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Al vertice della gerarchia delle fonti si collocano, quindi, la Costituzione e le leggi costituzionali.
Immediatamente al di sotto troviamo le leggi ordinarie e gli atti aventi forza di legge, considerati
nell’insieme fonti primarie. In ultimo si collocano i regolamenti, le ordinanze, le circolari e le
consuetudini, considerati nell’insieme fonti secondarie. Nell’ambito delle fonti di produzione è
possibile delineare un’ulteriore distinzione: quella tra fonti-atto e fonti-fatto.
Le prime consistono in comportamenti o atti giuridici, posti in essere da organi competenti, che
contengono norme vincolanti per l’intera collettività (p.e. la legge del Parlamento). Sono, invece, fonti-
fatto gli usi, cioè comportamenti, perpetrati nel tempo, nella convinzione della giuridica obbligatorietà
degli stessi.
lunga: perché oltre alle norme che regolano l’organizzazione statale, contiene anche i principi
fondamentali dello Stato e i diritti inviolabili dei cittadini;
rigida: perché modificabile solo con un procedimento particolare (procedimento aggravato), e
non con legge ordinaria;
votata: perché voluta e adottata liberamente dal popolo.
B) Leggi costituzionali
La leggi costituzionali sono leggi contenenti norme che si aggiungono a quelle della Costituzione o
che le abrogano o modificano: in questi due ultimi casi si parla in particolare di leggi di revisione
costituzionale.
Le leggi costituzionali sono approvate dal Parlamento con un procedimento aggravato che richiede
maggioranze più ampie di quelle necessarie per l’approvazione delle leggi ordinarie.
la materia oggetto della delega sulla quale il Governo potrà legiferare eccezionalmente;
il termine entro il quale il Governo deve espletare la potestà legislativa conferitagli;
i principi e i criteri direttivi a cui il Governo dovrà ispirarsi nell’emanare il decreto legislativo.
Il Governo, in ossequio al contenuto della legge delega, delibera il testo normativo che verrà poi
emanato con Decreto del Presidente della Repubblica (D.P.R.) e pubblicato, come le leggi, sulla
Gazzetta Ufficiale.
I decreti legge sono, invece, provvedimenti provvisori (aventi anch’essi forza di legge), che il
Governo adotta sotto la sua responsabilità in casi di straordinaria necessità e urgenza. Il giorno
stesso della loro emanazione il Governo deve darne comunicazione al Parlamento, perché li converta
in legge entro sessanta giorni.
Se non convertiti nei termini previsti essi decadono del tutto, ponendo nel nulla gli atti compiuti nel
periodo in cui hanno avuto vigore. Si dice che perdono efficacia ex-tunc, per cui è come se non
fossero mai stati emanati. Le Camere possono tuttavia regolare con legge i rapporti giuridici sorti
sulla base di decreti non convertiti (c.d. legge di sanatoria).
F) I regolamenti
Fonte di produzione normativa secondaria, i regolamenti sono definiti, dalla dottrina più autorevole,
come atti (emanati da organi dell’amministrazione pubblica, sia statale che locale) formalmente
amministrativi, ma sostanzialmente normativi.
I regolamenti, che possono svolgere funzioni di indirizzo politico, possono essere di diverso tipo.
Esistono, infatti, regolamenti di esecuzione delle leggi, varati per completare e curare l’esecuzione
della legge (laddove questa sia troppo astratta e generale), regolamenti di attuazione e di
integrazione, che dettano norme di principio disciplinanti in dettaglio una legge, regolamenti di
organizzazione, diretti a disciplinare l’organizzazione e il funzionamento dei pubblici uffici,
regolamenti ministeriali che disciplinano materie di competenza del ministro o dei ministri
interessati, e non possono dettare norme contrarie a quelle dei regolamenti di esecuzione o di
attuazione e integrazione. Il fondamento della potestà regolamentare è da rinvenire unicamente nella
legge, in ossequio al principio di legalità. Principali fonti del potere regolamentare sono la legge
400/1988 (art. 17) e il Testo Unico degli enti locali (T.U.E.L., d.lgs. 267/2000).
G) Le ordinanze
Sono atti mediante i quali la P.A. impone degli ordini, obblighi o divieti circostanziati e generalmente
riferiti a determinati destinatari (es. ordinanze del Sindaco o del Prefetto). All’interno della categoria
delle ordinanze un posto di prim’ordine è occupato dalle cd. ordinanze contingibili ed urgenti, varate,
in casi particolarmente urgenti, per far fronte a situazioni per le quali il legislatore non ha previsto (cd.
lacune) strumenti tipici d’intervento.
H) Le circolari amministrative
Si tratta di atti amministrativi contenenti norme interne, emanati da un organo sovraordinato per
dirigere, indirizzare e coordinare l’attività degli organi sott’ordinati, al fine di rendere più efficace la
realizzazione degli scopi istituzionali loro affidati.
In relazione al contenuto, la dottrina, ha distinto le circolari in:
Risposte esatte: 1)b 2)a 3)a 4)c 5)b 6)a 7)d 8)a 9)c 10)d
2. I SOGGETTI DEL DIRITTO E LE SITUAZIONI GIURIDICHE
SOGGETTIVE
2.1 SOGGETTI DEL DIRITTO
Nell’ambito del diritto il termine soggetto sta ad indicare qualsiasi entità, cui l’ordinamento giuridico
riconosce personalità giuridica, ossia attitudine alla titolarità di situazioni giuridiche soggettive (attive
e passive).
B) L’interesse legittimo
È una situazione giuridica soggettiva ufficialmente accolta dal nostro ordinamento giuridico con la
legge 5992/1889, istitutiva della IV sezione del Consiglio di Stato.
È la posizione in cui si trova l’amministrato quando la Pubblica Amministrazione ha, non già un
dovere da adempiere, come visto per il diritto soggettivo, bensì un potere da esercitare. Vantano un
interesse legittimo, ad esempio, il concorrente al concorso pubblico illegittimamente escluso dalla
graduatoria dei vincitori o l’appaltatore illegittimamente escluso alla partecipazione ad una gara
d’appalto.
La dottrina più autorevole (NIGRO) qualifica gli interessi legittimi come posizioni di vantaggio
riconosciute ad un soggetto dell’ordinamento in ordine ad un’utilità oggetto di potere amministrativo e
consistenti nell’attribuzione al medesimo soggetto di strumenti atti ad influire sul corretto esercizio
dell’azione amministrativa, in modo da rendere possibile la realizzazione della pretesa all’utilità
(teoria normativa).
Più semplicemente possiamo dire che, l’interesse legittimo configura la pretesa a che la Pubblica
Amministrazione eserciti in conformità della legge i suoi poteri discrezionali o vincolati. È sempre a
Nigro che si deve la distinzione tra interessi legittimi pretensivi e interessi legittimi oppositivi.
I primi si sostanziano nella pretesa ad un dato comportamento che deve assumere la P.A.. I secondi
invece legittimano l’interessato ad opporsi a provvedimenti della P.A. potenzialmente pregiudizievoli
della sfera giuridica del destinatario.
Altra distinzione operata in dottrina (recentemente peraltro) nell’ambito delle situazioni soggettive e
quella tra interessi partecipativi e interessi procedimentali. I primi sono relativi alla posizione del
privato nel procedimento amministrativo e si riferiscono alle facoltà riconosciute dalla l. 241/1990. I
secondi, invece, riguardano la pretesa, facente capo al privato, a che non si ostacoli lo svolgimento
del procedimento amministrativo, garantendone la conclusione.
Sia il diritto soggettivo, che l’interesse legittimo sottendono ad un interesse materiale (qualificato e
differenziato) protetto e tutelato dall’ordinamento. Essi vanno distinti, pertanto, in base al grado e alle
forme di protezione. Più precisamente, per quanto riguarda il grado di tutela, il diritto soggettivo è
tutelato dalla legge in modo pieno e diretto, a differenza dell’interesse legittimo, tutelato
indirettamente e in funzione della realizzazione dell’interesse della collettività.
Per quanto concerne le forme di protezione, c’è da dire che la titolarità di un diritto soggettivo implica
la possibilità, riconosciuta al privato, di ottenere soltanto pronunce di natura reintegratoria o
risarcitoria, mentre per l’interesse legittimo sussistono altre forme di protezione: una per tutte, la
possibilità di partecipare al procedimento amministrativo.
Per quanto riguarda la risarcibilità dell’interesse legittimo, va detto che, con la storica sentenza della
Cassazione S.U. n. 500/1999, è stato definitivamente demolito il dogma che sanciva l’irrisarcibilità di
tale situazione soggettiva, ribaltando così una pietrificata giurisprudenza consolidatasi per oltre un
cinquantennio. La previsione di tale epocale sentenza è stata poi consacrata anche con la legge
205/2000.
Ciò che ha condotto al varo della suddetta sentenza è stata la reinterpretazione dell’art. 2043 c.c.
(risarcimento per fatto illecito). La risarcibilità, secondo il tradizionale orientamento della
giurisprudenza, poteva riguardare solo ed unicamente il danno da lesione di diritti soggettivi,
escludendo così la possibilità di risarcire interessi legittimi. La Cassazione, prima della sentenza in
esame, aveva tuttavia aggirato il problema “camuffando” da diritto soggettivo situazioni che in realtà
erano configurabili come interesse legittimo.
Successivamente le S.U. hanno osservato che l’art. 2043 c.c. non fa alcun riferimento specifico ai
diritti soggettivi, sancendo genericamente la risarcibilità della lesione di un interesse giuridicamente
rilevante. Da tale nuova interpretazione si è giunti a ritenere che, ai fini della configurabilità della
responsabilità aquiliana, non assume rilievo determinante la qualificazione formale (diritto soggettivo
o interesse legittimo?) della posizione giuridica fatta valere dal soggetto, essendo la tutela
risarcitoria garantita solo in relazione all’ingiustizia del danno.
È quindi stata accolta integralmente, dalle S.U., la nozione di interesse legittimo (elaborata dalla più
autorevole dottrina) che distingue la figura in esame dal diritto soggettivo solo per il modo e la misura
con cui riceve protezione e non già per il carattere non sostanziale o per la minore dignità giuridica.
Infine, e sempre riguardo alla situazione soggettiva in esame, va detto che, essa è (per lo meno nel
nome) pressoché sconosciuta agli altri stati comunitari i quali, laddove ravvisino situazioni giuridiche
degne di ricevere riconoscimento e tutela, preferiscono discorrere solo ed esclusivamente di diritti e
non anche di interessi.
Anche la legislazione comunitaria è parsa indifferente rispetto alla consistenza della situazione lesa,
ritenendo irrilevante la distinzione esistente nel nostro ordinamento tra diritti e interessi. Dagli
interessi legittimi vanno distinti:
C) Il potere e la potestà
Il potere è definito come la capacità o l’autorità di agire, esercitata per fini personali o collettivi. La
potestà, invece, consiste nell’attribuzione di un potere ad un soggetto allo scopo di tutelare interessi
che non sono specificamente suoi. Tipico esempio è la potestà dei genitori.
D) Il diritto potestativo
È la facoltà riconosciuta ad un soggetto dall’ordinamento di porre in essere comportamenti
modificativi della sfera giuridica di un altro soggetto, che si trova in posizione di svantaggio. Tipico
esempio è il diritto di recedere da un rapporto contrattuale.
E) L’aspettativa
È la situazione di attesa in cui si trova un soggetto nei cui confronti sta maturando un diritto
soggettivo. Si pensi ad esempio all’aspettativa di cui è titolare l’acquirente di un bene in virtù di un
contratto sottoposto a condizione sospensiva non ancora verificatasi.
B) L’obbligo
È la situazione in cui si trova un soggetto quando deve sacrificare un proprio interesse a favore
dell’interesse che fa capo ad altri (ad es. obbligo tributario).
C) La soggezione
È la posizione in cui si trova un soggetto che deve sopportare le conseguenze giuridiche di un altrui
condotta (ad es. recesso).
D) L’onere
È il sacrificio che deve sopportare un soggetto su cui grava il peso (l’onere, appunto) di tenere un
determinato comportamento, attivo o passivo, nel proprio interesse, poiché in mancanza si
verificherebbe, come conseguenza unica un effetto giuridico a lui sfavorevole. Un classico esempio è
rappresentato dall’onere della prova, previsto nel nostro ordinamento dall’art. 2697 c.c..
ESERCITAZIONE AL CAP. 2
Risposte esatte: 1)c 2)a 3)b 4)c 5)b 6)a 7)b 8)a 9)d 10)a
3. IL RAPPORTO DI PUBBLICO IMPIEGO
3.1 NOZIONI GENERALI
Per poter svolgere i suoi compiti la pubblica amministrazione ha bisogno necessariamente
dell’attività di persone fisiche. Tra pubblica amministrazione e soggetti che agiscono nel suo
interesse si instaura un rapporto giuridico particolare, denominato rapporto di servizio(1), da cui
scaturiscono diritti e doveri di varia natura. Il rapporto di servizio di una persona può essere:
(1) Si noti che il rapporto di servizio va distinto dal c.d. rapporto organico. Il primo, infatti, indica la relazione esterna che lega
l’ente alla persona fisica e costituisce un vero e proprio rapporto giuridico da cui scaturiscono diritti ed obblighi. Il secondo,
invece, indica la relazione interna (meramente organizzatoria) tra l’organo (o l’ufficio) e la persona ad esso preposto.
Agli impieghi pubblici (art. 97 Cost.) si accede, di norma, mediante concorso, salvi i casi stabiliti dalla
legge. Il meccanismo concorsuale è stato previsto dal costituente allo scopo di scegliere, tra coloro
che ambiscono all’impiego, i più idonei per attitudini e capacità. Tuttavia, la legge dispone che
l’accesso al pubblico impiego può avvenire anche mediante avviamento degli iscritti nelle liste di
collocamento. Questa modalità è ammessa per i posti per i quali è richiesta la sola licenza della
scuola media dell’obbligo o per quelli riservati alle c.d. categorie protette (invalidi civili).
All’interno della P.A. si distinguono gli impiegati di ruolo, che sono titolari di un posto nell’organico
dell’amministrazione, e gli impiegati non di ruolo, che sono assunti per esigenze di carattere
temporaneo e/o contingente.
amministrativa, quando l’impiegato è solo venuto meno ai doveri disciplinari posti a suo carico;
civile, se si sono cagionati danni ingiusti a terzi;
penale, se vi è stata commissione di un reato (peculato, concussione, violazione di segreti
d’ufficio, etc.).
