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La giustizia costituzionale

Lezione 16.4 2020

Tradizionalmente, la funzione precipua della giustizia costituzionale è garantire la superiorità della


Costituzione - la sua rigidità - attraverso la possibilità di invalidare la legge del Parlamento (e atti
aventi forza di legge), laddove in contrasto con la Costituzione.

La Corte costituzionale in Italia, però, svolge altre funzioni:

1. giudica sull’ammissibilità dei quesiti referendari. L’art. 75 Cost. dà la possibilità a una


frazione del corpo elettorale (500mila elettori) o a cinque Consigli regionali di pronunciarsi
sull’abrogazione di una legge o di una parte di essa. Non tutte le leggi, però, possono essere oggetto
di abrogazione referendaria (non lo sono, ad esempio, le leggi che autorizzano alla ratifica o che
danno esecuzione a trattati internazionali, le leggi di bilancio, le leggi in materia di tributi) ed i
quesiti devono essere chiari ed univoci. Perciò, si è previsto che la Corte effettui un controllo sul
quesito referendario prima che questo sia sottoposto al corpo elettorale.

2. Giudica sui conflitti di attribuzione tra poteri dello Stato. La Corte Costituzionale è
competente a pronunciarsi in merito ai conflitti di attribuzione tra poteri dello Stato. E’ una nozione
difficile. Si riferisce all’ipotesi in cui nasca un conflitto tra organi che sono competenti a dichiarare
definitivamente la volontà dei poteri cui appartengono. Per semplificare, potremmo dire che è un
rimedio giurisdizionale nel caso sorgano delle controversie tra i diversi soggetti costituzionali in
merito alle loro reciproche competenze costituzionali.

Per esempio, i parlamentari non possono essere chiamati a rispondere delle opinioni espresse
nell’esercizio delle loro funzioni (art. 68 Cost). è questo l’istituto dell’insindacabilità.

Cosa accade se un parlamentare, magari in televisione, dovesse ingiuriare o addirittura calunniare


qualcuno? Potrebbe questi chiedere a un giudice che si proceda contro il parlamentare, magari per
un risarcimento danni? Il giudice avvia la causa ma, di fronte all’eccezione sollevata dal
Parlamentare, deve chiedere alla Camera di appartenenza del parlamentare se considera o meno le
dichiarazioni rese come rientranti nell’esercizio delle sue funzioni. Qualora il magistrato non fosse
convinto delle ragioni del diniego espresso dalla Camera d’appartenenza, potrebbe sollevare
conflitto d’attribuzioni davanti alla Corte costituzionale. Da una parte abbiamo la Camera, quindi
organo del potere legislativo, cui spetta ex art. 68 decidere appunto circa il fatto che le dichiarazioni
del parlamentare siano pronunciate nell’esercizio delle sue funzioni, dall’altro, il giudice che è
espressione del potere giudiziario e cui spetta esercitare una quota della funzione giurisdizionale
(art. 102). Tutti e due sono organi espressione di un potere dello Stato. Tutti e due possono vantare
un’attribuzione che si fonda sulla Costituzione. C’è un conflitto su come la Camera ha esercitato
questa sua attribuzione, se l’ha esercitata abusando dei suoi poteri. Su questo conflitto tra poteri
appunto dello Stato decide la Corte costituzionale. Lo ritroveremo quando vedremo il potere di
grazia: l’attribuzione al Capo dello Stato è stata contestata dal Ministro di giustizia.

3. Infine, la Corte costituzionale, integrata da sedici giudici popolari, è giudice penale in relazione
ai reati di alto tradimento e attentato alla Costituzione che sono gli unici per cui il Presidente della
Repubblica può essere imputato nell’esercizio delle sue funzioni.

Tornando alla funzione della giustizia costituzionale come giudice delle leggi (e atti aventi forza di
legge), possiamo dire che le origini di tale funzione sono collocabili in momenti storici distinti.

Usa 1803: Marbury vs. Madison

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Europa: Austria anni ’20

Soprattutto, con il ritorno a regimi liberali-democratici (Italia, Germania 1948; Spagna, Portogallo,
fine anni ’70, Europa centro-orientale dopo caduta muro di Berlino)

Interpretazione della Costituzione non è come interpretare la legge (anche se i criteri sono gli
stessi).

