguineità, e quindi contemplava solo i figli
naturali; però poi è pian piano venuto meno perché il legislatore ha dovuto ammettere che è
cittadino italiano non solo chi è figlio naturale di almeno un cittadino italiano, ma anche chi è figlio
adottivo, cioè colui che è veramente figlio di genitori italiani, ma non c’è un rapporto di sangue.
Secondo il criterio dello “ius soli” è cittadino di uno Stato colui che è nato sul territorio dello Stato
essendo figlio di ignoti o di apolidi. (“cittadini del mondo”, che non vogliono la cittadinanza di
nessun Paese).
=> legame territoriale
Questo criterio in altri Paesi, tipicamente nei paesi di nuova conquista, molto grandi e poco
popolati (ex. Argentina), ha un’interpretazione differente e definisce che è cittadino di uno Stato
colui che nasce in quel territorio, indipendentemente da legami di sangue.
Il criterio dello “iuris communicatio”, o del matrimonio, consente ad uno straniero di diventare un
cittadino italiano perché si sposa con un cittadino italiano, a certe condizioni (poste per evitare
matrimoni “comodo”) (permanenza in Italia, durata del matrimonio…).
=> legame di tipo affettivo.
Mediante l’acquisizione della cittadinanza per concessione, la cittadinanza viene concessa dal
Presidente della Repubblica con un atto autoritativo in presenza di certi elementi, ad esempio chi
presti servizio militare oppure in occasione di particolari eventi (ex. concessione della cittadinanza
a 2 ragazzini che hanno evitato che un uomo facesse saltare un pullman di ragazzini).
Uno dei casi tipici è lo straniero che vive in Italia da almeno 10 anni e dimostri di conoscere la
lingua italiana.
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Il beneficio di legge, descritto nell’articolo 4 della legge 91 del 1992, è l’acquisto della cittadinanza
per scelta volontaria.
Questo criterio afferma che lo straniero che nasce in Italia da genitori stranieri può diventare
cittadino italiano se vive continuativamente in Italia fino alla maggior età e, una volta compiuti i 18
anni, nell’anno di tempo successivo dichiara di voler acquistare la cittadinanza italiana.
Inoltre, chi è cittadino di uno stato membro dell’Unione europea ha la cittadinanza europea, il che
implica alcuni diritti, ad esempio il diritto di circolare liberamente, il diritto di proporre atti
legislativi a livello europeo, il diritto di votare per il parlamento europeo e per le elezioni comunali.
Per quanto si possano trovare espressioni contradditorie nei primi articoli della Costituzione (ex.
art. 2 “uomo”, art. 3 “cittadini”), i diritti di libertà costituzionali sono diritti spettanti ad ogni
uomo, senza osservare le condizioni di reciprocità, descritte nell’art 16 delle preleggi.
Sono concessi a tutti gli uomini poiché:
- Art 2 Cost. afferma che sono diritti inviolabili e che non sono concessi dal potere pubblico,
ma sono proprio dell’uomo in quanto tale
- Art 10 Cost. definisce che la legge deve essere conforme alle norme e ai trattati
internazionali. Dal 1948 si sono succedute dichiarazioni internazionali che tutelano le
medesime libertà, come la “Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo” approvata
dall’assemblea generale dell’Onu nel 1948, la “Convenzione europea dei diritti dell’uomo”
approvata nel 1950, la “Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea”; queste carte
internazionali tutelano i diritti dell’uomo in quanto tale, indipendentemente dalla
cittadinanza
- Il “testo unico sull’immigrazione”, approvato con decreto legislativo 286 del 1998, e
modificato in senso restrittivo dalla legge Bossi-Fini nel 2002, afferma che le libertà
costituzionali sono riconosciute a tutti, anche allo straniero irregolare in quanto uomo
(essendo irregolare però non gode dei diritti civili). Lo straniero irregolare non sono coloro
che sfuggono da Paesi nei quali non siano tutelati i diritti, perché in questo caso viene
introdotto l’istituto dell’asilo politico, e chi gode dell’asilo politico gode del diritto di
soggiornare nel Paese che gli concede l’asilo politico
I diritti civili sono riconosciuti solo a chi soggiorna legittimamente e regolarmente nel territorio
dello Stato.
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I diritti sociali pongono il problema che sono diritti finanziariamente condizionati, dato che sono
diritti la cui soddisfazione richiede un costo e quindi uno stanziamento di bilancio (ex. diritto alla
salute, per cui va organizzato un apparato organizzativo e vanno erogate le prestazioni).
Ad esempio, il diritto alla salute è subordinato all’iscrizione dello straniero al servizio sanitario del
Paese. In mancanza dell’iscrizione, le prestazioni sanitarie sono erogate a fronte del pagamento da
parte dello straniero della tariffa stabilita per la prestazione.
Tuttavia, il testo unico sull’immigrazione afferma che questo non vale per le prestazioni essenziali
che sono sempre garantite, ad esempio in caso di pericolo di vita o di partorimento.
Per questo, anche a livello di Unione europea la libertà di circolare liberamente incontra dei limiti:
per motivi di studio e di turismo si può andare in un altro Paese europeo, però c’è un limite
temporaneo al soggiorno oltre al quale si deve dimostrare o che si ha un lavoro, o che si ha
un’assicurazione, o che si è famigliare di chi ha un lavoro o un’assicurazione, perché si potrebbe
aver bisogno di cure e di soddisfazione di diritti sociali, i quali non devono gravare sul Paese
ospitante.
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2) IL BILANCIAMENTO DEI DIRITTI
Talvolta sono le stesse disposizioni costituzionali relative alle singole libertà ad individuare anche i
correlativi limiti; altre volte invece è necessario il bilanciamento.
Il bilanciamento è una tecnica decisoria che s’impone tutte le volte in cui i diritti costituzionali
interferiscono o addirittura confliggono platealmente.
Il bilanciamento è necessario dato che vi è una proliferazione di nuovi diritti costituzionali, causati
da nuove esigenze e dall’evoluzione della coscienza moderna, che entrano in conflitto l’uno con
l’altro, e quindi la Corte costituzionale e i giudici sono chiamati a bilanciarli tra di loro.
Oggi da un anno a questa parte si sta vivendo il contrasto tra due diritti costituzionali: il diritto alla
salute e il diritto alla libertà di circolazione.
Il Tar di Cagliari ha dovuto emettere una sentenza su un caso riguardante il Comune di Pula: il
sindaco del Comune di Pula ha deciso con un'ordinanza che non si potesse andare a far la spesa al
supermercato più di una volta alla settimana e nei negozi piccoli più di due volte la settimana.
Il Tar di Cagliari ha detto che, di fronte a un'emergenza come il Covid, quella misura non era
manifestamente irragionevole.
Infatti, secondo il criterio della ragionevolezza, i giudici hanno definito che, per un periodo
ragionevolmente breve, è accettabile una compressione della libertà di circolazione al fine di
tutelare il diritto alla salute minacciato dal Covid; questo non è manifestamente irragionevole dato
che si mette sulla bilancia una compressione limitata nel tempo di un diritto affinché l'altro diritto
non sia calpestato per sempre.
Sentenza sul contrasto tra il diritto alla salute della mamma e il diritto alla vita del nascituro
Negli anni ’70, prima che la legge sull’interruzione della gravidanza fosse varata, la Corte
costituzionale ebbe a che fare con un caso di interruzione della gravidanza.
Data l’inesistenza della legge sull'interruzione della gravidanza, se una donna avesse interrotto la
gravidanza avrebbe posto fine alla vita del bambino e avrebbe quindi commesso il reato di
omicidio.
In questo caso specifico, una donna aveva interrotto la gravidanza perché aveva un grave disturbo
visivo che si sarebbe gravemente aggravato ulteriormente nel caso in cui avesse condotto a
termine la gravidanza.
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La donna, che era stata sottoposta al processo penale, con i suoi avvocati sollevò la questione di
costituzionalità davanti alla Corte costituzionale, cioè chiesero se fosse costituzionalmente
legittimo che la donna venisse punita con la reclusione come se avesse commesso un omicidio,
dato che aveva dovuto interrompere la gravidanza per salvaguardare la propria salute.
La Corte costituzionale, secondo il bilanciamento per il criterio della ragionevolezza, risolse il caso
dicendo che era ragionevole che, se vi è un pericolo grave medicalmente accertato di salute per la
mamma, la mamma non debba rispondere penalmente dell’interruzione della gravidanza.
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3) LA RISERVA DI LEGGE E LE SUE TIPOLOGIE (COSTITUZIONALE, FORMALE, ASSOLUTA, RELATIVA,
RINFORZATA)
La riserva di legge è una delle garanzie previste dalla Costituzione con le quali può avvenire una
limitazione della libertà.
La riserva di legge definisce che: “una determinata materia non può che essere disciplinata,
oppure un determinato atto non può che essere adottato, se non con una fonte del diritto, e
normalmente la fonte primaria”.
Quindi con riserva di legge si intende che la Costituzione pretende che alcune materie, o alcuni
atti, vengano disciplinate, o adottati, con una fonte del diritto adeguata, e normalmente la fonte
primaria.
- riserva di legge assoluta: la disciplina di alcune materie deve essere riservata alle fonti
primarie (leggi e atti aventi forza di legge, cioè decreti leggi e decreti legislativi).
o Ex art 13: tutte le libertà costituzionali possono trovare limite solo se lo dispone una
legge o un atto avente forza di legge (=decreti leggi e decreti legislativi, cioè atti
approvati dal governo con la partecipazione del parlamento)
- riserva relativa di legge: i principi e gli elementi essenziali di alcune materie devono essere
riservati alle fonti primarie, mentre le fonti secondarie possono disciplinare gli ulteriori
elementi.
o Ex art 23: le prestazioni personali o patrimoniali possono essere imposte soltanto in
base alla legge.
Quindi la legge, o un atto avente forza avente di legge, deve prevedere la disciplina
essenziale di quella prestazione, ma poi le fonti secondarie del diritto possono
completare la disciplina.
Le prestazioni patrimoniali più importanti riguardano le imposte, tra cui c’è l’IMU,
l’imposta municipale unica che colpisce i beni immobili.
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L’IMU è disciplinata negli elementi essenziali con un decreto legislativo, ma spetta al
comune completare la disciplina attraverso deliberazioni del consiglio comunale, che
non sono una fonte primaria del diritto, ma sono una fonte secondaria.
I comuni, infatti, possono stabilire esattamente l’aliquota applicabile ai vari
immobili, all’interno di un determinato range stabilito dalla legge.
- Riserva della legge rinforzata: il legislatore può limitare una libertà costituzionale, ma solo
nei casi previsti dalla Costituzione
o Ex art 16: libertà di circolazione e di soggiorno, che possono essere limitate dal
legislatore solo per motivi di salute o sicurezza, come ad esempio sta succedendo
per il Covid
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4) I MODI DI TUTELA DELLE LIBERTÀ:
A) RISERVA DI LEGGE E DI GIURISDIZIONE;
B) MODI “SOSTANZIALI” (PREDETERMINAZIONE DEI LIMITI IN COSTITUZIONE, RISERVA DI
LEGGE RINFORZATA E PRINCIPI COSTITUZIONALI IN MATERIA PENALE)
Le libertà vengono tutelate mediante il modello definito dall’art 13 Cost. che tutela la libertà
personale; nel secondo comma definisce che “non è ammessa forma alcuna di detenzione,
ispezione o perquisizione personale, né qualsiasi altra restrizione della libertà personale, se non
per atto motivato dell'autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge”.
La riserva di legge definisce che per limitare una libertà personale occorre che sia stabilito da una
legge o un atto avente forza di legge.
La riserva di giurisdizione definisce che, oltre a una legge o un atto avente forza di legge, occorre
un atto motivato emesso dall’Autorità giudiziaria.
- L’unità giudiziaria è un’autorità che è in posizione di terzietà, cioè di indipendenza, e
caratterizzata dall’imparzialità.
- L’atto motivato definisce che l’atto con cui il giudice dispone la restrizione della libertà
personale deve recare le motivazioni di questa restrizione della libertà personale.
Quindi perché una persona sia limitata di una libertà personale occorre la tenuta di un
comportamento rispetto al quale una legge o un atto avente forza di legge prevede una sanzione
della libertà personale, e poi occorre la presenza di un atto motivato dell’unità giudiziaria.
L’articolo 13 quando pone la riserva di legge e la riserva di giurisdizione come modello di tutela
della libertà personale, in realtà sta descrivendo un modello di tutela che si applica a tutte le
libertà costituzionali, e non solo alla libertà personale.
Quindi il modello di tutela delle libertà costituzionali è dato dalla riserva di legge e dalla riserva di
giurisdizione.
Oltre al modello della riserva di legge e della riserva di giurisdizione, che potrebbe far pensare che
si lasci al legislatore la libertà di stabilire i limiti alle libertà, la Costituzione anche utilizza dei
modelli di tutela sostanziale.
I modelli di tutela sostanziale sono tecniche che consentono di affermare che la Costituzione
tutela un “nucleo essenziale” di ciascuna libertà costituzionale, e che priva anche il legislatore di
erodere questo nucleo essenziale.
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I diversi modelli di tutela sostanziale sono:
- Tecnica di predeterminazione dei limiti: in alcuni casi la Costituzione non demanda
(=affida) al legislatore di stabilire i limiti a una libertà costituzionale, ma ci pensa
direttamente essa stessa.
o Ex art 18: Libertà di associazione, i cui limiti sono direttamente imposti dalla
costituzione:
§ Non sono ammesse associazioni che perseguono scopi vietati ai singoli dalla
legge penale, cioè che abbiano lo scopo di commettere reati
§ Non sono ammesse associazioni segrete, cioè associazioni che mantengono
segreti elementi essenziali dell’associazione (ex. nomi degli associati) e si
propongono di influenzare le decisioni degli organi costituzionali, delle
istituzioni e dei servizi pubblici
§ Non sono ammesse associazioni che perseguono scopi politici con carattere
militare
- Riserva della legge rinforzata: in alcuni casi il legislatore può limitare una libertà
costituzionale, ma solo nei casi previsti dalla Costituzione
o Ex art 16: libertà di circolazione e di soggiorno, che possono essere limitate dal
legislatore solo per motivi di salute o sicurezza, come ad esempio sta succedendo
per il Covid
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5) LE LIBERTÀ ECONOMICHE: LA LIBERTÀ DI INIZIATIVA ECONOMICA E I SUOI LIMITI NEGLI ARTT.
41 E 43 COST.
La libertà economica è descritta dagli artt 41 e 43 Cost., ed è intesa come attività imprenditoriale e
libero-professionale, e non del lavoro subordinato.
