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Verso una disciplina contrattuale uniforme: il ‘diritto

europeo dei contratti’.

“Il compito della scienza è (...) quello di relativizzare e poi di


(..) esorcizzare (...) le contrapposizioni concettuali assurde”
(R. SACCO, Le fonti non scritte, Torino, 1999, p. 98).

Sommario: 1. Il "mercato unico" e la necessità di una disciplina dei contratti


unitaria tra uniformazione, armonizzazione ed unificazione delle regole giuridiche;
2. L’acquis communautaire ed il primo nucleo del diritto europeo dei contratti: la
tutela del consumatore; 3. Il panorama internazionale: la lex mercatoria, la
Convenzione di Vienna del 1980, i principi UNIDROIT; 4. Il progetto di un codice
europeo dei contratti; 5. La Commissione Lando e l’adozione dei PECL; 6. Il
progetto di codice del gruppo di lavoro di Pavia; 7. Osservazioni conclusive.

1. Il "mercato unico" e la necessità di una disciplina


dei contratti unitaria tra uniformazione, armonizzazione ed
unificazione delle regole giuridiche.

Tra i giuristi dell’Europa occidentale è ormai entrato nell’uso


comune il sintagma “diritto privato europeo”.
Con tale espressione, come esplicato in dottrina1, si allude alle
regole coniate dal diritto comunitario in materia civilistica e, per
quanto più strettamente inerente la nostra indagine, in materia

1
G. ALPA, Il diritto privato europeo: significato e confini del sintagma, in G. ALPA-
G. CAPILLI (a cura di), Lezioni di diritto privato europeo, Padova, 2007, p. 3 e ss.,
consultabile anche in “ASTRID – Rassegna”, Rivista elettronica quindicinale sui
problemi delle istituzioni e delle amministrazioni pubbliche, n. 18 del 2005, p. 1,
pubblicata sul sito web www.astrid-online.it. L’autore sottolinea come “in letteratura
si rivengono anche altre espressioni: per esempio, l’aggettivo “europeo” viene
assegnato al contenitore, piuttosto che non al contenuto, come accade per la
European Review of Private Law curata da E.H.Hondius e M.L. Storme; altre volte
si fa riferimento ad espressioni latine, come “scripta iuris europei” che si trova
impiegata da ERA-Forum, nel fascicolo 2-2002 dedicato al European Contract Law;
altre volte si usano espressioni che alludono alla convergenza degli ordinamenti,
come “ius commune casebooks on the Common law of Europe”, che dà il titolo alla
collana di volumi in cui è or ora apparsa la raccolta di Cases, Materials and Text on
Contract Law, di H.Beale, H.Hartkamp, H.Koetz, D.Tallon (Oxford e Portland,
Oregon, 2002); si fa riferimento anche ad un ius commune europaeum o ad un
novum ius commune europaeum che farebbe seguito al ius commune di origine
medievale e sarebbe il contraltare, sul piano dei rapporti tra privati, al ius publicum
europaeum di cui parlava Carl Schmitt nel suo capolavoro sul Nomos della Terra a
proposito delle origini del diritto internazionale pubblico e del diritto dei mari.
Oppure si parla di “new European Private Law” per indicare che il diritto privato nei
Paesi europei sta emergendo da una nuova cultura che si sta formando nel mondo
del diritto dell’Europa (Hesselink, The New European Private Law, Essays on the
Future of Private Law in Europe, The Hague, 2002). Ma si sono ormai diffuse anche
accezioni più circoscritte, riguardanti il raffronto di regole nei singoli settori del
diritto privato, come si propone da parte di alcuni studiosi tedeschi, le cui opere sono
state tradotte anche in lingua inglese: è il caso della European Contract Lawdi H.
Koetz e A. Flessner (Oxford, 1997) e di The Common European Law of Torts di
Ch.v.Bar (Oxford, 1998, 2000).

1
contrattuale, quale veste giuridico-formale del cosiddetto “spazio
economico comunitario”, sia sotto il profilo del diritto sostanziale,
ovvero lo spazio giuridico europeo, sia sotto il profilo del diritto
processuale, cosiddetto spazio giudiziario europeo2.
La letteratura in materia è orami sterminata. Dall’analisi dei
diversi contributi emergono diverse accezioni del sintagma in esame3
e, tuttavia, non si manca di sottolineare che nell’accezione più recente
il diritto privato europeo viene ad essere inteso come un corpus di
regole in cui si riconoscono le diverse esperienze dei Paesi
appartenenti all’Unione, diretto ad integrare, ovviamente in
conformità alla disciplina costituzionale dei singoli Stati membri, il
diritto pubblico europeo costituito dai principi costituzionali comuni,
dai principi dei Trattati, della Carta dei diritti fondamentali, e, quando
sarà definitiva, dalla Costituzione europea4.
La norma prodotta dagli organi comunitari volta a disciplinare
i rapporti tra privati, tuttavia, se non è contenuta nei Trattati o nei
Regolamenti5, non è immediatamente vincolante per gli Stati membri,
per cui potrebbe non essere recepita all’interno degli Stati membri
oppure essere recepita solo da alcuni di essi. In tal modo essa
finirebbe per perdere di effettività, ovvero, limiterebbe la propria
operatività soltanto ad alcuni ambiti del territorio comunitario6.
Questo inconveniente è stato uno dei principali moventi che ha portato
alla costituzione di commissioni internazionali il cui lavoro è
finalizzato all’elaborazione e, successiva, adozione di un codice
europeo dei contratti valido su tutto il territorio comunitario7.

2
ALPA, Il diritto privato europeo: significato e confini del sintagma, loc. cit.; S.M.
CARBONE, Lo spazio giudiziario europeo, Torino, 1997, passim.
3
Per l’analisi delle diverse accezioni assunte dalla locuzione nelle elaborazioni
dottrinali si veda ALPA, Il diritto privato europeo: significato e confini del sintagma,
cit., p. 3 e ss., ove si analizza anche la differente valenza che esse assumono a
seconda che il loro contenuto sia il prodotto di una analisi che muove dall’interno
oppure dall’esterno del fenomeno indagato.
4
ALPA, Il diritto privato europeo: significato e confini del sintagma, loc. cit., e dello
stesso autore Diritto dei consumatori, Roma-Bari, 2002, passim, ove si segnala che
in alcune esperienze si sta accentuando un fenomeno, seppure a livello ancora
indiziario, che sottolinea la pervasività della normativa di derivazione comunitaria al
di là dei suoi confini. Si pensi alla estensione della disciplina volta a tutelare i
consumatori nei rapporti con i professionisti anche a soggetti che non rivestono in
senso proprio la qualifica di “consumatore” ma sono o collettività che non
perseguono finalità di lucro e non svolgono attività economica in senso stretto o
professionisti in una posizione “debole” rispetto alla loro controparte.
5
Sia i Trattati che i Regolamenti, come noto, costituiscono fonte del diritto
comunitario dotata di efficacia diretta nell’ambito degli ordinamenti degli Stati
membri. Essi, infatti, sono direttamente applicabili e non necessitano di una
normativa interna di recepimento. Disciplinare, inoltre, una materia mediante
Regolamento comporta l’attribuzione alla Corte di giustizia della competenza
esclusiva in materia di interpretazione della norma comune.
6
G. BENACCHIO, Diritto privato delle Comunità europee, Padova, 2004, p. 13 e ss.
7
Appare opportuno sottolineare come esista una sottile distinzione terminologica e
concettuale tra la locuzione ‘diritto comunitario dei contratti’, di matrice legislativa
e giurisprudenziale che promana dagli organi comunitari e che deriva dalle
discipline di attuazione dei singoli Stati membri, collegato ad uno ordinamento
dotato di un proprio sistema sanzionatorio, e ‘diritto europeo dei contratti’, inteso
come complesso di norme che tende ad un approccio sistematico, ma è privo di un

2
L’esigenza di una disciplina unitaria, infatti, si è posta in una
con l’obiettivo di realizzare un “mercato interno unico” esteso all’area
geografica dei Paesi membri8. Lo stesso Trattato istitutivo della
Comunità europea9, del resto, prevede tra i compiti della stessa quello
di promuovere, mediante l’instaurazione di un mercato comune e di
un’unione economica e monetaria e mediante l’attuazione delle
politiche e delle azioni comuni, tra gli altri obiettivi, uno sviluppo
armonioso delle attività economiche ed una espansione continua ed
equilibrata delle stesse, una accresciuta stabilità, un miglioramento
sempre più rapido del tenore e della qualità della vita, la coesione
economica e sociale e la solidarietà tra gli Stati membri, al fine di
realizzare tra gli stessi una integrazione non solo economica, ma
anche politica e sociale10.
In un tale contesto non stupisce come il diverso trattamento cui
sono sottoposti i rapporti giuridici di diritto privato nei singoli
ordinamenti nazionali sia considerato di ostacolo alla realizzazione del
mercato unico, inteso come libero scambio di merci, servizi, capitali,
lavoro, all'interno dell'Unione. In un mercato fondato sulla libera
concorrenza, infatti, tutti gli operatori, benché appartenenti ad
ordinamenti giuridici diversi, devono essere posti sullo stesso piano e
devono poter competere, sul mercato medesimo, in condizioni di
parità.

ordinamento specifico di riferimento, munito di effettività e di un proprio sistema


sanzionatorio.
8
Nell’ambito dei venticinque ordinamenti facenti parte della Comunità europea si
assiste ad una lenta ma progressiva affermazione di modelli e soluzioni giuridiche
uniformi. Per una riflessione sul punto di rinvia a BENACCHIO, Diritto privato delle
Comunità europee, cit., p. 3 e, successivamente, p. 169 e ss.
9
Ci si riferisce al Trattato istitutivo della Comunità economica europea, siglato a
Roma il 25 marzo del 1957 ed entrato in vigore il 1° gennaio 1958, successivamente
modificato dai Trattati di Amsterdam del 2 ottobre 1997, di Nizza del 26 febbraio
2001 e dal Trattato sull’Unione europea, noto come Trattato di Maastricht, entrato in
vigore il 1° novembre 1993. Quest’ultimo, rispetto ai precedenti Trattati, presenta
una portata indiscutibilmente innovativa: il titolo II dedicato, appunto, alle
modifiche del trattato di Roma del 1957, appare chiaramente ispirato dalla volontà
di non limitare l’azione della Comunità alle sole relazioni economiche tra gli Stati
membri, bensì di estenderla anche ad altri campi, sin a quel momento, considerati di
esclusiva competenza degli stessi quali l’instaurazione di una unione economica e
monetaria, di una cittadinanza europea, l’affermazione del principio di sussidiarietà,
l’ampliamento delle politiche poste in essere dalla comunità e la revisione dei poteri
degli organi comunitari. Queste strategie sono finalizzate al raggiungimento di una
unificazione degli Stati membri, non più esclusivamente economica ma anche
politica e monetaria.
10
G. TESAURO, Diritto comunitario, Padova, 2003, passim, il quale rileva come
l’obiettivo fondamentale delle Comunità sia quello di porre le basi di una unione
sempre più stretta tra i popoli europei, anche mediante l’abbattimento delle barriere
doganali e delle frontiere. In quest’ottica il Trattato diviene, con le varie modifiche
attuate nel corso degli anni, strumento dell’integrazione europea fino all’Atto unico
e al Trattato di Maastricht, con la prefigurazione, insieme e oltre al mercato interno e
all’unione economica e monetaria, di una vera e propria Unione europea. Si vedano
pure, in merito, i contributi di T BALLARINO, Manuale breve di diritto dell’Unione
Europea, Padova, 2004; L. DANIELE, Diritto dell’Unione Europea, Milano, 2004; U.
DRAETTA, Elementi di diritto dell’Unione Europea, Milano, 2004; V. GUIZZI,
Manuale di diritto e politica dell’Unione Europea, Napoli, 2003.

3
Perché possa parlarsi di mercato unico, si osserva11, non ci si
può limitare alla asserzione di astratti principi, quali la libertà di
stabilimento o la libera prestazione di servizi, ma occorre che si
elaborino regole uniformi nelle varie materie interessate dal
fenomeno, come in tema di contratti, di clausole vessatorie o di diritto
di recesso.
Vi è, dunque, come sottolineato in dottrina12, una stretta
correlazione tra attività economica e forme giuridiche, data la valenza
funzionale delle ultime che per loro natura dovrebbero essere adattate
alle esigenze del mercato e non porsi quale <<costo transattivo>> di
ostacolo alla conclusione di affari13.
In tal senso sembra muoversi, del resto, l'iniziativa della
Comunità, rivolta com’è a favorire il mercato pur senza pervenire alla
conclusione che le regole giuridiche debbano per loro natura
<<mimare>> le regole economiche14.
Il diritto unitario dei contratti viene, dunque, ad essere un
elemento costitutivo del mercato unico poiché regole tra loro
contrastanti nei diversi Paesi dell'Unione si porrebbero come una vera
e propria restrizione del mercato stesso. Di qui la necessità di
uniformare le regole giuridiche dei paesi membri o, quantomeno, di
armonizzare quelle diverse regole che sono necessarie a creare una
base comune e uniforme che permetta di porre su un piano di effettiva
parità gli operatori e le imprese15.

11
BENACCHIO, Diritto privato delle Comunità europee, cit., p. 32, G. CHINÈ, Il
diritto contrattuale europeo: riflessioni a margine di un tentativo di ricostruzione
sistematica, in G. ALPA-G. CAPILLI, Lezioni di diritto privato europeo, Padova,
2007, p.276.
12
ALPA, Il diritto privato europeo: significato e confini del sintagma, cit., p. 11; L.J.
CONSTANTINESCO, Il metodo comparativo, Torino, 2000, p. L.
13
G. ALPA Lineamenti di diritto contrattuale, in AA.VV., Diritto privato
comparato, Bari, 2005, p. 253; A. DI MAJO, I <<Principles>> dei contratti
commerciali internazionali tra civil law e common law, in Riv. dir. civ., 1995, I, p.
609 e ss., ove si osserva come un buon diritto dei contratti deve dare relativa
sicurezza alle parti che il rispettivo intento verrà correttamente interpretato, non solo
dalla controparte, ma anche dai terzi chiamati a giudicare in caso di conflitto.
Qualora, inoltre, venisse a mancare la collaborazione devono essere previsti rimedi
per la parte adempiente che le consentano di ottenere lo stesso risultato previsto, o
uno analogo, così da giustificare l’investimento effettuato nell’operazione e, in
ultima analisi, la copertura del danno subito.
14
AA. VV., Analisi economica del diritto privato, Milano, 1998, passim, ove si
analizzano compiutamente le posizioni e gli indirizzi dei fautori dell’analisi
economica del diritto.
15
Contra G. BELLANTUONO, Diritto comunitario e diritto dei contratti:
armonizzazione o diversificazione?, in R. PARDOLESI (a cura di), Saggi di diritto
privato europeo: persona, proprietà, contratto, responsabilità civile privative,
Napoli, 1995, p. 95, il quale sottolinea come l’analisi economica mostri che la
pluralità degli ordinamenti giuridici non è in grado di condizionare le iniziative
economiche transnazionali fino a quando il costo dell’adattamento può essere
agevolmente governato senza accesivi oneri. La spinta a favore dei diversi progetti
di armonizzazione o unificazione del diritto dei contratti proviene, dunque, non tanto
dagli economisti, poiché l’esistenza di regole diverse è compatibile con un mercato
perfettamente integrato, quanto da coloro che vi individuano il mezzo attraverso il
quale far progredire l’integrazione politica. Critica la scelta uniformatrice anche P.
LEGRAND, Against a European Civil Code, in 60 MLR 44, 1997, richiamato da V.
ZENO-ZENCOVICH, Il <<codice civile europeo>>, le tradizioni giuridiche nazionali
e il neo-positivismo, in Foro it., 1998, V, p. 60 e ss., secondo il quale, a parte le

4
L’esigenza di disciplinare, in funzione della migliore
realizzazione del mercato unico, in maniera uniforme i rapporti civili e
in particolare quelli contrattuali, è alla base e spesso adottata come
giustificazione dell'intervento della Comunità nel settore generale del
diritto privato16. Per legittimare e giustificare l'iniziativa comunitaria,
anzi, e per renderla compatibile con il principio di sussidiarietà si fa
ricorso alle norme di cui agli articoli 100 e 100 A del Trattato CEE,
che attribuiscono al Consiglio la competenza ad emanare direttive
volte al ravvicinamento delle <<disposizioni legislative, regolamentari
ed amministrative agli Stati membri che abbiano una incidenza diretta
sull'instaurazione o sul funzionamento del mercato comune>>17.

insopprimibili differenze tra common law e civil law che ostano all’adozione di un
codice comune, il pluralismo giuridico europeo costituisce un valore da tutelare.
16
L’elaborazione di un diritto privato europeo, sia che si avalli la bontà del metodo
di intervento delle direttive frastagliate che del più ambizioso progetto di un vero e
proprio codice equoreo dei contratti, presuppone una riflessione sui rapporti tra
Europa e diritto, in considerazione dei diversi significati che può assumere
l’espressione diritto europeo. Si parla, infatti, di diritto europeo della storia, riferito
alla tradizione ed alla civiltà europea nonché alla cultura giuridica di essa; di un
diritto europeo delle istituzioni comunitarie, riferendosi a quel filone di diritto
comunitario, a sua volta scindibile in due branche, quella sostanzialista, più
direttamente connessa all’esigenza di una disciplina uniforme o convergente di
determinati settori e rapporti e quella internazionalprivatista, intesa ad appianare casi
di conflitto di leggi. Nell’ambito di questo diritto ‘positivo’ europeo, si distingue, di
poi, il caso di un intervento normativo a livello europeo, che pone in essere una
disciplina uniforme, in aggiunta oppure in sostituzione alle differenti discipline
nazionali, e l’ipotesi in cui l’intervento normativo europeo si attua al fine di rendere
tra loro compatibili le varie discipline nazionali, armonizzandole sulla base di un
formato europeo, a cui esse dovranno adeguarsi, senza quindi creare un nuovo
regime che si affianchi o sostituisca alle legislazioni interne degli Stati membri. Si
parla, ancora, di un diritto europeo della comparazione e della prassi, risultante, per
certi versi in termini di ibridazione, per altri di circolazione di modelli o di
commistione di concetti, regole e principi, dall’amalgama di fonti comunitarie e di
diritto nazionale ed operante sul piano della prassi, della legislazione, e della scienza
giuridica. Sotto quest’ultimo aspetto si pensi al ruolo e all’opera della
giurisprudenza, sia comunitaria che nazionale; nonché al ruolo della formazione
universitaria e postuniversitaria, e a quello connesso della letteratura giuridica. Si
pensi, inoltre, al mondo degli affari, e degli ambienti e interessi connessi a questo,
capace di formare usi generalmente praticati, alla maniera di una nuova lex
mercatoria di carattere transnazionale, oppure di influire, attraverso un’azione di
lobbying, su normative esistenti o di modellarne delle nuove. Per un’indagine più
approfondita del problema si rinvia al contributo di L. MOCCIA, Dal ‘mercato’ alla
‘cittadinanza’: ovvero dei possibili itinerari di diritto privato europeo, in Riv. trim.
dir. proc. civ., 2003, p. 398 ss. affronta un aspetto particolare del rapporto tra il
diritto europeo dei contratti e la struttura del mercato unico G. BELLANTUONO,
Diritto europeo dei contratti e regolazione delle pubblic utilities, in Liuc Papers n.
133, Serie Etica, Diritto ed Economia, 9 ottobre 2003, p. 1 e ss.
17
La Comunità europea, tuttavia, ha sovranità solo nelle materie di propria
competenza, pertanto, l’intervento degli organi comunitari non potrebbe estendersi,
ad esempio, alle materie afferenti ai rapporti relativi alla famiglia, alle successioni o
alla proprietà, mentre, vi sono inclusi i rapporti obbligatori, comprensivi dei contratti
e dell'atto illecito, della negotiorum gestio, delle restituzioni e dei rimedi risarcitori.
Rientrano, inoltre, nella competenza degli organi comunitari i rapporti inerenti il
commercio e le società. Amplius ALPA, Il diritto privato europeo: significato e
confini del sintagma, cit., p.11, e dello stesso autore Lineamenti di diritto
contrattuale, cit., p. 216; CASTRONOVO, Il contratto e l’idea di codificazione nei
Principi di diritto europeo dei contratti, cit., p. 4; F. CARUSO, Armonizzazione dei
diritti e delle legislazioni nella comunità europea, in Enc. giur. Treccani., Roma,

