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DIRITTO DELLA PROPRIETÀ INTELLETTUALE- ZORZI

LEZIONE 1 (ANNA)
Bisogna comprendere quali sono i rapporti di gerarchia che si instaurano tra le fonti del diritto, per
poter ricostruire le discipline nei temi e nelle materie che ci riguardano.
La prima distinzione che viene in rilievo da questo punto di vista, è quella tra FONTI DI
PRODUZIONE e FONTI DI COGNIZIONE.
FONTI DI PRODUZIONE: sono i modi di formazione delle norme giuridiche.
FONTI DI COGNIZIONE: la nozione di fonti di cognizione intende i testi che contengono le
norme giuridiche già formate.
ES: pensiamo alla legge che è la principale fonte del diritto, che viene considerata fonte di
produzione quando si fa riferimento al procedimento di formazione della legge stessa, regolato dagli
articoli 70 e 71 della costituzione; mentre viene considerata come fonte di cognizione nel momento
in cui ci si riferisce ad una determinata legge già formata, contenente delle norme giuridiche già
vigenti, (poi vedremo, con l’efficacia nel tempo quando può dirsi vigente), ed in questo caso la
legge è indicata con il suo numero e la sua data : legge 190, 5 marzo 2001.
All’indicazione delle fonti del diritto è dedicato l’ART. 1 delle disposizioni sulla legge in generale,
sono le cosiddette preleggi, quelle che precedono il codice civile.
Bisogna però sapere che, oggi, lo stesso art. 1 risulta incompleto, poiché quelle disposizioni che
insieme al codice civile erano entrate in vigore prima della costituzione (erano entrate in vigore nel
1942), non tengono in considerazione né della costituzione, entrata in vigore nel 1948; né
dell’Unione Europea, che venne istituita nel 1957 come comunità europea r poi diventata unione
europea dopo il trattato di Lisbona del 2009; né dell’autonomia legislativa delle regioni,
un’autonomia riconosciuta nel 1970 in attuazione della costituzione.
Le preleggi infatti si limitano ad indicare come fonti del diritto le leggi, i regolamenti e gli usi; il
sistema delle fonti oggi invece deve essere completato con i trattati e i regolamenti comunitari, la
costituzione e le leggi costituzionali, (LE LEGGI ORDINARIE DELLO STATO- erano già
presenti), le leggi regionali, (I REGOLAMENTI E GLI USI- che già erano nelle preleggi).
A questo ordine di successione delle varie fonti del diritto corrisponde una vera e propria gerarchia.
Quindi c’è una gerarchia delle fonti, per cui le fonti di grado inferiore non possono essere in
contrasto con le fonti di grado superiore, a pena di illegittimità delle norme di grado inferiore che
risultano in contrasto.
Questo significa che le leggi ordinarie non possono contrastare con la costituzione ecc..
Per quanto riguarda i regolamenti dell’UE, le leggi regionali e gli usi, il criterio del rispetto delle
norme di grado superiore, si deve combinare con il CRITERIO DELLA COMPETENZA, cioè
quello dell’ambito di materie entro il quale ciascuna di queste fonti può operare.
Considerando distintamente la posizione gerarchica delle diverse fonti del diritto, la prima fonte che
viene in rilievo è la COSTITUZIONE, che è la legge fondamentale della repubblica e che è una
costituzione rigida; costituzione rigida significa che il procedimento di revisione costituzionale è un
procedimento di revisione aggravata, regolato dagli articoli 188 e ss. COST, che è diverso dal
procedimento ordinario di formazione delle leggi.
Nei sistemi a costituzione elastica, come per il vecchio statuto albertino, le leggi della costituzione
potevano essere modificate con un ordinario procedimento di formazione della legge.
Il PROCEDIMENTO DI REVISIONE DELLA COSTITUZIONE è un procedimento che prevede
dei limiti formali e dei limiti procedurali, previsti dall’art 138 COST (Doppia approvazione per la
modifica), ma ci sono anche dei limiti sostanziali, e quindi di contenuto, che sono espliciti,
contenuti nell Art. 139 COST, secondo il quale la forma repubblicana non può formare se stessa
oggetto di revisione; e limiti impliciti che sono invece il cosiddetto nucleo duro della costituzione,
cioè quei principi intorno ai quali si costruisce lo stesso ordinamento democratico cui la

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costituzione fa da legge fondamentale, così come teorizzato dalla corte costituzionale alla fine degli
anni 80.
il medesimo procedimento previsto per la revisione costituzionale vale anche per LEGGI
COSTITUZIONALI, che sono quelle leggi che vengono emanate in quelle materie in cui è
formulata una riserva di legge costituzionale da parte della costituzione stessa.
Quindi, con questa riserva si stabilisce e si dispone che soltanto con legge costituzionale possono
essere regolate determinate materie.
In altri tanti casi la costituzione formula invece delle semplici riserve di legge.
La riserva di legge in questo caso è intesa come riserva di legge ordinaria, a volte la riserva di legge
potrà essere ASSOLUTA, e a volte soltanto RELATIVA.
RISERVA DI LEGGE ASSOLUTA la legge ordinaria deve regolare l’intera materia
RISERVA DI LEGGE RELATIVA la legge ordinaria può rinviare per una specificazione tecnica, a
fonti di grado inferiore.
Se una norma di legge si trova in contrasto con la costituzione o con altre leggi costituzionali, il
principio di gerarchia dichiara la norma di grado inferiore costituzionalmente illegittima.
Il sindacato di legittimità costituzionale è un sindacato ACCENTRATO, quindi non diffuso.
SINDACATO ACCENTRATO Significa che non può essere effettuato da qualsiasi giudice (sistema
di sindacato diffuso), ma è un sistema si sindacato accentrato in un unico organo, che è appunto la
corte costituzionale, organo di carattere giurisdizionale, che tra le competenze ha come compito
principale proprio quella di giudicare la costituzionalità e la legittimità costituzionale delle leggi e
degli altri atti aventi forza di legge, sia dello stato che delle regioni.
Questo giudizio della corte costituzionale, però è a carattere eventuale, questo significa che si
perviene ad un giudizio di legittimità costituzionale, solo quando una delle parti o lo stesso giudice
abbia rilevato una questione di incompatibilità con la costituzione e abbia sollevato poi la relativa
questione di legittimità costituzionale.
Il giudice a quo, però non manifesta infondatezza o la rilevanza della questione, e non può emettere
giudizio sul contenzioso se non è risolta la questione di legittimità costituzionale, quindi poi rimette
gli atti alla corte costituzionale e sospende il processo a quo, in attesa di una pronuncia della corte.
Se la corte costituzionale perviene ad una dichiarazione di ILLEGITTIMITÀ di una norma di legge,
questa cessa di avere efficacia dal giorno successivo alla pubblicazione della sentenza di
dichiarazione dell’illegittimità. ( art. 136 1comma). Si tratta quindi di una sentenza dotata di un
EFFETTO GENERALE e quindi non limitato alle parti del giudizio, ciò significa che la sentenza
elimina definitivamente dall’ordinamento giuridico la norma in questione giudicata come
costituzionalmente illegittima e la elimina AB ORIGINE, cioè con effetto retroattivo.
Esistono anche altri tipi di sentenza che non siano appunto sentenze di accoglimento, in cui è
dichiarata l’illegittimità della norma:
-SENTENZE INTERPRETATIVE DI RIGETTO importanti perché salvano una norma, dandone
una interpretazione tale da consentire il suo mantenimento all’interno dell’ordinamento.
LE LEGGI ORDINARIE sono tutte quelle leggi il cui procedimento di formazione è regolato dagli
art. 70 e ss cost.
Va subito osservato però che molte leggi, che sono tutt’ora vigenti, sono state formate in epoca
anteriore alla costituzione, in particolare, formate durante la dittatura fascista, quindi secondo un
procedimento tendenzialmente autoritario di formazione autoritario.
È interessante notare come la caduta del regime fascista non abbia però determinato semplicemente
un’interruzione della continuità dell’ordinamento giuridico italiano, quando l’automatica perdita di
vigore di tutto il diritto preesistente, ma soltanto la soppressione, attraverso specifici atti legislativi,
o si singole leggi o di singole norme di legge valutate come leggi o norme considerate fasciste.

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( in relazione al diritto privato i primi atti legislativi in tal senso, che hanno investito gli aspetti più
vistosi della legislazione di stampo fascista, furono i decreti luogo-tenenziali 45 del 44 che,
soppressero le discriminazioni razziali e tutte le norme del codice civile che le avevano sancite e le
leggi che soppressero l’ordinamento corporativo, implicando l’abrogazione dei relativi articoli del
codice civile e delle preleggi, quindi in particolare anche della parte relativa all’ordinamento
corporativo prevista nell’art.1 nell’elencazione delle preleggi)

GLI ATTI AVENTI FORZA DI LEGGE sono equiparati alle leggi ordinarie, cioè atti governativi
che hanno la stessa forza delle leggi ordinarie e quindi da un lato I DECRETI LEGGE, disciplinati
dall’art.77 cost. ed i DECRETI LEGISLATIVI di cui all’art. 76 cost.
I casi di presupposta e straordinaria necessità ed urgenza comportano la possibilità per il governo di
emanare dei decreti legge, che necessitano poi di una conversione in legge in sede parlamentare e
che perdono efficacia ab origine se entro 60gg il parlamento non li converte in legge.
I decreti legislativi o leggi delegate sono, invece, sempre emanati dal governo, ma in questo caso
solo sulla base di una legge delega emanata dal parlamento che fissa comunque l’oggetto, i criteri,
le direttive ed i principi a cui il governo deve attenersi nell’emanazione del decreto legislativo; il
parlamento decide anche il tempo entro il quale la delega deve essere esercitata dal governo.
Interessante distinguere, sotto questo profilo tra: legge in senso formale e legge in senso sostanziale.
LE LEGGI IN SENSO FORMALE sono quelle adottate secondo il procedimento tipico e proprio
della formazione delle leggi.
LE LEGGI IN SENSO SOSTANZIALE sono quelle che secondo questo procedimento producono
norme generali ed astratte. (GENERALI: che sono destinate ad una generalità di persone;
ASTRATTE: che sono destinate a disciplinare una serie indeterminata di situazioni.)
Una legge può essere tale anche soltanto in senso formale, perché potrebbe consistere in un
imperativo, in un comando, in un precetto di natura individuale concreta, che però viene emanato
nella forma della legge. Quindi legge in senso formale che però non è una legge in senso
sostanziale, perché deficitaria delle caratteristiche di generalità e astrattezza: si parla in questo caso
delle cosiddette LEGGI PROVVEDIMENTO sono leggi provvedimento, quelle leggi con cui il
parlamento preveda la costituzione o la soppressione di un ente pubblico; o una legge che autorizza
il governo allo stanziamento di denaro a favore di un determinato ente pubblico quale dotazione di
mezzi finanziari necessari al fine del raggiungimento dello scopo dell’ente stesso.
Alle norme individuali e concreta, come appunto le leggi provvedimento, si da normalmente il
nome di NORME DI DIRITTO SINGOLARE, in antitesi proprio con il diritto generale e con il
diritto speciale (diretto a destinatari precisi).

Ad un livello sovraordinato alla stessa costituzione ad alle leggi ordinarie dello stato, nella
gerarchia delle fonti si collocano I TRATTATI.
Oggi il TUE ed il TFUE (trattato dell’Unione Europea e trattato sul funzionamento dell’Unione
Europea) a cui bisogna affiancare anche la carta dei diritti fondamentali dell’ UE e la normativa
derivata di carattere regolamentare, quindi i regolamenti che rispetto alle direttive sono normative
self-executive nei vai ordinamenti degli stati europei e quindi non necessitano una trasposizione
all’interno dell’ordinamento stesso e che sono altrettanti strumenti di uniformazione. (laddove,
invece, la direttiva è uno strumento di armonizzazione).
L’adesione del nostro paese all’UE, come ente di carattere sovrannazionale, ha comportato nel
tempo una limitazione della sovranità dello stato, che prima si riagganciava all’art11 cost, oggi il
riferimento più corretto va invece all’art.117 cost dove si dice che: “lo Stato e le regioni sono tenuti
a rispettare gli obblighi assunti in sede europea ed in sede internazionale”.

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Ciò significa che nelle materie regolate da fonti europee i giudici nazionali (in questo caso è un
sindacato diffuso), che nel territorio si trovino ad affrontare delle questioni concrete il cui
presupposto sia la risoluzione di una controversia, possono disapplicare il diritto interno
eventualmente contrastante con il diritto dell’unione europea. Quindi se una determinata questione a
loro sottoposta implica l’applicazione di una norma in contrasto con una norma di diritto europeo,
possono disapplicare il diritto interno, salvo soltanto i principi fondamentali della costituzione e i
diritti inalienabili dell’uomo.
In questo senso si è da sempre espressa la corte di giustizia che sosteneva che seppur gli stati
membri avessero limitato la propria sovranità in alcune circostanze, ma avevano creato un
complesso di diritto vincolante per i propri cittadini e per loro stessi, derivandone già al tempo che i
giudici nazionali dovessero disapplicare le norme interne contrastanti con il diritto comunitario,
applicando quest’ultimo in sostituzione.
Bisogna badar bene però al fatto che la nostra corte costituzionale è particolarmente restia ad
accogliere un’interpretazione di tal genere fino al 1984, rimanendo dell’avviso che il giudice
nazionale potesse applicare solo il diritto interno e in caso di difformità tra diritto interno e diritto
comunitario rimaneva dell’avviso che bisognava interpellare la corte costituzionale per ottenere una
dichiarazione di illegittimità costituzionale del diritto interno, ritenuta incompatibile con il diritto
comunitario ed utilizzando come norma interposta proprio l’art.11 della costituzione che allora era
il riferimento in base al quale lo Stato Membro aveva demandato quote di sovranità a quella che
oggi è l’Unione Europea.
LE LEGGI REGIONALI costituiscono il portato dell’autonomia anche legislativa demandata dalla
costituzione alle regioni, dopo la riforma operata nel 2001 al libro V, e oggi condensata all’art 177
cost, che distingue tra: POTESTÀ LEGISLATIVA ESCLUSIVA DELLO STATO; POTESTÀ
LEGISLATIVA CONCORRENTE, per cui lo stato può con propria legge dettare solo i principi
fondamentali della materia, mentre verrà riservata alle regioni, e quindi a ciascuna per il proprio
territorio, la legislazione analitica della stessa materia; E POI UNA CLAUSOLA RESIDUALE A
FAVORE DELLE REGIONI.
A questo punto il principio di gerarchia si coordina con il principio di competenza, questo significa
che nelle materie di competenza statali le leggi regionali non potranno legiferare (non possono
invadere le materie di competenza statale) e sull’eventuale conflitto che ne derivi, giudicherà la
corte costituzionale su ricorso del governo. Lo stesso però accade all’inverso, se lo stato invade una
materia di competenza regionale, la regione potrà essa stessa sollevare la questione di legittimità
costituzionale davanti alla corte avente ad oggetto la legge statale che ha invaso la competenza
regionale.
Dobbiamo però ricordare che in materia di diritto privato lo spazio operativo delle leggi regionali
non è particolarmente ampio e quindi non assumono particolare importanza in generale nel diritto
comune e nel diritto privato, perché fra le materie riservate alla competenza legislativa dello stato
figura proprio l’ordinamento civile e penale. (lettera L, 2°comma art 117).
Viene così confermato l’orientamento restrittivo assunto dalla corte costituzionale, secondo cui le
regioni non possono neppure nelle materie di propria competenza emanare delle norme di diritto
privato, ma possono emanare solo delle norme regolatrici delle proprie funzioni amministrative ( le
cosiddette funzioni proprie, funzioni fondamentali che si trovano proprio nell’articolato della
costituzione).
I REGOLAMENTI sono una fonte normativa sotto-ordinata alla legge e che non possono contenere
norme contrarie alle disposizioni di legge.
Il questo caso però sulla loro legittimità e compatibilità rispetto alla norma sovraordinata, giudica il
giudice diffuso.

