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Sbobine diritto privato 2020

Diritto privato (Università degli Studi di Cagliari)

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Diritto Privato

Lezione 1
IL DIRITTO E LE SUE FONTI.

Il diritto si occupa di interpretare delle norme giuridiche, di ricostruire il sistema giuridico. La sua base è
ricostruire le norme giuridiche che si tratta di comprendere, interpretare e applicare. Il diritto serve per risolvere
problemi pratici. Bisogna avere come riferimento i problemi pratici che mira a risolvere il legislatore, dettando
certe regole, certe disposizioni. Quindi ha uno scopo pratico.
Il concetto di fonte del diritto emerge dal fatto che il diritto non è una cosa statica, un fenomeno statico, la
società si evolve, cambia; la realtà socioeconomica che abbiamo oggi non è la stessa che avevamo 100 anni
fa, ma non è la stessa che avevamo 20 anni fa, anzi questo rapido evolversi della società sta diventando sempre
più vorticoso, sempre più accelerato. Così come cambia la società chiaramente deve cambiare il diritto: il
diritto è specchio della società, serve per risolvere conflitti, per regolare i rapporti sociali. È chiaro che così
come cambia la società deve cambiare il diritto. Il diritto quindi non è qualcosa statico, che viene fotografato
in un certo momento, ma è un fenomeno in progress che si modifica continuamente. Quindi ci devono essere
dei meccanismi che consentono di emanare nuove norme giuridiche, che consentano al diritto e
all’ordinamento giuridico di adattarsi alle nuove esigenze.
Che cosa sono le fonti del diritto? Sono fonti del diritto tutti quegli atti o fatti che in un certo sistema giuridico,
in un certo ordinamento, hanno l’idoneità di produrre nuove norme giuridiche, quindi atti o fatti ai quali
l’ordinamento riconosce l’idoneità a produrre nuove norme giuridiche. Questa definizione che è riferita nel
concetto di fonte del diritto individua fonte o fonti di produzione appunto di norme giuridiche. Le fonti di
produzione sono in contrapposizione con un altro concetto che è quello di fonti di cognizione. Mentre la prima
formula, fonti di produzione, individua gli atti o fatti idonei a produrre norme giuridiche in un certo
ordinamento, l’altra formula fonti di cognizione si riferisce a quei documenti che sono finalizzati a divulgare
le norme giuridiche. Si pensi, per esempio alla gazzetta ufficiale italiana, nella quale vengono pubblicate,
appunto, le leggi e altri atti normativi per poter essere conosciuti dalla cittadinanza, dai consociati per poter
entrare in vigore.
Individuata la nozione di fonti del diritto, facciamo alcune considerazioni prima di vedere le fonti del diritto
italiano. Cominciamo col dire che queste fonti possono essere in termini generali, vi ho detto appunto che è
necessario prevedere dei sistemi per emanare nuove norme giuridiche, per modificare l’ordinamento.
Ovviamente questi meccanismi, questi sistemi che servono per dettare nuove regole, sono a loro volta
individuati e disciplinati da altre norme giuridiche. Vi sono cioè delle regole che stabiliscono come produrre
degli atti normativi che si chiamano leggi: nell’ Art. 70 della costituzione si è stabilito come è possibile
emanare, come il Parlamento può emanare una nuova legge. È descritto un procedimento, quindi abbiamo una
norma, l’Art. 70 della costituzione che non si occupa di disciplinare i rapporti specifici tra cittadini, ma si
preoccupa di stabilire come è possibile emanare nuove leggi. Quindi le regole che stabiliscono come si debbano
emanare adottare e creare nuove norme giuridiche. I modi attraverso i quali è possibile creare queste norme
sono appunto chiamati fonti del diritto che abbiamo detto possono essere atti o ma anche fatti. Esempi di
fonte di produzione: la legge.
Sono norme giuridiche, dette appunto leggi, tutte quelle che sono poste in essere nel rispetto di quel
procedimento legislativo descritto nella costituzione. In termini generali queste fonti possono essere divise,
classificate in varie sottocategorie. Possiamo avere fonti scritte, quelle alle quali siamo più abituati a pensare,
per esempio le leggi, ma possiamo avere anche delle fonti non scritte, vedremo che tra queste fonti non scritte
nel nostro ordinamento abbiamo le consuetudini o usi, che appunto sono fonti non scritte per definizione. È
più facile pensare alle fonti scritte, le leggi, un regolamento, una legge regionale, un regolamento europeo o la
stessa Costituzione, però tra le fonti del diritto abbiamo anche delle fonti non scritte; nel nostro caso,
l’ordinamento giuridico italiano, abbiamo le consuetudini.
Sempre nell’ambito dei tipi di fonte possiamo distinguere l’atto, forse più che legislativo che è un termine
troppo restrittivo, atto normativo, il quale si può distinguere dal precedente giudiziario; facendo riferimento
all’ atto legislativo precisa, inteso in senso ampio, inteso, appunto, come norma scritta emanata da un’autorità,
per esempio la legge emanata dal Parlamento, il decreto-legge o il decreto legislativi emanati dal Governo. Per
esempio, un decreto-legge molto recente emanato dal Governo, proprio alcuni giorni fa, è il decreto-legge in
materia di contenimento per il diffondersi del cosiddetto Corona virus; quello è un decreto-legge, un atto
normativo scritto, quindi emanato dal Governo in base ad una norma di produzione, cioè una regola stabilita
dalla Costituzione che appunto attribuisce al Governo il potere di emanare degli atti aventi forza di legge, in
questo caso il decreto-legge. Però è possibile che fonte del diritto sia anche il precedente giudiziario: è possibile
ma non è previsto in tutti gli ordinamenti. Il precedente giudiziario non è fonte del diritto nell’ ordinamento

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Diritto Privato

italiano, non almeno in senso stretto, in senso tecnico, non lo è in generale in tutti gli ordinamenti del continente
europeo, mentre lo è nei paesi anglosassoni: in Inghilterra, nonché in tutti i paesi anglosassoni quindi Stati
Uniti per esempio che hanno una diversa tradizione giuridica. Il nostro e gli ordinamenti che hanno la nostra
stessa tradizione giuridica, vengono chiamati ordinamenti di civil low, il diritto civile. Quelli invece di
derivazione anglosassone vengono chiamati ordinamenti, o sistemi giuridici di common low, diritto comune.
Nei nostri sistemi giuridici c’è una divisione dei poteri abbastanza netta per cui il giudice interpreta, applica il
diritto, il precedente giudiziario non è vincolante e le leggi, le norme vengono adottate da altre autorità: dal
Parlamento, dal Governo. Negli ordinamenti anglosassoni, che abbiamo definito ordinamenti di common low,
è invece fonte del diritto non solo l’atto normativo, emanato da un’autorità, ma anche il precedente giudiziario:
questo significa che il giudice che dovrà decidere un determinato caso pratico, non solo dovrà fare riferimento
ad atti legislativi, intesi in senso ampio, ma dovrà anche rispettare, i precedenti giudiziari.
Cosa vuol dire precedente giudiziario? Per precedente giudiziario si intende una pronuncia giudiziaria, una
sentenza che è stata già adottata da un altro giudice in un caso analogo. In questi sistemi il giudice che si trova
a decidere successivamente un caso analogo è tenuto ad attenersi a quel precedente giudiziario. Da noi non è
così anche se, questa distinzione così netta tra ordinamenti come il nostro di civil low e ordinamenti
anglosassoni cosiddetti di common low si è venuta ad attenuare, perché anche da noi il precedente giudiziario
se pur, non ufficialmente sta divenendo sempre più punto di riferimento per i giudici che si trovano a decidere
successivamente un caso pratico che è identico come caratteristiche o molto simile a un caso pratico già deciso.
Detto in altri termini non è indifferente che su un certo argomento si siano già pronunciati dei giudici. Un caso
già deciso precedentemente dai giudici tenderà a uniformarsi a quello che è l’orientamento adottato in
precedenza e ciò darà maggiore autorevolezza a questo giudice. Avremo modo di precisare che abbiamo una
divisione dell’ordinamento giudiziario e la forza di un precedente giudiziario di un giudice di pace non è la
stessa di una sentenza emanata dalla corte di Cassazione, e nell’ ambito della gerarchia delle autorità giudiziarie
certamente la Cassazione ha un’autorevolezza diversa da quella che può avere il giudice di pace. Quindi
dicevo, precedente della Cassazione sicuramente il giudice che si troverà a decidere successivamente un caso
simile ci penserà svariate volte prima di discostarsi da quella che è la decisione assunta dalla Cassazione e se
proprio riterrà di doverlo fare dovrà avere ottimi motivi per farlo e motivare, argomentare in maniera efficace
la sua decisione, anche perché in caso contrario la sua sentenza potrà essere impugnata di fronte al giudice
superiore e infine se ancora la decisione non fosse conforme con quella della Cassazione, a prescindere non
fosse soddisfacente, per una delle due parti, si potrà arrivare di nuovo sino alla Cassazione e se non ci sono
valide ragioni difficilmente la Cassazione si discosterà da quello che era la linea adottata in precedenza.
Come si stabilisce quali sono le fonti di un certo ordinamento giuridico? Ciascuno ordinamento giuridico
stabilisce come devono essere adottate le norme giuridiche che fanno parte del medesimo. Le norme che
stabiliscono come devono essere adottate le regole che fanno parte di quell’ordinamento giuridico vengono
chiamate norme di produzione perché sono norme che stabiliscono come debbono essere adottate e come
possono essere emanate nuove norme giuridiche. Abbiamo visto per esempio che una norma di produzione è
l’Art. 70 della Costituzione che si stabilisce come vengono adottate le nuove leggi. Anche queste chiaramente
sono sempre norme giuridiche. Essendo regole che stabiliscono come si debbano emanare le norme, sono
ovviamente sono dirette a destinatari qualificati, non saranno dirette a singoli cittadini ma saranno dirette alle
autorità deputate a emanare norme giuridiche: per esempio saranno dirette a un Parlamento, se parliamo di
leggi, saranno diretti al Governo, se disciplinano gli atti aventi forza di legge che possono essere emanati dal
Governo, cioè i decreti-legge e i decreti legislativi.
Possiamo dare una sintetica definizione di ordinamento giuridico: questa formula “ordinamento giuridico”
ricorre anche svariate volte nell’ambito del codice civile e anche in altri corpi normativi. È una formula che ha
un significato diciamo analogo che è alternativa a quella di diritto. Possiamo dire che il complesso delle norme
giuridiche che disciplinano l’organizzazione e la vita di comunità e in particolar modo diciamo delle comunità
statuari, quindi degli stati, questo complesso di norme giuridiche viene definito ordinamento giuridico.
Ordinamento giuridico, quindi ordine, questa parola ordinamento richiama anche l’idea che questo complesso
di regole non sia un agglomerato uniforme prive di qualsiasi logica, ma sia un insieme ordinato di norme
giuridiche che abbiano una loro logica complessiva, una logica di insieme. Un ordinamento è un insieme di
regole, di norme giuridiche coordinato. Ecco il termine ordinamento da ordine. Queste regole giuridiche che
fanno parte dell’ordinamento giuridico, per esempio dell’ordinamento giuridico italiano, sono solo quelle
norme emanate in base alle regole di produzione, in base alle fonti del diritto italiano. Fanno parte di
quell’ordinamento solo quelle norme create in base alle regole che quell’ ordinamento detta per la creazione
delle norme giuridiche. Detto in altri termini, è chiaro che è una norma giuridica dell’ordinamento francese,
dell’ordinamento australiano, è una norma giuridica dell’ordinamento australiano, come in quello francese, ma

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non è norma giuridica nell’ ordinamento giuridico italiano, perché nell’ ordinamento giuridico italiano, nel
diritto italiano fanno parte appunto dell’ordinamento giuridico italiano solo quelle norme che sono create in
base al sistema al sistema delle fonti del diritto italiano. Qua c’è anche un principio di relatività del diritto,
relatività degli ordinamenti giuridici, tendenzialmente hanno una validità circoscritta al territorio dello stato
appunto e quindi alla comunità riconducibile a quello stato.
Questa formula “ordinamento giuridico” è presente anche in varie norme del nostro ordinamento giuridico e
in particolar modo ne cito alcune: per esempio, compare la formula ordinamento giuridico nell’ articolo 10
della Costituzione, quindi non stiamo parlando di concetti solo di creazione, teorica, ma di nozioni che sono
anche concretamente contemplate da disposizioni specifiche; appare nell’ articolo 2 delle preleggi, appare
ancora in una norma che si occupa della proprietà, che definisce il diritto di proprietà l’articolo 832 e poi
appare per esempio, compare anche in una norma che si occupa del contratto, l’ articolo 1322 del codice civile.
Esaminiamo quali sono le fonti del diritto italiano.
L’elenco delle fonti non è un elenco definitivo, lo troviamo nell’ articolo 1 delle disposizioni preliminari del
codice civile. Che cosa sono queste disposizioni preliminari del codice civile? Diciamo che nello stesso
momento in cui venne emanato il codice civile con un regio decreto, vennero dettate anche una serie di norme
che in qualche modo erano propedeutiche rispetto al codice civile, un gruppo di norme piuttosto esiguo, al
quale venne dato appunto il titolo disposizioni preliminari al codice civile. Fisicamente le trovate subito prima
del codice civile; vengono chiamate oltre che disposizioni preliminari, cd preleggi. (cd vuol dire cosiddette).
L’ articolo 1 appunto indica queste fonti, fa un elenco di queste fonti del diritto e attribuisce appunto la
qualifica di fonte del diritto alle leggi, ai regolamenti, alle norme corporative e usi. Quindi sono fonti del diritto,
in base all’ articolo 1 di queste disposizioni preliminari, le leggi, i regolamenti, le norme corporative e gli usi.
Seconda parte
Domanda: Secondo voi perché la Costituzione, i nostri costituenti hanno stabilito che per modificare la
costituzione non sia sufficiente la maggioranza semplice? Collega: memori di quello che era successo con lo
Statuto Albertino che non essendo appunto rigida, non essendo prevista la maggioranza qualificata, è stato
modificato a piacimento. Corretto, in generale possiamo dire che siccome si tratta delle regole del gioco, quindi
di regole fondamentali che devono essere pesate, servono proprio per garantire che si giochi correttamente, un
campo di regole prestabilite, sennò diventerebbe una giungle; è come se ad un certo punto, nell’ambito di una
partita di calcio potessero essere modificate le regole di gioco ogni volta e magari anche durante la partita:
capite bene che non sarebbe sicuramente un modo corretto di procedere. E allora non era possibile, si è ritenuto
non fosse possibile consentire alla maggioranza di turno, quella che cioè esce dalle urne, di poter modificare
le regole del gioco in maniera diciamo discrezionale. Per modificare le regole del gioco è necessaria una
maggioranza più ampia, e ciò costituisce una garanzia, cioè che la modifica non sia, questo serve per evitare
che la modifica non serva o non sia finalizzata solo a tutelare gli interessi di parte, ma sia realmente finalizzata
a tutelare gli interessi della collettività. Vi sono comunque tutta una serie di principi e di regole che sono
comunque immodificabili, innanzitutto non è modificabile la forma repubblicana, e comunque la Corte
Costituzionale ritiene che non siano modificabili le norme che si occupano dei diritti fondamentali dei
cosiddetti diritti di libertà. Queste regole non sono suscettibili di essere modificate neanche attraverso leggi di
revisione Costituzionali, cioè neanche con quelle maggioranze che abbiamo dettato prima. Ci dovrebbe essere
una vera e proprio rivoluzione per modificare queste regole, dovranno passare da una Repubblica a una
Dittatura per esempio. I diritti di libertà sono costituiti dall’impossibilità di divieto di poter essere sottoposti a
limitazioni alla libertà, se non ci fosse una regola di questo genere potrebbe accadere, come accade in altri
paesi, che qualsiasi cittadino, purché sia sospettato, venga sottoposto a reclusione in attesa che un qualche
giudice prima o poi decida se effettivamente merita di essere sottoposto a restrizione alla libertà personale
oppure no. Da noi fortunatamente non è così: la restrizione della libertà personale può essere adottata solo nel
caso previsto dalla legge e solo a seguito di un provvedimento del giudice.
Questa rigidità cioè la necessità che la Costituzione venga modificata attraverso maggioranze qualificate,
assicura appunto il primato della Costituzione rispetto alle altre fonti; perché la Costituzione non può essere
modificata se non attraverso quei procedimenti, ma ancora le norme giuridiche di rango inferiore, non possono
dettare regole incompatibili con la Costituzione. Se il Parlamento dovesse adottare una norma che non è
compatibile con una norma Costituzionale, ed è quindi incompatibile con la Costituzione quella norma sarebbe
incostituzionale. Cosa vuol dire incostituzionale? Significa che un organo specifico che si chiama Corte
Costituzionale, potrebbe appunto rilevare questo contrasto, dichiararla incostituzionale, e sostanzialmente una
volta che la norma viene dichiarata incostituzionale è come se non fosse mai esistita nel nostro ordinamento
giuridico, cioè viene annullata, viene eliminata dal nostro ordinamento giuridico. L’ organo che appunto è
deputato ad accertare questo contrasto è la Corte Costituzionale, cioè l’incostituzionalità non può essere

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accertata da qualsiasi giudice, ma deve essere accertata appunto da un organo che si chiama Corte
Costituzionale.
Le altre fonti che meritano un richiamo per la loro importanza nell’ ordinamento italiano, sono le cosiddette
Fonti Comunitarie. Abbiamo una norma che consente appunto che altre norme non emanate dalle autorità
Italiane possano entrare a far parte dell’ordinamento giuridico italiano. La disposizione Costituzionale che
consente questo è l’Art. 11 della Costituzione, questo principio è affermato dall’Art. 11 della Costituzione,
che stabilisce che l’Italia consente, in condizioni di parità con gli altri stati, limitazioni ai propri poteri,
necessari a costituire un ordinamento giuridico internazionale che assicuri la pace e la giustizia fra le nazioni.
Questa norma Costituzionale ha consentito all’ Italia di entrare a far parte dell’ONU, e costituire l’UE. Infatti,
non è giusto dire l’Italia ha aderito all’UE, poiché in realtà l’Italia ha costituito l’UE, è uno dei paesi fondatori
della comunità dell’Unione Europea. Aderendo all’UE ha accettato delle indicazioni di sovranità, cioè ha
accettato che possano entrare a far parte del suo ordinamento giuridico anche delle regole emanate dall’UE,
queste regole, le cosiddette Fonti Comunitarie sono di vario tipo:
1. Trattati dell’UE, definiscono l’assetto istituzionale, quindi l’organizzazione dell’UE, e attribuiscono al
contempo all’Unione il potere di emanare degli atti normativi che hanno efficacia nell’ambito degli
ordinamenti giuridici degli Stati membri dell’Unione, quindi anche dell’Italia.
2. I Regolamenti sono degli atti che sono adottati dalle istituzioni comunitarie e sono immediatamente applicabili
negli Stati membri. Quindi abbiamo delle norme giuridiche che non sono emanate dalle autorità italiane, sono
emanate da organi che fanno parte dell’UE, ma entrano immediatamente a far parte dell’ordinamento giuridico
italiano, e quindi sono immediatamente operativi nell’ ordinamento giuridico italiano. Cosa accade se un
regolamento comunitario detta una regola che è incompatibile con una norma contenuta in una legge ordinaria?
Questo contrasto viene risolto a favore fonte interna o a favore del regolamento comunitario? Viene risolto a
favore del regolamento comunitario, quindi il giudice è tenuto a rispettare il regolamento comunitario e a
dettare una sentenza, emanare una sentenza che rispetti, che applichi il regolamento comunitario difforme
rispetto alla legge. La legge interna contrastata dal regolamento comunitario viene disapplicata dal giudice.
3. Le Direttive sono fonte operativa nell’ambito dell’ordinamento giuridico italiano, in generale dell’ordinamento
degli Stati appartenenti all’Unione, operano in maniera molto diversa. Qui si usa un sistema un po’ più
morbido, la finalità di queste disposizioni comunitarie è quello di rendere sempre più omogenei gli ordinamenti
giuridici dei vari Stati che appartengono all’Unione. Perché l’Unione si rafforzi sempre di più è necessario che
gli Ordinamenti Giuridici dei vari Stati che appartengono all’Unione siano il più possibile vicini. Questa
finalità può essere raggiunta attraverso due casi distinti: o attraverso i regolamenti, oppure attraverso un
sistema un po’ più soft, rappresentato dalle direttive. Le direttive vengono emanate dall’unione europea. Sono
delle regole che hanno carattere generale ma non sono destinati a operare immediatamente in Italia, devono
essere recepite dall’Ordinamento Giuridico Italiano attraverso dei meccanismi; questo recepimento non è una
ratifica, non è esatto parlare di ratifica. L’Ordinamento Giuridico deve emanare a sua volta una legge con la
quale recepisce la direttiva, e nel recepirla detta delle regole più specifiche, perché la direttiva lascia dei
margini di discrezionalità, detta dei principi di carattere generale, ma poi lascia tutta una serie di aspetti che
devono essere riempiti di contenuto dallo Stato italiano. Quindi l’operazione di recepimento, non è
un’operazione meccanica, ma è un’operazione che richiede una certa discrezionalità, questo significa che a
parità di direttiva, avendo la direttiva x, le normative di recepimento dei vari Stati, non saranno identiche,
quindi noi potremo avere in Francia una normativa di recepimento di quella direttiva che dice una certa cosa,
in Italia una normativa di recepimento dice una cosa leggermente diversa, il tutto però nel rispetto dei principi
fondamentali contenuti nella direttiva stessa.

Lezione 2
IL DIRITTO E LE SUE FONTI

Riprendiamo le ultime cose viste ieri. Fra i concetti fondamentali richiamati vi è quello di ordinamento
giuridico, voglio farvi qualche esempio che può essere per voi più semplice da cogliere: anche il mondo dello
sport è regolato da un proprio ordinamento giuridico, ordinamento giuridico sportivo, costituito dal diritto
sportivo, un insieme di regole che disciplina l’esistenza e il funzionamento di questa comunità.
La differenza fra l’Ordinamento giuridico sportivo (o altri ordinamenti di questo genere) e l’ordinamento
giuridico dello Stato sta in questo: mentre l’Ordinamento giuridico dello Stato non deriva la sua legittimazione
da un’altra autorità superiore o da un altro ordinamento giuridico, l’ordinamento sportivo invece deriva la sua
legittimazione, ovvero la possibilità di esistere, da un ordinamento posto in posizione superiore ad esso ( lo
Stato oppure l’ordinamento giuridico internazionale) che attribuiscono a dei soggetti che fanno parte del

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Diritto Privato

mondo sportivo (società, enti e così via) la possibilità di dettare un proprio mondo di regole, un insieme di
regole destinato a disciplinare il funzionamento e la vita di questa comunità sportiva come ad esempio il CONI
o la FIFA.
Quindi si dice che l’ordinamento giuridico dello Stato è un ordinamento originario, nel senso che la sua
legittimazione non affonda le radici su un’autorità superiore, su un altro ordinamento giuridico ma è originario.
È un ordinamento giuridico originario per esempio, anche l’ordinamento giuridico internazionale. Oltre lo
Stato, infatti abbiamo:
• l’ordinamento giuridico internazionale,
• l’UE che ugualmente ha un suo ordinamento giuridico,
• diritto canonico è l’Ordinamento giuridico della chiesa, cioè di tutti gli appartenenti alla comunità
ecclesiastica.
Le norme nelle quali compare questa locuzione di ordinamento giuridico principali sono:
1. innanzitutto, l’Art. 10 della Costituzione: “L'ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del
diritto internazionale generalmente riconosciute. La condizione giuridica dello straniero è regolata dalla
legge in conformità delle norme e dei trattati internazionali.” Questa è una norma che ci interessa anche
perché chiarisce o costituisce il punto di partenza dei rapporti fra il diritto italiano, l’ordinamento giuridico
italiano e l’ordinamento giuridico internazionale, c’è un collegamento nel senso che l’ordinamento
giuridico italiano non è un qualcosa di isolato ma è collegato all’ordinamento giuridico internazionale e
l’Italia riconosce il principio del diritto internazionale e si adegua agli stessi. Questa è una garanzia perché
evita che un Parlamento poco attento possa dettare delle regole che siano non conformi a quelli che sono
i principi ormai acquisiti del diritto, principi che appunto fanno parte dell’ordinamento giuridico
internazionale. Quindi questo collegamento ci garantisce o ci può garantire, di evitare pericolose delibere
verso le dittature per esempio.
2. L’Art. 1322 C.c., norma in materia di contratti, rubricata autonomia contrattuale; (la rubrica è il titoletto
dell’Art., tutti gli Art. del codice civile, delle leggi ben fatte hanno sempre una rubrica); dice: “Le parti
possono liberamente determinare il contenuto del contratto nei limiti imposti dalla legge e dalle norme
corporative. Le parti possono anche concludere contratti che non appartengano ai tipi aventi una
disciplina particolare, purché siano diretti a realizzare interessi meritevoli di tutela secondo
l'ordinamento giuridico.”
Ho voluto farvi queste due precisazioni, sia quello dell’ordinamento giuridico sportivo, sia questi altri esempi
di richiami normativi al concetto perché così ho pensato potesse servire per farvi capire l’importanza di questo
concetto e quindi memorizzarlo meglio.
Tornando alle fonti, collegando il concetto di ordinamento giuridico al concetto di fonte, possiamo anche dire
che l’ordinamento giuridico è costituito da quell’insieme di norme create da un sistema di fonti (fonti
normative, fonti del diritto) legittimate a creare norme in quel determinato sistema giuridico, e questo insieme
di norme serve per garantire la pacifica convivenza tra i cittadini e il funzionamento della comunità. quindi
sarà costituito sia da norme, che disciplinano i rapporti fra i singoli cittadini, ma anche da norme che
individuano quali sono gli organi di quella comunità, (nel caso nostro il Parlamento, il Governo, il Presidente
della Repubblica, la Magistratura) quindi individuano gli organi, i rapporti tra questi organi e infine
disciplinano anche i rapporti fra le autorità, lo Stato e i cittadini stessi.
La nostra Costituzione, la Carta Costituzionale, è connotata da due caratteri che possiamo denominare con la
formula lunghezza o ampiezza, e poi resistenza e rigidità. Il primo carattere in che cosa consiste? Perché si
dice che la costituzione è lunga o ampia? Ampia perché regolamenta tante cose, non si occupa solo di stabilire
quali sono i poteri dello Stato; quali sono le competenze e i rapporti anche fra i poteri dello Stato, nel caso di
eventuali conflitti che si possono creare, i conflitti fra Parlamento e Governo (se ne creano frequentemente),
talvolta i parlamentari lamentano che il Presidente della Repubblica assuma posizioni politiche che non gli
competono, che invada i campi di competenza che non gli sono propri, e viceversa può accadere che, anzi
accade molto spesso tra Governo e Parlamento. Non parliamo poi dei rapporti fra politica e Magistratura, dove
le accuse di invasione di campo della politica nei confronti della Magistratura, specialmente in certi periodi
storici erano all’ordine del giorno. Quindi non solo la Costituzione si occupa di questi profili, come tutte le
Costituzioni, (anche lo Statuto Albertino, che era la Costituzione dello Stato del Regno d’Italia ed è rimasto in
vigore fino al 1948) ma anche dei rapporti, dei diritti dei cittadini nei confronti dei poteri dello Stato, quindi
tutela i cittadini nei confronti di eventuali abusi di potere da parte dello Stato. Abbiamo visto che queste regole
che si occupano dei diritti, delle libertà fondamentalmente dei cittadini, nei confronti dello Stato, hanno poi
anche delle ricadute in quelle che vengono denominate relazioni orizzontali, cioè hanno delle ricadute anche
nei rapporti fra i singoli cittadini. Esempio: vi è una norma che tutela il diritto alla salute, l’Art. 32, la quale

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Diritto Privato

prevede che il diritto alla salute sia uno dei diritti fondamentali della persona; questa è una norma che
principalmente è stata pensata per disciplinare e tutelare il diritto alla salute del cittadino nei confronti dei
poteri statali. Questa stessa disposizione ha consentito anche di stabilire che qualora un individuo subisca un
danno che lede la sua integrità fisica, che subisca un danno a seguito del comportamento di un altro individuo,
ha diritto al risarcimento del danno alla salute; danno alla salute che più specificamente viene chiamato danno
biologico.
L’ altro aspetto riguarda la resistenza che indica che la Costituzione è una fonte gerarchicamente sovraordinata,
che prevale sulle fonti di rango inferiore. non a caso, quando io vi ho indicato le fonti del diritto italiano ve le
ho indicate in un certo ordine, perché quell’ordine rappresenta, l’ordine gerarchico nel quale sono disposte le
fonti, del diritto italiano, nell’ordine di forza.
La Costituzione appunto è al vertice. La resistenza si esprime in
concreto sotto due profili:
1. non si possono modificare le norme costituzionali con
normali maggioranze con i quali si approva una legge.
Quali maggioranze normali per approvare una legge? È sufficiente
la maggioranza stabilita dall’Art. 64 della Costituzione; la
Costituzione si occupa anche delle modalità attraverso le quali si
approva una legge; gli articoli 70 e seguenti prevedono chi ha
competenza appunto ad approvare la legge, come la legge si
approva, viene promulgata ecc. L’Art. 64 indica quali sono le
maggioranze: è necessario che siano presenti almeno la metà più
uno dei Parlamentari di ciascuna Camera e poi la legge viene approvata a maggioranza semplice dei presenti.
Quindi due maggioranze: un primo quorum attiene al fatto che l’assemblea sia validamente costituita, ci deve
essere almeno il 50 % + 1 dei rappresentanti della Camera dei Deputati e al Senato dai Senatori e poi però dei
presenti almeno la metà 50%+1 deve votare favorevolmente. Con questa maggioranza si può approvare una
legge, ma non si può modificare la Cost. Per modificare la Costituzione, è necessaria una legge di revisione
Costituzionale che prevede un procedimento aggravato, quindi un procedimento più complesso per la modifica
delle norme costituzionali. Questo procedimento è descritto nell’ Art. 138. Procedimento abbastanza articolato
che prevede vari casi.
2. L'altro profilo della resistenza risiede nel fatto che le norme di rango inferiore debbono rispettare la
Costituzione, se non la rispettano, non rispettano le norme costituzionali, queste norme sono illegittime,
devono essere dichiarate incostituzionali, la dichiarazione di incostituzionalità comporta l’annullamento
con efficacia retroattiva di quella norma dichiarata incostituzionale.
Quindi una volta che viene accertata la sua incostituzionalità, quella norma viene espulsa dall’ordinamento,
ma non dal momento in cui viene accertato che sia incostituzionale, ma con effetto retroattivo, come se non
fosse mai esistita nell’Ordinamento. Quindi non si applica neanche alle vicende, ai fatti che si sono verificati
prima della dichiarazione di incostituzionalità: è come se venisse riavvolto il nastro dall’inizio e cancellato,
quindi quella norma è come se non fosse mai esistita nell’ordinamento. C’è un limite che è quello delle
sentenze eventualmente già passate in giudicato, cioè il fatto è stato accertato, disciplinato, è stato deciso in
base a una sentenza e questa sentenza è già stata giudicata. Cosa intende per passato in giudicato? È un
argomento che esamineremo quando parleremo delle prove. In sintesi, il passaggio in giudicato passa in
giudicato la sentenza quando non può più essere eliminata perché sono decorsi i termini per poterla contestare.
Qualsiasi sentenza fino a quella di Cassazione può essere contestata di fronte a un giudice di grado superiore,
ma ci sono i termini per contestarla. Quando questi termini sono scaduti, la sentenza passa in giudicato e quindi
non può più essere contestata. Fra le parti, ha forza di legge, nel senso che ormai è cosa giudicata e non può
più essere messa in contestazione.
Riprendendo rapidamente le fonti comunitarie abbiamo un fenomeno: noi abbiamo delle norme che non sono
adottate, cioè che fanno parte dell’ordinamento giuridico italiano ma che non sono approvate da autorità, da
poteri italiani, che fanno parte appunto dello stato italiano, ma nella fattispecie provengono da autorità che
fanno parte dell’UE. Come è possibile questo fenomeno? Allora innanzitutto va detto che questa possibilità
trova legittimazione in una norma costituzionale. L’Art. 10 della Costituzione fa riferimento all’ordinamento
giuridico internazionale, l’Art. 11 è la norma più appropriata riguardo all’argomento che stiamo esaminando:
ci interessa la seconda parte, la prima parte diciamo si occupa della Guerra, la seconda parte dell’Art. 11 dice
che l’Italia consente, in condizioni di parità con gli altri stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un
ordinamento che assicuri la pace, la giustizia fra le nazioni, promuove e favorisce le organizzazioni
internazionali rivolte a tale scopo. Perché ci interessa? L’Italia può consentire, in condizioni di parità alle

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limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento giuridico che assicuri ecc.… Quindi è possibile che
l’Italia aderisca a organizzazioni internazionali, cosa che l’Italia ha fatto in alcuni casi, la NATO, l’ONU, Nel
caso che ci interessa l’UE, cedendo a condizione di parità con gli altri Stati, una parte della sua sovranità e in
questo caso, quindi consentendo e attribuendo all’UE il potere di emanare delle norme che hanno efficacia nel
nostro ordinamento giuridico. Ieri vi ho detto che innanzitutto sono fondamentali ai nostri fini i Trattati
dell’UE. i 2 Trattati quello sull’UE, quello sul funzionamento dell’UE, e la Carta Costituzionale dei diritti
fondamentali è come se fossero la Costituzione Europea. Per quanto riguarda le norme che entrano nel diritto
italiano, a parte i Trattati che hanno comunque la loro rilevanza, abbiamo due fonti: i regolamenti e le direttive.
I regolamenti sono atti normativi adottati dall’organo dell’UE, che sono immediatamente efficaci, ed entrano
a far parte dell’ordinamento giuridico italiano. L’ altro tipo di fonte che opera nell’ ordinamento giuridico
italiano è rappresentata dalle direttive che costituiscono un meccanismo molto utilizzato nel diritto privato. In
questo caso il legislatore dell’Unione non detta una regola che immediatamente operativa negli ordinamenti
giuridici dei vari Stati appartenenti all’UE, ma appunto detta una direttiva che ha come destinatari qualificati
gli organi dei singoli Stati che debbono emanare norme nel singolo ordinamento giuridico, quindi nel caso
nostro ha come destinatario il Parlamento, il quale dovrà recepire la direttiva comunitaria. Recepire non vuol
dire ratificare in maniera asettica e supina questa direttiva, ma recepire comporta comunque una attività che
implica una certa discrezionalità. La direttiva lascia degli spazi, indica degli obiettivi da raggiungere, detta
delle regole di massima e poi lascia allo Stato il recepimento di questa direttiva nel rispetto di quelli che sono
gli obiettivi indicati nella direttiva stessa, l’importante è che quella normativa di recepimento sia in grado di
realizzare quegli obiettivi, tanto che normalmente le direttive sono precedute da tutta una serie di
considerazioni, cioè una serie di punti nei quali si individuano gli obiettivi che la direttiva intende perseguire;
poi detta una serie di regole di massima, alcune delle quali appunto devono essere rispettate da tutti gli Stati,
per il resto lascia lo spazio di manovra.
Le normative con le quali i singoli Stati recepiscono le direttive quindi saranno diverse, perché possono essere
recepite in maniera diversa, sfruttando quel margine di discrezionalità che la direttiva lascia. Gli obiettivi da
raggiungere sono gli stessi, ma possono essere raggiunti in maniera diversa, sfruttando i margini di
discrezionalità che la direttiva lascia agli Stati membri. In questo caso la finalità di queste fonti comunitarie è
sempre quella di realizzare la maggiore omogeneità possibile dei vari ordinamenti giuridici nazionali. Questa
armonizzazione si può realizzare attraverso due meccanismi: un meccanismo un po’ invasivo che è quello dei
regolamenti, detta una regola che deve essere applicata in maniera uguale, identica che entra immediatamente
in maniera identica in tutti gli ordinamenti giuridici degli Stati dell’unione, oppure attraverso un meccanismo
più morbido, più soft le direttive.
Seconda parte
Come vengono recepite in Italia le direttive comunitarie, le direttive dell’UE? L’Italia era spesso in ritardo nel
recepimento delle direttive europee, questo comportava l’applicazione di sanzioni economiche pesanti perché
la direttiva prevede al suo interno il termine per il suo recepimento, e stabilisce anche che qualora questo
termine non venga rispettato, allo Stato che viola la regola sia applicata una sanzione economica. Siccome
l’Italia stava costando molto per questo ritardo di percepimento delle direttive, è stata emanata una legge che
ha istituito un meccanismo di recepimento annuale delle direttive. Questo meccanismo sostanzialmente
consiste in questo: tutti gli anni viene emanata una legge, cosiddetta legge comunitaria annuale che serve per
il recepimento delle direttive emanate in precedenza, quindi generalmente le direttive emanate nel corso
dell’anno o nell’ anno precedente che ancora non sono state recepite. È una legge emanata dal Parlamento, con
questa legge delega il Governo a emanare a sua volta un decreto legislativo con il quale recepisce le direttive.
Quindi il meccanismo è questo:
direttiva legge comunitaria annuale, con la quale il Parlamento delega il Governo emanare il decreto
legislativo recepimento delle direttive.
Oltre la Costituzione, abbiamo anche le leggi Costituzionali. Sono leggi che si affiancano alla costituzione,
non la modificano ma aggiungono altre norme di rango costituzionale, invece le leggi di revisione, modificano
norme che già fanno parte della Costituzione.
La Costituzione ha previsto anche delle nuove fonti, che prima non erano previste che sono le leggi regionali,
Art. 117 Costituzione; peraltro l’Art. 117 è stato oggetto di una profonda modifica che ha un po’ ribaltato le
ripartizioni di competenza fra stato e regioni, nel senso che attualmente le regioni possono legiferare in
qualsiasi materia, fatta eccezione delle materie che invece sono riservate espressamente allo stato e alcune altre
materie che invece per le quali la competenza è ripartita fra stato e regioni.
Altra fonte primaria, che sta subito sotto la Costituzione, e i regolamenti, la legge e gli atti avente forza di
legge. La legge è emanata dal Parlamento, il potere legislativo spetta al Parlamento; però talvolta questo potere

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eccezionalmente può essere esercitato dal Governo e abbiamo due casi: uno è quello dei decreti legislativi e
l’altro è quello del decreto-legge. I decreti legislativi sono previsti dall’Art. 76 della Costituzione, il decreto-
legge dall’Art. 77. In questo caso si parla di atti avente forza di legge, perché si parla di atti avente forza di
legge? Perché la legge in senso tecnico è quell’atto che è emanato dal Parlamento, rispetto a dei procedimenti
previsti per l’emanazione della legge: quindi l’articolo 64 della Costituzione e gli articolo 70 e seguenti e i vari
regolamenti parlamentari. Tuttavia, nei casi eccezionali che abbiamo visto, anche il Governo può emanare
degli atti che hanno la stessa forza della legge, quindi si parla di atti avente forza di legge. La distinzione viene
anche indicata utilizzando la formula legge in senso formale e legge in senso materiale, nel senso che la legge
in senso formale sarebbe solo quella emanata dal Parlamento; ma diciamo la formula legge e atti avente forza
di legge rende sicuramente l’idea.
Altro aspetto che va sottolineato, che ci sono delle materie che debbono essere necessariamente regolamentate
attraverso una legge, e per legge intendo legge o atto avente forza di legge. Diciamo materie particolarmente
delicate, per esempio la materia penale che deve essere disciplinata necessariamente attraverso questo tipo di
fonte normativa, per una questione libera del cittadino, non è possibile prevedere nuovi reati se non attraverso
un atto o una legge, atto avente forza di legge: in questo caso si parla di riserva di legge. Esempio articolo 25
della Costituzione: “nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima
del fatto commesso. Nessuno può essere sottoposto a misure di sicurezza se non nei casi previsti dalla legge”.
Come vedete questa è una materia riservata alla legge, ed è una regola di civiltà che serve per evitare che una
materia così delicata come quella della privazione della libertà personale, possa essere disciplinata da soggetti
diversi dal Parlamento, che sono appunto i rappresentanti della cittadinanza eletti dal popolo.
Abbiamo poi delle fonti subordinate i regolamenti. Questi regolamenti sono atti normativi che sono emanati
da enti di vario tipo (per esempio dagli enti locali) abbiamo i regolamenti regionali, regolamenti provinciali,
regolamenti comunali, abbiamo i regolamenti universitari per esempio l’ateneo di Cagliari ha tantissimi
regolamenti, regolamenti della CONSOB, abbiamo anche i regolamenti emanati dal Governo. Sono degli atti
normativi secondari e quindi subordinati, non solo dalla Costituzione ma anche la legge, con i quali si dettano
norme per disciplinare settori che non sono ancora disciplinati oppure per disciplinare più nel dettaglio materie
che sono state già in qualche modo regolamentate dalla legge ma non in materia completa. Talvolta è proprio
stabilito dalla stessa legge che la materia sarà ulteriormente disciplinata nel dettaglio attraverso un
regolamento. Chiaramente non si può occupare il Parlamento o il Governo di emanare un regolamento per
stabilire come si debbano selezionare dei tutor nell’Università di Cagliari, sarebbe una follia, e quindi una
questione di questo genere viene disciplinata con una fonte normativa sottordinata, cioè un regolamento
universitario in questo caso.
Nell’ ambito di questi regolamenti, una particolare importanza hanno i regolamenti emanati dal Governo, che
possono essere sostanzialmente di due tipi:
• possono essere regolamenti di esecuzione, attraverso i quali si individuano, si specificano delle leggi,
si individuano dei modi di esecuzione della legge, delle parti in cui la legge richiede ancora delle
specificazioni, e della legge stessa che in questi casi delega il Governo a emanare i regolamenti di
esecuzione,
• oppure i cosiddetti regolamenti indipendenti, cioè che vengono emanati in materie che non sono
regolate dalla legge, oppure anche in materia che sono regolate dalla legge ma che richiedono
comunque una specificazione all’attuazione.
La differenza rispetto a quelli che abbiamo visto prima, e cioè quelli che sono chiamati regolamenti di
esecuzione, è che questi cosiddetti regolamenti indipendenti possono essere adottati per specificare una legge
anche se la legge non ha specificamente delegato il Governo a emanare i regolamenti; nel caso in cui ci sia una
specifica delega al Governo, a emanare un regolamento di esecuzione, si parla di regolamento di esecuzione,
i regolamenti indipendenti invece, possono essere emanati anche quando nella legge non sia specificamente
delegato questo potere, attribuito questo potere al Governo.
Fonte Usi e Consuetudine. È una fonte tipica del diritto privato. Sono previste in questo tipo di fonte, è previsto
dall’Art. 1 delle disposizioni preliminari, delle preleggi e sono indicate nell’articolo 1 e sono poi disciplinate
dall’articolo 8 sempre delle preleggi. La Consuetudine richiede due presupposti, due elementi: un elemento
oggettivo e un elemento che possiamo definire soggettivo. L’elemento oggettivo è costituito, rappresentato
dal fatto che i cittadini, i consociati, trovandosi di fronte ad una certa situazione si comportano tutti
costantemente in un certo modo, quindi rispettano di fatto una certa regola; questo è l’elemento oggettivo.
L’elemento soggettivo consiste nel fatto che l’adozione di questo comportamento è conseguenza del
convincimento di tutti che questo comportamento sia effettivamente doveroso, che siano obbligati a
comportarsi in quel modo. Se sussistono questi due presupposti, a quel punto si crea una nuova norma

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giuridica, una consuetudine, un uso. La ripetizione di questo comportamento nel tempo crea una consuetudine
e di conseguenza si crea una nuova norma e allora si è effettivamente tenuti a tenere a quel comportamento.
Quando è che diciamo si può creare una nuova norma tramite una consuetudine? E in quali ambiti può operare
questa fonte del diritto? Tenete presente che opera frequentemente nel diritto privato, nel diritto commerciale
tantissimo, e nel diritto della navigazione. Allora innanzitutto le consuetudini ovviamente sono fonti sotto
ordinate, quindi devono rispettare tutte le altre fonti di grado superiore. possono operare sostanzialmente in
due ambiti, come chiarito anche dell’Art. 8: nelle materie che non sono regolate, quindi le materie libere che
non sono regolate dalle fonti, pensate per esempio ai regolamenti in materia funeraria, sono materie che spesso
non sono disciplinate, comunque ci sono molti aspetti che non sono disciplinati, talvolta alcuni sono disciplinati
con i regolamenti, magari regolamenti comunali, in quel caso gli usi possono senz’altro operare. Oppure
possono operare qualora siano richiamati da altre fonti, per esempio una legge rinvia essa stessa specificamente
agli usi, alle consuetudini, badate accade molto spesso nell’ambito del diritto privato che ci sia un rinvio
operato appunto da una norma all’ uso ad una consuetudine.
È possibile abrogare una legge o una norma di un regolamento attraverso una consuetudine? No, la
consuetudine è una fonte di rango inferiore quindi necessariamente deve rispettare la fonte di rango superiore,
non è ammissibile la desuetudine.
Può essere utile chiarire meglio l’ambito del diritto privato. Il diritto privato si contrappone al diritto pubblico,
del diritto pubblico fa parte:
• il diritto costituzionale,
• il diritto amministrativo,
• il diritto penale,
• il diritto processuale penale,
• il diritto processuale civile
• il diritto tributario e anche altri settori.
Quale è la differenza fondamentale? La differenza fondamentale è che il diritto privato disciplina i rapporti e
i conflitti, si occupa di conflitti fra soggetti posti in condizione di parità: quindi privati cittadini, imprese anche
eventualmente enti pubblici che si collocano in una posizione paritaria. Se un ente pubblico vende, o acquista
un terreno, allora questo rapporto è disciplinato dal diritto pubblico; il ministero della difesa, prende in
locazione un edificio per destinarlo a caserma dei carabinieri, questo contratto è un contratto di locazione, che
è disciplinato dal diritto privato, siamo nel diritto privato. Se invece un Comune decide di espropriare un
terreno per costruirci una scuola, questa materia è disciplinata dal diritto privato o dal diritto pubblico? Decide
di espropriare un terreno per costruire una scuola, espropriazione per pubblica utilità: siamo nell’ambito del
diritto pubblico. Nel diritto pubblico c’è un soggetto che esercita dei poteri, soggetto che si trova in una
situazione di supremazia perché persegue interessi generali, esercita dei poteri nei confronti di altri soggetti
che invece sono sottoposti a questi poteri che vengono esercitati da un ente pubblico. Tornando al diritto
privato, nel diritto privato sono compresi vari settori che fanno sempre parte del diritto privato anche se ormai,
sul piano didattico hanno assunto una loro autonomia. del diritto privato fanno parte:
• il diritto commerciale,
• il diritto del lavoro e varie altre sottospecie,
• il diritto agrario e
• il diritto di famiglia,
solo che ormai avendo queste materie assunto una loro autonomia, una loro importanza, una loro ampiezza,
sul piano universitario e scientifico vengono studiate autonomamente, ma fanno sempre parte del diritto
privato.

Possiamo parlare della norma giuridica. La norma giuridica quando è che acquista efficacia? Non basta
emanare la legge, perché questa entri in vigore, ma è necessario che essa venga pubblicata nella Gazzetta
Ufficiale, questo per renderla conoscibile in maniera tale che tutti i cittadini possono essere al corrente che una
nuova norma giuridica è stata applicata. Viene promulgata dal Presidente della Repubblica e poi pubblicata
sulla Gazzetta Ufficiale e in regola, se non è stabilito diversamente devono decorrere 15 giorni perché essa
acquisti efficacia. Questo periodo che viene chiamato vacatio o legis, cioè la norma è stata approvata,
promulgata e pubblicata ma ancora non è in vigore. Entrerà in vigore di regola dopo 15 giorni, questo periodo
però spesso può essere anche abbreviato e addirittura azzerato, quando si ha urgenza che la norma entri subito
in vigore, oppure può essere ampliato; accade spessissimo che si stabiliscono dei periodi di tempo per l’entrata
in vigore assai superiore dei 15 giorni, quando si tratta di normative complesse, pensate alla normativa in

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materia di sicurezza, o di privacy, si sono previsti dei tempi per adeguarsi assai più lunghi di 15 giorni. Vige
una regola piuttosto importante, che trova anche espresso riconoscimento nell’Art. 5 del codice penale, il
principio è sostanzialmente che sia sufficiente che la norma sia conoscibile, perché essa sia efficace,
l’eventuale ignoranza dell’esistenza di una norma non può essere una giustificazione del fatto che la norma
non venga applicata, la norma si applica quando questa è stata approvata, promulgata e pubblicata, quando è
entrata in vigore. C’è un limite, che deriva da una sentenza della Corte Costituzionale, la quale ha dichiarato
l’illegittimità costituzionale dell’articolo 5, e quindi in materia di diritto penale ha stabilito che quando la non
riconoscenza della norma penale dipende da una ignoranza inevitabile, la norma in quel caso non può essere
applicata. Ovviamente, stiamo parlando di norme penali di carattere tecnico, che prevedono dei reati, non dei
reati che corrispondono alla normale sensibilità, non è che ad un certo punto uno potrebbe dire “ma io non lo
sapevo, che se aggredisco qualcuno, cagiono delle legioni personali questo mio comportamento costituisce
reato”, ovviamente questo tipo di affermazione di difesa sarebbe assolutamente irrilevante.
Nel caso in cui una norma sia incostituzionale, chi lo stabilisce se è incostituzionale o no? La Corte
Costituzionale. La Corte di Cassazione o altri giudici possono sollevare la questione, mettere in dubbio che la
norma non sia conforme alla Cost., non lo può dichiarare il giudice ordinario, quindi il giudice ordinario
sospende il processo, solleva la questione di incostituzionalità, cioè fa un’ordinanza con la quale dice alla Corte
Costituzionale, lo deve fare anche molto bene perché se no la Corte Costituzionale ti dice che la questione l’ha
sollevata Mario, che è un asino e quindi deve dire ci sono secondo me, questa norma che io dovrei applicare,
contrasta con queste norme costituzionali, per queste ragioni; quindi sospende il processo e interessa la Corte
Costituzionale della vicenda; la Corte Costituzionale la esamina e se ritiene che la norma sia incostituzionale,
la dichiara incostituzionale. Funziona in questo modo, quindi l’autorità deputata a farlo, l’organo è la Corte
Costituzionale.