5
Molti giuristi, inoltre, ritengono che la possibile soluzione al
problema dell’unificazione giuridica debba essere lasciata alla <<via
del mercato>>18.
Questo spazio geografico e giuridico comune potrebbe essere
individuato alla luce del nuovo concetto di cittadinanza europea, che
non è solo un utopico valore ma risulta determinante per il processo di
unificazione19. Il Trattato dell’Unione europea, infatti, pur concependo

1993, p. 2 ove si sottolinea che il Trattato istitutivo della Comunità europea non
prevede affatto che il processo di unificazione giuridica riguardi gli ordinamenti
statali nella loro totalità ma solo i settori riservati alla competenza comunitaria. Per
le materie per le quali gli Stati membri conservano la libertà di legiferare senza
alcun vincolo le rispettive legislazioni nazionali si possono armonizzare con la
normativa comunitaria, qualora tali divergenze abbiano un’incidenza negativa sul
funzionamento del mercato unico. Armonizzazione, tuttavia, non vuol dire che esse
debbano essere sostituite da una disciplina univoca ma solo che siano eliminate le
divergenze più significative.
18
Ex multis si veda L. MOCCIA, La prospettiva della ‘cittadinanza dell’Unione’
come base giuridica per una codificazione europea di diritto privato, in La cittad.
europ., 2002, f. 2, p. 321 ss. Altri autori, in particolare si veda N. REICH,
Competition between Legal Orders: a new paradigm of EC law?, in Common
Market Law Review, 1992, p.861 e J. TRACHTMANN, International Regulatory
Competition, Externalization and Jurisdiction, in Harward International Law
Journal, 1993, p. 47, hanno sottolineato come le diverse discipline esistenti tra gli
Stati membri avrebbero l'effetto di aumentare la competizione all' interno del
mercato e quindi non rappresenterebbero un ostacolo alla realizzazione del mercato
unico. Sarebbero insomma le stesse regole economiche ad indirizzare verso una
disciplina uniforme.
19
MOCCIA, Dal’ mercato’ alla ‘cittadinanza’:ovvero dei possibili itinerari di diritto
privato europeo, cit., p.399, Osserva l’autore che la cittadinanza europea può essere
concepita come sinonimo di una pluralità di spazi complementari, tra loro
interconnessi e situati al di fuori dello schema della territorialità statuale. Come
fosse una dotazione di soggettività aggiuntiva, se non alternativa, nella libera
determinazione del singolo, cittadino europeo, di avvalersene nell’ambito di
specifici rapporti giuridici con altri soggetti, cittadini europei a loro volta. Una
dotazione la quale fa riferimento a una dimensione di regole e principi comuni,
concernenti la disciplina e la tutela di attività economico-sociali che si esplicano
bensì nella sfera interstatale, ovvero di rapporti transfrontalieri, ma nell’ambito di
uno spazio comune: lo spazio di libertà, sicurezza e giustizia, come viene definito
dai trattati, quello in cui si colloca e opera la cittadinanza dell’Unione. Si sottolinea,
inoltre,come sia, semanticamente quanto giuridicamente, rilevante che il Trattato
sull’Unione usi la parola ‘spazio’ per designare quell’abbozzo di società civile
europea in formazione attorno alla libera circolazione e al mercato unico. La
rilevanza sta precisamente in ciò che, essendo il territorio ancora troppo legato
all’idea di nazione, questa idea di spazio, da un lato, vale a conferire al diritto
privato europeo una sua dimensione, appunto, extraterritoriale e quindi sovra-
nazionale o meglio trans-nazionale, dall’altro, fa però dell’Europa, cioè dell’Unione,
uno spazio appunto regolato dal diritto. Uno spazio, come detto, dove tende a
scomparire la nozione di ‘straniero’, mentre si afferma il principio di non
discriminazione in base alla nazionalità; e che oggi si arricchisce dei principi e diritti
fondamentali della Carta incorporati nel nuovo trattato costituzionale. In questo
spazio, che è quindi politico-ideale e culturale, prima ancora che fisico, il vantaggio
del riferimento alla cittadinanza dell’Unione è dato proprio dalla sua caratteristica
intrinseca di “complemento della cittadinanza nazionale”, come recita l’art. 17 del
Trattato CE. Un concetto, questo, mantenuto e rafforzato per effetto del suo
inserimento nel trattato costituzionale. Invero, l’assunzione della cittadinanza
dell’Unione a base del diritto privato europeo potrebbe consentire di portare a sintesi
le tendenze, per un verso, all’unificazione e, per altro verso, alla conservazione delle
diversità e pluralità nazionali e locali, secondo l’idea di un modello di diritto privato
multilivello.

6
la cittadinanza dell’Unione in termini di diritto pubblico o, secondo
alcuni, ancora meno, come una sorta di dichiarazione politica di
intenti20, indica una prospettiva nella quale il più importante
beneficiario dell’Unione stessa è la persona, la soluzione dei cui
problemi sembra essere l’obiettivo finale delle riformate istituzioni
europee. Si introduce una novità di più ampio respiro rispetto agli
obiettivi originari della Comunità europea, il cui primo Trattato, il
Trattato di Roma, riguardava soltanto le imprese e la loro disciplina.
In chiave di unificazione, pertanto, sarebbe stato più plausibile
approntare un codice europeo del commercio piuttosto che un codice
civile21.
Attraverso gli interventi normativi comunitari, in funzione
della più corretta realizzazione del mercato unico si assiste ad un
progressivo fenomeno di comunitarizzazione del diritto22.
Per quanto interessa più da vicino la nostra indagine, tuttavia,
l’espressione comunitarizzazione del diritto deve essere riferita al
fenomeno in base al quale i diritti nazionali, mediante l’attività di
interpretazione della dottrina e della giurisprudenza, vengono adattati
all’ordinamento comunitario. Avrebbe, infatti, poco senso che gli Stati
20
CASTRONOVO, Il contratto e l’idea di codificazione nei Principi di diritto europeo
dei contratti, cit., p. 4. Dello stesso autore si veda C. CASTRONOVO, I <<principi di
diritto europeo dei contratti>> e l’idea di codice, in Riv. dir. comm., 1995, 1, p. 24
ove si sottolinea che la cittadinanza europea è una cittadinanza di secondo grado in
quanto è l’essere cittadino di uno stato membro che attribuisce automaticamente la
cittadinanza europea. Per come attualmente concepita la cittadinanza europea
piuttosto che essere nuova, sostitutiva e assorbente di quelle degli Stati nazionali è
uno status aggiuntivo che consegue e si associa a quelli di cui è costituita la
cittadinanza degli Stati membri. La Comunità europea, infatti, è ancora degli Stati e
non dei cittadini. In questo contesto appare improbabile l’ipotesi di un codice
europeo di diritto privato che, storicamente, è il corollario di una cittadinanza
attribuita nella stessa misura a tutti i membri di una comunità statuale. Non incontra
ostacoli, invece, il progetto di un codice europeo dei contratti perché riguarderebbe
una materia neutra rispetto alle singole identità nazionali un tale progetto, pertanto,
non determinerebbe ingerenze degli organi comunitari nei diritti nazionali, in
violazione di quanto previsto dall’art. F del Trattato di Maastricht, e si mostrerebbe
rispettoso del principio di sussidiarietà.
21
CASTRONOVO, Il contratto e l’idea di codificazione nei Principi di diritto europeo
dei contratti, loc. cit., che richiama O. LANDO, Principles of European Contract
Law. An alternative or a Precursoe of European Legislation, in Rabels Zeitschr,
1992, p. 265
22
Con questa espressione si indica in dottrina il fenomeno, più o meno consapevole,
di influenza che le fonti comunitarie spiegano sia sulle definizioni che sulle
elaborazioni sistematiche dei vari Paesi, all’uso del metodo comparatistco nella
elaborazione delle nuove regole, alla nascita e all’affermazione di concetti giuridici
nuovi. Per un’analisi più attenta si rinvia all’opera di BENACCHIO, Diritto privato
delle Comunità europee, cit., p. 10 e 15. L’autore individua le ragioni
dell’innegabile e grande interesse sviluppatosi, attualmente, intorno al diritto
comunitario in almeno due circostanze, da un lato, l’ampliamento della materia
oggetto di intervento armonizzatore della Comunità e, dall’altro, il formarsi di una
mentalità giuridica transnazionale. Il fenomeno, benché relativamente recente, abbia
raggiunto, ormai, notevoli dimensioni coinvolgendo non solo l’area del diritto
privato ma pure altri settori quali il diritto agrario, il diritto del lavoro e quello della
proprietà industriale. Si è, pertanto, assistito anche in Italia, seppure in ritardo
rispetto ad altri Paesi europei, al risveglio dell’interesse per il diritto privato
europeo. Vedi pure G. ALPA, L’<<europeizzazione>> del diritto contrattuale, in G.
ALPA – R. DANOVI (a cura di), Diritto contrattuale europeo e diritto dei
consumatori, Milano, 2003, p. 7

7
membri, mostrando l’intenzione di perseguire gli obiettivi comunitari,
adattassero formalmente il proprio ordinamento alle regole poste dalla
Comunità senza dare, poi, concreta attuazione a tale intenzione nella
fase giurisdizionale. I giudici nazionali, dunque, superando una
concezione del diritto e una mentalità meramente domestica, sono
tenuti ad interpretare le norme interne, anche quelle che non
costituiscono attuazione delle direttive23, alla luce dei principi del
diritto comunitario, privilegiando tra le soluzioni possibili quella che
più sia fedele alla lettera e alle finalità delle direttive24. Può accadere,
seppur raramente, che sia lo stesso legislatore interno ad imporre al
giudice nazionale l’adozione di criteri e principi comunitari
nell’interpretazione della norma interna25.
Per effetto della comunitarizzazione del diritto, dunque, si
determina, seppure limitatamente ai settori interessati dall’intervento
comunitario, un processo di uniformazione degli ordinamenti e degli
istituti giuridici dei Paesi membri.
Il fenomeno dell’uniformazione delle regole giuridiche va,
tuttavia, distinto da quello dell’unificazione e dell’armonizzazione. Si
parla, infatti, di uniformazione quando le regole giuridiche, pur
essendo emanante da un organo legislativo unitario, vengono
interpretate dai singoli organi giurisdizionali di ciascuno Stato, o,
anche, quando le singole regole sono uguali ed unitarie in quanto
convenzionalmente stabilite, ma la loro applicazione è lasciata
all’interpretazione di ciascuno Stato. Nell’ambito dei rapporti tra
diritto comunitario e diritti nazionali si assiste ad un processo di
uniformazione nel caso dell’emanazione dei Regolamenti comunitari
o della ratifica delle Convenzioni internazionali.
Si parla, invece, di unificazione delle regole giuridiche26
quando, non solo la norma è prodotta da un unico organo legislativo,
23
I giudici nazionali sono tenuti a dare della norma interna una interpretazione
conforme al diritto comunitario, non solo quando si tratta di normativa di attuazione
delle direttive comunitarie, ma anche quando si tratti di norme che non discendono
da un obbligo di conformazione, esplicito o implicito, al diritto comunitario, il che
accade quando la norma interna preesista a quella comunitaria e, tuttavia, se
interpretata esclusivamente alla luce dei principi nazionali configgerebbe con la
normativa comunitaria posteriore. In mancanza di una interpretazione della norma in
senso conforme al diritto comunitario lo Stato membro incorrerebbe in una sentenza
di condanna da parte della Corte di giustizia, organo deputato al controllo sulla
corretta applicazione delle disposizioni comunitarie. Questo principio è stato
affermato dalla stessa Corte di giustizia nella sentenza 13 novembre 1990, n.106/89,
Marleasing, pubblicata in Foro it., 1992, IV, p.175 e ss.
24
Sulla questione relativa all’interpretazione delle norme in ordine alla pluralità di
fonti si veda ancora l’opera di BENACCHIO, Diritto privato delle Comunità europee,
cit., p. 28, nonché N. LIPARI, Diritto privato e diritto privato europeo, in Riv. trim.
dir. e proc. civ., 2000, n. 1, p. 7 e ss..
25
L’osservazione è di BENACCHIO, Diritto privato delle Comunità europee, cit., p.
30, con riferimento al caso della normativa cosiddetta antitrust, legge 10 ottobre
1990, n. 287, <<Norme per la tutela della concorrenza e del mercato>>, in G.U. 13
ottobre 1990, n. 240, la quale all’art. 1, co. 4 esplicitamente dispone che
l’interpretazione delle proprie norme deve avvenire <<in base ai principi
dell’ordinamento delle Comunità europee in materia di disciplina della
concorrenza>>.
26
Sulle tecniche e i metodi di unificazione del diritto si rinvia al contributo di R.
SACCO, I problemi dell’unificazione del diritto in Europa, in Contratti, 1995, 1, p.
73 e ss.

8
ma vi è un’attività giurisdizionale svolta in modo unitario e tale da
garantire l’univocità di interpretazione e applicazione della norma
stessa, come nel caso in cui le norme del Trattato o quelle del
cosiddetto diritto derivato27 sono sottoposte all’applicazione della
Commissione o all’interpretazione della Corte di Giustizia.
Si ha, infine, armonizzazione ogni qual volta si stabilisce che
le regole giuridiche di ciascuno Stato siano tendenzialmente uniformi
e si lascia a ciascuno di essi la possibilità di apportare varianti, più o
meno ampie, ma non tali da stravolgere il modello base, come quando
la Comunità adotta le Direttive la quali, di regola, non contengono
norme uniformi ma si limitano a fissare gli obiettivi che ciascuno
Stato mediante l’emanazione della propria normativa cercherà di
attuare28.
Nell’ambito del diritto privato, tuttavia, sia la Comunità
europea che quella internazionale raramente hanno manifestato
l’intento di procedere ad una effettiva unificazione delle regole
giuridiche dei Paesi membri. La difficoltà che principalmente osta alla
realizzazione di un siffatto proponimento è da ravvisarsi nel fatto che,
molto spesso, concetti formalmente analoghi nei diversi ordinamenti
giuridici sottendono regole operative diverse. L’unificazione delle
regole, dunque, richiederebbe la preventiva unificazione dei concetti e
dei sistemi giuridici e, comunque, non potrebbe prescindere da una
uniformità interpretativa29.

27
Il diritto derivato è costituito dall’insieme di tutte le norme contenute negli atti
adottati dalle istituzioni comunitarie al fine di conseguire gli obiettivi enunciati nel
Trattato istitutivo, ed è definito derivato per sottolinearne la secondarietà e
subordinazione al Trattato stesso. Si veda in merito F. LAURIA, Manuale di diritto
delle comunità europee, II ed., Torino, 1990, p. 223, richiamato da BENACCHIO,
Diritto privato delle Comunità europee, loc. cit., nota (11).
28
Per un’indagine più approfondita dei fenomeni in esame si veda BENACCHIO,
Diritto privato delle Comunità europee, cit., p. 14 e ss., F. CAFAGGI, Quale
armonizzazione per il diritto europeo dei contratti?, Padova, 2003, p. 5 e ss. Sui vari
stadi e gradi del processo di armonizzazione si veda il contributo di ALPA, Il diritto
privato europeo: significato e confini del sintagma, cit., p. 18 e ss.
29
BENACCHIO, Diritto privato delle Comunità europee, cit., p. 18. L’autore
sottolinea come sia necessario <<prima che si formi, lentamente e spontaneamente,
una consapevolezza e una coscienza giuridica comune in capo ai giudici, alla
dottrina, agli operatori di tutti gli Stati interessati. Solo così determinate regole
enunciate in un documento di produzione sopranazionale potranno diventare regole
uniformemente applicate>>. Osserva, tuttavia, M.J. BONELL, Comparazione
giuridica e uniformazione del diritto, in AA.VV., Diritto privato comparato, Bari,
2005, p. 26 e ss., come, spesso, l’unico obiettivo perseguito è quello della
realizzazione di un’unificazione del diritto a livello possibilmente universale. Il
metodo maggiormente seguito, pertanto, appare essere quello della ricerca di un
minimo comune denominatore delle varie discipline perché il risultato finale sia
accettato da parte del maggior numero possibile di Stati. Molto meno importa che la
relativa normativa risulti, quanto al contenuto, più che il frutto di un organico
disegno innovatore, poco più di un collage di principi e regole tratte dai diversi
ordinamenti nazionali. Ciò che viene criticato, dunque, non è l’unificazione in sé
quanto, piuttosto, l’idea che essa rappresenti un valore assoluto da perseguire senza
tener conto del tipo di disciplina positiva nazionale che si vuole sostituire né del tipo
di regolamento uniforme che si intende predisporre a livello internazionale.
Posizioni critiche all’attività di codificazione non sono nuove se si considera che lo
stesso F.C. V.SAVIGNY, Vom Beruf unsrer Zeit für Gesetzgebung und
Rechtswissenschaft, Heidelberg, 1814, p. 25, criticando la codificazione in generale,
ed in particolare con riferimento al Code Civil, aveva parlato di tre età delle nazioni,

9
La via seguita dagli organi comunitari sembra essere piuttosto
quella dell’armonizzazione delle regole vigenti tra i Paesi membri, da
un lato, cercando di smussare le diversità e avvicinare le soluzioni,
dall’altro, proponendo modelli-base unitari, più facilmente recepibili
quanto più siano neutrali, tratti ora da qualche ordinamento interno
alla stessa Comunità ora da ordinamenti esterni30.
L’area giuridica di diritto privato sulla quale ha inciso l’opera
di armonizzazione comunitaria appare piuttosto vasta, spaziando dal
diritto della concorrenza a quello delle società, della proprietà
industriale e della responsabilità civile. Ma è il diritto dei contratti la
materia maggiormente interessata dal fenomeno e la cui analisi offre
notevoli spunti di riflessione anche per lo sviluppo del diritto privato
nazionale31.
Un ruolo notevole nell’elaborazione di questo nuovo diritto
riveste la comparazione: l’armonizzazione delle regole giuridiche,
infatti, non può prescindere dalla conoscenza delle diversità32. La
scienza comparatistica, infatti, permette di conoscere altri modelli
giuridici onde misurarne le differenze ed eventualmente permettere di
smussarle. Nell’ambito del diritto comunitario la comparazione ha
svolto un ruolo fondamentale al fine di permettere la ricognizione di
principi comuni ai Paesi membri, per questo, non a torto, si sottolinea
come il nuovo diritto comunitario sia sicuramente il risultato di un
processo di comparazione33.
Il diritto prodotto dagli organi comunitari, dunque, finisce per
assumere un fondamentale ruolo di trasmissione di regole giuridiche,
tra ordinamento comunitario ed ordinamenti nazionali e tra gli stessi
ordinamenti nazionali, e, al contempo, di propulsione <<di nuove
regole e nuovi modelli che imponendosi su quelli nazionali
determinano una sempre più ampia convergenza di soluzioni>>34.