Costituzione contiene norme giuridiche che però non sono strutturate sempre come regole
operative, ma come principi.

Art. 64.3 le deliberazioni di ciascuna camera e del Parlamento non sono valide se non è presente la
maggioranza dei loro componenti e se non sono adottate a maggioranza del presenti -- regola.

Art. 3: principio di eguaglianza: situazioni simili devono essere trattate dal legislatore in modo
ragionevolmente simile, situazioni diverse devono essere trattate in modo diverso. - quando due
situazioni possono essere ritenute ragionevolmente simili? Quando diverse? Ci sono dei trattamenti
normativi che richiedono maggiore “attenzione” da parte del giudice delle leggi (ad esempio, quelli
che distinguono il trattamento sulla base del sesso etc)’? oppure art. 2 La Repubblica riconosce e
garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge
la sua personalità

Il giudice costituzionale lavora con uno strumento in cui la valutazione di ciò che è legittimo spesso
tende a confondersi con ciò che è giusto (svolge una funzione quasi equitativa). Ma ciò che è giusto
(sempre relativamente parlando) dovrebbe stabilirlo l’organo democraticamente eletto. Tensione tra
discrezionalità interpretativa del giudice costituzionale e discrezionalità politica del legislatore.

Proprio perché la funzione della Corte costituzionale è di giudicare sulla legge del Parlamento
diventano importanti i modi in cui si selezionano i giudici costituzionali (problema 1). Inoltre,
siccome la Corte costituzionale non ha una legittimazione popolare diretta, ma si fonda sulla
competenza tecnica dei suoi membri è necessario che questi siano esperti di diritto (problema 2).

In Italia: problema 1: per evitare che i giudici costituzionali potessero essere influenzati dall’organo
che li sceglie/elegge si è proceduto a garantire un equilibrio istituzionale. 5 Parlamento seduta
comune richiesta maggioranza speciale, 5 Presidente della Repubblica (potere effettivo/sostanziale
del Presidente per evitare che siano espressione della maggioranza parlamentare), 5 eletti dalle
supreme magistrature del Paese (tre Cassazione, 1 C. Stato, 1 Corte conti).

Problema 2: i giudici sono scelti tra giuristi di chiara fama (professori ordinari di materie giuridiche,
avvocati dopo 20 anni di professioni, giudici anche a riposto delle magistrature superiori).
Incompatibile con professione d’avvocato, carica di parlamentare etc.

Per capire meglio il funzionamento della giustizia costituzionale, può essere utile fare riferimento
anche alle altre esperienze nazionali. Alla luce di questo esame comparato, la giustizia
costituzionale può essere classificata secondo alcuni parametri.

Rispetto al tipo di giudice che effettua il controllo: se cioè il giudizio sul controllo delle leggi è
affidato ad un giudice particolare, distinto dalla magistratura ordinaria - si parla di giudizio
accentrato (la corte costituzionale appunto nel caso italiano) rispetto ai paesi in cui c’è un
controllo diffuso. Il controllo diffuso è tipico degli USA. Qui ogni giudice può vagliare la
conformità della legge alla Costituzione federale e nel caso fosse in contrasto con essa, il giudice

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ordinario disapplica la legge. Questa disapplicazione vale solo per il caso concreto pendente
dinnanzi al giudice, non per gli altri casi. Nell’ipotesi, invece, del giudizio accentrato, la decisione
della Corte costituzionale determina l’ANNULLAMENTO della legge e questo vale ERGA
OMNES. Da quel momento, nessun giudice e nessun funzionario può applicare la disposizione di
legge dichiarata incostituzionale.
Tuttavia, sebbene negli Usa ogni giudice possa disapplicare la legge, se incostituzionale, si deve
ricordare che il sistema appartiene alla famiglia di common law. Di conseguenza, se a rilevare
l’incostituzionalità della legge è la Corte Suprema (che tecnicamente è a vertice della magistratura
ordinaria, come la nostra Corte di cassazione), si applica il principio del precedente vincolante,
sicché tutti i giudici saranno vincolati da tale decisione.

