Sei sulla pagina 1di 12

MANUALE DI TEORIA GENERALE DEL DIRITTO - Alfonso Catania

CAPITOLO I : CHE COSE LA TEORIA GENERALE DEL DIRITTO


La teoria generale del diritto si occupa di delineare, attraverso la comparazione dei contenuti
degli ordinamenti giuridici, concetti di uso comune.
Limpresa ardua, soprattutto in una societ come la nostra, che vive un secolo fragile e
tormentato, ma non per questo impossibile, e anzi forse necessaria.
La teoria generale del diritto non deve essere confusa con quella pura di Kelsen, perch qui il
termine generale mira solo ad elaborare concetti intorno agli strumenti di norma, validit ed
efficacia, che possono aiutarci a capire meglio le esperienze dei vari ordinamenti giuridici.
In Kelsen, invece, il termine purezza, mira ad indicare indipendenza del diritto da
condizionamenti ideologici o politici, cercando di conoscere il diritto e non di creare una politica
dello stesso. Oggi, richiamare Kelsen sarebbe assolutamente inattuale, dato che la nostra
teoria generale presenta una intrinseca impurezza.
Piuttosto, c da dire che mediante la teoria generale del diritto, si mira al delineamento di
figure e nozioni generali che ci permettono di conoscere e penetrare il mondo giuridico sociale
nella sua impurezza-complessit e nelle sue contraddizioni.
Distinzione con la filosofia del diritto. La teoria generale del diritto, si distingue dalla
filosofia del diritto, perch la prima guarda al diritto positivo, la seconda studia invece
maggiormente il diritto naturale; e poi perch la prima affronta il problema ontico del diritto, e
quindi della sua esistenza, mentre la seconda affronta il problema deontologico del diritto, e
quindi al tema del giusto e allelaborazione di un diritto giusto.
La teoria generale del diritto esclude, quindi, a priori la categoria ideale della giustizia
nellelaborazione del diritto.
I rapporti con la sociologia del diritto. La teoria generale del diritto, inoltre, si distingue
dalla sociologia del diritto, perch la prima affronta lo studio deontico delle norme
concentrandosi su temi quali norma, validit ed efficacia, mentre la seconda affronta il
problema fenomenologico del diritto,e quindi di come esso viene assorbito ed applicato
psicologicamente e concretamente dai consociati; e poi perch, quindi, la prima si occupa della
validit delle norme, la seconda della loro efficacia.
Essendo, pertanto, le due discipline strettamente legate ed interconnesse, essendo stata
spesso definita leffettivit come la condicio sine qua non della validit del diritto.
CAPITOLO II : IL DIRITTO
Nel nostro secolo e nella nostra cultura giuridica italiana possiamo distinguere tre teorie
generali del diritto:
- teoria relazionale o del rapporto giuridico;
- teoria istituzionalistica;
- teoria normativistica.
In tutte deve essere tenuto sempre presente e come punto fermo il ius positivum, e quindi il
diritto soggettivo.
La prima teoria (relazionale, spesso ritenuta comunque inadeguata per comprendere gran
parte degli aspetti del diritto) pone al centro del fenomeno giuridico la rete dei rapporti
intersoggetivi <<tra arbitri>>, essendo inteso il diritto come la limitazione reciproca, attraverso
regole, delle sfere di libert tra individui-arbitri. Questa teoria trova il suo massimo esponente in
Kant, e in Italia in Del Vecchio, Alessandro Levi e Cicala.
La teoria istituzionalistica e quella normativistica, invece, sono molto legate ed intrecciate
anche dal punto di vista storico-evolutivo.
La teoria istituzionalistica, insiste sul fenomeno organizzatorio del diritto e trova esponenti in
Francia, ma anche in Italia come Santi Romano.
Quella normativistica trova i suoi massimi esponenti in Kelsen, Hart e (in Itali) in Bobbio,
venendo definita come teoria dellordinamento giuridico.

La teoria normativistica (o ordinamentale), quella che analizza il diritto, o meglio


lordinamento non da angolature specifiche e diversificate, ma tout court, globalmente.
Un modello di diritto come ordinamento, pu essere costruito solo guardando allunit,
allinsieme.
Problemi accessori a ci, diventano, poi, elementi come completezza e coerenza, quali valori
che hanno svolto unimportante funzione storica nella costruzione dello Stato liberale, e che
sono strettamente connessi al valore della certezza.
Questa unit, non per da confondersi con i concetti sostanziali di ordine e di pace sociale.
Lunit che si richiede come elemento (e non come valore) qualificante il diritto unit
formale; poich un ordinamento deve essere sempre interpretato come una unit, pur se
costituito da lacune e profonde incoerenze nei suoi contenuti, perch solo cos le norme
dellordinamento potranno esistere come valide, altrimenti, se singolarmente considerate,
appariranno incoerenti e lacunose.
I maggiori tentativi, di costruire una teoria ordinamentale, sono stati eseguiti da Kelsen e Hart.
In entrambi, infatti, il problema viene affrontato attraverso il ricorso ad una norma
fondamentale, suprema (intesa per il primo come ipotesi, per il secondo come funzione).
La teoria istituzionalistica vede come suo maggiore esponente Santi Romano, e il suo libro
intitolato Lordinamento giuridico.
Questa teoria trova suo fondamento proprio nella cultura giuridica italiana, e si concentra sulla
riflessione giuridica della crisi dello Stato moderno, che trova la sua prima affermazione nel
fenomeno storico della prima guerra mondiale.
Con il termine <<istituzione>>, si intende far riferimento in termine giuridici allelemento
dellorganizzazione giuridica di un fenomeno sociale.
Non per questo, per, la teoria di Santi Romano deve essere confusa con la sociologia del
diritto.
Piuttosto, c da riconoscere che Santi Romano fu un cultore del diritto pubblico, e che anzi si
deve a lui la costruzione del diritto pubblico in Italia.
Grazie a S. Romano e al concetto di istituzione, infatti, si riusciti ad affrontare vari importanti
problemi indirizzandoli al pluralismo giuridico, agli ordinamenti privati, verso cui lo Stato si
indirizza solo con mera funzione di tutela.
S. Romano fa coincidere il diritto, lordinamento non con lelemento delleffettivit (come fanno
i normativisti), ma con lelemento dellorganizzazione. Egli, infatti parte da due aforismi
importanti a proposito, quali ubi societas ibi ius, ubi ius ibi societas, proprio per qualificare il
fenomeno sociale e il rapporto tra societ e diritto.
Secondo S. Romano, solo quando la societ si esprime attraverso lorganizzazione si qualifica
come unitaria, pur trasformandosi e mutando; e al pari avviene per lordinamento.
Le norme, a tali fini, hanno una funzione meramente strumentale, secondaria, sussidiaria, sono
pedine dellorganizzazione, di cui lorganizzazione non pu fare a meno per muoversi e
funzionare, ma che comunque non rivestono elemento principale di qualificazione del giuridico.
Per capire la funzione dellorganizzazione, bisogna notare che in S. Romano, anche una societ
delinquenziale se organizzata, costituisce un ordinamento giuridico, diritto.
In questo quadro, per sembra perdersi la dimensione deontologica del diritto, la dicotomia
essere-dover essere che esprime le tensioni, le passioni, i desideri, le esigenze degli uomini.
Sembrano, infatti, scomparire proprio gli uomini, la dimensione delleffettivit (che invece gioca
un ruolo chiave nella teoria normativistica).
Nella teoria romaniana, societ e diritto sembrano camminare di pari passo, e chiss che una
concezione come questa allora non sia utile per affrontare i nostri tempi, dove invece societ e
diritto sembrano dimensioni lontane e indifferenti fra loro.
La teoria relazionale, invece, quella che ricorre alla sociologia, ed perci definita del
realismo giuridico, distinto in americano e scandinavo, trovando rispettivamente i suoi maggiori
e diversi esponenti in Holmes e Olivecrona con Alf Ross.
Nel realismo americano, si parte dalla concezione di Holmes, e da una sua celebre
affermazione, per cui il diritto non nientaltro se non la previsione di ci che faranno i
tribunali, qualificandosi il fenomeno giuridico con il comportamento dei giudici, con
lapplicazione che questi fanno della legge.
Il diritto va compreso nellattivit giudiziaria, in una sociologia dei comportamenti giudiziari, in
ci che avviene nei tribunali, durante le controversie.
Ma ci che va criticato a questa teoria che la vita del diritto non pu essere ridotta a quello
che accade nei tribunali, al momento patologico dellapplicazione della legge, al
comportamento dei giudici. Sarebbe tutto troppo sterile e privo di profondo significato.
Pi interessanti, invece, sono le teorie del realismo giuridico scandinavo di Karl Olivecrona e Alf
Ross.

