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SOCIOLOGIA DEL DIRITTO

Lezione 2 – 02/03/2023
Dogma  dal greco dox, opinione, convinzione incrollabile. Qui dogma è utilizzato come sinonimo
di assioma. Gli assiomi erano verità assolute matematiche, ecc. fino a quando durante la metà
dell’Ottocento si è scoperto che gli assiomi sono frutto di scelte soggettive. Scienza dogmatica e
scienza assiomatica sono sinonimi per il prof. La dogmatica (o assiomatica) giuridica è una
scienza sorella della matematica, anche se presenta alcune differenze (secondarie).
Quello che potrebbe essere accettato dai giuristi dogmatici italiani potrebbe non essere accettato
se cambiassero le circostanze sociali o se dovessimo cambiare paese.
Ad esempio, per noi l’idea di un diritto fondamentale alla vendetta è assurda, non la condividiamo.
Però vi sono paesi in cui le cose non stanno in questo modo. In Corsica, ad esempio, la cultura
della vendetta è talmente radicata che il grande politico Pasquale Paoli, nella sua Cost…??
Quindi i dogmi variano, e la formula estremamente ampia dell’art. 2 Cost, da un certo punto di vista
è pericolosa per la sua ampiezza: nel momento in cui, per un mutamento della situazione storica, e
quindi per un grande rafforzamento della criminalità e indebolimento dello Stato, iniziasse a
prevalere la prassi di farsi giustizia da soli, qualcuno potrebbe sostenere che la vendetta sia
oggetto di un diritto inviolabile dell’uomo. Questo anche nel caso in cui non ci sia l’art. 2.
Il termine dogma non è dei giuristi, non sta per verità assoluta incrollabile, e lo stesso vale per
assioma.
Es. il Codice civile, di procedura civile e il Codice penale sono stati emanati in conformità alla
costituzione repubblicana? No. Quindi, se ci venisse chiesto di giustificare la vigenza di questi
codici, come la giustificheremmo? Perché siamo tutti d’accordo sulla loro vigenza. La costituzione
non contiene una disposizione che sancisce la vigenza di tutti i codici emanati prima della
Costituzione stessa, però noi attribuiamo vigore a questi codici in virtù di un dogma di “recettività
storica” che si affianca al dogma del vigore della Costituzione. Non ci basta il dogma del vigore
della Costituzione rivoluzionaria italiana.
La dottrina è una fonte del diritto? Se in base al dogma di recettività storica consideriamo vigente il
Codice di procedura civile, consideriamo anche vigenti le sue disposizioni, e quindi anche
dell’art.118 “in ogni caso dev’essere omessa ogni citazione di autori giuridici”  questo significa
che un giudice non può giustificare una propria decisione citando un autore di dottrina. La
giurisprudenza è fonte del diritto, perché il giudice può giustificare la propria decisione invocando
precedenti conformi.
Cos’è un teorema? Es. abrogazione. Noi tutti riteniamo che il Parlamento possa non solo emanare
leggi con le quali vengono introdotte disposizioni, ma riteniamo che ci sia la possibilità per il
Parlamento e per il governo di emanare disposizioni abrogartici. Questo potere del parlamento è
stabilito nelle leggi. Quindi se diciamo che il parlamento può abrogare disposizioni vigenti con
disposizioni abrogatrici perché così prevedono le leggi, e perché le Preleggi sono in vigore in virtù
del dogma di recettività storica, questo è un teorema. Stiamo giustificando un’affermazione
riconducendola a dei punti di partenza, a delle premesse che noi chiamiamo assiomi o dogmi. Se
non ci fosse l’assioma di recettività storica, e quindi non potessimo considerare le Preleggi vigenti,
dovremmo usare un altro teorema: es. dovremmo dire che il potere del Parlamento di abrogare è
una conseguenza di un principio democratico. Perché se le leggi non potessero venire abrogate, ci
potremmo fermare di fronte al caso in cui gli italiani viventi nel 2023 non avrebbero nessun modo
di rimuovere leggi fatte da parlamentari passati. Questo sarebbe incompatibile con il principio per
cui l’Italia è una repubblica democratica.

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Anche se decidessimo di usare la “scienza del diritto positivo” per riferirci a qualunque scienza del
diritto basata sul ricorso a determinate fonti autoritative, anche se non poste (atetiche) – come la
consuetudine – abbiamo visto che l’espressione sarebbe comunque insufficiente. Questo perché il
giurista positivo non parte direttamente da questa o quella fonte, ma piuttosto da dogmi che
ascrivono il vigore a questa o quella fonte (nonché principio di “diritto naturale”, in senso ampio del
termine). È opportuno sostituire il termine scienza di diritto positivo con l’espressione dogmatica
giuridica.
Questo termine, negli ultimi decenni, è divenuto sempre meno frequente nel nostro paese, fatta
eccezione per l’ambito penalistico. Le cose non stanno così all’estero, in cui questo termine si
trova dal Portogallo fino alla Russia.
Vi sono dogmi non vertenti su fonti:

 dogmi sostanziali (come dogmi relativi ai diritti umani o sul reato come lesione o
esposizione a pericolo di un bene giuridico). Vertono direttamente su contenuti di norme.
Dogmi semi-formali perché non c’è una convinta adesione a quei contenuti. Mentre nel
caso del dogma per cui il reato è la lesione al bene giuridico, in cui c’è adesione a questo
contenuto, qui è un po’ prendere una scatola chiuda tutto quello che c’è aspettando che poi
la Corte costituzionale faccia pulizia delle cose che sono incompatibili.
 dogmi formali (quali quelli relativi al vigore di certe fonti precostituzionali [dogma di
recettività storica], o il dogma di non-reviviscenza cioè il dogma per cui se io abrogo una
legge che ha abrogato una legge, quest’ultima legge non torna in vigore). Vertono su altre
norme del sistema, indipendentemente dal loro contenuto. VEDI CORREZIONE SU
NUOVA SLIDE.
La correttezza o scorrettezza di un asserto dogmatico-giuridico dipende esclusivamente dalla sua
riconducibilità a / derivabilità da determinati dogmi. Riconducibilità e derivabilità sono due facce
della stessa medaglia. Es. giudice nel processo ci presenta la sentenza come il frutto di un
processo di derivazione da fattispecie astratte.
La dogmatica giuridica non è l’unica scienza ad avere questo tipo di struttura (retorica). A parte le
matematiche, scienze sorelle della dogmatica, vi sono altre due scienze sorelle:

 la teologia dogmatica  quando uno si iscrive a teologia, non va a studiare tutte le


religioni del mondo da un punto di vista storico-sociologico, ma cerca di studiare il sistema
delle credenze a partire da determinate premesse. Ad es. quali sono i dogmi da cui parte il
teologo dogmatico cattolico per costruire la dogmatica della chiesa cattolica (cioè tutte le
cose in cui deve credere una persona per essere cattolico)? Nel credo si parla della Bibbia,
ma cosa fa parte della Bibbia? Questo per dire che la struttura della teologia dogmatica è
identica alla struttura della dogmatica giuridica: non ci si interessa a questioni empiriche,
ma ci si interessa alla costruzione di tutte quelle conseguenze che derivano dall’adozione
del credo niceno. Nell’islam questo problema si pone in modo particolare: la Bibbia è un
insieme di testi risalenti ad epoche disparate che sono stati selezionati dalle autorità
ecclesiastiche; nell’islam invece si parla di un testo verbale, che è stato comunicato da Dio
direttamente a Maometto, in vari momenti. Infatti, nel mondo islamico il Corano è davvero
parola di Dio, nel senso che si considera il Corano diretta espressione linguistica di Dio,
mentre in ambito cattolico e cristiano si dice che la Bibbia è ispirata da Dio, coloro che
l’hanno scritta l’hanno fatto sotto ispirazione dello Spirito-santo. La struttura è la stessa
della dogmatica del diritto: si cerca di ricondurre tutta una serie di conclusioni al credo e ad
altre cose.
 le grammatiche normative/prescrittive  quando andiamo a scuola ci viene insegnata la
grammatica normativa, cioè ci viene insegnato come le maestre pensano che noi dobbiamo
parlare. Tendenzialmente a scuola ci insegnano a scrivere in italiano corretto, e quindi se
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per caso scriviamo “prendavamo” anziché “prendevamo” è possibile che l’insegnante segni
prendAvamo come errore. Ci si potrebbe domandare: quali sono i dogmi sulla cui base
viene costruita la grammatica normativa? C’è stata discussione a riguardo.
Tendenzialmente sono simili da lingua a lingua ma ci sono anche differenze. Per quanto
riguarda l’Italia, da secoli nelle scuole di dizione vi è innanzitutto una consuetudine
complessa: la “lingua toscana in bocca romana”, cioè il fiorentino per come è pronunciato
da un romano colto. Di volta in volta, questo criterio utilizzato è il criterio dei migliori
scrittori. Nell’Ottocento, Manzoni fu decisivo rispetto a un cambiamento nella lingua italiana.
Es. prima all’imperfetto si diceva “io amava” e non “io amavo”, dal latino amabam. Manzoni
si affrettò a cambiare questa cosa il prima possibile.
Queste due comparazioni sono utili anzitutto perché servono a chiarire che
l’eccezionalismo di giurisprudenza, cioè la peculiarità di ciò che studiamo, è un po’ meno
eccezionale. Giuri è un corso molto coeso, perché il 90% di ciò che facciamo sono
dogmatiche specializzate.
Epistemologia comparata  confrontare discipline che si occupano di oggetti diversi. Perché Si
comparano le scienze? Per individuare aspetti ipersviluppati in una scienza e iposviluppati in
un’altra, per vedere se vi sono differenze, e per vedere se aspetti che hanno trovato un grande
sviluppo in tante scienze meriterebbero un altrettanto sviluppo anche in altre scienze.
Lezione 3 – 08/03/2023
Chiarimento sulla grammatica normativa:
La lingua italiana, come tutte le lingue ufficiali, è una lingua artificiale, ed è il risultato di un’attività
perfettamente paragonabile all’attività dei giuristi dogmatici. I grammatici normativi hanno i loro
dogmi, e non sono gli stessi per tutte le lingue. Il linguista dogmatico (o prescrittivo) nella storia
della lingua italiana, all’inizio, si è scelto il toscano. Per via del fatto che l’Italia non è un paese
accentrato, e che comunque alla fine il “centro” di maggiore potenza era Roma – per il fatto che vi
risiedeva il papa – era anche la parte più prestigiosa. Da questo è emerso il compromesso di
toscano in bocca romana, ed è stata sostituita da varianti molto simili a quella toscana. Per questa
ragione, i linguistici dogmatici italiani hanno scelto come criterio di correttezza di usi linguistici il
criterio per cui la lingua italiana corretta è la lingua toscana, più nello specifico la lingua fiorentina,
per quanto pronunciata da un romano istruito. Questa è una consuetudine complessa, perché il
romano istruito può anche talvolta usare il romanesco, cioè una via di mezzo tra toscano e l’antica
lingua romana. Quindi abbiamo una sorte di doppia consuetudine: l’uso fiorentino per come
adottato nell’uso dei romani colti. Insieme a questo criterio è sempre stato utilizzato il criterio dei
migliori scrittori: la lingua scritta italiana è rimasta fossilizzata sui migliori scrittori, non essendo
parlata, per secoli, soprattutto su alcuni scrittori nonostante non fossero scrittori degli ultimi 50
anni, cioè Dante, Petrarca e Boccaccio.
Nelle poche università in cui esistono corsi di laurea in linguistica, praticamente non vi sono corsi
di dogmatica linguistica.
LEZIONE VERA E PROPRIA 
L’epistemologia è quella branca della filosofia e della sociologia che si occupa della comparazione
tra scienze strutturalmente simili ma con oggetti diversi (dogmatica giuridica e linguistica
prescrittiva; il diritto e il linguaggio), o strutturalmente diverse e con oggetti simili (dogmatiche
giuridiche e sociologia del diritto). Vi sono altre scienze sorelle rispetto alle dogmatiche giuridiche,
ad es. le matematiche e molte altre.
Questa disciplina, che prevede anche finalità puramente conoscitiva, può avere anche una
rilevanza pratica (può servire ad individuare aspetti ipersviluppati in una scienza e iposviluppati in
un’altra). Si tratta di spiegare sociologicamente e storicamente questi iper e iposviluppi e
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contribuire anche ad individuare aspetti che da certi pov valutativi meriterebbero di essere
sviluppati in una scienza, quindi chiarire il rapp tra interpretazione soggettiva e oggettiva nel diritto
della musica.
Cos’è invece la sociologia del diritto?
Innanzitutto ci sono le storie del diritto, che sono interessate a mostrare il modo in cui il diritto si è
sviluppato a prescindere dalla correttezza dogmatica con cui tali sviluppi si sono verificati. Es.
fonte del diritto è il diritto romano, molti paesi che lo usavano, in cui era in vigore, lo hanno
interpretato in modi che non avevano niente a che vedere con quello che era il diritto romano. Allo
storico del diritto interessa la causalità, il modo in cui il diritto si trasforma storicamente, ma non gli
interessa ciò che interessa al giurista dogmatico, cioè identificare asserti corretti o scorretti in virtù
della loro derivabilità da determinati dogmi.
Poi c’è un diritto comparato, che non è una disciplina dogmatica. Al comparatista interessa
rilevare somiglianze, differenze, ed eventualmente spiegare il perché di certe differenze, oppure la
comparazione può essere utile ai fini della politica del diritto. “Il comparatista è il cattivo giudice in
terra straniera”.
Un’altra disciplina non dogmatica è la criminologia. È una disciplina un po’ particolare, che studia
la motivazione dei soggetti che commettono reato. È una scienza completamente sganciata da
considerazioni dogmatiche o in qualche modo collegata? La criminologia, a differenza delle altre
discipline menzionate, non può fare a meno della dogmatica, pur non essendo una scienza
dogmatica. Il criminologo non si interroga sui comportamenti “casuali” delle persone, perché
l’oggetto della criminologia è selezionato dalla dogmatica penalistica vigente. Quindi, per il
criminologo ad essere interessanti sono solo quelle condotte che integrano fattispecie astratte di
reato, non qualsivoglia condotta. La criminologia non è una scienza dogmatica nel senso che non
si occupa della corretta interpretazione delle disposizioni penali, ma seleziona il proprio ambito di
indagine i comportamenti che gli interessano sulla base del diritto penale vigente. Si può
immaginare il criminologo di alcuni paesi a maggioranza islamica e in cui il Corano sia fonte del
diritto, in cui l’apostasia sia un reato, e per un criminologo iraniano questo è un problema
criminologico. Qui si vede la dipendenza dalla dogmatica della criminologia.
Un’altra disciplina è l’analisi economica del diritto, che studia gli effetti economici del diritto
creduto vigente in senso sociologico. Gli economici studiano quelle leggi che sono reputate vigenti,
il problema se quella legge sia stata reputata legittima dalla Corte o no interessa relativamente chi
fa l’analisi economica del diritto. A loro interessa se una determinata legge o disposizione, un
determinato orientamento giurisprudenziale produca incentivi o disincentivi economici rispetto a
determinate condotte. Da questo punto di vista, quello che interessa è la vigenza sociologica, non
quella dogmatica, che possono divergere. Cioè una legge può essere stata approvata in modo
perfettamente conforme alla costituzione e come si suole dire rimanere “lettera morta”, cioè non
produrre nessun effetto sulla popolazione. A chi fa analisi economica del diritto interessa vedere gli
effetti prodotti dalle leggi credute vigenti, o ipotizzate come vigenti sociologicamente. È evidente
che da questo punto di vista si potrebbe sostenere che l’analisi economica del diritto rientra nella
sociologia del diritto, ma la sociologia del diritto si occupa di temi molto più ampi.
La sociologia del diritto condivide con queste discipline il fatto di non essere una dogmatica.
A questo punto la domanda sorge spontanea: il diritto romano è studiato con metodo dogmatico o
con metodo empirico-sociologico o storico-sociologico? Dipende, ma sostanzialmente dogmatico: il
concetto è quello di ricondurre la correttezza di asserti al corpus iuris considerato vigente e quindi
adottando come dogma la sua vigenza. Emanciparsi da questo metodo nell’insegnamento del
diritto romano non è semplice.