Rispetto a chi effettua il ricorso di costituzionalità: si distingue tra controllo di costituzionalità


diretto o in via principale – qui abbiamo dei soggetti istituzionali (il Presidente della Repubblica,
una minoranza parlamentare, etc) che promuovono l’azione davanti al giudice costituzionale – da
quello indiretto – qui l’accesso al controllo di costituzionalità è filtrato da un giudice che, chiamato
a giudicare su una determinata controversia applicando una data disposizione di legge, dubita
appunto della sua costituzionalità e perciò pone alla Corte costituzionale il suo dubbio.

Rispetto all’entrata in vigore della legge: si distingue tra controllo di costituzionalità preventivo –
cioè il controllo di costituzionalità può avvenire prima che la legge entri in vigore – o successivo,
cioè una volta che la legge sia già entrata in vigore. Il primo caso è tipico dell’esperienza francese.
E’ come se il controllo di costituzionalità facesse parte di una fase del procedimento legislativo. Lo
possono richiedere alcune cariche dello Stato (il presidente della Repubblica o i presidenti del
senato e dell’assemblea nazionale e soprattutto una minoranza parlamentare, dunque le opposizioni.
Nel contesto italiano, il ricorso alla Corte costituzionale è sempre successivo (tranne l’ipotesi del
ricorso avverso la legge regionale con cui si approva lo statuto delle Regioni ordinarie).

Rispetto all’oggetto del giudizio: si parla di controllo di costituzionalità astratto, nel caso in cui il
giudice costituzionale si trovi a giudicare della legittimità di un testo di legge che non è stato
applicato/interpretato in precedenza. Il controllo di costituzionalità concreto presuppone, invece,
che la disposizione di legge della cui legittimità costituzionale si dubita è stata oggetto di
applicazione a fattispecie concrete. Il giudizio in via preventiva, come quello in via diretta sono
sempre dei ricorsi di tipo astratto. Mentre il giudizio indiretto è sempre concreto. Il vantaggio del
giudizio concreto è che talvolta l’incostituzionalità della legge risulta nel momento in cui la si va ad
applicare. Pensa al nostro esempio del “è vietata la circolazione dei veicoli al parco”. E’ nel
momento in cui la vado applicare a fattispecie concrete che mi può sorgere il dubbio se, ad esempio,
non prevedere un’eccezione per i disabili in carrozzina possa essere contrario al principio
costituzionale d’uguaglianza.

Italia: in Italia il giudizio di costituzionalità segue due percorsi.

Il primo è il ricorso in via incidentale e rappresenta lo strumento prioritario di accesso alla Corte
costituzionale e l’unico nella disponibilità mediata del cittadino. Non esiste nel nostro ordinamento
un accesso diretto alla corte costituzionale per rilevare ad esempio la violazione di un diritto
costituzionale. È un esempio di accesso in via indiretta, successivo e concreto, perché appunto
avviene su un testo di legge che il giudice è chiamato ad applicare in concreto.

Il secondo modo di adire la Corte costituzionale è il ricorso in via diretta o principale. Stato o
Regioni entro 60 giorni da pubblicazione legge fanno appunto un ricorso introduttivo al giudice
costituzionale. È un ricorso successivo (la legge è entrata in vigore), ma astratto. La legge non è

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stata mai applicata in concreto. Mentre le Regioni possono eccepire solo violazioni del riparto di
competenze, lo stato può impugnare legge regionale per qualsiasi vizio di costituzionalità

Atti oggetto del giudizio: leggi e atti aventi forza di legge. Sono esclusi: regolamenti dell’esecutivo
e fonti secondarie, regolamenti parlamentari e regolamenti e atti dell’UE.

Parametro: per valutare la legittimità delle leggi e atti aventi forza di legge il parametro è la
Costituzione che può essere violata per vizi formali o sostanziali. Si parla di parametro interposto
quando, per valutare se c’è violazione di una disposizione della Costituzione, si deve in concreto
considerare un atto che non ha valore costituzionale. Es. l’art. 117 c. 1 dice che il legislatore deve
rispettare gli obblighi internazionali, ergo il trattato internazionale ha una posizione sovra-
legislativa. Una legge, che violasse un trattato internazionale, sarebbe illegittima, perché viola l’art
117 cost. Per fondare però la violazione devo in concreto rapportare la disposizione di legge al
Trattato che si ritiene leso. Esso rappresenta dunque il parametro interposto.