La responsabilità amministrativa comprende la responsabilità disciplinare e quella contabile. La
prima può far incorrere l’impiegato nelle seguenti sanzioni disciplinari (graduate a seconda della
maggiore o minore gravità della violazione commessa):
rimprovero verbale;
rimprovero scritto o censura;
multa (di importo variabile ma fino a un ammontare massimo corrispondente a quattro ore di
retribuzione);
la sospensione dal lavoro e dalla retribuzione (fino a un massimo di dieci giorni lavorativi);
il licenziamento con preavviso o, nei casi più gravi, senza preavviso.
C’è da dire tuttavia che l’applicazione di una sanzione disciplinare richiede l’osservanza di un vero e
proprio procedimento disciplinare, svolto in contraddittorio con il dipendente, sebbene in sede
amministrativa e non giurisdizionale.
La responsabilità contabile si verifica invece quando un dipendente che ha il maneggio di denaro
causa un danno patrimoniale alla P. A. Il relativo giudizio è di competenza della Corte dei Conti.
Relativamente alla responsabilità civile, c’è da dire che i pubblici dipendenti sono civilmente
responsabili (e obbligati al risarcimento dei danni) soltanto se hanno agito con dolo o colpa grave e
inoltre tale responsabilità è estesa anche allo Stato o all’ente pubblico presso cui presta servizio il
dipendente.
Infine, per quanto attiene alla responsabilità penale, va detto che i pubblici impiegati rispondono, per i
reati da loro commessi, personalmente, davanti al giudice ordinario e secondo le regole ordinarie.
necessità dell’impiegato, in tal caso questi può essere messo in aspettativa o in congedo;
esigenze dell’amministrazione, in tal caso l’impiegato viene messo in disponibilità.
ESERCITAZIONE AL CAP. 3
Risposte esatte: 1)c 2)b 3)b 4)d 5)a 6)b 7)c 8)b 9)b 10)c
4. MODALITÀ DI ATTUAZIONE DELLA PUBBLICA
AMMINISTRAZIONE: AMMINISTRAZIONE DIRETTA
4.1 NOZIONI GENERALI
Per perseguire i suoi obbiettivi la Pubblica Amministrazione può esercitare le sue funzioni sia
direttamente, cioè mediante uffici e organi(1) dello Stato, sia indirettamente, mediante persone
giuridiche pubbliche, dette enti pubblici. L’amministrazione diretta fa capo al Governo e può essere:
- centrale;
- periferica.
È centrale quando è svolta da organi e uffici aventi sede nella capitale, ma competenza su tutto il
territorio dello Stato. È periferica, invece, quando è svolta nell’ambito di circoscrizioni e con
competenze limitate alle stesse.
(1) Gli uffici sono unità elementari, comprendenti uno o più funzionari, aventi una particolare funzione e/o competenza. Gli organi,
invece, sono particolari uffici attraverso cui lo Stato (o altro ente pubblico) dichiara la sua volontà. Il rapporto esistente tra organo
(o ufficio) e soggetto ad esso messo a capo è detto rapporto organico.
B) Il Governo
È organo costituzionale complesso la cui funzione precipua è quella di dirigere e indirizzare la vita
politica del Paese. È capo della Pubblica Amministrazione. Costituisce il potere esecutivo, ma le sue
funzioni spaziano ben oltre l’esecuzione delle leggi. Si pensi alla funzione normativa esercitata
attraverso l’emanazione di decreti legge e decreti legislativi. L’art. 92 Cost. identifica quali organi
necessari del Governo:
Il Presidente del Consiglio ha l’importante, nonché difficile, compito di garantire l’unità dell’azione
amministrativa del Governo, attraverso l’attuazione della politica generale (per la quale ha ottenuto la
fiducia dal Parlamento) e la promozione e il coordinamento dell’attività dei Ministri.
I Ministri sono organi costituzionali amministrativi posti a capo di un particolare e ampio settore della
P.A. detto Ministero (o Dicastero).
In quanto capi gerarchici del singolo ramo dell’amministrazione, i Ministri compiono, tra le altre, le
seguenti principali funzioni: preparazione dei regolamenti che riguardano la loro amministrazione,
predisposizione del progetto di spesa relativo al loro ministero, assegnazione dei compiti necessari
agli uffici dipendenti mediante circolari e ordini di servizio, ecc.
I Ministri non titolari di alcun Dicastero (ad es. Ministro delle Pari opportunità, Ministro delle Politiche
giovanili e Attività sportive) sono detti Ministri senza portafoglio. Per essi, nel bilancio dello stato, non
è previsto alcuno stanziamento. Un elenco dei maggiori ministreri:
I l Consiglio dei Ministri è organo collegiale composto da tutti i Ministri e dal Presidente del
Consiglio, che lo presiede, lo convoca e ne fissa l’ordine del giorno. Compie le seguenti principali
funzioni:
Organi eventuali del governo sono poi i Comitati interministeriali, costituiti da più Ministri, per la
cura e il coordinamento di particolari ambiti dell’amministrazione (coinvolgenti più Ministeri). Tra i più
importanti, si possono ricordare il CICR (Comitato per il credito ed il risparmio), il CIPE (Comitato
per la programmazione economica) e il CIS (Comitato per l’informazione e la sicurezza). Infine, un
accenno va fatto ai sottosegretari di Stato. Si tratta di coadiutori dei Ministri, delegati a curare
particolari settori dell’amministrazione.
E) Il Consiglio di Stato
È organo di rilievo costituzionale definito dalla Costituzione (art. 100 c. 1) come organo di consulenza
giuridico-amministrativa e di tutela della giustizia nell’amministrazione. Esercita un duplice ordine di
funzioni:
funzioni consultive, in quanto organo generale di consulenza per gli aspetti giuridici e di buona
amministrazione;
funzioni giurisdizionali, in quanto giudica in secondo grado (o in appello, che dir si voglia) le
sentenze pronunciate (in primo grado) dal TAR (Tribunale Amministrativo Regionale).
Il Consiglio di Stato è composto da circa 100 magistrati (per l’esattezza 101: un Presidente, 18
Presidenti di sezione e 82 consiglieri). Essi provengono:
Il Consiglio è, attualmente, organizzato in 7 sezioni, 3 delle quali con funzioni giurisdizionali e 4 con
funzioni consultive.
L’insieme delle sezioni (giurisdizionali e consultive) costituisce l’Adunanza generale. L’insieme delle
sole 3 sezioni giurisdizionali costituisce, invece, l’Adunanza plenaria, che svolge funzioni
giurisdizionali.
Il Consiglio di Stato formula pareri (in materie giuridico-amministrative) che possono essere
facoltativi o obbligatori. In generale, sia gli uni che gli altri non sono mai vincolanti. La legge 127/1997
ha indicato (in modo tassativo) i casi in cui il parere del Consiglio è obbligatorio: la decisione dei
ricorsi straordinari al Presidente della Repubblica, l’annullamento straordinario degli atti
amministrativi illegittimi, ecc.
I) Le Conferenze permanenti
Costituiscono le sedi nelle quali Stato e autonomie locali definiscono programmi e scelte comuni,
stemperando eventuali interessi confliggenti. Sono attualmente operative tre Conferenze permanenti:
la Conferenza Stato-Regioni, la Conferenza stato-città ed autonomie locali, la Conferenza unificata.
Quale autorità provinciale di pubblica sicurezza il prefetto è responsabile dell’ordine pubblico e della
sicurezza nella provincia. Pertanto coordina le forze di polizia e predispone i piani coordinati di
controllo del territorio. Dal prefetto dipende il questore.
In ogni regione a statuto ordinario il prefetto preposto all’ufficio territoriale del Governo (U.T.G.) avente
sede nel capoluogo svolge le funzioni di rappresentante dello Stato per i rapporti con il sistema delle
autonomie. In questa veste esercita alcune residue funzioni del commissario del Governo, organo
dello Stato in seno alla regione soppresso dalla legge costituzionale 3/2001.
B) Il Sindaco
Oltre che organo del comune è, allo stesso tempo, organo locale dello Stato; quando agisce in tale
veste, si dice che agisce quale ufficiale del Governo. È, come il prefetto, gerarchicamente
dipendente dal Ministero dell’Interno. Esercita le sue principali funzioni in:
ESERCITAZIONE AL CAP. 4
Risposte esatte: 1)c 2)a 3)a 4)c 5)b 6)b 7)d 8)a 9)a 10)c
5. GLI ENTI PUBBLICI
5.1 NOZIONI GENERALI
L’attività amministrativa può essere esercitata indirettamente attraverso specifiche persone
giuridiche denominate enti pubblici. Per poter qualificare “pubblico” un ente, in passato si era ricorso
a vari criteri o cd. indici rilevatori della pubblicità; in particolare rilevavano:
le modalità di costituzione: un ente era pubblico se costituito con legge (o con atto avente forza
di legge);
un’eventuale partecipazione dello Stato, o altra pubblica amministrazione, alle spese di
gestione;
le finalità perseguite: tipicamente connesse a interessi pubblici;
la sottoposizione a controlli pubblici.
Il problema della qualificazione sembra oggi superato, in quanto più interventi normativi, in particolare
la legge 70/1975, hanno chiarito che sono pubblici solo quegli enti a cui la legge riconosce
espressamente tale natura in sede di costituzione o in un momento successivo (cd. criterio
nominalistico).
Sempre la 70/1975 ha suddiviso gli enti pubblici in quattro grandi settori:
enti necessari: si tratta di quegli enti che presentano caratteri organizzativi paragonabili a quelli
tipici degli organi dello Stato, e che, pur non essendo sotto la diretta amministrazione di questo,
ne subiscono il controllo e ne ricevono sovvenzioni;
enti sottratti alla disciplina della legge 70/1975;
altri enti: sono quegli enti (non soppressi), costituiti con atto non legislativo, non rientranti nelle
prime due categorie. Per essi la L. 70/1975 ha disposto la cessazione di ogni forma di
contribuzione a carico dello Stato o altro ente pubblico, nonché di qualsiasi capacità impositiva;
enti inutili: che sono una categoria residuale, comprendente tutti gli enti non rientranti nelle prime
due categorie, e che il legislatore ha ritenuto opportuno sopprimere.
enti pubblici territoriali e enti pubblici non territoriali: per i primi il territorio è elemento
essenziale per l’esistenza dell’ente (ad esempio: Regioni, Province e Comuni); per i secondi
(detti anche enti istituzionali) il territorio non è elemento discriminante;
enti pubblici economici e enti pubblici non economici: tale distinzione è operata a
seconda che l’oggetto precipuo della loro attività sia o meno la produzione di beni e/o servizi.
enti pubblici necessari e enti pubblici accidentali: sono necessari quegli enti, che in virtù
dell’organizzazione amministrativa prescelta dall’ordinamento, devono necessariamente
esistere (es.: enti territoriali, camere di commercio, ecc.); sono accidentali, invece, quegli enti
la cui esistenza può anche mancare. Essi si formano quando se ne presenti l’opportunità, su
iniziativa dell’autorità amministrativa o dei gruppi sociali.
il titolare dell’organo;
l’ambito delle funzioni e dei poteri ad esso assegnati.
Il titolare dell’organo (cd. funzionario) è la persona fisica che vi è preposta in virtù di un particolare
rapporto definito organico(1). I poteri e le funzioni dell’organo delimitano, invece, la sua sfera di
competenza rispetto agli altri organi dello stesso ente.
L a competenza di ciascun organo è individuata dalla legge e dagli atti organizzatori dell’ente.
Tradizionalmente si distingue in:
organi monocratici (composti da una sola persona) e organi collegiali (composti da più
persone);
organi rappresentativi (rappresentano la collettività che li ha eletti o nominati. Es.: Presidente
della Regione) e organi non rappresentativi (es. dirigente);
organi ordinari e organi straordinari, a seconda che la loro esistenza sia normale o eccezionale;
organi permanenti e organi temporanei, in relazione alla loro durata.
B) Il concetto di ufficio
Dal concetto di organo va tenuto distinto quello di ufficio. Esso indica il complesso di competenze, di
persone, di beni e strumenti essenziali per il corretto funzionamento degli organi e dell’ente. La
differenza principale esistente tra organo e ufficio risiede nel fatto che il primo può impegnare l’ente
verso i terzi; cosa preclusa invece agli uffici. Ne deriva che tutti gli organi sono anche uffici. Non è
invece sempre vero il contrario.
gerarchia, che sussiste tra organi individuali di grado diverso all’interno, di regola, di uno stesso
ramo dell’amministrazione;
direzione, che esprime la posizione di preminenza, rispetto ad altri organi, di un organo a cui
spettano poteri di propulsione, di coordinamento e di indirizzo all’interno dell’intera struttura
dell’ente;
coordinamento, che esprime la posizione di superiorità relativa riconosciuta ad un organo
rispetto agli altri, al fine di coordinare e dirigere l’attività, secondo un disegno unitario;
controllo, che consiste nel potere di un organo di supervisionare l’operato di un altro organo;
delega, che esprime la facoltà, riconosciuta (dalla legge) ad un organo, di trasferire quote di
competenza ad un altro organo. Da questo tipo di delega (definita interorganica) va distinta la
delega cd. intersoggettiva, che sussiste, non già tra organi diversi, bensì tra enti.
Discorso leggermente a parte va fatto per altri due istituti del diritto amministrativo relativi alle
relazioni tra organi: l’avocazione e la sostituzione.
Si ha a avocazione quando un organo gerarchicamente sovraordinato attrae a sé la competenza a
compiere un determinato atto attribuito ad un organo inferiore. La sostituzione opera negli stessi
termini dell’avocazione, ma si distingue da questa per il fatto che pressuponga sempre l’inerzia
dell’organo subordinato.
(1) Il rapporto organico, lo ricordiamo, è un rapporto (non giuridico), che esprime soltanto la relazione interna (meramente
organizzatoria) tra organo (o ufficio) e soggetto ad esso preposto o addetto. La dottrina spiega questa relazione utilizzando la
formula dell’immedesimazione organica, per cui non v’è distinzione tra l’organo (o ufficio) e la persona ad esso preposto,
formando queste un tutt’uno per l’ordinamento. Dal rapporto organico va distinto il cd. rapporto di servizio, che è, invece, un
rapporto giuridico, esprimente la relazione (esterna) che intercorre tra l’ente e la persona fisica. Relazione dalla quale
scaturiscono posizioni giuridiche (attive e passive) per ambo i soggetti.
Gli enti ausiliari perseguono invece interessi propri, anche se indirettamente correlati a quelli dello
Stato. Tra essi si possono ricordare:
Per quanto attiene agli enti pubblici locali, c’è da dire che essi esercitano funzioni in ambiti
territorialmente delimitati e per fini specifici e ben determinati. Gli enti pubblici locali di maggior rilievo
sono:
Insieme agli istituti dell’“azienda autonoma” e dell’“azionariato di Stato”, gli E.P.E. costituiscono una
delle tre modalità di cui lo Stato (o altra pubblica amministrazione) dispone per intervenire all’interno
del sistema economico.
