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Il Mulino - Rivisteweb

Michel Troper
Interpretazione costituzionale
(doi: 10.1415/31849)

Ragion pratica (ISSN 1720-2396)


Fascicolo 1, giugno 2010

Ente di afferenza:
Università degli studi di Genova (unige)

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Michel Troper

Interpretazione costituzionale

Chiunque si occupi di interpretazione costituzionale non può non chiedersi se vi


sia una qualche specificità che consente di distinguere questa da altri oggetti o
forme di interpretazione giuridica. Qualsiasi teoria dell’interpretazione giuridica
si sottoscriva si dà per scontato che l’interpretazione costituzionale sia una species
del genus «interpretazione giuridica» e si cerca di distinguerla da altre species
dello stesso genus quali l’interpretazione delle leggi, l’interpretazione dei trattati
internazionali, l’interpretazione delle procedure amministrative, o dei contratti
e dei provvedimenti amministrativi. Ma, nonostante ci si ponga tutti la stessa
domanda, il tipo di risposta che viene data dipende in una certa misura dalla stessa
teoria dell’interpretazione a cui ci affidiamo. Riccardo Guastini distingue tre tipi
di teorie dell’interpretazione. Secondo una prima teoria, l’interpretazione è una
funzione della conoscenza e consiste nello scoprire il vero significato di un testo.
Secondo un’altra teoria, la teoria realista dell’interpretazione, l’ordinamento giu-
ridico conferisce a qualche autorità il potere di produrre un’interpretazione del
testo. Questa autorità è chiamata interprete «autentico». Egli è libero di attribuire
qualunque significato al testo, che quindi non ha un significato proprio prima
che abbia luogo l’interpretazione. Infine, c’è una teoria mista secondo la quale
l’interprete autentico pone in essere un atto di volontà scegliendo liberamente
ma solo tra vari significati o all’interno di una cornice (di significati) che è stata
scoperta tramite un atto di conoscenza1.
Naturalmente, coloro i quali ritengono che l’interpretazione sia una
funzione della conoscenza tentano di trovare la specificità dell’interpretazione
costituzionale nella specificità del suo oggetto. Essi ritengono che, poiché una
costituzione è un documento così differente da ogni altro, l’interpretazione

Una precedente versione di questo saggio è stata pubblicata nella «Israel Law Review», 39,
2006. Il titolo originale di questo saggio è Constitutional Interpretation. La traduzione è di
Filippo Cottone.

1
R. Guastini, Lezioni di teoria costituzionale, Torino, Giappichelli, 2001, pp. 123 e ss.; Id.,
L’interpretazione dei documenti normativi, Milano, Giuffrè, 2004, p. 267.

91
Ragion pratica 34/giugno 2010
costituzionale debba essere diversa dall’interpretazione delle leggi o dei trattati.
Sotto questo aspetto, teorici come Hans Kelsen, favorevoli ad una combinazione
fra le due teorie, o ad una teoria mista, si trovano in accordo con coloro i quali
aderiscono alla teoria dell’interpretazione come conoscenza. Nella misura in
cui l’interpretazione è un atto di conoscenza, essa è più specificamente la cono-
scenza dell’oggetto che deve essere interpretato, cioè il testo della costituzione.
Pertanto, non sorprende che Hans Kelsen sia tra coloro i quali sottolineano che le
costituzioni, a causa della vaghezza o delle ambiguità delle proprie disposizioni,
differiscono dagli altri testi normativi. Egli, ovviamente, critica le dichiarazioni
e i preamboli (contenuti nelle costituzioni) poiché lasciano gli interpreti ecces-
sivamente liberi. Questa è la ragione per cui egli fa due raccomandazioni agli
autori di una costituzione: al fine di evitare che i giudici godano di un eccessivo
potere discrezionale è consigliabile non inserire in una costituzione disposizioni
troppo generali o troppo vaghe, e quando tali disposizioni sono già nel testo
alle corti deve essere fatto divieto di utilizzarle come parametri per verificare
la legittimità costituzionale delle leggi2. Da questo punto di vista, diversi auto-
ri sottolineano il fatto che le costituzioni non esprimono soltanto regole, ma
anche principi. I principi differiscono dalle regole almeno per due aspetti. In
primo luogo, per quanto riguarda l’applicazione delle regole, ci sono solo due
possibilità. O esse vengono applicate o non vengono applicate, laddove i principi
possono essere applicati più o meno. Inoltre, accade che due o più principi siano
contemporaneamente applicabili cosicché l’interpretazione della costituzione
può richiedere che essi vengano armonizzati, o che la loro rispettiva importanza
venga soppesata e bilanciata3. Ad ogni modo, possiamo avanzare qualche dubbio
sul fatto che queste caratteristiche della costituzione siano realmente peculiari.

2
«Le norme costituzionali che un tribunale è chiamato ad applicare e, in particolare, quelle
che stabiliscono il contenuto delle leggi future – come le disposizioni sui diritti fondamentali e
simili – non devono essere formulate in termini troppo generici, non devono contenere parole
d’ordine vaghe come “libertà”, “uguaglianza”, “giustizia”, ecc. Altrimenti c’è il pericolo di uno
spostamento di potere – non previsto dalla costituzione e politicamente assai inopportuno –
dal parlamento ad un organo esterno ad esso che può essere espressione di forze politiche del
tutto diverse da quelle rappresentate in parlamento», H. Kelsen, Il custode della costituzione,
in H. Kelsen, La giustizia costituzionale, a cura di C. Geraci, Milano, Giuffrè, 1981, pp. 254-
255; Id., La garantie jurisdictionnelle de la constitution, in «Revue du droit publique et de
la science politique», 1928, p. 239. Oltretutto, questo argomento è perfettamente in sintonia
con l’idea di Kelsen secondo la quale il sistema giuridico è essenzialmente dinamico e con la
giustificazione che egli avanza in favore del controllo giurisdizionale delle leggi conosciuto
in Francia sotto il nome di «teoria dello scambista ferroviario»: la corte costituzionale non
deciderebbe sul merito e neppure sul contenuto, ma solo sulla procedura prevista per appro-
vare una specifica norma. Decidere che una legge è incostituzionale, nella visione di Kelsen,
significa che la regola deve essere approvata, non nella forma di una legge ordinaria, ma in
quella di una legge di revisione costituzionale.
3
R. Alexy, Theorie der Grundrechte, Frankfurt am Main, Suhrkampf, 1985; Id., Diritti fonda-
mentali, bilanciamento e razionalità, in «Ars Interpretandi», 7, 2002, pp. 131 e ss.