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I regolamenti possono essere emanati dal governo (REGOLAMENTI GOVERNATIVI) o da altre


autorità, oggi possono essere emanati, oltre che dagli enti locali come regioni, province, comuni, ma
anche da enti non territoriali, ma enti ad autonomia funzionale o dalle autorità amministrative
indipendenti ad esempio i regolamenti della banca d’Italia e i regolamenti consob.
All’interno dei regolamenti governativi disciplinati dall’art 17 della legge 400 del 1988, si distingue
tradizionalmente tra REGOLAMENTI DI ESECUZIONE E REGOLAMENTI INDIPENDENTI.
REGOLAMENTI DI ESECUZIONE sono quelli emanati dal governo per regolare determinate
materie già disciplinate dalla legge, in maniera più precisa.
I REGOLAMENTI INDIPENDENTI sono destinati a regolare materie non disciplinate da alcuna
legge.
Deve avvertirsi che però si era dubitato della legittimità del potere regolamentare indipendente che
si traduce in un virtuale potere legislativo del governo. Bisogna però anche dire che i regolamenti
hanno conosciuto una forte rivalutazione alla luce della stagione e della politica della
delegificazione che è intesa ad alleggerire le funzioni del parlamento da un lato, e a rendere
dall’altro lato più agevole l’attività di normazione. La legge 400 dell’88 ha, in effetti, espressamente
riconosciuto al governo il potere di emanare regolamenti indipendenti, purchè, non si tratti di
materia coperta da riserva di legge.
Quindi, la delegificazione si è spinta fino a consentire l’emanazione di regolamenti che sono
sostanzialmente equivalenti alla legge, hanno un’efficacia equivalente a quella della legge, a due
condizioni: - che la materia da regolare non sia coperta da una riserva assoluta di legge stabilita
dalla costituzione; - che ci sia una legge che autorizzi il governo a disciplinare per regolamento una
determinata materia, fissandone le regole generali, cui poi il governo dovrà attenersi
nell’emanazione della normativa di carattere regolamentare.
Bisogna sottolineare il fatto che i regolamenti di cui abbiamo parlato prima, quelli emanati dalle
altre autorità, non possono derogare, oltre che alle leggi, non possono derogare neanche ai
regolamenti governativi.
GLI USI o secondo un’altra espressione LE CONSUETUDINI La consuetudine rappresenta una
fonte-fatto, quindi una fonte non scritta e non statuale di forte di produzione di norme giuridiche.
Le consuetudini constano di un cosiddetto USUS, quindi una pratica uniforme e costante di un
determinato comportamento e di una OPINIO IURIS ADQUE NECESSITATIS quindi una
connotazione soggettiva, tale per cui questa pratica venga seguita con la convinzione che quel
comportamento sia giuridicamente obbligatorio.
Attenzione quindi a non confondere la consuetudine con la mera prassi; non è fonte del diritto, non
è uso, non è consuetudine la prassi, ovvero il modo di comportarsi degli operatori di un determinato
settore (prassi pubbliche amministrazioni, prassi bancaria) ; e non è un a consuetudine neppure
l’atteggiamento conformistico che spesso individui assumono e che tengono abitualmente (prassi
del dare la mancia).
Normalmente si distingue all’interno della categoria delle consuetudini tra:
CONSUETUDINI PRETER LEGEM: sono quelle che hanno efficacia nelle materie che non siano
regolate da leggi o da regolamenti, allora in questo caso, fino a che la materia non viene regolata da
legge o regolamento, la consuetudine potrà avere una sua efficacia. Questi significa però che queste
materie potrebbero essere ri-disciplinate da una norma di legge o da un regolamento che
successivamente ed in questo caso la consuetudine cesserebbe automaticamente di avere una
propria efficacia.
CONSUETUDINI SECUNDUM LEGEM cioè quelle che intervengono ed hanno efficacia nelle
materie regolate da leggi o regolamento, soltanto richiamate dalle leggi e regolamenti stessi.
CONSUETUDINI CONTRA LEGEM contraria alla legge, nel nostro ordinamento non è ritenuta
ammissibile.
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Eventuali raccolte scritte di usi, che possono essere eventualmente collezionate da appositi enti
autorizzati a questa attività, come la camera di commercio, non trasformano però gli usi in fonti
scritte, hanno soltanto un valore di prova. Provano l’esistenza dell’uso, fino a prova contraria (art.9
preleggi). La prova contraria può essere data con ogni mezzo.
Bisogna tener presente anche un altro aspetto che ci è particolarmente caro nelle materie della
proprietà industriale e della concorrenza che ‘ la cosiddetta: UNIFORMITÀ INTERNAZIONALE
DEL DIRITTO PRIVATO.
Possiamo infatti dire che dal processo di statualizzazione delle fonti che è stato attuato nel
continente europeo a partire dagli inizi dell’800, è derivata effettivamente quella che conosciamo
come NAZIONALITÀ DEL DIRITTO PRIVATO, che da un lato ha potuto soddisfare con ciò le
esigenze di concentrazione della sovranità propria della concezione dello stato moderno, ma che ha
finito per contraddire un’altra esigenza che è riconnessa al carattere intrinseco dei mercati che già
allora erano e sarebbero sempre più diventati mercati internazionali estesi a territori ben più vasti
dei territori su cui insistono i singoli stati.
Ecco che in questo senso la nazionalità del diritto privato si rivela un ostacolo ai rapporti economici
ce diventano sempre più intensi fra cittadini di stati diversi e un ostacolo specialmente per tutte
quelle imprese che agiscono ed operano sui mercati internazionali collocando merci o servizi in stati
diversi, ciascuno con un proprio diverso diritto. Ecco che quindi, proprio a partire dalla fine
dell’800 si punta al superamento di questo ostacolo mediante la formazione di un diritto privato
uniforme. Lo strumento adoperato per raggiungere l’obiettivo è quello della CONVENZIONE FRA
STATI. Gli stati interessati a rimanere all’interno del commercio internazionale stipulano tra di solo
convenzioni di diritto privato uniforme suscettibili poi di recepimento nei singoli stati con legge
nazionale, quindi con una legge di esecuzione della convenzione internazionale.
Nasce quindi una nuova fase del diritto privato, che è legato a questa uniformità internazionale e il
primo terreno sul quale questa tendenza si manifesta è proprio quello della PROPRIETÀ
INDUSTRIALE DELLA CONCORRENZA, l’internazionalità infatti degli interessi imprenditoriali,
postula in qualche modo l’esistenza di una protezione sovrannazionale dei DIRITTI DI
ESCLUSIVA. Quindi: invenzioni, marchi di fabbrica, di commercio, le discipline delle indicazioni
di origine e provenienza dei prodotti.
LA PRIMA DISCIPLINA SUL PUNTO È STATA LA CONVENZIONE DI PARIGI 1883.
Dall’altro lato si aveva l’esigenza di repressione transnazionale della concorrenza sleale, qui la
svolta si è avuta con la CONVENZIONE DELL’AIA DEL 1925.
Un altro diritto a carattere metanazionale il cui raggio di azione in qualche misura tende a
coincidere con i mercati internazionali è quel diritto al quale si dà il nome di LEX MERCATORIA.
La nuova lex Mercatoria è un diritto creato dal ceto imprenditoriale, quindi senza la mediazione del
potere legislativo degli stati, e sostanzialmente formato di regole destinate a disciplinare in modo
pressoché uniforme, e quindi al di là delle unità politiche degli stati, i rapporti di natura
commerciale che si instaurano entro l’unità economica dei mercati.
L’espressione lex mercatoria intende alludere ad una sorta di rinascita nell’epoca moderna di un
diritto universale, come fu universale lo IUS MERCATORUM medioevale, creato dal basso, dai
mercati.
Le fonti dello ius mercatorum erano infatti gli statuti delle corporzioni mercantili, le consuetudini
mercatili e la giurisprudenza delle varie curie mercatorum, quindi di quei meccanismi di risoluzione
dei conflitti che regolavano i rapporti mercantili in concreto.
Diciamo che i fattori che hanno prodotto queste regole internazionalmente uniformi risiedono
fondamentalmente da un lato, nella diffusione internazionale delle pratiche contrattuale degli affari.
Questa diffusione a volte si è prodotta in maniera spontanea, ci basti bensare a quella molteplicità di
modelli contrattuali, come il factory, il leasing..che sono stati creati dagli operatori economici di un
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determinato paese e poi recepiti dagli operatori economici di altri paesi, questo perché il giudice
difficilmente può ritenere invalido un modello contrattuale praticato ovunque e riconosciuto come
valido, poiché ciò poterebbe ad un isolamento rispetto ad un contesto internazionale.
Da un altro lato la diffusione è stata assecondata dalle regole oggettive del commercio
internazionale, attraverso la predisposizione di formulari di contratti ad uso di imprenditori da parte
delle associazioni internazionali di categoria, favorendo cosi anche la diffusione di pratiche
contrattuali uniformi dal punto di vista internazionale.
Altre volte invece in modo ancora diverso, sono state le grandi società multinazionali ad imporre
quest’uniformità attraverso la predisposizione di condizioni generali di contratto che poi hanno
provocato uniformità di regole contrattuali.
La fonte di riferimento si trova negli usi del commercio internazionale, quindi, nella ripetuta ed
uniforme osservanza di particolari pratiche da parte degli operatori del settore e poi ancora un altro
fattore è costituito dalla giurisprudenza delle camere arbitrarie internazionali.
Per cui si può dire che si è formato un corpo di regole che tutti gli operatori economici sono indotti
a osservare nella previsione che in caso una controversia deferita ad un arbitro internazionale,
queste fonti verranno applicate.
Da qualche tempo di lex mercatoria si parla come di un vero e proprio ordinamento giuridico
separato dagli ordinamenti statuali, espressione della business community, e in questi termini si è
mossa la corte di cassazione negli anni 80, in considerazione del fatto che gli operatori economici, a
prescindere dalla loro nazionalità hanno il convincimento di determinate regole; quindi si conclude
che debba ritenersi che esiste una lex mercatoria, quindi un compendio di regole di condotta con
contenuti mutevoli, ma determinati pro tempore.
Il riferimento può andare a quell’organica compilazione fatta da UNIDROIT nei principles, quindi
nei principi dei contratti commerciali internazionali; che costituiscono un’accreditata fonte di
cognizione della lex mercatoria.

EFFICACIA DELLA LEGGE NEL TEMPO E NELLO SPAZIO attenzione serve soprattutto
quando si costruisce la disciplina normativa di un istituto; bisogna vedere che una legge sia vigente
nel momento in cui se ne parla, quindi che non sia stata abrogata o che non siano intervenute
modifiche tali da non doverne tenere più conto.
Le leggi entrano in vigore a seguito della loro pubblicazione, per quanto riguarda le leggi e i
regolamenti dello stato la pubblicazione è fatta sulla gazzetta ufficiale, e se non diversamente
disposto, dal 15° giorno successivo alla pubblicazione essa entra in vigore. Come sappiamo, quindi
l’obbligatorietà è subordinata ad un adempimento formale (pubblicazione), inteso a rendere il
precetto conoscibile da parte del destinatario che quindi deve osservare la norma. Qui si tratta di
una conoscenza evidentemente soltanto astratta, della possibilità per il destinatario di conoscere la
norma contenuta nella legge o nel regolamento attraverso la pubblicazione.
In proposito vale il principio contenuto dell’ADAGIO IGNORANTIA LEGIT NON EXUSAT, che
è un principio esplicitato soltanto in realtà con riferimento al codice penale all’art 5 per cui si
impone l’esigenza di sottrarre l’obbligatorietà della norma, ad un qualunque dubbio o disputa circa
la sua conoscenza da parte del destinatario; quindi non importa se il destinatario conosca la norma ,
ma è importante la conoscibilità della stessa dal punto di vista astratto, e che quindi il destinatario
poteva venirne a conoscenza tramite la pubblicazione.
Quello che invece ci interessa è quando cessa l’efficacia di leggi o di singole norme delle leggi, e se
cessano di avere efficacia o per espressa disposizione di una norma successiva ( art 15 preleggi), o
per referendum abrogativo, previsto dall’art 75 cost ( con esclusione di alcune materie) ; o con
sentenza di illegittimità costituzionale.
In tutti questi casi si parla di ABROGAZIONE ESPRESSA.
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Ma una norma di legge può perdere efficacia anche per incompatibilità con una nuova disposizione
di legge, oppure perché una nuova legge l’intera materia; in questo caso si dice che la precedente
norma è stata TACITAMENTE ABROGATA.
Un altro principio di carattere generale ricollegato ad una esigenza di certezza e stabilità del diritto,
è IL PRINCIPIO DI IRRETROATTIVITÀ DELLA LEGGE, ( ART.11 PRELEGGI), principio
secondo il quale la legge non dispone che per il futuro.
Quest’ultimo principio ha valore di precetto costituzionale e quindi è vincolante per la legge
ordinaria SOLO in ambito penale ( art 25 cost), quindi è stabilito che nessuno può essere punito se
non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso. Ciò perché possa
essere esercitata la potestà punitiva dello stato in relazione ad un determinato fatto di reato, è
necessario che il soggetto a cui si imputa una responsabilità in relazione ad un comportamento, il
soggetto deve essere in grado di recepire quale comportamento sia lecito e quale no, altrimenti non
gli si può rimproverare nulla neanche sotto il profilo della colpevolezza e della funzione rieducativa
della pena e del principio di responsabilità penale e personale, tutti principi costituzionali, che
troviamo all’art 27 cost.
Rispetto al diritto privato, invece, la irretroattività della norma, è sancita soltanto da una norma
generale di legge ordinaria.
Quindi trattandosi di norma contenuta in legge ordinaria, essa in linea di principio è derogabile da
altre leggi ordinari, quindi altre leggi ordinarie potrebbero attribuire a se stesse un effetto
retroattivo. Bisogna sottolineare però che questa possibilità di deroga non dovrebbe considerarsi
senza limiti, poiché la retroattività della legge, essendo un’eccezione alla regola, altera il principio
di eguaglianza codificato all’art3 cost. Sarebbe quindi da considerarsi legittima solo in presenza di
un ragionevole motivo giustificativo di questa regola. Ma va detto che però la nostra giurisprudenza
tende a riconoscere un potere insindacabile di attribuire un effetto retroattivo alle leggi che emana.
La retroattività della legge incontra, però, un limite naturale, la legge retroattiva non si applica quei
fatto che hanno esaurito per intero la produzione dei propri effetti giuridica.
I PROFILI DI EFFICACIA DELLA LEGGE NELLO SPAZIO il principio di statualità contrasta in
qualche modo con la transnazionalità eventuale tra gli uomini. Quindi possono emergere una serie
di contrasti quando sussistono elementi di estraneità nei rapporti che regolano gli uomini.
Tipi di problemi: quale diritto applicare in caso di contenzioso tra due persone di due paesi diversi?
Ciascuno stato, in generale, in principio di affermazione della propria statualità, può stabilire che in
certi rapporti si applichi, invece che il proprio diritto, un diritto prodotto da altri stati e quindi poi di
conseguenza può anche richiedere ai propri giudici di applicare il diritto di altri stati. Questo però
accade in forza di una norma di diritto dello Stato che rinvia al diritto di uno stato diverso per la
regolazione di alcuni rapporti. Questo rinvio può essere concepito come una rinuncia di sovranità da
un lato, ma è espressione di sovranità stessa.
La materia è regolata dalle NORME DEL DIRITTO INTERNAZIONALE PRIVATO, che risolvono
i problemi in presenza di elementi di estraneità nella fattispecie concreta di riferimento.
La disciplina principale è la legge 218 del 1995, che sostanzialmente prevede una serie di criteri
collegamento per risolvere questo tipo di questioni.
Anche le norme di diritto internazionale privato sono espressione della statualità del diritto, in
quanto ciascuno stato formula a propria discrezione le proprie norme di diritto internazionale
privato. Quindi si potrebbero ancore creare dei conflitti, quindi spesso vengono create delle
convenzioni internazionali in cui gli stati si impegnano sostanzialmente ad adottare delle norme
omogenee di diritto internazionale privato. Sono convenzioni diverse dalle convenzioni di diritto
uniforme, poiché non si realizza un diritto a contenuto uniforme nei fari stati, ma si concordano
soltanto i criteri in base ai quali ciascuno applica il proprio diverso diritto.