Per quanto riguarda il regime giuridico degli E.P.E., occorre dire che essi:
Dagli E.P.E. vanno tenuti distinti gli istituti or ora accennati dell’“ azienda autonoma” e
dell’“azionariato di Stato”. Le aziende autonome sono organismi creati dallo Stato per gestire
direttamente e su base imprenditoriale alcuni servizi pubblici considerati essenziali (si pensi al
servizio postale, al servizio ferroviario, alla gestione delle strade, ecc.). Sono generalmente prive
della personalità giuridica e la loro caratteristica e quella di essere imperniate nell’amministrazione
statale (un Ministero) ma di disporre, tuttavia, di una propria organizzazione distinta da quella
ministeriale. Per azionariato di Stato si intende invece la quota di società per azioni in mano alla P.A..
Il constatato fallimento dell’impresa pubblica e gli elevati livelli di inefficienza registrati nella stessa
hanno spinto molti governi occidentali a intraprendere negli anni novanta una politica di dismissione
delle imprese pubbliche e delle partecipazioni statali. Tale processo ha assunto il nome di
privatizzazione.
Essa è avvenuta essenzialmente in due momenti. Un primo (cd. privatizzazione formale) realizzatosi
con la trasformazione dell’impresa pubblica in società per azioni; un secondo (cd. privatizzazione
sostanziale) realizzatosi con il trasferimento dell’intero pacchetto azionario dalle mani dello Stato ai
privati.
5.7 GLI ACCORDI TRA ENTI PUBBLICI
L’attività dei singoli enti pubblici può essere integrata e coordinata attraverso la stipulazione di
appositi accordi. La legge ne disciplina alcuni tipici, tra cui:
ESERCITAZIONE CAP. 5
Risposte esatte: 1)d 2)a 3)b 4)c 5)b 6)a 7)a 8)c 9)d 10)a
6. ATTIVITÀ AMMINISTRATIVA E SUOI PRINCIPI
6.1 DEFINIZIONE E TIPI DI ATTIVITÀ AMMINISTRATIVA
L’attività amministrativa consiste nella realizzazione ed attuazione concreta degli interessi pubblici.
Essa può essere un’attività di diritto pubblico, quando la Pubblica Amministrazione è in una
condizione di superiorità rispetto agli altri soggetti, o di diritto privato, quando la P.A. si trova in una
situazione di uguaglianza rispetto agli altri soggetti.
In relazione alla sua natura ed agli effetti che da essa scaturiscono, l’attività amministrativa può
distinguersi in amministrazione attiva, consultiva e di controllo. La prima si ravvisa in tutti quei casi
in cui la P.A. agisce direttamente per soddisfare i bisogni o gli interessi pubblici ( es. concessioni di
autorizzazioni).
L’amministrazione consultiva comprende, invece, quelle attività dirette ad esprimere pareri
(facoltativi, obbligatori e/o vincolanti) e a fornire consigli riguardanti l’esercizio dell’attività
amministrativa (un esempio in tal senso è costituito dai pareri forniti dal Consiglio di Stato o
dall’Avvocatura dello Stato). Infine, vi è un’ultima tipologia di attività amministrativa diretta ad
effettuare dei controlli (di legittimità o di merito) sullo svolgimento delle attività amministrative stesse
(es. controlli preventivi di legittimità sugli atti di governo ad opera della Corte dei conti).
Il principio di imparzialità (art. 3 e 97 Cost.) sancisce, invece, il divieto, in capo alla Pubblica
Amministrazione, di fare favoritismi a vantaggio di alcuni soggetti o di attuare comportamenti
discriminatori. Ciò implica la necessità di trattare in modo uguale i soggetti dell’ordinamento
interessati dall’azione della P.A.
In forza del principio di ragionevolezza, la P.A. deve, inoltre, adeguare la sua attività a canoni di
razionalità e di logicità operativa, in modo da evitare decisioni arbitrarie ed irrazionali. Detto
principio, basato sul presupposto che un errore logico possa inficiare la validità di un provvedimento
amministrativo, non è postulato ad alcun livello, ma costituisce il risultato dell’elaborazione della
giurisprudenza.
La violazione di tale principio rappresenta un’ipotesi di vizio per eccesso di potere, da parte della
Pubblica Amministrazione, e trova riscontro in comportamenti della stessa manifestamente illogici e/o
contraddittori.
Infine, particolare menzione merita il principio di sussidiarietà in virtù del quale i compiti e le
funzioni amministrative devono essere svolte dall’ente più vicino ai cittadini (quindi in primis dal
Comune) per risalire man mano verso gli enti territorialmente più vasti (sussidiarietà verticale art.
118 comma 1 Cost.). Il principio di sussidiarietà può essere inteso anche in un’accezione
“orizzontale” (art. 118 comma 4 Cost.) nel senso che Stato, Regioni, Città Metropolitane, Province e
Comuni favoriscono l’autonoma iniziativa dei cittadini (singoli o associati) per lo svolgimento di
attività di interesse generale.
Tale principio, già noto all’ordinamento comunitario, è stato introdotto anche nel nostro ordinamento
statuale dalla L. n. 59 del 15 marzo 1997 (c.d. Legge Bassanini 1) ed è stato concepito sul
presupposto che la miglior cura degli interessi pubblici e privati è tanto più attuabile quanto più è
decentrato l’esercizio del potere amministrativo.
Corollari del principio di sussidiarietà sono i principi di differenziazione ed adeguatezza. In forza del
primo la devoluzione delle funzioni deve necessariamente prendere in considerazione le diverse
caratteristiche (demografiche, territoriali e strutturali) degli enti destinatari. Il secondo, invece, postula
che l’amministrazione investita di nuove funzioni deve possedere una struttura organizzativa atta a
garantire, anche in forma associata con altri enti, l’esercizio delle stesse.
Accanto ai suddetti principi, il legislatore ha sancito, inoltre, un nuovo ed importante principio
riguardante la trasparenza dell’azione amministrativa (L.241/1990, successivamente modificata ed
integrata dalla L. 15/2005). Esso si fonda sulla necessità di rendere possibile un controllo, facile ed
immediato, sull’operato della P.A.
Tale principio si sostanzia in alcuni punti salienti:
La pretesa vantata dal cittadino nei confronti della Pubblica Amministrazione affinché la sua azione
si a “trasparente” è denominata diritto di accesso ai documenti amministrativi. Tale diritto, in
ossequio a quanto previsto dall’art. 22 della L. 241/1990, fa capo a tutti quei soggetti che, in relazione
al contenuto di un documento amministrativo, manifestino un interesse (concreto, attuale e personale).
La legge 15/2005 ha esteso il suddetto diritto anche ai cosiddetti “controinteressati”, cioè a tutti quei
soggetti che, dal riconoscimento a terzi del diritto all’accesso, vedrebbero compromesso il loro diritto
alla riservatezza. Va detto, inoltre, che il legislatore non ha previsto alcuna elencazione tassativa dei
documenti cui si può accedere ma ne fornisce, soltanto, una definizione di portata generale(1).
Infine, sono state individuate due categorie di limiti al diritto di accesso: limiti tassativi e limiti
facoltativi. I primi sono previsti specificamente dal legislatore e non attribuiscono alla P.A. alcun
margine di discrezionalità (es. documenti coperti da segreto di Stato). I secondi, invece, sono
introdotti dalle pubbliche amministrazioni qualora la conoscenza immediata dei documenti
amministrativi possa impedire o ostacolare la loro regolare attività.
L’attività discrezionale della Pubblica Amministrazione si contrappone a quella vincolata, che viene,
invece, esercitata entro precisi limiti e in modo inderogabile. Si parla, infatti, di atti amministrativi
vincolati quando la P.A. è obbligata ad emanare un particolare atto; di atti amministrativi discrezionali
quando la P.A. ha una libertà di scelta nell’emanazione di un determinato atto, in quanto è vincolata
nel fine ma libera nel mezzo.
Dalla discrezionalità amministrativa va distinta la cosiddetta discrezionalità tecnica che attiene a
criteri individuati dalla scienza e dalla tecnica. Essa consiste in un potere di valutazione di carattere
tecnico, da eseguirsi in base alle regole della scienza o delle arti (es. giudizio sulla preparazione di
un candidato ad un concorso).
6.4 AUTOTUTELA
L’autotutela è una prerogativa attribuita alla pubblica amministrazione e si sostanzia nella possibilità
ad essa riconosciuta di farsi ragione da sé, cioè unilateralmente e con i mezzi amministrativi messili
a disposizione dalla legge, e comunque nei limiti e nel rispetto di questa. La dottrina ha individuato tre
categorie di autotutela:
1. autoritarietà
2. esecutorietà ed esecutività
3. revocabilità
4. tipicità
5. inoppugnabilità
6. nominatività
Anche per quanto concerne gli atti amministrativi è possibile individuare degli elementi definiti
“accidentali”, cioè la cui presenza è solo eventuale e che possono essere inclusi in un atto solo se
non alterano il contenuto e gli elementi tipici dello stesso. Tra gli elementi accidentali vanno
annoverati: la condizione, il termine e il modo.
La condizione è un avvenimento futuro e incerto al verificarsi del quale si producono gli effetti di un
provvedimento amministrativo. Esistono due tipi di condizione: sospensiva e risolutiva. Con la prima
si conviene che il provvedimento amministrativo avrà efficacia soltanto al verificarsi di un determinato
avvenimento futuro e incerto. Con la seconda si stabilisce, invece, che il provvedimento produca
immediatamente i suoi effetti ma, qualora si verifichi un particolare avvenimento futuro e incerto, esso
perderà efficacia.
La condizione può essere apposta a tutti gli atti di amministrazione attiva e agli atti di controllo.
L’onere (o modo) impone ai destinatari (effettivi o potenziali) di un provvedimento uno o più obblighi.
Può essere apposto agli atti che determinano un ampliamento della sfera giuridica dei soggetti a cui
sono rivolti.
È opportuno ricordare che, dagli elementi (essenziali e accidentali) di un atto amministrativo, vanno
distinti i requisiti dell’atto, che ineriscono all’efficacia e alla validità dello stesso. In particolare, si parla
di requisiti di efficacia relativamente a quelli necessari affinché l’atto divenga produttivo di effetti (e,
quindi, efficace) ovvero di requisiti di legittimità per riferirsi a quelli la cui assenza determina
l’annullabilità dell’atto.
(1) Per documento informatico deve intendersi «la rappresentazione informatica del contenuto di atti, fatti e dati giuridicamente
rilevanti», mentre per firma digitale un particolare tipo di firma elettronica qualificata «basata su un sistema di chiavi
asimmetriche a coppia, una pubblica e una privata, che consente al titolare tramite la chiave privata e al destinatario tramite la
chiave pubblica, rispettivamente, di rendere manifesta e di verificare la provenienza e l’integrità di un documento informatico o di
un insieme di documenti informatici».
1. le ammissioni;
2. le autorizzazioni;
3. le concessioni.
Tra i provvedimenti restrittivi, che mirano a limitare la situazione giuridica dei destinatari, possiamo
annoverare:
1. gli ordini;
2. i provvedimenti sanzionatori;
3. gli atti ablativi.
Le autorizzazioni sono, invece, definite come quei provvedimenti mediante i quali la P.A. provvede
alla rimozione di un limite legale posto allo svolgimento di un’attività o all’esercizio di un diritto di cui
un soggetto è già titolare.
tacite (ad es. casi di silenzio-assenso) o espresse (rilasciate con provvedimenti specifici);
modali (se per il loro rilascio è prevista una restrizione o una limitazione) o non modali (quelle il
cui contenuto non è suscettibile di limitazione);
reali (se rilasciate sulla scorta di requisiti concernenti una cosa) o personali (se il loro contenuto
verte su qualità inerenti la persona).
1. le abilitazioni, che sono rilasciate sulla base di un esame tecnico volto ad appurare l’idoneità
dell’interessato all’esercizio di una determinata attività (es. abilitazione all’esercizio della
professione di dottore commercialista, patente di guida, ecc.);
2. le licenze, che consentono lo svolgimento di determinate attività economiche (ad es. licenze di
commercio) o il possesso di determinati beni (es. porto d’armi);
3. i nulla osta, atti con cui un’autorità amministrativa dichiara di non aver nulla da eccepire circa
l’adozione di un provvedimento da parte di un’altra autorità;
4. le dispense, tramite le quali la Pubblica Amministrazione conferisce la facoltà di esercitare una
determinata attività o compiere un determinato atto in deroga ad un divieto di legge, o esonera
un soggetto dall’adempimento di un obbligo di legge (es.dispensa da alcuni obblighi
scolastici).
1. concessioni traslative: con cui viene trasferito un diritto o un potere di cui è titolare la pubblica
amministrazione, ma che la stessa non intende esercitare direttamente (es. concessioni su
beni demaniali, concessioni di servizi pubblici, concessioni alla riscossione di tributi).
2. concessioni costitutive: si caratterizzano per il fatto che non trovano corrispondenza in
precedenti diritti o facoltà dell’amministrazione (es. concessioni di cittadinanza).
All’interno delle concessioni, discorso a parte merita la c.d. concessione edilizia (oggi denominata
“permesso di costruire”), che si colloca come atto intermedio tra autorizzazione e concessione.
Autorizzazione in quanto rimuove un limite all’esercizio dello ius aedificandi, concessione poiché
concede la facoltà di operare trasformazioni del suolo conferendo al privato qualcosa che egli non
aveva.
Per quanto attiene, invece, ai provvedimenti restrittivi c’è da dire che: gli ordini sono quei
provvedimenti che fanno sorgere in capo ai destinatari nuovi obblighi giuridici, imponendo loro un
determinato comportamento. A seconda del loro contenuto, gli ordini si distinguono, a loro volta, in:
1. comandi: che hanno contenuto positivo e impongono ai privati una determinata prestazione
(consistente in un dare, in un facere o in un pati);
2. divieti: se hanno contenuto negativo e impongono ai destinatari di astenersi da determinati
comportamenti.
Relativamente ai provvedimenti sanzionatori, c’è da dire che si tratta di atti, analoghi a quelli
emanati dagli organi giudiziari che irrogano pene, aventi lo scopo di infliggere una punizione in
relazione a comportamenti che si mira a reprimere (ad es. ammende per la violazione di norme del
Codice della Strada, sanzioni disciplinari comminate ai pubblici impiegati, ecc.).
Gli atti ablativi reali sono quei provvedimenti che vanno ad incidere non su diritti personali ma su
diritti reali, estinguendoli, limitandone il contenuto o costituendone dei nuovi su cosa altrui. Il più
importante esempio di atto di questo tipo è l’espropriazione per pubblica utilità.