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Lezione 4 – 09/03/2023
Differenza storico del diritto con diritto romano. Lo storico non ha l’obiettivo di giustificare le proprie
decisioni. Il fatto che per molto tempo il diritto romano sia stato usato come fonte del diritto ha fatto
sì che per molti secoli, il diritto romano inteso anzitutto come il corpus iuris civilis in tutte le sue
parti sia stato studiato dogmaticamente, cioè al fine di giustificare decisioni o di persuadere giudici
a decidere e motivare in conformità agli interessi ?? Questo ha lasciato nello studio del diritto
romano un’impronta sul modo in cui si studia, cioè in modo dogmatico.
A differenza di tutte le scienze non dogmatiche, la sociologia del diritto presenta la caratteristica di
studiare i fenomeni giuridici in generale, per esempio proponendo concettualizzazioni generali per
fenomeni come diritto oggettivo (law) o diritto soggettivo (right), norma, proprietà, possesso,
obbligo, Stato, sovra- e subordinazione. Quello che è importante è tenere presente che comunque
le concettualizzazioni cui può giungere la sociologia del diritto non hanno la pretesa di imporsi a
nessuna dogmatica giuridica. In altri termini, la sociologia del diritto sviluppa i suoi concetti, ma il
sociologo del diritto non ha nessuna pretesa a che i concetti sopra sviluppati vengano recepiti dalle
dogmatiche giuridiche.
Es. nella dogmatica romana negli ultimi decenni la schiavitù scompare, come mai? Non era stata
abolita, ma diviene un fenomeno sempre più raro. Questo perché non si sono più fatte conquiste,
dunque non c’erano più popolazioni da assoggettare. La schiavitù degli antichi non era su base
razziale: quando Roma faceva una guerra di conquista, e chi non avesse conquistato, anziché
arrendersi cercava di mantenere la propria indipendenza ma veniva sconfitto, ciò che accadeva
era che i sopravvissuti diventavano schiavi. Quando l’Impero Romano raggiunse la sua massima
espansione, non c’erano più territori né schiavi da conquistare. È anche vero però che gli schiavi
nell’antica Roma mettevano su le famiglie, quindi continuavano ad esserci schiavi. Solo che
nell’antica Roma, i rapporti con gli schiavi erano rapporti non come Sparta, quindi molto spesso i
padroni facevano accordi con gli schiavi e si fidavano di loro, affidando loro anche la gestione di
parti del loro patrimonio  schiavi trattati con una certa umanità, e ogni tanto venivano anche
liberati. Il fenomeno della liberazione degli schiavi, unitamente con la cessazione
dell’espansionismo romano, portò a una riduzione della schiavitù, che fu sostituita gradualmente
dalla gleba. Il servo della gleba era considerato giuridicamente come parte del terreno, del fondo a
cui era riferito. Dal punto di vista sociologico, il rapporto tra schiavo e padrone non era un rapporto
di proprietà, il quale si ha con cose inanimate. Tuttavia, dal punto di vista dogmatico, il fatto che sia
un rapporto di sovra- e subordinazione e non invece un rapporto con una cosa inanimata è molto
importante poiché lo schiavo, a differenza delle cose inanimate, si può ribellare. Non per nulla,
quando ancora nell’antica Roma gli schiavi erano trattati con una certa disumanità, c’era la guerra
contro gli schiavi. Tenere conto del fatto che si tratti di un rapporto di sovra e subordinazione,
quindi, è fondamentale dal punto di vista sociologico, perché comporta lo sviluppo di tutta una
serie di temi, tra cui il tema della socializzazione dello schiavo, e di come il trattamento dello
schiavo influisce sull’organizzazione dello Stato. Sparta era nota per il trattamento estremamente
disumano riservato agli schiavi; infatti, Sparta era una società fortemente organizzata. Un
trattamento più umano degli schiavi riduce la probabilità di rivolte da parte di questi ultimi.
Lo stesso si è verificato in una certa misura rispetto alla schiavitù moderna. Gli schiavi delle
colonie anglosassoni venivano trattati in modo molto diverso rispetto a come venivano trattati in
Brasile. Tra l’altro nei paesi latini era proibito vendere il figlio di una schiava. Molti studiosi
anglosassoni ritengono che molti problemi razziali statunitensi, come ad esempio il fatto che la
famiglia afroamericana sia una famiglia poco stabile, trovi le proprie cause nel modo
estremamente disumano in cui gli schiavi venivano trattati nel mondo anglosassone. Non di meno,
dal punto di vista dogmatico può essere utile trattare uno schiavo come un rapporto di proprietà,
per esempio al fine di applicare norme sviluppate ai fini dei vizi della cosa, nel caso in cui una
persona cedesse la propria autorità sullo schiavo a una persona in cambio di una somma di
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denaro, e questa persona si scopre avere una malattia di cui il venditore era a conoscenza. Dal
punto di vista dogmatico, è utile giustificare decisioni di questo tipo dall’utilità di concepire il
rapporto di schiavitù come un rapporto di proprietà.
Questa esigenza dogmatica, la sociologia del diritto la contesta. Per il sociologo del diritto, è
fondamentale che il caso della schiavitù è un caso di sovra-ordinazione e subordinazione, analogo
a quello della servitù della gleba, analogo a quello del lavoro subordinato, con le loro differenze.
Punto fondamentale: la sociologia sviluppa i propri concetti in completa autonomia rispetto alle
dogmatiche giuridiche. Ciò che è proprietà di una dogmatica giuridica, per la sociologia del diritto
non lo è.
Nella sociologia del diritto così come nelle altre scienze non dogmatiche del diritto, l’accertabilità
scientifica di un asserto non dipende dalla sua riconducibilità a determinate fonti assunte come
dogmi, ma dalla sua corrispondenza con la realtà legale o illegale, che tale realtà sia dal punto di
vista dogmatico.
Es. sociologo del diritto ragiona come un linguista. PrendAvamo è una variante di prendevamo
empiricamente esistente nella lingua italiana, che il linguista ha il dovere di registrare.
Le questioni dogmatiche possono essere rilevanti solo ai fini della predizione probabilistica di un
mutamento di orientamento giurisprudenziale. Ad es. qualora la giurisprudenza adotti
un’interpretazione di una disposizione reputata completamente scorretta da tutta la dottrina, c’è
maggiore probabilità che questo orientamento venga cambiato rispetto al caso in cui adotti
un’interpretazione ritenuta corretta dalla stragrande maggioranza della dottrina. La cosa è
interessante per il sociologo del diritto esclusivamente dal punto di vista probabilistico, perché un
fenomeno di questo tipo, cioè il caso in cui la giurisprudenza adotti un’interpretazione molto
plausibile di una disposizione, comporta una predizione probabilistica di un mutamento
giurisprudenziale  è una predizione empirica.
La sociologia non è una scienza dogmatica, bensì una scienza empirica. Ad es. dogmaticamente
si parla della correttezza dell’enunciato “Caio deve a Tizio 10 euro perché il primo ha rotto
l’ombrello al secondo”, perché questo enunciato è riconducibile all’art. 2043 cc, considerato
vigente in virtù del dogma di recettività storica. Quindi, la dogmatica giuridica è interessata alla
questione se sia plausibile che Caio debba 10 euro a Tizio; mentre la sociologia del diritto è
interessata alla probabilità del fatto che Caio dia questi 10 euro a Tizio, inteso come evento
empirico, oppure alla probabilità he condanni Caio qualora Caio non paghi volontariamente. È
importante capire che noi stiamo parlando di predizioni probabilistiche.
Es. dimostrazione informale di Pitagora. È una dimostrazione plausibile. Il concetto di plausibilità
non ha niente a che vedere col concetto di probabilità. In questo caso i dogmi non sono neanche
tutti quanti identificati.
La plausibilità di una dimostrazione non è un fenomeno analogo alla probabilità.
Se noi operiamo all’interno della sociologia del diritto, ci troviamo di fronte a problemi come quello
del significato di parole come “deve”. Il giurista dogmatico, in una certa misura può anche
prescindere da questo problema, ma il sociologo del diritto non può, dev’essere in grado di dire a
cosa corrisponde l’uso del termine “deve” nella realtà empirica. “Deve” viene tradotto
empiricamente (viene operazionalizzato = indicare, in presenza di quali circostanze osservabili,
cosa esiste empiricamente) come la probabilità che Caio deve 10 euro a Tizio o la probabilità che
un giudice condanni Caio a dare 10 euro a Tizio. Al sociologo del diritto non interessa la questione
di come giustificare l’affermazione per cui Caio deve a Tizio 10 euro, ma gli interessano fenomeni
reali (Caio che dà 10 euro a Tizio, Sempronio giudice che condanna Caio a dare 10 euro a Tizio).
Ci interessa predire e spiegare i comportamenti di fenomeni.

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I fenomeni sono osservabili solo da chi li sta vivendo. Molti fenomeni non sono affatto suscettibili di
osservazione empirica diretta, per cui è necessario utilizzare altri sistemi.
Spallanzani scoprì, facendo degli esperimenti (prima provò a mettersi una benda e i pipistrelli
volavano fortissimo; provò poi a mettere dei tappi di cera e si accorse che i pipistrelli non
volavano), che i pipistrelli volano emettendo degli ultrasuoni e ricostruiscono lo spazio in cui si
trovano in virtù di questi ultrasuoni per come i suoni tornano alle loro orecchie.
La cosa da tenere presente è che nella sociologia del diritto c’è questo problema non semplice da
risolvere. Non è che l’operalizzazione non sia importante in una dogmatica giuridica, però in certi
casi si può arrivare ad una conclusione dogmaticamente corretta senza che davvero sia chiaro che
cosa significhi “deve”. La Costituzione dice che il Governo deve avere la fiducia delle Camere, ma
non dice cosa avviene in concreto. Da un punto di vista dogmatico può capitare che noi arriviamo
alla conclusione per cui si deve arrivare a fare una certa cosa senza che ci sia una sanzione, e
dogmaticamente ???
L’operalizzazione nella dogmatica è importante, ma nella scienza empirica è indispensabile.
Le scienze dogmatiche sono scienze soggettive, mentre quelle empiriche sono scienze
oggettive. Nelle scienze dogmatiche i criteri di accertabilità di un asserto sono criteri strettamente
soggettivi, cioè il fatto di accertare oppure no dei dogmi; mentre nelle scienze empiriche quello che
conta è solo la corrispondenza con la realtà oggettiva, più precisamente con la realtà inaccessibile
a chi crea tale scienza. Inaccessibile nel senso: noi non possiamo mai avere un’esperienza diretta
con il telefono, nella mia coscienza ci possono essere esperienze sensoriali e visive del telefono,
che mi inducono a pensare che ci sia un telefono, ma il telefono di fatto rimane un oggetto
trascendente  tesi degli empiristi britannici.
Nelle scienze empiriche, la scelta delle ipotesi è determinata solo dall’esigenza che esse
corrispondano alla realtà, che è l’unica cosa che ci interessa. Non ci interessa la derivabilità o la
riconducibilità rispetto a degli assiomi. Le scienze empiriche rifiutano il principio di autorità, mentre
le scienze dogmatiche si basano su di esso.
Vi è poi il fatto che, poiché non viviamo in una situazione di guerra civile, in Italia c’è un largo
consenso in magistratura e dottrina su quali siano i dogmi utilizzabili dal magistrato o dal burocrate
o dal cittadino che interloquisce con un poliziotto. Questo non vuol dire che i dogmi siano oggettivi,
ma solo che viviamo in una situazione di caos di dogmi giuridici. Capita infatti che si adottino
dogmi diversi. Fortunatamente c’è consenso sui dogmi e su soluzioni.
Lezione 4 – 13/03/2023
Nel caso della dogmatica giuridica, non c’è una qualche realtà inaccessibile al soggetto cui un
asserto debba corrispondere o somigliare. Ciò che caratterizza le scienze empiriche è che si
occupano di realtà inaccessibili al soggetto, e quali sono queste realtà inaccessibili al soggetto?
Un primo esempio è costituito dalle verità storiche: lo storico cerca di ricostruire la realtà che è da
noi (solisticamente inteso) indipendente. Infatti, noi possiamo accedere solo alle nostre emozioni,
alle nostre esperienze sensoriali attualmente presenti nella coscienza, al ricordo. I ricordi talvolta
possono giocare dei brutti scherzi, ragion per cui la prova testimoniale non sempre può essere
affidabile. Noi non abbiamo accesso diretto al passato, al futuro, e neanche a quella che si chiama
la realtà esterna. Es. telefonino non possiamo accederci direttamente, ma abbiamo esperienze
sensoriali che ci fanno capire che c’è un telefonino. Nella nostra coscienza possono essere
presenti solo le nostre esperienze sensoriali (tattili, olfattive, uditive, ecc.), tutto il resto è oggetto di
ipotesi. Questo è inevitabile, perché se non partiamo dalla distinzione tra esperienza sensoriale e
ciò che causerebbe l’esperienza sensoriale, non potremmo neanche spiegare il fenomeno
dell’illusione.

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L’espressione “indipendente dal soggetto” non è altrettanto adeguata: il mal di denti che io ho è
indipendente da me, tant’è vero che devo andare da qualcuno per fare in modo che cessi. Quindi
quest’espressione non è adeguata, ma quella adeguata è “inaccessibile al soggetto”, nel senso
che noi possiamo solo fare delle ipotesi fallibili; rispetto a ciò che succede nella nostra coscienza,
noi possiamo essere certi della nostra esperienza sensoriale del telefonino, ma non possiamo
essere davvero sicuri che vi sia un telefonino.
Nelle scienze empiriche, il criterio fondamentale è costituito da asserti che corrispondono alla
realtà inaccessibile al soggetto, e per questo si pone il problema dell’operalizzazione. La
dogmatica, in una certa misura, può anche prescindere da questi problemi, però la dogmatica nel
caso di un asserto come “caio deve a Tizio 10 euro” è innanzitutto interessata al teorema da cui
deriva la conclusione che Caio deve a Tizio 10 euro. È questo nesso tra dogma e conclusione che
interessa al giurista dogmatico. Es. art. 94 Cost: il governo deve avere la fiducia delle Camere. In
questo caso noi non sappiamo che cosa voglia dire “deve”, e il giurista dogmatico questo problema
se lo deve anche porre.
La dogmatica giuridica può stare in piedi anche senza un’attività di operalizzazione, cioè di
precisazione delle osservazioni empiriche in costanza delle quali noi possiamo affermare ad es.
“deve” o “può”; quello che conta è che certi teoremi siano perlomeno plausibili.
Va notato che molte affermazioni giuridiche possono venire intese, a seconda del metodo di cui ci
avvaliamo per controllarne l’accertabilità (verità in sociologia del diritto e plausibilità nella
dogmatica giuridica), tanto un asserto dogmatico quanto un asserto sociologico-giuridico.
Es. “Barack Obama non può più candidarsi a Presidente”  come operalizziamo il divieto? La
cosa può essere fatta in modi diversi, ma non è detto che operalizzazioni diverse siano
necessariamente incompatibili scientificamente: possono infatti essere compatibili e contribuire a
vedere con una luce diversa quello stesso fenomeno. In questo potrebbe dunque consistere il non
poter fare qualcosa, cioè nel fatto che se uno quella cosa invece la fa, vi è una certa probabilità
che si esponga a reazioni sgradevoli (reazione della popolazione USA). Un’altra operalizzazione è
che vi sia una bassa probabilità che Obama si candidi a presidente USA, ma che se vincesse gli
verrebbe impedito di giurare come presidente. Queste sono predizioni empiriche, fermo
rimanendo che considerazioni di questo tipo possono essere utili anche a un avvocato.
È fondamentale tenere presente che da un punto di vista dogmatico non si tratta di fare previsioni
probabilistiche, ma di andare alla ricerca di qualche dogma per mezzo del quale giustificare
quest’affermazione. Se io adotto un assioma del vigore (o prestigio per il giurista dogmatico)
della costituzione degli USA, e dunque degli emendamenti approvato in conformità a tale
costituzione, un possibile dogma è il XXII Emendamento del 1951. Prima del 1951 qualcuno
avrebbe potuto invocare una convention, cioè una consuetudine costituzionale, e prima di
Roosevelt (1932), nessuno effettivamente era diventato presidente degli US più di due volte,
neppure George Washington. Visto che fino al 1940 nessuno si era mai candidato per tre volte a
presidente degli US, c’era qualcuno che sosteneva che c’era questa convention, ma la cosa non
era pacifica. Infatti, Roosevelt, fu eletto altre due volte. Tuttavia, già nel 1951 fu approvato questo
emendamento. Se io voglio giustificare dogmaticamente quell’asserto, posso prendere un pezzo
del XXII Emendamento, quello che dice che nessuno potrà essere eletto a Presidente più di due
volte.
Le dogmatiche giuridiche emergono per assumere il punto di vista del giudice che deve decidere e
dell’avvocato che deve convincere il giudice, o ancora del funzionario che deve giustificare quello
che fa in qualità di funzionario. Mentre la sociologia del diritto, al più, assume il punto di vista
dell’avvocato che deve consigliare al suo cliente se gli convenga o meno fare causa. Quando un
avvocato consiglia se fare causa, agisce un po’ anche da sociologo del diritto, perché se non lo fa