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Come fa notare Riccardo Guastini, la costituzione non è certo il solo documento
a contenere disposizioni vaghe o disposizioni che elencano principi. Queste stesse
caratteristiche si ritrovano nel codice civile e in molte altre leggi. Per altro verso,
una costituzione contiene anche disposizioni che non consideriamo abitualmente
come vaghe, quali ad esempio quelle che definiscono taluni termini o che con-
tengono cifre aritmetiche. Quindi, da questo punto di vista, non c’è specificità.
E anche per quanto riguarda il bilanciamento tra principi, questo non è specifico
del diritto costituzionale, poiché tale bilanciamento è riscontrabile nella prassi
giurisprudenziale in ogni altra branca del diritto, per esempio nel diritto ammi-
nistrativo francese, tra diritti soggettivi e interessi generali.
La stessa replica potrebbe essere rivolta nei confronti di coloro i quali
pretendono di individuare una differenza nelle materie regolate dalla costituzione,
come i diritti umani, o nel fatto che una costituzione stabilisce essa stessa i criteri
per la propria revisione o per la propria interpretazione. In verità, tutte queste
caratteristiche si possono trovare anche nelle leggi. Per esempio, la Dichiarazione
universale dei diritti dell’uomo del 1789 non ha avuto valore costituzionale fino
al 1971 ed in Francia i diritti umani sono stati regolati mediante legislazione
ordinaria. Lo stesso discorso vale per le disposizioni costituzionali riguardanti
l’interpretazione, l’equivalente delle quali si può ritrovare nelle leggi.
Gli autori che aderiscono ad una teoria realistica dell’interpretazione
nella sua versione radicale – o, come direbbe Guastini, «scettica» – potrebbero an-
che spingersi oltre ed aggiungere che l’assenza di specificità è dovuta al fatto che,
dal punto di vista giuridico, l’interprete autentico della costituzione, come ogni
altro interprete giuridico, è libero di attribuire a qualunque espressione – come
anche a qualunque fatto – qualsiasi significato, quale che sia la sua formulazione
linguistica4. Allora, dal momento che l’interpretazione costituzionale non presen-
ta alcuna specificità che dipenda dal suo oggetto, possiamo provare a vedere se la
sua specificità risieda in qualche altra caratteristica, ovvero nella qualità dei suoi
interpreti, nelle tecniche argomentative adoperate, o in ciò che l’interpretazione
costituzionale produce. Io sosterrò che, nel caso della costituzione, gli interpreti
non sono soltanto le corti, ma anche autorità non giurisdizionali, che l’interpreta-
zione costituzionale viene esercitata collettivamente, e preferibilmente giustificata
mediante un più frequente ricorso a certi tipi di argomenti, ma soprattutto che

4
Ogni studente di diritto francese sa che anche quando una legge ha conferito ad un’autorità
amministrativa il potere di emettere un ordine che fosse «definitivo e inappellabile», il Con-
siglio di Stato è stato capace di stabilire che questo non precludeva la possibilità di un recours
pour excès de pouvoir, cosicché il Consiglio di Stato ha accolto un appello avverso un ordine
di questo tipo dichiarandolo nullo e inefficace, cfr. Consiglio di Stato, Dame Lamotte, 17 feb-
braio 1950, p. 110. Cfr. M. Troper, Una teoria realista dell’interpretazione, in «Materiali per
una storia della cultura giuridica», 2, 1999, pp. 473-494; riprodotto in M. Troper, Le droit, la
théorie du droit, l’Etat, Paris, Presses Universitaires de France, 2001, pp. 69 e ss.

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la costituzione, il suo contenuto ed anche la sua superiorità gerarchica rispetto
alle altre norme sono il risultato dell’interpretazione costituzionale.

1. Gli interpreti

Ai fini del presente articolo, con l’espressione «interpreti» non intenderò chiun-
que compia un’interpretazione della costituzione, ma esclusivamente coloro i
quali compiono quella che Kelsen chiama «interpretazione autentica» cioè quel
tipo di interpretazione posta in essere dai giudici, ma anche da altri organi, un’in-
terpretazione che non può essere ragionevolmente rimessa in discussione e che,
pertanto, viene ad essere incorporata nello stesso testo interpretato5. Quando si
parla di leggi, gli interpreti «autentici» sono prima di tutto le corti superiori6.
Queste stesse corti, in un sistema a controllo di legittimità diffuso o decentrato
come quello americano, sono anche gli interpreti autentici della costituzione. In
un sistema in cui il controllo giurisdizionale di legittimità delle leggi è accentrato
ed esercitato da una corte specializzata, come in Europa, questa corte diviene
anche l’interprete autentico della costituzione ogniqualvolta i giudici ordinari
sollevano davanti ad essa una questione di costituzionalità, come avviene in
Italia per esempio. Certo, anche i giudici ordinari, prima di sottoporre alla corte
costituzionale una questione di legittimità, devono interpretare la costituzione,
tuttavia solo il giudice delle leggi avrà l’ultima parola. Quindi, da questo punto
di vista, non c’è niente di specifico nell’interpretazione costituzionale. È vero,
le decisioni interpretative di una corte costituzionale possono essere sovverti-
te da una decisione del potere costituente, ma anche l’interpretazione di una
legge operata da una corte suprema può essere sovvertita da una decisione del
potere legislativo. Inoltre, le decisioni adottate sia dal potere costituente sia dal
potere legislativo, non appaiono quali atti interpretativi privilegiati (superiori)
suscettibili di essere giustificati in base alla massima ejus est interpretari legem
cujus est condere e di sostituirsi alle inferiori e meno adeguate interpretazioni
giurisdizionali. Né il potere costituente né quello legislativo di solito preten-
dono di custodire il «vero significato» di un testo precedente. Le nuove leggi e
gli emendamenti costituzionali che vengono introdotti appaiono per quello che
sono: e cioè non come atti interpretativi ma come atti creativi di un nuovo testo.
Ci sono, comunque, due caratteristiche distintive dell’interpretazione costitu-
zionale. Per un verso, i giudici non sono gli unici organi deputati a compiere

5
Nel linguaggio giuridico tradizionale, l’interpretazione autentica è l’interpretazione compiuta
dallo stesso autore del testo interpretato, in base alla massima ejus est interpretari cujus est
condere legem.
6
N. MacCormick, R.S. Summers (eds.), Interpreting Statutes. A Comparative Study, Alder-
shot, Dartmouth, 1991.

