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Domande frequenti Diritto dell’Unione Europea Prof.

Venturi

1. Il parlamento europeo.
2. La Cittadinanza Europea.
3. Corte di giustizia.
4. Ricorsi.
5. Adattamento in Italia.

IL PARLAMENTO EUROPEO

 Il parlamento
Originariamente chiamato Assemblea, l’istituzione ha assunto prima con propria deliberazione e poi

con l’art. 3 AUE la denominazione di Parlamento Europeo. I suoi membri sono eletti a suffragio

universale diretto ogni 5 anni e i suoi componenti sono soggetti al divieto del doppio

mandato, è composto da 785 membri a garanzia dell’adeguata rappresentanza dei popoli degli

stati riuniti nella comunità, organizzati in gruppi politici composti da almeno 19 persone

provenienti da almeno 1/5 degli stati membri. Il Parlamento Europeo dispone di alcuni organi tra i

quali spicca il Presidente  che dirige i lavori del Parlamento e lo rappresenta nelle relazioni

internazionali, nelle cerimonie, negli atti amministrativi e giudiziari; i presidenti dei gruppi e il

presidente del parlamento si riuniscono formando la Conferenza dei Presidenti. Il Parlamento

può lavorare in aula (dove possono partecipare tutti i membri) o in commissione, ci sono a loro

volta due tipi di commissioni: le commissioni permanenti, previste dal regolamento interno, che

trattano gli affari di cui l’istituzione è investita a seconda della materia, e le commissioni

temporanee d’inchiesta.

Le funzioni più importanti sono:

 la partecipazione all’adozione degli atti dell’Unione ;

 il controllo politico.

Per svolgere la seconda funzione dispone di numerosi canali attraverso i quali

riceve informazioni sull’operato delle altre istituzioni e degli stati membri. L’informazione

periodica e regolare è assicurata dalla presentazione allo stesso di relazioni da parte degli altri
organi, soprattutto dalla Commissione che presenta la relazione generale annuale. Il

Parlamento dispone inoltre del potere di procurarsi autonomamente informazioni attraverso

le interrogazioni, le audizionie l’iniziativa dei singoliattraverso: le petizioni (su materie che

rientrano direttamente nel campo d’attività della comunità), il ricorso al Mediatore

europeo (per lamentare casi di cattiva amministrazione nell’azione delle istituzioni e degli organi

comunitari) e le denunce (di infrazione o di cattiva amministrazione nell’applicazione del diritto

comunitario).  A fronte di questi strumenti di informazione il Parlamento dispone di poteri

sanzionatori nei confronti della Commissione espressi nel potere di approvare una mozione di

censura che, una volta presentata, può essere discussa solo dopo tre giorni dalla data del

deposito, deve essere votata con scrutinio pubblico e approvata dai due terzi dei voti espressi e a

maggioranza dei membri che compongono il Parlamento. Se approvata, i membri della

commissione devono abbandonare collettivamente le loro funzioni , quindi la mozione comporta le

dimissioni dell’intero organo. Il controllo del Parlamento sull’operato del Consiglio si traduce

sul controllo giurisdizionale presentando ricorso alla Corte di Giustizia contro atti o

comportamenti avuti dal consiglio senza rispettare i poteri parlamentari.

LA CORTE DI GIUSTIZIA EUROPEA

 La Corte di giustizia


La Corte si articola al suo interno in più rami dotati ognuno di piena autonomia funzionale e

amministrativa e cioè: la Corte di giustizia, il Tribunale di primo grado e le camere

giurisdizionali (tribunale della funzione pubblica), tutti organi di individui.

La Corte di giustizia

Le fonti normative che disciplinano l’attività della Corte di giustizia sono contenute nei trattati

TCE e TUE e nel protocollo sullo Statuto della Corte di giustizia della Comunità europea

allegato al TCE e per questo ne condivide la natura giuridica. Infine va ricordato il regolamento

di procedura stabilito dalla Corte stessa ma che necessità dell’approvazione del Consiglio a

maggioranza qualificata.

La composizione della Corte è articolata in un giudice per ogni Stato membro (27) ed è inoltre

assistita da 8 avvocati generali che hanno il compito di presentare conclusioni motivate sulle

cause che, conformemente allo statuto della corte, ne richiedono l’intervento.