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non è in grado di fare quella consulenza anteriore rispetto all’inizio del giudizio, che è
indispensabile per prendere una decisione razionale relativa alla citazione in giudizio di qualcuno.
Giurisprudenza è costruita avendo in mente avvocati nel processo, magistrati, funzionari che
devono decidere potendo giustificare le loro decisioni.
Digressione  parere pro veritatae. È un parere che viene richiesto all’avvocato a favore della
verità. Solo gli asserti prodotti dalle scienze empiriche sono capaci della verità (corrispondenza
con la realtà inaccessibile al soggetto); gli asserti prodotti invece dalle dogmatiche giuridiche sono
capaci solo di correttezza. Il parere pro veritatae suggerisce l’idea di un parere sociologico-
giuridico rispetto alla questione giuridica, ma non è così. Nel parere pro veritatae un giurista
dogmatico risolve un problema giuridico stando a determinati dogmi, quelli tendenzialmente
condivisi nel paese in cui opera, offrendo la soluzione che tale giurista ritiene essere
dogmaticamente corretta per quel problema. Tradizionalmente, tali pareri non si trovano
semplicemente elencate le varie possibili soluzioni dogmatiche, magari indicando per ciascuna di
esse la probabilità che venga accolta da un giudice, ma anzi vengono discusse, ma solo al fine di
scartarle una ad una fino a giungere a quella corretta. La natura della dogmatica giuridica non
richiede che vi sia una sola soluzione corretta del problema giuridico, potrebbero essercene più di
una. Nel momento in cui questa cosa venisse accolta, il giurista dogmatico dovrebbe
semplicemente indicare quali siano le soluzioni plausibili, e questo significa che la magistratura
può scegliere cosa fare, e nella misura in cui la magistratura stabilizza la propria scelta
(giurisprudenza costante, ammesso che si assuma il dogma della vincolatività della giurisprudenza
costante), a quel punto la soluzione giusta diventa una sola, perché partendo da due soluzioni
parimenti plausibili, una finisce con l’avere dalla sua il fatto di essere stata accolta ad es. dalla
Corte di Cassazione ed essere divenuta quindi giurisprudenza costante. Però i giuristi dogmatici
non fanno così, loro pensano che vi sia una sola soluzione corretta, e scartano quelle per loro
sbagliate.
Es. art. 60 Cost  PdR nomina i senatori a vita. C’era un’interpretazione secondo cui i senatori a
vita fossero cinque, e che se ne potesse nominare uno solo qualora uno dei 5 venisse meno;
mentre l’altra interpretazione era quella che ogni PdR potesse nominare i suoi 5 senatori a vita.
Queste due interpretazioni sono entrambe plausibili, ma la cosa è stata risolta modificando la Cost.
In questo caso avevamo a che fare con due interpretazioni in contraddizione l’una con l’altra. Non
c’è nulla che impedisce che nella dogmatica giuridica non vi siano contraddizioni. L’esistenza di
una contraddizione si traduce nella possibilità per il giudice di fare quello che vuole. Il fatto che vi
sia un’unica soluzione corretta è una bugia.
Da un punto di vista sociologico-giuridico, un parere pro veritatae dovrebbe indicare tutte le
soluzioni assegnando quanto possibile ad ogni soluzione una probabilità. La cosa fondamentale è
tenere presente che nell’espressione parere pro veritatae, l’uso del termine verità non è l’uso che
facciamo di solito.
La sociologia del diritto, in quanto scienza empirica oggettiva, non va distinta solo dalle
dogmatiche giuridiche, ma anche dalle scienze tecnologiche / teleologiche del diritto. Le
scienze teleologiche sono le scienze che partono da una selezione di determinati scopi (in greco
antico telos), e consistono nell’utilizzare il sapere causale disponibile come tecnica per perseguire
determinati obiettivi. In altri termini, una scienza tecnologica / teleologica è una scienza soggettiva
che persegue finalità soggettivamente scelte da chi la crea ipotizzando la produzione di cause
(“mezzi”) al fine di realizzare effetti coincidenti con tali finalità (“risultati”). Le cause stanno agli
effetti quanto le conseguenze stanno ai risultati. La politica del diritto, tipicamente, cerca di
realizzare determinate finalità avvalendosi presumibilmente di ipotesi causali sugli incentivi e
disincentivi che leggi possono produrre (entra in gioco anche l’analisi economica del diritto). Un
classico esempio di rapporto tra scienza empirica e scienza tecnologica è rapporto fra la medicina
e la biologia umana. La medicina è biologia umana applicata, cioè manipolata, per perseguire
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determinati scopi; mentre la biologia umana esiste semplicemente per un desiderio di conoscenza.
Gli scopi che tipicamente persegue la medicina tramite la conoscenza fornita dalla biologia umana
sono quelli principalmente di guarire le persone, diminuire il dolore, permettere la fine della vita
umana senza alcun dolore.
La componente soggettiva è decisiva per determinare gli obiettivi che si vogliono perseguire (es.
medicina e tortura sono entrambe basate sulla biologia umana).
È importante tenere presente che la sociologia della devianza, essendo totalmente sganciata
dalla dogmatica giuridica, e quindi dalle condotte qualificate come reato dal Codice penale e dalle
altre leggi italiane, non si occupa solo della devianza oggetto della criminologia, ma qualunque
altra forma di devianza. La sociologia della devianza non è interessata al perché qualcuno
conduce determinate condotte qualificate come reato, ma è interessata al perché determinate
condotte sono vissute come devianti da parte di alcuni/molti/quasi tutti i consociati: questi sono due
problemi radicalmente diversi.
Lezione 5 – 16/03/2023
La sociologia della devianza non si occupa solo si ciò che può portare alla criminalizzazione di
determinate condotte, anche se ovviamente questa parte è fondamentale. In teoria non c’è nessun
motivo per escludere anche altri fenomeni come l’indignazione, il disgusto, la derisione.
In Italia l’omosessualità non è mai stata un reato, mentre in altri paesi lo è stata talvolta anche in
tempi recenti. Questo non vuol dire però che non fosse considerato un comportamento deviante, o
suscettibile – nel migliore dei casi – di derisione. La sociologia della devianza vede tutti questi
fenomeni in quest’ottica. l devianti sono tanto quelli che hanno aggredito gli omosessuali, quanto –
agli occhi di questi soggetti – gli aggressori. Tuttavia, l’Italia non è intervenuta alla
criminalizzazione dell’omosessualità.
Abuso di informazioni privilegiate  non è chiaro in cosa consista la lesione del bene giuridico,
però la tesi che si sosteneva era che il bene giuridico era la fiducia nei mercati finanziari, e se io so
che alcuni fortunati in possesso di informazioni su determinate società quotate possono lucrarci
sopra, il mio desiderio di investire in borsa o in obbligazioni può diminuire. Visto che la liquidità e la
capitalizzazione è comunque un bene, si può sostenere che questa condotta ha fatto in modo,
creando una sorta di sfiducia rispetto ai mercati finanziari e lesiva rispetto al buon funzionamento
del mercato.
Le scienze empiriche in senso stretto sono puramente oggettive, nel senso che in esse le decisioni
dello scienziato non svolgono alcun ruolo costitutivo, al fine della costituzione della scienza
considerata. Al più svolge un ruolo circa la scelta dell’oggetto d’indagine. Es. appassionato di
storia della gastronomia può essere interessato a come si mangiava prima dell’avvento di molti
ingredienti nelle Americhe.
Le scienze dogmatiche e tecnologiche, invece, sono soggettive, nel senso che in esse sono
necessarie sempre anche decisioni, dogmi, assiomi, dello scienziato relative rispettivamente,
all’adozione come vincolanti di determinare fonti e di … COPIA SLIDE.
Questa differenza spesso – non necessariamente – si manifesta nel fatto che nelle scienze
soggettive si arriva dei “deve”, che sono invece del tutto assenti nelle scienze oggettive (nel caso
delle scienze tecnologiche si parla di doveri tecnici  devo prendere l’antibiotico ogni 8 ore per
bloccare la riproduzione batterica. Devo perché voglio guarire. Il dovere tecnico o teleologico è
sempre mediato da un fine).
Va anche osservato che docente e discente, nelle scienze oggettive, sono dei pari. Quello che
conta è se quello che dice il docente corrisponda oppure no a come stanno le cose là fuori, nella
realtà inaccessibile. Invece, le scienze dogmatiche comportano necessariamente l’adozione da
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parte del discente dei dogmi proposti al docente. È ovvio che, nelle misure in cui noi viviamo in una
società pacificata in assenza di guerra civile, non ci sarà conflitto grave tra es. vari docenti di un
corso relativamente a quali dogmi usare, ma questa è una conseguenza del fatto che viviamo in
pace. In caso di guerra civile ci sono (almeno) due parti in conflitto, ciascuna che vuole imporre
all’altra la propria costituzione in senso lato, cioè l’insieme dei propri dogmi in senso lato. Es.
Mussolini vs Regno del Sud.
È importante tenere a mente che anche nelle scienze dogmatiche e teleologiche il sapere
empiriche è rilevante, ma lo è sempre in quanto mediato soggettivamente. Es. nelle scienze
dogmatiche si tratta molto spesso di accertare, determinare, eventi spazio-temporalmente
determinati, p.e. il fatto che Tizio abbia ucciso Caio il 15 febbraio 1990, ma questo perché noi
riteniamo vigenti le norme del codice penale, oppure leggi causali. Le cause nelle scienze
tecnologiche stanno ai mezzi e le conseguenze stanno ai fini, ma la scelta è soggettiva.
In sintesi, le scienze dogmatiche e teleologiche sono impossibile senza scelte soggettive che
vanno al di là di occuparsi di studiare un argomento anziché un altro.
Ci sono due tipi di sociologia: le sociologie ad oggetto sociale e quelle ad oggetto non-sociale.
Nelle sociologie ad oggetto sociale, l’oggetto è costituito socialmente, cioè da continue interazioni
tra individui. Anche le priamidi sono state costruite tramite interazioni sociali, ma questo non
trasforma le piramidi in oggetti sociali in senso stretto. Un oggetto sociale è tale per via del fatto
che esso esiste in virtù di continue interazioni tra individui. Esempio classico è la sociologia della
moda: una cosa è di moda fintanto che creduta essere di moda. Questa forma di prestigio sociale
esiste fintanto che le interazioni sociali che costituiscono un oggetto in un oggetto di moda siano
permanentemente presenti.
Queste sociologie presentano l’interessante caratteristica di coincidere con la scienza empirica del
loro oggetto  pensiamo a una sociologia dell’invecchiamento, che si occupa non
dell’invecchiamento quale fenomeno biologico, ma si occupa della costruzione sociale
dell’invecchiamento. Le sociologie ad oggetto non-sociale si occupano della costruzione sociale
[cioè dei vissuti umani in rapporto a] di oggetti sociali. Quindi per es. del fatto che in alcune società
gli anziani svolgono un ruolo fondamentale, mentre in altre non si reputa lo stesso; oltre il
fenomeno per cui l’età a partire dalla quale una persona viene considerata anziana, soprattutto in
società ad alta aspettativa di vita, i quali spesso hanno la tendenza a spostare in avanti l’età in cui
una persona viene considerata anziana.
In questo caso abbiamo un dualismo: biologia umana e sociologia che si occupano entrambe del
medesimo oggetto, seppure con obiettivi conoscitivi diversi, pur rimanendo entrambe scienze
oggettive. Non esiste una scienza della moda distinta da una sociologia della moda. Una cosa
fondamentale è credere: credere che qualcosa sia di moda è una componente indefettibile perché
quel qualcosa sia di moda (credere che una persona sia anziana è una componente indefettibile
della costruzione sociale del raggiungimento di una certa età in una data cultura). Con moda non si
intende solo quella giovanile o femminile, ma anche quella professionale, ecc. Es. tutti tengono a
prediligere il nero, esattamente come fanno gli uomini in ambiti istituzionali.
La sociologia del diritto è una sociologia ad oggetto sociale oppure no?
Lezione 6 – 20/03/2023
Chiarimento su sociologia ad oggetto sociale vs oggetto non-sociale
Ci sono fenomeni che sono ontologicamente sociali, perché la loro esistenza dipende da continue
interazioni sociali. Una piramide, o il Duomo, non potrebbero esistere se non ci fossero state
interazioni sociali. Ma non li consideriamo oggetti sociali, ma oggetti culturali, a differenza di una
montagna, perché ontologicamente questo oggetto non richiede per la propria esistenza continue
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interazioni sociali, e neanche il fatto che noi crediamo nella sua esistenza. Se noi improvvisamente
cessiamo di credere nel fatto che qualcosa sia di moda o nell’esistenza dello Stato, la cosa crolla.
L’oggetto non-sociale esiste anche a prescindere dalle interazioni sociali che possono aver dato
luogo alla sua esistenza, mentre l’oggetto sociale no. Es. sociologia dell’invecchiamento o
sociologia della natura sono su oggetti non-sociali.
C’è la possibilità di avere sociologie miste, es. sociologia della devianza: si può ritenere che
talune condotte come l’uccisione di un membro della propria comunità sia stigmatizzata a livello
diversale umano,
possiamo dire che nella sociologia della devianza abbiamo a che fare con una sociologia mista.
Troviamo in questo il parallelo della distinzione tra mala in se e mala in quia prohibita.
Digressione sulla sociologia della scienza. Esiste una sociologia della scienza o della
conoscenza. Questa sociologia studia i meccanismi sociali che presiedono alla selezione di
determinate opinioni come scienza ufficiale. Ciò che è considerato scienza è un qualcosa che ha
superato e continua a superare delle prove in senso lato (non esperimenti). Quali sono i metodi,
parlando di scienze naturali? Es. se una persona crede di aver scoperto nuovo farmaco contro
l’influenza, questo farmaco viene testato in doppio cieco (?), cioè si prendono 100 persone con
l’influenza; a 50 di loro non viene dato il placebo, ma il miglior farmaco contro l’influenza
disponibile, mentre agli altri viene dato quello sperimentale. Si usa l’espressione doppio cieco
perché non lo sanno né le persone che prendono il farmaco, né le persone che lo somministrano,
per evitare che vi sia un pregiudizio c.d. bias a favore/sfavore del loro farmaco.
La sociologia della scienza, pur essendo caratterizzata da interazioni sociali, e nonostante il fatto
che ciò che è scienza cambia in funzione di ciò che momento per momento è reputato essere
scienza, non significa che l’oggettiva verità di una teoria non abbia un’efficacia causale rispetto al
suo successo. In altri termini, il metodo scientifico è concepito in modo tale da fare in modo che
rispetto a un processo di selezione, sopravviva solo quella teoria o quelle teorie che siano più
compatibili con la realtà a noi inaccessibile. Il metodo scientifico è usato allo scopo di produrre
teorie che abbiano più probabilità di essere vere nel senso di corrispondenza con la realtà. Es. noi
tutti crediamo che la terra sia sferica, ma perché? Sembra che l’abbiano scoperto i fenici, avendo
notato che il sole a mezzogiorno era a nord anziché a sud. I meccanismi sociali possono essere
assai variegati. Pensiamo al fatto che i navigatori fenici abbiano riportato questo fenomeno per cui
al di sotto di una certa latitudine il sole incominciava a mezzogiorno a proiettare un’ombra verso
nord anziché verso sud come da noi, e questa cosa è stata oggetto di riflessione da parte di altri
individui, con il risultato che si è arrivati ad ipotizzare la sfericità della Terra dai greci, ipotesi poi
largamente accolta. Questa è un’interazione sociale multiculturale.
Avere l’esperienza sensoriale di qualcosa non equivale a vedere qualcosa. Nella nostra coscienza
possono esserci solo esperienze sensoriali (empirismo). Tutto il resto sono ipotesi relative a realtà
a noi inaccessibili. Verità e certezza sono due ideale epistemologici incompatibili. Visto che noi
possiamo essere certi solo di ciò che è presente nella nostra coscienza, tutto il resto è oggetto di
ipotesi, e quindi capace di errore. Le scienze empiriche sono permeate dal fallibilismo; senza il
fallibilismo non abbiamo scienze empiriche.
CONCETTUALIZZAZIONE VS OPERALIZZAZIONE
Concettualizzare significa rendere più precisa un’idea, magari anche molto vaga che abbiamo
nella coscienza: significa precisare un concetto. Concettualizzando, irrigidisco o stabilizzo il mio
modo di pensare a qualcosa quando ci sto pensando, indipendentemente dalla questione della sua
esistenza esterna. Es. infinitesimo non molto piaciuto dai matematici, ma poi negli anni 60’ un
matematico è riuscito a dare una definizione abbastanza semplice di infinitesimo  è un numero