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un’interpretazione autentica della costituzione, per altro verso l’interpretazione
(costituzionale) è spesso il risultato di un lavoro collettivo.

1.1. Un’interpretazione operata da autorità non giurisdizionali

Autorità quali un capo di stato, una camera del parlamento o il suo presidente,
un primo ministro possono trovarsi a dovere interpretare disposizioni costitu-
zionali, in determinati casi in cui non ci sia una corte costituzionale, ma anche
in determinati casi in cui tale controllo esista, o perché vi sono delle difficoltà
interpretative che non possono essere risolte mediante decisioni giudiziarie,
perché nessun tribunale è legittimato a giudicare su una particolare questione,
o perché gli organi dello stato che intendono sollevare una questione di legitti-
mità, prima di sottoporla alla corte, devono dare una prima interpretazione della
costituzione. L’interpretazione autentica di leggi ordinarie da parte di autorità
non giurisdizionali è molto più rara. Naturalmente, interpretazioni di questi testi
vengono proposte o utilizzate da ogni genere di operatore, autorità amministra-
tive, cittadini, avvocati, professori di diritto, ecc., tuttavia queste interpretazioni
sono sempre suscettibili di revisione da parte di autorità giurisdizionali e per
questo non possono essere considerate «autentiche». Esiste una pletora di deci-
sioni adottate da autorità non giurisdizionali che vengono giustificate mediante
un’interpretazione del testo costituzionale. In primo luogo, interpretazioni di
questo tipo possono essere prodotte dalle assemblee parlamentari. Per esempio,
agli inizi della rivoluzione francese, gli Stati Uniti avevano firmato due trattati
con la Francia, ma in seguito, nel 1798, una volta incrinatisi i rapporti tra i due
paesi, il Congresso ritenne di dover denunciare entrambi i trattati. Orbene, la
costituzione non aveva previsto la questione relativa a quale autorità avesse il
potere di denunciare i trattati7. Alcuni sostenevano che chi aveva il potere di
concludere i trattati avrebbe dovuto avere anche il potere di denunciarli e che,
pertanto, il Presidente ed il Senato fossero autorizzati a far ciò congiuntamente.
Altri, invece, ritenevano che il Presidente fosse autorizzato a provvedere da solo,
poiché mentre era cruciale il controllo sulla decisione di sottoscrivere i trattati, era
meno importante controllare la decisione di denunciarli, dal momento che questa
non avrebbe determinato il sorgere di nuovi obblighi. Infine, per altri, poiché
una legge ordinaria prevale su un trattato, era sufficiente che il solo Congresso
approvasse un provvedimento legislativo. Naturalmente, questo provvedimento
avrebbe dovuto regolare materie rientranti nell’ambito delle competenze federali,
come era quella del commercio con paesi stranieri e, in effetti, uno dei trattati

7
D.P. Currie, The Constitution in Congress, vol. I: The Federalist Period, 1789-1801, Chicago,
University of Chicago Press, 1997; Id., The Constitution in Congress, vol. II: The Jeffersonians,
1801-1829, Chicago, University of Chicago Press, 2001.

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in discussione era un trattato sul commercio. L’argomento, tuttavia, non risultò
molto convincente dal momento che l’altro trattato in gioco era un trattato di
alleanza. Ad ogni modo, la questione non fu portata davanti a nessun tribunale,
entrambe le camere del Congresso decisero di annullare i trattati e sembra che
questa interpretazione abbia prevalso anche in seguito8.
Pochi anni prima in Francia, l’Assemblea legislativa aveva pure in-
terpretato la costituzione relativamente alla questione della responsabilità dei
ministri. Secondo la Costituzione del 1791 «i ministri saranno responsabili per
ogni reato commesso ai danni della sicurezza nazionale e contro la Costituzione».
Ma qual era il significato dell’espressione «reato commesso contro la Costitu-
zione»? La risposta venne fuori dall’Assemblea e, più specificamente, dopo un
discorso tenuto da Brissot in occasione del caso Delessart. Delessart era ministro
degli Affari esteri ed era duramente criticato dai girondini per la sua politica a
favore dell’Austria. Questo avrebbe potuto essere considerato un reato contro la
costituzione? La risposta di Brissot fu affermativa. A suo avviso, un simile reato
si realizza ogniqualvolta un ministro si spinge oltre i propri poteri, il che era
perfettamente comprensibile poiché, in base alla definizione prevalente in quel
periodo, una costituzione non è altro che una separazione di poteri9. Di conse-
guenza, la sola cosa da fare era fornire una definizione di quali fossero i poteri e i
doveri di un ministro. Nel caso degli altri ministri la definizione fu semplice: essi,
si disse, devono eseguire le leggi. Ma, come rilevò Brissot, «nel Ministero degli
Affari esteri non ci sono leggi da eseguire, ciò che deve essere difeso all’estero
è l’interesse nazionale e lo stesso interesse nazionale deve essere la sola regola
da cui un ministro deve essere ispirato o in base alla quale deve essere accusato.
Egli ha tradito o trascurato quest’interesse? Questi sono i termini in cui possono
essere ridotte tutte le domande relative alla responsabilità di questo ministero».
La risposta dell’Assemblea fu che Delessart aveva certamente tradito tale interesse
e, di conseguenza, il ministro fu messo in stato di accusa10.
Può anche accadere che il potere esecutivo debba interpretare la co-
stituzione. Nella Quinta Repubblica francese si trovano numerosi esempi di
decisioni assunte dal Presidente della Repubblica sulla base di un’interpretazione,
talvolta considerata audace, del testo costituzionale. Il caso più noto è l’uso, nel
1962, dell’art. 11 per modificare la costituzione. Contro l’opinione di quasi tutti
i professori di diritto costituzionale, i quali obiettavano che l’art. 89 prevedesse
un’unica procedura di revisione e che esso non autorizzasse il Presidente a sot-
toporre a referendum un disegno di legge prima che questo fosse stato approvato