Lezione 3

Abrogazione- diritto privato internazionale- struttura della norma-


struttura del codice

Ieri abbiamo parlato della norma giuridica e del procedimento che si attua per l’entrata in vigore. tenete
presente che vengono pubblicate nella Gazzetta Ufficiale non solo le leggi ma anche gli altri atti aventi forza
di legge emanati da Governo, che sono i decreti legislativi e i decreti-legge, (articoli 76 e 77).
Altra questione attiene possibili conflitti tra le norme.
Abbiamo visto che l’ordinamento giuridico non è un qualcosa di statico, ma è un qualcosa che si evolve e per
questo motivo è costante la produzione di nuove norme. Il fatto che ci sia un’incessante produzione normativa,
alimenta la possibilità che vi sia conflitto tra le norme giuridiche presenti nello stesso ordinamento giuridico.
Peraltro, questa non è una possibilità assolutamente remota, è una cosa che si verifica costantemente.
Come viene risolto questo conflitto fra norme dello stesso ordinamento giuridico? Generalmente, questo
conflitto viene affrontato e risolto espressamente dal legislatore, il quale, specialmente quando emana nuove
norme giuridiche, si preoccupa di stabilire che siano abrogate le disposizioni con essa incompatibili già
preesistenti che specificamente indica, in questo caso il problema è già risolto dal legislatore, così come
richiamato il soggetto che introduce nuove norme giuridiche, detta nuove norme giuridiche. Quando però
questo problema non viene risolto, nel momento in cui vengono emanate nuove norme giuridiche, il problema
deve essere risolto in via interpretativa. Quali sono i criteri per risolvere i conflitti fra norme giuridiche?
Sostanzialmente i criteri sono tre:
1. il criterio cronologico, che considerato quello più intuitivo;
2. il criterio gerarchico;
3. il criterio di competenza.
Il primo criterio, quello cronologico, opera nel caso in cui il conflitto si presenti fra norme di pari grado.
possono essere quindi norme che provengono da una stessa fonte, per esempio tra norme di legge o comunque
fra norme aventi valore anche sostanziale di leggi e atti aventi forza di legge, o da fonti di pari grado. La stessa
fonte sarebbe tra leggi, pari grado è legge per esempio avente forza di legge, un decreto-legge, e un decreto
legislativo e una legge. Questo criterio, previsto dall’Art. 15, è un criterio intuitivo, qualora si manifesti un
conflitto tra norme di pari grado, prevale fra le due la norma più recente, e questo perché? Perché ovviamente
se il legislatore ha dettato oggi una disposizione che appunto dispone diversamente, rispetto a una disposizione
precedente, si suppone che abbia cambiato idea e quindi la disposizione più recente prevale su quella più

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vecchia. Questo fenomeno che abbiamo visto si chiama abrogazione. La norma antecedente viene abrogata,
però anziché essere abrogata in maniera espressa, cioè attraverso una espressa revisione, nel quale il legislatore
dice guarda che io sto adottando questa norma e sono abrogate le norme x, y e z antecedenti, l’abrogazione
può anche essere tacita o implicita. L’abrogazione si dice espressa quando lo stesso legislatore nell’ emanare
la nuova disposizione decide e dispone quali disposizioni antecedenti devono intendersi abrogate, la formula
generalmente è questa: con l’entrata in vigore della norma x, le norme a, b, e ci devono intendersi abrogate.
L’abrogazione tacita si individua in via interpretativa quando non c’è una previsione in questo senso, però la
disposizione più recente risulta incompatibile con quella o con alcune antecedenti, quelle antecedenti si devono
intendere tacitamente abrogate; non possono rimanere nel sistema dell’ordinamento giuridico norme che
dispongono, con riguarda allo stesso fatto cose diverse, quindi quelle antecedenti sono superate, abrogate
tacitamente da quelle successive incompatibili. Si parla di abrogazione implicita quando il legislatore, in un
momento successivo, approva un testo unico, che disciplina in maniera complessiva, e in maniera
completamente nuova una materia già oggetto di una precedente normativa. In quel caso, tutte le disposizioni
precedenti che si occupavano della stessa materia, si considerano abrogate. Perché si considerano abrogate?
Perché se il legislatore ha emanato una nuova normativa complessiva, che complessivamente appunto
disciplina ex-novo, cioè in materia nuova una certa materia, un testo unico, si suppone che ovviamente abbia
superato tutta la precedente disciplina, l’ha voluta ri-disciplinare con un testo unico, perché ha voluto
semplificare, riorganizzare, dettare nuove norme. In effetti anche l’abrogazione implicita è una sorta di
abrogazione tacita, però nel primo caso semplicemente abbiamo un contrasto tra norma precedente e norma
successiva, la norma precedente si considera tacitamente abrogata, cioè si desume l’intenzione dallo Stato delle
cose
Conseguenze dell’abrogazione.
Cosa significa che la norma precedente è abrogata? Si potrebbe pensare che quella norma non si applica più
a nessun caso, invece questa idea è sbagliata. L’abrogazione opera solo per il futuro. Significa che la norma
precedente continua ad esistere nell’ordinamento, continua ad operare ma per i fatti che si sono verificati
precedentemente all’entrata in vigore della nuova norma giuridica. Quindi per i fatti che si sono verificati nel
vigore della norma abrogata, continua ad applicarsi tale norma; per i fatti verificatisi dopo, si applica la nuova
disposizione. Possiamo dire che la norma non ha effetto retroattivo, ma ha effetto solo per i fatti nuovi. La
norma di riferimento è l’Art. 15 delle disposizioni preliminari al codice civile: abrogazioni delle leggi, appunto
parla dell’abrogazione espressa poi dice: “l’abrogazione può avvenire anche per incompatibilità tra le nuove
disposizioni e le precedenti (l’abrogazione tacita), oppure perché la nuova legge regola l’intera materia già
regolata dalla legge anteriore (l’abrogazione implicita)”. Invece per quanto riguarda l’irretroattività
dell’abrogazione lo trovate nell’Art. 11: efficacia della legge nel tempo, “la legge non dispone che per
l’avvenire, essa non ha effetto retroattivo”. Significa che in caso di emanazione di una norma incompatibile
con una precedente, la nuova norma incompatibile opera per il futuro; quella precedente continua a essere
applicabile, e deve essere applicabile ai fatti verificatisi precedentemente. Questa regola, la regola appunto
dell’efficacia della legge nel tempo, (efficacia non retroattiva) tuttavia non è inderogabile, quindi potrebbe il
legislatore nell’emanare una nuova norma giuridica, stabilire eccezionalmente che quella norma si applichi
anche hai fatti verificatisi precedentemente, e quindi che si abbia efficacia retroattiva. Perché non è
inderogabile? Perché non è stabilita dalla Costituzione, ma è stabilita nel codice civile, con una norma avente
forza di legge, parificata dalla legge: un regio decreto, è una norma che ha la forza di legge, quindi si può
tranquillamente modificare, con una nuova norma che stabilisce anche in maniera “sporca”, si emana una
nuova norma e si dice questa norma nuova, non vale solo per il futuro, ma vale anche a disciplinare i fatti
verificatisi precedentemente. C’è un limite però. Non è derogabile qualora questa regola tratti di una norma
penale sfavorevole. La norma penale sfavorevole, non si può mai applicare retroattivamente, non si può
applicare ai fatti che si sono tenuti precedentemente all’entrata in vigore di una legge penale sfavorevole. In
altri termini, se il legislatore prevede di introdurre un nuovo tipo di reato, oppure prevede di aumentare la pena
per un certo tipo di reato, o anche di aumentare i termini di prescrizione, o comunque di stabilire un trattamento
che è sfavorevole per il possibile imputato, questa regola si applica solo per i fatti commessi successivamente
all’entrata in vigore della norma penale sfavorevole; non si applica ai fatti già avvenuti. Da dove lo deduciamo
che è un caso di norma penale sfavorevole e non è derogabile il principio di irretroattività? Deriva dal fatto
che questo principio in questo caso è stabilito da una norma costituzionale, e quindi ovviamente non può essere
derogato da una norma avente forza di legge: per derogarlo bisognerebbe modificare la Costituzione, con una
legge di revisione costituzionale. Art. 25 della Costituzione: “Nessuno può essere punito se non in forza di una
legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso.”

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Se per la norma penale sfavorevole non si applica retroattivamente; il contrario invece si verifica per una norma
penale favorevole. se per esempio viene abrogata una norma penale, quindi un reato che prima esisteva e non
esiste più, oppure si stabilisce una pena inferiore, per il fatto era già punito ma con una pena più grave, la
norma penale favorevole si applica non solo per i comportamenti tenuti dopo la sua entrata in vigore, ma anche
hai comportamenti tenuti prima, quindi in questo caso ha effetto retroattivo, in applicazione della regola
generale di cui all’Art. 11 delle preleggi. Insomma, questo principio di irretroattività è inderogabile solo per la
forma penale sfavorevole. Per completare il discorso, nel caso di norma penale sfavorevole, il principio è
esattamente il contrario, si applica anche per il passato. Articolo 25, norma importante, una norma di civiltà,
si evita in questo modo che si possa diciamo dettare oggi una regola per punire dei fatti che sono stati commessi
precedentemente, e quindi quando sono stati commessi non si sapeva che potevano essere fatti disdicevoli e
penalmente rilevanti; la regola deve essere conoscibile e quindi per essere conoscibile deve esistere e valere
per il futuro: “nessuno può essere punito se non in forma di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto
commesso”.
Esiste, a proposito di abrogazione, il referendum abrogativo. A certe condizioni si può indire un referendum
abrogativo Art. 75 della Costituzione, all’esito del quale, raggiunte certe maggioranze, la legge sottoposta a
referendum può essere abrogata.
Il criterio gerarchico si applica nel caso in cui il conflitto riguardi norme di grado diverso: si applica appunto
il principio di gerarchia. quindi cosa significa che in questo caso prevale la norma di grado superiore, quindi
in caso di conflitto fra una consuetudine e un regolamento quale delle due prevale? Quale delle due è di grado
superiore? Partendo dalla più alta abbiamo c’è la Costituzione e i Trattati dell’UE, poi subito dopo ci sono
direttive e regolamenti comunitari, poi abbiamo leggi e atti avente forza di legge, e anche leggi regionali,
immediatamente dopo più o meno nello stesso livello a seconda delle competenze, poi abbiamo i regolamenti
e infine le consuetudini, quindi in questo caso il conflitto viene risolto a favore del regolamento: il regolamento
è gerarchicamente sovraordinato. Viceversa, se il conflitto è fra una norma costituzionale e una norma
contenuta in una legge regionale, il conflitto viene risolto a favore della norma costituzionale, prevale la norma
costituzionale.
I criteri per risolvere i conflitti in caso di norme di grado diverso sono differenti a seconda del conflitto: il
conflitto viene sempre risolto a favore della norma di grado superiore, ma in base a procedimenti differenti.
Il criterio della competenza. Talvolta il conflitto fra norme, viene risolto in base al principio della competenza,
cioè chi è competente a regolare una certa materia: potrebbe essere appunto materia o ambito territoriale,
pensate a un conflitto fra una legge statale e una legge regionale. Se in quella materia la regione ha una
competenza prevalente rispetto a quella dello stato, quindi non si tratta di materie riservate alla competenza
statale, e la regione Sardegna detta una certa regolamentazione, disciplina che è diversa di quella statale,
prevale in base al criterio della competenza, la norma regionale, anche se la norma regionale fosse antecedente
a quella statale perché si applica il criterio della competenza: ci sono materie nelle quali invece lo stato ha una
competenza esclusiva, per esempio in materia di sicurezza o difesa nazionale, in quel caso la Regione non
potrebbe stabilire una disciplina incompatibile e se ci fosse un conflitto, ci sarebbe un’incompetenza della
regione in materia e prevarrebbe ovviamente la disciplina nazionale, cioè la regione in alcune materie riservate
allo stato non può proprio dettare le norme.
Seconda parte
Problema: abbiamo una situazione, un fatto che presenta elementi di estraneità rispetto allo stato italiano,
pensiamo ad un cittadino italiano che compra da una proprietà inglese una casa che sta a Londa e l’atto lo
stipula in Francia. Il problema che si pone in tutti questi casi qual è? In questo caso il giudice che si trovi a
decidere una controversia che coinvolga questi soggetti che appartengono appunto a nazioni diverse, una
cittadinanza diversa, o comunque profili appunto di estraneità, per esempio l’immobile che è oggetto di
compravendita si trova non in Italia ma all’estero, oppure l’atto di compravendita non è stato stipulato in Italia
ma all’estero, anche se fra cittadini italiani, quale legge dovrò applicare? Non possiamo dare una risposta a
tutti questi casi, quello che ci interessa che di queste questioni si occupano appunto le norme che fanno parte
del cosiddetto diritto internazionale privato. Come si stabilisce quale norma giuridica il giudice italiano deve
applicare in questi casi? Le norme di diritto internazionale privato, che sono contenute in una legge del 95,
utilizzano dei cosiddetti criteri di collegamento, dei criteri cioè che servono al giudice italiano, che deve
decidere la controversia, per individuare a quale ordinamento giuridico deve far riferimento, se a quello italiano
o a quello straniero e quale ordinamento straniero fare riferimento. Generalmente criteri di collegamento sono
due: nazionalità delle parti coinvolte, oppure il luogo dove il fatto è stato compiuto o il contratto è stato
stipulato; questi sono i due criteri di collegamento che si applicano. Quindi cittadinanza, se la cittadinanza è
comune, è chiaro che se la cittadinanza dei due soggetto coinvolti è diversa questo criterio non può operare:

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matrimonio di due cittadini italiani all’ estero, in base al criterio della cittadinanza, dovrebbe applicarsi il diritto
italiano. Invece se si tratta di un fatto illecito, doloso o colposo che cagiona un danno ad altri, dovrebbe
applicarsi la legge dove il fatto è stato commesso, dove il comportamento illecito è stato tenuto;
(comportamento illecito sul piano civilistico). La legge nazionale dei contraenti o comunque dei soggetti
coinvolti, legge del luogo dove è stato compiuto il fatto in realtà si aggiunge questo: le parti che hanno stipulato
un contratto scrivono, stabiliscono nel contratto quale legge si dovrà applicare a tutte le controversie che
riguardano, a tutte le vicende e le controversie, che riguardano il contratto che loro hanno stipulato. Esempi
più importanti: se si tratta di contratti conclusi da consumatori, il consumatore è considerato a livello
comunitario, oltre a livello nazionale, a livello dell’UE, è considerato un soggetto debole meritevole di
protezione, quindi ci sono tantissimi corpi normativi, tantissime disposizioni, per esempio il codice del
consumo, che dettano proprio norme, discipline specifiche, discipline che riguardano solo i consumatori con
riguardo appunto al diritto applicabile, si applica il diritto del luogo dove risiede il consumatore, e questa è una
norma inderogabile, vuol dire che se anche nel contratto che il consumatore stipula c’è scritto che si applica
una legge straniera, quella clausola è nulla e si applica comunque la legge nazionale, questo perché ovviamente
al consumatore viene molto più comodo applicare la norma della legge dove egli risiede piuttosto che una
norma straniera che non conosce della quale non sa nulla e che potrebbe essere meno favorevole.
Le norme di diritto internazionale privato che riguardano le obbligazioni contrattuali, cioè nel caso in cui si
crei una controversia che riguarda un contratto, e quindi le obbligazioni che nascono da questo contratto.
L’articolo 57 della legge del 1995, che è la legge che si occupa del diritto internazionale privato, la quale a sua
volta rinvia a un regolamento dell’UE detto Roma1 per quanto riguarda la norma applicabile alle obbligazioni
contrattuali. Vediamo quali sono le regole che si applicano in questo caso: il regolamento Roma1 prevede quali
criteri di collegamento? Innanzitutto, la volontà delle parti, quindi prima di tutto bisogna vedere che cosa hanno
stabilito le parti. Se le parti hanno stabilito che si applica la legge Afgana, si applicherà la legge
dell’Afghanistan; se le parti non hanno detto niente a quel punto il collegamento e la legge verrà individuato
in base al collegamento, in base a dove sta il debitore che deve eseguire la prestazione tipica che discende da
quel contratto. Spiego meglio: se si stipula quel contratto di appalto, la prestazione principale che caratterizza
quel contratto è la prestazione dell’appaltatore; il contratto d’appalto avente oggetto la costruzione di un
immobile, la prestazione tipica è quella dell’appaltatore che deve costruire l’immobile; il criterio di
collegamento stabilisce che in questo caso la legge applicabile sarà la legge dove risiede l’appaltatore che deve
eseguire quella prestazione tipica.
Le norme delle quali stiamo parlando, norme del diritto internazionale privato, sono norme italiane, sono
norme che fanno parte dell’ordinamento giuridico italiano, della fattispecie, una legge che stabilisce dei criteri
per individuare a quale ordinamento giuridico si deve far riferimento per individuare la norma applicabile,
quindi norme che fanno dei rinvii per stabilire: si applica la legge italiana o si applica una legge straniera? Se
si applica la norma dell’ordinamento straniero qual è la norma che si deve applicare in questo caso. E abbiamo
visto che per decidere quale è la norma applicabile si fa riferimento al diritto internazionale privato a dei criteri
di collegamento. Un altro sistema per risolvere lo stesso problema è quello di concludere delle convenzioni
internazionali, cioè stipulare fra Stati, non so fra l’Italia e la Francia, delle convenzioni internazionali che
stabiliscono quando si verificano dei casi che hanno dei profitti diciamo di internazionalità, che coinvolgono
situazioni delle quali ha interesse sia l’Italia che la Francia, quale norma si applica, attraverso appunto degli
accordi fra Italia e Francia, e magari addirittura queste convenzioni dettano già quali norme si applicano a
queste ipotesi. Questo è un altro sistema, concludere degli accordi internazionali fra gli stati coinvolti, per
esempio fra Italia e Francia. Il diritto internazionale privato è un insegnamento a sé in giurisprudenza che ha
un suo programma e un suo esame; io ho cercato semplicemente di farsi capire qual è il problema in maniera
tale che voi conosciate quel è il problema e ovviamente non è necessario una conoscenza più approfondita di
tutte le problematiche e di tutti i criteri di collegamento e di tutte le norme che fanno parte di questa legge.
Criteri di soluzione dei conflitti, nel caso di rapporto fra norme di grado diverso, i criteri specifici in sintesi:
quando si tratta di un conflitto fra una norma costituzionale e una norma di rango inferiore, la questione viene
risolta dalla Corte Costituzionale che dichiara incostituzionale la norma di rango inferiore, ne abbiamo già
parlato. Nel caso in cui il conflitto sia fra un regolamento comunitario, dell’Unione Europea, e una legge
ordinaria italiana, o una norma di rango ancora inferiore, in caso addirittura il problema è ancora più semplice,
come viene risolto questo conflitto? Abbiamo una legge Italiana che stabilisce una certa disciplina, una norma
che detta una certa regola, poi abbiamo un regolamento dell’Unione Europea che detta una regola diversa,
incompatibile con quella dettata dal legislatore italiano. In concreto, viene portata davanti al giudice la
controversia, uno dei due contendenti dice si applica la legge italiana, e l’altro contraddice perché c’è un
regolamento dell’Unione che dice una cosa diversa, e si applica il regolamento dell’Unione. Il povero giudice

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che si trova di fronte a queste due disposizioni che dicono cose diverse cosa dovrà fare? È tenuto a disapplicare
la norma italiana, incompatibile, ed applicare la disposizione del regolamento dell’Unione Europea, del
Regolamento Comunitario. Se invece il conflitto riguarda una legge e un regolamento interno, prevale
ovviamente la legge, il giudice dovrà disapplicare il regolamento interno e applicare la legge. Questo di fronte
al giudice ordinario, se poi si vuole ottenere l’annullamento di quel regolamento incompatibile si può chiedere
al Tar affinché lo annulli, ma diciamo che quello che ci interessa per il diritto privato è che il giudice ordinario
disapplicherà il regolamento interno. Discorso analogo se c’è una consuetudine che è incompatibile, in
contrasto con una fonte superiore, la consuetudine ovviamente non potrà operare. Abbiamo visto tutti i criteri
di risoluzione dei conflitti nello specifico.
Adesso possiamo parlare della struttura della norma giuridica
La norma giuridica innanzitutto è una regola di comportamento, che stabilisce che in presenza di una certa
condizione si verificano certi effetti, il soggetto interessato dovrà tenere un certo comportamento che diventa
obbligatorio, vietato eccetera. Ha due caratteri fondamentali la norma giuridica:
1. deve essere generale;
2. deve essere astratta.
Esempio: la sentenza col quale il giudice, a conclusione della causa, condanna una delle due parti a pagare una
somma all’altra parte, è una norma giuridica? No. Perché è una sentenza, è una sentenza che alla fine contiene
un dispositivo, contiene una regola che dice che il convenuto che ha perso, deve pagare una somma di denaro
all’attore vincitore. Quindi è una regola ed è anche giuridica, contenuta in una sentenza, quindi perché non
potrebbe essere qualificata come norma giuridica? Perché è riferita solo ad un singolo fatto e non presenta i
caratteri né dell’astrattezza né della generalità.
Generalità significa che la norma giuridica per essere tale deve potersi applicare a tutti i soggetti, o comunque
diciamo a un gruppo di soggetti che si trovano nelle stesse condizioni; deve essere anche astratta, cioè non
deve essere costruita per dire in questo caso specifico “Franco Bandiera che ha perso la causa deve pagare una
somma di denaro a Pinco Pallino che ha vinto”, ma deve essere costruita in maniera astratta, ovvero, tutte le
volte che si verificherà una certa situazione che presenta quei caratteri, si applicherà quella regola. Esempio di
una norma civilistica: “se un soggetto cagiona con un comportamento doloso o colposo, cagiona un danno
ingiusto ad altri, è tenuto a risarcire il danno cagionato”. Questa regola è contenuta nell’ Art. 2043 del c.c.,
importantissima sul fatto illecito; descrive la fattispecie del fatto illecito, non ci dice in quale caso, ci dice che
chiunque tiene questo comportamento, in questa situazione è tenuto a risarcire il danno, quindi la situazione è
descritta in termini astratti. ci sono i caratteri della generalità e dell’astrattezza. Quali sono le ragioni per le
quali la norma giuridica deve avere questi caratteri? Sono ragioni fondamentalmente di civiltà e di tutela dei
cittadini, innanzitutto ragioni di certezza, cioè chi agisce nell’ambito di una comunità deve sapere prima che
cosa è consentito e cosa non è consentito, a quali conseguenza andrà in contro se terrà un certo comportamento
e quindi significa che la regola deve essere prestabilita in termini generali e deve poter valere per tutti senza
discriminazioni. È un principio di civiltà. Come è strutturata questa norma giuridica? È strutturata si dice, come
un giudizio ipotetico, un giudizio condizionato, tutte le norme giuridiche sono strutturate in questo modo.
Quindi cosa vuol dire che è strutturata come giudizio ipotetico o come regola di comportamento condizionata?
Vuol dire che segue il seguente schema: se si verifica un certo fatto A, descritto in termini astratti, quindi per
esempio se un qualsiasi individuo, italiano o anche straniero, commette un comportamento doloso o colposo,
che cagiona un danno ingiusto, allora, si verificheranno certe conseguenze che sono conseguenze giuridiche
ovviamente. Possiamo dunque dire che la norma è strutturata come un giudizio, nei termini di un giudizio
ipotetico, (son delle cose un po’ astratte ma comunque le dovete sapere perché UNA DELLE DOMANDE
CHE VI POTRÀ ESSERE FATTA È LA NORMA GIURIDICA, almeno le cose essenziali, generalità e
astrattezza, il fatto che la norma è strutturata appunto in questi termini, come giudizio ipotetico lo dovete
sapere).
Possiamo individuare due momenti o elementi fondamentali: il primo elemento che sarebbe la fattispecie, cosa
vuol dire la fattispecie? Se si aggiunge la formula astratta, fattispecie astratta, si fa riferimento alla situazione
astratta considerata dalla norma, quando invece si parla di fattispecie concreta, si fa riferimento alla situazione
che concretamente si è verificata nella realtà.
Allora, se camminando in viale Fra Ignazio, in scooter o in macchina, tizio cagiona un danno ad un’automobile,
questa situazione è la situazione concreta, viene chiamata fattispecie concreta, cioè quella che si è verificata
concretamente nella realtà. La fattispecie astratta è quella descritta dalla norma giuridica, se questa fattispecie
concreta corrisponde a quella descritta dalla norma giuridica, si applicherà la norma giuridica e verranno
ricollegate le conseguenze previste dalla norma stessa.

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L’ altro diciamo così momento o elemento della norma giuridica sono le conseguenze. Se si verifica un certo
fatto si ricollegano certe conseguenze giuridiche. Le conseguenze giuridiche nel linguaggio dei giuristi
vengono chiamate in maniera più propria effetti, gli effetti giuridici. In che cosa consistono questi effetti? La
norma, se si verificano certe situazioni impone dei comandi o dei divieti, nel caso dell’esempio che abbiamo
fatto, del fatto colposo o doloso che cagiona ad altri un danno ingiusto, qual è l’effetto giuridico? Leggiamo
l’articolo 2043: “qualunque danno doloso o colposo che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che
ha commesso il fatto a risarcire il danno”. Qual è la fattispecie? Qualunque fatto doloso o colposo che cagiona
ad altri un danno ingiusto. Qual è l’effetto giuridico? L’obbligo, il sorgere dell’obbligazione, di risarcimento
del danno, questo è l’effetto. Voi dovete ragionare sempre in questi termini. In questo caso l’effetto consiste
nel sorgere di una nuova obbligazione, in forza del quale il danneggiante, che ha tenuto quel comportamento
doloso o colposo e ha cagionato il danno, sarà tenuto a risarcire quel danno. Poi c’è tutto il problema di come
deve risarcire quel danno, ma quello lo vedremo in un momento diverso. Quindi possiamo dire che gli effetti
consistono in un qualsiasi modificazione della realtà giuridica che la norma ricollega al verificarsi di un
determinato fatto, in questo caso il fatto consiste nel fatto illecito, la modificazione della realtà giuridica
consiste nel sorgere di una nuova obbligazione, una nuova situazione giuridica soggettiva, l’obbligazione di
risarcire il danno.
Possiamo quindi concludere, utilizzando un linguaggio figurato, che tutti i fatti giuridici, e quindi al verificarsi
di un fatto che corrisponde alla fattispecie astratta descritta dalla norma, si producono degli effetti che
consistono nella nascita, nel trasferimento, nella modificazione o nell’ estinzione di diritti o di obblighi.
Esempio di un effetto che consiste nel trasferimento della situazione giuridica soggettiva: A, proprietario di un
bene, stipula un contratto di vendita con B. A non perde semplicemente la proprietà del bene, ma la proprietà
si trasferisce da A B, quindi l’effetto giuridico consiste nel trasferimento della proprietà da A a B, prima
proprietario A, adesso proprietario, il compratore B, questo è l’effetto giuridico che consiste nel trasferimento
di una posizione soggettiva, di un diritto nella fattispecie.
Allora le fattispecie possono assumere connotati diversi, possono essere più o meno articolate, può essere
semplice, cioè costituita da un unico elemento, basta un presupposto, una condizione perché la fattispecie si
perfezioni e si produca l’effetto, oppure può essere una fattispecie più articolata, richiede molti presupposti.
Esempio di fattispecie semplice: il soggetto con il compimento di 18 anni, acquista la capacità legale di agire.
Questa è una fattispecie semplice, basta compiere 18 anni e si acquista la capacità legale di agire; basta un solo
elemento perché la fattispecie si perfezioni e si produca l’effetto.
Nell’esempio che abbiamo visto del fatto illecito, la fattispecie è semplice o complessa? Richiede più elementi
perché si riproduca l’effetto, cioè il sorgere dell’obbligazione del risarcimento del danno o ne richiede solo
uno? L’abbiamo visto pocanzi, nella fattispecie, richiede molti elementi, richiede un fatto o colposo o doloso,
richiede che questo comportamento cagioni un danno e in più richiede che questo danno sia ingiusto, quindi
richiede molti elementi. In questi casi, si dice che la fattispecie è complessa, normalmente le fattispecie sono
complesse, le norme giuridiche sono articolate, quindi normalmente si richiedono vari elementi perché si
ricolleghi l’effetto al comportamento, al fatto concreto.
In concreto come sono strutturate le norme giuridiche? Se andate a vedere il codice civile vedete che le
disposizioni sono strutturate in articoli e commi, quindi degli elementi e ciascun articolo, può essere diviso in
più parti, tutte le volte che si va a capo abbiamo un comma nuovo, quindi se voi prendete un articolo composto
da più commi (perché talvolta c’è n’è solo uno) per esempio una norma in materia di contratti, prendete per
esempio l’articolo 1326 composto da 5 commi, tutte le volte che si va a capo, abbiamo un comma nuovo.
Quindi la norma è composta da elementi, un articolo che a sua volta in genere contiene più commi,
generalmente ciascun comma può contenere una regola diversa, non sempre, talvolta le regole diciamo si
costituiscono anche coordinando più commi, talvolta addirittura coordinando più articoli. Ciascun articolo è
preceduto da un titoletto chiamato rubrica, che è indicato in neretto proprio per distinguerlo dal resto del testo
dell’articolo, che serve proprio per farci capire in linea di massima quale sarà l’argomento trattato dall’articolo.
A sua volta gli articoli nel codice civile e nelle leggi scritte bene, cioè non abbiamo una sequenza di articoli
scritti un dopo l’altro, 1,2,3,4,5,6 e così via, ma sono organizzati come potrebbe essere organizzato un libro, è
organizzato in maniera tale da dargli una certa logica; anche il codice civile come vedete è organizzato secondo
una sua logica, è diviso in libri, troverete sei libri, non si intende sei di questi volumi ma sei parti. Ciascun
libro ha un suo titolo e un argomento che viene trattato in quel libro, per esempio il libro quarto, che uno di
quello che interessa a noi, si occupa delle obbligazioni e dei contratti ed è intitolato delle obbligazioni. all’
interno del libro, le varie parti son divise in titoli, capi e sezioni. è importante avere questa idea per capire
l’architettura del codice civile, vi fa capire, quando leggete un articolo, che quell’articolo non è un qualcosa
da leggere da solo, ma va letto nel contesto nel quale è collocato. Per esempio, l’articolo 1326, che è rubricato

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Diritto Privato

“conclusione del contratto”, è inserito nel libro 4, dedicato alle obbligazioni e al contratto, nell’ambito di un
titolo che si chiama, il titolo 2 “dei contratti in generale”, ed è inserito nel capo secondo che si occupa dei
requisiti del contratto e infine inserito, nell’ambito di questo capo, in una sezione che si occupa dell’accordo
delle parti. Quindi come vedete si specifica partendo dal generale, via via verso lo specifico, in quale contesto,
di che cosa si occupa quell’ articolo che state leggendo, è importante collocarlo nel giusto contesto, perché vi
fa capire meglio che cosa state studiando e come va collocata nel contesto più generale quella norma che state
studiando.

Lezione 4
23-03

Situazioni giuridico soggettive

Problematica delle situazioni giuridico-soggettive: sono situazioni attribuite al soggetto di diritto del nostro
ordinamento che possono consistere in situazioni di vantaggio o in situazione di svantaggio. Nell'ambito delle
posizioni giuridiche soggettive ravvisiamo una prima fondamentale distinzione:
1. da un lato vi sono le posizioni giuridiche soggettive attive, che attribuiscono al soggetto un vantaggio;
2. dall'altro le posizioni giuridiche soggettive passive che attutiscono ad un soggetto uno svantaggio.
Ora nell'ambito del diritto, ogni posizione attiva, quindi attributiva di una situazione di vantaggio, trova una
corrispondente situazione di carattere passivo (quindi troveremo sempre una correlazione ineliminabile tra
situazione soggettiva attiva e situazione soggettiva passiva). Le situazioni soggettive attive sono di varia natura
(non mi è possibile in questa sede effettuare un'analisi di tutte le situazioni soggettive attive, quindi a quello
che io dirò oggi dovrete aggiungere le slide del collega Bandiera).
Tra le posizioni giuridiche soggettive attive, la posizione più importante è rappresentata dal diritto soggettivo.
Che cos'è un diritto soggettivo? è un diritto che viene attribuito a un soggetto nel nostro ordinamento, come
vedremo i soggetti giuridici sono in primo luogo le persone fisiche, quindi ciascuno di noi è titolare (nell'ambito
dell'ordinamento giuridico italiano) di situazioni giuridiche soggettive attive e di situazioni giuridiche
soggettive passive. Nel nostro sistema tuttavia, il soggetto di diritto non coincide con la persona fisica, quindi
oltre alle persone fisiche sono soggetti di diritto anche gli enti, che possono avere diversa natura, possono
essere pubblici o privati, possono avere scopo lucrativo (la nostra attenzione si rivolgerà in particolare su quegli
enti di carattere privatistico che non hanno finalità di lucro, quindi che non svolgono un'attività diretta a
ottenere una utilità).
Il diritto soggettivo è un potere che è attribuito ad un soggetto, al fine di consentirgli la soddisfazione di un
proprio specifico interesse. Ovviamente questo potere è ammesso nei limiti di tutela secondo l'ordinamento
giuridico, quindi non è un potere di tipo assoluto illimitato, ma è un potere che in qualche modo trova una sua
limitazione nella circostanza che sia espressione di un interesse apprezzabile secondo l'ordinamento giuridico.
Detto ciò, è opportuno procedere ad una classificazione dei diversi tipi di diritto soggettivo: la distinzione
classica, tradizionale e fondamentale è quella tra:
• diritti soggettivi assoluti,
• diritti soggettivi relativi,
• diritti soggettivi potestativi.

Come rappresentato, ciascuna di queste posizioni giuridiche soggettive attive ha come riscontro una posizione
giuridico soggettiva passiva. Cerchiamo di vedere come sono messe in relazione le posizioni attive con le
posizioni passive, per poi procedere ad un’analisi specifica di ciascuna di esse.
Per quanto riguarda il diritto soggettivo assoluto, dobbiamo affermare che la posizione passiva corrispondente
è determinata da un dovere generico di astensione.
Il diritto relativo, come posizione passiva, il c.d. obbligo giuridico;
Il diritto soggettivo potestativo vede sul versante passivo una situazione di soggezione.
Quindi possiamo immaginare ogni situazione attiva con la corrispondente posizione passiva. Questo è ben
comprensibile, perché se una norma giuridica attribuisce ad un soggetto un potere, vuol dire che ci sarà un
altro soggetto che sarà tenuto a rispettare quel potere. Quindi si troverà in una situazione passiva rispetto a
colui che è titolare della situazione attiva.
Partiamo dalla considerazione della prima categoria: diritti soggettivi assoluti.
I diritti soggettivi assoluti sono in primo luogo i diritti reali, espressione che viene da RES= cosa. Quindi, come
possiamo immaginare la prima categoria dei diritti soggettivi assoluti si caratterizza per la circostanza che il

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Diritto Privato

soggetto instaura un rapporto diretto con la cosa (res), in particolare, rientrano nell’ambito della categoria dei
diritti soggettivi assoluti, la proprietà, che è un diritto soggettivo assoluto su cosa propria, e rientrano
nell’ambito della categoria anche diritti reali su cosa altrui, quindi è possibile anche che si possa costituire un
diritto reale su una cosa che di proprietà di un soggetto diverso. Questa ultima categoria comprende sia i diritti
reali di godimento, che i diritti reali di garanzia.
I diritti reali di godimento sono quelli che attribuiscono, al soggetto che ne è titolare, un potere di godere della
cosa. L’ampiezza del potere di godimento è differente in ragione della diversa categoria di diritto di cui si
tratta. Distinguiamo per esempio: l’usufrutto, l’uso, l’abitazione, l’enfiteusi, la servitù, si tratta di diritti che
attribuiscono a colui che ne è titolare un potere di godimento, che chiaramente ha una diversa ampiezza.
ESEMPIO: Supponiamo che Tizio sia proprietario del bene X, un proprietario ha due poteri molto importanti:
il potere di godere della cosa, quindi può trarre utilità dalla cosa; il potere di disposizione, ha la possibilità di
distribuire o vendere il proprio bene.
Se un genitore acquista un appartamento per il figlio, è molto frequente che si riservi il diritto di usufrutto, in
modo da assicurarsi la possibilità di godere del bene vita natural durante. Il figlio sarà quindi proprietario
NUDO del bene, ovvero proprietario con potere di disposizione ma non con potere di godimento (che
appartiene ai genitori).
I diritti reali di garanzia sono diritti assoluti su cosa altrui e sono rappresentati del pegno e dall’ipoteca.
ESEMPIO: un soggetto deve comprare un’immobile, non ha la disponibilità economica e quindi si rivolge alla
banca per ottenere un mutuo. La banca darà al soggetto una somma di denaro e tuttavia per assicurarsi la
restituzione della somma, potrà garantire un diritto reale di garanzia, l’ipoteca, sull’immobile che ha costituito
oggetto del contratto di compravendita. Attraverso la costituzione del diritto di garanzia, ipoteca in questo
caso, avrà una tutela rafforzata, rispetto ai creditori che sono sprovvisti di una garanzia reale.
L’altro diritto reale di garanzia è il pegno, il concetto non mutua, è una forma anche questa di rafforzamento
del credito, tuttavia il pegno ha ad oggetto beni mobili, mentre l’ipoteca ha ad oggetto beni immobili.
Rientrano nell’ambito della categoria dei diritti assoluti: i diritti della personalità. Si tratta di diritti
strettamente inerenti alla persona, che proprio per questo motivo hanno delle caratteristiche proprie specifiche,
sono imprescrittibili, sono indisponibili, non si possono cedere. Questi diritti sono tanti (il diritto al nome,
all’immagine, alla privacy, alla libertà, alla reputazione, ecc.…).
Nel diritto potestativo, il potere, attribuito al soggetto attivo del rapporto obbligatorio è un potere che consiste
nella possibilità di determinare modifiche nella sfera giuridica del soggetto passivo. Queste modifiche, una
volta che il diritto potestativo viene esercitato, si realizzano nella sfera giuridica del soggetto passivo, senza
che questo si possa opporre. Il soggetto passivo si trova quindi in situazione di mera soggezione.
ESEMPIO: Io ho acquistato un bene attraverso una televendita, normalmente durante la televendita passa una
stringa in basso in cui c’è scritto che colui che acquista un bene mediante una televendita ha il diritto di recedere
dal contratto che ha stipulato. Il legislatore in questo caso fa una premessa, perché chi ha acquistato non ha
avuto la possibilità di vedere il bene di persona, o probabilmente ha acquistato senza la dovuta consapevolezza.
L’ordinamento dunque permette il diritto di recesso che ha come funzione specifica, quella di terminare lo
scioglimento del contratto. Questo diritto, assegnato all’acquirente, quando viene esercitato nei confronti del
venditore, comporta come conseguenza lo scioglimento del contratto senza che il venditore a questo effetto, si
possa opporre. Questo significa che si determina una modifica non solo nella mia sfera giuridica (l’acquirente),
ma anche in quella del venditore.

Lezione 5
25/03/20
Capacità giuridica e capacità di agire- associazioni e fondazioni

Abbiamo affrontato il tema delle situazioni giuridiche soggettive attive e passive. Abbiamo detto che ciascun
soggetto di diritto può essere titolare di posizioni soggettive attive che attribuiscono dunque un vantaggio o
posizioni soggettive passive che comportano per il soggetto uno svantaggio. Abbiamo anche chiarito che la
posizione importante nell’ambito del diritto privato è rappresentato dal diritto soggettivo, cioè un potere
attribuito al soggetto al fine di soddisfare il proprio interesse, ovviamente ciò è ammesso nei limiti consentiti

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Diritto Privato

dall’ordinamento giuridico, quindi si deve trattare di un interesse meritevole di tutela. Abbiamo anche detto
che per ogni posizione soggettiva attiva corrisponde una posizione soggettiva passiva.
Nel nostro ordinamento soggetti di diritto non sono solo le persone fisiche ma possono essere anche particolari
enti giuridici. questi enti possono avere di diversa natura: enti pubblici o privati (nel nostro studio analizzeremo
solo enti di tipo privato) in questa categoria rientrano sia enti che hanno come scopo la realizzazione di lucro,
quindi enti di tipo lucrativo e enti che hanno invece finalità diverse di tipo non lucrativo (analizzeremo solo
questi), ad esempio tipo sociale, che non sono volte alla creazione di utile. Entrambe queste categorie sono
disciplinate nell’ambito del codice civile. Gli enti non lucrativi che trovano la loro disciplina nel libro I del
C.C. delle persone e della famiglia, in particolare incentreremo l’attenzione sulle due figure dell’associazione
e della fondazione.
Il libro I del C.c. dedica il titolo primo alle “persone fisiche”, quindi tutte le persone fisiche possono essere
tutelate di posizioni giuridico soggettive attive e passive, questo sembrerà un’ovvietà ma in passato non è
sempre stato cosi. I concetti fondamentali su cui dobbiamo incentrare l’attenzione sono rappresentati dal
concetto di persona con capacità giuridica e di capacità di agire. La capacità giuridica è disciplinata all’art. 1
del C.c. la norma espressamente prevede che: “La capacità giuridica si acquista dal momento della nascita. I
diritti che la legge riconosce a favore del concepito sono subordinati all'evento della nascita”
Come vedete non si stabilisce una definizione di capacità giuridica ma si limita solo ad affermare ed
individuare il momento in cui tale capacità si acquista in capo al soggetto. Tuttavia, la dottrina ha elaborato un
concetto che è condiviso da tutti di capacità giuridica come la capacità di essere titolare di posizione giuridico
soggettive attive e passive. Cosa significa? Che ogni persona fisica dal momento della nascita avrà nel suo
patrimonio situazioni giudico soggettive attive. Sicuramente già al momento della nascita il soggetto sarà
titolare di una serie di diritti della personalità (diritto al nome, diritto all’immagine ecc.). Ci possono essere
tuttavia anche dei diritti di carattere economico, quindi un soggetto può essere dal momento della nascita
titolare di un diritto di proprietà, supponiamo che il genitore sia morto e il soggetto nato abbia acquisito la
qualità di erede, quindi è subentrato nei diritti e doveri del deceduto (che si chiama de cuius) e avrà nel suo
patrimonio una serie di diritti molto vari, molto complessi e articolati. è evidente che il fatto che un soggetto
abbia dei diritti che nella sua sfera giuridica non è uguale a dire che quel soggetto abbia anche la capacità di
esercitare i diritti di cui è titolare, proprio per questo motivo il concetto di capacità giuridica viene distinto
nettamente dal concetto di capacità di agire ed è disciplinato dall’Art. 2 del codice civile. La capacità di agire
è una capacità che consiste nel fatto che colui che è titolare di posizione giuridico soggettiva, e quindi ha la
capacità giuridica, è in grado di esercitare validamente i diritti soggettivi di cui è titolare, e ha anche la capacità
di assumere eventualmente obblighi giuridici. quindi come capite una cosa è la mera titolarità di diritti
soggettivi, altro invece è la capacità di esercitare i diritti che rientrano nella propria sfera giuridica.
Un bambino di un anno, che è titolare di una serie di diritti soggettivi, è in grado di esercitarli in via autonoma?
ha quella capacità di discernimento sufficiente a consentirgli l’esercizio di diritti autonomi? ovviamente no. Il
legislatore prende in considerazione questa situazione e stabilisce che la capacità di esercitare i diritti di cui un
soggetto è titolare si acquisisce con il compimento della maggiore età, che attualmente è fissata al compimento
del diciottesimo anno di età. Il legislatore fissa un’età convenzionale a partire dalla quale si ritiene che il
soggetto sia in grado di esercitare i propri diritti e di assumere autonomamente obbligazioni. È evidente che è
una data fissata in via convenzionale, cioè il legislatore non può andare casa per casa per valutare se un certo
soggetto prima del diciottesimo anno di età abbia una idoneità discernimento adeguata e qualcosa accada dopo
il complimento della maggiore età.
Diamo per acquisito un concetto base, prima dei 18 anni il soggetto incapace legale di agire, il che significa
che secondo la legge non può compiere validi atti giuridici. dopo il compimento del diciottesimo anno di età
il soggetto è legalmente capace di agire, ossia lo potrà compiere validamente atti giuridici. in realtà il legislatore
prevede per il minore una serie di atti della vita quotidiana elementari rispetto alle quali non si pone un
problema di invalidità. Per esempio, un minore può comprare un giornale, stipulare un contratto di rapporto
quando prende un autobus, su questi piccoli atti della vita quotidiana il legislatore ritiene che il minore sia
idoneo a compierli. Compiuti 18 anni il soggetto è capace legalmente di agire ciò significa per una valutazione
ex ante gli attribuisce l’idoneità a compiere validamente atti giuridici. è anche vero tuttavia che possono
verificarsi azioni nelle quali, nonostante il compimento del 18esimo anno di età, il soggetto non abbia una
capacità di discernimento adeguata. Qual è la conseguenza di ciò? Che nonostante il raggiungimento dei 18
anni in alcune circostanze è necessario, ai fini di tutelare il soggetto maggiorenne che tuttavia non ha una piena
coscienza e consapevolezza delle proprie azioni, prevedere delle forme che in qualche modo limitano la
capacità legale di agire. tale limitazione può consistere in una limitazione di tipo assoluto o di tipo relativo,
rispetto alla capacità legale di agire. Ovvero, un soggetto può essere limitato della capacità legale di agire in

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maniera assoluta quando gli è precluso di compiere atti validi, sia atti di ordinaria amministrazione che atti di
straordinaria amministrazione. invece un soggetto è parzialmente capace di agire quando potrà comunque
compiere atti di ordinaria amministrazione ma non potrà validamente compiere atti di straordinaria
amministrazione. Gli atti di ordinaria amministrazione sono gli atti sostanzialmente di gestione minimale del
patrimonio, se per esempio in casa mi si rompe un rubinetto dell'acqua chiamo l'idraulico e lo faccio riparare
questo è un atto di ordinaria amministrazione. gli atti invece di straordinaria amministrazione sono quelli che
incidono in maniera significativa qualitativamente e quantitativamente sul patrimonio. La vendita di un
immobile è un atto di straordinaria amministrazione. quindi la differenza tra incapaci assoluti e relativi è il
riflesso della misura della limitazione della capacità di agire: si parlerà di incapace assoluto quando non si
potrà compiere un atto di ordinaria né di un atto di straordinaria amministrazione; si parlerà incapaci relativi
quando il soggetto potrà validamente compiere atti di ordinaria amministrazione ma non potrà compiere atti
di straordinaria amministrazione. In presenza di un soggetto incapace assoluto di agire si fa riferimento a
l'istituto della rappresentanza, questo soggetto infatti non può compiere atti di ordinaria né atti di
straordinaria amministrazione e verrà quindi sostituito per compimento dell'attività giuridica da un altro
soggetto che diventa il suo rappresentante legale, che compirà ordinaria e straordinaria amministrazione in
nome e per conto suo. Se si dovesse trattare di un minore di età normalmente questa attività rappresentativa
sarà svolta dai genitori congiuntamente per gli atti di straordinaria amministrazione, e disgiuntamente se si
tratta di atti di ordinaria amministrazione. Se non ci sono i genitori o le altre ipotesi di incapacità assoluta
interverrà un tutore, che sarà nominato dal giudice tutelare in sostituzione del soggetto incapace assoluto di
agire. nell'ipotesi in cui vi fosse un’incapacità relativa di agire si verificherebbe un'ipotesi differente in quanto
soggetto può compiere da solo atti di ordinaria amministrazione, interverrà in sostegno un curatore che
affiancherà la sua volontà a quella del soggetto incapace relativo di agire per il compimento degli atti di
straordinaria amministrazione.
Il rappresentante legale risponde legalmente per l'attività compiuta in maniera non corretta nei confronti del
soggetto rappresentato? Sì, tanto è vero che ci sono delle situazioni nelle quali si può privare il genitore della
rappresentanza legale del figlio minore in presenza di gravi scorrettezze nel compimento della sua attività di
tipo rappresentativo.
Ricapitolando:
• incapacità assoluta → intervento di un tutore o dei genitori che esercitano la potestà sul figlio minore
• incapacità relativa → assistenza del curatore per gli atti eccedenti l'ordinaria amministrazione.

Il minore di età è un soggetto incapace assoluto o è un soggetto incapace relativo? Il minore di età non può
compiere né atti di ordinaria, né atti di straordinaria amministrazione, quindi gli è preclusa la possibilità di
compiere atti dal punto di vista giuridico, in conseguenza viene ricondotto nell’ambito della categoria degli
incapaci assoluti di agire. (Eccetto qualche piccolo atto della vita quotidiana).
Al pari del soggetto minore vi sono altri soggetti che perdono la capacità legale di agire in ragione di particolari
situazioni nelle quali si trovano. in primo luogo, vi è un istituto, quello dell’interdizione giudiziale, che si
caratterizza per il fatto che il soggetto agente si trova in uno stato di grave infermità mentale la quale assume
caratteri di abitualità. L’Art. 414 codice stabilisce che: “ Il maggiore di età e il minore emancipato, i quali si
trovano in condizioni di abituale infermità di mente che li rende incapaci di provvedere ai propri interessi,
sono interdetti quando ciò è necessario per assicurare la loro adeguata protezione.” quindi l'interdizione
giudiziale dà luogo alla perdita della capacità legale di agire quando il soggetto nonostante sia maggiore di età,
non sia nella condizione, per lo stato di abituale infermità mentale, di compiere in maniera autonoma e maniera
consapevole gli atti giuridici. naturalmente perché un soggetto possa essere interdetto inizialmente è necessaria
una particolare procedura che si conclude con una sentenza di interdizione da parte del giudice (procedura
slide Bandiera). l'interdizione non è una conseguenza immediata la circostanza che consiste nella infermità
abituale di mente ma presuppone un accertamento da parte del giudice, quindi il giudice sulla base della
richiesta fatta da una serie di soggetti potrà pervenire alla sentenza di interdizione la quale sarà pubblicata e
poi annotata nel registro degli atti dello stato civile. oltre agli incapaci assoluti vi sono gli incapaci relativi in
questa categoria ad esempio rientrano sia il minore emancipato che il soggetto inabilitato.
il soggetto inabilitato è un soggetto che ha delle difficoltà, nell’Art. 415 vi sono le cause che danno luogo
all’inabilitazione che sostanzialmente incorre quando un soggetto maggiore di età è infermo di mente ma ha
un’infermità non tanto grave da giustificare interdizione. peraltro, possono essere interdetti anche una serie di
altri soggetti e per esempio chi fa abuso abituale di bevande alcoliche e stupefacenti o che hanno delle difficoltà
di carattere fisico (per esempio sordomutismo se non hanno ottenuto una adeguata educazione che gli ha

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permesso di poter sopperire a quelle carenze di carattere fisico). l’inabilitato a differenza dell’interdetto è un
incapace relativo, quindi potrà compiere da solo gli atti di ordinaria amministrazione ma non potrà compiere
gli atti di straordinaria amministrazione, se non con l'assistenza del curatore. È un soggetto incapace relativo
anche un minore emancipato. Significa che un soggetto possa contrarre matrimonio al compimento del
sedicesimo anno di età. la norma di riferimento in materia di emancipazione è l’art 390, ed esattamente afferma
che se il minore ha contratto matrimonio, da quel momento in poi gli viene riconosciuta la possibilità di
compiere atti di ordinaria amministrazione da solo, per gli atti di straordinaria amministrazione ha sempre
l’esigenza di essere assistito da un curatore.

Ricapitolando:
soggetti legali incapaci assoluti→ il minore di età, l'interdetto giudiziale;
soggetti incapaci relativi → l'inabilitato e il minore emancipato.

Un discorso diverso va fatto con riferimento all’interdizione legale, che non ha lo stesso fondamento
dell'interdizione giudiziale che ha come obiettivo primario la tutela del soggetto incapace legale di agire;
nell’interdizione legale invece si fa un ragionamento completamente diverso perché essa comporta la
limitazione non di tutti i diritti ma dei diritti di tipo patrimoniale. l’interdizione giudiziale, infatti, è una pena
accessoria che si affianca a una sentenza di condanna alla reclusione non inferiore a 5 anni, in questo caso
come pena aggiuntiva sul piano civilistico il soggetto sarà limitato nella possibilità del complimento degli atti
di rilevanza patrimoniale, ma può comunque sposarsi o riconoscere un figlio naturale.
L'istituto dell'amministrazione di sostegno è stato introdotto con la legge del 2004 numero 6 del 9 gennaio,
ed ha come compito di fornire una tutela ai soggetti che hanno difficoltà di carattere psicologico o fisico. più
flessibile rispetto alla tutela che in precedenza era stata assegnata attraverso l'istituto della interdizione,
inabilitazione e infermità. Perché mentre con gli istituti che hanno costituito oggetto di riflessione in
precedenza il soggetto viene privato in tutto o in parte della capacità legale di agire, con l'amministrazione di
sostegno si opera un meccanismo opposto, cioè non si ha una privazione assoluta o relativa della capacità di
agire, ma al contrario, si individuano gli atti rispetto ai quali è necessario l'intervento e l'assistenza
dell'amministratore di sostegno, per tutti gli atti non espressamente indicati il soggetto si deve considerare
capace di agire. quindi il meccanismo è opposto perché si parte dalla premessa che il soggetto non potrà
compiere solo gli atti rispetto ai quali si è ritenuto necessario far intervenire l'amministratore di sostegno, per
tutti gli altri atti il soggetto potrà agire autonomamente.
Vorrei sottolineare una distinzione fondamentale da conoscere assolutamente al fine del superamento
dell'esame dell'esito positivo dell'esame quindi sottolineo e tengo a precisare che parlerò di una
distinzione basilare nell'ambito di diritto privato che quella tra SOGGETTI INCAPACI LEGALI DI
AGIRE E SOGGETTI INCAPACI NATURALI.
il minore di età, che un soggetto incapace assoluto di agire, se vende un immobile e magari lo fa due giorni
prima di compiere la maggiore età, ed è perfettamente consapevole di quello che sta facendo, cioè ha una piena
capacità di intendere e di volere quindi di capire il valore dell'atto che sta ponendo in essere e di compierlo
consapevolmente, secondo voi incorrerà in un atto giuridico valido o in un atto giuridico invalido? Compirà
un atto giuridico invalido. Perché la situazione di fatto, cioè la circostanza che il soggetto sia più o meno
consapevole e sia quindi in grado di discernere il valore dell’atto, non rileva fintanto che permane lo stato di
incapacità legale. lo stesso esempio lo possiamo fare un riferimento ad un soggetto interdetto giudiziale:
supponiamo che il soggetto improvvisamente acquisisca una piena consapevolezza del valore degli atti in
essere, quell’atto sarà valido? No, rimane un atto invalido. Affinché l’atto diventi valido è necessario che quel
soggetto venga dichiarato nuovamente capace legale di agire, come si fa attraverso la revoca della sentenza di
interdizione giudiziale. lo stesso vale per l’inabilitazione, il soggetto finché è inabilitato non potrà compiere
validi atti di straordinaria amministrazione fino a quando non sia revocata la sentenza di inabilitazione.
Possiamo trarre una prima conseguenza importante, la valutazione operata dalla legge prevale sulla situazione
di fatto, cioè una volta che il soggetto è incapace legale di agire gli atti che vengano compiuti senza l'assistenza
del curatore o senza l'intervento del tutore saranno sempre invalidi e conseguentemente annullabili.