Queste conclusioni contengono il parere dell’avvocato generale su come la Corte dovrebbe


decidere la causa ma non sono vincolanti. Per quanto riguarda la nazionalità degli avvocati

generali la prassi vuole che vi siano sempre 4 avvocati generali con nazionalità di ciascuno degli

Stati membri maggiori (It, Ger, Fr, UK) mentre i restanti 4 siano ricoperti a rotazione da persone

degli altri Stati membri. La nomina di giudici e avocati avviene di comune accordo tra i Governi

degli Stati membri e il mandato dura 6 anni..

La Corte opera nelle seguenti formazioni di giudizio:

 sezioni (formazione ordinaria) composte da tre o cinque giudici;

 grande sezione formata da 11 giudici, tra cui il presidente che la presiede, ed è

convocata quando lo richiede uno Stato membro o un’Istituzione che è parte in giudizio;

 seduta plenaria con la partecipazione di tutti i giudici è convocata per ipotesi particolari.

Le principali funzioni della Corte hanno natura giurisdizionale, ma ha anche funzioni di natura

consultiva attraverso i pareri che le possono essere richiesti da Parlamento, Consiglio,

Commissione e Stati membri; caratteristica dei pareri della corte è il loro valore parzialmente

vincolante.

Il Tribunale di primo grado

Anche il funzionamento e l’organizzazione del Tribunale di primo grado  sono disciplinati da

disposizioni contenute nel TCE, nello Statuto della Corte di giustizia ed infine il proprio

regolamento di procedura (di concerto con la Corte di giustizia e poi sottoposto all’approvazione

del Consiglio a maggioranza qualificata). Per quanto riguarda il rapporto istituzionale, Corte di

giustizia e Tribunale coesistono all’interno della stessa istituzione, mentre per quanto riguarda

il rapporto giurisdizionale il Tribunale si trova in posizione di subordinazione rispetto alla Corte

visto che le sue decisioni sono impugnabili davanti alla Corte. La composizione, la nomina e la

durata del mandato  sono simili a quelli della Corte, a parte il fatto che il Tribunale non

dispone di avvocati generali anche se li può convocare per cause di particolare importanza. Circa

le formazioni di giudizio vediamo che il Tribunale funziona in sezioni di 3 o 5 giudici. Il

regolamento di procedura disciplina poi i casi in cui il Tribunale si riunisce in seduta plenaria,

in grande sezione o si statuisce nella persona di un giudice unico. La competenza di primo

grado del Tribunale comporta due limiti: la competenza esclusiva della Corte e l’istituzione delle
Camere giurisdizionali (il Tribunale della funzione pubblica dell’Unione europea che ha competenza

di primo grado sul contenzioso con il personale delle istituzioni e degli organi dell’Unione).

Comunque il tribunale non copre tutte le azioni sottoposte al giudizio della Corte ed

ha competenza diretta in primo grado su:

 ricorsi proposti da persone fisiche o giuridiche contro le istituzioni  o gli altri organi;

 ricorsi d’annullamento per inazione proposti dagli Stati membri  contro la Commissione;

 ricorsi  di annullamento proposti dagli Stati membri contro il Consiglio.

Le Camere giurisdizionali

Introdotte dal Trattato di Nizzasono incaricate di conoscere in primo grado tutte le categorie di

ricorsi proposti in materie specifiche. La prima Camera giurisdizionale è stata voluta dal Consiglio

ed è il Tribunale della funzione pubblica (TFP) competente in primo grado a pronunciarsi

sulle controversie tra le Comunità e i loro agenti comprese quelle tra gli organi o tra gli organismi e

il loro personale per le quali la competenza è attribuita alla Corte di giustizia ( contenzioso del

personale).