In base all’art 834 c.c., l’espropriazione si può definire come quell’istituto di diritto pubblico in base al
quale un soggetto, previo pagamento di una giusta indennità, può essere privato, in tutto o in parte, di
uno o più beni immobili di sua proprietà per una causa di pubblico interesse legalmente dichiarata.
La Costituzione non stabilisce la misura della suddetta indennità, per cui la Corte Costituzionale si è
pronunciata in tal senso, disponendo che essa debba essere “congrua”. Non necessariamente, però,
deve corrispondere al valore venale del bene, cioè al prezzo che il proprietario potrebbe ricavare
dalla vendita del bene sul mercato.
Altri provvedimenti ablativi sono: l’occupazione d’urgenza, la requisizione, la confisca. La prima è in
una misura provvisoria che consente all’ente pubblico, di occupare, previo pagamento di un
risarcimento del danno, immediatamente un bene immobile quando esistano necessità improrogabili
(urgenza ed indifferibilità).
Con la requisizione il proprietario viene privato, temporaneamente, di beni mobili e immobili
necessari per fronteggiare situazioni relative a stati di guerra o riguardanti calamità naturali. La
confisca, infine, consiste nell’espropriazione (chiaramente senza indennizzo) di beni o strumenti che
siano stati utilizzati per la commissione di atti illeciti.
7.6 ATTI AMMINISTRATIVI DIVERSI DAI PROVVEDIMENTI
Come osservato all’inizio del presente capitolo, accanto ai provvedimenti esiste tutta una serie di atti
amministrativi (atti amministrativi in senso stretto), i quali assolvono, per lo più, funzioni secondarie o
comunque di importanza marginale. Tale tipologia di atti costituisce, quindi, una categoria residuale
che si caratterizza in quanto essi non sono, di norma, dotati di esecutorietà, di autoritarietà e non
sono tutti tipici o nominati. Possono essere raggruppati in due grandi categorie:
1. accertamenti costitutivi;
2. meri atti.
Gli accertamenti costitutivi sono caratterizzati dal fatto che nell’emanarli l’autorità amministrativa
deve limitarsi solo ad accertare la sussistenza dei requisiti di legge senza poter influire sul contenuto
predeterminato dal legislatore. Essi esplicano effetti analoghi ai provvedimenti ma si differenziano da
questi in quanto manca una manifestazione di volontà della pubblica amministrazione e non sussiste,
quindi, in capo ad essa alcun margine di discrezionalità (si tratta infatti di atti dovuti). Proprio questa
stretta analogia tra provvedimenti e accertamenti costitutivi ha fatto sorgere in dottrina un
parallelismo, che ad ogni tipo di provvedimento oppone il corrispondente accertamento costitutivo.
Tale parallelismo è sintetizzato nel seguente schema:
Attraverso le iscrizioni i soggetti vengono assunti, così come avviene per le ammissioni, in una
categoria o in una organizzazione, al fine di renderli partecipi di determinati benefici o prestazioni (es.
iscrizione scolastica).
Con le registrazioni, al pari di quanto avviene per le autorizzazioni, si rimuove un limite all’esercizio di
un diritto (es. registrazione dei periodici).
Con le assegnazioni vengono, come per le concessioni, attribuite ai soggetti nuove facoltà in base
all’accertamento della sussistenza di requisiti predeterminati dalla legge (es. assegnazione di
alloggio). Nel caso delle esenzioni, analogamente a quanto osservato per le dispense, al cittadino
viene riconosciuta la possibilità di non adempiere un obbligo (es. esenzione dal servizio militare).
ESERCITAZIONE AI CAPP. 6 E 7
Risposte esatte:
1)d 2)b 3)d 4)b 5)a 6)b 7)d 8)c 9)b 10)b
11)d 12)c 13)c 14)c 15)c 16)a 17)a 18)d 19)c 20)a
8. IL PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO
8.1 NOZIONI GENERALI
Il procedimento amministrativo è l’insieme delle fasi che servono a predisporre l’atto amministrativo in
vista della sua emanazione.
Le norme che disciplinano il procedimento amministrativo sono contraddistinte dalla inderogabilità e
gli eventuali atti adottati in violazione di esse sono da considerare invalidi. La principale norma in
tema di procedimento amministrativo è la legge n. 241 del 1990 (Norme in materia di procedimento
amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi) che ha provveduto a sancire una
serie di principi avente portata generale.
1. l’iniziativa;
2. l’istruttoria;
3. la decisione;
4. l’integrazione dell’efficacia.
1) L’iniziativa
L’iniziativa è la fase con la quale si da impulso al procedimento. Questo può prendere avvio in due
modi: d’ufficio ovvero ad iniziativa di parte. L’iniziativa d’ufficio ricorre quando all’innesco del
procedimento provvede la stessa amministrazione competente per l’emanazione del provvedimento
finale senza sollecitazione esterna (iniziativa autonoma). Si parla tuttavia di iniziativa d’ufficio anche
quando l’avvio del procedimento avviene su richiesta o proposta di un’altra amministrazione coinvolta
nel procedimento (iniziativa eteronoma).
L’iniziativa di parte, invece, ricorre quando un soggetto (richiedente), estraneo alla pubblica
amministrazione, sollecita gli organi competenti a emanare un determinato provvedimento.
L’iniziativa di parte è posta in essere attraverso atti tipici quali la domanda, la denuncia, il ricorso.
Essi devono essere presentati in forma scritta e devono contenere alcuni elementi essenziali
(l’autorità a cui è rivolta l’istanza, il provvedimento che viene domandato, la sottoscrizione del
richiedente, eventuali documenti allegati, ecc.).
L’amministrazione, di fronte a una richiesta di un provvedimento previsto dalla legge, ha l’obbligo di
provvedere (in senso positivo o negativo) e non può restare inerte. La legge 241 del 1990 ha stabilito
che ogni procedimento deve concludersi con un provvedimento espresso e che le pubbliche
amministrazioni determinino, per ogni tipo di procedimento, il termine di conclusione (ove non sia
specificato esso si considera di 90 giorni, contro i 30 previsti in precedenza). Se, nonostante i termini
di conclusione, l’amministrazione non provvede, la legge può attribuire a questa inerzia un valore
legale tipico. Si parla in questi casi di silenzio significativo.
Le ipotesi di silenzio significativo possono essere il silenzio-assenso (qualora la legge attribuisce al
silenzio il valore di accoglimento di un’istanza) o il silenzio-rigetto (qualora la legge attribuisca
all’inerzia della pubblica amministrazione il significato di un diniego di accoglimento dell’istanza o del
ricorso).
Ove mai la legge non contenga alcuna indicazione sul valore da attribuire al silenzio si parla di
silenzio-inadempimento (o silenzio-rifiuto) e siamo nell’ipotesi di silenzio non significativo. C’è da dire
inoltre che il mancato rispetto dei tempi di conclusione del procedimento non preclude
all’amministrazione la facoltà di provvedere (sebbene tardivamente), ma ciò può comportare
conseguenze penali ovvero il diritto al risarcimento dei danni a favore di chi confidava in una
conclusione del procedimento entro i termini previsti.
La legge 241/1990 ha introdotto, nell’ottica di una sempre maggiore semplificazione dell’attività
amministrativa (oltre che in quella di liberalizzazione delle attività private), un nuovo modulo
procedimentale denominato d.i.a. (dichiarazione di inizio attività). Con tale modulo (che non è un
provvedimento amministrativo, bensì un atto proveniente da un soggetto privato) il cittadino, sotto la
sua responsabilità, denuncia all’amministrazione l’esistenza delle condizioni in presenza delle quali
egli si ritiene abilitato a compiere una certa attività, per la quale occorrerebbe l’assenso
dell’amministrazione (autorizzazione, licenza, abilitazione, nullaosta, permesso ecc.). Se nei trenta
giorni successivi l’istante non riceve un motivato provvedimento sfavorevole da parte della P.A. che
abbia rilevato carenze nella dichiarazione, egli potrà iniziare lo svolgimento di quell’attività.
2) L’istruttoria
La seconda fase del procedimento amministrativo è l’istruttoria. Essa è diretta a raccogliere e
valutare tutti gli elementi necessari per emanare un provvedimento amministrativo.
In questa fase la P.A. ha poteri molto ampi in quanto può:
Al fine di poter individuare le eventuali responsabilità del cattivo funzionamento della P.A., la legge
241 del 1990 ha statuito che, per ogni procedimento amministrativo, debba essere identificato
l’ufficio competente per l’istruttoria e le altre fasi del procedimento stesso, nonché il funzionario
responsabile che, di fatto, costituisce il soggetto (pubblico dipendente) preposto alla cura delle varie
fasi procedimentali e a cui i cittadini possono rivolgersi per qualsiasi questione relativa alla
procedura che li interessa.
I compiti del responsabile del procedimento sono elencati all’art. 6 della legge sul procedimento, così
come modificata dalla legge n. 15 del 2005; tra gli altri:
A chiunque sia interessato al procedimento in corso deve essere comunicata l’indicazione dell’ufficio
e del funzionario responsabile. Sempre la legge n. 241 ha poi stabilito che tutti coloro che possono
essere anche solo “lambiti” (sia positivamente che negativamente) da un provvedimento
amministrativo debbano essere informati dell’inizio del procedimento.
Inoltre, in base al diritto di partecipazione al procedimento amministrativo, chiunque sia interessato,
può intervenire nel procedimento, presentando osservazioni o proposte con memorie scritte e
documenti, che l’amministrazione ha l’obbligo di valutare.
In ossequio al principio di trasparenza dell’azione amministrativa, la già menzionata legge 241 ha
inoltre sancito il diritto di accesso degli interessati ai documenti amministrativi, escluso tuttavia per i
documenti coperti dal segreto di Stato e in altri casi, individuati con decreti governativi, per
salvaguardare alcuni interessi prevalenti.
Tale diritto ( art. 25, comma 1 L. 241/1990) si esercita mediante esame ed estrazione di copia dei
documenti amministrativi. Il principale strumento giuridico a cui si ricorre nella fase istruttoria è
rappresentato dai pareri. Si tratta di atti con i quali un organo consultivo della stessa o di un’altra
amministrazione pubblica valuta il provvedimento predisposto da un organo attivo. Essi si distinguono
in:
I pareri obbligatori a loro volta si distinguono in vincolanti (se ad essi ci si deve necessariamente
uniformare) e non vincolanti (se possono anche essere disattesi nell’emanazione del provvedimento).
C’è da dire che la maggior parte dei pareri rientra tra i non vincolanti. Infine, va detto che, nell’ambito
dell’istruttoria si distingue tra istruttoria interna e istruttoria esterna. L’istruttoria interna è svolta dal
responsabile del procedimento su tutti gli aspetti della vicenda. L’istruttoria esterna è svolta invece
attraverso il modulo procedimentale della conferenza dei servizi (cd. conferenza istruttoria) tutte le
volte in cui è opportuno effettuare un esame contestuale di vari interessi pubblici coinvolti in un
procedimento amministrativo(1).
Al fine di evitare, per quanto possibile, i ricorsi dei privati contro gli atti della P.A., i primi e la seconda
possono altresì sottoscrivere degli accordi. L’art. 11 della L. 241 del 1990 prevede due distinte
tipologie di accordo tra amministrazione e soggetto privato:
sono ammessi nelle sole ipotesi tassativamente previste dalla legge (es. convenzione di
lottizzazione). Gli accordi devono essere stipulati per atto scritto a pena di nullità e ad essi si
applicano i principi del codice civile in materia di obbligazioni e contratti, in quanto compatibili; le
controversie relative agli accordi sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice
amministrativo.
Qualche parola, infine, va spesa per l’istituto dell’autocertificazione, anch’esso previsto (per snellire il
lavoro della P.A.) dalla legge 241, che all’art. 18 contempla la possibilità, per i cittadini, di
autocertificare, sotto la propria responsabilità, determinati fatti, stati o qualità che li riguardano,
secondo le disposizioni contenute nel testo unico in materia di documentazione amministrativa,
d.P.R. 445/2000.
3) La decisione
La decisione consiste nella deliberazione, che fa seguito alla fase istruttoria, del provvedimento
amministrativo. In seguito al varo della legge 241 del 1990 (art. 3) tutti i provvedimenti amministrativi
debbono essere motivati (c.d. obbligo di motivazione); sono esclusi da tale obbligo soltanto gli atti
normativi e gli atti a contenuto generale. La motivazione deve indicare i presupposti di fatto e le
ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell’amministrazione. Anche la fase decisoria
può svolgersi attraverso il modulo procedimentale della conferenza dei servizi (cd. conferenza
decisoria) concepito proprio al fine di semplificare l’iter decisionale quando l’amministrazione
procedente debba (per legge) acquisire intese, concerti, nulla osta o assensi comunque denominati
di altre amministrazioni pubbliche. L’indizione della conferenza decisoria è (a differenza della
conferenza istruttoria che è sempre facoltativa) obbligatoria quando, entro trenta giorni dall’inizio del
procedimento, l’amministrazione procedente non ottenga i suddetti atti di assenso formalmente
richiesti. La fase decisoria termina con l’adozione dell’atto che conclude il procedimento. Da questo
momento l’atto amministrativo è perfetto, cioè possiede tutti i requisiti per l’esistenza, ma potrebbe
tuttavia non essere ancora efficace e non produrre quindi effetti giuridici.
4) L’integrazione dell’efficacia
La fase integrativa dell’efficacia mira proprio alla realizzazione di tutte quelle condizioni (previste dalla
legge) necessarie perché l’atto possa produrre i suoi effetti giuridici. C’è da dire tuttavia che tale fase
è solo eventuale in quanto, se non altrimenti disposto, vale la regola per cui l’atto amministrativo
produce i suoi effetti dal momento in cui viene adottato (cioè dal momento in cui diviene perfetto). Le
condizioni che possono essere previste dalla legge sono il controllo, la comunicazione o notificazione
dell’atto ovvero la sua pubblicazione. Il controllo consiste nel riesame di un atto per verificare
l’osservanza delle norme giuridiche che regolano l’azione amministrativa (controllo di legittimità) o i
criteri di opportunità e convenienza amministrativa (controllo di merito): così, ad esempio, alcuni
importanti atti del Governo, devono essere sottoposti al controllo preventivo di legittimità da parte
della Corte dei conti. La comunicazione è diretta, invece, a rendere noto ai destinatari e agli
interessati il contenuto di un determinato provvedimento. Se la legge non richiede una forma
specifica, la comunicazione può essere effettuata con qualsiasi mezzo che sia ritenuto idoneo a far
conoscere ai destinatari il contenuto di un provvedimento adottato (lettera raccomandata, affissione
in appositi albi ecc.). In taluni casi la legge può disporre la comunicazione ufficiale di un
provvedimento amministrativo mediante notificazione agli interessati, al loro domicilio o a quello
eletto ai fini della procedura.