L’incapacità naturale è rubricata nell’articolo 428 “atti compiuti da persona incapace di intendere o di
volere”; è una disciplina che trova applicazione nell'ipotesi in cui il soggetto sia legalmente capace di agire,
significa che il soggetto non è minore di età, non è interdetto, quindi sostanzialmente secondo la valutazione
operata dalla legge tale soggetto sarebbe in grado di compiere atti validi dal punto di vista giuridico. Può
accadere che un soggetto pur essendo legalmente capace di agire si possa trovare in un momento specifico

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della sua vita in una condizione di incapacità di intendere o di volere, cioè non è in grado di valutare
l'importanza degli atti, e quindi sostanzialmente non è in grado di operare in maniera consapevole la sua attività
giuridica. Esempio: Tizio maggiorenne, quindi legale capace di agire, si ubriaca in maniera tale da perdere la
capacità di intendere o di volere, oppure usa una sostanza stupefacente e in quel particolare momento non si
trova nella capacità di intendere o di volere. In una situazione di questo tipo il legislatore stabilisce che se il
soggetto ha compiuto l'atto (in uno stato di incapacità di intendere e di volere, nonostante sia un soggetto
capace legale di agire) quell’atto può essere annullato. quindi quell'atto è invalido nonostante il soggetto sia
dotato e la capacità legale di agire. si potrebbe verificare anche un'altra ipotesi: il soggetto si trovi in un abituale
stato di infermità mentale e tuttavia non sia intervenuto un provvedimento limitativo della capacità legale di
agire. Supponiamo che un soggetto potenzialmente suscettibile di un provvedimento di interdizione giudiziale
non sia stato sottoposto ad interdizione, quindi non ci sia una sentenza che limita la sua capacità legale di agire,
in questo caso il soggetto è legalmente capace in quanto per la legge non è interdetto, quindi sostanzialmente
dovrebbe disporre atti giuridici validi. tuttavia, se quel soggetto nel momento in cui ha compiuto l’atto si
trovava in una situazione di incapacità di intendere o di volere, situazione di fatto, quell’atto può essere
annullato. la disciplina sulla invalidità degli atti posti in essere dall'incapace naturale, in questo caso si parla
quindi di incapacità di fatto, è una disciplina molto articolata, perché distingue tre tipologie di atto. La legge
cioè l’articolo 428, detta regole differenti a seconda che il soggetto incapace naturale quindi incapace di
intendere e di volere abbia posto:
• in essere un atto personale, cioè testamento, una donazione;
• o abbia contratto matrimonio;
• oppure abbia posto in essere un atto unilaterale, ovvero abbia stipulato un contratto.
se un soggetto capace di agire, ma incapace intendere e di volere, quindi incapace naturale, dovesse contrarre
matrimonio, fare testamento, oppure fare una donazione per poter ottenere l'annullamento dell'atto dovrebbe
fornire la prova che nel momento in cui ha compiuto l'atto si trovava in uno stato di incapacità naturale. se
riesce a fornire questa prova l’atto sarà annullabile e quindi si potrà chiedere l'eliminazione dell'atto nell'ambito
del sistema giuridico. se invece si dovesse trattare di atti unilaterali posti in essere dal soggetto accadrà che
oltre a dover provare che si trovava in uno stato di incapacità di intendere e di volere, dovrà anche fornire la
prova che l’atto che ha compiuto gli ha arrecato un grave pregiudizio. Esempio: Tizio creditore di Caio per la
somma di 100, rinuncia unilateralmente a riscuotere il credito, questo atto unilaterale, perché posto dal solo
soggetto incapace naturale, mi crea un pregiudizio perché quel soggetto non potrà più ottenere la somma di
denaro di cui è creditore. per ottenere l'annullamento degli atti unilaterali saranno necessarie due prove. Non
basterà provare che il soggetto si trovava in uno stato di incapacità di intendere e di volere, ma bisognerà anche
fornire la prova che quell'altro risulti per lui pregiudizievole.
disciplina ancora diversa opera con riferimento ai contratti: Il contratto è un accordo tra due o più parti per
costituire regolare o estinguere rapporti di carattere patrimoniale. Se io concludo un contratto di compravendita
e nel momento in cui l’ho concluso mi trovavo in uno stato di incapacità naturale, cioè incapacità di intendere
e di volere, dovrò fornire una prova ancora più gravosa. Non basterà fornire la prova che mi trovavo in uno
stato di incapacità di intendere e di volere, dovrò anche fornire la prova che la controparte, quindi colui che ha
contattato con l'incapace naturale, fosse in malafede, cioè aveva consapevolezza dello stato di incapacità nel
quale la controparte si trovava. qual è il motivo per cui queste tre tipologie di atti sono trattate in maniera
diversificata? allora per gli atti di carattere personale (testamento, donazione e il matrimonio) il legislatore
ritiene che essendo atti altamente inerenti alla persona è opportuno tutelare maggiormente il soggetto incapace
naturale, per questi atti strettamente inerenti alla sfera personale bisognerà consentire al soggetto di chiedere
l'annullamento di essi limitandosi a richiedere la prova della sussistenza dello stato di incapacità. Se invece si
tratta di un atto unilaterale il legislatore si pone il problema: Quest’atto gli ha arrecato danno, oppure no? Se
non gli ha arrecato danno non c'è ragione di chiedere l'annullamento dell'atto, se invece l’atto è pregiudizievole
per l’autore allora sarà necessario e sarà possibile proporre un eventuale azione di annullamento. Terza ipotesi
ovvero il contratto, questa è un'ipotesi più complessa. Se c’è un contratto capite bene che ci sono due interessi
contrapposti, nell'esempio c’è l'interesse del soggetto venditore e c'è l’interesse del soggetto acquirente.
supponiamo che il venditore si trovi in uno stato di incapacità di intendere o di volere, supponiamo che
l'acquirente non sia a conoscenza dello stato di incapacità di intendere e di volere del venditore, questa è
un'ipotesi che si possono frequentemente verificare Nella prassi. perché mentre a fronte di un soggetto incapace
legale di agire è facile stabilire, se è minore è sufficiente che io guardi la sua carta d'identità e la data di nascita,
se fosse stato soggetto a un intervento limitativo della capacità, una sentenza di interdizione per esempio
giudiziale, trovo questa informazione negli atti dello stato civile (perché il provvedimento di interdizione viene
annotato negli atti dello stato civile). ma se un soggetto è incapace naturale e quindi è incapace perché magari

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in uno specifico momento ha fatto uso di sostanze stupefacenti, il compratore in questo caso non è sempre in
grado di capirlo potrebbe non accorgersene, allora il legislatore stabilisce che ai fini dell'annullamento dell'atto
è necessario anche che oltre ad essere pregiudizievole per l’incapace, sia anche un atto rispetto al quale il
soggetto acquirente, nell’ipotesi che ho formulato, fosse in malafede cioè fosse consapevole dello stato di
incapacità in cui si trovava il venditore. alla base di questa regola c'è un principio fondamentale che è il
principio dell’affidamento, cioè i soggetti devono poter confidare sulla validità degli atti giuridici, questo è
un principio fondamentale nell'ambito della circolazione dei beni giuridici se non fosse così ci bloccherebbe
la circolazione dei beni. il legislatore quindi appresta tutela al soggetto incapace naturale di agire solo nei limiti
in cui la controparte fosse in malafede, cioè consapevole dello stato di incapacità naturale in cui la controparte
si trovava. il principio dell'affidamento consiste in ciò: i soggetti devono poter fare affidamento sulla validità
degli atti giuridici, quindi il principio dell'affidamento viene meno ogni qualvolta colui che avrebbe dovuto
fare affidamento sull'atto non deve più essere tutelato in quanto è perfettamente consapevole, è a conoscenza,
dello stato di incapacità nella quale si trova la controparte. Esempio: Tizio incapace di intendere e di volere,
quindi incapace naturale, vende a Caio il bene x. Caio fa affidamento sulla validità di quell’atto, magari è una
persona molto diligente e verifica che quel soggetto non sia incapace legale di agire, quindi non sia minore,
non sia stato interdetto, dopodiché lo guarda gli sembra che sia una persona che sta bene e stipula il contratto
di compravendita. è chiaro che lui in questo caso ha fatto affidamento sulla validità di quell’atto questo
affidamento viene protetto dal legislatore, stabilendo che in questo caso l’atto non potrà essere annullato.
Secondo esempio: Tizio vende a Caio il bene x. Tizio glielo vende quando si trovava in una situazione di
incapacità di intendere e di volere, Caio sa che Tizio ha assunto sostanze stupefacenti. l’acquirente non deve
essere tutelato perché è in malafede, quindi sostanzialmente non c'è più ragione affinché la sua situazione sia
protetta e l'atto potrà essere annullato.
Ricapitolando e soffermandoci sulla distinzione fondamentale tra incapacità legale e incapacità naturale
possiamo in sintesi dire che:
• la situazione di incapacità legale prevale sulla situazione di fatto, cioè se un soggetto è incapace legale di
agire (supponiamo minore interdetto, giudiziale riabilitato) quella situazione prevarrà sempre rispetto alla
situazione di fatto, che consiste nella sua capacità di intendere e di volere. quindi anche se un soggetto
incapace legale di agire fosse divenuto capace di intendere e di volere l'atto da lui compiuto rimarrebbe un
atto assolutamente annullabile, invalido.
• quando si parla di incapacità naturale si valuta la situazione di fatto, cioè si valuta che il soggetto
nonostante sia incapace legalmente, si trovi in uno stato di incapacità di intendere o di volere. in questa
seconda ipotesi la situazione di fatto prevale sulla valutazione legale, perché il soggetto incapace intendere
e di volere potrà fornire la prova che si trovava in uno stato di incapacità naturale. ovviamente la prova
incapacità naturale sarà sufficiente per ottenere l'annullamento dell'atto se si tratta di atti personali
(testamento matrimonio donazione) se si tratta di atti unilaterali sarà necessario anche provare che dall'atto
è derivato un pregiudizio Al soggetto incapace naturale. se si dovesse trattare di contratti sarebbe
necessario fornire anche la prova della mala fede dell'altro contraente.

Nel nostro sistema i soggetti del diritto non sono solo le persone fisiche, ma accanto alle persone fisiche
acquisiscono qualità di soggetti di diritto anche gli enti pubblici o privati con finalità lucrative o non lucrative.
Nel nostro corso analizzeremo solo gli enti privati con finalità non lucrative. in questa categoria secondo il
nostro codice rientrano due grandi tipologie:
• associazioni;
• fondazioni.
Associazioni e le fondazioni sono anch'esse soggetti di diritto perché possono essere titolari di posizioni
giuridiche soggettive attive e passive.
Differenza: nelle associazioni prevale l'elemento personale, cioè l'associazione si caratterizza per il fatto che
più soggetti si mettono insieme al fine di realizzare uno scopo comune. questo scopo è di tipo non lucrativo
(per esempio una associazione a sostegno dei malati di tumore, è una finalità che non ha carattere di lucro.)
Può anche accadere però un fenomeno diverso che ci sia una preferenza del patrimonio rispetto alle persone.
Esempio: Tizio può da solo staccare una parte dei propri beni dal suo patrimonio e destinarli a una certa finalità,
quindi Tizio costituisce una fondazione destinando una parte dei propri beni al soddisfacimento di un certo
scopo di tipo non lucrativo.
Tra la scrittura associativa e quella fondazione C'è una differenza fondamentale basilare. la forndazione può
essere costituita anche da un solo soggetto il quale destina una parte del suo patrimonio alla realizzazione di

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uno specifico determinato obiettivo, mentre l’associazione è formata da più soggetti. tutto ciò si riflette anche
sulla modalità con cui si costituisce l'associazione e la fondazione.
domanda esame “COME SI COSTITUISCE UNA ASSOCIAZIONE E COME SI COSTITUISCE UNA
FONDAZIONE?”
Nell'associazione si stipula un contratto associativo, cioè due più persone decidono insieme di costituire
l'associazione mediante contratto associativo che ha l'obiettivo di realizzare uno scopo comune che viene
concordato da parte degli associati. è anche possibile che un soggetto si possa iscrivere ad un'associazione
dopo che la stessa è già costituita, quindi normalmente l'associazione ha una struttura aperta (perché è aperta
all’adesione) una volta che costituita da parte di altri soggetti. L’associazione ha una sua organizzazione, una
sua struttura e dei suoi organi (materiale didattico integrativo Bandiera).
Nella fondazione invece si verifica un fenomeno diverso, cioè un solo soggetto può destinare una parte del
patrimonio a un certo scopo, non di carattere lucrativo. L’atto con cui si costituisce la fondazione è un atto di
tipo unilaterale e si può fare o mediante un atto che è destinato a produrre i suoi effetti durante la vita del
fondatore (un atto inter vivos) si chiama negozio di fondazione, che ha lo scopo di staccare una parte del
patrimonio e di destinarlo ad uno scopo non lucrativo, che stabilisce il fondatore, oppure si può fare con un
atto a causa di morte (mortis causa) è l'ipotesi del testamento. Tizio può nel testamento stabilire che una parte
del suo patrimonio sia destinato alla costituzione di una fondazione.
Associazioni e fondazioni hanno un ulteriore differenza fondamentale, le associazioni sono di due tipologie:
• Associazioni riconosciute
• Associazioni non riconosciute
Significa che, costituita l'associazione mediante il contratto associativo e stabilito lo statuto dell'associazione
che regola il funzionamento dei suoi organi, si può procedere ad un passaggio ulteriore che è possibile ma non
è necessario, cioè l'associazione una volta costituita potrà richiedere o potrà non richiedere il riconoscimento
da parte dell'ordinamento al fine di acquisire la cosiddetta personalità giuridica. Ci sono associazioni
riconosciute dotate di personalità giuridica e ci sono associazioni non riconosciute, cioè prive di personalità
giuridica, tutto ciò non è irrilevante. Il fatto che l'associazione abbia acquisito personalità giuridica, rispetto ad
un'altra associazione che ne sia priva, comporta un differente trattamento dal punto di vista patrimoniale.
L’associazione non riconosciuta ha una responsabilità patrimoniale imperfetta. L’associazione invece che
ha ottenuto il riconoscimento, (la procedura nelle slide Bandiera) è una associazione che ha cucito la
personalità giuridica e pertanto ha una autonomia patrimoniale perfetta. la differenza tra autonomia
patrimoniale perfetta e autonomia patrimoniale imperfetta è fondamentale, perché stabilisce quali sono le
conseguenze che si determinano nel caso in cui l'associazione abbia contratto dei debiti. bisogna capire il fronte
della presenza di debitori dell'associazione, chi sia tenuto a pagare eventuali debiti che sono stati contratti
dall’Associazione. Se l'associazione ha cucito la personalità giuridica ciò equivale a dire che dei debiti
dell'associazione risponderà esclusivamente il patrimonio della associazione. quindi non ci si potrà rivolgere
per soddisfare quei determinati debiti ai singoli associati.
facciamo l'ipotesi: associazione x dotata di personalità giuridica ha gestito male la sua attività a contratto, chi
risponderà di questi debiti? solo l'associazione con il suo patrimonio. il patrimonio dell’associazione sarà
costituito dalle quote associative dei singoli soci, eventualmente da donazioni che saranno state fatte dalla
associazione, però i singoli associati non rischiano nulla non hanno nessun problema.
Se invece l'associazione non è dotata di personalità giuridica il problema si pone diversamente perché dei debiti
dell’Associazione non si risponde solo con il patrimonio dell'associazione ma risponderanno di questi debiti
anche coloro che hanno agito in nome e per conto dell’associazione. Significa che colui che ha agito per nome
e per conto dell’associazione sarà esposto a rischio di dover pagare i debiti dell'associazione con il suo
patrimonio personale, quindi è una situazione molto pericolosa. non rispondono per i debiti dell'Associazione
non riconosciuta tutti i soggetti che sono partecipanti dell’associazione, se fosse così nessuno più si
scriverebbero associazione, avrebbero tutti paura ad iscriversi all’associazione, perché chiaramente ci sarebbe
il rischio di dover poi rispondere con il proprio patrimonio dei debiti che sono stati assunti dall’Associazione.
risponderanno normalmente gli amministratori o quegli associati che hanno agito in nome e per conto
associazione.
La fondazione a differenza delle associazioni si caratterizza per il fatto che è sempre dotata di personalità
giuridica, quindi non esisto fondazioni prive di personalità giuridica il che equivale a dire che dei debiti della
fondazione risponde soltanto la fondazione con il suo patrimonio.

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Lezione 6
30-03
Classificazione dei beni- diritti reali

La scorsa lezione abbiamo parlato di soggetto di diritto e della nozione di diritto soggettivo, ovvero
di norme predisposte dall'ordinamento per la soddisfazione di un interesse delle persone. Persone che
possono essere fisiche o giuridiche.
Questo interesse che cos'è? È un concetto ampio, non corrisponde solo ad un bisogno immediato, il
concetto di bisogno più ristretto. Esempio: Ho il diritto di muovermi all'interno del territorio dello
Stato e allora quello che può soddisfare questo mio interesse è un'autovettura che mi consenta di
muovermi da una parte all'altra, l'interesse potrebbe essere anche quello di muovermi fuori dai confini
della Regione e allora questo mio interesse potrà essere soddisfatto anche da un efficiente servizio di
trasporti che sia il mezzo aereo, che sia il mezzo navale. Cioè l’interesse talora può essere soddisfatto
da una cosa, da un bene materiale, oppure può essere soddisfatto da un servizio (esempio quello dei
trasporti efficienti), o soddisfatto da comportamenti altrui. Esempio: sono un commerciante, ho
un’attività commerciale, ho l'interesse affinché i miei affari si smuovano in un certo modo e che
nessuno mi faccia concorrenza aprendo un negozio di fianco al mio che svii la clientela o che faccia
crollare i miei interessi. L'interesse può essere esclusivo o può essere individuale, ho una casa in cui
voglio vivere, ma può essere anche che ho un interesse più generale come quello di vivere in un
ambiente salubre o l’interesse che nessuno alteri il paesaggio perché io possa godere di queste
immagini. Ecco proprio per la soddisfazione di questi interessi l'ordinamento predispone una serie di
regole.
Gli interessi non possono essere soddisfatti solo da cose, il concetto di cosa è un po' riduttivo; il
concetto che meglio di ogni altro è idoneo a soddisfare l'interesse dei soggetti è quello di bene.
ci possono essere cose che non sono bene, immaginiamo un luogo fisico che ha una sua collocazione
ma non è un bene. il legislatore nell'Art. 810 precisa che: “sono beni le cose che possono formare
oggetto del diritto” tali beni possono essere materiali o immateriali.
I beni immobili sono tutti quei beni che sono saldamente ancorati al suolo, quindi sono beni immobili
gli alberi, le case, i terreni, i pali saldamente ancorati al terreno.
Esempio: la roulotte che ha un sistema di aggancio che le permette di muoversi solo se trainata. È
definita bene immobile solo quando è saldamente fissata al suolo.
Quindi tutto ciò che viene ancorato al suolo è bene immobile. Tutto il resto è bene mobile (si può
muovere liberamente e non è ancorato al suolo).
Questa distinzione tra bene mobile o immobile ha un’importanza rilevantissima per quanto riguarda
la conoscibilità della partenza di questi beni; di una casa è possibile sapere a chi appartiene perché ci
sono dei Registri Immobiliari nei quali di ogni casa si saprà chi è il proprietario, chi era il proprietario
precedente e ancora prima che questo l'aveva ricevuta in modo che ciascuno possa conoscere
esattamente il modo in cui questo bene è transitato nel patrimonio dei soggetti. le stesse regole di
iscrizione in pubblici registri esistono anche per alcuni beni che sembrerebbero mobili ma che in
realtà sono assoggettati alla stessa disciplina. le automobili, le navi e gli aerei sono beni mobili ma
sono identificati come beni mobili registrati vuol dire che la loro circolazione nell'ordinamento
avviene secondo le regole proprie dei beni immobili. Quindi se voi volete comprare una macchina
dovete utilizzare le formalità che si usano per la compravendita di un immobile: dovrà essere scritto
un atto di compravendita in cui viene reso pubblico il diritto di titolarità che è avvenuto da un soggetto
all’altro, perché chiunque possa essere posto in condizione di sapere a chi appartenesse e a chi
appartiene quel bene. Questa regola non può appartenere certamente ai beni mobili che sono la
maggioranza, per questi beni le regole di circolazione sono facilitate nel senso che non è necessaria
l'annotazione, ma è sufficiente il semplice scambio tra due persone (venditore e acquirente).
Quindi beni mobili e immobili è una distinzione importantissima alla quale faremo continuo
riferimento. Chiaro che dovremmo ora saper distinguere la differenza tra un quaderno (bene mobile)
e un aeroplano (bene mobile registrato) che sono diversi dai beni immobili.

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Altra distinzione che si fa è quella tra beni generici e specifici questo perché anche qui serve per la
loro disciplina. non devo preoccuparmi ogni volta di sapere quand'è che divento proprietaria di un
bene (per esempio): se io compro un quintale di grano, quand'è che divento proprietaria? E se io ho
un piccolo mucchietto di grano è diverso dall'averne un quintale? Ecco, certo che si. Perché il quintale
è una quantità maggiore. Altro esempio se vado in cartoleria e chiedo al libraio un libro di diritto
privato (in generale), il libraio prenderà dal suo scaffale con diversi volumi solo uno di questi. Ecco
che distinguiamo generico e specifico.
Altra distinzione riguarda i beni fungibili e infungibili. È fungibile un bene che può essere scambiato
con un altro senza perdere la sua essenza (una banconota da 5€ con un'altra banconota da 5€, tutte le
copie di uno stesso libro). Mentre i beni infungibili sono quelli che non possono essere sostituiti e
ciascuno dei quali ha una sua specificità che non lo può eguagliare ad un altro (se una determinata
copia di un libro contiene una dedica di un personaggio famoso che l'ha pure autografata avrà un
valore diverso rispetto alle altre).
Altra distinzione bene divisibile e indivisibile. Un bene viene classificato come indivisibile quando
perde la sua essenza, la sua natura nel momento in cui sia smembrato o diviso (potete immaginare
un'automobile che se viene tagliata a metà perde completamente la sua utilizzabilità quindi
l'automobile è indivisibile.) È divisibile invece un bene che ha un funzionamento, un'essenza anche
nel momento in cui viene diviso.
Altra classificazione che ci interessa è quella relativa ai beni composti. i beni composti sono quei
beni che si presentano come unitari anche se sono costituiti da più parti che potrebbero avere
un’autonoma fisionomia. Immaginate un'autovettura, le ruote possono avere una rilevanza autonoma
così come la carrozzeria ma l’automobile non può essere tale senza l’assemblaggio di più cose
(motore, ruota, carrozzeria). Opposto al concetto di bene composto abbiamo il concetto di
incorporazione (bene incorporato l'uno all'altro). Esempio: possiamo immaginare un terreno e una
casa. Sono due cose diverse perché entrambi esistono da soli, ma se noi costruiamo una casa su un
terreno quello è un bene incorporato perché se a quella casa togli quel terreno, non esisterebbe più.
Questo fenomeno di incorporazione è importante perché regola i modi di acquisto di una proprietà.
C'è una regola generale sulla base della quale il proprietario del terreno diventa proprietario di tutto
ciò che viene incorporato sul suo suolo. Quindi vuol dire che se io costruisco una casetta degli attrezzi
sul terreno del mio vicino, la proprietà di quella casetta è del mio vicino, non mia. L'incorporazione
della casa su terreno altrui ha fatto sì che la regola di cui all’art. 938 fa sì che il proprietario del terreno
diventa anche proprietario di ciò che vi è incorporato.
Un ultimo concetto sul quale vorrei richiamare la vostra attenzione è quello di pertinenza. La
pertinenza viene descritta dal legislatore qualunque cosa che sia destinata stabilmente a servizio o
ornamento di un’altra cosa. Tenete bene a mente questo concetto perché il nostro legislatore a
differenza di quello tedesco che ha elencato quali possono essere le pertinenze, ha scelto di dare una
regola generale che possa aiutare a capire quali beni possono essere classificati come pertinenti.
Esempio: l'azienda agricola. Questa è composta da stalle, animali, attrezzi e quindi se noi abbiamo il
bene "azienda" sono di sua pertinenza tutto ciò che è stabilmente utilizzato a servizio dell’azienda.
Qual è la rilevanza di definire un bene come pertinenza? Che la pertinenza circola con il bene a cui è
destinata. Facciamo l'esempio di una casa che è composta dalla cucina dal garage dalla cantina ecc.
Nel contratto della nostra casa noi ritroveremo tutte queste pertinenze proprio perché sono
appartenenti al bene casa. Dunque, "pertinenza" è un vincolo tra più beni che potrebbero anche
circolare autonomamente ma laddove si crei un vincolo tale per cui uno di questi beni è destinato al
servizio permanente di un altro bene, i due circolano necessariamente insieme, per cui il trasferimento
di uno comporta il trasferimento dell’altro come pertinenza (art. 817 disciplina la pertinenza).
Diversa dalla pertinenza, l'universalità cioè un insieme di beni che potrebbero circolare anche
singolarmente e unitariamente, che però possono venire in considerazione nel loro complesso per
costituire un unico oggetto di diritto. esempio: ogni libro è un bene che può circolare autonomamente,
se però io considero l'insieme dei libri contenenti in una biblioteca, parlerò di universalità.

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Diritto Privato

I diritti mobili o immobili (cioè sulle cose materiali) fanno parte di quel settore che noi chiamiamo
DIRITTI REALI. Questi comprendono in primo luogo la proprietà e poi altri beni e diritti materiali
che noi conosciamo con il termine di diritti reali minori. Si chiamano minori perché contengono
qualche prerogativa diversa dalla proprietà stessa. Un esempio è il diritto su cosa propria: io sono
proprietario del mio cellulare e posso farne ciò che voglio, nessun altro può vantare sul mio cellulare
la proprietà perché ho esclusiva. Allo stesso modo se ho un terreno o una casa potrò farne ciò che
voglio perché ne sono proprietaria (posso venere, ristrutturare, demolire, abitare, ecc..). Tuttavia,
prendendo l’esempio della casa: se io dico ad una zia di usare la casa finché vive senza contrasti, in
questo caso sullo stesso bene confluiscono due diritti: quello del proprietario e quello della zia
chiamato usufrutto. Il diritto della zia sulla mia casa è il diritto su una cosa che è di altri, quindi la
proprietà va distinta dai diritti sulle cose altrui. I diritti reali consistono in prerogative su una cosa che
talora appartiene ad altri. Questo si può avere per due finalità: o per consentire il godimento di questo
bene da parte di un soggetto che non è proprietario, e quindi i diritti si chiamano diritti reali di
godimento, oppure per rafforzare la garanzia del creditore (diritti di garanzia). Esempio: io chiedo
un mutuo in banca per comprarmi la casa; la banca pretenderà di iscrivere un’ipoteca sull’immobile
che io ho acquistato, questo da alla banca il diritto di vendere la mia casa nel caso in cui io non
adempia al mio debito. Allo stesso modo posso chiedere un prestito ad un amico dandogli in pegno
un orologio per la restituzione di ciò che gli devo, quella consegna del bene vuol dire che il mio amico
esercita un diritto su quell’orologio a garanzia di un suo credito. E allora i diritti reali sono diritti
reali di godimento se sono destinati a convergere su un altro il godimento; o diritti di garanzia se
devono tutelare le ragioni di un creditore. Quali che siano le funzioni (reali o garanzia), hanno
caratteristiche in comune: sono tutti diritti assoluti, quindi sono diritti che possono essere esercitati
dal titolare senza la collaborazione di nessuno.
Esempio: se io sono creditore di Tizio, per avere soddisfazione del mio credito è necessario che Tizio
mi paghi. Mentre se sono proprietario di un bene non ho bisogno di nessuna collaborazione da parte
di nessuno, io posso far valere il mio diritto nei confronti di chiunque vanti pretese contrapposte alle
mie. Diritto assoluto, diritto opponibile a chiunque, nel senso che l'ordinamento predispone una
tutela per i diritti reali a vantaggio del loro titolare e nei confronti di chiunque vanti un diritto o pretesa
incompatibile con quella del suo titolare. Sono assoluti e sono anche immediati, nel senso che il diritto
può essere esercitato senza la collaborazione di nessuno. Il soggetto semplicemente esercita il suo
diritto e non ha bisogno di intermediari. Diverso nei rapporti tra le persone, perché se io do in
locazione la mia casa ad un altro che mi paga un canone di locazione, il mio è un diritto assoluto
perché sono proprietaria della casa, ma quello dell'inquilino (che si chiama conduttore) non è un
diritto reale, il suo diritto di abitare a casa mia nasce dal contratto e potrà esercitarlo se mi paga il
canone di locazione. Questo è un diritto relativo. Il vantaggio sarà che se voglio chiedere il canone
di locazione che non mi è stato pagato, posso rivolgermi solo al conduttore, non posso andare da un
altro. E lui, se io non gli faccio godere dell'immobile (non gli do le chiavi, non gli consento di vivere
nella casa come avevamo stabilito) potrà rivalersi contro di me, è un rapporto a due.
Mentre il diritto assoluto si esercita nei confronti di chiunque altro.
Altra caratteristica importantissima dei diritti reali è la tipicità e il numero chiuso.
I diritti reali sono a numero chiuso nel senso che l l'unico che può stabilire quanti e quali sono i diritti
reali è il legislatore. Mentre in ambito contrattuale è ammessa una certa autonomia dei privati, in
materia di diritti reali sono chiari determinati e non alterabili quei diritti che comportano un rapporto
tra un soggetto e rapporti materiali. Quindi solo il legislatore può modificare o integrare il numero
dei diritti reali, non possono farlo i privati, non può farlo nemmeno il giudice in via di interpretazione.
E poi sono tipici vuol dire che tutta la disciplina è quella dettata dal legislatore quindi non ci può
essere nessun altro.
Ancora ultima caratteristica importante è quella che noi chiamiamo diritto di seguito o sequela: la
caratteristica del diritto reale è che le prerogative viaggiano sul bene. Esempio: io ho un terreno, non
ho acqua sul mio terreno ma ce l'ha il mio vicino, abbiamo stipulato un contratto in forza del quale si
stabilisce non che io prendo l'acqua dal suo fondo, ma che l'acqua esistente sul fondo del vicino, è

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Diritto Privato

destinata agli usi del fondo di cui io sono proprietaria. Il rapporto di diritto reale si crea tra i fondi che
si chiama servitù in forza del quale il mio terreno ha diritto di attingere acqua dal fondo dell’altro e
chiunque sia proprietario deve lasciare a me la possibilità di attingere l'acqua. Essendo un rapporto
reale che intercorre tra i due fondi e che regola la vita tra i due fondi.

Lezione 7
1-04
Proprietà- comodato-donazioni- espropriazione -emissioni

Abbiamo iniziato a parlare la volta scorsa dei diritti reali, cioè di quei rapporti tra i soggetti e i beni che
descrivono le prerogative che l'ordinamento consente all'individuo, sia persona fisica o anche eventualmente
persona giuridica di esercitare sui beni e trarre da queste tutte le utilità che i beni consentano. A seconda della
finalità si potranno avere diritti di godimento, cioè se il rapporto tende a sfruttare il bene per tutte le
potenzialità che può avere, o diritti di garanzia se il rapporto con il bene è diretto a rafforzare la garanzia del
creditore, per esempio l'ipoteca che è diretta a garantire i creditori, cioè la banca che ha erogato il mutuo, è
garanzia che consente al creditore nel caso in cui il debitore non paghi di far vendere il bene ricevuto la
garanzia, cioè il bene che è del proprietario (debitore) per soddisfarsi sul ricavato del bene stesso. Tra questi
diritti reali che consistono appunto nella possibilità di esercitare sul bene tutte le prerogative che l’ordinamento
consente, senza l’intermediazione di altri, senza necessitare attività altrui ma direttamente e immediatamente
che consente di escludere chiunque dall’interferire con questo godimento, interferenza che l’ordinamento vieta
e che soprattutto tutela in tutti i modi.
I diritti reali hanno vari nomi a seconda delle finalità che perseguono.
Il più importante tra questi diritti è quello che noi conosciamo come proprietà, il diritto che segna
l’appartenenza di un bene a un soggetto e che nel linguaggio corrente indichiamo con “è mio”, “è di mia
proprietà” significa escludere la possibilità di trasferire, del limitare le prerogative del proprietario. La
proprietà è la più importante dei diritti reali perché su di essa si fonda l’assetto della società.
L’Art. 42 della Costituzione prevede una cosa molto importante: “lo Stato riconosce e garantisce la proprietà
privata” in questa affermazione c’è l’essenza dello stesso stato. Dire che lo Stato riconosce e garantisce la
proprietà privata significa che rinuncia a essere totalitario, escludere la proprietà privata significa che nessuno
può avere sui beni prerogative esclusive mentre questi apparterrebbero tutti allo Stato. L’Art. 42 della
Costituzione che contiene questo riconoscimento molto importante ci dice anche che la proprietà è privata per
il perseguimento di una funzione sociale, cioè attraverso il regime di riconoscimento, la garanzia della proprietà
privata nell’ordinamento persegue interessi che non sono solo quelli del singolo, ma sono anche quelli più
generali, la funzione sociale. Che cos’è questa funzione sociale perseguita attraverso la proprietà? La proprietà
è il più egoistico dei diritti basti pensare a quello che fa un bambino piccolissimo che non conosce ancora
niente, prende il giocattolo e dice “è mio” volendo affermare che nessun altro potrà esercitare su quel bene, su
quel gioco quello che lui ritiene di poter fare, che consiste nell’utilizzarlo in tutti i modi possibili persino
romperlo. Questa finalità egoistica può e deve essere temperata dall’ordinamento quando sia necessario
perseguire una finalità, per esempio negli anni immediatamente successivi al dopoguerra quando l’agricoltura
era ferma, c’era la necessità di disporre di abitazioni perché molti luoghi non erano accessibili; con un
provvedimento che limitava i diritti di proprietà i proprietari non potevano fare e non potevano decidere come
utilizzare un bene: dare una casa con terreno in locazione, o affittare un terreno a qualcuno che lo coltivi, non
rinnovare il contratto. Da quel periodo, in cui era necessario far ripartire l’agricoltura provvedere al fabbisogno
di abitazioni, si era stabilito il blocco: non potevano essere rinnovati liberamente da parte dei proprietari i
canoni pattuiti e non potevano essere aumentati. Proprietà a vantaggio di soggetti che in quel momento avevano
necessità, quando la situazione emergenziale è cambiata, è cambiata anche la legislazione si sono avuti patti
in deroga, cioè la possibilità di prevedere contratti conclusi con maggiore libertà dal proprietario e affittuario,
la possibilità di sfrattare un affittuario o l’inquilino, cioè tecnicamente il conduttore. Si è avuto una legislazione
che con la disciplina dei patti in deroga dell’agricoltura, la disciplina in materia di locazione di immobili urbani
ha temperato quel sacrificio che in passato era stato imposto ai proprietari, quindi una maggiore libertà di
azione sia pure con tutte le cautele necessarie a evitare che una parte prevalesse sull’altra e quindi che venissero
negati i diritti anche di soggetti che si trovavano in una posizione più debole.
Successivamente si ha un’esplosione dell’attività edilizia, cioè per i soggetti che hanno cominciato a costruire,
e così si è costruito dappertutto: sulle falde dei fiumi, in zone sottoposte a rischio, tutto questo ha fatto sì che

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lo Stato abbia dovuto preoccuparsi per le conseguenze che possono derivare da situazioni di questo genere. È
intervenuta come sempre sulla legislazione sulle prerogative del proprietario, fino al 1978 (anno in cui è stata
entrata in vigore la legge sulla edificabilità dei suoli) il diritto di costruire quindi di modificare il territorio
anche sotto il profilo urbanistico era considerato una delle prerogative del proprietario, ogni proprietario che
avesse un fondo poteva usarlo per quel che voleva anche per costruirsi una casa, l’unica cosa che doveva fare
era chiedere un’autorizzazione al comune. Per evitare che questa libertà potesse comportare rischi (es. Le case
sul Vesuvio) il legislatore ha scorporato il diritto di costruire dal diritto di proprietà. Il diritto di costruire, di
modificare urbanisticamente si può ottenere attraverso un’autorità pubblica che può attribuire al privato una
concessione, che da al terreno il diritto di edificare ma non gratuitamente perché la concessione è sottoposta
al pagamento di un onere e quindi quello che prima era un diritto del proprietario diventa oggetto di una
concessione a pagamento, dove il pagamento ha la funzione di contribuire alla realizzazione da parte del
comune di tutte le opere di urbanizzazione primarie ( servizi acqua, luce, gas, e secondarie scuole, negozi) e
tutto quello che può servire in un insediamento urbano. La concessione quindi diventa un elemento portante
della nuova disciplina edilizia, quindi delle modificazioni del territorio che incide pesantemente sul diritto.
Allora il proprietario non può proprio più fare nulla? In realtà dalla legge del ‘78 in avanti si sono avuti vari
interventi legislativi sul canone Nazionale, cioè un testo unico del 2001 che contiene disposizioni in materia
di edilizia urbanistica che prevede tutta una serie di temperamenti, cioè che cosa può fare il proprietario?
Innanzitutto può fare liberamente alcuni lavori, per esempio quelli di manutenzione ordinaria può ridipingere,
sistemare parti della struttura che hanno esigenze di manutenzione ordinaria, non può rifare il tetto, non può
chiudere una veranda o trasformare il garage in un soggiorno e cose di questo genere, può fare liberamente
tutte quelle attività che consentono l’eliminazione delle barriere architettoniche: qui viene fuori la
preoccupazione dello Stato di curarsi dei soggetti con disabilità che altrimenti non potrebbero usufruire di
alcuni beni e servizi. Può fare alcuni interventi, meno significativi, senza modificare strutture ecc., dando
sempre comunicazione al comune. Tale comunicazione si chiama scia, cioè una comunicazione all’ufficio
Comunale delle opere che si intendono avviare, che si possono avviare. Tramite questa comunicazione si da
al proprietario la responsabilità a realizzare e soprattutto garantisce che siano state osservate le prescrizioni in
materia di paesaggio, di rispetto delle zone, dei territori idrogeologicamente rischiosi. Il legislatore attraverso
il meccanismo delle leggi prevede delle sanzioni, non si fida totalmente che i soggetti spontaneamente
osservino queste prescrizioni, prevede le conseguenze. L’immobile abusivo realizzato senza tutte le prescritte
concessioni, quindi senza l’osservanza di tutte le regole, non può essere commercializzato ovvero non può
essere venduto. Un immobile abusivo non avrebbe la tutela, per fare l’esempio, l’ente che eroga l’energia
elettrica non stipulerà il contratto se il privato non dimostrerà che ha una concessione regolarmente assegnata.
Questo ha fatto si che la legislazione sia sempre più rigida e che limiti sempre di più la libertà dei privati
facendo in modo che tutti abbiano la possibilità di accedere al diritto di edificare ma con il rispetto dei limiti,
solo cosi si potranno evitare le sanzioni che la loro violazione eventualmente comporta. Altro modo di
perseguire la funzione sociale, oltre che provvedendo che qualcuno acquisti un immobile o lo abiti, quindi
evitando per circoli si fa anche consentendo ai soggetti di godere di un interesse generale che prevale su un
interesse particolare. Ovvero si tratta dei cosiddetti beni culturali che abbiano un interesse storico artistico,
antropologico, archivistico bibliotecario, sono beni che possono essere di proprietà dei privati, ma che sono
soggetti a particolari limitazioni nell’interesse generale cioè lo stato vuole che tutti possano fruire di
determinati beni. Per esempio se io sono proprietaria di un palazzo dove è avvenuto un certo evento storico,
quindi è di interesse per la collettività, per tramandare la memoria storica, non è che posso chiamare un’impresa
e ristrutturarla come piace a me, se il bene ha un interesse storico, culturale o artistico di qualunque genere
allora vuol dire che il soggetto dovrà seguire le prescrizioni dettate proprio per quei particolari beni, cioè
interverranno studiosi che accerteranno che siano rispettati gli obblighi imposti, In primo luogo dal codice dei
beni paesaggistici (del 2004), cioè una raccolta di leggi dove sono indicate le possibilità limitate ai privati; in
generale questo codice prevede che questi beni non possano essere distrutti, non possono essere danneggiati,
non possono essere deteriorati. I privati non possono fare quello che vogliono, possono però vendere ma
attenzione devono rispettare il diritto di prelazione dello Stato, cioè lo Stato può essere preferito a chiunque
altro nell’acquisto di quei beni. lo stato può non esercitare il suo diritto e quindi quel bene può essere venduto
a chiunque, ma chi acquista non lo fa in assoluta Libertà ma acquista con gli stessi limiti che sono propri
dell’essere del bene. Se nessuno impedisse che questo bene si distrugga con il tempo Lo stato può espropriare
il privato di questo bene che diventa di proprietà dello Stato. L’espropriazione è qualcosa che di solito non è
consentito, un soggetto non può essere privato della proprietà, questa resta sempre sua ma può esserne privato
per un bene superiore, può essere espropriato di un bene per la realizzazione di un’opera pubblica necessaria
per altri, il singolo viene sacrificato a vantaggio di un collettivo. Il singolo potrà avere il pagamento di una

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Diritto Privato

somma di denaro che i compensi il suo sacrificio, questa somma si chiama indennità, è un concetto diverso
dal prezzo, il prezzo è l’equivalente economico del bene, le parti nella compravendita si scambiano un bene
contro il pezzo. L’indennità è semplicemente un contributo che lo stato da al privato per il sacrificio che lui ha
fatto della sua proprietà per contribuire a una esigenza che è generale. L’indennità vale quanto il valore di
mercato? In passato no ultimamente in seguito a un intervento nella giurisprudenza sostanzialmente si avvicina
al valore di scambio.
Il diritto di proprietà disciplina nel libro terzo codice civile. In realtà ci sono vari tipi di proprietà, c’è la
proprietà edilizia, c’è la proprietà urbanistica che quella che riguarda l’aspetto generale del territorio, c’è
la proprietà Fondiaria i terreni. Nel codice è disciplinata sostanzialmente la proprietà fondiaria, la proprietà
edilizia urbanistica hanno tutta una serie di leggi legate al codice, le troverete citate nel manuale di studio, e
leggi regionali. nel codice è rimasta sostanzialmente la proprietà Fondiaria Perché è il modello prevalente sia
prima di questo codice 1942 e ancora dopo, perché quella che ha un valore chiamiamolo paradigmatico, nel
senso che consente di regolare con precisione tutto serie di enigmi che possono verificarsi nella proprietà.
Quindi alla proprietà fondiaria regolata nel codice, si fa riferimento tutte le volte che le leggi collegate al codice
non contengono una disciplina di deroga a quella generale prevista. È un modello efficiente Perché costituisce
in tutte le situazioni in cui è chiamato il diritto che è sempre lo stesso, nel senso che il legislatore non dice che
cos’è la proprietà, dovrebbe altrimenti precettare la proprietà Fondiaria, agricola, urbanistica di questo genere,
dice semplicemente Quali sono le prerogative del proprietario Questo vi fa capire perché ogni modello può
essere agevolmente utilizzato. Quindi il codice non risponde alla domanda “Che cos’è la proprietà?” Ma “che
cosa può fare il proprietario?”. Il legislatore dice che il proprietario ha diritto di godere e disporre in modo
pieno ed esclusivo del suo diritto seppur nei limiti previsti dall’ordinamento giuridico. Ecco in questa frase è
contenuta tutta l’essenza del contenuto del diritto del proprietario. La proprietà consiste nel godere, nel disporre
e poi ultimo riferimento nei limiti. Che cosa significa il proprietario ha diritto di godere? Il proprietario di
qualunque bene che può essere un bene mobile, immobile, può essere universalità di mobili, è indifferente. Il
proprietario ha diritto di godere. Esempio: io sono proprietaria di una casa, posso trarre godimento dalla casa,
cioè la casa per che cosa può essere utilizzata? Può essere utilizzata per abitarci, per tenerci le proprie cose,
può essere utilizzato per ospitarci degli amici, oppure il soggetto trae direttamente nel bene le utilità che ne
sono proprie, Oppure può realizzare un godimento indiretto mettendo a disposizione la casa di un soggetto ad
un conduttore (dell’inquilino) il quale pagherà un prezzo (canone di locazione) per potere godere di quel bene.
In questo caso il proprietario trae comunque dal bene le sue utilità, l’utilizzo di una somma corrispondente è
quella pari a quella che avrebbe tramite un godimento diretto. Quindi godimento vuol dire trarre dalla cosa
tutte le utilità che la cosa consente. Queste utilità sono ovviamente diverse per i beni mobili e per i beni
immobili. Esempio: in che cosa può consistere il godimento di un libro? Posso leggerlo, posso metterlo sotto
il tavolo per metterlo a livello, posso renderlo un oggetto d’arredamento, oppure posso “prestarlo” ad un amico,
in termini giuridici parliamo di un contratto comodato. Il comodato è il contratto che consente a me di trarre
soddisfazione anche offrendolo ad un amico affinché lo legga, l’amico me lo dovrà restituire perché io sono
proprietario di quel bene, e me lo restituirà quando abbiamo pattuito, o dopo averlo letto oppure nel caso non
avessimo pattuito un termine in ogni momento in cui io glielo richieda. Godimento vuol dire anche avere la
possibilità di mantenere la cosa nel proprio patrimonio, cioè questa viene utilizzata ma non esce dal patrimonio.
Quando si fa riferimento al potere di disporre del proprietario, si fa riferimento alla facoltà di utilizzare il bene
per il suo valore capitale. Nel primo caso di godimento consiste nell’utilizzare la cosa per utilità del singolo
bene per sua natura o per le sue caratteristiche, mentre la disposizione vuol dire trarre dal bene il suo valore.
Qual è il caso? Io dispongo di un bene quando, come nell’esempio precedente, il libro invece di darlo all’amico
perché lo legga glielo regalo, accade che questo libro per effetto del mio gesto e del fatto che lui accetti questo
regalo si trasferirà dal mio patrimonio a quello dell’amico, quindi nel mio patrimonio non ci sarà più quel libro
ed entrerà definitivamente nel patrimonio dell’amico. Questa è la cosiddetta donazione, un contratto attraverso
il quale un bene esce dal patrimonio di un soggetto ed entra nel patrimonio dell’altro, senza che ci sia un
corrispettivo o un valore di una somma di denaro che compensi questo sacrificio, diverso dalla vendita, perché
se io vendo il libro all’amico quel libro esce dal mio patrimonio ed entra nel suo però attenzione, dal
patrimonio dell’amico uscirà una somma di denaro che corrisponde al valore del bene che io gli ho trasferito,
quindi questa disposizione farà si che il mio patrimonio comprenda non più un libro ma una somma che lo
rappresenta, nel patrimonio dell’amico non ci sarà più una somma ma il libro corrispondente alla somma che
gli è pervenuta. La facoltà di disporre quindi è far uscire il bene dal patrimonio del proprietario, può essere a
titolo gratuito, cioè senza un corrispettivo in denaro (donazione), può essere a titolo oneroso, cioè dietro
pagamento di una somma di denaro (vendita), oppure potrebbe essere avvenuto qualcosa di diverso, il famoso
Baratto ovvero io ti do una cosa in cambio di un’altra. Ecco io potrei aver detto all'amico io ti do il libro e tu

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Diritto Privato

mi dai i biglietti per il concerto, è uno scambio di una cosa contro una cosa, in questo caso nel mio patrimonio
entreranno biglietti per il concerto mentre nel patrimonio dell’amico entrerà il libro, che è uscito
definitivamente dal mio patrimonio. La disposizione fa si che il soggetto non disponga più di quel bene, mentre
se lo do in locazione faccio ancora riferimento al godimento, a un godimento indiretto, io godo del bene
attraverso il canone di locazione che il conduttore mi paga, nell’ipotesi di scambio ho utilizzato il bene per
tutte le sue possibilità per quanto lui mi possa consentire, quindi donazione, permuta, perdita. Sono tutte attività
che io proprietario posso fare mentre se a farle fosse un soggetto estraneo sarebbe un atto illecito, perché lede
il mio diritto di proprietà. Posso fare anche qualcos’altro, abbandonarlo, metterlo nella cassetta della raccolta
della carta e lo lascio. L’abbandono da parte mia del bene fa si che io perda la proprietà su quel bene, chi lo
acquista? Qui è discussa, perché se io lo lascio in giro, per strada chiunque può diventarne legittimamente
proprietario, è uno dei modi di acquisto della proprietà. Se invece io lo metto nella cassetta della raccolta rifiuti,
il problema è discusso, perché della raccolta rifiuti si occupa il comune, in realtà il bene dovrebbe essere non
di nessuno ma di proprietà della società che gestisce la raccolta rifiuti. Un altro tipo di discorso vorrei che tra
atti di godimento e atti di disposizione in relazione a quelle categorie di beni che vi ho annunciato lunedì, vi
ricordate che avevamo fatto la distinzione tra beni consumabili e bene non consumabili. Un bene consumabile
è il denaro, una volta che io abbia speso il denaro è chiaro che non c’è più nel patrimonio, quindi esso ha un
solo uso, lo spendo lo utilizzo e non lo ritrovo più nel mio patrimonio. Bene non consumabile non vuol dire
bene eterno, che non si distrugge mai, ma è un bene per più usi quindi che consente più usi anche se poi
attraverso l’uso il bene potrebbe deteriorarsi, immaginate la casa, si può usare più volte fino a quando necessita
di interventi di manutenzione. L’uso del denaro e attività di godimento o attività di disposizione? È attività di
disposizione, diventa godimento se io lo metto in banca e lascio che produca dei frutti.
Altra distinzione che abbiamo fatto è quell’altra che consiste nel godimento di un bene divisibile e indivisibile.
In cosa consiste il godimento di un bene divisibile? Esempio: immaginiamo che due soggetti siano proprietari
di una casa, entrambi possono abitarla, ospitarci degli amici o meno. Il bene potrebbe anche essere indivisibile
immaginiamo che la casa non consenta la separazione in due porzioni autonomamente fruibili, in questo caso
il godimento sarà congiunto, necessariamente diretto? No, potrebbe anche essere indiretto. Ci sarebbero varie
opzioni: potrebbero accordarsi in modo che uno ne goda direttamente e dia il canone equivalente al godimento
per altro che non usufruisce. Oppure potrebbero semplicemente dare la casa in locazione a terzi e ripartirsi il
canone di locazione. In questo caso il godimento sarebbe indiretto per entrambi. Questa situazione non va
confusa con l’altra che chiamiamo multiproprietà e conosciamo come proprietà a tempo. Se si ha una villetta
in multiproprietà, vuol dire che ci sono più soggetti che possono esercitare su quella villetta tutte le prerogative
del proprietario, solo che lo possono fare per un periodo di tempo limitato all’anno, non per tutto l’anno come
chi è il proprietario esclusivo ma solo in quel periodo dell’anno, cioè se io ho una multiproprietà dove ho
diritto di andare dal 1 al 10 di aprile di ogni anno, vuol dire che in quei dieci giorni mi comporterò su quel
bene come proprietario con tutte le prerogative, posso vendere la mia quota di multiproprietà cioè il diritto di
godere di quel bene periodo limitato. Questa è una situazione del tutto differente e non snatura però le
prerogative del proprietario, che le ha tutte come la proprietà esclusiva. Tutto questo fa sì che ovviamente i
diritti di godere e di disporre si esercitino su beni che sono presenti nel patrimonio del soggetto. il patrimonio
non è l’insieme di tutte le cose materiali fanno parte del patrimonio, il patrimonio di un soggetto più
esattamente è l’insieme di posizioni giuridiche che esistono nella sfera giuridica di un soggetto, quindi non
solo i diritti assoluti, quali la proprietà o il diritto della personalità, ma anche i diritti relativi, crediti o debiti e
si possono trasmettere per successione. I beni sono solo una parte del patrimonio.
Posso disporre di beni che non sono attualmente nel mio patrimonio? Quale essere il bene futuro? Potrebbe
essere sicuramente la casa che io ho intenzione di costruire sul terreno di cui sono proprietaria, non ho ancora
neanche iniziato godere del diritto sulla casa ma posso vendere la casa che non ho costruito. Non è ammessa
la donazione perché la donazione, il legislatore vieta le donazioni risponde perché nel momento in cui dispone
di una bene del suo patrimonio abbia consapevolezza del sacrificio che comporta in quel momento non in un
eventuale momento futuro. Il diritto del proprietario è il più ampio il più completo su questo modello vengono
configurati i cosiddetti diritti reali minori che sono altri diritti di godimento, al contrario della proprietà però
vengono esercitati su un bene che è di un altro, si chiamano diritti reali su cose altrui, il cui contenuto dell’atto
su quello della proprietà con qualche limite in più. I limiti sono quelli nell’interesse privato, nell’interesse di
un altro privato che va rispettato, esempio per tutti le emissioni (CONSIGLIO DI STUDIARE BENE
PERCHÉ LE CHIEDO REGOLARMENTE) sono tutti quei rumori che arrivano dal fondo vicino.
il vicino può fare nel suo fondo esattamente quello che vuole, ma la liberta di uno inizia quando inizia dove
finisce quella dell’altro. il criterio guida del legislatore è non diamoci troppo fastidio a vicenda, cioè ciascuno
sopporta i rumori del vicino se non superano la normale tollerabilità, cioè se non arrivano punto di rendere

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Diritto Privato

impossibile per il vicino di godere della sua cosa. Le emissioni sono regolamentate, io posso aprire una
discoteca vicino ad una casa di riposo ma devo insonorizzare le pareti facendo si che i rumori non superino la
normale tollerabilità, la quale in questo caso si supera tutte le volte che viene superato del 10% il rumore di
fondo. Questo se la discoteca aprisse dopo la casa di riposo, se invece avvenisse l’inverso? La casa di riposo
venisse costruita dopo allora la tollerabilità maggiore sarebbe richiesta proprio alla casa di riposo, perché il
legislatore tiene conto del pre-uso, ovvero si valuta chi c’era prima per stabilire i limiti che non si devono e
non si possono superare. Quindi divieto immissioni che superano normalmente la normale tollerabilità che si
deriva proprio dal soggetto vive, certo se uno vive vicino ad una strada ad alto scorrimento non può pensare
che il rumore di fondo sia uguale a quello che c’è in una casa in campagna. Si deve cercare di adattare le
situazioni dei luoghi e si tiene conto del proprio della realtà in cui si fanno le rilevazioni della rumorosità,
problema che può avere mille applicazioni. Sui limiti si definisce meglio il contenuto del diritto di proprietà,
limiti che possono essere nell’interesse di altri privati o nell’interesse pubblico, in relazione abbiamo visto per
esempio per l’edilizia urbanistiche. Sul modello e della proprietà viene stabilito un contenuto degli altri diritti
reali chiamati minori per esempio quella del proprietario.

