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La tradizione giuridica occidentale

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Il diritto comparato, è quella parte di scienza giuridica che si propone di sotto-
porre a confronto critico e ragionato, più sistemi o gruppi di sistemi giuridici
nazionali(macrocomparazione), o più istituti(microcomparazione).
Il metodo che usa il comparatista: è diverso da quello che usa il privatista perché
mentre il privatista guarda agli istituti di sua competenza, quindi interni, il
comparatista ha una visione generale e non particolare, e inoltre mentre il priva-
tista concentra la sua attenzione in un solo formante, il comparatista deve tenerli
d’occhio tutti. Più in generale, e da un punto di vista macro, oggetto privilegiato
dell'indagine comparatistica è lo studio dei diversi sistemi giuridici esistenti, tra i
quali si possono ricordare le famiglie del common law, del civil law, del diritto
socialista, del diritto islamico e del diritto asiatico. Dal punto di vista micro, in-
vece, l'indagine può essere condotta comparando il diritto anche di due soli stati
o, scendendo sempre più nel dettaglio, considerando singole materie, singoli isti-
tuti o singole norme.
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Diritto comparato e diritto positivo
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Il diritto comparato è diverso dai tradizionali rami del diritto positivo: non è un
complesso di norme (come ad esempio, il diritto privato o pubblico).
Anche il diritto internazionale privato, che indica quale diritto deve essere ap-
plicato in un caso con collegamenti stranieri, è parte del diritto positivo naziona-
le, ed è quindi diverso dal diritto comparato.
Tuttavia, il diritto comparato è utile al diritto internazionale privato, sia al fine
di “qualificare” i concetti utilizzati dalle norme di conflitto, sia al fine di appli-
care correttamente il diritto straniero.
Il diritto internazionale pubblico, dal canto suo, è un sistema giuridico soprana-
zionale e globale diretto a regolare le relazioni fra Stati, ed è quindi anch’esso
diverso dal diritto comparato.
Vedremo tuttavia più avanti il contributo essenziale che la comparazione giuri-
dica offre alla spiegazione dei c.d. “principi generali di diritto riconosciuti dalle
nazioni civili”.
Quanto fin qui detto a proposito del rapporto tra diritto comparato e diritto po-
sitivo è utile per capire perché sarebbe più corretto usare l’espressione compara-
zione giuridica, anziché diritto comparato.
L’utilizzazione di tale espressione non significa affatto considerare la compara-
zione metodo anziché scienza: essa, come ogni disciplina, è in parte metodo e in
parte scienza.
Se di norma la comparazione non è diritto positivo, vi sono tuttavia ipotesi in cui
la comparazione può essa stessa presentarsi come diritto positivo, fonte, cioè, di
norme direttamente regolatrici di rapporti:
si pensi all’art. 38 dello Statuto della Corte Internazionale di Giustizia: “la Cor-
te, la cui funzione è di decidere in base al diritto internazionale le controversie
che le sono sottoposte, applica: (…) i principi generali del dritto riconosciuti dal-
le nazioni civili.
La norma suggerisce un procedimento di comparazione attraverso il quale la
Corte arriverà a distillare i “principi generali”, che costituiranno la regola per il
caso sottopostole, cioè il diritto positivo del caso concreto;
oppure all’art. 2882 Trattato CE: “in materia di responsabilità extracontrattua-
le, la Comunità deve risarcire, conformemente ai principi generali comuni ai di-
ritti degli Stati membri, i danni cagionati dalle sue istituzioni o dai suoi agenti
nell’esercizio delle loro funzioni”.
Il ricorso a presunti principi generali comuni è la via per arrivare, da parte della
Corte, al controllo della legittimità degli atti comunitari: la premessa è che i di-
ritti fondamentali costituiscono parte integrante dei principi generali del diritto,
di cui la Corte garantisce l’osservanza, e quindi, nel garantire la tutela di tali di-
ritti, essa è tenuta ad ispirarsi alle tradizioni costituzionali comuni agli Stati
membri e non potrebbe ammettere provvedimenti incompatibili con i diritti
fondamentali riconosciuti e garantiti dalle costituzioni di tali Stati.
Nel far ciò, la Corte di Giustizia farà comparazione, e della comparazione distil-
lerà la regola “comune”, il diritto positivo del caso concreto;
infine, si può pensare alla pratica commerciale internazionale in tema di con-
tratti fra privati o fra privati e Stati.
In genere, essi contengono una clausola di deferimento ad arbitri per la soluzio-
ne delle controversie eventualmente insorgenti e l’indicazione del diritto appli-
cabile.
A riguardo, sono frequenti le clausole che fanno riferimento ai principi comuni
agli ordinamenti dei contraenti.
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Al suo interno il diritto comparato si suddivide ulteriormente in diverse bran-
che, fra cui il diritto pubblico comparato, il diritto privato comparato e il diritto
penale comparato. Il primo pone in relazione il diritto costituzionale delle varie
nazioni, mentre gli altri due si occupano rispettivamente della materia civilistica
e penalistica nei diversi sistemi o ordinamenti giuridici.
La comparazione riveste una notevole importanza per una comprensione più
profonda delle regole di diritto proprie di ogni ordinamento giuridico. L'indivi-
duazione di una medesima norma o regola giuridica in più sistemi può, per
esempio, permettere di scoprire se e come essi si siano vicendevolmente influen-
zati.
Oggi la comparazione assume un'importanza sempre maggiore, soprattutto nel-
l'ambito dell'Unione Europea, proprio perché, mostrando l'esistenza di concetti
e categorie comuni nei sistemi giuridici che la compongono, risulta essere uno
strumento utile in mano ai giuristi che tentino di promuovere una maggiore ar-
monizzazione del diritto europeo, al fine, per esempio, di agevolare la libera cir-
colazione delle persone e di merci, servizi e capitali
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La teoria dei formanti
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Secondo Sacco, i formanti sono singoli elementi che compongono i vari ordina-
menti. Qualora devo comparare due cose, devo capire come sono fatte, devo ca-
pire da cosa sono composte, quali sono le componenti e come agiscono. Secondo
Sacco ci sono tre categorie di formanti:
1. formante legislativo (costituzioni; leggi e regolamenti);
2. formante giurisprudenziale ( giurisprudenza cassazione; corte di appello);
3. formante dottrinale (le sentenze e i trattati).

Tale categoria di formanti, è presente in tutti gli ordinamenti; ma ciò che cambia
è l’entità dell’apporto di un formante piuttosto che di un altro. Ci sono ordina-
menti nei quali la maggior parte è costituita dal diritto politico, o altri dal diritto
giurisprudenziale o dottrinale. Scomponendo le varie strutture dei vari ordina-
menti, posso cogliere il significato più profondo, e posso operare comparazioni
che siano efficaci: ad es moltissime disposizioni di diritto civile sono identiche tra
Francia e Belgio, quindi il formante di diritto politico è uguale; ma nonostante
ciò esistono delle differenze sostanziali. Tali differenze sostanziali, derivano non
dal diritto politico; ma da una interpretazione giurisprudenziale o dottrinale
dell’enunciato normativo.
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Il diritto comparato, mette a confronto due ordinamenti attuali; ma tiene in con-
siderazione la stirai di quell’ordinamento, che ci consente di percepire l’attualità
dell’ordinamento. L’obiettivo del diritto comparato, è quello di entrare nella cul-
tura dell’ordinamento , per potersi muovere all’interno di quell’ordinamento;
ma nello stesso tempo compara i modelli che hanno inspirato il nostro costituen-
te italiano, o cerca soluzioni in altri sistemi.
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Diritto comparato e diritto straniero
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La comparazione giuridica è diversa dallo studio del diritto straniero.
Lo studio di quest’ultimo è generalmente il presupposto della comparazione giu-
ridica, ed è tuttavia implicitamente comparatistico dal momento in cui pone con-
tinuamente a confronto la categoria giuridica “straniera” con le categorie nazio-
nali.
Mentre lo studio del diritto straniero può essere implicitamente comparatistico,
il giurista nazionale che “racconta” il proprio sistema senza “staccarsi” da que-
sto non compie nessuna comparazione.
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Rapporti fra diritto comparato e altri rami della scienza giuridica
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Stretti sono i rapporti che intercorrono fra il diritto comparato ed altre discipli-
ne non positive: la teoria generale del diritto, la storia del diritto e la sociologia.
La comparazione è essenziale per costruire una teoria generale del diritto, della
sua natura, dei suoi fini, che si elevi sui particolarismi propri dei diritti locali.
Lo storico del diritto è comparatista nel senso che “valuta” il diritto storico og-
getto del suo studio alla luce della propria formazione di giurista nazionale mo-
derno.
Il comparatista, dal canto suo, sa che il diritto straniero è comprensibile solo alla
luce della sua storia.
Il sociologo del diritto, può essere tanto più convincente nella prospettazione del-
le sue ipotesi circa l’interazione tra diritto e società se la sua indagine abbraccia
un orizzonte più ampio di una singola società o di un singolo diritto.
Da canto suo, il comparatista è, o deve essere, consapevole che l’analisi sulla law
in action richiede conoscenza dei meccanismi sociali
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Funzione e fini del diritto comparato
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Si può ritenere che la comparazione mira a farci capire che non è barbarie la di-
versità di linguaggio, di costumi, di istituti, di leggi.
“Comprendersi è un passo sempre necessario per la cooperazione e la pace.
Rompere il chiuso del proprio sistema giuridico significa allargare il proprio
orizzonte e la propria esperienza e perciò arricchirsi spiritualmente e rendersi
conto dei propri limiti in uno spirito di modestia che, a sua volta, comporta tol-
leranza e libertà.”
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Dal punto di vista pratico, il diritto comparato mira a far comunicare giuristi
appartenenti a tradizioni diverse assolvendo a compiti sia pratici che teorici.
Il comparatista si interroga, infatti, su come i diversi sistemi affrontino problemi
analoghi.
In tal modo il comparatista giunge a conoscere come si organizzano, per esem-
pio, il sistema inglese e quello italiano, aiutando le due tradizioni a comunicare
fra loro.
In questo quadro si inserisce un’altra possibile finalità del diritto comparato,
quella cioè di fornire gli strumenti per tradurre correttamente i testi giuridici.
Infatti, per ottenere tale risultato è necessario che l’interessato sia in grado di
accertare che esista, nella lingua verso la quale traduce, un vocabolo concet-
tualmente analogo a quello della lingua di partenza.
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Diritto comparato e conoscenza
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La prima fondamentale funzione è tipica di ogni scienza, ed è assai felicemente
espressa da alcuni tra i padri fondatori della moderna scienza comparatistico:
“gli interessi immediati del comparatista sono interessi di conoscenza pura”; “la
migliore conoscenza dei modelli deve essere considerata come lo scopo essenziale
e primario della comparazione intesa come scienza”; “il compito della compara-
zione giuridica, senza il quale essa non sarebbe scienza, è l’acquisizione di una
migliore conoscenza del diritto.
Non si può, crediamo, non concordare con l’approccio teso a porre l’acquisizione
di nuova conoscenza come compito essenziale e primario del diritto comparato.
Vogliamo tuttavia sottolineare “essenziale e primario”, non necessariamente
esaustivo.
Per quanto ci riguarda, privilegiamo l’approccio metodologico che vede la com-
parazione come strumento di politica del diritto e a collocare il dato giuridico in
un più ampio contesto culturale, alle prospettive di riforme nell’ambito dei sin-
goli ordinamenti e alla ricerca del modello migliore.
In questa prospettiva, quello della conoscenza è il presupposto imprescindibile di
una ricerca volta a scelte di valore, le quali sono dunque il risultato naturale e
non meramente eventuale della comparazione.
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Diritto comparato e universalità della scienza giuridica
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La comparazione mira a restituire alla scienza giuridica il carattere di universa-
lità che è proprio di ogni scienza.
Lo studio del diritto è di regola ancora oggi accentrato sull’homo italicus o ger-
manicus o gallius ecc…, non sull’uomo in quanto tale.
Paradossalmente, si può arrivare a dire che l’unica facoltà non umanistica sia la
facoltà giuridica, se per umanesimo si intende l’interesse per i problemi e le
creazioni dell’uomo, al di là dei gretti limiti locali.
Ma non fu sempre così, se solo si riflette sul fatto che nei suoi grandi periodi di
fioritura la scienza giuridica ha avuto carattere di universalità: si pensi al diritto
romano, al giusnaturalismo dei secoli XVII e XVIII, ecc…
Una misura di base può ritenersi mantenuta negli ordinamento di common law,
che non hanno vissuto un una rottura rivoluzionaria con il passato.
Nella tradizione di civil law, invece, il periodo dell’universalità è finito con la na-
scita dello Stato moderno e si è consolidato con le grandi codificazioni civilistiche
dell’800 che hanno profondamente minato il carattere extrastatuale del diritto
civile.
Dunque, può sostenersi che tra le funzioni della comparazione giuridica vi è an-
che quella di recuperare la perduta universalità della scienza giuridica, andando
oltre i confini nazionali, riscoprendo le analogie, ricostruendo le varie tradizioni
giuridiche, comprendendo le ragioni storiche-economiche-sociologiche-culturali
delle differenze, chiarendo le tendenze di sviluppo.
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Diritto comparato e politica legislativa
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I legislatori di tutto il mondo hanno sempre trovato che in molti settori non è
possibile emanare buone leggi senza essere al corrente delle soluzioni e della di-
sciplina offerta negli stessi settori da altri Paesi.
La storia fornisce vari esempi di imitazione, o addirittura di trapianti massicci
di interi sistemi normativi da un Paese all’altro.
L’esempio classico è quello del Code Civil, che le armate napoleoniche imposero
in molti Paesi europei ma che rimase in vigore anche dopo la restaurazione e co-
stituì il modello cui si ispirò, ad esempio, la nostra prima codificazione unitaria.
Il processo di utilizzazione di esperienze straniere suggerisce qualche considera-
zione non secondaria: in primo luogo il comparatista sa che anche se due testi
normativi sono identici non è detto che la pratica applicativa sia anch’essa iden-
tica, in secondo luogo ai fini dell’adozione di una soluzione accolta in un altro
ordinamento occorre verificare da un lato se tale soluzione funziona bene nel
Paese che l’ha seguita e dall’altro se può funzionare bene anche altrove senza
provocare crisi di rigetto, tenuto conto delle differenze tra le strutture politiche,
economiche e sociali sottostanti a ordinamenti giuridici differenti
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Funzione del diritto comparato: interpretare il diritto nazionale
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Il ricorso alla comparazione può consentirci una migliore conoscenza anche del
nostro diritto: ci si deve interrogare se e in che limiti ci si può o ci si deve valere
di una soluzione straniera per l’interpretazione del diritto del proprio Paese.
I legislatori di tutto il mondo, hanno sempre trovato che in molti settori non è
possibile emanare leggi, senza essere al corrente delle soluzioni e della disciplina
offerta dagli altri stati nello stesso settore. Un esempio tipico, è quello della Law
commission inglese(organismo creato nel ’65 per vigilare sul funzionamento e
sulla riforma delle leggo in Inghilterra), il cui atto istitutivo impone di ottenere
quelle informazioni relative ai sistemi giuridici di altri paesi che appaiono su-
scettibili di facilitare l’attività e i compiti della commissione stessa. La storia
fornisce vari es di imitazione, o addirittura di trapianti massicci di interi sistemi
normativi da un paese all’altro. L’es tipico è quello del code civil, che fu il mo-
dello a cui si inspirò la nostra prima codificazione unitaria, in quanto risponde-
va bene alle esigenze della società italiana del tempo. Il processo di utilizzazione
di esperienze straniere suggerisce qualche considerazione non secondaria, qual-
che cautela, anche al fine di controllare il fenomeno dei flussi giuridici a cui fa
molto riferimento Maurizio Lupoi, intendendo per “flusso giuridico” qualsiasi
dato dell'esperienza giuridica in quale, proprio di un sistema, sia percepito in un
altro introducendo un elemento di squilibrio. In primo luogo, il comparatista sa
che anche se due testi normativi sono identici, non è detto che la pratica applica-
tiva sia anch'essa identica. In a che parole, il comparatista sa che non è sufficien-
te , per un soddisfacente confronto ed un eventuale trapianto, stare Sulla super-
ficie della law on the books “leggi sui libri”; ma occorre spingersi e guardare at-
tentamente anche la law in action “legge applicata”. In secondo luogo, ai fini del-
l'adozione di una soluzione accolta in un altro ordinamento, occorre verificare
da un lato se tale soluzione funziona bene nel paese che l'ha seguita, E dall'altro
se può funzionare bene anche altrove senza provocare crisi di rigetto, tenuto
conto delle differenze fra le strutture politiche, economiche E sociali sottostanti
A ordinamenti giuridici diversi. Si parla non a caso di trapianti giuridici, I quali
possono avvenire vuoi per il prestigio del modello, Vuoi per la continuità lingui-
stica tra i sistemi; ma non sempre tali trapianti hanno esiti positivi. Com’è noto,
negli ordinamenti del civil law la donazione è un contratto che deve essere stipu-
lato per atto pubblico a pena di nullità; invece nella common law un contratto è
valido solo se implica prestazioni corrispettive.

Se appare scontato che il confronto con altri sistemi giuridici, può consentirci
una migliore conoscenza del nostro diritto, ed essere utilissimo ai fini della ri-
forma del diritto, ci si deve chiedere se e in che limiti ci si possa avvalere di una
soluzione straniera per l’interpretazione del diritto del proprio paese. Tradizio-
nalmente i comparatisti si sono occupati di circolazione di modelli giuridici E di
trapianti che presuppongono un sistema che esporta o importa iddd, interi codi-
ci o costituzioni. Oggi è opportuno osservare , che spesso le corti supreme dialo-
gano tra loro. Molti giudici nel risolvere vari casi, guardano oltre i propri confi-
ni, facendo una comparazione con l’esperienza straniera, sopratutto quando si
devono risolvere questioni nuove o particolarmente difficile. Dobbiamo precisa-
re , che non tutti i giudici hanno la medesima propensione alla comparazione. In
generale nei sistemi del common law , non si è conosciuto il fenomeno della codi-
ficazione, e si tratta di sistemi aperti, in cui il giudice svolge una funzione esplici-
tamente ricreativa, e spesso i casi delle sentenze fanno richiamo ad esperienze di
altri paesi, o alla loro tradizione stessa.

Vi sono tre diversi gruppi di sistemi giuridici in cui si possono vedere diversi
gradi di tendenza da parte dei giudici all’apertura verso le esperienze degli altri
paesi:

1)Paesi poco favorevoli alla comparazione: Francia( le sentenze delle corti supe-
riori sono famose per la loro brevità e i giudici sono abituati a nascondere la
loro funzione creativa dietro lo stretto riferimento alla laegge nazionale) e Ita-
lia( si parla di disattenzione dei magistrati ed avvocati, per quanto avviene al-
l’estero. Esistono casi però in cui la suprema corte cassò la giurisprudenza del-
le corti americane, come nel caso eclatante Englaro).
2)anche i giudici indiani, fanno talvolta uso della comparazione ai fini interpre-
tativi, soprattutto in riferimento dei sistemi del common law;

3)Paesi abbastanza favorevoli alla comparazione: Inghilterra , soprattutto dopo


l’ingresso degli anni ’80 con l’entrata in vigore dello Human Rights Act, vi è la
tendenza dei giudici ad invocare il diritto straniero è invocato come prova sup-
plementare o supporto di quello che cercano di dimostrare. Nei Paesi abba-
stanza favorevoli, possiamo inserire la corte costituzionale Ungherese, di istitu-
zione relativamente recente, che quando deve decidere questioni relative ai di-
ritti fondamentali, adotta in modo corretto il metodo comparativo. Alcuni au-
tori , inseriscono in tale gruppo anche la Germania, dove il sistema comparati-
stico, viene utilizzato in aggiunta ai mezzi di interpretazione tradizionali, per
confermare e promuovere un risultato.

4)Paesi dove la comparazione è prassi regolare: Canada e SudAfrica (entrambe


per motivi storici legati alla multiculturalità etnica e giuridica). Le corti cana-
desi , citano non solo la giurisprudenza inglese, del Commonwealth o america-
na, ma anche i sistemi del civil law, al di là dell’ovvio interesse per il diritto
francese. Il sud africa, ha avuto un atteggiamento aperto verso il diritto stra-
niero, a causa della recente e travagliata storia politica costituzionale.

L’esperienza giuridica degli Stati Uniti, merita un discorso a parte. Non è una
novità che le corti , nel momento in cui devono risolvere casi difficili o nuovi,
prendano in considerazione come ausilio interpretativo, esperienze giuridiche
diverse dalla propria; anche se molti giudici e parte della dottrina contestano
duramente tale prassi.

Diritto comparato, globalizzazione e armonizzazione dei diritti nazionali


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Già nel 1900 si attribuiva alla comparazione giuridica il compito di gettare le
basi per un diritto comune dell'umanità. Se questo era un'utopia, Oggi nella
realtà contemporanea, cercare una unificazione/ armonizzazione del diritto, so-
prattutto in alcuni settori, sia a livello regionale ma anche su scala mondiale. Un
metodo di unificazione E quello risultante da convenzioni internazionali ed or-
ganismi sovranazionali A cui singoli stati, hanno ceduto parte della loro sovrani-
tà. Anche il diritto È pienamente coinvolto nel fenomeno della globalizzazione;
in modo da attenuare le differenze ed imporre un unico modello di regolamenta-
zione economico-sociale. In cosa consiste la globalizzazione del diritto? Sono sor-
ti molti organismi, dotati di poteri normativi e di meccanismi di soluzione di
controversie e attuazione delle decisioni, accanto e al di sopra degli stai naziona-
li, che hanno ceduto ad essi al propria sovranità. A livello globale spiccano orga-
ni come la World trade organizazion (WTO), creata allo scopo di stabilire regole
del commercio internazionale. Gli esempi che possiamo fare sono l’UNIDROIT,
una disciplina uniforme dei contratti commerciali internazionali, che sta diven-
tando un punto di riferimento per corti e collegi arbitrali.
Il comparatista non ha solo il compito di favorire la armonizzazione e conver-
genza a tutti i costi; ma ha anche il compito di far capire le differenze , inten-
dendole nel loro significato storico , sociale ed ideale.

Due esempi significativi di risultati soddisfacenti dal punto di vista dell’armo-


nizzazione sono quelli dei paesi scandinavi e dell’Unione europea.

L’UE, partita dai 6 fondatori, è oggi allargata a 27 membri; dalle 3 distinte co-
munità (del carbone e dell’acciaio 1952, economica europea 1958 e per l’energia
atomica 1958), nel 1967 si è passati all’unica Comunità europea, composta da
Commissione (organo legislativo), Consiglio dei Ministri (rappresentativo dei
governi nazionali, accoglie o respinge le proposte della Commissione), Parlamen-
to europeo (eletto dai cittadini ma con limitati poteri legislativi) e Corte di giu-
stizia (a Lussemburgo); si arriva poi nel 1992 all’attuazione del mercato unico
europeo, e coi trattati di Maastricht (1993) e Amsterdam (1999), si arriva all’U-
nione europea, fondata sui tre pilastri dell’unione economica e monetaria, della
politica estera e sicurezza comune e della giustizia e degli affari interni; poi,
dopo il fallito progetto di costituzione europea (bocciato dal voto popolare in
Francia e Olanda), nel 2009 è entrato in vigore il Trattato di Lisbona, che attri-
buisce valore alla Carta dei diritti fondamentali (Nizza, 2002).

Significativi sono i progetti di un codice civile europeo e di un processo civile eu-


ropeo; la Corte di giustizia ha dato inoltre ampio risalto al principio secondo cui
il diritto comunitario si espande a quelle situazioni nazionali che rimarrebbero
senza tutela.

Il Consiglio d’Europa, fondato nel 1949, comprende 47 paesi e merita la citazio-


ne per l’approvazione, a Roma nel 1950, della Convenzione per la salvaguardia
dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali.

Diversità dei diritti positivi nazionali


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Tra le ragioni dell’esistenza e della necessità del diritto comparato, vi è senz’al-
tro la presenza di una grande varietà di sistemi giuridici: ogni Stato possiede,
cioè, un diritto che gli è proprio.
Vi sono quindi tanti diritti, tanti sistemi giuridici, quanti sono gli Stati nazionali.
Ma ciò non basta, poiché talvolta concorrono all’interno di uno stesso Stato più
sistemi giuridici (ad esempio negli USA).
Inoltre alcune comunità non statuali hanno un loro diritto: diritto canonico, di-
ritto musulmano, diritto indù, diritto ebraico.
Infine esiste il diritto delle organizzazioni internazionali e, soprattutto importan-
te, il diritto della CE, ed esiste, più in generale, un sistema di diritto internazio-
nale pubblico.
In che cosa consiste e in che cosa si manifesta la diversità degli ordinamenti?
La risposta più semplice, e per certi versi superficiale, sottolinea la diversità del-
le regole che nei vari sistemi risolvono problemi analoghi.
Ma il fenomeno giuridico è più complesso, e le distinzioni e le divergenze tra i si-
stemi corrono a un livello più profondo e attengono alla concezione stessa del-
l’ordine sociale, al modo in cui le regole vengono concepite e interpretate.
E’ dunque importante, in via preliminare, esaminare, seppur sinteticamente, al-
cune questioni generali connesse alle diversità profonde dei vari sistemi. Esse si
traducono in differenze di vario ordine, relative all’importanza e al ruolo e
quindi alla natura stessa della norma giuridica e al modo in cui è prodotta e in-
terpretata.
La norma giuridica può godere di un primato assoluto e in questo caso il diritto
svolge un ruolo preminente quale regolatore e organizzatore della società: è la
concezione occidentale del diritto condivisa tanto dai sistemi di common law che
da quelli di civil law.
La norma giuridica può essere sottomessa a una regola superiore come, per
esempio, a un ordine religioso: è il caso del diritto islamico o del diritto indù.
La norma giuridica può infine assumere un ruolo strumentale di preparazione
ad un particolare tipo di società per poi scomparire, secondo la concezione mar-
xista del diritto e dello Stato seguita nei Paesi Socialisti.
Le fonti normative possono essere varie, e diverso può essere il rapporto tra
loro.
Le principali fonti che troviamo nei sistemi moderni sono la legge, la consuetu-
dine, la giurisprudenza e la dottrina.
Il ruolo di tali fattori cambia da sistema a sistema e da epoca a epoca.
Nei vari sistemi possono essere dunque diversi i “protagonisti” del diritto: in un
luogo il giudice, in un altro il dottrinario.
Inoltre la norma giuridica può presentarsi con maggiore o minore generalità o
astrattezza.
Alcuni ordinamenti, soprattutto gli ordinamenti di civil law e soprattutto le
grandi codificazioni, tendono a porre norme più generali e astratte, mentre gli
ordinamenti di common law tendono a porre norme più particolari e concrete.
Si deve infine tener conto del fatto che il quadro normativo può essere tenden-
zialmente stabile (un esempio di tale stabilità è offerto dalle codificazioni otto-
centesche) oppure mostrarsi più dinamico, mobile, ed esigere frequenti aggior-
namenti: è quanto accade negli ordinamenti contemporanei in cui la rapida evo-
luzione della società sconsiglia di intraprendere opere destinate a durare nel
tempo come i codici.
Ne consegue una netta prevalenza della legislazione speciale, mentre il codice
tende a perdere la sua centralità.
Con riguardo all’interpretazione può darsi un atteggiamento più formalista che
attribuisce l’importanza preminente al testo e predilige un approccio ermeneuti-
co-letterale oppure può aversi una maggiore attenzione allo spirito della regola e
dunque un atteggiamento che attribuisce minore importanza all’espressione
formale.
Il primo approccio interpretativo è ascrivibile ai Paesi di common law, mentre il
secondo è riscontrabile negli ordinamenti di civil law.
In alcuni ordinamenti vi può essere un’attenuazione della regola di stretto dirit-
to mediante ricorso a principi equitativi.
Nell’epoca attuale tuttavia appare assai ridotto il ruolo dell’equità sia negli or-
dinamenti di civil law che in quelli di common law.
Nei primi, all’equità il giudice può ricorrere solo nei limiti in cui il diritto positi-
vo glielo consente, ossia nelle ipotesi di equità c.d. sostitutiva o integrativa.
Negli ordinamenti di common law, il consolidamento dell’equity e la sua tra-
sformazione in sistema, uniti all’accresciuto ruolo del legislatore, rendono assai
improbabile l’ipotesi di una new equity.
Vi possono essere infine differenze rispetto al grado di effettività della norma
giuridica, ovvero se la norma è effettivamente osservata e come si garantisce tale
osservanza.
In questa prospettiva, rilevano le differenze relative all’organizzazione giudizia-
ria e, più in generale, relative al ruolo della giurisdizione.
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Cause di diversificazione dei diritti nazionali: cause e origini della diversità
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I diritti dei popoli si differenziano per varie cause tra cui le condizioni naturali,
l’evoluzione storica e la volontà politica.
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a. Condizioni naturali
Le condizioni naturali, quali il clima, la situazione geografica o la ricchezza di
materie prime, impongono proprie particolarità e specificità e quindi proprie
esigenze, e le norme giuridiche ne sono in modo più o meno importante, il rifles-
so.
L’esempio classico è l’Inghilterra, Paese ricco di fiumi e di laghi, in cui i corsi
d’acqua sono utilizzabili solo dai rivieraschi, mentre in America, Paese ove sono
presenti vaste zone aride, sono utilizzabili anche da altri proprietari per l’irriga-
zione.
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b. Storia
Alle differenze e alle specificità della storia fanno eco le differenze dei vari diritti
e le loro strutture giuridiche.
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c. Volontà politica
La volontà politica può accentuare le diversità e le varietà causate da condizioni
naturali e storiche.
Questo è, per esempio, il caso della formazione degli Stati nazionali in Europa
cha hanno portato, nel XIX secolo, alle codificazioni.
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Superamento delle diversità dei vari diritti positivi
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Il superamento delle diversità nei vari diritti può essere provocato, a sia volta,
da una molteplicità di fattori, fra i quali possono ricordarsi le condizioni natura-
li, ma soprattutto la circolazione di modelli e tecniche giuridiche.
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a. Condizioni naturali
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Le condizioni geografiche così come possono separare nazioni e quindi portare a
diritti diversi, possono anche avvicinarli.
La prossimità geografica ha sempre stimolato la ricerca di uniformità di vita e di
regole comuni.
Questa è anche la storia dell’UE.
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b. La circolazione di tecniche e metodi giuridici
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Alcuni grandi sistemi giuridici hanno segnato la civiltà, la cultura e la mentalità
dei vari popoli.
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Influenze nei diritti nazionali: diritto romano, canonico, islamico, Code Civil,
pandettistica tedesca e Common law
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Hanno più o meno influenzato diversi diritto nazionali, provocando importanti
somiglianze di termini, categorie, concetti, metodi, strutture.
Si possono fare numerosi esempi:
Diritto romano: dal V secolo a.C. al V secolo d.C. lo jus quiritium ha mano a
mano ceduto il posto allo jus gentium, ovvero ad un diritto fatto per popoli di
origine diversa.
Il diritto romano si è imposto in due tempi: prima attraverso le conquiste milita-
ri, poi attraverso la rinascita degli studi nell’Europa medievale.
Diritto canonico: per lungo tempo le giurisdizioni ecclesiastiche sono state le sole
competenti per le questioni che avevano un legame più o meno stretto con la re-
ligione e solo in un secondo momento le giurisdizioni laiche estesero progressi-
vamente le loro competenze in settori di appartenenza della Chiesa.
Diritto islamico: la shari’a ha valenza universale, in quanto insieme di precetti
rivelati da Dio agli uomini.
Le sue fonti primarie sono il Corano, ossia l’insieme delle dichiarazioni religiose
di Maometto, e la Sunnah, ossia i comportamenti del Profeta, ispirati da Dio e
quindi esemplari.
Code Civil: del 1804, applicato d’autorità nei territori conquistati da Napoleone
(Belgio, Paesi Bassi, territori renani della Germania, parte della Svizzera e parte
dell’Italia).
Dopo la propria indipendenza, tali Paesi hanno mantenuto, o comunque forte-
mente imitato, il Code Civil: l’influenza del modello francese è stata enorme, e la
si ritrova non solo in gran parte del continente europeo, ma anche in altri conti-
nenti che hanno subito la colonizzazione di Spagna, Portogallo o Francia, quali
l’America Latina, il Québec, la Louisiana, i Paesi francofoni dell’Africa, ecc…
Schemi teorici elaborati dalla pandettistica tedesca: hanno dato luogo a molte
imitazioni da parte della dottrina austriaca, ungherese e italiana del ‘900, che ha
prodotto l’apparato concettuale del codice civile del 1942.
Common law: circa un terzo del mondo vive oggi in un regime giuridico influen-
zato dalla common law inglese (Stati Uniti, Canada, Australia, Nuova Zelanda,
India e Paesi anglofobi dell’Africa e del Sud-Est asiatico).
Anche in questo caso la common law si impone con il processo di colonizzazione
e poi viene mantenuta dagli Stati dopo l’indipendenza.
!
Sintesi: La comparazione e il comparatista perseguono alcune fondamentali
funzioni:
1)L’acquisizione di una migliore conoscenza del diritto;

2)Dare carattere di universalità alla scienza del diritto, che come ogni scienza è
universale, andando oltre i confini nazionali;

3)Comprensione delle diversità;

4)La comunicazione fra giuristi di tradizioni diverse su come i “propri” sistemi


affrontino problemi analoghi;

5)Fornire gli strumenti per tradurre correttamente i testi giuridici(ricostruire


attraverso il ricorso al diritto comparato, l’effettivo significato del termine, nel
contesto dell’ordinamento giuridico al quale appartiene per confrontare poi
l’esito di tale operazione con il vocabolo offerto dall’altra lingua ed il relativo
contesto;

6)Offrire spunti per facilitare e rendere più esaustiva la legislazione, guardando


alle altre esperienze;