8
D.P. Currie, The Constitution in Congress, The Federalist Period, cit., pp. 250-253.
9
L’art. 16 della Dichiarazione dei diritti dell’uomo del cittadino del 1789 recita: «ogni società,
nella quale la garanzia dei diritti non è assicurata, né la separazione dei poteri determinata,
non ha costituzione».
10
Assemblea legislativa, Seduta del 10 Marzo 1792, in «Archives Parlementaires», t. 39, p.
539.

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da entrambi i rami del Parlamento, De Gaulle usò un argomento lessicale e mise
in evidenza come l’art. 11 lo autorizzasse a sottoporre direttamente a referendum
«qualunque disegno di legge riguardante l’organizzazione dei pubblici poteri».
Secondo De Gaulle, quest’ultima espressione era un sinonimo del termine co-
stituzione, atteso che qualunque costituzione si occupa necessariamente dell’or-
ganizzazione dei pubblici poteri, come evidenziato dal titolo dell’Atto legislativo
del 25 Febbraio 1875 «sull’organizzazione dei pubblici poteri». I politici furono
perfettamente consapevoli che si trattò di un’interpretazione autentica. Nelle sue
memorie, Alain Peyrefitte, richiama alcuni passaggi dell’intervento di de Broglie
durante il Consiglio dei Ministri tenutosi il 19 Settembre del 1962, riguardo la
revisione della costituzione operata per tramite dell’art. 11: «nessuno ha fatto
menzione della possibilità per il Presidente della Repubblica di interpretare la
costituzione. Si tratta di un potere fondamentale, incluso nella costituzione
almeno implicitamente. Ed è precisamente quando i giuristi non si trovano
d’accordo che il Presidente della Repubblica deve esercitare tale potere. Egli può
intervenire facendo appello al popolo sovrano, esercitando un diritto che gli è
espressamente riconosciuto. Il Presidente viene a conoscenza dell’esistenza di
disaccordi tra giuristi, esprime la sua opinione e il popolo decide»11.
Il ricorso all’art. 11 nel 1962 mostra tutte le caratteristiche di un’in-
terpretazione autoritativa (autentica): l’attribuzione di un dato significato è una
decisione che non può essere messa in discussione o riformata e che deve essere
ritenuta valida poiché produce conseguenze giuridiche valide. Tali conseguenze
sono di due differenti tipi. Prima di tutto, sulla base della decisione e dell’in-
terpretazione che la giustifica, sono state create delle norme giuridiche: è stata
introdotta una modifica costituzionale, diversi Presidenti della Repubblica sono
stati eletti e hanno esercitato poteri presidenziali (sulla base di quell’emendamen-
to). Alcuni sostengono che né l’interpretazione di De Gaulle, né la sua decisione
di indire un referendum diretto siano giuridicamente valide; ma a prescindere
dal grado di perspicuità degli argomenti che vengono generalmente invocati
a sostegno di questa tesi, essa può solo condurre ad esiti assurdi. Se si ritiene
che il ricorso al referendum non sia valido e che, di conseguenza, la modifica
costituzionale introdotta debba essere considerata nulla e inefficace, malgrado
la decisione contraria della Corte costituzionale, allora si dovrebbe concludere
che nessuna delle elezioni presidenziali che hanno avuto luogo sulla base di tale
emendamento sia valida. Al contrario, se si ammette che il vizio che inficia la
decisione di ricorrere all’art. 11 non produce conseguenze sulla validità della
riforma costituzionale o che il vizio relativo alla modifica costituzionale non
incide sulla validità di un’elezione presidenziale, il dibattito sulla validità della
decisione di ricorrere all’art. 11 diviene del tutto irrilevante.

11
A. Peyrefitte, C’était De Gaulle, Paris, Fayard, 1994, p. 230.

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Il secondo tipo di conseguenza è che questa interpretazione viene
incorporata all’interno del testo e diviene la base di future interpretazioni. Così,
qualche anno dopo l’adozione nel 1962, per tramite dell’art. 11, della modifica
costituzionale che ha cambiato la procedura di elezione del Presidente della
Repubblica, François Mitterand, che era stato egli stesso eletto per suffragio
universale sulla base di quell’emendamento, intervistato da un professore di
diritto, Olivier Duhamel, ha dichiarato che da quel momento in poi ci sarebbero
stati due differenti modi di riformare la costituzione: quello previsto dall’art. 89
e quello previsto dall’art. 1112.
L’ultimo esempio è tratto dalla prassi interpretativa relativa all’art. 13
della Costituzione. La disposizione recita: «Il Presidente della Repubblica firma i
regolamenti e i decreti sui quali si è deliberato in Consiglio dei Ministri». Nel caso
di specie, ci sono stati profondi disaccordi fra i giuristi in ordine alla questione se
l’uso in francese del tempo presente fosse da intendere quale modo imperativo
o se esso stesse ad indicare una semplice facoltà del Presidente il quale potreb-
be decidere di esercitare o meno il diritto di firma. Nel 1986, durante la prima
coabitazione, François Mitterand optò per la seconda lettura e si rifiutò, contro
il Primo ministro, di firmare i regolamenti su cui il Governo aveva deliberato13.
Dal momento che il Primo ministro non disponeva di alcun rimedio giudiziario
contro il Presidente e che nessun Tribunale aveva il potere di giudicare sulla
questione, l’interpretazione del Presidente prevalse.
Si potrebbe obiettare che qui non ci si trova di fronte ad un’inter-
pretazione giuridica, ma ad una giustificazione politica. Tuttavia, qualunque
ragionevole criterio si adoperi per distinguere le due cose, ci si accorge che questi
organi (non giurisdizionali) pongono realmente in essere interpretazioni giu-
ridiche. Certo, le loro motivazioni sono politiche, ma tali sono talvolta anche le
motivazioni dei giudici, ad ogni modo essi utilizzano lo stesso tipo di argomenti
e le loro decisioni hanno lo stesso valore, nel senso che possono servire come basi
giuridiche per altre decisioni. Non si può dire che queste interpretazioni siano
vincolanti per i giudici, nel senso che nessuna decisione giudiziaria che voglia
discostarsi da una simile interpretazione potrebbe essere annullata o riformata
solo per questo, ma ciò vale anche per l’interpretazione effettuata da alcuni giudici
costituzionali, per esempio dal Conseil constitutionnel francese.
In tutti i casi sopra menzionati, gli organi costituzionali erano con-
sapevoli del fatto che stavano svolgendo un’attività interpretativa. Nella prassi
essi si avvalgono generalmente di argomenti simili a quelli usati dai giudici:
l’argomento dell’interpretazione letterale, quello dell’interpretazione sistematica