L’articolo 41 si compone di 3 commi:
- Comma 1: “L’iniziativa economica privata è libera”
(=> vi è la libertà di intraprendere ed esercitare attività d’impresa e libero professionale)
Quindi nel 46/47 si scelse il modello economico di mercato anglosassone e statunitense,
rispetto al modello economico collettivista dell’economia socialista russa.
La libertà economica privata è però limitata dallo stesso art 41 nei comma 2 e 3
- Comma 2: “L'iniziativa economica privata non può svolgersi in contrasto con la libertà, la
sicurezza, la dignità e l'utilità sociale”
La sicurezza, libertà e dignità sono in particolare quelle dei lavoratori:
o Sicurezza del posto del lavoro, che ancora oggi non è sempre applicata e determina
infortuni e le morti sul posto di lavoro (“le morti bianche”)
o Dignità del lavoratore, quindi il lavoratore deve attenersi alle regole che vengono
impartite sul luogo di lavoro circa il suo impegno lavorativo, ma il controllo sul suo
operato non può giungere fino a ledere la sua dignità (ex. divieto di controllo
mediante l’installazione delle telecamere che violi la privacy, ad esempio nei bagni)
o Libertà sia fisica sia psichica, per cui il lavoratore non può essere trattato come uno
schiavo
Inoltre, la libertà economica incontra limiti impliciti, che derivano dal bilanciamento con
altri diritti costituzionali.
Ad esempio, il bilanciamento tra il diritto alla libertà di iniziativa economica privata e il
diritto all’informazione: gli imprenditori nell’editoria, e in generale nel mondo della
comunicazione, si vedono imposti dei limiti per tutelare il diritto di informazione e il
pluralismo dei mezzi di informazione.
Infatti, i giornali, le testate televisive e le radio hanno dei limiti di concentrazione
pubblicitaria, perché se un’impresa facesse incetta di tutta la pubblicità lascerebbe gli altri
editori senza pubblicità, e quindi senza i mezzi che la pubblicità offre.
Oppure i limiti alla concentrazione dei canali televisivi via etere, che non possono essere
detenuti in numero maggiore di 3 (era il numero dei canali Rai e di Berlusconi), così che è
garantito il pluralismo dell’informazione.
Quindi la libertà di iniziativa economica privata viene limitata perché si affermi anche il
diritto all'informazione, che esiste quando c'è pluralismo informativo.
- Comma 3: “La legge può disporre programmi e controlli al fine di coordinare l'attività
economica pubblica e l'attività economica privata verso fini di utilità sociale”
Da questo comma si trae la legittimazione dell’impresa pubblica; infatti, nel 46/47 c’era già
un'attività economica privata e un’attività economica pubblica, come dimostrato dal fatto
che nel 1933 è stato fondato l’IRI (istituto per la ricostruzione industriale).
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Nonostante la programmazione e i controlli siano contrari alla libertà economica privata, è
comunque necessaria una programmazione pubblica, che oggi avviene mediante
l’incentivazione di alcuni settori o di alcune attività.
Ad esempio, nel settore del commercio una legge degli anni 70 stabiliva che ogni comune
creava un proprio piano commerciale, nel quale stabiliva quante superfici di vendita fossero
autorizzate per le categorie merceologiche più importanti (gli alimentari, l'abbigliamento,
le calzature…). Quindi i commercianti di un settore sapevano che non avrebbero avuto
concorrenza oltre i limiti stabiliti, e al termine dell’attività avrebbero potuto rivendere la
licenza per l’esercizio di impresa.
Mentre la libertà di iniziativa economica privata ha comportato che ognuno potesse aprire
il negozio dove volesse.
Ad esempio:
- L'intermediazione domanda-offerta di lavoro era in una situazione di monopolio pubblico,
cioè il collocamento dei lavoratori nel mondo del lavoro poteva essere effettuato soltanto
dagli uffici pubblici di collocamento.
È un caso di riservare originalmente, e quindi è stata deeconomizzata l’attività.
Oggi esistono le società private di intermediazione domanda-offerta di lavoro.
- L’Enel: prima del 1962 c’erano diverse imprese che operavano nel mondo dell’energia
elettrica. Nel ‘62 lo Stato, con una legge, ha deciso di nazionalizzare le imprese elettriche,
che sono state espropriate ed è stato costituito l’Enel come unico ente economico che
potesse produrre, trasmettere e distribuire energia elettrica sul territorio nazionale.
È un caso di imprese espropriate e statizzate.
La prima trasformazione è stata che l’art 41 primo comma è diventato nella giurisprudenza
costituzionale, in sintonia con quella europea, il comma che costituzionalizza il principio di
concorrenza.
L’economia di mercato è retta dal principio di libertà e dal principio di concorrenza, che genera
delle regole
Il principio di concorrenza, prima presente nel Trattato di Roma nel 1957 che istitutiva il mercato
unico, è contenuto oggi negli articoli 101 e seguenti del TFUE e nella legge 287 del 1990.
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Nel 1957 si tutelava la concorrenza, affermando l’unicità del mercato, perché serviva ad evitare i
monopoli nazionali.
Oggi, invece, si comprende che la tutela della concorrenza non è solo funzionale all’unicità del
mercato, ma anche a rendere il mercato efficiente e competitivo e a tutelare i consumatori; infatti,
in un’economia imperniata su monopoli o oligopoli, i prezzi vengono tenuti artificiosamente alti,
non vi è innovazione tecnologica e non si presta attenzione al consumatore.
Quindi la tutela del principio di concorrenza è volta a dare anche una tutela sostanziale
all’economia, e non rappresenta solo una tutela formale all’unicità del mercato.
Gli imprenditori sono avversi a vivere in un mercato concorrenziale perché le regole a tutela della
concorrenza colpiscono in particolar modo le imprese.
Gli articoli 101 e seguenti del TFUE e nella legge 287 del 1990 definiscono anche che sono vietate:
- le intese restrittive della concorrenza e i cartelli
- l’abuso di posizione dominante
- le operazioni di concentrazione lesive della concorrenza
- gli aiuti di stato alle imprese
- sottoposizione alla disciplina della concorrenza di imprese incaricate di gestire servizi
economici d’interesse generale
La privatizzazione delle attività economiche statali favorì anche la nascita e la crescita del mercato
finanziario italiano.
Inoltre, molti risparmiatori erano incentivati dal parametro di Maastricht riguardo i tassi di
interesse e il tasso di inflazione ad acquistare sul mercato azionario.
Questi tassi dovevano essere contenuti nella forbice dall’1,5% al 2,5% rispetto ai 3 Paesi più
virtuosi, determinando così un abbattimento degli interessi praticati sui titoli del debito pubblico.
Anche con riguardo all'articolo 41 terzo comma sono intervenuti dei cambiamenti nel rapporto tra
principio di concorrenza e utilità sociale.
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Oggi l’elemento dell'utilità sociale ha un significato residuale, infatti nel bilanciamento con la
concorrenza si tutela in primo luogo la concorrenza.
L'utilità sociale ha il sopravvento rispetto alla concorrenza solo quando si tratta di salvaguardare
interessi particolarmente meritevoli di tutela (ex. la salvaguardia dei livelli occupazionali) e purché
il sacrificio del principio di concorrenza sia limitato nel tempo.
Ad esempio, riguardo il tema della vendita o meno di Alitalia la Corte costituzionale ha definito,
con la sentenza 270 del 2010, essendo in presenza di una società fondamentale per interessi
nazionali (turismo e occupazione), nel bilanciamento tra concorrenza e utilità sociale è ragionevole
che vengano derogate le regole della concorrenza, purché per un tempo limitato.
A partire dalla seconda metà degli anni ‘80 e poi ancora in modo più deciso negli anni ‘90, l’Unione
Europea ha intrapreso un cammino volto a riconoscere gli elementi di concorrenza anche in settori
nei quali sembrava che la concorrenza non potesse esserci, cioè i monopoli naturali.
Il monopolio naturale è una situazione in cui vi è una barriera invalicabile all'ingresso di nuovi
operatori economici.
Ad esempio, i settori dei servizi a rete sono considerati dei monopoli naturali perché la rete
attraverso cui il servizio viene erogato non è facilmente duplicabile da un punto di vista fisico ed
economico.
Si riteneva che i servizi pubblici essenziali erogati attraverso una rete non duplicabile dovessero
essere gestiti dallo Stato in quanto situazioni di monopolio naturale.
Questa visione in Europa è venuta un po’ meno con riguardo particolare al settore della telefonia,
che in passato era soggetta a un monopolio pubblico, il quale si estendeva anche ai terminali di
telecomunicazione che erano tutti uguali.
Quando si è iniziata a considerare l’idea che i terminali di telecomunicazione potessero essere
realizzati da imprenditori privati assumendo forme e colori diversi, è cominciata a nascere l’idea di
fondo che anche nei settori economici che appaiono come monopoli naturali è possibile introdurre
elementi di concorrenza
I due principi regolatori che permettono di introdurre elementi di concorrenza anche nei settori
economici con monopoli naturali sono:
- la concezione di una separazione tra la gestione della rete e l'erogazione del servizio
- l’obbligo per il gestore della rete di far interconnettere alla sua rete tutti gli erogatori di
servizi, senza distinzione
Ad esempio, la linea ferroviaria Milano-Roma è una linea ferroviaria che è stata duplicata per far
passare l'alta velocità e che viene gestita da “Italferr”, un ramo delle Ferrovie dello Stato, il quale
ha l'obbligo di far interconnettere alla rete qualunque gestore del servizio, come Freccia rossa e
Italo.
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Ad esempio, oggi si può acquistare l'energia elettrica da diversi gestori, mentre prima la
generazione dell’energia elettrica era monopolio dell’Enel; rimane invece soggetta al monopolio la
trasmissione dell'energia elettrica sulle linee dell'alta tensione, e la distribuzione su scala locale
sarà assegnata con gara d’appalto alle varie imprese a partire dal 2030.
Quindi questa modifica ha introdotto elementi di concorrenza anche nei settori economici con
monopoli naturali, e seguito di ciò lo Stato assume sempre di più un ruolo non di diretta gestione,
ma di sola regolazione.
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6) IL PRINCIPIO DI EGUAGLIANZA E IL CRITERIO DELLA RAGIONEVOLEZZA
Il primo comma definisce il principio dell’eguaglianza formale, affermando che “tutti i cittadini
sono uguali davanti alla legge senza distinzione di razza, di sesso, di lingua”.
Però, se si analizzano gli articoli della Costituzione, si nota che è la stessa Costituzione a fare
volutamente delle differenze.
Ad esempio:
- l'articolo 9 tutela le minoranze linguistiche
- l’articolo 37 stabilisce che la donna nel mondo del lavoro deve essere tutelata anche in
ragione delle sue caratteristiche, cioè del poter diventare madre e quindi del poter
concepire e avere un periodo di gravidanza
- l’articolo 38 definisce che chi ha una disabilità deve essere assistito
Tendenzialmente il primo comma è stato utilizzato anche per valorizzare i diritti delle persone.
Ad esempio, l’uomo vedovo si ha visto riconoscere un nuovo diritto: il diritto alla reversibilità della
pensione della moglie
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Il secondo comma definisce il principio dell’eguaglianza sostanziale e si basa sul principio
personalista, cioè la Costituzione pone al centro la persona come relazione tra la sua individualità,
i suoi diritti e la sua necessaria socialità, i suoi doveri sociali, economici e politici di partecipazione.
Il secondo comma affermando che “la Repubblica deve intervenire per rimuovere quegli ostacoli
di carattere economico e sociale che impediscono il pieno sviluppo della persona umana e la
possibilità per i cittadini di partecipare alla vita politica, economica, sociale”, diventa la fonte di
tutti i diritti sociali che sono previsti in Costituzione.
Ad esempio:
- l’articolo 32 stabilisce che la Repubblica tutela la salute e organizza degli apparati per
garantire il diritto alla salute.
- Gli articoli 33-34 stabiliscono che la Repubblica tutela il diritto all'istruzione e deve istituire
scuole di ogni ordine e grado perché sia assicurato il diritto.
- L’articolo 38 prevede il diritto all'assistenza e alla previdenza per le persone con delle
disabilità o per coloro che non sono più in grado di lavorare.
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7) I DIRITTI SOCIALI (INCONDIZIONATI E CONDIZIONATI)
I diritti sociali sono i diritti di terza generazione, cioè sono quelli che nascono tra la fine dell’800 e
l'inizio del 900 e si affermano definitivamente con la Costituzione.
I diritti sociali trovano fondamento nel principio di eguaglianza sostanziale (articolo 3 secondo
comma della Costituzione), e si sostanziano in un intervento da parte dei pubblici poteri per
rimuovere gli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo della persona.
I diritti sociali condizionati sono quelli la cui soddisfazione presuppone un’azione positiva da parte
della Repubblica, cioè deve predisporre un apparato organizzativo diretto a soddisfare il diritto.
Ad esempio:
- L’articolo 32 tutela il diritto alla salute, e implica che la Repubblica provveda a realizzare un
apparato amministrativo diretto a fornire le prestazioni che consentono di soddisfare tale
diritto (cioè predispone ed organizza ospedali, forma medici…)
- L’articolo 33 tutela il diritto all'istruzione, e implica che lo Stato provveda a istituire scuole
di ogni ordine e grado. Quindi vi è un obbligo posto a carico dello Stato di mettere in atto
un apparato organizzativo per soddisfare il diritto sociale all'istruzione.
Quindi i diritti sociali condizionati sono condizionati dal fatto che lo Stato metta in atto un
apparato organizzativo e, quindi, sono implicitamente anche finanziariamente condizionati dalle
risorse finanziarie dello Stato, che deve cercare di perseguire l’equilibrio di bilancio.
Però, questi diritti sono condizionati in un'ottica di bilanciamento, che deve andare maggiormente
a favore della soddisfazione del diritto piuttosto che a favore del rigore economico finanziario.
Questo non vuol dire che lo Stato possa sciupare le risorse, ma definisce che la tutela dei diritti
sociali ha una prevalenza rispetto le esigenze di equilibrio del bilancio.
In virtù del fatto che i diritti sociali condizionati sono condizionati dal fatto che lo Stato metta in
atto un apparato organizzativo, si potrebbe dire che anche le libertà sono diritti condizionati
perché per rivolgersi al giudice nel caso in cui venga lesa una libertà è necessario che lo Stato deve
mettere in atto l’apparato organizzativo della giustizia (tribunali uffici giudiziari, giudici,
cancellieri…). Quindi anche le libertà potrebbero essere dei diritti condizionati dall'esistenza di un
apparato organizzativo, che ha come scopo quello di fare giustizia.