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maggiore di 0 e minore di qualunque numero reale. Gli infinitesimi non esistono, ma siamo in
grado di concettualizzarli.
Una concettualizzazione può comportare un’operalizzazione (cioè indicare in costanza di quali
esperienze sensoriali possiamo ipotizzare l’esistenza extracosciente di qualcosa), ma
questo non accade necessariamente (né Paperinik né gli infinitesimi sono osservabili
empiricamente). Posso invece concettualizzare gli ultrasuoni, ma questo non comporta ancora la
loro operalizzazione. Però tra suoni molto forti possono comportare anche modifiche di
temperatura, e già questo è un modo di operazionalizzare qualcosa.
Es. un modo per concettualizzare un fenomeno chiamato norma è: una norma concernente un det
comportamento è un fenomeno psichico consistente nella disposizione psichica a provare senso di
colpa se non ci si comporta in quel modo. Il problema è che una concettualizzazione di norma di
questo tipo non fornisce ancora istruzioni su come osservare la presenza intrapsichica della
disposizione a sentirsi in colpa se non si tiene un certo comportamento e su come osservare la
presenza del senso di colpa.
Ma questa concettualizzazione non ci fornisce ancora istruzioni sulle esperienze sensoriali in
costanza delle quali poter affermare la presenza intrapsichica della disposizione a sentirsi in colpa
se non si tiene un certo comportamento.
Ci servono i c.d. protocolli per controllare la presenza della colpa in una persona. E come si può
fare? Si può procedere ad es. a mezzo di interviste, osservazioni (es. particolare gentilezza di chi
si sente in colpa con qualcuno), oppure ci si può avvalere di tecniche più moderne, ad es.
neuroimaging.
Quello che va tenuto presente, è che abbiamo sempre a che fare con realtà inaccessibili al
soggetto, e i problemi posti da fenomeni psichici apparentemente confinati nella soggettività
inaccessibile di individui diversi da noi non comportano problemi diversi.
Le operalizzazioni sono sempre ispirate a concettualizzazioni. Es. amicizia tra scimpanzè. Non
possiamo chiedere a scimpanzè 1 se sia amico di scimpanzè 2; i primatologi quindi, ispirandosi a
quella che è l’amicizia umana, misurano la quantità di tempo che passano assieme. Misurano
anche il loro scambio di favori (spulciarsi). Queste cose si correlano. Altro criterio è quanto uno
scimpanzè interviene in aiuto di un altro scimpanzè durante un’aggressione. I primatologi passano
un sacco di tempo a osservare cosa fanno gli scimpanzè, e sulla base di questo definiscono i
rapporti di amicizia in una comunità.
Se le amicizie nella nostra società fossero tracciate come quelle degli scimpanzé, avremmo
interessanti informazioni sulla nostra società, in particolare su dove risiede il potere. Il potere nelle
società capitalistiche si basa sulla ricchezza oppure sui rapporti di amicizia, che però non sono
documentate. In una società non capitalistica diventa decisivo. In Unione Sovietica, durante
comunismo, il potere dipendeva dalle amicizie. Non essendoci delle “banche dell’amicizia” con dati
accessibili, tutto era estremamente opaco.
Lezione 7 – 23/03/2023
Anche nelle società capitaliste le amicizie hanno un ruolo molto importante e dunque il potere non
è distribuito solo in base alla ricchezza.
Una fallacia molto diffusa nell’epistemologia del ‘900 è l’operazionismo, cioè l’idea per cui quello
che conta sono solo le sensazioni empiriche, e non invece i concetti che ci vogliono per l’attività di
operalizzazione; quindi, vuole ridurre tutte le concettualizzazioni a operalizzazioni. Sarebbe come
se volessimo sostenere che l’imbarazzo non è altro che un modo di arrossire, negando la rilevanza
scientifica dei vissuti di chi è in imbarazzo. In altri termini per chi distingue la concettualizzazione
dalla operazionalizzazione i fenomeni empirici osservati sono sintomi di ciò che è oggetto di
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concettualizzazione (p.e., l’amicizia), e non invece ciò cui in ultima analisi tale oggetto si riduce. Se
l’amicizia tra gli scimpanzé non fosse altro che quei tre tipi di comportamenti osservabili ci si
potrebbe domandare come mai si siano scelti quei tre comportamenti e non altri.
In molti casi, le operalizzazioni non sono e non possono essere precise. Es. se siamo interessati a
studiare il modo in cui l’età viene percepita, avremo bisogno di operazionalizzare i concetti di
bambino, adolescente, anziano. Se vogliamo fare ricerche empiriche dobbiamo fare delle scelte
“con l’accetta”? es. bambini 0-12 anni; adolescenti 13-18 anni; giovani adulti 19-35 anni; mezza età
36-65 anni; anziani ultra 65-enni.
Questi gruppi di età non sono completamente arbitrari. Es. 12-13 anni età menarca per le ragazze,
e ai ragazzi inizia a cambiare la voce, a spuntare i primi peli, si inizia a provare interesse per
persone dell’altro sesso, ed è un confine abbastanza importante. È ovvio che in alcuni questa cosa
arriva prima, e in altri arriva dopo, ma grosso modo non è un confine stabilito completamente in
modo arbitrario. Tra l’adolescenza e l’età adulta succede che si smette di crescere, si inizia ad
invecchiare. Poi c’è invece un cambiamento nelle donne che non c’è negli uomini, che è la
menopausa.
È ovvio che si può decidere di operazionalizzare queste cose in modi diversi. Va osservato che
una ulteriore componente di non-arbitrarietà è costituita dal fatto che le coorti sono continue. Altro
esempio è la percentuale di persone che è andato al cinema almeno una volta durante l’anno.
Nelle scienze empiriche le operazionalizzazioni sono fatte al fine di descrivere e confrontare
fenomeni, realtà inaccessibili ai soggetti. Ovviamente se la realtà è inaccessibile al soggetto, e si
possono fare solo ipotesi su un oggetto, questo è trascendente. Le scienze dogmatico-giuridiche
sono fatte al fine di risolvere e prevenire conflitti (o anche realizzare economie). In un certo senso,
anche la dogmatica è un’operazionalizzazione. Una scienza dogmatica non ha bisogno di questa
cosa, perché quello che conta è solo la riconducibilità di diversi asserti. Nella dogmatica giuridica è
anche fondamentale sapere cosa fare in concreto quando ci troviamo un asserto ben derivato. In
questo caso abbiamo l’asserto dogmatico-giuridico (art. 2043), ma in realtà è ciò che Kelsen
chiama un Solssatz. Una disposizione è ad esempio un articolo del Codice civile, ma nel momento
in cui il prof ci dice che in Italia chiunque cagiona un fatto colposo o doloso (art. 2043), sta
descrivendo il diritto italiano.
Quindi anche nella dogmatica abbiamo una forma di operazionalizzazione, che può essere
chiamata anche formalizzazione. Le finalità però sono diverse: dal pov dogmatico il compimento
dei 18 anni è una fattispecie rispetto ?
La formalizzazione nella dogmatica non è una componente indispensabile, pur presentando
indubbiamente delle somiglianze con l’operalizzazione nella sociologia del diritto, e che in ogni
caso ha una finalità di tipo politico, non conoscitivo.
CAUSALITA’
Nelle scienze empiriche non si è interessati solo a operazionalizzazioni, ma anche a dare
spiegazioni causali. Le spiegazioni causali nelle scienze dogmatiche sono del tutto assenti, l’unica
pseudo-eccezione è il ruolo che la causalità svolge ai fini di determinate qualificazioni dogmatiche:
ad es. reati di evento la causalità rileva solo ai fini dell’accertamento del fatto.
Es. numero di armi da fuoco su 100 persone; sulla destra numero di omicidi commessi per anno su
100.000 (?). è interessante notare come sembri esserci qualche collegamento tra il tasso di
diffusione delle armi da fuoco e i tassi di omicidi, ma questi collegamenti non sono così diretti. In
Norvegia ci sono armi da fuoco, ma la loro presenza non è proporzionale al numero di omicidi, lo
stesso avviene in Svizzera. Invece gli USA sembrano la dimostrazione che più armi da fuoco ci
sono, più il tasso di omicidi è alto. Il sociologo è interessato non solo ad equiparare quanto sono

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diffuse le armi da fuoco, quanti omicidi vengono commessi, ma può essere anche interessato a
vedere se vi sia un nesso causale. Potrebbe però avvenire il contrario: il fatto che vi siano omicidi
induce la gente a procurarsi delle armi da fuoco. Il sociologo deve sempre stare attento quindi,
perché ci sono sempre delle trappole, come quella di confondere la causa con l’effetto o viceversa,
e poi ci sono anche le mere correlazioni, da distinguere con le correlazioni spurie.
Quando ci interroghiamo sul perché qualcosa accada o sia accaduta, ci stiamo tipicamente
ponendo una questione causale, e la causalità è importante perché quando consociamo la causa
di un fenomeno, spesso possiamo regolare la causa in modo da far accadere o non far accadere
quel fenomeno. Ad es. sappiamo già dagli anni 60’ che i gas serra, tra cui non solo la CO2,
comporteranno dei cambiamenti climatici. La causalità è importante perché molte conoscenze di
tipo causale si prestano per introdurre gli effetti di qualcosa, o per cercare di evitare delle cose che
noi non desideriamo.
Lezione 8 – 27/03/2023
La nozione di causalità comune è la causalità probabilistica, cioè quel fenomeno per cui un
determinato evento innalza o diminuisce la probabilità di un altro evento. La causalità
deterministica è un caso particolare di causalità.
La formula della causalità è: la probabilità dell’effetto data la causa è maggiore della probabilità
dell’effetto senza ulteriori specificazioni. In altri termini: la probabilità dell’effetto data (o in costanza
di) la causa è maggiore della probabilità dell’effetto in assenza della causa. Es. evento “cancro ai
polmoni” è effetto del fumare, se la probabilità dell’Effetto è maggiore qualora vi sia la causa, cioè
essere fumatori o esserlo stati nei 10 anni antecedenti, rispetto alla generale probabilità di
contrarre il cancro ai polmoni, o rispetto al caso in cui la causa non ci sia.
Un’obiezione comune nei confronti di questa ricostruzione della causalità è che è che se il
barometro cala vi è una maggiore probabilità di precipitazioni rispetto al caso in cui rimanga stabile
o salga, ma questo non vuol dire che il calo del barometro causi le precipitazioni. La risposta viene
dal concetto di esperimento e dall’idea che questa formula debba essere vera anche nel caso di
esperimento. Se il capitano di una barca non mettesse il barometro in modo che questo segni un
aumento di pressione, non per questo sarebbe in grado di ottenere o di evitare una burrasca,
quindi in questo caso la formula non varrebbe.
È importante avere chiaro che per mezzo dell’esperimento, noi possiamo controllare se la legge
causale che abbiamo ipotizzato sia corretta e non sia invece una mera correlazione. La
manomissione del barometro può essere vista come un vero e proprio esperimento (fallito). In
questo caso abbiamo una mera correlazione tra l’andamento del barometro e la probabilità di
precipitazioni o assenza di precipitazioni.
Una correlazione è un mero legame (positivo – sale una variabile e sale anche l’altra – o
negativo – sale una variabile e l’altra scende) tra due variabili. Mero non significa falso o spurio,
perché una correlazione esiste veramente. Nel caso del barometro, perché l’andamento del
barometro e la probabilità di burrasca sono correlati negativamente o positivamente? Perché vi è
una terza causa: la pressione atmosferica. L’alta pressione porta bel tempo, la bassa pressione
porta maltempo. Il barometro è un aggeggio costruito in modo tale da riportare un valore più alto in
caso di alta pressione, e un valore più basso in caso di bassa pressione. Quindi, questa medesima
causa, la pressione dell’aria, ci permette di spiegare come effetti tanto l’andamento del barometro
quanto la probabilità di bel tempo oppure di burrasca. Centrale è il concetto di terza causa
“occulta”, che determina l’andamento delle due variabili. In un altro caso si parla di mera
coincidenza.
Gli esperimenti possono essere utilizzati anche al fine di controllare la direzione del nesso di
causalità. Possiamo ipotizzare che una causa degli omicidi per arma da fuoco negli USA, sia
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appunto la diffusione di armi da fuoco. In questo caso possiamo immaginare un esperimento
sociologico-giuridico, cioè restringere la vendita di armi da fuoco e controllare se vi sia una
riduzione in qualche modo proporzionale del tasso di omicidi. In questo caso, potremmo forse
ipotizzare che vi sia un nesso di causalità. Oppure possiamo fare anche un esperimento naturale:
lo si ha nel caso in cui per esempio abbiamo un paese in Canada ai confini con un paese negli
Stati Uniti in cui la diffusione di armi da fuoco è radicalmente inferiore a quella statunitense. Per il
resto i dati demografici sono simili, paesini praticamente identici. Tutte le volte che il legislatore
cambia una elegge con l’obiettivo di ottenere cambiamenti nella condotta dei consociati, sta
facendo un esperimento.
Nel caso delle mere correlazioni, abbiamo a che fare con due variabili che sono davvero legate
l’una all’altra
È importante distinguere le mere correlazioni dalle correlazioni spurie. Mentre nel caso delle
mere correlazioni abbiamo una terza causa che incide sulle variabili, in questo caso abbiamo
quelle che sono delle pure coincidenze. Es. hanno scoperto che il numero di persone annegate in
seguito a caduta in piscina è correlato al numero di film in cui Nicolas Cage è comparso come
attore. È pacifico che questa sia una correlazione spuria.
Per poter parlare di causalità è necessario, comunque, che la causa abbia luogo prima dell’effetto
(e la relatività ristretta sia rispettata: se la causa si produce in un luogo in un certo momento, e
l’effetto si produce in un altro luogo e in un altro momento, deve passare almeno il tempo che un
raggio di luce ci metterebbe ad andare da quel luogo all’altro). Se noi non possiamo dire post hoc
ergo propter hoc, cioè dopo questo quindi a causa di questo, possiamo dire però ante hoc ergo
non propter hoc, cioè il fatto che un evento si sia verificato prima di un altro evento è una
condizione necessaria ma non sufficiente per verificare che quell’altro evento sia causato dal
primo, ma un evento posteriore non può mai causare un evento anteriore.
Causazione deterministica
La causazione deterministica è un caso speciale di causazione probabilistica. Per parlare di
causazione probabilistica è sufficiente che la probabilità data la causa… (v. formula). Noi parliamo
di causazione deterministica quando la probabilità dell’effetto data la causa è uguale a 1, cioè
quando l’innalzamento della probabilità dell’effetto in seguito al verificarsi della causa è tale da
portare la probabilità dell’effetto a 1. Questo torna molto comodo nelle scienze sociali, però
nell’ambito della meccanica quantistica il funzionamento della realtà pare essere di tipo
probabilistico e non deterministico, quindi i sistemi ipercomplessi come quelli sociali e quelli
apparentemente semplici come quello delle particelle subatomiche sembrano avere le medesime
caratteristiche, anche se rispetto ai fenomeni sociali vi è ancora la credenza che si parla di
probabilità per mancanza di conoscenza: se noi conoscessimo tutti i dati rilevanti potremmo
formulare delle predizioni deterministiche, mentre nella meccanica quantistica non è così.
Es. diritto penale, sussunzione con leggi scientifiche. È da tenere presente però che la causazione
probabilistica ci dice che ad es. fumo aumenta probabilità di tumori, i quali però possono venire
anche a prescindere dall’assunzione di certe sostanze. Se l’assunzione di mercurio aumenta la
probabilità di un certo tipo di rumore portandola al 90%, e poi la persona a cui ho dato il mercurio
si è effettivamente presa il tumore, chi ha dato il mercurio dev’essere condannato per omicidio? È
una questione dogmatica. Vi sono sostanze che possono comportare, se assunte, il 90% di
probabilità di contrarre tumore.
Soprattutto, ma non solo, in diritto penale viene affermato che C è causa di E qualora, in assenza
di C, E non si sarebbe verificato (teoria condicio sine qua non). Questa teoria presuppone la
causalità deterministica unitamente all’ipotesi che quel tipo di effetto possa essere prodotto solo da
quel tipo di causa. È importante tenere presente che il diritto penale, cioè la dogmatica