Comparazione giuridica e classificazione: le famiglie giuridiche


!
I comparatisti ritengono praticamente impossibile, e forse vano, entrare nel det-
taglio del diritto di ogni sistema, e ritengono invece che il punto di messa a fuoco
più appropriato per un primo approccio alla comparazione sia l’introduzione
degli studenti alle caratteristiche essenziali delle più importanti tradizioni giuri-
diche o famiglie giuridiche.
Preliminarmente è importante qualche chiarimento terminologico sui concetti di
sistema giuridico e di tradizione giuridica.
Per sistema giuridico si intende “un complesso operativo di istituzioni, procedu-
re e norme giuridiche” vigenti in un dato territorio o per un gruppo particolare
di persone.
La tradizione o famiglia giuridica raccoglie invece quei sistemi giuridici, quegli
ordinamenti che condividono “un complesso di atteggiamenti profondamente
radicati, storicamente condizionati, sulla natura del diritto, sul ruolo del diritto
nella società e nell’assetto politico, sull’organizzazione e il funzionamento di un
sistema giuridico, e sul modo in cui il diritto è, o deve essere, creato, applicato,
studiato, perfezionato e insegnato”.
L’obiettivo di questo corso è fornire gli strumenti per cogliere le differenze e le
similitudini tra la civil law, la tradizione giuridica continentale che affonda le
sue origini nel diritto romano e che si estende per quasi tutta l’Europa, nell’A-
merica centrale e meridionale, in molti Paesi dell’Asia e dell’Africa, e la com-
mon law, che inizia il suo tragitto in Inghilterra nel 1066, per diffondersi an-
ch’essa in molte parti del mondo, dagli Stati Uniti al Canada, alla Australia e a
molti Paesi dell’Africa e dell’Asia.
Si tratta in pratica, di offrire agli studenti i materiali per comprendere le due più
antiche e diffuse tradizioni giuridiche del mondo occidentale contemporaneo; le
due tradizioni insomma il cui il giurista occidentale si trova più spesso ad opera-
re.
E’ pure bene aggiungere fin da ora che siamo d’accordo con l’esigenza, larga-
mente diffusa, di evitare la secca contrapposizione tra civil law e common law, e
di considerarle come due aspetti di una medesima grande tradizione giuridica
occidentale, che non a caso è il titolo di questo manuale.
Riteniamo che le convergenze attuali tra le due tradizioni siano sempre più vi-
stose e importanti.
Restano tuttavia, a nostro avviso, delle differenze importanti, che marcano in
maniera abbastanza profonda i due gruppi di ordinamenti.
!
Il carattere relativo di ogni classificazione del diritto
!
E’ importante avere presente che ogni classificazione è inevitabilmente imperfet-
ta e relativa, e quindi da considerare nel suo valore strumentale, legato al fine
che si propone e ad esso condizionata.
Ogni classificazione vale infatti con riferimento al momento storico in cui l’osse-
rvatore si colloca.
Inoltre, nella comparazione giuridica, nessuna classificazione può pretendere di
inquadrare completamente qualsiasi aspetto del diritto.
Per esempio, la dicotomia fondamentale tra civil law e common law, pur adatta a
studiare e comprendere diversità importanti con riferimento a molti aspetti del
diritto, potrebbe risultare inadeguata e priva di potenzialità esplicative con rife-
rimento ad altri aspetti: ad esempio al diritto costituzionale.
Qui potrebbe essere più utile raggruppare i sistemi in modo diverso, basandosi
per esempio sulla forma di Stato o sulla presenza o meno del controllo giurisdi-
zionale di costituzionalità delle leggi.
!
Le classificazioni degli ordinamenti in famiglie giuridiche: P. Arminjon, B. Nolde
e M. Wolff
!
Alcuni dei più importanti tentativi di classificazione degli ordinamenti in fami-
glie giuridiche sono:
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P. Arminjon, B. Nolde e M. Wolff propongono negli anni ’50 una suddivisione
dei sistemi moderni di diritto in base al loro contenuto intrinseco, indipendente
quindi da fattori esterni come quelli geografici o razziali, e individuano 7 fami-
glie di diritti:
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i. gruppo francese, che deriva la sua autonomia dal Code Napoléon;
!
ii. gruppo tedesco, che raccoglie la tradizione dei codici civili austriaco (ABGB),
tedesco (BGB) e svizzero (ZGB);
!
iii. gruppo scandinavo, contrassegnato da proprie codificazioni e da significativi
esperimenti di unificazione regionale;
!
iv. gruppo inglese (e derivati), ove è preminente il diritto giurisprudenziale;
!
v. gruppo indù;
!
vi. gruppo islamico, ambedue fondati su antiche tradizioni religiose e culturali;
!
vii. gruppo russo (sovietico), traente la sua autonomia dal rilievo attribuito al
governo dell’economia.
!
I primi 3 gruppi di Wolff, Arminjon e Nolde raggruppano tre categorie di siste-
mi , in relazione ai codici che adottano, e questi tre gruppi, corrispondono al
primo gruppo di Renè David.
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Le classificazioni degli ordinamenti in famiglie giuridiche: Réne David
!
Réne David ,comparatista francese sosteneva che i sistemi potevano essere rag-
gruppati correttamente in famiglie solo in considerazione del fattore ideologico e
del fattore tecnico-giuridico, e procedeva ad una prima classificazione così con-
cepita:
i. sistema di diritto occidentale (a sua volta suddiviso in gruppo francese e anglo-
americano);
!
ii. sistema di diritto sovietico;
!
iii. sistema di diritto musulmano;
!
iv. sistema di diritto indù;
!
v. sistema di diritto cinese.
!
Tuttavia, successivamente, David procede ad una revisione della classificazione
originaria che conduce ad una riduzione del numero delle famiglie a 4:
!
i. famiglia romano-germanica ( famiglia del civil law basata sul formante legisla-
tivo);
!
ii. famiglia di common law (basata sul formante giurisprudenziale);
!
iii. famiglia dei diritti socialisti (appartiene ai paesi di deruavzioen comunista);
!
iv. sistemi filosofici o religiosi (diritto musulmano, indù, ebraico, diritto dell’e-
stremo oriente, diritto dell’Africa nera e del Madagascar).
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Le classificazioni degli ordinamenti in famiglie giuridiche: K. Zweigert e H.
Kötz
!
K. Zweigert e H. Kötz propongono quale criterio distintivo delle varie famiglie
giuridiche l’idea di stile.
Lo stile è un termine convenzionale che racchiude elementi già considerati in va-
ria misura da altri studiosi.
Tali elementi sono 5:
!
1. Evoluzione storica: elemento particolarmente evidente se guardiamo agli or-
dinamenti di common law, che sono frutto di un cammino privo di interruzioni
in cui il presente può essere spiegato e capito solo attraverso il ricorso alla storia.
Per quanto riguarda i diritti continentali, è più corretto individuare due filoni
distinti, quello francese e quello tedesco: in quest’ultimo si è infatti sviluppata,
nel XIX secolo, una tecnica giuridica formale che adottava concetti giuridici del-
la massima precisione, e che non ha mai ottenuto grande seguito in Francia, la
cui tradizione culturale era semmai più attenta agli aspetti politici e sociali.
!
2. Particolare mentalità giuridica: sia il diritto tedesco sia il diritto francese sono
caratterizzati dalla tendenza all’astrazione della norma giuridica.
In Inghilterra, il diritto ha origine nel foro, ha carattere casistica e i grandi pro-
tagonisti sono i giudici.
!
3. Istituti giuridici particolari: possono essere così caratteristici da concorrere ad
attribuire un certo stile a un sistema.
Nella common law sono peculiari istituti come il trust, o l’agency, o la considera-
tion, il regime delle prove, ecc…; mentre nella civil law sono tipici istituti quali il
negozio giuridico, la causa, l’abuso del diritto o l’arricchimento senza causa.
!
4. Fonti del diritto e metodi per la loro interpretazione: nelle varie famiglie giu-
ridiche il rapporto tra le fonti varia e diverse sono le regole di interpretazione.
L’esempio classico è quello del diverso valore del diritto giurisprudenziale delle
famiglie di common law e di civil law.
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5. Ideologia: intesa come dottrina politico-economica, oppure come credenza re-
ligiosa incidente sul diritto.
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In base allo “stile” dei vari sistemi, si ottiene la seguente classificazione:
!
i. sistema romanistica;
!
ii. sistema germanico;
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iii. sistema anglo-americano;
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iv. sistema scandinavo;
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v. sistema dei paesi socialisti;
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vi. ulteriori sistemi di diritto, in cui confluiscono sistemi tanto diversi tra loro
come il diritto dell’estremo oriente, il diritto islamico, il diritto indù.
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Le classificazioni degli ordinamenti in famiglie giuridiche: Mattei e Monateri
!
Mattei e Monateri sostengono che le classificazioni tradizionali possono conside-
rarsi superate perché non in grado di cogliere le grandi linee della carta geogra-
fica di un mondo profondamente mutato, anche sul piano giuridico.
E’ proposta dunque una classificazione che tiene conto di alcuni importanti mu-
tamenti.
Il primo è dovuto al crollo dei regimi socialisti dell’Europa orientale; il secondo
mutamento è invece legato ai successi della medesima ideologia in Cina.
A questo evento può aggiungersi, come terzo fattore di ripensamento, l’accresc-
iuta importanza e la straordinaria evoluzione del diritto giapponese negli ultimi
30 anni.
In quarto luogo, l’accresciuta presa di coscienza del mondo islamico riguardo
alle proprie peculiarità culturali e giuridiche.
La raggiunta indipendenza di tutto il mondo africano costituisce l’ultimo cam-
biamento epocale.
Alla luce di questi mutamenti è proposta una classificazione che tiene conto di
concezioni del diritto diverse da quelle tipiche dell’occidente:
!
i. Famiglia caratterizzata dall’egemonia del diritto come modello di organizza-
zione sociale: è la tradizione giuridica occidentale, in cui la distinzione tra civil
law e common law si pone come una sotto-distinzione all’interno di una famiglia
dotata di un tasso notevole di omogeneità, quello fornito appunto dall’egemonia
professionale, ossia dalla separazione fra diritto e politica e dalla secolarizzazio-
ne del diritto, separazione fra diritto e tradizione religiosa e/o filosofica.
Della famiglia fanno parte:
- sistemi di common law;
- sistemi di civil law;
- sistemi c.d. misti, ossia tutti i sistemi in cui nell’ambito delle microscelte il mo-
mento giuridico non incontra una concorrenza notevole da parte di circuiti di
organizzazione sociale alternativi.
!
ii. Famiglia caratterizzata dall’egemonia della politica come modello di organiz-
zazione sociale: la famiglia contiene tutti i sistemi in cui non c’è stato divorzio
tra diritto e politica.
Comprende:
- molti Paesi ex-socialisti dell’Europa orientale;
- i Paesi in via di sviluppo, africani e latino-americani;
!
Il modello in questione è chiamato “diritto dello sviluppo e della transizione”,
vedendo così nella transitorietà un elemento caratterizzante fino a quando i Pae-
si da collocare in questa famiglia saranno protesi verso un obiettivo politico al
cui raggiungimento il cui diritto è funzionalizzato.
iii. Famiglia caratterizzata dall’egemonia della tradizione religiosa o filosofica
come modello di organizzazione sociale: comprende:
- Paesi musulmani;
- Paesi indù;
- Paesi dell’Estremo Oriente, a tradizione confuciana, buddista, taoista, ecc…
(Cina e Giappone).
!
Si tratta di Paesi in cui c’è diritto e c’è politica, ma appare prevalente la presen-
za di regole strettamente religiose nei sistemi musulmani e di regole tradizionali
a matrice filosofica nei sistemi del lontano oriente.
Caratteristiche comuni dei sistemi appartenenti a tale famiglia sono la prevalen-
za del principio gerarchico su quello democratico e l’enfasi sui doveri piuttosto
che sui diritti.
L’aspetto interessante della classificazione è il suo carattere dinamico, che ri-
sponde bene alle continue evoluzioni politiche ed economiche delle società con-
temporanee.
Ciò significa che un ordinamento, o gruppo di ordinamenti, può muoversi lungo
i lati di un ipotetico triangolo, i cui vertici sono segnati da Tradizione, Politica,
Diritto, mano a mano che l’evoluzione politica, economica, sociale lo allontana
da una famiglia e lo accosta all’altra.
Civil law e common law sono decisamente nell’orbita del Diritto; i Paesi post-so-
cialisti sono più vicini al vertice della Politica ma hanno iniziato la loro marcia di
avvicinamento al Diritto; il diritto cinese si colloca fra Tradizione e Politica; il
diritto giapponese si trova tra Tradizione e Diritto; il diritto musulmano tra
Tradizione e Politica; il diritto indù tra Tradizione e Diritto.
!
La tradizione del Civil Law
!
La tradizione di civil law ha, fin dalle origini, il suo centro in Europa continenta-
le.
Si può parlare di tradizione giuridica di civil law in senso proprio a partire dalla
fine del XI secolo, inizi del XII.
E’ in questo periodo, infatti, che vengono istituite le prime università, ed è in
queste università che il diritto viene riscoperto, insegnato e studiato come scien-
za.
Prima del XII secolo, il sistema giuridico europeo continentale si fonda essen-
zialmente sulle consuetudini.
Il diritto romano declina con la caduta dell’Impero romano.
Circolano compilazioni scritte di diritto romano e nel VI secolo si cominceranno
a redigere anche compilazioni di leggi barbariche, e il processo continuerà fino
al XI secolo.
Tuttavia, tali compilazioni non rappresentano fedelmente il diritto applicato nel-
l’Europa medievale, o perché regolano settori marginali (leggi barbariche), o
perché sono troppo complicate (leggi romane).
Di qui la sostituzione di un diritto c.d. volgare, cioè spontaneamente applicato
dalle popolazioni.
In sostanza il diritto perde la sua funzione e la sua importanza in una società in
cui i processi si risolvono mediante il ricorso a un sistema di prove irrazionali e
le sentenze mancano della forza per essere eseguite.
La concezione di una società garante di diritti è ancora lontana.
Domina piuttosto l’ideale cristiano, fondato sulle idee di fratellanza e carità.
Il contesto in cui inizierà a formarsi la tradizione di civil law si caratterizza
quindi per la sua fisionomia disorganica, e lo stato di arretratezza in cui versa il
diritto.
Tale contesto è il prodotto anche, e naturalmente, delle condizioni politiche, eco-
nomiche e sociali dominanti.
A livello politico, manca un’autorità centrale forte; la società e l’economia sono
agricole, chiuse, autosufficienti, poco inclini ai traffici e agli scambi.
!
Il rinascimento giuridico: dopo l'anno 1000
!
Il periodo del rinascimento giuridico si inserisce in un’età, all’indomani dell’an-
no 1000, che è di profondo rinnovamento in tutti i campi, ed è legato al rifiorire
delle città e dei commerci.
Solo il diritto, e non più gli ideali cristiani, si mostrano in grado di assicurare
l’ordine e la sicurezza di cui il progresso ha bisogno.
Rinascimento giuridico vuol dire essenzialmente rinascimento dello studio del
diritto romano:
Quale diritto romano?
Il diritto romano che si studia è il diritto del Corpus Juris Civilis, voluto da Giu-
stiniano e pubblicato nella prima metà del VI secolo, che sostituì tutto il diritto
precedente.
Il Corpus Juris Civilis si articola in quattro parti:
a. Codex, che è una raccolta dei decreti imperiali;
b. Digesta, di gran lunga la parte più importante e più usata, che è una raccolta
delle opinioni di 39 giureconsulti su una grande varietà di materie;
c. Institutiones, articolate in tre parti (personae, res, actiones), è un testo intro-
duttivo al diritto, ma dotato di valore normativo;
d. Novellae, ossia gli atti normativi promulgati dopo la pubblicazione del Corpus
Juris Civilis.
La codificazione giustinianea si propone, allo stesso modo in cui si proporranno i
grandi codici ottocenteschi, come una rottura con il passato: tutto il diritto pree-
sistente è spazzato via.
Il giurista di civil law (ri)nasce come interprete di un testo autorevole: il giurista
è tale perché studioso di un testo, non perché si interessa dei conflitti da risolve-
re.
Infine, fin dalla compilazione giustinianea, la tradizione di civil law ha nella dot-
trina il suo fulcro principale, come testimonia l’attribuzione di forza di legge alle
opinioni dei giureconsulti e alle Institutiones.
Perché il diritto romano?
La considerazione di partenza, per rispondere a tale quesito, è che per superare i
diritti locali, e per rispondere così ai bisogni concreti di una società sempre più
mobile e aperta, il diritto viene concepito e insegnato nelle università come mo-
dello di organizzazione sociale.
L’importante è trovare le regole giuste, e insegnarle in modo da diffondere di
nuovo l’ideale di una società fondata sul diritto.
In secondo luogo, il diritto romano è dotato di un grande prestigio, è un diritto
ricco e raffinato, accessibile perché conservato in un’unica grande opera, nella
lingua custodita dalla Chiesa, il latino, collegato all’idea di una civiltà luminosa.
Infine, il diritto romano è strettamente collegato con l’ideologia imperiale: il di-
ritto romano è valido perché deriva da una manifestazione di volontà dell’impe-
ratore, è uno strumento della sua autorità.
L’epoca di cui si discorre è quella in cui la società tende a trovare nel Sacro Ro-
mano Impero una base unitaria del proprio regime politico.
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Il rinascimento giuridico: il ruolo delle università
!
Si è anticipato più volte che il rinascimento giuridico è legato all’insegnamento
che si impartisce nelle università.
Come funziona l’università medievale?
Gli studenti si riunivano ed ingaggiavano un insegnante che spiegasse loro il te-
sto, per un anno.
In particolare, emerse a Bologna un professore, chiamato Irnerio, intorno al
quale si raccolsero studenti da ogni parte d’Europa, e a lui si unirono mano a
mano altri docenti.
Verso il 1150 si calcola che a Bologna vi fossero circa 2000 studenti di diritto.
Infine, questi si unirono in due gruppi più ampi, o ghilde, quello degli “ultra-
montani” (studenti provenienti dal nord delle Alpi) e quello dei
“citramontani” (studenti provenienti dal sud delle Alpi).
Ognuno dei due gruppi era organizzato come una associazione con personalità
giuridica.
I docenti erano pagati direttamente dagli studenti nelle rispettive classi.
Dal canto loro, i professori costituirono la propria associazione, il Collegium
Doctorum, che aveva il diritto di esaminare e ammettere i candidati al dottorato
e di imporre le relative tasse.
Dato che il dottorato legittimava all’insegnamento, i professori si riservavano il
diritto di ammettere i dottori nella propria corporazione.
Ma questo era tutto il potere che avevano.
All’inizio, dunque, e finché non caddero sotto il controllo della Chiesa, le univer-
sità furono istituzioni libere, centri di cultura autonomi.
La struttura di Bologna fu esportata dai suoi ex studenti, divenuti dottori, in
molte altre università che fiorirono in tutta Europa nel XII e nel XIII secolo.
!
Le scuole di giuristi fiorite nelle università
!
Le grandi scuole di giuristi che hanno contribuito in maniera determinante alla
rinascita e alla diffusione del diritto romano sono state quella dei glossatori,
quella dei canonisti, quella dei commentatori e quella degli umanisti, ciascuna
contrassegnata da un metodo e da un approccio al diritto, ma anche da una pro-
pria visione socio-politica.
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Le scuole di giuristi: i Glossatori
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Glossa significa “annotazione a un testo biblico o giuridico”, ma la glossa non è
soltanto un’opera di chiarificazione del testo, svolta con la preoccupazione di re-
stare fedeli al valore dei verba.
L’esegesi analitica dei glossatori fu sempre animata da spirito di sintesi.
I singoli passi del Corpus Juris Civilis furono sempre considerati nei loro reci-
proci rapporti, e pertanto in riferimento al complesso del sistema giuridico.
I giuristi bolognesi ebbero sempre viva l’idea del diritto come complesso unitario
e armonico.
La concezione autoritaria del diritto romano da cui partono i glossatori rende il
loro atteggiamento simile a quello che il teologo ha di fronte alle scritture, con
tutti i limiti necessariamente imposti allo sviluppo libero e creativo della ragione.
L’opera dei glossatori raggiunge il suo culmine alla metà del XIII secolo, con la
Magna Glossa, comprendente circa 96000 glosse, opera di semplificazione e pun-
to di arrivo della presa di coscienza da parte dei glossatori dell’importanza dei
problemi dell’applicazione concreta del diritto romano.
Quel che tuttavia accade con la Magna Glossa, che determina anche la crisi del
metodo dei glossatori, è che essa stessa, e non più il Corpus Juris Civilis, diviene
il fulcro di ogni insegnamento.
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Le scuole di giuristi: i canonisti
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Nel panorama medievale spicca l’importanza della Chiesa, custode vigile della
tradizione e della cultura che provengono dal mondo romano.
La Chiesa si presenta come un’istituzione fortemente gerarchica, dotata preco-
cemente di un organizzazione centralizzata ed efficiente.
E’ in questo contesto che si sviluppa, parallelamente all’opera dei glossatori,
quella dei canonisti, che si segnalano per un lavoro di riorganizzazione delle fon-
ti canoniche.
Fra il 1139 e il 1142, Graziano da Chiusi pubblicò il Decretum Magistri Gratiani,
la prima compiuta consolidazione de diritto della Chiesa.
Il Decretum costituisce la base del diritto canonico rimasta praticamente in vi-
gore fino all’emanazione del primo Codex Juris Canonici nel 1917.
Deve tuttavia essere sottolineato il contributo che il diritto della Chiesa dette alla
costruzione dello jus commune.
Infatti, l’organizzazione capillare della Chiesa favorì una rapida diffusione del
diritto canonico.
Particolarmente significativo, infine, è il contributo dei canonisti alla costruzione
del processo, di cui i civilisti poco si interessano.
La definizione delle liti, l’esercizio della giurisdizione era da un lato compito dei
pratici, dall’altro era prerogativa del potere politico.
La Chiesa si fece promotrice della lotta contro le ordalie, e regolò in maniera as-
sai rigorosa il procedimento di accertamento dei fatti: un processo caratterizzato
da scrittura, segretezza, inquisitorietà e lontananza dei giudici dal fatto.
E’ quello della Chiesa il processo che diventa tipico in tutto il continente euro-
peo, oltre che delle giurisdizioni ecclesiastiche, e funge da veicolo per la diffusio-
ne dello jus commune.
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Le scuole di giuristi: i commentatori
!
Con la scuola dei commentatori, l’approccio al diritto romano muta.
Mentre la glossa è una chiarificazione dei testi, preoccupata di restare aderente
ai verba, la scuola del commento è soprattutto diretta a mettere in luce il sensus,
il significato razionale, il principio giuridico racchiuso nel testo, e a richiamare
l’attenzione sulla pratica del diritto
Con il tramonto dell’Impero e la nascita di nuovi modelli di organizzazione poli-
tica, la cultura giuridica tende a liberarsi della soggezione alla romanità impe-
riale.
La novità dei commentatori è lo spirito di libertà, di critica, di indipendenza di
fronte all’opinione della glossa e, in generale, al valore dell’autorità.
Non è un caso, visto quello che si è appena detto, che uno dei grandi centri di
fioritura del commento sia la Francia.
Del resto, anche in Italia sono le mutate condizioni politiche, l’emergere degli
Stati particolari e degli jura propria che nascono, a far sentire un’esigenza di li-
bertà nella scienza giuridica.
Il rapporto tra diritto romano e jura propria è, nel commento, ribaltato e non
poteva essere altrimenti: al primo viene ora attribuito carattere sussidiario.
I commentatori studiano lo jus proprium cercando di coordinarlo e contrappor-
lo al diritto romano, che viene considerato come un complesso mirabile di prin-
cipi giuridici da adattare alle esigenze che sorgevano come fondamento solido
per la costruzione di un diritto nuovo.
L’autorità dei maestri è tale che spesso le communis opinio dovevano essere se-
guite in assenza di disciplina di legge.
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Le scuole di giuristi: gli umanisti
!
La scuola degli umanisti espresse la reazione all’appiattimento provocato dalla
communis opinio.
Sorta in Francia nel XVI secolo, si diffonde in realtà in tutta Europa.
Allo studio del diritto romano, a fini pratici, gli umanisti oppongono un diverso
approccio.
Loro obiettivo è di restituire al diritto romano la sua portata autentica e il senso
originale; sistemare il diritto romano così ricostruito per estrarne lo spirito e la
filosofia; recuperare la originale eleganza linguistica.
Anche i giuristi tedeschi dei secoli XVI-XVIII subirono l’influenza degli umani-
sti.
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Lex mercatoria
!
Nel corso dei secoli in cui si susseguono le scuole dei giuristi che si dedicano allo
studio e alla diffusione del diritto romano e in cui fiorisce il diritto canonico, si
sviluppa un atro sistema giuridico: quello della comunità dei mercanti.
Nei grandi centri mercantili italiani dell’epoca, le corporazioni dei mercanti get-
tano le basi di un sistema di diritto commerciale terrestre e marittimo destinato
a costituire un’altra componente essenziale della tradizione giuridica occidenta-
le.
La lex mercatoria, nata come diritto di una comunità particolare, diviene ben
presto un diritto commerciale comune a tutta l’Europa.
!
Il fenomeno della recezione del diritto
!
L’insegnamento universitario ha corso il rischio di restare, ma non è mai restato,
esclusivamente accademico.
In qualche modo, il modello che le università proponevano è diventato positivo:
non si è infatti proposto, o imposto, un modello nuovo (come è avvenuto ad
esempio in Inghilterra).
Un avvenimento importante fu il IV Concilio Laterano (1215) che vietò ai chieri-
ci di partecipare ai processi in cui si faceva ricorso al soprannaturale.
La conseguenza fu una nuova procedura, mutuata dal modello canonico, più ra-
zionale, più complessa e scritta, cioè un ritorno all’idea di diritto anche nel cam-
po della procedura.
L’amministrazione della giustizia si tecnicizzò, divenne compito esclusivo di giu-
risti colti, formati nelle università, e quindi nello studio del diritto romano.
In tal modo, il diritto impegnato nelle università cominciò ad esercitare una no-
tevole influenza sulla pratica del diritto.
Il diritto romano non viene mai imposto, ma i giuristi, utilizzando le distinzioni e
i concetti del diritto romano, che essi propongono come diritto migliore, più fa-
cilmente accessibile e conoscibile, sicuramente hanno una forte autorità persua-
siva.
Il diritto romano viene recepito come idea, non come vero e proprio diritto uni-
forme.
D’altra parte, se guardiamo alle varie fonti, alle consuetudini, alla legge, alla
giurisprudenza, vediamo che la loro condizione contribuisce in ogni caso a favo-
rire la recezione, la diffusione del diritto romano studiato nelle università.
!
Le consuetudini e il loro ruolo nella diffusione del diritto romano
!
Le consuetudini preesistenti alla rinascita del diritto crollano perché tipiche di
una società e di una economia chiuse, variano da borgo a borgo, sono troppo dif-
ficili da conoscersi e provarsi.
Infatti possono sperare di resistere di fronte all’influenza e ai vantaggi del diritto
romano solo se raccolte in grandi compilazioni che le rendano più facilmente ac-
cessibili e conoscibili.
E’ il caso del celebre “specchio sassone” (tedesco).
Se poi le compilazioni, anziché limitarsi a raccogliere e sistemare le vecchie con-
suetudini cercano di presentare un sistema giuridico completo, allora i compila-
tori compiono un’opera creatrice e armonizzatrice dei particolarismi locali che
di fatto implica ricorso al diritto romano come ratio scritta.
E’ il caso, ad esempio, delle c.d. Siete Partidas (spagnolo).
Questo delle grandi compilazioni delle consuetudini, è uno dei fattori decisivi per
la vasta recezione del diritto romano in tutta Europa, compresa la Francia.
Nonostante la diffidenza del re nei confronti del diritto romano, la Francia è
sede importante delle scuole del commento e degli umanisti, due dei movimenti
più ricchi per lo studio e la diffusione del diritto romano.
!
La legislazione e il suo ruolo nella diffusione del diritto romano
!
Nel contesto medievale, la legislazione svolge un ruolo modesto, non tocca che
raramente il diritto privato, concentrandosi soprattutto sul diritto pubblico, sul
diritto dell’amministrazione e sul diritto penale.
Il diritto romano è la risposta più immediata e più valida per la regolamentazio-
ne dei rapporti privati.
!
La giurisprudenza e il suo ruolo nella diffusione del diritto romano
!
Anche la giurisprudenza svolge in Europa un ruolo secondario che favorisce la
recezione del diritto romano:
Germania
In Germania l’influenza del diritto romano fu molto più profonda che in altri
Paesi europei.
La ragione è da ricercarsi nella situazione politica: la disgregazione dell’Impero
che porta a un lungo periodo di frammentazione degli ordinamento politici.
Il feudalesimo germanico è diverso dal feudalesimo inglese o francese, controllati
da un potere regio più o meno forte.
La frammentazione portò indubbiamente a favorire la recezione del diritto ro-
mano.
Non vi era infatti un diritto privato comune tedesco.
La Germania medievale non ha organi centrali giudiziari e politico-amministra-
tivi che possano gettare le fondamenta di un diritto tedesco unificando le fonti
locali.
Pertanto la giurisprudenza può aver avuto una certa importanza a livello locale,
ma non a livello nazionale: di qui la naturale e totale romanizzazione del diritto
privato tedesco e l’impossibilità di parlare di un Deutsches Privatrecht, cui con-
tribuisce non poco anche la prassi della richiesta di pareri che i giudici rivolgono
alle università in casi dubbi che saranno evidentemente risolti alla luce del dirit-
to romano.
Paesi latini
Anche qui la giurisprudenza è debole, anche qui la recezione è pressoché totale.
Bisogna attendere il XVIII secolo perché in Savoia, a Napoli e nella penisola ibe-
rica i giudici siano liberi dall’obbligo di seguire la communis opinio doctorum.
In sostanza, c’è nell’Europa medievale una giurisprudenza debole che non è in
grado di resistere all’influenza del diritto romano.
L’eccezione è ancora una volta, e non casualmente, la Francia: il primo Stato
moderno del continente europeo.
In certi settori grande è l’influenza del diritto romano, ma il vero diritto comune
è dato proprio dalla giurisprudenza dei parlamenti raccolta in repertori.
!
Premesse storiche della codificazione del diritto
!
Da quanto si è detto, emerge che il diritto romano esercita una notevole influen-
za, particolarmente marcata in Germania e nei Paesi latini, ma non si sostituisce
mai alle varie fonti locali del diritto, come al contrario avvenne per la common
law che, come vedremo, schiacciò inesorabilmente i particolarismi locali e co-
struì sentenza dopo sentenza un diritto uniforme per tutta l’Inghilterra.
Ciò che quindi caratterizza l’organizzazione giuridica dell’Europa continentale
fino alla rivoluzione francese è la permanenza di una molteplicità di fonti giuri-
diche.
La caratteristica più saliente di questo periodo, nonostante la forza di penetra-
zione del diritto romano, è il particolarismo giuridico, con quel che ne segue in
termini di confusione e contraddittorietà delle norme.
!
Crisi dell’assetto medievale del diritto
!
In sostanza si apre un panorama di crisi dell’assetto medievale che ha un duplice
volto, coinvolgendo tanto la tradizione metodologico-scientifica quanto la situa-
zione politico-sociale medievale:
!
a. Crisi dei metodi scientifici tradizionali
!
La scienza giuridica tradizionale che era stata lo strumento fondamentale per
l’evoluzione del diritto comune, risente della crisi del sistema normativo: non ha
più a forza di fornire risposte certe e non riesce più ad adattare l’ordinamento
alle mutate circostanze.
!
b. Crisi della situazione politico-sociale tipica del medioevo
!
Quello che emerge è la tendenza verso una nuova forma di governo assoluto, li-
vellatore di particolarismi, accentrato.
Obiettivo particolare della politica assolutistica è il processo di semplificazione
delle fonti normative e l’autoritaria riconduzione allo Stato (ossia al Sovrano)
dell’intera attività di produzione e applicazione del diritto.
Gli strumenti per raggiungere l’obiettivo sono il potenziamento della legislazione
e il controllo dell’amministrazione della giustizia esercitato per delega del So-
vrano.
In sostanza, si toglie potere ai giuristi in nome della certezza del diritto, ma qua-
le certezza?
Quella del diritto preesistente: cioè si persegue la semplificazione e la razionaliz-
zazione entro i limiti delle fonti in vigore.
Il Sovrano, nella concezione medievale, non ritiene di poter riformare il diritto
privato secondo la sua volontà; tuttavia, egli vede nell’opera di riorganizzazione
delle fonti in vigore uno dei mezzi per consolidare il suo potere e per impedire
che i giudici violino il suo comando.
Si ricorda in proposito che i codici settecenteschi contengono una sorta di divieto
di interpretazione creativa.
!
Assolutismo e crisi del diritto medievale: il caso della Francia
!
L’esempio tipico della crisi e del mutamento è dato dalla Francia che, fin dal
XVI secolo è il primo Stato in cui emergono: la tendenza a limitare le autonomie
e i poteri dei nobili; la tendenza a costruire uno Stato centralizzato con un corpo
di leggi unico per tutto il territorio nazionale; la critica verso la scienza giuridica
medievale formulata dalla scuola degli umanisti, e l’idea che il diritto romano
comune non può essere considerato eterno, ma appartiene ad una fase e ad un
ambiente determinati della civiltà giuridica che sono ormai finiti (ci si può servi-
re, se del caso, del diritto romano per estrarne la filosofia e lo spirito); l’esaltazi-
one del diritto come fenomeno nazionale più aderente alle caratteristiche dei po-
poli e dei luoghi.
A tutto ciò si aggiunge, da un lato, l’affermazione di un ceto potente di giuristi
pratici, soprattutto intorno al Parlamento di Parigi, che appare estremamente
sensibile ai richiami di un diritto nazionale; dall’altro, la fioritura di una nuova
grande scuola di pensiero: la scuola del diritto naturale.
!
Crisi del diritto medievale: rivoluzione francese, giusnaturalismo e razionalismo
!
Uno dei tratti caratterizzanti del giusnaturalismo è il soggettivismo, in contrap-
posizione all’oggettivismo medievale: prima si diceva che il diritto naturale era
una realtà oggettiva anteriore ed estranea al soggetto, che riceve da tale realtà le
norme del proprio agire, norme inserite in un ordine universale esterno all’indi-
viduo e non poste dal suo intelletto; i soggettivisti invece sostengono che il diritto
naturale è norma umana posta dall’attività del soggetto, sganciata da ogni pre-
supposto oggettivo (specialmente di ordine teologico) e manifestantesi nella ra-
gione.
Connotati fondamentali del giusnaturalismo sono la concezione laica del diritto
che ha per fonte la ragione; la teoria per cui il sovrano non ha un potere illimita-
to, ma è un legislatore in grado di dichiarare e riformare il diritto conformemen-
te a legge di natura; il ruolo centrale dell’individuo e del principio di uguaglian-
za fra individui; la funzione garantista dello Stato.
La rivoluzione, quindi, non è solo il fatto traumatico a tutti noto, non è solo la
presa della Bastiglia, ma è un movimento che ha alle sue spalle nuove forze intel-
lettuali, nuovi modi di concepire l’uomo, la società, l’economia, lo Stato.
Schematicamente esse sono: l’appena ricordato giusnaturalismo; la dottrina del-
la separazione dei poteri, che esprimerà anche un profondo e duraturo senso di
diffidenza nei confronti del potere dei giudici; il razionalismo, e la sua fede nella
capacità della ragione di produrre nuove regole, che sono l’antitesi del particola-
rismo giuridico; il liberalismo, centrato sui concetti dominanti di proprietà e di
contratto e sulla reazione contro la società dei privilegi; lo statualismo, che vede
Stato e individuo padroni assoluti della scena sociale e giuridica; il nazionalismo,
che vede nel sistema giuridico l’espressione di idee nazionali e dell’unità della
cultura nazionale.
!
Le codificazioni civilistiche del XIX secolo
!
In questa sezione ci occuperemo delle grandi codificazioni civilistiche che per-
corrono tutto il secolo XIX.
Cominceremo dal Code Civil des Français, l’archetipo delle codificazioni che più
compiutamente riassume i contenuti della “Rivoluzione”; passeremo poi ai codi-
ci dei paesi tedeschi, da quelli di Prussia del 1794 e di Austria del 1811, ancora
figli dell’assolutismo illuminato, a quello tedesco del 1900, figlio di un grande di-
battito dottrinale, per chiudere la nostra rassegna con l’esame delle due codifi-
cazioni italiane.
Ci limiteremo a parlare delle codificazioni privatistiche.
!
Il Code Civil des Français del 1984
!
Non è solo il fulcro del diritto civile francese e il teso cui ogni giurista fa costante
riferimento, ma rappresenta anche il modello delle codificazioni privatistiche dei
sistemi a base romanistica.
Il Code Civil può definirsi il primo vero codice dell’età moderna.
Il Code Civil rappresenta una svolta non solo perché riformula i rapporti civili,
ma anche perché assume il modello garantistico a guida di una coerente orga-
nizzazione del diritto.
Esso segna il trionfo dei gruppi borghesi usciti vittoriosi dalla rivoluzione.
Il codice garantisce la libertà di agire in senso economico, così come le costitu-
zioni garantiscono le libertà politiche dei cittadini nei loro rapporti con lo Stato.
Le origini storiche del Code Civil
!
Il Code Civil “vuol essere un atto di rottura con il passato” e una proiezione ver-
so il futuro.
Esso contribuisce a ridurre la preesistente complessità.
Con il codice il diritto non proviene più dal basso, ma si pone dall’alto e si con-
suma, inoltre, il passaggio dalla extrastatualità del diritto al diritto nazionale.
La legge diventa l’unica fonte capace di esprimere la volontà generale e il Prin-
cipe esprime con la legge lo spirito della nazione; attraverso il principio della se-
parazione dei poteri avviene la monopolizzazione del potere legislativo da parte
dello Stato borghese.
Insomma, il Code Civil, tende presuntuosamente verso tre direzioni: unità, com-
pletezza ed esclusività.
Il Code Civil non è solo la conseguenza degli eventi rivoluzionari del 1789 e della
volontà di Napoleone.
Alle sue spalle ci sono secoli di storia che culminano nella rivoluzione, intesa an-
che come complesso di nuove forze intellettuali, nuovi modi di concepire l’uomo,
la società, l’economia, lo Stato.
Alle sue spalle, c’è un Paese in cui fin dal 1454 si sente l’esigenza di creare un di-
ritto consuetudinario francese comune attraverso la redazione delle consuetudi-
ni.
Non mancarono tentativi di unificare il diritto, che tuttavia non riuscirono a
raggiungere compiutamente lo scopo se è vero che alla vigilia della rivoluzione
erano ancora in vigore 60 Coutumes Générales e 300 Coutumes Locales.
Una dottrina dotata di grande prestigio coltivò a lungo l’idea di un’unità di fon-
do del diritto francese, rendendo così possibile l’opera di codificazione.
Due sono i nomi di particolare importanza: Domat (1625-1696) e Poithier (1699-
1772); il primo fu un grande sistematico e riordinò il diritto romano secondo i
bisogni del tempo e alla luce delle nuove idee giusnaturalistiche; il secondo, mae-
stro sia del diritto romano sia del diritto consuetudinario, esercitò una grande
influenza sui redattori del Code Civil.
!
La Rivoluzione francese e il droit intermédiaire
!
Tra la prima riunione dell’assemblea nazionale (1789) e la presa del potere da
parte di Napoleone (1799), si impose in Francia un diritto rivoluzionario, noto
con l’espressione diritto intermedio (droit intermédiaire), che sovvertì nel volge-
re di pochi anni l’Ancien Régime, sostituendovi la concezione di una società
illuminata centrata sull’individuo e sullo Stato.
Vennero dunque aboliti i rapporti che legavano il re ai nobili, al clero e ai giudi-
ci; la divisione territoriale in province; il regime fondiario feudale; l’ordine giu-
diziario; il sistema fiscale; il regime ereditario.
Al tempo stesso, fu dato impulso alla codificazione che l’assemblea costituente
aveva fra i suoi espliciti obiettivi.
Un primo progetto di codice fu predisposto da Cambacérès nel 1793, in 697 arti-
coli, ma fu respinto perché troppo complesso; un secondo nel 1794, in 297 artico-
li, fu anch’esso respinto perché troppo sintetico; un terzo progetto fu infine ri-
presentato da Cambacérès nel 1796, ma le discussioni su di esso furono interrot-
te dalla presa del potere da parte di Napoleone nel 1799.
!
L’impulso di Napoleone alla codificazione del Code Civil
!
Fu da allora che le vicende relative al codice presero un corso rapido.
Era un impegno che Napoleone aveva particolarmente a cuore: egli nominò su-
bito una nuova Commissione che in soli 4 mesi terminò i lavori.
La Commissione era composta da 4 membri: due erano rappresentanti dei Paesi
del nord, a prevalenza di diritto consuetudinario; due erano anche i rappresen-
tanti dei Paesi del sud, a prevalenza di diritto scritto.
Il progetto predisposto dalla Commissione insediata da Napoleone doveva essere
approvato da vari organi, fra i quali il Tribunato, dove ancora sedevano alcuni
oppositori di Napoleone.
Il Tribunato, infatti, manifestò subito la sua ostilità, rifiutandosi di approvare le
prime sezioni del codice e costringendo Napoleone a ritirare il progetto.
Quando Napoleone chiese di nuovo l’approvazione nel 1803, dopo aver rinnova-
to la composizione del Tribunato, il progetto fu approvato senza alcuna resisten-
za, con 36 atti normativi poi riuniti in una legge del 1804 sotto il nome di “Code
Civil des Français”, che entrò in vigore il 1°Gennaio 1806.
Esso riflette l’esistenza di 3 condizioni fondamentali: un potere politico deciso a
volere la codificazione; una scelta rivolta a favore di regole d’insieme di largo
respiro a carattere non casistico, non frammentario, non provvisorio; una matu-
ra elaborazione di queste regole di insieme ad opera di una dottrina affiatata e
prestigiosa.
!
Stile e struttura del Code Civil
!
Di queste condizioni risentono beneficamente lo stile e la struttura del codice.
Per quanto riguarda lo stile letterario del codice, che ha contribuito in maniera
decisiva al suo successo e alla sua circolazione, esso è redatto in modo semplice
ed elegante, per poter essere compreso anche dal suo giurista.
Caratteristica di un certo stile è anche il modo in cui la norma è formulata.
Il codice, con le sue “regole d’insieme di largo respiro”, si colloca a metà strada
tra i principi generali e le regole casistiche, di dettaglio, che lascia a “leggi spe-
ciali o atti amministrativi generali”.
Per quanto riguarda la struttura, il Code Civil si compone di 2281 articoli, di-
stribuiti in un titolo introduttivo e 3 libri, rispettivamente dedicati alle “perso-
ne”, ai “beni e alle varie modifiche della proprietà”, ai “diversi
modi di acquisto della proprietà”.
!
Titolo introduttivo del Code Civil
!
Si compone di soli 6 articoli e contiene un paio di norme sulle quali è bene sof-
fermare la nostra attenzione.
L’art. 5 vieta al giudice di disporre in via generale e regolamentare, cioè vieta al
giudice, in ossequio al principio della separazione dei poteri, di seguire la prassi
sviluppata dai Parlements pre-rivoluzionari che partecipavano al governo del
regno.
In altre parole, l’art. 5 vieta al giudice di sostituirsi al legislatore emanando re-
gole generali di condotta, e vieta dunque anche di risolvere controversie sulla
base di decisioni precedenti che altrimenti uscirebbero convertite, da questo
procedimento, in regole generali di condotta.
Nell’art. 4 i redattori del codice, però, prendono anche atto che il codice non può
essere completo e autosufficiente.
Il giudice francese deve sapersi muovere nelle regole poste dal legislatore e deve
sempre decidere la controversia.
Nel codice non troviamo una specifica indicazione dei criteri che devono essere
seguiti nel ricercare la soluzione concreta; viene tuttavia ritenuto pacifico che il
giudice si avvalga dei canoni, peraltro ben noti alla tradizione giuridica francese,
dell’interpretazione letterale, logica, analogica e teleologica.
!
I tre libri del Code Civil
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Primo libro del Code Civil: “Des personnes”
Di questo libro si segnala l’art. 8, secondo il quale titolare dei diritti civili è qual-
siasi cittadino francese, a sottolineare il forte carattere nazionale della codifica-
zione.
La riflessione ulteriore che il primo libro del codice provoca è quella sulla cen-
tralità dell’individuo: fra questo e lo Stato, che esce dalla “Rivoluzione”, non c’è
posto per gruppi intermedi significativi a parte la famiglia.
Secondo libro del Code Civil: “Des biens et des différentes modifications de la
propriété”
Questo libro ruota attorno all’affermazione del dogma della proprietà, definita
come “diritto di godere e disporre della cosa nella maniera la più assoluta”.
Della centralità della proprietà è traccia anche nella previsione di diritti reali in
numero chiuso, a fronte della tendenza alla frammentazione tipica del regime
feudale.
Terzo libro del Code Civil: “Des différents manières dont on acquiert la proprié-
té”
Questo libro contiene la disciplina di una serie assai poso omogenea di istituti,
tutti funzionalmente collegati dal fatto che si tratterebbe di differenti modi di
acquisizione della proprietà.
Al centro del libro è collocato l’altro pilastro dell’individualismo e della libertà
di agire in senso economico:
il dogma del volere, come è stato chiamato, che si esprime nella libertà contrat-
tuale.
Il codice Napoleone costituisce una sintesi fra esperienza giuridica del nord della
Francia, a base consuetudinaria, e quella del sud, a base romanistica: ciò facen-
do finisce per dare più spazio a elementi di origine germanistica, di quanto non
faccia il codice civile tedesco, che seguì la tradizione romanistica molto
più fedelmente
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Il processo di adeguamento nel tempo del Code Civil
!
Dalla struttura del codice, emerge chiaramente che esso è l’archetipo dei codici
borghesi emanati nel corso del XIX secolo, e in quanto tale, riflette la struttura
economica e sociale del suo tempo.
Per esempio, manca un inquadramento giuridico del rapporto di lavoro, e il di-
ritto di famiglia ruota intorno alla figura del marito/padre.
Eppure, questo codice ha da poco compiuto il secondo secolo di vigenza.
Sorge in maniera piuttosto naturale una domanda: come può sopravvivere un
codice entrato in vigore due secoli fa?
Preliminarmente, si deve considerare che il Code Civil è un monumento della
cultura giuridica francese e forse, più in generale, della cultura francese.
Qualche tentativo di affrontare organicamente la riforma è stato fatto, ma è fal-
lito.
Naturalmente, molti sono stati gli interventi adeguatori del legislatore, della giu-
risprudenza e della dottrina:
a. Legislatore: il diritto di famiglia è stato interamente e profondamente rifor-
mato per rispondere alle esigenze dal riconosciuto nuovo ruolo della donna nella
società.
Anche in materia di diritto dei contratti è intervenuto il legislatore limitando
sempre più l’autonomia contrattuale, sì “da non potersi più parlare di libertà di
contrarre e di autonomia contrattuale, così come le avevano intese i redattori del
Code” e prevedendo una tutela rafforzata per il contraente debole, lavoratore,
conduttore, consumatore.
b. Giurisprudenza: ha contribuito in modo notevole ad adeguare le norme del
Code Civil alle nuove esigenze attraverso una interpretazione evolutiva favorita
dal particolare livello semantico di alcune disposizioni del codice.
Ad esempio le norme sulla responsabilità extracontrattuale hanno subito, dal
1804, solo modifiche insignificanti.
La facciata del Code è dunque rimasta quella che era, ma il diritto della respon-
sabilità opera nella prassi in modo profondamente diverso.
A fronte della timidezza del legislatore, troviamo una giurisprudenza “creativa”,
che sfrutta gli spazi lasciati aperti dal legislatore e supera il criterio tradizionale
della colpa, estendendo via via le ipotesi di responsabilità senza colpa al settore
degli infortuni sul lavoro a quello dell’esercizio di attività pericolose, a
quello dei danni da prodotto.
c. Dottrina: anche la dottrina ha contribuito in maniera crescente all’adegua-
mento del codice.
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La scuola giuridica dell’exégèse
!
Nei primi decenni successivi alla sua entrata in vigore, la dottrina visse un pe-
riodo poco fertile in cui si limitò ad effettuare una esegesi grammaticale e logica
del testo legislativo.
Il principio di divisione dei poteri, nonché l’annientamento del prestigio dei giu-
risti ad opera della rivoluzione, portarono in Francia alla condanna di ogni atti-
vità creativa dell’interprete, e all’idea del monopolio del legislatore.
La scuola che domina lungo tutto il XIX secolo è appunto la scuola c.d. dell’exé-
gèse.
Questo quadro muta, tuttavia, verso la fine del XIX secolo in quanto l’esegesi
non è più in grado di fornire ai giudici gli strumenti sufficienti a far evolvere il
Code, ormai troppo ancorato a principi superati.
Si approda così alla scuola c.d. della libera ricerca scientifica e si favorisce, dun-
que, un’interpretazione che tenga conto delle esigenze di una società in continua
trasformazione.
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La diffusione del modello del Code Civil
!
Come è noto, le armate napoleoniche, ma anche il suo valore intrinseco, hanno
favorito una larghissima circolazione del modello Code Civil.
A parte il cammino autonomo seguito da Austria e Svizzera, molti Paesi europei
ed extra-europei seguono, nel corso del XIX secolo, il modello francese.
Il Belgio, indipendente dal 1830, ha mantenuto in vigore il Code Civil, fatto pe-
raltro oggetto di interventi legislativi di riforma, e talvolta di interpretazioni