Lezione 8
6-04
Diritti reali minori: usufrutto, diritto di uso e abitazione, servitù
diritto di sequela, superficie- Diritti di garanzia: pegno e ipoteca-
Titoli di acquisto- estinzione del diritto

Abbiamo visto la volta scorsa i diritti reali e soprattutto il diritto di proprietà.


Il diritto di proprietà è il più ampio dei diritti reali, quello che attribuisce al suo titolare tutta una serie di facoltà.
il legislatore definisce nella norma non la proprietà, ma il proprietario: “Il proprietario è quello che ha il diritto
di godere e disporre in modo pieno ed esclusivo del bene che costituisce l'oggetto del suo diritto con i limiti
previsti dall'ordinamento”. In questa definizione è racchiuso il contenuto del diritto di proprietà, cioè il
legislatore ha avuto cura di dire tutto ciò che può e non può fare il proprietario, quei “limiti previsti” infatti si
riferiscono al divieto o obbligo di far qualcosa per realizzare quella funzione sociale che la costituzione
menziona nella proprietà. La costituzione ha avuto cura di dire che la proprietà persegue anche una finalità
sociale. Questa funzione che la proprietà è destinata a svolgere si manifesta sia nella precisazione del suo
contenuto attivo, sia nella previsione dei limiti.
Quanto al godimento (abbiamo visto la volta scorsa) che il proprietario può utilizzare la cosa in tutti i modi
possibili, cioè può trarre dalla cosa tutte le utilità che la cosa consente. Quindi si dovrà far riferimento al singolo
bene per capire quali sono le utilità che questo bene può offrire al suo titolare. Allo stesso modo potrà disporre,
cioè trarre dalla cosa non solo tutte le utilità connesse all'utilizzo del bene ma anche quelle connesse al suo
valore capitale, cioè il proprietario potrà decidere che il bene resti nel suo patrimonio o esca dal suo patrimonio,
può uscire in vari modi:
• gratuitamente, tramite donazione: il bene esce dal suo patrimonio, entra nel patrimonio di un altro e il
patrimonio del donante non lo contiene più;
• oppure può uscire a titolo oneroso, cioè fatto uscire il bene dal patrimonio e far entrare nello stesso
patrimonio l'equivalente in denaro di quel bene, caso di vendita;
• oppure con una permuta che consente lo scambio tra una cosa contro un’altra cosa.
Tutte queste cose sono contenute nei limiti, cioè è vero che il proprietario può fare tutto quello che vuole ma
non può superare quei limiti che l'ordinamento prevede per consentire anche agli altri l'esercizio di proprietà o
per realizzare finalità più grandi. Quindi vuol dire che i limiti possono consistere in divieti per esempio,
abbiamo ricordato la volta scorsa il divieto di emissioni, ciascuno può fare quello che vuole nel bene di sua
proprietà ma deve evitare che la propagazione di fumo, suoni, odori che arrivano dal suo fondo superino la
normale tollerabilità, cioè risultino intollerabili per il vicino che non potrebbe godere allo stesso modo del suo
bene. Allo stesso modo, è vero che il proprietario può fare quello che vuole, ma non può fare quello che il
codice definisce atti emulativi, cioè atti che a lui non recano alcun vantaggio e recano solo fastidio al vicino.
I singoli limiti che vediamo trattati nel libro possono essere previsti o nell'interesse di un altro privato o
nell'interesse della collettività, perché anche se c'è il profilo egoistico nella proprietà ma anche quello
dell'interesse comune di tutti i consociati. Il più grave ed incisivo di questi limiti può essere perfino la
privazione della proprietà. La proprietà si può perdere per realizzare le finalità collettive, il soggetto può essere
privato della sua proprietà per un interesse generale e l'espropriazione per pubblica utilità, ovvero per tutte

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quelle esigenze che sono superiori all'interesse del singolo, l'ordinamento può anche prevedere il sacrificio
della proprietà privata, questo sacrificio vuol dire privazione, che non viene sopportata solo da uno ma verrà
“ripagata” da una indennità che non è un risarcimento del danno, perché il danno presuppone che sia fatto
malignamente (come se tizio danneggia l'auto del vicino volontariamente, è un danno ingiusto e questo danno
dovrà essere risarcito, cioè obbligherà questo soggetto a corrispondere una somma di denaro che terrà conto
sia della perdita subita sia della volontarietà dell'azione compiuta). Nel caso invece in cui il soggetto sia privato
della proprietà per una esigenza di pubblica utilità, allora la situazione è diversa. Il danno c’è ma corrisponde
ad una esigenza superiore, questo significa che ciò che il soggetto riceverà non sarà un risarcimento del danno
ma una indennità che compensa la perdita di valore del bene che prima apparteneva al suo patrimonio.
Quindi i limiti proprio perché costituiscono quel famoso perimetro esterno delle facoltà positive che sono
attribuite al proprietario compone insieme il contenuto del diritto. Quando parliamo di contenuto del diritto
dobbiamo fare riferimento così alle attribuzioni positive (tutto ciò che il soggetto può fare), ma anche ai limiti,
perché anche questi definiscono il diritto. Questo si capisce bene nel momento in cui confrontiamo il diritto
di proprietà con gli altri diritti reali che noi consideriamo minori. Diritti minori, perché hanno qualcosa di
meno quanto a contenuto, o qualcosa di più quanto a limiti rispetto al diritto di proprietà. Allora come possiamo
verificare tutto questo? Facciamo riferimento ai vari diritti reali minori.
Uno è certamente il diritto di usufrutto: è quel diritto che consente ad un soggetto di utilizzare un bene altrui
per trarre da questo bene alcune utilità, l'uso e anche i frutti, senza alcuna limitazione. Le prerogative del
proprietario che erano piene, ora diventano ridotte perché quella facoltà di godimento che prima era parte del
contenuto, passa all'usufruttario, il quale potrà godere del bene ma non potrà disporne. Allora, il diritto del
proprietario che ha eliminato dal suo contenuto il godimento consisterà in un diritto alla disposizione del bene,
potrà disporre del bene ma non potrà goderlo perché il godimento spetta all’usufrutto. Il bene cioè, può servire
a soddisfare le esigenze di più soggetti che potranno avere diritti reali sul bene, ma quello del proprietario è
nudo, le prerogative consistono nella mera facoltà di disposizione, mentre, quella dell'usufruttario, consiste nel
godimento. E allora, la proprietà gravata dall'usufrutto si chiama nuda proprietà.
L'usufrutto è un diritto reale su quel bene.
Ciascuno di questi due diritti ha tutte le caratteristiche generali proprie dei diritti reali (immediatezza,
l'assolutezza, opponibilità ai terzi). L'usufruttuario non ha bisogno della collaborazione del nudo proprietario:
eserciterà direttamente le sue prerogative sul fondo, utilizzerà tutti i frutti che il fondo produce e lo utilizzerà
direttamente o indirettamente, nel senso che potrebbe dare in locazione quel bene e percepire i frutti civili (cioè
l'equivalente in denaro del godimento di quel bene). Esempio: Un vigneto, il nudo proprietario conserva la
proprietà, ma il diritto di sfruttare la vigna, di raccogliere i frutti, di trasformare l'uva in vino e vendere il
ricavato spetta all'usufruttario. Questo può decidere se utilizzare direttamente la vigna o affittare ad un altro
coltivatore che farà tutte quelle attività sul fondo. In questo caso l'usufrutto non avrà il godimento diretto ma
godrà indirettamente dal canone di affitto che percepisce dall'affittuario. Allora la situazione del proprietario è
quella di un soggetto che si ritrova una proprietà compressa dal diritto di un altro che grava su di lui e che si
rispanderà nel momento in cui questo usufrutto verrà meno. Nel momento in cui il diritto minore si estinguerà
(per morte dell'usufruttario o perché l'usufrutto era previsto per un tempo determinato), in quel momento la
proprietà che ha anche la caratteristica dell'elasticità, si rispanderà. Pensiamo ad una spugna che viene
compressa dal peso che c'è sopra costituito dal diritto reale, quando il peso viene meno la spugna si rispande.
È la famosa elasticità del dominio che trovate citata nei libri di testo.
L'usufrutto è quindi il diritto reale minore ampio più vicino a quello del proprietario, perché può fare tutto
tranne che disporre. Potrebbe a sua volta vendere l'usufrutto, ESEMPIO: un genitore ha un terreno e da
l'usufrutto a suo figlio, questo figlio potrà vendere questo usufrutto e il nuovo usufruttuario potrà utilizzare il
bene ed esercitare il suo diritto finché dura il diritto di colui che gliel'ha venduto. Perché se l'usufruttuario
aveva diritto di godere di quel bene per tutta la durata della sua vita, allora quello a cui lui l'ha venduto lo godrà
finché lui è in vita, perché nel momento in cui lui muoia si estingue il diritto di usufrutto e dunque nemmeno
il soggetto cui il diritto è stato venduto, potrà esercitarlo, il proprietario riacquisterà la proprietà piena.
La stessa cosa vale anche per altri diritti reali, altri due che possiamo trattare insieme: diritto di uso e di
abitazione. sono diritti di godimento che gravano l'abitazione su una casa per soddisfare esigenze abitative di
colui al quale viene attribuita, e dell'uso che costituisce il diritto di un soggetto di usare un bene mobile o
immobile, per un certo periodo di tempo.
Qual è la particolarità di questi diritti e in cosa differiscono dall'usufrutto? Dal fatto che qui il limite è più
stretto: mentre l'usufruttuario ha il diritto di godere del bene sia direttamente che indirettamente, l'abitatore,
cioè colui che è titolare del diritto di abitazione e l'usuario, potranno godere del bene solo direttamente nei
limiti delle esigenze proprie e della propria famiglia. Qui il limite si restringe, è più pesante perché mentre per

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l'usufruttuario si parla solo del diritto di utilizzare il bene e far propri i frutti senza alcuna limitazione, l'abitatore
e l'usuario, possono utilizzare il bene nei limiti dei bisogni loro e della loro famiglia, il che significa che se non
c'è più questo bisogno, il diritto si estingue.
Facciamo un esempio con riferimento ad una casa di abitazione: Un genitore ha di questa casa la nuda
proprietà, perché l'usufrutto lo ha dato al figlio. Il genitore sarà il nudo proprietario, pagherà le imposte ma
non può decidere se quella casa deve essere abitata dal figlio, o se questo possa darla in locazione. Se invece
su quella casa il figlio avesse il diritto di abitazione, il genitore potrebbe dire “ti costituisco il diritto di
abitazione per tutto il periodo di studi”. Il diritto di abitazione è costituito dall'uso limitato da una esigenza, la
frequenza dell'università, Nel momento in cui quel figlio decidesse di partire per un anno e dare in locazione
quel bene per percepirne il reddito, starebbe utilizzando il bene al di fuori delle sue esigenze (non ha più
l'esigenza di utilizzarlo) e allora il diritto si estingue.
Dunque, abitazione e uso consentono solo il godimento diretto e non quello indiretto proprio dell'usufruttuario.
Lo stesso discorso si può fare per tutti i diritti reali, immaginiamo la servitù. La servitù è il diritto di utilizzare
un bene altrui per l'esigenza di un fondo che appartiene a un diverso proprietario. ESEMPIO: due fondi vicini,
uno ha un pozzo e l'altro no. Si può costituire una servitù perché un fondo prelevi l'acqua dal fondo del vicino
per le sue esigenze di coltivazione. Il contenuto è molto limitato, il titolare del fondo (che chiamiamo
dominante) quello cioè che ha diritto di attingere all'acqua, può esercitare sul fondo del vicino, non qualunque
prerogativa, infatti non può passeggiare nel terreno del vicino, ma vi può andare solo attingere l'acqua. La
servitù permane perché è stata costituita per l'utilità dei fondi e non dei soggetti. La servitù è espressione
proprio di un diritto reale e di un rapporto di una cosa. Non è altro che il peso che grava su un fondo per l'utilità
di un altro fondo. Quello che ha il beneficio si chiama fondo dominante, quello che subisce il peso si chiama
fondo servente. Una volta costituita la servitù questa permane finché c'è quell'utilità di attingere acqua, risulta
indifferente la modifica di titolarità da parte dei due fondi, quindi se il proprietario del fondo dominante vende
il suo terreno ad un altro, l'acquirente avrà diritto di esercitare quella servitù perché il fondo è lo stesso, lo
stesso vale per il fondo servente. Questo è un rapporto tra due fondi che prescinde dalla titolarità dei fondi
stessi. Questa è la caratteristica che viene espressa come inerenza o come diritto di seguito o di sequela, cioè
la servitù circola assieme al fondo.
Lo stesso si può dire per quanto riguarda anche un altro diritto reale: la superficie. La superficie consente ad
un soggetto di tenere la proprietà di un edificio su un fondo che è di proprietà di un altro.
Noi abbiamo parlato la scorsa volta dell'incorporazione, di quella caratteristica per cui il proprietario del suolo
diviene proprietario di tutto ciò che ci sta sopra, quindi di tutto ciò che viene infisso sul suolo. Questa è la
regola generale a cui il legislatore ha stabilito invece la possibilità di tenere separate la proprietà del fondo e
la proprietà dell’edificio che ci sta sopra. Il diritto di sfruttare il suolo per edificarvi sopra, si chiama appunto
“superficie” e consente al soggetto di tenere la proprietà del bene edificio costruito sul suolo, senza avere la
proprietà del suolo. Anche il diritto di superficie ha dei limiti: se per esempio ci fosse un tesoro nel sottosuolo
sarà di proprietà del proprietario del suolo non del proprietario dell'edificio che ci sta sopra.
Infine, l'enfiteusi che è un diritto reale molto vecchio utilizzato per lo sfruttamento dei suoli ai fini agricoli
sostanzialmente, consente ai soggetti di utilizzare un fondo, in modo tale che chi non ha la proprietà del suolo
possa coltivare quel determinato suolo. l'enfiteusi Può essere anche perpetua perché lascia inalterate le due
posizioni: quella del proprietario e quello dell'enfiteuta. Però ha una particolarità questo diritto, l'enfiteuta ha
la possibilità di affrancare il fondo enfiteuta. Questo cosa vuol dire? Vuol dire che pagando una determinata
somma stabilita secondo criteri particolari da leggi speciali, cioè capitalizzando il valore del fondo, può
diventare proprietario anche senza la volontà del primo proprietario. È l'unico caso nel nostro ordinamento in
cui si può perdere la proprietà, non per propria volontà. È una singolarità che corrisponde ad una esigenza di
osservazione da parte del legislatore che dice: “se tu non hai mai fatto nulla per il tuo fondo, ti sei limitato a
percepire un reddito non devi essere tutelato più di tanto, mentre se un altro soggetto l'ha sempre coltivato, si
è sempre adoperato per quel fondo, se ad un certo punto decide di acquistarne la proprietà lo può fare con
questa modalità regolata dalla legge”.
Abbiamo un’altra categoria di diritti reali, quella dei diritti di garanzia, più esattamente: pegno e ipoteca.
Entrambi sono destinati ad aumentare la garanzia del creditore. Il pegno viene dato al creditore che lo terrà
fino a quando il debitore non adempia alla sua obbligazione. Cioè se io devo dare dei soldi ad un altro soggetto,
gli darò come pegno il mio orologio fino a quando io non avrò pagato, al momento in cui effettuerò un
pagamento mi verrà restituito. Attenzione: il bene costituisce la garanzia del creditore, ma la proprietà rimane
a chi ha dato il pegno, quindi l'unica cosa che il creditore potrà fare nel caso in cui il suo credito non venga
onorato sarà quello di far vendere il bene e soddisfarsi sul ricavato. È espresso il divieto di patto commissorio:
è fatto divieto al creditore di diventare proprietario del bene ricevuto in pegno per soddisfarsi del suo credito.

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Questo per tutelare il debitore perché il bene dato in pegno potrebbe essere di valore enormemente superiore
rispetto al valore di ciò che deve garantire, e poi il creditore a cui il bene è dato in pegno potrebbe non essere
l'unico creditore, potrebbero essercene altri, e il legislatore vuole che sia mantenuta l'identica posizione tra i
creditore (la parcondicio) se un creditore non è soddisfatto e arriva a far vendere il bene, sul ricavato di quella
vendita dovranno essere soddisfatti tutti i creditori, in proporzione ai loro crediti e non dare un vantaggio
eccessivo a quello che ha ottenuto il pegno. Quindi è tutela del debitorio ma anche degli altri creditori. Questa
è la ragione per cui è espressamente previsto il divieto di patto commissorio.
Questo divieto è un punto cardine del nostro sistema perché esclude che la garanzia dovuta al creditore si
trasformi in una occasione di approfittamento o vantaggio ingiustificato per lui. Attenzione però che questo
divieto di patto commissorio, sempre stato affermato e rispettato, ha subito una qualche deroga: Nel decreto
salva banche, è stato introdotto quello che è noto come patto Marciano, cioè è una deroga sostanzialmente al
divieto di patto commissorio che funziona con riferimento all'ipoteca. L'ipoteca è un diritto reale che consente
al creditore di far vendere il bene per soddisfarsi del suo credito, esattamente come il pegno. L'unica differenza
sta nel fatto che il pegno ha come oggetto un bene mobile, l'ipoteca ha come oggetto un bene immobile.
Esempio: Quando una banca concede un soggetto una somma a mutuo per comprare una casa, la banca iscrive
ipoteca su quell'immobile e nell'eventualità in cui il mutuatario non restituisca la somma ricevuta, la banca può
vendere l'immobile e soddisfarsi sul ricavato. Anche in questo caso la banca farà vendere l'immobile e non
diventa proprietaria, se ricavasse una somma maggiore alla vendita, rispetto a ciò che le è dovuto dovrà essere
restituito al debitore. Il mutuatario otterrà la parte di prezzo ricavato che supera quello che era il suo debito.
Perché dicevo che il patto Marciano costituisce una deroga a questo? Perché la banca potrebbe accordarsi
espressamente con il mutuatario che nell'eventualità in cui egli non restituisca la somma dovuta, la banca può
diventare proprietaria della casa su cui ha iscritto a ipoteca. Non può farlo per sua scelta, dev'essere
espressamente convenuto, e dev’essere stabilito anche il valore del debito, cioè oltre quale valore la banca
diventerà proprietaria e dev’essere fatta una perizia che stabilisca il valore di vendita del bene in modo che si
sappia da subito in che momento si attiverà questa particolare garanzia della banca che diventerà proprietaria.
In linea generale, l'ipoteca non trasferisce la proprietà al creditore, perché anche per l'ipoteca vale il divieto di
patto commissorio, potrà accadere solo nella eccezionale ipotesi del c.d. Patto Marciano.
Come si acquistano i diritti reali? I diritti reali si possono acquistare a titolo derivativo, cioè ciascuno può
ricavare il diritto da chi lo aveva precedentemente e questo farà si che il diritto venga acquistato dal nuovo
titolare con le stesse caratteristiche che aveva il precedente.
ESEMPIO: Se un soggetto ha un fondo e su questo fondo c'è il vantaggio di una servitù a carico del fondo
vicino, vorrà dire che chi acquista quel terreno acquisterà anche il diritto di servitù. Allo stesso modo se io ho
un terreno e su questo terreno ci sono infissi dei pali per il trasporto di linee telefoniche ed elettriche è evidente
che chi acquisterà, acquisterà anche il gravame rappresentato dalla servitù, perché in questo caso il fondo è
servente. Se io sono proprietaria di una casa all'interno di un condominio acquisto tutto ciò che caratterizzava
il diritto del precedente proprietario.
Questo è a titolo derivativo che si a costituito da un atto tra vivi. Quale può essere un atto tra vivi? Ad esempio,
la vendita, un soggetto trasferisce il suo diritto ad un altro soggetto con un contratto che prevede il trasferimento
del diritto dietro pagamento di una somma di denaro, la classica vendita. Lo può fare con una permuta, con
una donazione (genitore che dona al figlio l'immobile di cui prima era proprietario). Tutti i modi di acquisto a
titolo originario, cioè il soggetto lo acquista e prevede la partecipazione di un altro soggetto. Si chiama atto
tra vivi. Poi ancora l'acquisto può avvenire per successione mortis causa, è anche questo un acquisto a titolo
derivativo. Un soggetto al momento della sua morte o con un testamento o senza il testamento, seguendo le
regole della legge, determinerà la successione dei suoi beni ai suoi eredi. Gli eredi acquisteranno gli stessi
diritti così come erano in capo al defunto. Perché tutte queste forme di acquisto, sono acquisti a titolo
derivativo, cioè ciascuno riceve il bene dal precedente titolare con le stesse caratteristiche che avevano presso
il suo precedente titolare.
Ma, la proprietà dei diritti reali, si acquistano anche a titolo originario, cioè il diritto nasce in capo al soggetto
per la prima volta con le caratteristiche che lui gli avrà dato, il diritto non proviene dall'altro. ESEMPIO: vado
per strada e trovo un oggetto, non è di nessuno e io divento proprietaria di quel bene, ma il bene è come io l’ho
trovato e le caratteristiche sono quello che darò io a quel bene.
Su uno di questi modi di acquisto bisogna particolarmente fare attenzione all'usucapione: cioè la proprietà o
un diritto reale di usufrutto o pegno, si possono acquistare attraverso il possesso continuato, cioè da una
relazione con una cosa che non è corrispondente a una situazione di diritto come quelle appena descritte.
Quindi l'usucapione è un importantissimo modo di acquisto della proprietà o di altri diritti reali a titolo
originario perché consente di regolamentare dal punto di vista giuridico anche situazioni che di fatto non lo

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sono. ESEMPIO: Immaginate una casa dove un soggetto vive da sempre, prima di lui vivevano i genitori e
prima ancora i nonni, magari non è presente una documentazione giuridica del trasferimento di questo diritto
dal nonno al figlio e dal figlio al nipote, e allora in questi casi si regolarizzerà la situazione dimostrando che
questo soggetto è nel rapporto materiale con il bene da più di 20 anni e in questo caso l'acquisto avverrà non a
titolo derivativo o come se fosse stato fatto un contratto da nonno a figlio e da figlio a nipote, ma a titolo
originario, cioè colui che dimostrerà di avere posseduto quel bene ininterrottamente per 20 anni diventerà
proprietario con le caratteristiche che lui avrà dato alla cosa e non in base alle regole che governavano il diritto
di colui che glielo ha trasferito prima di allora.
Questi sono i modi di acquisto: titolo originario, titolo derivativo.

Come si estinguono i diritti reali? Quando vengono meno? Una servitù, un usufrutto un’enfiteusi o un altro
diritto, quando si estinguono?
La proprietà non si perde mai, si dice che la proprietà è imprescrittibile, non si perde se non per espropriazione
o per l'abbandono liberatorio, mi libero di un bene e non è più mio, più facile per bene mobile e più difficile
per i beni immobili. Quando si tratta di beni immobili la proprietà viene ceduta al comune, per i beni mobili si
lasciano disponibili per chiunque la voglia e in quel caso la cosa diventa di nessuno e potrà essere acquistata
da chi la trova anche occasionalmente. Quando una cosa non è abbandonata ma è smarrita, restano di proprietà
di chi li ha smarriti e allora chi lo trova dovrebbe consegnare il bene all'ufficio beni smarriti del comune in
attesa che il proprietario del bene ne richieda la consegna, questo bene diventerà a titolo originario di proprietà
di chi lo ha rinvenuto.
Questa regola che vale per la proprietà però non vale per i diritti reali minori, perché questi hanno un modo di
estinguersi particolarissimo, in alcuni casi esiste un termine per la loro durata (io ti do l'usufrutto per 15 anni,
dopo questi si estingue), se non è presente questo termine l'usufrutto si estingue con la morte
dell'usufruttario. Gli altri comunque, in quali casi si verifica? I diritti reali hanno un modo particolare di
estinzione che si chiama “non uso”, cioè il diritto permane per tutta la durata di un ventennio se nell'arco di
questo ventennio il diritto non è stato utilizzato, si estingue per non uso. È un modo di particolare estinzione
che fa si che i diritti reali tendenzialmente hanno lunga durata, se però non vengono esercitati per un tempo di
20 anni, il diritto si estingue. Nel momento in cui il diritto reale viene meno si riespande il diritto del
proprietario e il suo titolare può goderne in modo esclusivo.
Tutte le vicende relative ai diritti reali (trasferimenti, costituzione, acquisti), soprattutto per quanto riguarda i
beni immobili, sono soggetti a un particolare regime di pubblicità, cioè tutte le vicende che riguardano i
trasferimenti, acquisti, modifiche e nuove costituzione di diritti devono essere trascritti nei registri immobiliari.
La trascrizione che ha una funzione pubblicitaria perché serve a far sapere a chiunque sia interessato, (perché
i registri sono consultabili da chiunque), a far conoscere tutte le vicende relative a quel determinato bene,
sapere chi è il proprietario, chi ha perso il diritto e chi lo ha acquistato.
La trascrizione è causa di acquisto di diritto in un solo caso, nel caso dell'ipoteca, l'ipoteca cioè si costituisce
con la trascrizione, il vincolo che il creditore crea su quel bene non potrebbe essere conosciuto in un altro
modo se non con la trascrizione. L'ipoteca è attiva nel momento in cui essa venga trascritta.

All'inizio della lezione avevo fatto riferimento alla prescrizione estintiva per indicare un modo di estinzione
dei diritti, questo è un concetto generale che vale per tutti tranne che per i diritti reali. Per i diritti reali non
parliamo di prescrizione estintiva ma di non uso, gli effetti sono gli stessi, la perdita del diritto per effetto del
trascorrere del tempo. Ma è un trascorrere del tempo che per i diritti reali si chiama non uso, e per i rapporti
obbligatori si chiamerà prescrizione.

Lezione 9
8-04
Proprietà- possesso- detenzione- possesso mediato- situazioni
possessorie- possesso legittimo

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Diritto Privato

L’Art. 1140 è la norma di apertura del titolo ottavo, libro terzo della proprietà. Si tratta di una norma importante
in quanto contiene al suo interno la definizione della nozione di possesso. Una definizione importante e
dobbiamo cercare di acquisire in maniera piena consapevole anche perché questa nozione tradizionalmente
viene contrapposta alla nozione di proprietà.
L’Art. 1140 afferma: “Il possesso è il potere sulla cosa che si manifesta in un'attività corrispondente
all'esercizio della proprietà o di altro diritto reale.” Nel primo comma dell’Art. non si fa riferimento a un
diritto ma si parla di un potere sulla cosa, il possesso infatti è una situazione di fatto che si caratterizza in
ragione della circostanza che il possessore esercita di fatto sulla cosa, un potere. Questo potere corrisponde
all'esercizio della proprietà o di altro diritto reale. Cerchiamo di comprendere in maniera pratica che cosa
determini. Supponiamo che Tizio eserciti il potere di fatto sulla cosa X, ed eserciti tale potere in quanto ha
rubato la cosa, qui capiamo agevolmente che Tizio, esercita il potere di fatto sulla cosa ma non è titolare del
diritto di proprietà in quanto appunto è ladro, quindi è evidente che se egli ha rubato la cosa non è titolare del
diritto di proprietà. Facciamo un secondo esempio: Caio è proprietario del bene e in qualità di proprietario
esercita anche il potere di fatto sulla cosa. Da questi due esempi emerge in maniera piuttosto chiara che Tizio
esercita un potere di fatto sulla cosa che ha rubato, quindi eventualmente può anche venderla trasferirla a un
altro soggetto, possiamo dire che il ladro sia titolare di un diritto di proprietà sulla cosa? La risposta è no.
Tuttavia, possiamo senz'altro affermare che questo soggetto (ladro) è invece un possessore in quanto esercita
un potere di fatto sulla cosa che corrisponde al potere che avrebbe esercitato il proprietario della cosa. Nel
secondo esempio Caio è proprietario della cosa e al tempo stesso esercita anche un potere di fatto sulla cosa;
ci troviamo in presenza di una situazione nella quale Caio è proprietario della cosa ma è anche possessore
perché ha la disponibilità della cosa e esercita su di sé il potere di fatto.
allora consideriamo questa prima contrapposizione: il possesso è una situazione di fatto che il legislatore
considera giuridicamente rilevante e alla quale assegna una specifica tutela. È una situazione di fatto in quanto
consiste nella circostanza che il soggetto possessore ha una relazione con la cosa, ed esercita sulla cosa un
potere di fatto che corrisponde a quello che succederebbe al titolare di un diritto reale di godimento. Quindi se
il possessore di fatto esercita un potere corrispondente a quello del proprietario si comporterà come se fosse
un proprietario; la situazione di possesso deve essere distinta dalla situazione di proprietà, perché può accadere
che un soggetto sia possessore senza avere il corrispondente diritto di proprietà, quindi come il ladro che
esercita di fatto un potere sulla cosa e comportandosi come se fosse proprietario della cosa, in realtà non è
titolare del diritto di proprietà. Ora nella normalità dei casi, colui che esercita il potere di fatto sulla cosa è
anche il titolare della corrispondente situazione giuridica soggettiva, quindi normalmente secondo ciò che
accade quella maggior parte delle circostanze delle situazioni se un soggetto esercita un potere di fatto sulla
cosa normalmente è anche titolare del relativo corrispondete diritto soggettivo. Però non c'è una necessaria
coincidenza tra possessore e titolare del diritto soggettivo, è verosimile ed è possibile che ci sia una
dissociazione da colui che esercita il potere di fatto sulla cosa e colui che è titolare del corrispondente diritto
soggettivo. Quindi il legislatore quando detta regole sul possesso si preoccupa di fornire una tutela sulla base
della situazione fattuale prescindendo dalla situazione giuridica corrispondente, dunque il possessore è fornito
di strumenti tali da tutelare la sua situazione di possesso a prescindere dalla circostanza che egli sia o non sia
titolare del diritto corrispondente.
Perché il legislatore prevede una tutela di questo tipo? in primo luogo perché normalmente chi ha la
disponibilità materiale della cosa è anche titolare del correlativo diritto soggettivo.
D’altra parte, il legislatore vuole evitare che consociati si possono fare giustizia da soli. immaginiamo una
persona a cui gli viene sottratto in maniera violenta una cosa di cui è possessore; esempio: Tizio viene
avvicinato da un ladro il quale gli strappa l'orologio e lo porta via. Ora il legislatore ha il problema di fornire
tutela a colui che è stato privato della disponibilità il materiale in quanto questa tutela è una tutela che serve
proprio per evitare che si creino situazioni di eventuale conflittualità tra i consociati e che ciascuno si possa
fare giustizia da sé; ma questo tipo di tutela che riguarda il possesso e quindi una situazione di fatto viene
riconosciuta non soltanto a colui che ad esempio ha acquisito il possesso in quanto è titolare anche del diritto
di proprietà, ma viene concessa per il mero fatto di essere possessori, indipendentemente dalla circostanza che
vi sia una corrispondenza tra quella situazione fattuale e la titolarità del diritto. Se per esempio Tizio ha il
possesso del bene X, anche se non è titolare del diritto di proprietà su quel bene, si trova nella situazione nella
quale viene privato del possesso, avrà ugualmente diritto della tutela prevista dalla legge per i possessori.
Ricapitolando quando leggiamo il primo comma alla dell'articolo 1140 intendiamo che siamo in presenza di
una situazione di fatto; quindi il possesso è un potere di una cosa che si manifesta in un'attività, in una
situazione fattuale che corrisponde all’esercizio della proprietà o di altro diritto reale.

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Da questa posizione di possesso si deve distinguere la detenzione che è ugualmente una situazione di tipo
possessorio. la nozione di detenzione la possiamo intendere se proseguiamo nella lettura dell'articolo 1140 e
in particolare ci soffermiamo sul secondo comma che afferma: “Si può possedere direttamente o per mezzo di
altra persona, che ha la detenzione della cosa.” Risulta piuttosto evidente che la detenzione è una figura
sempre rilevate dal punto di vista fattuale come il possesso, ma dal possesso deve essere nettamente
differenziata. La situazione di detenzione è la situazione che possiamo riscontrare quando un soggetto abbia
preso in locazione un immobile, e quindi sulla base del contratto di locazione ha sicuramente la disponibilità
materiale della cosa, tuttavia egli è consapevole del fatto che vi è un diritto altrui, quello del proprietario, e
quindi riconosce la sussistenza di un diritto altrui.
Qual è la differenza tra detenzione e possesso? Nel possesso ricorrono due elementi tradizionalmente:
➢ un elemento di tipo materiale questo momento materiale consiste nella disponibilità di fatto della
cosa da parte del possessore;
➢ e un elemento di tipo psicologico, che consiste che soggetto possessore si comporti come se la cosa
fosse sua, come se fosse il titolare del diritto di proprietà.

È ovvio che comportandosi come se fosse il proprietario non riconosce il potere altrui sulla cosa. Dal possesso
si deve tenere ben distinta la detenzione, per esempio l'ipotesi di ricorre nel caso in cui il soggetto sia conduttore
di un bene immobile, in questo caso c'è sicuramente un elemento materiale: il soggetto ha la disponibilità
materiale del bene, ovviamente ciò che cambia qui è l'elemento psicologico perché nella detenzione c'è il
cosiddetto animus definendi che si contrappone all’animus possidendi che caratterizza il possesso.
L’animus definendi in cosa consiste? Il soggetto sostanzialmente esercita il potere di fatto sulla cosa
riconoscendo il diritto altrui, quindi il conduttore dell'immobile riconosce il diritto del proprietario tanto è vero
che gli pagherà il canone di locazione e quindi sostanzialmente riconoscerà che ha il potere di fatto sulla cosa
ma non si comporterà come se la cosa fosse la sua. Quindi sostanzialmente questa distinzione tra possesso e
detenzione è una distinzione molto importante perché come vedremo, al possesso si ricollegano determinati
effetti che invece non operano in presenza di una mera detenzione. tra tutti uno dei più importanti è quello che
consiste nel far acquisire la proprietà della cosa mediante l’usucapione a seguito del possesso prolungato per
un certo periodo di tempo e in presenza del ricorrere di una pluralità di ulteriori condizioni che poi
esamineremo. ritornando al secondo comma dell'Art. 1140 possiamo dire che si riferisca anche alla detenzione,
tuttavia questa norma prevede anche un'ipotesi ulteriore perché analizza anche il caso in cui la definizione si
trovi presso un soggetto e il possesso invece sia in capo ad un altro, si parla in questo caso di possesso mediato.
Supponiamo che Tizio possessore del bene X consegni un’automobile al fine di passare una riparazione
all’officina, in questo caso l’officina avrà la disponibilità materiale della cosa, il possessore non avrà la
disponibilità materiale della cosa, tuttavia non per questo avrà perso il possesso, in quanto rimarrà un
possessore che se avrà solo l'animo, mentre la disponibilità materiale si troverà temporaneamente presso un
soggetto terzo. questa è l'ipotesi appunto di possesso mediato.
Facendo sintesi sul punto possiamo dire che: il possesso si caratterizza per la presenza di due elementi un
elemento materiale, che consiste nella disponibilità di fatto della cosa da parte del possessore, e un elemento
psicologico che è rappresentato dal fatto che il possessore si comporta come se la cosa fosse sua, quindi non
riconosce il potere di altri sulla cosa. Mentre il detentore avrà la disponibilità materiale sulla cosa ma riconosce
la sussistenza di un potere altrui sulla cosa; quindi sostanzialmente invece che l’animus possidendi ricorrerà
in questo caso la animus definendi, cioè uno stato d'animo nel quale il soggetto pur avendo la disponibilità di
fatto sulla costa riconosce la sussistenza di un potere altrui sulla cosa.
Ulteriori precisazioni sul concetto di possesso mediato: è caratterizzato da solo elemento soggettivo mentre la
disponibilità materiale del bene compete al soggetto detentore. quindi supponiamo un contratto di locazione:
chi ha la disponibilità materiale della cosa, sulla base del contratto è un detentore, perché sulla base di quanto
abbiamo osservato esercita un potere di fatto sulla cosa ma non conosce la sussistenza di un diritto altrui su di
essa. colui che ha dato in locazione l’immobile in che situazione si trova? non ha perso il possesso; ciò che
non ha allo stato è la disponibilità materiale della cosa ma rimane possessore, in questo caso però sarà un
possessore che avrà solo l’animus possidendi ma non avrà il corpus, cioè non avrà a disposizione la cosa
materiale perché la disponibilità materiale della cosa si trova presso un detentore. ecco perché si dice che è in
questo caso il soggetto esercita praticamente solo un possesso mediato perché la disponibilità materiale della
cosa (ossia la detenzione) si trova presso un soggetto diverso, che in questo caso è il soggetto detentore.
qual è la differenza tra detenzione e possesso mediato? La differenza è che la detenzione si troverà in capo al
conduttore dell'immobile, quindi all’inquilino, mentre il possesso mediato si troverà in capo a colui che ha
dato in locazione il bene, quel soggetto che ha dato in locazione il bene, si dovrà qualificare come possessore

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anche se il possessore in questo caso solo di animo, mentre colui che ha ricevuto la disponibilità materiale
della cosa, sostanzialmente è con lui e che acquisirà la qualifica di soggetto detentore.
Se io dovessi vedere un individuo che con le chiavi apre l'appartamento, entra in casa e magari in questa casa
invita persone e la utilizza in vario modo, noi siamo in grado di sapere se questo soggetto è un soggetto
possessore, detentore o è un soggetto proprietario e quindi anche titolare del diritto di proprietà sulla cosa?
certo potremmo fare un'indagine, ma dal punto di vista fattuale sulla base dell'analisi del mero comportamento
del soggetto non è possibile comprenderlo sulla base del mero comportamento che tiene il soggetto.
se così non è privo di rilievo porci il problema di come debba qualificarsi la posizione di colui che esercita il
potere di fatto sulla cosa e dunque dobbiamo cercare di fornire una risposta alla domanda se tale soggetto
debba considerarsi un soggetto detentore o un soggetto possessore, avendo riguardo alla mera attività materiale
che egli esercita nel rapporto diretto con la cosa. Perché questa domanda è importante? perché come vi dicevo
alcune tutele che sono stabilite a favore del possessore non operano con riferimento al detentore e quindi al
possesso per altro si possono ricollegare degli effetti che non solo uguali a quelli che si ricollegano alla
situazione di detenzione. Ho richiamato prima l’istituto dell’usucapione e vi ho già anticipato che mentre è
possibile che il bene venga un usucapito dal possessore in presenza ovviamente di una serie di circostanze,
non possiamo affermare lo stesso con riferimento al direttore, cioè il detentore non acquisisce al seguito del
protrarsi della detenzione la proprietà del bene. immaginate l'inquilino che magari rimane nell'immobile in
qualità di i appunto conduttore per trent'anni potrebbe dire io sono qui da trent'anni e quindi ho usucapito, il
bene tutto ciò non accade, quindi come ben comprendete è fondamentale tenere distinte le due posizioni
possessorie e cioè il possesso e la detenzione perché come vi dicevo le conseguenze che si ricollegano all’uno
e l'altro situazione di fatto non sono sempre o coincidenti. Ci aiuta nel fornire una risposta a questo primo
quesito l'articolo 1141 che nel primo comma afferma espressamente che si presume il possesso in colui che
esercita il potere di fatto quando non ha cominciato ad esercitarlo semplicemente come detenzione. che cosa
sta a significare questa norma? che in presenza dell’esercizio del potere di fatto sulla cosa colui che esercita
tale potere si presume esercitarlo in qualità di possessore, a meno non risulti che abbia iniziato ad esercitarlo
come detentore. come potrei fornire la prova che il soggetto esercita il potere di fatto in qualità di detentore e
non in qualità di possessore? potrei esibire il contratto di locazione nel momento stesso in cui esibisco il
contratto di locazione risulta che il soggetto che ha la disponibilità materiale della cosa sta esercitando il potere
su quella cosa non in qualità di possessore ma in qualità di detentore e perché c'è un titolo, il contratto di
locazione, dal quale risulta che quel soggetto è stato immesso nella disponibilità materiale della cosa, sulla
base del contratto di locazione, e quindi risulta la sussistenza di un potere altrui sulla cosa. ritornando
all'articolo 1141 la domanda a cui risponde questo articolo è la seguente a fronte di un potere di fatto sulla cosa
Tizio esercita un potere di fatto sul bene immobile X, cioè sostanzialmente lo usa ed esercita tutte le attività
collegate questo bene, il soggetto che esercita il potere di fatto sulla cosa, è un soggetto possessore o è un
soggetto detentore? Per rispondere a questa domanda cerchiamo quindi di richiamare quali sono gli elementi
che caratterizzano possesso e quali sono gli elementi che caratterizzano la detenzione. Abbiamo detto che dal
punto di vista fattuale la situazione non cambia nei due casi, perché il possessore ha la disponibilità materiale
della cosa, il detentore ha la disponibilità materiale della cosa. qual è l'elemento differenziale? è rappresentato
dallo stato d'animo, in un caso dell'animus possidendi nell'altro caso ha l’animus definendi.
che significa animus possidendi? Che il soggetto esercita il potere ho fatto sulla cosa come se fosse sua, senza
riconoscere il potere altrui o il diritto altrui.
Il detentore invece esercita il potere di fatto sulla cosa ma riconosce la sussistenza di un potere di un diritto
altrui. Se ci fermassimo all’aspetto meramente psicologico interno del soggetto sarebbe difficile comprendere
se un certo individuo rispetto ad un certo bene sia possessore o detentore, per dare risposta a questa domanda
ci aiuta l'Art. 1141, che come vi dicevo pone una presunzione cioè afferma che è di fronte al potere di fatto
esercitato sulla cosa, si deve presumere che colui che esercita tale potere lo eserciti in qualità di possessore, a
meno che non si provi che ha cominciato ad esercitare quel potere come semplice detentore. E come si prova?
si prova attraverso un titolo ad esempio un contratto (il contratto di locazione nell’esempio che abbiamo più
volte richiamato) da cui risulta evidente che quel soggetto è stato immesso nella disponibilità materiale della
cosa dal proprietario che continua essere anche possessore, in questo caso possessore mediato perché la
disponibilità materiale del bene si trova in capo al detentore.
Quindi secondo l’Art. 1140 si distingue la detenzione dal possesso in ragione prima nella differenza di
situazione d’animo, ma nell’articolo 1141 questa distinzione è adoperata attraverso la previsione di una
presunzione di possesso quindi colui che esercita il potere di fatto sulla cosa si presume possessore.
Significato di presunzione la presunzione è un mezzo di prova disciplinato dall’Art. 2727 che afferma
esplicitamente che le presunzioni sono le conseguenze che la legge o il giudice trae da un atto noto per risalire

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ad un fatto ignorato. Che cosa vuol dire? Essendo già provata una certa circostanza che prova un fatto base, in
questo caso avendo già provato il possesso, il potere di fatto sulla cosa da parte di un soggetto, sulla base di
argomentazioni, illazioni e congetture si considera provata un'altra circostanza che è sostanzialmente sfornita
di prova diretta. Quindi in presenza di una materiale disponibilità della cosa si presume un altro fatto e cioè si
presume che il soggetto eserciti quel potere in qualità di possessore. quindi sostanzialmente dal potere di fatto
sulla cosa si presume, cioè si considera provata un'altra circostanza e particolare si considera provato il fatto
che il soggetto eserciti quel potere di fatto in qualità di possessore si tratta in questo caso di una presunzione
legale, perché è una presunzione prevista dalla legge (teniamo presente che la presunzione può essere una
presunzione che ammette la prova contraria o una presunzione che non ammette la prova contraria in questo
caso come vedete è impossibile fornire una prova contraria perché lo dice espressamente la legge.) afferma
infatti l'Art. 1141 che si presume che il soggetto sia possessore, salvo che abbia cominciato ad esercitare il
potere di fatto sulla cosa come mero detentore, quindi sostanzialmente come facilmente comprendete qui il
soggetto può fornire una prova contraria, cioè può dimostrare che colui che esercita il potere di fatto sulla cosa
ha cominciato esercitare questo potere non in qualità di possessore ma in qualità di detentore, quindi ad
esempio è il conduttore di un immobile che ha preso in locazione e sostanzialmente in questo caso sarà
detentore non possessore.

Incontro di oggi ha concentrando l'attenzione sulla distinzione tra proprietà di possesso e detenzione.
Riassumendo abbiamo detto che:
➢ la proprietà è un diritto soggettivo;
➢ il proprietario può essere anche possessore del bene;
➢ il possessore è colui che esercita di fatto il potere sulla cosa come se fosse il proprietario o il
titolare di altro diritto reale.
Abbiamo principalmente fatto riferimento ad un possessore che si comporta come se fosse il proprietario ma
potrebbe comunque comportarsi come se fosse titolare di un diritto reale minore, per esempio potrebbe
comportarsi come se fosse usufruttuario, o potrebbe comportarsi come se fosse titolare di un diritto di servitù
e così via; la condotta del soggetto può consistere in una condotta corrispondente all'esercizio del diritto di
proprietà e può essere anche corrispondente all'esercizio di un diritto minore.
un esempio emblematico è quello del ladro. il ladro sicuramente se ha rubato la cosa l'ha fatto perché si vuole
comportare come se la cosa fosse sua, certamente non ha intenzione di restituirla, ma esercita sulla cosa un
potere come se ne fosse proprietario. quindi poiché non è proprietario della cosa sarà possessore ma non sarà
titolare del diritto di proprietà; la proprietà sarà in capo ad un soggetto diverso e cioè colui al quale la cosa è
stata rubata. la situazione è abbastanza articolata e ci porta ad un’analisi complessa che è quella del rapporto
che esiste proprio tra situazione di possesso, più in generale le situazioni possessorie e la situazione del titolare
diritto di proprietà.
Il legislatore prevede delle azioni a tutela del possesso e delle azioni che sono riservate a chi detiene il diritto
di proprietà, da ciò ne discende che il proprietario potrà in primis esprimere azioni a tutela del suo diritto di
proprietà e potrà esprimere anche le azioni a tutela del possesso. se invece il soggetto è solo possessore
ovviamente potrà esprimere solo le azioni che sono riconosciute a tutela del possesso.
Tizio nel caso in cui il bene gli venga sottratto potrà agire sia con l'azione a tutela della proprietà (l'azione di
rivendicazione), oppure potrà agire con l'azione possessoria (azione di reintegra o spoglio).
Come vedete ha una duplice possibilità quindi ha la possibilità di agire godendo della tutela riservata al
proprietario o godendo della tutela riservata al possessore. è chiaro che poi ci crea un problema molto più
articolato e complesso nell’ipotesi in cui il soggetto possessore sia privato del possesso e ad esempio a seguito
di questa privazione del possesso agisca a tutela della sua situazione al fine di ottenere la cosa che magari si
trova presso il terzo. anche ladro in qualità di possessore potrà agire per ottenere una tutela laddove ad esempio
sia stato privato del possesso, e quindi anche a un soggetto che non è titolare del diritto di proprietà ma del
mero possesso può essere, e viene riconosciuto, azione a tutela del possesso.
il possesso può essere di due tipi:
- possesso legittimo l’azione di possesso incide esattamente con la situazione di diritto, quindi
sostanzialmente colui che ha il potere di fatto è anche titolare nel diritto corrispondente.
- Possesso illegittimo colui che esercita il potere di fatto è una persona diversa rispetto all’effettivo titolare
del diritto corrispondente. La situazione di fatto non corrisponde alla situazione di diritto.
Dire che il possesso è illegittimo non significa affermare quale sia lo stato soggettivo di colui che esercita il
potere di fatto. Ovvero colui che esercita il potere di fatto sulla cosa, il possessore, che non è il titolare del

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diritto soggettivo corrispondente, si può trovare in due situazioni: può ignorare che il potere di fatto che sta
esercitando lede il diritto di un altro soggetto, oppure può conoscere la circostanza per la quale il suo esercizio
di fatto arreca pregiudizio ad un altro soggetto. questo tipo di considerazione è molto importante perché ci
consente di distinguere il possessore, il legittimo in buona fede, cioè colui che esercita il potere di fatto sulla
cosa ignorando di ledere il diritto altrui; da colui che invece è un possessore del legittimo in malafede, il quale
esercita il potere di fatto sulla cosa sapendo di ledere un diritto altrui. questo ci consente di operare una sotto
distinzione tra possessore di buona fede e il possessore di mala fede. non sempre sono uguali le conseguenze
che si ricollegano al fatto che il soggetto sia possessore di buona fede o di malafede facciamo un esempio
l’usucapione.
L’usucapione opera sia nel caso in cui il possessore sia in malafede, sia nei casi in cui il possessore sia in buona
fede; quindi il modo di acquisto della proprietà a titolo originario che integra la fattispecie dell’usucapione
opera sia in presenza di un possessore di buona fede che in presenza di un possessore di mala fede. Quindi se
il soggetto si mette ad esempio in un fondo altrui perfettamente consapevole che la proprietà è di altri può
ugualmente acquisire il diritto di proprietà per usucapione quando il suo possesso è protratto per un certo
periodo di tempo con certe caratteristiche, che sono appunto necessarie ai fini dell'utile possesso per
l'usucapione.
Può accadere che il soggetto che eserciti il potere di fatto sulla cosa ignori di ledere un altrui diritto e quindi
sia un possessore in buona fede; ad esempio in concorso con altre circostanze può acquisire la proprietà della
cosa attraverso un meccanismo di usucapione abbreviata, o addirittura può acquisire a certe condizioni
immediatamente la proprietà della cosa. questo concetto ci introduce ad un tema: il sistema degli acquisti
eventuali effettuati da un soggetto quando il bene mi viene trasferito da colui che non è proprietario del bene
che trasferisce. ricorderete che in una precedente lezione avevamo esaminato tre modalità attraverso le quali
si acquistano i diritti soggettivi e in particolare al ramo distinto tra gli acquisti a titolo originario e gli acquisti
a titolo derivativo. quando abbiamo parlato di acquisti a titolo derivativo, abbiamo precisato che, al fine del
corretto funzionamento del meccanismo acquisitivo derivativo, devono ricorrere alcune condizioni. la prima
condizione fondamentale è che chi trasferisce il diritto sul bene, deve essere il titolare del diritto che trasferisce.
Tizio se trasferisce a Caio la proprietà con un atto di compravendita, quindi si tratta di un acquisto a titolo
derivativo perché il diritto trasla dal dante causa all’avente causa, è necessario che sia titolare del diritto. se
Tizio venditore non fosse titolare del diritto sul bene X e lo dovesse trasferire a Caio, è chiaro che Caio acquista
da chi non è proprietario. Ci dobbiamo porre il problema di quale sia la conseguenza di un eventuale
trasferimento operato da parte di chi non fosse in precedenza proprietario del diritto che trasferisce. Altra
fattispecie che dobbiamo osservare accade quando il trasferimento del diritto avviene in “catena”, ovvero
quando Tizio vende a Caio che vende a Sempronio e così via, è sufficiente che il uno degli acquisti a titolo
derivativo sia nullo e non produca effetti, quindi sostanzialmente cada perché vengano in qualche modo travolti
anche tutti gli acquisti successivi.
che cosa accade se un soggetto acquista una proprietà di un bene da colui che non è proprietario, e quindi un
soggetto si trova a entrare nella disponibilità materiale del bene, tuttavia il diritto non si può essere
correttamente trasferito perché mancava in capo al dante causa? Queste ipotesi vengono ricondotte nella
formula che si esprime in latino “acquisti a non domino” cioè acquisti effettuati da parte di chi non era titolare
del diritto che trasferisce. Questa particolare situazione determina una alterazione, un difetto del meccanismo
di acquisto a titolo derivativo, perché il meccanismo a titolo definitivo presunto che colui che trasferisce il
diritto sia titolare del corrispondente diritto che trasferisce, mentre le fattispecie che analizzeremo e di cui
adesso mi sto semplicemente fornendo un'anticipazione sono fattispecie della quali al contrario colui che
trasferisce il diritto non è titolare del diritto che sta appunto alienando a altri. quindi un meccanismo derivativo
non può funzionare e allora a questo punto ci dobbiamo chiedere quali siano gli strumenti eventualmente
utilizzabili a fronte di fattispecie di questo tipo.
bisogna operare una distinzione tra ipotesi in cui oggetto del trasferimento siano beni mobili e invece ipotesi
in cui oggetto del trasferimento siano beni immobili o beni mobili registrati; la soluzione infatti è diversamente
articolata in ragione dell’oggetto del trasferimento, quindi della riconducibilità del bene oggetto di
trasferimento a bene mobile o all’opposto beni immobili e anche beni mobili registrati.
Vedere slide per approfondimenti.