IL SISTEMA DI TUTELA GIURISDIZIONALE

L’ordinamento comunitario comprende un sistema di tutela giurisdizionale che assicura la

protezione delle posizioni giuridiche nate per effetto del diritto comunitario; questo sistema è

ripartito tra giudice comunitario  (Corte di giustizia, Tribunale di primo grado e Tribunale della

funzione pubblica) e giudici degli Stati membri. La competenza esclusiva del giudice comunitario è

determinata dal TCE e comprende le cosiddette competenze dirette e cioè:

 ricorsi per infrazione (proposti nei confronti di uno Stato membro accusato di aver

violato gli obblighi derivanti dal Trattato);

 ricorsi d’annullamento (con i quali viene contestata la legittimità degli atti delle

istituzioni);
 ricorsi in carenza (con i quali si vuole far constatare l’illegittimità delle omissioni

addebitabili alle istituzioni);

 ricorsi per risarcimento (che mettono in gioco la responsabilità extracontrattuale delle

istituzioni).

Al di fuori di tali azioni vige la competenza dei giudici nazionali.

Questi due livelli di tutela non operano in maniera distinta per evitare che nell’applicazione del

diritto comunitario i giudici nazionali possano pregiudicare l’uniformità delle disposizioni di tale

diritto; infatti il TCE nell’art. 234 prevede la procedura del rinvio pregiudiziale grazie alla quale il

giudice nazionale ha la facoltà o l’obbligo di deferire alla Corte di giustizia le questioni riguardanti il

diritto comunitario preservandone il carattere uniforme.

Il ricorso per infrazione (art. 226 e 227 TCE)

L’oggetto del ricorso è la violazione da parte di uno Stato membro di uno degli obblighi a lui

incombenti in virtù del presente Trattato e può riguardare la violazione di

qualsiasi obbligo derivante dal Trattato o degli atti adottati in base ad esso ed è presa in

considerazione nel suo obiettivo manifestarsi.

Il procedimento per proporre un ricorso per infrazione varia a seconda del soggetto che ne

assume l’iniziativa, di solito è la Commissione (art. 226) in quanto custode della legalità

comunitaria, ma anche uno Stato membro (art. 227) può farlo. In entrambi i casi sono previste

due fasi:

 la fase precontenziosa che favorisce la composizione amichevole del conflitto ed è una

condizione di ricevibilità del ricorso alla Corte;

 la fase contenziosa che prevede il ricorso alla Corte di giustizia e l’emanazione di una

decisione giudiziaria.
L’art. 226 disciplina il caso in cui la scelta di dare avvio al procedimento e di portarlo a termine

spetta alla Commissione che gode di ampio potere discrezionale; in pratica la fase

precontenziosa si articola nei seguenti momenti:

a. invio allo stato membro di un atto non formale , la lettera di messa in mora, con cui la

Commissione, dopo aver contestato determinati comportamenti, fissa un termine entro il

quale presentare le proprie osservazioni;

b. presentazione delle osservazioni (in mancanza la Commissione può passare alla fase

successiva)

c. emissione di un parere motivato nel quale si espongono in via definitiva gli addebiti

mossi allo Stato e lo invita a conformarsi entro il termine fissato; atto non obbligatorio in

quanto il potere di constatare l’infrazione commessa da uno Stato membro non spetta alla

Commissione ma la Corte di giustizia.

Il passaggio alla fase contenziosa è possibile soltanto una volta che il termine fissato nel parere

motivato sia decorso invano. Una volta presentato il ricorso alla Corte di giustizia, l’eventuale

eliminazione da parte dello Stato membro della violazione contestata non comporta alcuna

conseguenza sull’esito del giudizio perché la situazione dell’infrazione si cristallizza al momento

della presentazione del ricorso. La fase contenziosa termina con una sentenza di mero

accertamento (non di accertamento costitutivo né di condanna) che non contiene né gli

adempimenti né il termine entro il quale lo Stato dovrà provvedere.

La mancata o ritardata adozione dei provvedimenti necessari per uniformarsi alla sentenza può

indurre la Commissione ad avviare nei confronti di uno Stato membro un secondo

procedimento di infrazione per violazione dell’art. 228 che conduce ad una vera e

propria sentenza di condanna e al pagamento di una sanzione pecuniaria.

L’art. 227 invece disciplina il procedimento di infrazione avviato su iniziativa di uno Stato

membro secondo cui lo Stato deve rivolgersi alla Commissione  chiedendole di agire nei confronti

dell’altro Stato membro. La Commissione deve porre gli stati interessati di presentare in
contraddittorio le loro osservazioni scritte  e la Commissione emette un parere motivato; se non lo

fa entro tre mesi dalla domanda lo Stato può presentare ricorso direttamente alla Commissione.