giurisprudenziali anche molto diverse da quelle francesi.
Il “Burgerlijk Wetboek” olandese del 1838, che resta in vigore fino alla promul-
gazione dei vari libri del nuovo codice fra il 1970 e il 1992, è basato sul modello
francese, di cui spesso si limita a tradurre le
disposizioni.
Quando l’Italia codifica, raggiunta l’unificazione politica, il modello cui forte-
mente si ispira il codice del 1865 è, ancora una volta, quello francese.
Il Còdigo Civil spagnolo del 1889, tuttora in vigore, si basa essenzialmente sul
codice francese.
Il Portogallo, a sua volta, passa da un codice civile di matrice francese a quello
introdotto esattamente un secolo dopo, nel 1967, che è invece debitore nei con-
fronti del codice civile tedesco.
Per la sua chiarezza, e per il suo collegamento con l’ideologia della rivoluzione, il
codice napoleonico esercita una grande influenza sui Paesi del centro e del sud
America nel momenti in cui, nei primi decenni del XIX secolo, questi si sottrag-
gono al dominio spagnolo.
Forti legami con la tradizione francese mantengono curiosamente due territori,
Louisiana e Québec, immersi in Stati federali, gli USA e il Canada, solidamente
appartenenti alla tradizione di common law.
La Francia è stata, come è noto, una grande potenza coloniale: l’influenza della
tradizione giuridica e del codice francese è perciò visibile, in varie gradazioni, in
molti Stati africani e asiatici oggi indipendenti.
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Allgemeines Landrecht Prussiano del 1794 (ALR)
!
Se volgiamo lo sguardo ai territori tedeschi, la cui caratteristica principale è la
frammentazione, notiamo che partecipano al movimento della codificazione por-
tandovi un contributo autonomo che non è mai la rivoluzione come fatto politi-
co.
In Prussia e in Austria, la codificazione ha alle spalle il giusnaturalismo raziona-
lista di sovrani illuminati, rispettivamente Federico II e la sua contemporanea
Maria Teresa.
La prima codificazione è quella prussiana, l’Allgemeines Landrecht fr die Pre-
ussischen Staaten.
Essa è diversa da tutte le altre perché aspira a raccogliere ed esporre tutto il di-
ritto, da quello costituzionale e al diritto ecclesiastico, al diritto civile, e non il
solo diritto privato, e perché, con i suoi 17000 articoli, si propone di disciplinare
nel dettaglio ogni possibile fattispecie.
Federico II riprese decisamente l’idea di un progetto di codice che già era stata
di Federico Guglielmo I, con due obiettivi precisi: sul piano formale quello della
razionalità e chiarezza della norma; sul piano sostanziale quello di fondare la
norma stessa sulla ragione naturale e sulle tradizioni costituzionali dei singoli
territori.
La guerra dei sette anni rinviò la realizzazione di un progetto.
Un primo progetto fu sottoposto al vecchio sovrano nel 1786, ma non ne raccolse
l’approvazione; rielaborato, fu portato all’attenzione, nel 1787, del pubblico te-
desco e quello di tutta Europa.
Un’ulteriore rielaborazione, sulla base delle osservazioni raccolte, ebbe luogo fra
il 1787 e il 1790, finché dopo varie vicissitudini e rinvii, l’ALR fu pubblicato nel
1794 sotto l’Imperatore Federico Guglielmo II.
Il codice prussiano si articola in una introduzione contenente norme generali di
più evidente matrice giusnaturalista (in particolare, si segnalano, norme che
sanciscono la prevalenza del bene comune sugli interessi individuali; che i diritti
degli uomini sono fondati sulla libertà naturale che ciascuno ha di
perseguire il proprio bene senza ledere il diritto altrui; che i diritti del singolo
traggono la loro origine dalla nascita, dal ceto (stand) e dagli atti a cui la legge
attribuisce efficacia costitutiva).
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Allgemeines Landrecht Prussiano: diritti reali e Associazioni
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Per quanto riguarda lo Stand, il castello giusnaturalistico non si è ancora libera-
to dalle incrostazioni feudali.
Alla luce della massa disomogenea di materie disciplinate nell’ALR, la tentazio-
ne è di collocarlo tra le raccolte di leggi del ‘700 più che fra le codificazioni mo-
derne, contrassegnate dall’omogeneità delle materie.
Invece, considerando lo stile dell’ALR, la concisione che caratterizza i suoi pre-
cetti, la buona formulazione, il buon collegamento, lo avvicinano assai alle codi-
ficazioni moderne.
I suoi limiti, però, sono: acritica fede nella ragione; sfiducia nei confronti del-
l’autoresponsabilità dei cittadini; visione ormai superata della società; fede nella
possibilità di un diritto assolutamente giusto e, di conseguenza, presunzione di
poter regolare, una volta per sempre, tutti i possibili rapporti intersoggettivi.
L’influenza dell’ALR fu probabilmente inferiore ai suoi meriti e al suo valore
intrinseco.
Nelle antiche terre prussiane e in Westfalia, resto in vigore fino all’introduzione
del BGB: ma non andò oltre questi confini spaziali e temporali.
Ben presto la sua fama decadde: il Code Civil e il codice civile austriaco lo so-
pravanzarono in chiarezza concettuale.
Inoltre, tramonta ben presto l’antica struttura sociale e politica propria dell’as-
solutismo illuminato che l’ALR aveva presente, e che fu sopraffatta dalla vitto-
ria della società borghese.
Dato infine che l’ALR aveva voluto consapevolmente ridurre la dottrina e la
giurisprudenza a semplici guardiani della legge, la scienza giuridica lo ricambiò
con disprezzo arrogante e più ancora con totale trascuratezza.
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Il codice civile austriaco del 1811: Allgemeines Brgerliches
!
Gesetsbuch Fr Die Deutschen Erblande (ABGB)
Come si è anticipato trattando del codice prussiano, anche in Austria la codifica-
zione ha alle spalle il giusnaturalismo razionalista di sovrani illuminati.
L’iniziativa di codificare il diritto civile venne infatti da Maria Teresa: si tratta
di un codice longevo, ancora oggi in vigore in Austria, sia pure in forma parziale.
L’opera di codificazione iniziò nel 1753, con la nomina di una Commissione in-
caricata di redigere un codice del solo diritto privato che tenesse conto del diritto
romano e del diritto della ragione, e che unificasse il soggetto di diritto (diver-
samente da quanto accadeva in Prussia).
Il risultato dei lavori della Commissione fu un primo progetto presentato nel
1766.
Maria Teresa respinse questo primo progetto e, nel 1772, nominò una seconda
Commissione: nel 1786, sotto l’Imperatore Giuseppe II, venne pubblicata la
prima parte di un codice.
Con Leopoldo II l’opera di codificazione proseguì sotto la guida di Carl Anton
Von Martini, il cui progetto, presentato nel 1796, fu promulgato in via sperimen-
tale nella Galizia Occidentale e successivamente anche
nella Galizia Orientale.
Della sperimentazione dei pareri, tenne conto l’ultima Commissione, nominata
nel 1801 e presieduta dal Conte Rottenhann, ma fortemente influenzata dalla
presenza di Franz Von Zeiller, allievo di Von Martini.
Respinto e riesaminato per ben tre volte, il codice fu finalmente promulgato nel
1811.
Benché diverso (diverse tradizioni e cultura giuridica, diverse vicende da cui
emergono, diversa disciplina degli istituti), l’ABGB ha tuttavia molti punti di
contatto con il Code Napoléon.
La matrice kantiana dell’ABGB è chiaramente visibile nella preferenza verso
forme di governo che assicurano una legislazione comune sancendo l’uguagl-
ianza dei cittadini fra di loro e nei confronti dello Stato, e nella peculiare conce-
zione dell’individuo e dell’autonomia che irrinunciabilmente gli compete.
Forte è il risalto esplicito che ancora conserva il richiamo al giusnaturalismo:
così il § 7 dell’ABGB, per colmare le lacune legislative, dopo l’analogia consente,
se necessario, il ricorso ai “principi del diritto naturale, avuto riguardo alle cir-
costanze raccolte con diligenza e maturamente ponderate”; il § 10 esclude
dal sistema delle fonti le norme consuetudinarie “se non nei casi nei quali la leg-
ge si riporta alle medesime” e dichiara che all’individuo competono “diritti in-
nati che si conoscono con la sola ragione”, indipendenti cioè da contingenze sto-
rico-politiche, diritti che l’ordinamento non può vanificare.
Grande è anche in questo codice il rilievo attribuito alla proprietà: “la proprietà
considerata come diritto è la facoltà di disporre a piacimento ed a esclusione di
ogni altro della sostanza e degli utili di una cosa”.
!
La composizione dell'Allgemeines Brgerliches Gesetsbuch Fr
Die Deutschen Erblande
!
L’ABGB si compone di 1502 articoli, ed è quindi un codice breve, più breve del
Code Civil, oltre che chiaro e intelleggibile.
La brevità è causa di lacune, che verranno colmate negli anni 1914-1916 da tre
Novelle, influenzate del diritto tedesco, e specialmente concernenti il diritto dei
contratti.
Il codice si articola in 3 Parti, precedute da una Introduzione: I – Diritto delle
persone. II – Diritti sulle cose.
III – Disposizioni comuni.
Si è detto sopra che l’ABGB è un codice illuminista.
E’ tuttavia un codice in stridente contrasto con la realtà sociale dell’Austria del
1811.
Infatti c’è un § 16 in cui si dice che “ogni uomo, in virtù dei suoi diritti innati,
che vengono resi manifesti dalla ragione, ha diritto di essere trattato come per-
sona”: ma la popolazione delle campagne è assoggettata a
servitù della gleba fino al 1848!
Inoltre c’è un § 1146 che afferma che “i diritti e i rapporti fra proprietari terrie-
ri e i loro lavoratori sono regolati dalle costituzioni delle province e dalle dispo-
sizioni di ordine pubblico”: ma le disposizioni di ordine pubblico contengono
molti privilegi di tipo feudale!
I cambiamenti cominciano e intravedersi con l’ondata rivoluzionaria del 1848
che provoca l’abolizione della servitù della gleba e la diffusione delle idee di li-
bertà e di partecipazione della borghesia alla vita pubblica.
Ma la restaurazione portò ad alcuni passi indietro: per esempio, riportò il ma-
trimonio dei cattolici sotto il regime del diritto canonico e le relative controversie
ai tribunali ecclesiastici.
Bisogna in sostanza aspettare gli anni ’70 e ’80 perché l’ABGB, con i suoi ideali
di libertà e di individualismo, si mettesse in sintonia con una realtà economica e
sociale della vita austriaca.
Il dopo-codice è simile a quello della Francia e della Prussia, con prevalenza di
scuole ispirate all’esegesi del testo.
I primi cambiamenti avvengono a partire dal 1848, con l’apertura alla Germa-
nia e alla ricca dottrina tedesca.
L’influenza dell’ABGB all’estero è minima.
Sostanzialmente la migrazione è verso il centro Europa e i Balcani.
!
Il codice civile tedesco del 1900: Brgerliches Gesetzbuch (BGB)
!
Si è più volte fatto riferimento alla situazione politica e giuridica della Germania
medievale, caratterizzata dalla debolezza del potere imperiale e dal corrispon-
dente aumento del potere dei Principi elettori e delle città
Stato, dalla mancanza di una giustizia regia forte, e di un ceto di giuristi impe-
riali influente.
Tutti fattori, questi, che ostacolarono la rielaborazione delle consuetudini e la
graduale costruzione di un diritto privato comune tedesco, e favorirono invece la
recezione del diritto romano.
!
La scienza giuridica: la Scuola storica
!
Quali sono i presupposti, i motivi ispiratori, della scienza giuridica tedesca?
La crisi dell’illuminismo e del razionalismo porta all’affermazione di nuove idee,
nuove correnti di pensiero, che vedono nel popolo e nel suo incessante evolversi
le radici di ogni manifestazione culturale, dalla poesia alla lingua al diritto.
Il vero diritto, nella nuova idea romantica, non è il prodotto di un legislatore ra-
zionale, è il diritto consuetudinario, i cui portatori sono il popolo e, come suoi
rappresentanti, i giuristi.
E’ questa la radice della Scuola storica e del suo fondatore, Friedrich von Savi-
gny.
In polemica con A. Thibaut, sostenitore della necessità di una codificazione uni-
taria per tutta la Germania, Savigny insegnò che il diritto, prodotto incessante-
mente mutevole della vita sociale, prodotto del “Volksgeist” (dello spirito del po-
polo) come la lingua, non può e non deve essere cristallizzato nelle formule di un
codice.
Meglio è lasciare operare il “Volksrecht” (il diritto consuetudinario prodotto dal
popolo) quale si esprime nel “Juristenrecht” (nel diritto dotto, elaborato dai giu-
risti).
La Scuola storica attribuisce alla consuetudine il ruolo di fonte primaria.
Dell’oggetto di studio della Scuola storica fanno sì parte le consuetudini germa-
niche, ma soprattutto il diritto romano e in special modo il diritto romano delle
fonti giustinianee, cui si rivolge l’esclusiva e aristocratica attenzione di Savigny.
Il diritto romano antico è visto come espressione di un mondo spirituale e con-
cettualmente superiore e più puro, di valore eterno, suscettibile di essere adotta-
to come diritto vigente, una volta riordinato in maniera sistematica e dogmatica.
!
La scienza giuridica: la Scuola Pandettistica
!
Lo sforzo di elaborare un ordine, un sistema e un apparato concettuale fu com-
piuto soprattutto dai successori di Savigny, ossia dalla Scuola Pandettistica.
Il contenuto della scienza giuridica pandettistica si esprime nell’attribuzione di
un compito al giurista e nella costruzione di un metodo:Compito del giurista non
è di creare regole giuridiche al fine di colmare le lacune del diritto tedesco, quan-
to di predisporre gli strumenti di conoscenza del diritto, ristrutturando il diritto
civile tedesco.
Il concettualismo è il carattere distintivo della scienza tedesca.
Il metodo seguito dal giurista tedesco si ispira a quello della matematica e delle
altre scienze esatte.
E’ un metodo:
a. concettuale: identificazione dell’elemento concettuale costitutivo in presenza
del quale le ipotesi da considerarsi rientrano nella categoria oggetto di definizio-
ne, e in assenza del quale le ipotesi non rientrano nella categoria;
b. dogmatico: i concetti così definiti non ammettono eccezioni, sono dogmi;
c. sistematico: in presenza di più definizioni, proposte da più giuristi, la defini-
zione corretta è quella che si armonizza bene con le altre del sistema.
!
La struttura del Brgerliches Gesetzbuch (BGB)
!
Se già intorno alla metà del XIX secolo si manifestano le prime tendenze volte
all’unificazione del diritto tedesco attraverso la codificazione di settori marginali
del diritto, è l’unificazione politica della Germania nel 1870, seguita da un
emendamento costituzionale che assegna all’Imperatore la competenza a legife-
rare, che costituisce il presupposto politico che conduce finalmente la Germania
alla codificazione.
Dopo un lungo lavoro progettuale di due successive Commissioni (ma è la prima,
nominata nel 1874, di cui fa parte soprattutto Bernhard Windscheid, uno tra i
massimi esponenti della Scuola Pandettistica, a fornire quell’impronta dottrinale
che caratterizzerà il BGB), il codice civile tedesco fu promulgato nel 1896, ma
entrò in vigore il 1° Gennaio 1900.
Esso è il frutto maturo della Pandettistica tedesca, che trova la sua consacrazio-
ne del Libro I – Parte Generale.
Pochissime concessioni furono fatte a chi chiedeva (in particolare Otto von
Gierke) maggiore attenzione per il diritto germanico, e alle istanze socialiste.
A queste ultime si ritenne di dare risposta il alcune clausole generali che rinvia-
no ai buoni costumi, alla buona fede, ecc…
Il BGB si suddivide in 5 libri, per complessivi 2385 articoli:
Primo libro: Parte generale
Contiene i caratteri concettuali comuni dei rapporti giuridici.
Qui si trovano le norme generali sulle persone fisiche e sulle persone giuridiche,
alcune definizioni riguardanti i beni, e, soprattutto, il concetto di negozio giuri-
dico.
I libri da due a cinque del BGB contengono un numero considerevole di eccezio-
ni alle regole generali determinate dalla natura dell’istituto: ad esempio, la nulli-
tà del contratto non riguarda i contratti matrimoniali.
Secondo libro: Obbligazioni
Concerne i rapporti obbligatori, e pertanto la disciplina dei contratti e quella
delle obbligazioni nascenti da atto illecito.
Terzo libro: Diritti sui beni Contiene la disciplina della proprietà, ancora anco-
rata alla concezione individualistica, e dei diritti reali, ma anche del pegno e del-
l’ipoteca.
Quarto libro: Diritto di famiglia
Ispirato ad una concezione conservatrice e patriarcale analoga a quella del Code
Civil.
Quinto libro: Successioni
!
La filosofia alla base del Brgerliches Gesetzbuch (BGB)
!
Il BGB chiude l’epoca delle vittorie del liberalismo.
In un certo senso il BGB è rappresentativo di un mondo in via di dissoluzione, di
una storia già consumata.
E’ un codice conservatore che non attribuisce alcun compito sociale al diritto
privato.
Questo atteggiamento si riflette sulla struttura patriarcale del diritto di famiglia,
insensibile ai primi fermenti di emancipazione della donna; sul rapporto di lavo-
ro ancora ignaro della nuova industria e del nuovo sindacalismo; ecc…
Il BGB aspira a prospettare un sistema chiuso caratterizzato da:
a. definitività, in quanto la costruzione dogmatica si avvale di concetti immuta-
bili e conclusivi;
b. completezza, in quanto si nega che possano esistere lacune;
c. esclusività, in quanto l’interprete può riferirsi a precetti diversi dalla legge
solo in casi tassativi.
Ciò comporta l’esclusione della consuetudine e il primato assoluto della legge nel
sistema delle fonti, la drastica identificazione tra diritto e legge, non più intesa in
senso illuministico ma come manifestazione della ragione dello Stato da osserva-
re più per la forma, per la sorgente da cui trae validità, che per il suo contenuto.
La valvola di sfogo di questo sistema è costituita dalle clausole generali.
Naturalmente, le clausole generali un pericolo lo nascondono.
Se la disciplina dogmatica del giudice si allenta, c’è il rischio che si affermi la
tentazione di “fuga nelle clausole generali” e che si favorisca la nascita di una
giurisprudenza equitativa priva di principi guida, soprattutto facile in periodi di
dittatura, quando i giudici e la giurisprudenza sotto esposti a pressioni
politiche e ideologiche.
!
Il diritto tedesco fino al 1918
!
Pure essendo “l’ultimo frutto del XIX secolo, più che il preludio del XX secolo”,
il BGB è tuttavia sopravvissuto fino a noi attraversando l’Impero, Weimar, il
Nazismo, due guerre mondiali, la Costituzione del 1949, la DDR, la riunificazio-
ne tedesca, senza grandi modifiche.
Il diritto tedesco è relativamente stabile fino al 1918, fino cioè alla caduta del-
l’Impero e alla proclamazione della Repubblica.
!
Il diritto tedesco durante Weimar
!
Il periodo della Repubblica di Weimar, dal 1918-1920 fino alla nomina di Hitler
a Cancelliere nel 1933, è invece un periodo caratterizzato da interventi profondi
sia del legislatore che della giurisprudenza.
La giurisprudenza, la c.d. Scuola del diritto libero, fa uso delle clausole generali
per adeguare il diritto alle mutate condizioni sociali ed economiche.
La legislazione segna di una nuova impronta sociale e liberale alcuni settori del
diritto.
Per esempio, nel diritto del lavoro si hanno profonde riforme a tutela del lavora-
tore.
!
Il diritto tedesco nel Nazismo
!
Il 30 Gennaio 1933 Hitler viene nominato Cancelliere, e ha inizio il periodo più
buio della storia tedesca.
Il nazionalsocialismo è un movimento totalitario in quanto pretende di realizzare
uno Stato autoritario, razzista, in quanto fondato sulla glorificazione del popolo
tedesco, e rivoluzionario, in quanto si propone come lotta, come ricerca perma-
nente di soluzioni nuove.
!
Ripercussioni nella sfera giuridica del nazionalismo tedesco
!
Quali le ripercussioni nella sfera giuridica di un movimento con queste caratte-
ristiche?
I 12 anni di questo potere autoritario e sanguinario fortunatamente non sono
stati sufficienti per distruggere definitivamente l’ordine giuridico precedente.
Quando, nel 1937, il Ministro della Giustizia annunciò la morte del BGB e la sua
sostituzione con un “codice popolare”, che tenesse conto delle idee del regime,
era troppo tardi.
Quali queste idee?
Innanzi tutto l’idea fondamentale che il diritto non può che essere sempre un
mezzo di garanzia.
In secondo luogo una nuova teoria delle fonti del diritto che porta al rifiuto del
principio tradizionale della preminenza della legge.
La legge è strumento di organizzazione sociale e deriva essa stessa da una “fonte
primaria”, costituita dalla razza.
La persona che come oracolo dichiara e proclama il diritto sorto da questa fonte
è il Fhrer.
Il manifesto normativo del nazismo furono le leggi razziali, le leggi di Norimber-
ga del 1935.
Per quanto riguarda la giurisprudenza occorre naturalmente distinguere fra
tribunali speciali, proni al regime, e giurisdizioni ordinarie, la cui posizione nei
confronti del nazismo è più ambigua.
In generale, può dirsi che le giurisdizioni superiori sono rimaste più rispettose
dell’antico diritto, scartato solo dopo molte esitazioni quando appariva del tutto
incompatibile con la nuova ideologia, mentre le giurisdizioni inferiori, i giudici
più giovani, sono state più sensibili alla dottrina nazionalsocialista.
In ogni caso, non può non segnalarsi che i giudici interpretino le clausole genera-
li in senso più fedele della nuova dottrina.
In sostanza non può negarsi un atteggiamento di compromesso di giudici con il
regime.
D’altro canto, questo aveva abolito le garanzie di indipendenza della magistra-
tura e in particolare la fondamentale garanzia dell’inamovibilità.
!
Il diritto tedesco nel secondo dopoguerra
!
La Costituzione del 1949 non è naturalmente estranea all’evoluzione e alla ri-
forma del diritto tedesco, anzi ne costituisce il fondamentale motivo ispiratore.
Gli interventi del legislatore si caratterizzano per la loro apertura sociale (nuovo
diritto del lavoro, nuovo diritto delle locazioni abitative, ecc…); per il loro spiri-
to egualitario (si realizza soprattutto nel diritto di famiglia, la parità); per il loro
spirito liberale e umanitario (specialmente nel settore del diritto penale, con una
modernizzazione della teoria delle pene e l’umanizzazione della loro esecuzione).
Da segnalare, sul piano giurisdizionale, il ruolo determinante assunto dalla Cor-
te Costituzionale Federale, il cui compito è di vegliare sul rispetto dei principi
costituzionali e dei diritti fondamentali dell’individuo.
!
La diffusione del modello del Brgerliches Gesetzbuch (BGB)
!
Se grande è stato il prestigio e l’influenza che la Pandettistica ha avuto in tutta
Europa, compresa l’Inghilterra, modesta e limitata nel tempo è stata invece la
circolazione del modello BGB, ritenuto “prodotto tipico della dottrina tedesca,
che, nonostante le sue qualità tecniche, si sarebbe difficilmente adattato ad una
realtà diversa”.
Le zone verso le quali si estese l’influenza del BGB e in particolare della sua par-
te generale, vanno dal Brasile al Portogallo, all’Europa centrale e meridionale,
al Estremo Oriente.
Ma l’influenza più profonda e duratura si è avuta in Grecia.
!
Il codice civile svizzero del 1912 (Zivilgesetzbuch, ZGB)
!
Già nel secolo XIV, il territorio della odierna confederazione elvetica era auto-
nomo dal Sacro Romano Impero.
E mentre in quest’ultimo vi fu un’ampia ricezione del diritto romano, il Svizze-
ra, invece, non venne meno la centralità delle consuetudini germaniche.
Il risultato è che, nel corso del XVIII secolo, mentre sul resto del continente eu-
ropeo cominciavano a diffondersi le idee favorevoli alla codificazione, il diritto
del territorio elvetico consisteva essenzialmente nelle consuetudini di origine
germanica, applicate da giudici laici elettivi.
La conquista napoleonica (1798) portò alla creazione dello Stato unitario svizze-
ro e all’idea di un diritto privato unitario.
Tuttavia, all’indomani del Congresso di Vienna, si dette vita ad un sistema fede-
rale in cui ciascun cantone manteneva la propria indipendenza.
Ma l’ideale illuministico della codificazione aveva ormai preso piede.
Uno dopo l’altro, i cantoni decisero di introdurre un proprio codice civile.
Si divisero però circa il modello da seguire: nella zona meridionale e nella parte
occidentale della Svizzera, fu seguito il Code Civil; nella zona centrale, fu seguito
il modello austriaco; negli anni tra il 1853 e il 1855 il cantone di Zurigo si dotò di
un codice che influenzerà molto il futuro codice svizzero del 1912 e che fu redat-
to da giuristi locali formati alla scuola di Savigny.
Il cantone di Zurigo adottò dunque una visione sistematica del diritto privato,
pur mantenendosi anche molto attento alle tradizioni e alle consuetudini locali.
!
Storia della codificazione svizzera del sistema giuridico
!
Per quanto la Svizzera tenesse molto al suo isolamento rispetto alla realtà politi-
ca del resto d’Europa, inevitabilmente, intorno alla metà del XIX secolo, si co-
minciò ad avvertire l’esigenza di rendere unitario il sistema giuridico.
Il cammino verso un codice unitario del diritto privato svizzero si svolse attra-
verso alcune tappe importanti:
a. nel 1848 la confederazione raggiunse l’integrazione nazionale;
b. nel 1874 entrò in vigore la Costituzione federale con la quale si ampliavano i
poteri centrali e si conferiva alla federazione la competenza in materia di rego-
lamentazione dei rapporti obbligatori e del diritto commerciale;
c. nel 1881 entrava in vigore una codificazione unitaria del diritto delle obbliga-
zioni (OR);
d. nel 1898 una modifica costituzionale estendeva la potestà legislativa della fe-
derazione a tutto il diritto civile.
Solo la procedura civile rimaneva di competenza cantonale, e tale continua ad
essere anche oggi.
Il protagonista assoluto della codificazione svizzera fu Eugen Huber.
Nel 1884, Huber fu infatti incaricato dall’Associazione dei giuristi svizzeri di ef-
fettuare una ricognizione del diritto civile dei vari cantoni al fine di preparare la
sua unificazione.
Nel 1894, ebbe l’incarico dal Ministro della Giustizia di preparare un progetto
che nel 1900 era già pronto per essere sottoposto alla valutazione degli esperti.
Approvato dal Parlamento nel 1907, il codice (ZGB) entrò in vigore il 1° Genna-
io 1912.
!
Struttura e caratteristiche dello Zivilgesetzbuch (ZGB)
!
Huber, pur conoscendo i modello pandettistici, era spinto verso il ramo germani-
stico della Scuola storica.
Ne è scaturito un codice che rifiuta il modello del BGB nei suoi aspetti romani-
stica ed eccessivamente dotti.
Nello ZGB non è presente una parte generale, ma una breve introduzione di 10
paragrafi.
Lo ZGB risulta composto, oltre cha dell’introduzione da 4 libri: Diritto delle
Persone; Diritto di Famiglia; Diritto delle Successioni; Diritti Reali.
Ad essi si aggiunge, come quinto libro, ma formalmente separato, l’OR.
Tra le caratteristiche peculiari dello ZGB vi è la “deliberata incompletezza”.
Il codice svizzero infatti, diversamente dal BGB, non va oltre la delineazione di
tratti salienti di ciascun istituto giuridico.
Sta al giudice, sulla base di un’attenta valutazione del caso concreto, elaborare
la regola da applicare seguendo le linee tracciate dal codice (1600 paragrafi lo
ZGB, a fronte dei 2385 piuttosto estesi del BGB).
Come e più della codificazione tedesca, lo ZGB fa leva su clausole generali, ma,
diversamente dall’impostazione tedesca, il legislatore svizzero attribuisce espres-
samente un ruolo centrale alla giurisprudenza che è chiamata a svolgere una de-
cisiva funzione di integrazione del diritto codicistico.
Lo ZGB inaugura una nuova impostazione antidogmatica e antipositivistica del
rapporto fra giudice e legislatore.
!
Successo e diffusione dello Zivilgesetzbuch (ZGB)
!
La modernità delle soluzioni adottate nel codice svizzero e l’equilibrio con cui
Huber seppe seguire una via intermedia tra il difficile concettualismo del BGB e
l’apparente chiarezza del Code Civil, insieme all’espresso riconoscimento del po-
tere creativo della giurisprudenza, rientrano senz’altro tra i “meriti
intriseci” che contribuiscono a spiegare il successo dello ZGB e la sua diffusione.
Il successo dello ZGB è misurabile nella circostanza che tutti gli ordinamenti nei
quali si è proceduto a codificare il diritto privato, nel periodo successivo alla sua
entrata in vigore, ne hanno tenuto conto.
Il noto caso della Turchia, la quale si è rivolta al modello svizzero quando ha vo-
luto adottare un codice per modernizzare il proprio diritto durante la rivoluzio-
ne culturale, guidata da Kemal Atatrk.
Il codice civile turco del 1926 è infatti programmaticamente ricalcato sullo ZGB
e ciò ha portato, non senza difficoltà, alla laicizzazione del diritto turco.
!
I codici giuridici di alcuni Stati pre-unitari in Italia
!
Anche dopo la restaurazione del Congresso di Vienna, il Code Napoléon indica il
modello cui tendono a ispirarsi molti codici degli stati pre-unitari della penisola.
Eccezioni sono il Lombardo-Veneto, cui nel 1815 viene esteso l’ABGB austriaco;
e la Toscana e gli Stati Pontifici, in cui in sostanza continua ad avere vigenza il
diritto comune.
La diffusione del modello francese in Italia prepara il terreno alla rapida codifi-
cazione del 1865.
!
Il codice civile italiano del 1865
!
Come i codici pre-unitari, il codice civile del 1865 è filiazione diretta del codice
napoleonico.
Era opportuno, anzi necessario, che all’unificazione politica si accompagnasse
rapidamente l’unificazione legislativa; esisteva in Italia una disciplina ormai
pressoché omogenea del diritto civile, mentre mancava una dottrina di prestigio
e di largo respiro; il Code manifestava una permanente intensa vitalità per le
idee che aveva alla sua base e per la sua corrispondenza alla società italiana del
momento.
Inoltre, l’unità d’Italia si era fatta con i francesi, il cui codice sembrava più libe-
rale dell’ABGB, e contro gli austriaci, il che comunque rendeva poco popolari i
modelli austriaci.
Alcune differenze rispetto al codice francese esistono.
L’art. 32 prel. c.c. si riferisce espressamente ai mezzi tecnici, cioè l’analogia e il
ricorso ai principi generali dell’ordinamento giuridico per colmare le eventuali
lacune, laddove, come ben si ricorda, il codice francese tace su questo punto;
l’art. 2 c.c. apre ai gruppi intermedi ammettendo la possibilità di attribuire per-
sonalità giuridica agli enti morali; l’art. 3 c.c. afferma il principio secondo il
quale l’esercizio dei diritti civili è concesso anche allo straniero senza condizioni
di reciprocità; l’art. 148 c.c. sancisce l’indissolubilità del matrimonio.
Tuttavia il principio cardine del codice resta l’individualismo.
La partizione in 3 libri, identica a quella francese, risponde alla scelta per l’indi-
vidualismo proprietario:
a. I libro: Delle Persone
Parla dei diritti del singolo in quanto tale.
b. II libro: Dei beni, della proprietà e delle sue modificazioni
Discorre della massima estrinsecazione pratica dei diritti della persona e defini-
sce il diritto di proprietà all’art. 436 in maniera identica all’art. 544 del Code
Civil.
c. III libro: Dei modi di acquistare e di trasmettere la proprietà e gli altri diritti
sulle cose Raggruppa una serie disparata e disomogenea di materie, come il libro
terzo del Code Civil (Successioni, donazioni, obbligazioni, contratti, ecc…) che
hanno una logica solo, appunto, se visti come funzionali alla proprietà, come
strumenti per acquistarla e trasferirla.
Quando la rivoluzione industriale si manifesta anche da noi, il codice, figlio del
codice Napoleone, mostra tutti i suoi limiti.
Alcune esigenze dello sviluppo economico vennero soddisfatte con la promulga-
zione del codice di commercio del 1882.
La crisi esplode tuttavia dopo la fine della prima guerra mondiale, è una crisi
fatta di contrasti sociali acutissimi, è una crisi che porta con sé la coscienza delle
aspirazioni popolari, e dell’esigenza di una più equa sistemazione dei rapporti
fra le classi sociali.
In sostanza, la riforma nasce come risposta a profonde trasformazioni economi-
co-sociali, nel momento in cui queste raggiungono un livello di chiarezza e di
stabilità.
Fu in questo momento che si cominciò a pensare seriamente ad una riforma del
codice del 1865.
Un primo passo fu l’emanazione di una legge nel 1923 che delegava al Governo
la riforma, in esecuzione della quale fu nominata una Commissione reale che
predispose, fra il 1924 e il 1937, i progetti preliminari dei primi tre libri del codi-
ce.
I primi due libri del codice civile Persone e Famiglia, e Successioni, entrarono in
vigore rispettivamente nel 1939 e 1940.
Su di essi possono farsi le seguenti affermazioni:
- impostazione tradizionale dell’istituto familiare, sia sotto il profilo dei rapporti
personali (non si tenne in alcun conto l’esigenza di valorizzare il ruolo della
donna); sia sotto il profilo dei rapporti patrimoniali;
- impostazione altrettanto tradizionale delle successioni, d’altro canto, occorre
riconoscere che in questa materia è difficile innovare, se ci si tiene agganciati al
principio della trasmissione dei beni mortis causa e della efficacia della volontà
privata del testatore.
Gli altri libri del codice sono dedicati rispettivamente alla Proprietà, alle Obbli-
gazioni, al Lavoro, e alla Tutela dei diritti, per un totale di 2969 articoli.
Nel suo complesso, il codice entrò in vigore nel 1942.
L’elaborazione degli ultimi 4 libri del codice fu molto affrettata e si spiega con
l’ansia del fascismo di fare del codice l’espressione della propria ideologia.
In realtà i giuristi italiani riuscirono a resistere a questa pretesa, valendosi di
quella “neutralità del giurista”, che in epoca di dittatura diventa un valore pre-
zioso.
Concessioni vennero sì fatte, ma spesso sostanzialmente verbali, sicché non fu
troppo difficile, alla caduta del regime, ripulire il codice di molte delle sue incro-
stazioni fasciste.
Anche il riconoscimento di valore giuridico alla Carta del Lavoro (l. 14/41), che
dal 1927 aveva costituito il vero testo costituzionale del fascismo, venne imposto
dai giuristi contro la pretesa di codificare i principi generali dell’ordinamento
giuridico fascista e si risolse in una enfatica, ma vuota, petizione di principio.
!
Innovazione del codice italiano del 1942: l'unificazione del
diritto privato
!
L’innovazione più importante del codice del 1942 è costituita dall’unificazione
del diritto privato.
L’obiettivo viene raggiunto estendendo in maniera soddisfacente a tutti i rappor-
ti, regole fino a quel momento esclusive del commercio.
Tutta l’attività economica produttiva viene così disciplinata in un unico testo
normativo, e anzi ne diviene il centro, facendo leva dal punto di vista soggettivo
sull’imprenditore, dal punto di vista oggettivo sui concetti di impresa e azienda.
Viene infine dato risalto al lavoro subordinato.
Ecco quindi i libri:
Libro IV: “Delle Obbligazioni”
Dedicato al rapporto obbligatorio in generale e alle fonti delle obbligazioni.
In proposito spicca il nuovo ruolo del contratto, che non è più solo un modo di
acquisto della proprietà, ma è fonte di obbligazioni.
Libro V: “Del Lavoro”
E’ il libro più innovativo, ma anche quello in cui più si avverte l’impronta del
regime.
Libro III: “La Proprietà”
Costituisce pur sempre, insieme all’impresa e al lavoro, uno dei tre filoni fonda-
mentali del nostro codice, ma la sua sistemazione è sostanzialmente assai lontana
dal mito intangibile del Code Civil.
Libro VI: “Della Tutela dei Diritti”
Disciplina una congerie disparata di materie e istituti, che secondo alcuni trove-
rebbero un collegamento teleologico, avendo tutti una funzione strumentale per
assicurare, in via preventiva o in via successiva, l’attuazione del diritto soggetti-
vo, ma che, più propriamente, può essere definito residuale.
Il codice del 1942 non è niente di analogo al Code Civil; certamente sarebbe sta-
to sciocco, caduto il fascismo, riportare in vigore il vecchio codice del 1865, ma il
codice del 1942 non è certo una svolta
fondamentale.
Le vecchie idee erano logore, ma non erano ancora mature le nuove, anche se del
rinnovamento, come testimonia la sistemazione della proprietà cui si è appena
accennato, si avvertono i primi sintomi.
Caduto il regime fascista, non si è messo mano seriamente a nuove codificazioni
civilistiche.
In Italia, come altrove, le trasformazioni della società sono troppe e troppo rapi-
de per consentire quella riflessione, quella sedimentazione delle idee, che sono il
presupposto fondamentale di un processo codificatore.
!
Processo di decodificazione del codice italiano del 1942 nel postfascismo
!
In luogo di un processo di codificazione, si è piuttosto e correttamente parlato di
un “processo di decodificazione”, che ha finito per travolgere il codice.
A rendersi conto di ciò, basta pensare all’impatto che sull’impianto originario
del codice hanno avuto la legislazione speciale, la giurisprudenza, la Costituzione
del 1948.
Adeguamento del codice ai valori costituzionali: legislazione speciale e giuri-
sprudenza
Assai ampio è il rilievo che lo stesso codice del 1942 attribuisce alla legislazione
speciale che non si può più considerare come meramente esplicativa del codice,
ma come “portatrice di autonomi principi regolatori”.
Assai rilevante appare fin dall’inizio la legislazione speciale nel campo delle atti-
vità economiche.
Il codice, in sostanza, continua ad essere “il regno della libertà e dell’autonomia
dei privati”, ma solo “al livello della microeconomia, dei piccoli traffici, dell’at-
tività domestica”.
!
L'entrata in vigore della Costituzione in Italia
!
La legislazione speciale trae poi nuova linfa dall’entrata in vigore della Costitu-
zione e del controllo di costituzionalità delle leggi.
La Costituzione modifica, infatti, radicalmente i principi di base del diritto pri-
vato e, ponendosi come strumento di tutela dei diritti fondamentali, inclusi la
proprietà e la libera iniziativa economica, toglie al diritto privato e al codice civi-
le quella funzione costituzionale che lo accompagnava fin dalla codificazione
napoleonica.
Notevole è stato pure il ruolo della giurisprudenza, insieme o al seguito della dot-
trina, nell’adeguamento del codice anche ai valori costituzionali.
Di grande rilievo è stato il ruolo della Corte Costituzionale.
A solo titolo di esempio, si può ricordare poi quanto hanno fatto giurisprudenza
costituzionale e giurisprudenza ordinaria per ampliare i limiti del risarcimento
dei danni alla persona.
Dapprima si è riconosciuto il c.d. danno biologico, inteso come “menomazione
dell’integrità psicofisica della persona”, che segna il “superamento di una conce-
zione essenzialmente patrimonialistica del diritto privato”.
Più di recente, “non potendosi invocare il danno biologico fuori dai casi di accer-
tamento da parte del medico legale di una patologia della vittima”, si è venuta
profilando in giurisprudenza una nuova categoria: quella del c.d. danno esisten-
ziale, come “peggioramento oggettivamente riscontrabile delle proprie condizio-
ni di esistenza”, a seguito della lesione di diritti di rilevanza costituzionale.
Pure da ricordare è la recente fondamentale pronuncia con la quale le Sezioni
Unite della Corte di Cassazione (sent. 500/99) hanno affermato il principio della
risarcibilità dei danni conseguenti a lesione di interessi legittimi di fronte al giu-
dice ordinario, sgomberando “il campo da una delle più vistose e risalenti
sacche di immunità di cui ha goduto la pubblica amministrazione”.
Fino ad ora, abbiamo visto, con riferimento ai più importanti codici che abbia-
mo esaminato, quale è stata l’opera adeguatrice delle fonti interne, del legislato-
re, della dottrina, della giurisprudenza.
Naturalmente, dobbiamo sapere che in Italia, come negli altri Paesi dell’UE, il
codice civile muta ed evolve anche sotto l’influenza del diritto comunitario.
Valga un esempio per tutti, riguardante il nostro codice: gli artt. 1469 bis-1469
sexies che regolano i c.d. contratti dei consumatori, sono stati aggiunti in attua-
zione alla direttiva 93/13/CEE.
!
Le fonti del diritto
!
Il codice rappresenta, come si è più volte orma i ricordato, una rottura con il
passato.
Con il codice si chiude una vicenda plurisecolare in cui giganteggia il dottrina-
rio.
Con il codice si afferma il monopolio del legislatore, che fra l’altro esprime, nelle
democrazie che via via si formano, la sovranità popolare.
Con il codice si consolida la distinzione fra diritto pubblico e privato, espressione
delle correnti di pensiero economico, sociale e politico dominanti nel XVII e nel
XVIII secolo.
Il codice, infine, impersona l’ideale di norma giuridica espresso dalla tradizione
di civil law, che, per effetto dello sforzo sistematico della dottrina, viene concepi-
ta come regola di condotta, dotata di quella generalità che le consente di situarsi
fra la decisione della lite, considerata come applicazione concreta della
disposizione, e i principi, dotati di maggiore latitudine, di cui essa può essere
considerata un’applicazione.
La generalità riconosciuta alla norma giuridica spiega come nei Paesi di civil law
il compito del giurista sia concepito essenzialmente come compito di interpreta-
zione delle formule legislative.
Se in tutta la tradizione giuridica occidentale, il diritto è inteso come una costan-
te ricerca di giustizia, sembrano potersi desumere due diversi modi di intra-
prendere questa ricerca: nella civil law, si cerca la soluzione di giustizia con una
tecnica che ha come punto di partenza la legge; nella common law, la si cerca
principalmente prendendo le mosse dal caso concreto e dalla decisione giuri-
sprudenziale.
I diversi approcci alla ricerca della regola conforme a giustizia conducono ad
una diversa idea della regola di diritto: nella civil law, la regola è concepita in
forma prevalentemente legale e dottrinale; nella common law, la regola è conce-
pita in forma prevalentemente giurisprudenziale.
Si comprende dunque come tra civil law e common law, il tema delle fonti del di-
ritto sia sempre posto tra quelli più studiati; è il terreno in cui le differenze sono
più marcate.
Tuttavia, si osserva ormai una certa convergenza.
Sia sufficiente anticipare, riguardo alle esperienze di civil law, che la legge non
può più considerarsi la sola fonte del diritto, essendo ormai ampiamente ricono-
sciuto che la giurisprudenza concorre, insieme alle altre
fonti, a determinare il “diritto”.
Per quanto concerne i sistemi di common law, si ha un notevolissimo aumento
della produzione legislativa e non mancano neppure esempi di codice, da inten-
dersi propriamente come corpi di norme sistematicamente
organizzate.
Anche il funzionamento pratico della regola del precedente può difficilmente es-
sere considerato come un fattore determinante per la distinzione tra le due tra-
dizioni giuridiche.
Da un lato, infatti, le corti dei Paesi di civil law sono piuttosto attente al valore
dei precedenti; dall’altro lato, nei Paesi di common law numerose tecniche pos-
sono rendere piuttosto elastico il significato della regola stare decisis.
!
La gerarchia delle fonti giuridiche
!
La gerarchia delle fonti è oggi molto più complessa di quanto non faccia inten-
dere, ad esempio, l’art. 1 delle nostre Preleggi.
Costituzioni e Trattati internazionali tendono ovunque a prevalere sulla legge;
così come, in un discorso sulle fonti, non può essere trascurato il ruolo di giuri-
sprudenza e dottrina.
I Paesi appartenenti alla tradizione di civil law presentano tutti, al vertice della
gerarchia, Costituzioni scritte, alle cui disposizioni si riconosce un prestigio par-
ticolare.
Il precetto costituzionale diventa il punto di riferimento dell’ordinamento, al
quale devono ispirarsi legislatori, giudici, amministratori e cittadini.
Il particolare prestigio, la forza della Costituzione, si riflette nella previsione di
speciali procedure di revisione e di controllo di costituzionalità delle leggi.
In ogni caso, anche Paesi di common law hanno Costituzioni (Stati Uniti) così
come alcuni Stati civil law sono sprovvisti di controllo di costituzionalità sulle
leggi (Francia).
Ciò conferma la relatività di qualunque classificazione degli ordinamenti giuri-
dici.
La presenza di un sistema di controllo di legittimità delle leggi è un elemento
pregnante e caratterizzante di un ordinamento.
Tradizionalmente si individuano due grandi modelli di controllo giudiziario di
costituzionalità delle leggi.
Nel sistema diffuso, il potere di controllo spetta a tutti gli organi giudiziari ordi-
nari, i quali lo esercitano incidentalmente, ossia in occasione della decisione di
una controversia concreta.
Nel sistema accentrato, il potere di controllo è attribuito ad un solo organo giu-
diziario appositamente istituito.
Nel primo modello, noto anche come “americano”, il giudice, nella decisione del-
la causa, disapplica le leggi che ritiene in contrasto con la Costituzione, e tale de-
cisione ha efficacia inter partes; tuttavia, se attraverso il sistema delle impugna-
zioni, la controversia giunge alla corte posta al vertice della giurisdizione, la de-
cisione di quest’ultima, in un sistema di common law, vincolerà tutti i giudici in-
feriori attraverso il principio dello stare decisis.
Il secondo modello viene talvolta definito come “austriaco”.
!
Il sistema giuridico diffuso o accentrato: le varianti nazionali
!
Nella versione classica del modello accentrato, il controllo di costituzionalità vie-
ne esercitato in via principale, sulla base della richiesta di organi politici; è
astratto, ossia non è connesso alla soluzione di una controversia concreta; e la
pronuncia del giudice ha efficacia erga omnies ed ex nunc (retroattiva).
Fu solo nel 1929 che la legittimazione ad instaurare davanti alla corte il processo
di controllo delle leggi, fu attribuita anche alla corte suprema civile e penale, e
alla corte suprema amministrativa, in occasione di un processo di fronte ad esse.
Il sistema americano si trova in molte delle ex colonie inglesi, come il Canada,
l’Australia, l’India, la Danimarca e la Svezia.
La diffusione che ha avuto il sistema accentrato, porta a vedere istituite Corti
Costituzionali in Italia, Germania, Portogallo, Spagna ed anche in diversi Paesi
dell’Europa orientale quali Russia, Polonia, Romania e Ungheria.
Tuttavia, in ciascuno dei Paesi menzionati, pur seguendo uno dei modello tradi-
zionali, la giustizia costituzionale si è adattata al sistema istituzionale in cui si è
trovata ad operare ed ormai molte sono le varianti dei sistemi “diffuso” e “ac-
centrato”.
Con riferimento all’Italia, si è parlato, per esempio, di sistema ibrido, in quanto
assomma in sé alcune delle caratteristiche di entrambi i modelli classici: il con-
trollo è svolto da una corte ad hoc cui tuttavia la questione di legittimità pervie-
ne attraverso il filtro del giudice a quo il quale deve sollevarla per decidere la
causa che pende dinnanzi a lui.
Insieme ai sistemi di controllo giurisdizionale di costituzionalità, può esistere an-
che un controllo di carattere “politico”, l’esempio è quello della Francia.
L’esclusione di un controllo propriamente giudiziario di costituzionalità delle
leggi si spiega nel persistere della diffidenza nei confronti dei giudici.
La Costituzione della V Repubblica affida dunque al Conseil Constitutionnel
soltanto un controllo di costituzionalità preventivo, prima che il procedimento di
formazione sia concluso, prima cioè della promulgazione.
Non è ammesso alcun sindacato una volta che la legge è entrata in vigore.
!
Gerarchia delle fonti giuridiche: i Trattati internazionali
!
In alcune Costituzioni continentali si riconosce espressamente ai trattati interna-
zionali valore superiore alle leggi ordinarie.
Il caso della Francia è di particolare importanza.
La Cour de Cassation ha deciso che i giudici hanno il potere di disapplicare una
legge successiva contrastante con un trattato internazionale regolarmente ratifi-
cato.
La questione della collocazione dei trattati internazionali nella gerarchia delle
fonti ha acquistato un particolare rilievo con riferimento al rapporto fra diritto
comunitario e diritto degli Stati membri dell’UE.
Come è noto, la Corte di Giustizia di Lussemburgo ha elaborato una giurispru-
denza ormai consolidata in virtù della quale le norme comunitarie direttamente
applicabili, o atte a produrre effetti diretti negli ordinamenti degli Stati membri,
prevalgono sulle leggi interne successive.
La dottrina della supremazia del diritto comunitario è quindi penetrata nei vari
ordinamenti nazionali, i cui giudici sono arrivati ad affermare il proprio potere
di disapplicare le leggi interne contrastanti con la norma comunitaria che sia di-
rettamente applicabile e produca effetti diretti.
!
Gerarchia delle fonti giuridiche: le leggi
!
La legge è, fra le fonti del diritto, quella che la tradizione legata alla rivoluzione
e alla codificazione colloca al vertice della gerarchia, dove resta fino alla stagione
delle Costituzioni.
Il codice, dal canto suo, è una legge che, nonostante la sua importanza, riveste,
sotto il profilo formale, lo stesso valore di qualunque altra legge.
Abbiamo sottolineato, a proposito dei codici, la loro longevità; ma abbiamo an-
che visto che a tutta una serie di esigenze dettate dallo sviluppo economico, so-
ciale e tecnologico, non rispondono più i codici ma una massiccia legislazione
speciale.
D’altra parte, è proprio la rapidità dei cambiamenti che sconsiglia di metter
mano a nuovi codici.
Il particolare rapporto che sussiste tra legge speciale e codice è bene illustrato da
un esempio tratto dall’ordinamento tedesco: il § 823 del BGB dice che “chi dolo-
samente o colposamente lede illecitamente la vita, il corpo, la salute, la libertà, la
proprietà o un altro diritto altrui, è obbligato verso l’altro al risarcimento del
danno da ciò derivante”.
Nel 1909, a seguito dell’aumento dei veicoli a motore, e dei relativi incidenti, vie-
ne emanata una legge in base alla quale il conducente e il proprietario sono sog-
getti a responsabilità oggettiva, salvo che non provino di non aver causato il
danno.
La legge limita la responsabilità al risarcimento del danno patrimoniale e stabi-
lisce un tetto massimo.
La vittima può tuttavia instaurare un procedimento ex § 823 per un ammontare
illimitato, e anche per danni non patrimoniali, se prova la colpa del danneggia-
tore.
Gerarchia delle fonti giuridiche: i regolamenti
!
Il regolamento, e in particolare il regolamento governativo, è la tipica fonte se-
condaria che nella gerarchia si colloca al di sotto della legge e non può ad essa
derogare.
Nella V Repubblica francese è stato previsto un potere regolamentare non su-
bordinato al potere legislativo, e dunque per sua natura autonomo.
Il potere regolamentare del Governo è sottratto al controllo del Conseil Consti-