Lezione 10
15-04
Il possesso – usucapione - spoglio

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Il possesso è ciò che si vede, ciò che si manifesta nella realtà e cioè è la manifestazione esteriore di un rapporto
tra un soggetto e un bene che nulla dice necessariamente della situazione che potrebbe esserci dietro.
Il diritto è l'insieme delle prerogative che il soggetto ha, però queste di fatto vengono esercitate sul bene ma
non si vedono, non sono tangibili nella realtà. Il possesso invece è esattamente l'opposto, è ciò che si vede, ma
non è detto che ciò che si vede corrisponde a una situazione di diritto.
Esempio: abbiamo un appartamento destinato all'abitazione e un soggetto che in quell'appartamento vive. Non
potremmo dire in alcun modo se di quell'appartamento quel soggetto è proprietario, titolare di un altro diritto
reale, inquilino con contratto di locazione (ovvero conduttore) o semplice ospite. Le situazioni possono essere
differenti l'una dall'altra, per sapere quale sia il rapporto di diritto che lega questo soggetto all’immobile
avremmo bisogno: di un documento, di conoscere gli estratti dei registri immobiliari per sapere chi è il titolare,
del contratto per sapere chi ha acquistato e chi ha venduto ecc. Quindi per conoscere quale sia il titolo del
diritto che appare nella realtà è necessario visionare sempre un documento, il titolo vuol dire dunque il
documento o il negozio che c'è dietro una situazione reale e che giustifica le attribuzioni che un soggetto ha su
quel bene. Quindi se avremo un contratto di compravendita sapremo che quel soggetto ne è proprietario, con
le prerogative del proprietario e così via.
Al contrario del diritto il possesso appare di per sé immediatamente. Il possesso mostra qual è il rapporto
reale tra il soggetto e il bene indipendentemente da una qualificazione che poi si vedrà successivamente, quindi
è l'immediata visibilità del bene, il possesso è presso colui che manifesta cosa, è nelle mani di colui che esercita
la cosa direttamente. Un potere che corrisponde a quello della proprietà, corrisponde perché noi vediamo
soltanto il modo di comportarsi il quale ci fa capire quale potrebbe essere il diritto sottostante, ma potrebbe
anche non esserci questo diritto. Il legislatore dice corrisponde, ovvero il diritto che avrebbe se fosse
proprietario, se fosse usufruttario o se fosse conduttore; sarà poi il titolo a definire in concreto qual è il rapporto.
Questo rapporto può essere assistito dalla buona fede o dalla malafede, può essere un possesso legittimo o
illegittimo a seconda del modo in cui il soggetto lo abbia acquistato (il ladro esercita sicuramente un possesso,
crea una relazione col bene ma questa relazione non è giustificata da un diritto sottostante, anzi è assistito dalla
sua malafede, ovvero dalla sua consapevolezza di voler tenere per sé un bene che è di altri, possesso
illegittimo).
Il possesso è tutelato nel nostro ordinamento, è una relazione di fatto che ha la più vasta tutela, è tutelato nello
stesso libro del codice nel quale si parla della proprietà. Il legislatore nel nostro sistema tutela il possesso per
due ragioni:
Pace sociale. Attraverso la tutela del possesso il legislatore ottiene la finalità della pace sociale, vuol dire che
tutelando il possesso, ossia la situazione di fatto del rapporto tra soggetti e beni cosi come appaiono, si evitano
le conseguenze di conflittualità che deriverebbero se questa tutela non ci fosse. Se ognuno potesse fare quello
che vuole è ovvio che il disordine sarebbe estremo. Quindi il possesso è tutelato perché costituirebbe uno
strumento di garanzia della pace sociale. Il legislatore tutelerà anche il possessore in mala fede. Esempio: se
io ho rubato una bici e a mia volta mi viene rubata, il legislatore provvederà a farmi restituire la bici per evitare
che ciascuno si faccia giustizia da solo. Il possesso viene tutelato sulla semplice notorietà del fatto, per il modo
in cui si presenta proprio per evitare che ciascuno si faccia giustizia da solo e quindi nel tutelare lo stato di
fatto cosi come appare. L’ordinamento persegue la finalità di evitare i conflitti, questo non esclude ovviamente
che la tutela finale sia quella in base alle regole, ovvero dopo aver ristabilito la situazione anteriore alla
privazione, quindi all’elemento perturbatore si andrà davanti ad un giudice il quale ricostruirà tutte le situazioni
e dirà chi è il proprietario, chi è legittimato a tenere il bene e chi deve invece restituirlo ed eventualmente
risarcire il danno.
Usucapione. La lunga relazione tra il soggetto e il bene può portare anche all’acquisto del diritto anche se
all’inizio questo diritto non c’era. Esempio: se io vivo in un appartamento e ne sono proprietario, che ci viva
o meno non crea differenza. Se invece io mi sono insidiato in quell’appartamento perché era di un soggetto
che non se né mai curato ed io ho cambiato la serratura e ci sono entrato continuando ad abitarci per più anni
senza che il suddetto proprietario abbia reagito, l’ordinamento a questo punto si preoccupa di regolarizzare la
situazione di fatto che nel momento in cui si è costituita non era conforme al diritto, ma siccome il proprietario
non ha reagito per 20 anni, e io durante questo periodo ho potuto mantenere questa relazione con il bene
continua e pacifica, e quindi ha lasciato stabilizzare questa relazione, l’ordinamento dice che il possesso fa
acquistare la proprietà al soggetto che ha esercitato il possesso per un termine così lungo. Il soggetto quindi ha
acquistato il diritto di proprietà per usucapione che è un modo di acquisto della proprietà a titolo originario,
cioè il diritto che io acquisto sul bene ha la stessa configurazione che io gli ho dato attraverso il possesso. Se
avessi comprato normalmente il bene dal proprietario lui mi avrebbe trasferito la proprietà dell’immobile e
delle sue pertinenze (cantina, soffitta, posto auto) perché quello era un acquisto derivativo, ovvero il

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proprietario trasferisce il diritto, mentre l’acquisto che deriva dal possesso quello che si forma in capo
all’acquirente è un nuovo titolo, un diritto, che ha un contenuto e una configurazione corrispondente al potere
in concreto esercitato. Quindi l’usucapione che è un modo d’acquisto attraverso il possesso non contraddice la
regola che dice che la proprietà non si prescrive perché il proprietario non perde il diritto, unicamente se per
20 anni non reagisce all’attività di un terzo che sta esercitando un potere sul bene allora l’ordinamento non lo
tutela più.
L’ordinamento tutela il possesso di chi ha esercitato pacificamente e ininterrottamente. Questo non vale solo
per la proprietà. Il diritto che si acquista è quello corrispondente al potere esercitato. Esempio: se io ogni anno
vado a raccogliere le olive nel fondo vicino al mio, ho esercitato un potere che non è quello del proprietario
ma corrisponde tuttalpiù al diritto di uso, se ho utilizzato le olive per fare l’olio per la mia famiglia, quindi se
per 20 anni continuerò ad esercitare questa attività usucapirò non la proprietà di quel fondo ma usucapirò il
diritto di uso.
In altri termini, con l’usucapione si può acquistare sia la proprietà che qualunque altro diritto reale minore
corrispondente al potere esercitato. Il soggetto deve provare che ha preso possesso di quel bene in un
determinato periodo (es. nel 2000) e lo possegga nel momento attuale (es. nel 2020) si presume che lo abbia
posseduto in tutto l’arco di tempo intermedio, chi è intenzionato a contrastare il mio acquisto dovrà dare prova
di una interruzione durante i 20 anni.
Il presupposto di tutto questo è comunque il possesso, significa che se io ho utilizzato l’immobile perché il
proprietario me l’ha dato in locazione, non è qualificabile come possesso, la mia relazione con il bene è
giustificata da un contratto, ovvero sto esercitando una detenzione che non giova per l’usucapione.
Esempio: un signore prende in affitto un terreno, dopo 70 anni lo ha ancora ma non paga più l’affitto. Fin
quando il soggetto paga il canone d’affitto non si può parlare di possesso ma di detenzione, quindi l’usucapione
non si applica. Punto interessante è quando hanno smesso di pagare l’affitto perché in quel momento il
proprietario avrebbe dovuto reagire esercitando il suo diritto di proprietà che avrebbe impedito che si
consolidasse il lungo decorso dell’usucapione. Se il proprietario non ha più ricevuto il canone d’affitto per 20
anni senza fare nulla, e inoltre il soggetto riferisce al proprietario che si ritiene lui stesso il proprietario del
bene, allora questo comporta la modifica tra il soggetto e il bene e non si può più qualificare come detenzione
ma diventa esercizio di un atto di possesso e quindi in questo caso comincia a decorrere il tempo utile per
l’usucapione.
Se c’è un contratto di affitto, il soggetto era consapevole dell’altrui diritto, è chiaro che quella che si esercita
è sempre una detenzione, che quindi non giova per l’acquisto del possesso. Il potere che il soggetto esercita
corrisponde a delle prerogative, quelle del proprietario o quelle dell’usufruttario o del proprietario di una
servitù. Questo serve per capire quali prerogative il soggetto esercita sul bene perché le prerogative sono quelle
che determineranno il contenuto del diritto del bene usucapito, se si comporta come proprietario usucapirà la
proprietà, se si comporterà come usufruttario usucapirà l’usufrutto, se si comporta come soggetto tritolare di
una servitù usucapirà la servitù.
Attenzione alle regole per usucapire la servitù: se io passo sul fondo del mio vicino per prendere una
scorciatoia per andare in piazza, quello non mi farà usucapire nulla perché per usucapire la servitù è necessario
che ci siano delle opere visibili (cancello, vialetto, lastricato ecc.) che rendono inequivocabilmente certo che
una determinata situazione è determinata a costruire su un fondo altrui. Le servitù si potranno usucapire solo
se si tratta di servitù apparenti. Se per esempio sul mio terreno c’è il vantaggio che il mio vicino non edifichi
oltre una certa altezza, in realtà questa servitù non si vede e quindi non posso dire “tu non hai mai costruito
negli ultimi 20 anni quindi io ho usucapito”, questo non si può usucapire. Se però io avessi un atto costitutivo
di una servitù, nel senso che lui non potrà mai edificare oltre una certa altezza, sarebbe comunque una servitù
non visibile, non apparente. Quando si creano i presupposti per usucapire la servitù? Quando il soggetto edifica
e io non mi oppongo a quella costruzione, lui usucapirà il suo diritto di edificare e il mio diritto di servitù si
estinguerà per non uso.
Il diritto di servitù come ogni altro diritto reale si può usucapire se si fonda su un possesso pacifico, continuo
e ininterrotto per 20 anni, non si prescrive prima.
Il possesso è tutelato anche perché consente la soluzione dei conflitti che si può verificare tra soggetti. Siamo
tutti abituati dal vederci circondati da beni mobili o immobili, ed il presupposto generale è che questi beni
circolino dal titolare ad un nuovo proprietario, questo vale sia per beni mobili sia per quelli immobili, però non
sempre nella realtà ciò avviene in modo ordinato e non sarebbe nemmeno possibile che in alcuni casi accertarlo.
Esempio: immaginiamo che io voglia acquistare un bene immobile. Posso sapere chi è il proprietario di questo
terreno perché tutti gli atti dei relativi immobili vanno trasferiti dei pubblici registri. Quindi sarebbe sufficiente
che io consultassi i pubblici registri per sapere chi è l’attuale proprietario di quel terreno e sapere se possa

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trasferire legittimamente il suo diritto. Che cosa potrebbe accadere? Tizio è proprietario di quel terreno e vende
a Caio, il quale acquista la proprietà se l’accordo tra i due risulta dato scritto. Cioè i due si mettono d’accordo
tramite una scrittura privata in cui un soggetto vende e l’altro acquista. Quest’atto è sufficiente a trasferire la
proprietà, non serve la trascrizione; perché possa essere trascritto nei pubblici registri è necessario l'atto
pubblico, però in attesa che si faccia l’atto pubblico, che servirà per la pubblicità relativa al trasferimento,
l’acquirente è diventato proprietario e il venditore ha perso il diritto. Se un soggetto terzo volesse sapere la
situazione di quel bene scoprirebbe dei registi chi era il precedente proprietario, ma non avrebbe modo di
scoprire che c'è un acquirente nuovo perché quell'atto non è stato trascritto. Il venditore potrebbe approfittare
della situazione rendendosi conto che il soggetto non ha trascritto e potrebbe vendere il bene anche ad un altro
pendendosi così il prezzo della parte dell'altro, attraverso una scrittura privata in cui gli trasferisce il diritto.
Questa scrittura sarebbe sufficiente se non fosse che Tizio aveva già trasferito il diritto di proprietà a Caio.
L'ordinamento però si preoccupa anche di tutelare l'affidamento, ovvero la fiducia che tutti nell’ordinamento
ripongono in un ordinato svolgersi delle contrattazioni, e quindi quel terzo che voleva acquistare è stato
diligente ed ha controllato i pubblici registri ma non ho avuto modo di scoprire che c'era stata una vendita
precedente e quindi colui che gliel'ha venduto non era più proprietario. È evidente che c'è un conflitto, ci sono
due compratori, chi diventa proprietario tra questi due? Secondo quello che abbiamo detto finora dovrebbe
essere soltanto il primo acquirente, perché il secondo ha acquistato quando il vecchio proprietario non era già
più proprietario. Però sia il primo acquirente che il secondo acquirente sono soggetti in buona fede,
l'ordinamento non si preoccupa tanto di sapere chi ha conseguito il possesso, ma bensì risulta proprietario chi
ha trascritto per primo, cioè che ha reso ufficiale e quindi conoscibile ai terzi il trasferimento di proprietà. Per
cui se per ipotesi fosse stato il secondo acquirente ad avere trascritto l'atto di compravendita lui sarebbe
diventato proprietario; il primo, che aveva tutti i requisiti per diventarlo, non lo sarà ma ovviamente non resterà
senza tutela e avrà tutti i diritti per agire contro il venditore che ha violato la legge e il contratto, quindi potrà
ottenere il risarcimento del danno. Tutto questo meccanismo è costruito intorno alla trascrizione perché è un
dato oggettivo, visibile a cui tutti possono accedere e in cui tutti possono controllare, questo perché per i beni
immobili così per i beni mobili registrati ci sono pubblici registri consultabili.
Per i beni mobili non registrati questo meccanismo non può funzionare e non c'è neanche la possibilità di fare
un controllo. Esempio: immaginiamo che io voglia vendere a uno di voi il mio cellulare, voi che cosa vedete?
Vedete che io utilizzo il cellulare ma potete essere certi che sia mio? Potrei mostrarvi la fattura che mi ha fatto
il negoziante al momento della vendita, oppure se mi fosse stato donato dovrei mostrarvi la documentazione
di questa donazione ma per i beni mobili di modico valore non è richiesta alcuna forma quindi non avreste
modo di controllare se io sono effettivamente proprietario di quel cellulare oppure no. Se io offrissi il cellulare
a 10 di voi, chi diventa il titolare? Bisognerà stabilire delle regole. L'ordinamento, visto che non c'è un registro
che tenga nota del possesso dei beni mobili, utilizza il possesso come regola di soluzione dei conflitti, che cosa
vuol dire? Vuol dire che diventa proprietario chi ottiene il possesso, ovvero il soggetto a cui io consegnerò
materialmente il bene. Il possesso diventa quindi un elemento per l'acquisto del diritto in tutti i casi in cui non
si ha la certezza che l’alienante sia il proprietario. Questa è la regola che noi conosciamo come possesso vale
titolo o come usucapione istantanea. È la regola contenuta nell’articolo 1153, ed è la regola cardine per la
circolazione dei beni mobili. In cosa consiste il possesso vale titolo? Secondo l'articolo 1153 punti cardine
sono:
➢ Quello del possesso attraverso la consegna del bene al soggetto;
➢ Che abbia stipulato un contratto di per sé idoneo a trasferire il diritto e cioè un titolo che di per sé
trasferirebbe la proprietà (es. La vendita, donazione);
➢ La buona fede;
Se ricorrono tutti e tre questi elementi l’acquirente diventa proprietario e può stare tranquillo. Attenzione alla
buona fede se io compro un gioiello da uno che è all'angolo della strada quella non è sicuramente buonafede,
se voglio comprare un gioiello vado in gioielleria.
Perché viene definita anche usucapione istantanea? Per sottolineare che attraverso la regola possesso vale
titolo si acquista la proprietà come se fosse un’usucapione, solo che l'usucapione per definizione deve esserci
un possesso continuato nel tempo e quindi si dice sia immediata (senza che trascorra un ventennio). Se un
soggetto si vede regalato un bene mobile, diventa subito proprietario di quel bene.
Il possesso si rivela anche sotto un altro profilo molto importante, ovvero il possesso circola nell’ordinamento
e può circolare i vari modi, facciamo riferimento alla regola che nel codice civile è indicata all'Art. 1146 che
contiene le regole sulla successione del possesso e accessione del possesso. Facciamo riferimento un'ipotesi
al contratto di compravendita. Esempio: io compro un appartamento a Roma divento proprietaria, trascrivo
anche il mio acquisto ma senza aver visto l'appartamento o esserci andata, in questo caso il possesso mi viene

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trasferito simbolicamente attraverso la consegna delle chiavi. Ad un certo punto si scopre che il proprietario
che me l'aveva venduto in realtà non era proprietario, cosa posso fare? Il problema è la mancanza di titolarità
da parte di colui che ha alienato. Quindi siccome l’alienazione arriva da parte di colui che non è proprietario,
per l’acquirente l’unica possibilità di acquisto è quella dell’usucapione ma in che tempo? L’usucapione in
questo caso avverrà nella forma abbreviata, sarà sufficiente che aspetti 10 anni perché il soggetto è in
buonafede. Nel caso in cui fosse in mala fede dovrà usucapire in 20 anni, ma si potrà avvalere della regola che
gli consente di unire il suo possesso al quello del suo dante causa (cioè colui che glielo ha trasferito) che cosa
avverrà? Avverrà che se lui possiede da 15 anni e che gliel'ha venduto possedeva già da più di 5, si sarà
compiuto, sommando i periodi di possesso, il possesso ventennale utile per l'usucapione. Immaginiamo che il
soggetto sia in possesso del bene da tre anni, è in buona fede ed ha trascritto, quindi gli serviranno altri 7 anni
per diventare proprietario, però il suo precedente proprietario era in malafede e possedeva il bene da 22 anni,
al soggetto quindi converrebbe sommare i 3 anni ai 22 del proprietario precedente in modo da ottenere
complessivamente un termine di 25 anni, cioè avrà un termine tanto lungo da potersi avvalere di un acquisto
per usucapione. In questo caso il soggetto in buona fede diventa in malafede e quindi dovrebbe disporre di una
somma maggiore dei vent'anni per usucapire il bene, se per esempio il soggetto in buona fede possiede il bene
per 7 anni e il soggetto precedente possedeva il bene per altri 3 anni ma era in malafede a questo punto al
nuovo soggetto non conviene aggiungere gli anni del dante causa perché dovrebbe aspettare altri 10 anni per
diventarne proprietario. Questa pratica è detta accessione del possesso, dove per l’usucapione abbreviata
occorre la buonafede per l’usucapione ordinaria basta la malafede.
Questa regola si applica per gli acquisti a titolo derivativo, la stessa regola non vale invece per gli acquisti a
titolo universale.
Nelle successioni vale una regola diversa, un soggetto muore e ha dei beni nel suo patrimonio, di alcuni era
proprietario e di altri ne aveva solo il possesso, tutto quello che era la sua sfera giuridica si trasmette ai suoi
eredi quindi che cosa accadrà? Che l’erede acquisterà il bene, i diritti, il possesso esattamente nella stessa
situazione il suo autore. Significa che se il defunto era possessore in malafede il possesso che si trasferisce
all’erede sarà un possesso in malafede indipendentemente dal fatto che lui individualmente sia in buona fede.
Esempio: se mio nonno fosse possessore in malafede di un orologio da 10 anni e dopo altri 10 anni si apre la
successione io eredito la stessa situazione che aveva mio nonno, ovvero sono possessore in malafede da 10
anni perciò dovranno passare altri 10 anni affinché io possa diventare proprietaria per bene. Quindi
nell’accessione il soggetto potrà scegliere se unire o meno il proprio possesso a quello del suo autore, mentre
nel caso di successione per l’erede il possesso continua con le stesse qualificazioni soggettive e quindi non è
possibile invocare uno stato soggettivo differente.
Per il legatario vale la regola dell’accessione del possesso.
Il legislatore tutela con enorme forza il possesso perché non vuole che si verifichino alterazioni nei rapporti di
fatto, cioè lo fa stabilendo le regole di un'azione che si chiama di reintegrazione o spoglio.
Lo spoglio è la privazione del possesso contro la volontà del precedente possessore, è detto violento, non per
indicare necessariamente la violenza fisica ma quando è fatto contro la volontà espressa, o anche solo presunta
del precedente possessore. Lo spoglio è semplice se non c'è violenza, così come ha rilevanza il fatto che il
bene venga portato via di nascosto al precedente possessore. Nel caso di spoglio violento o clandestino, e
quindi di privazione del possesso spoglio nel senso civilistico e l'equivalente del furto il senso penalistico in
diritto pubblico, il quale dà anche luogo all'applicazione di sanzioni penali perché è un reato.
Dal punto di vista civilistico è un illecito, detto spoglio e potrà dar luogo ad azioni civilistiche, per una lesione
di un diritto non si potrà avere la privazione della proprietà ma si farà luogo alla restituzione ed eventualmente
al risarcimento. Per dirlo in termini molto semplici: se vi rubano la macchina, lo stesso comportamento del
ladro è un comportamento che rileva sotto due profili. Sotto il profilo privatistico -> mi ha spogliato della
proprietà nel senso che mi ha portato via un mio bene (indipendentemente dal fatto che fossi proprietario o
solo possessore a mia volta) e per questa violazione mi dovrà restituire il bene a prescindere che io abbia il
diritto di tenerla o meno (l’ipotesi potrebbe essere che lui mi ha rubato la macchina e io lo so e me la vado a
riprendere per riportare la situazione a come era prima dello spoglio e sarà poi il giudice ad agire in una sede
diversa, quella cosiddetta petitoria, e stabilire chi è il proprietario di quel bene ed è quindi legittimato a
tenerla).
Quindi l’azione di spoglio mira ad evitare che ciascuno si faccia giustizia da solo, mira ad evitare turbamenti
che potrebbero derivare da un comportamento arbitrariamente tenuto da un soggetto che privi un altro dal suo
possesso. Questa è un’azione che richiede un’azione immediata da parte del possessore stesso ovviamente, ma
anche del detentore il quale è qualificato ad agire. Il detentore qualificato è colui che tiene un rapporto col
bene in forza di rapporto contrattuale, quindi il conduttore, il comodatario. Non è invece legittimato colui che

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è in relazione col bene per ragione di servizio o di ospitalità; quindi, ad esempio, il lavoratore domestico che
è addetto ai servizi della casa, se nella casa viene commesso un furto, non sarà lui a dover reagire ma sarà il
proprietario della casa (così come anche un ospite della casa non potrà reagire). Il legislatore tutela anche il
possesso contro i turbamenti, le molestie, quegli atti che rendono non agevole il godimento del diritto e questa
è l’azione che noi conosciamo con il nome di manutenzione, che ha una duplice finalità: far cessare le molestie
continue che rendono più gravoso il diritto del titolare del bene (nonostante non ci sia stato un vero e proprio
spoglio del bene) e che potrebbero essere molestie sia di fatto che di diritto (perché per esempio se uno cita in
continuazione in giudizio il vicino, senza ragione ma solo per dargli fastidio, mette in atto una serie di
comportamenti molesti che l’azione di manutenzione è diretta a far cessare). Quindi azioni di reintegrazione o
spoglio e manutenzione affinché il possesso venga tutelato sia per far si che il bene non venga sottratto, e che
quindi subisca uno spoglio ma tenda alla restituzione, e un possesso che tende a evitare che venga molestato
sotto ogni profilo. Questo naturalmente non vuol dire che vengano superate le ragioni del proprietario, perché
quella possessoria è un’azione che viene realizzata nell’immediato per evitare turbamenti che potrebbero
verificarsi nel perdurare nelle situazioni di molestia o di privazione del possesso, resta salva poi la possibilità
di agire in via petitoria cioè di passare ad una seconda fase della tutela in cui si discuterà del diritto. Esempio:
un soggetto ruba l’autovettura, mi spoglia dell’autovettura, io posso riprendermela, in realtà io ho messo in
atto un nuovo spoglio, stavolta a danno del possessore di malafede se lui mi chiama davanti al giudice,
quest’ultimo mi direbbe di restituire la macchina al possessore, questo non significa che il giudice stia
riconoscendo le ragioni del ladro, ma l’ordine di restituzione mira a ristabilire la situazione precedente per poi,
in un secondo momento, passare alla fase in cui si accerta il vero proprietario del bene. La prima è la cosiddetta
fase possessoria, cioè in cui si discute solamente del possesso, dello spoglio ed eventualmente della
restituzione. Ci sarà poi la fase petitoria nella quale si discute del diritto ed il giudice stabilirà il proprietario e
un eventuale risarcimento per essere stato privato del possesso. Quindi la tutela possessoria è immediata sulla
semplice notorietà del fatto, proprio per evitare i turbamenti che questi potrebbero portare; è quindi più
immediata ma anche meno stabile. Sicuramente è più stabile la tutela petitoria perché è data al reale
proprietario, che viene stabilito portando davanti al giudice tutte le prove e i documenti necessari per mostrare
che chi è il titolare e esso dovrà anche dimostrare di aver acquistato il bene da un altro soggetto che è stato a
sua volta proprietario e così guardando all’indietro si risale all’origine del bene: è quella che viene definita
probatio(probazio) diabolica. La cosa si semplifica, e qui ci vengono in aiuto le regole che abbiamo richiamato
prima, perché il soggetto dimostrerà di aver acquistato a sua volta da un proprietario risalendo fino al ventennio
precedente perché questo è il periodo di tempo sufficiente per l’acquisto per usucapione e quindi anche se ci
fosse stato un qualcuno che non era proprietario, il possesso continuato per vent’anni, farebbe acquistare la
proprietà a titolo originario a chi ha eventualmente acquistato da un non proprietario. La tutela petitoria quindi
mira a far accertare l’esistenza del delitto e sono importantissima l’azione di rivendicazione (fin dai romani
esisteva la rei vindicatio), con la quale si dimostra chi è titolare di un bene, attraverso le prove e i documenti
che ne indicano legittimo l’acquisto e in ogni caso si risale fino ai vent’anni precedenti, dandosi la prova che
non ci siano stati casi di perdita del possesso. Sono petitorie, cioè dirette a tutelare il titolare del diritto, anche
delle azioni che provano l’esistenza di un diritto reale, ossia l’azione negatoria e confessoria che servono
rispettivamente a dimostrare o che non esiste una servitù su un certo fondo o, nel caso di quella confessoria, a
dimostrare che una servitù esisteva. Esistono anche delle azioni dirette a dimostrare l’estensione del diritto:
sono l’azione di regolamento di confine, l’azione di apposizione di termini (ecc.) E tendono ad accertare in
modo pacifico l’esistenza o l’estensione di un diritto. (capita sempre una domanda all’esame su queste
azioni).
Le azioni possessorie sono quindi:
- Reintegrazione o spoglio;
- Manutenzione.
- Le azioni petitorie sono:
- Confessoria;
- Negatoria;
- Apposizione di termini;
- Regolamento di confini.

Esistono poi delle azioni che hanno una funzione di impedire che il danno si compia: sono quelle cosiddette di
nunciazione e sono la denuncia di nuova opera e di danno tenuto e sono azioni che sia il proprietario che il

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Diritto Privato

possessore potranno esercitare per evitare che l’opera in corso di costruzione sul fondo del vicino, o un pericolo
che derivi dal fondo del decino rischi di cagionare un danno irreparabile, o comunque grave alla persona.
Dunque, in questo caso è possibile far cessare o impedire la continuazione dell’opera. Quindi si chiede al
proprietario o al possessore di agire, non solo quando il danno si è già verificato ma anche per evitare che
questo si consumi di più.

Studiare disciplina delle variazioni dal libro

Lezione 11
20 aprile
Obbligazioni

Inizieremo a parlare delle obbligazioni. Siamo nel libro IV del codice civile, sapete che il codice civile è diviso
in sottoinsiemi, che sono chiamati libri, non sono libri separati, come se fossero dei grandi capitoli. Questo
libro IV come ho detto intitolato delle Obbligazioni, in realtà non parla solo delle obbligazioni, ma parla anche
dei contratti: infatti abbiamo nel Titolo I di questo libro che si occupa delle obbligazioni in generale e il Titolo
II invece che si occupa dei contratti, poi abbiamo anche dei titoli successivi che si occupano di altri istituti che
sono comunque legati al vasto mondo delle obbligazioni e in particolar modo si occupa delle Fonti delle
obbligazioni, così come il contratto, appunto che è una fonte delle obbligazioni. Adesso possiamo cercare di
capire meglio cosa è appunto un'obbligazione. Abbiamo visto che i diritti reali sono per l'appunto diritti che
spettano sulle cose, mentre i diritti che spettano agli uomini verso altri individui sono appunto i diritti di credito.
Diciamo che più in generale sono diritti relativi e nell'ambito dei diritti relativi abbiamo poi una sub-categoria,
che peraltro è tra l'altro la più importante, che appunto è costituita dai diritti di credito.

Perché adesso ho menzionato i diritti di credito? Perché i diritti di credito sono speculari rispetto al debito e
quindi sono una delle due componenti delle obbligazioni, del rapporto obbligatorio. I diritti reali non sono
sufficienti a soddisfare tutti gli interessi degli individui, cioè tutti gli interessi umani rilevanti giuridicamente,
ma diciamo appunto che sono necessari anche l’obbligazione e i diritti di credito. Vediamo adesso di capire
meglio cosa è l'obbligazione. Diciamo che l'obbligazione è un rapporto giuridico che intercorre tra due
soggetti, nell'ambito del quale un soggetto detto creditore ha diritto a pretendere un comportamento, detto
prestazione, nei confronti di un altro soggetto detto debitore e questo comportamento è diretto a realizzare
ovviamente l'interesse del creditore. Questa è una nozione tutto sommato abbastanza semplice, se vogliamo
anche intuitiva, che sostanzialmente parte dalla nozione di rapporto giuridico che avete già esaminato quando
avete visto è studiato le situazioni giuridiche soggettive. Da questa definizione che abbiamo dato adesso
emerge con una certa chiarezza che affinché il creditore possa realizzare il proprio interesse è necessaria la
cooperazione del debitore, quindi la realizzazione dell'interesse creditoria avviene necessariamente per la
cooperazione del debitore, il quale appunto consegue, in relazione di questo interesse, grazie all'adempimento,
cioè alla corretta esecuzione della prestazione da parte del debitore. Questa è una delle caratteristiche che
distingue i diritti relativi, e in particolar modo il diritto di credito dai diritti assoluti e fra questi dal diritto reale:
ricordiamo che i diritti reali sono caratterizzati dall'immediatezza e dalla assolutezza, immediatezza significa
che basta esercitare il diritto per realizzare l'interesse, assolutezza significa che sono rilevanti nei confronti di
tutti. Invece i diritti di credito e i diritti relativi in generale, necessitano della cooperazione del soggetto passivo
quindi non c'è la realizzazione dell'interesse immediata, non c'è coincidenza tra esercizio del diritto e la
realizzazione dell'interesse, è poi altra caratteristica importante, insita già nell'espressione, sono relativi, cioè
possono essere fatti valere solo nei confronti di un soggetto determinato. Il diritto di credito può essere appunto
fatto valere solo nei confronti del debitore.

Sempre dalla definizione possiamo trarre un'ulteriore sviluppo: con riguardo all’obbligazione possiamo
distinguere un momento in cui l'obbligazione sorge, la nascita quindi del vincolo giuridico, e in seconda battuta
il momento in cui naturalmente l'obbligazione si realizza attraverso la realizzazione dell'interesse del creditore
che può avvenire, come normalmente accadrà, attraverso la sua attuazione spontanea, quindi l'adempimento
o in mancanza, se il debitore non adempie spontaneamente, attraverso la realizzazione coattiva, cioè del diritto
del creditore, il quale non viene realizzato spontaneamente dal debitore, viene realizzato attraverso dei

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Diritto Privato

meccanismi giuridici che consentono comunque di realizzare questo diritto, altrimenti non ci sarebbe tutela
del diritto e del credito. Considerando che l'obbligazione è un vincolo giuridico, se il debitore non adempie
scattano una serie di meccanismi, di sanzioni, che servono per tutelare il diritto del creditore, quindi il creditore
può agire per tutelare il proprio diritto. Noi possiamo individuare innanzitutto la responsabilità per
l'inadempimento, e quindi il fatto che il debitore sarà tenuto al risarcimento del danno.

Invece cosa accadrà ancora se il debitore non dovesse adempiere? Si metterà in moto un procedimento di
cognizione del processo nel quale verrà accertato se esiste questo diritto di credito e se questo diritto di credito
effettivamente non è stato rispettato, quindi c'è stato inadempimento o comunque inesatto adempimento, a quel
punto verrà condannato il debitore ad adempiere. quindi a risarcire il danno. Se ancora il debitore
spontaneamente non osservasse i dettagli della sentenza, il creditore potrà agire esecutivamente sui beni che
costituiscono il patrimonio del debitore.

Responsabilità patrimoniale (art. 2740 c.c.)

“Il debitore risponde dell'adempimento delle obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri.
Le limitazioni della responsabilità non sono ammesse se non nei casi stabiliti dalla legge [490, 2313; 514
c.p.c., 515 c.p.c., 545 c.p.c.; 46 l. fall.]”

La norma di riferimento prevede appunto che il debitore risponde dei suoi debiti con tutti i suoi beni presenti
e futuri. Si metterà in moto questa volta un procedimento che fa seguito a quello di cognizione, il processo
esecutivo attraverso il quale appunto i beni possono essere pignorati, per poi essere venduti affinché il creditore
possa soddisfarsi sul ricavato della vendita coattiva. Riguardo alla responsabilità per inadempimento, quindi
riguardo alla sanzione, conseguenza del sorgere dell'obbligo del risarcimento del danno la norma di riferimento
è l'art. 1218: “Il debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta è tenuto al risarcimento del danno.
se non prova che l'inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante
da causa a lui non imputabile”

Abbiamo evocato il concetto di patrimonio, il complesso delle poste attive e passive, fondamentalmente tutti i
diritti patrimoniali, i diritti di credito e diritti reali e anche eventualmente altri diritti e beni che hanno
comunque una rilevanza economica. Distinguendo le poste attive dalle poste passive, possiamo parlare di
patrimonio netto, quindi patrimonio detratto l'ammontare dei debiti.

Visto che abbiamo parlato di vincolo giuridico, a questo punto possiamo esaminare un altro istituto: l'istituto
si chiama obbligazione naturale.

Obbligazioni naturali (art. 2034)


“Non è ammessa la ripetizione di quanto è stato spontaneamente prestato in esecuzione di doveri morali o
sociali, salvo che la prestazione sia stata eseguita da un incapace.

I doveri indicati dal comma precedente, e ogni altro per cui la legge non accorda azione ma esclude la
ripetizione di ciò che è stato spontaneamente pagato, non producono altri effetti.”

L'articolo 2034 si occupa di quei casi in cui non esiste un vincolo giuridico, ma esiste un dovere morale o
sociale in forza del quale il cittadino il consociato sarebbe tenuto a un certo comportamento, pertanto non è un
dovere giuridico. Che rilevanza ha questa obbligazione naturale? il termine obbligazione naturale potrebbe
confondere, però il codice utilizza questa formula “obbligazione naturale”, quindi noi siamo tenuti o comunque
ci troviamo a ragionare con questa terminologia. Chiaramente stiamo parlando di qualcosa di diverso
dall'obbligazione in senso tecnico, quella che viene detta anche civile, infatti in questa circostanza, il creditore,
il soggetto attivo, colui che avrebbe diritto all'adempimento di questo dovere morale o sociale, non può fare
alcunché perché qui abbiamo un dovere e non un dovere giuridico, quindi significa che il soggetto attivo, il
creditore naturale, non potrà fare alcunché per poter costringere il soggetto passivo a rispettare quel dovere.

Quand'è che si parla di obbligazioni naturali? Quando abbiamo un dovere morale o sociale, questo in termini
generali, lo dice l'articolo 2034, oppure in casi più specifici previsti sempre da altre norme. In altri casi nel
quale appunto le disposizioni specifiche stabiliscono che il soggetto che dovesse eseguire una prestazione, un
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Diritto Privato

adempimento di questo dovere comunque non potrà chiedere la restituzione. Ecco l'unica rilevanza giuridica
dell’obbligazione o delle obbligazioni naturali sta in questo, qualora il soggetto esegua una prestazione, un
adempimento di un’obbligazione naturale non potrà pretendere la restituzione di quanto prestato. Questa è
l'unica rilevanza: non può essere costretto ad adempiere, però se adempie spontaneamente nulla potrà
pretendere in restituzione. Il primo comma dell'articolo 2034 si riferisce alle obbligazioni naturali in senso
ampio, mentre il secondo comma fa riferimento ai casi in cui ci siano norme specifiche che contemplino singole
obbligazioni naturali.

Es.: l'inadempimento dei debiti di gioco (articolo 1933 del codice civile): se si svolge un gioco che prevede
una scommessa si tratta ovviamente di giochi leciti, di scommesse lecite, perché ovviamente si tratta di
piccolissime somme di denaro e quindi non si incorre in divieti di illecito, il vincitore non può pretendere che
il perdente paghi, ma se il perdente (l'adempimento appunto di questo dovere sociale discende dall’intrattenere
appunto un gioco) decide di pagare spontaneamente, non potrà chiedere poi, se si pente, la restituzione di
quanto ha pagato. Un'altra ipotesi nella quale appunto è previsto che chi adempia spontaneamente non possa
chiedere la restituzione di quanto ha pagato è contemplata dall'articolo 2940 del codice civile, che è si occupa
dell'adempimento del debito prescritto, stabilendo che anche in questo caso se spontaneamente si adempie il
debito, che ormai è prescritto, quindi si è estinto, chi ha adempiuto non può pretendere la restituzione.
Dobbiamo sottolineare due aspetti, innanzitutto che questo adempimento del debito prescritto dev'essere
effettuato spontaneamente quindi non deve essere frutto di una costrizione da parte del soggetto attivo, deve
essere diciamo libero, considerato che non manca un dovere giuridico, il fatto che chi adempia la faccia
nell’errata convinzione che in realtà il dovere giuridico esista. Secondo elemento da focalizzare è che il
soggetto che adempie deve essere capace, capace anche di intendere e di volere, la norma infatti dice che non
è ammessa la ripetizione, per ripetizione si intende la possibilità di chiedere la restituzione di quanto è stato
spontaneamente prestato, un'esecuzione di un dovere morale e sociale, salvo che la prestazione sia stata
eseguita da un incapace. Quindi la condizione è che chi adempia lo fa spontaneamente e dev’essere anche
capace.

Possiamo adesso soffermare la nostra attenzione sulle fonti delle obbligazioni. Da che cosa sorgono le
obbligazioni? Quali possono essere le fonti delle obbligazioni? Il codice civile ci dà una risposta molto chiara
nell'articolo 1173, affermando che “le obbligazioni derivano da contratto, da fatto illecito o da ogni altro atto
o fatto idoneo a produrle in conformità dell'ordinamento giuridico”.

Abbiamo tre categorie di Fonti: Innanzitutto il contratto, che è una fonte volontaria, contratto che serve per far
circolare dei diritti già esistenti, per esempio per vendere la proprietà di un bene per fare un esempio un
contratto di vendita, ma serve anche come fonte di un’obbligazione, fa sorgere appunto obbligazioni. Da ciò
appunto emerge la definizione implicita, diciamo che contratto e obbligazione non sono la stessa cosa, perché
se il contratto è fonte di obbligazioni è chiaro che contratto e obbligazione non sono la stessa cosa. Il contratto
appunto è un accordo fra due o più parti avente carattere patrimoniale, diretto a produrre una serie di effetti
giuridici; l'obbligazione invece è un rapporto giuridico che può sorgere dalla stipulazione di un contratto ma
non necessariamente. Altra possibile fonte importante delle obbligazioni è il fatto illecito, questa volta la fonte
non è volontaria, nel senso che è dal complimento di un fatto illecito, sorge una conseguenza, un effetto
spiacevole, non voluto, consistente nel fatto che chi ha compiuto quel fatto illecito, provocando un danno ad
altri, sarà tenuto a risarcire il danno subito, quindi l'effetto, l'obbligazione che sorge è di risarcimento danni:
le disposizioni di riferimento per quanto riguardano i fatti illeciti sono gli articoli 2043 e seguenti del codice
civile. Poi vi è una norma di chiusura, l'articolo 1173, affermando che le obbligazioni, oltre che da contratto e
da fatto illecito derivano anche da ogni altro atto o fatto idoneo a produrle in conformità all'ordinamento
giuridico. Quindi c'è un rinvio sostanzialmente, le obbligazioni possono sorgere da qualsiasi altro atto o fatto
previsto dalla legge, fra questi altre situazioni, atti o fatti che sono idonei a produrre obbligazioni. Hanno un
ruolo importante le promesse unilaterali, i titoli di credito, la gestione di affari altrui al pagamento dell'indebito
e all'arricchimento senza causa. Le obbligazioni giusto per fare altri esempi possono nascere per esempio da
un testamento, possono nascere anche da leggi, pensate per esempio alle leggi tributarie, le quali prevedono
che sussistendo certe condizioni i cittadini siano tenuti a pagare delle tasse, delle imposte, dei tributi più in
generale. L'obbligazione di dover pagare una somma di denaro a titolo di tributo è ovviamente
un’obbligazione, la fonte in questo caso è la legge. Ancora queste obbligazioni possono derivare anche da
provvedimenti giudiziari, da sentenze e non solo.

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Le obbligazioni derivano da titoli derivativi, sorgono da titoli derivativi? No, sorgono da contratti che
producono effetti obbligatori, quando facciamo riferimento a contratti; i titoli derivativi forse volete far
riferimento alla distinzione fra acquisti a titolo originario e acquisti a titolo derivativo, che è un'altra cosa. Vi
faccio un esempio semplicissimo di un contratto dalla quale sorgono obbligazioni: pensate a un contratto di
lavoro subordinato, con quel contratto il lavoratore si obbliga a prestare la propria attività lavorativa, a metterla
a disposizione del datore di lavoro, per ottenerne un corrispettivo e infatti il datore di lavoro a sua volta si
obbliga ed è obbligato a pagare il corrispettivo pecuniario: la retribuzione. Questo è un tipico contratto che
produce effetti obbligatori quindi un contratto dal quale sorgono obbligazioni, nella fattispecie sorgono solo
obbligazioni; ovviamente li dove sorgono, dove c'è un'obbligazione ci saranno dei diritti di credito e dei debiti.
Tenete anche presente che è il termine obbligazione viene usato in maniera alternata sia per indicare l'intero
rapporto obbligatorio, e quindi il rapporto giuridico obbligatorio, e questo è anche l'uso più comune, ma anche
per indicare il debito, cioè la situazione passiva nella quale si trova il debitore. A seconda dei casi vi renderete
conto anche nei manuali, anche nei codici, che la parola obbligazione viene utilizzata con queste due accezioni
parzialmente diverse. L'intero rapporto o la singola posizione debitoria che fa capo al soggetto passivo, al
debitore. Quindi possiamo concludere che le fonti delle obbligazioni costituiscono un sistema aperto perché
oltre al contratto e fatto illecito si aggiungono qualsiasi altro atto o fatto che idoneo a produrlo, a produrre il
sorgere delle obbligazioni in conformità giuridica.

Adesso vediamo un po' di parlare di altri elementi fondamentali: la prestazione e l'oggetto della prestazione in
particolare. Parleremo quindi dell'argomento prestazione e ci soffermeremo innanzitutto sull’oggetto della
prestazione. Tradizionalmente si dice appunto che la prestazione, può avere ad oggetto un dare, un fare, o un
non fare. Un dare significa che il debitore è tenuto a consegnare una cosa, può essere una cosa determinata o
anche una certa quantità di cose di genere: è un caso classico per esempio se abbiamo lasciato qualcosa in un
deposito, perché ci venga custodita chiaramente il depositario, sarà obbligato a restituirci ciò che abbiamo
lasciato in quel deposito, può essere una cassetta di sicurezza in banca, oppure una di quelle cassette che si
trovano nelle stazioni per poter lasciare la valigia a pagamento, ovviamente anche in un locale pubblico di una
discoteca dove si lascia il capo di abbigliamento, per poi ritirarlo quando si andrà via. Vediamo adesso il fare,
le obbligazioni che hanno oggetto un fare, che sono peraltro molto importanti e anche molto diffuse: costruire
un edificio, svolgere delle attività di lavoro subordinato, quindi prestare il proprio lavoro subordinato, ci si
rivolge a un avvocato che svolge una prestazione, che ha ad oggetto un fare, difendere il proprio cliente, un
ingegnere che deve redigere un progetto, sono tutte obbligazioni di fare, oppure a costruire un edificio parliamo
della contratto di appalto, ovviamente in questo caso con riguardo a queste obbligazioni di fare, vi è
un'importante distinzione, che possiamo già citare, alla quale possiamo già accennare data la sua importanza,
poi la riprenderemo in seguito, che è la distinzione fra obbligazioni di mezzi o di diligenza, e obbligazioni di
risultato. In che cosa consiste questa distinzione, che poi è una distinzione che abbiamo ereditato dagli studi
della dottrina francese: diciamo che nelle obbligazioni di mezzi il debitore non è tenuto a realizzare il risultato
atteso dal creditore, ma è tenuto a svolgere una determinata attività con la diligenza dovuta, rispettando le
regole dell'arte, cioè le regole che attengono al corretto svolgimento della sua attività. Quand'è che si parla
delle obbligazioni di mezzi? Si parla di obbligazioni di mezzi tipicamente con riguardo alle obbligazioni dei
professionisti intellettuali. Chi sono i professionisti intellettuali? Sono gli avvocati, tipicamente i medici, gli
ingegneri, i notai, con riguardo al medico si dice che il medico non può essere tenuto a raggiungere un risultato,
perché il risultato non dipende totalmente dalle sue facoltà, dalle sue abilità, è tenuto a svolgere correttamente
la sua opera rispettando i protocolli, però non gli si può addebitare il fatto che poi la guarigione non sia arrivata.
Altra ipotesi è quella della prestazione subordinata, anche in questo caso si parla di obbligazione di mezzi. Le
obbligazioni di risultato che sostanzialmente sono tutte le altre, in queste invece il debitore è obbligato a
realizzare quel risultato, e se non lo realizza è inadempiente. Un esempio per tutti, l'obbligazione per esempio
è l'appaltatore, colui che deve eseguire un'opera o servizio dietro un corrispettivo pecuniario, è l'obbligazione
che nasce appunto dalla stipulazione di un contratto di appalto, tra un soggetto detto committente è un altro
soggetto detto appaltatore, colui che è tenuto a realizzare l'opera o il servizio. Questa distinzione ha notevole
rilevanza pratica anche rispetto alla valutazione se ci sia stato o no adempimento, e se vi sia o no responsabilità
per inadempimento.

Una distinzione fra obbligazioni di mezzi e obbligazioni di risultato. Abbiamo detto che la prestazione può
avere ad oggetto non solo un dare o un fare, ma anche un non fare, quindi una prestazione negativa, non fare
qualcosa, per esempio ci si può obbligare a non vendere un certo bene, questa ipotesi, l'obbligo di non fare, il
contratto con il quale ci si obbliga a non alienare, è contemplato dall'articolo 1379 del codice civile; ancora

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un'altra ipotesi può essere l'obbligo di non assunto, anche qui convenzionalmente con un contratto, di non
svolgere concorrenza, di non fare concorrenza ad un altro imprenditore. In entrambi i casi vi dev’essere
l’interesse concreto ad assumere, da perseguire attraverso questo tipo di impegni e comunque questi vincoli
devono essere contenuti entro tempi determinati, cioè non possono essere perpetui.

Bene abbiamo visto quale può essere l'oggetto della prestazione, adesso vediamo nello specifico l’Art. 1174,
è una norma importantissima perché ci fa capire meglio quale sia il contenuto della prestazione e che poi
consente anche di distinguere l'obbligazione da altri doveri giuridici.