 Il ricorso di annullamento  (art. 230 e ss.)

Il ricorso di annullamento è la forma principale di controllo giurisdizionale di legittimità per

gli atti delle istituzioni comunitarie. Gli atti impugnabili sono definiti facendo riferimento a tre

criteri:

 autore (gli atti :S adottati congiuntamente da Parlamento e Consiglio secondo la

procedura di codecisione; S del Consiglio; S della Commissione; S della BCE; S

del Parlamento);

 tipo (l’art. 230 perla genericamente di atti quindi sono ritenuti impugnabili sia gli

atti tipici  {regolamenti direttive e decisioni [art. 249]} che quelli atipici);

 effetti (permette di limitare l’impugnazione ad atti suscettibili di creare effetti giuridici

obbligatori).

I soggetti legittimati a proporre il ricorso (legittimazione attiva) sono divisi in tre categorie:

 ricorrenti privilegiati (Stati membri, Parlamento, Consiglio, Commissione ) il cui diritto di

ricorso non è soggetto ad alcun limite;

 ricorrenti intermedi (Corte dei conti, BCE) la cui legittimazione a ricorrere è

specificatamente finalizzata a salvaguardare le loro prerogative;

 ricorrenti non privilegiati (persone fisiche e giuridiche) le cui condizioni per il ricorso

sono restrittive e delineano due ipotesi distinte:

S quando la persona fisica o giuridica impugna una decisione nei suoi confronti, cioè una decisone

di cui il ricorrente sia destinatario e occorre soltanto dimostrare di avere interesse a ricorrere;

S quando una persona fisica o giuridica impugna un atto di cui formalmente non è il destinatario,
in quanto appare come un regolamento o una decisione rivolta ad altre persone . Per ricorrere

contro un atto del genere il ricorrente deve dimostrare che l’atto lo riguarda direttamente e

individualmente.

L’identificazione dei casi in cui tale doppio requisito (interesse diretto e individuale) sia soddisfatto,

genera un problema interpretativo che può essere superato distinguendo a seconda che l’atto

impugnato sia:

 una decisione rivolta ad un’altra persona fisica o giuridica (che non sia uno Stato

membro), l’onere probatorio da superare non è eccessivo in quanto basta dimostrare che il

ricorrente è portatore di un interesse qualificato all’annullamento dell’atto;

 un regolamento o una decisione rivolta a uno o più Stati membri le difficoltà non

sorgono nell’individuare l’interesse diretto ma l’interesse individuale in quanto la

giurisprudenza comunitaria applica una formula particolarmente rigorosa che determina

come aspetto rilevante non il fatto che l’atto impugnato colpisca il ricorrente ma a quale

titolo il ricorrente sia colpito, quindi se l’atto produce effetti giuridici soltanto sulla posizione

individuale o se produce effetti giuridici diversi rispetto a quelli che si verificano a carico di

tutti gli altri soggetti.

I vizi di illegittimità che possono essere fatti valere nell’ambito di un ricorso d’annullamento

sono:

 incompetenza che può essere interna, quando l’istituzione che ha emanato l’atto non ha il

potere di farlo, o esterna quando l’atto non rientra nella competenza comunitaria;


 violazione delle forme sostanziali che sussiste quando non sono rispettati dei requisiti

formali di tale importanza da influenzare il contenuto dell’atto come le procedure o la

violazione dell’obbligo di motivazione;

 violazione del Trattato e di qualsiasi regola del diritto relativa alla sua

applicazione che è il più invocato dal momento che ingloba anche i due precedenti vizi,

ed è espressione del principio della gerarchia delle fonti comunitarie;

 sviamento di potere che si verifica raramente e riguarda gli atti emanati da istituzioni

che ne hanno il potere ma perseguono scopi diversi da quelli per i quali il potere le è stato

attribuito.

Il termine di ricorso è di due mesi e decorre:

a. dalla pubblicazione sulla GUCE, se è stato pubblicato;

b. dalla notificazione, se è stato notificato;

c. in mancanza di pubblicazione o notifica, dal giorno in cui il ricorrente ha avuto conoscenza

dell’atto.