tutionnel e sottoposto alla giurisdizione del Conseil d’Etat.
Quest’ultimo si è attribuito il potere di controllare la legittimità dei règlements
governativi con riferimento non solo al riparto delle competenza fra Parlamento
ed Esecutivo, ma anche con riferimento al “diritto superiore”, ossia ai principi
generali contenuti nella Dichiarazione dei diritti dell’uomo del 1789, ai
Preamboli delle Costituzioni del 1946 e del 1958, e alla “tradizione repubblica-
na”.
A seguito di questa decisione, l’autorità del Conseil d’Etat è stata assimilata a
quella di una corte costituzionale.
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Gerarchia delle fonti giuridiche: le consuetudini
!
Il monopolio acquisito dal legislatore sulla produzione normativa ha relegato
sullo sfondo, in una posizione marginale la consuetudine.
La marginalità del diritto consuetudinario è dimostrata dal fatto che è ovunque
esclusa validità di fonte legale alle consuetudini contra legem.
E’ ovunque invece riconosciuta la consuetudine c.d. secondum legem, la consue-
tudine cui la legge espressamente rinvia.
Discussa è infine la validità della consuetudine praeter legem, riguardante cioè
materie non regolate dalla legge: probabilmente essa è consentita dall’art. 8 del-
le nostre Preleggi.
!
Modelli di organizzazione giudiziaria
!
Il modello ispiratore della struttura e dell’organizzazione attuali delle corti e
dello status del giudice è quello che ha origine nella Francia rivoluzionaria.
Anche la giustizia era parte dell’Anciem régime; contro quella giustizia e quei
giudici la rivoluzione manifestò tutta la sua ostilità.
In particolare, tale reazione si diresse:
a. contro i Parlements e soprattutto contro la prassi degli Arrêts de règlement,
con i quali essi “enunciavano norme generali e astratte cui si sarebbero attenuti
in futuro nella decisione delle controversie concrete”;
b. contro i giudici professionisti, sostituiti nel 1791 da giudici elettivi;
c. contro l’interpretazione giurisprudenziale della legge, mediante l’istituzione di
un “Tribunal de Cassation” con la funzione di vigilare sulle corti e sul loro ri-
spetto delle leggi.
Tale assetto prevede innanzi tutto un sistema di corti di norma articolato su tre
gradi: prima istanza, appello e corte suprema.
La prima istanza si articola di norma in due livelli, uno a competenza limitata,
l’altro a competenza generale (ad esempio, giudice di Pace e Tribunale oggi in
Italia).
L’appello si configura in genere come riesame in fatto e in diritto del giudizio di
primo grado, entro i limiti dell’impugnazione.
La corte suprema si può a sua volta atteggiare come “cassazione” o come “revi-
sione”.
Il modello “cassazione” è quello francese secondo il quale la corte annulla, se del
caso, la sentenza impugnata (con rinvio a un giudice di pari grado a quello la cui
decisione è stata impugnata).
Il modello “revisione” è quello tedesco, e si presenta invece dichiaratamente
come un vero e proprio terzo grado di giudizio, in cui la corte decide il caso an-
che nel merito.
!
Caratteristiche giuridiche dei paesi di civil law
!
Sempre in ragione dell’antica diffidenza nei confronti della discrezionalità dei
giudici, le corti di ultima istanza dei Paesi di civil law difettano in generale di
strumenti efficaci di selezione dei ricorsi, caratteristici, invece, delle omologhe
corti di common law.
Esse sono invece sommerse da un numero sempre crescente di ricorsi; ciò non
consente loro di concentrarsi sulle questioni veramente importanti e svolgere la
funzione di nomofilachia che è propria di una vera corte suprema.
La seconda caratteristica dell’organizzazione giudiziaria dei Paesi di civil law è
data dalla pluralità di giurisdizioni.
A fianco, cioè, della giurisdizione ordinaria, competente a conoscere delle cause
civili e penali, figurano uno o più sistemi di giustizia “specializzata”, oltre, come
si è visto, a un sistema di giustizia costituzionale.
In Francia sussiste il divieto, per i giudici, di interferire nell’attività amministra-
tiva che ha portato all’introduzione e allo sviluppo di un importante sistema di
giustizia amministrativa, che vede al suo apice il Conseil d’Etat.
In Germania, oltre alle corti ordinarie e a quelle amministrative, troviamo anche
le corti tributarie, del lavoro, sociali.
Il modello dualista francese è quello più diffuso (ad esempio, in Italia).
Altra caratteristica comune ai Paesi di civil law è che il potere giudiziario è eser-
citato principalmente da giudici di professione.
Si tratta, in buona sostanza, di funzionari dello Stato, da cui si differenziano per
le garanzia di indipendenza che li circondano, prima fra tutte l’inamovibilità
della sede e delle funzioni.
In molti Paesi l’indipendenza del giudice è rafforzata dalla previsione di organi
di autogoverno della magistratura, quali il Consiglio Superiore della Magistra-
tura che troviamo in Italia o in Francia.
Per quanto riguarda, infine, lo stile delle sentenze, caratteristiche comuni sono
l’esistenza di una motivazione, a garanzia della trasparenza del processo deci-
sionale, ma anche la sua impersonalità: la sentenza di civil law non palesa i voti
espressi dai membri del collegio.
!
Il ruolo della giurisprudenza nel sistema delle fonti
!
Il movimento della codificazione, con tutto il corredo di idee che si porta appres-
so, segna il passaggio dal diritto alla legge, e definisce il ruolo del giudice come
quello di operatore di una macchina progettata da altri, dal legislatore.
La giurisprudenza, in questo contesto, non è formalmente fonte del diritto; le
sentenze non hanno formalmente efficacia al di là dei casi che decidono.
La realtà è diversa.
Nessuno oggi contesterebbe seriamente il ruolo del diritto giurisprudenziale, an-
che se il giudice trincera la propria attività creativa dietro lo schermo della in-
terpretazione e della concretizzazione della volontà del legislatore.
“Un codice, per quanto completo possa apparire, è a malapena entrato in vigore
che mille questioni inaspettate si presentano al giudice”, che è chiamato a riem-
pire gradualmente i vuoti che il legislatore lascia, utilizzando le tecniche erme-
neutiche che questi gli propone, e le valvole di sfogo (quali le clausole generali)
che consapevolmente gli offre.
!
Il ruolo creativo della giurisprudenza in common law e civil law
!
Semmai, si dovrebbe sottolineare che il ruolo creativo della giurisprudenza è di
grande importanza nei periodi di stabilità della società e del diritto, in cui può
essere sufficiente la gradualità e l’occasionalità degli interventi del giudice a
colmare lacune del diritto scritto, e via via adeguarlo alle nuove esigenze.
A ciò si deve aggiungere che i sistemi di civil law, non meno che quelli di com-
mon law, concordano nella diffidenza verso un’eccessiva, e troppo aperta, attivi-
tà creatrice da parte di soggetti, i giudici, privi di legittimazione democratica.
Anche la seconda affermazione, che tradizionalmente si fa, e cioè che i giudici di
civil law non sarebbero vincolati dai precedenti, deve essere precisata alla luce di
quello che effettivamente accade in tali ordinamenti, dove un diritto vivente,
come “diritto che risulta dalla consolidata interpretazione giurisprudenziale del-
le disposizioni di legge” è pacificamente ammesso.
Talvolta, anzi, vi sono addirittura situazioni in cui è forte la tentazione di parlare
di dottrina del precedente anche nella civil law.
In Spagna, la doctrina legal quale si esprime nella giurisprudenza consolidata
del Tribunal Supremo, non è fonte del diritto, ma affianca all’art. 1 del Codigo
Civil le fonti classiche del diritto, e la sua violazione può costituire oggetto di ri-
corso in Cassazione.
In Messico, cinque sentenze consecutive di una camera della Corte suprema
sono vincolanti per tutti i giudici inferiori, federali o statali.
In Francia e in Germania, la corte suprema viene convocata in una speciale
composizione quando una delle sezioni intende allontanarsi da una precedente
sentenza della corte stessa.
Per quanto infine limitatamente al singolo caso, il giudice di rinvio in Italia e in
Francia deve uniformarsi al principio di diritto enunciato dalla Corte di Cassa-
zione.
A questi esempi dobbiamo poi aggiungere che i giudici tendono a seguire i propri
predecessori, e che non amano vedere troppo spesso riformate in appello le pro-
prie sentenze (il che potrebbe avere conseguenze negative sulla progressione di
carriera); e che i valori della certezza, della prevedibilità e dell’uguaglianza
richiedono che casi simili siano decisi allo stesso modo.
Se tutto ciò è vero, si capisce come la giurisprudenza consolidata nelle corti su-
preme abbia un’autorità fortemente persuasiva nei sistemi di civil law, anche se
non può costituire l’unica base per una decisione, non poi così lontana da quella
delle corti supreme di common law.
!
Differenze basilari tra common law e civil law
!
Tuttavia, dobbiamo in realtà continuare a tener conto di alcune differenze im-
portanti.
Innanzi tutto, al metodo induttivo della common law si contrappone il metodo
deduttivo della civil law, secondo il quale il giudice non va di caso in caso, ma
applica una determinata norma ai fatti della causa in forza di un atto di sussun-
zione.
Ne deriva una sentenza in cui scarsissimo rilievo viene attribuito ai fatti e di cui
circola e si conosce talvolta la sola “massima”.
E’ evidente che in questo contesto non è possibile usare il precedente nello stesso
modo in cui ciò avviene in un ordinamento di common law, dove tutto il proce-
dimento di basa sulla distinzione dei fatti.
!
Il ruolo della dottrina in giurisprudenza
!
La dottrina e i dottori, come abbiamo ripetutamente ricordato, hanno avuto un
ruolo preponderante nella formulazione ed evoluzione della tradizione di civil
law, ed una collocazione privilegiata fra le fonti del diritto, dai giureconsulti ro-
mani, poi accolti con forza normativa nella codificazione giustinianea, agli
esponenti delle grandi scuole fiorite nelle università europee, che hanno prepara-
to gli schemi per la codificazione.
Il codice ha allontanato, almeno formalmente, la dottrina dalla produzione del
diritto, ma essa conserva a ben vedere un suo ruolo di protagonista della cultura
giuridica di civil law.
In primo luogo, laddove si codifica, la preparazione degli schemi è sicuramente
compiuto dalla dottrina; la progettazione di strumenti europei di dritto unifor-
me è nelle mani di commissioni di giuristi, così coma la redazione dei principi
internazionali del diritto dei contratti.
Anche nei Paesi che non hanno codificato, e che possono essere considerati parte
della civil law, come la Scozia o il Sud Africa, il peso della dottrina continua ad
essere assai marcato.
Inoltre, la prassi e la dottrina assumono di nuovo la veste di protagonisti nella
produzione del diritto della globalizzazione.
L’influenza della dottrina nell’evoluzione del diritto è poi visibile ovunque, e tal-
volta è riconosciuta ufficialmente dal legislatore.
Si pensi al codice civile svizzero, nel quale il giudice è invitato, se le circostanze
lo richiedono, a creare diritto facendosi però guidare dalla dottrina e dalla giuri-
sprudenza consolidate.
Ancora, e in rapporto con l’autorità delle decisioni dei giudici, le critiche diffuse
della dottrina nei confronti di una norma giudizialmente prodotta inducono
spesso le corti a riesaminarla.
E questo è vero anche se in certi Paesi le sentenze non fanno riferimento alla dot-
trina, e il altri addirittura la legge vieta di citare autori giuridici.
E’ altrettanto vero che i commenti dottrinali sembrano costituire uno strumento
di lavoro indispensabile per qualunque operatore del diritto.
!
I sistemi giuridici dell’Europa Orientale
!
I paesi dell'Europa orientale nel XX sec vivono 3 momenti di frattura importan-
ti:
-dissoluzione dei grandi imperi dopo la 1GM
-sovietizzazione dopo la 2GM
-crollo del sistema socialista alla fine degli anni '80
Tre esperienze di transizione che coinvolgono e sconvolgono sia il sistema politi-
co che quello giuridico.
!
Benché l'area sia piuttosto eterogenea sul piano culturale, linguistico ed econo-
mico, la comune esperienza socialista introduce alcuni fattori unificanti che in-
ducono i comparatisti a considerare l'Europa orientale come una famiglia giuri-
dica a sé
Durante la vigenza del regime socialista domina una tesi separazionista che ap-
plica una tripartizione della tradizione giuridica occidentale in civil law- com-
mon law- socilist law .
Dopo il crollo del regime non esiste piu' una classificazione uniforme dei paesi
''post-socialisti'', ognuno dei quali intende proseguire una strada autonoma e ri-
costruire la propria identità nazionale.
Si parla di un ritorno dei paesi ex socialisti alle loro radici di civil law.
L'esperienza socialista ha comunque lasciato le sue tracce in questi sistemi giu-
ridici, ma la diversità dei modelli recepiti e delle soluzioni elaborate non per-
mette piu' l'omogeneizzazione dell'area.
(l'europa orientale comprende attualmente 23 paesi)
!
I paesi est-europei possono essere raggruppati in diversi modi a seconda dal
punto di vista che si adotta, dunque qualsiasi classificazione non puo' che essere
arbitraria.
Es.- paesi baltici che nell'immaginario collettivo possono essere considerati come
entità omogenee ma sono 3 paesi che hanno una propria identità ben precisa.
Estonia e Lettonia sono accomunate dal punto di vista religioso (a maggioranza
protestante a differenza della Lituania che è a maggioranza cattolica) estoni e
lettoni possono comunicare solamente attraverso una terza lingua.
!
Per dare una definizione del termine Europa orientale bisogna innanzi tutto aver
presente il confine orientale dell'Europa , costituito convenzionalmente dalla ca-
tena degli Urali. Di conseguenza fanno parte dell'Europa orientale anche le 3 re-
pubbliche della Transcaucasica che infatti sono membri del Consiglio d'Europa.
!
Il significato del termine Europa dell'est dipende anche dalla scelta di adoperare
una bipartizione dl continente in Est e Ovest o Nord Sud Est Ovest. Nel primo
caso vi farà parte anche la Grecia, nel secondo caso il quadro diventa ancora
piu' complesso e una parte della penisola balcanica farà parte dell'Europa meri-
dionale mentre i paesi baltici resteranno in quella settentrionale.
!
Bisogna considerare che anche la storia e la geopolitica giocano un ruolo fonda-
mentale nelle ripartizione dell'Europa.
Basti pensare al concetto di Europa centrale. Nel XIX sec., all'epoca dei grandi
imperatori, è forte l'idea di un'Europa centrale, definita dai tedeschi Mitteleu-
ropa, che comprende l'area d'influenza della Prussia e dell'Autria-Ungheria. Il
termine Mitteleuropa rinasce poi negli anni'80 quando i riformisti polacchi, ce-
coslovacchi, ungheresi e tedeschi orientali pongono l'accento sugli storici legami
dei loro rispettivi paesi con l'Europa occidentale.
!
Il quadro è complicato dalla particolare posizione della RUSSIA che rappresenta
un mondo a sé:
-una federazione di 83 entità di diversa denominazione di cui 21 repubbliche 46
province (gli oblast) e 2 città federali (Mosca e S Pietroburgo)
-146 milioni di abitanti
-160 etnie differenti
-debolezza della cultura giuridica russa
Le definizione di Europa Orientale puo' essere intesa in 2 modi:
-in senso lato : onnicomprensiva ti tutta l'area della Mitteleuropa fino alla cate-
na degli Urali
-in senso stretto : in contrapposizione con l'Europa centro-orientale.
In questa seconda accezione comprende solamente i paesi che facevano parte
dell'Unione Sovietica al tempo della sua istituzione nel 1922 e pertanto non com-
prende i 3 paesi baltici che furono invasi dai sovietici nel corso della 2GM.
Questi fanno parte invece dell'Europa centro-orientale che nella sua accezione
piu' ampia consiste in tutti quei paesi ex socialisti che non facevano parte del-
l'Unione Sovietica
Dunque anche il termine ex-blocco sovietico è restrittivo rispetto a quello di Eu-
ropa Orientale in quanto la Jugoslavia e l'Albania non erano membri né del
Comecon né del Patto di Varsavia, ossia delle 2 organizzazioni internazionali che
legavano L'unione Sovietica ai suoi paesi satelliti.
Dunque è utile una distinzione tra Europa centro-orientale ed Europa in senso
stretto, anche alla luce del fatto che i paesi che fanno parte della prima sono or-
mai stati membri dell'Unione Europea il cui impatto su questi sistemi è senza
dubbio considerevole.
!
Le numerose soluzioni di continuità hanno creato molteplici stati nel diritto di
questi paesi. In chiave storica si parla anche di ''sustrato'' , nel senso di sustrato
culturale preesistente.
Nel caso dell'Europa orientale il sustrato è rappresentato dal sistema giuridico
precedente al periodo socialista al quale si ricollega il diritto attualmente vigen-
te. Dopo il crollo del regime socialista, si vede un generale ritorno a tale sustrato
da parte dei paesi est-europei. Caso esplicativo quello della Lettonia che ottenuta
l'indipendenza dall'Unione Sovietica nel 1991 ha ripristinato la costituzione pre-
bellica del 1922.
!
Al fine di una presentazione storica della regione i punti di vista da adottare
sono due e occorre fare due distinzioni fondamentali.
!
In primo luogo è importante avere presente i territori che erano inclusi nel Sa-
cro Romano Impero: Boemia, Moravia,Slovenia ed alcune regioni oggi polacche.
In questi territori il diritto romano penetro' attraverso 3 canali :
-le università--> prestigiosa Università di Praga,fondata nel 1348, fu la prima
università d'oltralpe a insegnare il diritto romano.
-la volontà del principe
-consuetudini (nei territori non romanisti)
!
In secondo luogo dobbiamo considerare il fattore religioso che induce a fare
un'altra distinzione:
-i paesi cristiani occidentali, cattolici o protestanti, che applicarono il diritto ca-
nonico cattolico, recepirono categorie e norme di diritto romano
-i paesi cristiani orientali, cioè ortodossi che applicarono il diritto canonico delle
varie Chiese ortodosse
Possiamo quindi parlare di territori cristiani occidentali non facenti parte del
Sacro Romano Impero (Lituania, Polonia e Ungheria) dove il diritto romano non
viene applicato.
In Ungheria dal XI sec. Esiste uno studio di giurisprudenza dove insegnano di-
ritto romano professori formatisi a Bologna o Parigi. Vita di questo studio viene
interrotta dalla dominazione ottomana del XVI-XVII sec.
Nell'Europa ortodossa (Bulgaria,Romania, Serbia e Russia) penetra il diritto bi-
zantino, portando con sé il diritto giustinianeo rielaborato in testi successivi.
L'eccezione è rappresentata dalla Russia (e dal principato di Kiev) ove si pio'
parlare di una semplice influenza del diritto bizantino. Base del diritto fu sem-
pre la consuetudine russa.
!
Le prime codificazioni
!
Come abbiamo detto nel paragrafo precedente Boemia,Moravia e Slovenia fino
agli inizi del XIX sec. Fanno parte del Sacro Romano Impero, dunque tutto cio'
che vale per il diritto dell'Impero vale anche per questi territori, in cui si applica
il codice austriaco.
Tuttavia, l'ABGB ha assolto un compito importante ma limitato, consistente nel-
l'acquisire all'area romanistica la parte meridionale della Polonia, la Serbia e
nello stendere uno strato romanistico provvisorio sull'area dell'Ungheria.
La posizione differente dell'Ungheria si spiega per il fatto che questo paese in
epoca medievale è caratterizzato da un'uniformità delle consuetudini ce acquisi-
scono uno status di fonte semi-ufficiale del diritto dopo la redazione del celebre
Tripartitum nel 1517 (una compilazione ad opera di Werboczy approvata dalla
dieta e dal re ma mai promulgata) che rimane la base del diritto ungherese fino
al 1848 (anno in cui si distrugge il regime feudale precedente e si crea un vuoto
giuridico.
In questo periodo di vuoto giuridico l'imperatore austriaco puo' estendere al-
l'Ungheria (che all'epoca comprende Transilvania e Croazia) l'ABGB e il siste-
ma di libri fondiari, la vigenza dei quali termina pero' già nel 1860 , anno in cui
il paese ottiene nuovamente l'autonomia giuridica e redige le proprie ''Regole
giuridiche provvisorie'' che rinnegano l'avvenuta estensione del codice austriaco.
!
In Europa orientale troviamo sia esempi si imposizione di modelli codicistici
( come il cod austriaco nei territori a dominio asburgico o quello francese nel
ducato di Varsavia) sia esempi di imitazione volontaria (come il Codul civil ru-
meno del 1865, su modello francese).
!
Dunque vi sono sistemi orientati verso il modello francese (Romania e Bulgaria)
sistemi orientati verso il modello germanico (Rep. Ceca, Slovacchia,
Slov, Ungh)
sistemi compositi (Russia e Polonia)
!
Quelli ad impronta germanica sono suddivisi in paragrafi, gli altri in articoli.
L'eclettismo della codificazione est-europea non si limita alla differenza tra i
paesi per quanto riguarda i modelli recepiti/imposti, ma la diversità dei modelli
si presenta anche all'interno di uno stesso ordinamento.
Cosi' ad es.la Bulgaria imita il modello francese in ambito civilistico ma nel
campo del diritto commerciale segue le leggi di tipo germanico. Inoltre sempre
in Bulgaria il codice civile si ispira al codice italiano del 1865 che è filiazione del
codice napoleonico.
!
I giuristi est-europei presentano un'attenzione particolare alla dottrina occiden-
tale, in particolare all'opera dei Pandettisti.
Pandettistica ha avuto grande influenza in tutta Europa.
Nel caso dell'Europa dell'Est sarebbe riduttivo parlare di influenza dato che i
giuristi cechi, polacchi e ungheresi hanno contribuito all'opera della Scuola
Pandettistica. Il ceco von Randa ad esempio scrisse le sue opere sulla proprietà e
sul possesso sia nella sua lingua materna che in tedesco.
!
In Ungheria il divario tra diritto studiato e diritto applicato diventa ancora piu'
ampio nel corso dell'Ottocento proprio grazie all'influenza della Pandettistica.
In Ungheria l'insegnamento del diritto rimano nel XIX sec. Fino al primo dopo-
guerra, avviene nell'ambito di due corsi universitari: -un corso dedicato alla sto-
ria e alle istituzioni di diritto romano
-un corso dedicato alla Pandettistica
!
I concetti elaborati dai Pandettisti vengono dunque recepiti in Europa orientale
e la diffusione degli schemi germanici in Russia ha una particolare rilevanza se
consideriamo che nel successivo periodo socialista i modelli russi vengono impo-
sti agli altri paesi del blocco sovietico
!
IL DIRITTO SOCIALISTA
!
Un avvenimento importante nella storia dell'Europa è la 2GM e la conseguente
spaccatura tra parte occidentale e orientale del continente.
Il secondo momento di frattura è rappresentato dalla sovietizzazione avvenuta
dopo il secondo conflitto mondiale ed è questa la frattura che allontana i sistemi
giuridici dall'area della famiglia di civil law.
Per quanto sia adesso un'esperienza conclusa, la concezione socialista del diritto
ha dominato per piu' di 4 decenni il diritto dei paesi socialisti.
Per regime socialista, o meglio per ''socialismo'' la concezione marxista-leninista
intende una fase transitoria verso la realizzazione del comunismo, cioè verso una
società senza stato e senza diritto, nella quale non esistono piu' le classi sociali, la
cui continua lotta ha caratterizzato tutta la storia dell'umanità.
Pero' finche lo stato esiste, si deve avvalere del diritto.
I teorici del socialismo hanno quindi dovuto elaborare una concezione socialista
del diritto alla cui base sta il principio di legalità socialista, in virtu' del quale i
cittadini devono obbedire alle leggi perché esse sono giuste, in quanto emanate
da uno stato socialista.
!
Uno degli elementi fondamentali dell'ideologia socialista è il principio dell'unita-
rietà del potere statale.
La dottrina marxista-leninista rifiuta il principio della separazione dei poteri
(tanto importante per Francia e Stati Uniti) e assoggetta tutti e tre i segmenti
dell'autorità statale ad un unico organo, il soviet supremo che è considerato
l'unico rappresentante del popolo sovrano.
Principio della sovranità popolare, ripreso sia dalla Francia che dalla Russia
benché tradotto in due principi diametralmente diversi:
-separazione dei poteri nella cultura giuridica francese
-unitarietà del potere statale nell'ideologia russa
!
Il diritto privato socialista
!
Parlare di diritto privato socialista potrebbe sembrare una contraddizione in
termini se consideriamo la massima di Lenin secondo cui tutto il diritto è pub-
blico. Infatti l'ideologia marxista-leninista non riconosce niente come privato ma
qualsiasi regola concernente l'economia è considerata di carattere pubblico.
I giuristi socialisti si rifiutavano di utilizzare il termine privato e preferivano
impiegare il termine ''diritto civile''. D'altro canto si rifiutavano di usare il ter-
mine ''diritto pubblico'' poiché tutto il diritto doveva essere pubblico e preferi-
vano parlare di ''diritto amministrativo'' e di ''diritto dello stato'', due rami se-
parati del diritto pubblico. Successivamente il diritto dello stato diventerà diritto
costituzionale.
La mancanza di una distinzione tra diritto privato e pubblico è stata solo appa-
rente; in realtà nel periodo socialista il diritto privato non è scomparso, ma so-
lamente stato inglobato dal diritto pubblico.
I rapporti privati erano disciplinati da un codice civile che in tutti i paesi del
blocco socialista ricalcava il modello sovietico.
!
Proprio nel campo del diritto privato che si vede in maniera piu' evidente la di-
visione tra Europa centro-orientale e Unione sovietica.
Nella Russia sovietica, in seguito alla vittoria della rivoluzione, nel novembre del
1918 viene formalmente abrogato tutto il diritto previgente. I giuristi socialisti
russi ci tengono ad esaltare l'originalità del nuovo diritto sovietico rispetto al
vecchio diritto imperiale. Abrogazione che ha comportato anche la compressione
del diritto delle successioni, l'abolizione del diritto di autore e dei brevetti e la
soppressione dell'avvocatura e del notariato. Sopravvivono cmq istituti di civil
law
Nell'Europa centro-orientale nessuno dei paesi satelliti dell'Unione Sovietica
(Polonia,Romania,Bulgaria e Cecoslovacchia) ha seguito pienamente l'esempio
sovietico di abrogazione del diritto previgente.
Questo puo' essere ricondotto a 2 motivi:
-i paesi dell'Europa centro-orientale avevano una tradizione giuridica forte , al
contrario della Russia
-nel momento in cui hanno introdotto il regime socialista, 3 decenni dopo la rivo-
luzione di Lenin, l'Unione Sovietica forniva già un modello normativo di riferi-
mento.
Esempio per illustrare questo punto puo' essere quello dell'idea di ''negozio giu-
ridico'', chiaro prodotto della Scuola Pandettistica. Il codice civile della repub-
blica russa del 1964 (modello per i codici delle altre 14 repubbliche dell'Unione
Sovietica) dedica un intero capitolo al negozio giuridico. All'art 41 i negozi sono
definiti '' atti aventi lo scopo di costituire modificare o estinguere diritti o obbli-
gazioni civili'', aggiungendo che essi possono essere unilaterali,bilaterali o multi-
laterali.
Definizione di chiara matrice pandettistica.
Anche i codici polacco e cecoslovacco contengono una norma concernente il ne-
gozio giuridico.
Negli altri paesi socialisti il concetto di negozio giuridico, anche se non espres-
samente citato, era conosciuto e utilizzato dalla dottrina e il suo studio era inse-
rito nell'insegnamento universitario.
!
L'eredità del sistema socialista
!
Ultimo momento di frattura che un'altra volta interrompe la continuità del dirit-
to è il crollo del sistema socialista alla fine degli anni 80', simbolicamente rap-
presentato dalla caduta del muro di Berlino.
Riemerge a questo punto ancora una volta la distinzione tra Europa centro-
orientale e Europa orientale in senso stretto.
!
La transizione democratica
!
La fine del regime socialista puo' essere ricondotta ad un insieme di fattori, tra
cui:
-inefficienza economica
-perdita della legittimazione ideologica
-incapacità di fronteggiare i nuovi problemi adeguatamente, dovuta alla manca-
ta flessibilità del sistema e all'ostilità nei confronti di ogni idea innovativa.
La sostanziale eterogeneità dell'europa orientale ha segnato modo e tempi delle
transizione.
Qui rileva ulteriormente la distinzione tra Europa orientale in senso stretto in
cui il socialismo è stato instaurato in via rivoluzionaria , e l'europa centro-orien-
tale dove il regime è stato imposto dall'esterno (con l'unica eccezione della Ceco-
slovacchia).
All'interno di questo gruppo di paesi alcuni avevano un migliore punto di par-
tenza rispetto ad altri:
-la Cecoslovacchia era l'unico paese del blocco ad aver conservato la memoria di
un passato di democrazia stabile e di industrializzazione
-la Polonia e l'Ungheria hanno sviluppato una base di partenza migliore nel cor-
so dei decenni precedenti al crollo del sistema e hanno attuato una transizione
graduale
-la Bulgaria invece fino alla fine del regime socialista non ha mai veramente co-
nosciuto la democrazia ed era il paese satellite piu' fidato dall'Unione sovietica,
infatti qui non si è mai verificata una rivolta contro l'Unione o il potere comuni-
sta locale.
!
Tra i motivi della graduale transizione della Polonia (paese pioniere e Ungheria
devono essere ricordati 2 eventi storici degli anni '50:
-Rivoluzione di Poznan in Polonia
-Rivoluzione del 1956 dell'Ungheria
entrambi hanno portato ad una graduale liberalizzazione dagli anni '60. Per il-
lustrare tale liberalizzazione puo' essere ricordatala riforma del codice civile un-
gherese del 1977-->opera di modernizzazione con cui vengono espansi i diritti
della personalità e la tutela dell'ambiente e si concedono poteri di autonomia alle
imprese.
In campo pubblicistico vi è l'istituzione del Tribunale costituzionale polacco con
un emendamento costituzionale del 1982.
La teoria del diritto socialista non attribuisce valore normativo alla costituzione.
I giuristi socialisti non riconoscono la superiorità della carta costituzionale ri-
spetto alla legge, privando cosi' una corte costituzionale della sua funzione piu'
fondamentale.
Il neonato Tribunale costituzionale polacco aveva invece in potere di annulla-
mento nei confronti degli atti sublegislativi (es. decreti ministeriali) ritenuti con-
trari alla costituzione polacca. Il potere di tale tribunale non si estendeva alle
leggi.
!
Diversa la soluzione della Cecoslovacchia che ha subito uno dei regimi socialisti
piu' rigidi e ortodossi del blocco sovietico. Il regime cecoslovacco si è irrigidito
dopo la Primavera di Praga del 1968.
!
L'Unione Sovietica ha cessato di esistere nel 1991 trasformandosi in una Comu-
nità degli Stati Indipendenti, che non comprendeva piu' i 3 stati baltici, divenuti
indipendenti.
Membro piu' importante della Comunità, la Russia è uno stato federale con una
forma di governo presidenziale in cui il diritto civile e penale sono di competenza
esclusiva della legislazione federale. Sono di competenza della Federazione e del-
le sue unità ad es il diritto del lavoro.
!
Nel periodo di transizione tutti i paesi ex socialisti hanno dovuto reagire a scelte
dell'epoca anteriore e affrontare problemi simili. Es- la nazionalizzazione della
proprietà privata viene smantellata tramite la privatizzazione.
Le soluzioni adottate dai singoli paesi sono diverse e seguono modelli differenti.
Il fattore unificante è il punto di partenza.
!
Tracce del periodo socialista nel diritto dei paesi est-europei
!
I tratti piu' caratteristici del sistema statale socialista (economia pianificata e la
politicizzazione della vita sociale e del diritto) sono entrambi fattori extragiuri-
dici.
Il comunismo nasce come idea economica elaborata dall'economista Karl Marx.
Di conseguenza, le riforme adottate nel periodo di transizione investono l'eco-
nomia e la politica, anche se si avvalgono del diritto che in tal modo diventa
principalmente lo strumento (e non l'oggetto) della riforma.
Alcune impostazioni di stampo socialista sopravvivono alla transizione democra-
tica. Tracce che si rivedono in 2 ambiti:
-in alcuni aspetti del diritto e dell'organizzazione dello stato
-nella mentalità giuridica dei giuristi post-europei
!
Tracce di riforma (si possono dare esempi tratti dall'ordinamento ungherese)
!
-Nella struttura della costituzione ungherese, l'unica carta fondamentale so-
pravvissuta al cambio di regime, sebbene interamente modificata, la parte sul-
l'organizzazione dello stato tutt'ora precede la parte sui diritto fondamentali, se-
guendo la logica socialista. Traccia pero' che è solo questione di forma infatti
l'unica disposizione rimasta inalterata nel testo della costituzione ungherese è
l'art 74 che dispone che ''la capitale della Repubblica Ungherese è Budapest
-nella struttura unicamerale del Parlamento
-nel campo della codificazione privatistica etc
!
!
Tracce della concezione socialista del diritto
!
Rilevante l'impronta di una concezione socialista del diritto nelle mentalità dei
giuristi est-europei. Tali retaggi si manifestano nei metodi di interpretazione ap-
plicati. L'ostilità della dottrina socialista nei confronti dell'interpretazione teleo-
logica ha lasciato il segno nella mentalità dei giuristi formatisi nel periodo socia-
lista. Ostilità riconducibile alla natura dottrinale del regine che vieta qualsiasi
forma di creatività e limita la libertà interpretativa del giudice e all'idea dell'u-
nico scopo dell'attività interpretativa è accertare l'intento originario del legisla-
tore.
In quest'ottica l'interpretazione teleologica puo' avere luogo solo nell'ambito del-
l'interpretazione storica, essa lascia troppo spazio alla discrezionalità dell'inter-
prete.
!
!
LE FONTI DEL DIRITTO
!
Con il codice si afferma il monopolio del legislatore che esprime la sovranità po-
polare, il compito del giudice consiste nell'interpretazione delle formule legisla-
tive.
L'attività creatrice del giudice si svolge in modo tendenzialmente nascosto, dato
che le norme sono formulate in maniera sufficientemente ampia da lasciare un
certo margine di libertà all'interprete.
!
Le costituzioni
!
Nella tradizione di civil law al vertice della gerarchia delle fonti troviamo la co-
stituzione, e neanche i paesi dell'Europa orientale sono un'eccezione a tale rego-
la.
Tutti i paesi ex socialisti dispongono di una carta costituzionale che gode di un
particolare prestigio. Da menzionare è sicuramente che la prima costituzione
scritta europea è stata elaborata in Polonia, nel 1791, pur avendo avuto vita bre-
ve (1anno) a causa della separazione del paese tra Austria, Prussia e Russia. La
Polonia riacquisterà la sua indipendenza solo con la prima guerra mondiale e ha
adottato una nuova costituzione nel 1921.
Romania e Bulgaria hanno scritto le loro prime costituzioni nel XIX sec in segui-
to all'indipendenza ottenuta dall'Impero ottomano.
Cecoslovacchia e i paesi baltici nel primo dopoguerra.
In Ungheria la prima costituzione scritta risale al 1949 (basata su ideologia so-
cialista e ricalcava la costituzione sovietica del 1936) che è formalmente ancora
in vigore anche se col tempo modificata.
!
In Polonia e Ungheria la gradualità di transizione da uno stato socialista a uno
stato democratico si manifesta anche nel fatto che la trasformazione dell'assetto
costituzionale inizia ancora prima delle prime elezioni parlamentari libere.
In questi 2 paesi le modifiche costituzionali vengono negoziate da tavole rotonde
tra comunisti e opposizione anche se poi adottate dal Parlamento ancora sociali-
sta. Le riforme costituzionali erano destinate a ribaltare i principi socialisti con-
tenuti nella costituzione, prima fra tutti quello dell'unitarietà del potere, e hanno
creato un assetto in cui fosse assicurata la separazione dei poteri.
Con riferimento alla costituzione rumena del 1991 e alla carta provvisoria alba-
nese del 1993, si parla di tracce residue del modello sovietico, richiamando
l'attenzione sulle disposizioni secondo cui il parlamento è l'organo supremo del
potere popolare, mentre al governo spetta il compito di assicurare la realizzazio-
ne della politica interna ed estera del paese.
Salve queste eccezioni si puo' sostenere che attualmente che tutti i paesi dell'Eu-
ropa orientale hanno una costituzione di stampo democratico-liberale.
!
La giustizia costituzionale
!
Valore superiore della costituzione rispetto alle altre fonti del diritto: uno dei
cardini degli ordinamenti est-europei-
Cosi' tutti i paesi ex socialisti hanno introdotto un sistema di controllo di costitu-
zionalità delle leggi.
Il quadro pero' è assai complesso (questi paesi hanno sempre seguito modelli di-
versi).
Quasi tutti i paesi est europei hanno istituito una Costituzionale nel periodo del-
la transizione democratica (la Polonia per prima all'inizio degli anno'80) quindi
hanno scelto il modello accentrato.
L'unica eccezione è l'Estonia che ha creato una sezione speciale all'interno della
Corte suprema ordinaria che ha il compito di decidere le questioni di costituzio-
nalità delle leggi. Tra i motivi di questa scelta possiamo considerare il legame
culturale con i paesi nordici (che hanno un sistema diffuso di giustizia costitu-
zionale) e la composizione della corte di ultima istanza estone formata da soli 9
giudici nominati dal Parlamento. La Corte suprema estone dunque puo' essere
comparata con la Corte suprema degli Stati Uniti.
I restanti paesi est-europei che hanno deciso di istituire un organo apposito per il
controllo di costituzionalità delle leggi, nell'elaborazione delle regole hanno
guardato a tutte le esperienze occidentali di giustizia costituzionale, e le compe-
tenze delle nuove corti costituzionali sono attinte da piu' sub-modelli europei
(prevalentemente da quello tedesco,spagnolo, portoghese e francese).
Notevole è stato il ruolo svolto dalle corti che possono essere considerate creatu-
re e creatori della transizione democratica allo stesso tempo. Cio' è valido sopra-
tutto per le corti dei paesi dell'Europa centro-orientale che hanno partecipato
attivamente all'elaborazione di nuove norme e hanno spesso svolto una funzione
neutralizzante, trasformando delicate questioni politiche in questioni giuridiche.
Es-caso della dichiarazione di incostituzionalità della pena di morte in Ungheria
che il Parlamento
non aveva intenzione di abolire a a causa dell'impopolarità della scelta.
!
Il diritto europeo
!
Fonti del diritto fondamentali: diritto dell'UE e Convenzione Europea dei Diritti
dell'Uomo degli ordinamenti dell'Europa orientale.
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Per quanto attiene all'Unione Europea il discorso di riduce a quei 10 stati che ne
sono parte:
-dal 2004 i paesi baltici, Polonia, Rep Ceca, Slovacchia, Ungheria e Slovenia
-dal 2007 Bulgaria e Romania
!
Sono membri del Consiglio d'Europa e conseguentemente firmatari della CEDU
tutti i paesi est-europei con l'unica eccezione della Bielorussia che tutt'ora man-
tiene la pena di morte (abolizione necessaria per accedere al consiglio).
!
Prima di aderire all'UE molti dei paesi ex socialisti hanno inserito nella loro co-
stituzione una disposizione che permette di delegare ad un organizzazione inter-
nazionale parte del potere legislativo.
Almeno per quanto riguarda l'Europa centro-orientale le corti costituzionali
hanno dato un contributo fondamentale alla definizione del rapporto tra diritto
comunitario e diritto domestico.
Un esempio viene dall'ordinamento polacco dove il Tribunale costituzionale ha
dovuto giudicare la legittimità costituzionale del Trattato di adesione della Polo-
nia. Nella sentenza del 2005 ha stabilito che la costituzione ha la precedenza nel
territorio polacco e che tale principio rimane inalterato anche in seguito all'ade-
sione all'UE, negando al diritto comunitario uno status speciale tra i trattati in-
ternazionali (-->approccio della sovranità incondizionata della costituzione na-
zionale)
La maggior parte delle corti costituzionali dei nuovi stati membri adotta un ap-
proccio piu' moderato, elaborato la prima volta dalla Corte costituzionale fede-
rale tedesca nel famoso caso Bunner vs TEU che riconosce al diritto dell'UE una
certa sovranità a condizione che non violi determinati principi fondamentali.
Sarà dunque la Corte costituzionale dello Stato membro ad avere l'ultima parola
sulla questione.
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Le leggi
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La legge assume negli ordinamenti dei paesi ex socialisti lo stesso valore che ne-
gli altri paesi della tradizione di civil law.
Meritano pero' particolare attenzione i codici.
Anche nell'Europa orientale il codice impersona l'ideale di norma giuridica che
viene concepita come regola di condotta generale e tenda a rimanere al centro
del sistema.(codice=rottura cn il passato)
All'inizio del periodo socialista si assiste ad una ricodificazione del diritto civile
(es. cod civile cecoslovacco del 1950).
Dopo il crollo del regime socialista, si apre una nuova stagione di codificazione e
i paesi est-europei
compiono un'ampia opera di modifica nei loro codici.
Nell'Unione Sovietica alla vigilia della sua estinzione è stato elaborato un model-
lo uniforme di riforma dei codici civili che è servito a base per le repubbliche che
hanno successivamente ottenuto l'indipendenza (ad eccezione dei paesi baltici
che hanno seguito una strada autonoma). La Lettonia ad esempio appena libera-
tasi dal dominio sovietico ha ripristinato il suo vecchio codice civile del 1937.
Estonia e Lituania invece hanno elaborato un nuovo testo, allo stesso modo della
Polonia.
Un terzo gruppo di paesi (tra cui Ungheria e Bulgaria) ha mantenuto il codice
adottato negli anni '50, adattandolo ai cambiamenti del tempo.
!
Organizzazione giudiziaria e il ruolo della giurisprudenza
!
Il sistema di corti articolato su 3 gradi, di origine francese, si diffonde in tutta
Europa.
Quei paesi dell'Europa centro-orientale che hanno ftt parte dell'Impero asburgi-
co, ereditano un sistema giudiziario organizzato secondo il modello classico della
burocrazia:
-giudici sono funzionari reclutati attraverso metodi di selezione burocratica e
formano una struttura gerarchica in cui la progressione avviene sulla base del-
l'anzianità o del merito.
Durante l'era socialista questa gerarchia si trasforma in uno strumento di con-
trollo del potere giudiziario.
I componenti delle costi di vertice,che controllano le corti inferiori,vengono scelti
tra le persone leali al partito comunista.
Negli anni '50 si introduce una nuova tipologia di fonte del diritto-->le direttive
della Corte Suprema = enunciazioni interpretativa, emanate su iniziativa dei
giudici inferiori o del Min di Giustizia, che vincolano le corti inferiori (pochi
paesi pero' hanno mantenuto questostrum giuridico dopo la fine dell'era sociali-
sta)
!
Caratteristica comune alla maggior parte delle corti di ultima istanza dell'Euro-
pa dell'Est pp che seguono il modello (tedesco) di revisione, in cui la Corte su-
prema si presenta come un vero e proprio terzo grado di giudizio e decide il caso
anche nel merito.
Alcune eccezioni:
-Corte suprema ceca
-Corte di ultima istanza della Romania
Per quanto riguarda il ruolo della giurisprudenza nel sistema delle fonti negli
ordinamenti est-europei, si nota una notevole differenza dai sistemi dell'Europa
occidentale.
I giudici est-europei tendono a non riconoscere l'eventuale autorità persuasiva di
una fonte giurisprudenziale, dottrinale o di altra natura, ma si limitano a giudi-
care i casi solo secondo il diritto positivo ossia applicando leggi, decreti e rego-
lamenti.
I giudici di paesi ex socialisti sn piu' restii a a seguire un precedente. Tra i motivi
vi è anche il fatto che nel periodo socialista il concetto di precedente andava con-
tro l'ideologia del comunismo, essendo il diritto giurisprudenziale meno accessi-
bile e meno comprensibile per il popolo.
!
Diverso è il discorso per le nuove corti costituzionali dell'Europa orientale.
I giudici delle corti costituzionali rappresentano una nuova cultura giudiziaria e
spesso si avvalgono anche si argomenti extragiuridici e dedicano attenzione ai
propri precedenti e alla giurisprudenza dei loro colleghi stranieri.
Le questioni che devono affrontare i giudici costituzionali (diritti fondamentali e
altre problematiche sistematiche) si prestano maggiormente ad essere collocate
in un contesto piu' ampio di quello giuridico, e questo li spinge a volgere lo
sguardo fuori dai confini stretti della loro disciplina.
!
Il ruolo della dottrina
!
Storicamente la dottrina e i dottori hanno avuto lo stesso ruolo preponderante
nella formazione ed evoluzione del diritto nei territori romanisti dell'Europa
orientale che nel resto della tradizione di civil law.
A distinguere la dottrina est-europea dal resto della tradizione di civil law è il
diffuso approccio positivista. L'idea positivista e formalista del diritto, che do-
mina in Europa nel XIX sec, si pietrifica in Europa orientale grazie alla dottrina
socialista che non riconosce ai giudici il potere di creare il diritto.
Ma la permanenza di una visione formalista e semplicista del di dritto non si li-
mita al potere giudiziario, ma permea anche la formazione dei giuristi delle uni-
versità.
Le dottrine sviluppatesi in Occidente nel periodo della guerra fredda (es-Reali-
smo giuridico) non sono penetrate in Europa orientale.
!
La tradizione del Common Law
!
L’espressione common law viene innanzitutto impiegata nella contrapposizione
con civil law.
Questa è l’accezione che più interessa il comparatista in quanto volta a confron-
tarla con la tradizione romanista.
In questo senso quella di common law è la famiglia che affonda le sue radici nel
diritto inglese e che comprende numerosissimi ordinamenti a causa del notevole
successo e della estesa circolazione del modello.
A partire dal XVII secolo le compagnie coloniali iniziato ad esportare la com-
mon law nelle Americhe, in India e in Africa e l’espansione si spinge fino all’Au-
stralia e alla Nuova Zelanda.
Naturalmente, la common law ha avuto un diverso grado di penetrazione nei
numerosi Paesi con cui ha avuto contatti e tale varietà è imputabile a diversi fat-
tori: il tipo di rapporto istituzionale che si instaura tra la madrepatria e la colo-
nia; la durata della presenza inglese; il grado di sviluppo e di efficienza del dirit-
to autoctono.
A ciò deve aggiungersi l’influenza che il modello di common law ha avuto a cau-
sa del suo prestigio e in taluni casi della sua efficienza.
E’ importante tuttavia sottolineare subito che tra i vari ordinamenti della fami-
glia di common law vi possono essere differenze notevoli e che queste si vanno
accentuando sempre di più soprattutto se si considerano le
due principali esperienze di questa famiglia: Inghilterra e Stati Uniti.
Benché tra il versante inglese e il versante americano sussistano ormai differenze
importanti, tuttavia la presenza di alcuni fattori particolari conferisce alla fami-
glia di common law una certa omogeneità.
Innanzi tutto, anche dopo l’indipendenza, molte ex colonie hanno considerato
parte del loro diritto positivo il diritto inglese precedente la loro separazione.
Spesso dunque non si verifica una frattura netta tra il diritto del periodo colo-
niale e quello successivo.
Tra i fattori che contribuiscono a rendere omogenea la common law vi è la pre-
senza del Privy Council: una corte sovranazionale per il Commonwealth, che nel
periodo coloniale esercitava il controllo di legittimità
(judicial review) sulla legislazione delle colonie per assicurarne la conformità
con il diritto della madrepatria.
Anche la natura giurisprudenziale degli ordinamenti di common law, e dunque il
loro carattere di sistemi “aperti”, li rende piuttosto omogenei.
Infine, ma non meno importante, tra i fattori unificanti è da considerarsi la co-
munanza linguistica, che favorisce l’omogeneità e la completa interscambiabilità
di categorie e concetti giuridici.
L’importanza del confronto common law/civil law è dunque principalmente si-
stemica.
Tale binomio ha costituito infatti la base di partenza per i primi studi compara-
tistici, che originariamente tendevano a porre in risalto le diversità fra le due
grandi famiglie della tradizione giuridica occidentale.
Diversità che si misuravano principalmente sul valore del precedente, sull’as-
senza di codici e sulla scarsa penetrazione del diritto romano nei Paesi di com-
mon law.
Se consideriamo la tradizione giuridica occidentale nel suo complesso, e dunque
civil law e common law insieme, viene immediatamente in considerazione una
particolare figura di giurista, cui è riconosciuto glande prestigio, ignota, per
esempio, ai sistemi africani o alle tradizioni dell’estremo oriente.
Il protagonista del diritto è, nei sistemi civil law, il giurista dotto e, nei sistemi di
common law, il pratico e il particolare il giudice.
Ed è proprio dal ruolo che il giudice riveste nell’ordinamento e dunque dal
modo in cui le corti hanno affermato il loro successo, che è bene prendere le
mosse per cominciare a parlare della common law e della sua natura di diritto
giurisprudenziale.
!
Common law e equity
!
La contrapposizione tra common law ed equità è di natura storica ed è interna
allo sviluppo del diritto inglese.
La common law in senso stretto è infatti quel ramo del diritto inglese elaborato,
caso dopo caso, dalla giurisprudenza delle corti di Westminster a partire dalla
conquista normanna (1066).
L’equity è invece il ramo del diritto inglese, anch’esso di origine giurispruden-
ziale, sviluppato dalla Corte di Cancelleria fin dal XVI secolo e caratterizzato da
rimedi processuali estranei al rigore della common law.
La dicotomia tra common law ed equità svolge un ruolo fondamentale nella sto-
ria delle istituzioni inglesi e i due rami del diritto sono amministrati, fino alla se-
conda metà del XIX secolo, da corti diverse.
!
Common law e statute law
!
La contrapposizione tra common law e statute law trova le sue radici nella di-
versa fonte di produzione della regola giuridica.
In questo senso, infatti, common law significa diritto giurisprudenziale (com-
prensivo di common law in senso stretto ed equità).
Statute law è, invece, il diritto di creazione legislativa.
!
Common law e il diritto inglese
!
La common law affonda le sue radici nel diritto inglese, nel diritto elaborato dal-
le corti centrali di Londra.
Ma che cosa deve intendersi per “diritto inglese”?
Il diritto inglese è il diritto del Regno d’Inghilterra, del quale, fin dal 1536, fan-
no parte il Galles e l’isola di Wight.
Non è invece il diritto della Gran Bretagna, perché formatasi dalla fusione del
Regno d’Inghilterra e quello di Scozia, la quale ha da sempre conservato il pro-
prio ordinamento giuridico, diverso da quello inglese.