Giudizio in via incidentale

Il sistema di giustizia costituzionale italiano è incentrato su un giudizio reso da un organo di


giustizia ad hoc, accentrato, con decisione aventi effetti costitutivi (annullamento) valevoli erga
omnes: la corte costituzionale.

Il giudizio sulla legittimità delle leggi, tuttavia, risulta attivabile (oltre che nell’ipotesi del ricorso in
via principale, spettante allo Stato e alle regioni) allorché un giudice, nell’esercizio della sua
funzione giurisdizionale, viene a dubitare della legittimità costituzionale di una disposizione di
legge che deve applicare per risolvere il caso concreto. Incidentale- perché è come un incidente
nel corso del processo principale. Una volta risolto – o perché la Corte ritiene infondata la questione
o perché accoglie e dunque annulla la disposizione – il giudizio deve riprendere. La Corte
costituzionale non risolve la disputa penale, civile amministrativa da cui è scaturita la questione di
costituzionalità. Questo spetta al giudice della rimessione, detto giudice a quo (dal quale) che dovrà
risolvere il suo caso alla luce delle indicazioni date dalla Corte. Le conseguenze sono diverse a
seconda del settore.

Il giudice del rinvio, prima di effettuare tale remissione alla Corte, ha l’obbligo di effettuare un
vaglio.

La legge stabilisce, infatti, che il giudice che rimette la questione di costituzionalità alla Corte deve
valutare la rilevanza della disposizione di legge di cui dubita e che il suo dubbio non sia
manifestamente infondato (non manifesta infondatezza). Rilevanza vuol dire che la disposizione
di legge deve essere quella che il giudice dovrebbe effettivamente usare per risolvere la
controversia. Se, ad esempio, la Corte costituzionale dovesse ritenere che la controversia vada
decisa con un’altra disposizione di legge, non entra nel merito della questione di costituzionalità ma
fa una ordinanza sentenza di inammissibilità. Non manifesta infondatezza significa invece che la
questione posta non deve essere pretestuosa.

C’è una terza condizione che si è imposta al giudice prima di effettuare la rimessione alla Corte
costituzionale. Questi deve valutare se tra le possibili interpretazioni di cui è passibile la data
disposizione non sia possibile individuarne una conforme a Costituzione. Se ciò non è possibile e il
dubbio permane, deve rimettere la questione di costituzionalità alla Corte.

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Ordinanza di rimessione: deve contenere il fatto, il parametro costituzionale che si ritiene leso, la
disposizione di legge che si deve applicare, perché si ritiene che essa violi il testo costituzionale,
perché non è possibile dare della disposizione un’interpretazione conforme a costituzione.

Esito: sebbene la Corte sia giunta a elaborare formule di risoluzione del giudizio di costituzionalità
diverse (sentenze manipolative, interpretative, monito etc), il giudizio di costituzionalità, nella sua
versione originaria almeno, conosce essenzialmente due tipologie di decisioni di merito: di
accoglimento (1) – in cui ad essere accolta è la questione di legittimità costituzionale prospettata
dal giudice a quo e dove conseguentemente si dichiara l’incostituzionalità della disposizione e la
sua conseguente espunzione dall’ordinamento con effetti erga omnes e retroattivi (limitatamente
ai giudizi pendenti) - e di rigetto (2) - con cui si dichiara infondata la questione di costituzionalità
per come sollevata dal giudice. (NB: la Corte può non entrare nel merito per questioni procedurali.
In questo caso, si limita a pronunciarsi con un’ordinanza o sentenza di inammissibilità o di
manifesta inammissibilità)

In una sentenza di rigetto, infatti, la disposizione, oggetto del giudizio di costituzionalità, non viene
ad essere dichiarata costituzionalmente legittima. Ciò infatti potrebbe precludere una riproposizione
dello stesso dubbio di costituzionalità da parte di altri giudici ordinari. Ad essere rigettata, in quanto
infondata, è la questione di costituzionalità sollevata dal giudice, dunque le argomentazioni con cui
egli ha ritenuto di prospettare l’incostituzionalità della disposizione.