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Però, per quanto riguarda le libertà, una volta che sono stati organizzati gli uffici giudiziari bisogna
solo rivolgersi agli uffici giudiziari, senza necessità di essere finanziariamente condizionati, come
invece succede per i diritti condizionati.
Per far si che siano soddisfatti i diritti sociali e che ci sia un equilibrio di bilancio, si possono
adottare differenti tecniche e principi.
Nella salute, ad esempio, si utilizza il principio dell’appropriatezza (delle cure) e l’utilizzo dei ticket
sanitari (cioè per certe prestazioni viene richiesto il versamento di un ticket, di valore inferiore
rispetto alla prestazione).
Un principio importante è il principio di sussidiarietà orizzontale, che era già implicitamente
presente nella Costituzione e che è stato esplicitato nell’articolo 118 mediante la legge
costituzionale n. 3 del 2001.
L'articolo 118 afferma che la Repubblica deve fare in modo che i soggetti privati agiscano anche
loro per la soddisfazione di interessi generali.
Quindi non sono soltanto gli enti territoriali che agiscono per soddisfare fini di interesse generale e
anche i diritti sociali, ma sono anche i soggetti privati.
Il principio di sussidiarietà orizzontale è una tecnica molto importante per ampliare il livello di
soddisfazione dei diritti sociali, dato che l'intervento pubblico spesso non è sufficiente e il terzo
settore consente di capire e soddisfare meglio i bisogni della popolazione.
Quindi il principio di sussidiarietà è un principio fondamentale per poter coniugare i limiti delle
risorse del bilancio pubblico con l'esigenza di dover soddisfare i diritti sociali.
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NUCLEO 3
1) L’AUTONOMIA STATUTARIA DELLE REGIONI:
QUALI PROCEDIMENTI PER L’APPROVAZIONE DEGLI STATUTI SPECIALI E DEGLI STATUTI
ORDINARI OGGI
PERCHÉ GLI STATUTI ORDINARI SONO FONTI AUTONOME E GLI STATUTI SPECIALI FONTI DI UNA
MAGGIORE AUTONOMIA
QUALI I CONTENUTI DEGLI STATUTI (FORMA DI GOVERNO E DISCIPLINA DELL’ESERCIZIO DELLE
FUNZIONI)
QUALI VINCOLI PONE LA COSTITUZIONE ALLA FORMA DI GOVERNO DELLE REGIONI (ORGANI,
LORO FUNZIONI, RAPPORTI TRA CONSIGLIO E PRESIDENTE - ANCHE ELETTO DIRETTAMENTE -
/GIUNTA)
Lo statuto è la fonte principale all'interno dell’ordinamento delle regioni, ed i suoi contenuti sono
diretti a disciplinarne l'organizzazione.
Esistono regioni a statuto ordinario e 5 regioni a statuto speciale (il Friuli-Venezia Giulia, la
Sardegna, la Sicilia, il Trentino-Alto Adige e la Valle d'Aosta) che, come garantito dall’art 116,
dispongono di forme e condizioni particolari di autonomia secondo i rispettivi statuti speciali.
Le particolari condizioni di autonomia derivano da una necessità storica: erano regioni che
minacciavano di separarsi dal resto del paese
Quali procedimenti per l’approvazione degli statuti speciali e degli statuti ordinari oggi?
I procedimenti per l’approvazione degli statuti nelle regioni sono mutati nel tempo, e con la
riforma del 2001 del titolo V della seconda parte della Costituzione si ha definito che:
- Gli statuti speciali vengono adottati con legge costituzionale
- Gli statuti ordinari vengono adottati con un procedimento aggravato
L’approvazione degli statuti speciali è disciplinata dall’art. 116 della Costituzione, che afferma che
devono essere adottati con legge costituzionale, quindi con lo stesso procedimento che vale per
modificare la Costituzione o per approvare leggi costituzionali (art. 138 Cost).
Quindi l'approvazione dello statuto regionale speciale continua a spettare necessariamente al
Parlamento, e non rimane nell’esclusiva disponibilità regionale.
L’approvazione degli statuti ordinari è disciplinata dall’art 123 della Costituzione, che afferma che:
- “Ciascuna regione ha uno statuto che in armonia con la Costituzione ne determina la forma
di governo e i principi fondamentali di organizzazione e funzionamento”
Siccome ciascuna regione si deve dare la propria forma di governo e la disciplina della
propria organizzazione, allora lo statuto ordinario non può essere stabilito a livello centrale
dal Parlamento, ma deve essere ciascuna regione a conferirsi il proprio statuto, in armonia
con la Costituzione
- “Lo statuto è approvato con due successive deliberazioni a distanza non inferiore di due
mesi l'una dall'altra”
Nonostante in ciascuna regione l'organo legislativo sia il Consiglio regionale, che è un
organo monocamerale, anche nelle regioni per approvare lo statuto si devono avere due
deliberazioni, e si deve rispettare un intervallo di tempo non inferiore a due mesi per dar
modo al Consiglio regionale di pensare a fondo e di ponderare i contenuti dello statuto
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- “Lo statuto in seconda deliberazione deve essere votato e deliberato a maggioranza
assoluta”
- “Il Governo della Repubblica può promuovere la questione di legittimità costituzionale sugli
statuti regionali davanti la Corte costituzionale entro trenta giorni dalla loro pubblicazione”
Quindi nei 30 giorni successivi alla pubblicazione della delibera, il Governo può impugnare
davanti alla Corte Costituzionale lo statuto.
Il governo ha il potere di fare ricorso alla Corte Costituzionale per far constatare lo statuto
regionale come incostituzionale (ex. la regione Sardegna si era data uno statuto nel quale
dichiarava la sovranità del popolo sardo, ed è stato dichiarato incostituzionale)
- “Lo statuto è sottoposto a referendum popolare qualora entro tre mesi dalla sua
pubblicazione ne faccia richiesta un cinquantesimo degli elettori della Regione o un quinto
dei componenti il Consiglio regionale. Lo statuto sottoposto a referendum non è
promulgato se non è approvato dalla maggioranza dei voti validi”
Quindi ci sono poi tre mesi da quando viene data pubblicità dell’approvazione dello statuto
nei quali 1/5 dei membri del consiglio regionale o 1/50 degli elettori della regione possono
proporre un referendum per confermare o non confermare lo statuto approvato dal
consiglio regionale.
Lo statuto non viene promulgato fino a che risulti approvato dalla maggioranza dei voti
validi espressi nelle urne referendarie.
Si applica questo procedimento sia per emendare parzialmente il vecchio statuto vigente
sia in caso di parziali modifiche al nuovo statuto.
Quindi la riforma del 2001 del titolo quinto della seconda parte della costituzione ha sottratto al
Parlamento il potere di approvare lo statuto ordinario delle regioni, dando così maggiore
autonomia alle regioni a statuto ordinario.
Perché gli statuti ordinari sono fonti autonome e gli statuti speciali fonti di una maggiore
autonomia?
Gli statuti speciali sono fonti di una maggiore autonomia, e non sono fonti autonome, perché
devono essere approvati mediante una legge costituzionale, e quindi sono approvati dal
Parlamento.
Gli statuti ordinari, invece, sono fonti autonome perché sono approvati mediante un
procedimento aggravato da ciascun consiglio regionale, e quindi non è stabilito a livello centrale
dal parlamento.
Quindi gli statuti speciali non sono fonti autonome, ma sono fonti volte a dare più autonomia alle
regioni; mentre gli statuti ordinari non possono dare più autonomia alla regione ordinaria, ma
sono fonti autonome, perché autonomamente approvate dal consiglio regionale.
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Quali i contenuti degli statuti (forma di governo e disciplina dell’esercizio delle funzioni)?
Lo statuto disciplina:
- la forma di governo della regione, cioè i rapporti tra gli organi di vertice della regione, e
dopo la riforma del 2001 del titolo V della seconda parte della Costituzione le regioni
godono di una più ampia autonomia nel determinare la propria forma di governo, pur nel
rispetto di alcuni limiti fondamentali stabiliti dalla costituzione, che ad esempio determina
gli organi regionali e le loro principali funzioni (-> art 123 “Ciascuna regione ha uno statuto
che in armonia con la Costituzione ne determina la forma di governo e i principi
fondamentali di organizzazione e funzionamento”)
- i principi fondamentali di organizzazione e funzionamento, cioè i principi che riguardano
come quella regione esercita le sue funzioni
- l’esercizio del diritto di iniziativa e del referendum
Anche le regioni a statuto speciale godono di una più ampia autonomia circa la determinazione
della propria forma di governo, la cui definizione è, con la legge costituzionale 2 del 2001, in buona
parte sottratta alla fonte statutaria e quindi alla decisione delle assemblee regionali anziché al
Parlamento.
Quali vincoli pone la Costituzione alla forma di governo delle regioni (organi, loro funzioni, rapporti
tra Consiglio e Presidente - anche eletto direttamente - /Giunta)?
La Costituzione, dato che lo statuto delle regioni deve essere in armonia con essa, pone dei limiti
alla forma di governo delle regioni:
- Art 121 definisce che:
o Gli organi della regione sono: il consiglio regionale, la giunta e il suo presidente
o Le funzioni degli organi della regione:
§ il consiglio regionale è l'organo che ha la funzione legislativa
§ la giunta ha solo una funzione più di carattere regolamentare, non
legislativa
- Art 126 definisce che ci deve essere un rapporto fiduciario tra il consiglio regionale e il
presidente e la sua giunta.
Quindi, qualunque sia la scelta per l'elezione*, il consiglio regionale può muovere una
mozione di sfiducia nei confronti del presidente della giunta.
* preferibilmente il presidente della Regione è eletto direttamente dagli elettori, ma non è
una scelta imposta a tutte le regioni. Si è stabilito che sia poi lo statuto regionale a
scegliere se conservare un presidente eletto direttamente dagli elettori oppure no, ad
esempio eletto dal consiglio regionale
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2) LA RIPARTIZIONE DELLA POTESTÀ LEGISLATIVA TRA LO STATO E LE REGIONI:
PERCHÉ SONO EQUIPARATE LEGGI STATALI E REGIONALI E QUALE CRITERIO NE CONSENTE LA
DISTINZIONE
QUAL È LA CARATTERISTICA DELLA POTESTÀ LEGISLATIVA REGIONALE DI TIPO CONCORRENTE
PERCHÉ LA COMPETENZA LEGISLATIVA REGIONALE DI CUI AL QUARTO COMMA PUÒ ESSERE
DEFINITA RESIDUALE E NON ESCLUSIVA
COSA SONO E QUALI SONO LE “MATERIE-NON MATERIE”
COSA SIGNIFICA E COSA IMPLICA IL CRITERIO DELLA “CHIAMATA IN SUSSIDIARIETÀ”
QUALE PROCEDIMENTO OCCORRE SEGUIRE PERCHÉ UNA REGIONE ACQUISISCA “AUTONOMIA
DIFFERENZIATA” E IN QUALI MATERIE
IN QUALI CASI E COME SI ESERCITA IL POTERE SOSTITUTIVO DEL GOVERNO SULLE REGIONI
La Costituzione repubblicana attribuisce alle regioni potestà legislativa, quindi in Italia il potere
legislativo è esercitato dallo Stato e dalle regioni.
Originariamente e fino alla riforma del titolo V della Costituzione, la Costituzione attribuiva potere
legislativo entro certi limiti:
- Le regioni a statuto ordinario potevano disciplinare solo le materie dell’articolo 117, ma
dovendo rispettare i principi fondamentali stabiliti dalla legge dello Stato
- Le regioni a statuto speciale in alcune materie non dovevano rispettare i principi
fondamentali, avendo così potestà legislativa piena; inoltre, lo statuto di queste regioni
poteva attribuire alle stesse potestà legislativa in ulteriori materie
La riforma del titolo V della Costituzione, approvata con legge costituzionale 3 del 2001, ha mutato
la disciplina della ripartizione della potestà legislativa tra Stato e regioni, ed è volta a dare
maggiore potestà legislativa alle Regioni.
L’articolo 117 della Costituzione, dopo la riforma del titolo V della costituzione, definisce la
ripartizione tra la potestà legislativa statale e potestà legislativa regionale, e afferma che lo Stato
ha competenza legislativa in alcune materie, mentre in tutte le altre la competenza legislativa è
delle regioni.
Primo comma
Originariamente conteneva solo l’elenco delle materie di competenza regionale; la Costituzione,
quindi, riteneva che la potestà legislativa spettasse sempre allo Stato, tranne che nelle materie
indicate nell’articolo 117.
Oggi, invece, il primo comma contiene le regole di riparto della potestà legislativa e i limiti comuni
alla potestà legislativa sia statale sia regionale; infatti, sia le leggi dello Stato sia le leggi delle
regioni devono sottostare alla Costituzione, all’ordinamento dell’Unione europea e ai trattati
internazionali.
I limiti comuni alla potestà legislativa statale e regionale confermano che le leggi statali e regionali
sono equiparate; infatti, tra le due tipologie di leggi non c’è un rapporto di gerarchia, ma sono
sullo stesso piano, e si differenziano soltanto per il diverso ambito di competenza.
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Secondo comma
Il secondo comma elenca le materie di potestà legislativa esclusiva dello Stato; queste materie
sono numerose, estese ed importanti, ma sono un numero chiuso.
Molte di queste materie non possono che essere di competenza dello Stato, perché sono di
interesse nazionale, ad esempio la politica esterna, l’immigrazione, la difesa, i rapporti tra la
Repubblica e le confessioni religiose.
Per distinguere le materie di competenza dello Stato e quelle di competenza delle regioni si ha
quindi utilizzato il criterio, introdotto con la riforma del titolo V della Costituzione,
dell’enumerazione delle materie di cui ha potestà legislativa esclusiva lo Stato, mentre nel resto
delle materie hanno potestà legislativa le regioni.
Quindi originariamente lo Stato era competente in tutte le materie, tranne che in quelle elencate
nell’articolo 117, che erano di competenza regionale; invece, oggi lo Stato ha competenza solo
nelle materie elencate nel secondo comma dell’articolo 117, mentre le altre materie sono di
competenza delle regioni.
Terzo comma
Il terzo comma contiene un elenco di materie attribuite alla potestà legislativa regionale di tipo
concorrente, cioè alla cui disciplina concorrono sia lo Stato sia le regioni.
In queste materie spetta alle regioni la potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei
principi fondamentali riservati alla legislazione dello Stato.
Quindi le regioni dettano la disciplina legislativa di queste materie nel rispetto dei principi
fondamentali stabiliti dalla legge statale.
Tra queste convivono sia materie che sono indubbiamente regionali sia materie che appaiono più
propriamente oggetto di disciplina a livello statale, ad esempio la produzione, il trasporto e la
distribuzione nazionale dell'energia.