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giuspenalistica, ha delle esigenze che vanno aldilà di quelle delle scienze empiriche, e per questo
motivo, per quanto la dottrina penalistica possa avvalersi della nozione di causalità sviluppata
nell’ambito delle scienze empiriche, questo non significa che le scienze empiriche possano essere
intrise di peso nell’ambito della dogmatica penalista.
Prendiamo in considerazione il vigore delle leggi. Negli stati moderni, un decreto-legge entra n
vigore non appena viene firmato dal Presidente della Repubblica. Questo è un fenomeno
sociologico-giuridico o dogmatico-giuridico? Con vigore si intende il fatto che questo documento
abbia un certo prestigio nell’ambito della sociologia del diritto, e questo prestigio viene in essere
dopo la promulgazione del PdR, che è tra le altre cose, un atto notarile  il PdR nel promulgare un
atto, certifica la provenienza di quel documento.
Lezione 9 – 30/03/2023
Un ulteriore modo per chiarire il rapporto tra sociologia, scienza empirica del diritto, e dogmatica
giuridica è dato studiando un particolare tipo di prestigio che si chiama vigore/vigenza delle leggi.
È una forma di prestigio nel senso che il fenomeno sociale generale è il prestigio attribuito a
qualche oggetto inanimato, però questo prestigio è particolare, perché ci sono esigenze nel mondo
del diritto, anzitutto quello di evitare i conflitti, che rendono questo prestigio diverso. È difficile che
due persone di sesso maschile vengano alle mani rispetto ad una questione di moda, mentre
rispetto al vigore di una legge per cui scendono conseguenze economiche pesanti, rischio di
conflitto pesante c’è. La natura omeogena generatrice di polemus, di guerre, di conflitti giuridici fa
sì che nella storia si è cercato e si cerca di raggiungere un certo grado di certezza del diritto.
Perché dove c’è incertezza del diritto c’è conflitto, tra cittadini o tra cittadini e le autorità.
Negli stati moderni un disegno di legge entra in vigore – cioè acquisisce questo particolare
prestigio sociale – allorché una certa procedura abbia avuto luogo, tendenzialmente a Roma,
anche se nella Costituzione non c’è scritto (questo per dare continuità allo Stato in caso di conflitti,
occupazioni da parte di qualche potenza nemica, e vi fosse la necessità di un trasferimento).
Quando la Francia fu occupata dai tedeschi durante la Seconda Guerra Mondiale, il nord era stato
occupato, il sud era presieduto da un governo fantoccio, ma la Francia libera continuò ad avere le
istituzioni nelle sue colonie.
VALIDITA’ E VIGORE DOGMATICI E SOCIOLOGICI
Dobbiamo distinguere la validità dal pov dogmatico e la vigenza come due cose diverse. Da un
pov dogmatico, diciamo che una legge è valida se determinate accadimenti storici in tz si sono
svolti in conformità a un certo modello (p.e., il modello di approvazione delle leggi desumibile dalla
Costituzione) in un momento tx anteriore a tz (in tx<z) e nel frattempo non si sono verificati altri
accadimenti storici in conformità a quel modello [p.e. abrogazione espressa, desuetudine]. Dal pov
dogmatico per dire che una legge è in vigore oggi, è necessario che siano accadute delle cose,
tendenzialmente a Roma, e non ne siano accadute delle altre. Gli accertamenti degli accadimenti
storici sono asserviti alla qualificazione dogmatica di tali accadimenti come l’emanazione di una
legge, emanazione di una sentenza della Corte costituzionale.
Per contro, da un pov sociologico, diciamo che una legge è valida se crediamo che tali eventi si
siano verificati e non si siano verificati. Questa particolare forma di prestigio che è in vigore, è un
fenomeno sociale, e dipende dal fatto che noi crediamo che si siano verificati degli avvenimenti
che conferiscono alla legge la validità, che è considerata essere la causa del vigore.
La validità, quindi, è per il giurista dogmatico un insieme di eventi e non eventi; per il sociologo del
diritto è una credenza di det eventi o non eventi in un periodo storico.
Per identificare la natura sociologica di un fenomeno ci dev’essere la componente del credere. I
sociologi sono interessati a come si comportano gli attori sociali. L’attore sociale orienta la propria

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condotta in base non alla verità, ma a ciò che egli ritiene essere vero. Le due cose possono
coincidere, ma possono anche non coincidere.
Da un pov dogmatico, diciamo che una legge (in generale una fonte) è in vigore qualora giudici,
funzionari pubblici o anche semplici cittadini o esseri umani nel territorio statale debbano [termine
operazionalizzato] comportarsi in conformità ad essa o possano invocarla per giustificare le proprie
decisioni o condotte. Una legge in vigore è una legge che un cittadino può invocare contro un
poliziotto. Es. tasso alcolemico
Dal pov della sociologia del diritto, il fatto che le procedure menzionate vengano seguite non è
rilevante in quanto argomento dogmatico a favore della vigenza dogmatica della legge approvata
ma in quanto formuliamo l’ipotesi causale che taluni eventi relativi a certi testi aumentino la
probabilità che un certo numero di persone li viva come vigenti.
NB il vigore sociologico è diversa cosa dall’efficacia di una legge. Il vigore sociologico è il fatto
che si ritenga che si debba agire in conformità di una legge o che si possa invocare quella legge
per giustificare una condotta o una decisione; ma questo non significa che quella legge venga
rispettata. Il fatto che una legge sia rispettata significa che essa sia efficace, ma affinché venga
rispettata è necessario anzitutto che sia in vigore, altrimenti non potrà mai essere rispettata. Es.
legge dice di mettere le cinture di sicurezza, ma non tutte le mettono.
Validità  per i sociologici è la causa e l’effetto probabilistico è l’emersione di questa forma di
prestigio che chiamiamo vigore.
Possiamo affermare che in una determinata società esiste un fenomeno chiamato emanazione
formale delle leggi se la probabilità di vigore di una legge data la sua validità è maggiore della
probabilità del vigore di una legge in assenza di una sua valida approvazione.
In generale possiamo dire che la probabilità che un testo venga vissuto come legge vigente è
maggiore del caso in cui si creda che si siano verificati determinati eventi storici in sontuosi palazzi
rispetto al caso in cui non si creda che tali eventi si siano verificati.
Potrebbe sembrare paradossale che in una scienza empirica sia rilevante quello che si crede,
mentre in una scienza non empirica come la dogmatica quello che conta sia quello che è davvero
accaduto in certi palazzi. In realtà, però, il paradosso si scioglie se si tiene presente che nella
sociologia del diritto siamo interessati al comportamento degli attori sociali, a predirli e a spiegarli,
e gli attori sociali sono determinati nel loro agire da ciò che credono vero, e non da ciò che è vero.
È per questo che la dimensione del credere ha un’importanza così grande in ambito sociologico.
Per contro, nella dogmatica, è vero che è di grandissima importanza quello che è realmente
accaduto in certi palazzi; tuttavia, l’importanza di tutto ciò è sempre e solo la conseguenza del fatto
che a partire da determinati dogmi a essere rilevante è la qualificazione di det eventi come ad es.
approvazione di leggi. L’evento storico nella dogmatica non è rilevante in quanto tale, ma quello
che conta è la qualificazione di det eventi, la selezione di questi eventi è una conseguenza dei
dogmi soggettivamente scelti dal giurista dogmatico. Questo non significa che non possa esserci
una relazione tra il momento sociologico e quello dogmatico, ma è possibile che una legge sia
risultata approvata, ma in realtà non si è raggiunta la maggioranza. A quel punto, la verità può
incidere su quello che la gente crede in relaziona alla validità e quindi al vigore di quella legge.
IL PROBLEMA DELLA DEFINIZIONE DI DIRITTO AI FINI DELLA SOCIOLOGIA DEL DIRITTO
Questo problema si pone in modo diverso in funzione di diverse lingue. In italiano, il termine diritto
può essere utilizzato sia in senso oggettivo (es. condotta contraria al diritto vigente), sia in senso
soggettivo (es. “mio diritto è stato leso dalla condotta di quella persona). Tutte le lingue continentali
hanno questo problema. Le eccezioni sono lo svedese (soggettivo rekt vs oggettivo lag),
ungherese e il greco moderno. In inglese abbiamo law e right.

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Problema è l’individuazione di sociologia del diritto: senso oggettivo o soggettivo? In realtà si tratta
di entrambe le cose, infatti molti parlano di sociologia dei diritti.
Va detto che le concettualizzazioni scientifiche, non possono essere di natura lessicale ma non
debbono neppure necessariamente essere “arbitrarie” nello stesso modo in cui lo sono le decisioni
soggettive ultime che stanno alla base delle dogmatiche e delle politiche del diritto. Se vogliamo
attenerci a quello che è il modo di procedere delle c.d. hard sciences (es. fisica o chimica) il criterio
fondamentale per concettualizzare qualcosa è la capacità di selezionare antecedenti causali. Es. in
fisica si distinguono i solidi cristallini dai solidi amorfi, perché i solidi cristallini entrano nelle leggi
causali (leggi sulle temperature a cui essi fondono o evaporano). I criteri in base al quale
concettualizzare qualcosa consistono nel mettere insieme gli antecedenti causali in una legge
scientifica.
Successivamente verranno presentate tre definizioni classiche di diritto.
Definizione stipulativa di Max Weber, e dopo averne dimostrato i limiti si potrà dimostrare che il
diritto oggettivo è un fenomeno complesso paragonabile al monoteismo. Ciò comporta che è inutile
parlare di fenomeni giuridici (dove “giuridico” è utilizzato come sinonimo di “oggettivo”, ma al
massimo di fenomeni pre-giuridici. “giurale” come sinonimo di diritto soggettivo, perché in inglese
giural può essere usato come aggettivo di diritto soggettivo.
Lezione 10 – 03/04/2023
Definizione stipulativa di diritto oggettivo, che non ha la pretesa di descrivere l’uso del termine di
diritto oggettivo. Inutile cercare di dare una definizione cristallina, perché il diritto oggettivo è un
fenomeno complesso che nasce dalla convergenza di una molteplicità di caratteristiche, da
paragonarsi al monoteismo o alle religioni. Un approccio di questo tipo porta a concludere che è
vano pensare di poter trovare fenomeni giuridici in ogni cultura umana, al più si potranno trovare
fenomeni pre-giuridici, ma non fenomeni giuridici in senso stretto.
Dopo definizione di Weber, esamineremo quella di Geiger, che ha la pretesa non di staccarsi
troppo da quello che noi intendiamo concettualmente come diritto oggettivo.
Infine, ultima definizione di Petrazycki in cui il punto di partenza è la nozione di diritto soggettivo.
Definizione di Weber
Vedi definizione di Weber sulla slide. Weber ritiene che ad essere decisivo sia il fatto che vi sia un
gruppo di persone “specializzato” nell’esercizio della violenza qualora determinate aspettative
normative vengano frustrate. A questo proposito, va sottolineato che il termine coazione può avere
tre significati diversi: quella della punizione, quella dell’esecuzione forzata, e la prevenzione ex
ante (uso della violenza non per punire, ma per evitare determinate condotte che altrimenti
costituirebbero reato). Ad es. supponiamo che si sentano rumori strani di notte, di qualcuno che
cerca di forzare la porta. A quel punto, si chiama la polizia, la quale interviene perché qui è in atto
un tentativo di reato.
Per Weber è importante che queste persone non devono essere identiche a ciò a cui noi siamo
oggi abituati: non è necessario che sia presente un’istanza giudiziaria. Quello che conta è il fatto
che sia chiaro quello che il clan debba fare e qualcuno ha ammazzato qualcun altro. Per Weber il
diritto internazionale non è un vero e proprio diritto. Gli strumenti per mezzo dei quali si realizza la
coazione sono per Weber irrilevanti.
Quali sono i problemi di questa definizione?
Questa di Weber è una concettualizzazione stipulativa: non ha la pretesa di descrivere il modo in
cui il termine oggettivo Recht viene utilizzato in tedesco. Weber dice che questa definizione è

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formulata solo in funzione della sua utilità. Peccato che lui non ci dica in che cosa questa utilità
consista.
Inoltre, Weber non chiarisce neanche quali siano le cause che portano all’emersione di uno staff
specializzato alla coazione. Quindi, questa è una definizione puramente stipulativa: è stipulativa
senza essere legittimata scientificamente, perché non seleziona alcun antecedente causale.
Con def lessicale, invece si intende una definizione che mira a descrivere nel modo più accurato
possibile il modo in cui un termine viene utilizzato (da questo punto di vista il diritto internazionale
verrebbe incluso e la normatività goliardica andrebbe esclusa). Si tratta della definizione del
dizionario.
Definizione di Geiger
Per Geiger il diritto è un fenomeno anzitutto che si manifesta in gruppi sociali grandi, differenziati e
articolati, in cui le persone sono diverse e fanno cose diverse. In una tribù in cui grossomodo fanno
tutti la stessa cosa, il diritto per Geiger non c’è, quindi non c’è neanche l’antropologia giuridica.
Inoltre, egli richiede che vi sia un governo centrale, che chiama con la P greca maiuscola. Nella
tribù non c’è un governo centrale, decidono tutti insieme. Per avere il diritto inteso come fenomeno
culturale presente solo in alcune parti del pianeta, è necessaria la monopolizzazione dell’attività di
reazione da parte di un’istanza giudiziaria, che può coincidere con il potere centrale, oppure
consistere in specifici organi incaricati dal potere centrale. Poi c’è l’organizzazione dell’attività di
reazione, in parte mezzo della normazione di un processo formale di determinazione dell’an della
reazione (  quindi in qualche modo c’è una procedura per accertare se reagire nei confronti di
qualcuno e inoltre anche la reazione è determinata. Nei sistemi in cui vi è la vendetta di sangue, la
reazione consiste tendenzialmente nell’uccisione della controparte), in parte per mezzo della
normazione delle modalità di reazione rispetto alla violazione della norma.
Definizione diversa da quella di Weber, che si avvicina molto a ciò che noi intendiamo con diritto
oggettivo, e non sembra avere quelle caratteristiche di stipulatività – che sono anche
caratteristiche di arbitrarietà – che sono tipiche della definizione weberiana.
Il limite di questa definizione è il fatto di non selezionare un tipo di antecedente causale. Qui
abbiamo a che fare con qualcosa di diverso rispetto a una concettualizzazione legittimata in senso
forte, ma abbiamo legittimazione in senso debole: viene indicato un insieme di fenomeni che tende
ad avere una concorrenza soprammedia. Quello che Geiger ci sta dicendo, è che quando abbiamo
un grande gruppo sociale che coesiste su un territorio, è estremamente probabile che ci sia un
potere centrale, un’attività giurisdizionale, un’istanza giurisdizionale a cui rivolgersi, è
estremamente probabile che le modalità con cui l’istanza giurisdizionale si attiva siano
proceduralizzate e che siano predeterminate le cose che possono capitare a chi si comporta in
modo difforme da un’aspettativa normativa. Abbiamo a che fare con un c.d. cluster di fenomeni
che tendono ad avere una concorrenza soprammedia (se c’è un gruppo sociale, è più probabile
che ci sia un potere centrale, rispetto al caso in cui vi sia un piccolo gruppo), abbiamo una serie di
fenomeni interrelati: in altri termini, qui Geiger identifica un fenomeno sociale che ha una sua
concretezza nella vita reale. Pone dei problemi, però è difficile dire che sia una definizione
stipulativa, perché descrive un fenomeno sociale esistente.
Geiger non ci dice come mai questi fenomeni tendano a verificarsi assieme. Nondimeno, però,
quello che abbiamo in Geiger è l’individuazione di una sindrome.
Questa definizione seleziona un fenomeno un po’ come la religione (che non senza qualche
semplificazione può definirsi come una teoria ontogonica, mellontologica, tecnologica e teistica),
che richiede esso stesso una spiegazione, anziché essere uno strumento per spiegazioni e
predizioni che può, eventualmente, essere trasformato in un mezzo per un fine.