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Lezione 2
I criteri di interpretazione previsti a livello legislativo
L’applicazione della norma è un’applicazione di comandi (norme) caratterizzati da generalità e
astrattezza, l’applicazione traduce quindi in comandi a portata individuale, particolare e concreta,
queste previsioni normative che hanno carattere generale e astratto. Questi precetti concreti sono le
sentenze e i provvedimenti giudiziali. Questa traduzione però non è meramente meccanica e
automatica ma prevede da parte di chi è chiamato ad applicare la norma, un’operazione preliminare
e piuttosto complessa diretta a stabilire da un lato quale sia la norma (fattispecie astratta) entro cui
possa essere fatta rientrare la questione che ricade nella fattispecie concreta che di volta in volta
viene portata all’attenzione del giudicante, in secondo luogo si tratta anche di stabilire la portata da
attribuire alle norme, sia alle norme di cui si esclude l’applicazione (ambito negativo), sia a quelle
che siano state ritenute da applicare al caso concreto. Questa applicazione di carattere preliminare
attributiva di un significato alle norme e in un certo qual modo le seleziona è proprio
l’interpretazione. L’interpretazione si conduce attraverso dei criteri/principi fissati dalla legge. La
norma di riferimento è contenuta nelle preleggi ovvero l’art. 12 che stabilisce da un lato che
nell’applicazione della legge non si può attribuire altro senso se non quello fatto palese dal
significato proprio delle parole secondo la connessione delle stesse, è il cosiddetto criterio di
interpretazione letterale, quindi la legge andrebbe interpretata in linea di principio senza dare
all’interprete troppa libertà di attribuire liberamente un senso. Questo criterio riflette il principio di
statualità del diritto perché impone al giudice di attenersi strettamente al diritto positivo. L’articolo
12 fa riferimento anche al criterio di interpretazione teleologica ovvero quel criterio che attribuisce
il senso fatto palese dall’intenzione del legislatore (razio legis). Quindi in conclusione
l’interpretazione più corretta è quella che risulti più vicina al senso letterale delle parole da un lato,
ma al tempo stesso, il più possibile corrispondente all’intenzione del legislatore così come si
desume dalla legge. In realtà la Cassazione ha sottolineato che l’interpretazione secondo razio legis
potrebbe essere giudicata eccezionale, nel senso che soltanto eccezionalmente l’interprete sarebbe
autorizzato ad individuare l’effetto giuridico che il compilatore aveva inteso ricollegare alla
fattispecie astratta tipizzata primato interpretazione letterale.
Secondo l’articolo 12 delle preleggi il legislatore è un’antica espressione metaforica con cui non si
indicano i promotori o chi ha emanato la legge (o ai componenti organo legislativo) ma si fa
riferimento all’ideale creatore del sistema legislativo. Molto spesso per ricostruire storicamente la
finalità di una legge si utilizzano le relazioni illustrative che accompagnano le leggi o anche i lavori
preparatori o i verbali delle discussioni parlamentari, questi elementi però non sono vincolanti per
l’interprete che rimane vincolato solo alla legge.
Se l’organo legislativo vuole imporre una propria interpretazione dovrebbe semplicemente emanare
una nuova legge con interpretazione autentica che è un’interpretazione della norma fatta
direttamente da chi quella norma ha emanato, e in cui appunto il legislatore interpreta una legge
precedente. In questo caso non sarà la sua intenzione storica ad imporsi ma si imporrà il testo della
nuova legge (interpretazione autentica), e si riconosce effetto retroattivo.
L’interpretazione teleologica spesso può dare luogo ad un tipo di interpretazione che è quella
estensiva ovvero una tipologia di interpretazione con cui si attribuisce alle parole della legge un
significato più ampio di quello letterale. Opposta a questa interpretazione abbiamo quella restrittiva
in cui si tende a dare un significato più ristretto alle parole rispetto a quello comune, un significato
ritenuto più aderente all’intenzione del legislatore.
Un criterio invece non indicato nelle preleggi ma largamente utilizzato è l’interpretazione
sistematica. Questo criterio muove attraverso la considerazione che ciascuna norma non è isolata
ma concorre insieme alle altre a formare un sistema unitario, quindi il senso che si attribuisce ad
una norma deve essere compatibile con quello che si attribuisce alle altre norme (coerenza di
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DIRITTO DELLA PROPRIETÀ INTELLETTUALE- ZORZI

fondo). Un’interpretazione sistematica famosa è quella ‘adeguatrice’ o conforme a Costituzione, e


questa consiste nel dare alla legge un’interpretazione più adeguata e conforme ai principi espressi in
Costituzione. Da tenere a mente abbiamo anche l’interpretazione evolutiva ed è quando si
attribuisce alla norma un significato diverso rispetto a quello che le veniva attribuito in passato
questo per diversi motivi:
1. Cambia il sistema entro cui la norma stessa è destinata ad operare e quindi si interpreta in
modo coerente al nuovo sistema,
2. Perché i referenti economico-sociali della norma appaiono superati e quindi questa viene
interpretata in maniera più adeguata e aderente ai nuovi dati della realtà economico-sociale.
Ogni ordinamento giuridico reca in se la tensione alla completezza, non può ammettere di avere
delle lacune e deve essere in grado di dare risoluzione a qualsiasi conflitto di interessi che potrebbe
insorgere. È evidente che il legislatore non può però prevedere tutti i possibili conflitti e quindi non
può precostituire una regola per ogni caso. A colmare le inevitabili lacune l’art.12 al secondo
comma sempre delle preleggi prevede l’analogia legis, cioè l’applicazione analogica del diritto che
opera andando ad aver riguardo delle disposizioni che regolano dei casi simili o materie analoghe
qualora la controversia non si può risolvere attraverso una specifica disposizione. Se manca una
norma il giudice non può negare la giustizia alle parti e nemmeno creare (senza altri referenti) una
regola a cui attingere per risolvere il conflitto, ma dovrà ricercarla all’interno dell’ordinamento;
quindi di ogni norma sostanzialmente il giudice può fare una doppia applicazione:
- Applicazione diretta, laddove nella fattispecie astratta sia desumibile la fattispecie concreta cioè
il caso rientri direttamente nella previsione generale ed astratta della norma;
- interpretazione analogica, dove applichi una norma di legge ad un caso analogo a quello previsto
dalla norma in questione. Questa applicazione però incontra un duplice limite (art. 14 preleggi)
perché da un lato è vietata l’analogia in materia di penale (art.1 codice penale nessuno può essere
punito se non per un fatto espressamente previsto dalla legge come reato riserva di legge), in più
questa non può applicarsi alle norme di carattere eccezionale, ovvero quelle che costituiscono un
eccezione rispetto alla regola generale, questo perché questa è posta già dal legislatore come
eccezione rispetto ad una regola, quindi avendo apportato alla regola generale un’eccezione non
si può applicare analogicamente rispetto ad altri casi che non abbiano quello stesso carattere di
eccezionalità. La natura eccezionale ne impedisce quindi l’interpretazione analogica ma non
quella estensiva, perché questa rappresenta comunque un’applicazione diretta della norma anche
se estensivamente interpretata (occorre che il caso sia uguale a quello espressamente indicato e
quindi sia uguale a quello espressamente contenuto nelle norme).
Se il giudice non riesce ad interpretare con le precedenti interpretazioni potrà decidere attraverso i
principi generali dell’ordinamento giuridico dello stato (analogia iuris). I principi generali non sono
sanciti da una norma specifica ma si tratta piuttosto di principi non scritto ricavabili per induzione
dal sistema giuridico e da una pluralità di norme che rappresentino le direttive e direttrici
fondamentali a cui pare essersi ispirato il legislatore in un determinato ambito, ad esempio il
principio della libera circolazione della ricchezza. Di fronte a tutti questi casi non si può nascondere
il fatto che i giudici in qualche maniera creano una norma nuova e quindi si può dire che l’opera
dell’interprete diventa opera di ricostruzione del sistema (funzione creativa del diritto).
Fra i criteri di interpretazione della legge merita una piccola menzione anche il criterio di
interpretazione secondo il diritto dell’Unione Europea, e questo viene esplicitato da una legge in
materia della tutela della concorrenza del mercato (legge 87 del 1990) che all’articolo 1 comma 4
impone alla legge stessa un’interpretazione che venga effettuata in base ai principi dell’ordinamento
delle Comunità europee in materia della disciplina della concorrenza, in questo modo la nozione di
impresa che viene adottata da questa legge, andrebbe intesa non nel senso che le si darebbe secondo
il diritto interno ma nel senso diverso, più ampio, che il diritto comunitario le attribuisce.
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LEZIONE 3
DIRITTO DI AUTORE
Nasce nel 18esimo secolo negli UK ad opera di una legge del 1710 e poi in Francia con le leggi del
1791-1793; le condizioni economiche sociali si erano già realizzare al momento dell’invenzione
della stampa.
Una prima questione attiene all’esistenza di un unico diritto d’autore, ovvero tanti diritti d’autore in
base a quanti siano i contenuti che meritano protezione.
A partire dal 1930 si è assistito all’emergere di altri diritti destinati a tutelare per mezzo
dell’esclusiva dei nuovi prodotti, questi diritti vengono ricompresi nella categoria eterogenea dei
diritti d’autore.
Le opere di ingegno possono essere diffuse e utilizzate al di là dei confini dello stato in cui sono
state utilizzate e applicate la prima volta. Hanno, quindi, carattere dell’ubiquità, ecco perché gli
interessi che sono alla base del diritto d’autore aspirano ad una tutela universale.
Disposizione di diritto internazionale privato contenuta nella legge 218/95, in particolare l’art 54: “i
diritti su beni immateriali sono regolati dalla legge dello Stato di utilizzazione” → il nostro
ordinamento rinvia quindi la regolamentazione alla legge dello Stato in cui l’opera è utilizzata o è
destinata ad essere utilizzata, come criterio di collegamento per i rapporti in cui venga in rilievo il
diritto d’autore che presentano elementi di estraneità rispetto all’ordinamento nazionale. Se i diritti
sui beni immateriali sono regolati dalla legge dello stato di utilizzazione così come affermato
dall'art 54 della legge del diritto internazionale privato, ne deriva che il principio di territorialità
vale non solo come regola volta a determinare l'ambito di applicazione della legge interna ma anche
come regola di diritto privato.
La nostra legge tende ad accordare protezione soltanto alle opere dei cittadini italiani e a quelle di
autori stranieri pubblicate per la prima volta o realizzate nel territorio italiano; mentre per quanto
riguarda le opere di autori stranieri accorda protezione soltanto a condizione di reciprocità →
Clausola di reciprocità prevista dall'articolo 16 delle preleggi. L’art. 185 e ss della legge sul diritto
d'autore sono effettivamente applicazione e declinazione, nella materia del diritto d’autore, della
regola generale che riguarda appunto il trattamento dello straniero che è annunciata proprio
dall'articolo 16 delle preleggi: lo straniero è ammesso a godere dei diritti civili attribuiti al cittadino
a condizione di reciprocità, fatte salve le disposizioni contenute nelle leggi speciali. Occorre tener
presente però che il principio di reciprocità viene sostanzialmente superato, in primo luogo perché
le disposizioni sono inapplicabili ai cittadini degli Stati membri dell'UE perché incompatibili con il
principio di non discriminazione invase alla nazionalità previsto dai trattati UE → art. 18 TFUE. In
secondo luogo, perché gli Stati sono stati indotti nel tempo a concludere delle convenzioni
internazionali proprio per superare il principio di reciprocità e per dare vita a un regime
internazionale di diritto d'autore e dei diritti connessi. Ne risulta quindi un complesso di
convenzioni che vengono in rilievo nella disciplina del diritto d’autore:
1. Convenzione di Berna per la protezione delle opere letterarie, 1886, poi modificata numerose
volte in seguito alle successive conferenze diplomatiche, in particolare importante è quella di
Parigi del 1971.
2. Convenzione di Ginevra del 1952 sul diritto d’autore.
3. La convenzione internazionale sulla protezione degli artisti, interpreti e esecutori dei produttori
di fonogrammi e degli organismi di radiodiffusione nella convenzione firmata a Roma nel 1961.
4. Accordo di Marrakech 1994 nell'ambito dell'organizzazione mondiale del commercio.
Un aspetto che non viene però toccato in particolare da queste convenzioni è il riconoscimento dei
diritti morali connessi al diritto d'autore che incontreremo parlando invece del contenuto del
diritto d'autore che si distingue in diritti patrimoniali e in diritti morali dall'altro.