Quarto comma
Il quarto comma definisce che “spetta alle regioni la potestà legislativa in riferimento ad ogni
materia non espressamente riservata alla legislazione dello Stato”.
Quindi, ad eccezione delle materie del secondo comma e del terzo comma, in tutte le altre
materie la potestà legislativa è di competenza delle regioni.
Le regioni hanno la generalità della potestà legislativa, che prima della riforma del titolo V della
Costituzione era attribuita allo Stato.
La potestà legislativa delle regioni è definita residuale dato che le regioni hanno potestà in tutte le
altre materie non citate precedentemente.
Non viene quindi fatta un’elencazione di queste materie, ma le si ricavano ad esclusione, e
compongono infatti un elenco nascosto, che comprende ad esempio il trasporto pubblico locale, il
turismo, l'agricoltura, il commercio, la polizia amministrativa locale…)
Nelle materie di questo elenco nascosto le regioni non devono nemmeno rispettare i principi
fondamentali posti dal legislatore statale.
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Cosa sono e quali sono le “materie-non materie”?
Le “materie – non materie” interessano trasversalmente una molteplicità di materie, e sono di
competenza esclusiva dello Stato.
Le materie - non materie sono alcune delle materie regolamentate nel comma 2 dell’articolo 117
che sono talmente estese da non essere delle materie, ma qualcosa di più ampio.
Queste materie, che sono di potestà legislativa esclusiva dello Stato, vanno ad attraversare anche
altre materie contenute nel terzo e quarto comma; per questo anche nelle materie del quarto
comma le regioni non hanno potestà esclusiva.
Tra le materie del quarto comma vi è, ad esempio, il turismo, che è una materia di competenza
legislativa delle regioni, e sul turismo le regioni non devono neppure rispettare i principi
fondamentali posti dalla legge statale.
Però i modelli organizzativi delle agenzie turistiche non possono essere disciplinati da una legge
regionale perché si tratta di imprese, e quindi solo il codice civile può regolarle.
Quindi una materia come il turismo è attraversata necessariamente da norme dallo Stato.
Ad esempio, il danno da vacanza rovinata: la responsabilità contrattuale e extracontrattuale è
disciplinata nel codice civile, è una disciplina che riguarda i rapporti civili, quindi non può essere
disciplinata dalla regione.
Nel secondo comma vi è la “determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i
diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale”
Nel quarto comma però, nell’elenco nascosto, sono presenti le politiche sociali, cioè tutte quelle
politiche e tutti quei servizi che ne derivano che sono volti a soddisfare dei bisogni sociali (es il
bisogno di chi è portatore di una disabilità, il bisogno delle persone più fragili, gli anziani, i
minori…)
La gestione e l’amministrazione di queste politiche sociali spetta alla potestà legislativa di ciascuna
regione, ma i livelli essenziali diretti a soddisfare i diritti sociali LIVEAS (livelli essenziali assistenza
sociale) devono essere stabiliti con la legge dello Stato
Le regioni hanno quindi guadagnato più autonomia legislativa per effetto della riforma del titolo V
della Costituzione, ma ci sono materie che interessano trasversalmente più materie
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Cosa significa e cosa implica il criterio della “chiamata in sussidiarietà”?
Dalla riforma del 2001 ad oggi vi sono stati numerosi cambiamenti, che portarono a dei conflitti tra
le regioni e lo Stato, risolti mediante i ricorsi alla Corte Costituzionale.
La Corte costituzionale doveva stabilire a chi spettasse la competenza legislativa, se allo Stato o
alla regione.
Differenti interferenze:
- La concorrenza di competenze, che definisce che, quando una legge non disciplina una
specifica materia ma una pluralità di materia, si applica il criterio della prevalenza
materiale, cioè si guarda la finalità della legge
- Le esigenze di carattere unitario
- Chiamata in sussidiarietà
Il criterio della chiamata in sussidiarietà definisce che lo Stato può richiamare a sé delle
competenze che in teoria sarebbero delle regioni, perché non elencate nel secondo comma
dell’articolo 117 della Costituzione; nello specifico viene affermato che se una funzione
amministrativa non può che essere di competenza dello Stato in forza del principio di
sussidiarietà*, lo Stato assume anche la competenza legislativa di disciplinare l'esercizio di quella
funzione.
Il criterio della chiamata in sussidiarietà è stato introdotto con la sentenza 303 del 2003, che ha
affermato la potestà legislativa statale relativamente alla disciplina della realizzazione di opere
pubbliche d’interesse strategico.
* Il principio di sussidiarietà consiste nel fare in modo che le istituzioni provvedano a dare
attuazione alle leggi laddove sono più vicine al cittadino.
L’obiettivo è quello di andare a collocare l'esercizio di una funzione nel giusto livello di governo:
comune (quando la funzione riguarda un interesse che si consuma al suo interno), provincia,
regione o Stato.
Quale procedimento occorre seguire perché una regione acquisisca “autonomia differenziata” e in
quali materie?
In quali casi e come si esercita il potere sostitutivo del Governo sulle regioni
Principi e regole ulteriori del riparto:
- Il regionalismo differenziato
- I poteri sostitutivi
Il regionalismo differenziato
Il principio del regionalismo differenziato, introdotto dall’articolo 116 terzo comma, permette alle
regioni a statuto ordinario di richiede un’autonomia differenziata.
Le regioni a statuto ordinario possono ambire ad avere una maggiore autonomia legislativa in
alcune materie tra cui:
- tutte le materie del terzo comma dell’art 117, cioè le materie rimesse alla potestà
legislativa regionale di tipo concorrente; in queste materie le regioni possono ambire, ad
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esempio, a non dover più rispettare i principi fondamentali della materia posti dal
legislatore statale
- alcune materie del secondo comma dell’art 117: i giudici di pace, le norme generali
sull’istruzione, la tutela dell'ambiente dell'ecosistema e dei beni culturali
Se una regione desidera avere maggiore autonomia legislativa deve seguire un procedimento
aggravato.
Il procedimento prevede che la regione interessata, su sua iniziativa e dopo aver sentito i propri
enti locali (province e comuni), può chiedere allo Stato una maggiore autonomia in tutte queste
materie.
Se lo Stato accoglie la richiesta, crea un’intesa Stato-Regioni che viene poi sottoposta alle Camere,
le quali devono approvare il testo con maggioranza assoluta.
In 20 anni il terzo comma dell’articolo 116 non è mai stato attuato, nonostante le regioni
Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna abbiano fatto richiesta di maggiore autonomia.
I poteri sostitutivi
L'articolo 120 dice che lo Stato, attraverso il Governo, può esercitare poteri sostitutivi sulle regioni
riguardo l’esercizio di attività normativa e amministrativa, nei casi elencati nel secondo comma:
- se le regioni non rispettano la normativa dell'Unione europea (norme e trattati
internazionali o normativa comunitaria)
- se adottano iniziative o leggi politiche che possono creare un pericolo grave per
l'incolumità o per la sicurezza pubblica
- quando richiedono la tutela dell’unità economica o giuridica dello Stato, o dei livelli
essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali
La pandemia da Covid-19 ha costituito ulteriore motivo di riflessione circa la validità o meno della
riforma del 2001, che ha attribuito alle regioni la potestà legislativa di tipo concorrente in materia
di tutela della salute.
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3) AUTONOMIA FINANZIARIA DELLE REGIONI (E DEGLI ENTI LOCALI):
COSA SIGNIFICA AUTONOMIA DI ENTRATA E DI SPESA
QUALI SONO I TRIBUTI PROPRI E IN COSA CONSISTE LA PARTECIPAZIONE AL GETTITO DI TRIBUTI
ERARIALI
A FAVORE DI QUALI REGIONI OPERA IL FONDO PEREQUATIVO E CON QUALI VINCOLI
QUALI ALTRI INTERVENTI POSSONO ESSERE DISPOSTI DALLO STATO IN FAVORE DI REGIONI O
ENTI TERRITORIALI E CON QUALI VINCOLI
COSA IMPLICA L’ABBANDONO DELLA SPESA STORICA (O COSTO STORICO) E L’APPRODO AL
COSTO STANDARD DELLE FUNZIONI ATTRIBUITE AI VARI ENTI TERRITORIALI
L'articolo costituzionale che riguarda l’autonomia finanziaria delle regioni, delle province, delle
città metropolitane e dei comuni rispetto allo Stato è l'articolo 119.
L’articolo 119 è stato oggetto di modifica costituzionale insieme alla modifica del titolo V della
costituzione, cioè per effetto della legge costituzionale numero 3 del 2001
Prima di questa modifica, però, il legislatore aveva già in parte riconosciuto una qualche
autonomia finanziaria delle regioni:
- ICI
- Irap (imposta regionale sulle attività produttive)
In realtà l’originario testo dell’art 119, pur essendo orientato a riconoscere un’autonomia
finanziaria delle Regioni in relazione alle funzioni alle stesse spettanti, non conteneva a tal fine
alcuna seria garanzia e rimetteva al legislatore statale ogni concreta determinazione al riguardo
L'articolo 119:
- costituzionalizza l'autonomia di entrata e di spesa di comuni, province, città metropolitane
e regioni
- dice che questi enti possono avere tributi propri, in armonia con la costituzione e nel
rispetto dei principi di coordinamento della finanza pubblica, e possono avere
compartecipazione al gettito di tributi erariali
- dice che c'è un fondo perequativo che serve a compensare la minor capacità fiscale per
abitante delle regioni con minor capacità appunto fiscale
- dice che possono esserci risorse aggiuntive, ma con vincolo di destinazione
L’autonomia di entrata definisce che comuni, province, città metropolitane e regioni hanno
risorse autonome, che derivano dall'applicazione di tributi propri e compartecipazioni al gettito di
tributi erariali
L’autonomia di spesa comporta che lo Stato non può imporre ai comuni, province, città
metropolitane e regioni di spendere tutto secondo quanto dice lo Stato. Cioè vi è un’autonomia
regionale, al di là degli ambiti dove la spesa è imposta*, nell’individuare quali politiche attuare e
quindi dove spendere le risorse;
*ad esempio, i livelli essenziali delle prestazioni che sono stabiliti a livello statale, ma poi devono
essere finanziati a livello regionale
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Quali sono i tributi propri?
I tributi propri sono la prima fonte di risorsa autonoma e sono caratterizzati da un’ampia
autonomia dell’ente locale, anche se, come affermato nell’art 119 secondo comma, i tributi propri
devono essere stabiliti in armonia con la Costituzione e secondo i principi di coordinamento della
finanza pubblica e del sistema tributario, stabiliti dal legislatore.
L’articolo 23 definisce che il potere di imporre prestazioni patrimoniali ai cittadini è soggetto alla
riserva di legge relativa, cioè la legge definisce solo gli elementi essenziali della disciplina del
tributo mentre gli elementi possono essere stabiliti anche da fonti secondarie del diritto.
Includono ad esempio l’IMU, l’addizionale Irpef, le tasse sulle concessioni regionali, la tassa
automobilistica regionale, l’imposta sulla benzina per autotrazione
Il tributo proprio più importante del comune è l’IMU, una volta denominato ICI.
L’ICI era un’imposta che prevedeva una partecipazione attiva del comune nel momento della
definizione dell’aliquota, dell’accertamento, della riscossione e della spesa del gettito.
Il comune quindi doveva:
- stabilire due elementi fondamentali dell’ICI:
o l’aliquota applicabile nel singolo comune, all’interno di un range stabilito dallo Stato
o le detrazioni
- accertare e riscuotere l’imposta, il che garantiva un controllo più efficace grazie alla
vicinanza tra il soggetto passivo e i luoghi di controllo del pagamento dell’imposta e di
riscossione del tributo
- disporre la spesa di quanto riscosso, così da poter gestire le proprie risorse in autonomia
Invece, il tributo proprio più importante delle regioni è l’Irap (imposta regionale sulle attività
produttive), che è un’imposta che colpisce i redditi che derivano da un investimento di capitale,
cioè da imprese e professioni implicanti investimenti di capitali.
L’Irap è un’imposta che affida alle singole regioni:
- un’autonomia limitata rispetto all’individuazione dell’aliquota
- un’autonomia maggiore rispetto il controllo, la liquidazione e la spesa dell’imposta
I comuni e le regioni hanno un’autonomia anche rispetto l’addizionale Irpef (imposta sul reddito
delle persone fisiche), della quale devono:
- stabilire un’aliquota limitata (per i comuni non può superare lo 0,8%) che si aggiunge a
quella dello Stato
- accertare e riscuotere l’imposta, e disporne la spesa
La compartecipazione più importante per le regioni è quella relativa all’IVA, che è un tributo
erariale di cui oltre della metà del gettito viene distribuito tra le regioni sulla base degli indici dei
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consumi regionali, e cioè più alto è l'indice dei consumi in una regione più alta è la quota di gettito
iva che spetta a quella regione.
La compartecipazione all’IVA soddisfa la spesa sanitaria delle regioni.
La compartecipazione ai tributi erariali costituisce per le regioni a statuto speciale il 50% delle
entrate, mentre per quelle a statuto ordinario rappresenta una fonte di entrata marginale
Quali altri interventi possono essere disposti dallo Stato in favore di regioni o enti territoriali e con
quali vincoli?
Il quinto comma dell’articolo 119 definisce che lo Stato può conferire delle eventuali risorse
aggiuntive alle regioni la cui destinazione è vincolata alla promozione dello sviluppo economico,
alla coesione e solidarietà sociale, alla rimozione degli squilibri economici e sociali, a favorire
l’effettivo esercizio di diritti della persona o per provvedere a scopi diversi dall’ordinario esercizio
delle loro funzioni.
Si tratta quindi di finanziamenti mirati a uno scopo specifico volti a far venire meno uno specifico
squilibrio, secondo le modalità stabilite dallo Stato.
Cosa implica l’abbandono della spesa storica (o costo storico) e l’approdo al costo standard delle
funzioni attribuite ai vari Enti territoriali?
La legge 42 del 2009 (legge sul federalismo fiscale) stabilisce alcuni principi che regolano i nuovi
standard per la redistribuzione delle risorse all’interno del Paese, sancendo così l’abbandono dei
vecchi standard “spesa storica”, o “costo storico” e l’introduzione dei “costi standard”.
Secondo i vecchi standard le risorse venivano distribuite alle Regioni nella misura in cui erano
storicamente trasferite e poi spese, mentre se non fossero state spese lo Stato avrebbe decurtato i
trasferimenti. (=> gli anni successivi lo Stato avrebbe poi ritrasferito lo stesso quantitativo di
risorse, magari leggermente aumentato o diminuito a seconda delle spese effettuate).