12
O. Duhamel, Mitterand. Entretien avec O. Duhamel, in «Pouvoirs», 45, 1988, pp. 131-
139.
13
Cfr. M. Troper, La firma delle ordinanze. Funzioni di una controversia, in «Politica del
diritto», 17, 4, 1986, pp. 745 e ss. Cfr anche Id., Pour une théorie juridique de l’Etat, Paris,
Presses Universitaires de France, 1994, pp. 275 e ss.

98
o dell’interpretazione teleologica. Ma ciò che ci consente di chiamare «autentica»
quest’interpretazione non è né quella consapevolezza, né il fatto che gli organi
costituzionali ricorrano ad un argomento tratto dal testo della costituzione. Si
potrebbe sostenere esattamente lo stesso qualora l’interpretazione fosse soltanto
implicita nella decisione. Il carattere distintivo dell’interpretazione autentica deri-
va dal fatto che questi atti interpretativi possiedono le caratteristiche menzionate
sopra: non possono essere modificati in base al diritto e servono come base per
la validità di altre norme giuridiche. Sotto questo profilo, un’interpretazione
compiuta da organi non giurisdizionali non differisce molto da un’interpreta-
zione giudiziale, che può anch’essa essere implicita. Così, la famosa decisione
con cui il Conseil constitutionnel francese ha incluso nella Costituzione talune
norme che non sono espressamente scritte nel testo costituzionale è certamente
basata su una determinata interpretazione del termine «costituzione» contenuto
nell’art. 61. In base all’art. 61 «gli atti legislativi, prima della loro promulga-
zione, e le norme di procedura delle Assemblee parlamentari, prima della loro
entrata in vigore, devono essere rimesse al Conseil constitutionnel, il quale
dovrà decidere in ordine alla loro conformità alla Costituzione». Ma nel 1971, il
Conseil constitutionnel decise di controllare la conformità di una legge non solo
rispetto agli articoli espressamente enumerati nel testo costituzionale, ma anche
rispetto al preambolo e a tutti i principi, scritti o non scritti, a cui il preambolo
della costituzione si riferisce, in particolare i «principi fondamentali riconosciuti
dalle leggi della Repubblica», cioè riconosciuti da leggi ordinarie che vengono,
pertanto, promosse al rango di norme costituzionali14. Da quel momento in
poi, la parola «costituzione» ha assunto il significato di intero complesso delle
norme costituzionali, che nel diritto costituzionale francese viene detto bloc de
constitutionnalité. Ciononostante, questa interpretazione è rimasta implicita
– le decisioni del Conseil constitutionnel francese sono notoriamente brevi – e
il giudice costituzionale ha semplicemente evidenziato che «fra i principi fon-
damentali riconosciuti dalle leggi della Repubblica e solennemente proclamati
nel Preambolo della Costituzione deve essere certamente incluso il principio di
libertà di associazione».

1.2. L’interpretazione è un’attività collettiva

Una data disposizione normativa può essere interpretata da numerose e diverse


autorità. Ovviamente ciò accade di frequente e sotto questo aspetto non c’è niente
di specifico che riguardi la costituzione. Nel sistema francese, una legge può essere
interpretata dal Conseil constitutionnel quando questo ne verifica la conformità

14
Conseil Constitutionnel, Decisione n. 71-44 DC, 16 luglio 1971; L. Favoreu, L. Philip, Les
grandes décisions du Conseil constitutionnel, Paris, Dalloz, 2009, pp. 180-199.

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o meno alla costituzione. Ma, una volta promulgata, la legge sarà interpretata
ancora dai giudici ordinari e ognuno di questi organi opererà tenendo conto delle
interpretazioni o delle possibili interpretazioni degli altri. Dunque, la specificità
dell’interpretazione costituzionale risiede altrove.
Le autorità che interpretano le leggi ordinarie non hanno strumenti
che permettano loro di condizionarsi a vicenda. Di contro, gli organi che inter-
pretano la costituzione dispongono di tali strumenti e, di conseguenza, ognuno
di essi deve tener conto, non solo delle interpretazioni degli altri, ma anche
delle altrui reazioni. Così, il Presidente della Repubblica gode di discrezionalità
nell’interpretare i termini dell’art. 16, che gli conferisce pieni poteri in caso di
emergenza, ma egli deve essere consapevole delle reazioni del Parlamento che
gode anch’esso di discrezionalità nell’interpretazione dell’art. 68 e considerare
che l’uso da parte sua dei poteri eccezionali attribuitigli dall’art. 16 integri gli
estremi del reato di alto tradimento15.
L’alto tradimento è un reato non previsto dal codice penale, né da alcuna
altra norma di legge e che, pertanto, può essere definito solo come il reato che il
Parlamento considera tale. Per questo reato il Presidente può essere chiamato a
rispondere davanti alla Alta Corte di giustizia. Il Parlamento potrebbe, dunque,
interpretare facilmente l’uso dell’art. 16 da parte del Presidente come un caso di
alto tradimento. Ne consegue che, prima di interpretare l’art. 16, il Presidente
deve verificare se è probabile che il Parlamento possa metterlo in stato di accusa
interpretando sia l’art. 68 della Costituzione sia il fatto che egli ricorra all’art.
16. Allo stesso modo, una Corte costituzionale deve prevedere le reazioni di una
maggioranza parlamentare, poiché la maggioranza potrebbe decidere di modifica-
re la costituzione al fine di invalidare la decisione della Corte. Le interpretazioni
sono, dunque, determinate dai rispettivi poteri degli organi costituzionali, cioè
dalla struttura dell’ordinamento costituzionale.
Si potrebbe obiettare che questi meccanismi non siano specifici dell’in-
terpretazione costituzionale, che per esempio l’interpretazione delle leggi da
parte di un giudice ordinario, o anche di una corte suprema di cassazione, può
essere invalidata e messa in discussione dal parlamento. Così come ogni organo
costituzionale deve prevedere la reazione degli altri, un giudice ordinario deve
prevedere le possibili reazioni del potere legislativo. Dunque, l’interpretazione
delle leggi ordinarie sembra essere determinata dalla struttura dell’ordinamento
nella stessa misura dell’interpretazione della costituzione. Ciò è assolutamente

