Sei sulla pagina 1di 7

Le fonti del diritto amministrativo

Fonti del diritto italiano sono:


 la Costituzione (e le altre fonti di rango costituzionale);
 le fonti europee, ossia i Trattati istitutivi dell’Unione europea, i regolamenti, le direttive e le
decisioni;
 le fonti primarie, tra cui le leggi ordinarie dello Stato e gli atti aventi forza di legge (decreti
legislativi e decreti-legge);
 le fonti regionali (ad esempio, le leggi delle Regioni);
 le fonti secondarie, ossia regolamenti, ordinanze e Statuti;
 la consuetudine.
Vi sono, poi le fonti che vengono recepite all’interno del sistema nazionale in virtù
dell’appartenenza dell’Italia alla Comunità Internazionale. In tali casi sono necessarie specifiche
procedure interne di adattamento (si pensi, ad es., al procedimento con cui l’Italia si conforma ad un
Trattato internazionale).

Le fonti secondarie sono le fonti del diritto amministrativo


La categoria delle fonti secondarie comprende tutti gli atti espressione del potere normativo (o
autonomia normativa) della pubblica amministrazione statale (Governo, ministri, Prefetti etc.) o di
altri enti pubblici (enti territoriali ed altri enti).
Esse sono costituite da atti normativi (ossia idonei a innovare l’ordinamento) ma sono prive,
tuttavia, di efficacia legislativa nel senso «tecnico» del termine.
Si tratta, in pratica, di atti formalmente amministrativi (poiché adottati da una pubblica
amministrazione), anche se sostanzialmente normativi, che, rappresentando lo strumento normativo
tipico per orientare l’azione della P.A., costituiscono le fonti specifiche del diritto amministrativo.

Le fonti secondarie si distinguono in regolamenti, ordinanze e statuti e, in quanto atti


amministrativi, sono soggette alle leggi e a tutti gli atti di pari grado e forza.
Quindi esse:
 non possono derogare né contrastare con le norme costituzionali;
 non possono derogare né contrastare con tutti gli atti legislativi ordinari (fonti primarie):
perciò si dice che non hanno forza né valore di legge, ma solo forza normativa: cioè, non
possono equipararsi alle leggi, ma nei limiti di esse, hanno una loro forza giuridica quali
fonti di diritto;
 possono modificare le leggi ordinarie solo se una di queste abbia delegificato una materia,
autorizzando atti del potere esecutivo (di solito regolamenti) a disporre norme (in quella
materia) che hanno la stessa forza di quelle emanate con la legge.

