Sei sulla pagina 1di 8

B.

FONTI DEL DIRITTO


Sono fonti del diritto gli atti o i fatti considerati dall’ordinamento idonei a creare,
modificare o estinguere norme giuridiche. La fonte è il fatto o l’atto mediante
l’interpretazione del quale si determina la norma. Le fonti sono a loro volta
individuate da altre norme. Ogni norma è posta da una superiore.
GERARCHIA DELLE FONTI:
- Fonti costituzionali (costituzione, leggi costituzionali, sentenze di
accoglimento della corte)
- Fonti di diritto internazionale (consuetudini, trattati)
- Fonti di diritto dell’unione europea
- Fonti primarie (leggi ordinarie, decreti-legge, decreti legislativi, regolamenti)
- Fonti secondarie (regolamenti amministrativi)
- Fonti terziarie (consuetudini) e/o extra ordinem (codici etici, contratti collettivi
e atti negoziali)
La costituzione vigente è rigida, non può essere modificata da leggi ordinarie del
Parlamento: le fonti primarie, subordinate alla costituzione, devono avere un
fondamento costituzionale. La costituzione è al centro del sistema delle fonti:
assegna in modo diretto o indiretto a ciascuna altra fonte la propria funzione
normativa e dispone della “competenza della competenza”. La gerarchia indica la
forza attiva (capacità di creare, modificare o estinguere norme) e la forza passiva
(capacità di resistere all’abrogazione) della fonte. La competenza indica la materia o
il rapporto sul quale la fonte è abilitata a porre norme giuridiche. Dal punto di vista
della competenza non vi è rapporto gerarchico poiché ogni fonte è a sé, individuata
nella propria competenza separata dalle altre. I principi fondamentali operano a
prescindere dalla competenza. La combinazione di gerarchia e di competenza è
imposta dal vigente sistema delle fonti, nel quale l’unica fonte a competenza
generale è la legge ordinaria dello Stato, abilitata a regolare qualsiasi materia o
rapporto, salvo che dalla costituzione non si evince l’attribuzione di competenza ad
altre fonti. Fonti dello stesso rango hanno competenza specializzate: la legge
ordinaria e i regolamenti parlamentari hanno ad es., il medesimo rango gerarchico
ovvero fonti primarie, ma solo ai secondi è consentito disciplinare l’organizzazione
interna della camera e del senato. Anche il regolamento parlamentare non può
disciplinare altre materie, riservate alla legge ordinaria; il regolamento è fonte
primaria a competenza specializzata: primaria perché è la costituzione a istituirlo, a
competenza specializzata in quanto può operare solo sulla materia
dell’autorganizzazione di ciascuna camera. La gerarchia non risponde solo ad una
ragione di certezza formale dell’ordinamento per risolvere i conflitti tra le norme
poste da diverse fonti, ma è ispirata ad una logica sostanziale ovvero è lo strumento
mediante il quale il sistema normativo assicura l’attuazione dei propri principi. Lo
studio delle fonti riflette l’organizzazione politica dell’ordinamento, sia dal punto di
vista della definizione dei poteri sia da quello del valore politico delle procedure. I
poteri degli organi abilitati a emanare norme sono definiti mediante la sistemazione
delle fonti: le fonti primarie e secondarie esprimono i rapporti di separazione,
fiducia e controllo tra potere legislativo ed esecutivo. Il vigente sistema delle fonti
esige sia la gerarchia sia la competenza. I rapporti tra le fonti istituite richiamano, a
fianco della competenza, la gerarchia: vi è gerarchia ogni volta che una fonte è
condizione di validità di un’altra. Un nuovo fenomeno è quello delle linee guide, le
quali entrerebbero formalmente nel sistema delle fonti. Ulteriori difficoltà sorgono
dall’introduzione di criteri ordinatori diversi, non riconducibili alla gerarchia né alla
competenza: si tratta dei principi di sussidiarietà e cedevolezza. Secondo il criterio
della sussidiarietà verticale si attribuisce il potere normativa, in primo luogo, al
soggetto più vicino alla sede della decisione e, soltanto se esso non riesce a regolare
in modo adeguato la materia si consente l’intervento del livello superiore. ESEMPIO:
nei rapporti tra UE e stato nazionale, il potere normativo dell’UE (soggetto più
lontano) può essere esercitato soltanto quando gli obiettivi non sono essere
realizzati mediante l’esercizio del potere dello stato membro (soggetto più vicino).