(1) In pratica, la conferenza dei servizi è una riunione di persone fisiche legittimate ad esprimere la volontà delle singole
amministrazioni che rappresentano e che si trovono coinvolte in un procedimento (Galli).
9. I VIZI DELL’ATTO AMMINISTRATIVO
9.1 NOZIONI GENERALI
Un atto amministrativo è viziato quando sia difforme rispetto all’astratto modello delineato dalla legge
ovvero risulti (in tutto o in parte) inidoneo a soddisfare l’interesse pubblico che dovrebbe realizzare. In
particolare, si possono distinguere due grandi categorie di vizi dell’atto amministrativo: se la norma è
una norma giuridica, il vizio che consegue sarà un vizio di legittimità e l’atto sarà illegittimo; se,
invece, la norma non è giuridica, ma è una norma di buona amministrazione, il vizio inerente all’atto
sarà un vizio di merito e l’atto sarà inopportuno.
L’atto illegittimo, a sua volta, può essere viziato in modo più o meno grave e dar luogo alle tre distinte
ipotesi della nullità (o inesistenza), dell’annullabilità e della irregolarità. L’irregolarità ricorre quando la
difformità dell’atto rispetto allo schema legale astratto è di così poca rilevanza da non comportare
l’invalidità (es. mancanza nell’atto delle marche da bollo richieste dalla legge, errata trascrizione di
alcuni elementi identificativi, ecc.). Nullità e annullabilità sono invece le ipotesi più gravi di illegittimità
e comportano come immediata conseguenza l’invalidità dell’atto amministrativo.
difetto di qualità di organo pubblico del soggetto: si realizza quando l’atto proviene da un privato
cittadino o da una persona che non è legata all’amministrazione da un rapporto organico e che
usurpa l’esercizio di una funzione pubblica;
assenza o vizio della volontà da parte del soggetto che ha emanato l’atto;
difetto di potere: riscontrabile quando un organo amministrativo emana un atto relativo ad una
materia riservata ad altro potere dello Stato (cd. straripamento di potere) ovvero a un altro ente
o a un altro settore della pubblica amministrazione (cd. incompetenza assoluta).
oggetto impossibile, illecito o indeterminato: in quanto ciò che viene ordinato, precluso o
autorizzato con l’atto non è specificato, non si può realizzare ovvero è contrario alla legge;
mancanza della forma essenziale eventualmente richiesta dalla legge;
mancanza del destinatario.
1. l’incompetenza relativa;
2. l’eccesso di potere;
3. la violazione di legge.
A) l’incompetenza relativa
L’incompetenza relativa consiste nell’emanazione di un atto da parte di un organo amministrativo
diverso da quello indicato dalla legge, ma appartenente tuttavia al medesimo settore dell’organo al
quale è riconosciuto il potere di emanarlo. Qualora si trattasse di organi appartenenti a differenti
settori ci troveremmo di fronte all’ipotesi di incompetenza assoluta, che implica, come visto, la nullità
dell’atto.
L’incompetenza può essere per grado (quando un organo inferiore emana un atto in luogo di un
organo gerarchicamente superiore), per materia (quando un organo provvede all’emanazione di un
atto che, in relazione al suo contenuto, sarebbe spettata a un altro organo) o per valore (quando un
organo realizza un atto superando l’importo economico entro il quale ha il potere di farlo).
B) l’eccesso di potere
L’eccesso di potere ricorre tutte le volte in cui la P.A., nell’esercitare un potere discrezionale, si
comporta in modo scorretto o distorto. La giurisprudenza ha individuato una serie di fattispecie, al
verificarsi delle quali si può ritenere di essere senz’altro in un’ipotesi di eccesso di potere (cd. figure
sintomatiche). Le principali sono:
lo sviamento di potere, che si verifica quando la P.A. esercita un potere per conseguire un fine
diverso da quello indicato dalla legge;
il travisamento o l’erronea valutazione dei fatti, che si verifica quando la P.A. emana un atto in
base a un errore di fatto, in mancanza del quale l’atto non sarebbe stato emanato o avrebbe
avuto un contenuto differente;
l’illogicità, l’irragionevolezza, o la contraddittorietà dell’atto: quando le premesse e le ragioni di
fondo dell’atto sono in palese contraddizione con le sue conclusioni;
la disparità di trattamento: quando la P.A., in circostanze oggettivamente uguali, si comporta in
modo diverso oltre che discriminatorio;
l’ingiustizia manifesta, che si verifica quando un atto della P.A. è completamente inadeguato
rispetto ai motivi che ne giustificano l’emanazione;
la violazione di circolare, che si ha quando l’amministrazione si discosta dalle direttive che essa
stessa ha impartito in via generale o da quelle che risultino da una circolare di autorità
superiore.
C) la violazione di legge
La violazione di legge, infine, è generalmente considerata un’ipotesi residuale che si realizza ogni
qualvolta venga violata una norma generale ed astratta che non attenga alla competenza o
all’eccesso di potere.
Le conseguenze giuridiche di un atto annullabile sono diverse da quelle viste per l’atto nullo. In
particolare, l’atto annullabile:
è efficace, fino a quando non venga dichiarato invalido (e quindi disapplicato) con sentenza;
è esecutorio, in quanto può essere eseguito coattivamente dalla P.A:;
è sanabile (o convalidabile), perché la P.A. può, con atto successivo, rimuovere il vizio di
legittimità e rendere l’atto perfettamente valido;
è limitatamente impugnabile, in quanto il ricorso amministrativo o giurisdizionale per ottenere
l’annullamento deve essere presentato entro brevi termini di decadenza.
9.5.1 Il ritiro
Il principale rimedio contro un atto viziato è rappresentato dal ritiro. La P.A. può, in ogni momento e di
sua iniziativa, ritirare un atto illegittimo o inopportuno. La decisione di ritirare un atto amministrativo
viziato è una manifestazione di quel particolare potere riconosciuto alla P.A. e denominato autotutela.
I principali atti di ritiro, che sono provvedimenti amministrativi discrezionali e di secondo grado, sono:
Dagli atti di ritiro vanno distinti i seguenti atti, che producono effetti più limitati:
la convalida, che ricorre quando lo stessa autorità che ha emanato l’atto viziato provvede alla
sua sostituzione con un altro privo di vizi. Produce effetti ex-tunc;
la ratifica, che consiste nell’appropriazione di un atto, emanato da un organo incompetente, da
parte dell’organo competente. Produce effetti ex-tunc;
la sanatoria, che ricorre quando un presupposto di legittimità dell’atto, mancante al momento
dell’emanazione dello stesso, viene successivamente emesso per integrarne il contenuto e
renderlo quindi valido.
l a consolidazione, che ricorre quando un atto viziato non può più essere impugnato (con
ricorso amministrativo o giurisdizionale) per scadenza dei termini previsti dalla legge;
l a conversione, che consiste nel considerare valido un atto viziato, che però presenta i
requisiti di forma e di sostanza di un altro atto di diverso tipo;
la conferma, con cui la P.A. ribadisce una precedente determinazione di lasciare in vita un
proprio atto;
l’acquiescenza, che consiste nell’accettazione spontanea e volontaria dell’atto amministrativo
da parte di chi avrebbe potuto impugnarlo. Essa può manifestarsi con forme espresse o anche
per fatti concludenti.
ESERCITAZIONE AI CAPP. 8 E 9
Risposte esatte:
1)c 2)c 3)a 4)d 5)a 6)a 7)c 8)a 9)b 10)a
11)a 12)d 13)a 14)c 15)b 16)b 17)c 18)a 19)d 20)b
10. I BENI PUBBLICI
10.1 NOZIONI E CLASSIFICAZIONI
Per il perseguimento dei sui fini la P.A. si avvale oltre che di persone di beni. Sono beni pubblici quei
beni utilizzati dalla pubblica amministrazione nell’esercizio dell’attività amministrativa e per scopi di
pubblico interesse. Si distinguono tre tipologie di beni pubblici:
1. i beni demaniali;
2. i beni appartenenti al patrimonio indisponibile;
3. i beni appartenenti al patrimonio disponibile.
Tale tripartizione è fondata su un criterio meramente formale, cioè sul fatto che la legge faccia
rientrare un bene, di volta in volta, in una o in un’altra categoria.
A) I beni demaniali
Sono demaniali tutti quei beni che, per natura o per espressa disposizione di legge, servono a
soddisfare bisogni collettivi in modo diretto; per tale ragione vengono sottoposti a speciali vincoli. I
beni demaniali sono sempre beni immobili o universalità di beni mobili e devono appartenere ad enti
pubblici territoriali (Stato, Regioni, Province, Comuni).
Nell’ambito dei beni demaniali si distingue il demanio necessario dal demanio accidentale. Il
demanio necessario è costituito da beni immobili che sono “necessariamente” demaniali e che
appartengono esclusivamente allo Stato (o, in alcuni casi eccezionali, alle Regioni).
il demanio marittimo, che è formato principalmente dal lido del mare, dalla spiaggia, dai porti,
dalle rade e dalle lagune;
il demanio idrico, costituito dai fiumi, dai laghi e dai torrenti e, più in generale, da tutte le acque
sotterranee e superficiali definite pubbliche dalla legge;
demanio militare, che comprende le opere artificiali e permanenti destinate alla difesa
nazionale (fortificazioni, basi missilistiche, aeroporti militari ecc.).
Fanno parte del demanio accidentale, invece, quei beni che non necessariamente devono
appartenere a enti pubblici territoriali, ma che se appartengono a essi sono considerati demaniali.
Rientrano in tale categoria (sempre che appartengano allo Stato o altro ente pubblico territoriale):
Tutti i beni appartenenti al demanio, in quanto diretti a soddisfare interessi della collettività, sono
sottoposti a un particolare regime giuridico, diverso da quello applicabile ai beni privati. In particolare
i beni demaniali:
sono inalienabili, per cui non possono essere ceduti o trasferiti a terzi e qualsiasi atto giuridico
di disposizione o trasferimento è completamente nullo;
sono insuscettibili di acquisto per usucapione;
il diritto di proprietà su di essi è imprescrittibile;
sono insuscettibili di esecuzione forzata e di espropriazione per pubblica utilità;
non possono formare oggetto di diritti altrui.
le foreste;
le cave e le torbiere;
le miniere;
le acque minerali e termali;
i beni delle forze armate non rientranti nel demanio militare (caserme, automezzi militari ecc.);
alcuni beni di interesse storico, artistico e archeologico;
gli atti e documenti di enti pubblici;
gli edifici destinati a sede di uffici pubblici, con i rispettivi arredi, e i beni destinati a un pubblico
servizio.
Rientrano nel patrimonio indisponibile anche la dotazione del Presidente della Repubblica e la fauna
selvatica, tutelata specificamente dalla legge nell’interesse della comunità nazionale. Un discorso a
parte va fatto per il denaro pubblico: secondo la più recente giurisprudenza esso rientra nel
patrimonio disponibile, ma un’eventuale indisponibilità può tuttavia essere prevista da una
disposizione di legge o amministrativa.
Quanto al regime giuridico, c’è da dire che, fino a quando non vengono sottratti alla destinazione
pubblica, i beni patrimoniali indisponibili soggiacciono allo stesso regime dei beni demaniali. Si
ritiene tuttavia che gli eventuali atti di disposizione, sebbene invalidi, siano soltanto annullabili.
l’uso esclusivo, che ricorre quando un bene può essere utilizzato soltanto dal soggetto pubblico
che ne è titolare (es. utilizzo di automezzi della polizia);
l’uso generale, che si ha quando un bene può essere utilizzato indistintamente da un soggetto
pubblico o privato (es. transito su una strada pubblica);
l’uso particolare, che si verifica quando soltanto alcuni soggetti (individuati dalla legge o da un
atto di concessione) possono usufruire di un determinato bene (es. il titolare di uno
stabilimento balneare che abbia ricevuto la concessione per occupare un tratto di spiaggia).
10.3 L’ESPROPRIAZIONE E GLI ALTRI ATTI ABLATIVI REALI
Nello svolgimento di una sua attività, la pubblica amministrazione può avere l’esigenza di ottenere la
proprietà o la disponibilità di beni appartenenti a privati. A tal fine può emanare particolari atti detti
atti ablativi reali.
Gli atti ablativi reali sono provvedimenti amministrativi con cui la P.A., per un vantaggio della
collettività, priva un soggetto della proprietà di un bene. Il fondamento giuridico di tali atti si ravvisa nel
potere della P. A. di sacrificare un interesse privato per la realizzazione dell’interesse pubblico e di
produrre l’affievolimento del diritto di proprietà a interesse legittimo.
Tale potere è rinvenibile nell’art. 42 Cost., comma 3, che afferma: “ la proprietà privata può essere,
nei casi previsti dalla legge, e salvo indennizzo, espropriata per motivi di interesse generale”. Da
tale norma si evincono i principi generali di tutti gli atti ablativi:
il principio della riserva di legge, in virtù del quale, deve essere la legge (o un atto avente forza
di legge) a riconoscere il potere di sottrarre un bene a un privato;
il principio dell’interesse generale, deve cioè, a fondamento dell’atto ablativo, esservi un
interesse della collettività legalmente dichiarato;
il principio di indennizzo, in quanto al soggetto privato di un bene è dovuta un’indennità, cioè
una somma di denaro.
Per quanto riguarda le fasi della procedura di espropriazione c’è da dire che per lungo tempo, il
procedimento dell’espropriazione per pubblica utilità è stato disciplinato dalla legge 25 giugno 1865,
n. 2359. Questa legge ha costituito per anni lo schema generale del procedimento di espropriazione.
A tale legge se ne sono tuttavia aggiunte altre a più riprese. Attualmente, la disciplina fondamentale è
contenuta nel Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione
per pubblica utilità, approvato con D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, e successive modificazioni, che è
entrato in vigore il 30 giugno 2003. Il T.U. ha introdotto un unico modello di procedura di
espropriazione, che si svolge nelle seguenti fasi:
La procedura ha inizio con l’apposizione su un dato bene del vincolo di destinazione all’esproprio per
la realizzazione di un’opera pubblica o di pubblico interesse. A tale fase (della durata massima di
cinque anni) fa seguito la dichiarazione di pubblica utilità, che risulta essere implicita qualora l’opera
da realizzare sia conforme al piano urbanistico generale. Nel caso in cui non lo fosse, essa risulterà
dall’approvazione del progetto definitivo dell’opera.