L’efficacia delle sentenze di annullamento, disciplinata dall’art. 231, prevede che la sentenza

ha portata generale e retroattiva, l’atto è nullo erga omnes, e la nullità retroagisce al momento in

cui l’atto è stato emanato, con l’eccezione dei Regolamenti per i quali la Corte di giustizia, ove lo

reputi necessario, precisa gli effetti del regolamento annullato che devono essere considerati come

definitivi.

 Il ricorso in carenza (art. 232 TCE)

Il ricorso in carenza costituisce un’altra forma di controllo giurisdizionale della legittimità del

comportamento delle istituzioni, in particolare, degli eventuali comportamenti omissivi delle

stesse. I presupposti del ricorso quindi sono:


o l’esistenza di un obbligo di agire a carico dell’istituzione in causa (quindi non si può

ricorre contro l’omissioni di atti rimessi alla discrezionalità delle istituzioni);

o la violazione dell’obbligo stesso a condizione che :

 l’istituzione in causa sia stata previamente richiesta di agire;

 sia scaduto il termine di due mesi da tale richiesta senza che l’istituzione

abbia “preso posizione”. [fase precontenziosa]

La richiesta di agire (nota come messa in mora) deve essere formulata in maniera che

l’istituzione comprenda che in caso di inerzia rischia di subire la presentazione del ricorso e

indicare con precisione i provvedimenti che l’istituzione è richiesta di adottare.

Per interrompere la mora è sufficiente che l’istituzione prenda posizione adottando un atto anche

con  contenuti non coincidenti con la richiesta. Se l’istituzione non prende posizione entro due mesi

dalla richiesta il soggetto che la ha presentata può presentare ricorso alla Corte di giustizia entro

ulteriori due mesi. [fase contenziosa]

I soggetti contro i quali può essere proposto un ricorso in carenza (legittimazione passiva)

sono:

o Parlamento europeo;

o Consiglio;

o Commissione;

o BCE.

I soggetti dotati di legittimazione attiva sono previsti dall’art. 230 e sono gli stessi che possono

adire il ricorso di annullamento . Se il ricorso viene accolto il giudice comunitario emana


una sentenza di accertamento che non colma la carenza o condanna l’istituzione responsabile

dell’omissione, ma fa sorgere a suo carico un obbligo di agire.

Il ricorso per risarcimento danni (art. 235)

La competenza del giudice comunitario è limitata alla responsabilità extracontrattuale, quindi

il ricorso per risarcimento si configura come un rimedio residuale rispetto alla tutela che

possono offrire i giudici nazionali.

I presupposti della responsabilità extracontrattuale vanno tratti dai principi generali comuni ai

diritti degli Stati membri e sono:

o danno effettivo;

o nesso causale tra danno e comportamento delle istituzioni;

o illegittimità di questo comportamento;

o ed altri principi se il comportamento delle istituzioni ha un ampio margine di discrezionalità

e, in particolare, nell’adozione di atti normativi (regolamenti) implicanti scelte di politica

economica in cui non basta dimostrare l’illegittimità del comportamento ma anche che:

 la norma sia destinata a conferire diritti ai singoli ;

 si tratti di una violazione grave e manifesta.

Il termine di prescrizione è di cinque anni dal momento in cui avviene il fatto che dà loro

origine.

 La competenza pregiudiziale (art. 234)

La competenza pregiudiziale può o deve, secondo i casi, essere chiamata ad esprimersi in via

pregiudiziale sulle questioni riguardanti il diritto comunitario che si pongono nell’ambito di un

giudizio instaurato davanti ad una giurisdizione di uno degli Stati membri. Quindi la Corte

ha competenza indiretta perché le questioni non sono sollevate dalle parti

interessate e limitata in quanto esamina le questioni di diritto comunitario sollevate da un giudice


nazionale.

Questo meccanismo, oltre ad essere in rimedio giurisdizionale effettivo, ha un

duplice scopo in quanto da un lato tende a evitare che ciascun giudice nazionale interpreti e

applichi le norme comunitarie come se si trattasse di norme nazionali col rischio di infrangere

l’unitarietà del diritto comunitario, e dall’altro offre ai giudici nazionali uno strumento di

collaborazione per superare le difficoltà interpretative che il diritto comunitario può sollevare.