Una situazione analoga si ha nei rapporti tra stato ed enti territoriali. Abbiamo
anche la sussidiarietà orizzontale tra privati e poteri pubblici nella realizzazione di
finalità sociali. Si discorre di cedevolezza per indicare il momentaneo svolgimento da
parte dello stato di competenze spettanti alle regioni, che cessa quando le regioni
esercitano i loro poteri normativi. Nel mondo globalizzato si assiste alla nascita di
fonti non più solo internazionali ma anche di fonti prodotte da centri privati, si
discorre di soft-law (diritto morbido).
Per identificare le fonti del diritto si ricorre a criteri formali e, in mancanza, a criteri
sostanziali. L’identificazione della fonte non va confusa con la sua validità: un atto è
fonte del diritto, se rispetta determinati criteri formali; è valido, se
costituzionalmente legittimo e se rispetta la gerarchia e la competenza. Sono criteri
formali la denominazione ufficiale dell’atto e il procedimento di approvazione. La
denominazione ufficiale è il criterio di identificazione della legge. Le fonti primarie si
identificano in base alla forma del procedimento: tutti gli atti del governo sono
adottati con decreto del presidente della repubblica, ma il governo ha potere di
normazione sia primaria (decreti legislativi e decreti-legge) sia secondaria
(regolamenti). Il decreto legislativo è adottato a seguito di una legge parlamentare
di delega (non può essere generica); il decreto-legge è adottato dal governo in
circostanze straordinarie di necessità e di urgenza senza una precedente legge di
delegazione e deve essere presentato alle camere il giorno stesso per la sua
conversione in legge. I decreti legislativi e i decreti-legge devono essere adottati con
il nome proprio e con l’indicazione, della legge di delegazione o delle circostanze
straordinarie di necessità e urgenza. Il regolamento governativo deve indicare il
parare (non vincolante, ma obbligatorio) del consiglio di stato. Anche per i
regolamenti governativi si richiede l’uso della denominazione ufficiale di
regolamento. In mancanza di criteri formali si ricorre a criteri sostanziali. Le norme
sono generali e astratte: generali perché il comando contenuto in una norma si
rivolge non ad un singolo individuo ma ad una collettività; astratte, poiché
prevedono un caso teorico, ipotetico che diventa concreto solo quando si verificano
effettivamente le condizioni da esse previste. La tesi della generalità e astrattezza è
smentita dalla presenza di “leggi provvedimento” che dispongono specifiche
situazioni. Anche l’imperatività e la coattività non sono caratteri necessari.
Al vertice nella gerarchia delle fonti c’è la costituzione che fonda l’ordinamento. Le
norme costituzionali (regole o principi) sono direttamente applicabili nei rapporti di
diritto civile. La legge ordinaria è subordinata alla costituzione. La costituzione è
rigida: può essere modificata solo con una maggioranza qualificata del parlamento.
La forma repubblicana non è modificabile da nessuna maggioranza. La Corte
costituzionale ha il compito di eliminare tutti gli atti aventi forza di legge che sono in
contrasto con i principi costituzionali. Il CODICE è una fonte del rango di legge
ordinaria contenente un insieme di proposizioni prescrittive raccolte in modo
coerente e sistematico al fine di disciplinare in maniera completa un settore. Oggi
vige il codice del 1942, pone al centro dell’attenzione l’impresa, l’attività produttiva,
la regolamentazione del lavoro, l’organizzazione della produzione, la forma politica e
giuridica dello stato. Si discorre di DECODIFICAZIONE ovvero di perdita della
centralità del Codice civile. Il rispetto dei valori e dei principi fondamentali della
repubblica è a garanzia di un corretto rapporto fra potere dello stato e poteri dei
gruppi, tra maggioranza e minoranza.