Tale sentenza di rigetto vincola solo il giudice cui è destinata (il giudice a quo) il quale non potrà
solo riproporre al giudice costituzionale la stessa questione di costituzionalità con le stesse
motivazioni. Il medesimo giudice, tuttavia, o altri giudici successivamente alla sentenza resa dalla
Corte sono liberi di sottoporre al giudice costituzionale una nuova questione di costituzionalità,
avente ad oggetto la medesima disposizione e gli stessi parametri costituzionali, cercando di
argomentarne l’incostituzionalità con altri e nuovi argomenti. In tali casi, se la Corte costituzionale
non ritiene vi siano ragioni sufficienti per modificare il proprio precedente orientamento
interpretativo, risolverà le questioni con ordinanze di manifesta infondatezza, limitandosi a
riprodurre in maniera succinta le argomentazioni fornite nella prima sentenza. Tuttavia, è possibile
che, alla luce di un contesto sociale mutato, il parametro costituzionale venga reinterpretato e porti
all’accoglimento delle questioni prospettate dai giudici del rinvio e alla conseguente declaratoria di
incostituzionalità.

La sentenza qui riportata rappresenta un significativo esempio di come la giustizia costituzionale


debba concepirsi in termini dinamici piuttosto che statici. Oggetto del giudizio di costituzionalità è
l’art. 549 c.p. il quale puniva penalmente l’adulterio femminile, nulla disponendo quanto
all’adulterio maschile. Nel 1961 con la sentenza n. 64, la Corte costituzionale si era già pronunciata
a riguardo, ritenendo che tale diversità di trattamento tra la moglie e il marito non configurava
alcuna discriminazione di sesso. In base all’art. 29 della Cost., infatti, il principio di eguaglianza
morale e giuridica dei coniugi può subire delle limitazioni alla luce del prevalente interesse all’unità
familiare. Il ruolo di preminenza spettante all’uomo nei rapporti familiari, nel contesto sociale di
allora, si rifletteva sul piano del diritto, giustificando la diversità di trattamento.
A fronte di ripetute e ulteriori remissioni di costituzionalità da parte dei giudici ordinari, con le
quali si riproponeva l’incostituzionalità dell’art. 549 c.p. per violazione dei medesimi parametri (3 e
29 Cost) alla luce dell’evoluzione sociale nel frattempo intervenuta, la Corte costituzionale, con la
presente sentenza, riconosce che detta evoluzione sociale avrebbe comportato che la donna ha
acquistato pienezza di diritti e la sua partecipazione alla vita economica e sociale della famiglia e
della intera collettività é diventata molto più intensa, fino a raggiungere piena parità con l'uomo.
Tale assunto, che contraddice quanto la stessa Corte aveva affermato ne 1961, è alla base della

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decisione qui riportata con cui la Corte, accogliendo questa volta i dubbi di costituzionalità sollevati
dai giudici del rinvio, dichiara l’incostituzionalità dell’art. 549 c.p.

SENTENZA N. 126
ANNO 1968

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
 
composta dai signori Giudici:
Prof. Aldo SANDULLI, Presidente
Prof. Giuseppe BRANCA
Prof. Michele FRAGALI
Prof. Costantino MORTATI
Dott. Giuseppe VERZÌ
Dott. Giovanni Battista BENEDETTI
Prof. Francesco Paolo BONIFACIO
Dott. Luigi OGGIONI
Dott. Angelo DE MARCO
Avv. Ercole ROCCHETTI
Prof. Enzo CAPALOZZA
Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI
Prof. Vezio CRISAFULLI
Dott. Nicola REALE,
ha pronunciato la seguente
 
SENTENZA
 
nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale dell'art. 559 del Codice penale, promossi con le
seguenti ordinanze:
1) ordinanza emessa il 13 ottobre 1965 dal Tribunale di Ascoli Piceno nel procedimento
penale a carico di Palestini Ivana ed altri, iscritta al n. 223 del Registro ordinanze 1965 e pubblicata
nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 25 del 29 gennaio 1966;
2) ordinanza emessa il 18 febbraio 1966 dal pretore di Biella nel procedimento penale a carico
di Galeotti Paola ed altro, iscritta al n. 84 del Registro ordinanze 1966 e pubblicata nella Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n. 124 del 21 maggio 1966;
3) ordinanza emessa il 3 giugno 1966 dal pretore di Bologna nel procedimento penale a carico
di Ferri Clara ed altro, iscritta al n. 143 del Registro ordinanze 1966 e pubblicata nella Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n. 226 del 10 settembre 1966;
4) ordinanza emessa il 7 ottobre 1967 dal pretore di Torino nel procedimento penale a carico
di Furlan Ofelia Bruna ed altro, iscritta al n. 257 del Registro ordinanze 1967 e pubblicata nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 321 del 23 dicembre 1967.
Udita nella camera di consiglio del 21 novembre 1968 la relazione del Giudice Giuseppe
Verzì.