nessuna delle quali sarebbe veramente adatta al compito della codificazione. Si veda
al riguardo C. CASTRONOVO, Savigny, i moderni e la codificazione europea, in Riv.
europ. e dir. priv., 2001, p. 219.
30
BENACCHIO, Diritto privato delle Comunità europee, cit., p. 19.
31
Si pensi alle numerose direttive sulle clausole abusive, sui contratti stipulati fuori
dei locali commerciali, sui contratti di acquisto di immobili in multiproprietà, sui
contratti bancari e di assicurazione. Per un’analisi più attenta si rinvia a BENACCHIO,
Diritto privato delle Comunità europee, cit., p 35.
32
Sui discussi rapporti tra comparazione ed uniformazione si rinvia a BONELL,
Comparazione giuridica e uniformazione del diritto, cit., p. 3 e ss; IDEM Dagli
ordinamenti nazionali al diritto uniforme europeo: la prospettiva italiana, in Riv.
Europ. e dir. priv, 1999, p. 445. si veda pure in merito CONSTANTINESCO, Il metodo
comparativo, cit., p. LVII.
33
BENACCHIO, Diritto privato delle Comunità europee, cit., p. 36 e ss., ove si
riportano anche alcune pronunce della Corte di giustizia in cui viene apertamente
richiamato ed applicato il metodo comparatistico.
34
L’efficace conclusione è di BENACCHIO, Diritto privato delle Comunità europee,
cit., p. 58. Sulla circolazione dei modelli giuridici quale precipitato dell’opera
normativa e giurisprudenziale degli organi comunitari si veda BONELL,
Comparazione giuridica e uniformazione del diritto, cit., p. 22 e ss.; L. ANTONIOLLI
DEFLORIAN, La struttura istituzionale del nuovo diritto comune europeo:
competizione e circolazione dei modelli giuridici, Trento, 1996, p. 82;

10
Non è da trascurare, di poi, il ruolo svolto dalla Corte di
giustizia nell’ambito dell’armonizzazione del diritto e della
circolazione di modelli35.
Si sosteneva, infatti, che i giudici nazionali, tranne il caso di
obblighi discendenti direttamente dal Trattato o dai regolamenti, non
fossero obbligati a dare applicazione a principi esterni all’ordinamento
nazionale36. Fuori di queste ipotesi, dunque, attraverso l’adesione
volontaria dei giudici nazionali ai principi giuridici formulati dalla
Corte di giustizia se ne permetteva la penetrazione nell’ordinamento
interno. In tal modo si realizza il riavvicinamento dei singoli
ordinamenti nazionali intorno ad un nucleo comune costituito dal
diritto europeo37.
Il principio della disapplicabilità della norma interna
configgente con quella comunitaria ad opera dei giudici nazionali,
prima limitato ai regolamenti, si è affermato anche in merito alle
direttive self executing se non attuate nei limiti temporali previsti dalle
stesse. In questo modo vengono rese immediatamente efficaci norme
che essendo contenute nelle direttive non vincolano i cittadini ma solo
gli Stati.
Se per la particolarità della fattispecie questo meccanismo non
potesse operare soccorre il principio dell’interpretazione conforme,
affermato dalla Corte, nella sentenza 13 novembre 1990, C-106/89,
Marleasing, in base al quale il giudice nazionale è tenuto ad
interpretare il proprio diritto interno in modo tale da renderlo il più
conforme possibile al diritto comunitario. Grazie all’opera dei giudici
comunitari si realizza, così, un’uniformazione dei diritti interni,
ancora maggiore di quella ottenuta mediante regolamenti e direttive in
quanto i principi espressi nelle sentenze della Corte non sono
suscettibili di interpretazione difforme all’interno dei singoli
ordinamenti nazionali38.

2. L’acquis communautaire ed il primo nucleo del


diritto europeo dei contratti: la tutela del consumatore.

Il primo nucleo di diritto europeo dei contratti vigente, dovuto


all’opera di armonizzazione degli organi comunitari è comunemente
indicato dalla disciplina approntata a tutela del consumatore39.

35
Circa il ruolo svolto dai giudici comunitari si segnala il contributo di G.A.
BENACCHIO, La Corte di giustizia tra armonizzazione e unificazione del diritto
europeo dei contratti, in Riv. dir. civ., 2006, I, p. 31 e ss.
36
Un obbligo in tal senso per il giudice nazionale sussisterebbe solo se si trattasse di
una procedura nell’ambito del ricorso in via pregiudiziale di cui all’art. 234 (ex
art.177) del Trattato.
37
BENACCHIO, Diritto privato delle Comunità europee, cit., p. 157-158.
38
BENACCHIO, La Corte di giustizia tra armonizzazione e unificazione del diritto
europeo dei contratti, cit., 135 e 138.
39
Per quanto riguarda la disciplina del consumatore i diritti dei consumatori già nel
1973 l’Assemblea consultiva del Consiglio d’Europa approvò una risoluzione, la n.
543, in cui si evidenziavano i diritti fondamentali dei consumatori. La Comunità
economica europea, successivamente, adottò una risoluzione, nel 1975, riguardante
alcune posizioni soggettive dei consumatori, quali il diritto alla salute e alla

11
L’analisi della normativa appare piuttosto interessante se si considera
che essa ha inciso direttamente sui rapporti tra i privati.
Il consumerism è un termine anglosassone con cui si indica il
movimento sociale e politico, nato agli inizi degli anni ’30 negli Stati
Uniti d’America40, volto a rivendicare il ruolo centrale del cittadino
nell’ambito dell’organizzazione di uno Stato moderno41. Anche in

sicurezza, gli interessi economici, il risarcimento dei danni, l’informazione,


l’educazione, il diritto ad essere consultati e ad essere rappresentati. Il Trattato di
Maastricht, prima, e il Trattato di Amsterdam, da ultimo, hanno rafforzato la tutela e
la promozione dei diritti dei consumatori (art. 153 del Trattato dell’Unione).
Numerose direttive hanno obbligato gli Stati Membri ad armonizzare i settori del
diritto privato in cui si disciplinano i rapporti con i consumatori. Si pensi alla
direttiva 84/450/CEE relativa alla pubblicità ingannevole, modificata dalla direttiva
97/55/CE sulla pubblicità comparativa; la direttiva 85/374/CEE relativa al
ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli
Stati membri in materia di responsabilità per danno da prodotti difettosi modificata
dalla direttiva 1999/34/CE; successivamente il tema è stato ripreso in considerazione
della relazione della Commissione (COM (2000) 893) sull’applicazione della
direttiva 85/374 relativa alla responsabilità per danno da prodotti difettosi; la
direttiva 85/577/CEE per la tutela dei consumatori in caso di contratti negoziati fuori
dei locali commerciali; la direttiva 87/102/CEE relativa al ravvicinamento delle
disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri in
materia di credito al consumo, modificata dalle direttive 90/88/CEE e 98/7/CE; la
direttiva 88/378/CEE relativa al ravvicinamento della legislazione degli Stati
membri concernenti la sicurezza dei giocattoli; la direttiva 90/314/CEE concernente
i viaggi, le vacanze e i circuiti “tutto compreso”; la direttiva 92/59/CEE relativa alla
sicurezza generale dei prodotti; la direttiva 93/13/CEE concernente le clausole
abusive nei contratti stipulati con i consumatori; la direttiva 93/22/CEE relativa ai
servizi di investimento nel settore dei valori mobiliari; la direttiva 94/47/CE
concernente la tutela dell’acquirente per taluni aspetti dei contratti relativi
all’acquisizione di un diritto di godimento a tempo parziale di beni immobili; la
direttiva 95/46/ CE relativa alla tutela delle persone fisiche con riguardo al
trattamento dei dati personali,nonché alla libera circolazione di tali dati; la direttiva
97/7/CE riguardante la protezione dei consumatori in materia di contratti a distanza;
la direttiva 1999/93/CE relativa ad un quadro comunitario per le firme elettroniche;
la direttiva 2000/31/CE relativa a taluni aspetti giuridici dei servizi della società
dell’informazione, in particolare del commercio elettronico; la direttiva 2001/95/CE
relativa alla sicurezza generale dei prodotti. Gli organi comunitari si sono,
recentemente, interessati della vendita a distanza di prodotti finanziari, della
responsabilità del prestatore di servizi e della responsabilità e relativa assicurazione
per il danno ambientale. Vi sono poi alcune direttive in materia di assicurazione, che
meriterebbero di essere inquadrate in una disciplina generale, per assegnare regole
uniformi al contratto di assicurazione. Inoltre sono state approvate due direttive sul
diritto bancario (2000/12/CE e 2000/28/CE) che riordinano le precedenti. Si rinvia
ancora a G. ALPA, Il diritto privato europeo: significato e confini del sintagma, op.
cit., p. 5 e ss.
40
Per una ricostruzione storica si veda BENACCHIO, Diritto privato delle Comunità
europee, cit., p. 299-300, ove si sottolinea come è di quegli anni la fondazione della
cosiddetta Consumer Union seguita nel 1947 dalla costituzione, in Danimarca, del
Consiglio del consumatore prima organizzazione di carattere privato. Grazie a questi
movimenti quelle che originariamente erano solo esigenze di natura politico-sociale
divennero, nel corso degli anni ’70, veri e propri leading case oppure confluirono in
atti legislativi e amministrativi.
41
Sulla tutela del consumatore si veda tra i numerosi contributi G. ALPA, Lineamenti
di diritto contrattuale, cit., p. 216 e ss.; Idem, Il diritto dei consumatori, Roma-Bari,
2002, passm; BENACCHIO, Diritto privato delle Comunità europee, cit., p. 297 e ss.;
G. BISAZZA, Contratti del consumatore, in Studium juris, 2002, p. 776; F. BOCCHINI,
Le vendite tra piazze diverse di beni di consumo, in Riv. dir. civ., 2002, n. 1, p. 1; F.
CARINGELLA, Studi di diritto civile, Milano, 2004, p. 2031 e ss.; G. CHINÈ, Il diritto

12
Europa, seppure con un quarantennio di ritardo, appaiono le prime
disposizioni amministrative, processuali e giusprivatistiche che
individuano nel consumatore, inteso quale soggetto passivo del
sistema di produzione e distribuzione di massa, una persona bisognosa
di una tutela particolarmente rafforzata42.
Gli interventi nazionali che hanno interessato la materia
consumeristica, tuttavia, sono stati piuttosto variegati in relazioni alle
diverse tradizioni giuridiche e culturali dei singoli ordinamenti.
Quanto all’Italia è noto come prima del poderoso intervento
normativo degli ultimi quindici anni, dovuto all’obbligo di
adeguamento alle direttive comunitarie, una tutela del consumatore, se
non fosse stato per qualche contributo della dottrina, era pressoché
assente. La legislazione comunitaria di tutela del consumatore,
pertanto, si è posta il doppio obiettivo, da un lato, di offrire una tutela
maggiormente protettiva del consumatore, considerato parte debole
del contratto, nell’attuale sistema produttivo di massa, e dall’altro, di
coinvolgere gli Stati membri nell’adozione di strumenti di tutela
giuridica uniforme al fine di eliminare le diversità di obblighi e doveri
di cui sono titolari le imprese, in quanto tale diversità potrebbe
determinare una distorsione della concorrenza, mentre una tutela
uniforme garantirebbe, seppure indirettamente, il corretto
funzionamento del mercato unico43.
Nella concezione originaria del Trattato istitutivo non compare
ancora l’esigenza di una piena e specifica tutela dei consumatori
poiché le motivazioni alla base della comunità europea erano di ordine
economico, lo dimostra anche il fatto che la libera circolazione delle
merci fosse menzionata prima della libera circolazione delle persone.
L’obiettivo principale era quello di realizzare un’Europa dei mercati e
non un’ Europa sociale. Col trattato di Maastricht del 1992 la politica
di protezione dei consumatori non verrà più considerata strumentale
rispetto alla tutela della concorrenza ma assumerà una propria
rilevanza autonoma fino alla definitiva consacrazione col Trattata di
Amsterdam con la nuova formulazione dell’art.153 norma dal
<<sapore costituzionale>>44.

comunitario dei contratti, in A. TIZZANO (a cura di), Il diritto privato dell’Unione


europea, Torino, 2000, tomo I, p. 608 e ss.; idem, Il consumatore, in N. LIPARI (a
cura di), Diritto privato europeo, Padova, 1997, vol. 1, p. 164 e ss.; C.
CASTRONOVO, Profili della disciplina nuova delle clausole c.d. vessatorie cioè
abusive, in Europa e dir. priv., 1998, n. 1, p. 5; A. JANNARELLI, La disciplina
dell’atto e dell’attività: i contratti tra imprese e tra imprese e consumatori, in N.
LIPARI (a cura di), Diritto privato europeo, cit., vol. 2, p. 489 e ss.; P. STANZIONE,
La tutela del consumatore tra tra liberismo e solidarismo, Napoli, 1998, passim; F.
TORRIELLO, I contratti di vendita stipulati dai consumatori. Recenti sviluppi, in A.
TIZZANO (a cura di), Il diritto privato dell’Unione europea, cit., p. 669 e ss.
42
L’espressione consumatore non è univoca e in dottrina sono state proposte diverse
definizioni, partendo dall’assunto comune che il consumatore è il non professionista.
Nel recente codice del consumo italiano, approvato con D. Lgs. 6 settembre 2005, n.
206, l’art. 3, comma 1, lett. a) definisce consumatore o utente la persona fisica che
agisce per scopi estranei all’attività imprenditoriale o professionale eventualmente
svolta.
43
BENACCHIO, Diritto privato delle Comunità europee, cit., p. 301.
44
Si rimanda alle osservazioni di F. CAFAGGI, La responsabilità dell’impresa per i
prodotti difettosi, in LIPARI (a cura di), Diritto privato europeo, cit., vol. 4, p. 534 e
ss., richiamato pure da BENACCHIO, Diritto privato delle Comunità europee, cit., p.

13
L’attività di armonizzazione delle regole nazionali disciplinanti
i rapporti tra consumatori ed imprese è stato uno degli obiettivi della
legislazione comunitaria. Dall’analisi dei numerosi interventi
normativi comunitari la dottrina desume la tendenza ad un a
<<armonizzazione esterna>>45 volta non solo a creare le condizioni
per un trattamento uniforme finalizzato al corretto funzionamento del
mercato unico tra i Paesi membri ma anche diretta a creare condizioni
tali per cui gli imprenditori non siano penalizzati rispetto agli altri
mercati internazionali.
Il diritto privato investito dalla produzione normativa degli
organi comunitari viene, dagli studiosi46, definito acquis
communautaire. La locuzione non compare nel testo del Trattato di
Maastricht, tuttavia, viene da questo data per presupposta, per cui,
spetta all’interprete ricostruirne il contenuto sulla base delle
disposizioni degli artt. 2, 3, 43 e 49. In un’ottica maggiormente
semplificata e non formale, tuttavia, si sottolinea come l’acquis
communautaire rinvii ai valori essenziali e alle esigenze che fondano
la stessa Comunità, che sono alla base dei Trattati alle regole, nonchè
ai principi fondamentali degli organi comunitari e, soprattutto, alla
giurisprudenza della Corte di Giustizia47.
Sono stati la consapevolezza sempre più pervasiva dell’acquis
communautaire e l’insistenza della dottrina sulla necessità della
creazione di un diritto privato europeo a catalizzare sulla questione
l’attenzione degli organi comunitari48.
Seppure in tempi e con finalità diverse questi interventi degli
organi comunitari in materia hanno finito, per fondare un corpus di
regole concernenti la disciplina contrattuale, dando vita ad un diritto

304. a quest’ultimo si rinvia per un’attenta ricostruzione dell’evoluzione della


politica comunitaria in materia consumeristica e delle relative tappe legislative.
45
BENACCHIO, Diritto privato delle Comunità europee, cit., p. 368.
46
Anche questa nozione ha assunto in letteratura diversi significati per una attenta
disamina dei quali si rinvia ad ALPA, Il diritto privato europeo: significato e confini
del sintagma, cit., p. 7 e ss. IDEM, I principi generali, in G. IUDICE – P. ZATTI,
Trattato di diritto privato, Milano, 2006, p. 247.
47
C. DELCOURT (intervention de), La notion d’acquis communnautaire, Maitre de
Conference à l’Université de Rennes I, du 24 septembre 2001, richiamata in G.
ALPA, Il diritto privato europeo: significato e confini del sintagma, op. cit., p. 8.
48
ALPA, Il diritto privato europeo: significato e confini del sintagma, op. loc. cit.,
ove si precisa che con la risoluzione del maggio 1994 (A3-0329/94, in GC, C 205del
25 luglio 1994, p. 518) il Parlamento europeo ha ribadito la risoluzione assunta il 26
maggio 1989 concernente l'“armonizzazione di taluni settori del diritto privato negli
Stati membri” (in GC C 158 del 28.6.1989,p.400). La motivazione di questa
iniziativa è illustrata nei “considerando” in cui si precisa, da un lato, che la
Comunità ha già proceduto alla armonizzazione di alcuni settori del diritto privato,
e, dall'altro lato, che un'armonizzazione progressiva è essenziale per la realizzazione
del mercato interno. Il risultato auspicato è la elaborazione di un “codice comune
europeo di diritto privato”, da articolarsi in più fasi di progressivo avvicinamento
delle discipline vigenti negli ordinamenti degli Stati membri, che conduca dapprima
ad un'armonizzazione parziale a breve termine, e di poi ad una armonizzazione più
completa a lungo termine. Nell'ambito della risoluzione si fa riferimento ad
organizzazioni che già si occupano della armonizzazione di regole quali l'Unidroit,
l'Uncitral e il Consiglio d'Europa, così come ai lavori della Commissione sul diritto
contrattuale europeo, conosciuta come “Commissione Lando”, dal nome del
professore danese Ole Lando che la presiede. La risoluzione è stata trasmessa al
Consiglio, alla Commissione e ai Governi degli Stati membri dell'Unione europea.