L’unione europea ha il compito di promuovere mediante l’istaurazione di un
mercato interno, di un’unione economica e monetaria e mediante l’attuazione delle
politiche e delle azioni comuni uno sviluppo sostenibile dell’Europa basato su una
crescita economica equilibrata e sulla stabilità dei prezzo, e sul progresso scientifico
e tecnologico sulla parità tra donne e uomini nel rispetto della ricchezza della
diversità culturale e linguistica del patrimonio culturale europeo e delle identità
nazionali degli stati membri; tutto ciò realizzando la libera circolazione delle merci,
delle persone, dei servizi e dei capitali, garantendo la libera concorrenza. Si è
costituito così un diritto dell’unione con proprie fonti. Le fonti dell’unione aventi
valore normativo prevalgono sulle leggi ordinarie e le altre fonti primarie, ma
devono rispettare i principi fondamentali della costituzione e dei diritti inalienabili
della persona umana. Il contrasto è controllato dalla Corte costituzionale, la quale
deve derogare al primato del diritto dell’UE disapplicandolo perché in contrasto con
principi fondamentali della costituzione. Il contrasto tra una normativa nazionale e
una normativa dell’UE comporta per il giudice il dovere di disapplicare la normativa
nazionale e di applicare quella dell’unione. I cittadini sono destinatari delle norme
europee e i giudici nazionali devono applicarle; le fonti dell’unione sono operanti sul
territorio nazionali e devono essere ordinate con tutte le altre fonti nazionali fino a
formare un unitario sistema italo-europeo. Le competenze dell’unione sono state
ampliate con il trattato di Maastricht del 1992, con il trattato di Amsterdam del
1997, con il trattato di Nizza del 2001 e con il trattato di Lisbona del 2007. La
delimitazione delle competenze dell’unione si fonda sul principio di attribuzione,
secondo il quale l’unione dispone solo di quei poteri che gli stati membri hanno
deciso di conferirle. L’unione ha cercato di espandere le proprie competenze. Si è
cercato di colmare le tensioni tra stati membri e unione attraverso l’introduzione dei
principi di sussidiarietà, di attribuzione e di leale collaborazione. Il principio di
sussidiarietà rappresenta il riconoscimento di una funzione europea di
coordinamento di attività che rimangono pur sempre nazionali. Meritano
attenzione:
 REGOLAMENTI: obbligatori in tutti i loro elementi, hanno portata generale e
sono direttamente applicabili in ciascuno stato membro
 DIRETTIVA: non è immediatamente applicabile ma richiede che ciascuno stato
la attui emanando norme interne corrispondenti. Se lo stato non recepisce
una direttiva è responsabile del danno che viene provocato al cittadino. Si è
individuata una categoria di direttive con efficacia diretta: quando sono
precise sono direttamente applicabili nei rapporti tra cittadino e autorità
statale (efficacia verticale); resta esclusa l’applicazione diretta nei rapporti tra
cittadini (efficacia orizzontale).
Un ruolo importante è stato assunto dalla corte di giustizia dell’UE e dalle corti
costituzionali dei paesi membri. Regolamenti e direttive con efficacia diretta
prevalgono sulle leggi ordinarie interne. La tutela europea opera congiuntamente
con quella nazionale, fermo restando che il potere sul contenuto essenziale dei
principi supremi della forma repubblicana resta alla Corte costituzionale. La
costituzione consente le limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che
assicuri la pace e la giustizia fra le nazioni. Anche se le fonti dell’unione non sono atti
dello stato, la Corte costituzionale italiana si è riservata il potere di valutarne la
costituzionalità. Alla corte di giustizia dell’UE spetta di curare l’uniformità di
interpretazione del diritto dell’unione; se in tale interpretazione la norma risulta
incostituzionale la Corte costituzionale deve rimuoverla dall’ordinamento giuridico
italiano. In gioco è il potere.
La direttiva applicabile direttamente pone problemi dal punto di vista della teoria
delle fonti. Dipende dall’interpretazione del giudice nazionale se la direttiva
costituisce una fonte del diritto rilevante nell’ordinamento interno idonea a
prevalere sulle fonti primarie nazionali. Se valuta la direttiva direttamente
applicabile, il giudice disapplica la legge ordinaria statale con essa contrastante; in
caso contrario applica la legge statale, interpretandola se possibile, in modo
conforme alla direttiva. Le direttive direttamente applicabili hanno forza normativa
(prevalenti sulle fonti primarie interne).