Olivecrona (con la sua opera maggiore quale Law as Fact), colui che riuscito meglio di
tutti a mettere in pratica i punti a cui si ispirava in fondatore del movimento Alex Hagestrom,
per cui la norma viene intesa come legata alla psiche degli uomini, come operante secondo un
linguaggio magico-sacrale proprio del diritto arcaico. Il diritto, per Olivecrona, pu essere
conosciuto solo empiricamente come esperienza di tipo psicoemotivo, congiuntamente alle idee
dei consociati che si riflettono sul diritto stesso.
La teoria di Olivecrona importante perch con essa si spiega, o meglio si riesce a
comprendere la grande tragedia del 900 e lobbedienza agli Stati totalitari.
Non che Olivecrona appoggi queste forme di Stato, ma proprio mediante la sua teoria
possiamo capire di come la formazione del totalitarismo sia dovuta proprio alla pressione
psicologica che mediante le figure del diritto si riusciti a fare sui consociati, piegando la loro
psiche a concetti come lobbligo del potere, della forza e soprattutto dellobbedienza.
Il diritto, comunque, non pu essere collegato esclusivamente al concetto di forza, di coazione
e sanzione fisica, altrimenti, sembra paradossale, ma tutto diventerebbe pi debole e riduttivo.
La stessa teoria di Oliecrona vede un altro esponente importante al suo fianco, quale Jhering.
Rimane, comunque Olivecrona lautore che meglio e con pi coraggio riuscito ad esporre ed
analizzare lo scenario storico in cui viveva, quale quello dei regimi totatilari del 900 di
Germania e Italia.
Alf Ross, rispetto ad Olivecrona molto pi complesso, perch stato lettore di testi di filosofia
generale e perch stato allievo di Kelsen, pur se come polo antitetico.
Egli si colloca a met strada fra realismo americano e scandinavo, perch mira ad analizzare il
diritto coniugando elementi di tipo psicologistico (il sentimento dellobbligatoriet) ed elementi
di tipo comportamentalistico (il comportamento del giudice nei tribunali).
Per Ross, la sentenza costituisce lelemento esterno di espressione della vita interiore del
giudice, partendo da quale, quindi si pu ricostruire la vita interiore del giudice.
In Ross la validit viene ad identificarsi con la effettivit giudiziaria perch la sentenza e
quindi il comportamento dei giudici ad essere il fulcro centrale della sua concezione.
Una concezione che rimane comunque troppo limitata nellambito del mondo delle Corti e delle
sentenze giuridiche.
CAPITOLO III : LORDINAMENTO GIURIDICO
Lordinamento giuridico strettamente legato al comportamento umano.
Lordinamento giuridico pu essere analizzato secondo due punti di vista, orizzontalmente
(ordinamento statico) e verticalmente (ordinamento nomodinamico).
Nel primo caso, lordinamento viene inteso secondo la dicotomia precetto-sanzione, ossia come
costituito da una norma fondamentale mediante cui stabilito il contenuto particolare di tutte
le altre norme. La norma fondamentale il precetto, e quindi la regola di carattere generale a
cui bisogna attenersi; e le altre norme costituiscono la sanzione, e quindi la conseguenza che
scaturir nel caso di mancato rispetto del modello comportamentalistico stabilito dalla norma
fondamentale, o meglio nel caso di difformit fra contenuto della norma fondamentale e
comportamento dei soggetti.
In questa concezione, le norme sono considerate tutte sullo stesso piano, orizzontalmente,
staticamente, contenutisticamente, disciplinando latto di coazione fisica e definendo
lordinamento giuridico come unorganizzazione della forza.
Nel secondo caso, invece, le norme appaiono attraverso la dicotomia nomodinamica verticale
superiore-inferiore (soprattutto presente negli ordinamenti di natura codisicstica).
Lordinamento, quindi, si qualificher come costituito gerarchicamente, gradualisticamente da
norme superiori e inferiori, per cui le norme inferiori di volta in volta troveranno legittimazione
formale e validit nelle norme superiori, e le superiori di viceversa daranno validit e
legittimazione formale a quelle inferiori. Il tutto in un rapporto di delega tra autorit superiore
e inferiore, rinviandosi ad un processo di autorit e quindi ad un processo di volont delluomo:
la norma valida e obbliga non per quello che dice, ma perch vengono indicati quelli che sono
autorizzati a dire.
Con ci, non si intende celebrare il ruolo dellautorit, ma scindere il discorso da una
valutazione politico-morale dei contenuti delle norme (come avviene, invece, nellordinamento
statico).
Partendo dal basso, quindi, la struttura dellordinamento sar costituita da sentenza giudiziaria,
atti amministrativi, leggi ordinarie, costituzione, norma fondamentale (costruzione a gradi o
Stufenbau).