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DIRITTO DELLA PROPRIETÀ INTELLETTUALE- ZORZI

Dal punto di vista della disciplina nazionale, invece, fonte della disciplina interna del diritto
d'autore è principalmente la legge 633/1941. Questa legge è divisa in 3 titoli:
- I titolo: disposizioni sul diritto d'autore → diviso in diversi capi; il primo dei quali classifica
le opere protette poi va ad occuparsi dei soggetti del diritto, del contenuto e della durata del
diritto stesso.
- II titolo: disposizioni sui diritti connessi
- III titolo: disposizioni comuni.
Ricordiamo sempre che il contenuto del diritto d’autore si distingue in diritti patrimoniali e diritti
morali correlati al diritto d'autore.
Questa legge si occupa anche di norme particolari per alcune categorie di opere (come ad esempio i
programmi per elaboratori e le banche dati) e poi disciplina le eccezioni e limitazioni cioè delle
norme derogatorie che consentono le cosiddette libere utilizzazioni
Cominciamo col delineare la nozione di opera dell'ingegno a partire dai dati normativi.
Art. 2575 cc + art 1 della legge sul diritto d'autore definiscono proprio le opere che formano
oggetto del diritto d'autore come le opere di carattere creativo che appartengono ad ampie
categorie fenomenologiche e in particolare: alla letteratura, alla musica, alle arti figurative,
all’architettura, al teatro, alla cinematografia e qualunque ne sia la forma di espressione. Si
tratta di un elenco esemplificativo, che è stato poi arricchito nel tempo includendovi le opere
fotografiche, i programmi per elaboratore le banche dati, il disegno industriale… c'è stato
sostanzialmente un ampliamento non soltanto normativo ma anche da parte della giurisprudenza che
ha potuto così ricomprendere tutte le nuove tipologie di opere che presentano sostanzialmente gli
stessi caratteri di fondo delle opere previste espressamente dalla legge; accordando così tutela a tutti
quei nuovi tipi di opere. Quindi si può sostanzialmente ritenere che la nozione di opere dell'ingegno
sia una nozione ampia ed elastica che è suscettibile di tener conto dell'evoluzione della tecnica e
delle forme espressive (“qualunque ne sia la forma di espressione”)
Il perimetro della fattispecie è definito da:
• Dagli elenchi delle opere protette contenuti negli art. 1 e 2 della legge sul diritto d'autore (elenco
meramente esemplificativo);
• In negativo da quelle opere dell'ingegno e quelle creazioni che sono invece oggetto di diritti
connessi al diritto d'autore. In quanto, la nozione di opera dell'ingegno viene essa stessa
delimitata dalle disposizioni della legge sul diritto d'autore o di altre leggi speciali che tutelano
questi diritti connessi al diritto d’autore (es fonogrammi), che sono affini alle opere dell'ingegno
ma che vengono tutelate come diritti connessi e non come diritto d’autore.
• Da leggi speciali che proteggono creazioni attinenti al mondo della tecnica e in particolare alle
invenzioni industriali o alle novità vegetali, ai modelli di utilità, alle topografie… sono tutte
creazioni intellettuali che presuppongono delle indicazioni operative per la soluzione di problemi
tecnici che ineriscano la fabbricazione di prodotti e l'attuazione di processi industriali che
consentano di realizzare dei nuovi prodotti o di dar luogo a nuovi processi → questa attività
creativa richiede una nuova conoscenza dei rapporti di casualità e quindi presuppone un’idea
creativa che per essere comunicata richiede una rappresentazione del risultato voluto.
La tutela accordata alle invenzioni ha ad oggetto soltanto il risultato ottenibile e non la
rappresentazione, ed è in questo che si distingue la tutela per brevetto, dalla tutela per invenzione,
dalla tutela accordata dal diritto d’autore. La tutela del diritto d’autore a differenza di quella
brevettuale, di quella per invenzione, prescinde dal merito, cioè è la protezione che consiste nel
diritto esclusivo di comunicare ai terzi queste indicazioni riproducendo o comunicando gli iscritti
e i disegni che le descrivono (ma non comprende il diritto di attuare tali iscritti/disegni, ecco la
differenza con il brevetto); mentre la tutela per invenzione ha ad oggetto il risultato ottenibile e non

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la rappresentazione che se ne fa di essa. Quindi la tutela per invenzione, la tutela brevettuale e la


tutela del diritto d'autore si orientano a due contenuti totalmente diversi.
La protezione accordata dal diritto d'autore ha tendenzialmente ad oggetto l'opera in quanto
rappresentazione della realtà o l’espressione di opinioni, idee, giudizi e sentimenti; quindi, in linea
di principio il diritto di utilizzo esclusivo è limitato alla forma rappresentativa o espressiva e
non si estende al contenuto di informazioni, conoscenze, idee e opinioni che veicola. In
quest’ottica anche le opere che hanno un’esclusiva finalità pratica possono esservi ricomprese,
anche quando si espongono teorie o conoscenze scientifiche si può dare un apporto creativo, dato
magari non soltanto dalla forma espositiva, ma dal modo di argomentare, dalla struttura del
discorso, dalla scelta degli argomenti, ecc … → “forma interna”, in questo caso la tutela autoriale
ha ad oggetto proprio la forma espressiva e non quel contenuto quel patrimonio di conoscenze le
idee che invece possono essere liberamente esposte e, eventualmente, attuate o portate avanti da
altri.
Una distinzione, che ha carattere esemplificativo del fatto che il diritto di autore ha ad oggetto il
modo personale, creativo, di rappresentare la realtà da parte dell’autore (e non la realtà
rappresentata), è quella distinzione che fa leva su forma esterna, forma interna e contenuto:
‣ Forma esterna è sostanzialmente la forma con cui l'opera appare nella sua versione
originaria, es nelle opere letterarie = insieme di parole e di frasi, opere musicali = melodia,
ritmo.
‣ Forma interna facciamo riferimento alla struttura espositiva dell’opera (opera letteraria =
scelta argomenti, punti di vista, esposizione)
‣ Contenuto sono l'argomento, le informazioni, i fatti, le idee e le teorie in quanto tali, a
prescindere quindi dal particolare modo in cui sono scelti, coordinati ed esposti.
Il diritto d'autore tutela la forma esterna e la forma interna ma NON il contenuto.
Nella tutela accordata dal diritto d'autore, si difende il concetto di creatività che si manifesta
nella visione personale della realtà dell’autore. La distinzione tra forma e contenuto in concreto è
difficile da delineare. Si ritiene che il giudice debba, quando deve operare in concreto questa
distinzione, vedere se la forma e il contenuto sono sovrapponibili e se la forma di un'opera sia
sovrapponibile all'altra e si deve aver riguardo al fatto che siano riconoscibili gli stessi elementi di
forma.
NON sono suscettibili di protezione con il diritto d’autore le idee astratte, gli schemi astratti, sistemi
di giochi, schemi di format o spettacoli artistici o le trovate pubblicitarie.
Quanto al requisito del carattere creativo bisogna fare riferimento all'estremo della personale
rappresentazione della realtà da parte dell'autore, cioè l'opera per poter essere tutelata deve riflettere
il modo personale dell'autore di rappresentare ed esprimere fatti, sentimenti, idee cioè deve recare
l'impronta personale dell’autore→ originalità e di individualità dell'opera.
C’è da chiedersi se ai fini della protezione sia sufficiente l'originalità o se è anche richiesto
l'estremo della novità oggettiva. In Italia l'opinione maggioritaria è nel senso di richiedere anche la
novità oggettiva mentre all'estero si ritiene che sia sufficiente l’originalità. All’estero cioè si
sostiene che il diritto d’autore non ha l’effetto del brevetto di precludere ai terzi l’utilizzo di quanto
si sia creato in modo autonomo (no effetto di sbarramento), altrimenti una durata di così lunga
tutela potrebbe creare effetti distorsivi del mercato e monopolistici → quindi all’estero il caso di
doppia creazione (il cosiddetto incontro fortuito), il conflitto tra opere simili o uguali fra di loro →
il modo tipico di risolvere il problema negli ordinamenti di common low, in particolare nel diritto
inglese, consiste nel richiedere oltre all’originalità, tendenzialmente ridotta al fatto che l’opera deve
essere stata realizzata dall’autore e non deve essere stata copiata, si richiede che in più l’opera abbai
in sé che skills, judgement and labor cioè che l'opera abbia richiesto un’abilità, un giudizio e lavoro
da parte dell'autore stesso.
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DIRITTO DELLA PROPRIETÀ INTELLETTUALE- ZORZI

Queste affermazioni però sembrano essere quasi smentite da alcune tipologie di opere
tradizionalmente protette dal diritto d'autore, es: opere dell’architettura, è controverso stabilire se
alle opere di architettura possono essere assimilati progetti d’arredamenti interni, opere che pur
appartenendo al campo artistico hanno un forte carattere utilitario. La legge attribuisce all’architetto
il diritto esclusivo di attuare il progetto, questo sembra contraddire il concetto secondo cui la tutela
del diritto d’autore ha ad oggetto soltanto l’opera nella sua forma espressiva e non anche il
contenuto. In conclusione il principio è: la tutela ha ad oggetto soltanto le soluzione formali e
architettoniche che sono espressione della personale e creativa convenzione dell’architetto e che
NON sono necessarie per l’attuazione di alcuna funzione utilitaria.
Inoltre, mettono in crisi queste affermazione le opere dell’Industrial design (es: lampade, altri
oggetti di arredamento, utensili) in cui si vogliono realizzare forme che da un lato siano
esteticamente pregevoli ma che al tempo stesso siano aderenti alla funzione del prodotto e alle
esigenze che questo porta con sé. Questi caratteri non escludono mai l’apporto creativo del designer
che tende ad esprimere una convenzione personale creativa della forma del prodotto che però
rimanga conforme alla funzione del prodotto stesso. La tutela del design può però avere effetti
monopolistici sul mercato di questi prodotti, perché la tutela delle opere del design conferisce un
diritto di esclusiva su prodotti che hanno determinate caratteristiche formali ma esplicano e
rispondono anche ad esigenze funzionali. In particolare per il design vi era la tendenza, nel recente
passato, negli ordinamenti di vari paesi a proteggere queste opere soprattutto mediante l'istituto del
brevetto per modello ornamentale, escludendo sostanzialmente a tutela del diritto d'autore per
queste creazioni. Questa era la soluzione accolta fino a poco tempo fa dal nostro ordinamento, che
prevedeva il criterio della scindibilità, cioè considerava le opere tutelabili dal diritto d'autore
soltanto se il valore artistico fosse stato scindibile dal carattere industriale del prodotto al quale sono
associate; questo perché il criterio della scindibilità voleva limitare o escludere l'applicabilità del
diritto d'autore a tutte quelle opere strettamente connesse con la forma tridimensionale di prodotti
d’uso (opere del design industriale). Assunto del criterio della scindibilità: i disegni bidimensionali
sono sempre scindibili dal prodotto sul quale sono stati riprodotti. Situa mutata dal 2001 perché si è
data attuazione alla direttiva 9871 UE, che si proponeva di armonizzare le legislazioni degli Stati
membri in materia di modelli industriali e così uniformandosi all'art 17 di tale direttiva, il d. Lgs di
attuazione ha eliminato proprio dall’art 2 num. 4 della legge sul diritto d'autore il criterio della
scindibilità, aggiungendo all'elenco delle categorie di opere protette le opere del disegno industriale
che presentino di per sé carattere creativo e valore artistico (anche se non scindibili). In questo
senso ci si era ispirati al modello esistente in Germania allora; modello che poi è stato abbandonato
nel 2013 in favore appunto dell'opposto criterio. Permane una necessità poi di definire il disegno
industriale e di distinguerlo dalle opere delle arti figurative, quindi, occorre chiarire che la nostra
legge richiede un valore artistico del disegno industriale; e quindi necessario definire che cosa si
intenda per valore artistico: quello che importa è che l’opera sia idonea e abbia attitudine ad essere
apprezzata dal punto di vista estetico come espressione personale, originale, della personalità del
suo autore, non è necessario però che goda dall’approvazione degli esperti del design (= anche le
opere giudicate dagli esperti come kitsch possono presentare un valore artistico nel senso previsto
dall’art 2 della legge sul diritto d’autore, ciò però non toglie che il giudizio degli esperti possa
essere un criterio utile per accertare la presenza di questo requisito). Giurisprudenza di merito → il
valore del senso artistico debba di regola risultare proprio dal giudizio manifestato dalla collettività
di esperti, degli ambienti o delle istituzioni culturali e, in particolare, tramite il criterio della
esposizione in musei o in mostre qualificate delle opere di cui si richiede la tutela. Resta però il
fatto che il giudizio della generalità degli esperti ha un valore meramente iniziario, specie per quelle
opere per cui non si è ancora formato un pubblico di esperti.

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DIRITTO DELLA PROPRIETÀ INTELLETTUALE- ZORZI

Si erano posti dubbi anche in merito ai programmi per elaboratore, a seguito di un ampio e vivace
dibattito, prima nella giurisprudenza e poi in sede legislativa è prevalsa la soluzione favorevole ad
applicare anche ai programmi per elaboratore la tutela del diritto d'autore; in particolare si consideri
l’art 2 num. 8 che ha aggiunto i programmi per elaboratore, in qualsiasi forma espressi, purché
originali, quali risultato di creazione intellettuale dell’autore e le disposizioni specifiche particolari
previsti dagli artt. 64-bis e 64-quater.
Mentre le banche dati, art. 2 num. 9, che si distinguono dalle altre opere perché si tratta di raccolte
di info o di elementi che costituiscono una scelta/disposizione ben precisa, seguendo determinati
metodi da parte dell'autore delle stesse, in modo da consentire all'utilizzatore di accedere alle
singole info o l'insieme di informazioni contenute nelle banche dati. Le banche dati da un lato
rientrano sicuramente nelle nella nozione di opere collettive siccome definita dall'art 3 della legge
sul diritto d’autore, quindi tutte quelle opere costituite dalla riunione di opere o di parti di opera che
hanno un carattere di creazione autonoma; dall'altro lato si deve sottolineare come il carattere
creativo di queste banche dati risieda proprio nella scelta e nella disposizione del materiale che
compone la banca dati, tutte le banche dati sono connotate da un carattere creativo. Non sono
connotate da carattere creativo quelle che proponendosi di fornire tutte le info disponibili su un
determinato argomento, non attuano alcun tipo di selezione sui contenuti o presentano le info
secondo un ordine banale (es alfabetico, es elenco telefonico). Per le banche dati il nostro
ordinamento accorda una doppia tutela:
1. Tutela generale (quella quindi del diritto d'autore) a quelle banche dati che, per scelta o per
disposizione del materiale, costituiscono proprio una creazione dell'ingegno proprio del loro
autore, accordata dagli artt. 1 e 2 della legge sul diritto d’autore che ha ad oggetto proprio la
forma espressiva della creatività.
2. Tutela sui generis (quindi sotto forma di diritto connesso), della durata di 15 anni, a quelle
banche dati in cui il conseguimento, la verifica e la presentazione del contenuto abbia richiesto
un investimento rilevante sotto il profilo qualitativo e quantitativo. Come riportato dall’art. 102-
bis della legge sul diritto d’autore che tutela il contenuto informativo, cioè l'insieme delle info la
cui ricerca abbia richiesto un investimento rilevante.
Anche in altri casi si può accordare una tutela differente a seconda che si tratti ad esempio di opere
fotografiche o di fotografia, ossia si distingue ad es tra tutela autoriale accordata alle opere
fotografiche e tutela invece sui generis accordata con un semplice diritto connesso alla semplice
fotografie. Alla base della scelta di questa differente tutela vi erano delle ragioni attinenti alla
peculiarità del processo fotografico e all’importanza che la fotografia ha assunto come veicolo
dell’info. Occorre infatti considerare che con il processo fotografico le immagini vengono realizzate
come riproduzione meccanica del soggetto colto dall’obbiettivo da un lato, ma sono anche il
risultato delle scelte dell’attività preparatoria dell’autore (luci, posizione, messa a fuoco). Quindi
l’importanza della fotografia come veicolo della comunicazione conferma l'esigenza di una tutela
che da un lato sia limitata nel tempo e che non comporti degli ostacoli eccessivi alla circolazione e
all'utilizzo delle fotografie → ragione per cui ha un doppio livello di protezione: (1) del diritto
d’autore per le opere fotografiche (tutela generale) e (2) una tutela sui generis (diritto connesso) per
le fotografie. Fotografie di scritti, criteri, disegni tecnici, oggetti materiali o carte d’affari →
nessuna tutela (art 87 legge diritto d’autore). Difficile distinguere tra opera fotografica e mera
fotografia perché un minimo di elemento creativo vi è sempre.
CONTENUTO DEL DIRITTO D’AUTORE → distinzione tra i diritti patrimoniali e i diritti
morali.
In primo luogo, occorre sottolineare come ci si sia chiesti se si tratti di facoltà connesse ad un unico
diritto o se facciano capo a due distinti diritti: uno di carattere patrimoniale e l'altro, invece, a