Fanno parte delle fonti primarie le leggi regionali, relative alle materie non
espressamente riservate alla legislazione dello stato. La corte costituzione ha
affermato che la legislazione regionale non può riguardare materie di diritto privato
dirette a salvaguardare l’unità dell’ordinamento e l’eguaglianza. La CONSUETUDINE
è una fonte-fatto; affinché un comportamento costante costituisca una
consuetudine occorre che sia tenuto nel convincimento della sua doverosità. La
consuetudine è fonte terziaria ed è subordinata alla legge e ai regolamenti. Nelle
materie regolate da leggi o da regolamenti le consuetudini hanno efficacia se da essi
richiamata (consuetudine secundum legem). La tradizione ammette la consuetudine
praeter legem, nelle materie non coperte da fonti primarie o secondarie. È
inammissibile la consuetudine contra legem ovvero in contrasto con una specifica
disposizione inderogabile o con un principio del sistema giuridico.
Le fonti di diritto internazionale erano originariamente destinate a disciplinare
unicamente i rapporti tra stati; avevano una rilevanza molto limitata nel diritto
civile. La situazione è cambiata fino ad arrivare ad oggi ad un diritto internazionale
che riguarda i rapporti civili in alcuni settori. Il diritto internazionale si compone di
fonti di diritto generale e particolare. Le prime possono essere applicate a tutti gli
stati, ma sono derogabili ad opera delle seconde, le quali vincolano gli stati che vi
aderiscono. Fanno eccezione le norme di diritto cogente, che costituisce l’insieme di
diritti ai quali gli stati non possono mai derogare. Le fonti di diritto internazionale si
dividono in:
 CONSUETUDINI: generate dalla costante e ripetuta applicazione di un
comportamento da parte degli stati
 PRINCIPI GENERALI DEL DIRITTO COMUNI AGLI ORDINAMENTI INTERNI:
principi che si trovano nella maggior parte degli ordinamenti interni e che
hanno trovato riconoscimento anche sul piano internazionale
 PRINCIPI GENERALI PROPRI DEL DIRITTO INTERNAZIONALE
Le norme internazionali particolari si identificano con i trattati internazionali
(fonti di terzo grado). La regola è che il rango delle fonti di diritto internazionale
nel diritto interno corrisponde a quello della norma di diritto interno. Le fonti di
diritto internazionale generale hanno un rango superiore alle fonti primarie,
assimilabile a quelle costituzionali. Le norme dei trattati solo solitamente
recepite attraverso leggi ordinarie; per la vigenza dei trattati sul territorio
nazionale è richiesto un atto-fonte di recepimento. Ci sono due ipotesi:
1. Nella prima ipotesi (ADATTAMENTO ORDINARIO) il recepimento ha luogo con
una o più leggi (o altre fonti del diritto), ciascuna delle quali ha il proprio
contenuto; se si rileva una difformità è la legge a prevalere sul trattato
2. Nella seconda ipotesi (ADATTAMENTO SPECIALE) la legge si limita a disporre
che piena e integrale esecuzione è data al trattato. Questo tipo di
meccanismo non è praticabile quando la norma internazionale da adattare
impone particolari procedure costituzionali; si deve procedere con
adattamento ordinario
Noto è l’articolo 117 della legge 3/2001, il quale vincola l’esercizio della potestà
legislativa statale e regionale al rispetto degli obblighi internazionali; l’intenzione
è di attribuire ai trattati un valore sovraordinato rispetto alle leggi ordinarie. Ciò
non vale per tutti i trattati ma solo per quanto riguarda i trattati in materia di
diritti umani. Particolare rilievo assume il sistema di protezione dei diritti umani
garantito dalla C.E.D.U.: rappresenta la possibilità che hanno gli individui di adire
la corte europea dei diritti dell’uomo per la salvaguardia dei diritti
convenzionalmente stabiliti. Al giudice ordinario non è consentito disapplicare le
norme interne contrarie agli obblighi internazionali, dovendo sempre far ricorso
al giudizio di costituzionalità.
Diritto nazionale, diritto europeo e diritto internazionale configurano un sistema,
unitario e aperto, nel quale regole e principi di diversa provenienza si integrano.