14
contrattuale europeo dei consumatori, ma in alcuni casi destinato a
tutti gli operatori.
Questo corpus di regole, pur non ancora sistematizzato, opera
in modo vincolante per gli Stati membri dell’Unione, i quali hanno
dovuto modificare il diritto nazionale originario per adeguarlo al
diritto comunitario, e ha finito per costituire di per sé una tecnica di
intervento di uniformazione, più che di armonizzazione, degli
ordinamenti nazionali mediante norme assoggettate ai principi del
diritto comunitario e alle regole interpretative della Corte di Giustizia
della CE. Il novero dei contratti interessati dalla normativa in esame,
infatti, si è notevolmente esteso finendo per comprendere quasi tutte le
figure più diffuse nella prassi commerciale. La disciplina introdotta,
inoltre, molto spesso è talmente dettagliata e minuziosa da aver
introdotto una nuova distinzione, sconosciuta nell’ordinamento
italiano, tra contratti commerciali e contratti dei consumatori, creando
una duplicità di regole a seconda che una delle parti sia o meno un
consumatore. La debolezza di una delle parti del contratto giustifica
questo intervento correttivo comunitario che può essere verticale o
settoriale quando la direttiva riguarda un singolo contratto, orizzontale
se detta una disciplina generale, come è avvenuto nel caso delle
clausole abusive49.
Non vi è un’enunciazione generale sulla libertà contrattuale
della parte, ancorché venga data per presupposta in ordine alla scelta
del contraente del contenuto e della, forma del contratto, poiché ciò
che rileva sono, piuttosto, i limiti a questa libertà volti, da un lato, a
rendere inefficaci i patti che ostacolino la circolazione di merci,
servizi e capitali e, dall’altra, a contenere il potere negoziale della
parte più forte, che potrebbe abusarne, nei confronti di quella più
debole.
La disciplina dei comportamenti delle parti nel corso della
trattativa è molto dettagliata. La trattativa è considerata sia come fase
nella quale si esprime la libertà negoziale di reciproca e rispettiva
influenza che come la fase in cui le parti si scambiano informazioni.
In questo modo l’aver instaurato una effettiva trattativa comporta
l’esclusione di un controllo sull’abuso del potere contrattuale, mentre,
aver informato esaurientemente la controparte implica che
quest’ultima abbia prestato un consenso informato con esclusione
dell’effetto sorpresa50.
L’utilizzo da parte del professionista di moduli o formulari al
fine della conclusione del contratto pur rispondendo al principio della
libertà contrattuale è vista dall’ordinamento comunitario con sfavore
essendo in grado di porre quella delle parti che non conosce tutte le
sottigliezze del testo unilateralmente predisposto in posizione
svantaggiata sin dal momento della conclusione. L’impiego di modelli
standard quindi è considerato dal diritto comunitario una delle

49
La distinzione è ripresa da BENACCHIO, Diritto privato delle Comunità europee,
cit., p. 328. Si veda pure ALPA, Lineamenti di diritto contrattuale, cit., p. 247, il
quale sottolinea che tutte le direttive comunitarie riconducibili alla disciplina
contrattuale di cui si è detto individuano il contratto come la veste giuridica di
un’operazione economica.
50
ALPA, Lineamenti di diritto contrattuale, cit., p. 243.

15
tecniche con cui il professionista cerca di imporre al consumatore
clausole abusive. Le direttive, pertanto, disciplinano in modo puntuale
lo ius poenitendi del consumatore consentendogli, a differenza dei
principi UNIDROIT o di quanto previsto nel progetto di codice
europeo dei contratti, di revocare la proposta o di recedere
unilateralmente dal contratto.
Si tratta di un sicuro rimedio per sottrarre il consumatore ad
una operazione di cui non avesse appreso il significato e la
convenienza. Solo una volta ricevuta la documentazione, infatti, il
consumatore può riesaminandola integrare le proprie informazioni
tecniche e all’esito di tale riesame condotto anche con l’eventuale
ausilio di terzi potrebbe rivalutare la convenienza dell’affare
conducendolo all’abbandono dello stesso o la scelta di concludere il
contratto con un altro professionista51.
Che alla base del diritto di ripensamento vi sia l’esigenza di
garantire al consumatore un consenso consapevole ed informato,
sembra ulteriormente testimoniato dall’allungamento dei termini per
recedere ogni qual volta al consumatore non siano state fornite le
necessarie informazioni relative alla operazione commerciale che
costui sta per concludere o ha concluso.
La previsione dello ius poenitendi ha inciso profondamente
sulle nozioni tradizionali di accordo e di efficacia vincolante del
consenso tanto che alcuni in dottrina hanno sottolineato come non si
possa più sostenere che un contratto privo di vizi sia vincolante fino
all’esecuzione52. La regola codicistica, cristallizzata dall’1372 c.c.,
secondo cui enfaticamente si stabilisce che il contratto ha forza di
legge tra le parti e non può essere sciolto che per mutuo consenso o
per le cause previste dalla legge presuppone una condizione di
sostanziale eguaglianza di forza contrattuale tra le parti. Ma nel caso
di contrattazioni di massa, invece, sia a causa del luogo in cui si
svolge la trattativa che dell’uso di clausole standard o di modelli
unilateralmente predisposto il rischio di sopraffazione di una parte a
danno dell’altra risulta essere molto alto. Per questo le direttive hanno
introdotto e riconosciuto la facoltà di scioglimento del contratto già
validamente concluso al solo consumatore entro un termine ritenuto
volt per volta sufficiente ad una sostanziale rimeditazione di un
consenso già formalmente espresso53.
Sulla natura di questo recesso fervono le più accese
discussioni. Secondo un orientamento, infatti, lo ius poenitendi
riconosciuto al consumatore incide sulla fase di formazione del

51
ALPA, Lineamenti di diritto contrattuale, cit., p. 244; CHINÈ, Il diritto contrattuale
europeo: riflessioni a margine di un tentativo di ricostruzione sistematica, cit., p.
287.
52
ALPA, Lineamenti di diritto contrattuale, cit., p. 216; BENACCHIO, Diritto privato
delle Comunità europee, cit., p. 21.
53
La Corte di giustizia nella sentenza 14 luglio 1994, cusa n. C-91/92, Faccini Dori-
Recreb S.r.l., in Contratti, 1994, p. 597 e ss. con nota di G. ALPA, ebbe occasione di
sottolineare che il diritto di recesso, previsto dalla direttiva 85/577/CE sulle vendite
concluse fuori dai locali commerciali, è strumentale all’impreparazione del
consumatore spesso colto di sorpresa dall’iniziativa del commerciante e perciò non
in grado di valutare attentamente gli obblighi derivanti dal contratto.

16
contratto con la stessa efficacia della revoca della proposta54. Il
contratto dunque non sarebbe efficace fino alla scadenza del termine
concesso al consumatore per il ripensamento.
Questa soluzione, si obbietta55, collide con la lettera della
legge quando, come nel caso del recente art. 66 del codice del
consumo, che riprende la disposizione dell’art. 8, D.Lgs. n. 50/92, a
sua volta, attuativo della direttiva sulle vendite fuori dai locali
commerciali, si precisa che le parti sono sciolte dalle rispettive
obbligazioni derivanti dal contratto e, qualora siano state consegnate
le merci, il consumatore deve restituirle e ha diritto a vedersi
rimborsate le eventuali somme versate ivi comprese quelle a titolo di
caparra. In quest’ottica il diritto di recesso va ad incidere su un
contratto validamente concluso ed efficace. L’eventuale affinità con il
diritto civile italiano andrebbe rinvenuta, allora piuttosto, con gli
istituti ex art. 1373, comma 2 del c.c. o con la risoluzione per
inadempimento e per eccessiva onerosità o, ancora, con la condizione
risolutiva.
Le direttive non contemplano norme relative alla causa del
contratto ma si preoccupano di individuare il contenuto minimo dello
stesso56. La ragione di tale individuazione è ancora una volta da
rinvenire nell’esigenza di tutelare il contraente debole poiché la
mancanza di determinati elementi considerati essenziali priverebbe il
consumatore di esprimere un consenso informato all’affare. Per la
stessa ragione particolare attenzione è rivolta allo ius variandi.
Uno degli aspetti del diritto contrattuale sul quale
maggiormente ha inciso la disciplina comunitaria è senza dubbio
quello relativo alla forma dei contratti, stravolgendo il tradizionale
principio della libertà della forma, di ispirazione giusnaturalista.
Secondo la concezione classica, infatti, la norma di cui all’art. 1325,
n.4, c.c., sarebbe derogatoria della regola generale dell’autonomia
privata, sarebbe, dunque, di nature eccezionale e come tale, ai sensi
dell’art. 14 delle preleggi, non suscettibile di interpretazione analogica
né estensiva57.

54
Così F. GALGANO, Il negozio giuridico, in CICU – MESSINEO (diretto da), Trattato
di diritto civile e commerciale, , vol. 1, Milano, 1988, p. 79-80
55
A. PRINCIGALLI, La tutela del consumatore, in A. JANNARELLI (a cura di), Le
vendite aggressive, Napoli, 1995, p. 102 e ss., in particolare p. 105 ove si precisa
come il recesso abbia efficacia retroattiva, tranne per i contratti aventi ad oggetto la
prestazione di servizi, per i quali l’effetto del recesso non si estende alla prestazioni
già eseguite. Per una più ampia disamina del diritto di ripensamento riconosciuto al
consumatore, e per i ricchi riferimenti bibliografici ivi contenuti, si rinvia a CHINÈ,
Il diritto contrattuale europeo: riflessioni a margine di un tentativo di ricostruzione
sistematica, cit., p. 298 e ss.
56
CHINÈ, Il diritto contrattuale europeo: riflessioni a margine di un tentativo di
ricostruzione sistematica, cit., p. 285.
57
La conclusione è di M. GIORGIANNI, Forma degli atti (dir. priv.), in Enc. dir.,
Milano, XVII, p.994. Osserva, in merito, l’autore che la forma non solo condiziona
il sorgere dell’atto ma viene altresì ad impedire che le parti possano eseguirlo,
confermarlo ovvero accettarlo. Alla tesi della natura eccezionale e derogatoria della
forma ad substantiam aderisce, in genere, la manualistica tradizionale. Per tutti si
veda M.C. BIANCA, Diritto civile, Milano, ult. ed., III, p. 280; P. RESCIGNO,
Manuale di diritto privato, Napoli, ult. ed., p 309; A. TRABUCCHI, Istituzioni di
diritto civile Padova, ult. ed., p. 162.

17
In senso critico con l’impostazione tradizionale, tuttavia, altra
dottrina ritiene che l’art. 1325 c.c. non contiene due norme sulla
forma, una eccezionale e una regolare, bensì due norme sulla
fattispecie. Si desumerebbe, in particolare, l’esistenza di fattispecie
deboli, risultanti dalla combinazione di accordo, causa e oggetto e
fattispecie forti in cui accanto a i tre requisiti menzionati occorre
anche la forma. La norma in parola, dunque, non ha natura
eccezionale, perché mancherebbe il termine regolare con cui
raffrontarla, cadendo così anche il limite del divieto di interpretazione
analogica58
Le direttive comunitarie sembrano più vicine a questa seconda
impostazione. Il legislatore comunitario, infatti, partendo dall’assunto
che la forma sia una tecnica volta, da un lato, a far conoscere al
consumatore il contenuto del contratto e, dall’altro, a richiamare
l’attenzione sulle singole clausole del rapporto perché il consenso da
questi espresso sia maturo e consapevole riserva alla forma dei
contratti specifiche disposizioni con cui impone forme inderogabili
dall’autonomia privata. Quando non è prevista la forma scritta per il
contratto l’obbligo si sposta nella fase delle trattative imponendo al
professionista di fornire per iscritto tutte le informazioni necessarie e
rilevanti per la transazione.
Il fenomeno e stato, non a caso, definito neoformalismo, ma si
parla anche di forme di protezione, piuttosto che di efficacia59. La
forma comunitaria, infatti, non annulla la volontà delle parti, ma la
supporta; è necessaria perché l’atto produca effetti ma non sarebbe ex
se sufficiente se il consenso non fosse certo e non viziato.
La scelta di determinare dall’esterno la forma e il contenuto
minimo del contratto dipende dalla necessità di garantire il controllo a
preventivo sulle pattuizioni in funzione della giustizia e dell’equità
degli scambi commerciali attraverso uno snodo che passa per il diritto
del consumatore di recedere unilateralmente dal contratto o, in
estrema ratio, di porre nel nulla singole clausole se non addirittura
l’intera operazione economica.
Le direttive, in ogni caso, molto raramente si occupano della
risoluzione o dell’invalidità del negozio, lasciando la scelta dei rimedi
contrattuali e delle sanzioni agli ordinamenti nazionali. I legislatori
nazionali, tuttavia, devono prediligere i rimedi più adatti a
salvaguardare l’interesse del consumatore alla conservazione dell’atto,
garantendo la non vincolatività delle sole clausole vietate, ferma
restando per il resto l’operazione negoziale. Solo quando l’interesse
del consumatore sia travolto dall’invalidità può essere previsto lo
scioglimento del vincolo negoziale comminandone la totale nullità.
La nullità definite a ragione di protezione prevista dalle
direttive, e recepita dagli ordinamenti nazionali, tuttavia, presenta

58
La critica si deve a N. IRTI, Idola libertatis. Tre esercizi sul formalismo, Milano,
1985, p. 19 e ss. per un raffronto tra le varie tesi CHINÈ, Il diritto contrattuale
europeo: riflessioni a margine di un tentativo di ricostruzione sistematica, cit., p.
306 e ss.; A PALAZZO, Forme del negozio giuridico, in Dig., IV ed., sez. civ., 1992,
vol. VII, p. 443 e ss.
59
CHINÈ, Il diritto contrattuale europeo: riflessioni a margine di un tentativo di
ricostruzione sistematica, cit., p. 308.

18
delle peculiarità tali da scombussolare la stesse fondamenta del diritto
civile come tradizionalmente conosciuto. Essa, infatti, può essere fatta
valere solo dall’interessato, perdendo il caratteristico connotato di
assolutezza, con la conseguenza che il negozio ancorché nullo produce
effetti almeno per una delle parti e per lo stesso consumatore fino a
quando questi non ritenga di dovere agire per farne dichiarare la
nullità. In questo modo la nullità perde anche il tradizionale carattere
della insanabilità e della irretroattività degli effetti poiché il
consumatore decidendo di non avvalersi della invalidità, conferma di
fatto l’efficacia del contratto stesso.
Restano, dunque, sullo sfondo le categorie tradizionali della
nullità e dell’annullabilità che non riescono a connotare le forme di
invalidità previste dalle direttive. Le nullità di protezione, infatti,
trovano fondamento, come detto, in esigenze di tutela degli interessi di
una certa categoria di contraenti, ossia i consumatori, per cui più che
sanzionare l’atto mirano a sanzionare il comportamento abusivo della
controparte professionista60.
Emblematica, in merito, la vicenda relativa alla direttiva n.
93/13 relativa alle clausole abusive nei contratti stipulati con il
consumatore, approvata dal Consiglio il 5 aprile 199361.
La direttiva, oltre che espressione di una policy di protezione
del consumatore come parte debole del rapporto, è stata motivata
dall’esigenza di realizzare il mercato unico e di evitare che le diversità
presenti nelle legislazioni nazionali potessero determinare una
distorsione della concorrenza62. La direttiva introduceva, almeno nel
nostro ordinamento, una nozione di clausola abusiva nuova. E’ tale,
infatti, quella clausola che non sia stata oggetto di negoziazione
individuale e che, malgrado la buona fede63, determini un significativo

60
CHINÈ, Il diritto contrattuale europeo: riflessioni a margine di un tentativo di
ricostruzione sistematica, cit., p. 331-332.
61
La si può leggere in G.U.C.E., 21 aprile 1993, n. L 95, p. 29.
62
In senso critico osserva ALPA, Lineamenti di diritto contrattuale, cit., p. 220, che
la protezione della concorrenza è piuttosto una giustificazione volta a soddisfare
l’esigenza diversa di consentire alla disciplina comunitaria di ingerirsi anche nella
disciplina contrattuale normalmente considerata estranea alle competenze
dell’Unione europea.
63
Molte discussioni ha suscitato in dottrina l’espressione usata dal legislatore
italiano <<malgrado la buona fede>>. Secondo i primi commentatori, in particolare
si veda G. DE NOVA, Criteri generali di determinazione dell’abusività di clausole ed
elenco di clausole abusive, in Riv. trim. di dir. proc. civ., 1994, p. 693, il richiamo
può essere inteso sia nel senso che la clausola è abusiva se, pur essendo conforme a
buona fede, determini uno squilibrio contrattuale, sia nel senso che la clausola è
abusiva se, in violazione del principio di buona fede, determina uno squilibrio. La
dottrina pertanto si è assestata sull’interpretazione che la clausola è abusiva quando
viola il principio di buona fede e allo stesso tempo determina uno squilibrio
contrattuale. Più ampiamente si veda BENACCHIO, Diritto privato delle Comunità
europee, cit., p. 334 e ss. e, soprattutto, CARINGELLA, Studi di diritto civile, cit., p.
1666 e ss. Osserva quest’ultimo autore come le difficoltà interpretative sorgano da
quello che è, ormai, comunemente interpretato come una svista del legislatore. Il
par. 3.1. della direttiva 93/13/CEE, infatti, utilizza la formula più chiaramente
evocativa del contrasto con la buona fede <<contrary to the requirement of good
faith>> che nell’esperienza italiana è stato tradotto con la citata formula
<<malgrado>> che sembra piuttosto rinviare a concetti quali nonostante la buona
fede, in dispetto della buona fede. Di qui la possibilità di sostenere, come in effetti si
sostiene a seconda delle opzioni ideologiche, entrambe le tesi sia quella della natura

19
squilibrio a favore del predisponente. Per evitare squilibri il contratto
deve essere redatto in forma chiara, trasparente e comprensibile; in
caso contrario deve prevalere l’interpretazione contra proferentem.
La regola individuata dalla direttiva è già prevista nel nostro
codice civile all’art. 1370. Quest’ultima si riferisce esclusivamente
all’interpretazione delle condizioni generali di contratto, ex art. 1341
c.c. e dei contratti conclusi mediante moduli e formulari ex art. 1342
c.c., per cui trova applicazione se vi è un testo contrattuale predisposto
unilateralmente e destinato ad essere utilizzato in una molteplicità di
stipulazioni analoghe64. La regola comunitaria, invece, non soffre di
questi limiti ma trova applicazione in tutti i contratti stipulati tra
professionisti e consumatori65.
Quanto alla sanzione da applicare, nel caso in cui nel contratto
venga inserita una clausola abusiva, aspetto questo molto dibattuto, la
direttiva lascia agli Stati di stabilire la formula giuridica più
appropriata a garantire la non vincolatività della clausola, purché sia
rispettato laddove possibile il principio della conservazione del
contratto. Se, infatti, la normativa nazionale prevedesse la
caducazione dell’intero negozio ovvero un termine di decadenza entro
il quale far valere l’abusività della clausola si vanificherebbe la tutela
dei consumatori. Il professionista, infatti, per privare i consumatori
della tutela offerta dalla direttiva non dovrebbe che attendere la
scadenza del termine per poi chiedere l’esecuzione delle clausole
abusive, le quali continuerebbero puntualmente ad essere inserite nei
contratti. Il professionista, potrebbe, in alternativa, far valere
l’abusività delle clausole in modo da ottenere la caducazione
dell’intero contratto in contrasto con l’interesse del consumatore alla
conservazione dello stesso66. Per garantire, pertanto, gli effetti della
stipulazione nell’interesse del consumatore ed evitare che la sanzione
della nullità si ripercuota sul soggetto nel cui interesse la tutela è
prevista, impedendogli di ottenere il bene o di usufruire del servizio,
le direttive hanno introdotto la nullità relativa, di cui si è detto, sia
perché questa può essere fatta valere solo dal consumatore e sia

soggettiva della buona fede e della conseguente irrilevanza degli stati soggettivi del
professionista predisponente, che quella opposta della natura oggettiva del criterio di
buona fede prevista dal legislatore comunitario. In quest’ultimo caso, dunque, la
clausola sarebbe abusiva quando si pone in contrasto con i canoni di correttezza e
lealtà contrattuale generalmente riconosciuti, in modo da garantire quell’uniformità
di trattamento che costituisce la via più sicura per la realizzazione della piena tutela
del consumatore.
64
CASTRONOVO, Il contratto e l’idea di codificazione nei Principi di diritto europeo
dei contratti, cit., p. 5.
65
CHINÈ, Il diritto contrattuale europeo: riflessioni a margine di un tentativo di
ricostruzione sistematica, cit., p. 320, precisa l’autore come l’interpretazione contra
proferentem permette di conservare una clausola che sarebbe stato possibile
espellere attraverso il giudizio di vessatorietà. In questo modo si attenuano le
conseguenze negative per il professionista e si tutela l’interesse del consumatore, in
applicazione del principio della conservazione degli atti negoziali, alla
conservazione dei risultati materiali dell’operazione contrattuale.
66
Questo precisazione si deve alla sentenza della Corte di giustizia 21 novembre
2002, C-373/00, Cofidis SA c. Jean Louis Fredout, citata da BENACCHIO, Diritto
privato delle Comunità europee, cit., p. 336.