Non si può dire che esista una gerarchia tra giudici nazionali Corte di giustizia anche perché

quest’ultima non esercita alcun tipo di controllo sulla competenza del giudice nazionale o

sulla regolarità del giudizio stesso, ma impone solo dei requisiti riguardanti il contenuto del

provvedimento di rinvio che consistono nella definizione dell’ambito di fatto e di diritto in cui si

inseriscono le questioni sollevate soprattutto se si riferiscono al settore della concorrenza con

situazioni di fatto e di diritto complesse.  In mancanza di sufficienti informazioni al riguardo o di

sussistenza delle ipotesi patologiche (controversie fittizie, questioni manifestamente irrilevanti e

questioni puramente ipotetiche), la Corte non può giungere ad una interpretazione adatta al caso e

si può riservare la facoltà di non rispondere.

La competenza pregiudiziale può essere attivata soltanto da un organo che svolge una funzione

giurisdizionale o se risponde ad altri requisiti, cioè una serie di elementi quali:

 l’origine legale dell’organo;

 il suo carattere permanente;

 l’obbligatorietà della sua giurisdizione;

 la natura contraddittoria del procedimento;

 il fatto che l’organo applichi norme giuridiche;

 sia indipendente.

Rispetto al rinvio pregiudiziale, la posizione dei giudici nazionali varia secondo che essi emettano

decisioni contro le quali sia possibile proporre un ricorso giurisdizionale interno o no, nel primo

caso il rinvio è oggetto di una semplice facoltà, nel secondo di un obbligo.


La facoltà di rinvio dei giudici non di ultima istanza  implica che questi sono liberi di scegliere se

sollevare o meno le questioni di diritto comunitario, l’obbligo di rinvio invece a carico dei giudici

di ultima istanza prevede degli elementi di flessibilità quando:

 la questione sia materialmente identica ad altra questione, sollevata in relazione ad

analoga fattispecie, che sia stata già decisa in via pregiudiziale;

 la risposta da dare alle questioni risulti da una giurisprudenza costante della Corte che,

indipendentemente dalla natura del procedimento in cui sia stata prodotta, risolva il punto

di diritto litigioso, anche in mancanza di una stretta identità fra le materie del contendere;

 quando la corretta applicazione del diritto comunitario si imponga con tale evidenza da non

lasciare adito ad alcun ragionevole dubbio sulla soluzione da dare alla questione sollevata

(atto chiaro);  prima di concludere in questo senso il giudice deve:

o verificare che  la stessa soluzione si imporrebbe anche ai giudici degli altri Stati

membri;

o raffrontare le diverse traduzioni linguistiche dell’atto;

o tenere conto della non necessaria coincidenza tra il significato di una medesima

norma in diritto comunitario e in diritto interno;

o ricollocare la norma comunitaria nel suo contesto e alla luce delle sue finalità.

Dall’ art. 234 risulta che la competenza pregiudiziale della Corte può riguardare questioni di

interpretazione e di validità. Le questioni pregiudiziali di interpretazione possono avere ad

oggetto il Trattato (TCE nella versione ratione temporis compresi i protocolli allegati) e gli atti

compiuti dalle istituzioni della Comunità e della BCE (atti previsti dall’art. 249,

raccomandazioni, pareri, atti atipici, accordi internazionali e atti privi di efficacia diretta) mentre le

questioni pregiudiziali di validità possono aver ad oggetto soltanto gli atti compiuti dalle istituzioni

della Comunità o della BCE.


Le sentenze della Corte hanno valore generale che travalica i confini del giudizio nel cui ambito le

questioni pregiudiziali sono state sollevate e retroattivo in quanto la sentenza chiarisce il

significato e la portata della norma quale deve o avrebbe dovuto essere intesa ed applicata dal

momento delle sua entrata in vigore; inoltra la Corte si riserva il potere di limitare nel tempo la

portata delle proprie sentenze pregiudiziali per esigenza di certezza del diritto e di tutela

dell’affidamento.

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