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Ritenuto in fatto
 
Con ordinanza del 13 ottobre 1965, emessa nel procedimento penale contro Palestini Ivana ed
altri, il Tribunale di Ascoli Piceno ha denunziato l'illegittimità costituzionale dell'art. 559 del
Codice penale in riferimento agli artt. 3 e 29 della Costituzione, in quanto - punendo soltanto la
moglie adultera e non il marito che offenda il bene della fedeltà coniugale - la legge fa un diverso
trattamento fra i coniugi, che difficilmente riesce ad essere giustificato.
L'ordinanza rileva che la Corte costituzionale, con sentenza n. 64 del 23 novembre 1961, ha
dichiarato non fondata la questione proposta negli stessi termini, ma che tuttavia si impone il
riesame di essa per riscontrare se - nell'attuale momento storico sociale - sussiste tuttora quella
situazione obbiettivamente diversa fra marito e moglie, che possa legittimare la discriminazione
posta dalla norma impugnata. Confutando le argomentazioni addotte nella suindicata sentenza, a
favore della non fondatezza, l'ordinanza osserva: 1) la discriminazione non può trovare
giustificazione nel fatto che, dovendo vincere particolari ostacoli fisiologici, la moglie adultera
dimostra maggiore carica di criminosità; oppure nel fatto che l'adulterio dalla stessa commesso
importa maggiori pericoli, implicando i rischi della commistio sanguinis, della usurpazione di stato
del figlio, ecc. Ed invero, siffatte circostanze riposano su una distinzione per sesso esplicitamente
vietata dall'art. 3 della Costituzione. 2) Non sembra che, attualmente, la coscienza collettiva annetta
all'adulterio della moglie un particolare carattere di gravità, come avveniva nei tempi passati,
coerentemente allo stato di soggezione morale, giuridica e materiale in cui era tenuta la donna; e
non può pertanto sostenersi che esso rappresenti una maggiore offesa al bene della fedeltà
coniugale, che l'art. 559 vuol tutelare.
3) Anche in riferimento all'art. 29 della Costituzione, che garantisce l'unità familiare, deve
riconoscersi la illegittimità della norma impugnata. L'adulterio rappresenta un fatto dimostrativo
dell'avvenuta rottura di tale unità, sicché non si vede quale sia la ragione della discriminazione,
mentre qualunque limitazione del principio di eguaglianza incide sull'unità stessa, spostando
l'equilibrio a favore di uno ed a danno dell'altro coniuge. 4) L'illecito comportamento della moglie
rispetto alla liceità dell'identico comportamento del marito pone la prima in condizioni di inferiorità
morale e giuridica e ne offende la dignità personale, costringendola a sopportare le infedeltà del
marito.
L'ordinanza ha disposto, pertanto, la sospensione del procedimento e la rimessione degli atti a
questa Corte. Essa é stata regolarmente notificata, comunicata e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale
della Repubblica n. 25 del 29 gennaio 1966.
Nel giudizio innanzi a questa Corte non vi é stata costituzione di parti; né é intervenuto il
Presidente del Consiglio dei Ministri.
Con altra ordinanza del 18 febbraio 1966 del pretore di Biella nel procedimento penale contro
Galeotti Paola ed Amato Natalino nonché con le ordinanze del 3 giugno 1966 del pretore di
Bologna nel procedimento penale contro Ferri Clara e Moschini Dino, e del 7 ottobre 1967 del
pretore di Torino nel procedimento penale a carico di Furlan Ofelia Bruna e Passariello Michele é
stata sollevata la medesima questione di legittimità dell'art. 559 del Codice penale e sono stati
addotti identici motivi.
In particolare il pretore di Bologna osserva che l'art. 3 della Costituzione consente al
legislatore di adeguare le norme giuridiche ai vari aspetti sociali dettando norme diverse per
situazioni diverse, ma la discriminazione sembra giustificata solo laddove essa si fondi su oggettive
necessità di ordine materiale e fisiologico. Le contingenti valutazioni sociali o di costume non
appaiono tali da legittimare una disciplina discriminatoria, in quanto in esse manca quello stato di
cogenza assoluta collegata alla natura dei destinatari della norma. La punizione del solo adulterio
della moglie si fonda sulla concezione della donna come essere inferiore soggetta all'uomo, cioè su
una valutazione sociale assai discutibile. Anche in relazione all'art. 29 della Costituzione, é da
osservare che la discriminazione non é atta a garantire l'unità familiare.