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DIRITTO DELLA PROPRIETÀ INTELLETTUALE- ZORZI

carattere personale e se l'eventuale diritto unitario abbia eventualmente natura personale o


patrimoniale oppure mista. Si fronteggiano diverse teorie:
• Teoria monistica, che considera il diritto d’autore come un diritto unitario costituito da facoltà
patrimoniali e da facoltà personali strettamente connesse
• Teoria dualistica, che considera i diritti di utilizzazione economica e i diritti morali come
facoltà di due distinti diritti soggettivi aventi regime, natura diversi, in particolare: la titolarità,
la disponibilità e alla durata.
Per quello che concerne il diritto generale di utilizzazione economica dell'opera, la legge
attribuisce all'autore il diritto esclusivo di utilizzare economicamente lo opera in modo da poterne
ritrarre un guadagno diretto o indiretto. Utilizzazione economica = in prima battuta è l'attività
rivolta a consentire ai terzi la fruizione dell’opera, quindi quando l'opera sostanzialmente viene
messa a disposizione di altri in modo che essa possa essere usufruita nella sua forma
rappresentativa; non è però soluzione personale ai fini appunto dell'utilizzazione la lettura, la
visione e l'ascolto, ossia il diritto non può governare il godimento spirituale ma soltanto le premesse
economiche di tale godimento. Quindi il diritto d'autore riserva al titolare lo svolgimento di quelle
attività volte a consentire ai terzi la fruizione di tale di tale opere.
Non sempre però l'utilizzo dell'opera in ambito privato è sottratta all'esclusiva, perché appare
sempre più difficile mantenere la distinzione fra utilizzazione in pubblico e utilizzazione nei
rapporti privati non a scopo di lucro.
Tra i diritti di utilizzazione vige il principio di indipendenza sancito dall'art 19 della legge sul
diritto d'autore, che conclude proprio l'elenco dei diritti di utilizzazione prevedendo che i diritti
esclusivi sono fra di loro tutte indipendenti, vale a dire che l'esercizio di uno non esclude l'esercizio
esclusivo da parte degli altri; quindi, i singoli diritti possono essere sostanzialmente esercitati
separatamente. Questa disposizione è volta a favorire l'autonoma circolazione dei diritti
consentendo una migliore valorizzazione delle opere nell'interesse sia degli autori che del pubblico
e del mercato
Quali sono allora i diritti di utilizzazione che spettano in esclusiva al diritto d’autore?
1. Innanzitutto gli artt. 12 della legge sul diritto d'autore e 2567: prevedono e riconoscono all'autore
del diritto il diritto esclusivo di pubblicare l'opera, come un diritto distinto proprio da quello di
utilizzarla e di comunicarla in ogni forma e modo; vale a dire il diritto di rendere per la prima
volta accessibile al pubblico l'opera nel modo o nei modi di utilizzazione e quindi non soltanto
riproducendole in esemplari e ponendo questi in circolazione ma anche ad esempio
rappresentando l’opera.
2. Il diritto di riproduzione previsto dall’art. 13 legge sul diritto d'autore: inteso come fissazione su
supporto materiale e moltiplicazione di questi. Fissazione che può essere anche soltanto
temporanea. Il vero problema in questo caso risiede nella questione se rientra nel diritto
esclusivo di riproduzione la riproduzione privata ad uso personale. Il legislatore del 41
interveniva un po’ agli albori del fenomeno del digitale, difatti, l’art. 68 consentiva la
riproduzione di singole opere purché fosse fatta a mano con mezzi di riproduzione che non
fossero idonei allo spaccio o alla diffusione delle opere al pubblico; vietando d'altra parte la
cessione quindi la diffusione di dette copie nel pubblico e in genere ogni utilizzazione in
concorrenza con i diritti di utilizzazione economica riconosciuti in via esclusiva all’autore. La
difficoltà però nel controllo della riproduzione privata ad uso personale non ha tardato a
emergere e si è arrivati così a creare il sistema del prelievo che consiste:
i. Da un lato nel consentire, in deroga al diritto proprio esclusivo di riproduzione, una
riproduzione privata su qualunque supporto effettuata però dalla persona fisica per scopi
esclusivamente personali, quindi senza lucro e senza fini che siano direttamente o
indirettamente commerciali
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DIRITTO DELLA PROPRIETÀ INTELLETTUALE- ZORZI

ii. In secondo luogo, si compone di un consenso, autorizzazione, in deroga al diritto esclusivo di


produzione, per l'uso personale; l'onere per chi produce o importi nel territorio dello Stato
supporti di registrazione, audio, video o apparecchi destinati alla registrazione analogica-
digitale, quindi un obbligo di pagare un vero e proprio compenso che è commisurato alla
capacità di registrazione dei supporti o a una quota del prezzo del pagato dall'acquirente finale
iii.Terzo tassello, attribuzione alla SIAE del compito di esercitare collettivamente alcuni diritti di
utilizzazione e di riscuotere compensi ripartendoli poi fra le varie categorie di aventi diritto
sulla base di determinate proporzioni e fra i singoli aventi diritto in proporzione alla
presumibile riproduzione delle loro opere o delle loro prestazioni.
La soluzione ibrida adottata, invece, per le fotocopie è quella di limitare la riproduzione solo del
15% di ciascun volume o fascicolo di periodico, ponendo a carico poi dei responsabili dei centri
di riproduzione e delle biblioteche pubbliche l'obbligo di pagare correlativamente un compenso.
4. Diritto di distribuzione, vale a dire il diritto di mettere in commercio o in ogni caso a
disposizione del pubblico con qualsiasi mezzo l'opera o gli esemplari di essa. Con riferimento al
diritto di distribuzione vale il principio dell’esaurimento: il titolare non può porre limiti
territoriali o di canali distributivi alla circolazione dei prodotti messi in commercio con il proprio
consenso; vale a dire il diritto esclusivo di distribuzione si esaurisce relativamente a quegli
esemplari che possono essere rivenduti e circolare legittimamente in tutto il mercato. Il principio
dell'esaurimento costituisce il punto di equilibrio tra da un lato l'interesse del titolare a sfruttare
la capacità di assorbimento del mercato; dall'altro lato invece l'interesse collettivo alla libera
circolazione delle merci e al funzionamento del mercato dei prodotti. L'art 17, però, della legge
sul diritto d'autore escludeva l'esaurimento nei confronti degli esemplari che venivano messi in
commercio al di fuori del territorio dell’UE → In conformità a una tendenza protezionistica che
si è affermata un po’ nel diritto europeo con riguardo a tutti i diritti di proprietà intellettuale. Il
principio dell'esaurimento opera soltanto con riferimento al diritto di distribuzione.
Esistono anche degli altri diritti di utilizzazione economica che hanno carattere patrimoniale che
vengono riconosciuti dal legislatore, in particolare facciamo riferimento al diritto di noleggio e al
diritto di prestito
- Noleggio è disciplinato dall'art 18-bis della legge sul diritto d'autore: qualificato come il potere
di concedere in uso per un periodo di tempo limitato gli originali ovvero le copie delle opere ai
fini del conseguimento di un beneficio di natura economica o commerciale che possa essere
diretto o indiretto.
- Mentre se lo stesso potere viene invece esercitato per fini diversi dal conseguimento di un
beneficio economico siamo nell'ambito del prestito. La norma non opera con riferimento al
prestito effettuato fra privati. Occorre anche ricordare come l'art 69 consenta alle biblioteche il
prestito qualora esso sia eseguito da biblioteche dello Stato o degli enti pubblici per fini esclusivi
di promozione culturale e di studio personale.
I diritti noleggio e di prestito sono liberamente trasferibili, però è previsto in capo all'autore la
conservazione del diritto di ottenere un’eventuale remunerazione per il noleggio che sia concluso
appunto con terzi.
Il diritto di rappresentazione, di esecuzione e di recitazione previsto dall'art 15 della legge sul
diritto d'autore distingue appunto la rappresentazione che può avere ad oggetto scene drammatiche,
drammatico-musicali e coreografiche, caratterizzate da un'azione scenica che possa essere
suscettibile di rappresentazione. Invece, il diritto di esecuzione che ha ad oggetto sostanzialmente
opere musicali ed è semplice esecuzione musicale quindi non accompagnata da alcuna azione
scenica. Mentre il diritto di recitazione è la dizione di un'opera letteraria o drammatica non
accompagnata dall'azione scenica. La rappresentazione, esecuzione e recitazione sono riservati in
via esclusiva all'autore soltanto quando queste vengano in pubblico. Art 15 della legge sul diritto
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DIRITTO DELLA PROPRIETÀ INTELLETTUALE- ZORZI

d’autore → definizione di pubblico: non è considerata pubblica l’esecuzione, la rappresentazione o


la recitazione dell'opera entro la cerchia ordinaria della famiglia, del convitto, della scuola o
dell'istituto di ricovero purché non sia effettuata a scopo di lucro.
In alcuni casi la legge sul diritto d'autore attribuisce all'autore il diritto esercitabile erga omnes ad
un equo compenso.
Tra i diritti di utilizzazione economica rientra il diritto di elaborazione, art 18 della legge sul diritto
d’autore → diritto esclusivo di tradurre l'opera in un'altra lingua oppure rielaborarla in modo da
creare una elaborazione creativa ai sensi dell'articolo 4 della legge sul diritto d'autore
introducendone nell'opera qualsiasi modificazione. Diritto che spetta in via esclusiva all'autore;
viene attribuito all'autore il diritto di apportare all'opera una qualunque modificazione e non rileva
se questa modificazione sia tale da dare vita ad un'elaborazione creativa proteggibile ai sensi
dell'articolo 4, ossia può creare una nuova opera ma anche non creata. Viene applicato in maniera
rigida, infatti se viene ceduto il diritto di trarre da un'opera letteraria un'opera drammatica non è con
ciò ceduto anche il diritto di farne un'opera cinematografica. Ogni singola forma di elaborazione e
di rielaborazione richiede il consenso espresso dell'autore stesso.
DURATA diritti di utilizzazione economica dell’opera → la convenzione di Berlino del 1908
prevedeva la regola generale per cui la durata era tutta la vita dell'autore e un periodo di 50 anni
dopo la sua morte. Invece in Italia vale la regola per cui i diritti di utilizzazione durano tutta la vita
dell’autore e fino al 70° anno solare dopo la sua morte (in seguito alla quale i diritti vengono
esercitati dagli eredi) → dopodiché l’opera cade nel pubblico dominio.
‣ Un diverso principio vale soltanto per le opere anonime → 70 anni dalla prima pubblicazione, se
in questo arco di tempo l’autore diviene noto si applica il criterio base.
‣ Nel caso di opere in collaborazione (dove il contributo di ciascuno è inscindibile) la durata
cambia: decorre dalla morte del co-autore morto per ultimo. Mentre nelle opere collettive la
durata viene calcolata in modo separato in base alla vita di ciascuno dei partecipanti,
considerando l’opera come un tutto invece la copertura ha durata di 70 anni dalla prima
pubblicazione.
DIRITTI MORALI: Dai diritti a contenuto patrimoniale distinguiamo i diritti a contenuto morale,
i cosiddetti diritti personali.
Essi hanno una funzione residuale rispetto ai diritti patrimoniali → intesi a tutelare gli interessi
personali dell'autore; quindi la tutela dei diritti morali viene in considerazione essenzialmente nella
misura in cui l'autore abbia ceduto i diritti di utilizzazione e sia intesa a riservare all'autore un
controllo, per quanto limitato, sull'utilizzazione dell’opera, allo scopo di evitare che avvenga con
delle modalità tali da pregiudicare i suoi interessi personali anche dopo che l'autore si sia sfogliato
dei diritti di utilizzazione.
I diritti morali sono: inalienabili, personali e intrasmissibili.
Tuttavia l'autore può convenire che l'esercizio dei diritti morali possono essere esercitato anche in
via contrattuale, cioè l'autore potrebbe convenire ad es con l'editore che l'opera venga pubblicata
anonima o ad esempio con uno pseudonimo. In questi casi, però, l'autore conserverebbe pur sempre
il diritto di rivelarsi e gli aventi causa sono tenuti, nonostante qualunque precedente patto contrario,
a indicare il nome dell'autore nelle forme d'uso.
Quanto invece all'esercizio dei diritti morali dopo la morte dell'autore, l'art 23 legge sul diritto
d'autore prevede che in questo caso il diritto possa essere fatto valere senza limiti di tempo dal
coniuge e dei figli, in mancanza di questi dai genitori degli altri ascendenti e discendenti diretti, se
mancano gli ascendenti e discendenti dai fratelli e dalle sorelle o dai loro discendenti.
I diritti morali sono:
1. Diritto alla paternità dell'opera stessa → potere di rivendicare la paternità dell’opera stessa da
un lato ma anche come potere di disconoscere la paternità di una determinata opera. Non è
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DIRITTO DELLA PROPRIETÀ INTELLETTUALE- ZORZI