20
perché non travolge l’intero contratto ma solo la clausola abusiva67.
L’altro strumento di tutela previsto nell’interesse del consumatore è
un meccanismi di sostituzione automatica delle clausole abusive68 o
anche di adattamento del contratto alle circostanze sopravvenute
attraverso una clausola di rinegoziazione69.
Le direttive, infine, a differenza dei Principi UNIDROIT, non
contemplano alcun riferimento agli usi. Gli usi, infatti, essendo
radicati nelle tradizioni locali, richiamano il particolarismo giuridico e
sono pertanto in contrasto con la creazione di un diritto uniforme. Gli
usi negoziali e gli usi del commercio, inoltre, riflettono gli interessi
dei professionisti e quindi impongono al consumatore regole che non
elidono la disparità di posizioni in ambito contrattuale70.

3. Il panorama internazionale: la lex mercatoria, la


Convenzione di Vienna del 1980, i principi UNIDROIT.
La ricerca di un diritto uniforme in materia contrattuale non è,
dunque, certo una novità. In prevalenza, tuttavia, l’attività di
uniformazione, come dimostra il poderoso corpus normativo costitito
dalle direttive, si è svolta in relazione a singoli contratti.
Antesignana in materia è la Convenzione dell’Aja del 1964,
seguita da quella di Vienna del 1980, sulla vendita internazionale di
cose mobili.

67
Il legislatore italiano in ossequio alle indicazioni della direttiva n. 93/13 citata ha
provveduto, mediante la legge 6 febbraio 1996, n. 52, ad aggiungere al codice civile
il capo XIV bis sui contratti del consumatore. In quella occasione, tuttavia, si
preferì, piuttosto ambiguamente, sancire ex art. 1469 quinquies, sancire l’inefficacia
delle clausole vessatorie ferma restando l’efficacia del contratto. Il recente codice
del consumo, approvato con D.lgs n. 206/05, che raccoglie e riordina la materia
consumeristica, sostituendo le precedenti disposizioni di cui agli art. 1469 bis e ss.
citate, prende apertamente posizione sulla natura della sanzione da comminare.
L’art. 36, infatti, rubricato nullità di protezione, sancisce la nullità delle clausole
considerate vessatorie ex art. 33 e 34, mentre il contratto resta valido. Al terzo
comma dello stesso articolo, inoltre, si precisa che la nullità, pur potendo essere
rilevata d’ufficio dal giudice, opera solo in favore del consumatore.
68
Il codice civile italiano, come noto, prevede un meccanismo simile all’art. 1339.
Sull’altare della tutela del contraente debole il legislatore comunitario ha
recentemente sacrificato la stessa autonomia privata. Si allude alla direttiva
2000/35/CE sui ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali ove si riconosce
al giudice nazionale un potere di riduzione ad equità delle clausole nulle perché
contrastanti con norme imperative, riconoscendogli un forte potere di ingerenza
nell’accordo privato. In Italia la direttiva in parola è stata recepita con il D. Lgs. 9
ottobre 2002, n. 231, il cui art. 7, comma 3, prevede che il giudice, una volta
dichiarata la nullità della clausola abusiva, decida se sostituire la clausola secondo i
termini legali ovvero ricondurre ad equità il contenuto dell’accordo. In entrambi i
casi le parti resteranno vincolate ad una pattuizione eterodetrminata, con la
precisazione importante che nel secondo caso la volontà delle parti sarà sostituita
quella del giudice. La riconduzione ad equità appare, infatti, uno strumento
alternativo di sopravvivenza dell’accordo rispetto alla sostituzione del patto nullo
con i termini legali. Per ulteriori notazioni si rinvia a CHINÈ, Il diritto contrattuale
europeo: riflessioni a margine di un tentativo di ricostruzione sistematica, cit., p.
295 e ss.; S. DE NOVA, in G. DE NOVA - S. DE NOVA , I ritardi di pagamento nei
contratti commerciali, Milano, 2003, p. 28 e ss.
69
G. ALPA, L’<<europeizzazione>> del diritto contrattuale, cit., p. 13.
70
ALPA, Lineamenti di diritto contrattuale, cit., p. 242.

21
La Convenzione di Vienna, tuttavia, essendo destinata ad
essere applicata nei diversi Stati firmatari, per evitare di doversi
confrontare con le diverse nozioni di proprietà accolte nei diversi stati
aderenti, con conseguenti problemi di coordinamento, non disciplina
né la validità del contratto né gli effetti che derivano dal contratto
stesso in ordine alla proprietà delle cose e al momento del passaggio
della stessa da un contraente all’altro. Le relative norme si limitano a
regolare il momento del passaggio del rischio per il perimento della
cosa venduta piuttosto che quello del passaggio del diritto di proprietà
che non viene neppure menzionato.
La Convenzione, comunque, può essere considerata un vero e
proprio diritto comune dei contratti con riferimento alla formazione
del contratto e all’inadempimento71.
L’applicazione della Convenzione in parola, tuttavia, è subito
apparsa piuttosto limitata. Perché possa trovare applicazione, infatti, è
necessario che il singolo Stato figuri quale contraente della stessa o, in
alternativa, che le norme di diritto internazionale privato del singolo
Stato conducano all’applicazione della legge di uno Stato contraente.
Di più ampio respiro appare, invece, la disciplina della
Convenzione di Roma sulla legge applicabile alle obbligazioni
contrattuali del 19 giugno 198072. Questo testo risulta per le parti
maggiormente certo almeno in ordine alla scelta della legge
regolatrice del contratto. Se, tuttavia, le parti non abbiano scelto tale
legge o siano in disaccordo trova applicazione il criterio di cui all’art.
4, ossia, quello che rimanda al collegamento più stretto col paese in
cui ha la residenza abituale, al momento della conclusione del
contratto, la parte che deve fornire la prestazione caratteristica. La
difficoltà insita in questo criterio di collegamento è ictu oculi
nell’individuazione di quale sia la prestazione caratteristica da cui
dipende l’applicabilità di una legge piuttosto che di un’altra, con
conseguente incertezza73. La disposizione desta maggiore perplessità
se si considera che, ai sensi dell’art. 4, comma 5, il collegamento non
è più possibile ove non si riesca a determinare la prestazione
caratteristica.
Dati i limiti intrinseci delle Convenzioni, dunque, la dottrina
spesso individua nella lex mercatoria la <<prima frontiera di
formazione e assestamento di una disciplina che in seguito è diventata
il diritto comune delle obbligazioni e dei contratti>>74.
La lex mercatoria raccoglie i principi contrattuali che vigono
nella società dei mercatores, degli operatori commerciali, che sono
stati elaborati al fine di superare le difficoltà derivanti dalle diversità
legislative in materia di contratti. Il fenomeno, già noto all’epoca dello

71
DI MAJO, I <<Principles>> dei contratti commerciali internazionali tra civil law
e common law, cit., p. 611. Esperienze di diritto uniforme si sono avute,
successivamente, con riferimento al deposito in albergo, al contratto di agenzia e di
assicurazione.
72
La Convenzione è stata ratificata in Italia con legge 18 dicembre 1984, n. 975
entrata in vigore il aprile 1991
73
DI MAJO, I <<Principles>> dei contratti commerciali internazionali tra civil law
e common law, loc. cit.
74
CASTRONOVO, I << Principi di diritto europeo dei contratti>> e l’idea di codice,
cit., p. 37

22
ius comune, viene non a torto considerato una manifestazione
dell’esigenza che anche i contratti dei commercianti, e non solo quelli
dei consumatori, necessitano di una disciplina transnazionale,
quantomeno europea.
Pur potendosi individuare nella lex mercatoria un illustre e
collaudato precedente delle moderne esperienze uniformatici del
diritto dei contratti, molte sono le perplessità e i limiti che questa
prassi commerciale comporta.
Essa, infatti, serve a prevenire gli effetti del conflitto di leggi
ma non è in grado di ovviare a tutti i possibili imprevisti giuridici cui
può andare incontro una transazione economica in una Europa priva di
un diritto contrattuale comune75. Inoltre, essendo fondata sulla prassi
sviluppatasi nell’ambito del commercio internazionale, la lex in parola
consta di un insieme di principi generalissimi e dal contenuto
scarsamente definito76, molti dei quali corrispondono ai principi
tradizionali e codificati negli ordinamenti statuali. Si pensi, solo per
citarne alcuni, alla forza vincolante del contratto e alla conservazione
dello stesso, alla libertà delle forme, alla buona fede77.
Non vi è, di poi, accordo in dottrina sulla forza cogente della
lex mercatoria, anzi,al riguardo si fronteggiano due orientamenti del
tutto opposti. Secondo la tesi autonomista, in particolare, la lex
costituisce un corpus autonomo ed autosufficiente di norme, mentre
per la tesi positivista, poiché le uniche norme che hanno forza di legge
ex se sono quelle statali, la lex mercatoria non potrebbe essere
considerata vincolante in se ma potrebbe trarre tale cogenza
esclusivamente dalla previsione di norme statali. Si tratterebbe,
dunque, di una vincolatività derivata, alla stregua di quanto accade per
il diritto consuetudinario”78.
Nell’ambito del diritto internazionale commerciale molto
importante, ai fini dell’unificazione del diritto privato, è il lavoro
dell’Istituto internazionale per l’unificazione del diritto privato,
meglio noto come Unidroit, che ha elaborato i Principi per i contratti
commerciali internazionali, con esclusione, dunque, dei contratti dei
consumatori o di quelli a carattere esclusivamente domestico.
I Principi UNIDROIT, pubblicati nel 1994, e successivamente
aggiornati nel 2004, rappresentano, per communis opinio dottrinale,
un restatement79 o, addirittura, una sorta di codice del diritto dei

75
Sulla questione della fisionomia e del ruolo del commercio e del diritto
commerciale nell’epoca contemporanea si rimanda alle osservazioni di ALPA, I
principi generali, cit., p. 171 e ss.
76
BORTOLOTTI, Diritto dei contratti internazionali, Padova, 1997, p. 26.
77
Funditus ALPA, I principi generali, cit., p. 185.
78
I due orientamenti sono riportati da TRAISCI, Principi UNIDROIT, lex mercatoria
e diritto del commercio internazionale: note a margine di un lodo arbitrale, in Il
diritto del commercio internazionale, 1999, p. 486 e ss.
79
I Restatements sono tipici dell’esperienza giuridica statunitense. Si tratta della
raccolta ed elaborazione, sotto la direzione dell’American Law Institute, in regole
generali di tutto il materiale casistico vigente nei singoli stati federati. L’oggetto dei
Restatements è molto vario poiché mediante questa tecnica si intende porre riparo
alla frammentazione del diritto americano, dovuta al fatto che ciascuno Stato
federato ha il proprio diritto interno. Data la formulazione astratta dei principi ed il
carattere sistematico degli stessi, gli studiosi tendono ad avvicinare l’esperienza dei
Restatements a quella dei codici europei in questo in modo da creare un trait-

23
contratti a vocazione universale in quanto volto a rispecchiare tutti i
sistemi giuridici del mondo in modo da soddisfare le esigenze dei
rapporti commerciali80. Il preambolo, infatti, indica le finalità per le
quali i principi sono stati elaborati per l’interpretazione del diritto
internazionale uniforme e per fungere, eventualmente, da modello per
i legislatori nazionali ed internazionali almeno come punto di
riferimento integrativo. Essi, al contrario, non si propongono come
modello per l’unificazione del diritto contrattuale europeo né vogliono
costituire un riferimento per il diritto privato comune europeo con
funzione integratrice rispetto ai diritti nazionali.
Nonostante queste esplicite limitazioni, non se ne può negare
la funzione ispiratrice, sia in senso ideologico che metodologico, delle
iniziative in favore della creazione di un diritto privato comune
europeo81.
La finalità a cui sono diretti i Principi UNIDROIT ne giustifica
le scelte e le regole di redazione. Nell’individuare le norme giuridiche
applicabili ai contratti commerciali internazionali, infatti, i redattori,
molti dei quali erano pratici, in considerazione del fatto che dati gli
obiettivi del progetto non avrebbe avuto senso che i Principi fossero
ridotti ad un puro esercizio dottrinale, hanno prediletto la soluzione
più efficiente piuttosto che quella più diffusa e hanno completamente
trascurato di richiamare quei concetti, come ad esempio la causa e la
consideration, che non possono essere assimilati da tutti gli
ordinamenti giuridici o che sarebbero difficilmente comprensibili per
quei giuristi alla cui tradizione sono estranei.
L’ambito di applicazione dei principi è piuttosto ampio giacché
è rimesso alla libera scelta dei contraenti, con l’unico limite che si
tratti di un contratto internazionale che abbia natura commerciale.
I principi UNIDROIT, pertanto, a differenza, delle direttive
comunitarie, essendo stati concepiti per regolare rapporti tra soggetti
tendenzialmente paritari non prendono in considerazione le sorti del
consumatore, benché si rinvengano regole sulle clausole a sorpresa,
sull’interpretazione contro il predisponente e sulla gross disparity.
Nei Principi UNIDROIT, al contrario, rivestono un ruolo
importante, se si considera che sono stati gli usi medesimi ad aver
portato alla codificazione della lex mercatoria82, gli usi negoziali.
Questi, ai sensi dell’art. 1.8, si pongono come regole generali della
disciplina del contratto, con l’unico limite della ragionevolezza.

d’union tra le esperienze di common law e quelle di civil law. Per un’analisi
maggiormente approfondita del tema si veda DI MAJO, I <<Principles>> dei
contratti commerciali internazionali tra civil law e common law, cit., p. 613;
BELLANTUONO, Diritto comunitario e diritto dei contratti: armonizzazione o
diversificazione?, cit., p. 101; C. CASTRONOVO, Il diritto europeo delle obbligazioni
e dei contratti. Codice o Restatement?, in Riv. Europ. e dir. priv., 1998, p. 1019;
ZENO-ZENCOVICH, Il “codice civile europeo”, le tradizioni giuridiche nazionali e il
neo-positivismo, cit., p. 67.
80
ALPA, Lineamentidi diritto contrattuale, cit., p. 238; BONELL, Comparazione
giuridica e uniformazione del diritto, cit., p. 21; CASTRONOVO, I << Principi di
diritto europeo dei contratti>> e l’idea di codice, cit., p. 33; DI MAJO, I
<<Principles>> dei contratti commerciali internazionali tra civil law e common
law, cit., p. 613.
81
BENACCHIO, Diritto privato delle Comunità europee, cit., p. 184.
82
ALPA, Lineamenti di diritto contrattuale, cit., p. 242.

24
Particolare attenzione è dedicata alle libertà contrattuali che, se
negli ordinamenti nazionali, spesso, sono date per presupposte, nei
principi ricevono solenne enunciazione. Molto ampia è la libertà
riconosciuta alle parti nella fase precedente alla conclusione del
contratto. Esse sono arbitre delle proprie dichiarazioni di proposta e
accettazione e quindi anche di ritirarle. Una differenza notevole si
riscontra tra le norme UNIDROIT e il nostro diritto contrattuale. Il
codice civile italiano, infatti, non distingue tra ritiro o revoca ma l’art.
1329 sancisce, come noto, l’inefficacia della revoca della proposta, a
prescindere dalla conoscenza o spedizione della stessa, quando il
proponente si è obbligato a mantenerla ferma per un certo tempo83.
I Principi, invece, premettono che un contratto è concluso
quando l’offerta viene accettata o quando le parti tengano un
comportamento che dimostri con sufficiente certezza il
raggiungimento dell’accordo. L’art. 2.1.3., successivamente, precisa
che l’offerta (id est la proposta) produce effetto non appena giunga al
destinatario; essa, anche se irrevocabile può essere ritirata purché il
ritiro pervenga al destinatario prima o contemporaneamente all’offerta
stessa. Questa norma va coordinata con la successiva in cui si
stabilisce, a proposito della revoca dell’offerta semplice, che questa
possa essere revocata finché il contratto non è concluso, se la revoca
perviene al destinatario prima che questi abbia spedito l’accettazione,
a meno che, non è stato stabilito un termine per l’accettazione o non è
stato altrimenti deciso che la proposta fosse irrevocabile. Non è
ammessa la revoca neppure se il destinatario può ragionevolmente
considerare l’offerta irrevocabile e ha agito di conseguenza. Si
potrebbe pensare ad un esecuzione intrapresa in buona fede
dall’oblato similmente a quanto disciplinato dal nostro art. 1328 c.c.
Dall’analisi delle norme citate, dunque, sembrerebbe che i
principi distinguano tra ritiro e revoca dell’offerta prevedendo
limitazioni più stringenti per quest’ultima. Mentre, infatti, il ritiro di
una proposta irrevocabile è sempre ammesso purché preceda l’offerta
stessa, la revoca dell’offerta è ammessa se rispettato il principio della
spedizione, e non della recezione, e sempre che non fosse stata
prevista l’irrevocabilità.
La libertà delle parti, si osserva84, tuttavia, incontra un chiaro
limite nel principio del favor contractus per cui il diritto non può
rimanere del tutto indifferente circa l’alternativa conclusione o non
conclusione del contatto. Se sussiste un dubbio deve propendersi per
la non conclusione almeno ogni qual volta non sia rispettato il
cosiddetto principio dello specchio secondo cui offerta e accettazione
devono combaciare come le facce di uno specchio.
In tal senso sembra assumere particolare rilievo il criterio del
comportamento delle parti che con sufficiente certezza dimostri il
raggiungimento dell’accordo di cui all’art 2.1.1.

83
Sulla natura della proposta irrevocabile e sull’acceso dibattito relativo ai termini
di efficacia e di irrevocabilità nonché su proposta e accettazione si rinvia per tutti a
F. GAZZONI, Manuale di diritto privato, ESI, 2005, p.819 e ss.
84
DI MAJO, I <<Principles>> dei contratti commerciali internazionali tra civil law
e common law, cit., p. 616-617.