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In un certo senso, la definizione di Geiger è lessicale: individua un fenomeno cognitivamente
saliente (salta all’occhio), e la salienza cognitiva può causare la lessicalizzazione (nasce un
termine per riferirsi a qualcosa). Vedi es. su slide.
Si può affermare che la def di Geiger è legittimata scientificamente da un punto di vista linguistico,
perché questo fenomeno sociale causa la lessicalizzazione di sé medesimo.
Si potrebbe sostenere che Geiger individua il prototipo (di diritto oggettivo. Lui tocca un fenomeno
che esiste nella realtà, mentre in Weber c’è un’operazione artificiale non giustificata
scientificamente.
Definizione di Petrazycki (pronuncia petrajiski)
È stipulativa ma legittimata scientificamente. Ci sono obblighi a cui corrisponde un diritto
soggettivo, e obblighi a cui non corrisponde un diritto soggettivo. Es. diritto di Tizio di ricevere 10
euro da Caio perché glieli aveva prestati. Quando pensiamo a “obbligo” ci viene in mente l’azione
dell’adempimento o la causa obligationis, la ragione per la quale l’obbligo è venuto ad esistenza.
Lezione 11 – 17/04/2023
Petrazycki, a differenza di Weber, spiega perché la sua distinzione è utile. Ad es. ci possiamo
sentire in obbligo nei cfr. di un vicino di casa in difficoltà senza che gli attribuiamo un diritto
(obbligo morale); per contro, ci sentiamo in obbligo di pagare la corsa di un taxi e riteniamo che
quest’obbligo gli spetti (obbligo giuridico).
Questa è una definizione stipulativa. Il problema di una definizione formulata in questo modo è
che essa si avvale di pseudo-oggetti mentali, quali gli obblighi o anche i diritti soggettivi.
NORMA, NORMA GIURALE, NORMA MORALE
Norma giurale  ascrive un obbligo e al contempo un diritto soggettivo. Dall’inglese giural, che
significa sia giuridico…, che può essere utilizzato sia come aggettivo di law sia come aggettivo di
right – nel nostro caso è aggettivo di right, diritto soggettivo.
Il concetto di norma si interseca col concetto di diritto soggettivo.
Durante il XX secolo, alcuni sociologi del diritto hanno cercato di operazionalizzare le norme. I
sociologi del diritto devono cercare di indicare in costanza di quali esperienze sensoriali possono
affermare l’esistenza di una norma. Questo non è un problema così semplice. Es. uno potrebbe
definire una norma in questo modo: una norma è la convinzione che ci si dovrebbe comportare in
un certo modo, sempre (nel caso di norme categoriche) o solo in certi casi (nel caso delle norme
ipotetiche).
Fattispecie ≠ disciplina  fattispecie è l’ipotesi normativa realizzatasi la quale scatta la disciplina,
che può essere un obbligo. Es. uccisione da parte di qualcuno di qualcun’altro: fattispecie astratta.
Uccisione di Caio da parte di Tizio: fattispecie concreta che integra la fattispecie astratta, o
sussunta sotto la fattispecie astratta.
Nelle norme categoriche non c’è una fattispecie. Gli esseri senzienti sono destinatari, non
fattispecie. Le norme ipotetiche sono la maggior parte.
Se uno definisce una norma in questa maniera, il problema è che c’è il verbo modale deve. Cosa
significa deve? Che se uno non assume quella condotta, ci saranno delle conseguenze sgradevoli.
Es. debitore deve pagare il creditore… tutto questo mostra che i sociologi non si possono
disinteressare di queste cose, mentre il giurista dogmatico sì.
Ecco un altro esempio, tratto da Ferrari: la norma è un modello al quale un’azione si rapporta,
oppure può rapportarsi [es. non abbiamo l’obbligo di difesa, ma abbiamo il diritto alla difesa. Si può
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supporre che lui abbia in mente l’esercizio di un diritto soggettivo.], oppure deve rapportarsi. Una
norma può esaurire la sua funzione nella sfera psichica del soggetto agente senza venire a
conoscenza di altri. Molte nostre azioni si ispirano a modelli COPIA SLIDE
Come si vede, nessuna di queste concettualizzazioni porta a una operazionalizzazione. Non
sappiamo che fenomeno osservare per affermare l’esistenza di un deve. Un’alternativa non meno
infelice consiste nel cercare di concettualizzare le norme al mezzo della presenza di un linguaggio
normativo. Quindi le norme sarebbero identificabili qualora fossero presenti termini normativi come
deve o obbligo. Questo problema però ha due sotto-problemi: anzitutto un sacco di verbi normativi
vengono utilizzati in modi non normativi, es. “a quest’ora deve essere già arrivato” ( espressione
probabilistica, non giuridica). Quindi l’ipotesi secondo cui “deve” deve essere identificato come
termine normativo non aiuta. In secondo luogo, non sempre i termini normativi sono presenti. Per
esempio, nella Sollnorm “chiunque cagiona la morte di un uomo è punito con la reclusione non
inferiore ad anni ventuno” non c’è alcun termine normativo, quindi il criterio linguistico non
funziona.
Come si vede, nel primo esempio si utilizza un termine meno oscuro di norma (il termine deve)
mentre nel secondo si presuppone di avere un criterio …. Copia slide… mentre in realtà non è
chiaro in che cosa questo criterio consista.
Per risolvere questi problemi, due sociologi del diritto (Geiger e Niklas Luhmann) hanno fatto
proposte interessanti, che possono portare sia ad una concettualizzazione sia a una
operazionalizzazione. Le definizioni cui arriveremo ci consentiranno di identificare anche una
nozione di COPIA SLIDE
Lasciando stare alcuni difetti minori della concettualizzazione di Geiger, presentiamo la versione
migliorata stando al quale le norme sono la combinazione di due fenomeni sociali. Una norma
consiste, in termine operazionalizzatori:

 nella sufficiente diffusione di una condotta b ad opera di tutti o di certi attori sociali e
 (2.1) nella sufficiente diffusione di una reazione negativa nei confronti degli attori sociali che
non tengano la condotta b ad opera di altri attori sociali e/o (2.2) nella sufficiente diffusione
di una reazione positiva nei confronti degli attori sociali che tengano b ad opera di altri attori
sociali. Queste sono normalmente chiamate sanzione negativa e sanzione positiva.
Questa definizione ha il pregio di non avvalersi di termini come deve o può. Il problema però è che
la definizione non risolve alcune questioni che per i sociologi del diritto sono molto importanti: per i
sociologi del diritto è importante distinguere le condotte motivate normativamente e le condotte
non motivate normativamente. Es. come distinguere chi si astiene dall’uccidere perché non si
sentirebbe mai di farlo/non gli verrebbe in mente (1), da chi non lo fa semplicemente per non finire
in carcere (2)?
Tradizionalmente, i sociologi considerano le condotte di tipo 2, come condotte da homo
oeconomicus e quelle di tipo 1 da homo normativus, cioè da persona che ha la sua condotta
determinata causalmente dalle norme. Il problema è che la definizione di Geiger non ci permette di
distinguere questa cosa.
Un’altra definizione che costituisce una via d’uscita è offerta da Luhmann. Luhmann distingue tra
aspettative cognitive e aspettative normative, e concettualizza le aspettative normative come
“aspettative comportamentali stabilizzate controfattualmente”, cioè aspettative che se frustrate non
vengono cambiate. In breve, chi ha un’aspettativa cognitiva, se viene frustrata, la cambia; chi ha
un’aspettativa normativa, se viene frustrata, la mantiene.
Es. se Alter, giunto a un ristorante, non riesce ad ottenere del ristoratore Ego un tavolo perché
sono tutti pieni, e Alter cambia la sua aspettativa, la sua aspettativa era di tipo cognitivo.
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Se invece Alter, nonostante la risposta di Ego, che gli dice che il ristornate è pieno, continua ad
aspettarsi che, essendo egli Alter un cliente più che abituale, un tavolo per lui l’avrebbe comunque
trovato, la sua è un’aspettativa normativa.
È importante osservare che l’approccio rimane comunque parziale: se Ego orienta la sua condotta
all’aspettativa di Alter, ed Ego è ristoratore, continuiamo a non sapere perché considera giusta
l’aspettativa di Alter oppure perché teme una reazione adirata di Alter. Quindi il fenomeno
normativo qui è in Alter. Dovremmo cercare di capire che tipo di reazione è quella di Ego.
La definizione di Luhmann ci indica una via, cioè di dare importanza a un’opzione, che è l’ira, ma
non ci risolve tutti i problemi.
Se Ego soddisfa l’aspettativa di Alter perché ne teme la reazione (o anche solo per cortesia ma
senza attribuirgli un “diritto”), la condotta di Ego non è normativa, bensì non normativa (e, in certi
casi teleologica, economica).
Va però considerato (questo Luhmann non lo considera) che si possono avere aspettative anche
verso sé stessi. Questo fenomeno si manifesta linguisticamente quando diciamo “non avrei mai
immaginato di poter fare una cosa del genere”. Una frase come questa può essere usata tanto per
la frustrazione di aspettative cognitive quanto per la frustrazione di aspettative normative.
Noi abbiamo una forma di azione normativa quando una persona agisce in un certo modo perché
ha un’aspettativa normativa rispetto a sé stessa concernente quel modo di agire.
Luhmann ci indica una via da percorrere per distinguere COPIA SLIDE
In quello che seguirà, le aspettative normative verranno ridotte a emozioni.
Lezione 12 – 20/04/2023
Ci concentreremo sulle aspettative basate o sostenute in natura e aspettative basate o sostenute
dall’indignazione. Queste sono per noi fondamentali perché quello che Geiger descrive nasce da
aspettative di questo tipo, spesso confliggenti; questi conflitti, a loro volta danno luogo a … giudici,
e da qui nasce il diritto per come lo intendiamo noi oggi. Per poter capire da dove spunta fuori
questo fenomeno giurale che non c’è in tutte le esperienze umane (comunità senza Stato
assimilabili al diritto internazionale pubblico, considerato anche diritto morale).
L’approccio che viene proposto è questo:

 Le emozioni normative cos’hanno di particolare? Non tutte le emozioni sono normative. La


gioia e la tristezza non sono emozioni normative. Le emozioni normative, che costituiscono
le aspettative normative, emergono in virtù delle interazioni tra bambino e figura di
accudimento [termine generico per riferirsi a un genitore]. I bambini ferali, cioè i bambini
che sono stati cresciuti da animali, non sviluppano emozioni normative. Non sono capaci di
sviluppare il controllo dell’aggressività né altre emozioni normative, come la vergogna o il
senso di colpa. La normatività dell’emozione è data dal fatto di emergere o venire
rimodellata nell’interazione che il bambino ha con la propria figura di accudimento. La figura
di accudimento è il prototipo di ogni forma di normatività – socializzazione primaria.
 È dimostrato che nei confronti della figura di accudimento, il bambino – che della figura di
accudimento ha estremamente bisogno – prova rispetto, che il grande psicologo Jean
Piaget caratterizza come una miscela di amore e paura (non foss’altro che paura di perdere
il suo amore). Il bambino ama i suoi genitori ma ha anche paura, magari di perdere
l’accudimento.
 Il bambino concepisce la propria figura di accudimento con le caratteristiche che i
monoteismi attribuiscono all’unico Dio. Possiamo ben dire che è sbagliato dire che il
bambino divinizza i genitori: è vero il contrario. È erroneo perché l’idea di divinità che
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origina dal modo in cui il bambino concepisce il proprio genitore, e non invece il contrario.
In alcuni casi, il modo in cui il bambino concepisce la figura di accudimento viene in
qualche modo trasformato in una teoria relative a un super genitore che ha le
caratteristiche che il bambino attribuisce alla sua figura di accudimento. Piaget ha
dimostrato che i bambini piccoli credono che i loro genitori siano eterni, onniscienti,
onnipotenti.
 Il prestigio che i bambini attribuiscono i genitori e ai loro insegnamenti caratterizza le
emozioni normative che continuerà a provare anche quando magari non proverà più alcuna
forma di rispetto per i genitori oppure quando questi ultimi non ci saranno più.
Ci concentriamo sulle emozioni normative giurali. L’aggressività può essere anche intrapsichica
(es. fantasticare di uccidere qualcuno).
Il bambino nasce senza alcun controllo dell’aggressività, e anzi il controllo dell’aggressività è una
delle cose che i genitori insegnano al bambino, auspicabilmente senza l’uso dell’aggressività.
Il controllo dell’aggressività altrimenti incontrollata è una delle prime cose che i genitori insegnano
ai loro figli. Il passaggio dall’aggressività incontrollata a quelle controllata – o se vogliamo repressa
– permette una concettualizzazione suscettibile di operazionalizzazione per “aspettative giurale” e
una concettualizzazione suscettibile di operazionalizzazione per “diritto soggettivo”.
In virtù degli insegnamenti impliciti ed espliciti della propria figura di accudimento, il bambino
apprende che si può essere aggressivi senza correre in pericoli (anzitutto consistenti nel fatto he la
figura di accudimento potrebbe, non tanto punire, ma ritrarre il proprio amore). Molto più
importante è il fatto che si apprende di poter essere aggressivi solo in talune circostanze.
Il risultato è che il bambino:

 apprende a reagire a gran parte delle frustrazioni controllando la propria aggressività e, in


assenza di frustrazioni, a non essere aggressivi verso altri soggetti per il puro piacere di
esserlo salvo in casi particolari (es. figura di accudimento razzista). Tramite la
socializzazione primaria si impara a dominare la propria aggressività nella gran parte dei
casi.
 In certi casi si apprende anche a non provarla affatto.
 Si può arrivare anche a provare emozioni diverse anziché aggressività, come la tristezza.
In virtù della socializzazione dell’aggressività vengono selezionati due tipi di aggressività:
1. Aggressività (socializzata) relativa ad una frustrazione  ira
2. Aggressività (socializzata) gratuita o irrelata rispetto a qualsivoglia frustrazione 
indignazione
Queste due forme di aggressività hanno base biologica, la differenza è che non vengono
socializzati. La prima in qualche modo è indispensabile per sopravvivere, la seconda potrebbe
anche non esserci.
L’ira emerge in virtù del fatto che il bambino apprende che la propria figura di accudimento tollera
la sua aggressività nel caso di certi tipi di frustrazione, ma non nel caso di qualunque tipo di
frustrazione. Tutte le forme di aggressività socializzata relative alla frustrazione sono chiamate
“ira”; tutte quelle irrelate a qualsivoglia frustrazione vengono chiamate “indignazione”.
I tipi di frustrazione che possono dar luogo a ira varia molto da cultura in cultura, cioè la forma di
violenza tollerate, accettata, percepita come normale. Es. la violenza per reagire a minacce corpo
a corpo e violenza per reagire a oggetti percepiti come espressione del nostro corpo, come vestiti
e giocattoli.

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Parlando di ira, quello che è fondamentale rispetto all’indignazione è che per definizione l’ira NON
è gratuita. L’ira concerne sempre qualcosa che, chi la prova, vive come una minaccia a qualcosa
che chi la prova vive come suo: la sua mano, il suo vestito, il suo giocattolo, il suo fratellino, la sua
ragazza…
Anche un terzo (Tertius) può provare ira, sempre che stia empatizzando con il partecipante (Alter)
che secondo lui stia subendo una minaccia o vivendo una frustrazione.
L’altro tipo di aggressività è l’indignazione, ed emerge in virtù del fatto che il bambino apprende
che ci sono situa cognitivamente salienti nelle quali si può essere aggressivi senza correre alcun
pericolo, e ciò anche in assenza di qualsivoglia frustrazione. Es. bullismo è un’azione violenta nei
confronti di soggetti che non cagionano alcuna frustrazione in chi reagisce in modo violento. Le
vittime del bullismo sono spesso solo cognitivamente salienti. In questo caso, si parla di salienza
cognitiva (dal latino salire = saltare; saltare alla mente, alla cognizione, saltare all’occhio), che è il
pretesto per essere aggressivi.
Da quanto detto segue che l’ira è l’emozione a cui vanno ricondotte le esperienze proprietarie (il
vivere qualcosa come proprio). Ogni volta che c’è una frustrazione, il fenomeno con cui abbiamo a
che fare è l’esposizione a pericolo, o il pregiudizio a qualcosa che percepiamo come nostro,
anzitutto le parti del nostro corpo. Anche l’idea di diritto soggettivo e di norme giurali originano
dall’ira. Da questo punto di vista, la proprietà non è un tipo di diritto, ma è vero il contrario. Si
potrebbe dire che il creditore è proprietario di un certo tipo di condotta del debitore.
Possiamo ora introdurre la nozione di aspettativa da ira e aspettativa giurale. [La stabilizzazione
controfattuale di cui parla Luhmann è nata dall’ira].
Col tempo, i bambini la cui aggressività relativa a frustrazione è stata socializzata in virtù delle loro
interazioni con figure di accudimento, che, come anticipato, essi concepiscono con le stesse
caratteristiche dell’unico Dio, fanno due operazioni cognitive: tipizzano i casi in cui si possono
arrabbiare e quelli in cui non si possono arrabbiare. Arrivare a tipizzare ciò che ci fa arrabbiare,
quindi arrivare a concettualizzare il torto. Può capitare che ci sia uno spostamento di fuoco
cognitivo dagli eventi che ci scatenano ira verso quelli che non la scatenano e iniziano, in modo
conscio, ad aspettarsi la loro non istanziazione  abbiamo l’aspettativa giurale al che qualcosa
accada o non accada (es. mi aspetto di non essere insultato).
L’emersione di siffatte aspettative è un fenomeno cognitivo, ma l’aspettativa in sé è normativa nel
senso di Luhmann, in quanto stabilizzata controfattualmente.
Nella dogmatica giuridica possiamo avere diritti soggettivi senza che vi sia alcuna base di ira.