15
Fino alla revisione costituzionale del 2007. Dal 2007, il reato di alto tradimento è stato
abolito, ma il nuovo art. 68 («Il Presidente della Repubblica può essere destituito solo in
caso di violazione dei propri doveri incompatibile con l’esercizio del proprio mandato. La
destituzione viene pronunciata dal Parlamento riunito in Alta Corte di giustizia») è molto
simile, poiché l’espressione «violazione dei propri doveri incompatibile con l’esercizio del
proprio mandato» non è più precisa di «alto tradimento» e l’Alta Corte di giustizia ha piena
discrezionalità nel definirla.

100
vero. Questa non è però la fine della storia, e ci sono ancora tre importanti diffe-
renze tra la posizione dell’interprete costituzionale e quella dell’interprete delle
leggi. Prima di tutto, i giudici ordinari e il potere legislativo non si trovano sullo
stesso livello e tra loro non vi è simmetria, dal momento che il potere legislativo
può intervenire sulle corti, rovesciandone le decisioni, restringendone i poteri,
ecc., mentre le corti non possono intervenire sul potere legislativo. La situazione
è la stessa per le corti costituzionali in relazione al potere costituente. Ma organi
non giurisdizionali come il presidente, il parlamento o il primo ministro ope-
rano in modo simmetrico. C’è allora un carattere specifico dell’interpretazione
costituzionale che è dato dalla presenza di autorità non giurisdizionali munite
di poteri di controllo reciproco. Per altro verso, esiste una vasta gamma di opera-
zioni che possono essere compiute l’una nei confronti dell’altra da autorità dello
stato. In alcuni casi, un’autorità può modificare o sostituire, con una decisione
propria, la decisione assunta da un’altra autorità. In altri casi, un’autorità può
proporre una decisione che deve essere confermata da un’altra autorità. E in
altri casi ancora, un’autorità può adottare un provvedimento nei confronti dei
membri di un altro organo: destituzione, mozione di sfiducia o scioglimento. Il
primo tipo di rapporto è di natura gerarchica. Esso esiste ed è del tutto simile tra
potere legislativo e giudici ordinari da un lato, ma anche tra potere costituente
e corte costituzionale dall’altro. Gli altri due tipi di rapporto, però, esistono solo
tra organi costituzionali.
Infine, in un rapporto gerarchico, l’intervento dell’autorità superiore è
giustificato dal fatto che la sua volontà è stata male eseguita o male interpretata.
Così, l’intervento del potere legislativo nei confronti della corte di cassazione o
del consiglio di stato può essere giustificato in base all’idea secondo la quale il
dovere del giudice è di applicare le leggi, cioè la volontà generale, espressa dal
potere legislativo stesso. Allo stesso modo, gli interventi del potere costituente
possono essere giustificati in base all’idea secondo cui il giudice costituzionale
è tenuto a far rispettare la costituzione, cioè la volontà del sovrano espressa
attraverso il potere costituente stesso16.
Ma tra organi costituzionali, come per esempio tra il Presidente della
Repubblica e il Presidente del Senato nel 1962, il disaccordo può solo riguardare
l’interpretazione che si sarebbe dovuta dare, non della volontà dell’uno o dell’al-
tro, ma della presunta volontà di un terzo soggetto: il popolo sovrano. E questa
volontà è espressa dalla costituzione. C’è allora una specificità dell’interpreta-
zione costituzionale che può essere dovuta agli interpreti. Nondimeno, un’altra
specificità può essere dovuta alle tecniche interpretative utilizzate.

16
Frank Michelman ritiene che una modifica della costituzione non sia una nuova costituzione,
ma un’interpretazione della costituzione operata dal popolo stesso e per questa ragione tale
interpretazione prevale su quella della Corte suprema; cfr. F. Michelman, Can Constitutional
Democrats be Legal Positivists? Or Why Constitutionalism?, in «Constellations», 2, 3, 1996,
pp. 293 e ss.