25
La libertà è massimamente tutelata anche in termini negativi
quale libertà di non concludere il contratto. Il mancato raggiungimento
dell’accordo non comporta alcuna responsabilità a meno che il
comportamento della parte non sia contrario a buona fede, come nel
caso del recesso ingiustificato, o quando la parte inizi le trattative
senza nessuna reale intenzione di concludere il contratto. L’art. 2.1.15
dei Principi non contiene una definizione di responsabilità per il caso
di culpa in contraendo ma si limita a stabilire che il contraente in mala
fede deve ristorare l’altro delle perdite subite. La ratio sarebbe da
rinvenire ancora nella tendenza liberale dei Principi per cui una volta
concluso il contratto le norme sulla validità dello stesso e sulla frode o
minaccia sarebbero sufficienti a tutelare una delle parti dalla mala fede
dell’altra85.
Diversamente il codice civile italiano enuncia il generale
obbligo di buona fede nelle trattative e nella conclusione del contratto
all’art. 1337 e al successivo art. 1338 tipizza alcuni comportamenti
cui collegare la responsabilità precontrattuale.
Anche la libertà di determinare il contenuto del contratto,
inteso come l’insieme delle obbligazioni assunte espressamente dalle
parti e di quelle implicitamente riconducibili agli impegni contratti86, è
tutelata. Tale libertà è prevista anche in alcuni codici europei, come
nel nostro ex art. 1322 c.c., ma mentre il legislatore italiano ha
subordinato tale libertà ai limiti previsti dalla legge e al perseguimento
di interessi meritevoli di tutela, nei Principi la libertà di determinare il
contenuto delle proprie pattuizioni è prevista senza condizionamento
alcuno, nemmeno quelli che potrebbero derivare dall’applicazione dei
Principi stessi. Le parti, infatti, secondo quanto previsto dall’art. 1.5
possono escludere l’applicazione dei Principi oppure derogarvi o
modificarne gli effetti, salvo disposizione contraria in essi contenuta.
In particolare dal combinato disposto con l’art. 1.7 una di queste
norme inderogabili è quella relativa all’obbligo di buona fede. La
buona fede e la fair dealing, vanno valutate alla stregua della prassi
sviluppatasi nel commercio internazionale. Questa interpretazione
serve a scongiurare che i giudici nazionali o gli arbitri possano
utilizzare i concetti di buona fede o correttezza per manipolare il
contenuto del contratto in modo da caricarlo di effetti e significati non
voluti dalle parti87.

85
DI MAJO, I <<Principles>> dei contratti commerciali internazionali tra civil law
e common law, cit., p. 619.
86
Le obbligazioni implicite sono individuate dall’art. 5.1.2 come quelle che si
desumono dalla natura e dallo scopo del contratto, dalle pratiche instauratesi tra le
parti e gli usi, dalla buona fede e dalla ragionevolezza.
87
DI MAJO, I <<Principles>> dei contratti commerciali internazionali tra civil law
e common law, loc. cit., ove si sottolinea come il comportamento secondo buona
fede e correttezza sia nella fase di formazione che di esecuzione del contratto
costituisca nell’accezione tradizionale, tipica soprattutto dei sistemi di civil law il
più forte limite alla libertà contrattuale delle parti vista nei suoi diversi aspetti. Nei
Principi, invece, la formulazione di queste regole sembra all’opposto atteggiarsi
come limite all’attività interpretativa e quindi a garanzia della libertà dei contraenti.
La nozione di buona fede accolta dai Principi non è antitetica alla libertà e
autonomia delle parti ma tale libertà intende <<governare lungo percorsi che sono
quelli di una negoziazione e di una esecuzione rispettose di entrambi gli interessi
delle parti e volta a prevenire situazioni di abuso>>.

26
Il riferimento alle obbligazioni implicite ha permesso di
avvicinare i Principi al modello di common law che, come noto, non
contiene una nozione tecnica di obbligazione, almeno non equivalente
a quella tipica dei sistemi di civil law, ma fa riferimento più
genericamente a doveri imposti dalla legge, dalla promessa, dal
contratto o dalle relazioni sociali88.
In ossequio alla più ampia libertà riconosciuta alle parti del
contratto i Principi sanciscono la più ampia libertà di forme, poiché,
infatti, una forma ad substantiam ostacolerebbe la celerità e la
conclusione degli affari89. Il contratto, inoltre, può essere provato con
ogni mezzo, anche con testimoni senza i limiti che la prova
testimoniale incontra nell’ordinamento giuridico italiano ai sensi degli
articoli 2721 e successivi.
Volutamente scarna la parte dedicata ai requisiti di validità del
contratto, la cui individuazione viene lasciata ai singoli ordinamenti
nazionali90, concentrata intorno ai vizi del consenso. Particolarità dei
principi è la possibilità di chiedere l’annullamento del contratto, oltre
che in base ai tradizionali vizi del consenso, anche per gross disparity,
ossia per l’eccessivo vantaggio che una delle parti abbia ottenuto dal
contratto per effetto del bisogno economico, dell’inesperienza o
dell’ignoranza in cui verteva l’altra. Si tratta di un rimedio similare
alla rescissione dei sistemi di civil law ma, secondo alcuni, dal
contenuto più ampio perché non limitato al vizio del volere di cui la
controparte abbia approfittato91.
Un aspetto particolarmente evidenziato dalla dottrina92 è
l’abbandono della teorica della consideration e della causa,
riconoscendo ex art. 3.2 efficacia vincolante al mero consenso. La
scelta, non nuova perché già adottata come detto dalle convenzioni
internazionali, risponde a chiare esigenze pratiche. L’istituto della
consideration, tipico dei sistemi di common law, sarebbe risultato di
difficile comprensione al giurista continentale, analogamente a quanto
sarebbe accaduto rispetto al concetto di causa tipico dei sistemi di civil
law. Sia la consideration che la causa, inoltre, nel corso del tempo
sono divenute lo strumento privilegiato per introdurre controlli esterni
sulla serietà degli impegni assunti, anche oltre il limite della illiceità

88
G. GANDOLFI, Verso il tramonto del concetto di <<obbligaione>> nella
prospettiva di un codice unico per l’Europa?, in Riv. dir. civ., 1995, I, p. 203 e ss.
89
ALPA, Lineamenti di diritto contrattuale, cit., p. 246
90
In merito l’art. 3.1 esclude l’applicabilità dei Principi UNIDROIT all’invalidità
dovuta alla mancanza di capacità e alla contrarietà alla legge o al buon costume.
91
DI MAJO, I <<Principles>> dei contratti commerciali internazionali tra civil law
e common law, cit., p.620. Questa impostazione, tuttavia, sembra risentire della
ricostruzione del rimedio rescissorio in termini di invalidità negoziale riconducibile
alla annullabilità per vizio del consenso. Ma in senso contrario si è osservato che la
legge riconosce l’azione di rescissione a tutela non tanto, o comunque non solo,
della libera formazione della volontà, quanto piuttosto dell’equilibrio della
contrattazione, considerando la condizione di menomazione in cui si trova una delle
parti. Per un’analisi più approfondita del fondamento della rescissione si veda
GAZZONI, Manuale di diritto privato, cit., p.979 e ss.
92
DI MAJO, I <<Principles>> dei contratti commerciali internazionali tra civil law
e common law, loc cit.; GANDOLFI, Verso il tramonto del concetto di
<<obbligaione>> nella prospettiva di un codice unico per l’Europa?, cit. , p. 205.
92
ALPA, Lineamenti di diritto contrattuale, cit., p. 246

27
del contratto per contrarietà a norme imperative o al buon costume,
estendendo il controllo giudiziale alla meritevolezza delle singole
pattuizioni contenute nel contratto.
Il principio del favor contractus, al fine di garantire la certezza
dei rapporti e dei traffici commerciali sembra essere alla base di
alcune previsioni dei Principi.
E’ il caso, ad esempio, di un istituto molto particolare
costituito dalla clausola di hardship. Tutti gli ordinamenti, infatti,
prevedono regole esplicite o interpretative per l’ipotesi in cui
l’esecuzione del contratto divenga eccessivamente onerosa.
Nell’esperienza italiana si distingue l’ipotesi disciplinata dall’art. 1467
c.c., per il caso in cui l’eccessiva onerosità è straordinaria e
imprevedibile da quella in cui le circostanze onerose sono prevedibili
ma non effettivamente previste dalle parti. In quest’ultimo caso per
addivenire alla risoluzione per eccessiva onerosità, parte delle
dottrina93 applica la teorica della presupposizione collegando la
clausola di buona fede con la causa del contratto. L’art. 6.2.1. dei
Principi UNIDROIT, invece, obbliga le parti ad eseguire le rispettive
prestazioni anche se siano divenute più onerose con l’unico correttivo
costituito, appunto, dalla clausola hardship. La clausola trova
applicazione, in particolare, quando l’onerosità dipenda da un rischio
non accettato in contratto dalle parti, o da circostanze esterne
sopravvenute che non dipendono dalla parte che le invoca. Anche le
circostanze anteriori possono essere rilevanti se non erano conosciute
o conoscibili dalla parte che le invoca.
La clausola hardship permette alla parte che la invoca di
riaprire la trattativa senza ritardo e senza sospensione dell’esecuzione
del contratto. Se, tuttavia, la trattativa non dovesse andare a buon fine
è possibile adire l’autorità giudiziaria alla quale i Principi riconoscono
un margine di intervento sconosciuto agli ordinamenti codificati. Il
giudice, o l’arbitro, infatti può intervenire sul contenuto del contratto
al fine di ristabilire l’equilibrio tra le prestazioni in funzione
conservativa dello stesso94.
La stessa logica conservativa è evidente nell’affermazione, a
differenza dei principi di tradizione continentale ove la domanda di
risoluzione proposta dalla parte adempiente preclude all’altra
l’adempimento tardivo95, del diritto, ex art. 7.1.4, della parte
inadempiente di rimediare al proprio inadempimento. Questo diritto
prevale su quello dell’altra parte di dichiarare risolto il contratto. Ed è
evidente, ancora, nella generalizzazione della specific performance.
L’esecuzione in forma specifica, nei sistemi di common law, come
noto, ha natura discrezionale e un carattere residuale essendo
applicabile solo quando si dimostri inadeguato il risarcimento per
equivalente. Meno ostili alla possibilità di ottenere l’esecuzione in
forma specifica i sistemi di civil law, seppure con il limite, dovuto alla
concezione tradizionale, dell’incoercibilità delle obbligazioni di fare e
di non fare.

93
Amplius ALPA, I principi generali, cit., p. 200.
94
Si legga, in merito, l’art. 6.2.3 dei Principi UNIDROIT.
95
Questo principio per l’ordinamento italiano è sancito dall’art. 1453, ultimo comma
del codice civile.

28
I Principi, invece, come si diceva, riconoscono ampio spazio al
rimedio della specific performance comprendendo anche la facoltà di
esigere la riparazione o la sostituzione dell’adempimento inesatto. A
maggior tutela del creditore, inoltre, l’art. 7.2.4 introduce la judicial
penality. Questo istituto richiama, in qualche modo, la tecnica delle
astreintes, introdotta dalla giurisprudenza francese, costituita dalla
condanna al pagamento di una somma che cresce proporzionalmente
al ritardo nell’adempimento e che, quindi, funge da misura coattiva
che induca il renitente ad adempiere.

4. Il progetto di un codice europeo dei contratti.

Le esperienze internazionali, in una col fenomeno di


comunitarizzazione del diritto degli Stati membri, di cui si è avuta
occasione di accennare, quindi, contribuiscono a mettere in luce
l’esigenza di approntare una base comune di regole generali96. Si
sottolinea, d’altra parte, come <<i sistemi nazionali di diritto privato
vanno perdendo la loro efficienza e utilizzabilità man mano che leggi
speciali emanate in attuazione delle Direttive vanno distruggendo la
coerenza dei principi generali>>97.
Il fenomeno del federalismo giuridico, del resto, non è nuovo.
La vera novità sta, piuttosto, nel fatto che, diversamente da quanto
accade in altri Paesi, come il Canada o gli USA, l’Europa comunitaria
non è organizzata su base federale per cui i modelli giuridici degli
Stati europei presentano un grado di disomogeneità molto più
accentuato. L’ampliamento della Comunità, con l’ingresso di dieci
nuovi Stati e l’estensione territoriale della stessa, apre, inoltre, nuovi e
complessi senari anche dal punto di vista istituzionale98.
Il diritto comunitario, inoltre, come ordinamento diverso e
distinto da quelli nazionali viene ancora sentito dalla dottrina e dalla
giurisprudenza, anche italiane, come diritto straniero99.
Il solo intervento, nella materia in esame, degli organi
comunitari, mediante l’adozione di regolamenti e di direttive, e la
successiva attuazione da parte degli Stati membri, si è, dunque, data la
rapidità con cui avvengono gli scambi commerciali e gli effetti della
cosiddetta globalizzazione100, rivelato inadeguato per la realizzazione
96
C. CASTRONOVO, Il contratto e l’idea di codificazione nei Principi di diritto
europeo dei contratti, in VETTORI (a cura di), Materiali e commenti sul nuovo diritto
dei contratti, Padova, 1999, p.854-872, (Italian version of Contract and the Idea of
Codification in the Principles of European Contract Law, in Festskrift til Ole Lando,
Copenhagen 1997, p. 109-124; V. ROPPO, Sul diritto europeo dei contratti per un
approccio costruttivamente critico, in Riv. Europ. e dir. priv., 2004, I, p. 443 e ss.
97
Le parole tra virgolette sono di J. BASEDOW, A Common Contract Law for the
Common Market, in 33 Common Market L. Rev. (1966), p. 1178, richiamato da
CASTRONOVO, Il contratto e l’idea di codificazione nei Principi di diritto europeo
dei contratti, loc. cit.
98
BENACCHIO, Diritto privato delle Comunità europee, cit., p. 5.
99
BENACCHIO, Diritto privato delle Comunità europee, cit., p. 147, ove si sottolinea
come in conseguenza di questa concezione l’approccio alle regole comunitarie si
svolga principalmente nelle forme e nei metodi del diritto comparato.
100
F. DE SIMONE, Sistemi giuridici, Napoli, 2003, p.139. Osserva l’autore che il
globalismo dell’economia ha generato come effetto la circolazione di nuovi modelli

29
di un obiettivo di più ampio respiro auspicato da parte della dottrina
quale l’unificazione dei modelli giuridici, nell’ambito dell’intera
Unione Europea.
Il legislatore comunitario, infatti, come si è avuta occasione di
osservare, nonostante i numerosi interventi, non ha dettato una
disciplina generale del contratto, ma si è limitato a indicare delle
soluzioni limitatamente a singole figure di contratto quasi sempre in
chiave correttiva e protezionistica dell’interesse del consumatore. Le
stesse direttive, si osserva, non nascono in modo ordinato ed univoco
ma la discussione, la redazione e l’approvazione avviene in modo
<<erratico>>101.
Lo snodo necessario, si osserva dunque, sarebbe segnato dal
passaggio dalla comunitarizzazione del diritto all’europeizzazzione
dello stesso mediante l’elaborazione di un vero e proprio sistema
giuridico unitario e cogente fondato su un codice che raccolga,
nonostante la presenza dei due sistemi di common law e civil law, i
principi comuni ereditati dalla tradizione gius-romanistica102 103.
Anche in considerazione di questi mutamenti si è radicata nei
giuristi la consapevolezza che sia necessario varare un corpo organico
ed esaustivo di regole per l’Europa, che faciliti gli scambi
commerciali tra i consociati e disciplini il settore contrattuale104.

contrattuali, il più delle volte atipici, creati dai legali delle multinazionali,
identificabili come ‘contraenti forti’. Tali fattispecie contrattuali, per effetto della
prassi, convergono nei singoli ordinamenti nazionali per poi trasformarsi in usi e,
infine, essere assunti in legge, in quanto direttamente disciplinati. Si pensi alle
vicende che hanno interessati il contratto di leasing o di factoring. Per un’analisi del
problema relativo al rapporto tra tipicità e atipicità si veda GAZZONI, Manuale di
diritto privato, cit., p.793 e ss.
101
ALPA, Lineamenti di diritto contrattuale, cit., p. 239; IDEM, Il codice civile
europeo: ”e pluribus unum”, in Contr. e impr. Europ., 1999, p.695; G. GANDOLFI,
Per la redazione di un <<codice europeo dei contratti>>, in Riv. trim. dir. e proc.
civ, 1995, p. 1074; ZENO-ZENCOVICH, Il “codice civile europeo”, le tradizioni
giuridiche nazionali e il neo-positivismo, cit., p. 62.
102
In questo contesto appare opportuno citare la Comunicazione della Commissione
al Consiglio e al Parlamento dell’11 luglio 2001, [COM(2001)final.], riguardante,
appunto, il diritto europeo dei contratti. Si tratta di un documento particolarmente
importante perché per la prima volta pone l’obiettivo, e apre il dibattito, di una
codificazione comunitaria del diritto privato, alla luce delle riflessioni sullo stato
attuale delle legislazioni nazionali e sulle conseguenze di una eventuale
codificazione. Più di recente sulla questione si veda la Comunicazione del 19
maggio 2003 [COM(2003) 68 def.] con la quale la Commissione europea ha lanciato
un “Piano d’azione” in base al quale ha richiesto a tutti gli interessati di esprimersi
riguardo alle iniziative che dovrebbero essere assunte in sede comunitaria per
realizzare una più coerente disciplina europea del contratto. Il Parlamento europeo e
il Consiglio hanno apprezzato l’iniziativa, specie considerando che una disciplina
più semplice ed efficiente raggiungerebbe il risultato di agevolare le operazioni
transfrontaliere nel mercato interno, di ridurre i costi transattivi, e di consentire agli
operatori di avvalersi più compiutamente dei vantaggi offerti dal mercato.
103
Per un’approfondita ricostruzione della nascita dei movimenti di codificazione
successivi al diritto romano nonché disamina delle esigenze alla base delle
codificazioni moderne e delle relative difficoltà si veda R. SACCO, Introduzione al
diritto comparato, in R. SACCO (diretto da), Trattato di diritto comparato, Torino,
1992, rist. 2004, p. 217 e ss., nonché BONELL, Comparazione giuridica e
uniformazione del diritto, cit., p. 4 e ss.
104
ALPA, Il diritto privato europeo: significato e confini del sintagma, ult. cit.,
passim; BENACCHIO, Diritto privato delle Comunità europee, cit., p. 178 e ss.;

30
L’emanando codice europeo dei contratti, lungi dal rappresentare
un’opera puramente accademica avulsa dalla realtà, dovrebbe
rispecchiare e soddisfare le esigenze delle varie aree europee105 e vi
dovrebbero convergere le diverse tradizioni storiche, culturali,
politiche, ambientali e giuridiche consolidatesi nei Paesi europei nel
corso dei secoli. Già prima della istituzione della Comunità, del resto,
si era sentita l’esigenza di una legislazione uniforme tanto che nel
1918 una commissione italo-francese pubblicò il Progetto di codice
delle obbligazioni e dei contratti, considerato il primo serio tentativo
in Europa di approntare una disciplina uniforme e transfrontaliera106.
La redazione di un codice europeo, si osserva, comporterebbe,
una semplificazione delle regole giuridiche applicabili ai rapporti
economici, molto spesso dislocate tra i codici e la legislazione
speciale nazionale. Regole uniformi, inoltre, permetterebbero di
prevenire o semplificare le liti, di assicurare una omogenea
applicazione delle norme ai conflitti insorti, di superare la concorrenza
tra ordinamenti nazionali, o la prevalenza dell'uno sull'altro, nonché la
corsa alla scelta della legge nazionale più conveniente da applicare al
caso concreto107.
A differenza delle iniziative intraprese dagli organi
comunitari108, volte ad una unificazione dell’intero diritto privato,
quelle sostenute dai fautori della codificazione europea appaiono,
piuttosto, orientate a limitare l’opera di codificazione alla materia dei
contratti. La spiegazione è da rinvenire, come sottolineato in
dottrina109, nelle caratteristiche stesse del diritto dei contratti, il quale
incidendo in maniera meno invasiva sulla tradizione giuridica di un
Paese rispetto ad altre discipline, quali il diritto di famiglia o il diritto
successorio, si presta meglio ad iniziative di unificazione.
L’unificazione normativa, inoltre, della cosiddetta contract law
costituirebbe il naturale prosieguo dell’uniformazione operata nel