Rispetto alla prima visione dellordinamento (quella statica), Hans Kelsen assume una
posizione particolare.
Egli, infatti, sostiene che lordinamento deve essere inteso come un insieme di norme
sanzionatorie orizzontalmente intese che trovano validit in una norma fondamentale, ma non
questultima a dover essere considerata come primaria, bens sono le norme sanzionatorie a
dover essere considerate come tali, poich nella sanzione negativa che dobbiamo individuare
il vero elemento di qualificazione del giuridico.
Ma questa posizione kelseniana troppo riduttiva per definire generalmente il diritto.
Da questo punto di vista sembra che Kelsen (anche se non totalmente) sia rimasto prigioniero
di quella costruzione dogmatica tedesca della fine del secolo scorso, che metteva in risalto il
meccanismo della repressione e il carattere di coattivit della singola norma giuridica (Jhering).
Non per questo si vuol dire che una definizione del diritto debba scindersi dallelemento forza,
ma neanche pu coincidere in tutto o essenzialmente, principalmente con esso.
Il ruolo della coercibilit (ordinamento statico) e della nomodinamica sono entrambi necessari
e imprescindibili per definire il fenomeno giuridico.
Documenti, leggi e norme. Un giurista italiano, Giovanni Tarello, si occupato del problema
dellinterpretazione nel diritto.
Tarello dice che la norma non ha un significato, ma un significato.
Lordinamento un insieme di fatti, atti, documenti, disposizioni, ove la norma (le norme vere
e proprie, le norme valide) costituisce solo il risultato finale dellattivit interpretativa giuridica.
Il procedimento di produzione legislativa, nel nostro ordinamento costituito da fasi specifiche
(approvazione dei due rami del Parlamento, firma dal Presidente della Repubblica,
pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale), mediante cui le leggi vengono prodotte e collegate,
confrontate, rinviate ad altri documenti-legge.
Questo meccanismo definisce il rapporto legge-norma; rapporto per non sempre praticabile
perch non si dimentichi che le leggi sono fatte dagli uomini e che spesso non vengono
collegate tra loro. E questo, non ha poca rilevanza, perch il mancato rinvio di una legge ad
altre, pu spesso produrre delle abrogazioni in seguito a pronunce della Corte Costituzionale
(come avvenuto per lart. 603 del Codice penale sul plagio, che secondo la Corte non riusciva
ad esprimere una normazione coerente).
Il collegamento fra norme rappresenta una tecnica importante e necessaria per rappresentare
in maniera completa la norma stessa.
Schmitt. Nella struttura nomodinamica dellordinamento da ricordare la figura di Carl
Schmitt e la sua teoria, secondo cui si definisce il rapporto tra potere discrezionale e auctoritas
interpositio.
Secondo Schmitt, l ordinamento deve s essere pensato come costruito a gradi, ma nel
passaggio da un piano ad un altro, vi sempre lintromissione dellattivit dellorgano, che
immette qualcosa di nuovo, il novum nella norma che produce.
La teoria di Schmitt un calarsi diretto nellesperienza giuridica concreta e strorica, al fine di
far coincidere lindagine sul diritto con il diritto stesso.
Ma, quello di Schmitt sembra pi un ordinamento verticistico con un procedimento nomostatico
che nomodinamico.
CAPITOLO IV : LA VALIDITA
La validit di una norma pu essere misurata in relazione alla teoria nomodinamica
dellordinamento, stabilendo come fulcro, punto finale dellordinamento stesso la Costituzione.
Attraverso una visone cos data dellordinamento, infatti, si pu risalendo piano per piano
tentare di dare risposte a quesiti sulla legittimit delle norme.
Arrivati per al piano pi alto, costituito dalla Costituzione, sorge un quesito finale a cui si pu
rispondere secondo due strade: una prima, che definisce la Costituzione come valida perch
efficace; una seconda che rintraccia la validit della Costituzione nella Grundnorm di Kelsen o
meglio in una norma fondamentale che a sua volta legittima la Costituzione, e che coincide con
tante altre costituzioni del passato, fino a quando pu risalirsi ad un atto di autorit originario
(se cos si pu dire).
Per capire la funzione della Costituzione (secondo la prima strada e una visione nomodinamica
dellordinamento) allinterno dei nostri ordinamenti, si pu ricorrere a due esempi.
Il primo riguarda uno studente che solleva una questione di validit sulla regola esposta
nellaula universitaria e che enuncia espressamente il divieto di fumare.
Cosicch gli si risponde che quel divieto stato esposto da funzionari addetti e dal rettore
delluniversit.

Ma, lo studente potrebbe nuovamente interrogarsi sulla validit dellazione compiuta a