Prassi internazionali, convenzioni internazionali e norme dell’Unione europea
compongono il sistema ordinamentale vigente al quale il giudice è sottoposto in
virtù del principio di legalità. Corte costituzionale, corte di giustizia UE e corte
europea dei diritti dell’uomo si configurano come un articolato sistema
giurisprudenziale nel quale i giudici comuni dei singoli paesi membri sono
chiamati ad applicare il diritto sovranazionale. La pluralità di giurisdizioni implica
la necessaria individuazione delle funzioni attribuite a ciascuna di esse da
realizzare con leale collaborazione. Per quanto concerne i rapporti con il diritto
dell’Unione, la Corte costituzionale italiana è giunta ad una maggiore apertura
riconoscendo che i due ordinamenti, autonomi, sono coordinati secondo la
ripartizione delle competenze stabilite. Il giudice comune deve elaborare una
interpretazione che realizza “una prassi di integrazione intersistemica”: non
disapplicazione e/o non applicazione ma interpretazione secondo il diritto
dell’unione e sua applicazione anche in assenza di adeguate norme interne. Il
diritto nazionale prevale ogni qualvolta la sua applicazione conduce ad
un’interpretazione più ragionevole. Gli stati membri sono uniti dall’appartenenza
al medesimo complesso organismo, ma mantengono comunque profonde
differenze di tipo culturale e normativo. La Corte costituzionale attraverso alcune
pronunce ha effettuato alcune decisive mutazioni; la rigida separazione tra fonti
internazionali e nazionali è superata in favore della prevalenza del modello della
reciproca integrazione. Il giudice comune ha l’obbligo di procedere
all’interpretazione della norma interna in modo conforme alla disposizione
internazionale. Qualora ciò non sia possibile, il giudice nazionale deve investire la
Consulta della relativa questione di legittimità costituzionale. Alla corte europea
spetta decidere sul singolo caso e sul singolo diritto fondamentale; alle autorità
nazionali appartiene il dovere di evitare che la tutela di alcuni diritti fondamentali
si sviluppi in modo squilibrato.
Sono dette extra ordinem le fonti per le quali l’idoneità a produrre norme non è
stabilita in modo univoco da norme superiori. Questi atti produrrebbero norme
in quanto i comandi in essi contenuti sono rivolti non unicamente ai soggetti che
li hanno formati, ma anche a terzi. Sono rilevanti l’effettività e l’applicazione
generalizzata. La natura normativa dipende da un elemento sostanziale:
dall’essere il comando generale e astratto, non individuale e concreto. Generalità
e astrattezza non sono caratteri costanti né essenziali al concetto di norma. Di
alcune fonti extra ordinem non manca un riconoscimento normativo: ad esempio
i contratti collettivi ai quali una fonte primaria ha concesso una forza superiore a
quella di talune norme di legge. Occorre distinguere le fonti extra ordimen da
altri fatti o atti ai quali taluni conferiscono la qualità di fonti del diritto irriducibili
al sistema costituzionale: l’emergenza, la necessità e in genere ogni evento
rivoluzionario. Se è vero che una norma di grado inferiore può in alcuni casi
prevalere su una norma di grado superiore, vero è pure che bisogna limitare
l’uso; è a rischio di illegittimità, anche nei periodi di particolare emergenza,
l’utilizzo eccessivo e incontrollato dei decreti monocratici del Presidente del
Consiglio dei ministri.
I cambiamenti hanno caratterizzato la nostra società, hanno contribuito al
proliferare delle authorities alle quali sono state affidate funzioni di garanzia,
controllo e regolamentazione in materie di particolare importanza per lo sviluppo
dei rapporti giuridico-sociale: il mercato dei valori mobiliari (consob), la
concorrenza tra imprese. Molti gli interrogativi sulla natura e alle funzioni di tali
autorità: accanto al sospetto della loro illegittimità costituzionale, delicata è
anche la questione della dichiarata indipendenza, oggetto di frequenti dibattiti
dottrinali.
Il principio di legalità esige che il giudice sia sottoposto soltanto alla legge come
norma giuridica. Il giudice sarebbe vincolato al diritto vivente, non gli sarebbe
consentito deviare dall’interpretazione e applicazione che del diritto fanno le
corti superiori. La sentenza del giudice non è fonte del diritto. Il giudice non è
obbligato a seguire la medesima interpretazione che abbia di essa data in
precedenza un altro giudice in una fattispecie analoga a quella presente.
Importante è la ratio decidendi, ovvero il principio che rappresenta l’idea
argomentativa sulla quale si fonda la sentenza. Da non trascurare il ruolo che la
dottrina svolge. Piuttosto che accogliere qualsiasi sentenza la dottrina deve
valutare la ratio di ogni decisione.

Potrebbero piacerti anche