CASTRONOVO, Il contratto e l’idea di codificazione nei Principi di diritto europeo


dei contratti, cit., passim; G. GANDOLFI, Il codice europeo dei contratti, pubblicato
sul sito web http://www.bibliojuridica.org, passim.
105
In tal senso hanno operato e operano, da un lato, la commissione Lando e,
dall’altro l’Accademia dei Giusprivatisti Europei di Pavia, di cui si avrà occasione di
parlare a breve.
106
CASTRONOVO, Il contratto e l’idea di codificazione nei Principi di diritto europeo
dei contratti, cit., p. 2; IDEM, I << Principi di diritto europeo dei contratti>> e
l’idea di codice, cit., p. 27; IDEM Il diritto europeo delle obbligazioni e dei contratti.
Codice o Restatement?, in Riv. Europ. e dir. priv., loc. cit., IDEM Dagli ordinamenti
nazionali al diritto uniforme europeo: la prospettiva italiana, loc. cit.; E. IORATTI,
Verso un codice civile europeo: modelli e tendenze, Trento, 2002, p. 30 e ss.; IDEM,
Cidice civile europeo. Un approccio metodologico, in Riv. crit. dir. priv., 2003, n. 2,
p. 347.
107
ALPA, Il diritto privato europeo: significato e confini del sintagma, cit., p. 14.
108
Si fa riferimento alla Comunicazione 2001 n. 398 sul diritto contrattuale europeo
e alla Comunicazione 2001 n. 531 sulla tutela dei consumatori, entrambe della
Commissione, ed alla Risoluzione sul ravvicinamento del diritto civile e
commerciale del Parlamento europeo, A5-0384 del 2001, nonché alla proposta di
armonizzazione delle regole concernenti la responsabilità civile.
109
BENACCHIO, Diritto privato delle Comunità europee, cit., p. 186; CASTRONOVO, I
<< Principi di diritto europeo dei contratti>> e l’idea di codice, cit., p. 26;
CONSTANTINESCO, Il metodo comparativo, cit., p 57; DI MAJO, I <<Principles>>
dei contratti commerciali internazionali tra civil law e common law, cit., p. 610

31
settore dal diritto comunitario, fenomeno cui si è già avuta occasione
di accennare, nonché il completamento delle iniziative della comunità
internazionale che hanno portato alla Convenzione di Roma del 1980,
sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali, ed alla
Convenzione di Vienna del 1980, sulla vendita internazionale di beni
mobili.
L’adozione di un codice europeo dei contratti presuppone,
tuttavia, il superamento della tradizionale concezione europeo-
continentale che, originariamente, identificava il codice civile come
un sistema di norme riguardanti tutte le relazioni tra soggetti sorrette
dalla logica del diritto privato, dovendosi, nel caso in esame, adattare
l’idea di codice ad una materia settoriale, ossia ad un solo ramo del
diritto civile, quello riferito ai contratti110. A tal proposito pare
opportuno sottolineare la recente tendenza dei legislatori nazionali di
ritenere adattabile a dimensioni più ridotte e settoriali111 le norme
generali sui contratti e le obbligazioni. Queste norme, tuttavia, pur
rappresentando solo una parte di un codice, inteso nel senso
tradizionale, devono possedere lo stesso carattere di generalità che
viene attribuito ad esso112.
Altra difficoltà è l’effettiva capacità della struttura
ordinamentale europea, di cui al Trattato di Roma modificato da
quello di Maastricht, di consentire e sostenere un simile progetto113. Il
diritto europeo dei contratti, infatti, verrebbe a toccare ogni aspetto
della materia senza essere collegato ad alcun ordinamento dotato di
effettività, essendo essenzialmente di matrice dottrinale114.
I sostenitori della codificazione europea, nonostante le
innegabili difficoltà pratiche, sono incoraggiati nel perseguire tale
progetto non solo dal dato storico della comune matrice, di tradizione
romanistico-giustinianea115, degli ordinamenti giuridici coinvolti, ma
pure dai recenti risultati che in qualche modo contribuiscono al

110
CASTRONOVO, Il contratto e l’idea di codificazione nei Principi di diritto europeo
dei contratti, loc. cit., che riprende, in ordine alla questione più generale relativa a
un vero e proprio codice civile per l’Europa, i saggi di HARTKAMP, HESSELINK,
HONDIUS, DU PERRON, VRANKEN (a cura di), Towards a European Civil Code,
Dordrecht, 1994.
111
Anche nel nostro ordinamento si è recentemente fatta esperienza di codici che
lungi dall’interessare e disciplinare tutte le relazioni tra i soggetti del diritto privato
attengono a singoli rapporti individuati dalla peculiare natura degli stessi o da
particolari staus dei soggetti. Si pensi al codice della privacy, al codice del consumo
al codice delle assicurazioni private.
112
CASTRONOVO, I << Principi di diritto europeo dei contratti>> e l’idea di
codice, cit., p. 29. ove si precisa che parlare di codice a proposito dei PECL sarebbe
eccessivo e pretenzioso.
113
Ancora CASTRONOVO, Il contratto e l’idea di codificazione nei Principi di diritto
europeo dei contratti, loc. cit. che sul punto richiama l’osservazione di M.
BANGEMANN, Privatrechtsangleichung in der Europäischen Union, in Zeitschr. f.
Eur. Privatrecht 1994, p. 378, secondo cui “non c’è alcuna disposizione del Trattato
che autorizzi l’Unione europea all’unificazione del diritto privato, la quale peraltro è
inevitabile”.
114
BENACCHIO, Diritto privato delle Comunità europee, cit., p. 178.
115
Per un’indagine sull’epoca storica dello ius comune si veda l’opera di E. Cortese,
Il diritto nella storia medievale, vol. I, Roma, 1995, passim, nonché VILLARI, Mille
anni di storia, cit., passim.

32
superamento delle divisioni tra ordinamenti, quali le Convenzioni
internazionali e la lex mercatoria di cui si è detto.
L’iniziativa, pertanto, di elaborare un codice civile europeo ha
suscitato molte perplessità116, ma pure entusiasmo ed interesse.
Appare, infatti, di tutta evidenza l’esistenza già in atto di una cultura
giuridica comune se solo si pone mente al fatto che nell'Occidente si
sono consolidati <<valori giuridici comuni>>117, vigono diritti
fondamentali di identico tenore e la Convenzione europea dei diritti
umani è stata ratificata da tutti i Paesi dell'Unione118. Questi risultati
hanno spinto alcuni autori, pure aspramente criticati da altri119, a
parlare di uno ius commune europaeum al pari della tradizione del
diritto romano120 o dello ius commune del Medioevo121.
In senso critico, tuttavia, si è obiettato che un ostacolo
insormontabile all’opera di armonizzazione sorgerebbe dalle profonde
differenze strutturali tra common law e civil law. Contro questa
osservazione alcuni autori122 hanno sottolineato come, da un lato,

116
LEGRAND, Sens et non-sens d'un code civil européen, in Rev. int. dr.comp., 1996,
p.779 ss., richiamato e criticato da ZENO-ZENCOVICH, Il “codice civile europeo”, le
tradizioni giuridiche nazionali e il neo-positivismo, in Foro it., 1998, V, 60 ss.;
BELLANTUONO, Diritto comunitario e diritto dei contratti: armonizzazione o
diversificazione?, cit., p. 93, il quale evidenzia i pericoli insiti nel processo di
armonizzazione del diritto dei contratti sotto l’egida della Comunità europea. La
scelta di una regola unica, si osserva in particolare, esclude il ricorso alla varietà di
soluzioni presenti negli ordinamenti nazionali e finisce per appiattire le differenze.
L’armonizzazione, inoltre, consolida di fatto la situazione esistente al momento in
cui è realizzata e non consente di avvalersi dei vantaggi derivanti dalla competizione
tra i modelli. Per una completa analisi e disamina delle ragioni e dei pregiudizi alla
base delle argomentazioni dei critici si rinvia a ALPA, Il diritto privato europeo:
significato e confini del sintagma, op. cit., p. 12 e ss.
117
ALPA, I principi generali, cit., passim; HINESTROSA Des principes généraux du
droit aux principes généraux des contrats, in Uniform L.Rev., 3 (1998), p. 501 ss
118
ALPA, Il diritto privato europeo: significato e confini del sintagma, loc. cit.
119
ALPA, L’<<europeizzazione>> del diritto contrattuale, cit., p. 9; SCHULZE, Le
droit privé commun européen, in Rev. int. dr. comp., 1995, p. 10 ss. Sul diritto
comune medievale si veda il contributo di SANTINI, L'Europa come spazio giuridico
unitario: un'armonia nel rispetto delle dissonanze, in Contr. e imp./Europa, 1996, I,
p.43 ss.
120
T. GIARO, Comparemus! Romanistica come fattore d'unificazione dei diritti
europei, in Riv. crit. dir. priv., 2001, 539 e ss.
121
Ricostruiscono storicamente il fenomeno, e rinvengono nello ius commune il
fondamento del nuovo diritto comune europeo, R. ZIMMERMANN, Diritto romano,
diritto contemporaneo, diritto europeo: la tradizione civilistica oggi (il diritto
privato europeo e le sue basi storiche), in Riv. dir. civ., 2001, I, p. 703 e ss. e M.
LUPOI, Common law e Civil law (alle radici del diritto europeo), in Foro it., 1993,
V, p. 431 e ss. Sulla riscoperta dello studio dello ius commune quale propedeutico al
processo di armonizzazione degli ordinamenti nazionali che attualmente si svolge
all’interno della Comunità europea si veda, invece, BELLANTUONO, Diritto
comunitario e diritto dei contratti: armonizzazione o diversificazione?, cit., p. 90 e
ss.; CONSTANTINESCO, Il metodo comparativo, Torino, 2000, p. 33; H. W.
MICKLITZ, Prospettive di un diritto privato europeo: ius commune praeter legem?,
in G. ALPA – N. BUCICCO, Il codice Civile Europeo, Quaderni di rassegna forense,
Milano, 2001, p. 331 e ss.
122
ALPA, Il diritto privato europeo: significato e confini del sintagma, ult. cit, p. 13,
il quale osserva come in linea con questa tendenza venga mutando anche
l’atteggiamento di molti common lawyers riguardo alla codificazione come tecnica
di introduzione o di consolidamento di regole giuridiche. Dello stesso autore si veda,

33
ormai, nel diritto inglese e nel diritto irlandese non tutta la creazione
del diritto è affidata alla case law, dal momento che sono sempre più
estese le <<province>> della statute law, e dall’altro, l'appartenenza
del Regno Unito e dell'Irlanda all'Unione Europea implica
l'applicazione di tutti i regolamenti comunitari ed il recepimento di
tutte le direttive comunitarie mediante fonti di diritto scritto.
Contestualmente nei paesi a diritto scritto, codificato o legificato, si
assiste alla tendenza opposta, ovvero alla creazione di case law, di
regole giurisprudenziali che vivificano il testo scritto, lo completano,
lo correggono.
L’adozione di un diritto uniforme in materia contrattuale,
inoltre, non deve essere guardato come la soppressione dei caratteri
originali nazionali e del valore del pluralismo giuridico, poiché per
quanto le regole contenute nei singoli codici non saranno
singolarmente più applicate, esse continueranno a sopravvivere nelle
regole comuni che sarebbero il frutto delle diverse esperienze
giuridiche coinvolte nel processo123.

5. La Commissione Lando e l’adozione dei PECL.

Sulla scia di queste riflessioni, all’inizio degli anni ottanta, una


commissione, formata da giuristi dei vari Paesi dell’Unione europea, a
carattere non governativo, e costituita su sollecitazione della stessa
Comunità europea e per iniziativa del Prof. Ole Lando della Business
School di Copenhaghen, si è dedicata all’elaborazione dei Principi di
diritto europeo dei contratti e delle obbligazioni124.

pure, Lineamenti di diritto contrattuale, cit., p. 252 e ss; GANDOLFI, Per la


redazione di un <<codice europeo dei contratti>>, cit., p. 1075.
123
ALPA, Il diritto privato europeo: significato e confini del sintagma, loc. cit., ove
si sottolinea come pur essendo vero che l'apparato giuridico nel suo complesso è uno
dei connotati fondamentali di un Paese, è anche vero che ad esso si può facilmente
rinunciare, ed è anche vero che l'esistenza e la consistenza di questo carattere è
presente solo ai giuristi, ma realisticamente non è considerato come tale dal comune
cittadino.
124
Meritano un cenno anche le altre iniziative adottate sulla scia dei lavori della
commissione Lando. In particolare il Common Core of European Private Law
Projet, nato presso l’Università di Trento con lo scopo di evidenziare, mediante il
metodo comparatistico, al fine di conoscere meglio le differenze ed evidenziare le
similitudini già presenti negli ordinamenti giuridici europei in funzione della
creazione di una cultura giuridica europea. Nell’ambito dei progetti di ricerca
dell’niversità di Maastricht è stato attivato il cosiddetto Casebooks Project che pure
ha la finalità di estrapolare similitudini e differenze tra i vari ordinamenti giuridici
attraverso l’analisi di casi giurisprudenziali. Fra le iniziative per l’unificazione del
diritto privato europeo si segnala nel 2002 la costituzione del Gruppo Aquis che
accomuna il lavoro di molte università europee. La caratteristica del gruppo è di
procedere all’unificazione delle regole giuridiche partendo non dai diritti nazionali
bensì da quello comunitario al fine di permettere una più efficiente produzione
normativa da parte degli organo comunitari medesimi. Per un’analisi più
approfondita delle varie iniziative accennate si veda BENACCHIO, Diritto privato
delle Comunità europee, cit., p. 193 e ss.

34
L’iniziativa ha suscitato ampi consensi125 tanto che il lavoro di
studio e di ricerca si sta estendendo alle altre fonti delle obbligazioni
ad opera di un comitato coordinato dal professore tedesco Christian
von Bar126. In connessione con questo lavoro, muovendo dall’idea che
l’uniformazione del diritto europeo debba toccare tutti gli aspetti del
diritto privato patrimoniale, sono pervenute all’attenzione dei giuristi
ricerche sulle securities, sul contratto di assicurazione e sui diritti
della persona.
Diversamente dal lavoro coordinato dal Prof. Gandolfi che
mira, come si è avrà occasione di accennare, alla redazione di un vero
e proprio codice europeo dei contratti, inteso come insieme
sistematico di regole di diritto privato alle quali attribuire valore
normativo, la codificazione della commissione Lando si muove un
passo indietro, mirando alla elaborazione di principi comuni in vista di
un possibile codice europeo.
Una volta ultimati, infatti, i Principi europei dei contratti, detti
comunemente PECL, dovrebbero costituire uno strumento di ausilio
degli organi comunitari, in particolare della Corte di Giustizia, oltre
che dei giudici nazionali, al fine di assicurare una maggiore uniformità
e coerenza sistematica nell’elaborazione ed interpretazione dei singoli
provvedimenti di diritto comunitario. I PECL, inoltre, potrebbero
essere scelti, quale lex contractus, dalle parti di un contratto
intracomunitario, nei limiti in cui ciò sia consentito dalle regole in
conflitto tra loro127.
La Commissione Lando ha indicato, in particolare, i tre stadi
successivi in cui si dovrebbe articolare il processo di unificazione del
diritto contrattuale: nella fase cosiddetta opt-in, i PECL potrebbero
essere uno strumento opzionale per le parti che concludano operazioni
transnazionali, di poi, nella fase cosiddetta opt-out, la normativa in
parola potrebbe divenire, salvo deroga pattizia, vincolante. Elaborato
il codice europeo dei contratti, infine, questo potrebbe essere esteso, in
modo vincolante, a tutte le operazioni comunque concluse nell’ambito
dell’ Unione europea.
Queste iniziative, come più volte precisato, dagli stessi esperti
interessati, non intendono imporre un codice civile scritto, ma offrire
all’Unione europea, agli Stati Membri, ai singoli privati, la possibilità
di adottare un <<codice modello>> con cui disciplinare i propri
rapporti, nell’intento di creare proprio quella base comune di termini,
nozioni, istituti sui quali poggiano le direttive comunitarie e possano
procedere nel futuro gli interventi ulteriori dell’Unione128.

125
ALPA, I principi generali, cit., p. 255 e ss.; idem, Lineamenti di diritto
contrattuale, cit., p.55 e ss.; BENACCHIO, Diritto privato delle Comunità europee,
cit., passim.; C. CASTRONOVO, I <<principi di diritto europeo dei contratti>> e
l’idea di codice, cit., p. 21 e ss.
126
C. VON BAR, The Common European Law of Torts, Oxford, 1998.
127
BONELL, Comparazione giuridica e uniformazione del diritto, cit., p. 20.
128
ALPA, Il diritto privato europeo: significato e confini del sintagma, loc. cit., ove
si rileva come anche il settore della responsabilità civile vede profilarsi altre novità,
in ambito comunitario, che richiedono una riflessione sulla opportunità di
uniformare terminologia, nozioni e regole in questo che, accanto al diritto
contrattuale, costituisce un settore di grande ampiezza e di rilevantissima incidenza
sul contenzioso. Già il Libro bianco sulla responsabilità per danni all’ambiente

35
Nonostante, dunque, l’obiettivo iniziale della commissione sia
stato, come detto, quello di approntare qualcosa di diverso da una
codificazione civile generale dei contratti e delle obbligazioni,
elaborando dei principi generali più vicini, per esperienza, ad un
codice di commercio o ai Principi UNIDROIT, nel prosieguo dei
lavori si è palesata la necessità di precisare quando un contratto può
dirsi concluso, come deve essere interpretato, quali sono i requisiti di
validità dello stesso, quali le regole da applicare alla prestazione e
all’inadempimento, al risarcimento del danno. Le regole, pertanto,
inizialmente pensate per disciplinare i rapporti privati tra soggetti in
posizione paritetica, e senza prendere in considerazione particolari
status personali o professionali, hanno finito per essere estese anche a
soggetti non professionali129.
Il primo articolo del capo II dei PECL130 è dedicato alla
formazione del contratto. Si tratta di una disposizione che ictu oculi
sembrerebbe implicare una piena autonomia contrattuale, sottolineata
dalla chiusa della previsione <<senza che occorra alcun altro
requisito>>. Questa previsione è posta a significare, come già
avvenuto nel caso delle Convenzioni internazionali e dei Principi
UNIDROIT, e per le stesse ragioni già esposte, il rifiuto della causa e
della consideration come requisiti essenziali del contratto131. L’art.