proposito dagli stessi funzionari che hanno affisso il divieto.
Cosicch gli si potrebbe rispondere che quellazione valida in forza di una legge del 1975 che
ha introdotto in Italia il divieto di fumare nei locali pubblici.
Ma, uno studente particolarmente pignolo, potrebbe ancora porre il dubbio sulla validit della
legge e, a tal proposito, gli si potrebbe rispondere che questa trova legittimazione nella
Costituzione e nel diritto alla salute in essa previsto e sancito.
E infine, salendo per piani e giungendo allultimo, il dubbio si solleva sulla Costituzione e sulla
sua legittimit. Ora, da un lato si potrebbe rispondere che la Costituzione valida perch
efficace (e quindi perch trova un riscontro effettivo), dallaltro (secondo la Grundnorm di
Kelsen) che la Costituzione valida perch trova legittimazione in una norma fondamentale o
in altre costituzioni precedenti.
Secondo la prima visione, si definisce una struttura chiusa dellordinamento.
Nella seconda, lordinamento giuridico viene a chiudersi con un dover essere, non con un
essere.
Al pari poi, ci si pu porre gli stessi quesiti anche tenendo presente temi di maggiore
delicatezza e peso, quale ad esempio quello riguardante la legge 194/1978 sullaborto, contro
la quale fu anche proposto un referendum abrogativo.
Da ci desumendosi, quindi di come spesso la Costituzione si faccia carico di discussioni e temi
delicati, le cui norme disciplinanti sono obbligatorie perch sic et simpliciter sancite in essa.
Validit e obbligatoriet. Queste tematiche del diritto sembrano mettere in discussione il
rapporto tra validit ed obbligatoriet. Quel rapporto che caramente Kelsen ha sempre
testimoniato come indissolubile per poter analizzare comprendere scientificamente il diritto.
C chi per, ha fortemente criticato la posizione kelseniana, quasi a poter pensare che pi che
di obbligo giuridico bisogna parlare di sentimento dellobbligatoriet. Come se il rispetto di una
norma dipendesse da ci che ogni soggetto interiormente prova, cos mantenendo un
comportamento ad essa conforme o meno.
Ma ci, molto evidentemente comporterebbe due riflessioni.
Innanzitutto, si costituirebbe il pericolo di rimettere la obbligatoriet delle norme e quindi
dellordinamento al libero arbitrio delle coscienze; e poi non v da dimenticare che cercare di
scindere lobbligatoriet da quel foro interno e da esperienze sociologiche e psicoemotive del
soggetto, stato sempre obiettivo primario della formazione dello Stato moderno (secc XVI e
XVII), nella rivendicazione del principio di laicizzazione del diritto; principio questo, mediante
cui si cerca di conformare i comportamenti dei consociati alla legge, anche solo formalmente o
esteriormente. Non si mai chiesto che lobbligazione debba essere integrale, e quindi sentita
anche interiormente dai soggetti (foro interno); essa pu anche essere solamente esteriore
(foro esterno), ma necessario che vi sia, per affrontare il diritto scientificamente e per
rendere efficiente e completo lordinamento.
Validit e valore.Funzione del diritto semplicemente quella di controllo del comportamento.
Che poi sentimento dellobbligatoriet e obbligo della norma spesso coincidano un fatto
positivo, ma non per questo necessario e fondamentale.
Validit ed efficacia. La validit afferisce al dover essere, e quindi al comportamento che i
consociati devono mantenere in relazione alla norma. Essa un problema di qualificazione
interna. Lefficacia afferisce, invece, allessere, e quindi viene a determinarsi quando la norma
viene di fatto, effettivamente osservata o applicata. Essa un problema di qualificazione
esterna.
Ci che presenta non poche complessit non la definizione delluno o dellaltro elemento del
diritto; ma pi che altro il rapporto che intercorre tra loro.
Per poterlo spiegare, bisogna distinguere il caso della singola norma e il caso di tutto
lordinamento.
Nel secondo caso la effettivit considerata condizione della validit di tutto lordinamento.
Nel primo caso dobbiamo ancora distinguere tra sistemi ordinamentali di civil law e di common
law. Nei primi, di matrice codicistica (come il nostro), spesso linapplicabilit di una norma, e
quindi la sua inefficacia non sinonimo di abrogazione, poich la norma rimane comunque
valida nel tempo. Da ci desumendosi che lefficacia non costituisce la condicio sine qua non
della validit di una norma.
Nei sistemi di common law, invece, lefficacia viene considerata proprio come la condizione
base della validit delle norme singolarmente considerate. Ci perch, nella pratica,
riscontriamo la maggiore rilevanza che rivestono le sentenze e le decisioni dei tribunali
americani, ad esempio, che nel non applicare ripetutamente una norma, la conducono a
diventare inefficace e quindi non pi obbligatoria per i consociati.

Validit e positivit del diritto. Negli ordinamenti di common law, esiste comunque una
debolezza di fondo, che si tramuta nel pericolo di rendere il diritto incerto e instabile, perch
rimesso continuamente a quanto stabilito nei tribunali, dalla giurisprudenza, perdendo finanche
lo stesso legislatore eletto democraticamente la legittimazione a produrre diritto positivo.
Nei nostri sistemi, invece, sembra esistere comunque una garanzia, quale quella di limitare il
potere per far funzionare il diritto, dando ad esso un certo grado di certezza e stabilit.
Il rapporto quindi tra validit e positivit del diritto nellordinamento, deve essere mantenuto
sempre saldo, perch proprio dai documenti-legge (positivit del diritto) che si ricavano
norme (validit del diritto).
Non peraltro finora abbiamo affermato che le norme sono frutto dellapplicazione di quella
tecnica ermeneutica che le estrapola da documenti-legge, fatti sociali, consuetudini, che sono
appunto elementi positivi della struttura giuridica stessa.
CAPITOLO V : LEFFICACIA
Lefficacia condicio sine qua non della validit dellordinamento, integralmente considerato.
Essa si configura e si esprime nel comportamento dei consociati, che adottano come
obbligatoria una norma valida e la rispettano mantenendo un comportamento inerente ad
essa.
Non per questo, per, lefficacia dellordinamento deve essere confusa con il fenomeno
sociologico del diritto. Questo sarebbe un errore rilevante, perch altrimenti il diritto verrebbe
fatto coincidere completamente con lessere e con i comportamenti dei consociati che
soggettivamente e praticamente trattano lordinamento giuridico come valido.
Secondo Kelsen, si pu dire che poi lefficacia da considerare s condizione necessaria ma non
sufficiente per la validit dellordinamento.
Per fare un esempio, si pu richiamare levento storico del 1917, a seguito della rivoluzione
dottobre, in cui i bolscevichi si impadroniscono del potere in Russia. Ora, il vecchio
ordinamento zarista, a seguito di ci, verr integralmente disapplicato dai consociati, e
gradualmente ad esso si sostituir un nuovo ordinamento che fuoriesce appunto dalla
rivoluzione.
Ora, in linea con la teoria di Kelsen, notiamo che qui, lefficacia sar s importante a qualificare
il nuovo ordinamento, ma non necessaria, perch lo stesso trover validit piena, piena
legittimazione solo nella norma fondamentale, da cui scaturiranno peraltro i nuovi assetti di
potere.
Leffettivit continuativa, di cui parla Kelsen, utile per distinguere un ordinamento giuridico
da un ordinamento di una banda di briganti, ed lo sfondo necessario sotto un profilo
realistico, su cui si innesta un meccanismo di riconoscimento da parte dei consociati che
prendono atto della situazione di fatto e la riconoscono come obbligante, un riconoscimento
che qualifica il giuridico stesso (consuetudine e prassi nel nostro ordinamento).
Il tentativo ed il contributo kelseniano, se pur non completamente risolutivo sicuramente
rilevante ai fini della qualificazione del giuridico.
Efficacia ed effettivit. Il termine efficacia viene spesso tenuto distinto da quello di
effettivit, altre volte le due espressioni vengono fatte tra loro coincidere.
Ora, terminologicamente parlando lefficiacia fa riferimento alla singola norma, leffettivit
invece allordinamento giuridico integralmente considerato.
Ma, al di l delle considerazioni terminologiche, spesso i due termini vengono considerati come
commutativi ed interscambiabili, come quanto coniato nella prassi internazionalistica, ma
anche nellordinamento italiano, i due termini sono simili e quindi possono essere usati in modo
scambievole.
Effettivit generale ed effettivit giudiziaria. Per effettivit generale da intendersi il
comportamento generalmente conforme dei consociati in relazione allordinamento stesso.
Un ordinamento effettivo, insomma, quando costituito da un insieme di norme per lo pi
osservate dai cittadini per orientarsi, e fatte osservare dai tribunali nelle controversie.
Leffettivit generale sembra quindi includere anche il comportamento dei giudici, dei
burocratici, dei funzionari, e quindi una sorta di effettivit giudiziaria (si pensi al caso
Tangentopoli e a quanto sia diventata rilevante linosservanza per lungo tempo della
magistratura). Il rapporto quindi tra effettivit generale e giudiziaria molto stretto, perch
lattivit dei giudici va spesso ad arricchire ed integrare le statuizioni positive.
Si ripresenta qui palesemente la teoria dei realisti americani, che si riferiscono ai sistemi
ordinamentali di common law. In Ross questa stessa effettivit giudiziaria permette di risalire
anche al sentimento stesso dellobbligatoriet.