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Lezione 14 – 27/04/2023
Vediamo qui, come siamo arrivati a dare una definizione di giuridicità di diritto partendo da una
nozione di diritto soggettivo che però è radicata in una nozione più basica: che è quella di ira.
DOMANDA 1: distinzione tra diritto soggettivo e aspettative normative.
Cosa di cui parleremo nelle prossime lezioni. Possiamo però anticipare che: le aspettative
giuridiche sono le aspettative basate sull’ira e sono un sottoinsieme delle aspettative normative.
DOMANDA 2: Abbiamo detto che l’ira non è gratuita, mentre per l’indignazione si parla di ‘assenza
di frustrazione’. Quindi nell’indignazione il concetto di proprietà è assente e completamente
immotivato?
Abbiamo almeno DUE tipi di aggressività:
- Aggressività reattiva: è un’aggressività funzionale alla protezione del nostro corpo, della nostra
libertà di movimento e di tutto ciò che ci sta a cuore. Es. se qualcuno cerca di rubare il portafoglio
nell’autobus, la rabbia viene molto più naturalmente. Così anche se cade il ferro da stiro sul piede,
viene da tirare un calcio.
- Aggressività proattiva: i suoi meccanismi neurologici sono stati identificati: questa non è
funzionale a qualcosa che ci sta a cuore, bensì è un’aggressività ‘gratuita’ nel senso che non ha un
legame con qualcosa che ci interessa. Negli scimpanzè si vede quando gruppi di scimpanzé
invadono un territorio e cercano qualcuno da massacrare, anche se non ha invaso il territorio.
Questa aggressività è diversa dall’altra. Se l’aggressività reattiva si attiva quando si è da soli,
questa si attiva tipicamente in gruppo, quando c’è uno squilibrio di forza. Sono aspetti che si
trovano anche presso di noi.
DOMANDA 3: Domanda circa questo intervento: l’aggressività proattiva dunque dipende anche da
come viene educato un soggetto?
Bisogna vedere CON CHI ci si arrabbia. Un esempio emblematico si ha negli sport. Gli sport di
squadra, che consistono in ‘partite’ (tennis, calcio..) sono forme attenuate di scontro. Conquistare il
campo avversario a calcio significa che si sono portate le insegne del proprio esercito
conquistandolo. Chi sta giocando a calcio, se si vede portata via la rabbia, vive un moto di ‘stizza’.
DOMANDA 4: Modelli estranei alle nostre figura di accudimento, influenzano la socializzazione
dell’aggressività?
Credo di sì, ma se questo succede è perché, ad es., un ragazzo comincia ad avere brutte
frequentazioni ed erge a modelli di coetanei che per lui vengono ad assumere un ruolo analogo a
quello dei genitori. Il punto è che sta trasferendo (in senso psicoanalitico) la sua esperienza
originaria ad un’altra persona che ha incontrato durante la socializzazione secondaria. Se avesse
già vissuto come una persona autorevole in virtù con l’integrazione delle sue figure di
accudimento, questo non potrebbe accadere, anche perchè senza socializzazione un animale
umano arriva all’età di 8 anni con deficit cognitivi irreversibili. Es. bambini soldato: realtà africana
che esisteva anche nel medioevo europeo. Sono bambini rapiti dai loro genitori ad un età molto
piccola e crescono in un grande gruppo con ‘fratelli’, con il signore della guerra che è il capo e in
un certo senso padre-padrone. Il bambino vive il signore della guerra come propria figura di
accudimento, con tutti i danni psicofisici che può comportare.
DOMANDA 5: Con riguardo alla spiegazione della scorsa lezione circa la definizione di Geiger e di
Luhmann. In che modo subentra la definizione di Geiger?
Il senso di colpa e la vergogna sono delle SANZIONI. Geiger definisce le norme in termini di
regolarità comportamentali; es. non saccheggio il frigo al di fuori dell’orario di colazione, pranzo e,
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qualora non si verifichi, l’altra regolarità - se apro il frigo alle 3 p.m. e mangio la burrata, poi mi
sento in colpa- abbiamo due regolarità:
- astensione dell’aprire il frigo e
- sanzione negativa costituita dal senso di colpa per aver mangiato la burrata alle 3 p.m.
Abbiamo un’aspettativa normativa, relativa a QUANDO mangiare che può venire ricondotta allo
schema di Geiger. Il fatto che l’aspettativa normativa rimanga ferma anche se frustrata, può essere
spiegata per mezzo di emozioni quali il senso di colpa o la vergogna.
QUESTA COSA NON VERRÀ CHIESTA ALL’ESAME SE NON ARRIVEREMO A PARLARNE IN
MODO CHIARO.
ASPETTATIVE BASATE SULL’IRA
Introduciamo il concetto di «aspettativa da ira» (o, se si vuole, «aspettativa basata sull’ira»). È il
tipo di aspettativa normativa che noi chiameremo ‘aspettativa giuridica’.
Con il tempo, i bambini la cui aggressività relativa a frustrazioni è stata socializzata in virtù delle
loro interazioni con le figure di accudimento, che, come anticipato, essi concepiscono con le
caratteristiche che i monoteismi attribuiscono a Dio:
1. Tipizzano ciò che scatena in loro ira: se qualcuno prende un giocattolo, fa arrabbiare;
2. Spostano il loro fuoco cognitivo (attenzione) dagli eventi che scatenano in loro ira verso
quelli che NON la scatenano e iniziano, in modo conscio, ad aspettarsi la loro non
istanziazione.
Quindi abbiamo due fenomeni: individuazione di ciò che ci fa arrabbiare (1) e spostamento di ciò
che ci fa arrabbiare (sottrazione del giocattolo) a ciò che non ci farebbe arrabbiare (non sottrazione
del giocattolo, il rispetto della proprietà dei giocattoli; “è mio”: = è di mai proprietà) (2).
 In questo modo, quindi, un tipo di AZIONE che produce ira (es. un insulto) fa venire ad
esistenza un’aspettativa basata sull’idea concernente un’astensione (l’aspettativa di non
essere insultati). Quindi c’è uno spostamento dall’ira al diritto soggettivo: spostando il fuoco
cognitivo, si passa da ciò che ci fa adirare a ciò a cui abbiamo il diritto (diritto di essere
rispettati e non essere insultati). 
 E un tipo di ASTENSIONE che produce ira (per esempio il fatto che qualcuno non
mantenga una promessa) fa venire ad esistenza un’aspettativa basata sull’ira concernente
un’azione (il fatto che una persona mantenga una promessa).
L’emersione di queste aspettative è un fenomeno cognitivo (in contrapposizione a “emotivo”)
ma l’aspettativa in sé è normativa nel senso di Luhmann, in quanto è «stabilizzata
controfattualmente»: se Ego frustra un’aspettativa di Alter, Alter si adira invece che,
semplicemente, apprendere che Ego si è comportato in maniera inaspettata.
Per usare nuovamente l’esempio fatto sopra: se Alter – nonostante la sua prenotazione –,
quando arriva al ristorante, non trova il «suo» tavolo (che dogmaticamente, ovviamente non è
suo; ma per noi, e soprattutto per Alter è il suo tavolo: noi non possiamo badare a questa
distinzione) e anziché cambiare la propria aspettativa si arrabbia (= si adira) nei confronti di
Ego (es. il proprietario del ristorante), l’aspettava di Alter è di tipo normativo (aspettativa basata
sull’ira o un’aspettativa giuridica).
Quello che rende questa aspettativa stabilizzata controfattualmente, è la disposizione di Alter
ad adirarsi. Quello che consente di passare dall’ira all’esperienza di diritto soggettivo è il fatto
che Alter sposti la propria attenzione da ciò che lo farebbe arrabbiare (non trovare il tavolo) a
un tavolo che viene vissuto come proprio.
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Invece, qualora Alter – nonostante la sua prenotazione –, quando arriva al ristorante, non trova
il tavolo e tranquillamente accetta questo stato di cose e inizia a cercare un altro ristorante, la
sua era un’aspettativa cognitiva. La possibilità di una cognizione puramente dogmatica, non-
emotiva è il risultato della civilizzazione. Riguardo a questo punto c’è una cosa importante da
dire: molti di noi sono abbastanza civili da non arrabbiarsi se capita una cosa del genere. Il
punto è che viviamo in una civiltà in cui abbiamo sviluppato un lessico per parlare di diritti
soggettivi: quindi siamo perfettamente in grado di dire che abbiamo diritto a un tavolo senza
provare un minimo di ira.
Questo è sicuramente vero nel 2021 per moltissime persone (anche se non per tutte) però
nella storia dell’umanità questo concetto non sarebbe potuto emergere se non ci fosse stata
gente che si adirava. Siamo perfettamente in grado di concepire un tavolo che abbiamo
prenotato al ristorante come qualcosa che debba arrivare senza un minimo ira (perchè
semplicemente è così che vanno le cose in una società ordinata). Ma a questo siamo arrivati
attraversando l’inciviltà di gente che si adirava per cose di questo tipo.
Quando studiamo diritto romano, dobbiamo aver presente il fatto che parliamo di gente molto
incivile, gente che aveva la spinta a farsi giustizia da sola per inerzie, non diversamente da
come in molti paesi c’è gente che in autostrada (o quando si guida in città) ha una ‘concezione
ipertrofica’ (per citare Petraszky) dei propri diritti soggettivi (es. una macchina sta andando a
160 km/h e fa gli abbaglianti per farti spostare). Occorre leggere il diritto romano come un
insieme di strumenti finalizzati ad evitare che la gente faccia uso di armi, spadoni, magari con i
propri parenti e amici (della propria gens). Queste cose non le viviamo grazie a secoli di
civilizzazione.
Si può avere una cognizione puramente dogmatica del proprio diritto soggettivo. È
sicuramente utile l’assertività nella vita, ma fermo rimane che non avere assertività, non
comporta l’idea che quel tavolo non lo debba avere o che non debba ricevere i pagamenti dei
fornitori. Un imprenditore sa che se non riceve i pagamenti dei propri clienti, non potrà pagare i
propri fornitori. Sa che questo gli serve per poter pagare i propri dipendenti e sa anche che se
non riesce a pagare i fornitori faranno fatica a pagare i dipendenti. Tutta l’idea del diritto
soggettivo origina da questo, anche se ha assunto altri connotati.
DOMANDA: Quindi nel caso di ira, ho un’aspettativa giuridica perché vivo il tavolo come mio,
mentre se reagisco con tranquillità vivo un’aspettativa cognitiva perchè non vivo il tavolo come
mio.
Esatto! A Napoli se si prenota e non riconoscono la persona, si può arrivare e il tavolo non c’è.
Viceversa, può succedere che se ti conoscono e non prenoti, il tavolo ci sia lo stesso. Non c’è
una prassi rigorosa. Anche negli USA sono così, ma con un altro sistema: il numero della carta
di credito.
Si può notare come, col tempo, in alcune culture, l’esistenza di aspettative giuridiche può
causare l’emersione di un termine specifico per lo pseudoconcetto di diritto soggettivo: fa
nascere una parola specializzata per questo (parola che noi in italiano, non abbiamo) come
«right» o «entitlement» (inglese), «rätt» (svedese), δικαίωμα (“dhikéoma” in greco moderno). Il
termine «pseudoconcetto» è utilizzato per riferirsi a un concetto insuscettibile di
rappresentazione mentale.
Una parola che ha per significato uno pseudoconcetto è una parola asemica (hollow word,
Olivecrona). Il termine ‘diritto soggettivo’ è una parola ASEMICA; attenzione: una parola senza
significato non è una parola che significa qualcosa che non esiste (es. “paperino” o “centauro”:
non esistono i referenti, ma il significato lo hanno, tanto che tutti siamo in grado di

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rappresentarci/pensare ad un centauro o a paperino). Quindi il significato della parola non
c’entra niente con l’esistenza reale di ciò che quella parola significa.
Ad es. la parola portafogli è una parola ha un significante, il fatto di saper rappresentarci un
portafoglio è il referente.
Il problema è che il termine diritto soggettivo non significa proprio “aspettativa normativa”. Dire
che qualcuno ha un diritto e dire che ha un’aspettativa giuridica a che succeda qualcosa sono
due cose diverse. Il problema è che ‘aspettativa giuridica’ ha un suo significato e referente:
sappiamo tutti che cosa vuol dire e tutti quanti noi possiamo, attingendo alle nostre vite,
immaginarci delle situazioni in cui abbiamo avuto aspettative giuridiche (come quella della
prenotazione al ristorante) e possiamo immaginarci delle situazioni reali in cui questo si è
verificato.
Ma cosa pensiamo quando pensiamo al “diritto soggettivo”?
Domandiamoci cosa vuol dire che “Alter ha diritto a che Ego gli dia 100 euro”; se noi pensiamo
al fatto che Alter ha prestato 100 euro a Ego, noi non stiamo pensando al diritto di Alter, bensì
stiamo pensando a quella che i dogmatici chiamerebbero ‘causa obbligationis’, al modo in cui
quest’obbligo è venuto ad esistenza, ma questa è un’altra cosa:
- una cosa è pensare al diritto soggettivo,
- altra cosa è pensare al modo in cui il diritto soggettivo viene ad esistenza.
Se io, pensando a diritto soggettivo, sono costretto a pensare a qualcos’altro (ovvero al modo
in cui viene ad esistenza) c’è un problema: se penso a paperoni, non penso all’inventore dei
paperoni (Carl..).
 Riassumendo: il termine ‘diritto soggettivo’ è una parola asemica (“vuota”): una parola
che CREDIAMO abbia un significato, ma in realtà non ne ha e per questo pone
problemi.
Un’alternativa potrebbe essere quella di pensare agli stessi 100 euro che Alter si aspetta che Ego
gli dia. I 100 euro NON sono il diritto di Alter, ma un’altra cosa. Dunque se parliamo del diritto di
Alter di ricevere 100 euro da Ego, non possiamo pensare nè ad una cosa, nè ad un’altra.
Questo vale anche per il termine “debere”; in certi casi la parola per “diritto soggettivo” vengono
create per fare ricorso a cose di questo tipo.
- Es.1 (debere): termine dovere in italiano: deriva da de habere (avere ricevuto qualcosa da
qualcuno): il termine nasce etimologicamente da come un debito viene ad esistenza. Questo non
vuol dire però che sia il modo in cui esso nasce, ma è solo un modo in cui il termine è venuto ad
esistenza.
- Es.2: in latino ‘debito’ si dice ‘aes alienum’ (denaro altrui).
Questo giro di parole per esprimere il concetto di “diritto soggettivo” e di “obbligo” mostra come sia
difficile pensare questa cosa. Il problema è quindi vedere se sia opportuno vedere il diritto
soggettivo in termini di aspettativa giuridica oppure no (il prof crede di no, ma per ragioni di
praticità faremo così).
DALLE ASPETTATIVE BASATE SULL’IDEA AI DIRITTI
Ci sono lingue in cui non c’è neanche un termine per diritto soggettivo; tra queste c’è il LATINO
CLASSICO (non post-classico). In latino classico ‘ius’ non significa diritto soggettivo, ma significa
solo diritto in senso oggettivo o al più condizione giuridica (anche negativa, come il fatto di essere
schiva).
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Questo vuol dire che i romani non avevano aspettative giuridiche (cioè cose che poi portano
all’idea di diritto soggettivo)? No: questo non impediva agli antichi romani di adirarsi e di avere una
molteplicità di aspettative giuridiche (o basate sull’ira) che spesso portavano a conflitti.
È qui che iniziamo a vedere come questo approccio porti a chiarire il fenomeno individuato da
Geiger nella definizione di diritto soggettivo. Il diritto romano nasce nel tentativo di risolvere conflitti
tra aspettative giuridiche o quello che emerge quando Ego ha un’aspettativa giuridica relativa al
comportamento di Alter e Alter non ha una convinzione compatibile con Ego.
La giurisdizione nasce da questo e per identificare questo fenomeno non è necessario avere
termini come ‘diritto soggettivo’, ma è indispensabile avere la nozione di ‘aspettativa giuridica’: è
tra conflitti di aspettative giuridiche emerge la giurisdizione: due persone litigano, arriva un terzo
che risolve la questione. Ecco perché nasce quello che Geiger descrive ed ecco perché per capire
i fenomeni di Geiger bisogna fare un passo indietro nella psicologia sociale: il tema fondamentale
della sociologia del diritto è la gente che litiga e perché lo fa. Tutto ciò che Geiger descrive nasce
perché la gente litiga, avendo aspettative basate sull’ira.
DOMANDA 1: In che modo l’indignazione contribuisce al concetto di diritto? Non vi contribuisce ma
visto che entrambe originano dalla socializzazione dell’aggressività, anche se sono due forme
diverse, per ragioni espositive abbiamo trattato queste due insieme e ora invece le distinguiamo.
DOMANDA 2: Rapporto tra ira, proprietà e diritti soggettivi: possiamo dire che lo pseudo concetto
di diritto soggettivo si identifica con l’ira e quindi l’ira nasce quando qualcosa che noi riteniamo
come nostro ma da un punto di vista non è nostro, viene leso? Non “si identifica”: “deriva”. Si può
anche non esserlo: a noi non interessa il punto di vista dogmatico. Il punto è che l’ira, che deriva
dalla aggressività reattiva socializzata, è una reazione che abbiamo geneticamente per auto
preservarci di fronte alle aggressioni esterne; quindi è qualcosa di strettamente collegato con la
nostra corporeità. Noi per prima cosa dobbiamo difendere la nostra integrità fisica. Poi arriva, in
seconda battuta, tutto ciò che noi viviamo come nostro; non c’è nulla che noi viviamo come più
nostro delle nostre membra. Il punto è che anche il creditore sente come suoi i soldi che il debitore
gli deve: si tratta di un’estensione di ciò che viviamo come nostro. L’indignazione è invece gratuita.
Va tenuto presente che la distinzione non è comportamentale: si tratta di due tipi di fenomeni
neurologici diversi. L’indignazione è gratuita per quello che si attiva nel cervello.
DOMANDA 3: È giusto dire che il diritto soggettivo viene definito come pseudo concetto perché
non è suscettibile di rappresentazione mentale e dunque noi lo riduciamo ad aspettativa giuridica
per avere una sua rappresentazione? Non lo direi così: non direi “è definito”  non è una
definizione; meglio parlare di “caratterizzato”. Quando pensiamo al diritto soggettivo pensiamo a
qualcosa di diverso dal diritto soggettivo, a qualcosa di collegato a questo: questo significa che
non possiamo associare un concetto al diritto soggettivo. Dunque noi abbiamo queste possibilità:
potremmo usare il diritto soggettivo come sinonimo di aspettativa giuridica:
- Questo non è corretto perché dire che “x ha il diritto di fare questo”, non significa “x ha
un’aspettativa giuridica di fare questo”  una persona può avere un’aspettativa giuridica di fare
qualcosa senza averne il diritto; perché: il termine “avere il diritto” EVOCA LA DOGMATICA e
questo produce confusione nella sociologia.