Non è dunque corretto parlare di “diritto britannico”.
Il diritto inglese non è neppure il diritto del Regno Unito, formato da Inghilter-
ra, Scozia e Irlanda del Nord, in quanto le riforme sulla devolution del 1998
hanno modificato a fondo la centralità del Parlamento di Westminster, compor-
tando lo spostamento di una significativa porzione di poteri normativi ad aree
geografiche aventi particolari caratteristiche: Scozia, Galles, Irlanda del Nord.
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Le origini della Common Law e l’affermazione delle corti centrali di Westmin-
ster
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Il diritto inglese, che non ha subito in nove secoli alcun processo di codificazione,
non consiste dunque in un sistema di norme e istituti separabili in tutto o i parte
dal suo passato, ma nelle tecniche e nella giurisprudenza accumulatesi dal XII
secolo ad oggi.
Il punto di partenza di questa storia e di tanta parte delle istituzioni politiche e
giuridiche inglesi è la c.d. “Conquista” del 1066, quando Guglielmo di Norman-
dia sconfigge l’ultimo sovrano sassone.
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Struttura unitaria della monarchia normanna
!
L’apparato istituzionale normanno è strettamente funzionale al potere di verti-
ce: i vassalli al seguito di Guglielmo sono sue persone di fiducia, titolari di picco-
li feudi, nessuno in grado di opporsi al re.
Lo schema feudale comprende il re, i Lords e i sub-tenants.
I primi sono legati al sovrano sia per ciò che riguarda il godimento dei fondi sia
per ciò che riguarda il profilo politico-militare; i secondi sono legati ai Lord per
quanto riguarda la terra, il suo godimenti e la sua condizione, ma sono legati an-
ch’essi direttamente al sovrano per quanto concerne il profilo politico-militare.
La monarchia normanna è caratterizzata dunque da una struttura unitaria (i
signori feudali inglesi non conquistano mai quella posizione di potere tipica in-
vece dei proprietari dei grandi feudi in Francia e Germania, a volte più potenti
degli stessi governanti) e da una mentalità precocemente burocratica.
Tale capacità organizzativa è testimoniata dal famoso Domesday Book, un libro
del catasto in cui non solo vengono censite le proprietà, ma viene determinata
anche l’appartenenza dai beni in funzione di individuazione delle classi sociali.
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La centralizzazione delle corti
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La struttura precocemente unitaria dello Stato si palesa anche nell’amministra-
zione della giustizia e nella sua organizzazione.
Suo carattere originario e permanente è quello della centralizzazione delle corti
e della concentrazione a Londra di giudici e avvocati.
La common law altro non è che il prodotto giuridico di un capolavoro ammini-
strativo che si traduce nella formazione di un nuovo diritto comune a tutto il re-
gno e destinato a sostituirsi alle consuetudini localo.
Mentre la società medievale del continente europeo è caratterizzata dalla com-
presenza di diversi ordini giuridici, in Inghilterra si afferma molto precocemen-
te, tramite l’opera delle corti, un diritto uniforme.
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Le corti regie di Westminster
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Le origini della common law si trovano nella corte londinese dei sovrani nor-
manni, la curia regis, in cui il re, coadiuvato dai grandi vassalli (Lords) e dagli
alti funzionari, presiede alla direzione dello Stato, e quindi
anche all’amministrazione della giustizia.
La curia regis è la corte feudale per i grandi vassalli, ma è anche la corte alla
quale si ricorre nei casi di “breach of the King’s peace”, cioè nei casi di violazio-
ne della pace del regno e nei casi in cui le corti locali non siano riuscite a rendere
giustizia.
La giurisdizione della curia regis ha dunque un originario carattere eccezionale;
infatti la competenza del re in materia di giustizia è limitata in quanto la mag-
gior parte dei compiti di amministrazione della medesima sono delegati a feuda-
tari nell’ambito del sistema di governo del territorio loro attribuito.
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Le corti regie di Westminster: l’Exchequer
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Gradualmente, si specializzano all’interno della corte regia tre organismi,
l’Exchequer, il Common Pleas e il King’s Bench: le Corti di Westminster, che
prima operano come commissioni della curia regis e in un secondo momento
come vere e proprie corti, autonome detentrici della funzione giurisdizionale,
precocemente composte da giuristi a tempo pieno e precocemente dedite alla re-
pertoriazione delle loro decisioni.
L’Exchequer nasce come sezione speciale della curia regis con compiti prevalen-
temente contabili che consistono nell’amministrazione del tesoro reale e nella
raccolta delle entrate.
Diviene autonoma alla fine del XIII secolo suddividendosi in: Exchequer of Ac-
count and Receipt organismo con funzioni contabili e amministrative, e Court of
Exchequer, la vera e propria corte.
La Court of Exchequer è abolita dalle grandi riforme del XIX secolo, quando la
sua competenza in materia fiscale passa alla Chancery Division della High Court
e quella strettamente di common law alla King’s Bench Division.
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Le corti regie di Westminster: Court of Common Pleas e
King’s Bench
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La Court of Common Pleas è la corte delle udienze comuni, competente a cono-
scere delle liti fra commoners, le controversie tra privati.
Essa viene a costituire uno stabile organo giudiziario in grado di svolgere un’at-
tività processuale quantitativamente rilevante.
Il King’s Bench è in origine presieduta dal sovrano, ma afferma comunque pre-
cocemente la sua indipendenza dal sovrano.
Dal 1268, il King’s Bench si compone di giudici tecnici del diritto, presieduti da
un Chief Justice, carica nella quale si succedono da allora i più insigni giuristi
del regno d’Inghilterra.
La sua competenza riguarda le cause che interessano la Corona, cioè in cui il re è
direttamente coinvolto come organo sovrano.
Per quanto riguarda le cause penali, la corte giudica dei reati che potremmo de-
finire, con terminologia moderna, di ordine pubblico.
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Le corti speciali: ecclesiastiche, mercantili e marittime
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Indipendenti dalla giurisdizione ordinaria e dunque dalle corti di common law,
si affermano precocemente in Inghilterra anche importanti tribunali dotati di
giurisdizione speciale, che sviluppano un diritto di derivazione romano-canoni-
ca: le corti ecclesiastiche, le corti mercantili e le corti marittime.
Guglielmo I, in risposta all’aiuto del Papa nella realizzazione della sua “conqui-
sta”, assicura l’indipendenza alla Chiesa e le conferisce esclusiva giurisdizione in
materia ecclesiastica.
Tale giurisdizione concerne le questioni che coinvolgono direttamente i chierici o
i beni della Chiesa, molti reati tra i quali la bestemmia e l’eresia, alcune questio-
ni testamentarie e quelle matrimoniali.
Queste corti ecclesiastiche giudicano in base al diritto canonico.
Le corti mercantili applicano, invece, la lex mercatoria, ossia il diritto comune
della pratica dei commerci fino al XV secolo, quando inizia il declino che porta
al loro completo assorbimento da parte delle corti ordinarie di common law.
Le corti marittime applicano un diritto fondato in larga misura nello ius gen-
tium e nelle relazioni internazionali.
Il loro declino ha luogo nel momento in cui il diritto della navigazione viene ri-
compreso nella competenza delle corti di common law.
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L'istituzione della giustizia itinerante
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Al declino delle corti locali contribuisce in maniera determinante l’istituzione
della giustizia itinerante, che certamente ha tra i suoi scopi quello di avvicinare
al popolo, che difficilmente può intraprendere lunghi e difficili viaggi nella capi-
tale, la giustizia reale.
Il sovrano normanno non istituisce corti nelle province del regno, ma vi si reca
con i suoi giudici, o li invia a rendere giustizia.
L’istituzione, fin dal 1072, della giustizia itinerante serve ad emarginare la giu-
stizia feudale e ad estendere la giurisdizione della monarchia (e quindi la com-
mon law) a tutto l’Inghilterra.
Un altro organo locale di giustizia, oltre che di polizia e amministrazione, che
contribuisce all’affermazione della giurisdizione regia, è lo Sheriff.
Tale figura, fortemente sottomessa al sovrano, è elettiva e ha durata di un singo-
lo anno.
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Il sistema dei Writs
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Dagli inizi del XII secolo la Corte regia inizia gradualmente a sostituire le corti
locali, le quali tuttavia non vengono abolite, ma cadono semplicemente in desue-
tudine, poiché i litiganti preferiscono la giustizia del
sovrano.
Quali sono dunque, oltre alla fama d’imparzialità e di rigore, le ragioni del suc-
cesso delle corti reali?
Innanzi tutto le corti reali si servono di talune finzioni giuridiche per attrarre
nella propria giurisdizione le cause più varie, e ciò accade principalmente in ma-
teria penale (attraverso la finzione del concetto di “violazione della pace del re-
gno”).
Ma soprattutto le corti reali concedono “in esclusiva” rimedi più efficaci, scono-
sciuti dalle corti locali (come, ad esempio, l’esecuzione coattiva delle decisioni).
Si può dire, allora, che le corti del re si mettono in concorrenza con le autorità
locali e riescono a prevalere mostrando di essere il grado di offrire un prodotto
migliore, ossia una giustizia più efficiente.
Tale efficienza si manifesta sia sotto il profilo sostanziale che processuale.
Ed infatti, da un lato la curia regis offre nuove forme di tutela quando il caso
concreto lo richiede creando nuovi writs; dall’altro offre un processo molto più
rapido e razionale, poiché a fianco del giudice compare la
giuria.
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Caratteristiche dei Writs
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Tra gli strumenti che contribuiscono all’espansione della giurisdizione regia nei
secoli XII e XIII è di grande importanza il writ.
Il writ (o breve) è un ordine del sovrano, redatto in forma di lettera, scritto in
latino, su pergamena, munito
del sigillo reale.
Si tratta di uno strumento autoritario, un comando diretto allo sheriff o al Lord
che presiede una corte, volto a sottrarre la trattazione di una causa ai signori
feudali o alle corti locali.
Presupposto, salvo che non si tratti di una causa di diretto interesse per la Coro-
na, è che la lite sia prima portata di fronte alle corti locali e che la parte non ab-
bia soddisfazione nella sua sede naturale.
Il writ è uno strumento imprescindibile per la tutela del diritto, tant’è che nella
common law un diritto soggettivo può dirsi esistente in quanto vi è un writ che lo
rende azionabile.
L’attore che intende adire la giustizia regia deve infatti per prima cosa procu-
rarsi un writ adatto alla sua situazione.
Si comprende allora che se si creano nuovi writs per tutelare nuove situazioni si
ottiene l’affermazione di nuovi diritti e la conseguente espansione della common
law.
Questo è ciò che avviene in Inghilterra fino al 1258, anno in cui il sistema entra
in crisi.
Con il sistema dei writs, i sovrani inglesi medievali sono i soli europei ad avere in
pratica “legiferato” in materia di diritto privato.
Non vi è infatti differenza pratica tra attribuire un diritto e concedere un writ,
cioè un rimedio.
Naturalmente si tratta di legislazione rozza, piena di lacune che dovranno essere
colmate dai giudici, ma si tratta pur sempre di un’attribuzione di diritti e doveri.
Tornando al raffronto sistemologico tra common law e civil law si può osservare
ancora una volta la divergenza storica tra i due sistemi: la common law è fin dal-
l’inizio diritto positivo volto a risolvere controversie concrete, mentre il diritto
romano studiato nelle università del continente europeo è un diritto
ideale.
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Il funzionamento dei Writs
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Quale è la spinta che ha condotto all’affermazione del writ come strumento es-
senziale dell’esercizio del potere delle corti di common law?
Nel XII e nel XIII secolo la cancelleria “vende” i singoli writs agli interessati, in-
cassando notevoli proventi per il tesoro reale.
Vi è anche un interesse politico, che sarà la causa della crisi del sistema dei writs,
poiché con la creazione e concessione di nuovi rimedi si estende la competenza e
dunque il potere delle corti reali.
Per comprendere il funzionamento del writs bisogna distinguere due diversi tipi
di writ.
I writs ordinari sono consolidati nella prassi giudiziaria e annotati in un apposi-
to Registrum Brevium.
L’attore che intende usufruire della giustizia regia e la cui pretesa sia tra quelle
riconosciute nel Registrum, deve ottenere, dietro pagamento, il writ idoneo a tu-
telare la sua situazione.
I writs straordinari, a causa del loro carattere eccezionale, non sono invece elen-
cati nel Registrum e sono ottenuti dai poveri per concessione gratuita o, al con-
trario, sono ottenuti dietro il pagamento di un prezzo altissimo.
Tali writs possono passare all’altra categoria ad essere iscritti nel Registrum se
si consolidano nella pratica.
Il writ è materialmente elaborato nella segreteria del cancelliere, al quale spetta
anche il compito di istruire preliminarmente il ricorso per cui si chiede la con-
cessione del writ medesimo.
Destinatari del writ possono essere i Lord o gli sheriff.
L’inosservanza dell’ordine contenuto nel writ è considerata un’offesa diretta al
sovrano e può comportare l’imprigionamento del responsabile.
La concessione del writ non significa ottenere una pronuncia favorevole, ma solo
una chiave per aprire la porta della giustizia regia.
Ovviamente vi è una forte e comprensibile opposizione dei nobili verso un au-
mento della giurisdizione regia a scapito della loro.
Tale opposizione si manifesta in tre documenti fondamentali per la storia delle
istituzioni inglesi, emanati nel corso del XIII secolo: Magna Charta, 1215; Provi-
sions of Oxford, 1258; Statute of Westminster II, 1285.
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La crisi del sistema dei Writs
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La Magna Charta rappresenta il punto di partenza per la tutela dei diritti di li-
bertà nella struttura costituzionale inglese.
Con essa i baroni riescono e porre un argine al potere del re disponendo che il
diritto esistente avrebbe vincolato allo stesso modo il re e i vassalli.
Altri principi sono volti a tutelare i baroni contro l’ingerenza del sovrano rispet-
to alle loro specifiche prerogative giudiziarie.
Si stabilisce che la competenza per le controversie che sorgano con riguardo alle
terre oggetto del dominio feudale dei baroni sia dei baroni stessi; e inoltre fa la
sua apparizione nel panorama istituzionale europeo la fondamentale garanzia
del due process, ossia del giusto processo, che troverà collocazione del Bill of
Right della costituzione americana del 1787.
Il secondo documento che mostra le grandi tensioni tra il sovrano e i signori lo-
cali, è costituito dalle Provision of Oxford, imposte dai baroni, quale corrispetti-
vo del loro aiuto in armi e in denaro ad Enrico III nel 1258.
Con tale documento si intende sottrarre al sovrano il potere di governo del regno
per affidarlo ad un “comitato riformatore”.
Ma soprattutto, per quello che qui più interessa, con le Provision of Oxford si
produce la c.d. cristallizzazione del sistema dei writs.
Viene infatti negato al cancelliere il potere di emettere nuovi writs straordinari
se non con l’approvazione esplicita del re e del suo gran consiglio.
Si comprende come si blocchi il fertile meccanismo di sviluppo della common
law e come la giustizia entri in un grave stato di crisi.
Crisi che sarà superata solo attraverso la lenta e complessa elaborazione dei wri-
ts presenti nel Registrum al 1258.
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Lo Statute of Westminster II, 1285
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Questo importante atto, pur mantenendo il divieto di nuovi writs, salvo se auto-
rizzati dal Parlamento, consente tuttavia alla cancelleria di utilizzare le formule
conosciute per ammettere nuove azioni in fattispecie diverse ma simili a quelle
previste nel Regstrum.
La tecnica dell’action on the case: dal trespass al trespass on the case
Le stesse corti, poste dinanzi all’esigenza di offrire tutela a situazioni concrete
sempre nuove, cominciano a riconoscere la validità e l’ammissibilità di nuove
azioni quali forme derivate dai writs consolidati, dando così definitivo impulso a
quel processo di elaborazione giurisprudenziale evolutiva che costituisce l’esse-
nza stessa della common law.
Il writ su cui operano principalmente le corti per ampliare la propria competen-
za è il trespass.
Il writ of trespass è concesso inizialmente a chi ha subito una illecita e violenta
invasione della sua sfera giuridica personale o patrimoniale.
Interpretando in modo estensivo gli elementi caratterizzanti il writ of trespass, i
giudici cominciano a offrire tutela per i danni causati da responsabilità indiretta
o colposa per giungere infine alla tutela contrattuale.
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L’evoluzione del Writ of Trespass
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Vediamo meglio come avviene l’evoluzione del writ of trespass.
Secondo lo schema classico, il writ of trespass è rilasciato nell’ipotesi di una
transgressio che presuppone un atto materiale di forza e dunque una violazione
in armi dell’ordine pubblico e della pace del regno.
Nel XII secolo si conoscono tre tipi di trespass: to person, to goods, to land (alla
persona, ai beni, alla terra).
Partendo dallo schema tradizionale, nei secoli XIV e XV le corti hanno elaborato
il writ of trespass on the case.
In questa ipotesi il writ non riguarda più i casi di applicazione diretta e illecita
della forza fisica.
In pratica, diventa irrilevante l’allegazione dell’uso formale della forza, mentre
acquista rilievo il dato sostanziale che l’attore, personalmente o con riferimenti
ai suoi beni, sia stato vittima di un danno causato dal comportamento negligente
o doloso di un altro soggetto.
Nel writ of trespass on the case si fanno rientrare tutti i casi di comportamenti
dannosi che non possono essere considerati vere e proprie ipotesi di trespass.
Si viene a creare, insomma, un’azione sussidiaria generale esperibile per un
complesso eterogeneo di casi di condotta dannosa e di illecito civile.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
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L’assumpsit: origine della tutela contrattuale
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L’estensione analogica dell’action on the case operata dalle corti continua per
tutto il XV secolo e nel XVI secolo se ne differenzia una particolare forma, volta
alla concessione del rimedio nell’ipotesi di danno derivante dalla non corretta
condotta contrattuale della controparte: si tratta dell’assumpsit.
Nel writ of trespass on the case in assumpsit l’attore allega che il convenuto si è
assunto di fare qualcosa, si è assunto un obbligo, ma, non avendolo adempiuto o
avendolo adempiuto inesattamente, ha con ciò arrecato danno alla persona o ai
beni dell’attore.
L’assumpsit subisce una progressiva espansione diventando un’azione per danni,
di natura contrattuale e non più delittuale, che sanziona in via generale l’inade-
mpimento.
Dal trespass on the case si sviluppa, dopo quella di assumpsit, a metà del XVI
secolo, anche l’azione di trover.
Si tratta di un’azione di danni a tutela di chi è privato di un bene mobile.
Si fonda sulla finzione che l’attore abbia smarrito i suoi beni e il convenuto li
abbia ritrovati e convertiti al proprio uso, rifiutando di restituirli.
Diviene presto irrilevante il titolo con cui la conversione è avvenuta e dunque il
trover diventa un’azione generale per danni contro lo spossessamento immobi-
liare.
Ritornando al trespass, poiché questo è, nella sua forma classica, concesso a chi
subisce le conseguenze dannose di un’illecita invasione della sua sfera giuridica,
e il rimedio è costituito dall’imprigionamento del responsabile e dal risarcimento
dei danni, tutte le nuove azioni che da questo writ scaturiscono portano l’impr-
onta delle azioni delittuali e sfociano, pertanto, nel solo risarcimento.
Rimane completamente estranea, sia all’assumpsit che al trover, la possibilità di
esecuzione forzata in forma specifica.
Questa è la ragione che spiega perché la common law conosce solo il risarcimen-
to del danno come sanzione per l’inadempimento contrattuale ed è anche la ra-
gione che spinge, al fine di ottenere un decreto di esecuzione in forma specifica,
verso la procedura di equity.
“Ubi remedium ibi ius” e “remedies precede rights”
A questo punto non si può non osservare la somiglianza fra l’affermazione e lo
sviluppo iniziale della common law e il diritto romano.
In entrambe le tradizioni infatti il rimedio precede il diritto e la tutela dei diritti
si realizza solo previo ottenimento di particolari documenti da un organo non
giurisdizionale (pretore o cancelliere); e tali documenti sono raccolti in un regi-
stro.
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La Court of Chancery e lo sviluppo dell’Equity
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L’equity è il sistema di diritto sviluppato e creato dalla Chancery Court che, a
partire dal XIV secolo ha affiancato il sistema di common law, imprimendo al-
l’ordinamento inglese quel carattere dualista che non è scomparso neppure oggi.
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Le ragioni dell’affermazione dell’equity
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Le origini dell’affermazione della giurisdizione della Chancery Court sono lega-
te alla crisi della giustizia amministrativa delle corti di Westminster.
Alcuni aspetti di tale crisi sono stati osservati con riferimento all’irrigidimento
della common law.
Tra in motivi della crisi vi è senz’altro anche la presenza, presso le corti di com-
mon law, di una procedura sempre più formalistica.
A ciò deve aggiungersi il moltiplicarsi di episodi di corruzione di giudici e giura-
ti.
Non deve dimenticarsi, poi, che la concessione del writ da parte del cancelliere
rientra nel suo potere discrezionale e che tale concessione è solo la chiave per
aprire le porte delle corti di common law, ma non le impegna assolutamente ad
una pronuncia favorevole all’attore.
Insomma, la common law, agli inizi del XIV secolo, comincia a mostrarsi inade-
guata di fronte ai bisogni sempre nuovi della vita sociale inglese.
E’ proprio la crisi delle corti di Westminster che spinge i ricorrenti a rivolgersi
direttamente al sovrano quale titolare del potere e fonte di giustizia, affinché
giudici con aequitas.
La petizione viene rivolta innanzi tutto al cancelliere che, se lo ritiene opportu-
no, la trasmette al re perché questi adotti la sua decisione in seno al consiglio
della Corona.
Quando poi diventa sempre più difficile per il sovrano riunirsi con il suo consi-
glio, viene a svilupparsi una giurisdizione autonoma del cancelliere, che cresce
rapidamente in poteri e sviluppa presto un ampio corpo di regole e principi, che
costituiscono, appunto, l’equity.
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Caratteristiche essenziali dell’equity
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L’equity si qualifica come un insieme di regole complementari rispetto a quelle
di common law.
Il cancelliere interviene non per violare la common law, ma solo per temperarne
il rigore quando la sua integrale applicazione costituirebbe una ingiustizia.
Inoltre l’equity è caratterizzata da grande inorganicità e asistematicità.
Essa infatti, al contrario della common law, non è un sistema autosufficiente; in
fondo, si può ravvisare tra le due, un rapporto simile a quello che, nei Paesi in
cui è presente la codificazione, sussiste tra il codice e la legislazione speciale: il
primo senza la seconda gode di notevole autonomia ovvero si pone, nonostante
l’attuale fase di crisi, come sistema tendenzialmente organico e completo, ma
alla seconda, senza il primo, spesso mancano i punti di riferimento.
Altro elemento caratterizzante l’equity è la discrezionalità.
Non esiste infatti un vero e proprio diritto a ottenere dal sovrano la sua giustizia
secondo equità, e quindi non è configurabile un diritto alla pronuncia della
Chancery Court.
Le corti di common law si sono concentrate su due gruppi di rimedi: quelli volti
a recuperare la terra, di cui l’attore è stato illecitamente privato, e quelli volti ad
ottenere il risarcimento dei danni.
Sono dunque i nuovi rimedi elaborati e offerti dalla Chancery Court (l’esecuzi-
one in forma specifica, la tutela preventiva, ecc…) più incisivi ed efficaci da
quelli ottenibili dalle corti di common law, che decretano il successo di questa
corte.
Inoltre, in considerazione del modello processuale adottato dalla Chancery
Court, è opportuno osservare che il cancelliere è per lungo tempo un ecclesiasti-
co, il quale, per la gestione delle pratiche giudiziarie, in breve
molto numerose, si avvale di chierici che conoscono bene il diritto canonico e le
sue procedure.
Allora, se il processo che si svolge presso le corti di Westminster è caratterizzato
fin dalle origini dalla pubblicità, dall’oralità e dalla presenza della giuria, il pro-
cesso di equità si presenta come segreto, scritto, inquisitorio e senza giuria.
Mentre le corti di common law agiscono prevalentemente sui beni, il cancelliere
può agire sui diritti di proprietà anche mediante ordini diretti alle persone, la
cui eventuale inottemperanza può essere sanzionata con la pena pecuniaria e so-
prattutto con l’arresto per contempt, ossia per oltraggio alla corte.
E’ bene avere presente che il rapporto tra i due rami del diritto inglese ha avuto
anche momenti di aspro contrasto.
Il conflitto più appariscente è riferibile all’inizio del XVII secolo, in connessione
alla contesa fra le tendenze assolutistiche della monarchia, che si appoggia so-
prattutto alla Chancery Court, e le resistenze del Parlamento, coalizzato invece
con le corti di common law.
Tale conflitto si risolve nel 1616, quando Giacomo I Stuart emana un decreto che
dichiara la supremazia dell’equity in caso di conflitto.
La supremazia è tuttavia impiegata in maniera moderata da parte di cancellieri
politicamente avveduti e ciò contribuisce a garantire la pacifica convivenza tra
common law ed equity.
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Equity e common law: flessibilità e rigidità
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Se un contratto non viene eseguito, la common law offre alla parte lesa dall’ina-
dempimento il solo risarcimento del danno.
Il cancelliere invece, tenendo conto che in certi casi il risarcimento può non sod-
disfare il credito, elabora per suo conto la figura dell’esecuzione in forma speci-
fica del contratto; attraverso lo strumento dell’injunction può altresì emettere
ordini di fare e di non fare.
In materia di vizi del consenso, la common law ha riguardo solamente alla vio-
lenza fisica come motivo di annullamento del contratto.
La dottrina della violenza morale è opera della cancelleria.
Tra gli istituti più significativi elaborati dalla Chancery Court vi è il trust, rap-
porto fiduciario.
La sua configurazione più semplice è quella in cui Tizio cede un bene a Caio, con
l’intesa però che questi lo amministri in favore di Sempronio, che così ne perce-
pirà i frutti.
La common law non riconosce alcun valore al rapporto fiduciario e considera
Caio il titolare puro e semplice del bene.
Il cancelliere, invece, non nega che la titolarità del bene spetti a Caio, ma ricono-
sce e tutela l’obbligazione che questi assume, secondo i dettami della propria co-
scienza nei confronti di Tizio.
Concludendo, l’equity si afferma, tra il XIII e il XV secolo, come giustizia secon-
do coscienza ed è infatti amministrata dal cancelliere, che, come si è detto, è un
ecclesiastico “custode della coscienza del re”.
L’equity nasce dunque come giustizia “morale” contrapposta a quella “legale”,
ed è una misura di giustizia essenzialmente relativa ed elastica, pronta ad ade-
guarsi alla necessità della singola situazione.
Se questa è l’impostazione originaria, con il passare del tempo l’equity cambia
natura e fisionomia.
Dopo le vicende del 1616 comincia ad assumere i caratteri di rigidezza e inflessi-
bilità già propri della common law.
L’ufficio stesso di cancelliere non viene più affidato, a partire dal 1673, a eccle-
siastici, ma a uomini politici, per lo più giuristi.
Le decisioni giudiziarie non nascono più liberamente seguendo i dettami supe-
riori dell’aequitas e adeguandosi alle esigenze del caso concreto.
Le decisioni sono regolarmente conservate in appositi Reports e cominciano a
seguire piuttosto la strada dei precedenti.
In questo modo l’equity finisce proprio per diventare un secondo e ben definito
complesso di casi giudiziali, di istituti, di dottrine e di regole acquisite, che si
pone al fianco della common law.
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Riforme nel diritto inglese nella seconda metà del XIX secolo
!
Le corti di Westminster e la Chancery Court amministrano la giustizia civile di
maggior valore economico e la giustizia penale relativa ai reati più gravi.
Accanto a loro, l’Admiralty Court e le corti ecclesiastiche amministrano il terzo
sistema di diritto che caratterizza, nella sua evoluzione, l’ordinamento inglese: il
sistema ispirato alla civil law.
Diversa è invece la situazione con riferimento alla c.d. giustizia minore.
In particolare, la situazione concernente la giustizia civile non può dirsi in origi-
ne molto avanzata se si riflette sul fatto che le controversie civili di modesto va-
lore economico sono attribuite alla competenza delle county courts solo nel 1846.
Sino ad allora, non disponendo i poveri di beni mobili o immobili, questi avver-
tono scarsamente il bisogni di adire le corti superiori.
Le cause penali relative ai reati meno gravi sono, invece, di competenza del Ju-
stice of the Peace fin dal lontano 1361.
Agli inizi del XIX secolo vi è dunque ancora in Inghilterra una notevole tenden-
za verso la centralizzazione della giustizia civile, man mano che declina l’impo-
rtanza delle corti locali, ed una opposta tendenza alla decentralizzazione della
giustizia penale, man mano che vengono estesi i poteri e le attribuzioni dei giudi-
ci di pace.
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County Courts Act e le riforme processuali nella
giurisprudenza inglese
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Il County Courts Act, 1846
Nel 1846, viene introdotta, come si è accennato, una rete di corti locali, le county
courts, distribuite in 500 distretti, ciascuno dei quali fa capo ad un giudice toga-
to.
Esse incontrano immediatamente il favore della popolazione e danno un forte
impulso all’espansione del credito.
Le riforme processuali
Nella prima parte del XIX secolo, il legislatore intraprende inoltre alcune rifor-
me processuali.
Fra di esse meritano di essere ricordati lo Uniformity of Process Act del 1832,
che prevede l’uniformità delle citazioni di tutte le corti di common law, e il Real
Property Limitation Act del 1833, che riduce il numero delle azioni reali da 60 a
3.
Secondo il Common Law Procedure Act del 1854, inoltre, le parti sono autoriz-
zate a rinunciare al processo con giuria; il convenuto può avvalersi sempre delle
eccezioni di equità; alle corti di common law è attribuito
il potere di ordinare la discovery dei documenti e di emettere injunction.
Con il Chancery Practice Amendment Act del 1852, poi, si introduce l’esame
orale dei testimoni e si attribuisce alla corte di equity il potere di disporre delle
questioni incidentali di common law, e di concedere il risarcimento dei danni.
!
I Judicature Acts (1873-1875): la riorganizzazione delle corti
!
Le numerose corti concorrenti vengono tutte ricomprese in un’unica Supreme
Court of Judicature che si articola in due livelli di giurisdizione.
In prima istanza essa include la High Court of Justice, competente in materia
civile, e la Crown Court, competente in materia penale; in seconda istanza essa
comprende la Court of Appeal.
La High Court of Justice prevede in origine 5 sezioni, ridotte a 3 nel 1881:
Queen’s Banch, competente a conoscere delle cause precedentemente attribuite
alle tre originarie corti regie; Chancery, competente a conoscere delle cause pre-
cedentemente attribuite alla Court of Chancery; Probate, Divorce and Admiral-
ty, con competenza in materia di successioni, matrimoni e diritto marittimo.
Queste sezioni operano, al loro interno, come giudici monocratici.
In secondo grado, viene istituita, come si è detto, un’unica Court of Appeal, che
prevede una sezione civile e una penale, entrambe organi collegiali.
Il giudizio di appello si caratterizza come un riesame della causa a seguito del
quale la corte può sostituire la propria decisione a quella impugnata, così come
ordinare un nuovo processo.
Il termine Appeal non deve infatti trarre in inganno: le sentenze della High
Court sono normalmente esecutive e definitive, e la possibilità di proporre im-
pugnazione non costituisce un diritto della parte soccombente, ma è solo una
possibilità che può realizzarsi qualora si verifichino alcune condizioni.
Con l’Appellate Jurisdiction Act del 1876, viene poi confermata la giurisdizione
di ultima istanza della House of Lords.
Essa, nella sua funzione giurisdizionale, svolge a partire dal 1876 un incisivo
ruolo di “corte suprema” e a ciò contribuiscono sia l’autorità nelle sue pronunce,
che hanno efficacia vincolante per tutti i giudici inferiori, sia il numero esiguo di
ricorsi che tale corte deve decidere.
Non esiste infatti un diritto di accesso alla massima istanza, ma un sistema per
cui si richiede, per accedervi, il permesso della corte che ha pronunciato la sen-
tenza impugnata o, in mancanza di esso, un permesso della stessa House of
Lords.
A ciò deve aggiungersi che le decisioni della House of Lords, come quelle della
Court od Appeal, si presentano con una forma ed uno stile peculiari, hanno in-
fatti natura personale ed è il frutto del concorso individuale di ciascun membro
del collegio: non esiste la “decisione della corte” anonima e impersonale che ge-
neralmente caratterizza le pronunce dei giudici di civil law, bensì le diverse opi-
nions dei singoli giudici.
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Caratteristiche del Judicial Committee of the Privy Council
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Per avere un quadro tendenzialmente completo delle corti superiori, si deve ri-
cordare il Judicial Committee of the Privy Council.
Il Privy Council è il consiglio privato della Corona, che trova le proprie origini
nell’antica curia regis.
Il Judicial Committee costituisce ancora, per ipotesi molto particolari, l’ultima
istanza in alcuni Paesi del Commonwealth, quali lo Sri Lanka.
Il Privy Council è tornato a svolgere funzioni importanti nel 1998, in attuazione
della devolution, essendogli stata conferita la competenza a dirimere i conflitti
fra le nuove autonomie e l’autorità centrale (le c.d. “devolution issues”).
I Judicature Acts rivoluzionano dunque tutto l’antico assetto delle corti inglesi.
Il vertice della giurisdizione inglese, così come tratteggiato dalle riforme del XIX
secolo, è stato modificato con una importante legge del 2005: il Constitutional
Reform Act.
A causa soprattutto della contiguità tra potere legislativo e giudiziario che scatu-
riva dal ruolo di giudice di ultima istanza dell’Appellate Committee della House
of Lords, questa è stata sostituita da una nuova Supreme Court, del tutto sepa-
rata ed indipendente dal Parlamento e composta da 12 giudici.
A competenza del nuovo organo di vertice della giurisdizione viene semplice-
mente trasferita, senza alcuna modifica per quanto attiene alla procedura, la ju-
risdiction della House of Lords e quella del Privy Council
relativa alle “devolution issues”.
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I Judicature Acts (1873-1875): l’amministrazione congiunta di
common law ed equity
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Un secondo momento di grande rilievo, connesso alle riforme introdotte dai Ju-
dicature Acts, attiene all’amministrazione “congiunta” di common law ed equity.
A partire dalla riforma, infatti, le varie sezioni della High Court e la Court of
Appeal devono applicare tutte le regole e i principi del diritto inglese nel suo
complesso, senza considerare che si sono sviluppate at law o in equity.
Il medesimo giudice applica cioè, una volta investito dell’azione, sia le regole di
common law sia le regole di equity e la legge prevede, in via generale, che, in
caso di contrasto tra le due sulla stessa materia, prevalgano le regole di equity.
Tuttavia, la distinzione tra i due rami del diritto inglese riveste un importanza
non solo storica.
E’ sufficiente pensare che il rimedio di equity risente ancora della propria origi-
ne “eccezionale” e dunque la sua connessione rientra fra i poteri discrezionali
della corte, ossia verrà accordato solo ove si dimostri
l’inadeguatezza del rimedio di common law.
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I Judicature Acts (1873-1875): il rule making power e le nuove
regole processuali
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Una conseguenza necessaria del rinnovo delle strutture giudiziarie è l’emanazi-
one di nuove regole processuali che vengono indicate nel primo allegato del Ju-
dicature Act del 1875.
In esso si prevede tuttavia che la concreta regolamentazione del processo possa
essere effettuata mediante “rules of court” formulate, ogni volta che se ne pre-
senti la necessità, da apposite commissioni composte da giudici ed avvocati, le
cui proposte possono essere approvate o respinte, ma non modificate dal Parla-
mento.
E’ questo il rule making power delle corti inglesi.
Lo spirito delle nuove regole emanate nel 1883, è di assicurare l’uniformità, la
semplicità e l’efficace dei procedimenti, eliminando dunque ogni obsoleto tecni-
cismo.
Soprattutto, viene riformato il sistema dei writs ottenendo una notevolissima
semplificazione della procedura presso tutte le corti.
Sono infatti abolite le forme di azione e i numerosi writs vengono sostituiti da un
unico “writ of summons”.
Ciò ha prodotto il vantaggioso risultato di non far più dipendere il successo del-
l’azione principalmente dalla sua corretta impostazione iniziale.
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Definizione di Attorney e narrator
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Con il consolidarsi del potere delle corti regie e il graduale complicarsi e forma-
lizzarsi del sistema dei writs, diventa sempre più difficile per i litiganti stare in
giudizio di persona.
E’ pertanto sempre più frequente il ricorso ad un attorney come rappresentante
di parte, cioè a dei professionisti che ricevono la loro formazione giuridica attra-
verso la pratica.
All’attorney si affianca presto la figura del narrator, provvisto di una superiore
dignità professionale e dotato di maggior prestigio.
In ogni caso, l’apprendimento del diritto avviene attraverso la pratica, la fre-
quentazione costante di giuristi esperti.
L’insegnamento delle università è tenuto in scarsa considerazione e ciò costitui-
sce un impedimento alla penetrazione in Inghilterra del diritto romano.
In particolare la preparazione per la professione giuridica si svolge nelle Inns of
Court, ove gli apprendisti sono istruiti, anche attraverso la simulazione di pro-
cessi, dai membri più anziani ed esperti della professione.
Inizialmente anche gli attorneys fanno parte delle Inns annesse alle corti regie,
ma nel tardo medioevo ne sono esclusi e si ritirano nelle Inns of Chancery con i
solicitors.
Al di sopra di tutte queste categorie di pratici vi è quella, prestigiosa e potente,
dei serjeants at law, eredi dei narratores e scelti fra i migliori giuristi.
Fra i serjeants vengono reclutati i nuovi giudici.
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Nascita dei Barristers e dei Solicitors
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Nel corso del XVII secolo inizia il processo che porterà alla definitiva afferma-
zione, con l’esclusione delle altre categorie, dei barristers e dei solicitors, eredi
delle funzioni rispettivamente dei serjeants e degli attorneys.
L’istruzione dei solicitors consiste nella pratica in uno studio legale per un pe-
riodo di 5 anni cui si aggiunge l’obbligo di sostenere alcuni esami presso una
Law School.
La loro capacità di stare in giudizio innanzi alle corti superiori è piuttosto limi-
tata, mentre è da sempre riconosciuta la possibilità di stare in udienza di fronte
alle county courts e ai giudici di pace.
Il solicitor prepara il materiale informativo e probatorio e tutta la documenta-
zione che serve ai barrister per le argomentazioni da sostenere di fronte alle cor-
ti superiori.
L’istruzione dei barristers avviene invece ancora il piccola parte nelle Inns of
Courts.
Entrare in una Inn è costoso e attualmente richiede una laurea riconosciuta (non
necessariamente in giurisprudenza) e il superamento di un esame.
Tradizionalmente i barristers esercitano attività di patrocinio di fronte alle corti
superiori, e non hanno contatti con il cliente, i quali sono invece tenuti dal solici-
tor.
Il sistema tradizionale appena accennato, che attribuiva ai barristers il monopo-
lio del patrocinio presso le corti superiori ed era causa di notevoli complicazioni
e di un aggravio dei costi del processo in quanto richiedeva necessariamente la
presenza delle due diverse figure di legale, è stato in parte riformato dal Courts
and Legal Services Act (1990), che ha attribuito la possibilità di stare in udienza
presso le corti superiori anche ad altre categorie professionali, e in particolare ai
solicitors.
Con la riforma del 1990 i barristers hanno perso, dunque, il monopolio del pa-
trocinio presso le corti superiori e con esso l’esclusiva per l’ammissione alla ma-
gistratura, però hanno acquistato la possibilità di avere rapporti direttamente
con il cliente.
Sebbene alcune contrapposizioni nette siano scomparse, non pare tuttavia possa
ancora parlarsi di un’unica figura di avvocati in Inghilterra.
E’ bene ricordare che negli ultimi decenni l’importanza delle facoltà giuridiche è
certamente cresciuta ed oggi la maggioranza dei solicitors, e anche la stragrande
maggioranza dei barristers, riceve un educazione giuridica universitaria.
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I giudici delle corti reali nell'ordinamento giuridico inglese
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Le corti reali vedono precocemente la presenza di giudici professionisti i quali,
sono scelti tra i serjeants at law.
A partire poi dal XIV secolo si è consolidata la consuetudine di reclutare i giudici
inglesi fra le file degli avvocati più prestigiosi.
Storicamente i giudici superiori inglesi (i giudici, cioè, della High Court, della
Court of Appeal e della House of Lords) erano nominati dalla Corona su propo-
sta del Lord Chancellor (o nel caso delle corti delle impugnazioni e dei capi delle
corti, formalmente su proposta del ministro).
Da quanto appena detto appare che il Lord Chancellor era, fino al Constitutio-
nal Reform Act del 2005, in pratica il solo incaricato della nomina di tutti i giu-
dici e dunque massimo responsabile per l’ordine giudiziario inglese.
Ma non può sfuggire che la figura del Lord Chancellor se da un lato godeva di
grandissimo prestigio, dall’altro costituiva anche una notevole anomalia nel si-
stema inglese.
Esso infatti, a ben guardare, partecipava di tutte le funzioni di governo, nomina-
va i giudici ed era egli stesso giudice.
Era membro del Governo e dunque una figura squisitamente politica che resta-
va in carica fin quando il gabinetto godeva della fiducia del Parlamento
!
Constitutional Reform Act 2005 e Judicial Appointments
Commission
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Molte di queste anomalie e contraddizioni sono state eliminate dal ricordato
Constitutional Reform Act 2005 che ha anche profondamente riformato il siste-
ma di reclutamento dei giudici.
Per quanto attiene alla figura del Lord Chancellor questi non è più da conside-
rarsi un magistrato e gli vengono sottratte le funzioni giurisdizionali che sono
attribuite al Lord Chief Justice.
Il Lord Chancellor continua tuttavia a svolgere un ruolo importante con riferi-
mento al sistema di reclutamento dei giudici, che avviene secondo il seguente
schema.
Una nuova Judicial Appointments Commission seleziona i candidati per ciascun
posto che si renda vacante presso qualunque corte e comunica la scelta al Lord
Chancellor, il quale, a seconda dei casi, o nomina direttamente la persona scelta
o la raccomanda per la nomina alla Regina.
Il Lord Chancellor non è tuttavia vincolato rigidamente alla volontà della Com-
missione poiché può anche respingere la proposta o chiedere alla Commissione
di riconsiderarla.
La Judicial Appointments Commission è un “Executive Non-Departmental Pu-
blic Body” ed è composta da 15 membri (magistrati, laici e rappresentanti delle
professioni legali) nominati dalla regina su proposta del
Lord Chancellor.
La selezione da parte della Commissione avviene, sempre tra i barristers e i soli-
citors, in base al merito, ma è interessante osservare che il Constitutional Re-
form Act espressamente prevede per la Commissione l’obbligo di prendere in
considerazione anche l’elemento della “diversity” tra le persone che vengono
scelte, e ciò evidentemente per rispondere all’esigenza di una magistratura mag-
giormente rappresentativa delle varie espressioni della società inglese.
Per quanto attiene alle garanzie, il Constitutional Reform Act distingue due casi.
I magistrati di livello inferiore alla High Court possono essere rimossi per inca-
pacità e cattiva condotta dal Lord Chancellor di concerto con il Lord Chief Ju-
stice; i magistrati della High Court e delle corti superiori possono essere rimossi
solo dalla Regina su risoluzione congiunta delle due camere del Parlamento.
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Il numero dei giudici inglesi
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Vi è ancora un dato relativo alla magistratura importante al fine di compren-
derne il funzionamento, che concerne il numero dei giudici.
Tradizionalmente si sottolineava che i giudici inglesi erano di notevole livello
tecnico e… pochi.
L’affermazione resta sostanzialmente valida anche oggi, soprattutto se guardia-
mo ai giudici togati a tempo pieno, che sono poco più di 1000, dei quali solo 150
sono giudici delle corti superiori, quelli cioè che possono considerarsi giudici nel
senso costituzionale del termine.
Inoltre, poiché solo tali giudici, in virtù della pienezza della loro giurisdizione,
sono riconosciuti quali prestigiosi depositari del potere giudiziario, questo risul-
ta essere tutto concentrato a Londra.
Come è possibile questa disparità numerica, considerando che la società inglese
non è meno litigiosa di quella dei Paesi dell’Europa continentale e che le funzioni
attribuite al potere giudiziario sono pressoché corrispondenti?
Si può rispondere che ciò è possibile principalmente per due ordini di motivi:
a. il ricorso, nei secoli, ad organismi alternativi per la soluzione delle controver-
sie sfruttando la partecipazione di giudici laici;
b. la particolare struttura del processo civile, infatti solo poco più dell’1 % delle
cause iniziate annualmente di fronte alle corti ordinarie arriva al trial, ossia al
dibattimento presieduto da un giudice di professione.
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La magistratura laica inglese: i Justices of the Peace
(magistrates)
!
Tra gli strumenti impiegati dai sovrani normanni per amministrare in modo ef-
ficiente il proprio potere vi è la nomina dei commissioners, reclutati tra la picco-
la nobiltà locale di provata fedeltà.
Inizialmente, i loro doveri sono amministrativi e di polizia, ma a partire dal re-
gno di Edoardo III essi assumono i caratteri già ben definiti degli attuali Justices
of the Peace, con compiti sempre più
spiccatamente giurisdizionali.
Il Justice of the Peace (chiamato attualmente magistrate) continua ad essere un
giudice laico nella maggior parte dei casi; solo a Londra e in alcune grandi città
il magistrate è ormai un giudice professionista che prende il nome di stipendiary
magistrate.
A partire dal Constitutional Reform Act del 2005, i magistrates sono nominati
dal Lord Chancellor dopo essere stati selezionati dalla Judical Appointments
Commission e vengono generalmente scelti tra gli abitanti più in vista della con-
tea, e in particolare tra le persone alla fine della proprio regolare attività
lavorativa.
Il numero dei magistrates è piuttosto elevato: circa 30000 in tutta l’Inghilterra.
I magistrates non ricevono compenso, ma possono chiedere un’indennità per il
mancato guadagno.
I magistrates sono laici, tuttavia, a partire dal 1966, per svolgere il loro servizio
sostengono un corso in materie giuridiche e sono comunque sempre assistiti da
funzionari part-time retribuiti (clerks) scelti tra i barristers o, più frequente-
mente, tra i solicitors.
Tutte le cause penali passano al vaglio dei magistrates, o per essere direttamente
decise (e ciò accade all’incirca nel 95 % dei casi, o per essere sottoposte ad una
istruttoria preliminare.
I magistrates si riuniscono, di solito, come collegio di 3 membri e decidono, sia
della colpevolezza sia della pena, a maggioranza; non irrogano di solito pene de-
tentive, ma pene pecuniarie.
Contro le decisioni dei magistrates è possibile proporre appello alla Crown
Court che, quando giudica in grado di impugnazione, non prevede la presenza
della giuria.
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La magistratura laica inglese: gli Special Tribunals
!
Gli special tribunals sono organi giurisdizionali estranei al sistema di corti ordi-