Effettivit ed obbedienza. Leffettivit include in s anche il significato dellobbedienza.


Il termine obbedienza richiama, inoltre, anche quello di sovranit, intesa nel passato pi come
sudditanza, oggi (anche dopo quanto affermato da Kelsen) invece come accostabile al diritto.
Con laffermazione, quindi, contemporanea di sovranit del diritto, pu tranquillamente
affermarsi in una societ complessa come la nostra, uno sforzo di stabilizzazione e accettazione
del diritto, non dovendosi parlare per forza di obbedienza interiore o per convinzione, ma
anche solo di <<obbedienza esterna>> dei comportamenti.
La condizione delleffettivit, quindi, definitivamente deve essere da un punto di vista logico
tenuta distinta dal consenso, ai fini della stabilit del sistema ordinamentale e politico.
CAPITOLO VI : LA NORMA
Norma e proposizione normativa. Spesso teorie come il realismo giuridico e
listituzionalismo hanno cercato di definire e analizzare il diritto scindendolo dalla dimensione
normativa, appiattendo tale dimensione, che invece da ritenersi necessaria per la
qualificazione del fenomeno giuridico.
La norma fa riferimento al dover essere, a ci che deve accadere, a come i comportamenti
devono essere mantenuti dai consociati e non a come questi sono.
Il piano normativo utile e necessario per la qualificazione del diritto perch regola e orienta i
comportamenti.
Ma, la dicotomia nroma-dover essere fa scaturire ulteriori problemi.
Innanzitutto, emerge il rapporto tra norma in quanto prescrizione (fornendo uninformazione) e
norma in quanto proposizione descrittiva (orientando i comportamenti).
I due elementi sono di per s distinguibili, ma v bisogno di dire che spesso si intrecciano, si
intersecano, anche a livello dellazione giuridica, allinterno di un ordinamento giuridico.
Norma e regola. Per conoscere meglio il fenomeno giuridico non proficuo distinguere la
norma dalla regola.
Terminologicamente, la regola (di natura anglosassone) si riferisce alle prassi consolidate dei
comportamenti regolari e per alcuni varrebbe di pi della norma.
La distinzione tra i due elementi forse possibile sociologicamente e politicamente, ma
giuridicamente no, perch risulterebbe arbitrario definire certe situazioni in quanto regole e che
in realt sfociano nel dover essere, in modelli normativi vincolanti e non frutto di
comportamenti consolidati nel tempo, abitudinari.
Il concetto di norma, e non di regola, quindi pi proficuo per definire il diritto.
Norme giuridiche e norme meramente sociali. Questa distinzione importante, perch
esiste uno stretto rapporto tra norme giuridiche e norme sociali.
Le norme giuridiche appartengono alla famiglia delle norme sociali.
Entrambe le categorie di norme devono essere tenute ulteriormente distinte dalle norme
morali, che nella definizioni classica-kantiana sono quelle che regolano il comportamento in
modo autonomo, relativamente allinteriorit degli uomini.
E le norme sociali devono essere tenute ancora distinte dalle mere abitudini sociali, con ci
richiamandosi in gioco lautore Hart.
Egli, infatti, sosteneva che le norme sociali si distinguono dalle mere abitudini sociali perch,
innanzitutto queste ultime se non rispettate non producono alcuna conseguenza, alcun danno,
alcuna sanzione; e poi perch le norme sociali si qualificano come atteggiamento normativo
interno che fa accrescere (nel soggetto) lobbligo del comportamento conforme attraverso la
pressione sociale esercitata dal gruppo a cui appartiene. infatti, proprio la pressione sociale
lelemento distintivo delle norme sociali. Pressione sociale che non mera influenza che il
soggetto subisce nel gruppo sociale in cui si trova relativamente ad una questione; ma essa
da intendersi come vero e proprio elemento che introduce un grado di normativit nei
comportamenti, facendoli diventare obbligatori.
Hart, di per s un giuspositivista-normativista, ma questo profilo del sociale che entra nelle
sue formulazioni teoriche rende ancor meglio il suo livello di studioso, perch inietta una nuova
linfa nel positivismo giuridico, considerato, cos nei suoi stretti legami con il mondo di coloro i
quali vivono e fanno vivere il diritto: i consociati, appunto.