Regolamenti
I regolamenti sono atti formalmente amministrativi, poiché emanati da organi del potere esecutivo
(cioè Governo, enti locali territoriali, enti autarchici, ed in certi casi anche da organi della P.A.), ed
aventi forza normativa, in quanto contenenti norme idonee ad innovare l'ordinamento giuridico, con
i caratteri di generalità ed astrattezza, quindi classificabili come fonti di produzione del diritto; in
questo risiede la differenza tra tali regolamenti e quelli adottabili dagli enti di diritto privato,
assimilabili ai regolamenti cd. interni.
Il fondamento della potestà regolamentare è riposto nella legge: gli organi amministrativi possono
emanare regolamenti solo quando una legge attribuisca loro tale potere.
Principale norma attributiva del potere regolamentare è data dall'art. 17 L. 400/1988 che, per
l'appunto, funge da clausola generale.
I regolamenti non possono:
- derogare o contrastare con la Costituzione, né con i principi in essa contenuti;
— derogare né contrastare con le leggi ordinarie, salvo che sia una legge ad attribuire loro il potere,
in un determinato settore e per un determinato caso, di innovare anche nell'ordine legislativo
(delegificando
la materia);
- regolamentare le materie riservate dalla Costituzione alla legge ordinaria o costituzionale (riserva
assoluta di legge);
- derogare al principio di irretroattività della legge (la legge, invece, può derogarvi, in quanto tale
principio e sancito dall'art. 11 disp. prel. al codice civile e, dunque, da una fonte di pari efficacia).
Sul punto, la giurisprudenza (Consiglio di Stato, ad. plen. 4-5-2012, n. 9) ha affermato che «un
regolamento legittimamente puo contenere una disciplina ad effetto retroattivo, purché tale
disciplina venga qualificata come di interpretazione autentica»;
- contenere sanzioni penali, per il principio della riserva di legge in materia penale (art. 25 Cost.);
- i regolamenti emanati da autorità inferiori non possono mai contrastare con i regolamenti emanati
da autorità gerarchicamente superiori;
- regolamentare istituti fondamentali dell'ordinamento.
b) Classificazione
1) A seconda dei soggetti pubblici che li emanano, i regolamenti si distinguono in:
- regolamenti statali, se vengono emanati da organi dello Stato; i regolamenti statali, a loro volta si
distinguono in:
- governativi, se deliberati dal Governo ai sensi della L. 400/1988;
— ministeriali, se emanati da singoli componenti del Governo o dal suo Presidente;
- non governativi, se emanati da autorità amministrative inferiori (Prefetto, comandante di porto
etc.). Tali regolamenti, a differenza di quelli governativi, hanno portata settoriale e la loro efficacia
è limitata al territorio nella cui sfera ha competenza l'autorita che li ha emanati;
- regolamenti non statali, se vengono emanati dagli enti territoriali, quali Regioni, Pro-vince,
Comuni e Città metropolitane. Possono anche essere emanati da altri enti od organi, quali Ordini e
Collegi professionali, Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura. La potestà
regolamentare è attribuita anche alle Autorità amministrative indipendenti, che sono enti od organi
pubblici dotati di sostanziale indipendenza dal
Governo e caratterizzati da autonomia organizzativa, finanziaria e contabile.
2) A seconda che siano destinati ad operare nell'ordinamento generale o in un ambito ristretto, i
regolamenti si distinguono in:
- regolamenti esterni: sono espressione del potere di supremazia di cui l'esecutivo dispone verso
tutti i cittadini e chiunque altro si trovi nel territorio dello Stato. Sono fonti del diritto e la loro
violazione costituisce violazione di legge;
- regolamenti interni: regolano l'organizzazione interna di un organo o di un ente, obbligando solo
coloro che fanno parte dell'ufficio, organo od ente. Sono espressioni del potere di autorganizzazione
dell'ente o dell'organo stesso, perciò non sono fonti del diritto e la loro violazione non costituisce
vizio dell'atto emanato dall'organo o ente, salvo casi eccezionali.
3) A seconda del contenuto, i regolamenti si distinguono in (art. 17 L. 400/1988):
- regolamenti di esecuzione (art. 17, comma 1, lett. a), destinati a specificare una disciplina di rango
legislativo con norme di dettaglio. Sono gli unici ammessi ad operare nell'ambito di una riserva
assoluta di legge;
regolamenti di attuazione e di integrazione (art. 17, comma 1, lett. b), volti a completare la trama di
principi fissati da leggi e decreti legislativi. Tali regolamenti non possono, tuttavia, regolare materie
riservate alla competenza regionale (per le quali il compito di specificare la legislazione statale di
principio spetta, ex art. 117 Cost., alle leggi regionali);
- regolamenti indipendenti: la lett. c), comma 1, dell'art. 17 della L. 400/1988 autorizza il Governo a
disciplinare materie in cui l'intervento di norme primarie non si sia ancora configurato, purché non
si tratti di materie soggette a riserva assoluta o relativa di legge;
- regolamenti di organizzazione (art. 17, comma 1, lett. d), che disciplinano l'organizzazione e il
funzionamento delle pubbliche amministrazioni secondo disposizioni dettate da legge, cui l'art. 97
Cost. riserva la disciplina di queste materie. Tale tipologia di regolamenti non gode di autonomia, in
quanto può avere natura esecutiva o attuativo-integrativa a seconda che la disciplina di rango
legislativo abbia maggiore o minore estensione;
regolamenti delegati o autorizzati, detti anche regolamenti di delegificazione (art.
17, comma 2), che sono emanati in base ad apposite leggi che autorizzano i regolamenti ad
introdurre una determinata disciplina di una specifica materia che andrà a sostituire quella di rango
legislativo che, pertanto, si ha per abrogata dal momento dell'entrata in vigore di quella
regolamentare.
Tale procedimento di delegificazione non è ammesso nelle materie coperte da riserva
assoluta di legge;
- regolamenti di riordino (art. 17, comma 4ter, introdotto dall'art. 5 L. 69/2009), con i quali si
provvede al periodico riordino delle disposizioni regolamentari vigenti, alla ricognizione di quelle
che sono state oggetto di abrogazione implicita e all'espressa abrogazione di quelle che hanno
esaurito la loro funzione o sono prive di effettivo contenuto normativo o sono comunque obsolete.
Ciò ai fini di una migliore conoscenza delle fonti normative secondarie.
Un'ulteriore ipotesi di regolamento è prevista dall'art. 30, co. 2, lett. c), L. 24 dicembre 2012, n. 234,
in base a cui la legge di delegazione europea, per l'adempimento degli obblighi derivanti
dall'appartenenza dell'italia all'Unione europea, reca disposizioni che autorizzano il Governo ad
attuare le direttive dell'Unione europea tramite regolamento (cd. regolamenti di attuazione delle
direttive dell'Unione europea).
c) Impugnabilità dei regolamenti
I regolamenti sono atti formalmente amministrativi e come tali possono essere impugnati innanzi al
T.A.R.
Ciò che, in concreto, ostacola la loro impugnabilità è il fatto che non ledono in via immediata la
sfera giuridica di un soggetto e, quindi, non sussiste (di solito) un concreto interesse a ricorrere da
parte del privato.
Pertanto, colui che ha interesse alla eliminazione di un regolamento o di una norma in esso
contenuta, non può impugnare di per sé il regolamento, ma l'atto emanato dalla P.A. in esecuzione
del regolamento, allorché tale atto venga a ledere direttamente la sua sfera giuridica. In occasione di
tale impugnazione, potrà impugnare congiuntamente anche il regolamento di cui l'atto lesivo è
applicazione (cd. doppia impugnativa).
In quei casi, invece, in cui il regolamento disponga anche in concreto e sia pertanto
immediatamente lesivo di una posizione soggettiva, di un amministrato è ammissibile l'impugnativa
diretta ed immediata del regolamento stesso.