Nello strumento urbanistico o nell’atto di approvazione del progetto può essere fissato un termine per
l’emanazione del decreto di esproprio: in mancanza di indicazioni tale termine è di cinque anni
prorogabili.
La terza fase della procedura è relativa alla determinazione dell’indennità dovuta al proprietario per
l’espropriazione. Entro trenta giorni dalla dichiarazione di pubblica utilità il soggetto che promuove
l’espropriazione deve determinare l’indennità e notificarla al proprietario, che può presentare (entro i
trenta giorni successivi) le sue eventuali osservazioni.
Successivamente, l’autorità espropriante procede all’accertamento del valore del bene da
espropriare e determina in via provvisoria la misura dell’indennità. Entro trenta giorni dalla
notificazione dell’ammontare dell’indennità il soggetto espropriato può comunicare all’autorità
espropriante la propria accettazione (in tal caso vi sarà la stipula dell’atto di cessione e il pagamento
dell’indennità, entro il termine di sessanta giorni).
In mancanza di accettazione da parte del proprietario (nel suddetto termine di trenta giorni) l’indennità
si riterrà rifiutata. L’autorità amministrativa procederà alla determinazione definitiva dell’indennità e al
pagamento della stessa ovvero, se il proprietario si rifiuta di ricevere il pagamento, al successivo
deposito presso la Cassa depositi e prestiti.
Col pagamento o il deposito dell’indennità si chiude la terza fase. La quarta e ultima fase ha inizio
con l’emanazione del decreto di esproprio, che implica il trasferimento della proprietà del bene
dall’espropriato all’espropriante. Il decreto deve essere emanato entro il termine di efficacia della
dichiarazione di pubblica utilità e deve trovare esecuzione (a pena di decadenza) entro due anni. Il
suddetto decreto non ha durata illimitata: trascorsi dieci anni dalla sua emanazione senza che l’opera
sia stata realizzata o anche solo iniziata, l’ex proprietario ha il diritto di riacquistare a titolo oneroso la
proprietà dei beni che a suo tempo gli furono sottratti.
È questa la cd. retrocessione, che può essere totale o parziale. È totale quando l’opera pubblica non
è stata realizzata nei termini previsti o quando e stata eseguita un’opera del tutto diversa; è parziale,
invece, quando l’opera è stata regolarmente realizzata ma uno o più fondi o terreni sono rimasti, in
tutto o in parte, inutilizzati. La retrocessione può avvenire mediante contratto ovvero con una sentenza
dell’autorità giudiziaria, qualora manchi un accordo tra le parti.
B) La requisizione
La requisizione è disposta dall’autorità amministrativa per fronteggiare esigenze di carattere militare
oppure per gravi e urgenti necessità pubbliche (cd. requisizione d’urgenza). Si tratta di un
provvedimento (previsto dall’art. 7 della legge sul contenzioso amministrativo) avente carattere
eccezionale e ammissibile soltanto nei casi tassativamente previsti dalla legge. La requisizione è
generalmente disposta dal Sindaco o dal Prefetto e si svolge con una procedura più snella e rapida
di quella prevista per l’espropriazione.
La requisizione può avvenire “in proprietà”, quando l’autorità amministrativa sottrae definitivamente al
proprietario un bene mobile, in cambio del pagamento di un’indennità, oppure “in uso” quando
soltanto provvisoriamente priva (a fronte del pagamento di un corrispettivo) il proprietario del
godimento di un bene mobile o immobile.
C) L’occupazione temporanea
Si tratta di un provvedimento che può essere emanato per consentire l’utilizzazione provvisoria di un
bene immobile altrui per eseguire delle opere di pubblico interesse. In base al nuovo testo unico in
materia di espropriazione, l’occupazione temporanea può essere disposta quando riguarda aree non
soggette a espropriazione e sia necessaria (oltre che strumentale) alla realizzazione di opere
dichiarate di pubblica utilità.
(1) Un possibile criterio di determinazione dell’indennità (accolto anche dalla Corte Costituzionale) dispone che essa, per le
aree edificabili è uguale al 40% della media tra il valore venale e il reddito dominicale rivalutato dell’ultimo decennio, per le aree
legittimamente edificate e per le aree non edificabili, invece, l’indennità è pari, rispettivamente, al valore venale del bene e al
valore medio agricolo.
11. I CONTRATTI PUBBLICI
11.1 NOZIONI E CLASSIFICAZIONI
Nell’esercizio delle sue funzioni la pubblica amministrazione può tra l’altro stipulare contratti con i
privati.
I contratti della P.A., chiamati tradizionalmente contratti a evidenza pubblica, comprendono tutti i
negozi giuridici, a contenuto patrimoniale e ad oggetto privatistico, nei quali è parte una pubblica
amministrazione.
La P.A. per realizzare i suoi fini può quindi servirsi oltre che di strumenti di natura pubblicistica
(provvedimenti), di strumenti di natura privatistica, rappresentati appunto dai contratti.
1. la determinazione a contrarre;
2. la determinazione del contenuto del contratto;
3. la scelta del contraente;
4. la stipulazione e l’approvazione del contratto;
5. l’esecuzione del contratto.
a) La determinazione a contrarre
La determinazione a contrarre decreta l’inizio della procedura di evidenza pubblica e si sostanzia
nella manifestazione di volontà di concludere un dato contratto. La determinazione a contrarre
costituisce un atto unilaterale ad efficacia interna, privo di effetti al di fuori dell’amministrazione.
l’asta pubblica (o pubblico incanto), che è una procedura aperta a tutti coloro che sono
interessati a concludere un contratto con la P.A., svolta secondo particolari modalità stabilite dal
regolamento sulla contabilità di Stato e dal bando di gara. Essa si espleta essenzialmente in
quattro momenti successivi: pubblicazione dell’avviso d’asta, ammissione dei concorrenti
all’incanto, svolgimento dell’asta e aggiudicazione al miglior offerente (cioè al concorrente che
ha presentato l’offerta più conveniente per la P.A); Tale modalità di scelta è attualmente
obbligatoria soltanto per i contratti attivi (cioè quelli che comportano un’entrata: es. vendita o
locazione attiva); per i contratti passivi (che comportano un’uscita: come gli acquisti o gli
appalti), la P.A. può a sua discrezione optare per la licitazione privata piuttosto che per l’asta
pubblica;
la licitazione privata, che è una gara ristretta ad un numero limitato di concorrenti, scelti tra
coloro che presentano determinati requisiti tecnici o finanziari, preventivamente selezionati
dall’amministrazione interessata. È consentito ricorrere alla licitazione privata quando ricorrono
comprovati motivi di urgenza, sicurezza o convenienza. Tale procedura termina con
l’aggiudicazione della gara al concorrente che ha presentato l’offerta economicamente più
vantaggiosa, in relazione non soltanto al prezzo ma anche alla qualità dei materiali adoperati,
alle garanzie tecniche offerte, ai tempi di realizzazione dei lavori ecc.;
l’appalto-concorso, che si ha quando la P.A. predispone un progetto di massima sulla base
del quale invita i concorrenti che partecipano alla gara a presentare un progetto
particolareggiato dell’opera nonché a precisare le condizioni alle quali sono disposti ad
eseguire il contratto. La differenza con la licitazione privata risiede nel fatto che l’offerta
presentata dai concorrenti non è solo di natura economica ma ha ad oggetto la predisposizione
di un vero e proprio progetto esecutivo. La scelta del progetto migliore è compiuta da
un’apposita commissione giudicatrice ed è insindacabile e vincolante per la P.A., che
s’impegnerà a stipulare il contratto con l’impresa vincitrice della gara;
la trattativa privata, infine, ricorre (in casi eccezionali) quando la P.A. dopo aver contattato
(direttamente e separatamente) più imprese e raccolto le relative offerte, conclude il contratto
con quella che ritiene averle prospettato le condizioni più vantaggiose.
i servizi pubblici essenziali (L. 146/1990): sono tali “quelli volti a garantire il godimento dei
diritti della persona, costituzionalmente tutelati, alla vita, alla salute, alla libertà e sicurezza,
alla libertà di circolazione, all’assistenza e previdenza sociale, all’istruzione e alla libertà di
comunicazione”;
i servizi economici, caratterizzati dallo svolgimento di un’attività produttiva d’impresa;
i servizi sociali, che mirano a preservare il benessere psico-fisico della persona, fornendo
prestazioni che soddisfano bisogni primari anche a carattere immateriale;
i servizi di interesse economico generale, nozione introdotta dal diritto comunitario (art. 86
Trattato Cee), che denota l’interesse dell’Unione Europea per quelle forme di servizi pubblici
che siano in grado di incidere sul gioco della libera concorrenza.
un modello “a concorsualità pura”, in cui la titolarità del servizio viene conferita a società di
capitali identificate attraverso l’espletamento di gare con procedure ad evidenza pubblica;
un modello “a concorsualità impura”, che prevede il conferimento della titolarità del servizio a
società a capitale misto pubblico-privato, nelle quali il socio privato viene prescelto attraverso
l’espletamento di gare ad evidenza pubblica;
un modello di affidamento “non concorsuale”, che prevede l’affidamento diretto del servizio a
società a capitale interamente pubblico, sempre che sussistano però determinate condizioni
individuate dalla legge.
Il principale sistema di gestione del servizio pubblico è rappresentato, tuttavia, dalla concessione
amministrativa (rilasciata a soggetti privati), attualmente contemplata dal d. lgs. 163/2006 (Codice
dei contratti pubblici).
L’art. 3, comma 12, del suddetto decreto definisce tale istituto come un “contratto che presenta le
stesse caratteristiche di un appalto pubblico di servizi, ad eccezione del fatto che il corrispettivo
della fornitura di servizi consiste unicamente nel diritto di gestire i servizi o in tale diritto
accompagnato da un prezzo”.
La differenza tra appalto pubblico di servizi e concessione di servizi è rinvenibile nel fatto che, nel
primo, il corrispettivo è pagato al prestatore di servizi direttamente dall’amministrazione
aggiudicatrice; nella seconda, invece, la remunerazione del prestatore di servizi deriva dagli importi
(tariffe) versati dai fruitori del servizio.
Con l’affidamento della concessione di servizi si instaura fra amministrazione e privato
concessionario un vero e proprio rapporto giuridico, sulla natura del quale (privatistica o
pubblicistica?) sono non pochi gli interrogativi.
12.3 I CONTRATTI DI UTENZA PUBBLICA E LE CARTE DEI
SERVIZI
I contratti di utenza pubblica hanno ad oggetto la fruizione, da parte di ciascun membro della
collettività, di prestazioni di servizi, gestiti direttamente dalla pubblica amministrazione, ovvero da
terzi autorizzati con legge o con atto amministrativo.
Nel nostro Paese, così come in altri dell’Unione Europea, sono state adottate carte dei servizi
pubblici, che hanno il precipuo scopo di migliorare (in ordine soprattutto alla correttezza e alla
trasparenza) il rapporto tra utenti e gestore del servizio. A tal fine si individuano gli standard e livelli
delle prestazioni erogabili, nonché le modalità di tutela giurisdizionale dell’utente.
Con la legge n. 481/1995 è stata istituita l’Autorità garante dei servizi pubblici, preposta al controllo
dell’osservanza (da parte dei soggetti erogatori) della carta dei servizi.