- Altro problema: l’aspettativa giuridica non è uno pseudo concetto  abbiamo definito
perfettamente questo concetto: è un’aspettativa che ha ad oggetto una condotta che se non
verificatasi produce ira nell’altro soggetto che ha tale aspettativa. Dunque per quanto il concetto di
diritto soggettivo origini dal concetto di aspettativa giuridica le due cose sono distinte. Tutto questo
è un invito alla prudenza: per praticità useremo il termine diritto al posto che aspettativa giuridica
anche se sarebbe preferibile lasciare da parte questo termine.

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DOMANDA 4: Abbiamo detto che nel latino classico non c’è nessun termine per riferirsi al diritto
soggettivo e abbiamo detto che però ciò non significa che i romani non avessero aspettative
giuridiche (probabilmente). Abbiamo detto che il diritto romano nasce per risolvere conflitto tra
aspettative giuridiche o il conflitto che nasce tra aspettativa e comportamento di Alter e Alter non
crede che l’altro abbia questa aspettativa: “la giurisdizione nasce da questo” cosa significa? Due
stanno litigando: quando due persone litigano spesso arriva un terzo che cera di calmarli; se la lite
è su una cosa grossa, può darsi che si riesca a convincere queste persone a fare risolvere la
questione a qualcuno che queste due persone ritengono come persone autorevoli. Es. due fratelli
chiedono ai genitori (primi giudici) e dunque alle persone di accudimento. Dunque il prototipo della
giurisdizione sono i genitori: ma questo succede anche tra estranei. Quando gli estranei invece
appartengono a due culture diverse: emerge il problema perché è difficile trovare una terza
persona. Ecco perché nel diritto internazionale la giurisdizione deve sempre essere accettata dagli
stati: tra gli stati non c’è un’entità autorevole.
DOMANDA 5: Abbiamo detto che l’aspettativa giuridica ha un referente: a cosa corrisponde?
Bisogna guardare al triangolo empirico. Dobbiamo stabilire di cosa ci stiamo occupando: se ci
stiamo occupando del significato o del referente; se vogliamo individuare il referente, possiamo
immaginare a quello che c’è nella testa di qualcuno che ha prenotato un tavolo: uno che prenota
un tavolo al ristornate, ha nella sua testa la disposizione ad aderirsi qualora il tavolo da lui
prenotato non ci sia; se lo ha questo è un esempio di aspettativa giuridica relativa; il significato di
aspettativa giuridica relativa a una certa condotta è la disposizione ad adirarsi qualora tale
condotta non si verifichi.
L’adozione di questo approccio ci permette di riscontrare fenomeni giuridici e diritti soggettivi,
anche in culture nelle quali tali parole non esistono.
UNA QUESTIONE
Sulla base di quanto sopra, si possono adottare due strategie diverse:
1. Si può sostituire “diritto soggettivo” con “aspettativa giuridica” o “aspettativa basata sull’ira”
2. oppure intendere “diritto soggettivo” come un termine avente per significato un’illusione
generata da aspettative basate sull’ira
Il prof preferisce l’opzione due: una ragione per cui la (1) non è consigliabile è il fatto che
l’emersione di parole asemiche (o asemantiche) è un fenomeno in sé meritevole di studio per la
sociologia del diritto: come mai nascono queste parole? Tuttavia, almeno in questa sede, per
mantenere la discussione semplice, i termini «diritto soggettivo», «aspettativa giuridica» e
«aspettativa basata sull’ira» verranno talvolta usati come sinonimi. Proviamo però a non usare mai
«diritto soggettivo»
Lezione 15 – 04/05/2023
Aspettativa giurale vs aspettativa normativa
L’esistenza di una norma giurale nella psiche di Alter, cioè una norma che concerne il
comportamento di Ego, può essere ridotta all’esistenza di un’aspettativa giuridica relativa alla
condotta di Ego, e viene sintetizzata in questo modo:
il non vedere un certo comportamento di Ego produce ira in Alter per via del non vedere quel dato
comportamento di Ego.
Quello che è importante da tener presente è che essendo noi in ambito sociologico, quello che
conta non è la realtà, ma quello che gli attori sociali credono essere la realtà. Quello che conta è
che Alter abbia una percezione o rappresentazione realistica di Ego che non ha tenuto la

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condotta b. Realistico vuol dire che lui lo crede vero, e si contrappone alle rappresentazioni
fantastiche, sapute false.
In virtù di uno spostamento cognitivo l’aspettativa concerne la condotta b ma è originata dal fatto
che non-b genera ira. Non-b viene vissuto come un torto.
Questo approccio consente anche di concettualizzare gli obblighi e i divieti giurali. Innanzitutto, b è
utilizzato in senso lato, cioè come termine generale per azione ed astensione da un’azione.
L’obbligo di fare x viene utilizzato per riferirsi all’azione commissiva in senso stretto. L’obbligo
giurale di fare x può essere concettualizzato come segue: la non commissione dell’azione x da
parte di Ego, ingenera ira in Alter per la non commissione dell’azione di x da parte di Ego.
Analogamente, un divieto può essere concettualizzato come segue: il tenere un’azione da parte di
Ego produce ira in Alter per via della commissione dell’azione x ad opera di Ego.
Come si vede, mentre gli obblighi giurali comportamento uno spostamento cognitivo dall’azione
che produce ira all’azione che non la produrrebbe, i divieti giurali non la comportano. Cioè negli
obblighi vediamo spostamento cognitivo dall’astensione a ciò che noi viviamo come nostro diritto. Il
non-pagarci è un torto; il nostro diritto è il diritto ad essere pagati: qui c’è uno spostamento
cognitivo. Questo non avviene nel caso di divieti giurali.
La realtà è che a noi viene più facile pensare ad azioni che ad astensioni. Quindi nel primo caso, io
mi focalizzo sull’azione che mi farebbe arrabbiare, e quest’azione con il suo oggetto diventano
oggetto di diritto; nell’altro caso mi focalizzo su ciò che mi farebbe arrabbiare, che produrrebbe un
torto. Emerge prima l’idea di diritto ad una condotta altrui, che l’idea del diritto ad un’astensione
altrui; si parla piuttosto di divieto: una persona ha diritto a che un divieto venga osservato. Es. in
inglese si usa la doppia negazione?
L’approccio fin qui proposto ha lo scopo di liberare la sociologia del diritto da termini asemantici
come “diritto soggettivo”, “obbligo”, ecc. Questi termini rimangono presenti nella sociologia del
diritto, ma solo come oggetti di indagine.
Le aspettative giurali portano a forme di illusione con conseguenti forme di inversione del nesso
causale. Crediamo di arrabbiarci perché crediamo che la condotta di qualcuno abbia violato un
nostro diritto (o perché crediamo che la condotta di qualcuno sia ingiusta, che ci abbia fatto un
torto), mentre in realtà il fatto che noi viviamo tale condotta come la violazione di un nostro diritto è
la conseguenza del fatto che abbiamo la disposizione ad arrabbiarci se una tale condotta si
verifica. Cioè è la nostra disposizione ad arrabbiarci che ci porta a costruire certe condotte come
violazioni di diritti soggettivi. Secoli di cultura giuridica ci hanno portato a vedere le cose ribaltate:
prima nascono le emozioni e poi ricordi i diritti soggettivi, e non il contrario.
CONFLITTI GIURIDICI E COORDINAMENTO GIURIDICO
Da quanto detto segue che un diritto e una norma giuridica possono esistere nel partecipante che
un’aspettativa giurale relativa alla condotta di qualcun altro, in questo qualcun altro (Ego), la cui
condotta è oggetto di aspettativa giurale, e /o in un terzo (Tertius) che può identificarsi con Alter, si
mette nei panni di Alter.
Facendo ricorso alle idee di Jay Frankel, uno psicanalista, è necessario fare le seguenti distinzioni:
se un diritto (o una norma giuridica) esiste in Ego, diciamo che Ego ha un’aspettativa giurale
complementare rispetto a quella di Alter o, in modo linguisticamente più naturale, una disposizione
giuridica complementare rispetto a quella di Alter.
Cos’è questo fenomeno? È il fenomeno del “riconoscimento” del diritto soggettivo altrui. Non si può
utilizzare il termine riconoscimento, sarebbe un errore epistemologico. Parlare di aspettativa
giurale complementare non è la stessa cosa di dire che ci si sente in colpa se non si rispetta quel
favore che si doveva a qualcuno. Le due cose non sono incompatibili, ma sono diverse. Una cosa
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è il fenomeno per cui il debitore si sente in colpa se non mi paga; altro fenomeno che può
coesistere è avere un’aspettativa giurale complementare rispetto alla mia aspettativa a che il mio
debitore mi paghi. Qui stiamo parlando di un fenomeno di rassegnazione. Se io devo dei soldi a
qualcuno, quello che chiamiamo “riconoscimento” consiste psicologicamente nel fatto che se il
donatore si arrabbia o si secca io sopporto, rimango rassegnato che questo si arrabbi o si secchi,
cosa che invece non accadrebbe ??; il riconoscimento è cosa diversa dal sentirsi in colpa.
Più facile è il caso del terzo. Il terzo, semplicemente, ha un’aspettativa giurale concordante con
quella di Alter. In questo caso Tertius si arrabbia, per così dire, per Alter.
Dobbiamo immaginare due tipi di conflitto:
1. Ego e Alter hanno aspettative giurali incompatibili. Es. Ego si aspetta che il muro
divisorio tra i loro terreni venga riparato da entrambi, mentre Alter ritiene che la riparazione
debba essere tutta quanta a carico di Ego perché il muto insiste sul suo terreno anche se il
muro è utile a entrambi);
2. Alter ha un’aspettativa giurale nei confronti di Ego, ma Ego non ha una disposizione giurale
complementare (Alter si aspetta che Ego gli risarcisca un danno presente sul paraurti della
sua macchina rilevato in seguito a un tamponamento da parte di Ego, ma Ego ritiene che
quel danno sia stato sempre esistente). In questo caso il conflitto è tra chi ha un’aspettativa
giurale verso un altro, e chi non ha nessuna aspettativa.
È di fondamentale importanza osservare che questi conflitti, per la loro occorrenza, non
necessitano di termini per “diritto soggettivo”. In società antiche si potrebbe invocare una
consuetudine, senza usare il termine “diritto soggettivo”. Consuetudine verticale: la cui vigenza è
tanto più forte quanto più essa è antica. Nel caso di consuetudine orizzontale, caso in cui il suo
prestigio dipende dalla frequenza con cui essa è praticata nel momento in cui viene invocata.
Dal conflitto giurale emerge anche la giurisdizionalizzazione: quando due litigano, è facile che
qualcuno arrivi e cerchi di calmarli, soprattutto se vengono alle mani. Questo è il nucleo da cui
nasce la nozione. È per questo che il concetto di aspettativa giurale spiega la definizione di Geiger.
08/05/2023
È di fondamentale importanza tenere presente che perché questi conflitti abbiano luogo, non è
necessario avere dei termini per diritto soggettivo, o anche solo per torto o ingiustizia. Abbiamo già
osservato che i romani non avevano un termine per diritto soggettivo, ma avevano un termine per
giustizia.
Va ribadito che è nel conflitto giurale (che è caratterizzato dalla presenza dell’ira, e in realtà è
l’unico conflitto. Ad es. nell’indignazione non c’è conflitto – il serial killer non ha un conflitto con la
vittima) che emergono due fenomeni che vengono spesso scambiati per il “cuore” della giuridicità e
che legittimano scientificamente la nozione di aspettativa giurale:

 Positivizzazione  emerge attraverso l’uso di argomenti nella litigata. Quando due persone
litigano, invocano argomenti, cose che spesso e volentieri somigliano a quelle che noi
chiamiamo fonti del diritto.
 Giurisdizionalizzazione  quando due litigano, è possibile che i litiganti a un terzo che
gode di onore nella comunità o che questi si faccia innanzi.
Come si vede, ciò che chiamiamo diritto oggettivo (law) emerge come conseguenza della natura
polemogena dei fenomeni giurali. Leggi esempio su slide. Come si vede la nozione di fonte del
diritto emerge nel conflitto  questa è la positivizzazione.
Invece, la giuridizionalizzazione riguarda il fatto che vengano invocati terzi per risolvere conflitti.

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COORDINAZIONE GIURIDICA
Se le aspettative giurali sono l’unica causa di conflitto, va osservato che sono anche la causa di
coordinamento sociale: i mercati e le organizzazioni.
Il modo in cui le aspettative giurali possono dare luogo a una forma di coordinamento sociale, è
esemplificato da un passo sulla slide successiva. La cosa surreale è che qui sembra il mercato
funzioni grazie a queste pseudo-entità, mentre in realtà con le sue stesse parole, Schlicht mostra
che non sono gli obblighi e diritti soggettivi a permettere le interazioni di mercato, ma sono invece
disposizioni basate sull’ira.
V. passo su slide. Pagare il tassista per evitare che questo si adiri non è un comportamento
normativo, ma un comportamento egoistico: faccio una cosa per evitare fenomeni spiacevoli
(comportamento economico).
Schlicht fa notare che dopo il pagamento, nulla è cambiato nella posizione negoziale del tassista e
del cliente. Il tassametro peraltro indica ancora lo stesso ammontare di denaro e il fisico del
tassista è minaccioso esattamente come lo era prima, e il passeggero ha ancora i contanti in
tasca. Allora Schlicht si domanda: perché il tassista non insiste affinché il cliente paghi di nuovo; e
perché il cliente non paga di nuovo, visto che lo ha fatto prima?
Il tassista potrebbe pensare che una simile richiesta potrebbe far infuriare il cliente. Egli potrebbe
resistere e considerare un’azione legale. Quindi il tassista si accontenta di quello che ha ottenuto e
se ne va.
In questo caso, il tassista agisce tendenzialmente in modo economico; il cliente, per contro, …
Abbiamo l’incastro di due aspettative giurali primarie. Non è vero che abbiamo bisogno di obblighi
e diritti soggettivi, non ne abbiamo affatto bisogno. Abbiamo bisogno di aspettative giurali, cioè
aspettative basate sull’ira, cioè la disposizione ad arrabbiarsi del tassista.
Ciò che la rende possibile sono le aspettative giurali del tassista e del cliente, nonché le loro
rispettive disposizioni giurali complementari
Va inoltre osservato che non è affatto vero che dopo il pagamento la posizione negoziale dei due
rimane immutata
Il pagamento segna una cesura. Prima di esso il tassista ha una disposizione ad adirarsi che col
pagamento cessa di esistere, mentre dopo il pagamento nel cliente insorge una disposizione ad
adirarsi che precedentemente era assente. Una persona nella quale sia presente l’aggressività
reattiva, è fisicamente più pericolosa di una persona che faccia solo finta di arrabbiarsi, anche
perché l’ira sospende l’empatia (è dimostrato).
Va osservato inoltre che Schlicht menziona solo la possibilità che il cliente faccia causa al tassista
perché questo gli chiede un secondo pagamento. Non menzione la possibilità che sia il tassista a
fare causa al cliente. Quindi diciamo che generalmente i traffici giuridici funzionano a prescindere
dall’esistenza di una giustizia giurisdizionale. L’idea di andare in causa è considerata una sconfitta.
Prima invece, attraverso un lento processo di civilizzazione, noi abbiamo imparato a non farci più
giustizia da soli. Ma questo è arrivato gradualmente. Pensiamo ad es. alla tutela del possesso. Il
possesso è tutelato anche di fronte al vero proprietario. È così per dissuadere la gente dal farsi
giustizia da soli.

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