101
2. Le tecniche dell’interpretazione

Se per tecniche intendiamo il tipo di argomenti usati dagli interpreti per giustifi-
care le loro decisioni, allora nell’interpretazione costituzionale ritroviamo ovvia-
mente le stesse tecniche di una qualsiasi interpretazione giuridica. Esattamente
come per l’interpretazione della legge, dal momento che i testi non hanno un
significato vero che possa essere scoperto attraverso un qualche metodo inter-
pretativo, la teoria del diritto non può raccomandare l’uso di qualche particolare
metodo rispetto ad un altro. In altre parole, bisogna essere consapevoli che è
possibile ottenere risultati assai diversi che dipendono dal metodo utilizzato, ma
anche che non esistono criteri oggettivi per preferire un metodo interpretativo ad
un altro. Ciononostante, da un punto di vista meramente descrittivo, è possibile
analizzare i metodi che vengono effettivamente utilizzati dagli interpreti autentici
e vedere se essi tendono a privilegiare un certo tipo di argomenti17.
Per esempio, si può notare che le autorità non giurisdizionali fanno
spesso appello allo «spirito» della costituzione. Inoltre, si può vedere che in al-
cuni contesti, sia giudiziali sia non giudiziali, i dibattiti sul significato dei testi
si riducono ad una disputa intorno al metodo interpretativo da usare. La disputa
americana tra originalisti e interpretivisti è ben nota e si sa che costoro sono
nettamente divisi dalla stessa linea che separa i conservatori dai liberali. Bisogna
sottolineare, però, che il dibattito ideologico tra conservatori e liberali può aver
luogo solo sul piano dell’interpretazione costituzionale e che sarebbe difficile
trovare un uso similare di argomenti interpretativi, lungo le stesse linee ideologi-
che, nel contesto dell’interpretazione della legge (ordinaria). Il tipo di argomenti
usati, pertanto, dipende dal contesto. E tale contesto dovrebbe essere definito più
precisamente: non sempre i dibattiti relativi all’interpretazione costituzionale
affrontano la questione dell’intenzione originaria. Se il dibattito è così peculiare
negli Stati Uniti, ciò può dipendere dal fatto che la Costituzione americana è
molto antica e molto difficile da modificare. Ad ogni modo, abbiamo qui una
caratteristica specifica dell’interpretazione costituzionale: l’argomento dell’inten-
zione originaria non viene utilizzato per ogni interpretazione costituzionale, ma
è utilizzato principalmente per l’interpretazione della costituzione e raramente
per quella della legge. La complessità della procedura di revisione costituzionale
è un altro importante elemento nella scelta degli argomenti da utilizzare. Così,
la Corte suprema degli Stati Uniti, quando interpreta la costituzione, non ritiene
di essere fortemente vincolata ai precedenti come quando interpreta una legge.
Al contrario, le corti supreme di quegli stati le cui costituzioni sono più facili da

17
Notiamo, innanzitutto, che gli interpreti non giurisdizionali non hanno l’obbligo di fornire
alcun tipo di giustificazione. Tutto ciò che essi devono fare è stabilire che la costituzione ha
un determinato significato. Quando questi interpreti offrono una giustificazione non lo fanno
ufficialmente ed essa non diviene parte della decisione. In realtà, gli argomenti utilizzati variano
da quello letterale a quello del riferimento allo spirito della costituzione.

102
modificare, sapendo che le loro decisioni possono essere facilmente rovesciate,
rimangono fedeli ai precedenti18. Ma la principale specificità dell’interpretazione
risiede nella natura di ciò che essa produce.

3. Il risultato dell’interpretazione: la costituzione della costituzione

Se in base alla ben nota definizione fornita da Hans Kelsen, una norma non è
nient’altro che il significato di un’azione umana e se il compito dell’interprete
è quello di determinare il significato di un enunciato, è proprio l’interprete a
creare la norma che si crede sia contenuta nel testo che egli sta interpretando.
L’interprete della legge in realtà crea diritto, e l’interprete della costituzione in
realtà esercita potere costituente.
L’esempio offerto sopra a proposito dei regolamenti governativi
mostra una norma che, a seconda del significato che viene attribuito all’art.
13 della Costituzione francese, o autorizza il Presidente a rifiutarsi di firmare
i regolamenti approvati dal Consiglio dei ministri, o lo obbliga a sottoscriverli
tutti. Pertanto, l’interpretazione produce norme costituzionali quando attribuisce
ad una disposizione della costituzione il significato che questa o quella azione
dovrebbe essere compiuta.
Tuttavia l’interpretazione consiste non solo nell’individuare il signifi-
cato contenuto nella disposizione di una norma, ma anche nel qualificare quella
disposizione come appartenente alla costituzione e ciò indipendentemente dal
sapere cosa tale disposizione prescriva. In realtà, l’espressione «interprete della
costituzione» è ingannevole nella misura in cui dà per scontato che la costituzione
esista prima che l’interpretazione abbia luogo, essa di conseguenza fa appello
ad una definizione di interpretazione che non è circoscritta all’interpretazione
giuridica. In genere, si assume erroneamente, da parte dei sostenitori sia della
teoria dell’interpretazione come conoscenza sia della teoria dell’interpretazione
come volontà, che è possibile interpretare soltanto qualcosa che già esiste. Si tende
a pensare che, prima di qualunque interpretazione di un’opera letteraria, di un
quadro o di una costituzione, prima di scoprire cosa questi oggetti significhino,
o prima di decidere di attribuire loro un significato, quell’opera letteraria, quel
quadro o quella costituzione debbano esistere. Tuttavia, almeno a partire da Marcel
Duchamp, siamo consapevoli che si può interpretare qualcosa o come la ruota
di una bicicletta o come un’opera d’arte, e così come l’interpretazione rende un

18
Cfr. l’opinione contraria del giudice Brandeis in Corte suprema degli Stati Uniti d’America,
Burnet vs. Coronado Oil & Gas Co, in «US Reports», 285, 1932, pp. 393 e ss.; cfr. anche il caso,
deciso dalla stessa corte, Planned Parenthood of Southeastern Pa. vs. Casey, in «US Reports»,
505, 1992, pp. 833 e ss.; C. Baron, L’interpretazione costituzionale negli Stati americani, in
P. Comanducci, R. Guastini (a cura di), Analisi e diritto 1996. Ricerche di giurisprudenza
analitica, Torino, Giappichelli, 1996, p. 127.