1. I beni demaniali:
1. Possono appartenere a qualsiasi ente pubblico
2. Possono appartenere soltanto allo Stato o ad altro ente pubblico territoriale
3. Includono cave, miniere e torbiere
4. Possono essere solo beni mobili
2. Sono beni del demanio necessario:
1. Le spiagge, i porti, le rade e le lagune
2. La rete ferroviaria e stradale
3. Gli acquedotti e i canali
4. Gli aeroporti
3. I beni appartenenti al demanio sono:
1. Usucapibili
2. Alienabili
3. Inalienabili
4. Suscettibili di esecuzione forzata e di espropriazione per pubblica utilità
4. Il demanio necessario è:
1. L’insieme dei beni appartenenti al demanio stradale e ferroviario
2. L’insieme dei beni che per la loro utilità devono necessariamente appartenere allo Stato o ad altro ente
territoriale
3. L’insieme dei beni appartenenti al demanio storico, artistico e archeologico
4. Nessuna delle precedenti
5. Il demanio accidentale comprende:
1. Il demanio marittimo
2. Il demanio idrico
3. Il demanio militare
4. Nessuna delle precedenti
6. I beni patrimoniali indisponibili:
1. Includono la dotazione del Presidente della Repubblica
2. Sono disciplinati da norme di diritto privato
3. Sono liberamente alienabili
4. Includono il denaro pubblico
7. L’uso particolare di un bene demaniale consiste nella sua utilizzazione da parte:
1. Dell’intera collettività
2. Dello Stato o altro ente pubblico territoriale
3. Di alcuni soggetti
4. Dello Stato o di uno o più soggetti privati
8. Un bene demaniale può essere oggetto di concessione amministrativa?
1. No, in alcun caso
2. Sì
3. Sì, ma per un periodo non superiore ai sei mesi
4. Sì, ma solo se fa parte del demanio accidentale
9. Il soggetto espropriato:
1. Può rifiutarsi di cedere la proprietà o il diritto
2. Ha diritto a una somma di denaro a titolo di indennizzo
3. Ha diritto al risarcimento dei danni
4. Non ha diritto ad alcuna somma di denaro
10. La dichiarazione di pubblica utilità:
1. In alcuni casi è implicita
2. È successiva alla determinazione
3. È successiva al decreto di esproprio
4. È necessaria solo se viene richiesta deldall’espropriato l’indennità
11. La scelta del contraente da parte della P.A. non può avvenire con:
1. Asta pubblica
2. Licitazione privata
3. Appalto-concorso
4. Aggiudicazione diretta
12. La determinazione a contrarre:
1. È successiva alla scelta del contraente
2. È antecedente alla scelta del contraente di formazione del contratto
3. È una fase solo eventuale del procedimento
4. È disciplinata dal diritto privato
13. I capitolati d’oneri non possono essere:
1. Speciali
2. Generali
3. Eccezionali
4. Nessuna delle precedenti
14. Nella licitazione privata:
1. I partecipanti alla gara vengono preventivamente selezionati dall’amministrazione pubblica
2. Si svolge una gara pubblica aperta a tutti
3. Il contratto viene concluso tra due soggetti privati
4. La P.A. può effettuare la sua scelta senza indire una gara
15. Il meccanismo dell’asta pubblica:
1. È obbligatorio per tutti i tipi di contratti
2. È obbligatorio soltanto per i contratti passivi
3. È obbligatorio soltanto per i contratti attivi
4. Nessuna delle precedenti
16. Qual è attualmente il principale sistema di gestione del servizio pubblico?
1. L’azionariato di Stato
2. La concessione amministrativa
3. L’affidamento ad apposito ente pubblico
4. Nessuna delle precedenti rilasciata a soggetti privati
17. Le “carte dei servizi”:
1. Hanno lo scopo di migliorare il rapporto tra utenti e gestore del servizio individuando gli standards e i livelli delle
prestazioni erogabili
2. Non sono state adottate nel nostro Paese
3. Sono strumenti di gestione del servizio pubblico tipici dei paesi anglosassoni
4. Sono strumenti utilizzati solo nel nostro Paese
18. Quale norma disciplina la giurisdizione sui servizi pubblici?
1. Il TUEL
2. Il d.lgs. 80/1998
3. La legge 205/2000
4. La legge 241/1990
19. La disciplina sui servizi pubblici è rinvenibile:
1. Nella Costituzione
2. Nel codice civile
3. Nel TUEL
4. Nella legge 241/1990
20. Quale delle seguenti modalità di affidamento del servizio pubblico a società per azioni non esiste?
1. Modello a concorsualità pura
2. Modello a concorsualità impura
3. Modello di affidamento non concorsuale
4. Modello concorrenziale
Risposte esatte:
1)a 2)a 3)c 4)b 5)d 6)a 7)c 8)b 9)b 10)a
11)d 12)b 13)c 14)a 15)c 16)b 17)a 18)b 19)c 20)d
13. LE ENTRATE PUBBLICHE E IL BILANCIO DELLO STATO
13.1 NOZIONI GENERALI
Per raggiungere i propri scopi la pubblica amministrazione ha bisogno non soltanto di beni ma anche
di mezzi finanziari, che vengono reperiti in vario modo e che costituiscono le cd. entrate pubbliche. Le
entrate pubbliche presentano caratteri differenti, sia sotto l’aspetto giuridico che sotto l’aspetto
economico. Possibili distinzioni operate in dottrina sono quelle tra:
entrate originarie (i prezzi) e entrate derivate (i prestiti e i tributi), a seconda che provengano da
risorse proprie del settore pubblico o dalla ricchezza dei privati;
entrate coattive (i tributi) ed entrate non coattive (i prezzi e i prestiti) a seconda che
presuppongano o meno l’esercizio di un potere autoritativo;
entrate di diritto pubblico ed entrate di diritto privato, a seconda delle leggi da cui sono
regolate;
entrate ordinarie ed entrate straordinarie, a seconda che ricorrano regolarmente ad ogni
periodo amministrativo (entrate ordinarie) ovvero vengano riscosse in particolari circostanze
(entrate straordinarie).
i prezzi;
i tributi;
i prestiti.
I prezzi costituiscono il corrispettivo di un bene o di un servizio offerto dallo Stato o da altro ente
pubblico in virtù di un rapporto contrattuale. Queste entrate sono determinate in base a criteri
economici, tenendo conto della domanda, dei costi di produzione e del regime di mercato.
I prezzi possono a loro volta essere: privati, quasi privati, pubblici e politici. I prezzi privati sono quelli
che si formano sul mercato in condizioni di libera concorrenza. I prezzi quasi privati sono quelli che,
pur formandosi in condizioni di concorrenza, risentono del criterio con cui è stata organizzata la
produzione e stabilita l’offerta.
I prezzi pubblici sono quelli praticati da un’impresa pubblica che opera in regime di monopolio e che
ha il solo intento di coprire, con i corrispettivi delle vendite, tutti i costi sostenuti per la produzione. I
prezzi politici sono quelli determinati in modo che il ricavo non copra tutto il costo ma soltanto una
parte di esso; questo perché il loro fine è quello di rendere accessibile al maggior numero possibile
di persone determinati beni e/o servizi.
I tributi sono prelievi coattivi di ricchezza a carico dei cittadini, che attuano il concorso di tutti al
finanziamento della spesa pubblica (art. 53 Cost.). Si dividono a loro volta in:
I tributi costituiscono, senza dubbio, la forma più cospicua di entrata per la P.A..
I prestiti sono i mezzi finanziari raccolti sui mercati del risparmio, mediante l’emissione di titoli di
credito (BTP, CCT, BOT, obbligazioni, ecc.) a breve, a media e a lunga scadenza. L’entità di tali titoli
costituisce il cd. debito pubblico.
preventivo: registra, in termini previsionali, le entrate e le uscite relative al periodo che sta per
iniziare;
consuntivo (cd. rendiconto): espone i risultati della gestione del periodo appena trascorso.
Il bilancio preventivo a sua volta può essere (tenendo conto del momento cui sono riferite le
previsioni):
In Italia, a seguito della legge n. 468/1978, vige un doppio sistema, per cui il bilancio di previsione
viene redatto sia in termini di cassa sia in termini di competenza.
In relazione all’estensione del periodo considerato, il bilancio può essere annuale o pluriennale.
L’annualità è un principio fondamentale espresso nella Costituzione (art. 81), per cui il bilancio deve
essere redatto anno per anno, anche per consentire un costante controllo giuridico e politico
sull’attività del governo. Per la programmazione a medio-lungo termine, tuttavia, il bilancio annuale
risulta inadeguato, per questi motivi si redige il bilancio pluriennale (relativo a un periodo non inferiore
a tre anni). Esso ha, sotto l’aspetto giuridico, un valore ben diverso da quello del bilancio annuale, in
quanto non vincola l’attività del governo, ma lo impegna politicamente ad osservare e a rispettare i
programmi e le azioni in esso fissati.
Oltre al principio dell’annualità, la redazione del bilancio si informa anche ai seguenti ulteriori principi:
Per quanto concerne la struttura del bilancio, c’è da dire che essa è stata oggetto di profonde
modifiche ad opera della legge n. 94/1997 e del decreto legislativo n. 279/1997. A partire dall’anno
finanziario 1998 il bilancio è infatti articolato, con riguardo alle entrate, in:
unità previsionali di base, costituite dall’insieme delle entrate che ciascun centro di
responsabilità ha il compito di accertare;
titoli, che distinguono le entrate secondo la loro provenienza (tributarie, extratributarie, per
alienazione e ammortamento di beni patrimoniali, per riscossione di crediti, per accensione
di prestiti);
categorie: permettono di individuare la natura economica del cespite dal quale proviene
l’entrata;
capitoli, che distinguono le entrate secondo l’oggetto.
Con riguardo alle spese, invece, la normativa dispone che esse siano suddivise in:
funzioni-obiettivo: indicano la destinazione funzionale della spesa tenendo conto degli obiettivi
di carattere generale fissati in sede politica;
unità previsionali di base, distinte a loro volta, in unità relative alla spesa corrente e unità relative
alla spesa in conto capitale;
capitoli, che rilevano l’oggetto della spesa, il suo contenuto economico e il suo carattere
discrezionale o vincolato.
il conto del bilancio, che fornisce il risultato della gestione finanziaria svolta nell’esercizio;
il conto generale del patrimonio, che rileva la situazione patrimoniale dello Stato.
Il rendiconto generale dello Stato è soggetto al controllo della Corte dei Conti. Tale controllo culmina
nel cd. giudizio di parificazione, in cui si verifica se le entrate realizzate e le spese sostenute abbiano
rispettato il bilancio e le norme vigenti.
14. RESPONSABILITÀ DELLA P.A. E GIUSTIZIA
AMMINISTRATIVA
14.1 RESPONSABILITÀ DELLA P.A.
La responsabilità giuridica può essere civile, penale o amministrativa. È civile quando concerne il
risarcimento di un danno procurato ad un soggetto. È penale quando concerne il comportamento di
taluni soggetti i quali ledono particolari interessi. È amministrativa, infine, quando scaturisce dalla
violazione di un dovere amministrativo.
La responsabilità giuridica può investire anche la P.A.. Questa in particolare può incorrere sia in
responsabilità civile che in responsabilità amministrativa. Non può esistere invece una
responsabilità penale della P.A., poiché tale forma di responsabilità ha natura personale, per cui può
riguardare solo le persone fisiche.
La responsabilità extracontrattuale deriva, invece, dal fatto d’aver provocato a terzi un danno ingiusto;
danno che, alla luce della legge 205/2000, può derivare sia da lesione di diritti soggettivi perfetti che
di interessi legittimi. Elementi costitutivi della responsabilità extracontrattuale sono il fatto dannoso,
l’antigiuridicità, la colpevolezza dell’agente.
Per il terzo danneggiato dalla P.A. è possibile avanzare richiesta di risarcimento del danno sofferto,
con domanda rivolta al giudice ordinario, e a quello amministrativo nelle materie devolute alla sua
giurisdizione esclusiva.
Va detto che tale responsabilità ha carattere diretto, in quanto tra l’organo ed i soggetti che ne sono
titolari sussiste un rapporto di cd. immedesimazione organica, per cui quando agisce la persona
dipendente della P.A. è come se agisse la stessa P.A.. La riferibilità dell’atto alla P.A. va comunque
esclusa quando l’azione del dipendente costituisca un atto personale dello stesso posto in essere al
di fuori dell’esercizio delle funzioni amministrative.
Per quanto concerne la responsabilità precontrattuale, va infine detto che essa, per la più evoluta e
accreditata giurisprudenza, è ravvisabile quando nel corso delle trattative non si adottino quei criteri
di correttezza e di buona fede sanciti dagli art. 1337-1338 c.c..
L’esigenza di una giustizia amministrativa nasce con l’affermarsi dello Stato di diritto e del
contestuale principio secondo cui anche la P.A. è sottoposta alla legge, come qualsiasi altro soggetto
pubblico o privato.
Nel nostro ordinamento la giustizia amministrativa è realizzata mediante la previsione di due distinte
forme di tutela:
I conflitti di giurisdizione tra A.G.O. e A.G.A. sono attribuiti alle Sezioni Unite della Corte di
Cassazione. L’esistenza di una doppia giurisdizione ha comportato e comporta tuttora notevoli
problemi in ordine all’individuazione dei criteri con cui operare il dovuto riparto.
C’è da dire, comunque, che con la sentenza 1657/1989 della Cassazione, tali problemi sono stati in
parte superati, in quanto si è affermato che: “tutte le volte che si lamenta il cattivo uso del potere
dell’amministrazione, si fa valere un interesse legittimo e la giurisdizione del G.A., mentre si ha
questione di diritto soggettivo e giurisdizione del G.O. quando si contesta la stessa esistenza del
potere (carenza assoluta di potere)”.
14.3 LA TUTELA IN VIA AMMINISTRATIVA: I RICORSI
AMMINISTRATIVI
Con questo tipo di tutela il conflitto tra privato e P.A. è risolto all’interno della stessa amministrazione,
senza intervento del giudice (né ordinario, né amministrativo).
La tutela in via amministrativa è realizzata attraverso un ricorso (amministrativo appunto). Il ricorso
amministrativo è l’istanza diretta ad ottenere l’annullamento, la riforma o la revoca di un
provvedimento amministrativo(1), nel rispetto delle forme e dei termini stabiliti dalla legge. Può essere
proposto a difesa sia di diritti soggettivi che di interessi legittimi.
Esso deve essere redatto per iscritto (su carta da bollo), datato e sottoscritto dal ricorrente e deve
contenere:
C) Ricorso in opposizione
È un ricorso diretto alla stessa autorità che ha emanato l’atto impugnato. Non è un rimedio di
carattere generale ma è eccezionale: può essere utilizzato nei casi tassativamente previsti dalla
legge nei confronti di provvedimenti non definitivi. Può essere proposto sia per motivi di legittimità
che di merito, sia a tutela di diritti soggettivi che di interessi legittimi. Il termine per la presentazione è
quello generale di trenta giorni.
(1)I ricorsi possono riguardare soltanto atti o provvedimenti amministrativi e non anche atti legislativi o giurisdizionali.
14.4 LA TUTELA GIURISDIZIONALE ORDINARIA
Si è visto, agli inizi del capitolo, che un soggetto, per far valere i propri diritti o interessi legittimi, può
ricorrere, oltre che alla tutela in via amministrativa, alla tutela in via giurisdizionale, che prevede la
devoluzione della controversia ad un giudice.
A differenza di altri ordinamenti giuridici (che sono perlopiù monisti) il nostro ordinamento (cd.
dualista) si fonda, lo ripetiamo, su una doppia giurisdizione, le controversie:
aventi ad oggetto diritti soggettivi sono in linea di massima di competenza del giudice ordinario
(giudice di pace, tribunale, Corte d’appello, Cassazione);
quelle aventi ad oggetto interessi legittimi sono invece di competenza del giudice
amministrativo (TAR, Consiglio di Stato, Corte dei Conti, altri giudici speciali).
In particolari materie, tassativamente indicate dalla legge, il giudice amministrativo conosce anche
della violazione di diritti soggettivi (cd. giurisdizione esclusiva).
Per quanto concerne la tutela giurisdizionale ordinaria, va detto che il processo si svolge nella forma
prevista per il processo civile, ossia come processo di cognizione.
L’amministrazione statale è rappresentata e difesa in giudizio dall’Avvocatura dello Stato. Al fine di
tenere distinto il potere amministrativo da quello giudiziario, il giudice ordinario non può procedere
all’annullamento, alla modifica o alla revoca dell’atto amministrativo ove ne riscontri l’illegittimità, ma
lo può solo disapplicare nel caso concreto, giudicando cioè prescindendo dall’atto stesso (l’atto si
considera come se non fosse stato mai emanato). L’atto disapplicato nel caso concreto continuerà
ad esplicare effetti nei confronti dei terzi.
Il giudice ordinario, inoltre, non può in nessun caso imporre comportamenti positivi alla P.A. , ma può
solo, su richiesta del privato, condannarla al risarcimento del danno.
La dichiarazione di illegittimità dell’atto da parte del giudice ordinario, contiene l’obbligo implicito, in
capo alla P.A., di conformarsi ad essa. Se la P.A. non adempie tale obbligo, il privato può rivolgersi
al Tribunale amministrativo regionale (TAR), perché annulli (sulla scorta del giudicato del G.O.) l’atto
illegittimo (cd. giudizio di ottemperanza).
Infine, va detto che le azioni ammissibili nei confronti della P.A. sono:
le azioni dichiarative, che mirano all’accertamento di uno stato di fatto o di una situazione di
diritto;
le azioni costitutive, dirette ad ottenere dal giudice una sentenza che costituisca, modifichi o
estingua un determinato rapporto giuridico;
le azioni di condanna, che mirano ad ottenere dal giudice una sentenza che ordini alla P.A. il
pagamento di una somma di denaro a titolo di risarcimento ovvero che imponga alla stessa un
determinato comportamento (dare, facere, non facere);
le azioni possessorie, ammissibili quando la P.A. sia entrata in possesso di un bene violando le
disposizioni dettate in materia di espropriazione per pubblica utilità.