soggetto a deroghe, non può essere limitato per via pattizia ed è nullo l'accordo che attribuisca
falsamente la paternità di un'opera a una persona diversa dal suo autore. Questo tipo di diritto è
connesso al potere di pretendere l'indicazione della paternità nelle forme d’uso. Nel caso in cui la
mancata indicazione del nome degli autori è il risultato di un accordo, l'autore poi non potrà
pretendere che il nome venga menzionato nelle successive edizioni, ma conserverà il diritto di
dichiararsi autore del contenuto e di opporsi alle usurpazione da parte di altri.
2. Diritto alla integrità dell'opera stessa, ossia opporsi a qualsiasi deformazione, mutilazione,
modificazione e comunque in generale ad ogni atto compiuto a danno dell'opera stessa che
possano recare un pregiudizio all'onore o alla reputazione dell'autore medesimo. Es l'editore
rimane obbligato e il produrre deve porre in vendita l'opera in conformità all'originale e
comunque secondo le buone norme della tecnica editoriale, inoltre a non mutare senza gravi
motivi i principali interpreti dell'opera e comunque eseguire il contratto secondo i principi di
buona fede quindi disciplinati dall'articolo 1375, 1374, 1175 cc. Per alcune opere le
modificazioni sono necessarie (es: opere di architettura) per cui l'autore non può opporsi alle
modificazioni. L'art 41 LdA regola il potere di introdurre nell'articolo di giornale quelle
modificazioni di forme che vengono richieste dalla natura ed ai fini del giornale. Oppure in
riferimento alle opere cinematografiche è attribuita al produttore la possibilità di apportare alle
opere le modifiche necessarie per loro adattamento cinematografico.
3. Diritto di ritirare l'opera dal commercio
Tra i diritti morali sono ricompresi anche
4. Diritto di ritirare l’opera: (artt. 142 e 143) diritto di ritirare l'opera dal commercio quando
concorrano gravi ragioni morali recedendo con efficacia erga omnes da tutti i contratti con cui
con cui l'autore abbia disposto dei diritti di utilizzazione. Il diritto (come tutti gli altri diritti
morali) è inalienabile e irrinunciabile ma a differenza degli altri, dopo la morte dell'autore non
potrà essere esercitato dai familiari. Le gravi ragioni morali che potrebbero concorrere per
ritirare l'opera dal commercio potrebbero essere: mutamenti nelle convinzioni dell’autore, legate
a responsabilità di carattere civile o penale o a reazioni negative da parte del pubblico.
L'esercizio del diritto però comporta l'obbligo di indennizzare tutti coloro che hanno acquisito
diritto di riproduzione, di diffusione, di esecuzione e di rappresentazione dell'opera medesima;
questo indennizzo si trasforma e ha valore di un vero e proprio risarcimento del danno nella
versione del cosiddetto costante quindi nel mancato guadagno che si sarebbe potuto trarre dalla
utilizzazione dell'opera.
5. Diritto d’inedito: solo l’autore può decidere se e quando pubblicare l’opera.
La disciplina prevede anche alcune ipotesi di eccezioni o limitazioni del diritto di esclusiva, sono
le cosiddette LIBERE UTILIZZAZIONI che rappresentano il punto di equilibrio tra gli interessi
che sono tutelati dal diritto d'autore e altre ragioni a cui legislatore ha dato un peso tale da ritenere
che ci che possano essere altrettante eccezioni all'esclusiva accordata all'autore.
Tra le libere utilizzazioni, che sono tutte ritenute di stretta interpretazione, ricordiamo:
- le libere utilizzazioni in favore delle bande musicali dello Stato quando si tratta di eseguire pezzi
musicali o parti di opere musica,
- utilizzazione gratuita per uso personale di opera e materiali protette dal diritto d'autore a favore
di alcune associazioni di promozione sociale a per i soggetti con disabilità…
- un'altra eccezione è quella favore delle biblioteche (art 69), che consente le attività di prestito di
esemplari, in deroga al diritto esclusivo di prestito, e la riproduzione degli esemplari esistenti
nelle proprie collezioni senza alcun vantaggio economico commerciale diretto o indiretto. Quindi
alla biblioteca è consentita l'attività di prestito e si possono consentire a singoli individui, a scopo
di ricerca e di attività privata di studio, la consultazione delle opere e degli altri materiali protetti
esistenti nelle loro collezioni. Questa è una eccezione in deroga ai diritti esclusivi previsti dalla
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DIRITTO DELLA PROPRIETÀ INTELLETTUALE- ZORZI

legge sul diritto d'autore che opera in favore delle biblioteche perché legata a interessi
costituzionalmente quali la cultura.
LEZIONE 6/10/21
MARCHIO
Il marchio è il segno distintivo dei prodotti e dei servizi dell’impresa.
Trova disciplina nell’ordinamento nazionale, internazionale e comunitario.
Disciplina nazionale → Codice civile artt. 2569 e 2574 + Codice proprietà industriale, novellato
nel 2005, sostituendo la Legge Marchi 1942. La disciplina è stata modificata molte volte negli anni
in attuazione delle direttive comunitarie di armonizzazione e degli accordi internazionali in materia.
Marchio comunitario → istituito con Regolamento comunitario del 1993, oggi sostituito con
regolamento del 2009. Questa disciplina consente di ottenere con una procedura unica un marchio
unico, unitariamente regolato e tutelato in tutti i paesi dell’UE.
Ambito internazionale → Convenzione di Unione di Parigi 1883 per la protezione della proprietà
industriale + Accordo di Madrid, 1891, sulla registrazione internazionale dei marchi, integrato dal
protocollo di Madrid, 1989.
Queste normative riconoscono, tutte imperniate sull’istituto della registrazione nelle varie sedi e
livelli, al titolare del marchio, che risponda a determinati requisiti di validità, il diritto all’uso
esclusivo del marchio, permettendo al marchio stesso di assolvere alla propria funzione di
identificazione/differenziazione di prodotti similari esistenti sul mercato.
Il marchio è il primo dei segni distintivi che assolve nell’economia industriale, caratterizzata da
prodotti similari, alla funzione di distinguere il prodotto/servizio di una determinata impresa.
Art. 2569 cc: dalla registrazione di un nuovo marchio idoneo a distinguere prodotti/servizi discende
la definizione di marchio.
Art. 7 Codice proprietà industriale: possono essere registrati come marchio: certi segni, a
condizione che questi siano idonei a distinguere i prodotti/servizi di un’impresa da quelli di
un’altra.
Art 13 c.p.i: carattere distintivo del segno → elemento essenziale dello stesso, definendo in
negativo le hpi in cui manchi questa capacità distintiva.
Quindi il marchio è un segno distintivo idoneo a consentire ai consumatori di distinguere i prodotti/
servizi di un imprenditore da quelli simili di un altro → funzione: distintiva → a questa funzione
corrisponde la struttura del diritto sul marchio, che come ogni diritto su segno distintivo è un →
diritto di esclusiva.
I segni distintivi comunicano a chi li riceve un messaggio inerente alle caratteristiche dell’ente
contrassegnato consentendogli così di distinguerlo dagli altri oggetti del medesimo genere. Lo
stesso accade per il marchio che viene utilizzato con riferimento a determinati prodotti,
normalmente venendo fisicamente apposto sui prodotti o sulla confezione del prodotto stesso. Esso
consente, pertanto, di identificare quel prodotto dagli altri del medesimo genus, collegando quel
prodotto a particolari caratteristiche proprie del prodotto medesimo. Il messaggio varia a seconda
del tipo di marchio di cui si tratta.
Tipi di marchi: Es auto fiat panda → di solito le auto hanno un molteplicità di marchi (es fiat →
messaggio: vettura prodotto dall’omonima casa, panda → vettura che presente le caratteristiche
tecniche funzionale di quel dato prodotto contraddistinto), ogni marchio comunica con evidenza un
segno distintivo differente. Ci sono prodotti che possono recare anche 2/3 marchi, ciascuno con un
messaggio diverso. I tre messaggi si integrano al fine di fornire un mix di elementi informativi che
consentono al consumatore di distinguere il prodotto. Quelli generali (es fiat) figurano su tutti i
prodotti dell’impresa → MARCHI GENERALI (es ferrerò, Nestle), invece altri (es panda) figurano
solo su uno specifico/singolare prodotto → MARCHI SPECIALI (es Raffaello, Kinder). Questa

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DIRITTO DELLA PROPRIETÀ INTELLETTUALE- ZORZI

distinzione ha un’importanza notevole dal momento che la differenza di messaggio comunicato fa si


che la disciplina sia un po’ diversa.
Art 7 cpi: “possono costituire marchio registrato tutti i segni suscettibili di essere rappresentati
graficamente, in particolare: le parole, compresi i nomi di persona, i disegni, lettere, cifre, suoni,
forma prodotto o confezione di esso, combinazioni e tonalità cromatiche, purché idonei a
distinguere i prodotti/servizi dell’impresa da quelli di altre imprese”.
Il marchio quindi può essere costituito da:
1. Parole → M. DENOMINATIVI,
2. Figure/disegni → M. FIGURATIVI/EMBLEMATICI
3. Marchi anche MISTI: dati sia da parole che da figure (le parole possono essere anche inventate,
per le figure invece ci si riferisce a qualsiasi composizione grafica, sia raffigurativa sia astratta),
4. Numeri e lettere alfabeto (isolate o a gruppi che non siano fonemi, altrimenti si torna all’hpi
delle parole)
5. Forma e confezione del prodotto → marchi DI FORMA O TRIDIMENSIONALI. Problema che
si pone: compatibilità tra la protezione di questi marchi e il principio dell’estraneità del marchio
al prodotto e ancora di più della compatibilità tra questa protezione e la disciplina delle
innovazioni tecniche (invece suscettibili di brevettazione come invenzioni o come modelli di
utilità e quindi portano con sé una tutela limitata nel tempo, a differenza della tutela del
marchio). Tra le forme tridimensionali abbiamo: bottiglie di liquori, confezioni bottigliette
profumo, forma rossetti. Corte di giustizia: afferma l’esclusione di registrazione del marchio di
qualsiasi forma. Secondo la corte non è registrabile la forma, anche se il risultato tecnico di cui
trattasi possa essere conseguito tramite altre forme. Non ha considerato, in questo caso, la
disciplina dei modelli di utilità. Ma recentemente la corte ha ricalibrato la sua posizione →
affermando che l’impedimento in questione si applica tutte quelle volte in cui tutte le
caratteristiche essenziali della forma abbiano una funzione tecnica, mentre la presenza di
caratteristiche non essenziali prive di questa funzione tecnica sia irrilevante. E d’altra parte
afferma che non osta alla registrazione di una forma nella quale svolge un ruolo importante un
elemento non funzionale (es elemento ornamentale, di fantasia) dal momento che in tal caso le
imprese concorrenti hanno facilmente accesso a forme alternative che presentano funzionalità
equivalente, di modo che non sussiste un rischio di pregiudizio alla disponibilità della soluzione
tecnica.
6. Combinazioni e tonalità cromatiche → coloro del prodotto o di una parte di esso, e visto che
può accadere che il colore abbia un carattere funzionale si può ritenere che alla registrabilità di
esso come marchio si applichi sostanzialmente lo stesso principio che la Corte di giustizia
applica per le forme. Solo particolari sfumature possono essere registrate come marchio e non
anche i colori puri. La corte di giustizia subordina poi la registrabilità dei colori come marchi alla
identificazione degli stessi attraverso un codice di identificazione internazionalmente
riconosciuto ed esige che nella valutazione della capacità distintiva dello stesso si tenga conto
dell’interesse generale a non restringere indebitamente la disponibilità dei colori per tutti quegli
operatori che siano destinati a offrire prodotti/servizi del medesimo genere oggetto della
domanda di registrazione.
7. Suoni → con questo il legislatore forse si riferiva ai brevi temi musicali che possono essere
utilizzati come marchi in relazione a determinati prodotti nelle pubblicità televisiva o
radiotelevisiva. La registrazione avrà ad oggetto l’espressione del tema nel pentagramma e nelle
note, ma la tutela riguarderà l’espressione sonora. È più difficile dare una rappresentazione
grafica a quei marchi sonori che siano costituiti da rumori non traducibili in noti, che quindi non
possano essere portati nel pentagramma, es ruggito leone che introduce i film. In sede
comunitaria il problema è stato risolto consentendo la registrazione come marchi di rumori
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DIRITTO DELLA PROPRIETÀ INTELLETTUALE- ZORZI

descritti attraverso una registrazione elettronica del suono e di un grafico (sonogramma) che è
suscettibile di rappresentare graficamente anche suoni che non siano vere e proprie melodie.
L’elenco dei segni registrabili contenuto nell’art 7 è ritenuto NON tassativo → può ammettersi, in
linea di principio, anche la registrazione di marchi diversi da quelli menzionati, es marchi olfattivi
(profumi, odori), marchi gustativi. Per i marchi olfattivi la Corte di Giustizia ha negato la
registrabilità come marchio di una serie di servizi primo odore individuato mediante una formula
chimica e il deposito di un campione e le parole balsamico-fruttato con una leggere traccia di
cannella, in questo caso ha ritenuto che queste modalità di descrizione di questo particolare odore
non siano idonee a soddisfare il requisito della rappresentazione grafica del segno e quindi non ha
ritenuto ammissibile la registrabilità del segno. Settore moda e cosmesi: si vanno diffondendo e
vengono equiparati ai marchi tridimensionali e figurativi i cosiddetti M. Di POSIZIONE = segni,
bidimensionali o tridimensionali collocati in determinati punti del prodotto e che distinguono il
prodotto.
REQUISITI RICHIESTI PER LA VALIDITÀ DEL MARCHIO:
1. Capacità distintiva → si fa riferimento a quelle caratteristiche che il segno deve avere per
consentire agli occhi del pubblico di identificare una species di prodotto, quella ricollegata al
messaggio che il marchio vuole comunicare nell’ambito di un genus costituito dalla pluralità di
prodotti o servizi del medesimo tipo presenti sul mercato di riferimento. Capacità distintiva =
originalità, la cui mancanza si può verificare in una serie di hpi (art 13 cpi) → Non possono
essere registrati come marchi:
a. I segni privi di carattere distintivo.
b. I segni che alla data di deposito della domanda consistano in segni divenuti di uso comune nel
linguaggio corrente e negli usi costanti del commercio, in questo ambito si era solito far
rientrare anche le lettere dell’alfabeto e i numeri, questo perché si diceva che si tratta di segni
di uso generale nelle comunicazioni commerciali come indicazioni di tipo, serie, qualità,
dimensioni. Ma in realtà dalla mera appartenenza di un segno ai numeri o alle lettere, dice la
Cassazione (giurisprudenza di legittimità), non si può derivare la nullità del marchio in sé ma
è necessario dimostrarne l’uso comune in relazione al genere di prodotto cui sia riferito. Art
21, b cpi: non consente al titolare del segno di vietare ai terzi l’uso nelle attività economiche
di indicazioni relative alla specie, alla qualità, alla quantità, alla destinazione, al valore,
all’epoca di fabbricazione del prodotto, che costituiscono tutte indicazioni frequentemente
espresse proprio con lettere.
c. I segni costituti esclusivamente da denominazioni generiche di prodotti o servizi o da
indicazioni descrittive che ad essi si riferiscono, come i segni che in commercio possono
essere usati per designare quantità, specie, qualità, destinazione, valore, provenienza
geografica, epoca di fabbricazione del prodotto o della prestazione del servizio, e altre
categorie del prodotto o servizio. Si deve poi tener presente che l’adozione di marchi che
descrivano in una qualche maniera o che richiamino le caratteristiche del prodotto/il prodotto
in quanto tale o la sua designazione può rivestire per il titolare un’utilità notevole. Quindi ci
sono sul mercato molti marchi espressivi, es oransoda. In alcuni settori questi costituiscono
una grossa fetta di mercato (es benagol), in relazione a questi si potrebbe porre una
incompatibilità con l’art 13, b → normalmente risolto dalla Giurisprudenza con una
interpretazione indulgente: si ritiene sussista capacità distintiva se la denominazione generica
o l’indicazione descrittiva contenuta nel prodotto sia stata oggetto di una modificazione,
seppur modesta, e dotando per es di prefissi o suffissi il termine o tramite una combinazione
con altre parole in modo nuovo (es validi marchi “frutteria” per alcuni succhi di frutta). Altro
problema → devono considerarsi dotate di capacità distintiva le parole descrittive straniere →
potrebbero essere parole note, nel loro significato, al consumatore medio italiano e in tal caso
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DIRITTO DELLA PROPRIETÀ INTELLETTUALE- ZORZI