nario, tuttavia molto importanti per il numero (oltre 2000) sia per le competen-
ze.
A questi organi, infatti, il legislatore ha affidato la risoluzione della maggior par-
te delle controversie tra Stato e cittadini, o anche tra privati cittadini che sorga-
no nell’applicazione delle norme costituenti espressione dell’idea di welfare state
(intensa attività legislativa in senso sociale, welfare state, avutasi in
Inghilterra a partire dagli anni tra le due guerre mondiali).
Gli special tribunals sono dunque organi alternativi alle corti ordinarie caratte-
rizzati, rispetto a queste ultime, da maggiore accessibilità, minori costi e minore
durata dei procedimenti.
E’ impossibile un inquadramento sistematico degli special tribunals esistenti:
ciascuno ha caratteristiche sue proprie in quanto a composizione (di norma un
presidente e due membri), al rapporto fra giuristi (di norma il presidente è giu-
rista), esperti e laici, rappresentanti di categorie contrapposte; quanto a proce-
dura, posizione e ruolo delle parti e del giudice, quante impugnazioni, tipo e
pregnanza del controllo delle corti ordinarie; quanto a stile, divulgazione e auto-
rità delle decisioni.
Quello che tuttavia è certo, è che si tratti di organi giurisdizionali che devono
ispirarsi ai principi di openness, fairness, impartiality (trasparenza, onestà, im-
parzialità).
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Il modello adversary di processo civile nella giurisprudenza
inglese
!
La netta distinzione in due fasi costituisce senz’altro una delle caratteristiche
evidenti del processo civile.
La distinzione tra pre-trial e trial, ossia fra fase pre-dibattimentale e dibattimen-
to, è fondamentale per comprendere la natura e il funzionamento del processo
adversary.
Il pre-trial, che inizia con le primissime battute del processo e si conclude con
l’avvio del dibattimento, è la fase in cui gli avvocati delle parti hanno la più am-
pia possibilità di dimostrare la propria abilità ed esperienza nella condizione
della causa.
In questa fase “the case is in the hands of the parties” e sono rarissimi gli inter-
venti del giudice.
Le funzioni fondamentali del pre-trial sono essenzialmente tre:
!
a. la preparazione della causa per il dibattimento: si intendono tutti gli atti che
vanno dalla proposizione della domanda all’udienza ove si danno le ultime di-
sposizioni per il trial; inoltre si scambiano i pleadings (ora statements of case),
ossia le memorie attraverso cui le parti definiscono con chiarezza e precisione le
questioni realmente controverse, così che sono queste saranno decise dalla corte;
si svolge inoltre un altro momento caratterizzante il processo civile adversary, la
discovery (ora discolsure), che consiste nello scambio di elementi che possano co-
stituire prove per il dibattimento;
!
b. la decisione della causa senza dibattimento: la fase pre-dibattimentale offre,
inoltre, alla parte numerosi strumenti procedurali intesi a definire la controver-
sia evitando il dibattimento, e tali strumenti si rivelano particolarmente impor-
tanti e incisivi se si pensa che le actions tried rappresentano solo l’1-1,5 % di tut-
te le azioni proposte; tra i meccanismi che possono condurre alla soluzione del
processo senza giungere al trial
sono di particolare interesse:
i. la transazione giudiziale;
ii. il “payment into court”, nelle azioni a contenuto pecuniario, il convenuto può,
senza ammettere la propria responsabilità, depositare presso la corte una som-
ma di denaro a soddisfazione della pretesa dell’attore;
iii. il “default judgment”, si riferisce alla sanzione per la mancata osservanza
degli adempimenti richiesti da una norma o da un provvedimento del giudice;
può essere pronunciato anche semplicemente contro la parte che ha omesso di
dichiarare la propria intenzione di difendersi in giudizio oppure non ha notifica-
to un atto difensivo (insomma la contumacia costituisce presunzione di colpevo-
lezza);
!
c. l’adozione di provvedimenti provvisori e cautelari in attesa del dibattimento:
la fase pre-dibattimentale offre altresì alle parti la possibilità di ottenere alcuni
importanti provvedimenti di carattere provvisorio; in particolare è possibile
chiedere al giudice l’emanazione di una interlocutory injunction volta ad ottene-
re una tutela rapida e immediata o tendente ad assicurare lo status quo ante; co-
stituisce generalmente un ordine di non fare ed è un provvedimento che trova
origine nell’equity, e rientra dunque nel potere discrezionale del
giudice.
Il trial è il dibattimento, caratterizzato da quell’oralità, concentrazione e imme-
diatezza tipici del processo civile adversary.
Le prove vengono infatti assunte oralmente davanti al giudice nel dibattimento e
le regole che disciplinano l’assunzione delle prove sono ancora piuttosto rigoro-
se.
E’ per questo che si parla di “presenza morale” della giuria.
Il dibattimento, in cui si attua l’interrogatorio e il controinterrogatorio dei te-
stimoni, si dice concentrato perché tende a risolversi in una sola udienza o in più
udienze in stretta successione tra loro.
Infine, secondo il modello classico dell’adversary system, la distribuzione dei po-
teri tra giudice e parti risponde a un’idea del processo come libero scontro tra
contendenti che, nel rispetto delle regole, si sfidano davanti a un giudice passivo.
Corollari di questa idea di processo sono i due principi della party-presentation
e pary-prosecution.
In base al primo, spetta in via elusiva alle parti il potere di andare alla ricerca
delle prove ed allegarle a confronto dei fatti affermati.
In base a secondo, sono le parti ad iniziare un procedimento fissandone l’ogge-
tto, e a farlo proseguire fino alla sua conclusine.
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Le riforme recenti delle giustizia civile inglese (1990-1999)
!
A fronte di una situazione che vedeva una crisi piuttosto profonda della giustizia
civile, si è andato affermando in Inghilterra, a partire dai primi anni ’90, un
movimento riformatore inteso a rendere il sistema di amministrazione della giu-
stizia più economico, efficiente e accessibile.
Innanzi tutto, nel 1990 viene adottato il Cours and Legal Services Act che rompe
il monopolio dei barristers per ciò che attiene al patrocinio presso le corti supe-
riori, e dunque rende possibile una diminuzione dei costi del processo.
Nel 1991 viene poi adottato il County courts jurisdiction Order che, ampliando
la competenza delle conuty courts, produce un notevole alleggerimento del lavo-
ro della High Court e di conseguenza un importante semplificazione, poiché la
procedura presso le county courts è più rapida e meno complessa.
Sono dunque gli eccessivi costi, tempi e complessità procedurali, che derivano da
un’esasperata cultura adversary delle parti e dei loro avvocati, la causa princi-
pale dei mali della giustizia civile inglese.
In particolare, il criticato approccio esasperatamente adversary si manifesta so-
prattutto nella fase pre-trial, ove gli avvocati, in assenza del controllo del giudi-
ce, cercano di sfruttare a proprio vantaggio tutte le possibilità offerte dalla pro-
cedura.
Per questi motivi è parso dunque necessario un radicale cambiamento di pro-
spettiva e di cultura del processo, che ha condotto all’idea del case management.
Secondo tale idea il giudice deve svolgere un ruolo “attivo” in tutte le fasi del
processo.
In particolare, vengono individuate diverse corsie processuali (tracks) in rela-
zione al valore e alla complessità della causa:
!
a. small claims track: riservata alle controversie di valore inferiore alle £ 5000
che prevede una procedura estremamente informale presso le county courts;
!
b. fast track: riservata alle controversie di valore compreso tra le £ 5000 e le £
15000 ma non particolarmente complesse dal punto di vista del diritto, che pre-
vede una discovery semplificata sotto lo stretto controllo del giudice;
!
c. multi treck: riservata alle controversie di valore superiore alle £ 15000 o co-
munque particolarmente complesse che prevede una procedura simile a quella
tradizionale, tuttavia il giudice svolge un ruolo più attivo.
L’Access Justice Act del 1999 ha tra gli obiettivi quello di facilitare l’accesso alla
giustizia e favorire una rapida conclusione di tutte le questioni dinnanzi alla cor-
te, avvenga essa per conciliazione, per rinvio a forme alternative di risoluzione, o
per disposizione sommaria da parte di un giudice diventato certamente più atti-
vo.
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Le fonti del diritto
!
I testi inglesi in tema di fonti del diritto configurano un’impostazione gerarchica
che non pare a prima vista molto diversa da quella continentale.
Vi si trovano infatti elencate la Costituzione, il diritto comunitario, la legge, i
precedenti e la consuetudine.
A ben guardare, tuttavia, le differenze sono profonde a partire dall’idea stessa di
Costituzione.
Nel panorama del costituzionalismo moderno, contrassegnato da documenti
scritti che non risalgono mai al di là dell’epoca delle rivoluzioni americana e
francese, il Regno Unito fa infatti eccezione sotto un duplice profilo: da un lato
presenta vari atti normativi solenni di età remota, quali la Magna Charta del
1215, il Bill of rights del 1688, l’Act of Settlement del 1701; dall’altro ancora
oggi nel Regno Unito non è presente una Costituzione intesa come documento
scritto di rango superiore alla legge ordinaria del Parlamento.
Esiste tuttavia un “diritto costituzionale”, un insieme di regole che disciplinano i
rapporti dello Stato e contribuiscono a definire la forma di governo, ricavabili
da atti di varia epoca e da fondamentali convenzioni.
Non esiste dunque nel Regno Unito alcuna “legge superiore” e non è ammissibile
nessun controllo giurisdizionale di costituzionalità, ma vige invece il principio
della supremazia del Parlamento.
In questo quadro si inserisce lo Human Rights Act del 1998, una notevole legge
in materia costituzionale cha ha posto fine a un lungo dibattito sul ruolo della
Convenzione Europea per la Salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà
Fondamentali, ratificata dall’Inghilterra fin dal 1951.
Lo Human Rights Act, che consente finalmente l’ingresso della Convenzione nel
diritto inglese ammettendo la tutela di alcuni diritti previsti dalla Convenzione
da parte delle stesse corti inglesi, è di particolare interesse se parliamo di gerar-
chia delle fonti e quindi di controllo di costituzionalità.
L’Act prevede infatti che tutte le disposizioni legislative (passate e future) siano
lette e applicate in conformità alla Convenzione, e inoltre attribuisce ai giudici,
in caso di contrasto tra la legge interna e la Convenzione stessa, il potere di pro-
nunciare una “dichiarazione di incompatibilità”.
Tale dichiarazione può costituire una novità di grande rilievo nell’ambito dei
rapporti tra potere giudiziario e potere legislativo.
Per cercare dunque di cogliere cosa ha distinto, e forse ancora distingue, la
common law, che si afferma come abbiamo visto, nel corso di una ininterrotta
storia i cui principali protagonisti sono i giudici, dagli ordinamenti dell’Europa
continentale, dominati, a partire dalla rivoluzione francese, da un legislatore
codificatore centralizzato e forte, è bene prendere le mosse dalla giurisprudenza.
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Il principio Stare Decisis nella giurisprudenza inglese
!
La prassi secondo cui casi analoghi devono essere decisi in modo analogo, incar-
na un principio di giustizia riconosciuto e applicato all’interno di tutta la tradi-
zione giuridica occidentale poiché rispondente ad esigenze e idee condivise quali
la certezza del diritto, la prevedibilità delle decisioni, la parità di trattamento.
Ciò che invece è peculiare dei sistemi di common law è la doctrine of binding
precedent, ossia la regola secondo la quale i precedenti giudiziari sono vincolanti
e devono quindi essere seguiti per i successivi casi
simili.
Nella sua accezione più rigida, tale regola indica l’obbligo per il giudice chiama-
to a decidere una controversia, di non discostarsi dal precedente scaturito dalla
decisione di un caso analogo anche nell’ipotesi in cui dovesse considerare detta
decisione sbagliata o ingiusta.
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Inasprimento della regola Stare Decisis nel diritto inglese
!
Il diritto inglese è, nelle sue stesse origini, un diritto giurisprudenziale: è case
law.
Quindi l’obbligo di attenersi alle norme che sono poste dai giudici e di rispettare
i precedenti giudiziari è nella logica stessa di un diritto giurisprudenziale.
Solo dopo la prima metà del XIX secolo, la regola del precedente vincolante si
impone in modo rigoroso.
Prima di quel momento le corti si sono preoccupate di dare coesione alla giuri-
sprudenza sforzandosi di guardare a ciò che è stato giudicato in precedenza, ma
per lungo tempo non si è mai posto il principio dell’obbligo di seguire i prece-
denti.
Anzi, fino al XV secolo la forza vincolante del precedente è dibattuta e, in fondo,
respinta.
La teoria del precedente è dunque antica, ma la rigida affermazione del princi-
pio stare decisis è invece relativamente recente.
Ponendo la case law nell’ampio contesto che le è proprio, si possono meglio
comprendere le cause che conducono, nella seconda metà del XIX secolo, a quel-
l’irrigidimento della regola dello stare decisis cui si è accennato.
Tra le varie cause, un posto di spicco spetta senz’altro alle importantissime ri-
forme dell’amministrazione della giustizia introdotte dai Judicature Acts (1873-
1875).
Nello stesso periodo si va inoltre perfezionando in Inghilterra il sistema di reper-
toriazione delle sentenze.
Nel 1865 viene infatti istituito un organo semi-ufficiale: l’Incorporated Council
of law reporting, che inizia la razionalizzazione delle raccolte inglesi e la compi-
lazione dei Law Reports, contenenti una selezione dei più importanti casi decisi
dalle corti superiori.
Insieme alle ragioni di ordine tecnico, deve essere considerato anche un dato cul-
turale di ordine generale: nell’XIX secolo si impone nel mondo occidentale una
concezione scientifica delle discipline sociali.
Nell’Europa continentale questa spinta si concretizza nei codici; in Inghilterra
l’idea della codificazione non riesce ad attecchire, essendo troppo distante dalla
concezione della common law come diritto giurisprudenziale.
Ma l’esigenza di dare un assetto sistematico e coerente al diritto riesce comun-
que a trovare la sua strada e si manifesta nell’irrigidimento della doctrine of
precedent.
Infine, nel XIX secolo, si consolida in Inghilterra la teoria secondo sui il prece-
dente giudiziale è giuridicamente vincolante in modo assoluto, in quanto ciò che
viene enunciato nella decisione precedente non è l’opinione di un giudice più an-
tico, ma la verbalizzazione di una regola di diritto consuetudinario
positivo.
Si afferma così la teoria dichiarativa del precedente giudiziario.
E’ importante sottolineare come l’elaborazione della regola non ha mai rappre-
sentato il frutto di una eteroimposizione nei confronti del potere giudiziario, il
vincolo del rispetto del precedente non è previsto in alcun
atto legislativo, emergendo piuttosto da una scelta degli stessi giudici.
!
Teoria e prassi della regola Stare Decisis
!
Le definizioni classiche della regola sono apparentemente semplici: “secondo la
regola inglese del precedente, una corte è tenuta a seguire tutti i casi decisi da
una corte ad essa superiore nella gerarchia, e le corti in grado di impugnazione
(tranne la House of Lords) sono vincolate al rispetto delle proprie decisioni
precedenti”.
Per comprendere però il concreto significato della regola stare decisis e il suo ef-
fettivo funzionamento, e quindi i vari strumenti a disposizione del giudice per
eluderla, è utile da un lato avere presente l’organizzazione giudiziaria inglese in
cui si collega la distinzione tra operatività verticale ed orizzontale della regola, e
dall’altro la distinzione tra ratio decidendi e obiter dictum:
!
Operatività verticale ed orizzontale della regola del precedente
In modo molto schematico si ricorda che il primo grado di giudizio, per le cause
civili di scarso valore economico e per i reati di minore allarme sociale, si svolge
rispettivamente presso le county courts e le magistrate’s courts; la competenza
generale in prima istanza è attribuita alla High Court in materia civile e
alla Crown Court in materia penale; il secondo grado di giudizio si svolge presso
la Court of Appeal; e la House of Lords, ora Supreme Court, rappresenta la
massima istanza.
Per i giudici inferiori, la regola del precedente, è un corollario della gerarchia
delle corti; i giudici superiori trovano invece nella dottrina del precedente in
senso orizzontale un modo per perpetuare nel tempo la propria influenza, eserci-
tando così la funzione nomofilattica.
!
Cominciamo dalla giurisdizione più elevata nella gerarchia.
!
La House of Lords deve ormai rispettare le decisioni della Corte di Giustizia eu-
ropea, ma vincola tutte le corti inferiori, a meno che la sua pronuncia non sia
“abrogata” da una legge successiva o sia stata emessa per incuriam, cioè omet-
tendo di osservare una contraria norma di legge o un diverso precedente.
Inoltre, fino al 1966, era sottoposta anche all’osservanza di propri precedenti.
In quell’anno, tuttavia, la House of Lords ha annunciato, in una dichiarazione
stragiudiziale, nota come “Practice Statement”, che per il futuro non si sarebbe
più sentita vincolata ai propri precedenti quando ciò fosse apparso conveniente
ai fini di giustizia.
Anche se la House of Lords si è servita molto cautamente del potere attribuitasi
con il Practice Statement, questo riveste una considerevole importanza in quanto
legittima formalmente la concezione secondo la quale i giudici svolgono un ruolo
notevole nella creazione de diritto, con ciò superando in maniera aperta la teoria
dichiarativa della common law.
Le decisioni della Court of Appeal vincolano tutte le corti inferiori e dunque la
regola stare decisis opera efficacemente in senso verticale, mentre l’operatività
della regola in senso orizzontale è stata oggetto di discussioni.
La Court of Appeal ha infine affrontato il problema con la nota sentenza Young
v. Bristol Aeroplane Co. del 1944, ove afferma che essa vincola anche se stessa,
con tre eccezioni, che si sono rivelate di portata piuttosto
ampia: “(1) la corte ha facoltà di decidere a quale di due sentenze in conflitto, da
essa stessa emesse, si atterrà; (2) la corte ha l’obbligo di rifiutare di attenersi ad
una sentenza da essa stessa emessa, la quale non sia, a suo parere, compatibile
con una sentenza della House of Lords; (3) la corte non ha l’obbligo di
attenersi ad una sentenza da essa stessa emessa se si accerta che detta sentenza
era stata pronunciata per incuriam”.
La High Court vincola solo le corti inferiori, mentre le decisioni di queste ultime
non vincolano alcuno e non hanno nemmeno efficacia persuasiva considerando
anche che, non essendo incluse nei Reports, non sono facilmente reperibili.
!
La distinzione tra ratio decidendi e obiter dictum
!
Al fine di comprendere le possibilità di manovra dei giudici rispetto ad un pre-
cedente vincolante, è importante la distinzione tra ratio decidendi e obiter dic-
tum.
Ciò che vincola il giudice successivo non è l’intera decisione, ma solo la sua ratio
decidendi, ossia la regola giuridica legata ai fatti rilevanti de caso.
L’applicazione della ratio ad un caso futuro avviene attraverso un processo, in
senso lato, analogico.
Se il giudice successivo considera i fatti ad un livello di estrema concretezza dif-
ficilmente la ratio potrà essere estesa, poiché è sempre possibile trovare elementi
divergenti tra la situazione passata e quella presente: l’interpretazione sarà re-
strittiva.
Se invece i fatti vengono ricostruiti ad un alto livello di astrazione in essi potran-
no essere classificati un gran numero di fattispecie concrete e quindi la ratio po-
trà avere un’interpretazione estensiva.
L’individuazione delle somiglianze e delle differenze nei fatti essenziali è dunque
un momento chiave dell’evoluzione della regola di common law.
Non esistono metodi sicuri per determinare la ratio di un caso.
Assai spesso è presente un elemento di incertezza ove si esplica la discrezionalità
dell’interprete ed è proprio tale discrezionalità che permette alla dottrina del
precedente vincolante di sopravvivere in modo efficiente.
L’espressione obiter dictum può essere spiegata con una definizione di carattere
negativo: obiter dictum è ciò che non rientra nella ratio nel caso, è il commento
incidentale fatto dal giudice, che non risulta necessario per la definizione della
controversia.
La sentenza è formata dalle singole opinioni dei giudici che compongono l’orga-
no collegiale.
Le varie opinioni separate possono concordare tra di loro interamente o solo sul
risultato della decisione e non sui motivi, e in questo caso di parla di opinioni
concorrenti; le opinioni separate possono anche essere in disaccordo sia rispetto
al judgment sia rispetto al reasoning e allora si parla di opinioni dissenzienti.
!
Distinguishing e overruling nel diritto inglese
!
Se la presenza di più opinioni concorrenti rende spesso assai difficile la determi-
nazione della ratio decidendi, l’opinione dissenziente costituisce senz’altro un
obiter dictum.
Una decisione in cui sono presenti numerose opinioni concorrenti, o addirittura
dissenzienti, ha senz’altro un’autorità minore rispetto ad una decisione unani-
me.
Nella prima ipotesi il giudice successivo si sentirà più libero di operare un di-
stinguishing rispetto alla seconda ipotesi, in cui il peso del precedente è senz’al-
tro maggiore.
Anche l’”età” del precedente può in qualche misura incidere sulla sua forza: sia
l’eccessiva anzianità che l’eccessiva giovinezza indeboliscono il precedente, che
nel primo caso rischia di non essere più in sintonia con il comune sentire e dun-
que obsoleto, mentre nel secondo manca di quelle conferme ripetute che
contribuiscono ad intensificare il suo valore.
Diversa dalla tecnica del distinguishing è la nozione di overruling, la quale indi-
ca l’abrogazione della regola giurisprudenziale vincolante e in particolare indica
il potere riconosciuto ad una corte di discostarsi da un precedente non altrimenti
distinguibile.
L’overruling segue l’operatività del precedente nella gerarchia delle corti.
Così, nella prospettiva verticale, le corti superiori possono overrule i precedenti
delle corti inferiori, mentre, nella prospettiva orizzontale, solo la House of
Lords, a partire dal 1966, può overrule i suoi stessi precedenti.
L’overruling di un precedente ha efficacia retroattiva, opera cioè dalla data del
precedente annullato.
Questa impostazione costituisce un corollario della teoria dichiarativa della
common law: l’overruling non è il semplice cambiamento di una regola, ma è,
nella prospettiva di un giudice che non crea diritto ma lo copre di una tradizione
preesistente, la correzione di un errore che è sempre stato tale.
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Anticipatory Overruling e il Prospective Overruling
!
Fra le tecniche di manipolazione del precedente sono da ricordare l’anticipatory
overruling e il prospettive overruling.
Nel primo caso una corte inferiore si sottrae al rispetto del precedente di una
corte superiore quando risulti ragionevolmente certo essa stessa non seguirà più
quel particolare precedente; questa tecnica consente, in
pratica, ai giudici inferiori di anticipare la futura decisione abrogativa di un
precedente ormai obsoleto che ci si attende dalla corte superiore.
Lo scopo del prospective overruling è, invece, quello di abrogare il precedente
limitando l’effetto retroattivo di tale abrogazione.
Seguendo questa tecnica, il giudice decide il caso di specie attenendosi al prece-
dente vincolante, ma la regola da questo posta, ritenuta superata, viene modifi-
cata per tutti i casi che si presenteranno in futuro.
Insomma la teoria inglese afferma che il precedente è strettamente vincolante
non solo in senso verticale, ma anche in senso orizzontale, poi però intuiscono le
possibilità che le tecniche del distinguishing e dell’overruling offrono al giudice
per allontanarsi da un precedente sgradito e che gli permettono di mediare
le esigenze di certezza e flessibilità interne al sistema.
Quello inglese è un sistema di case law, ove le sentenze dei giudici hanno con-
temporaneamente la funzione di dirimere la controversia concreta e di creare
regole di diritto oggettivo valide per il futuro.
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Rapporto tra legge e giurisprudenza nel diritto inglese
!
Con il Bill of Rights del 1688 viene consacrato il principio della supremazia del
Parlamento secondo cui depositario del potere legislativo è “the King in Parlia-
ment”, ossia un organo complesso costituito dalla House of Common, dalla Hou-
se of Lords e dal Sovrano.
Ciò porta a collocare senz’altro la legge al primo posto nella gerarchia delle fon-
ti.
Benché la legge abbia una posizione di rilievo in tutta la storia del diritto inglese,
per quasi un secolo e mezzo, dopo il 1688, il Parlamento si astiene dal legiferare
nelle materie di prevalente interesse delle corti, e lascia che la common law si
sviluppi indisturbata.
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L’aumento della produzione legislativa nel diritto inglese del
XIX secolo
!
Con l’inizio del XIX secolo, il Parlamento intraprende una consistente attività
legislativa, volta in gran parte a eliminare alcune delle caratteristiche più anti-
quate della common law.
Il diritto comincia ad identificarsi con la volontà del legislatore e numerose ri-
forme, che giungono a mutare alcuni dei fondamenti secolari della common law,
sono attuate attraverso gli Act del Parlamento.
Infine, con l’inizio del XX secolo, la common law entra “in the age of statutes”
ed è soprattutto nel secondo dopoguerra, al tempo della edificazione del welfare
states, che può collocarsi la massima fioritura della legislazione inglese.
Sempre per comprendere l’importanza e la posizione della legge tra le fonti del
diritto, è utile ricordare che se il giudice inglese prende una decisione senza
prendere in considerazione una disposizione rilevante, tale circostanza è motivo
di appello, e quel precedente non si considera vincolante in quanto emesso per
incuriam.
Apparentemente, dunque, il ruolo della legge nell’ambito delle finti del diritto
inglese è chiaro: gli statutes, quantitativamente e qualitativamente ormai rile-
vantissimi, sono da porsi al vertice della gerarchia.
Tuttavia, per quanto concerne il rapporto tra legge e giurisprudenza, vi è una
certa discrasia tra le declamazioni teoriche e la realtà concreta.
Non si può infatti non ricordare che la common law nasce e si afferma come di-
ritto giurisprudenziale.
Allora, a fianco alla supremazia formale della legge, si percepisce una sua infe-
riorità sostanziale rispetto alla common law.
Nonostante l’enorme produzione legislativa, la parte più fondamentale del dirit-
to inglese resta la common law.
Nessuno statute, per esempio, prescrive ancora in termini generali che un uomo
debba pagare i suoi debiti, adempiere le sue obbligazioni contrattuali o pagare i
danni: gli statutes presuppongono l’esistenza della common law.
Pur prevalendo sulle altre fonti, la legge vive concretamente nei limiti che le sen-
tenze le assicurano.
Naturalmente, il rispetto della legge si impone sempre a giudici, amministratori
e cittadini, tuttavia lo stature assume vitalità solo quando è applicato dalle corti:
lo statute entra nel circuito giurisprudenziale e da questo viene assorbito.
Ed infatti, la sentenza che interpreta lo statute è un precedente vincolante: se
tale precedente è errato o inadeguato, esso potrà essere rimosso o da un giudice
superiore attraverso l’overruling o da una legge del Parlamento.
Un’altra considerazione può giustificare, almeno in parte il permanere di una
certa prevalenza del diritto giurisprudenziale su quello legislativo.
Bisogna infatti considerare che il Parlamento si cautela lasciando poco spazio
all’interpretazione del giudice, poiché non impiega clausole ampie, ma piuttosto
cura una formulazione puntigliosa, analitica e casistica delle proprie disposizio-
ni.
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Caratteristiche dello stile legislativo inglese
!
Caratteristiche dello stile legislativo inglese è confermata dalla circostanza per
cui ogni statute contiene una sezione finale in cui il medesimo legislatore fornisce
l’interpretazione autentica dei principali termini usati.
Infine, non si può non tener conto di eventi recenti che tornano ad esaltare il
ruolo e la funzione del giudice, pur in presenza del principio della supremazia
del Parlamento.
Ma oggi è certo, in Inghilterra come nel resto dell’UE, che il giudice può disap-
plicare le leggi nazionali contrastanti con le norme comunitarie.
Ma c’è di più: nell’ottobre del 2000 è entrato in vigore lo Human Rights Act che
è stato definito come la più significativa redistribuzione di potere politico in
Gran Bretagna dal 1688.
Questa legge dà effetto a molte norme della Convenzione Europea per la Salva-
guardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà Fondamentali prevedendo che al-
cuni diritti, tutelati dalla Convenzione, siano direttamente giustiziabili presso le
corti inglesi.
Due sono le indicazioni che lo Human Rights Act dà ai giudici.
In primo luogo, le leggi inglesi devono essere interpretate in modo da essere
compatibili con i diritti tutelati dalla Convenzione; in secondo luogo, attribuisce
ai giudici superiori il potere di emettere una dichiarazione di incompatibilità:
sarà il Governo a dover decidere se introdurre una legge che modifichi la norma
dichiarata incompatibile.
!
La codificazione della Common Law
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Il pensiero auspicante una codificazione generale della common law non fa presa
in Inghilterra, tuttavia l’idea di codificazione non è estranea a questo ordina-
mento.
Innanzi tutto, alcune importanti leggi hanno innovato grandi parti del diritto so-
stanziale, pur se in modo settoriale.
Ma è in materia processuale che si può osservare l’esplicazione più compiuta
dell’esperienza di codificazione inglese.
Ciò che continua a distinguere la tradizione di common law attiene all’atteggia-
mento rispetto al codice.
In particolare, i common lawyers con condividono l’idea che il codice rappresen-
ti quella cesura con il passato, né condividono l’idea di completezza di esso e del-
la sua centralità che hanno per lunghissimo tempo caratterizzato l’esperienza di
civil law.
Per favorire la razionalizzazione della common law, e per certi aspetti anche la
sua codificazione, è stata istituita nel 1965 la Law Commission, i cui compiti
sono: tenere sotto controllo tutto il diritto di loro competenza, cosicché possa at-
tuarsi uno sviluppo sistematico e una riforma, inclusa in particolare la
codificazione di detto diritto, l’eliminazione di anomalie, la soppressione di di-
sposizioni obsolete e superflue e in genere la semplificazione e modernizzazione
del diritto.
Pur funzionando ormai da 40 anni, non pare tuttavia che la Law Commission sia
riuscita a superare le resistenze politiche e culturali necessarie a promuovere la
progressiva codificazione della common law.
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Interpretazione della legge nel diritto inglese: literal rule,
golden rule e l'influenza del diritto comunitario
!
Rispetto a leggi ricchissime di dettagli e redatte molto spesso in maniera prolissa
e pedante, l’interprete inglese dichiara la propria fedeltà assoluta al testo e da
sempre si limita ad una interpretazione restrittiva.
La principale regola che rispecchia l’approccio interpretativo ermeneutico re-
strittivo è la literal rule, secondo la quale l’interprete deve innanzi tutto attribui-
re ad una determinata disposizione il senso reso
palese dal tenore letterale delle parole.
Questo atteggiamento riesce ad esprimere ossequio verso il principio della su-
premazia della legge e contemporaneamente testimonia del carattere eccezionale
della legge, che quindi va affermata nei limiti dei
suoi termini.
Altri due criteri ermeneutici affiancano quello letterale venendo però in rilievo
solo qualora attraverso quest’ultimo non sia possibile giungere ad un risultato
soddisfacente.
Il giudice, laddove il linguaggio utilizzato dal legislatore non sia univoco, può far
ricorso alla golden rule, che consente di discostarsi dal significato più naturale
della norma se questo porti ad esiti assurdi e di scegliere, invece, il significato
che conduca ad un risultato ragionevole.
Nell’ipotesi in cui neppure tale metodo consenta di raggiungere un risultato ac-
cettabile, il giudice può ricorrere alla mischief rule, della anche regola dello
Heydon’s case (un noto precedente del 1584), che ammette di interpretare la
norma in modo tale da rimuovere effettivamente la specifica carenza che aveva
spinto il legislatore ad emanare quella legge.
Consente quindi di cercare lo scopo della norma.
Ma dove può guardare il giudice in questa sua opera di ricerca?
Mentre la risposta tradizionale escludeva il ricorso ai lavori preparatori, a parti-
re da una importante decisione del 1992 tale ricorso è invece ammesso.
E’ soprattutto il contatto con il diritto comunitario che ha portato l’approccio
del giudice inglese rispetto agli statutes ad allontanarsi dai canoni ermeneutici
classici.
Con l’ingresso della Gran Bretagna nella CE, nel 1972, infatti, le corti inglesi
sono chiamate ad applicare atti normativi non provenienti dal loro Parlamento e
redatti con una tecnica diversa da quella loro familiare.
Vi sono, infine, alcune presunzioni, impiegate dalle corti inglesi per interpretare
i testi legislativi.
Le più note: le leggi penali debbono interpretarsi in senso favorevole all’imputa-
to, si deve presumere che il Parlamento non intenda limitare le libertà individua-
li, si deve presumere che il Parlamento non intenda limitare i “property rights”,
le leggi fiscali devono essere interpretate in modo restrittivo, ecc…
Le presunzioni non fanno che rispecchiare il principio della protezione di alcuni
diritti fondamentali: “life, liberty and property”.
!
Valore della consuetudine nel diritto inglese
!
Insieme alla giurisprudenza e alla legge è ricordata tra le fonti del diritto anche
la consuetudine, che svolge ormai un ruolo assai limitato nell’ordinamento ingle-
se, ove il carattere di “consuetudine immemorabile” è posto come condizione per
la sua efficacia.
Con questa espressione si intende che la consuetudine può dirsi vigente solo se si
può provare che essa è stata ininterrottamente osservata fin da epoca anteriore
al 1189, il che risulta in pratica molto arduo se non
impossibile.
Quello che è piuttosto utile ancora una volta ribadire è che il diritto inglese non è
un diritto consuetudinario.
L’idea di un giudice che trova la soluzione dei casi nella consuetudine immemo-
rabile del regno, su cui si fonda la teoria dichiarativa della common law, non è
altro che una finzione volta principalmente a mascherare il ruolo creativo delle
corti.
!
Il ruolo della dottrina nel diritto inglese
!
Si chiude il breve discorso in tema di fonti dicendo che i signori del diritto in In-
ghilterra sono i pratici: giudici ed avvocati.
L’altra faccia di questa medaglia attiene allo scarso rilievo della dottrina.
In Inghilterra le università svolgono un ruolo quasi inesistente nella formazione
de giurista, che avviene invece presso le Inns of Courts.
Ma è da ricordare che l’Inghilterra è il Paese nel quale alcune opere di dottrina,
ancorché spesso scritte da giudici, sono state qualificate “books of autority”.
E soprattutto l’evoluzione recente mostra come l’università svolge ormai un ruo-
lo fondamentale nell’educazione del giurista anche in Inghilterra.
Infine, deve essere ancora una volta richiamato il notevole aumento della produ-
zione legislativa, il quale contribuisce a valorizzare il ruolo della dottrina.
Lo stile degli statutes inglesi richiede, infatti, l’opera di chiarificazione e sistema-
tizzazione della dottrina, soprattutto nei settori nei quali la common law non of-
fre schemi concettuali adeguati.
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La Common Law negli Stati Uniti
!
“Il diritto degli Stati Uniti è, come quello inglese, un diritto essenzialmente giuri-
sprudenziale.
Questa affermazione, che è senz’altro vera se si considerano la struttura del di-
ritto e la stessa nozione di regola giuridica, solleva invece qualche riserva allor-
ché si guarda l’importanza che hanno rispettivamente, nel diritto odierno, la le-
gislazione e la giurisprudenza”.
In via preliminare si osserva infatti da un lato la presenza di una Costituzione
scritta, che pone una forma di Stato federale da cui discende la distinzione tra
leggi statali e federali e che prevede inoltre un sistema giudiziario nazionale a
fianco di quello dei singoli Stati; dall’altro bisogna avere presente sia il relati-
vamente recente aumento della produzione legislativa, sia l’importanza delle law
schools.
E’ inevitabile prendere lo spunto dalla Costituzione de 1787, la cui importanza si
riflette su ogni aspetto del diritto americano.
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La ricezione della Common Law nelle colonie e l’indipendenza
americana
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I primi insediamenti inglesi nel continente nord americano risalgono agli inizi
del XVII secolo.
Quale diritto si applica nelle colonie?
Il noto Calvin’s case del 1608 offre una risposta in fondo poco soddisfacente: “la
common law inglese è applicabile nella misura in cui le sue regole siano appro-
priate alle condizioni di vita che regnano nelle colonie stesse”.
L’eccezione, infatti, si rivela più importante del principio generale: se si conside-
ra l’alto tecnicismo della common law e si considera che la sua affermazione è
legata all’opera di un ceto di giuristi altamente
sofisticato, si comprende facilmente come la sua applicazione sia sostanzialmente
improbabile.
Il quadro appena accennato lentamente muta e, all’inizio del XVIII secolo, la
common law comincia a farsi strada.
Verso la metà del XVIII secolo si afferma, quale reazione all’imperialismo ingle-
se, il movimento per l’indipendenza, e quanto nelle colonie la situazione sia
cambiata con riferimento all’élite politica e culturale è provato dal fatto che
molti dei 56 firmatari della Dichiarazione d’Indipendenza sono giuristi.
Ma quel che è importante è che nella Dichiarazione d’Indipendenza si manifesta
in modo chiaro l’intenzione dei padri fondatori di dotare la nuova nazione di
ideali universali imperniati sul riconoscimento e sul rispetto delle libertà fonda-
mentali.
Le 13 colonie, staccandosi dalla madrepatria, sono diventate Stati sovrani.
Ma dopo la guerra d’indipendenza, nel 1781, è ormai evidente la convenienza di
stabilire un’unione
permanente che duri anche in tempo di pace.
Ecco dunque che si elaborano gli Articles of Confederation, approvati nel 1781 e
ratificati nel 1782.
Gli Articles riconoscono la piena sovranità degli Stati membri dell’Unione, sot-
traendo loro solo quei poteri politici che vengono attribuiti espressamente al
Congresso degli Stati Uniti, composto da un rappresentante per ciascuno Stato.
L’Unione nasce tuttavia piuttosto debole, principalmente perché al Congresso
non sono stati dati poteri sufficienti e strumenti efficaci per costringere i singoli
Stati al rispetto dei doveri confederali.
In questa situazione un gruppo di lungimiranti uomini politici decide di convo-
care, nel 1787, una Convenzione a Philadelphia.
Scopo della Convenzione è di trasformare e rafforzare l’Unione prevista dagli
Articles of Confederation.
La Convenzione di Philadelphia redige in breve tempo un progetto di Costitu-
zione che viene sottoposto al voto degli Stati per la ratifica, che avviene, Stato
per Stato, tra la fine del 1787 e l’inizio del 1788.
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L’importanza della Costituzione e del Bill of Rights
!
“Il pensiero giuridico domina gli Stati Uniti ad un livello straordinario.
Ogni atto del Governo, ogni legge passata dal Congresso, ogni atto ratificato dal
Senato, ogni ordine del Presidente è analizzato alla luce di considerazioni giuri-
diche e sottoposto ai rischi della sfida giudiziaria.
Nessun altro Paese del mondo conferisce al giudiziario un potere paragonabile a
quello che gli è conferito negli Stati Uniti”.
Questi sono i motivi che spingono ad assumere, quale punto di partenza per lo
studio del diritto americano, la Costituzione.
La Costituzione americana è il risultato di un compromesso che riflette le note-
voli tensioni tra i federalisti e gli anti-federalisti.
Per esempio, in riguardo alla composizione del Congresso, si vede a fianco di
una camera ove sono rappresentati gli Stati in considerazione della loro gran-
dezza, una camera ove sono invece rappresentati in modo paritario.
Gli articoli originari della Costituzione sono 7, a cui si sono aggiunti, nel corso
del tempo, 27 emendamenti: pochissimi se si pensa che più di due secoli sono
passati da quando i padri fondatori si riunirono a Philadelphia e che i 13 Stati
sono ora 50.
Dei vari emendamenti, i primi 10 costituiscono il Bill of Rights, ossia la carta dei
diritti fondamentali, e sono stati adottati nel 1791, mente l’ultimo, ratificato nel
1992, tutela il trattamento economico dei senatori e dei rappresentanti.
Tra gli emendamenti che si collocano fra i due estremi temporali ora richiamati,
sono molto importanti quelli adottati a seguito della guerra civile, volti ad aboli-
re la schiavitù.
Gli articoli originari dettano le basi istituzionali della forma di governo, che è
stata definita presidenziale, e individuano la distribuzione dei poteri tra Stati e
Federazione.
L’impianto formale della Costituzione riflette la classica tripartizione dei poteri:
l’art. I disciplina il potere legislativo, l’art. II l’esecutivo, l’art. III il giudiziario;
ma deve essere detto subito che, in considerazione del sistema istituzionale ame-
ricano, all’idea della separazione si affianca quella di “checks and balances” che
punta a realizzare una condizione di tendenziale equilibrio fra i tre rami; cia-
scun potere, infatti, pur godendo della massima autonomia cui si accompagna la
mancanza del rapporto di fiducia che nei sistemi parlamentari lega legislativo ed
esecutivo, ha la possibilità di “controllare” l’altro ed è, a sua volta, “controllato”.
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Articolo I della Costituzione americana
!
Il potere legislativo federale è attribuito al Congresso, organo bicamerale.
Il Senato è composto da due rappresentanti per ogni Stato membro, che vengono
rinnovati per ogni due anni.
La Camera dei Rappresentanti è, invece, formata su base nazionale, in modo
proporzionale alla popolazione degli Stati, da deputati con mandato biennale.
Il Congresso ha competenza legislativa solo per le materie espressamente previ-
ste: moneta, tasse, difesa, diritto d’autore, diritto marittimo, commercio con
l’estero e tra i singoli Stati.
Oltre i poteri espressamente conferitigli ha anche il potere di promulgare le leggi
“necessarie e adatte” all’esercizio di quanto esplicitamente attribuito.
La “necessary and proper clause” e la “intestate commerce clause” si sono rive-
late nel tempo strumenti molto utili all’ideale federalista, poiché hanno portato,
tramite l’interpretazione estensiva svolta dai giudici federali, ed in un lima
istanza dalla Corte Suprema, ad un notevole ampliamento del potere di inter-
vento del legislatore nazionale.
Nei settori principali del diritto privato la competenza rimane ai singoli Stati:
diritto di famiglia, successioni, responsabilità civile, contratti, diritto societario.
Tutte queste materie sono disciplinate non solo e non tanto dalle leggi statali, ma,
trattandosi di materie che tradizionalmente rientrano nella common law, sono
governate dalla giurisprudenza delle corti locali.
Sotto il profilo quantitativo, l’estensione del diritto federale rispetto a quello de-
gli Stati ha subito profondi mutamenti nel corso della storia.
Nel XIX secolo il Congresso è intervenuto assai poco in materia di diritto priva-
to, mentre nel XX secolo ha invece legiferato con abbondanza in materia econo-
mica e nei settori della tutela dell’ambiente e dei consumatori.
!
Articolo II della Costituzione americana
!
Il potere esecutivo è attribuito al Presidente degli Stati Uniti il quale è insieme
Capo dello Stato e Capo dell’esecutivo, e deve essergli riconosciuta sul piano
propriamente politico una posizione di marcata preminenza in virtù del fatto di
non essere scelto dal Congresso ma di ricevere una diretta investitura
nazionale dal corpo elettorale, ancorché secondo un sistema indiretto.
Il Presidente è eletto, infatti, per 4 anni (rinnovabili una sola volta), da un colle-
gio di “Grandi Elettori”, che sono a loro volta eletti dal popolo.
Un importante attribuzione costituzionale concerne il comando delle forze ar-
mate del quale è esclusivo titolare il Presidente, nonostante la competenza for-
male di dichiarazione di guerra sia riconosciuta espressamente solo al Congres-
so.
Si ricorda inoltre che il Presidente ha il potere di stipulare trattati internazionali
ed inoltre ha il potere di nominare ambasciatori, consoli, altri rappresentanti di-
plomatici e, per quel che ci interessa, i giudici della Corte Suprema e tutti gli al-
tri pubblici ufficiali degli Stati Uniti.
Il Presidente degli Stati Uniti può essere rimosso dall’incarico solo con un pro-
cedimento di impeachment, che prevede la messa in stato di accusa da parte del-
la Camera dei Rappresentanti e il giudizio di condanna del Senato, presieduto in
quell’occasione dal Chief Justice della Corte Suprema.
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Articolo III-IV-V-VI-VII della Costituzione americana
Articolo III
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Qui si prevede la giurisdizione federale attribuendola espressamente a una Cor-
te Suprema e conferendo al Congresso il potere di creare, eventualmente, corti
federali inferiori.
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Articoli IV-V-VI-VII
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Gli articoli successivi prevedono norme molto eterogenee.
Di particolare importanza: l’affermazione che i cittadini di tutti gli Stati hanno
uguali diritti; il complesso procedimento per emendare la Costituzione; la di-
chiarazione secondo cui la Costituzione e le leggi federali sono la “supreme law
of the land”.
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Caratteristiche del Bill of Rights
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Si è già detto che i primi 10 emendamenti della Costituzione rappresentano il
Bill of Rights, ossia la carta dei diritti fondamentali dei cittadini americani.
I primi 10 emendamenti, approvati in brevissimo tempo e già in vigore nel 1791,
possono in fondo considerarsi una vittoria degli anti-federalisti, poiché in origine
limitano esclusivamente il potere del governo federale: solo nel 1878, il XIV
emendamento estende la tutela dei diritti limitando anche i poteri dei
singoli Stati.
Molte delle garanzie contenute nel Bill of Rights fanno parte del patrimonio del-
la common law: garanzia del “due process” contenuta nel V e nel XIV emenda-
mento, diritto alla giuria nel processo civile, ecc…
Ciò che è innovativo del Bill of Rights è la completezza dell’elenco dei diritti che,
unitamente all’idea di rigidità, conduce a una efficace tutela delle libertà indivi-
duali, che si svolge principalmente attraverso il controllo giudiziario di costitu-
zionalità delle leggi.
Il contenuto essenziale del Bill of Rights
La maggior parte delle tutele previste riguardano le modalità che le procedure
per l’attuazione della giustizia federale penale e civile devono rispettare.
In questa prospettiva si spiegano il IV emendamento, che protegge la persona,
l’abitazione e la corrispondenza da perquisizioni e sequestri illegittimi; il V
emendamento, che prevede il rinvio a giudizio solo da parte della giuria, il dirit-
to a non testimoniare contro sé stessi, in divieto del bis in idem, e tutela la
vita, la libertà e la proprietà attraverso il “due process of law”; il VI emenda-
mento, relativo al processo penale, ove all’imputato si riconosce il diritto al giu-
dice naturale e alla giuria, a presentare testimoni a favore e interrogare quelli a
carico, nonché ad essere assistito dal difensore; il VII emendamento, che prevede
la garanzia della giuria anche nelle cause civili di un certo rilievo; l’VIII emen-
damento, che pone il divieto di pene crudeli e insensate.
Il Bill of Rights include anche importanti garanzie estranee al corpo processuale.
Il I emendamento tutela la libertà di parola, di stampa, di riunione e di culto.
Il V emendamento proibisce l’espropriazione senza indennizzo.
!
La Due Process Clause nel diritto americano
!
E’ utile allora fermare l’attenzione sul Due Process of Law: clausola tra le più
importanti e che più fa discutere i costituzionalisti americani.
Vi è un legame piuttosto stretto tra questa formula assai vaga e la nozione di
“Rule of law”, con cui si intende sottrarre i consociati all’arbitrio del potere, isti-
tuendo un governo di leggi e non di uomini.
In riferimento all’evoluzione più recente della giurisprudenza americana, alcune
importanti sentenze della Corte Suprema successive all’11/9/2001, in cui a Corte
si è in fondo limitata ad intervenire su qualche aspetto di una aggressiva legisla-
zione antiterrorismo, salvandone però la sostanza, si nota che quella relativa al
due process è una materia molto complessa e suscettibile di interpretazioni assai
controverse, all’interno della quale la teoria americana ha tradizionalmente in-
dividuato una non semplice distinzione:
- Procedural Due Process, si riferisce ad un giudizio “fair” sotto il profilo tecni-
co-processuale.
- Substantive Due Process, ha tentato di impiegare la formula del Due Process
come garanzia dei diritti sostanziali di libertà e proprietà.
Altri interessanti esempi che rivelano una interpretazione estensiva della Due
Process Clause, sono riferibili ai c.d. “penumbra rights”, ovvero quei diritti che
sono tutelati dalla Corte Suprema in quanto riescono, in senso lato, a rientrare
nella sfera di azione del Due Process: in generale il diritto di privacy e il diritto
della donna ad interrompere volontariamente la gravidanza nella prima fase