Questo criterio di fare finanza pubblica era utile negli anni 70 quando tutto il gettito finiva allo
Stato e poi distribuito alle regioni, ai comuni e alle province tenendo conto del numero degli
abitanti, dell’ampiezza territoriale dell'ente e in modo inversamente proporzionale della ricchezza.
La legge 42 del 2009 afferma invece che si debba uscire da questa logica e si debba attribuire a
ciascun ente un'autonomia tributaria (e quindi risorse) corrispondente alle funzioni che quell’ente
deve esercitare, introducendo il criterio dei “costi standard”.
Per stabilire quante risorse assegnare a un ente perché copra le funzioni assegnatosi, è necessario
che in tutto il Paese le funzioni costino allo stesso modo, e quindi ci devono essere dei costi
standard. È partita quindi un'operazione volta a definire i costi standard di tutte le prestazioni che
comuni, province, città metropolitane, regioni e Stato devono effettuare.
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In questo vi è il federalismo fiscale, infatti l’ente, che ha ricevuto risorse sufficienti sulla base del
costo standard per assicurare quel servizio, se spreca le risorse attribuitigli dovrà ricavarle da un
aumento delle imposte; mentre se è un ente virtuoso e che ha dei risparmi, allora può anche dare
servizi ad esempio.
A causa della crisi economica del 2008, però, questa riforma (legge 42 del 2009) non ha ancora
trovato attuazione, dato che lo Stato ha dovuto effettuare tagli lineari su tutte le spese altrimenti
non sarebbe riuscito ad osservare il patto di stabilità. Mentre oggi l’attuazione della legge 42 del
2009 è ostacolata dal Covid.
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NUCLEO 4
1) IL REFERENDUM ABROGATIVO QUALE ISTITUTO DI DEMOCRAZIA DIRETTA.
LE TIPOLOGIE DI REFERENDUM (COSTITUZIONALE, CONSULTIVO, ABROGATIVO).
OGGETTO DEL REFERENDUM ABROGATIVO (ABROGAZIONE IN TUTTO O IN PARTE DI LEGGI E
ATTI AVENTI FORZA DI LEGGE).
INIZIATIVA.
PROCEDIMENTO.
GIUDIZIO DI AMMISSIBILITÀ: MATERIE IN CUI IL REFERENDUM ABROGATIVO NON È AMMESSO;
ALTRI CASI DI INAMMISSIBILITÀ.
QUORUM DI VALIDITÀ E DI EFFICACIA.
EFFETTI DEL REFERENDUM ABROGATIVO
Il referendum costituzionale serve per confermare o per opporsi ad una legge costituzionale (art
138 contenente il procedimento di approvazione e revisione delle leggi costituzionale) o ad uno
statuto regionale (art 123 contente il procedimento di approvazione degli statuti ordinari) votato
dal Parlamento o dal Consiglio regionale.
Nell’articolo 138 viene definito come uno strumento di democrazia incisivo eventuale; infatti, se la
riforma costituzionale in seconda deliberazione è votata dalla maggioranza assoluta ma non
qualificata, può essere richiesto il referendum costituzionale da 1/5 di una camera o 5 Consigli
regionali o 500’000 elettori il referendum costituzionale, che ha il compito di decidere se la legge
costituzionale entrerà o meno in vigore.
Anche nell’articolo 123 viene definito come uno strumento di democrazia incisivo eventuale;
infatti 1/5 dei membri del Consiglio regionale o 1/50 degli elettori della regione possono proporre
un referendum costituzionale per decidere se confermare o meno lo statuto approvato dal
Consiglio regionale.
Il referendum consultivo è il parere della popolazione interessata che verrà poi solo ascoltato da
chi emanerà la legge. È contenuto negli artt 132-133, che riguardano le istituzioni delle regioni e
delle province.
Gli articoli 132-133 definiscono il referendum consultivo come necessario, ma solo consultivo e
non incisivo; infatti, è un passaggio obbligatorio ma il legislatore può anche non ascoltare
l’opinione della popolazione
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Il referendum abrogativo è uno strumento di democrazia incisivo, disciplinato nell’art 75 della
Costituzione e nella legge 352/1970.
Il referendum abrogativo costituisce una fonte del diritto negativa; infatti, l’art 75 afferma che “il
referendum abrogativo può avere ad oggetto l’abrogazione, totale o parziale, di una legge o un
atto in forza di legge”
Il referendum può essere richiesto per iniziativa di 500'000 elettori o 5 Consigli regionali.
A differenza del referendum costituzionale, non può essere chiesto dai parlamentari (1/5 dei
membri di una o l’altra camera), perché si voleva che fosse un veto popolare nei confronti della
volontà parlamentare.
- ulteriori cause di inammissibilità del referendum, individuate nel corso degli anni, sono:
o La Corte costituzionale dal 1978 ha definito che non ammette i referendum il cui
quesito referendario non risulti chiaro, univoco, coerente ed omogeneo.
ex: l’abrogazione della legge che consente la caccia e la pesca, non è posta tramite
un quesito chiaro, univoco, coerente ed omogeneo; un pescatore potrebbe essere
contrario alla caccia ma si troverebbe in difficoltà perché non vorrebbe
l’abrogazione anche della pesca; questo quesito viola la sovranità popolare, perché
impedisce al cittadino di esprimere la propria sovranità, infatti “soffrirà” qualsiasi
scelta effettuerà
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o La Corte costituzionale ha dichiarato inammissibili i referendum che hanno per
oggetto leggi dotate di forza passiva peculiare, cioè quelle leggi che non possono
essere abrogate da una legge ordinaria, dato che sono il frutto di un procedimento
articolato e particolare
ex: l’art 116 ultimo comma della Costituzione afferma che le regioni a statuto
ordinario possono aspirare ad avere un’autonomia differenziata; devono richiedere
l’approvazione degli enti locali, proporre un’intesa allo Stato e se l’accordo viene
siglato viene portato in parlamento, il quale si deve esprimere a maggioranza; si
tratta di un iter articolato, quindi non basta una qualsiasi legge per abrogare questa
legge, è necessario un procedimento più articolato
Quorum necessari
L’art 75 afferma che il referendum determina l’abrogazione della legge solo se vanno a votare la
maggioranza degli aventi diritto al voto (=quorum di validità), e solo se la maggioranza dei voti
espressi si esprime a favore dell’abrogazione della legge detta (=quorum di efficacia).
Effetti
- Se la maggioranza dei voti espressi si esprime favorevolmente (quorum di efficacia), il
quesito referendario si reputa accolto, quindi la legge o l’atto avente forza di legge viene
abrogato
- Se la maggioranza dei voti espressi si esprime contraria, la legge o l’atto avente forza di
legge non viene abrogato e il referendum non può essere riproposto per 5 anni
In caso il referendum passi, il Presidente della Repubblica deve pubblicare sulla Gazzetta Ufficiale
la notizia e la legge viene abrogata (con un possibile ritardo di 60 giorni per consentire l’eventuale
sistemazione dei testi legislativi “rimaneggiati” per effetto dell’abrogazione) senza che il
Parlamento possa modificarla, questo grazie alla forza decidente del referendum.
Nonostante sia una fonte del diritto negativa, mediante il referendum abrogativo non si cancella
semplicemente una legge o una parte di essa; ma attraverso l’abrogazione si modifica
l’ordinamento (=> effetti manipolativi).
Quindi il referendum abrogativo è una fonte del diritto in senso proprio, perché abroga e modifica.
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2) SISTEMI ELETTORALI E FORMA DI GOVERNO.
SISTEMI ELETTORALI DI TIPO PROPORZIONALE, DI TIPO MAGGIORITARIO E SISTEMI
PROPORZIONALI CON PREMIO DI MAGGIORANZA.
I SISTEMI ELETTORALI PER CAMERA E SENATO VIGENTI IN ITALIA FINO ALLE LEGGI 276 E 277
DEL 1993.
IL SISTEMA PREVALENTEMENTE MAGGIORITARIO INTRODOTTO DA QUESTE DUE ULTIME LEGGI
E LE CONSEGUENZE SULLA FORMA DI GOVERNO.
LA RIFORMA ELETTORALE DEL 2005.
SUA INCOSTITUZIONALITÀ (CORTE COST. 1/2014).
L’ITALICUM E IL SUO SUPERAMENTO CON IL VIGENTE SISTEMA ELETTORALE
PREVALENTEMENTE MINORITARIO.
LE CONNESSIONI TRA SISTEMA ELETTORALE, SISTEMA DEI PARTITI POLITICI E FORMA DI
GOVERNO.
Il diritto di voto è uno strumento attraverso cui si esprime la sovranità popolare, ed è regolato
dall’art 48 Cost che definisce che il voto è personale ed eguale, libero e segreto, ed il suo esercizio è
dovere civico.
I cittadini, attraverso il diritto al voto, votano i rappresentanti del parlamento:
- Rappresentanti alla Camera dei deputati (630), senza limitazioni di età
- Rappresentanti al Senato (315), per i cittadini con almeno 25 anni di età
Mentre a livello regionale si votano sia il presidente della regione sia i consiglieri regionali.
Infine, a livello comunale sia per il sindaco sia per i consiglieri comunali.
I sistemi elettorali
I sistemi elettorali proporzionali definiscono che i rappresentanti nel parlamento siano
proporzionati alle tendenze in atto nel Paese, rispecchiando i diversi orientamenti politici degli
elettori.
Per determinare i seggi di ciascun partito si trova innanzitutto il quoziente elettorale che esprime il
numero di voti necessari per ottenere un seggio, ed è calcolato dividendo il numero totale dei voti
validi per il numero dei seggi disponibili; successivamente si divide il numero dei voti ottenuti da
ciascun partito per il quoziente elettorale, trovando così il numero dei seggi a cui ha diritto ciascun
partito. Quindi così facendo il numero di seggi è proporzionale ai voti conseguiti.
Il sistema elettorale proporzionale puro ha l’effetto che il Parlamento sia la rappresentazione delle
tendenze politiche degli elettori.
Questo sistema elettorale ha il pregio di essere inclusivo, cioè anche i partiti più piccoli possono
aspirare a ottenere un seggio in Parlamento, consentendo così la rappresentazione di tutti i diversi
orientamenti politici.
Però, ha il difetto di creare una maggiore frammentazione politica dato il numero elevato di partiti
presenti in Parlamento, che si ripercuote negativamente sulla governabilità (funzionalità delle
istituzioni) dato che è più difficile formare maggioranze.
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I sistemi elettorali maggioritari premiano più che proporzionalmente i partiti che hanno ottenuto
il maggior numero di voti.
Il sistema elettorale maggioritario più diffuso è la forma plurality (adottata ad esempio in
Inghilterra), che prevede la divisione del territorio nazionale in tanti collegi quanti sono i seggi
dell’istituzione da eleggere, e in ciascun collegio è in palio un seggio che viene assegnato al
candidato con più voti, qualunque sia la percentuale dei voti ottenuti (maggioranza relativa).
Dato che i partiti possono iscrivere un solo proprio candidato in ogni collegio, i partiti più piccoli
tendono ad unirsi ad un partito più grande per evitare di non essere rappresentati nell’istituzione.
I sistemi proporzionali con premio di maggioranza sono dei sistemi elettorali misti tra quelli
proporzionali e quelli maggioritari.
Il sistema proporzionale con premio di maggioranza determina l'attribuzione di parte dei seggi
mediante il criterio della proporzionalità, e il resto dei seggi sono attribuiti come premio
(normalmente la quota dei seggi sufficiente al partito a conseguire la maggioranza) al partito
politico che ha ottenuto i maggiori consensi.
Così facendo si offre la possibilità a tutti i partiti, anche a quelli più piccoli, di ottenere una
rappresentanza, ma contemporaneamente si garantisce una maggior governabilità dato che, con il
premio di maggioranza, il partito con maggiori consensi ha la possibilità di avere la maggioranza.
In questo modo si cerca di conciliare la maggior rappresentatività, caratteristica del sistema
proporzionale, con una maggior governabilità, caratteristica del sistema maggioritario.
Dato che solo in rari casi è successo che un candidato ottenesse una maggioranza dei voti non
inferiore al 65%, si può affermare che in Italia fino al 1993 sia adottata un sistema elettorale di
tipo proporzionale (è un sistema ampliamente rappresentativo ma poco funzionale).
Questo ebbe l'effetto di un progressivo aumento dei partiti politici presenti in Parlamento, quindi
una progressiva frammentazione e debolezza dei governi, la cui durata media era di 10 mesi.
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Inoltre, gli elettori non avvertivano il peso del proprio voto, dato che non si aveva una sicura
consapevolezza circa la coalizione di governo che sarebbe stata formata.
Quindi questo sistema politico soffriva di una crisi di governabilità e di una crisi di rappresentanza,
che portarono nel 1993 ad una proposta referendaria.
Il referendum aveva lo scopo di trasformare il sistema elettorale di tipo proporzionale in un
sistema elettorale di tipo maggioritario attraverso l'abrogazione di singole parti della legge
elettorale per il Senato.
Principalmente si voleva abrogare la percentuale del 65% dei voti necessaria per la vittoria del
seggio, che impediva che il Senato fosse sostanzialmente, e non solo formalmente, basato su un
sistema elettorale maggioritario.
Questo nuovo sistema produsse una bipolarizzazione del sistema politico, dato che i partiti politici,
che erano ancora in numero elevato, capirono che era fondamentale ricercare la creazione di
alleanze per aggiudicarsi la maggioranza relativa nei singoli collegi necessaria per conquistare i
seggi assegnati con la formula maggioritaria plurality.
Il sistema politico era quindi organizzato in due poli principali, centro-destra e centro-sinistra, in
cui si coalizzavano partiti politici eterogenei e con differenti ideologie.
Nel nuovo sistema elettorale gli elettori avevano l’idea che il proprio voto contasse, dato che
votando un candidato si votava indirettamente una coalizione di partiti, la quale esprimeva un
leader candidato a ricoprire il ruolo di Presidente del Consiglio dei Ministri che avrebbe realizzato
il programma elettorale proposto, e che riuniva le forze politiche della coalizione.
È cambiata anche la forma di governo che è rimasta parlamentare perché permane la necessità
della fiducia parlamentare nei confronti del Governo, ma il Parlamento non era più centrale,
lasciando la predominanza al Governo, che si proponeva di realizzare quanto aveva promesso nella
campagna elettorale.
Infatti, proprio perché il sistema maggioritario ha favorito che le coalizioni si presentassero unite
attorno alla figura di un leader per realizzare un programma, il leader dopo aver vinto le elezioni
ed essere diventato Presidente del Consiglio chiedeva alla maggioranza parlamentare fedeltà e
disponibilità all’attuazione dell’indirizzo politico governativo.