Norme primarie e norme secondarie. Questa distinzione viene spesso effettuata allinterno
della scienza giuridica.
Tradizionalmente vengono indicate come primarie le <<norme precettive>>, esprimenti un
modello di condotta per i consociati, e come secondarie le norme concernenti la sanzione, e
cio quelle che stabiliscono la conseguenza della deviazione dalle norme primarie.
In realt, con Rudolf von Jhering fu capovolta la dicotomia norme primarie e norme secondarie,
rendendo primarie quelle che impongono una sanzione, un po come faceva Kelsen.
Solo che Jhering si differenzia da Kelsen sotto il profilo ideologico-politico, perch egli si colloca
con la sua teoria come testimone di quella ideologia liberale autoritaria in cui viveva, per cui lo
Sato produce il diritto e agisce attraverso la forza (come contenuto nel libro Scopo del diritto).
Ai suoi tempi, infatti, Jhering viveva in uno Stato dell800, che celebrava i suoi fasti, ma che in
realt cominciava ad essere minacciato su tutti i fronti dalle nuove forze che presero su di esso
il sopravento nel nuovo secolo. Ma, nel frattempo per difendersi, lo Stato premeva
insistentemente sulla propria autoreferenzialit, producendo diritto e rivolgendosi ai veri
destinatari di esso, quali i funzionari e i giudici che applicano il diritto.
In Kelsen, invece, la situazione cambia totalmente. Egli mira a tenere separati diritto e politica.
Per Kelsen Stato e diritto sono la stessa cosa, laddove per Jhering lo Stato un ente che
produce e sta dietro a diritto; per Kelsen la forza oggetto del diritto stesso come forza
regolamentata, organizzata e razionalizzata, mentre per Jhering la forza lo strumento per la
realizzazione del diritto; e , infine per Kelsen la sanzione fisica serve solo a mostrare il
fenomeno giuridico puramente, scientificamente, nel modo migliore e in modo disincantato e
realistico, non come in Jhering celebrazione della forza stessa.
In Hart, invece, la distinzione tra norme primarie e norme secondarie molto pi salutare,
perch mira a presentare il diritto nella sua dimensione di principale strumento di integrazione
e convivenza sociale, dimensione molto pi vicina alla attuale condizione degli Stati occidentali.
Hart, sostiene che le norme primarie sono quelle che forniscono un modello di condotta
(distinguendosi totalmente da Kelsen e Jhering), le norme secondarie sono quelle norme
relative a norme (c.d metanorme) e che conferiscono poteri pubblici o privati.
In Hart le norme secondarie si distinguono in:
- norme di mutamento, quali quelle che conferiscono poteri privati e pubblici, con la
funzione di correggere il difetto della staticit della societ;
- norme di giudizio, che si rivolgono allorganizzazione dei tribunali, con la funzione di
eliminare linefficienza della societ;
- norme di riconoscimento, quali quelle per cui si riconosce ci che diritto e ci che non
lo sotto il profilo della validit.
Le prime due categorie di norme secondarie conferiscono essenzialmente poteri, la terza no.
Le norme di riconoscimento sono quelle pi singolari rispetto alle altre due categorie.
In sintesi, le norme primarie sono quelle che forniscono un modello di condotta, le norme
secondarie sono norme relative a norme, e v da dire a proposito, che fondamentalmente
allinterno degli attuali ordinamenti e della attuale complessa societ, tutte le norme sono
intrinsecamente collegate tra loro e quindi ognuna relativa allaltra.
Il metodo hartiano di impostare il diritto sicuramente quello pi vantaggioso, perch ci fa
cogliere bene il binomio azione umana-diritto e perch accosta profondamente il diritto agli
uomini, differentemente dal rigido normativismo di Klesen o di Jhering.
Norme e principi. La teoria dei principi trova come suo massimo esponente il filosofo
Dworkin, che si contrappone generalmente alla teoria giuspositivista da una parte e
giusrealista dallaltra.
Su una cosa per egli daccordo: il carattere principale delle norme va riscontrato nella
positivit.
Ma tale positivit, secondo Dworkin, trova fondamento e stretto legame in quello che sono
definibili <<principi>>.
I principi sono capaci di chiarire deontologicamente i diritti fondamentali dellordinamento e le
decisioni dei giudici che diventano cos oltre che ragionevoli (o razionali) anche giuste.
Con ci, si riesce a mantenere saldo anche il rapporto tra politica e diritto, che invece Kelsen
rinnega e cerca di scindere a priori.
I principi dovrebbero, secondo Dworkin, trovare applicazione e fungere da una sorta di
legittimazione delle norme stesse, svolgendo per le norme una vera e propria funzione
normativa, insomma.