L a giurisdizione particolare di merito opera, invece, nei soli casi tassativamente indicati dalla
legge (senza possibilità di estensione analogica), sovrapponendosi o aggiungendosi alla
giurisdizione generale di legittimità. In questa sede il G.A. oltre a sindacare la legittimità di un atto,
decide anche sotto i profili della convenienza e della opportunità (ovvero nel merito), il che vuol dire
che, oltre ad annullare l’atto, il G.A., può procedere anche alla riforma o alla sostituzione dello stesso
(in tali casi nomina un commissario “ad acta” che provveda ad emanare un nuovo atto).
L’ipotesi più importante di giurisdizione di merito è sicuramente quella concernente il giudizio di
ottemperanza, cioè quello promosso dal privato per ottenere l’esecuzione di sentenze civili o
amministrative da parte della P.A. (qualora questa non vi abbia provveduto).
L’ultimo ambito concerne la giurisdizione speciale esclusiva, in cui il giudice conosce sia degli
interessi legittimi sia dei diritti soggettivi.
Si tratta di ipotesi, tassativamente indicate dalla legge, in cui la distinzione tra le suddette situazioni
soggettive risulta particolarmente difficile. Tra le più importanti si possono ricordare:
Per quanto concerne la competenza territoriale dei TAR, va detto che, di regola, essa è determinata
in relazione alla sede dell’organo o dell’autorità amministrativa che ha emanato l’atto (cd. criterio
della sede dell’organo) ovvero all’ambito in cui lo stesso esplica i suoi effetti (cd. criterio dell’efficacia
dell’atto); se si tratta di provvedimenti aventi efficacia sull’intero territorio nazionale, competente è il
TAR del Lazio.
Le norme sulla competenza sono derogabili da una diversa volontà delle parti interessate, che
possono anche optare per un TAR diverso da quello stabilito dalla legge.
(2) Ogni TAR è composto da un presidente e da almeno cinque magistrati amministrativi, nominati con un concorso pubblico.
Giudica sempre come organo collegiale con l’intervento del presidente e di due magistrati amministrativi.
Si tratta di un’azione legale condotta da uno o più soggetti che, membri di una classe, chiedono che
la soluzione di una questione comune di fatto o di diritto avvenga con effetti ultra partes per tutti i
componenti attuali e potenziali della classe.
L’azione rappresentativa in particolare costituisce il modo migliore con cui i semplici cittadini
possano essere tutelati e risarciti dai torti delle grandi aziende e delle multinazionali.
Attualmente presso la II° Commissione Giustizia della Camera dei Deputati sono all’esame vari
progetti e disegni di legge volti ad introdurre nell’ordinamento italiano l’azione collettiva risarcitoria a
tutela di consumatori ed utenti.
In particolare si sta valutando la possibilità di utilizzare tale strumento anche contro atti e azioni della
p.a.
ESERCITAZIONE AI CAPP. 13 E 14
Risposte esatte:
1)c 2)a 3)a 4)d 5)d 6)a 7)b 8)c 9)b 10)a
11)c 12)a 13)b 14)c 15)d 16)c 17)a 18)d 19)a 20)a
15. IL PROCESSO AMMINISTRATIVO
15.1 PRINCIPI GENERALI DEL PROCESSO AMMINISTRATIVO
Il processo amministrativo davanti al G.A. è retto da alcuni principi generali:
principio della domanda: il giudice non può attivarsi d’ufficio, ma solo su istanza di parte
(ricorso);
principio del contraddittorio: il ricorso introduttivo del processo amministrativo deve essere
notificato, oltre che all’autorità che ha emanato l’atto, a tutti i controinteressati;
principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato: il giudice deve pronunciare entro i limiti
della domanda e non oltre essa (altrimenti la sentenza sarebbe viziata da ultrapetizione);
principio dispositivo: il giudice deve formulare la sua decisione sulle prove offerte dalle parti;
principio del doppio grado di giurisdizione: la domanda è sottoponibile a due giudici di grado
diverso (TAR in primo grado e Consiglio di Stato in appello), salvi i casi di provvedimenti non
impugnabili;
principio della collegialità: la trattazione della causa si svolge, di norma, davanti al collegio;
principio della pubblicità delle udienze: la causa viene trattata in pubblica udienza, salvi i casi
di procedimenti da svolgersi con rito camerale.
Oltre al ricorrente e al resistente, nel processo amministrativo possono comparire anche altre parti
(cd. parti eventuali), segnatamente i controinteressati, cioè coloro che dall’accoglimento del ricorso
riceverebbero un danno e l’interveniente (soggetto terzo che interviene spontaneamente nel giudizio
per sostenere o contrastare l’istanza del ricorrente).
Di norma, non è ammesso il ricorso di più soggetti contro lo stesso provvedimento; eccezionalmente,
si ammette tuttavia tale possibilità (cd. ricorso collettivo) purchè tra i ricorrenti non sussista conflitto
di interessi; e altresì ammissibile il cd. ricorso cumulativo, cioè il ricorso avverso più provvedimenti
amministrativi (fra i quali sussista però un vincolo di connessione).
Il ricorso non produce di norma la sospensione immediata degli effetti dell’atto impugnato e poiché
da questo potrebbero scaturire danni gravi e irreparabili, il ricorrente può (ancor prima che il
Tribunale amministrativo si pronunci sul ricorso principale) presentare una richiesta di sospensione
cautelare al tribunale stesso. Il giudice se ritiene fondata tale richiesta (per la presenza del cd. fumus
boni iuris- parvenza di buon diritto e del periculum in mora- rischio di un pregiudizio grave e
irreparabile) può disporre la sospensione dell’atto impugnato.
Ricevuta la domanda di discussione del ricorso, il segretario forma il fascicolo d’ufficio e lo trasmette
al Presidente, che fissa con decreto il giorno dell’udienza. L’amministrazione e le parti interessate
possono produrre documenti fino a 20 giorni prima dell’udienza; possono presentare memorie fino a
10 giorni prima. Una volta interiorizzata la causa, la stessa deve essere decisa. La decisione del
Tribunale amministrativo può:
In entrambe le ipotesi la sentenza del giudice deve provvedere anche sulle spese del giudizio che, in
linea di massima, sono, come per il processo civile, a carico della parte soccombente. Nelle materie
nelle quali è investito di una giurisdizione di merito o esclusiva il giudice può, inoltre, condannare la
P.A. al pagamento delle somme di denaro delle quali risulta debitrice nei confronti di altri soggetti.
Avverso le sentenze del TAR sono ammessi tre tipici mezzi d’impugnativa: la revocazione,
l’opposizione di terzo e il ricorso in appello al Consiglio di Stato.
Il ricorso per revocazione va presentato allo stesso TAR quando si ritiene che la volontà del giudice
si sia formata su presupposti errati. Tale ricorso è ammesso, ad esempio, quando successivamente
all’ emanazione della sentenza da parte del giudice viene ritrovato un documento decisivo che la
parte non aveva potuto produrre in giudizio.
L’opposizione di terzo (introdotta nel processo amministrativo a seguito dell’intervento della Corte
costituzionale n. 177 del 1995) può essere proposta da un soggetto che riceve una lesione (danno)
dalla sentenza resa al termine di un processo a cui era rimasto estraneo.
Il ricorso al Consiglio di Stato(1) va presentato dal soccombente entro 60 giorni dalla notificazione
della sentenza impugnata.
Nel giudizio di appello vigono il divieto di innovazione e il divieto di introdurre nuovi elementi: le parti,
pertanto, non possono presentare nuove domande e non possono denunciare nuovi vizi del
provvedimento impugnato, diversi da quelli fatti valere già in primo grado.
(1) Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale è costituito dalle sezioni IV, V, VI e dall’adunanza plenaria. Ogni sezione è
composta da due presidenti e da almeno dodici consiglieri e delibera con la presenza di sette consiglieri; l’adunanza plenaria
invece è formata da dodici consiglieri, quattro per ogni sezione, ed è presieduta dal presidente del Consiglio di Stato.
ESERCITAZIONE AL CAP. 15
Risposte esatte: 1)b 2)a 3)c 4)b 5)a 6)c 7)d 8)a 9)a 10)b
Table of Contents
1. IL DIRITTO AMMINISTRATIVO E LE SUE FONTI
1.1 IL DIRITTO AMMINISTRATIVO: NOZIONE
1.2 FONTI DEL DIRITTO IN GENERALE
1.3 LE SINGOLE FONTI
1.4 LA RISERVA DI LEGGE
1.5 FONTI COMUNITARIE: REGOLAMENTI E DIRETTIVE
1.6 CRITERI PER DIRIMERE I CONTRASTI TRA LE NORME (ANTINOMIE)
2. I SOGGETTI DEL DIRITTO E LE SITUAZIONI GIURIDICHE SOGGETTIVE
2.1 SOGGETTI DEL DIRITTO
2.2 IL RAPPORTO GIURIDICO: NOZIONE
2.3 SITUAZIONI GIURIDICHE SOGGETTIVE: CONCETTI GENERALI
2.4 SITUAZIONI GIURIDICHE SOGGETTIVE ATTIVE
2.5 SITUAZIONI GIURIDICHE SOGGETTIVE PASSIVE
3. IL RAPPORTO DI PUBBLICO IMPIEGO
3.1 NOZIONI GENERALI
3.2 LA PRIVATIZZAZIONE DEL PUBBLICO IMPIEGO E LA CONTRATTAZIONE
COLLETTIVA
3.3 CLASSIFICAZIONE DEI PUBBLICI IMPIEGATI
3.4 ACCESSO AL PUBBLICO IMPIEGO
3.5 IL FUNZIONARIO DI FATTO
3.6 DIRITTI E DOVERI DELL’IMPIEGATO
3.7 LA RESPONSABILITÀ DEI PUBBLICI DIPENDENTI
3.8 INTERRUZIONE E CESSAZIONE DEL RAPPORTO
4. MODALITÀ DI ATTUAZIONE DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE: AMMINISTRAZIONE
DIRETTA
4.1 NOZIONI GENERALI
4.2 ORGANI DELL’AMMINISTRAZIONE DIRETTA CENTRALE
4.3 ORGANI DELL’AMMINISTRAZIONE DIRETTA PERIFERICA
5. GLI ENTI PUBBLICI
5.1 NOZIONI GENERALI
5.2 CARATTERI DEGLI ENTI PUBBLICI
5.3 TIPOLOGIE DI ENTI PUBBLICI
5.4 STRUTTURA DEGLI ENTI PUBBLICI: ORGANI E UFFICI
5.5 GLI ENTI PUBBLICI NON TERRITORIALI
5.6 GLI ENTI PUBBLICI ECONOMICI (E.P.E.)
5.7 GLI ACCORDI TRA ENTI PUBBLICI
6. ATTIVITÀ AMMINISTRATIVA E SUOI PRINCIPI
6.1 DEFINIZIONE E TIPI DI ATTIVITÀ AMMINISTRATIVA
6.2 PRINCIPI DELL’ATTIVITÀ AMMINISTRATIVA
6.3 DISCREZIONALITÀ AMMINISTRATIVA
6.4 AUTOTUTELA
7. ATTI E PROVVEDIMENTI AMMINISTRATIVI
7.1 DEFINIZIONE DI ATTI E PROVVEDIMENTI AMMINISTRATIVI
7.2 CARATTERI DEI PROVVEDIMENTI AMMINISTRATIVI
7.3 GLI ELEMENTI ESSENZIALI E ACCIDENTALI DEI PROVVEDIMENTI
AMMINISTRATIVI
7.4 STRUTTURA DEL PROVVEDIMENTO AMMINISTRATIVO
7.5 TIPI DI PROVVEDIMENTI AMMINISTRATIVI
7.6 ATTI AMMINISTRATIVI DIVERSI DAI PROVVEDIMENTI
8. IL PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO
8.1 NOZIONI GENERALI
8.2 FASI DEL PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO
9. I VIZI DELL’ATTO AMMINISTRATIVO
9.1 NOZIONI GENERALI
9.2 NULLITÀ DELL’ATTO AMMINISTRATIVO
9.3 L’ANNULLABILITÀ DELL’ATTO AMMINISTRATIVO
9.4 L’INOPPORTUNITÀ: I VIZI DI MERITO
9.5 I RIMEDI CONTRO GLI ATTI VIZIATI
9.5.1 Il ritiro
9.5.2 La convalescenza dell’atto viziato
9.5.3 La conservazione dell’atto viziato
10. I BENI PUBBLICI
10.1 NOZIONI E CLASSIFICAZIONI
10.2 L’UTILIZZAZIONE DEI BENI PUBBLICI
10.3 L’ESPROPRIAZIONE E GLI ALTRI ATTI ABLATIVI REALI
11. I CONTRATTI PUBBLICI
11.1 NOZIONI E CLASSIFICAZIONI
11.2 FASI DEL PROCEDIMENTO DI FORMAZIONE DI UN CONTRATTO DELLA P.A.
12. I SERVIZI PUBBLICI
12.1 NOZIONI E CLASSIFICAZIONI
12.2 MODALITÀ DI GESTIONE DEI SERVIZI PUBBLICI
12.3 I CONTRATTI DI UTENZA PUBBLICA E LE CARTE DEI SERVIZI
12.4 LA GIURISDIZIONE SUI SERVIZI PUBBLICI
13. LE ENTRATE PUBBLICHE E IL BILANCIO DELLO STATO
13.1 NOZIONI GENERALI
13.2 LE SINGOLE FONTI DI ENTRATA
13.3 IL BILANCIO DELLO STATO
13.4 FORMAZIONE DEL BILANCIO DELLO STATO
13.5 IL RENDICONTO GENERALE DELLO STATO
14. RESPONSABILITÀ DELLA P.A. E GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA
14.1 RESPONSABILITÀ DELLA P.A.
14.2 LA GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA
14.3 LA TUTELA IN VIA AMMINISTRATIVA: I RICORSI AMMINISTRATIVI
14.4 LA TUTELA GIURISDIZIONALE ORDINARIA
14.5 LA TUTELA GIURISDIZIONALE AMMINISTRATIVA
14.5.1 I Tribunali amministrativi regionali (T.A.R.)
14.6 L’ISTITUTO DELLA CLASS ACTION
15. IL PROCESSO AMMINISTRATIVO
15.1 PRINCIPI GENERALI DEL PROCESSO AMMINISTRATIVO
15.2 LE PARTI DEL PROCESSO AMMINISTRATIVO
15.3 SVOLGIMENTO DEL PROCESSO AMMINISTRATIVO
15.4 GIURISDIZIONI AMMINISTRATIVE SPECIALI