Carattere patrimoniale della prestazione (art. 1174 c.c.)

“La prestazione che forma oggetto dell'obbligazione deve essere suscettibile di valutazione economica e deve
corrispondere a un interesse, anche non patrimoniale, del creditore.”

L'Art. 1174 ci dice che la prestazione deve avere carattere patrimoniale e poi però aggiunge che può
corrispondere anche a un interesse non patrimoniale del debitore. Nella rubrica parla di carattere patrimoniale,
nel testo dall'articolo si spiega meglio, dice che la prestazione che forma oggetto dell'obbligazione deve essere
suscettibile di valutazione economica e deve corrispondere a un interesse anche non patrimoniale del creditore.
Vedete pare esserci una contraddizione tra questi due passaggi perché prima si parla di carattere patrimoniale,
quindi deve essere suscettibile di valutazione economica, però poi dice che l'interesse del creditore può anche
non avere natura economica, può essere anche non patrimoniale.
Come si concilia questa apparente contraddizione? In realtà non c'è contraddizione, quando il codice, afferma
che la prestazione deve essere suscettibile di valutazione economica sta sostanzialmente dicendo che
oggettivamente in quel contesto sociale quella prestazione ha un suo valore, ci sono delle persone, le quali
sono disponibili per assicurarsela a pagare un corrispettivo, quindi a dare un qualcosa in cambio, che potrà
essere una somma di denaro o anche qualche altra cosa. Quindi può essere valutata economicamente, perché
c'è qualcuno che è disponibile ad acquistarla, disponibile a farsi carico di un sacrificio economico per potersi
assicurare quella prestazione. Questa valutazione va fatta in senso oggettivo, non importa, non è rilevante che
ci sia una sola persona che sia disponibile a pagare qualcosa per avere la prestazione.

Però abbiamo visto che deve corrisponde sicuramente ad un interesse del creditore, e questo vedremo di
sottolinearlo fra un attimo, ma un interesse che può essere anche di natura non patrimoniale; anche questo
badate se ci pensate bene lo riscontriamo nella realtà, in maniera molto frequente: noi tutti andiamo al cinema,
andiamo a vedere un concerto e quando acquistiamo il diritto a vedere il concerto oppure il film chiaramente
vogliamo soddisfare un interesse patrimoniale, ma stiamo soddisfando un interesse di tipo non patrimoniale,
però la prestazione della quale usufruiamo ha un suo valore economico, tant'è che tutti noi siamo disponibili
a pagare un prezzo per poter usufruire. Questo vuol dire che l'interesse del creditore, può essere anche un
interesse non patrimoniale, mentre la prestazione deve essere patrimoniale e deve quindi essere suscettibile di
valutazione economica. Per esempio, potrei voler imparare a suonare uno strumento musicale, potrei avere
interesse a farlo ed essere disponibile a prendere delle lezioni, a pagare per queste lezioni, il mio interesse
come creditore della prestazione delle lezioni di violino o di sax è un interesse non patrimoniale. Altra cosa
importantissima è che ovviamente ci dev'essere un interesse del creditore, sennò se non c'è un interesse del
creditore l'obbligazione non può neppure venire ad esistenza. Questa importanza dell'interesse, sottostante al
sorgere dell'obbligazione, trova conferma dell'esistenza anche in altre norme del codice civile, per esempio
degli artt. 1322 che si occupa dell'autonomia contrattuale, il 1411 del contratto a favore di terzo, 1379 il quale
si occupa dell’obbligo di non alienare. Anche qua si parla di apprezzabile interesse di una delle part per poter
giustificare l’assunzione di un divieto, di un obbligo di non alienare.

Come avete visto la prestazione è un elemento fondamentale dell'obbligazione, da una parte il vincolo
giuridico, quindi il rapporto deve essere giuridicamente rilevante, impegnativo, poi la prestazione che
costituisce ciò che il debitore debba fare. Inoltre, ci sono altri aspetti, per esempio quello dei soggetti e del
rapporto obbligatorio. Prima di passare a questo tema volevo farvi presente che la patrimonialità della
prestazione consente di distinguere l'obbligazione da altre che non hanno contenuto patrimoniale, che
comunque impongono al soggetto passivo di tenere un comportamento: vi faccio un esempio, se nell'ambito
del matrimonio sorgono tutta una serie di obblighi, l'obbligo di rispetto, l'obbligo di fedeltà, l'obbligo di
coabitazione, come potete capire questi obblighi non hanno contenuto patrimoniale, pertanto non possono

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essere definiti obbligazioni, ma si devono definire obblighi di contenuto non patrimoniale. Questo perché
sappiate che ci sono dei rapporti, delle situazioni passive che non avendo contenuto patrimoniale non possono
essere assimilate all'obbligazione.

La prestazione deve avere tre caratteri: dev'essere possibile, deve essere lecita, deve essere determinata oppure
determinabile. Questi requisiti in realtà sono contemplati espressamente in una norma che è dettata nell'ambito
della disciplina dei contratti, del contratto in generale (art. 1346 c.c.). Le due questioni sono collegate, perché
spesso i manuali citano questi caratteri o requisiti anche per quanto riguarda la prestazione.

Vediamo adesso i soggetti delle obbligazioni: ovviamente i soggetti delle obbligazioni sono il debitore e il
creditore, lo abbiamo già visto chi siano queste due figure; possiamo avere, nell'ambito del rapporto
obbligatorio, più debitori, o più creditori, o anche entrambi, più debitori e più creditori. Non è una cosa strana,
pensate al caso in cui due fratelli vendano una casa è il compratore sarà obbligato a pagare il prezzo entrambi,
quindi avremo due creditori, i venditori appunto, che saranno appunto i creditori del prezzo; esempi se ne
possono fare tanti, però le obbligazioni possono presentarsi con una pluralità di soggetti nello stesso rapporto
obbligatorio, e in quel caso sì porrà il problema di stabilire se l'obbligazione sia solidale o parziaria. Dobbiamo
un attimo soffermare l'attenzione sul fatto della determinatezza dei soggetti del rapporto obbligatorio. Diciamo
che in linea di principio i soggetti del rapporto obbligatorio devono essere determinati, o comunque almeno
determinabili in qualsiasi momento. Si discute se ci possano essere dei casi in cui i soggetti non siano
determinati, specificamente nel momento in cui si fa la valutazione, ma siano determinabili solo in un momento
successivo, si fanno due esempi normalmente, o comunque due classi di esempi: la prima categoria è quella
delle obbligazioni reali, anche qui sembra molto complicato ma in realtà è semplice: normalmente il
proprietario di un terreno, una casa, è tenuto a pagare dei tributi, possono sorgere in capo al proprietario anche
altre obbligazioni, facciamo l'esempio dei tributi, l’ICI, l'IMU, la TARI, ecc.; il soggetto che è tenuto a pagare
è individuato nel proprietario di quel bene, chiaramente se cambia il proprietario, perché il bene viene venduto,
quindi non è più l'originario proprietario, ma il nuovo proprietario, cambia anche il debitore, il quale non sarà
l'originario proprietario, ma il nuovo proprietario che ha acquistato. In questo caso in realtà il soggetto, il
debitore è sempre individuato, sarà il proprietario del bene, solo può mutare, tant'è che in questi casi si parla
di ambulatorietà, ovvero obbligazioni che possono circolare in questo modo. Si discute se si possa parlare in
senso più appropriato di soggetti del rapporto obbligatorio indeterminati ma determinabili, con riguardo ad
altre ipotesi, per esempio alla promessa al pubblico, articolo 1989, colui che rivolgendosi al pubblico, promette
una prestazione a favore di chi si trovi in una determinata situazione o compia una determinata azione è
vincolato dalla promessa non appena questa è resa pubblica. Esempio classico: smarrisco un animale da
compagnia, un cagnolino, è pubblico l'annuncio dicendo chiunque lo trovi e me lo riporti, avrà diritto a un
premio in denaro: in questo caso il creditore non è ancora individuato, sarà individuato in chi trovato il mio
cane, me lo riporterà appunto per riconsegnarmelo, quindi si potrebbe dire che il creditore in questo caso non
sia determinato, in realtà molti dicono qui ancora non c'è l’obbligazione, c'è un impegno generico ma
l'obbligazione sorgerà solo quando qualcuno troverà il cane e lo consegnerà a chi ha fatto questa promessa
pubblica.

Abbiamo chiuso con la prestazione e anche con tutti gli elementi del rapporto obbligatorio, possiamo
soffermare la nostra attenzione su un dovere trasversale che riguarda sia il debitore, sia il creditore, e che
caratterizza tutto il rapporto obbligatorio in tutta la sua vita, il dovere del quale stiamo parlando, dovere o
obbligo reciproco di correttezza o buona fede, e lo troviamo nell'articolo 1175 dal Codice Civile. Abbiamo
avuto modo di parlare di buona fede, ne abbiamo parlato nel possesso. La nozione di buona fede, menzionata
dall'articolo 1175, è la stessa buona fede che gioca un ruolo nell'ambito del possesso? La buona fede
possessoria? La risposta è no, stiamo parlando di due, pur essendo la stessa espressione, le nozioni
profondamente diverse. La buona fede che già conoscete consiste nell'ignoranza di ledere l'altrui diritto, si
parla in questo caso di buona fede soggettiva, la buona fede della quale stiamo parlando, è invece la buona
fede in senso oggettivo, quindi il rispetto di canoni oggettivi di correttezza, quindi un qualcosa di molto diverso
dalla semplice ignoranza di ledere altrui diritto.

Lezione 12
22 aprile
Dovere di correttezza o buona fede
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L’art. 1175 c.c. Rubricato come “Comportamento secondo correttezza”.


“Il debitore e creditore devono comportarsi secondo le regole la correttezza.”
Questa regola non è riferita solo debitore o solo al creditore, ma è riferita ad entrambe le parti. I doveri non
riguardano solo la parte passiva (debitore), il dovere di correttezza è un dovere trasversale che riguarda
entrambe le parti.
Buona fede in senso oggettivo, si intende un comportamento conforme a degli standard, ossia il comportamento
che dovrebbero tenere delle persone oneste e leali in quella situazione. Questa regola trova una giustificazione
nell’art 2 Cost. nel quale si afferma il principio solidaristico, il quale si riferisce non solo al versante
costituzionale, ma anche sugli altri versanti giuridici, quindi anche nell'ambito del diritto civile.
Chiaramente essendo una regola di un carattere così ampio (comportarsi da persone oneste e leali) è
impossibile renderla più concreta in generale. In termini astratti la regola si esprime nella misura di quanto
detto poc’anzi. Può essere specificata solo se si fa riferimento al caso concreto, quindi solo con riferimento al
singolo rapporto obbligatorio o al singolo contratto. Pertanto, in queste circostanze sarà possibile stabilire per
le parti, e in caso di controversia dal Giudice, quale sia il comportamento corretto e quale non sia definibile
come tale. Ulteriori ausili per definire quale sia un comportamento in buona fede sono doveri di informazione,
di avviso, di assistenza, di custodia. Per esempio, se per il debitore è importante per poter eseguire
correttamente la sua prestazione che il creditore segnali rischi, sistemi, strategie o in generale situazioni che
possono rendere più agevole l’adempimento del debitore, come per esempio che il debitore possa farsi male
eseguendo la prestazione, il creditore è tenuto a farlo.
Il concetto di correttezza può essere ulteriormente precisato riferendosi al debitore e poi al creditore, pertanto
assume note differenti.
In riferimento al debitore, egli deve tenere dei comportamenti che se anche non erano previsti espressamente
nel contratto, risultano indispensabili per assicurare la realizzazione dell’interesse del creditore.
Il debitore non è tenuto solo a tenere quel comportamento o eseguire quella prestazione, così come descritta
nel contratto, non è possibile limitarsi alle interpretazioni cavillose che si limitino alla lettera del contratto e
quindi in qualche modo premino degli atteggiamenti opportunistici. Il debitore è tenuto anche ad adottare gli
accorgimenti o le dovute cautele che comunque servono a realizzare l’interesse del creditore. Ciò però non
deve stravolgere il contratto di impegni presi, questo dovere trova un limite, il debitore è tenuto a tenere questo
comportamento nella misura in cui non comporti per lui un apprezzabile sacrificio.
Es.: Io ho acquistato un decoder il quale richiede degli accorgimenti per poter essere utilizzato correttamente,
ammesso che non sia previsto nel contratto perché generalmente sarà previsto, il debitore mi deve fornire anche
le istruzioni e se possibile, se è una cosa semplice, spiegarmi anche l’utilizzo fondamentale, se magari ci sono
dei rischi nel prodotto. Non c’è scritto nel contratto, non rientra nella prestazione principale, ma al debitore
non costa farlo e certamente riesca realizzare a pieno l’interesse del creditore. questo rientra nel principio
solidaristico di correttezza.
Per quanto riguarda invece il creditore, anche in questo caso si devono porre in essere, sempre nei limiti in cui
abbiamo detto, cioè in cui ciò non comporti un apprezzabile sacrificio, quegli accorgimenti che possono
rendere meno gravoso e agevolare l’adempimento da parte del debitore.
Es.: il creditore deve consegnare delle merci al debitore. Ha due possibilità alternative: un richiedere di fare
un percorso più lungo dal giardino, magari fare anche 4 rampe di scale e l'altro invece prevede un percorso più
breve, più agevole e la possibilità di utilizzare un ascensore. Un comportamento conforme al principio di
correttezza impone al creditore di indicare la strada più efficace.
Questo è un esempio che non ha grande rilievo, ma pensate invece a un appaltatore che debba consegnare delle
merci di un certo peso e anche di un certo ingombro, un certo volume. Magari debba fare anche consegne
ripetute, diventa molto rilevante che il creditore lo metta in grado di eseguire la prestazione nella maniera più
agevole e meno gravosa possibile.
L'importante è avere ben chiaro che entrambe le parti del rapporto obbligatorio devono tenere un
comportamento corretto e leale.
In concreto si dovrà analizzare l’ipotesi specifica per capire se e quale soggetto sia venuto meno a questo
dovere.
La correttezza (buona fede) è intesa come oggettiva. Si aggiunge il termine oggettiva per qualificarla, perché
esiste la buona fede in senso soggettivo (l’ignoranza di ledere un diritto altrui). Invece quella soggettiva, che
abbiamo già trovato in riferimento al possesso, consiste nell’ignoranza di ledere l’altrui diritto, chi agisce è in
buonafede perché ignora di ledere l’altrui diritto.

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Possiamo osservare la buona fede soggettiva negli articoli 1147 c.c., nell’art. 1153, nell’art. 1155 c.c. e nelle
disposizioni di usucapione abbreviata.
La buona fede oggettiva ritorna più volte nel nostro sistema del diritto privato, per esempio in tema di
responsabilità precontrattuale (art. 1337 c.c.) e negli artt. 1374-75. È un principio immanente al quale la
dottrina e la giurisprudenza nel corso del tempo hanno riconosciuto grande rilevanza. Quando venne emanato
il codice, quindi negli anni 40, alla novità della buona fede non viene dato grande rilievo dai giudici, consente
di evitare interpretazioni cavillose e di evitare che i soggetti meno onesti e leali possano avvantaggiarsi facendo
riferimento a quella che è la forma del contratto (intesa come quello che c'è scritto), perché questa buona fede
è una clausola generale che consente poi di attingere effettivamente a regole che non sono scritte nel contratto.
Adempimento delle obbligazioni (libro delle obbligazioni, da art. 1176 c.c. ad art. 1217 c.c.) L’obbligazione è
un rapporto giuridico consistente in un vincolo in forza del quale il soggetto debitore è tenuto ad un
comportamento per realizzare l’interesse del creditore, ossia la prestazione.
L’adempimento è l’esatta esecuzione della prestazione.
Per valutare se la prestazione è stata eseguita esattamente o meno, dobbiamo considerare il comportamento del
debitore, in base a vari criteri.
● Il modo (un confronto tra ciò che il debitore avrebbe dovuto fare in base al contratto e ciò che il debitore in
concreto ha fatto)
● Il tempo e il luogo
● L’autore
● Nei confronti di chi la prestazione va adempiuta
● L’identità (se il debitore ha eseguito ha effettivamente eseguito la prestazione dovuta o ha eseguito una
prestazione diversa)
Come possiamo dire se il debitore ha eseguito correttamente la prestazione dovuta?
Il punto di partenza è sempre il titolo dal quale sorge l’obbligazione. Le problematiche più interessanti sorgono
dal contratto, fonte più importante delle obbligazioni. Quindi bisogna per prima cosa osservare cosa viene
stabilito nel contratto. Non sempre il contratto ci fornisce tutti gli elementi per capire come la prestazione
debba essere eseguita. In molti casi sarà necessario integrare il contratto attraverso l’interpretazione o
ricorrendo alle norme sull’adempimento, le quali sono pressoché tutte dispositive, ossia si applicano salvo
patto contrario, cioè qualora le parti non abbiano stabilito diversamente. Le norme dispositive colmano delle
lacune rispetto alle previsioni contrattuali.
Modalità di esecuzione della prestazione.
Il legislatore stabilisce che il debitore deve adempiere usando l’ordinaria diligenza. È un parametro generale
per capire se il debitore si sta comportando correttamente o no.
Nel caso di formule ampie utilizzate dal legislatore, che costituiscono dei recipienti, i quali devono essere
riempiti di contenuto dell’interprete, fondamentalmente dal giudice, si parla di clausole generali. La buona
fede, come la diligenza, sono clausole generali.
La diligenza dell’adempimento è l’unità di misura dell’esattezza dell’adempimento stesso.
L’articolo che si occupa della modalità della valutazione dell’esattezza della prestazione è l’art. 1176 c.c., il
quale si divide in due commi. Il primo comma tratta la diligenza ordinaria, cioè la diligenza dell’uomo medio,
non la diligenza che può essere richiesta ad un debitore particolarmente esperto, precisando che non si deve
pensare che in un certo settore o circostanza i debitori sono approssimativi nell’esecuzione della prestazione.
La diligenza dell’uomo medio è intesa come parametro oggettivo, ovvero che mediamente si dovrebbe poter
richiedere ad un debitore che deve eseguire quella prestazione.
Il secondo comma invece si occupa di un altro parametro di diligenza, si riferisce alle obbligazioni che
riguardano l'esercizio di un'attività professionale, come l'attività del medico, dell'avvocato, del notaio,
dell'ingegnere, del geometra, ma anche in senso più ampio come potrebbe essere un appaltatore e quindi un
soggetto che deve svolgere una prestazione in base al contratto d’appalto. In questi casi la diligenza non può
essere dell’uomo medio ma dev’essere valutata rispetto a degli standard che corrispondo all’esercizio di
quell’attività, la norma infatti dice che la diligenza deve valutarsi con riguardo alla natura dell’attività
esercitata. Quindi se si tratta di un’obbligazione che sorge nell’esercizio di una prestazione medica, bisogna
fare riferimento agli standard di comportamento che riguardano l’esercizio dell’arte medica.
Un altro aspetto che riguarda l’esecuzione della prestazione lo troviamo nell'art. 1181 c.c., il quale riguarda
l’adempimento parziale. Se il debitore esegue solo in parte la prestazione
non si può parlare di adempimento.
Es. il debitore deve consegnare 100 computer all’Università di Cagliari ma ne consegna solo 70.
In questo caso il creditore può rifiutare l’adempimento parziale perché è un adempimento inesatto.

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Un altro criterio è il luogo e il tempo. L’art. 1182 c.c. detta delle regole solo quando le parti non abbiano
stabilito diversamente. Quindi quando il luogo non è determinato dalle clausole, dagli usi e non può desumersi
dalla natura della prestazione o da altre circostanze, si applicano le regole dell’art. 1182 c.c.
Es.: se richiedo di tinteggiare i muri di casa mia, si desume che il luogo dove deve essere seguita la prestazione,
sia la mia casa.
In questo caso non si applicano le norme residuali dell’art 1182 c.c.

Se si tratta di pagare una somma di denaro, in quale luogo il creditore dovrà corrispondere la somma di
denaro?
Se non specificato nel contratto, non si può desumere dagli usi, dalle circostanze o dalla natura della
prestazione, si applica in via residuale il terzo comma dell’art 1182 c.c., ossia è il debitore che deve recarsi dal
creditore il pagamento.
In questi casi si distinguono le obbligazioni portable, in cui il debitore deve recarsi dal creditore e le
obbligazioni querable il cui adempimento dev’essere richiesto.
Es: un caso in cui è il creditore che deve recarsi dal debitore è quando si porta la macchina dal meccanico,
viceversa un mobile dovrà essere consegnato presso il domicilio del creditore.

Tempo dell’esecuzione dell’adempimento

Si intende il termine entro il quale il debitore deve adempiere, che non può non essere rilevante per il creditore.
In certi casi ha rilevanza essenziale, se non viene eseguita entro quel termine potrebbe non essere più necessaria
oppure cagionare un danno. Sorge quindi una forma di inadempimento detta ritardo. Del termine
dell’adempimento si occupano gli art. dal 1183 c.c. al 1186 c.c. e dall’art 1187 c.c. il quale stabilisce come
debbano essere computati i termini.
Di regola il termine viene stabilito dalle parti contrattuali, il problema si pone quando le parti non lo
stabiliscono. In questo caso intervengono le norme dispositive dell’art. 1183. Secondo le quali se non
specificato nel contratto il creditore può esigere immediatamente la prestazione, quindi il debitore deve
adempiere immediatamente. Tuttavia, può desumersi dagli usi, dalla natura della prestazione, dal luogo o
comunque da tutta una serie di circostanze intuitive stabilite c.c.
Es.: Noi acquistiamo una casa e vogliamo che venga ristrutturata, il tempo non è specificato nel contratto.
Possiamo pretendere immediatamente l’adempimento? No. Possiamo pretendere che il creditore inizi
immediatamente i lavori di ristrutturazione, ma per concludere è necessario un tempo congruo per eseguire i
lavori. Quindi dalla natura della prestazione si desume un termine. Se questo non è stabilito dalle parti, in
caso di contestazione, ci si rivolge al giudice per stabilire un termine.

Il termine può essere stabilito a favore del creditore, del debitore o di entrambi.
Nel caso sia stabilito a favore di entrambi il creditore non può pretendere un adempimento anticipato e il
debitore non può adempiere prima. Viceversa, accade se il termine sia stabilito solo a favore del creditore o
solo a favore del debitore.

Decadenza dal termine o dal beneficio del termine (art. 1186 c.c.)
Se esiste un termine, di solito a favore del debitore, il creditore non può pretendere che paghi prima. Questa
facoltà è riconosciuta al creditore in ipotesi specifiche.
Se il debitore diventa insolvente, cioè la sua situazione economica diventa tale per cui egli non è più in grado
di adempiere con mezzi normali, oppure aveva dato delle garanzie, le quali in seguito ad un comportamento
del debitore vengono diminuite, oppure non dà le garanzie che aveva promesso, in tutti questi casi il creditore
può pretendere l'adempimento anticipato. In questo caso il debitore decade dal beneficio del termine.

Perché in questi casi il legislatore stabilisce che il creditore possa pretendere l’adempimento anticipato?
La ratio è che se il debitore è divenuto insolvente, sarebbe irrazionale che il creditore debba aspettare la
scadenza del termine e che il debitore peggiori la sua situazione o che altri creditori agiscano prima di lui,
quindi il creditore non abbia possibilità di far valere le sue pretese sul patrimonio del debitore. Se il debitore
non paga, il creditore potrà mettere in atto gli strumenti di realizzazione coattiva del credito.
Se le garanzie vengono diminuite per fatto del debitore è giusto che il creditore pretenda immediatamente
l’adempimento.

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Questo istituto ha un ruolo rilevante nelle obbligazioni pecuniarie (pagamento di una somma di denaro).
Questo tipo di interpretazione è logica, è basata sulla ratio della norma, insieme all’interpretazione sistematica
(metodi di interpretazione più importanti).
Di questo fanno uso le banche, spesso inseriscono una specifica clausola nei contratti di mutuo, di decadenza
dal beneficio del termine (non corrispondente a quella dell’art 1186 c.c. La regola del 1186 continua ad operare,
ma nel caso delle banche opererà come norma speciale questa clausola inserita nel contratto di mutuo), per
esempio se il mutuatario non rispetta il pagamento di x rate, la banca può dichiararlo decaduto dal beneficio
del termine e potrà richiedere la restituzione immediata dell’intera somma.

Soggetti del rapporto obbligatorio

Supponiamo che il debitore quando esegue la prestazione sia incapace. La domanda che ci poniamo è: potrebbe
il debitore lamentare la sua incapacità e quindi impugnare la sua prestazione e chiedere la restituzione
allegando la sua incapacità?
Non confondere il momento in cui l’obbligazione viene assunta, con il momento in cui viene adempiuta. È
ovvio che chi stipula un contratto deve essere capace. Se è incapace è causa di annullamento del contratto. Una
volta che l’obbligazione viene assunta (è sorta correttamente) è rilevante se il debitore quando adempie è
incapace?
Art. 1191 c.c.
“Il debitore che ha eseguito la prestazione dovuta non può impugnare il pagamento a causa della propria
incapacità”.
Il debitore sta semplicemente ponendo in essere un atto dovuto, non sta ponendo in essere un atto di
disposizione del suo patrimonio, non sta prendendo un impegno, non sta facendo niente che possa ledere la
sua sfera giuridica. Lui è obbligato ad adempiere, dunque la sua incapacità non può costituire una ragione per
contestare l’adempimento e richiedere la restituzione.
Per pagamento si intende l’esecuzione di qualsiasi prestazione non solo il pagamento di una somma di denaro.

Il legislatore a quale incapacità si riferisce, legale e/o naturale?

La risposta non è univoca perché in dottrina esistono varie tesi. La soluzione dipende dalla qualificazione
dell’atto di adempimento. Deve essere fatta una distinzione fra atto, fatto e negozio giuridico.
Se dovessimo qualificare l’atto di adempimento come atto giuridico in senso stretto è necessaria almeno la
capacità naturale. Se invece dovessimo qualificare l’atto di adempimento come fatto giuridico per cui la
volontà umana è irrilevante, che il debitore sia capace o incapace è irrilevante. Se dovessimo qualificarlo come
negozio giuridico servirebbe anche la capacità legale di agire. In conclusione, se riteniamo che sia un atto
giuridico in senso stretto, dovremmo affermare che l’incapacità a cui si riferisce il codice è quella legale e non
naturale. L’adempimento non è un negozio giuridico perché non è un atto con cui voglio produrre certi effetti.
Ciò che è rilevante è che io voglia tenere o no quel comportamento.
Eccezionalmente l’adempimento può essere un negozio giuridico nel caso di contratto preliminare,
impegnando le parti a stipulare un successivo contratto definitivo. Quindi l’adempimento consiste nella
stipulazione di un contratto definitivo, quindi di un negozio giuridico, per questo è necessaria anche la capacità
legale di agire.

Adempimento del terzo (art. 1180 c.c.)


“L’obbligazione può essere adempiuta da un terzo, anche contro la volontà del creditore, se questi non ha
interesse a che il debitore esegua personalmente la prestazione. Tuttavia, il creditore può rifiutare
l’adempimento offertogli dal terzo, se il debitore gli ha manifestato la sua opposizione”.
Può un terzo adempiere un’obbligazione altrui, ovviamente sapendo che l’obbligazione è altrui? Quali
possono essere le cause che possono indurre un terzo ad adempiere al posto del debitore?

Lezione 13
27-04
Adempimento

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Il legislatore disciplina l’ipotesi in cui il debitore al momento in cui adempie, sia incapace.
Quindi la domanda che ci stiamo ponendo è questa: Che cosa accade se nel momento in cui adempie il
debitore non è capace? Ovviamente non quando al momento in cui assume l’obbligazione, perché abbiamo
già detto che quando il debitore assume l’obbligazione dev’essere ovviamente capace. Il problema è, ma se al
momento in cui adempia è incapace, può il debitore contestare il suo adempimento e chiedere la restituzione
della prestazione medesima, allegando appunto, di essere incapace? La risposta che ci dal legislatore è
negativa, e le ragioni le abbiamo spiegate l’altra volta. L’adempimento è un atto dovuto quindi non crea alcun
pregiudizio al debitore, tanto il debitore è obbligato ad adempiere, quindi non c’è un pregiudizio per il suo
patrimonio (La norma di riferimento è l’Art. 1191).

Ora ci poniamo il problema: Ma a quale incapacità si riferisce, l’art. 1191? Si riferisce alla incapacità legale
o anche a quella naturale? Quindi, sostanzialmente, il debitore non può contestare il proprio atto di
adempimento e chiedere la restituzione della prestazione quando è incapace legale o, non può contestarla anche
se fosse incapace di intendere e di volere e quindi incapace sul piano naturalistico. Per affrontare questo
problema, dovete da una parte aver ben chiara la distinzione tra capacità legale e naturale (cosa che non
affronteremo ora), nonché conoscere la distinzione tra PATTO, ATTO e NEGOZIO GIURIDICO (e questo
l’ho richiamato nella scorsa lezione). Di questo vi ho detto sostanzialmente che ci sono due tesi diverse, quindi
parte della dottrina che ha una opinione e altra parte che ha un'opinione diversa. Secondo una l’adempimento
sarebbe un mero fatto, cioè un atto umano, ma rispetto al quale sarebbe indifferente che l’atto sia volontario o
meno, potrebbe anche essere un atto involontario, non rileverebbe la volontà del debitore. Quindi sarebbe
paragonato a qualsiasi fatto giuridico naturale, si parla in questi casi anche di atti materiali, cioè atti umani
rispetto ai quali non rileva la volontà di porli in essere, tanto meno la volontà di perseguire i loro effetti. Per
questi autori, questa parte della dottrina, che ritengono l’adempimento sia un mero fatto giuridico, inquadrabile
nei fatti giuridici in senso stretto. Chiaramente, anche se il debitore fosse anche incapace naturale comunque
l’adempimento sarebbe valido, il debitore non potrebbe contestarlo né tantomeno chiedere la restituzione della
prestazione.

Arriva ad una diversa conclusione, quella parte della dottrina che afferma che l’adempimento sia un atto
giuridico e più precisamente un atto giuridico in senso stretto, quindi non un negozio giuridico. Questa dottrina
dice che l’adempimento è un atto giuridico in senso stretto, questo significa che almeno la capacità di intendere
e di volere del debitore è necessaria, quindi, se quando il debitore che adempie è incapace legale, il debitore
non può contestare l’adempimento; ma se fosse stato incapace naturale al momento dell’adempimento, allora
sì che la contestazione sarebbe ammessa. Quindi andando a calare tutto ciò che abbiamo detto, con riguardo
dell’art. 1191: per i primi autori qualsiasi tipo di incapacità sarebbe irrilevante, quindi quando l’art. 1191 fa
riferimento all’incapacità, si riferirebbe a qualsiasi tipo di incapacità; Viceversa, secondo l’altra tesi, quando
il legislatore parla di incapacità e la considera irrilevante, si riferisce solo all’incapacità legale e non a quella
naturale.

…Anche in questa lezione, continueremo a parlare dell’adempimento.

Con riguardo sempre al soggetto che deve adempiere: abbiamo detto che chi deve adempiere è il debitore
oppure come vedremo adesso potrebbe anche adempiere un terzo. Questo ambito di problemi gli ho identificati
con riguardo alla valutazione dell’esattezza dell’adempimento rispetto a chi debba essere l’autore
dell’adempimento. Ricordate, abbiamo fatto un elenco dei criteri rispetto al quale si deve valutare l’esattezza:
uno riguarda i soggetti, quindi da una parte l’autore della prestazione, cioè chi andrà ad eseguirla (debitore),
dall’altra parte il destinatario cioè colui nella mano dei quale si deve eseguire la prestazione (creditore). Con
riguardo alla prima problematica cioè l’autore della prestazione, ci siamo posti il problema della capacità e
l’abbiamo già risolto. Con riguardo invece all’altro problema, dobbiamo chiederci e dare risposta a questa
domanda: se la prestazione può essere adempiuta da un terzo. La risposta è affermativa, può accadere che
un terzo adempia al posto del debitore. Attenzione, a questo proposito stiamo facendo riferimento al caso in
cui un terzo, consapevolmente, cioè sapendo perfettamente di non essere il debitore (quindi non per errore),
decida volontariamente di adempiere una obbligazione altrui, e di eseguire quindi una prestazione al posto del
debitore. Questa precisazione, ci consente di distinguere questa figura che si chiama “adempimento del terzo”
(disciplinata dall’art. 1180), da una parte dal pagamento dell’indebito soggettivo (Art. 2036), ma anche dal
pagamento con surrogazione (art. 1201 ss.). Chiarito di quali situazioni stiamo parlando, una seconda domanda

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che dobbiamo porci è: Ma per quale ragione un terzo debba voler pagare un’obbligazione altrui? In realtà
non è tanto strano perché l’adempimento del terzo può avere varie cause.

Esempio: genitore che decide di adempiere al posto del figlio (causa donativa, sorretta di spirito di liberalità,
parliamo di liberalità quando qualcuno vuole arricchire un altro senza avere nulla in cambio); Però non sempre
le ragioni sono tanto nobili, ci sono anche ragioni patrimoniali. Esempio: Un socio di maggioranza di una
società decide di pagare i debiti di una società per evitare il fallimento, ovviamente in questo caso non lo fa
con uno spirito di liberalità ma lo fa perché ha interesse a tenere la società in vita, ovviamente farà inserire sul
bilancio un suo credito di socio; può anche essere che il terzo voglia adempiere per sostituirsi al creditore
originario, e in questo caso può entrare in gioco quell’altro istituto che si chiama “pagamento con surrogazione
(o surrogazione per pagamento)” (Art. 1201 ss. del c.c.), e quello sì che è un ipotesi di modificazione
soggettiva del rapporto obbligatorio dal lato attivo, solo che perché poi si realizzi questa sostituzione del terzo
al creditore originario è necessario o che dia il consenso (ciò accada per il creditore originario), o perché ci sia
la volontà del debitore di voler surrogare il terzo al creditore originario, o infine perché è la legge che prevede
che il terzo che adempia si surroghi automaticamente al creditore originario. Quindi abbiamo detto che la
risposta alla domanda “il terzo può adempiere?” è “sì”, però non sempre. Il terzo può adempiere
all’obbligazione altrui qualora la prestazione sia fungibile, detto in altri termini, se il creditore non ha interesse
all’adempimento personale da parte del debitore (art. 1180).

Art. 1180: il terzo può adempiere anche contro la volontà del creditore, se il creditore non ha un interesse
specifico al che il debitore esegua personalmente la prestazione. Quindi non avrà interesse quando si parla di
una prestazione fungibile sul piano economico, non intuitus personae, cioè se il debitore deve pagare una
somma di denaro, il creditore non ha interesse che glielo paghi il debitore, ma solo a percepire il denaro.
Diversamente se ho stipulato un contratto (anche verbale), con il mio avvocato o un dentista ed un terzo sceglie
e si propone di adempiere all’obbligazione altrui, in questo caso che io ho scelto quel dentista sulla base della
sua capacità e della fiducia che ripongo in lui, chiaramente io, creditore della prestazione del dentista, ho un
interesse a che quella prestazione venga adempiuta dal quel dentista. Quindi in questi casi, qualora il creditore
abbia un interesse che l’adempimento venga compiuta personalmente dal debitore, può rifiutare
l’adempimento. Ancora, l’altro caso in cui potrebbe rifiutare l’adempimento, è quando il debitore manifesta la
sua opposizione a che il terzo adempia al posto suo, in questo caso, il creditore potrebbe comunque accettare
l’adempimento del terzo, ma se vuole lo può rifiutare. Quindi i casi in cui un creditore potrebbe rifiutare
l’adempimento del terzo sono due: Quando ha un interesse a che il debitore esegua personalmente la
prestazione, questo accade quando si tratta obbligazioni intuitus personae, cioè quando si basano sulla fiducia
nei confronti del debitore (dentista, medico, avvocato); L’altra ipotesi quando il debitore manifesti la sua
opposizione a che il terzo adempia e il creditore decida di rifiutarlo (le ragioni possono essere tante, esempio:
per ragioni di orgoglio o perché il debitore ha paura che sul mercato gli si sporchi la reputazione). Così abbiamo
terminato il discorso sulle problematiche riguardanti l’autore della prestazione. Sull’altro versante si pongono
altre problematiche. La prima che si pone è nei confronti di chi debba essere adempiuta l’obbligazione.
Ovviamente, diremo, che la prestazione debba essere adempiuta nelle mani del creditore. Questa risposta è
corretta ma non è l’unica perché, come vedrete leggendo l’art. 1188 del cc. è possibile liberarsi
dall’obbligazione anche eseguendo la prestazione anche nei confronti di altri soggetti. (i casi sono tanti, ora ne
vediamo alcuni)

Esempio: è possibile adempiere la prestazione nei confronti del rappresentante del creditore, perché
normalmente il rappresentante ha anche il potere di ricevere l’adempimento in nome e per conto del creditore,
oltre che lasciare la quietanza (volgarmente detta ricevuta); o ancora può essere fatto un adempimento nei
confronti di un soggetto autorizzato dalla legge o dal giudice, pensate nel caso in cui l’imprenditore venga
dichiarato fallito, viene nominato un curatore fallimentare, in quel caso l’adempimento deve essere eseguito
nei confronti del curatore fallimentare, se eseguito nei confronti dell’imprenditore fallito è un pagamento che
non libera dall’obbligo. Se il pagamento viene fatto nei confronti di un soggetto che non è legittimato, perché
non è il creditore o gli altri soggetti precisati nell'art. 1188 (che possono essere destinati al pagamento,
l’adempimento non libera, salvo che il creditore ha sempre la possibilità di ratificare questo adempimento
effettuato nelle mani di un altro soggetto, quindi non libera ma per liberare, il debitore ha la possibilità di
convalidare questo adempimento, ratificando l’adempimento effettuato nelle mani di un altro soggetto.
Oppure, chiude la norma al secondo comma, anche nel caso in cui il creditore comunque abbia tratto vantaggio
da questo adempimento fatto nelle mani di un terzo. Esempio: io sono un creditore, potrei decidere di ratificare

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un pagamento fatto nelle mani di mio figlio, anche se mio figlio non è il mio rappresentante e nemmeno stato
da me indicato come destinatario del pagamento.

Ora un altro problema che si pone con riguardo al profilo del soggetto attivo del rapporto obbligatorio (del
creditore), è il seguente: Abbiamo detto che un adempimento fatto a un soggetto diverso dal creditore non
libera se non nelle ipotesi che abbiamo già visto, ma anche in un'altra ipotesi. L’altra ipotesi viene appunto
individuata con la formula “adempimento da creditore apparente” anche perché così si esprime il codice, l’art.
1189 è intitolato “pagamento al creditore apparente”. Se sussisto alle condizioni previste dall’art. 1189, il
pagamento fatto nei confronti di questo creditore apparente, libera. Le condizioni sono due: Innanzitutto il
soggetto nelle cui mani viene eseguita la prestazione, in base a circostanze univoche, appare essere il vero
creditore. Cosa vuol dire “in base a circostanze univoche”? significa che usando l’ordinaria diligenza, il
nostro debitore non è in grado di avvedersi che sta eseguendo il pagamento nelle mani di una persona sbagliata.

Esempio: mettiamo il caso di avere un credito che si basa su un titolo di credito, il titolo di credito è stato
trafugato (rubato), il creditore apparente ha la disponibilità del titolo di credito e pretende dal debitore il
pagamento. Il debitore da sua parte vede che il soggetto ha il titolo di credito disponibile e effettua il
pagamento;

Esempio: il soggetto deve eseguire una prestazione pecuniaria è nel luogo in cui deve adempiere, non conosce
personalmente il creditore (perché magari ci ha parlato solo al telefono), e trova un'altra persona nella sede
dell’impresa e magari questa persona è in quel luogo per ragioni di amicizia o per altre ragioni ma che non ha
nessun titolo per ricevere la prestazione perché non è né il creditore, né destinatario del pagamento in base al
1188 (non è rappresentante legale, non è autorizzato dal giudice, ecc..), però è lì che appare gestire il negozio,
il debitore paga convinto di avere di fronte il creditore (perché così appare da circostanze univoche), ed
abbiamo così il primo presupposto del pagamento al creditore apparente.

C’è un secondo presupposto però, la legge richiede che il debitore che paga sia anche il buona fede. In buona
fede significa che il debitore è convinto di adempiere correttamente quindi che il soggetto nelle cui mani esegue
la prestazione sia il vero creditore. Sono necessari tutti e due i requisiti perché il soggetto debitore potrebbe
essere in buona fede, ma la sua buona fede può dipendere da colpa, da negligenza, cioè da ignoranza, ed in
questo caso mancherebbero le circostanze univoche che abbiamo citato prima e quindi il pagamento non
libererebbe il debitore. Può darsi anche che ci siano effettivamente quelle circostanze univoche per le quali il
soggetto che riceve il pagamento appaia come vero creditore, ma in realtà il debitore lo sa benissimo che quello
non è il creditore. In questo caso ovviamente non ci sarebbe alcuna ragione di tutelare il debitore, perché il
debitore è in mala fede (consapevole che il soggetto che appare il creditore non lo è). La buona fede a differenza
della buona fede possessoria che si presume, va provata e si può anche desumere dal fatto che il creditore
appare tale in base a circostanze univoche. Se il debitore prova che il creditore appariva tale in base a
circostanze univoche in linea di massima si può ritenere provata la sua buona fede. Se la buona fede deriva da
colpa (come abbiamo già visto) non rileva, e il debitore non è liberato. Cosa vuol dire che non è liberato?
Vuol dire che da una parte il debitore sarà ancora tenuto ad eseguire la sua prestazione nei confronti del vero
creditore perché la sua obbligazione non si è estinta; dall’altra invece il debitore potrà ovviamente pretendere
la restituzione da parte del soggetto che ha ricevuto la prestazione senza averne il titolo. Viceversa, se abbiamo
tutti i presupposti del pagamento al creditore apparente, l’obbligazione si estingue (quindi il debitore è
liberato), ma abbiamo un soggetto creditore apparente che ha preso una prestazione che non doveva prendere,
e un creditore che invece non ha preso nulla. In questo caso il vero creditore potrà ovviamente agire nei
confronti del creditore apparente che ha preso senza averne diritto, per chiederne la restituzione di quanto
questo ha preso, e l’art. 1189 secondo comma ci dice che può agire applicando le stesse regole che si applicano
in caso di ripetizione dell’indebito o pagamento dell’indebito (del quale ancora non abbiamo parlato), cioè gli
articoli 2033 e ss. del c.c. Non abbiamo tecnicamente un pagamento dell’indebito, ma il legislatore richiama
le stesse regole e fa sì che si applichino a questa fattispecie quelle regole del pagamento dell’indebito. Il
pagamento dell’indebito è insieme ad altri istituti come fonte delle obbligazioni diversa dal contratto e dal fatto
illecito.

Se il debitore esegue il pagamento nelle mani del creditore incapace (il creditore al momento in cui riceve
il pagamento è incapace), l’adempimento è liberatorio oppure no? A questa domanda risponde l’art. 1190
del cc. Il quale molto chiaramente ci dice che il pagamento fatto al creditore incapace di riceverlo, non libera

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il debitore, salvo che questi non provi che ciò che fu pagato è stato rivolto a vantaggio dell’incapace. Allora
anche qui stiamo focalizzando l’attenzione non al momento in cui è sorta l’obbligazione o è stato stipulato il
contratto, ma al momento in cui l’obbligazione viene adempiuta. Mentre nell’altro caso (debitore incapace),
non c’era la possibilità di pregiudizio da parte del debitore perché abbiamo detto che si tratta di un atto dovuto,
viceversa, qui il soggetto è il creditore e qui diventa importante verificare se il creditore è capace o no perché
si tratta di evitarne un pregiudizio. Se il pagamento viene fatto nelle mani di un creditore incapace è possibile
che venga disperso e non vada a buon fine. Tanto è vero che la norma dice che il pagamento non libera, ma
libera nel caso in cui si riesca a provare. Cioè il debitore dimostra che quello che lui ha pagato (la prestazione
eseguita), comunque è andata a vantaggio del creditore incapace. In questo caso non c’è un pregiudizio e quindi
non c’è nessuna ragione per considerare il pagamento infruttuoso o inutile. Nel caso in cui, non sussista questa
eccezione, il pagamento non libera e quindi il debitore dovrà nuovamente eseguire la prestazione, viceversa,
se sussiste l’eccezione che abbiamo visto, il pagamento diventa liberatorio e quindi l’obbligazione si estingue
e il debitore è appunto liberato. La liberazione potrebbe essere anche parziale, nel senso che potrebbe
riguardare solamente la parte della prestazione della quale il creditore incapace si sia effettivamente
avvantaggiato.

Anche qua ci dovremo porre la stessa domanda che ci siamo posti con riguardo al debitore incapace, quando
l’art. 1190 parla di incapacità, si riferisce all’incapace legale o naturale? Qui la risposta è più sicura, diciamo
che si riferisce all’incapace legale. Questo perché innanzitutto l’incapacità può essere accertata perché risulta
da dei registri dello stato civile (se un soggetto è interdetto o inabilitato o gli è stato nominato un amministratore
di sostegno, questo risulta dai registri). E poi non solo, in questo caso se c’è un incapace legale abbiamo un
rappresentante legale, quindi il debitore deve pagare nelle mani del rappresentante legale. Nel caso di
incapacità naturale invece, non risulta da nessuna parte formalmente se un soggetto è incapace o meno, e tra
l’altro non c’è nemmeno un rappresentante legale. Quindi da una parte il debitore potrebbe non rendersi conto
che il soggetto è incapace e dall’altra non saprebbe nelle mani di chi adempiere. Per completare il quadro
dobbiamo dire però che una parte della dottrina ritiene che a certe condizioni possa rilevare anche un’incapacità
naturale, cioè che anche un adempimento nei confronti di un creditore incapace di intendere e di volere (sul
piano naturalistico), possa considerarsi non liberatorio se sussistono le stesse condizioni previste dall’art. 428
c.c., cioè le condizioni in presenza delle quali il contratto stipulato da un incapace naturale è annullabile. L’art.
è sempre il 1190 però la norma che consente in casi particolari di dare rilevanza all’incapacità naturale è l’art.
428 (art. che studiamo sia on l’incapacità che con l’annullamento del contratto).

Un altro profilo sul quale può essere valutata l’esattezza dell’adempimento riguarda l’identità della
prestazione. Questo perché il debitore si libera adempiendo la prestazione prevista (quindi non eseguendo
un'altra prestazione anche se di valore superiore a quella dovuta), né può pretendere di adempiere a rate (cioè
pretendere di fare un adempimento parziale per poi adempiere successivamente per quanto riguarda il saldo).

Esempio: un debitore deve corrispondere 100.000€, può liberarsi offrendo una quantità di oro di valore pari a
200.000€? La risposta è no, a meno che non ci sia il consenso del creditore.

Qui, viene in gioco una figura molto singolare, la prestazione in luogo di adempimento (frequente domanda
d’esame) art. 1197. Viene anche identificata con il nome latina “datio in solutum”, cioè dazione di qualcosa in
adempimento al posto della prestazione originale. Considerato che questa figura presenta delle similitudini ma
anche delle differenze importanti con la novazione oggettiva, mi riservo di riprenderla successivamente.

Prestazione in luogo dell’adempimento (dispositivo dell'art. 1197 c.c.)

“Il debitore non può liberarsi eseguendo una prestazione diversa da quella dovuta, anche se di valore uguale
o maggiore, salvo che il creditore consenta. In questo caso l'obbligazione si estingue quando la diversa
prestazione è eseguita [1198; 67 n. 2].

Se la prestazione consiste nel trasferimento della proprietà o di un altro diritto, il debitore è tenuto alla
garanzia per l'evizione e per i vizi della cosa secondo le norme della vendita [1470], salvo che il creditore
preferisca esigere la prestazione originaria e il risarcimento del danno.

In ogni caso non rivivono le garanzie prestate dai terzi [2927].”

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Quindi, fino a quel momento l’obbligazione originaria rimane in piedi, non sorge (come vedremo per la
novazione) una nuova obbligazione e l’obbligazione originaria si estinguerà solo nel momento in cui il debitore
eseguirà la prestazione diversa.

Nella novazione accade una cosa diversa, perché lì si stipula un accordo con il quale si estingue la vecchia
obbligazione subito, e se ne fa sorgere una nuova nell’oggetto e nel titolo. Quindi come vedete (ve l’ho solo
anticipato), le due figure si distinguono in maniera netta.

Adesso, possiamo trattare un argomento, ci sono tanti altri aspetti di dettaglio che riguardano l’obbligazione e
l’adempimento ma non è il caso di dilungarci tanto, per esempio l’art. 1192 che tratta del pagamento eseguito
con cose altrui; altre regole importanti riguardano l’imputazione del pagamento: sono le regole di cui agli
articoli dal 1193-1194; ed infine interessante anche la quietanza che sostanzialmente è la dichiarazione con la
quale il creditore dichiara di aver ricevuto un pagamento (volgarmente chiamata ricevuta). Tenete presente che
il debitore ha il diritto ad esigere la quietanza, quindi diciamo che il debitore ha una posizione attiva, cioè la
possibilità di pretendere la quietanza, e che la quietanza ovviamente, fa prova solo di ciò che risulta essere
stato pagato quindi non comporta la prova che l’obbligazione è estinta per intero, a meno che nella quietanza
non ci sia scritto che il creditore accetta il pagamento della somma (per esempio)a “saldo e stralcio”.

Esempio: il creditore ha un credito di 100.000€, quel credito è difficile da recuperare, il debitore gli propone
- “Senti chiudiamo una trattazione, te ne pago 50.000€ e tu mi liberi dall’obbligazione residua (l’obbligazione
si estingue)” - in questo caso il creditore potrà rilasciare una quietanza nella quale scrive che il pagamento di
50.000€ al posto dei 100.000€ originariamente dovuti, è accettato a saldo e stralcio. Questa quietanza ha un
valore di una confessione stragiudiziale del pagamento avvenuto, cioè il creditore nel dichiarare di aver
ricevuto una certa somma, sta “confessando” che questo pagamento è avvenuto (è una confessione
stragiudiziale, come sapete la confessione è un mezzo di prova e appunto studiate con gli altri mezzi di prova
quando studiate gli aspetti istituzionali elementari del processo.

Adesso studiamo un altro istituto che ha un certo legame con l’adempimento. Questo istituto è la mora del
creditore (quando ve lo spiegherò capirete perché c’è un legame infimo con l’adempimento). L’adempimento
è un fenomeno abbastanza complesso, l’abbiamo già visto studiando le regole che abbiamo esaminato insieme
oggi e la lezione precedente, ma lo è anche perché normalmente il debitore per poter adempiere ha necessità
della cooperazione del creditore, ha necessità: o che il creditore riceva la prestazione, come accade ad esempio
nelle obbligazioni che hanno ad oggetto la consegna di cose (generiche o specifiche) ; oppure comunque ha
necessità che il creditore cooperi, faccia qualcosa per consentirgli di adempiere, per mettere il debitore nelle
condizioni di poter adempiere.

Esempio: se il creditore non accetta il pagamento, non accetta le merci (perché non si fa trovare, perché il
creditore non gli apre a casa), e non gli consente la consegna, ovviamente il debitore non riesce ad adempiere
e non si riesce a liberare.

Esempio: devo fare degli interventi dal dentista regolari e non mi reco dal dentista, e quindi il dentista non
può eseguire la sua prestazione (perché la può eseguire solo se io sono presente ovviamente);

La mora del creditore. Quindi, chiudendo il cerchio: normalmente, il debitore per poter adempiere ha necessità
della cooperazione del creditore, e abbiamo visto in che cosa può consistere questa cooperazione, a parte alcuni
casi tipo le obbligazioni di non fare (obbligazioni negative), nelle quali la cooperazione non è necessaria, in
tutte le altre è necessaria. Cosa accade qualora il creditore non cooperi? L’art. 1206 detta una regola, e
stabilisce che il creditore è in mora (mora del creditore): qualora senza giustificato motivo (questo è
importante) non riceve il pagamento (cioè l’adempimento), che gli viene offerto nei modi indicati dagli articoli
seguenti; oppure ancora non compia quanto necessario affinché il debitore possa adempiere all’obbligazione.
La mora del creditore è un istituto molto importante. La norma però specifica che non è che il debitore si possa
limitare ad offrire la prestazione genericamente, ma la prestazione (perché il creditore venga costituito in
mora), dev’essere offerta in modi specifici, osservando le modalità stabilite dagli articoli dal 1208 in poi.
Quindi bisogna rispettare innanzi tutto le c.d. modalità dell’offerta solenne, si parla di solenne quando bisogna
rispettare delle formalità specifiche (una serie di canoni formali). Questi canoni sono indicati nell’art. 1208 del

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c.c. (non è necessario che li ricordiate tutti a memoria), ma fondamentalmente, perché l’offerta sia valida è
necessario che questa offerta sia esatta sotto tutti i profili che abbiamo già esaminato.