Le ordinanze
Per ordinanze si intendono tutti quegli atti che creano obblighi o divieti ed in sostanza, quindi,
impongono ordini.
Le ordinanze, per essere fonti del diritto, devono avere carattere normativo, e cioè creare delle
statuizioni precettive generali ed astratte.
Esse non possono contrastare con la Costituzione e le leggi ordinarie e non possono mai contenere
norme penali.
La dottrina prospetta la seguente classificazione generale:
1) ordinanze previste dalla legge per casi ordinari;
2) ordinanze previste dalla legge per casi eccezionali di particolare gravità, in cui sarebbe
impossibile l'utilizzazione e l'osservanza delle norme ordinarie (bandi militari, ordinanze del
Prefetto, ordinanze eccezionali in caso di calamità pubbliche e catastrofi nazionali);
3) ordinanze di necessità ed urgenza o libere emanate per far fronte a situazioni di urgente necessità.
La legge attribuisce solo il potere, ma non prevede i casi concreti in cui esercitarlo ne pone limiti
precisi salvo quelli risultanti dalle leggi costituzionali e dai principi generali dell'ordinamento) al
contenuto di tali ordinanze (in tal senso si definiscono extra ordinem perché non possono essere
predeterminate nel contenuto e costituiscono un'eccezione al principio di tipicità del provvedimento
amministrativo).
Le ordinanze di necessità presentano i seguenti caratteri:
- sono atipiche, nel senso che per la loro emanazione la legge, che ne attribuisce il potere, fissa solo
i presupposti (necessità e urgenza), mentre lascia all'autorità amministrativa un'ampia sfera di
discrezionalità circa il loro contenuto;
- presuppongono il pericolo di un danno grave e l'indifferibilità dell'intervento urgente che
costituiscono presupposto di legittimità dell'ordinanza;
- sono straordinarie, nel senso che il ricorso ad esse è possibile solo ove la situazione di pericolo
non possa essere fronteggiata con atti tipici;
- la loro efficacia nel tempo è limitata, in quanto esse possono avere efficacia solo fin quando
perdura la necessità che ne ha legittimato l'emanazione;
- trovano fondamento esclusivamente nella legge;
- non possono, in nessun caso, derogare a norme costituzionali o ai principi generali
dell'ordinamento e disciplinare materie coperte da riserva assoluta di legge;
- debbono essere adeguatamente motivate (Corte cost., 14-4-1995, n. 127) e vanno pubblicizzate
con mezzi idonei laddove siano destinate ad avere efficacia nei confronti della generalità dei
soggetti
o di più soggetti determinati.
Proprio il contenuto atipico delle ordinanze di necessità ed urgenza ha indotto ad una riflessione
sulla loro natura giuridica e sul relativo regime di impugnazione.
Quanto al primo aspetto, alla tesi normativa, che pone l'accento sui caratteri della generalità e della
astrattezza e alla tesi amministrativa, che attribuisce loro una natura formalmente e sostanzialmente
amministrativa si è contrapposto un orientamento intermedio, oggi prevalente, secondo cui,
evitando generalizzazioni di sorta, la natura giuridica dell'ordinanza di necessità ed urgenza deve
essere desunta volta per volta dalle caratteristiche concrete dell'atto, verificandone in concreto il
contenuto e la portata.
Quanto al regime impugnatorio, le ordinanze extra ordinem, rinvenendo la propria fonte nella legge,
radicano la giurisdizione del giudice amministrativo quando sono illegittime, mentre sono oggetto
di cognizione del giudice ordinario in caso di adozione in carenza di potere (in astratto o in
concreto).