Una puntualizzazione per va fatta sulla teoria di Dworkin: v comunque da stare attenti a
non appiattire i diritti fondamentali dellordinamento con i principi, e lordinamento stesso deve
essere sempre sottratto alle influenze arbitrarie dettate dalle passioni politiche, dagli interessi
personali e dai pregiudizi, perch cos facendo si aumenterebbe solo il livello di pericolosit
dellattivit discrezionale del giudice, e si minerebbe alla stessa nostra cara democrazia.
Norme costitutive. Le norme costitutive sono quelle che derivano dallapplicazione degli atti
linguistici c.d performativi, di quelle proposizioni analizzate in alcuni lavori di filosofi morali
come Austin.
Secondo Austin, infatti, ci sono norme che forniscono un modello di condotta o di
comportamento e il loro effetto dipende dal comportamento che segue, o che non potrebbe
seguire, la prescrizione;vi sono, poi, altre norme che costituiscono, determinano, istituiscono
direttamente il proprio effetto. Queste ultime sono, appunto, le norme sostitutive.
Esse, sono quindi norme la cui struttura normativa non dipende da comportamento, e che
producono perci sempre e comunque un effetto immediato.
Il pericolo, per, di un modello come questo, sta nel fatto di essere troppo formalizzato,
rituale, staccato dallattivit comportamentale degli uomini.
Norma e ordinamento. Lordinamento non soltanto da cogliersi nellinsieme sistematico ed
unitario delle norme, ma lordinamento fa riferimento anche, sociologicamente e fenomeno
logicamente, a quei fatti sociali attraverso la lettura ermeneutica dei quali noi possiamo
elaborare norme.
Normativit e fenomenologia del giuridico possono coesistere: solo questo il modo pi
proficuo per capire, decifrare, afferrare la realt giuridico-sociale.
CAPITOLO VII : LA STRUTTURA DELLORDINAMENTO
Il diritto essenzialmente, svolge due funzioni: una di controllo sulle attivit individuali e sociali,
e una di mediazione integrativa delle diversit sociali.
Soprattutto ai nostri tempi, le due funzioni non possono non essere considerate come
coesistenti. E soprattutto la seconda funzione, quella di mediazione e integrazione, non pu
non compiersi se non viene integrata a sua volta da condizionamenti normativi e dalla
corrispondente pressione obbligante della sanzione.
Il diritto si distingue in quanto ordinamento dagli altri ordinamenti proprio per il suo carattere
di obbligatoriet. Obbligatoriet che solitamente viene fatta coincidere con il concetto di
sanzione (quale conseguenza che scaturisce al verificarsi di un comportamento), e soprattutto
di sanzione negativa; dovendosi ricordare, invece, che la conseguenza di un comportamento
non necessariamente prevista come negativa, ma pu anche essere positiva, favorevole, di
tipo ad es. promozionale.
Ma la coincidenza tra obbligatoriet e sanzione negativa frutto della estesa applicazione che
questa ha avuto durante l800 e la formazione degli Stati liberali, e per capirla meglio non pu
non richiamarsi la teoria formulata da Kelsen che riguarda il rapporto tra illecito e sanzione.
Illecito e sanzione. Il principio di imputazione, cos come quello di causalit, di per s
qualificativo del mondo giuridico. E questa qualificazione la coglie bene Kelsen nel rapporto tra
fatto e conseguenza, in cui il fatto lillecito e la conseguenza la sanzione (negativa).
Kelsen si esprime con questo giudizio: <<se A, deve essere B>>, dove A lillecito e B la
sanzione. Con ci per, bisogna tener presente che pur essendo cos cronologicamente disposti
gli elementi, in realt proprio B a qualificare A, e quindi proprio la sanzione prevista e
formulata dallordinamento a seguito di quellillecito, a qualificare il fatto illecito in quanto tale.
Ed questo che spiega poi anche la teoria per cui Kelsen considera come primarie le norme
sanzionatorie.
Il principio di imputazione, comunque, si distingue da quello di causalit, perch questultimo
lega i fatti e le conseguenze da un rapporto diverso, perch le conseguenze dei fatti accadono
in maniera ovvia, necessaria, quasi potremmo dire naturale. E ci a differenza del principio di
imputazione, il quale non a caso costituito da un elemento distintivo (esaltato dalla stessa
teoria kelseniana): lartificialit.
Ora, la teoria kelseniana non pu essere approvata totalmente. O meglio, pu essere
approvata ma non bisogna ridurre il diritto e tutto lordinamento ad una funzione meramente
sanzionatoria. In tutto questo, la teoria di Kelsen da ritenersi comunque utile al fine della
comprensione del diritto, e c da notare che per quanto essa sia riduzionista comunque una
teoria frutto di un contesto storico-sociale influenzato da una matrice filosofico politica quale
quella dello Stato liberale.

Mentre, gi la teoria di Hart pu considerarsi pi completa, ma ci perch Hart vive uno Stato
imprescindibile dal concetto di democrazia, in uno Stato di fine 800, dove meglio poteva
discutersi di temi quali, ad esempio, accettazione delle norme, societ sana, moralit positiva,
ecc.
Per quanto riguarda Kelsen, comunque si pu dire che la funzione sanzionatoria che pone come
centrale comunque utile al fine della qualificazione del diritto, ma non sufficiente, perch
importante il principio di imputazione, ma la forza un elemento, e non lelemento del
diritto.
Ma a soccorso di quanto detto utile richiamare non solo la teoria hartiana, ma anche le c.d.
sanzioni positive.
CAPITOLO VIII : FUNZIONE E FUNZIONI DEL DIRITTO
La funzione di mediazione del diritto importante ai fini della qualificazione dello stesso.
Essa mira a realizzare, a sua volta, unulteriore funzione, quale quella minimale dellordine o
della pace sociale, come semplice assenza di conflitti, come armonia positiva.
E lordine anche dato dal consenso dei consociati e dallapplicazione di elementi quali forza e
sanzione, disciplinandosi cos la dinamica sociale.
Sanzione che sia negativa che positiva.
Con la prima si fa riferimento alla conseguenza sfavorevole, spiacevole, predisposta
dallordinamento al verificarsi di un determinato fatto, quale fatto illecito.
Con al seconda, invece, si fa riferimento alla conseguenza favorevole al verificarsi di un
determinato comportamento.
La funzione promozionale del diritto e la premialit. Originariamente la funzione
promozionale del diritto nasce in Europa nei sec. XVI e XVII, con il sorgere dei c.d. Stati
moderni, e si incorpora nelle Costituzioni seguite alla rivoluzione del 1789.
A partire dagli anni Sessanta del XX sec, poi, la funzione promozionale ha trovato la pi attuale
diffusione nei nostri ordinamenti, venendo altres associata allidea della sanzione positiva.
Ma promozionalit, non da confondersi con premialit.
Con premialit, si fa riferimento ad un sistema di norme con cui si sanziona qualcosa che
avvenuto, non volendosi stimolare, invece, un qualche comportamento in alternativa ad altri
comportamenti comunque leciti e possibili (ci che invece si fa con la promozionalit). Con la
premialit, insomma, si mira essenzialmente ad incidere in modo orientativo sui costumi dei
cittadini (come accadeva un po nel diritto romano).
Con la funzione promozionale del diritto, invece, negli anni Sessanta si mirato a costruire e
diffondere il Welfare State, il c.d. Stato sociale e assistenziale, con cui si cercava di soddisfare
una funzione direttiva del diritto molto pi aperta e complessa (accostando la funzione
promozionale alle sanzioni positiva). Il modello kelseniano in quegli anni risultava insufficiente
per decifrare taluni aspetti della realt giuridico-sociale contemporanea. Da ci, quindi,
scegliendosi di passare da una concezione strutturale del diritto (Kelsen) ad una strutturalfunzionalistica, mediante soprattutto lapplicazione di sanzioni positive (anche se importante
ricordare che la funzione promozionale del diritto comprende sia sanzioni positive che
negative).
Funzione promozionale ed effettivit generale. La funzione promozionale del diritto
cammina di pari passo con il concetto di effettivit generale. Insieme, i due elementi, danno un
senso al fenomeno dello Stato interventista, dello Stato sociale, del Welfare State: cos il diritto
viene chiamato a mediare attivamente tra le istanze e i bisogni sostanziali di quanti subiscono
diseguaglianze distributive nel sistema economico capitalistico.
Effettivit generale, quindi, associata alla funzione promozionale del diritto, che si rivolge al
comportamento di tutti i consociati (Hart) e non solo al comportamento di giudici e funzionari,
altrimenti diventerebbe tutto troppo specifico e sterile.
Leffettivit di cui parliamo invece generale (appunto) e costruisce, insieme alla
promozionalit, non uno Sato di diritto liberale, ma uno Stato sociale di natura garantista ed
interventista, rivolto al concreto e alle reali esigenze di giustizia sociale.