Esempio: l’offerta dev’essere fatta al creditore capace di ricevere, oppure a chi abbia facoltà di ricevere al
posto suo; dev’essere fatta da persona che può validamente adempiere, e così via….

Quindi premesso che l’offerta deve avere tutti questi requisiti, a seconda poi del tipo di prestazione può essere
in concreto effettuata in due forme diverse:

● Sotto forma di c.d. offerta reale (primo comma art. 1209): Offerta reale significa che io (debitore)
devo consegnare le cose (oggetto della prestazione) ad un pubblico ufficiale, un notaio o come più
frequentemente un ufficiale giudiziario, il quale si recherà materialmente dal creditore, è un pubblico
ufficiale, quindi un terzo, le cui dichiarazione fanno prova fino a querela di falso, l’ufficiale giudiziario
gli offrirà in nome e per conto del creditore la prestazione e a quel punto il creditore avrà due
possibilità: o accetterà perché la prestazione è esatta, oppure la rifiuterà (potrà indicare pure le ragioni
per le quali egli l’ha rifiutata). In tutti e due i casi il pubblico ufficiale redigerà un verbale, positivo di
consegna o negativo (offerta reale andata a buon fine o non andata a buon fine).

Ma perché il creditore potrebbe rifiutare la prestazione offerta? Abbiamo detto che il rifiuto può avvenire
per diverse ragioni, alcune possono essere legittime e in quel caso non si potrà verificare la mora del creditore,
oppure ragioni pretestuose. Quelle legittime fondamentalmente consistono nel fatto che la prestazione non è
esatta, quindi c’è inadempimento, e il creditore non vuole accettare una prestazione non esatta. Quelle invece
pretestuose, possono essere date dal fatto che normalmente le obbligazioni nascono da contratti a prestazioni
corrispettive e quindi siccome il creditore di quella prestazione è a sua volta debitore della controprestazione
(del corrispettivo) cerca diciamo, di impedire al debitore di adempiere, per non dover lui a sua volta dover
adempiere alla sua controprestazione. Quindi un atteggiamento opportunistico, che va punito perché in quel
caso il rifiuto si rivelerà ingiustificato, e quindi il creditore (se vengono rispettate quelle formalità che abbiamo
appena visto), possa essere costituito in mora.

Le ipotesi in cui l’offerta può essere effettuata con queste modalità che abbiamo visto: Quando l’obbligazione
(dice il primo comma) ha per oggetto il denaro, perché l’ufficiale giudiziario ha facilità nell’offrire denaro al
creditore, oppure titoli di credito, ovvero cose mobili da consegnare nel domicilio (luogo dell’adempimento)
del creditore.

● Sotto forma di offerta per intimazione (secondo comma art. 1209): Se invece si tratta di cose mobili
che sono da consegnare in un luogo diverso (non nel domicilio del creditore ma da altre parti), l’offerta
della prestazione, dovrà essere fatta dal debitore (sempre tramite pubblico ufficiale) tramite
un’intimazione, quindi un atto scritto notificato al creditore, con il quale il debitore gli intima, gli
chiede di ricevere la prestazione. Questa offerta per intimazione si utilizza non solo nel caso appena
detto (cose mobili da consegnare in luogo diverso), ma anche in tutti i casi in cui la prestazione abbia
ad oggetto un fare, siccome non posso utilizzare il sistema dell’offerta reale per le prestazioni di fare
(perché non c’è niente da consegnare al creditore) anche lì l’offerta va fatta per intimazione. (art. 1117
l’offerta per obbligazione di fare).

In questi casi, qualora l’offerta sia stata fatta correttamente se il creditore accetta, il problema si risolve,
l’obbligazione è adempiuta e il debitore si libera. Se il creditore rifiuta l’offerta (per qualche ragione),
chiaramente ci sarà una controversia e ci dovrà essere un giudice che dovrà decidere se la prestazione offerta
sia effettivamente esatta o no, e il creditore cadrà in mora, sarà costituito in mora nel momento in cui il giudice
accerterà che l’offerta era corretta. Il debitore per ottenere la sua liberazione dall’obbligazione ha necessità
anche di mettere in moto anche un altro meccanismo, nel senso che l’offerta reale elimina sicuramente la
responsabilità al debitore per ritardo e in più fa sì che si producano in capo al creditore gli effetti negativi della

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mora. Però l’obbligazione per il momento non si estingue, per ottenere la liberazione dall’obbligazione è
necessario che il debitore attui il c.d. deposito liberatorio, cioè praticamente le cose che sono state offerte al
creditore, che il creditore non ha accettato, devono essere depositati in dei luoghi che sono proprio deputati a
queste modalità e che sono gestiti da terzi (generalmente vengono usati dei magazzini generali) e una volta
che è eseguito il deposito, o questo deposito viene accettato dal creditore, oppure se il creditore continua ad
insistere e non vuole accettare l’adempimento perché ritiene che sia inesatto (per altre ragioni), si rivolge ad
un giudice, se il giudice accerta che tutto sia stato fatto in modo corretto la sentenza passa in giudicato e a quel
punto il creditore cade in mora. Ovviamente la mora si verifica con effetto retroattivo fino al momento in cui
è stata fatta l’offerta reale. In questo caso si che l’obbligazione si estingue perché è stato fatto il deposito
obbligatorio.

Tutto questo procedimento ha un senso perché se il debitore lo pone in essere, in particolar modo l’offerta reale
e il creditore cade in mora, si producono in capo degli effetti negativi. Gli effetti negativi sono indicati nell’art.
1207:

“Quando il creditore è in mora [1206], è a suo carico l'impossibilità della prestazione sopravvenuta per causa
non imputabile al debitore. Non sono più dovuti gli interessi né i frutti della cosa che non siano stati percepiti
dal debitore.

Il creditore è pure tenuto a risarcire i danni derivati dalla sua mora e a sostenere le spese per la custodia
[1211] e la conservazione della cosa dovuta.

Gli effetti della mora si verificano dal giorno dell'offerta [1208, 1216, 1217], se questa è successivamente
dichiarata valida con sentenza passata in giudicato o se è accettata dal creditore.”

Il creditore è pure tenuto a risarcire i danni (che eventualmente abbia cagionato al debitore) derivati da questo
ritardo sostanzialmente, questa situazione in cui il debitore deve ancora conservare la prestazione e non è
liberato (magari si ritrova il magazzino occupato da merci che avrebbe dovuto consegnare al creditore). Non
si limita solo a risarcire il danno ma deve comunque rimborsare le spese che egli ha sostenuto per la custodia
e la conservazione della prestazione, se il debitore ha subito anche danni ulteriori il creditore gli dovrà risarcire
questi danni ulteriori, ed infine il debitore non è tenuto a corrispondere interessi e frutti che egli non abbia
percepito. Questi effetti li riprenderemo nella prossima lezione.

Lezione 14
La mora del creditore- novazione- impossibilità sopravvenuta

Perché il creditore venga costituito in mora non è sufficiente che egli non abbia fatto quello che doveva ma, è
necessario che il debitore a sua volta faccia qualcosa: deve fare un’offerta della prestazione e questa offerta
deve rispettare delle modalità particolari che sono indicate dall’art. 1208 rubricato “requisiti per la validità
dell’offerta”, l’offerta deve essere solenne e le modalità dell’offerta possono cambiare a seconda che si tratti
di un’offerta reale oppure offerta per intimazione. Queste forme di offerta sono contemplate e disciplinate
nell’art. 1209.
Un’altra precisazione: Il creditore non è obbligato ad adempiere ma è un onere del creditore operare
all’adempimento e questo perché il debitore comunque ha la possibilità di evitare gli effetti negativi del ritardo,
che deriverebbero dal non poter adempiere perché il creditore non coopera, utilizzando l’istituto della mora
del creditore, e anche perché se vuole liberarsi dall’adempimento ha un altro meccanismo che si chiama
deposito liberatorio.
In sintesi, la cooperazione del creditore non costituisce oggetto di un’obbligazione ma è onere del debitore
operare l’adempimento. (per concetto di onere ->vedi situazioni giuridiche soggettive)
Viene quindi offerta la prestazione del debitore, possono verificarsi due situazioni:
1. L’offerta può essere accettata dal creditore e in quel caso il problema è risolto.
2. Il creditore potrebbe non accettare l’offerta, perché ritiene per esempio che la prestazione offerta non sia esatta
o per altre ragioni.
In quest’ultimo caso nascerà una controversia che potrà essere sottoposta al giudice, il quale accerterà che
l’offerta sia stata fatta correttamente, che la prestazione offerta sia esatta e nel momento in cui accerterà tutto

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questo, dichiarando l’offerta valida con una sentenza passata in giudicato, gli effetti della mora si
verificheranno dal momento in cui l’offerta è stata effettuata. Il momento in cui l’offerta fornisce i suoi effetti
lo trovate nell’ultimo comma dell’art. 1207. In sintesi, gli effetti dell’offerta si verificheranno dal momento
dell’offerta se il creditore l’ha accettata; in caso di mancata accettazione, dal momento in cui il giudice abbia
accertato che comunque l’offerta era corretta, era valida (questo in caso di controversia).
Se l’offerta viene effettuata dal debitore ma non corrisponde ai requisiti richiesti dalla legge e non è idonea a
costituire in mora il creditore, ma è un’offerta fatta secondo gli usi, può produrre comunque degli effetti.
Gli effetti sono sostanzialmente questi: il debitore non può essere ritenuto responsabile del ritardo, questo
aspetto deriva appunto dalle norme di mora del creditore che precisano che qualora il debitore abbia fatto
offerta della prestazione in modalità informali, non potrà essere considerato responsabile del ritardo
dell’adempimento visto che ha offerto la prestazione. Inoltre, anche se non è fatta con le formalità prescritte,
se all’offerta segue il deposito, che è accettato dal creditore, o comunque in caso di controversia e mancata
accettazione venga accertata dal giudice, gli effetti della mora si verificheranno dal momento in cui è stata
posta in essere l’offerta secondo gli usi. (Art. 1220)
Gli effetti della mora sono esplicitati in maniera molto chiara nell’art. 1207.
Il primo comma dice: “quando il creditore è in mora è a suo carico l’impossibilità della prestazione
sopravvenuta per causa non imputabile al debitore”. Innanzitutto, è un effetto che opera nel caso in cui venga
stipulato un contratto a prestazioni corrispettive, quindi contratti in cui sorgono obbligazioni a carico di
entrambe le parti. Normalmente se si verifica l’impossibilità sopravvenuta della prestazione per una causa
non imputabile al debitore, quindi la prestazione diventa impossibile, non può più essere eseguita per una causa
non imputabile al debitore, e ai sensi dell’art. 1256 codice civile l’obbligazione si estingue, infatti
l’impossibilità sopravvenuta con causa non imputabile al debitore è una delle cause di estinzione
dell’obbligazione diversi dall’adempimento.
L’Art. 1207 aggiunge, non solo che in questo caso il debitore è liberato dalla sua obbligazione (effetto che
discende dall’art. 1256) ma dice che se si tratta di un contratto a prestazioni corrispettive, questo contratto
non si risolve. Si dovrebbe risolvere perché secondo l’Art. 1463 C.c., se una delle due prestazioni discendente
da un contratto a prestazioni corrispettive diventa impossibile, per cause ovviamente non imputabili alla parte
del contratto, non sono l’obbligazione si estingue ma il contratto si risolve per impossibilità sopravvenuta.
(stiamo facendo un collegamento trasversale, necessario, tra mora del creditore Art. 1206 seguenti,
impossibilità sopravvenuta della prestazione Art. 1256 seguenti, risoluzione per impossibilità sopravvenuta
Art. 1463 e seguenti).
Siccome il creditore è in mora, il contratto in questo caso non si risolve, cioè non solo il debitore sarà liberato
dalla sua obbligazione, perché essa si estingue, ma il creditore sarà comunque tenuto a eseguire la propria, cioè
la controprestazione (per esempio se è un corrispettivo pecuniario sarà tenuto a pagare la somma dovuta).
Sinteticamente la ratio risiede nel fatto che qualora il creditore avesse cooperato correttamente, il debitore
avrebbe potuto adempiere e si può ritenere che la prestazione non sarebbe in quel caso divenuta impossibile.
È divenuta impossibile perché si è verificato un fatto nella sfera del debitore, e quel fatto gli ha reso impossibile
la prestazione, ma se il debitore avesse potuto adempiere, l’impossibilità non si sarebbe verificata perché ormai
la prestazione sarebbe stata acquisita nella sfera giuridica del creditore stesso.
Altri effetti della mora del creditore.
La norma dice che: “non sono dovuti dal creditore medesimo gli interessi e i frutti sulla prestazione (gli
interessi se si tratta di un’obbligazione pecuniaria e i frutti di una cosa che doveva essere consegnata al
creditore) se questi interessi e frutti non sono stati percepiti dal debitore”. Aggiunge la norma: “Il creditore è
pure tenuto a risarcire i danni derivati dalla sua mora e a sostenere le spese per la custodia e la conservazione
della cosa dovuta.” Più in generale possiamo dire custodire e preservare la prestazione che ovviamente
l’obbligazione può avere ad oggetto (un dare, un fare o un non fare), quindi qualsiasi sia la prestazione escluso
il non fare che in questo caso non richiede la cooperazione del creditore.
Perché deve rimborsare queste spese? Il debitore non può adempiere perché il creditore non coopera;
ovviamente però il debitore resta obbligato e deve comunque tenersi pronto ad adempiere. Questo comporta
dei costi, comporta svolgere una certa attività, quindi è certo che il debitore sosterrà delle spese per custodire
e preservare la prestazione dovuta. È corretto che queste spese siano a carico del debitore, il quale le dovrà
rimborsare al creditore. Questi rimborsi potrebbero non essere sufficienti, perché il debitore potrebbe subire
anche un danno ulteriore, che non consiste semplicemente nelle spese sostenute per la custodia e preservazione
della prestazione. Pensate all’ipotesi in cui il creditore oltre a doversi tener pronto ad adempiere, e quindi
magari tenere occupato il suo magazzino sostenendo delle spese per custodire le merci, si trovi anche
nell’impossibilità di assumere altre obbligazioni perché è ancora impegnato nel dover adempiere alla

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precedente. Per esempio, possiamo pensare ad un appaltatore, una piccola impresa di ristrutturazioni e
costruzioni che si trova obbligata ad eseguire un’opera e non la può eseguire perché creditore non coopera.
Ovviamente è impegnata ancora ad eseguirla, questo comporta sostenere comunque dei costi per conservare
la prestazione e in più potrebbe far si che il debitore subisca dei danni di mancato guadagno, perché per esempio
non può assumere e stipulare altri contratti per eseguire altre prestazioni derivanti dal contratto di appalto.
Quindi è chiaro che fin quando non si libera delle obbligazioni nate dal primo contratto non può assumere
nuovi impegni e quindi potrebbe subire dei danni consistenti nel mancato guadagno che avrebbe ottenuto se
avesse potuto utilizzare i suoi mezzi per poter stipulare nuovi contratti d'appalto.
Il debitore fino adesso ha costituito mora del creditore il che comporta una serie di vantaggi per il debitore e
ovviamente una serie di effetti negativi, che abbiamo visto effetti ricollegati alla mora, a carico del creditore.
Tra questi effetti non vi è l’estinzione dell'obbligazione quindi il debitore nonostante abbia messo in mora il
creditore non è liberato. Ovviamente il debitore può essere liberato ma per il momento e ancora non lo è. Esiste
un istituto che si chiama deposito liberatorio che può consentire al debitore di liberarsi dalla sua obbligazione.
Del deposito tratta l'Art. 1210 e seguenti del codice civile. Questo deposito si può utilizzare quando
l’obbligazione abbia ad oggetto la consegna di cose mobili, consiste nel fatto che il debitore deposita queste
cose mobili presso un depositario che gestisce dei magazzini in maniera ufficiale (art 1210 e ss.) Quando il
debitore esegue questo deposito può accadere che:
• Il deposito venga accettato dal creditore e in quel caso il debitore è liberato dalla su obbligazione, salvo
ovviamente gli effetti della mora del creditore.
• Il deposito non viene accettato, viene contestato in questo caso potrà aprirsi un contenzioso, un atto giudiziale
e gli effetti del deposito, cioè la liberazione del debitore, si produrranno nel momento in cui il giudice accerterà
la validità del deposito attraverso una sentenza passata in giudicato.
Ovviamente il debitore è liberato ma non potrà ritirare le cose depositate.
Vi sono ulteriori disposizioni (Art. 1216 secondo comma) che si occupano della liberazione dell'obbligazione
che ad oggetto la consegna di un immobile, non potendo utilizzare il meccanismo del deposito (perché il
deposito per definizione si può utilizzare solo quando si tratta di un'applicazione che ad oggetto la consegna
di cose mobili) il meccanismo è diverso. Si potrà chiedere che il giudice nomini un sequestratario il quale
dovrà occuparsi della cosa immobile e da quel momento il debitore si libera nella sua obbligazione.

Consegna cose mobili deposito liberatorio


Consegna bene immobile richiesta di nomina da parte del giudice di un sequestratario

Ovviamente lo strumento del deposito non si può utilizzare neanche nel caso di obbligazioni del fare, perché
appunto non c'è nulla da depositare. L'offerta In questo caso deve essere effettuata tramite offerta per
intimazione (Art. 1217). Si pone il problema: il debitore in questo caso può liberarsi dell’obbligazione? Non
esiste una norma specifica che se ne occupi, la dottrina ritiene che si possa applicare per analogia il secondo
comma dell'art 1256. Applicando questa disposizione il debitore potrà liberarsi, qualora data la natura
dell'oggetto o il titolo dell'obbligazione, il debitore medesimo non può più considerarsi tenuto ad eseguirla
oppure il creditore non ha più interesse a esigerla, in questo caso la parte della norma che si può applicare
dell’articolo 1256 è quella che fa riferimento al debitore che non possa più essere considerato ad eseguire la
prestazione in ragione del decorso del tempo.

Modi di estinzione dell’obbligazione diversi dall'adempimento.


Il modo naturale di estinzione dell'obbligazione è l’adempimento, è il meccanismo, l’istituto che consente la
soddisfazione dell'obbligazione. L’obbligazione si può estinguere anche in altri modi (a parte istituti come la
prescrizione che estinguono tutti i diritti eccetto alcuni) che sono tipici dell’obbligazione. Questi modi di
estinzione sono disciplinati esplicitamente dagli Art. 1230 e ss. Possiamo distinguere in modi satisfattori, che
dovrebbero soddisfare l’interesse del creditore e modi non satisfattori, questi non sarebbero in grado di
soddisfare l’interesse del creditore, ma in realtà è una distinzione opinabile.
Si dice che sono impropri appunto perché il modo satisfattorio che soddisfa veramente il creditore è soltanto
l’adempimento.
Sono modi satisfattori:
• Compensazione;
• Confusione;
• La datio in solutum o prestazione in luogo di adempimento.
Si qualificano modi non satisfattori:

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• La novazione oggettiva;
• L’impossibilità sopravvenuta della prestazione;
• Remissione del debito.
(studiare da dispense)
La compensazione
Abbiamo 2 soggetti: creditore e debitore, che sono obbligati l’uno verso l’altro. Per una questione economica
e pratica, anziché far si che ciascuno esegua la sua prestazione, il legislatore stabilisce che in questi casi le due
obbligazioni si possano estinguere per compensazione per le quantità corrispondenti. Se Tizio deve a Caio 100
€, e Caio a sua volta gliene deve 100€ per un titolo diverso, che magari è anche sorto in un momento diverso,
anziché far sì che Tizio paghi 100€ a Caio e Caio ripaghi Tizio per la stessa somma, si dice che l’obbligazione
si è estinta per compensazione in toto. Ma ci sono delle condizioni. L'Art. 1241 dice infatti che le obbligazioni
si estinguono per le quantità corrispondenti secondo le norme che seguono. Esistono tre tipi di compensazione:
• Legale;
• Giudiziaria;
• Volontaria;
Soffermando l'attenzione solo su quella legale, vediamo quali sono i requisiti. La norma dice che la
compensazione legale opera quando i diritti hanno per oggetto entrambi una somma di denaro o una quantità
di cose fungibili dello stesso genere, quindi si deve trattare di obbligazioni che hanno prestazioni omogenee.
In questo caso la compensazione estingue l’obbligazione per le quantità corrispondenti. L'Art. 1243 aggiunge
che i debiti si estinguono a condizione che siano ugualmente liquidi ed esigibili. Cosa vuol dire ugualmente
liquidi? Questo termine indica che il credito o il debito siano determinati da un preciso ammontare, questo può
accadere o perché non vi sia contestazione tra le parti per quale sia l'entità dell'ammontare di questi due debiti,
oppure perché comunque il debito è stato accertato dal giudice con una sentenza o vi è un titolo che ne accerti
in maniera inoppugnabile l'entità del debito stesso. Esigibili vuol dire che il creditore può esigere
immediatamente l’adempimento, quindi o il termine non esiste oppure se c'è un termine è scaduto. Se un
credito è sottoposto a termine ovviamente non è esigibile, cioè se per esempio in un contratto il pagamento
deve essere fatto a partire dal 30 di giugno chiaramente questo credito non è esigibile; oppure derivano da un
contratto sottoposto a condizione, se la condizione non si è verificata il contratto non ha ancora prodotto effetti,
quindi addirittura in questo caso l’obbligazione non esigibile perché neppure ancora è sorta.
Tornando invece alla liquidità, abbiamo detto che affinché si possa operare la compensazione è necessario che
questi due debiti siano certi sia nella loro esistenza sia nel loro ammontare, questo può accadere o perché non
sono contestati, non è contestata la loro esistenza e il loro ammontare dalla controparte, quindi dal debitore;
oppure perché il credito è stato accertato dal giudice.
Un credito non liquido è il credito avente ad oggetto il risarcimento del danno, se non è stato ancora quantificato
il danno risarcibile fra le parti c’è contestazione sul fatto che il danno sia dovuto; oppure sull’entità del danno
del risarcimento e il giudice non ha ancora ancora emanato un provvedimento per accertare appunto questo
credito.
NOVAZIONE E DIFFERENZA TRA NOVAZIONE E DATIO IN SOLUTUM
La novazione è compresa fra i modi non satisfattori. Che cos’è la novazione? È un contratto col quale le parti
dispongono di sostituire l’obbligazione esistente fra loro con un’altra obbligazione nuova, diversa dalla
precedente nell’oggetto e nel titolo. Nello stipulare quest’accordo conviene di sostituire quest’obbligazione
già esistente (che si estingue) con una nuova obbligazione. Quindi si dice che gli elementi costitutivi della
novazione sono l’animus, cioè la volontà di innovare, e la novità, questa è richiesta perché non è detto che se
le parti stipulano un nuovo accordo vogliano estinguere la vecchia obbligazione per sostituirla con una nuova,
potrebbero anche voler assumere nuove obbligazioni, quindi potrebbe darsi che si aggiunga un’obbligazione a
quella già esistente. Affinché ci sia novazione è necessario che emerga la volontà delle parti di estinguere la
vecchia sostituendola con una nuova. Ci dev’essere poi qualcosa di nuovo, e questo non può essere qualsiasi
aspetto di novità perché la diversità deve riguardare l’oggetto o il titolo dell’obbligazione (una modificazione
dell’obbligazione, per quanto attiene al termine, o ad altri aspetti meramente accessori non comporta novazione
ma comporta una semplice modificazione accessoria dell’obbligazione preesistente). Per esempio, A doveva
a B una somma di denaro, le parti si accordano decidendo di estinguere questa obbligazione e di sostituirla
con una nuova obbligazione che invece di avere ad oggetto il pagamento di una somma di denaro aveva ad
oggetto un fare. Ecco con riguardo a questa ipotesi si pone il problema di distinguere la novazione oggettiva
alla datio in solutum o prestazione in luogo di adempimento. La novazione oggettiva è disciplinata dall’art.
1230 e ss., mentre la datio in solutum è disciplinata dall’art. 1197. Qual è la differenza? Sembrerebbero due
istituti molto simili, perché nella datio in solutum abbiamo il debitore, che con il consenso del creditore,

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esegue una prestazione diversa e nell’eseguirla estingue l’obbligazione originaria. Per esempio, il debitore
deve una somma di denaro e propone al creditore di estinguere la sua obbligazione dandogli un gioiello e il
creditore accetta, nel memento in cui il debitore svolge una certa prestazione l’obbligazione originaria si
estingue. Qual è la differenza? La differenza sta in questo: nella novazione all’estinzione della vecchia
obbligazione segue o meglio contestualmente si verifica il nascere di una nuova obbligazione. Nella datio in
solutum, non nasce mai una nuova obbligazione ma è l’obbligazione originaria che si estingue solo nel
momento in cui il debitore con il consenso del creditore esegue la prestazione diversa.
In sintesi, il debitore esegue, con il consenso del creditore, una prestazione diversa, in linea di massima non lo
potrebbe fare, perché Il debitore si libera solo eseguendo la prestazione esatta, quindi non può chiaramente
pretendere di adempiere eseguendo una prestazione diversa, a meno che non dia il suo consenso. Il consenso
deve esserci al momento in cui Il debitore esegue la prestazione, fin a quando il debitore non ha eseguito la
prestazione, e quindi fin quando la prestazione sia entrata nella sfera giuridica del creditore, l’obbligazione
originaria non si estingue e non nasce neanche una nuova obbligazione. L’effetto è quello di dare al creditore
la facoltà di estinguere l’obbligazione eseguendo una prestazione diversa, è come se l’obbligazione diventasse
in qualche modo facoltativa in maniera sopravvenuta, nasce originariamente non facoltativa e grazie a questo
passaggio lo diventa.
La novazione può anche riguardare il titolo. Si stabilisce che l’obbligazione originaria si estingua e ne nasca
una nuova la quale però non è diversa dalla precedente nell’oggetto della prestazione ma è diversa nel titolo,
quindi per esempio Il debitore resta obbligato a pagare sempre una somma di denaro ma questa volta anziché
doverla pagare come originariamente a titolo di locazione la dovrà pagare a titolo di rate sul prezzo per
l’acquisto del bene.
Ci sono poi una serie di considerazioni che riguardano l’obbligazione originaria e l’obbligazione nuova e questi
rapporti hanno un certo interesse, una certa rilevanza ma non ci soffermiamo (la norma articolo 1234).

Impossibilità sopravvenuta
Dell’impossibilità sopravvenuta trattano gli Art. 1256 e ss. Del codice civile. Il legislatore stabilisce nell’art.
1256 che l’obbligazione si estingue qualora la prestazione diventi impossibile per una causa non imputabile al
diritto. Sono necessari due presupposti per far si che l’obbligazione si estingua
1. È necessario che la prestazione diventi impossibile;
2. È necessario che l’impossibilità di adempiere dipenda da causa non imputabile al debitore.
La prestazione deve essere oggettivamente impossibile, o perché diventata materialmente impossibile (perché
per esempio l’oggetto della prestazione è venuto meno), oppure perché è intervenuto un provvedimento
legislativo normativo che vieta di eseguire quella prestazione.
Ci possono essere 3 casi:
• Se l’impossibilità è assoluta e definitiva ovviamente estingue l’obbligazione;
• Se l’impossibilità è parziale, l’obbligazione si estingue solo per la parte ritenuta impossibile ma è tenuto ad
adempiere per il resto;
• Se l’impossibilità fosse temporanea esonera semplicemente il debitore dalla responsabilità da ritardo, quando
la prestazione tornerà possibile il debitore sarà comunque tenuto ad adempiere ma non sarà tenuto a risarcire
il danno visto che non è responsabile di questo.
Il secondo comma dell’articolo 1256 dice: “Se l'impossibilità è solo temporanea, il debitore finché essa
perdura, non è responsabile del ritardo nell'adempimento. Tuttavia, l'obbligazione si estingue se
l'impossibilità perdura fino a quando, in relazione al titolo dell'obbligazione o alla natura dell'oggetto, il
debitore non può più essere ritenuto obbligato a eseguire la prestazione ovvero il creditore non ha più
interesse a conseguirla”. Quindi in base a questa norma, se il creditore sia posto in mora attraverso intimazione,
ed è passato un tempo sufficiente grazie al quale, in base alla natura della prestazione o anche all’oggetto del
contratto, il debitore non può essere obbligato ad eseguire l’obbligazione stessa. In questo caso l’obbligazione
si estingue e il debitore è liberato dall’obbligazione. Ovviamente in questi casi essendo l’impossibilità causa
non imputabile il debitore non sarà tenuto al risarcimento del danno.
Ma se l’impossibilità dipendesse da una causa imputabile al debitore? In questo caso il debitore non sarebbe
liberato perché la causa sarebbe imputabile al debitore, e quindi abbiamo un inadempimento definitivo e
ovviamente la conseguenza è che il debitore sarà tenuto al risarcimento del danno.

Domande fine lezione.


Come può liberarsi il debitore dalle obbligazioni di fare? Abbiamo visto che per mettere in mora il creditore
deve fare un’offerta per intimazione, però non è prevista una norma specifica per ottenere la liberazione. Il

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Diritto Privato

deposito liberatorio non si può applicare perché si applica soltanto quando abbiamo ad oggetto una cosa
mobile, si può ottenere la liberazione per analogia applicando il secondo comma dell’art. 1256 sussistendo i
presupposti previsti da questa norma, e si ottiene lo stesso risultato.
Il fatto che il creditore non collabori è considerabile impossibilità sopravvenuta? No, perché comunque la
prestazione è ancora possibile.
Qual è la sostanziale differenza tra pagamento con surrogazione e pagamento attraverso adempimento del
terzo? Il pagamento con surrogazione presuppone il pagamento del terzo, però l’adempimento del terzo non
da sempre luogo ad un pagamento con surrogazione. Perché si abbia la surrogazione del terzo al creditore
originario sono necessari ulteriori requisiti, il pagamento può avvenire o per volontà del creditore o per volontà
del debitore oppure nei casi previsti dalla legge. Per esempio, il creditore che riceve il pagamento dal terzo
può surrogarlo nei propri diritti, quindi dipende dalla volontà del creditore, se il creditore esprime questa
volontà il terzo che adempie il debito altrui può surrogarsi al creditore originario.
Surrogarsi significa che si sostituisce al creditore originario nella sua obbligazione e ovviamente usufruisce di
tutte le garanzie e di tutti gli aspetti che regolavano il diritto di credito. Affinché ciò accada la surrogazione
deve essere fatta in modo espresso, la volontà del creditore deve essere espressa in maniera chiara e deve essere
manifestata contemporaneamente al pagamento.

Lezione 15
4 maggio
Inadempimento e responsabilità- mora del debitore

Le norme di riferimento sono gli articoli che vanno dal 1218 in poi, siamo nell'ambito di un gruppo di norme
che è intitolato dell'inadempimento delle obbligazioni.
L’inadempimento può assumere varie forme, può essere totale o parziale.
Un adempimento parziale è inesatto sul piano quantitativo; può essere un inadempimento definitivo, cioè
l'obbligazione non può più essere adempiuta perché la prestazione è divenuta impossibile; si può manifestare
invece nella forma del ritardo, nel senso che la prestazione non è stata eseguita ma può ancora essere eseguita,
quindi la prestazione è ancora possibile ma c'è la mora del debitore, e quindi vi è comunque inadempimento;
potrebbe esserci inadempimento che riguarda la qualità della prestazione, quindi l'obbligazione è stata
adempiuta ma la prestazione non è esatta il piano qualitativo.
In questi casi quando si parla di responsabilità inadempimento, questa forma di responsabilità viene
denominata contrattuale. in realtà questa responsabilità non sorge solo da inadempimento di un contratto, la
denominazione responsabilità, indica in generale la responsabilità che discende dall'inadempimento di
qualsiasi obbligazione, che essa sorga o trovi la sua fonte nel contratto oppure trovi fonte in un'altra delle fonti
delle obbligazioni. La responsabilità contrattuale si contrappone alla responsabilità extracontrattuale
cosiddetta aquiliana (perché discende dalla ex aquilia che appunto nel diritto romano si occupava di questo
tipo di responsabilità), questo tipo di responsabilità è disciplinata dagli Art. 2043 e seguenti del codice civile,
nasce a seguito dell'illecito compiuto nell'ambito di rapporti tra due o più soggetti non precedentemente legati
da un vincolo contrattuale.
Nella responsabilità contrattuale la prima domanda che dobbiamo porci è: il debitore risponde sempre e
comunque anche quando non sia in grado di adempiere? Esempio: Il dipendente non si reca al lavoro quando
deve andare a lavorare; chiaramente in questo caso c'è sul piano oggettivo un inadempimento, è questo
inadempimento potrà cagionare i danni al creditore. supponiamo che il dipendente abbia fatto tardi la notte il
giorno prima e quindi non si sia svegliato, in questo caso è evidente la sua responsabilità. diverso è se durante
la notte si sia sentito male e quindi non sia in grado di recarsi al lavoro il giorno dopo, si pone il problema se
Il debitore debba rispondere o no del suo mancato adempimento perché comunque non è riuscito a perseguire
la sua prestazione.
Esempio: il venditore che debba consegnare la cosa. se il venditore non consegna la cosa perché si dimentica,
è ovvio che in questo caso si dovrà affermare che egli è responsabile; se invece la mancata consegna dipende
da uno sciopero generale che blocca il paese, i trasporti, in questo caso si pone il problema di sé Il debitore
debba ritenersi responsabile, se il rischio di questo inadempimento, di questa impossibilità della prestazione,
vado posta a carico del debitore o del creditore.
L'articolo che costituisce il faro di riferimento è l'Art. 1218, nel quale ci dice che: “Il debitore che non esegue
esattamente la prestazione dovuta è tenuto al risarcimento del danno.”

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nella prima parte la conseguenza dell’inadempimento è imputabile al debitore, il quale deve rispondere con
l'obbligazione di risarcimento del danno. Adesso un successivo passaggio è appunto quello di verificare se ci
sono dei limiti a questa responsabilità, l'articolo 1218 prosegue dicendo: “se non prova che l'inadempimento o
il ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile il
debitore si può liberare, da responsabilità provando, nonostante non sia riuscito ad adempiere provando che
la prestazione è divenuta impossibile”.
La legge richiede due elementi specifici: la prova dell'impossibilità a lui non imputabile.
Dice l'inadempimento o il ritardo, quindi ovviamente riguarda qualsiasi forma di inadempimento, è stato
determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile.
Bisogna chiarire meglio che cosa voglia dire impossibilità, quali caratteristiche essa debba avere, e poi cosa
vuol dire per cause a lui non imputabili.
È una delle questioni più complesse e più discusse, però ovviamente, va semplificata nell'ottica di un esame di
diritto privato.
Impossibilità: è impossibile la prestazione quando l’impossibilità è oggettiva e assoluta, quindi quando
l'impossibilità presenta questi caratteri, la prestazione può dirsi impossibile. Oggettiva significa che la
valutazione di questa impossibilità dev'essere riferita alla prestazione, non al debitore; è la prestazione che è
divenuta impossibile, non è Il debitore che si trovi in difficoltà nell'adempiere. La condizione economica non
lo rileva, perché appunto sono difficoltà che attengono alla posizione del debitore per l'appunto, però sarebbe
un’impossibilità soggettiva quindi non impossibilità in senso tecnico.
L'impossibilità oggettiva può essere in termini materiali, anche un’impossibilità giuridica; la prestazione
diventa proprio impossibile e non può più essere eseguita per cause naturali, per esempio la cosa che è stata
consegnata al depositario viene distrutta da un evento estraneo a entrambi le parti, un'alluvione qualcosa di
questo genere. Ancora un altro caso, l'avvocato deve difendere un imputato da un certo reato, interviene la
morte di quell’ imputato, a quel punto ovviamente non è più possibile eseguire la prestazione consistente nella
difesa dell'imputato. Impossibilità giuridica invece interviene un provvedimento normativo che rende
impossibile o addirittura vieta quella prestazione, per esempio interviene una norma elimina quel tipo di reato
dal nostro ordinamento a quel punto è ovvio che la prestazione non ha più ragione d'essere.
L'impossibilità deve essere assoluta. vuol dire che non è impossibile solo per quello specifico debitore
adempiere, ma la prestazione è impossibile eseguire quella prestazione per qualsiasi debitore, chiunque si
trovasse in quella situazione non potrebbe adempiere. Quindi come vedete il concetto è molto rigoroso,
proprio per evitare che si possa trattare di mere difficoltà nelle quali incorre il singolo di debitore. si ammette
che il debitore possa essere esente dalla responsabilità, e che si possa ravvisare impossibilità anche quando
l'impossibilità non sia intesa in termini rigorosi, come quelli che abbiamo descritto finora, ma anche in alcuni
casi che vengono definiti come impossibilità non assoluta ma attiva, Quindi non oggettiva ma relativa.
Quindi i casi sono sostanzialmente quelli in cui l'impossibilità si ritiene realizzata quando il debitore in buona
fede non possa essere tenuto ad eseguire la prestazione, perché non è più possibile eseguire quella prestazione
utilizzando i mezzi che sono previsti in contratto. Esempio: se il debitore è obbligato ad eseguire un trasporto
di merci ed è un attore che appunto svolge questa attività utilizzando mezzi su strada se si verifica un'alluvione
impedisce al debitore di svolgere quel trasporto su strada; è possibile svolgerlo utilizzando dei mezzi diversi,
per esempio un elicottero. allora in termini assoluti, si dovrebbe dire che la prestazione non è impossibile,
perché utilizzando dei mezzi differenti Il debitore potrebbe eseguire la prestazione. le parti erano consapevoli
che il debitore avrebbe dovuto utilizzare quel tipo di mezzi, per cui, siccome quei mezzi non si possono
utilizzare si può ritenere che vi sia verificata l'impossibilità oggettiva relativa, questa volta non assoluta, che
comunque si ritiene che possa liberare il debitore. diverso sarebbe se invece il camion che usa il debitore si
fosse guastato; in questo caso il debitore potrebbe comunque provvedere a reperire un altro mezzo adeguato
sul mercato, un altro camion anche prendendo in locazione o acquistandolo per poter eseguire la sua
prestazione. in questo caso non ci sarebbe impossibilità neanche relativa.
ci sono anche altri casi nei quali comunque non c'è impossibilità ma sì ritiene che Il debitore sia liberato.
Esempio: esibirsi in un concerto durante un acquazzone è probabilmente possibile, ammesso che poi il
pubblico voglia stare ad assistere al concerto, però può esporre i musicisti a rischi gravi come la possibile
folgorazione elettrica derivante Dalla dispersione dell'elettricità, questo esporrebbe il debitore a rischi per la
propria salute, quindi in tutti i casi in cui eseguire la prestazione implica porre a rischio interessi fondamentali
per il debitore si parla di inesigibilità e Il debitore è liberato, non è responsabile l'inadempimento.
Impossibilità che deriva da una causa a lui non imputabile, il criterio di imputazione è sostanzialmente la colpa,
cioè significa che il debitore è tenuto a mantenere la prestazione possibile usando l'ordinaria diligenza, se non
ha utilizzato l'ordinaria diligenza è in colpa e quindi l'impossibilità sarà imputabile al debitore a titolo di colpa.

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viceversa, se la prestazione è divenuta impossibile nonostante egli abbia adottato tutte le cautele dovute per
mantenere la possibilità della prestazione, egli non sarà ritenuto responsabile per inadempimento.
Questo è il criterio di imputazione che la maggioranza della dottrina di Giurisprudenza utilizza, in realtà ve ne
sono altri, per esempio Galgano tende ad utilizzare un criterio oggettivo di imputazione della responsabilità,
cioè ritiene che in realtà il debitore sia tenuto proprio a dare la prova che è intervenuto un fatto specifico che
lui deve provare, estraneo alla sua sfera di rischio e che abbia comportato l'impossibilità della prestazione, in
mancanza di questa prova il debitore sarebbe sempre responsabile. Questo criterio, cioè il criterio del rischio
viene utilizzato da una buona parte della dottrina per disciplinare il caso della responsabilità, cioè quando il
debitore è imprenditore, anziché utilizzare il criterio della colpa.
Quando si fa riferimento alla colpa si dice che il criterio di imputazione è il criterio soggettivo, perché è
misurato sulla diligenza del soggetto, quando si fa riferimento a criteri come quello del rischio, criterio di
imputazione del rischio, si dice che il criterio di imputazione è un criterio oggettivo.
il rischio è la stessa cosa del fortuito oggettivo? Sì, in linea di massima, è la stessa cosa anche se, bisogna
distinguere se questo concetto del fortuito oggettivo, vuole confinare nell'ambito del problema della
distribuzione della prova tra debitore e creditore, oppure se lo si vuole intendere in termini sostanziali: Il
principio il concetto di fortuito oggettivo può coincidere il concetto di rischio, come criterio di imputazione.
Poi ci sono altri tipi di obbligazioni rispetto ai quali il discorso richiede delle precisazioni di adattamento, per
esempio le obbligazioni che hanno a oggetto cose di genere.
l'obbligazione che abbia a oggetto un genere può divenire impossibile la prestazione? No, l'obbligazione di
genere non può divenire impossibile, perché è impossibile che perisca tutto il genere. se periscono le cose di
genere che il debitore aveva già reperito sul mercato ma non ha ancora utilizzato a favore del creditore, egli
può comunque sempre procurarsene di nuove sul mercato riacquistandole e quindi non si può dire che vi sia
impossibilità, si dice il genere non perisce mai.
nelle obbligazioni pecuniarie, se il debitore ha smarrito i soldi che aveva messo da parte per pagare il creditore,
non si può dire che la prestazione sia divenuta impossibile e non si può dire che è impossibile la prestazione
per la cosiddetta impotenza finanziaria, cioè Il debitore si trova, anche per ragioni che non sono a lui imputabili,
nella situazione di impotenza finanziaria tale per cui non è in grado di adempiere alla sua obbligazione
pecuniaria, e in questo caso non rileva la situazione perché non si può parlare di impossibilità, di una mera
difficoltà oggettiva del debitore che non libera il debitore. In casi eccezionali forse, potrebbe semplicemente,
esonerare Il debitore da responsabilità da ritardo.
di sicuro si parla di fortuito oggettivo quando è il debitore che deve dare la prova specifica della causa che ha
reso impossibile la prestazione, e quando le norme prevedono che il debitore debba dare questa prova specifica,
ci sono dei casi in cui ciò accade, che può essere appunto il fatto del terzo, causa straordinaria imprevedibile,
effettivamente questa causa è una causa che è estranea alla sua sfera di rischio, e di regola ciò accade quando
questo debitore è un imprenditore, quindi è una regola che vale fondamentalmente, secondo almeno la tesi
maggioritaria, della responsabilità degli Imprenditori. La responsabilità dell'imprenditore quindi viene
valutata con maggior rigore.
Le norme che fanno riferimento al cosiddetto fortuito oggettivo che vengono più frequentemente citate sono
gli articoli 1693, 1785 e 1787.
i criteri di imputazione sono in realtà due: la colpa, diciamo come criterio generale; il rischio di impresa, o
quello del fortuito oggettivo, quando si tratta invece di responsabilità di impresa.

L’onere della prova. Il creditore deve semplicemente provare di essere il creditore, quindi dovrà
sostanzialmente provare di aver acquistato il diritto di credito in base a un titolo (per esempio provare di aver
stipulato un contratto e ovviamente che questo contratto è stato fonte di obbligazioni), non deve provare
neppure l'inadempimento; viceversa sarà il debitore che dovrà provare o che ha adempiuto in maniera esatta,
oppure provare che la prestazione è divenuta impossibile, con le caratteristiche che abbiamo già detto, una
causa a lui non imputabile, oppure che la prestazione è inesigibile, come abbiamo già visto.
sull'onere della prova è importante anche l'Art. 2697 sulla ripartizione fra attore e convenuto.
Quindi come vedete per il creditore è relativamente semplice agire in giudizio, difendere la sua posizione
perché l'onere della prova è spostato quasi integralmente a carico del debitore.
L'altro aspetto che sicuramente va esaminato in materia di responsabilità per inadempimento riguarda il
risarcimento del danno.
Il danno risarcibile si determina in base agli Art. 1223 e seguenti codice civile. queste regole disciplinano
anche la determinazione del danno risarcibile derivante da responsabilità per fatto illecito. Quali sono le due
voci di danno risarcibile? Come si liquida dal giudice questo danno risarcibile? L'onere della prova spetta al

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creditore, è lui che deve chiedere il risarcimento del danno, e poi deve dimostrare che il danno vi è stato e dare
dimostrazione di quanto ammonta il danno da egli subito. è molto difficile darne la prova quantum, cioè
dell'entità del danno subito, il creditore può limitarsi a fornire al giudice elementi, che comunque consentono
qualche modo di arrivare a una determinazione del danno e il giudice può poi procedere alla determinazione
equitativa del danno. Valutazione quantitativa del danno è trattata nell'Art. 1225.
L’articolo 1226 ci dice che se il danno non può essere provato nel suo preciso ammontare è liquidato dal
giudice con valutazione equitativa. Quindi il creditore da prova che il danno esiste, fornisce al giudice gli
elementi di massima, da valutare per determinare questo danno, il giudice in questo caso, non essendo possibile
determinarlo in maniera precisa, procede alla cosiddetta valutazione e liquidazione equitativa. la
determinazione nei casi del danno, nei casi normali, sono due le voci di danno che il giudice prende in
considerazione, che vanno prese in considerazione per liquidare il danno risarcibile: quello che viene chiamato
danno emergente o perdita subita, e il mancato guadagno o lucro cessante, quindi questi sono i due
elementi nei quali il giudice deve tener conto, che quindi devono essere dimostrati dal creditore, per
determinare il danno risarcibile.
(Gli articoli non è che li dovete sapere a memoria, però certamente articolo 1218, considerata che è la norma
fondamentale, per esempio l'Art. 1223 credo che vi verrà naturale ricordare, il numero dell'articolo e poi anche
il suo contenuto.)