Gli Statuti degli enti pubblici


Per Statuto si intende un atto normativo avente come oggetto l'organizzazione dell'ente e le linee
fondamentali della sua attività. Lo Statuto è, quindi, espressione di una potestà organizzatoria a
carattere normativo, che può essere attribuita o allo stesso ente sulla cui organizzazione si statuisce
(in questo caso si parla di autonomia statutaria), oppure ad un organo o ente diverso (cd. etero-
Statuti).
Riprendendo quanto anticipato retro nella trattazione di Diritto costituzionale, ricordiamo, in
particolare:
- gli Statuti regionali (art. 114 Cost.): in seguito alla riforma dell'art. 123 Cost., introdotta dalla L.
cost. 1/1999, gli Statuti delle Regioni ordinarie sono leggi regionali rinforzate, cioè approvate con
un procedimento rafforzato (due deliberazioni successive adottate ad intervallo non minore di due
mesi ed eventuale sottoposizione a referendum popolare), non soggette ad alcun visto. Gli Statuti
delle Regioni speciali sono, invece, rivestiti della forma della legge costituzionale, adottata dal
Parlamento con la maggioranza di cui all'art. 138 Cost.;
- gli Statuti delle autonomie locali (art. 114 Cost.): art. 6 del D.Lgs. 267/2000 (Testo Unico degli
enti locali) ha riconosciuto espressamente agli enti locali la potestà di adottare un proprio Statuto.
Ai sensi dell'art. 114 Cost., anche le autonomie locali sono enti autonomi «con propri statuti, poteri
e funzioni secondo i principi fissati dalla Costituzione».
Hanno, infine, potestà statutaria molti enti pubblici. Di regola, gli Statuti di tali enti minori
- che possono avere carattere di norme interne - sono adottati dagli enti stessi ed approvati da un
ente superiore (Stato o Regione): tale approvazione ha la funzione di atto di controllo e condiziona
l'efficacia dello Statuto stesso.
Per quel che riguarda l'impugnazione degli Statuti, si applica, trattandosi di fonti formalmente
amministrative e sostanzialmente normative, il regime della doppia impugnativa (dello Statuto e
dell'atto esecutivo), illustrato relativamente ai regolamenti.
Parimenti, come rilevato per i regolamenti, l'atto amministrativo violativo della previsione
statutaria, attesa la forza normativa di quest'ultima, andrà considerato viziato per violazione di
legge.
Sembrano, infine, porsi anche per gli Statuti le problematiche poste in tema di regolamenti per
quanto afferisce alla disapplicabilità da parte del G.A.

Potrebbero piacerti anche