51
L'obiettivo di questa riforma era quindi di assicurare che il partito politico o la coalizione di partiti
maggiormente votati ottenessero la maggioranza assoluta dei seggi in Parlamento, per assicurare
una maggior governabilità.
Questo sistema elettorale è stato utilizzato fino al 2013.
La Corte costituzionale, però, dichiarò con la sentenza 1/2014 incostituzionale questo sistema
elettorale perché premiava eccessivamente la governabilità, trascurando la democraticità.
Infatti, non era considerato sufficientemente democratico perché attribuiva un premio di
maggioranza al partito vincente senza una soglia minima, quindi senza che quel partito avesse
ottenuto un ampio consenso.
L’Italicum
L'Italicum e un sistema elettorale che non è mai stato attuato, dato che aveva senso solo se fosse
passata la riforma costituzionale patrocinata dal Governo Renzi.
Infatti, l'Italicum presupponeva il superamento del bicameralismo in quanto si riferiva
esclusivamente alla Camera dei deputati ed affermava che il premio di maggioranza, sempre pari
al 55%, venisse attribuito al partito o alla coalizione che avesse ottenuto almeno il 40% dei voti o
che fosse risultato il più votato al turno di ballottaggio fra i due partiti o coalizioni più votati.
Le elezioni del 2018, tenutesi con il vigente sistema elettorale, non hanno consegnato ad alcuna
coalizione o partito politico la maggioranza dei seggi nelle due Camere, ed è quindi stata
necessaria una fase di consultazioni da parte del Presidente della Repubblica per dare vita a una
maggioranza parlamentare formata da rappresentanti di partiti politici che erano divisi in fase
elettorale.
Quindi è stata introdotta una nuova fase politica non più caratterizzata dal bipolarismo, ma
dall'emersione di un terzo polo (Movimento 5 stelle), obbligando così la formazione di governi di
coalizione.
Quindi il ritorno al sistema elettorale di tipo proporzionale facilita la pluralità delle forze politiche
in campo e presenti in Parlamento, obbligando a governi di coalizione, e quindi ridando centralità
al parlamento rispetto al Governo stesso.
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SISTEMI ELETTORALI
Dal 1948 al
1993
Dal
1994 al
Senato (quando nessun 2005
Camera dei deputati candidato otteneva nel suo
(formula Imperiali) collegio la maggioranza del
65%:)
Sistema elettorale
proporzionale con premio
di maggioranza (340 seggi Dal 2006 al 2017
alla Camera e il 55% dei
seggi assegnati in ogni
Regione al Senato)
Dal 2018
53
3) IL PARLAMENTO.
LA FUNZIONE LEGISLATIVA.
INIZIATIVA LEGISLATIVA.
LEGGI APPROVATE CON PROCEDURA ORDINARIA IN SEDE REFERENTE E LEGGI APPROVATE CON
PROCEDIMENTO SPECIALE IN SEDE DELIBERANTE E REDIGENTE.
FASI CONSEGUENTI DEL PROCEDIMENTO DI APPROVAZIONE DELLE LEGGI.
LA LEGGE DI BILANCIO.
UNIFICAZIONE DI DISPOSIZIONI INNOVATIVE E DOCUMENTO CONTABILE.
PROCEDIMENTO DI FORMAZIONE.
PRESUPPOSTI E CONDIZIONI PROCEDIMENTALI PER IL RICORSO ALL’INDEBITAMENTO DOPO IL
FISCAL COMPACT (ART. 81 COST. MODIFICATO).
La sovranità popolare si concretizza nell’elezione del parlamento, il quale poi legittima il presidente
della Repubblica e il Governo attribuendogli la fiducia.
Tuttavia, a seguito del referendum costituzionale indetto settembre 2020 relativo alla riforma
della composizione della Camera e del Senato, è stata prevista una riduzione numero dei
parlamentari dalla prossima legislatura:
- da 630 a 400 deputati (di cui 8 votati dalla circoscrizione estero)
- da 315 a 200 senatori (di cui 4 votati dalla circoscrizione estero) e 5 senatori a vita
complessivi
Le due camere sono elette per 5 anni, ma possono essere sciolte dal Presidente della Repubblica.
L’Italia si fonda sul bicameralismo perfetto, cioè le due camere svolgono funzioni uguali, quindi ad
esempio le leggi devono essere approvate in testo identico da entrambe le camere.
Il bicameralismo perfetto è stato introdotto per consentire una maggiore ponderazione
nell’esercizio della funzione legislativa e la valorizzazione della rappresentanza delle forze di
opposizione.
Ad oggi il bicameralismo perfetto appare più come un ostacolo che una risorsa.
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Le due camere si riuniscono nel parlamento in seduta comune solo in pochi casi:
- Elezioni del presidente della repubblica
- Messo in stato d’accusa del presidente della repubblica
- Elezioni dei 1/3 dei membri della Corte Costituzionale
- Elezioni di 1/3 dei membri del Consiglio Superiore della Magistratura
A parte questi casi, le due camere operano distintamente, ma svolgono le medesime funzioni.
Le commissioni che operano all’interno delle camere possono essere permanenti o temporanee.
- Commissioni permanenti, cioè commissioni istituite a inizio legislatura e che durano fino a
fine legislatura.
Sono composte in modo da rispecchiare gli equilibri di forza all’interno di quella camera e
sono divise per materie; in ciascuna commissione viene curato un disegno di legge per poi
condurlo all’approvazione dell’assemblea
- Commissioni temporanee, cioè le commissioni di indagine o di inchiesta che sono istituite
quando ci sono dei fatti rilevanti che meritano attenzione specifica da parte del parlamento
Le giunte sono organi all’interno del Senato e della Camera che hanno il compito di verificare:
- la legittimità delle elezioni
- che non ci siano cause di incompatibilità tra chi è eletto parlamentare
- dell’interpretazione delle modifiche dei regolamenti di Camera e Senato
- delle immunità parlamentari
L’iniziativa delle leggi, definita dall’art 71, si sostanzia nel presentare un disegno di legge all’una o
all’altra camera o a entrambe le camere.
L’iniziativa delle leggi può essere presentata da:
- da ciascun parlamentare
- dal Governo
- da 50'000 elettori (iniziativa popolare delle leggi)
- dalle regioni
- dal consiglio nazionale dell’economia e del lavoro (Cnel), nelle materie economiche e
sociali*
* il Cnel è l’organo rappresentativo di una rappresentanza di tipo categoriale, infatti nel Cnel
siedono i rappresentanti dei datori di lavoro e dei lavoratori.
I disegni di legge vengono sottoposti alle commissioni permanenti competenti per la correlativa
istruttoria.
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La commissione parlamentare deve istruire il testo del disegno di legge, cioè approfondirne i
contenuti attraverso una discussione tra i membri della commissione e degli esperti in materia.
Attraverso questi approfondimenti si giunge a un disegno di legge compiuto su cui la commissione
ha trovato una maggioranza favorevole.
La commissione lavora in sede referente se ha solo un lavoro istruttorio, cioè riferisce alla Camera
a cui appartiene il testo definitivo del disegno di legge; la Camera poi vota e approva articolo per
articolo il disegno di legge, e successivamente il testo complessivo.
La commissione lavora in sede deliberante se le viene affidata pienezza di poteri, cioè, oltre ad
istruire il disegno di legge, è abilitata ad approvarlo direttamente articolo per articolo e nel testo
complessivo senza passarlo alla Camera di appartenenza.
L'articolo 72 ultimo comma afferma che: “la procedura normale di esame e di approvazione
diretta da parte della Camera (sede referente) è sempre adottata per i disegni di legge in materia:
- costituzionale
- elettorale
- di delegazione legislativa
- di autorizzazione a ratificare trattati internazionali
- di approvazione di bilanci e consultivi”
Dopo l’approvazione di una camera, il disegno di legge viene mandato all’altra camera, secondo il
bicameralismo perfetto, dove viene seguito il medesimo iter.
Se l'altra camera cambia qualcosa del testo, il testo deve ripassare nella prima camera e così via
finché non viene approvato il medesimo testo in entrambe le camere.
ð sistema della navetta parlamentare: solo quando le due camere votano un testo identico,
la legge risulta approvata
Una volta che la legge è approvata viene data al presidente della Repubblica per far si che lui
promulghi la legge, cioè ordini che quella legge venga osservata.
L'articolo 74 della Costituzione afferma che il Presidente della Repubblica, per una sola volta, può
rifiutare di promulgare la legge, mediante il veto sospensivo.
Se il Presidente usa questo potere, la legge torna al Parlamento affinché venga rivalutata e
riapprovata.
56
Il veto sospensivo viene utilizzato:
- Quando la legge appare palesemente incostituzionale
- Quando la legge risulta del tutto gravemente inopportuna
È successo però che il presidente abbia usato altri strumenti volti a trovare una conciliazione prima
dell’approvazione finale piuttosto che il veto sospensivo perché utilizzabile una sola volta.
La legge di bilancio
L'articolo 81 della Costituzione riguarda la legge di bilancio.
Il quarto comma dell'articolo afferma che “le Camere ogni anno approvano con legge di bilancio il
bilancio e il rendiconto consuntivo presentati dal Governo”
Il bilancio preventivo, che ha natura autorizzatoria, deve essere approvato entro il 31 dicembre.
Il quinto comma dell’articolo 81 registra un'anomalia: “l’esercizio provvisorio del bilancio non può
essere concesso se non per legge e per periodo non superiori complessivi per 4 mesi”.
Quindi, nel caso in cui il bilancio non sia stato approvato entro il 31 di dicembre, si adotta
temporaneamente l’esercizio provvisorio, che non può durare più di 4 mesi, e definisce che ogni
ministero può spendere ogni mese 1/12 di quello era stato speso per quella determinata materia
l’anno precedente
Oggi non esiste più questa distinzione, perché attraverso una serie di modificazioni la legge di
bilancio è stata unificata. (unificazione nella legge di bilancio delle disposizioni modificative
dell’ordinamento e del documento contabile)
La legge di bilancio oggi contiene un insieme di tutte le norme che stabiliscono le modalità
operative dell’anno successivo, ed è composta da:
- una parte normativa, che modifica l'ordinamento vigente affinché vengano perseguiti gli
obiettivi stabiliti nel documento di economia e finanza
- una parte numerica, cioè l’insieme di tutti gli stati di previsione per ciascun ministero in cui
vengono definite le risorse che sono messe a disposizione per quel ministero per le varie
partite di spesa
L’articolo 81, riguardo i contenuti, afferma che “lo Stato assicura l'equilibrio tra le entrate e le
spese del proprio bilancio”.
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Le autorizzazioni di spesa, infatti, non possono essere superiori alle entrate, poiché sono
autorizzate solo se sono coperte dalle entrate.
Le entrate possono essere superiori alle spese, perché sono dirette a rendere possibili le spese.
Quindi la regola del pareggio di bilancio ha anche un contenuto sostanziale
Nel corso del tempo è accaduto che questa regola del pareggio del bilancio fosse vera da un punto
di vista formale, ma meno da un punto di vista sostanziale.
Infatti, il debito pubblico oggi è di 2’550 miliardi ed era di 2’300 miliardi prima della pandemia,
quindi la regola del pareggio del bilancio non è stata rispettata, o più precisamente veniva
rispettata facendo ricorso all'indebitamento emettendo titoli del debito pubblico; quindi, il
pareggio veniva perseguito facendo ricorso all'indebitamento.
Il Fiscal Compact è il trattato dell'Unione europea firmato nel 2012 che ha imposto:
- il pareggio di bilancio senza ricorso all'indebitamento
- il rientro dal debito pubblico al ritmo di 1/20 all'anno per vent'anni
Conseguentemente con la legge costituzionale numero 1/2012 è stato modificato l’articolo 81, che
oggi afferma che: “lo Stato assicura l'equilibrio tra le entrate e le spese del proprio bilancio,
tenendo conto delle fasi avverse e delle fasi favorevoli del ciclo economico; il ricorso
all'indebitamento è consentito solo al fine di considerare gli effetti del ciclo economico e, previa
autorizzazione delle camere adottata a maggioranza assoluta dei rispettivi componenti, al
verificarsi di eventi eccezionali”.
Questo è l'orientamento dell'Unione Europea per cercare di limitare e ridurre i debiti pubblici non
eccessivi; inoltre “ogni legge che importi nuovi o maggiori oneri (spese) provvede ai mezzi per farvi
fronte (entrate)”.
Il pareggio di bilancio senza ricorso all'indebitamento deve mantenersi stabile nel corso dell'anno,
quindi ogni legge che comporta nuove spese deve anche indicare i mezzi per farvi fronte.
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4) IL GOVERNO: SUA FORMAZIONE E LEGITTIMAZIONE PARLAMENTARE.
L’ISTITUTO DELLA FIDUCIA PARLAMENTARE.
LE FUNZIONI DEL GOVERNO: IL DECRETO LEGISLATIVO, IL DECRETO-LEGGE E I REGOLAMENTI
DELL’ESECUTIVO.
Il Governo viene nominato dal Presidente della Repubblica; l’articolo 92 della Costituzione
afferma infatti che il Presidente della Repubblica nomina il Presidente del Consiglio e, su proposta
di questi, nomina i Ministri (che formano il Governo).
Formazione
Prima delle leggi 276 e 277 del 1993, quando vi era un sistema elettorale di tipo proporzionale, il
Presidente della Repubblica convocava gli ex Presidenti della Repubblica, i Presidenti delle due
Camere e i rappresentanti dei gruppi parlamentari per effettuare le consultazioni di rito, mediante
le quali cercava di capire quale persona potesse essere nominata Presidente del Consiglio; infatti,
doveva essere una persona in grado di scegliere i Ministri e proporre un programma che potesse
ricevere il consenso della maggioranza delle due Camere, le quali dovevano poi votare la fiducia al
Governo.
Dopo le leggi 276 e 277, quando vi era un sistema elettorale di tipo prevalentemente
maggioritario, e dopo la riforma del 2005, quando vi era un sistema elettorale di tipo
proporzionale con premio di maggioranza, la formazione del Governo diventò più semplice.
Infatti, gli elettori davano una chiara, o sufficientemente chiara, maggioranza dei seggi ad una
forza politica con un proprio leader, il quale si presentava alle elezioni dichiarandosi candidato alla
guida del Governo in caso di vittoria della coalizione.
Quindi il Presidente della Repubblica, una volta svolte le consultazioni di rito, cioè ascoltati gli ex
Presidenti della Repubblica, i Presidenti delle due Camere e i rappresentanti dei gruppi
parlamentari, individuava nel leader della coalizione vincente il Presidente del Consiglio da
nominare.
