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L’ordine tra le fonti

È chiaro che tra le varie fonti del diritto deve esistere un ordine; è, infatti, necessario poter risolvere
ordinatamente i contrasti che possono verificarsi tra una norma e un’altra tra, derivati delle diverse fonti.

Ciò significa che, se di fatto si presentano contraddizioni, occorrono criteri per rimuoverle o risolverle, cioè
per risolvere le antinomie.

Occorre perciò determinare quale delle fonti in contrasto sia applicabile con riguardo agli atti e ai fatti che
ricadono sotto la disciplina del diritto. A questo scopo, esistono i seguenti criteri di risoluzione delle
antinomie:

- La gerarchia: la fonte di grado superiore prevale sulla fonte di grado inferiore


- La competenza: la fonte competente invalida quella incompetente
- Il “primato” del diritto europeo: la fonte europea rende inapplicabile la fonte nazionale

- La cronologia: la fonte successiva circoscrive temporalmente quella precedente

Il criterio gerarchico

La gerarchia determina tra le fonti un ordine verticale.


In base al principio di gerarchia, le fonti inferiori non possono contraddire quelle superiori, perché da
queste traggono la propria legittimità.

Ciò comporta che la fonte inferiore che contrasta con quella superiore è invalida de deve essere eliminata
dall’ordinamento per mezzo del suo annullamento.

I gradi gerarchici fondamentali sono tre, e comprendono rispettivamente:

- I grado, che comprende le norme costituzionali


- II grado, che comprende le norme legislative, anche dette primarie
- III grado, che comprende le norme regolamentari, dette anche secondarie

Sul primo grado si collocano la Costituzione e le leggi costituzionali; sul secondo, le leggi del Parlamento e
gli atti con forza di legge; sul terzo, i regolamenti del potere esecutivo.
Le riserve di legge

nel rapporto tra la legge e il regolamento: la legge vale più del regolamento e dunque il secondo non può
essere in contrasto con la prima. Questo principio ha una conseguenza molto importante: la linea di
confine tra la legge e il regolamento (cioè quanta parte della disciplina di una certa materia è collocata in
fonti primarie e quanta in fonti secondarie).

In numerosi casi, la Costituzione stabilisce un rapporto rigoroso tra legge e regolamento.


Ciò accade nel caso delle riserve di legge, vale a dire nel caso in cui la Costituzione stessa stabilisce che una
determinata materia debba essere regolata dalla legge e non dal regolamento: stabilisce cioè che la materia
deve essere “riservata” alla legge.

Le riserve di legge si distinguono in due categorie principali:

- Le riserve assolute si hanno quando la Costituzione impone al legislatore di regolare integralmente


la materia. Di conseguenza, in questo caso sono esclusi tutti i regolamenti.
- Le riserve relative si hanno quando la Costituzione richiede soltanto che la legge detti i criteri
generali di disciplina di una materia, e autorizza perciò a integrare tale disciplina per mezzo dei
regolamenti

Il criterio di competenza

La competenza rimanda ad un ordine orizzontale. È come se le diverse materie oggetto di regolazione


giuridica fossero distese su un piano e poi suddivise, in modo che una parte di tali materie spetti a una
fonte, un’altra parte a un’altra fonte, e così via. Tra una fonte e l’altra è così stabilita una linea di confine
che non deve essere superata.

La distribuzione delle materie tra le diverse fonti è fatta dalla Costituzione. Quindi, poiché la distribuzione
delle competenze è stabilita dalla Costituzione, qualsiasi fonte, legge compresa, che alterasse tale
distribuzione, sarebbe incostituzionale e tale dovrebbe essere dichiarata dalla Corte costituzionale.

Il primato del diritto europeo sul diritto nazionale

Nel rapporto tra ordinamento italiano e ordinamento europeo, vale in principio, già menzionato, del
“primato” del diritto europeo sul diritto nazionale.
Il criterio cronologico

L’abrogazione nasce da un rapporto di successione tra due norme entrambe valide, durante il tempo della
loro vigenza. Con l’abrogazione, si determina la fine del periodo di efficacia della norma. L’efficacia della
norma abrogata (vale a dire la sua capacità di produrre effetti giuridici) viene circoscritta al periodo di
tempo antecedente all’entrata in vigore della norma abrogatrice.

Un aspetto importante della successione delle norme nel tempo è che il criterio cronologico vale solo nei
rapporti tra fonti di pari grado gerarchico e appartenenti alla medesima competenza.

L’abrogazione può essere di tre tipi:

- Abrogazione espressa, si ha quando la norma successiva indica essa stessa le norme precedenti che
si intendono abrogate
- Abrogazione tacita, si ha quando la norma successiva è incompatibile con le norme precedenti
- Abrogazione implicita, si ha quando la normazione successiva disciplina l’intera materia già
regolata da norme precedenti

Retroattività e irretroattività

La legge non dispone che per l’avvenire, cioè non ha effetto retroattivo. Si tratta del principio generale di
irretroattività.

Irretroattività significa che la legge si applica soltanto ai casi successivi alla sua entrata in vigore. In casi
anteriori seguitano a essere regolati dalla legge precedente.

Per quanto importantissimo, il principio d’irretroattività, tuttavia, non è tassativo. Può essere derogato.
Esistono infatti leggi che, per esigenze particolari, invece di guardare al futuro, guardano al passato.
Essendo una fonte di portata generale, la singola legge che dispone retroattivamente si configura come
fonte speciale in deroga ad altra legge più generale.

La retroattività della legge è rigorosamente vietata in materia penale.

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