CAPITOLO IX : LINTERPRETAZIONE
La dimensione ermeneutica di fondamentale importanza, al fine di poter comprendere il
fenomeno giuridico.
Ci perch, il fenomeno giuridico non pu vivere di sola astrazione, ma deve essere analizzato
tenendo presente anche i fatti sociali, la realt concreta e contraddittoria che lo circonda.
Il tema dellinterpretazione, del processo ermeneutico di attribuzione e riconoscimento di
significato alla norma, si pu distinguere in scientifica e autentica.
Per interpretazione scientifica si intende linterpretazione del mondo normativo a opera della
scienza del diritto. Per interpretazione autentica si intende linterpretazione che sottesa
allapplicazione del fenomeno del diritto ad opera di un organo o comunque di un soggetto.
Linterpretazione scientifica. Ai primi decenni del 900, linterpretazione dalla dottrina
tradizionale, veniva ricondotta ad una tecnica di sillogismo giudiziale: si pensava fosse possibile
attraverso un procedimento rigoroso, tecnico, dedurre sillogisticamente dalla norma giuridica
una decisione valida e necessaria.
Successivamente, poi, a partire dallEuropa continentale questa rigidit stata superata,
optandosi invece per una tecnica antiformalista, dinamica di interpretazione, tenendo presente
elementi come le libert, il contesto storico e i principi e valori fondamentali.
Esiste per un rischio in tutto questo, quello di far cadere poi il momento interpretativo
nellarea di discrezionalit dei giudici che proprio agendo liberamente possono interpretare
extragiuridicamente.
Linterpretazione scientifica quindi quella tecnica di elaborazione di norma in relazione ad un
certo ordinamento giuridico calato in un determinato contesto storico.
Questo tipo di interpretazione differisce da quella data da Kelsen, perch questultimo mira ad
elaborare una tecnica ermeneutica solo come pura, al fine di attribuire una pluralit di
significati ad una norma.
Ora, rispetto a Kelsen deve essere fatto un passo in avanti. Mentre egli riteneva solo illusoria
laspirazione a rappresentare il diritto in modo scientificamente vero, certo, univoco e
oggettivo, bisogna, invece, attualizzare continuamente questa aspirazione e calarla
contemporaneamente nella componente sociologica e realistica del diritto stesso.
Bisogna tenere sempre saldi e connessi sia il punto di vista esterno che interno: il primo
perch ci suggerisce una soluzione interpretativa, il secondo perch finalizzato a suggerire un
significato, una norma piuttosto che unaltra.
Linterpretazione autentica. Linterpretazione autentica si ha quando mediante processo
ermeneutico va a qualificarsi un determinato comportamento come normativo. Mediante
questa attivit ermeneutica si agisce allinterno dellordinamento, con la formulazione di
svariati significati che possono essere attribuiti ad una norma, ma scegliendo tra gli stessi il pi
idoneo a costruire una decisione in merito ad un caso concreto, venendo in rilievo quindi, non
solo lattivit degli organi (giudici, funzionari, legislatore) che applicano il diritto, ma anche
quella dei consociati, nelle vesti di privati cittadini.
A differenza dellinterpretazione scientifica, quella autentica non mira solo ad esporre una
pluralit di significati attribuibili ad una norma, ma mira a mettere in pratica la decisione
assunta come unica scelta, escludendo le altre scelte e calando cos nel concreto la decisione
assunta in relazione ad un determinato comportamento (che proprio in questo momento e solo
cos viene qualificato come normativo).
Le qualificazioni normative fondamentali. La norma quindi, deve essere analizzata non
solo attraverso formulazioni astratte, ma anche attraverso la funzione concreta e pratica a cui
destinata. La norma tale non solo perch fa riferimento alla fattispecie astratta, ma anche
perch poi viene applicata alla fattispecie concreta.
Una norma tale, riconosciuta come vincolante non solo quando viene emessa dal
legislatore, ma anche soprattutto quando viene assorbita dal comportamento dei consociati.
Sono proprio i consociati e i privati cittadini i destinatari principali delle norme e i loro principali
interpreti, che mantenendo comportamenti consolidati, di prassi rispetto ad una norma la
legittimano tale, la rendono efficace, operante, attiva.
Il diritto si fa ogni giorno: esso non pu essere scisso dal concetto di azione posto in essere dai
consociati, altrimenti si avrebbe una definizione formale meramente cartacea del diritto,
assolutamente inutile anche a decifrare il comportamento sociale.

Le antinomie. Allinterno dellordinamento giuridico possono crearsi delle contraddizioni fra


norme, dette antinomie.
Ora, queste antinomie possono essere risolte proprio grazie al meccanismo dellinterpretazione
e allapplicazione di determinati criteri che vigono allinterno del nostro ordinamento:
- criterio gerarchico : lex superior derogat legi inferiori; questo criterio stabilito allart
134 e 136 Cost (per cui la Cost e le leggi cost prevalgono sulla legge ordinaria), allart
117 Cost (per cui le leggi statuali prevalgono su quelle regionali di dettaglio), algli artt 4
e 8 disp. prel. c.c (per cui le leggi prevalgono sui regolamenti e questi sugli usi);
- criterio cronologico : lex posterior derogat legi priori; questo criterio stabilito allart 15
disp. prel. c.c., per cui la legge succesiva nel tempo abroga quella precedente;
- critrerio di specialit: lex specialis derogat legi generali; questo criterio viene applicato
in materi penale (art 15 c.p), per cui la norma speciale prevale su quella generale nel
per il caso specifico a cui rivolta.
Generalmente, comunque, il criterio gerarchico di norma prevalente su quello cronologico e
di specialit.
La funzione del diritto appare, quindi, connessa alla certezza dellimposizione delle direttive
comportamentali statuite legalmente.
Contemporaneamente, leffettivit di questo complesso di direttive risiede nellattivit
ermeneutica degli operatori giuridici, ma soprattutto dei consociati che individuano il diritto e lo
riconoscono come valido conformando i loro comportamenti ad esso. Qui nasce e muore la
teoria generale del diritto.

Potrebbero piacerti anche