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Il pretore di Torino osserva inoltre che, a termini dell'art. 3 della Costituzione, il compito del
legislatore é quello di rimuovere quegli ostacoli, che, fondandosi su apparenti concezioni diffuse
nella collettività, vengono frapposti alla eguale considerazione giuridica dell'uomo e della donna
rispetto a fatti di identica natura, quale il rapporto sessuale extraconiugale. L'art. 29 della
Costituzione é collegato con l'art. 3, perché la parità giuridica é rafforzata da pari dignità dei
coniugi. Se l'adulterio offende l'unità della famiglia, le eventuali differenziazioni, che si possono
riscontrare in relazione alla posizione del marito e della moglie, riguardano soltanto un aspetto
quantitativo di cui non si può tenere conto perché anche l'adulterio del marito lede, in una certa
misura, l'unità della famiglia.
Le ordinanze suindicate, regolarmente notificate e comunicate, sono state pubblicate nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 124, 226 e 321 del 21 maggio 1966, del 10 settembre 1966
e del 23 dicembre 1967.
Non essendovi stata costituzione delle parti dei suddetti giudizi, né essendo intervenuto il
Presidente del Consiglio dei Ministri, la questione é stata decisa in camera di consiglio.
 
Considerato in diritto
 
1. - I vari giudizi possono essere riuniti e definiti con unica sentenza, perché tutte le ordinanze
di rimessione hanno per oggetto la stessa questione di legittimità costituzionale.
2. - Occorre precisare preliminarmente che la denunzia di illegittimità é limitata alla ipotesi
prevista dal primo comma dell'art. 559 del Codice penale. Ed invero, le ordinanze discutono
dell'adulterio della moglie, ma nessuna di esse prende in considerazione l'altra fattispecie delittuosa
contemplata da terzo comma dello stesso articolo come reato a sé stante, la relazione adulterina, per
la quale, quindi, non risulta proposta alcuna questione.
3. - Con la sentenza n. 64 del 23 novembre 1961, questa Corte ha dichiarato non fondata la
questione di legittimità costituzionale dell'art. 559, primo comma, del Codice penale, in riferimento
agli artt. 3 e 29 della Costituzione. L'ordinanza del Tribunale di Ascoli Piceno prima, e le altre
successivamente hanno riproposto la questione ulteriormente argomentando e sostenendo che, negli
ultimi anni, é sostanzialmente mutata in materia la coscienza collettiva. Di conseguenza sarebbe
necessario accertare se - nell'attuale momento storico sociale - continui a sussistere oppure no
quella diversità obbiettiva di situazione che nella precedente sentenza la Corte ritenne di riscontrare
sì da giustificare il differente trattamento, fatto dal legislatore penale all'adulterio della moglie
rispetto a quello del marito.
La Corte ritiene che la questione meriti di essere riesaminata.
4. - Il principio che il marito possa violare impunemente l'obbligo della fedeltà coniugale,
mentre la moglie debba essere punita - più o meno severamente - rimonta ai tempi remoti nei quali
la donna, considerata perfino giuridicamente incapace e privata di molti diritti, si trovava in stato di
soggezione alla potestà maritale. Da allora molto é mutato nella vita sociale: la donna ha acquistato
pienezza di diritti e la sua partecipazione alla vita economica e sociale della famiglia e della intera
collettività é diventata molto più intensa, fino a raggiungere piena parità con l'uomo; mentre il
trattamento differenziato in tema di adulterio é rimasto immutato, nonostante che in alcuni stati di
avanzata civiltà sia prevalso il principio della non ingerenza del legislatore nella delicata materia.
9. - Non appare molto appropriato il riferimento fatto dalle ordinanze di rimessione all'art. 3
della Costituzione per il quale tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali di fronte alla
legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni
personali e simili. Questa norma, che tende ad escludere privilegi e disposizioni discriminatorie tra i
cittadini, prende in considerazione l'uomo e la donna come soggetti singoli, che, nei rapporti sociali,
godono di eguali diritti ed eguali doveri. Essa tutela la sfera giuridica della donna ponendola in
condizioni di perfetta eguaglianza con l'uomo rispetto ai diritti di libertà, alla immissione nella vita
pubblica, alla partecipazione alla vita economica ed ai rapporti di lavoro, ecc. E la differenza di