103
oggetto un’opera d’arte, è l’interpretazione che rende qualcosa una costituzio-
ne. Ed invero, il primo passo da compiere nell’interpretazione costituzionale è
stabilire cosa faccia parte della costituzione e cosa no. Il Conseil constitutionnel
francese fornisce un perfetto esempio di questa costruzione della costituzione se si
guarda a quando, nel 1971, esso ha stabilito che il preambolo, ed ogni documento
o principio ivi menzionato, fanno parte del bloc de constitutionnalité, cioè della
costituzione e che tali principi e documenti sono costitutivi della costituzione.
Anche prima di stabilire il significato di una determinata disposizione della Di-
chiarazione universale dei diritti dell’uomo e del cittadino e di decidere in ordine
a quale condotta essa richieda, è necessario stabilire che quella dichiarazione non
è semplicemente un saggio di filosofia politica, ma un insieme di norme giuri-
dicamente vincolanti e che queste norme giuridiche sono norme costituzionali.
Solo dopo quest’operazione il Conseil constitutionnel può decidere sul significato
contenuto all’interno dell’enunciato. Potremmo pensare che, sotto questo aspetto,
l’interpretazione costituzionale non sia peculiare, dal momento che anche gli
interpreti delle leggi devono decidere che un determinato enunciato possa essere
considerato una legge o che qualche regola non scritta debba essere applicata come
una legge. Questo è, per esempio, ciò che fanno i giudici amministrativi francesi
con i principi generali del diritto, quando decidono che un dato principio è un
principio generale del diritto, che esso prescrive un determinato comportamento,
che esso prevale sui decreti e che può, dunque, essere derogato solo da una leg-
ge formale. Tuttavia, l’interpretazione costituzionale va oltre. L’interprete non
delimita soltanto i confini del concetto di costituzione, non decide soltanto che
la costituzione è una norma valida e che essa è superiore rispetto a qualunque
altra norma, ma decide anche che cosa debba intendersi per questa superiorità.
In altre parole, l’interprete istituisce la relazione gerarchica tra la costituzione e
le altre norme. Il caso Marbury vs. Madison è un eccellente esempio di questa
costruzione e possiamo rendercene conto grazie all’abile giustificazione di John
Marshall. Egli sostiene che ogni costituzione è superiore alla legge. La prova di
questa superiorità gerarchica è data dal fatto che la costituzione non può essere
modificata da una legge ordinaria, ma solo attraverso una specifica procedura. E
questa è la ragione per cui una legge che contrasti con la costituzione è nulla o
invalida. Questo ragionamento, però, si basa su un errore, che risiede nella de-
finizione di «superiore». Ci sono diverse possibili definizioni di questo termine.
Per semplificare, possiamo distinguere due diversi sensi in cui una norma A viene
considerata superiore ad una norma B:

– quando A stabilisce attraverso quali procedure B debba essere pro-


dotta, o
– quando B è annullata (o annullabile) nel caso in cui contrasti con
A.

104
I due significati non coincidono, giacché è perfettamente possibile che
A stabilisca come B debba essere prodotta, ma che un conflitto tra il contenuto
di A e il contenuto di B non implichi che B venga annullata. Per cui, se la costi-
tuzione è superiore ad una legge nel primo senso, non c’è ragione per affermare
che essa sia superiore anche nel secondo senso. Tutti sanno, infatti, che ci sono
molte costituzioni che non prevedono alcun controllo giurisdizionale di costi-
tuzionalità delle leggi e che, di conseguenza, sono superiori alle leggi ordinarie
solo nel primo senso e non anche nel secondo. Pertanto, l’affermazione secondo
la quale la superiorità nel primo senso implica la superiorità nel secondo senso è
chiaramente falsa. Se, invece, per superiorità della costituzione Marshall inten-
de la superiorità nel secondo senso, allora il suo ragionamento è una semplice
tautologia, in quanto equivale a dire che una legge contraria alla costituzione è
nulla e invalida poiché una legge contraria alla costituzione è nulla e invalida.
Contrariamente a quanto da lui affermato, Marshall non ha fatto discendere dalla
superiorità della costituzione il potere dei giudici di dichiarare che una legge
contraria alla costituzione è nulla, poiché dal momento che quella superiorità
non è altro che la possibilità di annullare una legge, essa è stata creata da lui. È
solo dopo Marbury che la costituzione è divenuta superiore alle leggi ordinarie.
In altre parole, la Corte non ha fatto affidamento sulla superiorità gerarchica
della costituzione per giustificare la propria decisione nel caso Marbury, ma
attraverso il caso Marbury ha stabilito tale superiorità gerarchica.
Nel 1995, il ragionamento del Presidente della Corte suprema di Israele
nel caso United Mizrahi Bank vs. Migdal village19 è stato anche più audace, poiché
esso porta a stabilire che, nonostante non ci sia una costituzione formale, alcune
leggi emanate dal Parlamento hanno valore costituzionale e possono costituire la
base del controllo giurisdizionale di legittimità20. Di conseguenza, se si comprende
che la costituzione va considerata uno standard che vale per tutte le autorità,
allora è proprio l’interprete che crea la costituzione. La gerarchia tra norme non
è la base del controllo giudiziale di legittimità delle leggi ma il suo risultato.
Fin qui abbiamo ragionato su esempi provenienti dalla prassi delle
corti, ma le autorità non giurisdizionali procedono nello stesso modo, o al fine
di stabilire che qualcosa ha lo stesso significato di una norma costituzionale (una
pratica precedente, lo spirito delle istituzioni), o per stabilire il contrario. Allora,
l’interprete non decide esattamente cosa un oggetto già esistente significhi, egli
piuttosto crea tale oggetto. Anche prima di stabilire quali siano i comportamenti
prescritti da una norma costituzionale, egli deve decidere che qualcosa, un testo,

19
Estratti di questa decisione eccezionalmente lunga si trovano in N. Dorsen, M. Rosenfeld,
A. Sajo, S. Baer, Comparative Constitutionalism. Cases and Materials, St. Paul, Thomson
West, 2003.
20
Per una più esaustiva dimostrazione, cfr. M. Troper, Marshall, Kelsen, Barak et le sophisme
constitutionnaliste, in E. Zoller (ed.), Marbury v. Madison 1803-2003, Un dialogue franco-
américain, Paris, Dalloz, 2003, p. 215.

105
una raccolta di testi, delle pratiche abbiano il significato di norme e che tali norme
occupino un posto preciso nella gerarchia delle fonti. Egli, se vuole, può anche
spingersi fino a creare principi sovracostituzionali, come ha fatto la Corte suprema
indiana per controllare la validità di alcune modifiche costituzionali.

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