non potranno essere oggetto di marchio, in caso contrario invece si. Questo problema
potrebbe essere complicato dal fatto che in alcune zone del nostro paese si usano due lingue e
questo potrebbe creare qualche problema in più.
d. M. GEOGRAFICI → corte giustizia: non possono essere registrati i segni geografici idonei a
rivelare qualità e altre proprietà dei prodotti ma anche quelli idonei a suscitare sentimenti
positivi nei consumatori. Il caso è quello in cui il segno presenti già agli occhi degli ambienti
interessati un nesso con la categoria dei prodotti che contraddistingue o che esso possa essere
utilizzato in futuro dai produttori per indicare la provenienza geografica dei prodotti in
questione.
La capacità distintiva può anche variare nel tempo e la sussistenza di questo requisito va accertato
in riferimento al momento di deposito della domanda di registrazione del marchio → è l’originaria
mancanza che comporta l’impossibilità di registrazione. Ma la legge prevede anche la possibilità di
una sorta di riabilitazione di un marchio originariamente nullo per mancanza di capacità
distintiva, un marchio che al momento di deposito della domanda di registrazione era privo di
capacità distintiva ma che successivamente ha invece acquistato. Questa riabilitazione corrisponde
alla impossibilità di dichiarare nullo il marchio per mancanza di capacità distintiva, ex art. 13 cpi,
laddove si verifica che prima della proposizione della domanda di nullità il segno abbia acquistato
carattere distintivo a seguito dell’uso che ne sia stato fatto. Questo fenomeno è abbastanza diffuso
per alcuni servizi, es denominazioni sociali del servizio creditizio, mentre è più raro per i marchi di
prodotti che normalmente vanno incontro al fenomeno opposto: volgarizzazione del marchio.
Questo processo di riabilitazione dovrà essere conseguenza di una congrua durata di uso esclusivo
del segno in connessione con un singolo prodotto, supportato da un’ampia pubblicità e dovrebbe
concludersi con l’addizione nella percezione del pubblico di riferimento di un secondo specifico
significato del segno all’originario significato generico → Secondary meaning. A riguardo la
giurisprudenza della corte di giustizia richiede che il segno debba essere divenuto idoneo a
identificare il prodotto/servizio come proveniente da una determinata impresa agli occhi di una
frazione significativa del pubblico di riferimento. Per effettuare questa valutazione occorre fare
riferimento a elementi concreti: quota di mercato detenuta da quei particolari prodotti/servizi,
estensione geografica, durata uso del marchio, intensità, entità investimenti in pubblicità, %
consumatori che attraverso quel marchio identifica un prodotto/servizio come derivante da una certa
impresa. In realtà la legge estende anche la possibilità di riabilitazione ai marchi geografici nulli ai
sensi dell’art 13, 1 cpi → es riabilitazione nome gorgonzola, che oggi è anche oggetto di una
denominazione di origine protetta.
2. Requisito novità → (Art 12 cpi) Non possono costituire oggetto di registrazione i segni che siano
identici o simili a segni già noti come marchio o segno distintivo di prodotti/servizi che siano
fabbricati o messi in commercio o prestati da altri per prodotti/servizi identici o affini. Se in
ragione dell’identità o della somiglianza tra i segni o tra i prodotti/servizi possa ingenerarsi un
rischio di confusione per il pubblico o rischio di associazione tra i due segni. La legge considera
altresì noto anche il marchio che sia notoriamente conosciuto presso il pubblico interessato
secondo la Convenzione di Parigi per la protezione della proprietà industriale. L’uso antecedente
del marchio quando non sia tale da comportare notorietà dello stesso o comporti una notorietà
soltanto locale non elimina il requisito però della novità ma il soggetto che ne ha fatto un pre uso
avrà il diritto di continuare nell’uso del marchio nei limiti della diffusione locale, anche ai fini di
pubblicità, nonostante la registrazione del marchio. Il pre uso non è ostacolo alla registrazione.
Quindi a determinare la mancanza di novità di un marchio, in altre parole, non basta una
anteriore presenza sul mercato o un pre-uso del marchio/segno → ma deve trattarsi di un segno o
di un marchio che sia noto e dotato di una notorietà generale, non è necessario però che vi sia
una notorietà su tutto il territorio nazionale, la notorietà generale può essere anche solo locale
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DIRITTO DELLA PROPRIETÀ INTELLETTUALE- ZORZI

(hpi comunque ultimamente venuta meno per la grande mobilitazione dei consumatori e per i
grandi investimenti in pubblicità che vengono fatti nella moderna società). È poi possibile anche
la coesistenza dell’uso del pre utente e del registrante (art 2571 cc) → chi ha fatto uso di un
marchio non registrato ha la facoltà di continuare ad usarlo nonostante la registrazione da altri
ottenuta, nei limiti in cui anteriormente se ne è potuto avvalere. Correlativamente l’art 12, a cpi
→ l’uso anteriore del segno quando non importi notorietà di esso o importi notorietà puramente
locale non elimina la novità, ma colui che ne ha fatto un pre uso avrà diritto di continuare
nell’uso del marchio nei limiti della diffusione locale, nonostante la registrazione del marchio
stesso. Chi quindi registra un marchio in tale situa, si troverà costretto a dover tollerare la
condizione per cui il pre utente continuerà ad usare il marchio, potendo esigere soltanto che
l’utilizzo rimanga confinato, sia quantitativamente che territorialmente, nei limiti del pre uso, no
estensione del suo uso.
Corte giustizia → concetto di identità dei marchi: un segno deve considerarsi identico ad un altro
non soltanto quando riproduce senza modifiche ne aggiunte tutti gli elementi che costituiscono il
marchio, ma anche quando considerando complessivamente lo stesso esso contiene delle differenze
talmente insignificanti da poter passare inosservate agli occhi di un consumatore medio.
Art 12, e → NON sono nuovi e quindi non validamente registrabili i segni anticipati da un marchio
registrato anteriormente per prodotti/servizi anche non affini, quando il marchio anteriore goda di
rinomanza e quando l’uso del successivo trarrebbe senza giusto motivo/indebitamente vantaggio
dalla rinomanza/dal carattere distintivo del marchio/segno precedente o recherebbe pregiudizio
agli stessi → Norma che si ricollega a quella che estende la tutela del marchio che gode di
rinomanza, vietando l’uso a terzi, limitazione anche per prodotti non affini (art 20 cpi).
È prevista una sanatoria → convalida/consolidazione del marchio, art 28 cpi → il titolare di un
marchio di impresa anteriore e il titolare un diritto di pre uso che importi notorietà non puramente
locale, che abbiano durante 5 anni consecutivi tollerato l’uso di un marchio posteriore registrato
uguale o simile, non possono domandare la dichiarazione di nullità del marchio posteriore od
opporsi all’utilizzo dello stesso per prodotti/servizi per il quale il detto marchio è stato usato sulla
base del proprio marchio anteriore o sulla base del pre uso che se ne è fatto, salvo la malafede. E
allo stesso il titolare del marchio posteriore non può opporsi all’utilizzo del marchio anteriore o alla
continuazione del pre uso. Corte di giustizia: precisa che tra le condizioni della convalida vi sia
anche la circostanza che il titolare del marchio anteriore sia al corrente che il marchio posteriore è
stato registrato e viene usato dopo la sua registrazione. D’altra parte la Cassazione ha affermato che
la contestazione deve essere manifestata con una iniziativa giudiziaria (quindi iniziando con una
fase di nullità, contraffazione o presentando ricorso cautelare per l’inibitoria dell’uso del marchio),
iniziativa coltivata nei confronti del titolare del marchio posteriore e precisa che non è sufficiente
una mera contestazione che sia manifestata in un altro modo, magari stragiudiziale attraverso il
meccanismo della diffida.
3. Requisito liceità →non si tratta di un requisito unitario, ma vengono in rilievo diverse hpi
eterogenee tra loro, in particolare sono da considerarsi privi del requisito della liceità:
a. Segni contrari alla legge, all’ordine pubblico e al buon costume (comune senso del pudore,
così come specificato dalla giurisprudenza nell’interpretazione dell’art 529 del codice penale)
(art 14, a cpi): quindi adottando una formula corrispondente a quella che si ritrova per
l’illiceità del contratto.
b. Segni che corrispondono a stemmi e altri segni che vengono in rilievo nelle convenzioni
internazionali (nei casi e alle condizioni menzionati nelle convenzioni stesse) e quelli che
rivestono un interesse pubblico (art 10 cpi): questa norma rinvia sostanzialmente all’art 6
della Convenzione di Unione di Parigi in cui i Paesi hanno convenuto di ritenere invalidi i

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marchi che consistano negli stemmi, nelle bandiere e negli emblemi di stato dei Paesi stessi e
uguale per segni che hanno funzione di controllo o garanzia adottati dagli Stati.
c. Segni decettivi o ingannevoli (art 14, b): non possono costituire oggetto di marchio i segni
idonei a ingannare il pubblico, specie sulla qualità dei prodotti, o sulla loro provenienza
geografica, o sulla loro natura.

ACQUISTO DIRITTO
Art 19 cpi: “può ottenere la registrazione del marchio di impresa chi lo utilizza o chi si propone di
utilizzarlo nella fabbricazione o commercio di prodotti ovvero nella prestazione di servizi della
propria impresa o di imprese di cui abbia il controllo o che ne facciano uso con il suo consenso” →
quindi chiunque può validamente registrare un marchio e nel caso in cui lo ha registrato senza il
proposito di utilizzarlo e successivamente di fatto non lo utilizzi → sola sanzione: no nullità
registrazione ma si decadenza del marchio per non uso (art 24 cpi).
Anche le pa, le regioni e i comuni, e comunque gli enti locali possono ottenere la registrazione di
marchi (art 19 cpi), il decreto correttivo del 2010 ha integrato questa fattispecie disponendo che le
le pa possono registrare marchi aventi ad oggetto elementi grafici distintitivi tratti dal patrimonio
culturale, storico, architettonico o ambientale del territorio di riferimento. In questo caso i proventi
che derivino dallo sfruttamento del marchio a fini commerciali, compreso quello derivante da
concessione di licenza o per attività di merchandising, dovranno essere destinati al finanziamento di
attività istituzionali o eventualmente a copertura dei disavanzi pregressi dell’ente → possibilità
importanti per gli enti territoriali di promozione del proprio territorio/patrimonio, che si riflette poi
nella destinazione al finanziamento delle attività istituzionali o appunto alla copertura dei disavanzi.
Art 8 cpi: “I nomi di persona, diversi da quello di chi chiede la registrazione, possano essere
registrati come marchi, purché questo uso non sia suscettibile di ledere la fama, il decoro o il
credito di chi ha il diritto di portare questi nomi” + “L’ufficio brevetti ha la facoltà di subordinare
la registrazione proprio al consenso del titolare, in ogni caso però la registrazione non potrà
impedire a chi sia titolare del diritto al nome di farne uso nella ditta dalla sua prescelta, laddove ne
sussistano i requisiti dell’art 21” → in dottrina e giurisprudenza: posizione estrema: dovrebbe
ritenersi sempre lesiva per il decoro di una persona la stessa degradazione del suo nome da attributo
identificativo della persona (costituente un diritto della personalità) a uno strumento di
individuazione di prodotti. Ma utilizzando questa interpretazione si vanifica il principio posto dalla
norma, si toglie qualunque spazio di applicazione alla norma: utilizzo di un nome come marchio
sempre lesivo del credito, del decore di chi ha il diritto di portare il nome → sempre vietato,
impostazione che va contro il senso stesso della norma. Questa conclusione non è in contrasto
neppure con la tutela che viene accordata al diritto al nome dall’art 7 cc: “la persona alla quale si
contesta il diritto all’uso del proprio nome o che possa risentire di un pregiudizio dall’uso indebito
che altri ne faccia potrà chiedere in giudizio la cessazione del fatto lesivo e il risarcimento del
danno, laddove provato”. Giurisprudenza: ritiene che l’art 7 cc e l’art 8 cpi abbiano un diverso
contenuto precettivo e diverso ambito di applicazione. Mentre infatti il primo vieta da un lato non
un qualsiasi utilizzo del nome altrui, ma unicamente l’utilizzo posto in essere colmo di
identificazione personale, dall’altro lo vieta in relazione a qualsiasi tipo di pregiudizio, anche un
pregiudizio di natura meramente eventuale che possa derivare all’avente diritto di questo uso. Il
secondo invece dispone che l’imprenditore possa scegliere liberamente un nome di persona diverso
dal proprio come marchio del suo prodotto e prevede come eccezione a tale regola: il caso in cui
l’uso di questo marchio sia tale da poter ledere la fama, il credito o il decoro della persona che ha il
diritto di portare tale nome.
Art 8: “I ritratti di persone non possono essere registrati come marchi senza il consenso della
persona cui si riferisce il ritratto e dopo la loro morte senza il consenso dei discendenti o del
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coniuge non legalmente separato, o in mancanza dei genitori del soggetto, o eventualmente in
mancanza dei parenti fino al 4° grado incluso”. Questa norma in parte si sovrappone alla disciplina
dell’immagine, art 10 cc, e alla disciplina contenuta nella legge sul diritto di autore art 96, 97, infatti
questi artt vietano l’uso pubblico non autorizzato dell’immagine di altri quando non sia questo
utilizzo necessitato, giustificato dalla notorietà del soggetto o dall’ufficio pubblico ricoperto, da
necessità di giustizia o di polizia, perseguimento di reati, ovvero ancora da scopi scientifici,
didattici o culturali, o quando la riproduzione sia collegate in qualche maniera a cerimonie di
interesse pubblico, oppure a fatti, avvenimenti che si siano svolti nel contesto pubblico. Tutte
finalità che sono escluse quando l’utilizzazione dell’immagine altrui abbia, come il caso di
inserimento della stessa in un marchio, una finalità commerciale di lucro. Quindi anche per l’hpi di
registrazione del ritratto altrui come marchio da parte di soggetti non legittimati/a ciò autorizzati →
sanzione: nullità del marchio.
Regime di preclusione altrettanto severo → Art 8: segni notori: esemplificamente elencati dal
legislatore, quali serie di segni, in particolare: nomi di persona, segni usati in campo artistico,
letterario, scientifico, sportivo, politico, denominazione, sigle di manifestazioni e quelle di enti e
associazioni non aventi finalità economiche, nonché gli emblemi caratteristici di questi. Affermando
che questi segni se sono notori possono essere registrati e usati come marchio soltanto dall’avente
diritto o con il consenso di questi o dei soggetti di cui al comma 1.
In relazione ai soggetti che possono ottenere la registrazione la legge subordina la validità della
registrazione stessa anche ad un elemento soggettivo → art 19: “Non possono ottenere una valida
registrazione chi abbia fatto domanda in malafede”. Le hpi più tipiche quando la malafede può
sussistere sono disciplinate in luoghi specifici della normativa e quindi non rimane molto spazio per
l’applicazione di questa norma. È difficile, in altre parole, immaginare hpi diverse da quelle
considerate per la malafede. Es: caso di chi essendo a conoscenza del fatto che un concorrente sta
per registrare un marchio e che magari ha già predisposto gli strumenti per apporlo al prodotto, la
pubblicità per lanciarlo, una campagna di investimenti, si affretti a registrare il marchio a proprio
nome → qui la giurisprudenza sottolinea come la malafede nella registrazione del marchio, quale
autonoma causa di nullità della registrazione, rilevi quando la stessa registrazione intervenga
precedendo nel tempo chi già sta ponendo in essere un’attività preparatoria alla registrazione del
marchio, che non sia ancora sfociata nella costituzione di un diritto sul segni e si manifesta ad es
quando il depositante è a conoscenza dell’attività del terzo ovvero abbia abusato dei rapporti di
collaborazione, di fiducia, intercorrenti fra loro o abbia appunto registrato un marchio la cui
notorietà era in via di formazione. Corte di giustizia: l’intenzione di impedire ad un terzo di
commercializzare un prodotto può in alcune circostanze caratterizzare la malafede del richiedente,
in particolare laddove il marchio sia stato registrato senza l’intenzione di utilizzarlo ma unicamente
al fine di impedire che un terzo entri sul mercato.
PROCEDIMENTO REGISTRAZIONE ed ESAME
Si deposita una domanda rivolta all’Ufficio brevetti e marchi, direzione del Ministero dello sviluppo
economico, questa domanda può essere depositata anche presso le camere di commercio, industria e
artigianato e presso gli uffici e gli enti pubblici determinati con decreto ministeriale. Nella domanda
devono essere contenuti:
1.Identificativo del richiedente, o chi per lui agisca,
2.Eventuale rivendicazione di priorità
3.Riproduzione del marchio (nel caso di marchi raffigurativi la raffigurazione di essi),
4.Elenco dei prodotti/servizi che il marchio è destinato a contraddistinguere raggruppati secondo le
classi previste dalla legge.
Ogni domanda può avere ad oggetto un solo marchio.