della gestazione.
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Il X emendamento nella Costituzione americana
!
La Costituzione americana istituisce un sistema piuttosto originale in cui si veri-
fica una sovrapposizione di due serie di organi: se a livello federale vi sono il
Congresso, un Presidente e un sistema delle corti, anche a livello locale troviamo
un potere legislativo, un Governatore e un’autonoma organizzazione giudiziaria.
Sorge dunque il problema della distribuzione del potere e della divisione delle
competenze tra federazione e Stati.
Il X emendamento aggiunge un principio generale importantissimo: la compe-
tenza legislativa degli Stati è la regola e la competenza federale l’eccezione.
Il diritto federale nasce dunque limitato ma superiore al diritto statale: limitato
in quanto esercitabile solo nella misure entro cui viene espressamente attribuito
e superiore perché la Costituzione e le leggi degli Stati Uniti sono la “legge su-
prema del Paese”.
Tuttavia i rapporti tra competenze federali e statali sono complicati dalla circo-
stanza che anche nelle materie di competenza del Congresso, la competenza de-
gli Stati non è esclusa ma residuale e dunque concorrente.
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L’articolo III della Costituzione americana e l’organizzazione
giudiziaria
!
Alla disciplina del potere giudiziario federale, la Costituzione degli Stati Uniti
dedica l’art. III: il primo paragrafo istituisce la Corte Suprema, conferisce al
Congresso il potere di creare corti federali inferiori e determina le garanzie di
indipendenza dei giudici; mentre il secondo paragrafo individua la competenza
delle corti, che possono conoscere solo dei casi e delle controversie espressamente
previsti.
A fianco dell’organizzazione giudiziaria federale sono presenti le corti di ciascu-
no Stato: si pone dunque un dualismo perfetto tra giudiziario nazionale e locale.
Ciò è parte dell’originalità del federalismo americano, poiché in numerosi altri
Stati federali, come per esempio la Germania e la Svizzera, gli organi giudiziari
federali si trovano solo al vertice della gerarchia.
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Le corti federali
!
Le corti di primo grado prendono il nome di District Courts, quelle di secondo
grado solo le Court of Appeal, e infine vi è la Corte Suprema degli Stati Uniti.
I giudici che compongono queste corti godono delle ampie garanzie previste dal-
l’art. III, ossia rimangono in carica a vita, potendo essere destituiti sono attra-
verso il procedimento di impeachment, e la loro retribuzione
non può essere diminuita finché essi sono in carica.
Il Congresso può inoltre istituire altri tribunali federali, i quali tuttavia hanno
competenza limitata e non godono delle garanzie di cui all’art. III.
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Articolo III della Costituzione americana: U.S. District Courts,
U.S. Courts of Appeal, U.S. Supreme Court
!
Si tratta di corti specializzate.
a. U.S. District Courts
Sono 94, e vi appartengono poco più di 600 giudici.
In ciascuno Stato è presente almeno una District Court che opera generalmente
come organo monocratico.
b. U.S. Courts of Appeal
Sono 13, articolate su circuiti territoriali, e vi appartengono circa 200 giudici (da
un minimo di 6 per il primo circuito comprendente gli Stati del Maine, Massa-
chussetts, New Hampshire, Rhode Island, Puerto Rico; ad
un massimo di 28 per il nono circuito comprendente gli Stati dell’Alaska, Arizo-
na, California, Colorado, Idaho, Montana, Nevada, Oregon, Washington, Guam,
Hawaii).
E’ un organo collegiale formato da tre giudici.
c. U.S. Supreme Court
E’ l’unica prevista espressamente dall’art. III, ed è composta da 8 Associate Ju-
stices e da un Chief Justice.
L’appellativo di Justice è riservato ai membri della Corte Suprema mentre tutti
gli altri sono semplicemente Judges.
Il numero dei giudici è definito con legge ordinaria dal Congresso.
La circostanza che la Corte Suprema sia istituita dalla Costituzione, ma che il
numero dei suoi giudici, nominati dal Presidente con il consenso del Senato, sia
stabilito con legge ordinaria, è una chiara manifestazione dell’idea dei “checks
and balances”.
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Competenza della Corte Suprema americana
!
L’art. III prevede due ipotesi di competenza della Corte Suprema: original juri-
sdiction (competenza in primo grado nel caso, assai raro, di controversie in cui
sia parte uno Stato e di controversie riguardanti rappresentanti diplomatici) e
appellate jurisdicion (competenza in grado di impugnazione contro le decisioni
sia delle corti federali d’appello sia delle corti supreme statali, nelle ipotesi di
controversie in cui si applichi il diritto federale o di controversie tra cittadini
appartenenti a Stati diversi dell’Unione).
La Corte Suprema è composta attualmente da 9 Justices, i quali decidono pochi
casi di grande importanza.
Si tratta di una corte che opera una severa selezione delle questioni da trattare.
Come esempio dell’importanza e dell’impatto delle questioni decise dalla Corte
Suprema e del suo ruolo di costante interprete della Costituzione, si cita il caso
Plessy v. Ferguson del 1896.
In questo caso, la Corte Suprema, dovendo decidere sulla legittimità della rego-
lamentazione segregata dei mezzi di trasporto, sostenne che la segregazione raz-
ziale era costituzionalmente valida purché i servizi offerti fossero uguali per i
bianchi e per i neri: sancendo il c.d. principio “separate but equal”.
Il precedente Plessy v. Ferguson è superato solo nel 1954, anno in cui venne deci-
so all’unanimità il caso Brown v. Board of Education of Topeka.
In questa sentenza, permettendo finalmente ai bambini neri di andare a scuola
con i bambini bianchi, si sostiene che la segregazione razziale è costituzional-
mente illegittima per sé.
Con Brown v. Board of Education si compie l’overruling, ancorché implicito, di
Plessy v. Ferguson e si apre la strada alla legislazione sui diritti civili.
Per quanto concerne la procedura seguita dalle corti federali, momento impor-
tante è il 1934, anno in cui il Congresso incarica la Corte Suprema di redigere
norme di procedura civile valide per tutto il sistema
federale, riservandosene tuttavia l’approvazione.
La Corte svolge rapidamente il compito assegnatole elaborando le Federal Rules
od Civil Procedure approvate nel 1938, cui si sono via via uniformati anche i
singoli Stati.
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Cenni sull'organizzazione giudiziaria degli Stati Uniti
!
E’ piuttosto difficile parlare in termini generali dell’organizzazione giudiziaria
dei 50 Stati.
In via di approssimazione è possibile tuttavia affermare che in ciascuno Stato
sono presenti 3 gradi di giurisdizione (ma in circa degli Stati manca il livello in-
termedio).
Inoltre in molti Stati sono presenti organi giurisdizionali specializzati.
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I giudici federali nel diritto americano: i Justices
!
Per quanto concerne la magistratura federale, il sistema di reclutamento è il
medesimo per i giudici delle corti di ogni grado: nomina del Presidente con il
consenso del Senato.
Tuttavia, in ragione del particolare ruolo che la U.S. Supreme Court riveste nel-
l’ordinamento, la scelta relativa ai giudici che la compongono segue un iter par-
ticolare in cui l’impronta personale del Presidente è molto forte.
Benché il nome del futuro Justice sia sempre proposto dal Presidente, il ruolo del
Senato non deve essere sottovalutato.
Nella nomina dei giudici della Corte Suprema, il Presidente non è guidato solo
dagli orientamenti politici del candidato, ma anche da considerazioni di “equili-
brio”: si cerca di evitare che tutti i Justices provengano da
una medesima area geografica e inoltre un giudice ebraico sarà, almeno tenden-
zialmente, sostituito da un altro giudice ebraico, un giudice nero da un nero, un
giudice donna da un’altra donna.
I giudici federali sono nominati a vita e possono essere rimossi dalla carica esclu-
sivamente attraverso il procedimento di impeachment.
I giudici federali sono circondati da una grande tradizione di autonomia e pre-
stigio.
L’indipendenza dei Justices rispetto all’esecutivo è testimoniata da numerosi
esempi, tra cui si ricorda quello noto del Presidente Eisenhower, repubblicano e
conservatore, che nominò i giudici Warren e Brennan, che porteranno avanti le
istanze progressiste con particolare riferimento alla tutela delle minoranze e alla
disgregazione razziale nelle scuole.
Ebbene, Eisenhower definì la nomina di Warren come il proprio peggiore errore
politico.
La Corte Suprema è presieduta dallo Chief Justice.
Mentre il Presidente degli Stati Uniti è direttamente coinvolto nella scelta dei Ju-
stices, delega invece questo potere all’Attorney General, il Ministro della Giusti-
zia, quando si tratta degli altri giudici federali.
In tali casi svolgono un ruolo importante i senatori dello Stato in cui deve essere
coperta la vacanza.
E’ importante per un Presidente nominare un alto numero di giudici poiché que-
sti saranno portatori della sua ideologia oltre il suo mandato.
Chi sono i candidati alla carica di giudice federale?
Le scelte presidenziali si rivolgono generalmente ai giudici delle corti inferiori, ai
professori delle facoltà giuridiche, ai “public officers”.
Si realizza dunque negli Stati Uniti una notevole mobilità nelle professioni legali,
da cui scaturisce un “Bench” molto meno omogeneo rispetto alla tradizione in-
glese, ove, abbiamo visto, i giudici vengono necessariamente reclutati tra gli av-
vocati di maggior prestigio.
!
La scelta dei giudici statali nel diritto americano
!
Ancora una volta, tentando di generalizzare, è possibile individuare tre modelli
per la scelta dei giudici statali.
Il primo e più tradizionale modello si basa sul principio dell’elezione popolare, e
la durata della carica può variare dai 6 ai 12 anni.
Un secondo modello, che ricalca quello federale, prevede la nomina da parte del
Governo previo consenso del Senato.
Negli ultimi decenni è andato ad affermarsi in alcuni Stati un sistema misto, di
cui possono individuarsi due importanti varianti.
Secondo il California Plan, il Governatore sottopone il nome di un candidato
alla Commission on Qualifications; se il nome è approvato, il candidato si consi-
dera nominato per 1 anno, trascorso il quale si presenta all’elettorato per la con-
ferma; se confermato, rimane in carica per 12 anni.
Secondo il Missouri Plan, una commissione mista di giudici, avvocati e laici sce-
glie 3 candidati per ogni posto vacante; il governatore deve nominare uno dei
tre, il quale dopo il 1 anno di carica, si presenta all’elettorato per ottenere un
mandato regolare, che può essere di 6 o 12 anni.
Questo sistema ha ottenuto un notevole successo.
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Marbury V. Madison: il controllo giurisdizionale di
costituzionalità delle leggi
!
Il potere di giudicare della legittimità costituzionale delle leggi federali e statali,
ossia il potere di judical review esercitato dalle corti americane, cui si è più volte
accennato, non è previsto espressamente dalla Costituzione, ma è affermato dal
Chief Justice Marshall nella più famosa e citata sentenza della storia del
diritto americano: Marbury v. Madison del 1803.
E’ utile ripercorrere sommariamente i fatti del caso.
Marbury viene nominato giudice di pace dal presidente federalista Adams, po-
che ore prima che scada il suo mandato.
Madison, funzionario della nuova amministrazione Jefferson (anti-federalista),
non completa la procedura di notificazione dell’incarico a Marbury, profittando
del fatto che, nella fretta degli ultimi giorni di gestione del potere, l’amminist-
razione Adams non ha fatto in tempo a portarla a termine.
Marbury, considerando la notifica un atto dovuto, agisce in giudizio presso la
Corte Suprema, presieduta tra l’altro da Marshall (appartenente al suo stesso
partito), per obbligare Madison a notificargli la nomina.
La Corte Suprema è all’epoca un organo ancora piuttosto debole, e si trova
dunque tra la scelta di accogliere la domanda del ricorrente rischiando di appa-
rire schierata con l’opposizione, e rischiando quindi di aprire un
contrasto istituzionale, e la scelta di respingere la domanda apparendo tuttavia
ubbidiente al volere del Governo.
Il giudice Marshall nega il rimedio ponendo la questione del rapporto fra il Ju-
diciary Act e la Costituzione: concludendo che la disposizione del primo (che
conferisce a Marbury il diritto di accesso alla Corte
Suprema) è incompatibile con la distinzione tra la competenza in primo grado e
in grado di impugnazione prevista dalla seconda.
L’art. III della Costituzione elenca infatti esplicitamente i casi in cui la Corte
Suprema è competente in primo grado, ed essendo chiaro che il caso di Marbury
non rientra tra questi, poiché egli non è un ambasciatore né un rappresentante
diplomatico né un console, la legge votata dal Congresso non può consentirgli di
adire direttamente la massima istanza federale.
Marshall giunge alla conclusione che: “o la Costituzione è superiore ad ogni atto
legislativo non conforme ad essa, o il potere legislativo può modificare la Costi-
tuzione con una legge ordinaria”.
E qui risiede gran parte del significato della “concretezza” del modello diffuso,
per cui il giudizio sulla legittimità costituzionale di una legge è strettamente fun-
zionale alla soluzione di una controversia reale ed effettiva.
Il modello di controllo di costituzionalità delle leggi americano, individuato da
Marshall in Marbury v. Madison è comunemente definito diffuso, poiché non
esiste un giudice costituzionale ad hoc, ma è svolto da tutti i giudici ordinari nel
momento in cui devono risolvere una controversia concreta.
Si è tuttavia aggiunto che per il buon funzionamento di questo sistema, è impor-
tante la presenza della regola stare decisis.
E’ utile fare un esempio che spieghi l’importanza di tale rapporto.
E’ possibile l’ipotesi in cui la corte federale d’appello di un determinato circuito
disapplichi, ritenendola costituzionalmente invalida, una legge federale: tale de-
cisione vincolerà tutte le corti distrettuali presenti nel circuito.
La medesima legge può tuttavia essere applicata dalla corte d’appello di un di-
verso circuito.
Ciò è possibile poiché l’operatività orizzontale (ossia tra corti di pari grado) del-
la regola del precedente è piuttosto debole.
Tuttavia, trattandosi di una questione di costituzionalità, questa non solo giun-
gerà, tramite il sistema delle impugnazioni, dinnanzi alla Corte Suprema, ma
verrà da questa risolta e tale decisione vincolerà tutti i giudici inferiori, compre-
se le corti d’appello che hanno deciso in modo tra loro difforme.
!
Il rapporto tra giurisdizione federale e statale nel diritto
americano
!
Il Congresso federale ha la possibilità di legiferare solo le materie espressamente
attribuitegli dalla Costituzione e, in tutti i casi in cui tale attribuzione non avvie-
ne, il potere legislativo risiede nei singoli Stati.
Similmente per ciò che concerne il rapporto tra giurisdizione statale e federale, è
configurabile la prima come regola e la seconda come eccezione.
L’art. III della Costituzione prevede la competenza federale in due ipotesi fon-
damentali: la prima trova origine nella natura della controversia e il giudice fe-
derale è competente quando debba essere applicata la Costituzione o un legge
federale (federal question jurisdiction); la seconda trova origine nelle persone
dei ricorrenti e il giudice federale è competente quando parte in causa sono il
Governo degli Stati Uniti, i rappresentanti diplomatici stranieri e quando la con-
troversia (di valore superiore a $ 75000) sorge tra cittadini appartenenti a Stati
diversi dell’Unione (diversity jurisdiction).
Raramente, tuttavia, tale competenza è esclusiva: il più delle volte le parti pos-
sono adire le giurisdizioni statali, con eventuale ricorso alla Corte Suprema degli
Stati Uniti contro la decisione dell’organo statale di ultima istanza, e la Corte
Suprema accetterà di conoscere la causa solo se questa rientra nelle sue
competenze.
Apparentemente dunque la distinzione tra giurisdizione statale e federale è chia-
ra, ma la situazione si complica se si considera che in alcune ipotesi, e princi-
palmente dei frequenti casi di diversity jurisdiction, le corti federali sono chia-
mate ad applicare il diritto statale.
L’applicazione del diritto statale da parte della Corte Suprema nei casi di diver-
sity jurisdiction è stabilita dal Judiciary Act del 1789, il quale parla generalmen-
te di “law” degli Stati.
La sentenza della Corte Suprema degli Stati Uniti nel caso Swift v. Tyson del
1842 porta ad interpretare “law” come legge in senso tecnico e quindi impone
alle corti federali di applicare lo statute law dello Stato territoriale nei casi di di-
versity jurisdiction, ma in assenza di questo (cioè in casi di vuoti di tutela) tale
interpretazione impedisce alle corti federali di ricorrere alla common law di
quello stesso Stato, autorizzandole in pratica a creare una common law generale.
L’impostazione adottata in Swift v. Tyson crea tuttavia numerosi problemi sia
sul piano pratico, sia sul piano costituzionale.
Per quanto attiene al primo profilo, può verificarsi un ingiustificato dualismo di
soluzioni giuridiche a seconda che si investa del giudizio un organo statale oppu-
re un organo federale.
La situazione è tanto peggiore in quanto può dipendere da una delle parti porre
le condizioni (cambiando, per esempio, residenza da uno Stato ad un altro) per-
ché gli organi federali possano, o meno, essere aditi.
Nel secondo profilo, prevedendo la competenza delle corti federali tra soggetti di
diversa cittadinanza, si vuole assicurare pari giustizia alle parti di Stati diversi e
non autorizzare la creazione di un diritto federale in materie in cui il Congresso
non può legiferare.
In considerazione dei vari problemi che la soluzione adottata in Swift v. Tyson
pone, tale precedente viene superato nel 1938 con Erie Railroad Co. v. Tomp-
kins: la Corte Suprema degli Stati Uniti afferma in modo
chiaro che “fuorché nelle materie regolate dalla Costituzione federale e dalla
leggi del Congresso, il diritto che deve essere applicato in ogni fattispecie è il di-
ritto di uno Stato particolare. Che il diritto di questo Stato
sia formulato dal suo Parlamento con legge scritta o dalla sua corte suprema in
una decisione non è cosa che riguarda le autorità federali”.
!
Fattori di semplificazione e uniformazione del diritto
americano
!
Secondo quanto affermato nel caso Erie Railroad Co. v. Tompkins, non esiste
negli Stati Uniti una common law federale, ma solo la common law dei singoli
Stati cui devono aggiungersi, per aver un quadro completo delle fonti, le leggi
statali e quelle adottate dal Congresso nelle materie in cui ciò è ammesso dalla
Costituzione e la Costituzione stessa accompagnata dalla giurisprudenza che ne
ha via via offerto l’interpretazione.
A fronte della sua notevole complessità sono tuttavia presenti nell’ordinamento
americano alcuni importanti fattori unificanti, i quali, tra l’altro, mettono in
luce le peculiarità del sistema rispetto a quello inglese.
Si tratta della presenza delle law schools e della conseguente importanza della
dottrina, oltre naturalmente alla Costituzione e alle leggi federali.
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Le Law Schools e la dottrina negli Stati Uniti
!
Negli Stati Uniti, a differenza dell’Inghilterra, l’università non ha avuto concor-
renti nell’educazione giuridica e l’importanza dell’accademia ha lasciato tracce
notevoli anche sullo stile delle sentenze americane.
Inoltre, i giudici delle corti superiori sono spesso reclutati tra le file dei docenti
delle migliori università.
Le law schools sono dunque fondamentali nella formazione del giurista ameri-
cano e qui è bene sottolineare l’aggettivo “americano” e non del Texas o di altro
Stato.
Le università, soprattutto le più prestigiose, tendono infatti ad insegnare, insie-
me al diritto statale, anche i “principi generali del diritto”, ossia i principi co-
muni del diritto americano.
Se è vero infatti che non esiste una “federal common law” questo non significa
che sia assente, sotto la superficie variegata delle regole statali, una tradizione
comune.
Dunque l’università svolge negli Stati Uniti un ruolo unificante.
!
!
Langdell e il case method
!
La grande trasformazione e affermazione delle law schools si è avuta soprattutto
a partire dal 1860.
Da questa data, infatti, Cristopher Columbus Langdell sostiene la necessità di
un insegnamento scientifico del diritto e inizia il suo lavoro come Preside presso
la Harvard Law School.
Soprattutto Langdell introduce il case method: un metodo di insegnamento so-
cratico e quindi dialogico e non cattedratico, il quale porta con sé un nuovo e
importante genere letterario, il casebook, ossia un manuale in cui si offre allo
studente una raccolta selezionata di casi.
Langdell propone di studiare i casi della giurisprudenza, cercando di scorgervi i
principi di diritti che esprimono.
Il fine ultimo è quello di ordinare i principi così reperiti in un sistema logico e
coerente.
Si rinnova dunque l’importanza del diritto giurisprudenziale.
Langdell ha rivoluzionato l’insegnamento del diritto ad Harvard.
Antidogmatico nel momento in cui non insegna concetti giuridici ma aiuta lo
studente ad affinare il metodo per ricavarli dalla decisione, e al tempo stesso
dogmatico quando intende formulare teorie di tale ampiezza da coprire vaste
aree della common law e razionalizzare, giustificadole, le più vistose differenze.
E’ in quest’epoca che si realizza anche negli Stati Uniti un notevole irrigidimento
della dottrina del precedente: formalismo giuridico.
!
Il superamento del formalismo giuridico nel diritto americano
!
Il superamento del formalismo giuridico inizia con Roscoe Pound, ritenuto il
fondatore della scuola sociologica, che sottopone a critica la vecchia formalistica
teoria dell’interpretazione e della decisione giudiziale come processi mentali di
deduzione meccanica da un dato normativo precostituito.
Si riacquista così consapevolezza della potenzialità creativa dell’opera del giudi-
ce, che si volge a suggerire nuovi sviluppi del diritto.
Nella giurisprudenza si propone, quindi, che entrino, accanto alla dovuta consi-
derazione dei precedenti, anche la valutazione delle nuove esigenze della società.
Poud ritiene il diritto un mezzo per ordinare gli interessi sociali: il giudice deve
perciò conoscere i problemi sui quali le sue decisioni incidono.
Secondo questa linea di pensiero, il professore, oltre che giurista, deve essere so-
ciologo, economista e scienziato della politica.
Le dottrine della scuola sociologa sono rielaborate e portate al loro estremo a
partire dai tardi anni ’20 dal realismo giuridico.
Con il realismo, l’attenzione dei giuristi americani passa dalla scoperta della re-
gola giuridica da applicarsi al caso concreto all’analisi ravvicinata del processo
decisionale.
Se nel periodo del formalismo giuridico la regola de precedente ha subito un ir-
rigidimento, con il realismo avviene il fenomeno contrario e le tecniche di mani-
polazione del precedente si affinano per far sì che la soluzione del caso sia sem-
pre adeguata al contesto sociale ed economico.
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Le teorie post-moderne
!
Il Realismo influenza profondamente tutti i settori della vita giuridica, e la nor-
ma diviene oggetto di analisi sociologica, politologica, economica, ed infatti gli
studi giuridici sono sempre più sofisticati ed eclettici.
Tra queste scuole si ricorda la Economic Analysis of Law, che utilizza il criterio
dell’efficienza accanto a quello della giustizia, nel valutare, spiegare o prescrive-
re regole giuridiche in qualsiasi voglia campo del diritto.
Si ricordano inoltre i Critical Legal Studies, che estremizzano gli aspetti più cri-
tici del realismo e si afferma che non c’è differenza alcuna tra il ragionamento
giuridico e quello politico.
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Le Law Schools e la professione legale negli Stati Uniti
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Le Law Schools sono il luogo in cui emerge e si afferma l’originario pensiero
giuridico americano, ma sono anche e soprattutto il luogo in cui ci si prepara per
l’esercizio della professione legale, che negli Stati Uniti ha carattere unitario.
Per ottenere la qualifica di lawyer, innanzi tutto è necessario un diploma conse-
guito in una delle Law Schools accreditate.
Per essere ammessi in una di queste scuole è indispensabile avere superato un
esame amministrato su scala nazionale.
In secondo luogo, per ottenere il patrocinio presso le corti, nonché il titolo for-
male di Attorney at Law è necessario superare un esame (il Bar Exam) che, pur
regolato in linea di principio dalle leggi di ciascuno Stato, verte in gran parte sui
principi generali del diritto americano.
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Il Restatement e l’idea di codificazione nel diritto americano
!
Tra i fattori tendenzialmente unificanti del diritto americano vi è il Restatement,
importante e originale prodotto della dottrina, il cui fine è dare un po’ d’ordine,
in alcune delle principali aree del diritto di competenza dei singoli Stati, ad una
giurisprudenza eccessivamente frammentata e complessa.
In questo modo, tutti i campi importanti del diritto americano vengono rielabo-
rati nei volumi dei Restatements, i quali hanno avuto un successo notevolissimo.
I Restatements, per la costituzione sistematica e la redazione astratta delle loro
regole, ricordano i codici continentali.
Oltre all’originale esperienza del Restatement, l’idea della codificazione è legata,
negli Stati Uniti, al nome di David Dudley Field, avvocato di successo a New
York nella seconda metà del XIX secolo, che
predispone un progetto di codice di procedura civile ed un progetto di codice ci-
vile.
Il primo viene adottato a New York nel 1848 e successivamente è preso a modello
in numerosi altri Stati.
Minor successo ha, invece, la proposta di un codice civile.
Non si può non ricordare, però, che il codice, anche nei casi in cui è presente,
non gode certo della centralità tipica dei Paesi dell’Europa continentale, e si
pone nel complesso sistema delle fonti in modo peculiare, ossia come una legge
ordinaria che deve fare i conti con la common law.
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Lo Uniform Commercial Code nel diritto americano
!
Tra i fattori che conducono alla razionalizzazione del diritto americano si sono
ricordate le leggi uniformi.
Infatti la Costituzione e le leggi federali non sono mai state sufficienti a rispon-
dere al forte bisogno di una disciplina omogenea in settori differenti e ulteriori
rispetto a quelli attribuiti dalla Carta fondamentale al Congresso.
Per rispondere a queste esigenze viene istituita nel 1992 la National Conference
of Commissioners on
Uniform State Laws con il compito di formulare leggi per quelle materie che
sembrano particolarmente bisognose di una unificazione americana interna, al
fine di presentarle poi agli organi legislativi dei singoli Stati per promulgarle con
meno variazioni possibili.
Questa Conferenza ha elaborato numerose leggi uniformi.
Il risultato più importante e di maggior successo della Conferenza è lo Uniform
Commercial Code.
Lo Uniform Commercial Code, nonostante il titolo piuttosto ampio, disciplina
esclusivamente il diritto dei contratti commerciali e della vendita commerciale.
Lo Uniform Commercial Code presenta struttura sistematica e contenuto tipici
di un codice.
!
La regola Stare Decisis nel diritto americano
!
Si afferma generalmente che negli Stati Uniti la regola stare decisis ha un’effica-
cia meno rigida rispetto all’Inghilterra.
Tuttavia, anche alla luce di quanto si è detto sulla regola inglese e sulla divergen-
za tra declamazioni teoriche e prassi effettiva, tale affermazione deve essere
chiarita e per farlo è utile riconsiderare la distinzione tra
portata verticale ed orizzontale del precedente.
Negli Stati Uniti infatti, le decisioni delle corti superiori vincolano senz’altro le
corti inferiori appartenenti alla medesima giurisdizione.
Sotto questo profilo non vi è dunque alcuna differenza con l’impostazione teori-
ca della madrepatria.
Le differenze sussistono invece in considerazione della portata orizzontale del
precedente.
Innanzi tutto, la Corte Suprema federale, diversamente dalla House of Lords,
non si è mai sentita legata alle proprie decisioni.
Un esempio di mutamento di giurisprudenza può essere: Erie Railroad Co. v.
Tompkins, ha espressamente overruled Swift v. Tyson.
La più alta istanza federale, dovendo interpretare una Costituzione scritta, rigi-
da e composta da clausole piuttosto indeterminate, ha sviluppato un approccio
ermeneutico di tipo teologico, adeguando la lettera della
carta allo spirito dei tempi.
L’atteggiarsi relativamente flessibile del principio del precedente vincolante è
dovuto anche al fatto che il procedimento per emendare la Costituzione è alta-
mente complesso e talvolta l’unica via per il cambiamento passa proprio attra-
verso i Justices.
In secondo luogo, rileva la struttura federale dell’ordinamento e la sua pluralità
di giurisdizioni.
Le corti federali di pari grado non sono tra loro vincolate, così come non lo sono,
ovviamente, tra loro le corti supreme statali.
Ciò non toglie però che tali sentenze possano avere una grande efficacia persua-
siva.
La minore forza della regola stare decisis non attiene tuttavia solo al suo affievo-
lito funzionamento a livello orizzontale.
Vi sono altri fattori, relativi alle tecniche del precedente, che possono contribuire
a spiegare la situazione americana.
Le corti americane, da un lato meno legate alla teoria dichiarativa della common
law e dall’altro più permeabili al realismo giuridico, hanno sviluppato tecniche
nuove, quali il Prospective Overruling e l’Anticipatory Overruling, che rendono
il sistema più flessibile.
Nel primo caso, come si è osservato con riferimento al sistema inglese ove tali
tecniche sono assai poco apprezzate, il cambiamento di giurisprudenza opera
solo per il futuro, e nel secondo caso un giudice inferiore disattende il precedente
vincolante di un giudice sovraordinato nella convinzione che questo è
comunque sul punto di mutare giurisprudenza.
Tra i fattori culturali che negli Stati Uniti rendono meno rigida la regola del pre-
cedente vi è lo sviluppo dello studio dottrinale del diritto nelle Law Schools: la
mentalità critica del giurista, e quindi anche del giudice, è
infatti direttamente proporzionale a quest’ultimo.
!
Gli Statutes nel diritto americano
!
Si è già detto in più occasioni che la Common Law è entrata nell’età degli Statu-
tes, e ciò è soprattutto vero con riferimento agli Stati Uniti, ove, tra l’altro, sono
presenti sia leggi locali sia leggi federali.
Ancor più difficile che in Inghilterra è dunque considerare la legge, del Congres-
so o dei Parlamenti Statali, un semplice accessorio rispetto alla giurisprudenza.
Altri due elementi devono però essere considerati per comprendere il ruolo della
legge nel sistema delle fonti dell’ordinamento americano.
Ancora una volta il riferimento è alla Costituzione e alla dottrina.
La presenza della Costituzione ha in qualche modo familiarizzato il giurista
americano con le disposizioni scritte di portata generale.
Le clausole aperte della Carta fondamentale si sono mostrate una buona pale-
stra per l’esercizio ermeneutico del giudice, che si pone dinnanzi allo ius scrip-
tum in modo meno rigido rispetto al collega inglese.
Mentre il giudice inglese è guidato dalle singole parole della norma, il giudice
americano è avvezzo a cercare la policy ad essa sottesa.
Infine, negli Stati Uniti, esistono esempi di codificazione del tutto sconosciuti in
Inghilterra, e fra queste un’importanza particolare è assunta dello UCC.
Sembra che in America gli Statutes ben si armonizzino con il corpus della
Common Law.
!
!
La tradizione giuridica dei paesi nordici
!
La contrapposizione civil law/common law, come tutte le classificazioni, non ri-
solve però il problema, e costruirsi una “carta mentale” rigidamente aderente ad
essa può essere rischioso anche rimanendo all’interno della tradizione giuridica
occidentale.
Uno dei casi più problematici è costituito dall’insieme degli ordinamenti “scan-
dinavi” o “nordici”, ossia dagli ordinamenti di Svezia, Finlandia, Danimarca
(con due territori autonomi, Groenlandia Færøer), Norvegia e Islanda: “fami-
glia” autonoma con pari dignità di quelle francesi, romanistiche, tedesche o an-
gloamericane.
Per la necessità di un principiante medio, i sistemi giuridici nordici possono cer-
tamente essere sistemati nel gruppo europeo-continentale dei sistemi giuridici
romano-germanici.
Se un approccio così pragmatico è di massima condivisibile, ciò non diminuisce
però l’utilità di un’informazione minima, non tanto sulle varie proposte di clas-
sificazione degli ordinamenti nordici, ma proprio sulle ragioni che rendono diffi-
cile la loro classificazione.
L’osservazione del nord Europa è istruttiva, mostrandoci come sia possibile
l’affermazione di un positivismo legislativo molto marcato pur in assenza di co-
dificazioni nel senso proprio dell’esperienza continentale, e aiutandoci a non ca-
dere nell’errore di vedere i codici come l’unica forma di inquadramento
concettuale dell’esperienza giuridica occidentale al di fuori dell’area di common
law.
Anche qui, per comprendere gli equilibri di oggi occorre guardarsi indietro, e
non poco, visto l’elevata continuità storica (questa sì, simile al diritto inglese)
della tradizione nordica.
!
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Gli Stati nordici: rapporti tra Svezia, Norvegia Finlandia e
Islanda
!
Per inquadrare meglio i dati più strettamente giuridici, è meglio fornire subito
qualche dato storico di base relativo ai legami intercorsi nei secoli tra gli attuali
Stati nordici, legami che hanno lasciato segni profondi e che permettono di sud-
dividere la “famiglia” nordica in due sottoinsiemi, ognuno con un ordinamento
trainante.
Il primo sottoinsieme è costituito da quella che a volte viene definita come tradi-
zione nordica orientale, con la Svezia modello storico per i vicini finlandesi; e il
secondo dalla tradizione nordica occidentale, in cui è la cifra culturale della Da-
nimarca ad avere influito fortemente sull’attuale diritto norvegese e islandese.
Il rapporto più stretto è indubbiamente quello che intercorre tra Svezia e Fin-
landia.
Sino al 1809 infatti un “diritto finlandese” semplicemente non esisteva, e i terri-
tori dell’attuale Finlandia erano nient’altro che una provincia del regno di Sve-
zia, acquisita con le campagne di espansione coloniale del medioevo.
A seguito delle sfortunate scelte della Svezia durante le guerre napoleoniche, il
territorio finlandese passa sotto il controllo russo, con il privilegio di mantenere
il proprio diritto, ossia quello svedese.
Per molto tempo, l’ordinamento finlandese, costituì un isola di diritto svedese
“congelato” all’interno dell’impero russo.
Non può stupire quindi che, una volta raggiunta l’indipendenza nel 1917, il dirit-
to svedese sia rimasto il principale punto di riferimento per i giuristi finlandesi,
molti dei quali, tra l’altro, appartenevano alla minoranza di lingua svedese.
Vicende storiche altrettanto risalenti sono alla base della centralità del diritto
danese rispetto a Norvegia e Islanda.
Dopo essere stata regno autonomo in epoca medievale, la Norvegia sarà sottopo-
sta alla Corona danese fino al 1814, recependo quindi le innovazioni legislative
decise a Copenaghen.
A seguito del Trattato di Kiel, la Norvegia è legata alla Svezia in un’unione per-
sonale, in cui il re di Svezia era anche sovrano di Norvegia, mentre quest’ultima
manteneva le istituzioni autonome.
Tale unione vivrà momenti molto tesi, che alla fine dell’’800 sembrarono addirit-
tura poter sfociare in un conflitto armato, e si scioglierà definitivamente nel
1905.
Le modalità di questa Unione, in cui vi era completa separazione tra i due ordi-
namenti, non comportarono alcun avvicinamento della tradizione giuridica nor-
vegese a quella svedese, lasciando la prima aderente ai
suoi presupposti di partenza danesi.
Nel caso dell’Islanda, la sovranità danese ha avuto termine solo nel 1944; il rife-
rimento al modello di questo Paese è però rimasto basilare a causa delle ridotte
dimensioni del Paese e della sua comunità di giuristi, per lungo tempo formati in
Danimarca, che rende spesso una necessità pratica adeguarsi alle soluzioni là
adottate.
Un fattore, la cui importanza è utile sottolineare già da ora, è quello linguistico.
Ognuno dei Paesi nordici dispone di una lingua nazionale; tuttavia, questo plu-
ralismo linguistico non pone particolari ostacoli alla circolazione della idee in
generale e alla comunicazione tra giuristi in particolare in quanto le lingue sono
comunque simili (danese, norvegese e svedese) o comunque diffuse negli altri
Stati (in Islanda il danese, il Finlandia lo svedese).
!
Le fonti legislative nei paesi nordici
!
Con la common law, la tradizione giuridica dei Paesi nordici condivide l’alto
grado di continuità storica degli ordinamenti che la esprimono.
La tradizione nordica è l’esito di un processo evolutivo che prende le mosse dal-
l’unificazione dei regni scandinavi, databile approssimativamente nell’XI secolo,
senza che successivamente siano intervenuti stravolgimenti rivoluzionari.
Diversamente dalla common law, nel caso del nord Europa il cemento culturale
della tradizione giuridica non è stato tuttavia fornito dalla giurisprudenza di
grandi corti centrali, ma da una precoce affermazione di fonti che hanno carat-
tere prevalentemente legislativo.
I testi normativi più antichi giunti sino a noi risalgono al XIII secolo, e sono co-
stituiti dalle c.d. “leggi provinciali” adottate ognuna in una particolare regione
dei regni nordici continentali.
La natura di questi testi, nonostante vengano usualmente ricordati come “leggi”,
è piuttosto varia; in alcuni casi sembra trattarsi si compilazioni non ufficiali del
diritto vivente, in altri effettivamente di testi autoritativi in qualche modo assi-
milabili a moderni atti legislativi.
Accanto alla “legislazione provinciale”, esistevano poi testi normativi (“leggi cit-
tadine”) adottati dalle città, in particolare quelle costiere, che rappresentavano
importanti centri commerciali con giurisdizione
autonoma.
Ai nostri fini, la discussione sulla natura dei testi normativi del medioevo nordi-
co è però di limitato interesse, e importa unicamente mettere in luce l’apparizi-
one in epoca molto risalente di materiali giuridici redatti nelle lingue nazionali e
non in latino o altra lingua “colta”, e che, pur in presenza di apporti esterni,
esprimono una cultura giuridica che nelle sue partizioni di fondo è essenzial-
mente autoctona.
!
Testi normativi unificati nei regni nordici
!
Un passo importante è costituito dalla redazione di testi normativi unificati per
ognuno dei regni nordici: nel caso della Danimarca nel 1241; mentre per la Nor-
vegia, nel 1274; e per la Svezia, intorno al 1350.
L’unificazione non è totale, in quanto si manteneva comunque una normativa
distinta per le campagne e per le città; una bipartizione, questa, che verrà elimi-
nata solo nel ‘6-700.
Anche a prescindere da questa bipartizione, l’unificazione non fu però immedia-
ta, e in particolare per la Svezia sembra che i nuovi testi abbiano per un tempo
rilevante convissuto nella prassi con le leggi provinciali.
Sino ai secoli XVII-XVIII, i testi che abbiamo citato non subirono modifiche o
revisioni di particolare rilievo.
L’attaccamento alle radici è d'altronde ben mostrato dal fatto che in Svezia nel
1608, Carlo IX autorizzò le corti ad utilizzare come fonti sussidiarie le antiche
leggi provinciali.
La necessità di disporre di testi più moderni, diventa particolarmente sentita in
tutto il nord Europa verso la metà del XVII secolo, su impulso del pensiero giu-
snaturalista e razionalista.
I primi a giungere alla revisione dei testi medievali furono i danesi, con la pro-
mulgazione, da parte di Cristiano V nel 1683, del Danske Lov, promulgato in
una versione molto simile per la Norvegia (Norske Lov) nel 1687.
E’ stato discusso se questo testo sia più propriamente classificabile come una
compilazione, sottolineando il suo carattere di riordinamento di norme vigenti, o
piuttosto come una codificazione, ricordando come esso volesse fissare i principi
di base tralasciando le norme più transeunti.
A parte il problema delle definizioni, è certo che esso non rappresenta comunque
un punto di rottura, o comunque di svolta radicale nell’evoluzione dell’ordina-
mento.
Lo stesso vale per il corrispondente testo che verrà promulgato in Svezia nel
1734, dopo circa mezzo secolo di iter legislativo, ossia lo Sveriges Rikes Lag
(“legge del regno di Svezia”), che diventerà ovviamente diritto vigente anche in
Finlandia.
Il Rikes Lag poneva fine alla bipartizione tra diritto rurale e diritto cittadino,
applicandosi a tutto il territorio della Svezia, anche se venivano mantenute corti
distinte, che saranno unificate solo nel 1971.
Nel contenuto, si era data in linea di massima la preferenza alle soluzioni della
legislazione cittadina per le materie di commercio, e a quelle della legislazione
rurale per il regime della proprietà immobiliare.
Si tratta di un opera a carattere nettamente casistico che non privilegia né la si-
stematicità, né la capacità di astrazione, ma la concretezza nella descrizione dei
fatti a cui collegare effetti giuridici.
La lingua è volutamente arcaica, in misura sufficiente a incutere rispetto senza
pregiudicare la comprensione.
Al tempo stesso, al di fuori della casistica, l’interprete è lasciato all’oscuro, non
soccorrendo clausole generali e presupponendo “lo svolgimento dal parte del
giudice di una attività integrativa secondo coscienza e sapienza”.
L’estrema, didascalica, corrispondenza alla realtà della propria epoca e la scar-
sità di clausole generali non li rendevano di facile adattabilità e mutate condi-
zioni.
Come il Landsrecht prussiano, anche il Rikes Lag e il Danske Lov erano
l’immagine di società che stavano per cambiare la propria architettura sociale e
politica.
!
La codificazione giuridica mancata in Svezia
!
Particolarmente interessante, per quanto riguarda l’incontro con il movimento
per la codificazione, è l’esperienza svedese.
Dopo il disastro del 1809, si avvia una breve stagione in cui appare possibile un
radicale rinnovamento del Paese.
Prevale tuttavia un approccio piuttosto prudente.
Si decide infatti di procedere ad una mera “distinzione, semplificazione e miglio-
ramento della legislazione”, senza l’adozione in toto di modelli codicistici conti-
nentali.
Si giunge quindi, nel 1811, alla creazione di una Commissione per la riforma le-
gislativa, composta da accademici, giuristi ed alti funzionari.
Nel 1826 è presentata una “Proposta di legge civile generale”.
La maggior parte delle soluzioni sostanziali e delle partizioni in capitoli del Ri-
kes Lag è mantenuta, e la ricezione di modelli stranieri può essere osservata solo
a livello di singole disposizioni, alcune delle quali appaiono influenzate dal Code
Civil.
Su alcuni punti la formazione liberale dei redattori appariva evidente, concretiz-
zandosi in proposte di difficile digeribilità politica per i conservatori, come la
parità fra uomini e donne in materia successoria e la
libertà di alienazione dei terreni.
Una volta presentata, la Proposta venne inviata, secondo la procedura dell’epo-
ca, alla Corte Suprema per un parere preventivo.
Ciò richiederà vari anni.
Quando finalmente giungerà il parere della Corte Suprema, sarà totalmente ne-
gativo.
La “Proposta di legge civile generale” venne considerata come eccessivamente
aderente a modelli di oltre frontiera ed eccessivamente innovativa, con argomen-
tazioni tratte di peso dall’armamentario della Scuola storica che negli anni pre-
cedenti aveva acquistato sempre maggior prestigio in Svezia.
L’idea di una riforma legislativa generale si rimette in moto con l’ascesa al tro-
no, nel 1844, di Oscar I, sovrano di idee schiettamente liberali.
L’idea di una riforma radicale del Rikes Lag continuerà però a non incontrare
sufficiente consenso e si avvia ad una “tranquilla e, se così si vuol dire, poco pie-
tosa sepoltura”.
!
L’avvio della cooperazione legislativa tra Paesi nordici
!
Sino alla metà del XIX secolo, nonostante le affinità culturali, le riforme legisla-
tive erano andate procedendo nei Paesi nordici in modo reciprocamente auto-
nomo, e anche il dibattito dottrinale non era
caratterizzato da un elevato grado di permeabilità al di là delle frontiere nazio-
nali; “il concetto di dottrina giuridica nordica non va dato per scontato nel pe-
riodo che precede il 1800”.
Il punto di svolta è rappresentato dall’avvio, nel 1872, degli “Incontri nordici dei
giuristi” che, riunivano ogni 3 anni giuristi teorici e pratici per la discussione di
problemi di comune interesse.
Saranno il diritto civile e il diritto commerciale ad essere toccati in modo più in-
cisivo dalla cooperazione messa in moto dagli “Incontri nordici”.
Una volta creato il clima culturale adatto, la collaborazione nei processi di ri-
forma fu particolarmente intensa, ma, va tenuto presente, senza la creazione di
alcuna struttura ad hoc né la formazione di vincoli giuridici in trattati interna-
zionali.
La scarsità di strutture istituzionali non ha impedito di raggiungere un elevato
grado di uniformità.
Le leggi comportano una netta modernizzazione del diritto civile nordico, ma
non assolutamente la scomparsa delle peculiarità della tradizione dell’area.
Dopo il primo conflitto mondiale, la cooperazione legislativa continuò estenden-
dosi ad altri settori.
Nella seconda fase della cooperazione legislativa nordica, un’importante novità
era rappresentata dalla partecipazione diretta della Finlandia, precedentemente
resa possibile dalla sua sottoposizione all’Impero zarista.
La cooperazione legislativa nordica sopravvive anche al secondo conflitto mon-
diale, dopo il quale si mette mano ad alcune importante aree sino ad allora non
toccate dal processo di modernizzazione.
Un ottimo esempio al riguardo è costituito dalla responsabilità civile extracon-
trattuale.
I Paesi nordici arrivano al secondo dopoguerra senza una chiara definizione le-
gislativa del diritto comune della responsabilità civile.
L’ultima fase dell’evoluzione legislativa nordica, avviata a partire dagli anni ’70,
è stata in buona parte legata alla realizzazione del particolare modello di welfare
state che ha reso gli ordinamenti nordici una sorta di “laboratorio sociale” del-
l’Europa.
Particolarmente notevoli e studiati dagli osservatori stranieri, le innovazioni, al-
l’epoca decisamente pionieristiche, in materia di protezione del consumatore, as-
sistenza legale ai non abbienti, unioni di fatto, tutela dei lavoratori.
In questo caso la Svezia assunse un deciso ruolo di pioniere, che in alcuni casi ha
comportato difficoltà con gli altri ordinamenti dell’area, che avrebbero preferito
un approccio più prudente.
!
Caratteristiche delle leggi negli Stati nordici
!
Le riforme degli anni ’70 hanno definitivamente confermato la centralità della
legislazione nello scenario culturale degli ordinamenti nordici.
Se questo li avvicina senza dubbio più alla tradizione di Civil Law che a quella
di Common Law, non vanno tuttavia sottovalutate la peculiarità che il materiale
legislativo nordico mantiene rispetto a quello con cui sono abituati a confrontar-
si i giuristi francesi, tedeschi o italiani.
Nonostante il Rikes Lag, il Danske Lov e il Norske Lov non siano mai stati abro-
gati, poco del loro testo originale è rimasto in vigore, e di questo poco gran parte
ha importanza pratica ridotta.
La comprensione delle peculiarità della legislazione nordica deve quindi svolger-
si a partire dall’esame dei materiali moderni.
La legislazione recente dei Paesi nordici è normalmente una legislazione di ele-
vata qualità linguistica.
Mediamente i testi sono di facile accessibilità per il laico.
Il comparatista è di norma colpito dal frequente uso di clausole generali o co-
munque di richiami a criteri di valutazione abbastanza indefiniti, quali ad
esempio i richiami alla “ragionevolezza”.
I riferimenti alla “ragionevolezza” non vanno automaticamente interpretati
come attribuzioni di discrezionalità al giudice o come il riconoscimento di un suo
ruolo “forte”.
!
I lavori preparatori nel sistema delle fonti nel diritto dei paesi
nordici
!
Nella lettura dei testi normativi va tenuto conto di un elemento di norma parti-
colarmente trascurato nelle sintesi sui diritti nordici, costituito dalla tendenza
dei lavori preparatori ad essere considerati come una fonte
del diritto pariordinata alla legge in senso stretto.
Vediamo come si pone il problema.
Niente conforta di più un avvocato che poter citare, a sostegno della sua tesi, una
serie di passaggi tratti dalle relazioni governative di accompagnamento ai dise-
gni di legge.
Chi volesse realizzare una scala ideale dei sistemi giuridici europei, basata sul-
l’importanza che i lavori preparatori hanno nella gerarchia delle fonti, dovrebbe
indubbiamente collocare i Paesi nordici, e in particolare Svezia e Finlandia, a
uno dei due estremi, con l’estremo opposto occupato dal diritto inglese.
Le origini storiche di questa posizione dei lavori preparatori non sono comple-
tamente chiare.
Essi sono giunti ad occupare una posizione molto alta nella gerarchia delle fonti
alla fine del secolo scorso, in modo sostanzialmente inosservato, e la loro impor-
tanza non fa che accrescere ulteriormente a seguito dell’elaborazione delle
“grandi leggi” civilistiche dalla fine del secolo scorso in poi.
Il peso attribuito ai lavori preparatori è uno di quei tipici dati “occulti” su cui gli
stessi giuristi nazionali hanno a lungo trascurato di portare l’attenzione.
Esso, d'altronde, non ha una base di diritto positivo, né questa lacuna è corretta
dalla dottrina o dalla giurisprudenza.
Il manuale più classico e diffuso di “metodo giuridico pratico”, su cui si formano
oggi i giovani giuristi svedesi, riporta che “una corte non deve esitare a distac-
carsi dalla soluzione proposta dai lavori preparatori,
se ritiene che un’altra soluzione sia migliore”.
Significativamente, tale affermazione segue alla constatazione secondo la quale