[COM (2000) 66 def.] ha richiamato l’attenzione sulla esigenza di introdurre regole


armonizzate per tutelare le vittime dei danni derivanti dall’inquinamento
dell’ambiente; e il 23 gennaio 2002 è stata presentata una proposta di direttiva in
materia [COM (2002) 17 def.]; il 7 giugno 2002 è stata presentata la proposta di
modifica delle direttive sull’assicurazione della responsabilità civile derivante dalla
circolazione di autoveicoli [COM (2002) 244 def.]; prosegue l’attività della
Commissione sulle iniziative di revisione della direttiva 85/374 in materia di danno
da prodotti difettosi. Ancora. Nel corso del 2002 è stato presentato un progetto
preliminare di proposta del Consiglio sulla disciplina delle obbligazioni
extracontrattuali che costituirebbe il pendent della Convenzione di Roma sulla legge
applicabile alle obbligazioni contrattuali. La disciplina proposta non dà la
definizione dei vocaboli fondamentali (quali atto illecito, responsabilità, danno). Ed
è evidente che gli ordinamenti nazionali provvederebbero ad integrare la lacuna: ma
è noto che la materia è ancora assai diversificata nelle esperienze continentali e
anche nelle esperienze di common law. E sul piano delle iniziative dirette a
realizzare uno spazio giudiziario europeo in materia civile si è proposto di introdurre
un regolamento [15 maggio 2001, COM (2001), 221 def.)].
129
CASTRONOVO, Il contratto e l’idea di codificazione nei Principi di diritto
europeo dei contratti, cit., p. 5, ove si sottolinea che anche il codice civile italiano,
accanto a norme di carattere generale sui contarti da applicare a soggetti senza
qualità, contiene norme speciali volte a disciplinare rapporti giuridici tra
imprenditori oppure tra imprenditori e consumatori, come nel caso degli articoli
1341, 1342 e 1370. Questa scelta conferma che perfino i codici nazionali devono
fare un compromesso tra l’idea tradizionale che identifica la codificazione con
regole generali per soggetti ugualmente protetti dalla legge, per gli uomini senza
qualità, e la necessità di porre in testa alla legislazione, nei codici appunto, alcune
regole particolari riguardanti soggetti qualificati, come sono i consumatori o gli
imprenditori.
130
L’estensore della norma richiamata fu proprio Ole Lando. L’art. 2:101, in
particolare, prevede al paragrafo 1 che “un contratto è concluso se (a) le parti hanno
voluto vincolarsi giuridicamente e (b) esse hanno raggiunto un accordo sufficiente,
senza che occorra alcun altro requisito”.
131
L’osservazione è di CASTRONOVO, Il contratto e l’idea di codificazione nei
Principi di diritto europeo dei contratti, cit., p. 7, il quale osserva come la medesima
scelta si rinvenga in UNIDROIT, Principles of international commerciale contracts,

36
2:102 completa la disciplina132 della formazione del contratto laddove
si riferisce non alla volontà tout court, bensì alla volontà dichiarata,
essendo la dichiarazione il solo mezzo mediante il quale ciascuna
parte può comprendere ciò che l’altra mostra di volere.
La nozione di contratto, o più correttamente l’indicazione degli
elementi necessari a concludere un contratto, fornita dai Principi è
dunque volutamente generica proprio di modo che essa possa essere
tratta dalla disciplina nel suo complesso ed adattarsi alle peculiarità
dei diversi ordinamenti giuridici coinvolti133.
Anche nei PECL, come anticipato, si rinvengono norme volte a
tutelare la parte debole del contratto. In particolare quando nel
contratto vengono inserite clausole che non siano state oggetto di
trattativa individuale queste possono essere invocate dal predisponente
solo se questi dimostri di aver fatto tutto quanto necessario per
portarle all’attenzione dell’altra parte, prima o al momento della
conclusione del contratto. La previsione richiama in parte quanto
previsto dal codice civile italiano all’art. 1341, comma primo.
Diversamente da quest’ultima disposizione, tuttavia, l’art. 2:104 dei
Principi non si riferisce propriamente e direttamente alle condizioni
generali ma alle clausole non oggetto di trattativa individuale, e
dunque ad una categoria più generale134.
Il modello di riferimento appare essere, allora, piuttosto quello
delle clausole abusive introdotte dalla Direttiva 93/13, con la
precisazione che la Direttiva riguarda contratti conclusi con un
consumatore da un venditore o fornitore professionale, mentre l’art.
2:104 PECL, come del resto l’art. 5:103, che contiene la regola
dell’interpretazione contra proferentem, non prevede questo limite e
può essere applicata a tutti i contratti le cui clausole non siano state
oggetto di trattativa individuale135.
I PECL, inoltre, prevedono esplicitamente la sanzione da
applicare nel caso in cui nel contratto siano inserite clausole abusive.
Quando queste, infatti, in maniera contraria al principio di buona fede,
provocano un significativo squilibrio nei diritti e nelle obbligazioni
delle parti derivanti dal contratto, possono essere annullate.
Una disciplina particolare è dedicata alla cosiddetta
accettazione modificata. L’art. 2:208, in particolare, prevede che la

Roma 1994, benché la norma corrispondente, l’art. 3.2, sia situata nella disciplina
della validità.
132
L’art. 2:102 stabilisce che “la volontà di una parte di vincolarsi giuridicamente è
quella che si ricava dalle dichiarazioni e dalla condotta di essa così come sono state
ragionevolmente comprese dall’altra parte”.
133
CASTRONOVO, Il contratto e l’idea di codificazione nei Principi di diritto
europeo dei contratti, cit., p. 8.
134
CASTRONOVO, Il contratto e l’idea di codificazione nei Principi di diritto
europeo dei contratti, cit., p. 9, ove non si manca di rilevare che normalmente c’è
coincidenza tra la prima e la seconda categoria di clausole contrattuali come, del
resto, esplicitato dalla stessa Direttiva 93/13 sulle clausole abusive.
135
CASTRONOVO, Il contratto e l’idea di codificazione nei Principi di diritto
europeo dei contratti, cit., p. 10 e ss. Osserva l’autore come questo fenomeno ha
comportato che regole originariamente concepite come di status attraverso i PECL
sono diventate vere e proprie regole generali nel senso di una codificazione In tal
modo i PECL mostrano di voler essere il punto di riferimento di tutto il diritto dei
contratti già disciplinato da vari e non sempre coerenti testi europei.

37
risposta dell’oblato che stabilisce o implica clausole aggiuntive
costituisce una nuova proposta soltanto se esse mutano in maniera
decisiva il contenuto della proposta. Nel caso contrario le clausole
aggiuntive o diverse entrano a far parte del contenuto del contratto, a
meno che il proponente non vi si opponga in maniera chiara136.
In considerazione del fatto che i PECL non sono una normativa
a tutela di status137, del tutto in contro corrente rispetto alle direttive
comunitarie, pongono in primo piano il principio della libertà di forma
sia per la validità che per la prova del contratto.
I PECL, insomma, come già si è avuta occasione di osservare e
per ammissione degli stessi fautori e sostenitori del progetto138, non
hanno la pretesa di essere né un codice del consumatore né un codice
civile e neppure una codificazione europea dedicata alla materia delle
obbligazioni e dei contratti. Essi vogliono essere, piuttosto, una
proposta, un tentativo serio di indicare la strada da percorrere per
interpretare e concretizzare l’idea di un codice, dimostrando, con la
forza persuasiva delle cose già realizzate rispetto a un puro progetto,

136
CASTRONOVO, Il contratto e l’idea di codificazione nei Principi di diritto
europeo dei contratti, loc. cit. Le soluzioni adottate dagli artt. 2:208 e 2:209 dei
PECL, come ivi osservato dall’autore, <<sono formule tipiche di diritto debole, nel
senso di un diritto non più in grado di imporre profili formali e netti ai fatti al fine di
fissare una volta per tutte precisi effetti. E’ chiaro infatti che se i lineamenti dei fatti
descritti dalle norme non sono precisi si tratta di regole dettate per la formazione del
contratto e, ancora oltre, per il contratto in generale, essendo in tal modo applicabili
a ogni categoria di soggetti senza alcuna qualificazione di status. Questo crea una
differenza rispetto ai Principi UNIDROIT, rivolti, come è ben noto, soltanto ai
contratti commerciali, benché essendo stati i PECL e i Principi UNIDROIT elaborati
quasi contemporaneamente e da membri delle due commissioni in parte identici, le
norme di cui gli uni e gli altri sono costituiti sono risultate in buona parte uguali
nella sostanza. Naturalmente qualche differenza più o meno significativa può essere
rilevata nei contenuti. Così relativamente all’art. 2:208 PECL può essere rilevato che
esso è decisamente più netto della norma corrispondente nei Principi UNIDROIT,
l’art. 2.11. Mentre quest’ultimo comincia dicendo che “una risposta a una proposta
che intende essere una accettazione ma contiene aggiunte, limitazioni o altre
modificazioni è un rifiuto della proposta e costituisce una controproposta”, con una
conferma di principio della regola tradizionale che una divergenza in ciò che intende
essere un’accettazione è una nuova proposta (così, ad es., l’art. 1326, 5° co. c.c.), l’
art. 2:208 PECL in linea di principio afferma in partenza l’idea che solo clausole che
alterano significativamente i termini della proposta importano “un rifiuto della stessa
e una nuova proposta”>>.
137
CASTRONOVO, Il contratto e l’idea di codificazione nei Principi di diritto
europeo dei contratti, cit., p. 12, ove si sottolinea che se i Principi non sono soltanto
una disciplina per gli imprenditori commerciali, per la stessa ragione non devono
essere disciplina soltanto rivolta ai consumatori. L’autore, tuttavia, precisa come in
occasione del seminario sui Principi di diritto europeo dei contratti, tenutosi
all’Istituto di diritto comparato dell’Università di Firenze il 10 maggio 1997, il
Schlechtriem ebbe occasione di precisare che se i Principi vogliono avere qualche
speranza di successo, devono scegliere la tutela del consumatore come il campo nel
quale le Direttive europee avendo mostrato le linee di tendenza della Comunità, una
codificazione europea potrebbe essere accettata più facilmente. Con ciò si vuol
sottolineare che pur non potendo la codificazione europea limitarsi alla tutela del
consumatore non potrebbe trascurare una parte dedicata ai contratti dei consumatori
senza essere monca perché lascerebbe irrisolto il problema della disciplina generale
dei contratti alla quale riferirsi nel dare applicazione a quelli che resterebbero testi
normativi particolari a tutela del consumatore.
138
CASTRONOVO, Il contratto e l’idea di codificazione nei Principi di diritto
europeo dei contratti, cit., passim.

38
che una base comune ha potuto essere ed è stata di fatto scoperta per
rendere possibile l’incontro tra diversi sistemi di diritto scritto, la
common law e gli ordinamenti nord-europei139.

6. Il progetto di codice del gruppo di lavoro di Pavia.

Un’altra delle iniziative meglio conosciute a livello europeo è


quella intrapresa da una commissione di studi istituita presso
l’università di Pavia il 20-21 ottobre 1990 e presieduta dal Prof.
Giuseppe Gandolfi, nota come Accademia dei giusprivatisti di Pavia o
anche Gruppo pavese.
Il gruppo pavese lavora all’elaborazione di un codice europeo
dei contratti, considerata l’unica strada percorribile per l’unificazione
del diritto. Si sostiene, infatti, che rispetto a quella legislativa le altre
iniziative, anche il procedimento di armonizzazione operato mediante
direttive frastagliate dalla Comunità europea, non sono uno strumento
adeguato al superamento delle difficoltà derivanti dalle diversità dei
regimi contrattuali in Europa.
La tecnica seguita dai giuristi di Pavia consiste
nell’elaborazione di un codice europeo partendo dall’analisi e dallo
studio di un testo-base che funga da schema sul quale costruire il
diritto contrattuale comune.
Questo testo-base è stato identificato nel libro IV del codice
civile italiano, considerato sia per ragioni storiche che strutturali, una
giusta mediazione tra la tradizione giuridica francese e quella
tedesca140. Il codice civile italiano, inoltre, è apparso maggiormente
armonizzabile con i principi della common law.
Date, tuttavia, le insopprimibili differenze esistenti tra i sistemi
di common law e civil law, nel 1993 i giuristi di Pavia, accanto al libro
IV del codice civile italiano hanno scelto di fare riferimento al
contract code elaborato dal giurista di Oxford Harvey McGregor per
conto della English Law Commission. Il codice di McGregor è
risultato molto utile poiché avendo dovuto mediare tra il modello
inglese, tipico sistema di common law, e quello scozzese che, come
noto, orbita nell’ambito della civil law, ha affrontato e risolto problemi
molto simili a quelli incontrati dai giuristi di Pavia141. In questo
lavoro, infatti, non vi è riferimento ad alcuni concetti tipici del diritto
inglese quale la consideration, mentre la specific performance viene
considerata la regola nel caso di inadempimento. Nonostante gli sforzi
di mediazione, tuttavia, il progetto di McGregor è stato accolto con

139
CASTRONOVO, Il contratto e l’idea di codificazione nei Principi di diritto
europeo dei contratti, cit., p. 14, ove si nota enfaticamente che grazie
all’elaborazione dei Principi e a ciò che essi rappresentano nessuno sarà più in grado
di dire, d’ora in avanti, che l’idea di codificazione europea non è praticabile.
140
BENACCHIO, Diritto privato delle Comunità europee, cit., p. 188; R SACCO,
Introduzione al diritto comparato, in Trattato Sacco, Torino, 1992, p. 217 e ss.
141
Sulle scelte metodologiche del gruppo pavese più ampiamente GANDOLFI, Verso
il tramonto del concetto di <<obbligaione>> nella prospettiva di un codice unico
per l’Europa?, cit., p. 204.

39
diffidenza dagli stessi ambienti giuridici scozzesi ed inglesi e,
pertanto, non ha avuto seguito142.
La difficoltà maggiore, tra le altre, incontrata dal gruppo di
Pavia è da rinvenire nella necessità di dover cercare un difficile punto
di incontro su concetti fortemente radicati nella cultura giuridica
continentale e sconosciuti, invece, in quella inglese. Il riferimento al
libro IV del codice civile italiano è sembrato, pertanto, più che mai
opportuno in quanto nel codice di McGregor manca del tutto, come
del resto nella common law, una nozione tecnico-giuridica di
obbligazione143.
Per poter dialogare in chiave costruttiva con i common
lawyers, quindi, i giuristi di Pavia non hanno escluso la possibilità di
adattare, nel futuro codice europeo dei contratti, il concetto
tradizionale continentale di obbligazione, evitando di configurare una
nozione ad hoc di obbligazione e lasciando che siano la dottrina e la
giurisprudenza a trarne deduzioni e significati. Si assisterebbe ad
un’evoluzione simile a quella che ha interessato la categoria del
negozio giuridico negli ordinamenti che non hanno assimilato tale
figura dal diritto germanico144.
Come i PECL, e a differenza delle direttive, nemmeno il
codice europeo dei contratti contiene una definizione di parte debole,
o un riferimento al consumatore, anche se alcune disposizioni, seppure
indirettamente, presuppongono l’esistenza di una situazione di
squilibrio contrattuale come nel caso della disciplina peculiare
approntata, sulla falsariga delle esperienze già note, per il caso di
inserzione nel contratto di clausole non individualmente negoziate, o
di clausole abusive oppure della disciplina relativa al rimedio
dell’interpretazione contra proferentem.

7. Osservazioni conclusive.

Alla luce di quanto esposto non sembra inutile sottolineare


come il diritto europeo dei contratti non possa essere relegato al ruolo
di laboratorio di speculazione teoriche, ma presenta risvolti pratici di
notevolissimo rilievo.
Si osserva, infatti, al riguardo, che mentre sussiste ancora un
solco tra il cosiddetto notariato latino e le professioni notarili
dell’Europa continentale settentrionale e dell’Europa insulare, per gli
avvocati e per i magistrati la creazione del diritto privato europeo è un
formidabile strumento di formazione e di applicazione professionale
sia sotto l’aspetto sostanziale che processuali. Ciò non solo per i
rapporti transnazionali, ma anche per i rapporti che pur essendo
regolati dal diritto nazionale, involgono i settori sopra analizzati145.

142
BENACCHIO, Diritto privato delle Comunità europee, cit., p. 190
143
GANDOLFI, Verso il tramonto del concetto di <<obbligaione>> nella prospettiva
di un codice unico per l’Europa?, cit., p. 208 e ss.
144
La proposta è di GANDOLFI, Verso il tramonto del concetto di <<obbligaione>>
nella prospettiva di un codice unico per l’Europa?, cit., p. 214.
145
Quasi tutti gli autori che si è avuta occasione di menzionare nel corso del
presente lavora sono di questo avviso pertanto per brevità si rinvia ex multis ad

40
L’unificazione europea del diritto dei contratti va ben oltre
l’attività armonizzatrice della Comunità, svolta attraverso lo strumento
della direttiva, e comporta pertanto che la discussione si sposti sul
piano politico involgendo discussioni sulla natura ed ampiezza dei
compiti dell’Unione, sul suo ruolo istituzionale e sui rapporti tra
questa e gli Stati membri. Come nei Restatements nordamericani, già
più volte citati e ai quali spesso la dottrina, come detto, si è riferita,
che accomunano Stati di tradizioni giuridiche non sempre similari il
problema diverrebbe politico prima ancora che giuridico.
Il vero punctum pruriens, dunque, sembrerebbe quello di
individuare la legittimazione a legifererai un tale codice, considerando
che visto che gli avversari alla codificazione europea sottolineano
spesso come esso non sia di competenza degli organi comunitari che
non trova una base giuridica nel Trattato. Obiettano, in senso opposto
i sostenitori della codificazione che nemmeno la tutela del
consumatore era tra gli obiettivi della Comunità come originariamente
intesa.
Ecco perché la codificazione non è considerata una via
percorribile perché vorrebbe chiudere ideologie e tradizioni giuridiche
ben radicate in una fredda ed immutabile serie di articoli uniformi.
Sarebbe più realistico pensare alla promozione da parete delle
istruzioni comunitarie di una convenzione sulla falsa riga di quella del
1980 o a più convenzioni aventi ad oggetto singole figure
contrattuali146. Le difficoltà incontrate dal legislatore comunitario nel
settore del consumatore dimostrerebbero l’estrema difficoltà se non
addirittura impossibilità di dare vita ad un codice europeo dei contratti
sia che si presenti come alternativa alle legislazioni nazionali sia che
vada a rimpiazzare del tutto le codificazioni nazionali.
In senso del tutto opposto altra parte delle dottrina rileva
l’illusione, ricorrente nella scienza giuridica, di concepire un codice
come un <<monumentum aere perennius>>147. Ciò spiegherebbe la
preoccupazione prima menzionata di pietrificare il diritto all’esito
della codificazione, come se una volta elaborato, un codice imponesse
un rispetto tale da impedire ogni ulteriore cambiamento.
Sennonché questo atteggiamento nei confronti di un codice,
considerato come un punto di arrivo, appartiene ad una concezione di
codice e di codificazione tipica di esperienze storiche superate e
maggiormente inclini alla stabilità di quanto non sia il nostro tempo
moderno. Il vero problema, come enfaticamente scrive un noto autore,
allora, non è quello di aspettare un tempo di perfezione nel quale
cominciare il lavoro di unificazione, ma piuttosto di accelerare la
formazione di quel fascio di strumenti concettuali comuni necessari a
compilare un vero codice sui contratti e le obbligazioni che possa

ALPA, Il diritto privato europeo: significato e confini del sintagma, cit., passim e a
BENACCHIO, Diritto privato delle Comunità europee, cit., p. 200.
146
J.M. BONELL, Verso un codice europeo dei contratti?, in Europa e diritto privato,
1998, n.1, p. 171 e ss.
147
La riflessione critica e le parole tra virgolette sono di CASTRONOVO, Il contratto e
l’idea di codificazione nei Principi di diritto europeo dei contratti, cit., p. 16.

41
costituire il passaggio decisivo verso il raggiungimento di un’Europa
veramente e definitivamente unita148.

148
CASTRONOVO, Il contratto e l’idea di codificazione nei Principi di diritto
europeo dei contratti, loc. cit.

42

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