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Una volta che l’ufficio ha ricevuto la domanda procede ad un esame sulla sua regolarità formale
→ poi esame sostanziale sull’esistenza di impedimenti assoluti alla registrazione (art 170 cpi).
Impedimenti = cause di nullità viste, assolute del marchio → esame che mira ad accertare se il
segno oggetto della domanda rientra nella categoria dell’art 7 (segni suscettibili di essere
rappresentati graficamente), se non rientra tra i segni divenuti di uso comune nel linguaggio
corrente o negli usi costanti del commercio, che sia lecito (non contrario alla legge, all’ordine
pubblico, al buon costume, che non sia segno decettivo), che non sia uno stemma, un segno
considerato alla stregua delle convenzioni internazionali o simbolo/emblema che rivesta un
interesse pubblico, che non si tratti del nome di una persona diversa del richiedente e che si tratti o
meno di un segno notorio.
Una volta terminato questo esame l’ufficio provvede alla pubblicazione della domanda che abbia
ritenuto registrabile nel Bollettino Ufficiale dei Marchi di impresa, previsto dal cpi all’art 187. È
da qui che decorre il termine di 3 mesi per la presentazione di eventuali opposizioni scritte,
motivate e documentate alla registrazione del marchio, opposizioni coltivate da chi vi ha interesse e
che si fondano sulla presenza di impedimenti relativi da parte di chi abbia un interesse a proporre
tali opposizioni.
Il codice prevede anche delle possibilità conciliative: dopo la verifica dell’ammissibilità
dell’opposizione, l’ufficio comunica l’opposizione al soggetto che ha domandato la registrazione
del marchio con avviso che viene comunicato anche all’opponente della possibilità di raggiungere
un accordo di conciliazione entro 2 mesi dalla data di comunicazione. 2 mesi che sono poi
prorogabili su istanza comune delle parti, per consentire un’ulteriore allungamento del tempo
necessario per un’eventuale conciliazione. La proroga può spingersi fino a un limite max di 1 anno.
Nel caso in cui non si raggiunga l’accordo → inizia la fase contenziosa del procedimento. La
domanda può essere posta anche solo in via cautelare, quindi laddove ci sia una verosimiglianza
della pretesa da parte di chi propone la domanda e il pericolo che nelle more del procedimento si
verifichi un qualche pregiudizio irreparabile che legittimi appunto a presentare una domanda
soltanto in via cautelare.
L’ufficio dei brevetti quindi conduce un esame che verte, laddove non ci sia un’opposizione, su una
parte dei requisiti di validità del segno, sulle condizioni di registrabilità. Mentre invece in caso di
opposizioni potrà anche vertere all’esistenza di registrazioni anteriori o aventi effetto da data
anteriore (art 12). Ma tendenzialmente non potrà mai vertere sull’esistenza di un pre uso del segno,
sia come marchio sia come ditta ai sensi dell’art 12, ne d’altra parte sull’efficacia invalidante di tipo
extra-merceologico che viene attribuita ai marchi anteriori che godono di rinomanza.
Il diritto di esclusiva, viene conferito dalla registrazione, ma ha efficacia ex tunc = decorre (gli
effetti si hanno) dalla data di deposito della domanda e perdurano per 10 anni, salvo rinnovo alla
scadenza, anche più volte, del titolare e dei suoi aventi causa. I diritti di esclusiva conferiti dalla
registrazione riguardano soltanto i prodotti/servizi indicati nella registrazione stessa (nella domanda
bisogna indicare anche i prodotti/servizi che si intende identificare con quel marchio e i prodotti/
servizi ad essi affini).
Tutela del diritto al marchio → in ambito comunitario vige il principio dell’esaurimento
comunitario, disciplinato dall’art 5 cpi: = le facoltà esclusive attribuite al titolare di un diritto di
proprietà industriale, quindi anche a chi possiede un marchio, sono destinate ad esaurirsi una volta
che i prodotti protetti da un diritto di proprietà industriale vengano messi in commercio nel
territorio dello stato o di uno stato UE o dello spazio economico europeo. Eccezione: questa
limitazione però non si applica quando sussistano dei motivi legittimi di opposizione all’ulteriore
commercializzazione dei prodotti, in particolare quando lo stato di questi è stato modificato o
alterato dopo la loro immissione in commercio → il titolare di un marchio registrato in uno stato
membro (es Italia) che sia titolare al contempo di un omologo marchio in un altro paese UE non
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potrà servirsi del marchio italiano per impedire l’importazione e la circolazione in Italia di prodotti
provenienti dall’altro paese dell’UE e che siano stati immessi lì in commercio da lui o da altri con il
suo consenso. Questo principio risponde alla necessità per cui il marchio non deve costituire uno
strumento per addivenire ad una separazione artificiosa dei mercati all’interno dell’UE. Il titolare si
può opporre all’ulteriore circolazione dei prodotti, secondo la Corte di Giustizia, anche quando le
modalità di vendita o di presentazione dei prodotti non siano ritenuti consoni alla reputazione o al
prestigio di cui il marchio eventualmente gode, o comunque quando non siano in linea con
l’immagine del titolare così come accreditata sul mercato. I diritti del titolare del marchio si
esauriscono anche quando il marchio è stato apposto a un prodotto posto in vendita dal titolare
stesso all’esterno dell’UE → Corte di giustizia: ha negato l’esaurimento, affermando che il titolare
può opporsi all’importazione nell’UE dei prodotti in questione. Una volta la corte affermava anche
che il consenso doveva essere espresso in maniera che esprima con certezza la volontà di rinunciare
al diritto di marchio e questa volontà risulta normalmente da una manifestazione espressa del
consenso, anche se non si può escludere in determinati casi che possa risultare tacitamente o da
elementi di circostanza anteriori o concomitanti o anche posteriori all’immissione in commercio al
di fuori del mercato europeo, che valutate dal giudice diffuso (nazionale) possano esprimere del pari
con una certa certezza una rinuncia del titolare al proprio diritto.
La tutela del diritto copre sostanzialmente alcune hpi che in via generale fanno riferimenti all’uso di
un segno identico per prodotti identici → rischio di confusione → sentenza Adidas e Interflora.
Marchi forti e marchi deboli
DEBOLI → si intende quei marchi in relazione ai quali bastano lievi varianti per escluderne la
violazione dovendo in qualche maniera restare a disposizione di chiunque l’uso dell’elemento
espressivo che ne costituisce il nucleo.
FORTI → marchi carenti di qualsiasi nesso significativo con i prodotti contraddistinti. Forti perché
la loro tutela è intesa e si estende al tipo al nucleo ideologico che il marchio esprime, sicché
costituirà illecito l’adozione di varianti e modificazioni anche notevoli del marchio forte quando
esse lasciano sussistere le idoneità sostanziali del tipo.
La forza di un marchio può essere acquisita anche in seguito alla sua registrazione, un marchio che
nasce come debole magari tramite la pubblicità può diventare forte.
Marchi DIFENSIVI: marchi che vengono depositati attorno ad un certo marchio (marchi Simi a
quello per il quale si chiede la tutela, che si discostano da esso per un certo elemento) per evitare la
confusione/confondibilità. Evitando che altri si avvicinino allo stesso in modo lecito creando
confusione. Vengono quindi depositati non per essere utilizzati ma per difendere il marchio
principale. La peculiarità di questi marchi è quella di sfuggire all’hpi di decadenza per non uso a
condizione (art 24 cpi) che il marchio principale venga utilizzato.
Marchio che gode di RINOMANZA: marchio per cui la legge prevede uno sfondamento del
requisito della novità concedendo una tutela che esorbita oltre il limite dell’identità o affinità tra
prodotti e servizi. Si attribuisce a questo marchio una tutela più ampia, nell’ipotesi in cui l’uso di un
segno simile da parte di terzi senza motivo consenta a questi di trarre indebitamente vantaggio dal
carattere distintivo o dalla rinomanza del marchio o rechi pregiudizio agli stessi. Corte di giustizia:
per applicare questa disciplina è sufficiente che il segno sia conosciuto da una parte significativa del
pubblico interessato, per accertare questa conoscenza il giudice diffuso deve prendere in
considerazione tutti gli elementi rilevanti del caso concreto, es: quota di mercato coperto dal
marchio, intensità in ambito geografico, durata del suo utilizzo e anche l’entità degli investimenti
che vengano fatti dall’impresa per la promozione del marchio stesso. Non è però richiesto che il
marchio sia conosciuto da una determinata % del pubblico. Secondo la giurisprudenza è necessario
che a causa della somiglianza tra i marchi il pubblico possa istituire un nesso tra il segno utilizzato

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dal terzo e il marchio che gode di rinomanza, un nesso che sia evocativo, che si instaura quando il
secondo segno nella mente del consumatore medio evochi il marchio rinomato → Caso Interflora.
ESTINZIONE DIRITTO
Cause di nullità: art 25 cpi: un marchio è nullo:
1. Se non corrisponde al tipo di segno indicato nell’art 7
2. Se non è nuovo ai sensi dell’art 12
3. Se in contrasto con gli artt 9, 10, 13, 14, 16 → aspetti liceità
4. Se è costituito da una forma imposta dalla natura del prodotto, funzionale, che da un valore
sostanziale al prodotto, se è costituito da uno stemma, un simbolo di interesse pubblico
5. Se manca il carattere distintivo
6. Se contrario all’ordine pubblico, alla legge pubblico, al buon costumo
7. Se decettivo
8. Se viola un altro diritto
9. Se domandato in malafede
10.Se in contrasto con art 8 → tutela nomi e ritratti altrui, segni notori
11.Se la registrazione effettuata a nome di chi non ne aveva diritto, art 118.
La legge prevede poi casi di decadenza del marchio:
1. Decadenza per non uso, art 24 cpi → se il marchio non viene utilizzato entro 5 anni dalla
registrazione o se l’uso viene interrotto per 5y consecutivi. La legge chiarisce che per evitare la
decadenza l’uso del marchio deve essere effettivo, non meramente simbolico o per quantitativi di
prodotto irrilevanti o sporadico. Ma l’uso può essere discontinuo o non generalizzato o locale.
L’uso per evitare questo tipo di decadenza deve essere effettuato dal titolare del marchio o con il
suo consenso. Giurisprudenza: uso idoneo ad evitare la decadenza: anche l’uso esclusivamente
pubblicitario. I 5y decorrano dalla data di registrazione del marchio, se si tratta di un marchio
internazionale che designa l’Italia i 5y partono da alcune date diverse dal momento della
registrazione che fanno riferimento al momento dell’ingresso del marchio stesso.
2. Esistono però casi in cui il non uso sia giustificato da motivi legittimi, in cui la decadenza non si
verifica. Casi di esclusione dalla decadenza per non uso. Problema: riempire di contenuti la
nozione di legittimo motivo che giustifichi il mancato uso. La corte di giustizia ha ritenuto che
sussistano motivi legittimi in circostanze tali da rendere l’uso del marchio oggettivamente
impossibile o irragionevole, motivi che siano comunque indipendenti dalla volontà del titolare.
Di solito non si considerano motivi legittimi la mancanza di mezzi finanziari o il fallimento
dell’imprenditore o del soggetto titolare del marchio. L’onere della prova in ordine alla
legittimità del motivo che abbia comportato il mancato uso del marchio è in capo al titolare che
affermi e che alleghi gli stessi e non sarà in ogni caso una prova semplice.
3. Volgarizzazione → marchio divenuto nel commercio per il fatto dell’attività/inattività del suo
titolare denominazione generica del prodotto/servizio o abbia comunque perduto la propria
capacità distintiva, ai sensi dell’art 14 cpi. Caso in cui un prodotto che era per qualche verso
nuovo riscuota talmente tanto successo di mercato sotto il marchio scelto per lui dal suo
produttore da giungere a identificare l’intera categoria, perdendo la propria capacità distintiva,
quella caratteristica originaria di denominazione specifica di prodotto proveniente da quel
determinato imprenditore (es Celofan, Biro). Per evitare la decadenza per volgarizzazione,
quando un segno comincia e diventare linguaggio denominazione generica di una determinata
categoria di prodotti il titolare dovrà attivarsi in tutti i modi possibili, reagendo sempre
all’utilizzo del proprio marchio da parte di terzi o alla menzione che se ne fa dello stesso nei
vocabolari e adoperando anche il marchio in maniera che questo sia sempre riconoscibile come
tale, es facendolo accompagnare sempre da ® (simbolo registrazione) o ricordando nella
pubblicità che si tratta di un marchio registrato.
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4. Decadenza per decettività del marchio → il marchio decade quando è divenuto idoneo ad
indurre in inganno il pubblico e in particolare in relazione alla natura, qualità o provenienza dei
prodotti/servizi ai quali si riferisce. Questo avviene a causa del modo o del contesto in cui è stato
usato dal titolare o con il suo consenso per i prodotti/servizi per i quali è registrato.
5. Altre hpi di decadenza legate a caratteristiche sopravvenute, es art 14, 2: contrarietà
sopravvenuta alla legge, all’ordine pubblico o al buon costume.
Anche la decadenza come la nullità può operare anche soltanto per una parte del marchio →
PARZIALE.
Fra le cause estintive del diritto al marchio: rinuncia del titolare dello stesso prevista dall’art 15
cpi.

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