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sesso é richiamata nel detto articolo con riferimento ai diritti e doveri dei cittadini nella vita sociale,
e non anche con riferimento ai rapporti di famiglia.
6. - I rapporti fra coniugi sono disciplinati invece dall'art. 29 della Costituzione, che riconosce
i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio, afferma l'eguaglianza morale e
giuridica dei coniugi e dispone che questa eguaglianza possa subire limitazioni soltanto a garanzia
dell'unità familiare. Nel sancire dunque sia l'eguaglianza fra coniugi, sia l'unità familiare, la
Costituzione proclama la prevalenza dell'unità sul principio di eguaglianza, ma solo se e quando un
trattamento di parità tra i coniugi la ponga in pericolo.
Come é stato precisato nella precedente giurisprudenza di questa Corte, non vi é dubbio che,
fra i limiti al principio di eguaglianza, siano da annoverare quelli che riguardano le esigenze di
organizzazione della famiglia, e che, senza creare alcuna inferiorità a carico della moglie, fanno
tuttora del marito, per taluni aspetti, il punto di convergenza dell'unità familiare, e della posizione
della famiglia nella vita sociale. Ciò indubbiamente autorizza il legislatore ad adottare, a garanzia
dell'unità familiare, talune misure di difesa contro influenze negative e disgregatrici.
Queste considerazioni tuttavia non spiegano né giustificano la discriminazione sanzionata
dalla norma impugnata.
É questione di politica legislativa quella relativa alla punibilità dell'adulterio. Ma, poiché la
discriminazione fatta in proposito dall'attuale legge penale viola il principio di eguaglianza fra
coniugi - il quale rimane pur sempre la regola generale - occorre esaminare se essa sia essenziale
alla unità familiare. Infatti solo in tal caso sarebbe ammissibile il sacrificio di quel principio di base
nel nostro ordinamento.
Ritiene la Corte, alla stregua dell'attuale realtà sociale, che la discriminazione, lungi
dall'essere utile, é di grave nocumento alla concordia ed alla unità della famiglia. La legge, non
attribuendo rilevanza all'adulterio del marito e punendo invece quello della moglie, pone in stato di
inferiorità quest'ultima, la quale viene lesa nella sua dignità, é costretta a sopportare l'infedeltà e
l'ingiuria, e non ha alcuna tutela in sede penale.
Per l'unità familiare costituisce indubbiamente un pericolo l'adulterio del marito e della
moglie, ma, quando la legge faccia un differente trattamento, questo pericolo assume proporzioni
più gravi, sia per i riflessi sul comportamento di entrambi i coniugi, sia per le conseguenze
psicologiche sui soggetti.
La Corte ritiene pertanto che la discriminazione sancita dal primo comma dell'art. 559 del
Codice penale non garantisca l'unità familiare, ma sia più che altro un privilegio assicurato al
marito; e, come tutti i privilegi, violi il principio di parità.
É chiaro che, il riconoscimento della illegittimità del primo comma investe anche il secondo
comma dell'art. 559 del Codice penale, per il quale é punito il correo della moglie adultera.
 
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
 
dichiara l'illegittimità costituzionale del primo e del secondo comma dell'art. 559 del Codice
penale.
Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo
della Consulta, il 16 dicembre 1968.

Aldo SANDULLI - Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI -


Giuseppe VERZÌ - Giovanni Battista BENEDETTI - Francesco Paolo BONIFACIO - Luigi
OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele
TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI - Nicola REALE

Deposito in cancelleria: 19 dicembre 1968.


 

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