Una volta che il Governo si è formato, quindi il presidente della Repubblica ha nominato il
Presidente del Consiglio e gli altri Ministri, il Governo deve prestare il giuramento, cioè giurare
fedeltà alla Repubblica, come disciplinato dall'articolo 93.
Una volta effettuato il giuramento, il Governo si considera formato.
L'articolo 94 della Costituzione afferma che entro 10 giorni dalla sua formazione, quindi entro 10
giorni dal giuramento, il Governo deve presentarsi alle due Camere distintamente per ottenere la
fiducia.
Nell’occasione il Presidente del Consiglio presenta a ciascuna Camera il programma di governo, e
ciascuna Camera, con votazione per appello pubblico nominale (e non segreto), vota la fiducia al
Governo.
Per ottenere il voto di fiducia non è necessaria una maggioranza assoluta, ma è sufficiente una
maggioranza semplice; però, data l’importanza dell'occasione, partecipano alla votazione tutti i
senatori e tutti i deputati, e quindi di fatto la maggioranza dei voti è praticamente identica alla
maggioranza degli aventi diritto.
Se entrambe le camere votano la fiducia, allora il Governo entra nel pieno delle sue funzioni e può
quindi attuare il suo programma di governo, fino a che non cessi la legislatura oppure fino a che
venga votata la sfiducia nei suoi confronti.
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Infatti, la forma di governo parlamentare è caratterizzata dal necessario rapporto di fiducia del
Parlamento al Governo, che però può venire meno.
L'articolo 94 della Costituzione afferma inoltre che almeno 1/10 dei membri dell'una oppure
dell'altra Camera può presentare una mozione di sfiducia nei confronti del Governo; in quel caso
la discussione e la votazione della sfiducia devono avvenire dopo che siano trascorsi almeno 3
giorni da quando la mozione di sfiducia è presentata per dar modo al Governo di organizzare
anche le sue controdeduzioni (difese).
Quindi, dopo che sono trascorsi 3 giorni dalla presentazione della mozione di sfiducia, il Governo si
presenta alla Camera dove quella mozione è stata presentata per esporre le sue ragioni, e si
procede al voto, a maggioranza relativa e per appello nominale; se anche solo una delle due
Camere vota la sfiducia, il Governo è obbligato a dimettersi.
L'articolo 94 afferma anche che il voto contrario da parte del Parlamento a una proposta del
Governo non implica l’obbligo di dimissioni; però il Governo a volte ha bisogno che le sue proposte
di legge vengano approvate, ad esempio legge di bilancio perché attraverso il disegno di legge di
bilancio il Governo attua la sua politica economica.
Per questo la legge 400 del 1988 ha dato legittimità alla possibilità per il Governo di porre la
questione di fiducia, accompagnando la richiesta di approvazione di una sua proposta di un suo
disegno di legge al voto di fiducia; in questo caso se una Camera vota contro il disegno di legge, il
voto vale come sfiducia e il Governo è obbligato a dimettersi.
Quindi la fiducia può venir meno per una mozione di sfiducia presentata e votata dalle Camere,
articolo 94 della Costituzione, oppure quando è il Governo stesso a chiedere la fiducia unitamente
all'approvazione di una propria proposta di legge e il Parlamento, o anche un solo ramo del
Parlamento, voti contro quella fiducia richiesta dal governo.
L’organizzazione del Governo è regolata dall’art 95, che afferma che il Governo è un organo
complesso formato da:
- dal Consiglio dei Ministri, che riunisce tutti i Ministri
- dal Presidente del Consiglio dei Ministri, che ha una funzione di indirizzo e coordinamento
politico e amministrativo, cioè coordina il Governo
- dai singoli Ministri, che sono ciascuno responsabile per il proprio dicastero, cioè per le
deleghe specifiche che gli sono state attribuite; possono esserci anche Ministri senza
portafoglio, cioè non posti a capo di uno specifico dicastero, ma svolge attività delegate dal
Presidente del Consiglio
Le funzioni del Governo sono molteplici e differenziate, e per questo è considerato titolare di una
funzione di Governo.
Le sue funzioni più importanti sono:
- funzioni normative
- funzione di raccordo tra UE e Stato italiano, infatti è il Governo che partecipa
maggiormente alla vita dell’UE; il Presidente del Consiglio partecipa alle riunioni del
Consiglio europeo e i singoli Ministri alle funzioni del Consiglio europeo
- effettua le nomine più importanti, come i dirigenti generali e una parte del Consiglio di
Stato e della Corte dei Conti
60
Le funzioni normative del governo sono esercitate attraverso la deliberazione dei testi di:
- decreti legislativi
- decreti-legge
- regolamenti
I decreti legislativi e i decreti-legge sono atti aventi forza e valore di legge, quindi sono espressione
di una funzione legislativa attribuita al Governo; mentre i regolamenti dell’esecutivo sono fonti
secondarie del diritto, quindi sono pur sempre esercizio di una funzione normativa ma non
legislativa.
I decreti legislativi
La disciplina dei decreti legislativi è contenuta nell’art 14 della Legge 408/1988 e nell’art 76 della
Costituzione, che afferma che “l’esercizio della funzione legislativa non può essere delegato al
Governo se non con determinazione di principi e criteri direttivi e soltanto per un tempo limitato e
per oggetti definiti”.
Il Parlamento, che è l’organo titolare della funzione legislativa, delega al Governo,
necessariamente con la legge delega, l’esercizio della funzione legislativa.
I decreti-legge
La disciplina dei decreti-legge è contenuta nell'articolo 77 che afferma che “quando, in casi
straordinari di necessità e di urgenza, il Governo adotta, sotto la sua responsabilità, provvedimenti
provvisori con forza di legge, deve il giorno stesso presentarli per la conversione alle Camere che,
anche se sciolte, sono appositamente convocate e si riuniscono entro 5 giorni”.
Diversamente dal decreto legislativo, il decreto-legge non nasce per una delega del Parlamento,
ma per un’iniziativa propria del Governo.
Il presupposto dell’iniziativa del Governo è la sussistenza di un caso straordinario di necessità e di
urgenza, quindi una calamità o un’urgenza particolare intesa in senso ampio (=non
necessariamente la calamità naturale).
61
Il procedimento di approvazione del decreto-legge
Il decreto-legge viene adottato dal Governo, emanato dal presidente della Repubblica,
immediatamente pubblicato in Gazzetta Ufficiale e, dato il presupposto di necessità ed urgenza,
immediatamente entra in vigore, senza il periodo di vacatio legis.
Però i suoi effetti sono provvisori, infatti le due Camere del Parlamento devono convertire in legge
il decreto-legge entro 60 giorni dalla pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale.
Se anche una delle due Camere non converte in legge il decreto-legge (perché ha rigettato la
conversione o perché non l’ha presa in esame in tempo utile), il decreto-legge decade e non può
essere riproposto dal Governo.
In caso di mancata conversione del decreto-legge in legge, il decreto-legge decade “ex tunc”, cioè
come se non fosse mai entrato in vigore e quindi tutti gli effetti che nel frattempo si sono prodotti
vengono annullati.
L’obbligo di conversione del decreto-legge in legge non viene meno neanche se le Camere sono
state sciolte; anche in quel caso il decreto-legge viene trasmesso alle Camere (sciolte), che devono
essere convocate entro 5 giorni per convertire il decreto-legge in legge.
(*)
Il decreto legislativo e il decreto-legge sono atti aventi forza e valore di legge di competenza del
Governo, infatti sia il decreto legislativo sia il decreto-legge vengono approvati dal Consiglio dei
Ministri (quindi dal Governo); tuttavia sia il decreto legislativo sia il decreto-legge vedono una
partecipazione del Parlamento, che legittima in modo differente i due decreti:
- con riguardo al decreto legislativo la legittimazione delle due Camere del Parlamento
avviene “ex ante” attraverso la legge delega
- con riguardo al decreto-legge la legittimazione delle due Camere del Parlamento avviene
“ex post” attraverso la conversione del decreto-legge in legge.
Sia i decreti-legge sia i decreti legislativi non possono intervenire nelle materie soggette alla
riserva di legge formale.
L'articolo 72 ultimo comma della Costituzione afferma che certe leggi (la legge elettorale, la legge
di amnistia e di indulto, la legge di autorizzazione alla ratifica dei trattati internazionali, la legge
delega, le leggi costituzionali) necessariamente devono essere approvate dal Parlamento con
procedimento ordinario; quindi queste leggi non possono essere approvate né con un decreto-
legge né con un decreto legislativo, ma sono materie che devono essere approvate
obbligatoriamente con legge del Parlamento.
Per questo sono materie soggette a riserva di legge formale.
I regolamenti dell’esecutivo
I regolamenti dell’esecutivo sono una fonte secondaria del diritto di competenza del Governo,
quindi sono sottostati alle fonti primarie.
62
Il procedimento di approvazione dei regolamenti
Il procedimento di approvazione dei regolamenti dell’esecutivo definisce che il regolamento:
- deve essere approvato dal Consiglio dei Ministri
- deve essere sottoposto ad un parere del Consiglio di Stato (diversamente dai decreti-legge
e dai decreti legislativi)
- deve essere approvato dalla Corte dei conti
- viene emanato dal Presidente della Repubblica e pubblicato in Gazzetta Ufficiale.
L’art 17 della legge 400 del 1988 definisce differenti tipologie di regolamenti:
- di esecuzione
- di organizzazione
- delegati (delegificazione)
I regolamenti delegati sono diretti ad autorizzare che una materia non particolarmente importante
venga disciplinata con dei regolamenti dell’esecutivo (=> delegificazione)
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5) FUNZIONI E RUOLO DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA.
L'articolo 83 afferma anche che l’elezione del Presidente avviene per scrutinio segreto a
maggioranza qualificata di 2/3 dell'assemblea.
Per evitare però che non venga eletto il Presidente, dopo il terzo scrutinio è sufficiente la
maggioranza assoluta.
I contenuti degli articoli che seguono danno un’importante indipendenza al Presidente della
Repubblica:
- La carica dura 7 anni: il suo mandato dura di più della carica dell’organo che lo ha
nominato (le Camere sono in carica per 5 anni)
- Deve aver compiuto 50 anni e deve godere di diritti civili e politici
- La carica di Presidente della Repubblica è incompatibile con qualsiasi altra carica
- Ha un assegno e una dotazione (= remunerazione) determinati per legge
La dotazione per le cariche pubbliche era stata introdotta per permettere ai politici di vivere
decorosamente dedicandosi esclusivamente alla politica senza dover svolgere altri lavori e per
cercare di evitare casi di corruzione.
Funzioni
Il Presidente della Repubblica non esercita una funzione propria, ma delle prerogative che si
inseriscono in tutte le funzioni:
- potere legislativo: invia messaggi alle Camere, autorizza la presentazione da parte del
Governo di propri disegni di legge, promulga le leggi e può esercitare il veto sospensivo
(=può rinviare le leggi alle Camere per una nuova deliberazione qualora ritenga che
contrastino con la Costituzione o siano affette da gravissima inopportunità); esercita quindi
un controllo sulla produzione legislativa
- potere esecutivo: emana i decreti-legge e i decreti legislativi del Governo e provvede alle
nomine di alti dirigenti
- potere giudiziario: nomina 5 membri della Corte costituzionale, presiede il Consiglio
Superiore della Magistratura, può concedere la grazia e commutare le pene
Il Presidente della Repubblica esercita alcune prerogative particolarmente delicate perché il suo
ruolo è quello di intermediare tra gli organi di vertice dello Stato (Parlamento, Governo,
Magistratura) al fine di ricondurli sempre al rispetto della Costituzione.
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Ha infatti due poteri:
- può sciogliere le camere o anche una sola di esse, sentiti i rispettivi presidenti dei due rami
del Parlamento (art 88 Costituzione), salvo che negli ultimi sei mesi del suo mandato.
Il potere di scioglimento è l'unico meccanismo di razionalizzazione della forma di governo
parlamentare in Italia: è cioè l’unico strumento che il Presidente della Repubblica ha nel
momento in cui si verifica un’impossibilità di funzionamento delle Camere (all’interno delle
camere non si forma una maggioranza che rende possibile l’esercizio delle funzioni
parlamentari) così che debbano essere indette nuove elezioni
- forma il Governo: nomina il presidente del Consiglio dei ministri e, su proposta di
quest’ultimo, nomina i ministri (art 92 Costituzione)
65
NUCLEO 5
1) CONSIGLIATA UNA RICOGNIZIONE DELLE FONTI DEL DIRITTO (DELL’UNIONE EUROPEA,
DELLO STATO – PRIMARIE, DOTATE DI FORZA PASSIVA PECULIARE E SECONDARIE – DELLE
REGIONI – STATUTI, LEGGI E REGOLAMENTI) E DEI CRITERI GERARCHICO E DI
COMPETENZA.
A livello regionale lo statuto regionale, sia ordinario che speciale, è una fonte sovraordinata
rispetto alle leggi regionali.
Le fonti del diritto dell'Unione europea, però, prevalgono sulle fonti del diritto interno compresa
la Costituzione, fatti salvi soltanto i principi supremi della Costituzione.
Le fonti dell’Unione europea sono i trattati, regolamenti direttive, che entrano nell’ordinamento
attraverso i principi nel primato dell'Unione europea, dell'applicazione diretta e dell'effetto
diretto.
Le fonti dell'Unione europea non sono le uniche fonti del diritto internazionale che incidono
sull’ordinamento, infatti ci sono anche:
- le norme internazionali consuetudinarie, che entrano automaticamente nell’ordinamento
e prevalgono sulle leggi interne, ponendosi allo stesso livello della Costituzione
- le norme internazionali pattizie, che sono contenute nei trattati internazionali, e entrano
nell’ordinamento in forza di un atto che ne dia esecuzione. Esse vincolano le fonti primarie,
ma devono rispettare tutti i principi costituzionali, e non solo i principi supremi.
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- atti aventi forza e valore di legge, cioè i decreti legislativi e decreti-legge, che non possono
intervenire laddove è stabilita una competenza specifica del Parlamento che esclude quella
del Governo
- leggi regionali, attraverso le quali le regioni esercitano la propria potestà legislativa di tipo
concorrente o residuale, e le regioni e province autonome anche la potestà legislativa di
tipo primario.
Criterio gerarchico
Il criterio gerarchico definisce che prevale la norma sovraordinata rispetto alla norma sottordinata.
Infatti, questo criterio presuppone che le fonti del diritto siano ordinabili secondo una scala
gerarchica che individua fonti sovraordinate, fonti primarie e fonti secondarie.