la prassi operativa delle corti svedesi denoterebbe invece una vincolatività di fat-
to del c.d. motiv.
Ancora più significativamente, nella stessa opera si specifica che “di regola una
situazione del motiv configgente con una chiara regola del testo della legge non
deve essere seguita”.
Al di fuori dei casi più problematici, ma rari (come il conflitto tra motiv e testo
di legge), i redattori di testi legislativi potevano essere sicuri della fedeltà delle
corti alle indicazioni contenuti nei lavori preparatori.
Nella pratica, ciò finiva per consentire un “doppio livello” legislativo potendo in-
serire una norma di dettaglio alternativamente nel testo o nei lavori preparatori,
senza per questo diminuirne in modo effettivo
l’effettività.
La flessibilità offerta da tale possibilità di modulazione, è stata ampiamente uti-
lizzata dai legislatori.
La scelta tecnica consisteva pertanto nel lasciare al testo la formulazione dei
principi di fondo, riversando la regolamentazione più puntuale nei lavori prepa-
ratori, con i riferimenti alla “ragionevolezza” a fungere da
caveat per invitare alla lettura della relazione d’accompagnamento.
Le clausole di “ragionevolezza” contenute negli articoli di una legge, possono ri-
sultare, almeno in parte, ingannevoli per l’osservatore straniero.
Infatti, la disposizione che apparentemente attribuisce ampia discrezionalità al-
l’interprete è suscettibile di trasformarsi in una norma casistica al momento del-
la lettura dei lavori preparatori, quando questi specifichino espressamente le
ipotesi applicative.
Le forme del processo legislativo prevedono la preventiva nomina di Commis-
sioni governative a composizione tecnico-giuridica che, sulla base di determinate
direttive, stendono un progetto di legge accompagnato da una ponderosa rela-
zione.
Il rapporto della Commissione preparatoria viene sottoposto, per un parere, ad
un’ampia serie di soggetti (dalle facoltà di giurisprudenza, alle corti superiori, ai
sindacati, ad associazioni, ecc…) e dei pareri espressi viene tenuto conto nel di-
segno di legge governativo, anch’esso accompagnato da un’ampia relazione.
Le statuizioni della relazione di accompagnamento al disegno di legge governati-
vo, specie se conformi alle proposte della Commissione preparatoria, sono inve-
stite di una doppia legittimità, democratica, perché
comunque sottoposte al Parlamento e ad un confronto ampio e trasparente, e
culturale, perché redatte con assistenza tecnica molto qualificata.
La forza dei lavori preparatori come fonte del diritto è però un dato che comin-
cia ad entrare in crisi anche dove, come in Svezia, essa era sino ad oggi più mar-
cata.
Le ragioni sono varie e non tutte facilmente identificabili.
Da tenere conto è senza dubbio la scena politica molto più instabile e variegata
degli anni d’oro delle socialdemocrazie, che ha condotto a discutere il problema
di quale sia effettivamente la legittimazione democratica di una norma non con-
tenuta nel testo in articoli approvato dall’assemblea parlamentare, ma
nella relazione scritta da un Ministro.
La riflessioni sulle peculiarità della tradizione nazionale è stata poi, in Svezia e
Finlandia, indotta al momento dell’accesso nell’UE, il 1° Gennaio 1995.
Svezia e Finlandia si sono infatti trovate a dover recepire, in breve tempo, tutto
l’acquis communautaire, modificando e adattando una molteplicità di norme le-
gislative e regolamentari.
!
La Costituzione nel sistema delle fonti del diritto negli Stati
nordici
!
Se è ancora presto per dire in che misura l’ingresso nell’UE modificherà la tra-
dizione nordica, è certo utile ricordare un’ulteriore potenziale fattore di cam-
biamento, ossia l’aumentata importanza del controllo giudiziario di costituziona-
lità.
Per quanto tutti i Paesi nordici dispongano di Costituzioni rigide, in linea gene-
rale in controllo giudiziario di costituzionalità sull’attività del legislatore è stato
sino ad oggi poco incisivo.
Sotto quest’aspetto, la posizione più arretrata è stata per molto tempo quella
svedese/finlandese.
In Svezia la Costituzione del 1974 prevede un controllo diffuso di costituzionalità
secondo il quale “se una corte o un altro organo pubblico rilevano che una nor-
ma è in conflitto con una disposizione della costituzione o di un’altra legge so-
praordinata, tale norma può essere disapplicata”.
Tale controllo è però sostanzialmente disarmato dal prosieguo della stessa dispo-
sizione, ove si stabilisce che quando una norma provenga dal Governo o dal Par-
lamento (quindi, un atto legislativo o regolamentare) essa può essere disapplica-
ta solo quando “il vizio è evidente”.
Dietro quest’approccio è facile intravedere la fortunata peculiarità di Stati che
non hanno sperimentato le terribili derive del potere legislativo, vissute nei Paesi
europei passati attraverso le dittature, a cui si è aggiunta in epoca social-demo-
cratica una certa diffidenza verso un potere, come quello giudiziario, privo di
legittimazione democratica.
Anche qui è inevitabile osservare come tali presupposti siano inevitabilmente de-
stinati a perdere la loro forza originaria.
Basti pensare al fatto che, attualmente, il legislatore svedese è sottoposto al con-
trollo, per quanto riguarda il rispetto delle norme comunitarie, dei giudici di
Lussemburgo, la cui “legittimazione democratica” in prospettiva svedese è
quantomeno dubbia.
Differente, almeno in linea di principio, è a questo riguardo la posizione di Nor-
vegia e Danimarca dove, pur in assenza di disposizioni costituzionali esplicite, è
da lungo tempo incontestato il potere delle corti di
disapplicare una norma di legge in contrasto con la Costituzione, senza necessità
di una particolare “gradazione” del contrasto.
!
Corti, giudici e processo nei Paesi nordici
!
I cenni appena svolti circa la relativa debolezza dei sistemi di controllo di costi-
tuzionalità nell’area nordica inducono naturalmente a pensare a un ruolo com-
plessivamente minore della giurisprudenza, ma non deve estendersi ad afferma-
re una generica marginalità dei giudici.
Nel caso del nord Europa, invece, un’istituzione non meramente transeunte di
corti centrali avviene in epoca relativamente tarda sostanzialmente con l’istitu-
zione nel 1614 della Corte d’Appello di Stoccolma e in Danimarca con l’istituzi-
one nel 1661 della Corte Suprema.
Questo non voleva dire che il sistema giuridico traesse la sua legittimità esclusi-
vamente dai comandi legislativi; esso, anzi, basava la sua forza proprio sul forte
radicamento locale del sistema giudiziario.
Nelle zone rurali, le corti di prima istanza, erano composte da “1 giudice e 12
contadini residenti nella circoscrizione”.
E’ importante ricordare che il prestigio di queste corti non deriva dalla loro
componente togata, che anzi per molto tempo sarà di basso livello, composta da
sostituti retribuiti dai titolari effettivi, che non potevano neanche contare sul
prestigio sociale proprio dei titolari, mentre i membri laici potevano contare, sul
piano locale, su una notevole autorevolezza.
L’istituzione delle corti centrali ha rappresentato senza dubbio uno stimolo all’e-
laborazione di un pensiero giuridico raffinato, e in alcuni casi alla penetrazione
del diritto romano.
Esistevano, tuttavia, ostacoli importanti al travaso di conoscenze tra la cultura
delle élites che sedevano nelle corti di vertice e la generalità dei giudici, ostacoli
che verranno rimossi solo in epoca piuttosto tarda.
Un primo ostacolo derivava, semplicemente, dall’assenza di un sistema di pub-
blicazione o comunque di conoscibilità dei precedenti; e poi, anche una volta
rese conoscibili le motivazioni delle decisioni, per molto tempo le corti di vertice
mantennero una visione del proprio ruolo più attenta all’esigenza di fornire una
giustizia del caso concreto, che a dare orientamento alla giurisprudenza delle
corti inferiori.
L’affermazione della necessità di una giurisprudenza coerente come integrazione
delle prescrizioni
legislative ha incontrato d’altronde forti resistenze, oltre che in molti magistrati
anche in una parte della dottrina.
Se pur con lentezza, però, la giurisprudenza ha comunque progressivamente as-
sunto un ruolo sempre più significativo, e lo stile delle sentenze è diventato sem-
pre più idoneo allo svolgimento di una funzione nomofilattica.
La progressiva affermazione dell’importanza della giurisprudenza di vertice per
l’orientamento delle corti inferiori si è riflessa anche nello sviluppo di sistemi di
selezione dei casi da decidere da parte delle corti supreme.
Se sotto l’aspetto della selezione dei casi, le corti nordiche sembrano seguire un
percorso comune alla maggior parte degli ordinamento occidentale, specialmen-
te di common law, abbastanza peculiare dell’area è invece il fenomeno della
scarsità di giurisprudenza in importanti settori del diritto.
Relativamente scarsi sono, infatti, i ricorsi riguardanti le aree centrali del diritto
civile (contratti, responsabilità civile) a causa della concorrenza di altri sistemi
di dispute resolution.
!
Le alternative al processo ordinario nei Paesi nordici
!
Il panorama delle “alternative” al processo ordinario, è nei Paesi nordici piutto-
sto vasto e, oltre a
giurisdizioni statali speciali come nel caso del processo del lavoro, comprende
anche una moltitudine di organi privati o semi-pubblici, che si aggiungono al-
l’ordinario arbitrato commerciale che viene utilizzato in maniera massiccia.
Tutti questi organi finiscono di fatto per far sì che le corti supreme solo rara-
mente si pronuncino su dati problemi, così che sorgono preoccupazioni circa una
presunta incertezza del diritto vigente.
Questa situazione ha, soprattutto in Svezia, condotto a interventi legislativi volti
a rendere il processo ordinario competitivo rispetto alle forme “alternative”.
Il modello processuale attualmente utilizzato, sulla base della “parte sul proces-
so” introdotta in Svezia nel 1948, delle riforme successivamente introdotte in
Finlandia sulla base del modello svedese, e della “Legge processuale” danese del
1916, è caratterizzato da: oralità, concentrazione e immediatezza.
Per quanto riguarda il reclutamento dei giudici, esso è sostanzialmente basato su
un sistema di tipo
burocratico, in cui il reclutamento iniziale è in genere affidato alle stesse corti (in
Svezia le corti d’appello), primariamente sulla base dell’esito di periodi di tiro-
cinio.
Per quanto riguarda invece l’avvocatura, essa ha avuto nelle società nordiche
uno sviluppo piuttosto tardivo, e solo in epoca recente è andata assumendo un
prestigio paragonabile a quello delle sue corrispondenti di civil law e common
law.
E’ significativo, al riguardo, il fatto che in Svezia e Finlandia tuttora la parte
può stare in giudizio in ogni gradi di giurisdizione senza assistenza di difensore,
né l’esercizio dell’attività difensiva è monopolio dei giuristi.
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Capitolo V - INCONTRI DELLA TRADIZIONE GIURIDICA OCCIDENTALE
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Sezione I: L’incontro con l’America Latina
Premessa
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Sistemi dell'America latina sono comunemente ascritti alla famiglia di civil law o
a quella romanistica. Ma tratti peculiari, molta influenza statunitense soprattut-
to in d pubblico che hanno creato contaminazione tra common law e civil law →
eclettismo.
Inoltre permase sempre il d autoctono, perché vicende della vita quotidiana
sempre regolate da d indigeno di tipo consuetudinario.
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Lo sviluppo di un sistema giuridico latino-americano
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Esperienza diversa rispetto ad Africo o Asia, perché colonizzazione fu 3 secoli
prima , poi perché gli indigeni furono spazzati via, impedendo così stratificazio-
ne di sistemi giuridici, infine perché indipendenza si svolse brevemente(quando
Napoleone occupò Spagna e i reali furono esiliati).
Mentre per le colonie spagnola indipendenza raggiunta tra 1810 e 1825 significò
scontri cruenti e frammentazioni, per il Brasile no.
In tutti i nuovi stati, cmq , inizialmente l'indipendenza non comportò un cesura
dal punto di vista giuridico. Rimase in vigore il diritto anteriore detto
“indiano”= d della madrepatria + disposizioni speciali per le colonie → forte
particolarismo giuridico. Perciò i leader dei nuovi stati, influenzati dal pensiero
di Bentham pensarono alla codificazione, per il d civile modello è il Code civil,
MA grandi giuristi e retroterra culturale comune. 3 fasi del momento della codi-
ficazione subito dopo indipendenza, adozione di testi tradotti, presi dal Code ci-
vil. Es cc di Haiti(1825), della Bolivia(1830).
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cc peruviano(1852). Tentativo di riformulare in termini moderni il d di epoca
coloniale, presentato come espressione della cultura nazionale. Cc cileno(1855)
opera del giurista Bello, equilibrato compromesso tra istanza liberali espresse
dal cc francese e istanze conservatrici della nuova classe dirigente(mantenimen-
to del d tradizionale in materia di famiglia e successioni). Si ispirano anche a Sa-
vigny e al progetto di cc spagnolo; stile letterario, struttura razionale= Titolo
preliminare + persone + beni + successioni e donazioni + obbligazioni e contratti.
3 codificazione , dal 1860 circa; accelerazione/estensione a tutti gli stati dell'A la-
tina. Ecuador, El Salvador, Venezuel, Nicaragua, Honduras adottano il cc cileno.
Messico si ispira a l cc francese. Importante è il cc argentino di Sàrsfield(1871)
adottato poi anche da Paraguay.
Teixera de Freitas fa un progetto di cc brasiliano(1860 - 67), influenzato dalla
Pandettistica tedesca; mai pubblicato ma ha influenzato quello in vigore dal
1917.
I mutamenti del XX hanno portato ad adeguamento del cc , tramite legislazione
speciale o giurisprudenza. Nuovo cc in Messico(1928). Crescente influenza della
common law in d commerciale, dovuto al predominio di E, poi di USA quali
partner commerciali . Ciò ha influito anche su formazione di giuristi, che prefe-
riscono un master in Usa, piuttosto che in Europa.
Influenza Usa ha spinto verso armonizzazione e unificazione del d. attraverso
trapianto di istituti usa. Ma il cd panamericanismo è contrastato dall'ibero-ame-
ricanismo(ideale di unificazione del della sola A latina. Di recente panamericani-
smo è bilanciato da progetti di integrazione sub-regionale come Mercato comune
del sud(MERCOSUR, 1991) o Comunità andina(CAN, 1969).
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Il costituzionalismo in America Latina: influenza e resistenze tra teoria e prassi
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Dopo indipendenza, stati avviano stesura di cost su modello francese e statuni-
tense es Declaracìon de los derechos de Pueblo (1811).Le prime cost regolano il
funzionamento della forma di governo tramite tripartizione del potere, previsio-
ne di controllo sull'operato dei governanti e di legittimità costituzionale. Stra-
namente essa è ispirata al modello giacobino, idea del Parl quale organo sovrano
e inappellabile. Realizzano quindi, un controllo politico; quello giurisdizionale
solo da metà XIX sec. Inoltre, presenza di influenza statunitensa e europea fa af-
fermare ogni possibile modello di giustizia cost: accentrato(Cile , Uruguay), dif-
fuso (Argentina , Brasile), ibrido(Perù).
Elencati poi diritti individuali e libertà pubbliche. In particolare cost messicana
del 1824 pone il precedente storico del juicio de amparo e della difesa giudiziaria
dei diritti.
Adozione ci cost simil usa, non ha poi più di tanto contribuito alla stabilità dei
paesi. Queste cost hanno avuto vita breve e lunghi periodi di inattuazione → di-
vario tra carta e prassi applicativa.
Es cost messicana(1917): 136 artt orientati al riconoscimento di diritti sociali,
economici, culturali. Ripartizione del potere simil usa(federazione, governo pre-
sidenziale, parlamento federale bicamerale, giustizia indipendente) “But that is
form. The content is of course different”.
Nella prassi troppo potere al Gov, stato di emergenza ha favorito sviluppi autori-
tari attraverso la deroga di ogni garanzie o libertà in essa sancita. Eco perchè
questi sistemi dedicano molta attenzione alle garanzie di tutela dei d fondamen-
tali.Il recurso de amparo ha influenzato europa, Africa e Asia; in origine via
giudiziaria alternativa per ottenere riparazione di un d fondamentale leso da un
atto illegittimo del pubblico potere; poi divenuto meccanismo di tutela dell'inte-
ro ordinamento. Incorporato nella Convenzione Americana sui Diritti dell'Uo-
mo(1969)(cd atto di S. Jose) all'art 25. Quindi nuova fase del costituzionalismo
attenta al dato reale.
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Corti, giudici, processo
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Soltanto alcuni ordinamento (Bolivia, Cile, Columbia, Ecuador, Guatemala,
Perù) hanno una Corte cost. Altri(Costa Rica, El Salvador, Honduras, Nicara-
gua, Paraguay, Venezuela) hanno una “Sala Constitucional” nella Corte supre-
ma ordinaria. Invece Argentina, Brasil, Messico hanno Corte suprema, senza di-
stinzione interna o esterna di competenza(c'è influenza usa).
Per la cost brasiliana il potere giudiziario è ripartito 4 tribunali. Quasi tutti i
paesi riconoscono ai giudici garanzie ed immunità costituzionali.
I giudici superiori sono nominati o dal Presidente con approvazione del
Senato(Brasile), con coinvolgimento del Parlamento(Venezuela, Uruguay), o dal-
lo stesso giudiziario(Rep Dominicana) Altri paesi hanno sistemi di nomina misti.
Per quanto riguarda il d processuale, modello diffuso è quello di civil law. In
ambito civile adozioni di alcuni istituti tipici usa. D penale caratterizzata da re-
cente abbandono del modello inquisitorio a favore del modello accusatorio.
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Sezione II: L’incontro con la Cina
Premessa
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Cina è il paese dominante dell'area est asiatica. Per gli altri stati cinesi è stata il
centro del mondo, la prima a sviluppare i caratteri di una civiltà(lingua, filoso-
fia, e alcuni istituti giuridici).
Il diritto cinese nella sua versione autoctona
II sec a C(dinastia Qin) c'è stato unitario , che rimane fino ai giorni nostri(1911)
nonostante periodi di frammentazione del potere. Dal 206 a C(dinastia Han)
Impero cinese noto come Impero celeste, fonda il proprio sistema istituzionale su
due scuola di pensiero: legista e confuciana che diviene presto ideologia di stato.
Confucianesimo riproduce ordine naturale delle cose all'interno del quale è ne-
cessario il rispetto del principio gerarchico(inferiore deve obbedire al superiore;
superiore deve proteggere/educare/consigliare l'inferiore) e della differenziazio-
ne(ciascuno ,dentro la piramide gerarchica,ha un ruolo, mantenendo una posi-
zione appunto differenziata).
L'armonia nazionale è pace ed equilibrio nei rapporti interpersonali e nei rap-
porti individuo/società. La legge è un male per reprimere comportamenti con-
trari all'ordine naturale. In clan, gruppi, villaggi tutti devono cooperare per la
collettività; la famiglia è la base della società.
Tradizionale concezione cinese del diritto è caratterizzata dai li(riti formati dai
testi classici confuciana) e dalle fa(leggi che prevedono punizioni e castighi per
proteggere i riti).
Quindi connotato prevalentemente penale della legislazione cinese! Avversione
contro i tribunali, esaltazione della conciliazione e della mediazione, ”forma di
arbitrato, la cui esecutività era dovuta alla coattività della decisione del superio-
re”. Dottrina che ha penetrato strati più bassi della società e ha fatto pensare che
in Cina non vi fosse diritto. Col tempo il territorio imperiale venne diviso in pro-
vince suddivise in unità amministrative decentrate → cooperazione di strutture
di potere periferico formalmente fuori dall'operato statale. Il s giuridico cinese è
“ordinamento del sociale” GROSSI, vive nella sua versione autoctona prima del-
l'arrivo delle potenze occidentali. Libertà individuale non è valore per il singolo
perché il singolo conta in quanto parte della comunità.
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L'incontro con le potenze occidentali
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Con le “guerre dell'oppio” (1839-1842 e 1856-1860) inizia storia di Cina moder-
na. Sconfitta da Inghilterra che la obbliga a firmare i trattati ineguali, al fine di
imporre il suo dominio e economico e influenzare la politica interna dell'impero
celeste. Hong Kong passa all'E.
Nelle clausole di extraterritorialità si prescrive che tutti i procedimenti giudiziari
in cui è coinvolto uno straniero, la vertenza debba risolversi davanti al tribunale
consolare che deve dividere in base a regole straniere, finche il s cinese non si
conformi alle pretese occidentali di uno stato di diritto.
Da qui nasce il viaggi common law e civil law in Cina.
Impero celeste cerca di riformare il proprio sistema. Shen Jiaben incaricato nel
1902 di revisionare le norme cinesi tenendo conto delle leggi dei paesi stranieri.
Istituita commissione per la codificazione del diritto. Traduzione di testi occiden-
tali; il progetto di cc del 1911 si ispira principalmente al BGB. Si tenta anche di
fare una cost su osservazione dei modelli stranieri, non andata però in porto.
Cambiati modi di reclutamento dei giudici introducendo sistema modellato su
esami uni occidentali.
1927 – 1949 il Partito nazionalista cinese percepisce inadeguatezza del d tradi-
zionale. Sun Yat-sen inserisce nello statuto del partiti i 3 principi del popolo: na-
zionalità(stato nazionale su modello occidentale), benessere(cura della sussisten-
za collettiva del popolo), democrazia(affiancata la ripartizione di Montesquieu).
I Sei codici(sei leggi): l cost + cc + cp + cpc + cpp + l sull'organizzazione giudi-
ziaria Influenza di Bgb e di pandettistica(cc= parte generale + 5 libri +
soluzioni). D penale ispirato a tedesco e giapponese
L cost provvisoria del 1932 organizza le corti su 3 livelli, al vertice c'è corte su-
prema. Servono specifiche competenze per magistrati e avvocati.
Reale applicazione di quanto scritto nelle 6 leggi è discussa, anche perché le sip
in materia di famiglia successioni e obbligazioni erano estranee alla tradizione
giuridica cinese. In vigore solo fino al 1949. Cmq c'è una modernizzazione del s
delle fonti, ispirata a modelli europei.
La momentanea interruzione del “viaggio” di civil law e common law
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A causa del diverso impatto delle nuove leggi, il territorio si frammenta e il PC
controlla alcune zone su modello russo-sovietico. L'ideologia di Mao Zedong è
ostile alle 6 leggi, lui esalta l'unità delle funzioni stati, tute in capo all'Assemblea
Nazionale. 1966-1976 grande Rivoluzione culturale , i soggetti appartenenti alla
burocrazia vengono ”rieducati” nelle campagne.
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Il rinnovato interesse per il diritto occidentale
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Il successore di Mao, Deng Xiaoping ha un approccio pragmatico verso il d. che
diventa strumento per modernizzazione/liberalizzazione dell'ordine economico.
→ nel socialismo con caratteristiche cinese si rinnova l'interesse per i d occiden-
tali. Dal'79 maggiore “giuridicizzazione” dell'ordine economico e sociale al fine
di garantire maggiore certezza fra soggetti, nazionali o stranieri, privai o pub-
blici, che vi operano.
La cost del 1982 segna un distacco rispetto alle cost socialiste. È la principale
fonte del diritto, sebbene non c'è organo che controlla la costituzionalità delle
leggi. C'è al massimo una supervisione costituzionale. Assemblea nazionale del
popolo(ANP) deve sorvegliare l'applicazione della Cost.
1988 stato ammette esistenza del settore privato dell'economia. Viene protetto il
diritto d'uso della terra statale. 1993 nasce nella cost cinese l'economia privata.
1999 affermazione esplicita del “governo della legge” socialista. 2004 si afferma
che stato rispetta e protegge i diritti umani.
Dagli '80 in poi a cost si affiancano molte leggi scritte(sui marchi, sull'arbitrato,
sui contratti, sui giudici, sugli avvocati, sui diritti reali, sul lavoro) → commi-
stione tra civil law e common law.
Partecipazione ad organizzazioni internazionali, come acceso alla WTO nel
2001, ha agevolato il trapianto di nozioni di common law. Es ragionevolezza e
buona fede per elaborare/applicare il d tradizionale cinese. Ancor oggi i d locali
fan riemergere importanza del d tradizionale incline a soluzioni di compromesso
di chiara matrice confuciana 1997 Hong Kong torna alla madrepatria e ciò fa
circolare il sistema anglosassone.
Progetto di codificazione civile entro il 2010. Intanto d civile regolato da l del
1986 sui “Principi generali del diritto civile” che in parte riprendono la dogma-
tica della Pandettistica, introducendo concetto di negozio, personalità giuridica,
rappresentanza. + leggi speciali es su matrimonio e successioni + da atti norma-
tivi inferiori approvati a livello centrale e locale.
Per Legge organica dei Tribunali del popolo(1979) ord giudiziario è corti specia-
li + corti ordinarie
Corte suprema del popolo, corti superiori, corti intermedie, corti di base. La
giurisprudenza non è fonte del d, mala Corte interpreta le leggi emettendo pare-
ri, chiarimenti(le nostre normative di attuazione). Purtroppo il s giudiziario ci-
nese è subordinato al potere politico. Sigh. Il giudice è bocca della legge.
L su procura civile emendata nel 2007, si ispira al modello processuale europeo
continentale. Importante è la conciliazione amministrata, esercitata daComitati
popolari nei villaggi, e quell informale ancora diffusa nelle zone rurali.
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Sezione III: L’incontro con il Giappone
Il primo incontro: la Cina
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nel V sec d C Giappone adotta scrittura cinese, religione buddista e principi giu-
ridici cinesi , come preferenza per la conciliazione. Tuttavia Giappone rifiutò
idea di imperatore legittimato dalla discendenza dalla dea del sole.
Anche leggi emanate nel VII-VIII sec dC, in materia penale(ritsu) e amministra-
tiva(ryo)risentono dell'influenza cinese. Ma queste norme, mai concretamente
applicate, perché sostituite da consuetudini locali di origine nobiliare/militare.
Non a caso la casta dei militari e il loro capo, lo shogun hanno avuto il controllo
effettivo del paese. Affermazione definitiva dei militari con predominio della di-
nastia Tokugawa (1603-1867): adozione del confucianesimo, organizzazione di
società in classi insuperabili tra loro(mentre in Cina erano superabili), attivismo
nella produzione legislativa, 1742 riforma dell'intero s normativo, non incorag-
giamento al ricorso alle corti, preferiva che la gente risolvesse le questioni fuori
da s giudiziario.
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L'apertura ai modelli occidentali e l'incontro con la civl law
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Nel XIX sec lo sviluppo dell'economia mette in crisi il rigido sistema sociale, l'
isolazionismo politico non resiste alla pressione dei paesi occidentali. Anche
Giappone firma i trattai ineguali. 1868 fine dello shogunato Togukawa, ripristi-
no dell'autorità imperiale con imperatore Meiji. Con lui riforme e modernizza-
zione, la cd Restaurazione Meiji, che toccò anche il d e le fonti, attenzione per
modelli occidentali di civil law. Ispirazione è il d tedesco per il cpc (1890), c di
commercio(1899), cpp(1922)1898 cc, basato su BGB; 1899 costituzione su model-
lo prussiano(anch'essa con imperatore al vertice)
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Il secondo dopoguerra e l'influenza statunitense
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Nell'ultima fase di sviluppo del d giapponese c'è influenza usa . Costituzione del
1947, rigida, toglie prerogative divine dell'Imperatore, accoglie la separazione
dei poteri per cui legislativo a Dieta bicamerale elettiva, esecutivo al Gov, c'è fi-
ducia, giudiziario alla magistratura, rinuncia alla guerra, laicità dello stato, san-
cita la protezione dei d fondamentali dei cittadini, controllo diffuso di costituzio-
nalità affidato a Corte suprema. Norma incostituzionale è disapplicata, ma resta
in vigore!? Dal '96 giurisdizione delle Corte è puramente discrezionale. Il p d
uguaglianza ha inciso molto su rapporti familiari e successione da rendere ne-
cessaria la revisione di libro IV(famiglia) V(successioni) del cc. Modificati anche
d commerciale, d delle società e antitrust, d fallimentare, d del lavoro e delle re-
lazioni industriali, d contrattuale, d penale.
Per secoli il regime feudale considerò immorale la professione di avvocato. Legit-
timazione di avvocati solo in epoca Meiji. Solo dal 1980 aumenta prestigio degli
avvocati.N di avvocati sempre stato basso. Giudici formati nell'Istituto annesso
alla Corte suprema, la loro indipendenza è garantita n modo molto enfatico da
Cost. ma in pratica Corte e magistratura sono indipendenti. Molto penetrante
influenza del d usa su processo civile e penale: new cpp 1949 basato sul p accu-
satorio, sulla non obbligatorietà dell'azione penale. New cc 1996, è stato reso più
“avversario” il processo civile, ha introdotto istituto della cross-examination,
maggiore concentrazione del procedimento. In Giappone il processo(non la me-
diazione) è l'alternativa. Durante lo shogunato , il”principio della transazione”
caratterizzava il s processuale. Anche durante Meiji, il giudice praticava il cd
kankai ossia il “consiglio di transigere”. Cpc 1890 modellato sul tedesco abolì il
kankai.
1922 istituto un procedimento speciale di mediazione detto chotei(=“conciliazio-
ne”). Oggi ne esiste uno in materia civile e uno in materia familiare. Procedi-
mento è di fronte a un comitato chotei(giudice + 2 conciliatori). Se parti rag-
giungono una soluzione concordata, questa sarà come una sentenza. Sennò comi-
tato proporrà una soluzione che in ,mancanza di opposizioni , varrà come deci-
sione . In assoluto i processi di chotei son di più di quelli civili.
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Sezione IV: L’incontro con l’India
Premessa
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Incontro tra tradizione occidentale e quella indù grazie a dominazione britanni-
ca. Il campo d'applicazione del d'indù si è ristretto per effetto delle dominazioni
straniere e poi dopo indipendenza per la volontà dello stato di legiferare ogni
settore della società indiana: ora d indù è solo il d delle comunità indù. Modello
inglese ebbe influenza dominante.
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Il diritto tradizionale personale indù
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Spesso si sostiene che il d indù, legato all'induismo sia il più antico del mondo. I
Veda , testi sacri( dal VII sec a C al II dC) son testi da cui discendono regole di
comportamento sociale. Le regole giuridiche non erano autonome dalle norme
attinenti alla sfera morale che disciplinavano la vita dell'individuo. Società or-
ganizzata in categorie sociali(varna), cui il singolo apparteneva per nascita, alle
diverse categorie corrispondeva un codice di comportamento(dharma). Ogni
status imponeva obblighi. Il dharma è un insieme di precetti religiosi, etici e di
prevenzione o composizione dei conflitti, fondati su credenza che esiste un ordi-
ne dell'universo che uomo non deve turbare. I primi scritti relativi al dharma
sono i dharmasastra, la cui base è rintracciabile nelle consuetudine in ambito so-
ciale/religioso; essi risalgono ad epoche diverse tra loro, Infatti il dharma si di-
mostra sensibile all'evoluzione della società. I nibandha sono raccolte di fonti
dedicate a un dato problema o a un dato istituto.
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La dominazione britannica, la deformazione del diritto indù e la costituzione di
un diritto territoriale
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Storia del diritto inglese in India nasce nel XVII sec sotto Elisabetta I, 1600
Compagnia delle Indie, monopolio commerciale su Oceano Indiano. La Charter
di Carlo II 1661 diede inizio a esercizio del potere giudiziario da parte della
Compagnia.
1726 Giorgio I dispose che i territori di Bombay, Calcutta, Madras fossero sog-
getti ad amministrazione E. Istituite corti regie che applicavano il d inglese.
Fuori dalle capitali però d inglese di difficile applicazione. 1772 governatore Ha-
stings dispose che corti dovevano seguire d indù o musulmano in materia di suc-
cessioni, matrimonio, casta, usi legati a religione, mentre quello inglese per le al-
tre materie. Durante il periodo musulmano il d indù rimase in vigore e la sua
evoluzione non fu ostacolata dal potere islamico. Sotto amministrazione E, d
indù e d musulmano furono trattati come legge d'eccezione. Il nuovo d d'ispira-
zione inglese, regolò poi tutti i settori più importanti della vita sociale, imponen-
dosi come diritto territoriale. Sembrava infatti il mezzo migliore per regolare
rapporti tra persone di diverse comunità(c'erano anche cristiani, ebrei e parsi).
Quando India si affacciò al commercio internazionale d indù e musulmano rive-
larono le proprie carenze e le soluzioni già pronte della common law inglese si
imposero. E insediò giudici britannici metropolitani, ma così distorsero il d indù
tale tanto che a volte erano le parti a chiedere di sottoporre il loro rapporto alla
common law. Il giudice E credette erroneamente che i dharmasastra contenesse-
ro il d positivo indiano e si sforzò di trovare la regola applicabile al caso concre-
to. Tuttavia solo metà dei dharmasastra erano stati tradotti, quindi la conoscen-
za era parziale!
Di fronte alle lacune, si svilupparono norme influenzate da common law come
introduzione nel giudizio delle regole probatorie inglesi.
Il d indù si era curato di famiglia, casta, terra, successioni ma non di obbliga-
zioni. Fu soppiantato da un Anglo-Indu Law. Col tempo decisioni giudiziarie dei
giudici inglesi nei tribunali indiano furono pubblicate , creando i precedenti,
vincolanti → raccolte di giurisprudenza, organizzate secondo concetti e catego-
rie inglesi. Giurisprudenza ebbe ruolo determinante nella distorsione del d indù:
dharma fu visto come diritto astratto e tradotto in norme positive. La consuetu-
dine ruolo limitato.
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L'influenza in India delle idee di Bentham: l'epoca delle codificazioni
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Col Chater Act 1833 comincia periodo della codificazione, diffuse le idee di Ben-
tham. Codificazione come strumento migliore per trapiantare in India il d ingle-
se e abolire le istituzioni tradizionali. 1835 prima Indian Law Commission co-
mincia opera di codificazione di regole conformi al modello inglese. 1859 cpc,
1860 Indian Penal Code, 1861 cpp. Adottate leggi in materia di contratti, di tra-
sferimento di proprietà, di prove, sull'esecuzione forzata delle obbligazioni, sui
titoli di credito. Nuove leggi introdussero dunque grossi nuclei di diritto inglese.
I riformatori E guardarono anche a ad altre esperienze giuridiche(co francese e
cp della Lousiana).
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L'indipendenza e il diritto vigente: ancora tracce nella tradizione giuridica occi-
dentale
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Indipendenza 1947 ha ridotto a due i grandi protagonisti della vita giuridica in-
diana: il d territoriale e il d indù(perché tagliati fuori Pakistan e Bengala). 1950
nuova costituzione sovrapposto al vigente 395 articoli; è un prodotto della com-
parazione giuridica. Parte iniziale è simil usa, per quanto riguarda struttura fe-
derale simil canada e Australia; per quanto riguarda norme programmatiche
simil irlanda. Il carattere che l'allontana da E e l'avvicina ad Usa è la presenza
della cost. Con essa India è federazione di 28 stati, però a differenza di usa man-
ca unità linguistica. Siauspica che hindi sostituisca l'inglese. Rapporti stati/unio-
ne son diversi rispetto a sa. In India prerogative eccezionali riconosciute alle au-
torità federali. Il potere giudiziario come E, USA è la spina dorsale del sistema
giuridico. Unico corpo costituito da corti superiori degli stati, con al vertice la
corte suprema. Corte col tempo si è attribuita il potere di controllare il gov. Tut-
tavia nel d attualmente vigente in india rinvenibli tracce di common law ma an-
che di civil law.
1) ord indiano è continuazione della comon law per i metodi di lavoro impiegati:
consultazione dei precedenti, redazione delle sentenze etc.
2) giudice crea norme se il legislatore è carente, qualche volta anche in opposi-
zione ad esso. Secondo la cost art 141 , ogni regola elaborata da Corte vincola
tutti gli organi giudiziari del paese. Peraltro questa regola del precedente perde
terreno perchè c'è stata intensa produzione legislativa in materie non coperte da
precedenti giudiziari e quindi i giudici si son dovuti rivolgersi alla legge. Poi le
sentenze della Corte sono numerosissime e spesso contraddittorie, quindi per il
giudice è difficile ricostruire lo stato attuale della giurisprudenza, finendo per
disporre di un'ampia libertà di scelta.
Frequente ricorso al diritto comparato(soprattutto a casi usa, E, AU, C )
3) nel d indiano c'è predominanza della fonte legislativa. Per troncare rapporti
con madrepatria, India ha scelto lo strumento legislativo, tipico di sistemi oppo-
sti a quelli di common law. Art 44 della cost, India si è dichiarata aperta alle co-
dificazioni, auspicando la promulgazione di un cc per tutta la nazione
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Sezione V: L’incontro con i paesi islamici
Premessa
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Il d islamico non è mai stato completamente impermeabile alle influenze esterne.
Es tracce di d persiano, romano-bizantino, canonico, delle chiese orientali, d
ebraico. Due i momenti di maggiore apertura del d islamico verso d stranieri:
all' inizio della sua formazione(VII, VIII sec d C) e nel periodo pre e post colo-
niale(XIX, XX sec). Nel secondo, influenza occidentale ha avuto allasua base la
contrastata dialettica tra sari'a e siyasa sar'iyya.
Sari'a= legge rivelata da Dio per i soli musulmani , per regolare dimensione este-
riore delle loro vite.
Siyasa sar'iyya= diritto promanante dal potere politico o dal governo; essa nasce
a causa dell'immutabilità della sari'a, come mezzo per modernizzare il d; è su-
bordinata alla sari'a. Pero gia Nel XX sec la siyasa sar'iyya si cristallizzò e fu
poi recuperata con l'adozione di modelli occidentali. Incontro è con modello
francese e inglese La tensione tra modernità e tradizione portò una ricezione a
volta diretta e avolte formale. Si trattò di un' ”acculturazione” che porto prima
a ingresso dell'idea di codificazione poi all'apertura a norme/istituti francesi.
Netto prevalere del modello francese, per il prestigio del Code civil. La sua in-
fluenza portò alla compresenza di norme di origine diversa → pluralismo giuri-
dico non sconosciuto al mondo arabo-musulmano: il governo coloniale si inserì
in un d già stratificato, apportando nuove pluralità.
Cmq sar'ia contnò ad essere applicata in d di famiglia e delle successioni. A se-
guito del rafforzamento della protezione dei diritti umani, il diritto di famiglia è
diventato oggetto di dibattiti. Già dall indipendenza nazionale, inizio un proces-
so di “rinascita culturale”, tendente a ripristinare uso di sari'a. La prima fase è
modernista di adattamento dell'Islam alle esigenze contemporanee per modifi-
care le parti superate, a per accettare il modelli di vita occidentale. La seconda
fasem è riformista, alla ricerca di una rinascita interiore dell'Islam es emenda-
menti di alcuni costituzioni verso maggior compatibilità con norme della sari'a.
Nel d commerciale progetti di creazione di banche rispettose di principi islamici.
Le 4 fonti del d islamico: Corano(libro delle rivelazioni di Maometto) +
sunna(“consuetudine”, racconti sul comportamento di M, trasmessi oralmente e
poi scritti) + igma' (accordo della Comunità dei dottori su una data questione
concernente la sari'a) + qiyàs (il procedimento analogico).
”Paesi islamici” e “Paesi arabi” a volte si sovrappongono , ma non sono la stessa
cosa. I paesi arabi sono anche paesi musulmani, ma non tutti i paesi musulmani
sono anche paesi arabi. L'arabo è anche in Nord Africa, nei paesi della penisola
arabica tra il Mar Rosso e il golfo persico(Sudan, Oman etc) e sul Mediterraneo
orientale(Libano, Palestina etc). La religione islamica, invece si è diffusa anche
in una zona tra Atlantico e Pacifico(es Iran, la cui lingua è il farsi; Senegal,
gambia, Niger etc) . “paesi del medio oriente” ha sempre comprese una cerchia
di paesi non tuti arabi e non tutti musulmani.
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Le tracce di civil law nei paesi islamici
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I paesi islamici son 54 stati, area molto eterogenea, difficilmente schematizzabile.
Il primo incontro del d europeo col d islamico riguardo il d penale(1858, abolita
tutte le pene tranne quelle di morte per apostasia) e d commerciale(praticamente
tradotto da quello francese del 1807) ,avvenne nel XIX sec durante attraverso il
regime delle Capitolazioni, sistema con cui i francesi assicuravano a i propri cit-
tadini residenti nel medio oriente la possibilità di essere amministrati dalle loro
leggi. Poi le stesse autorità del medio oriente le utilizzarono per colmare lacune
del proprio d. Recepiti direttamente numerosi istituti e norme di origine occi-
dentale, soprattutto francese → periodo delle riforme benefiche(Tanzimat 1826-
1878)iniziata con c di commercio 1850 e con abolizione del sistema delle capito-
lazioni (1867), conclusa con costituzione del 1875. Ina materia di d privato , 3
modelli
1) ottomano: imitazione del mod francese sia nella scelta della duplicazione delle
donti del d privato, sia per consolidazione dell enorme in materia di obbligazioni
e contratti(Magallà 1877), il cui autore fu Pascià fu consolidazione del d musul-
mano hanafita(scuola sunnita liberale) e fu interpretata o come primo codice
muslmano laico non islamico avviato sotto influtto di concetti europei, o come
primo codice musulmano solo esteriormente europeo, o come unico tentativo di
codificazione della sari'a.
2) maghrebino: in Tunisia tra XIX e XX sec, Divero dagli altri perchè prende in
considerazione solo la disciplina di obbligazioni e contratti → Code Santillana
1906 , dal nome del giurista Santillana era consolidazione del d musulmano ma-
likita(scuola sunnita conservatrice)organizzate in uno schema romanistico. Poi
recepito in Marocco.
3) egiziano: simile all'ottomano ma a sua differenza, riprodusse la duplicazione
delle fonti del d privato in entrambi i settori, seguendo più da vicino la duplica-
zione delle fonti napoleoniche: cc e c di commercio con appendice per commer-
cio maritttimo. Poi maggiore autonomia soprattutto nel new cc del 1949. un vero
e proprio cc arabo. Autore fu Al Sanhuri, imitato anche da Siria, Iraq, Libia, Al-
geria, Giordani, Kuwait, Somalia; riprese anche codici di altri paesi; consacrò il
diritto musulmano fonte formale del d egiziano. A
lgeria, colonia francese di dominio diretto, non riusci a recepire il codice tunisi-
no, ma ricevette l legislzione francese metropolitana → sistema franco-musul-
mano.
Nonostante la sua “origine divina”, anche il d islamico subì modifiche, ma NON
sotto influenza di modelli europei. “Statuto personale” rimanda all'applicabilità
su base personale delle n che regolano non solo il d di famiglia ma anche il d su-
cessorio e il d della fondazioni pie. Gia nel'17 Impero ottomano codificò il d di
famiglia con legge ottomana sul matrimonio e sul divorzio. La codifica
sopravvisse allo smembramento dell'impero , nel 1920.
Solo nel secondo dopoguerra anche i paesi del Maghreb intrapresero la codifica-
zione del d islamico di famiglia.
Tunisia, codificazione tentata nel '47, ma ottenuta solo con idnipendenza(1956).
Abolizione di poligamia e eliminazione del ripudio. Nel 0'58 introdotta l'adozi-
one, sconosciuta alla sari'a.
Marocco , dopo indipendenza, codice dello statuto personale. Codificazione – in-
novativa della Tunisia. Per molto tempo solo Marocco e Tunisia hanno lo statuto
personale.
Algeria , legge della famiglia del'84 regolò matrimonio, divorzio, anche la tutela
e l'assenza, successioni legittime e la donazione e la fondazione pia.
Egitto ,mancò codificazione del d di famiglia. Si modificò la sari'a in punti de-
terminati. La prima legge in materia di statuto personale è del 1920. nel 200
creata giurisdizione specializzata in materia di famiglia.
Recentemente d di famiglia riformato in Marocco: dal '93 serve consenso per
sposarsi, dal 2004 nuovo codice di famiglia, regola locus regit actrum per ma-
trimonio civile all'estero, possibilità per donna maggiorenne di concludere senza
tutore/rappresentante il matrimonio, scoraggiamento di poligamia.In Algeria dal
2005 modificato il codice di famiglia. Poligamia è ammessa a certe condizioni.
Sul costituzionalismo hanno inciso:
Extraterritorialità del d è applicabilità su base personale indipendenetemente
dalla nazionalità del soggetto musulmano ha influito sul costituzionalismo inteso
come apparato di n superiori promanannte da un'autorità statale, non avendo
favorito la nascita del concetto di nazione.
Religiosità del d incide sul costituzionalismo inteso come “stato di diritto”,
escludendone ad esempio la separazione dei poteri.
Le tappe del processo di trasformazione politico istituzionale
- fine XIX sec . 1980: adozione di modelli di democrazia europei quale liberale o
repubblicano(Iraq, Siria) prima , poi liberale o socialista(Marocco, Egitto ; Al-
geria, Siria). Sviluppo arrestatosi con indipendenza di 'questi paesi, poi progres-
siva erosione dei principi occidentali recepiti. Si parlato di “costituzioni in un
mondo non costituzionale”.
- da anni '80 , rifiuto di modelli occidentali → revivalismo islamico. Es in cost
egiziana sari'a è prima fonte della legislazione egiziana o cost iraniana.
Giustizia molto modificata su modello francese. Giudice ha perso gradualmente
le funzioni detenute nell'Islam classico, quale qadì. Divenne organo collegiale,
perse competenza generale, lsa sacralità e nacquero giurisdizioni d'appello. Si-
gnificative riforme giudiziarie in d civile, d commerciale. Prima giudici applica-
vano sari'a + diritto statale. Altri sistemi di giustizia locale applicavano le con-
suetudini. Col regime delle Capitolazioni, dualismo tra tribunali religiosi e corti
consolari. A questi si aggiunsero tribunali misti, competenti a giudicare conflitti
tra stranieri non musulmani di stati diversi o tra stranieri e musulmani, compo-
sti da giudici stranieri e locali. Alle corti sciaraitiche si affiancarono tribunali se-
colari competenti in materia contrattuale, in materia di responsabilità civile,
commerciale e penale. Poi unificato il sistema delle corti. Tribunali temporali
son competenti anche per questioni riguardanti lo statuto personale. Tribunali di
prima istanza. Corti d'appello. E Cassazione, quasi in tutti i paesi.
Controllo di costituzionalità no ruolo significativo. Nacque tramite la sua affer-
mazione da parte del pot giudiziario. Controllo accentrato dai '70 in Iran c'è il
Consiglio dei Guardiani(12 giudici). La maggiora parte dei paesi ha modello ac-
centrato o preventivo(come F) o affidato a corti specializzate(come Austria). Al-
tri paesi hanno controllo decentralizzato effettuato in occasione del l'applicazi-
one del caso concerto.
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Le tracce di common law nel diritto islamico: l'esempio dell'India, il diritto “an-
glo-maomettano”
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Common law in India si combina con d islamico → diritto anglo maomettano.
1026 inizio di dominazione islamica, 1661 inizio di influenza del d inglese. Storia
del d islamico in india può essere divisa in 3 periodi:
periodo islamico(1206-1857): prima sultanato poi Moghul che lasciarono ai mu-
sulmani libertà di restare fedeli alle proprie leggi e consuetudini.periodo
inglese(1661-1947)
periodo repubblicano(1947).
Il piano Hastings del 1772 comportò applicazione agli indigeni di religione
maomenttana delle norme islamiche(“the laws of the Koran”) riguardo succes-
sioni, matrimonio, altri usi o istituzioni. Si creò così un sistema anglo-maometta-
no che vide le forme giurisdizionali inglesi utilizzate da giudici E per applicare n
islamiche conosciute attraverso il sostegno dei “native law officers”; le loro deci-
sioni erano basate su traduzioni dei testi classici dell'Islam conosciuti attraverso
traduzioni persiane e poi tramite compilazioni dei pareri forniti dagli esperti na-
tivi. Corti inglesi ebbero sempre problemi di accertamento del contenuto di n
islamiche, anche perché c'erano diverse scuole. Applicazione del d indigeno era
subordinata a “justice, equity and good conscience”.
Questa composizione delle corti non solo favorì maggior diffusione del common
law e dell'equity, ma comportò anche l'unificazione del s delle corti.
Uno dei segni dell'incontro tra s inglese e islamico vi è applicazione della teoria
del precedente dottrina del taqlid, da parte delle corti indiane: ciò comportò la
tendenza ad affidarsi a testi giuridici islamici autorevoli e a rigettare enucleazio-
ne di nuove regole di d da testi antichi con conseguenze “conservatrici” che po-
tevano essere evitate tramite il ricorso alla legislazione e ai principi di equity. In-
fluenza occidentale portò anche a recezione dell'idea di codificazione del d, pro-
getto di cp 1837, promulgato nel 1860. seguì presto un cpp e un c dei contratti.
Tutte le codificazioni recepirono numerosi istituti di d inglese tanto che il d isla-
mico fu confinato al d di famiglia.Il Muslim Personal Property Applicatio Act
del '37 escluse applicazione delle consuetudini in tutti i casi riguardanti lo statu-
to personale, il matrimonio, le successioni e fondazioni pie dei musulmani impo-
nendo che la solo fonte dovesse essere la “Muslim Personal Law”
Dissolution of Muslim Marriages Act '39 concesse a musulmane il d di adire le
corti per lo scioglimento del matrimonio, in certi casi.
Il Muslim Women Act, '86 fu la sola interferenza legislativa diretta nel campo
del d islamico nell'India indipendente.
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