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La gerarchia mette in relazione le fonti di uno stesso ente, e per questo è possibile individuare la
gerarchia delle fonti statali, la gerarchia delle fonti regionali, e la gerarchia delle fonti degli enti
locali.
In caso ci fossero delle antinomie tra fonti gerarchicamente equiparate di uno stesso ente, allora si
utilizza il criterio cronologico.
68
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2) L’INDIPENDENZA DELLA MAGISTRATURA (GIUDICANTE E REQUIRENTE): INTERNA ED
ESTERNA.
IL CONSIGLIO SUPERIORE DELLA MAGISTRATURA: RUOLO, COMPOSIZIONE E COMPITI.
I GIUDICI SPECIALI (VARIETÀ E LORO AUTONOMIA).
L’ordine giudiziario, composto da magistratura e giudici speciali, svolge la funzione giudiziaria, cioè
deve accertare la conformità o la difformità di comportamenti e atti rispetto all'ordinamento
giuridico.
Dato che il giudice deve pronunciare in modo il più oggettivo possibile, la funzione giudiziaria deve
essere caratterizzata necessariamente da imparzialità.
Questo è possibile solo perché ai giudici è garantita l’indipendenza, cioè non dipendendo da altri
organi.
La magistratura
La magistratura è composta dai magistrati giudicanti e dai magistrati requirenti:
- i magistrati giudicanti sono i giudici ordinari che hanno il compito di giudicare nelle cause
di diritto civile e diritto penale
- i magistrati requirenti sono i pubblici ministeri che, secondo l’articolo 112, hanno l'obbligo
di esercitare l'azione penale, cioè sono quelli che verificano le prove e chiedono il rinvio a
giudizio se ritengono che una persona sia probabilmente il colpevole di quel reato.
Inoltre, il pubblico ministero partecipa anche in qualche giudizio civile, quando si tratta di tutelare
interessi generali, ad esempio nelle cause di interdizione per verificare se realmente la persona è
incapace di intendere e volere
L’indipendenza interna alla magistratura è contenuta negli artt 106-107 che definiscono 3 principi:
- nomina per concorso
- inamovibilità
- diversità solo per funzioni
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Inamovibilità
L’art 107 definisce che “i magistrati sono inamovibili. Non possono essere dispensati o sospesi dal
servizio, né destinati ad altre sedi o funzioni se non per loro adesione oppure come sanzione del
Consiglio superiore alla magistratura”.
Quindi vuol dire che i giudici possono essere spostati in un'altra sede solo con il loro consenso.
L'indipendenza esterna della magistratura rispetto agli altri poteri dello Stato è garantita dal
consiglio superiore della magistratura (CSM), come contenuto negli artt 104-105 che definiscono
la composizione e le funzioni del consiglio superiore della magistratura (CSM).
Inoltre, l’art 104 definisce l’organizzazione del CSM, che è composto da:
- 3 membri di diritto:
o Presidente della Repubblica, che presiede il CSM dato che è colui che intermedia tra
i poteri dello Stato per assicurare il rispetto della costituzione da parte di tutti
o Primo presidente della Corte di Cassazione, che è il massimo esponente della
magistratura giudicante, cioè è il massimo rappresentante della Corte di Cassazione
o Procuratore generale della Corte di Cassazione, che è il massimo esponente della
magistratura requirente, cioè è il massimo esponente dei pubblici ministeri
- 24 membri elettivi:
o 2/3 magistrati eletti dai magistrati; sono definiti “togati”
o 1/3 professori universitari ordinari in materie giuridiche ed avvocati dopo 15 anni di
servizio eletti dal Parlamento in seduta comune; sono definiti “laici”
Si ha voluta dare una prevalenza alla componente magistrati perché, dato che il CSM tutela
l'autonomia della magistratura, ci deve essere una maggioranza dei membri togati.
Mentre i membri laici servono a evitare che la magistratura, oltre che indipendente, si concepisca
come un corpo estraneo rispetto alle altre istituzioni.
Le funzioni amministrative consistono nel gestire la carriera dei singoli magistrati, quindi le
assunzioni per concorso, le assegnazioni, i trasferimenti e le promozioni.
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Ad esempio, può essere prevista una sanzione disciplinare (ex. spostamento di sede) per un
magistrato fortemente indebitato perché è in una posizione fragile e più facilmente ricattabile.
Il consiglio superiore della magistratura opera per la garanzia dell’indipendenza esterna solo della
magistratura. *
I giudici speciali
I giudici speciali sono organi giurisdizionali aventi una giurisdizione specifica su singole materie o
su particolari situazioni soggettive, sottratte alla giurisdizione dei giudici ordinari.
- la Corte dei Conti, che si occupa della responsabilità contabile e della responsabilità
amministrativa, cioè di eventuali danni che i dipendenti pubblici hanno causato a una
pubblica amministrazione.
Ad esempio, il privato esercita un'azione di risarcimento dei danni da ritardo a causa di un
dipendente pubblico che ha tardato nell’emanare un provvedimento di sua competenza, e
viene giudicato dalla Corte dei Conti
- i Tribunali militari, che si occupano soltanto dei reati militari commessi da appartenenti alle
Forze armate
- il Tribunale superiore delle acque pubbliche, che è solo a Roma e i tribunali regionali delle
acque pubbliche; giudicano in materia di concessioni di derivazione dell'acqua e in materia
di impianti per la generazione di energia elettrica generata attraverso l'utilizzo di acque di
cui si sia avuta la concessione di derivazione
L’articolo 102 della Costituzione afferma che “non possono essere istituiti giudici straordinari o
giudici speciali”.
Quindi la Costituzione afferma che non possono esser istituiti giudici speciali, però ne conserva
alcuni, i quali però sono stati riformati affinché venisse riconosciuta anche a loro l’indipendenza;
infatti, i giudici speciali in origine rispondevano maggiormente al potere politico del momento.
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* L’indipendenza dei giudici speciali non è garantita dal CSM, ma da organi analoghi introdotti con
delle leggi a partire dagli anni ’80: i Consigli di Presidenza.
I Consigli di Presidenza (Consiglio di Presidenza della giustizia amministrativa, Consiglio di
Presidenza della Corte dei Conti, Consiglio di Presidenza della giustizia tributaria, Consiglio di
Presidenza della magistratura militare) sono degli organi che hanno il compito di garantire
l'indipendenza dei giudici speciali, senza però la copertura che gli articoli 104 e 105 della
costituzione danno al CSM.
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3) CORTE COSTITUZIONALE: COMPOSIZIONE E FUNZIONI.
IL GIUDIZIO DI LEGITTIMITÀ COSTITUZIONALE DELLE LEGGI E DEGLI ATTI AVENTI FORZA DI
LEGGE: ATTI SOTTOPONIBILI AL GIUDIZIO, NORME PARAMETRO, VIZI DI LEGITTIMITÀ.
L’ACCESSO ALLA CORTE: IN VIA PRINCIPALE (O DIRETTA, O DI AZIONE) E IN VIA
INCIDENTALE (O INDIRETTA).
I giudici devono essere giuristi perché la tecnica giuridica fa da filtro alla deriva politicista delle
decisioni all’interno della Corte costituzionale, dato che giudica su atti che hanno un rilevante
impatto politico (leggi, la loro costituzionalità, ammissibilità del referendum).
Una garanzia di indipendenza è data dal fatto che i giudici restano in carica per 9 anni, più del
Parlamento e del Presidente della Repubblica che eleggono 5 giudici ciascuno.
Al termine della loro carica i giudici non possono essere nuovamente nominati.
La durata in carica di un organo è indice della sua indipendenza perché più è lunga questa durata,
in rapporto agli organi che lo hanno eletto, maggiore è l’indipendenza.
La Corte costituzionale ha un presidente, che è spesso istituito per anzianità di servizio tra i suoi
componenti, cioè ottiene la carica il giudice che da più tempo opera nella Corte ottiene.
Il presidente ha una carica di 3 anni ed è rieleggibile nel limite del mandato di 9 anni.
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Il giudizio di legittimità costituzionale delle leggi e degli atti aventi forza di legge
Il giudizio di legittimità costituzionale, descritto nell’art 134, è diretto all’accertamento della
conformità o meno delle leggi e degli atti aventi forza di legge alla Costituzione.
Quindi, la Corte costituzionale giudica la legittimità costituzionale delle leggi dello Stato e delle
Regioni e degli atti aventi forza di legge (decreti-legge e decreti legislativi) dello Stato.
È una funzione diretta a salvaguardare la rigidità della Costituzione, che non può essere modificata
se non con il procedimento aggravato previsto all'articolo 138 ed è immodificabile in alcune parti.
Se non ci fosse la Corte costituzionale a vigilare sulla legittimità costituzionale delle leggi e degli
atti aventi forza di legge, nell’ordinamento potrebbero convivere leggi e atti aventi forza di legge
contrari alla Costituzione.
Gli atti che non sono sottoponibili al giudizio di legittimità costituzionale della Corte sono:
- le fonti secondarie del diritto, cioè:
o i regolamenti dell'esecutivo
o i DPCM
o i decreti ministeriali
o i regolamenti regionali
o i regolamenti degli enti locali
i regolamenti sono fonti secondarie del diritto, se per caso fossero in contrasto con le
leggi, l'illegittimità del regolamento non andrebbe fatta valere davanti alla Corte
costituzionale ma andrebbe portata davanti al giudice amministrativo
- i regolamenti parlamentari (i regolamenti che ciascuna camera approva a maggioranza
assoluta) sono una fonte primaria del diritto che non è sottoponibile perché sono
considerati “interna corporis acta”, cioè degli atti di sovranità di quel l'organo
costituzionale; quindi, la Corte costituzionale non ne giudica la legittimità, soltanto
eventualmente giudica se per caso quei regolamenti vanno a invadere la competenza di
altri organi (conflitti di attribuzione)
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Norme parametro
Quando viene sollevata la questione di legittimità costituzionale di una legge o di un atto avente
forza di legge, si stabilisce se la legge è in contrasto con il tale articolo della Costituzione.
Le norme parametro che vengono invocate per affermare se una legge o un atto avente forza di
legge sia illegittima sono:
- La Costituzione e le leggi costituzionali
- Il nucleo irriformabile (ex nel caso in cui leggi costituzionali e leggi di revisione
costituzionale fossero incostituzionali)
- Le norme interposte
Il Parlamento con una legge può delegare il Governo a disciplinare una certa materia,
normalmente di carattere molto tecnico; il Governo elabora quindi un decreto legislativo
sulla base di una legge delega.
L'art 76 indica che la legge delega deve contenere dei limiti che vengono posti al Governo:
un oggetto definito, un tempo determinato, principi e criteri direttivi, osservando i quali il
Governo deve attuare la delega.
Se il Governo nell’emanare il decreto legislativo non rispetta quei limiti, il decreto legislativo
è incostituzionale perché ha violato l'articolo 76 della Costituzione e ha violato la legge
delega.
La legge delega diventa norma parametro in quanto norma interposta, cioè in quanto legge
ordinaria che ha dato specificazione concreta alla norma costituzionale
- Trattati (anche internazionali), direttive e regolamenti dell’Unione Europea: costituiscono
un parametro di legittimità rispetto alle leggi interne
- Leggi cornice statali: stabiliscono i principi fondamentali che devono essere osservati dalle
leggi regionali nelle materie di potestà legislativa regionale di tipo concorrente e gli statuti
regionali rispetto alle leggi regionali
Vizi di legittimità
Una legge o un atto avente forza di legge può essere impugnato davanti alla Corte costituzionale
quando è viziato, cioè contiene dei vizi di legittimità quali:
- l’incompetenza: ogni qual volta la norma impugnata sia stata emanata da un ente non
attributario di quella competenza
o ex l'articolo 72 dice che certe leggi devono essere approvate per forza dal
Parlamento, come l'amnistia e l'indulto; se il governo adotta con decreto-legge una
disciplina di amnistia e di indulto, vi è incompetenza perché non avrebbe potuto
farlo con decreto legislativo
- la violazione di regole procedimentali e sostanziali
o ex amnistia, leggi costituzionali, leggi delega, leggi di bilancio ecc, sono leggi che
non possono essere approvate con un procedimento semplificato, ma devono essere
approvate per forza con procedimento ordinario; se la legge di bilancio viene
approvata con un procedimento semplificato, quella legge è stata approvata con
un procedimento che ha violato quanto stabilisce la costituzione quindi c'è una
violazione di regole procedimentali perché non è stato osservato il procedimento
prescritto dalla Costituzione
o ex non può esserci la pena di morte e se una legge introduce la pena di morte viola
una regola sostanziale della Costituzione che è contenuta nell’art 27
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- l'eccesso di potere: quando la legge persegue delle finalità con dei mezzi sbagliati e
incoerenti o i contenuti della legge risultano contrastanti con il principio di ragionevolezza
o ex la Corte costituzionale si è trovata giudicate una legge del ‘75 in cui si diceva “per
salvaguardare il pluralismo dell'informazione lo Stato ha il monopolio di tutte le reti
televisive”; nel 1960 quando la rete televisiva era unica, il monopolio delle reti
televisive aveva ragion d’essere; per salvaguardare il pluralismo dell'informazione
era meglio che quell'unica rete fosse pubblica anziché privata; quando nel ‘75 è
stato possibile aprire tante televisioni private via cavo, il monopolio statale di
queste reti confliggeva con il fine del pluralismo informativo
L’accesso alla Corte: in via principale (o diretta, o di azione) e in via incidentale (o indiretta)
- il giudizio di legittimità costituzionale in via incidentale
- il giudizio di legittimità costituzionale in via principale
Nell’ordinanza, che viene notificata alle parti in causa, al Presidente del Consiglio o della Regione
ed è pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale il giudice indica:
- l’atto sottoponibile a sindacato della Corte
- la norma parametro violata
- il vizio denunciato
- perché lui giudica quella questione non manifestamente infondata
- perché ritiene che quella questione sia rilevante per il processo in corso
In questi casi Stato e Regioni hanno 60 giorni dalla pubblicazione della legge contestata per fare
ricorso alla Corte costituzionale, in via diretta senza passare da un giudice.
La Corte costituzionale decide sulla questione di legittimità costituzionale dopo aver esaminato
l’ordinanza di rinvio, il ricorso e le memorie scritte delle parti.
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- di rigetto: la questione sollevata non può essere accolta perché la legge è legittima; la
norma continuerà ad esistere
- di accoglimento: la norma non potrà più essere applicata da nessun giudice perché
dichiarata incostituzionale (dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione).
L'effetto delle sentenze di accoglimento è l’impedimento dell’applicazione della norma,
con efficacia anche retroattiva
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