Mora del debitore. la responsabilità può consistere anche nel ritardo, se il debitore non rispetta, non adempie
nei termini previsti, abbiamo parlato del termine quando abbiamo parlato dell'adempimento, e ovviamente c'è
la responsabilità per ritardo. Come è possibile far sì che il debitore versi in mora? Non basta il semplice
ritardo. normalmente si distinguono casi di mora Ex persona, che richiedono un’attività da parte del creditore,
perché il debitore venga costituito in mora, e invece a casi di mora automatica, nei quali la mora del debitore
si realizza immediatamente. Quindi di regola, in termini generali, è necessario che creditore notifichi, per
iscritto e intimi al debitore di adempiere: quest'atto si chiama appunto atto di costituzione in mora, è una
semplice richiesta di pagamento, e uno degli esempi che viene fatto di atto giuridico in senso stretto, Non è
necessario perché questo atto sia valido ed efficace, che gli effetti che si producono siano voluti dal creditore,
è sufficiente che il creditore abbia voluto porre in essere quest'atto. Ci sono poi dei casi, che trovate disciplinati
nell'Art. 1219, nei quali non è necessario quest’atto di costituzione in mora. Ne vediamo solo uno: se è scaduto
termina, quindi era previsto un termine per l'adempimento, questo termine è scaduto, e il debitore ovviamente
non ha rispettato il termine, non adempie e si tratta di una di quelle prestazioni che debbono essere adempiuta
al domicilio creditore, quelle che avevamo definito obbligazioni portabili, cioè nelle quali il luogo di
adempimento appunto è il domicilio del creditore, tipico appunto delle obbligazioni pecuniarie. Quali sono
gli effetti della mora del debitore? Ovviamente siccome Il debitore è inadempiente, sarà tenuto al risarcimento
del danno, questo è un effetto legato all’inadempimento. Il danno però dovrà essere provato dal creditore.
Facciamo subito una precisazione, ci sono delle differenze fra la mora del debitore in caso di impossibilità
definitiva rispetto al caso di mora del debitore in caso di ritardo. Questo perché in caso di impossibilità
definitiva, abbiamo un inadempimento definitivo, la prestazione non può essere più essere adempiuta, quindi
il risarcimento del danno si sostituirà alla prestazione dovuta integralmente, e andrà a riparare tutto il danno
subito, che consisterà sia nella perdita subita, cioè la prestazione che non si sia ottenuta, sia ma il mancato
guadagno. Qualora invece ci sia ritardo, significa che la prestazione ovviamente è ancora possibile, sennò non
parleremo di ritardo, quindi il creditore avrà diritto alla prestazione, il debitore dovrà comunque adempiere,
però il creditore avrà comunque diritto al risarcimento del danno subito a causa del ritardo, quindi sarà danno
che si aggiungerà alla prestazione dovuta che ovviamente avrà un’entità differente, sarà sempre composto
eventualmente da perdita e da mancato guadagno, però certamente la sua entità sarà diversa da quella del danno
nel caso di inadempimento definitivo in termini quantitativi.
Altro effetto della mora derivante dalla mora del debitore attiene al rischio. Il rischio della impossibilità della
prestazione e abbiamo visto che se la prestazione diventa impossibile per una causa non imputabile al debitore,
l'obbligazione si estingue ai sensi dell’Art. 1256, è uno dei modi di estinzione dell'obbligazione. Se però il
debitore era in mora, quando la prestazione divenuta impossibile egli comunque non è liberato e sarà
comunque tenuto al risarcimento del danno, proprio perché la prestazione è divenuta impossibile mentre lui
era in mora. Sostanzialmente questa regola si basa su questa considerazione: se il debitore ha adempiuto
tempestivamente e non si fosse trovato nella situazione di ritardo, la prestazione sarebbe stata nelle mani del
creditore e non sarebbe divenuta impossibile. Quindi il debitore risponde dell'impossibilità derivante anche se
l'impossibilità dipende da una causa a lui non imputabile, proprio perché l’Art. 1221 stabilisce in qualunque

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modo sia perita o che sarebbe andato distrutto, quindi la prestazione sarebbe divenuta impossibile anche se la
prestazione fosse stata nelle mani del creditore, cioè anche se lui avesse rispettato il termine.
l’articolo 1220 in materia di offerta non formale dal debitore dice che: “Il debitore non può essere considerato
in mora, se tempestivamente ha fatto offerta della prestazione dovuta, a meno che il creditore l'abbia rifiutata
per un motivo legittimo.”
l'articolo 1224 è una norma importante perché disciplina il risarcimento dei danni nelle obbligazioni
pecuniarie, quindi sempre danni da inadempimento, da ritardo, però con riguardo alle obbligazioni pecuniarie.
Poi anche gli articoli successivi dal 1225 fino al 1229 dovete comunque tenerli presenti perché completano la
disciplina della responsabilità per inadempimento.
responsabilità patrimoniale o anche detta della garanzia patrimoniale generica. Gli articoli che
costituiscono il riferimento normativo sono gli Art. 2740 e seguenti, in particolare l'articolo 2740 specifica che
cosa voglia dire responsabilità patrimoniale.
Il debito va di pari passo con la responsabilità, il debitore risponde dell'inadempimento, responsabilità
contrattuale, però che succede se appunto si verifica la responsabilità contrattuale e il debitore è tenuto al
risarcimento del danno? In che cosa si traduce, sul versante degli strumenti dei quali dispone creditore, che
cosa si traduce in questa responsabilità? dice l'Art. 2740: “il debitore risponde dei suoi debiti con tutti i suoi
beni presenti e futuri.” vuol dire che il creditore ha diritto di rivalersi sul patrimonio del debitore; però questa
affermazione è un'affermazione molto generica, e va necessariamente precisata. È necessario ovviamente che
il creditore faccia accertare il suo diritto e faccia accertare l'inadempimento del debitore per poter agire
esecutivamente sul patrimonio del debitore è necessario che il creditore si munisca preventivamente di un titolo
esecutivo. Il titolo esecutivo per eccellenza, nelle situazioni più normali, è la sentenza. Possiamo sintetizzare
il processo in queste fasi:
1. Bisogna Notificare un precetto
2. Il Debitore non adempie,
3. il creditore richiederà per iscritto di adempiere,
4. il debitore insiste,
5. il creditore dovrà convenire in giudizio del debitore,
6. si svolgerà un processo, processo di cognizione,
7. se né il creditore che il debitore riusciranno a dimostrare quello che vogliono, il giudice emetterà una
sentenza che non solo accerterà l'inadempimento ma in più condannerà ovviamente il debitore ad
adempiere e o a risarcire i danni, solo a risarcire i danni se l'inadempimento è definitivo.
A quel punto la sentenza, è una sentenza esecutiva, quindi costituisce titolo esecutivo.
(Altri titoli esecutivi sono gli assegni, le cambiali, i decreti ingiuntivi, ci sono anche altri titoli esecutivi.)
Nel caso in cui si tratti di un credito pecuniario, anche di risarcimento del danno, l’esecuzione si tradurrà nelle
forme dell'espropriazione forzata, cioè in concreto I beni del debitore che sono stati pignorati, Vengono venduti
forzatamente, seguendo l'occhio vigile del giudice, e poi il creditore e gli eventuali altri creditori, che siano
intervenuti nell'esecuzione, si potranno soddisfare sul ricavato della vendita, pagate le spese dell'esecuzione,
il ricavato della vendita soddisfa creditori, quello che residua spetterà al debitore.
Quindi questo è il meccanismo attraverso il quale il creditore può realizzare il suo diritto di credito, grazie a
questa garanzia patrimoniale generica, Nel senso che il creditore può agire su tutti i beni presenti e futuri che
fanno parte del patrimonio del creditore. La norma dice tutti i suoi beni, e precisa nel secondo comma, che non
sono ammesse limitazioni di responsabilità, se non nei casi previsti dalla legge. Che cosa si intende per
limitazioni di responsabilità? Significa che a parte i beni del debitore sostanzialmente sono sottratti a questa
garanzia patrimoniale generica, quindi non possono, non fanno parte questa garanzia per il creditore o per i
creditori. Di regola probabilmente sono casi eccezionali, per esempio delle società, nel senso che il socio della
società a responsabilità limitata risponde dei debiti della società, il socio risponde nei limiti dei conferimenti
che ha dato, o che aveva promesso di dare, quindi in quel caso si può ravvisare un caso di limitazione della
responsabilità. Altri casi sono il fondo patrimoniale, che è un istituto che opera nell'ambito del diritto di
famiglia.
Cosa succede se non abbiamo un unico creditore, ma ne abbiamo più di uno, e supponiamo addirittura che il
patrimonio non si sa sufficiente a soddisfare tutti i creditori? In questo caso vige il principio della parcondicio
creditorum, cioè parità di condizioni tra tutti i creditori. significa che tutti hanno diritto di soddisfarsi in
maniera uguale sul patrimonio del debitore; Stiamo ovviamente supponendo che ci siano più creditori che
intervengano nell’esecuzione, perché se ci sono più creditori e solo una agisce, porta avanti il processo
esecutivo, lo conclude, gli altri stanno fuori perché non ne sanno nulla, o perché sono inerti, a quel punto a
soddisfarsi sarà solo quello che ha agito: questa regola della par condicio funzionerà solo nei confronti di quei

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creditori che agiscono o comunque a partecipano all'esecuzione, oppure nei casi di procedure concorsuali,
pensate al fallimento.
Come funziona? Funziona che se quel patrimonio del debitore è in grado di garantire il soddisfacimento nel
50% di tutti i crediti, ciascuno prenderà il 50%, avrà diritto al 50%, quindi se un creditore che aveva un credito
di €200.000, ne prenderà 100.000, quello che aveva un credito di 20.000 ne prenderà il 50%, quindi 10.000.
Ci sono dei creditori che hanno diritto essere preferiti rispetto ai creditori chirografari; queste ipotesi vengono
chiamate cause legittime di prelazione, causa che in presenza delle quali, i creditori, rispetto alle quali,
operano queste cause legittime di prelazione, hanno diritto ad essere preferiti rispetto ai creditori chirografari.
queste cause legittime di prelazione sono il privilegio, il pegno e l'ipoteca.
privilegi innanzitutto sono stabiliti dalla legge, che dice quali crediti debbano essere privilegiati, valutando
l'importanza, quindi come dice la norma, “in ragione della causa del titolo che ha fatto sì che il credito sia
sorto”, quindi ci sono crediti che vengono ritenuti meritevoli di essere prima di altri. La legge dice l'articolo
2745: “il privilegio è accordato dalla legge in considerazione della causa del credito”, cioè qual è la causa
che ha fatto sì che il credito sia sorto. esempio: fra i crediti la legge stabilisce un ordine dei crediti privilegiati,
non sono tutti privilegiati in maniera uguale, c’è un ordine, c'è un credito che è privilegiato al massimo grado,
ovviamente se ci sono crediti che sono tutti privilegiati lo stesso grado, anche lì si applicherà il principio della
par condicio creditorum. Fra i crediti che sono privilegiati al grado superiore vi sono i crediti tributari dallo
Stato, sono anche tutelati in maniera molto incisiva, e quindi sono privilegiati subito dopo questi, vi sono i
crediti dei lavoratori subordinati, che sono soggetti deboli e quindi meritano di essere tutelati. L'ordine dei
privilegi è disciplinato nell'Art. 2777 e seguenti codice civile.
I privilegi sono di due tipi: privilegio generale e privilegio speciale.
Il privilegio generale è il privilegio che incide su tutti i beni mobili del debitore, però non è opponibile ai terzi,
significa che se il debitore vende uno di quei beni, il creditore non può far valere il privilegio generale nei
confronti del terzo che ha acquistato il bene.
I privilegi speciali invece riguardano singoli beni Immobili o singoli beni mobili del debitore, e questi privilegi
sono opponibili ai terzi, quindi se Il debitore vende un bene immobile e sul quale insistono dei privilegi, il
creditore potrà far valere Il privilegio anche in danno di chi abbia acquistato quel bene immobile o bene mobile,
tant'è che si dice che il privilegio speciale è a tutti gli effetti un diritto reale di garanzia, quindi gode del diritto
di sequela.
Poi abbiamo due altre cause di prelazione che sono il pegno e l'ipoteca, che come sapete sono diritti reali di
garanzia, il pegno è un diritto di garanzia che ha ad oggetto cose mobili del debitore, articoli 2784 e seguenti,
ed è costituito a garanzia dell’obbligazione dallo stesso debitore o anche da un terzo, un terzo che presta
garanzia dando un suo bene per un debito altrui. Il pegno deve avere ad oggetto beni immobili, mobili, questo
è il caso più comune oppure può avere anche ad oggetto universalità di beni mobili (crediti), quindi si può
avere anche un pegno di crediti, o anche altri diritti, per esempio un usufrutto su beni mobili. La cosa
importante è che per costituirsi è necessario che l’oggetto di pegno venga consegnata al creditore, oppure, se
è una cosa che è rappresentata da un documento, gli venga consegnato il documento. la garanzia sorge, quando
il debitore o il terzo che costituisce il pegno, se ne disfano e consegnano questo bene al creditore.
Qual è il vantaggio di essere garantiti da pegno ipoteca o privilegio speciale? Primo vantaggio: se il debitore
vende il bene, il creditore può comunque aggredire a quel bene anche a discapito o a danno del terzo che l'ha
acquistato, perché opera il diritto di sequela, il diritto reale di garanzia, può essere fatto valere anche nei
confronti dei terzi. Altro aspetto importante, sul ricavato derivante dalla vendita di quel bene, sottoposto a
pegno, ipoteca ma anche privilegio speciale, sì soddisferà solo il creditore garantito, o i creditori garantiti, se
per esempio Ipoteche ce ne sono più di una, le case di pegno ci sarà un solo creditore, quindi se si venderà quel
bene, sul ricavato derivante dalla vendita di quel bene, si potrà soddisfare solo il creditore garantito, se rimane
qualcosa, a quel punto potranno rivalersi gli altri, e se una volta soddisfatti tutti i creditori, il residuo ricavato
andrà allo stesso debitore.
Invece l'ipoteca è un diritto reale di garanzia anch'essa ma ha ad oggetto beni diversi, l'ipoteca ha ad oggetto
principalmente beni immobili, ma può avere ad oggetto anche beni mobili registrati, anche se li ci sono delle
regole particolari, e anche le rendite dello Stato.
come viene costituito il diritto di ipoteca? Innanzitutto, ci vuole un titolo per costituire Il diritto di ipoteca. il
titolo può essere un titolo giudiziale, quindi una sentenza per esempio che condanna il debitore ad adempiere,
e un titolo per costituire ipoteca, e in quel caso si parla di ipoteca giudiziale. l'ipoteca può essere concessa
volontariamente dal debitore, l'ipoteca può avere ad oggetto anche un parere di un terzo, che vuole ovviamente
costituire volontariamente l’ipoteca per aiutare il debitore; può essere anche costituita con un accordo, quindi
un atto, anche unilaterale, col quale il debitore o il terzo, costituiscono ipoteca a favore del creditore, danno

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ipoteca a favore del creditore sul loro bene, in questo caso si parla di ipoteca volontaria; e poi infine ci sono
dei casi nei quali è la stessa legge che prevede che un soggetto posso avere diritto di iscrivere ipoteca, ipoteca
legale.
ipoteca legale, Art. 2817 e seguenti del codice civile; ipoteca giudiziale Art. 2818 e seguenti, ipoteca
volontaria, Art. 2821 e seguenti del codice civile.
L'ipoteca volontaria può essere concessa solamente con un atto avente forma scritta, una scrittura privata o un
atto pubblico. Però non basta che vi sia il titolo, l'ipoteca per sorgere è necessario iscrivere l'ipoteca nei pubblici
registri tenuti dalla conservatoria, i Registri Immobiliari, Cioè li stessi dove si trascrivono gli atti. L’ipoteca,
al contrario delle trascrizioni che hanno pubblicità dichiarativa, ha una pubblicità chiamata costitutiva perché
senza di essa non vi è l’esistenza quindi l'ipoteca non c’è.
Questa garanzia patrimoniale costituisce un'assicurazione, un istituto Importantissimo, il creditore fa
affidamento su questa garanzia patrimoniale e solo se questa garanzia patrimoniale esiste e viene conservata
egli poi effettivamente in caso di inadempimento, potrà realizzare il suo diritto di credito e lo potrà realizzare
coattivamente, quindi se il debitore non adempie, lo dovrà realizzare utilizzando gli strumenti del diritto, messi
a sua disposizione dall'ordinamento giuridico. Per questa ragione, la legge prevede dei mezzi di conservazione
della garanzia patrimoniale, cioè degli strumenti che servono proprio per reagire a situazioni che possono
mettere in pericolo questa garanzia patrimoniale a favore del creditore. Esempio: Se Tizio è proprietario di una
casa, costituisce ipoteca su questa casa, successivamente decide di venderla, il soggetto l’acquisterà gravata
da ipoteca (diritto di sequela), ipoteca che ovviamente sarà iscritta, (poiché se non è iscritta non esiste).
bisognerà anche trascrivere l'atto, perché se l'atto non è trascritto neppure si pone problema, nel senso che se
non è trascritto, non sarà neanche opponibile a terzi, però anche se l'atto di vendita sarà trascritto, il creditore
ipotecario farà tranquillamente valere il suo diritto di ipoteca, non importa se poi il bene è stato venduto o no,
il diritto di ipoteca è opponibile a qualsiasi terzo.
Mezzi o strumenti di conservazione della garanzia patrimoniale. (Art. dal 2900 al 2906)
Sono 3 tipi:
➢ azione surrogatoria (Art. 2900),
➢ Azione revocatoria (Art. 2901),
➢ sequestro conservativo (Art. 2905 e seguenti).

Azione revocatoria è un atto di disposizione da parte del debitore. il debitore pone in essere un atto di
disposizione di qualsiasi tipo, su un bene che fa parte del suo patrimonio, (lo vende, lo dona, lo da in locazione,
costituisce ipoteca) a favore di un altro creditore su quel bene, chiaramente questi atti possono essere
potenzialmente pregiudizievoli per il creditore. non basta che vi sia un atto, perché questo sia pregiudizievole,
è necessario anche un atto di disposizione; è necessario anche che vi sia un pregiudizio per le ragioni del
creditore. supponiamo che il debitore sia un soggetto miliardario e che il creditore abbia un credito di €20.000,
chiaramente non c'è alcun pregiudizio per il debitore. bisogna valutare che in concreto il pregiudizio vi sia,
badate che il pregiudizio non consiste nel fatto che si diminuisce il patrimonio, ma anche nel fatto che l'atto di
disposizione rende più difficile il soddisfacimento delle ragioni del creditore. Vendere un bene, anche a un
prezzo congruo, o addirittura anche a un prezzo conveniente, comunque reca un pregiudizio al creditore, perché
è molto più facile far scomparire il denaro rispetto a un bene.
A questi requisiti di carattere oggettivo, ci sono poi dei requisiti soggettivi, e qui si distingue a seconda del
tipo di atto di disposizione che abbia posto in essere il debitore, se il debitore ha posto in essere un atto
unilaterale o comunque un atto a titolo gratuito, è sufficiente come requisito soggettivo che il debitore
conoscesse che il pregiudizio che quell'atto stava arrecando alle ragioni del creditore, stiamo parlando
dell’articolo 2901. Questo requisito non è sufficiente, se l’atto posto in essere dal debitore un atto a titolo
oneroso, ovvero un atto stipulato con un altro contraente che fa sorgere dei sacrifici da entrambe le parti, quindi
non solo a carico del debitore, ma anche a carico del terzo.
esempio: un contratto di compravendita, il debitore ha venduto il bene e il terzo ha dovuto pagare il prezzo.
Qui c'è l'esigenza non solo di tutelare il creditore che ha interesse a evitare che la sua garanzia patrimoniale
venga ridotta, ma c'è anche l'interesse di tutelare il terzo che comunque ha acquistato un bene sostenendo un
sacrificio economico. se invece avesse acquistato gratuitamente tramite una donazione, non ci sarebbe
l'esigenza di tutelarlo.
Quindi se si tratta di atti a titolo oneroso, è necessario anche che il terzo sia partecipe, consapevole del
pregiudizio che quell'atto arrecava alle ragioni del creditore.

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Diritto Privato

Se si verificano e si riesce a dimostrare l'esistenza di tutti questi presupposti, qual è la conseguenza? La


conseguenza è che il creditore potrà rivalersi su quel bene, oggetto dell'atto di disposizione, come se quel bene
non fosse mai uscito dal patrimonio del debitore, quindi quell’ atto di disposizione sarà inopponibile al
creditore, ma possiamo dire che quell'atto di disposizione è invalido? È nullo? È inefficace? La risposta è no!
Perché è inopponibile, efficace solo nei confronti del creditore che ha agito con l'azione revocatoria, tant'è che
si parla di inefficacia relativa, cioè solo nei confronti del creditore, ma sarà valido ed efficace nei confronti di
tutti gli altri, quindi sarà valido ed efficace sia nei confronti del terzo, ma anche nei confronti di tutti gli altri
creditori diversi da quello che ha agito vittoriosamente con l’azione revocatoria.
L'effetto è che nei confronti del creditore che ha agito in revocatoria è come se quell'atto di disposizione non
fosse mai stato compiuto, quel bene fosse tuttora nei suoi confronti nel patrimonio del debitore, quindi è un
effetto importante, che consente al creditore di agire esecutivamente, di pignorare il bene, di metterlo in
vendita e soddisfarsi sul ricavato.

Lezione 16
6 maggio
Il contratto

Oggi affronteremo un tema centrale nello studio del diritto privato, OGGETTO DI NUMEROSE
DOMANDE IN SEDE DI ESAME e quindi richiedono un particolare approfondimento, per le parti che
non costruiranno oggetto di specifica trattazione operare una integrazione con le slide, che sono state
messe a disposizione dal collega Bandiera, nonché con il libro di testo e ovviamente l'integrazione
necessaria e fondamentale del codice Civile.

Il contratto. Partiamo proprio con l'analisi delle norme contenute nel titolo II del libro IV delle obbligazioni
che sono dedicate al contratto in generale. Da questa prima considerazione risulta evidente che ci troveremo
ad affrontare delle norme che hanno un'applicazione di carattere generalizzata, quindi si applicano a tutti i
contratti e a queste norme si affiancheranno delle regole che sono dedicate invece a specifici tipi contrattuali
(la vendita, la locazione, il comodato, ecc.) Che trovano la loro disciplina nell'ambito del titolo III che è
rubricato “dei singoli contratti”.
Norme di carattere generale.
La norma di apertura, Art. 1321, fornisce la nozione di contratto: “il contratto è l'accordo di due o più parti
per costituire, o estinguere tra loro un rapporto giuridico di tipo patrimoniale.” Dalla definizione di contratto
emerge in primo luogo la centralità dell’accordo, che si realizza attraverso la manifestazione di volontà di due
o più parti, quindi il contratto dal punto di vista della struttura si caratterizza proprio per la presenza di due o
più parti. Che cosa costituisce, regola o estingue un contratto? Un rapporto che è qualificato patrimoniale,
quindi il secondo elemento che emerge chiaramente dalla lettura dell’art. 1321 è che si può parlare di contratto
ogni qual volta l'accordo, tra due o più parti, si caratterizzi per un particolare contenuto di tipo patrimoniale;
cioè l'accordo deve essere suscettibile di valutazione economica. Questa considerazione ci consente di
distinguere il contratto da altri negozi giuridici, per esempio anche il matrimonio c’è l'accordo dei beni(?) Che
intendono contrarre matrimonio, tuttavia il rapporto che si intende regolare non è un rapporto di tipo
patrimoniale ma è un rapporto di tipo personale, quindi come vedete questo elemento della patrimonialità è un
elemento che caratterizza il contratto e che ci consente di distinguerlo da altre tipologie di negozi giuridici.
Quando abbiamo studiato la differenza tra atto, fatto e negozio giuridico abbiamo chiarito che il negozio
giuridico, da cui viene tratto, è un atto di autoregolamentazione di privati interessi, quindi attraverso il contratto
le parti disciplinano, regolamentano, privati interessi; ovviamente nei limiti consentiti dall' ordinamento
giuridico. A questo riguardo il legislatore, nell’art. 1322 detta una regola molto importante che individua
l’ambito di autonomia contrattuale. Sostanzialmente questa regola si basa su due principi fondamentali:
1. Le parti possono determinare liberamente il contenuto del contratto, nei limiti che sono imposti dalla legge.
Quindi supponiamo che due soggetti intendano stipulare un contratto di compravendita, potranno determinarne
il contenuto; quindi ad esempio potranno stabilire il prezzo della compravendita, potranno stabilire il luogo
dell’esecuzione, le modalità attraverso cui il contratto deve essere eseguito e così via, tutto ciò al fine di
regolare i propri interessi.
2. Il secondo comma dell’art 1322 pone una seconda regola che è espressione sempre dell’autonomia contrattuale
dei soggetti, cioè stabilisce che le parti possono anche concludere contratti che non appartengono ai tipi
che hanno una specifica disciplina purché siano diretti a realizzare interessi meritevoli di tutela secondo
l’ordinamento giuridico.

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Diritto Privato

Alla parte dedicata ai contratti in generale, segue una parte dedicata ai singoli contratti, il legislatore ha
sostanzialmente tipizzato alcuni schemi contrattuali dettando per essi una specifica disciplina (es. La vendita,
la locazione, la somministrazione, l’appalto, sono moltissimi i contratti Che il legislatore ha voluto tipizzare e
rispetto ai quale ha previsto una specifica disciplina legale.) Tuttavia, il legislatore ha lasciato anche alle parti
la libertà di individuare modelli, schemi di contratti che non necessariamente sono stati già oggetto di una
specifica disciplina legale. Quindi affianco ai cosiddetti contratti tipici possiamo individuare la categoria dei
cosiddetti contratti atipici, ovvero quei contratti che non corrispondono a tipi che sono stati oggetto di
espressa regolamentazione. Le parti, per realizzare i propri interessi di natura patrimoniale, possono anche
ricorrere a modelli o schemi che non sono stati già preventivamente individuati e regolamentati dal legislatore,
e lo posso fare in vario modo, quindi inventando degli schemi che non sono già previsti, purché ovviamente
gli interessi che attraverso questi schemi si intendono realizzare siano ritenuti dall’ordinamento meritevoli.
Possono ad esempio farlo modificando o combinando schemi già disponibili, supponiamo il contratto di
leasing, questo è un contratto che è stato posto in essere per realizzare interessi particolari delle parti e che
risulta dalla combinazione per esempio di una vendita contratto di riscatto dominio e una di locazione. Quindi
dalla combinazione di questi contratti sorge uno schema autonomo che è quello del leasing che ha ampia
applicazione dal punto di vista pratico. Può accadere poi a volte che i contratti innominati, e quindi non abbiano
originariamente costituito oggetto di specifica disciplina da parte del legislatore, successivamente si siano
affermati nella prassi e il legislatore abbia ritenuto di tipizzarli dettando per essi una disciplina che
originariamente era assente. È accaduto ad esempio per il contratto di franchising che era nato come un
contratto atipico e che oggi invece è espressamente disciplinato nella legge. È quindi verosimile che la
formazione di un determinato modello di contratto atipico possa poi nel tempo portare ad una sua tipizzazione
da parte del legislatore. Nell'ambito di queste disposizioni preliminari è opportuno richiamare anche l'Art.
1324 che individua quali sono le norme che trovano applicazione agli atti unilaterali. Nell'ambito del Codice
non troviamo una disciplina specifica dedicata ai negozi unilaterali, tuttavia, il legislatore prevede che, salvo
diverse disposizioni di legge, le norme che regolano i contratti si osservano, quindi trovano applicazione in
quanto compatibili, anche agli atti unilaterali tra vivi aventi contenuto patrimoniale. Perché si precisa atti
unilaterali tra vivi? Perché abbiamo anche un atto unilaterale mortis causa che è il testamento, il quale appunto
prevede una sua specifica disciplina.
A chiusura dell’analisi delle norme sulla parte generale del contratto, richiamo anche l'Art. 1323 dove si
prevede che tutti i contratti, anche qualora non appartengano dai tipi previsti dal legislatore, e quindi non
presentino una disciplina particolare specifica, sono comunque assoggettati alle norme generali contenute in
questo titolo. Nell'ambito delle disposizioni preliminari quindi, troviamo da un lato la nozione di contratto,
dall'altro l’affermazione dei limiti entro i quali i privati possono esprimere la propria autonomia contrattuale,
e troviamo anche una norma molto importante che ci dice che le regole applicate in materia di contratti
potranno avere applicazione anche agli atti unilaterali tra vivi aventi contenuto patrimoniale.
Analizzazione dettagliata del contratto
La norma che individua i requisiti essenziali del contratto: l’art 1325. I requisiti essenziali del contratto
sono:
1. L’accordo delle parti;
2. La causa;
3. L’oggetto;
4. La forma, quando risulta che è prescritta dalla legge sotto pena di nullità.

L’accordo: è essenziale perché il contratto si conclude, si perfeziona, proprio grazie al raggiungimento


dell’accordo tra le parti. Quindi l'accordo tra le parti costituisce un momento centrale al fine di individuare il
momento perfezionativo del contratto. Si dice tradizionalmente che l'accordo si realizza quando c'è una fusione
della volontà dei contraenti, e questa fusione si realizza attraverso una modalità varia di procedimenti di
conclusione del contratto. Il raggiungimento dell’accordo si può attuare attraverso una serie articolata di
procedimenti che danno luogo all’accordo tra le parti. Premessa: è evidente che l’individuazione del
perfezionamento del contratto, quindi l'individuazione del momento in cui l'accordo si realizza, è piuttosto
agevole nell’ipotesi in cui i contraenti si trovino nel medesimo luogo. Supponiamo che Tizio e Caio si trovino
nello stesso luogo, ad esempio nella stessa stanza, intenda l’uno vendere l'orologio e l'altro acquistare
l'orologio; si accordano su prezzo; raggiungono l'intesa sul contenuto del contratto; in questo caso diciamo è
piuttosto facile individuare se il contratto si è concluso, dove contratto si è concluso e quando il contratto si è
concluso. Quindi in presenza di situazioni nelle quali contraenti si trovano nel medesimo luogo il problema
del sé, dove e quando il contratto può considerarsi perfezionato e piuttosto agevole. I problemi invece si

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pongono ogni qual volta i soggetti non si trovano nel medesimo luogo, quindi al fronte di situazioni delle quali
i contraenti sono collocati in luoghi differenti, supponiamo tizio si trova a Cagliari e Caio si trova a Roma,
decidono di concludere un contratto, diventa molto più complesso comprendere se il contratto si è concluso,
quando si è concluso e dove si è concluso. Questi problemi vengono affrontati e risolti nelle regole contenute
nella sezione prima dell'accordo delle parti, che quindi sono dirette principalmente a disciplinare quelle
situazioni nelle quali i soggetti intendono concludere un contratto ma magari non si trovano nel medesimo
luogo. Ai fini della conclusione del contratto il legislatore individua una serie piuttosto articolata di
procedimenti di conclusione che conducono al raggiungimento dell'accordo. Tra questi il primo schema, di
portata molto ampia e generale, è individuabile nell’art 1326 del codice civile. È uno schema che si articola
secondo la modalità proposta-accettazione, un soggetto effettua la proposta che può essere accettata e
ovviamente sulla base di questa articolazione proposta e accettazione si può pervenire alla realizzazione di un
accordo. L’Art. 1326 si apre con una affermazione molto netta: il contratto è concluso nel momento in cui chi
ha fatto la proposta ha conoscenza dell'accettazione dell'altra parte. È evidente che ci troviamo in presenza di
una situazione siffatta, c'è un soggetto proponente che rivolge una proposta ad un altro soggetto accettante,
il quale accettando la proposta pone le condizioni per il perfezionamento del contratto.
Il primo problema che ci dobbiamo porre è quello del significato da attribuire all’Art. 1326 primo comma, il
quale stabilisce che il contratto è concluso nel momento IN CUI chi ha fatto la proposta ha conoscenza
dell’accettazione dell’altra parte, è qui si pone un primo serio problema. Come si fa a stabilire quando si è
verificata tale conoscenza? Come si può stabilire il momento in cui il proponente e ha conoscenza
dell'accettazione dell'altra parte? Partiamo dal presupposto che si tratti di persone che non si trovano nel
medesimo luogo. L’accettante che riceve la proposta invia una lettera al proponente la quale ad esempio
perviene al suo indirizzo; tuttavia, il proponente in quel momento non si trova a casa, non è in grado di poter
leggere la missiva che è intervenuta al suo indirizzo e torna a casa dopo 15 giorni, e quindi la legge dopo 15
giorni. La domanda che ci dobbiamo porre è questa: quando si è perfezionato il contratto? Nel momento in cui
il soggetto ha ricevuto la accettazione o nel momento in cui effettivamente ha letto la missiva? Il problema
viene risolto direttamente dal legislatore il quale detta una regola specifica nell’art. 1335 norma
fondamentalissima che deve essere letta in combinato disposto con il primo comma dell'art. 1326. Infatti,
l’Art. 1335 si pone una presunzione di conoscenza e si stabilisce che la proposta accettazione da loro revoca e
ogni altra dichiarazione diretta a una persona determinata si reputano conosciute, quindi c'è una presunzione
di coscienza, nel momento di giungono all’indirizzo del destinatario. Significa che una volta pervenuta
l’accettazione al domicilio del proponente si presume che tale accettazione sia stata conosciuta, anche se il
proponente in quel determinato momento non fosse presente nel suo domicilio e quindi si trovasse in un altro
luogo. Il momento di perfezionamento del contratto è collegato, non all’effettiva conoscenza da parte del
proponente in ordine all’avvenuta accettazione, ma è collegata a una risoluzione di conoscenza che coincide
nel momento in cui l'accettazione è pervenuta al domicilio del proponente. Si tratta di una presunzione che
ammette una prova contraria, anche se piuttosto limitata, infatti l’Art. 1335 stabilisce che si presume conosciuta
a meno che questi non provi di essere stato, senza sua colpa, nell’impossibilità di averne notizia. Questa prova
è una prova molto rigorosa, non sarebbe sufficiente dimostrare che si è fuori per un viaggio e quindi non si ha
avuto occasione di controllare la propria corrispondenza, si deve trattare di una impossibilità di carattere grave
non imputabile a sua colpa, soltanto in circostanze siffatte verrebbe meno la presunzione di conoscenza
prevista dall’art. 1335. Quali sono gli elementi che devono sussistere affinché il contratto possa diversi
concluso secondo lo schema dell'Art. 1326. In primo luogo, questa norma prevede che la proposta e
l’accettazione debbano essere conformi, ovvero la proposta e l'accettazione devono avere un contenuto
identico. Se tizio propone di vendere a 100€ il bene X e Caio a cui è rivolta la proposta, afferma di essere
disponibile ad acquistarlo non per 100€ ma per 50€ capite bene che non c'è conformità tra proposta e
accettazione. Questa eventuale dichiarazione dell'accettante equivalente ad una nuova proposta, soggetta
quindi a una ulteriore valutazione quindi colui che originariamente si poteva qualificare come proponente a
questo punto diventerà potenziale accettante, quindi dovrà valutare se quella dichiarazione modificativa
rispetto a quella originaria possa da lui essere accettata. Raggiunta la conformità tra proposta e accettazione, e
verificatesi le condizioni previste dall’Art. 1335, che danno luogo appunto a una presunzione di conoscenza
che è condizione necessaria per il perfezionamento del contratto, il contratto può ritenersi concluso. Vi sono
poi ulteriori regole di dettaglio che sono sempre previste dall’Art. 1326, ad esempio una l’accettazione deve
giungere al proponente nel termine da lui stabilito o da quello necessario secondo la natura dell'affare o degli
usi; il proponente può ritenere efficace l'accettazione tardiva purché ne dia immediato avviso all’altra parte.
Quindi sulla base dello schema previsto dall'art. 1326, il contratto è concluso nel momento in cui chi ha fatto

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Diritto Privato

la proposta ha conoscenza dell'accettazione dell'altra parte, ossia quella dichiarazione è pervenuta all’indirizzo
del soggetto destinatario.
Qualche considerazione sulla proposta e sull’accettazione.
La proposta e l’accettazione sono atti unilaterali i quali poi ci fonderanno nell’accordo, quando si realizza
quel procedimento previsto dall’Art. 1326. Quindi prima che si raggiunga l’accordo, proposta e accettazione
secondo la previsione del legislatore sono atti suscettibili di revoca. L'Art. 1328 infatti disciplina proprio il
caso di revoca della proposta e di accettazione e dice: la proposta può essere revocata fino a quando il
contratto non sia concluso, è chiaro che una volta concluso il contratto sorge un vincolo che comporta per le
parti l’obbligo di far fronte agli impegni assunti sulla base del contratto concluso e quindi una volta concluso
il contratto questo non può sciogliersi liberamente; il contratto si dice che ha forza di legge tra le parti e
quindi non può essere sciolto, se non in casi particolari cioè: per mutuo consenso qualora le parti siano
d’accordo allo scioglimento, o negli altri casi previsti dalla legge.
Quando si stipula un contratto assume un impegno e non può quindi liberamente sciogliersi dall' impegno che
ha assunto sulla base del contratto perfezione, però fino a quando il contratto non è concluso la proposta può
essere revocata.
Allo stesso modo, dall’ultimo comma dell’Art. 1328, emerge chiaramente che l'accettazione può essere
revocata, purché la revoca giunga a conoscenza del proponente prima dell’accettazione, perché se arrivasse
prima l'accettazione il contratto sarebbe già concluso e di conseguenza non sarebbe più possibile operare
mediante una revoca dell’accettazione. È anche vero che, nonostante la previsione legale che prevede la
revocabilità della proposta e dell'accettazione, è possibile che la proposta venga resa irrevocabile. Infatti,
l'Art. 1329 stabilisce che il proponente può obbligarsi a mantenere ferma la proposta per un certo termine,
quindi l’irrevocabilità della proposta può dipendere dalla volontà del proponente, il quale decide di mantenerla
ferma per un certo tempo. Se la proposta è irrevocabile laddove intervenga una revoca, tale revoca non avrebbe
effetto, quindi sostanzialmente non avrebbe nessuna conseguenza sulla irrevocabilità della proposta.
Altro strumento, col quale si può realizzare un effetto analogo, è disciplinato dall’Art. 1331 rubricato
“opzione”, si può anche dire più chiaramente “patto di opzione” perché qui l’effetto della irrevocabilità della
proposta è conseguente non a una scelta unilaterale del proponente ma ad un accordo. Infatti, secondo lo
schema dell'opzione le parti convengono che una di esse rimanga vincolata alla propria dichiarazione e l'altra
abbia la facoltà di accettarla o meno. Dice il legislatore: “la dichiarazione della prima si considera quale
proposta irrevocabile per gli effetti previsti dall’Art. 1329”, quindi sostanzialmente attraverso un patto si può
rendere irrevocabile la proposta, quindi una parte decide di mantenerla ferma e l'altra ha la facoltà di accettarla
o meno. Anche in questo caso come vediamo si realizza come effetto la irrevocabilità della proposta.
Qual è la differenza tra la proposta irrevocabile e l’opzione? La differenza va colta dal punto di vista della
struttura, perché mentre nella proposta irrevocabile la irrevocabilità dipende dalla volontà unilaterale del
proponente, nell’opzione l'effetto dell’irrevocabilità è conseguente ad un patto di opzione. Sostanzialmente
facendo un esame dello schema proposta-accettazione abbiamo già inteso che questo schema si caratterizza
per la presenza di due atti unilaterali, i quali, sono suscettibili di revoca e rispetto ai quali è anche ammessa la
possibilità di irrevocabilità della proposta il cui effetto si può realizzare o attraverso una proposta irrevocabile
o attraverso un patto di opzione.

Sulla base dell'analisi della sezione prima del capo secondo dedicato all’accordo delle parti, come ho già avuto
modo di chiarire l'accordo non si realizza soltanto con unico schema procedimentale, che è quello ad esempio
che abbiamo analizzato, proposta-accettazione, ma ci sono più schemi procedimentali grazie ai quali è
possibile pervenire al raggiungimento dell’accordo.
(È importante conoscere tutti gli schemi procedimentali perché noi li chiediamo spesso in sede di esame e
costituiscono oggetto molto spesso di riflessione utilizzando il codice, sintesi incisiva e chiara rispetto ai
manuali.)

Il secondo schema l'Art. 1327 è rubricato “esecuzione prima della risposta dell' accettante”, nei manuali questo
schema viene indicato con un'altra espressione e cioè “conclusione mediante inizio di esecuzione” perché qui
il procedimento volto alla conclusione del contratto si apre con una proposta ma non si chiude con un
accettazione, si chiude invece con un inizio di esecuzione, quindi lo schema, se lo volessimo esprimere in
maniera estremamente sintetica lo dovremmo rappresentare così: proposta-inizio di esecuzione, dove la
proposta è il momento di apertura del procedimento volto alla conclusione del contratto, inizio di esecuzione
è il momento di chiusura del procedimento, momento nel quale il contratto si deve ritenere concluso.
proposta->inizio di esecuzione.

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Diritto Privato

Facciamo però una considerazione a monte: questo schema dell'Art. 1327 non è uno schema di carattere
generale, non è che a fronte di una proposta il soggetto al quale la proposta è indirizzata ha la libertà di decidere
di chiudere il procedimento attraverso l'inizio dell’esecuzione, in realtà questa possibilità ricorre soltanto a
determinate condizioni (assolutamente fondamentale che voi ricordiate quali sono le condizioni affinché
schema dell'Art. 1327 posso trovare concreta applicazione).
Il legislatore dice: Qualora, su richiesta del proponente, quindi è necessario che ci sia richiesta da parte di
colui che effettua la proposta, o per natura dell'affare o secondo gli usi, quindi devo ricordare una di queste
condizioni, è possibile che la prestazione debba eseguirsi senza una preventiva risposta il contratto è concluso
nel tempo e nel luogo in cui ha avuto inizio l’esecuzione. Quindi in questo particolare schema, il contratto si
conclude nel tempo e nel luogo in cui ha avuto inizio l'esecuzione. Quindi l'inizio dell'esecuzione rappresenta
il momento perfezionativo del contratto, l'accordo si realizza nel momento in cui ha avuto inizio l'esecuzione
del contratto però ciò accade solo nell’ipotesi in cui gliene abbia fatto richiesta il proponente. Il proponente
nella sua proposta indica al destinatario che non è necessaria una preventiva risposta, ma che il contratto può
concludersi mediante l'inizio dell'esecuzione, oppure questa possibilità deve risultare in base alla natura
dell’affare o secondo gli usi. Nel momento in cui ricorrono queste condizioni è possibile che operi lo schema
proposta-accettazione, solo in questi casi dunque si può ritenere che l'inizio di esecuzione rappresenti il
momento perfezionativo del contratto e quindi il momento nel quale l'accordo si è perfezionato, si è raggiunto.
Le condizioni che consentono l’operatività di questo schema su richiesta del proponente oppure quando risulti
per natura dell'affare o secondo gli usi.
Stiamo molto attenti al secondo comma dell'Art. 1327 in sede di esame si ravvisano moltissimi errori.
Il secondo comma dell’Art. 1327 usa un’espressione che potrebbe causare un po’ di confusione. Il legislatore
dice: l’accettante, in questo caso è colui che ha inviato una preventiva risposta? No, perché il destinatario della
proposta deve limitarsi affinché contratto si concluda, si perfezioni, ad iniziare l'esecuzione, quindi l'inizio
dell’esecuzione è la condizione necessaria e sufficiente perché il contratto di concluda. In realtà quindi
l’accettante è colui che ha iniziato l'esecuzione non colui che ha inviato una dichiarazione di accettazione
alla controparte, che cosa deve fare in teoria l’accettante? Deve dare prontamente avviso all'altra parte
dell’iniziata esecuzione e in mancanza è tenuto al risarcimento del danno.
Vi faccio qualche domanda con riferimento alla modalità con la quale dal vostro punto di vista dovrebbe essere
interpretato il secondo comma dell’Art. 1327.
Prima domanda: se l’accettante non da prontamente avviso all’altra parte dell’iniziata esecuzione il contratto
secondo si è concluso oppure non si è concluso? Supponiamo che accettante abbia ricevuto dal proponente una
proposta della quale gli si chiede di perfezionare il contratto mediante inizio di esecuzione e tuttavia, iniziata
l'esecuzione l’accettante non avvisi l'altra parte dell’iniziata esecuzione. Il contratto in realtà si è già concluso.
Questo è un punto fondamentale da chiarire se dovessimo ritenere non concluso il contratto fino a quando
l’accattante non comunica all’altra parte la mancata esecuzione, non faremo altro che entrare nello schema
dell'Art. 1326 perché il perfezionamento del contratto anche in questo caso sarebbe determinato dal fatto che
il proponente abbia acquisito conoscenza dell'accettazione dell'altra parte, invece non è così, lo dice
chiaramente il primo comma “il contratto si è concluso nel tempo e nel luogo in cui ha avuto inizio
l'esecuzione” non possiamo avere dubbi, il contratto è concluso in quel momento specifico, non è richiesta
alcuna comunicazione all'altra parte ai fini del perfezionamento del contratto.
Il secondo comma risponde ad una logica diversa: parte dal presupposto che il contratto si sia già concluso, e
tuttavia, risponde ad un altro tipo di esigenza, ovvero all’esigenza che il proponente venga informato del fatto
che il contratto si è concluso. Bisogna tener a mente che ci troviamo in una situazione in cui i soggetti non
sono presenti, sono distanti, quindi è necessario che il soggetto venga informato dell'iniziata situazione e che
quindi venga informato del fatto che il contratto si è perfezionato, se tale l'informazione non dovesse pervenire
al proponente questi potrebbe eventualmente pensare che il contratto non sia concluso e magari rivolgersi
altrove subendo dei pregiudizi economici che a quel punto dovrebbero essere risarciti.
Sostanzialmente l’avviso che viene dato al proponente dall’accettante è in funzione di rendergli nota la
conclusione del contratto ed evitare che possa subire pregiudizi che poi sono suscettibili di risarcimento del
danno.
Analizziamo la seconda parte del primo comma dell'Art. 1328 che serve ulteriormente a chiarire nell'ambito
di operatività dell'Art. 1327.
L'Art. 1328 l'abbiamo già analizzato in parte; abbiamo detto che inizialmente individua il momento fino a
quale è possibile revocare la proposta, però prosegue questo Art. dice: “Tuttavia, se l’accettante ne ha
intrapreso in buona fede l’esecuzione prima di aver notizia della revoca, il proponente è tenuto a indennizzarlo
delle spese e delle perdite subite per l’iniziata esecuzione del contratto.” Si prevede quindi questa ipotesi: il

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Diritto Privato

soggetto revochi la proposta e che tuttavia l’accettante abbia intrapreso l'esecuzione del contratto, prima di
avere notizie della revoca della proposta, e lo abbia fatto in buona fede. In questo caso il proponente è tenuto
a indennizzare delle spese delle perdite subite per l’iniziata esecuzione.
Questa regola che abbiamo appena richiamato la regola secondo la quale a fronte di una revoca della proposta
e di un inizio dell'esecuzione prima di aver acquisito la conoscenza della revoca della proposta è una regola
che puoi trovare applicazione nello schema dell'Art. 1327? Secondo voi nell’Art. 1327, caratterizzato da una
modalità di perfezionamento del contratto che si apre con una proposta e si chiude con un inizio di esecuzione,
una volta iniziata la l’esecuzione c'è spazio per la revoca c'è ancora la possibilità di revocare? No, perché una
volta che è iniziata l'esecuzione il contratto si è concluso e non c'è più spazio per una revoca, perché ormai il
perfezionamento del contratto è già intervenuto. Quindi la seconda parte del primo comma dell’Art. 1328 si
riferisce allo schema dell’art. 1326, allo schema cioè che si articola secondo la modalità proposta-
accettazione. Es.: se Tizio ha ricevuto una proposta ma non sussistono le condizioni dell’Art. 1327, cioè il
proponente non gli ha detto che poteva concludere il contratto mediante l'inizio di esecuzione, né ciò risulta
dalla natura dell’affare o risulti dagli usi, nell’ipotesi in cui inizi l’esecuzione lo fa a suo rischio e pericolo.
Quell’inizio di esecuzione non è idoneo a perfezionare il contratto, con la conseguenza, che non essendosi
perfezionato il contratto, è ancora possibile revocare la proposta e dunque laddove intervenga una revoca della
proposta, nonostante il destinatario della proposta abbia iniziato l’esecuzione, quella revoca produce effetto.
Solo che il legislatore si pone il problema di tutelare anche l'interesse di colui che ha intrapreso l’esecuzione
in buona fede e quindi ammette la possibilità di riconoscergli un indennizzo per le spese e le perdite subite per
l’iniziata esecuzione del contratto. Il contratto non si è perfezionato perché non si è realizzato né schema
dell'Art. 1327, perché mi mancavano i presupposti; né lo schema dell'Art. 1326, perché il perfezionamento
presuppone che il proponente abbia conoscenza dell’accettazione, ma qui la proposta viene revocata prima che
il contratto sia concluso. Questo è importante per capire che l’Art. 1327 non è uno schema che ha un ambito
di applicazione generalizzato cioè non è che a fronte di una proposta il destinatario di essa abbia la possibilità
di scegliere se concluderla mediante una accettazione inviata al domicilio del proponente o mediante un inizio
di esecuzione. La possibilità di perfezionare il contratto mediante inizio di esecuzione presuppone che
ricorrano i presupposti indicati nell’Art. 1327, diversamente un inizio di esecuzione al di fuori di quella
fattispecie, quindi un inizio di esecuzione posto essere autonomamente dal destinatario della proposta non è
idoneo al perfezionamento del contratto.
Il terzo schema di perfezionamento del contratto: l'Art. 1333 è rubricato “contratto con obbligazioni del solo
proponente” si tratta in realtà di una fattispecie nella quale la proposta è diretta a concludere un contratto dal
quale sorgono obbligazioni solo a carico del proponente e non sono obbligazioni a carico del destinatario della
proposta. Perché non dovrei essere favorevole alla conclusione di un contratto quando le obbligazioni sono
solo a carico del proponente e io che sono destinatari della proposta non ho a mio carico nessun tipo di
obbligazione? Normalmente una situazione di questo tipo c'è una situazione di vantaggio per il destinatario
della proposta, e proprio di ciò tiene conto il legislatore nell’individuare la modalità attraverso cui si perviene
alla conclusione del contratto. Volendo sintetizzare questo schema di conclusione del contratto dovremmo dire
che: questo schema si apre con una proposta che prevede obbligazioni a carico del solo proponente e si
chiude con un mancato rifiuto della proposta.
Proposta -> mancato rifiuto.
Dice l'Art. 1333: “la proposta diretta concludere un contratto da cui derivino obbligazioni solo per il
proponente è irrevocabile appena giunge a conoscenza della parte alla quale viene destinata”. Quindi un
primo effetto che si ricollega alla presenza di una proposta con obbligazioni a carico del solo proponente è una
irrevocabilità della proposta, una volta pervenuta a conoscenza della parte a cui è destinata, una irrevocabilità
che è deriva per legge.
La proposta può essere irrevocabile:
• Perché lo decide il proponente unilateralmente, proposte irrevocabile;
• L’effetto delle irrevocabilità della proposta può derivare da un accordo tra proponente e accettante, cosiddetto
patto di opzione, con cui una parte rimane vincolata alla propria dichiarazione e l'altra ha la facoltà di
accettarla o meno;
• Terzo caso la irrevocabilità può derivare dalla legge, per questa circostanza si realizza nell’ipotesi in cui si
sia in presenza di una proposta che prevede obblighi a carico del solo proponente.
Questo è un primo effetto legale vediamo adesso come si perfeziona il contratto in presenza di una proposta
siffatta. L'Art. 1333 del secondo comma stabilisce che: “il destinatario può rifiutare la proposta nel termine
richiesto dalla natura dell’affare o dagli usi. In mancanza di tale rifiuto il contratto è concluso”. Non è
necessaria una dichiarazione di accettazione, non è necessario un inizio di esecuzione del contratto, qui è

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sufficiente che il destinatario non rifiuti la proposta nel termine che risultata dalla natura dell’affare o dagli
usi. Quindi lo schema procedimentale che in questo caso caratterizza il perfezionamento del contratto si
individua secondo questa modalità: proposta mancato rifiuto.
Quindi abbiamo analizzato per il momento tre schemi:
1. Il primo è quello classico Art. 1326 schema che si apre con una proposta e si chiude con una accettazione che
giunge a conoscenza del proponente;
2. Secondo schema Art. 1327 procedura si apre con una proposta e si chiude con un inizio di esecuzione quando
sussistono le condizioni indicate nell’Art. 1827;
3. Terzo schema Art. 1333, il contratto si apre con una proposta che si caratterizza per un particolare contenuto
in quanto da quella proposta derivano obbligazioni solo a carico del proponente e il contratto si perfeziona solo
in assenza del mancato rifiuto del destinatario della proposta.
A questi tre schemi base poi si affiancano una serie di ulteriori sotto tipologie di schemi in particolare: l'offerta
al pubblico, Art. 1336 rappresenta una lieve variazione rispetto allo schema proposta-accettazione in quanto
qui l'offerta non è indirizzata ad un soggetto determinato, quindi non c'è una proposta diretta ad un determinato
soggetto ma c'è un'offerta rivolta al pubblico e quando l'offerta è rivolta al pubblico se contiene gli elementi
essenziali del contratto chiaramente vale come una proposta. Immaginiamo che il negoziante metta in vendita
la merce quindi esponga in vetrina un pullover indicando anche il prezzo, quindi indica tutti gli elementi
essenziali alla conclusione del contratto. Non siamo in presenza di una proposta diretta nei confronti di un
soggetto determinato, quindi siamo in presenza di una offerta al pubblico. C'è una particolarità in questa
ipotesi: se si vuole effettuare una tale revoca deve essere fatta nella stessa forma dell'offerta o in forma
equipollente, una volta fatta in queste modalità produce effetti anche nei confronti di chi non ne ha avuto
notizia. Quindi supponiamo che il negoziante ritiri dalla vetrina l’oggetto di vendita quindi sostanzialmente
revochi la sua offerta e lo faccia con una modalità che è equipollente a la forma che aveva utilizzato quando
ha fatto l'offerta al pubblico tale tipo di revoca ha efficacia anche nei confronti di chi non ne ha avuta notizia.
Analisi Art. 1341 e 1342.
La prima norma è rubricata “condizioni generali di contratto”, la e seconda norma invece è rubricata “contratto
concluso mediante moduli o formulari”.
Che cosa sono le condizioni generali di contratto? Le condizioni generali di contratto sono delle condizioni
predisposte per regolare una pluralità di contratti; sostanzialmente sono condizioni destinate a trovare
applicazione con riferimento a contratti che vengono conclusi con utenti. Normalmente le condizioni generali
sono poste in essere da professionisti e sono destinate a trovare applicazione in una pluralità di casi. Se stipulo
un contratto con la compagnia telefonica, io non farò un contratto individuale con la compagnia ma
quest’ultima avrà già predisposto delle condizioni generali di contratto rispetto alle quali io mi troverò nella
situazione di poter aderire o meno. Quindi la posizione in questo caso del soggetto accettante è una posizione
di adesione o meno rispetto alle condizioni generali che sono state poste. Dice il legislatore che: “le condizioni
generali predisposte da uno dei contraenti (quindi uno solo dei contraenti) sono efficaci nei confronti dell'altro
se al momento della conclusione del contratto questi le ha conosciute o avrebbe dovuto conoscerle usando
l'ordinaria diligenza.” Quindi una condizione di efficacia delle condizioni generali è rappresentata dal fatto
che il soggetto che aderisce al contratto, e dà luogo al perfezionamento del contratto, le conoscesse, le abbia
conosciute o le avrebbe dovute conoscere usando l’ordinaria diligenza.
Il secondo comma individua però delle condizioni che possono risultare particolarmente gravose per il soggetto
che aderisce al contratto e in particolare delle clausole che vengono qualificate proprio per questa ragione
vessatorie. Il secondo comma dell’Art. 1341 stabilisce che: “in ogni caso non hanno effetto, se non sono
specificatamente approvate per iscritto, le condizioni che stabiliscono, a favore di colui che le ha predisposte,
(una serie di condizioni che risultano essere gravose per la controparte) limitazioni di responsabilità, facoltà
di recedere dal contratto o di sospenderne l'esecuzione, ovvero sanciscono a carico dell'altro contraente
decadenze, limitazione alla facoltà di opporre eccezioni, restrizioni alla libertà contrattuale nei rapporti coi
terzi tacita proroga o rinnovazione del contratto, clausole compromissorie o deroghe alla competenza
dell'autorità giudiziaria.” In questo caso l’efficacia di queste clausole che sono particolarmente gravose per il
soggetto che conclude il contratto, per poter produrre effetti devono essere specificatamente approvate per
iscritto, quindi è richiesta una specifica approvazione scritta. L’Art. 1341 da appunto l'idea di una situazione
di asimmetria contrattuale dove c'è un contraente più forte, che è quello che ha predisposto le condizioni
generali di contratto, e c'è un contraente meno forte, colui che non ha la possibilità di incidere sulle condizioni
generali che sono state predisposte e che quindi trova in una situazione di debolezza rispetto alla controparte.
Il legislatore già nel 1942, aveva compreso che si possono verificare, nell’ambito del regolamento contrattuale,
delle situazioni che danno luogo a delle particolari asimmetrie nella forza dei rapporti tra le parti. Questa norma

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merita un particolare approfondimento perché include una norma più ampia che è quella che riguarda il
rapporto tra professionista e consumatore. Infatti, il rapporto tra professionista e consumatore originariamente
trovava la sua disciplina, in presenza di clausole vessatorie, di clausole abusive, svantaggiose per il
consumatore, nell’Art. 1341. Attualmente è regolamentata in maniera molto più ampia nel codice del consumo
che detta regole ancora più forti a tutela del soggetto contraente debole quando si instaura una relazione tra
professionista e consumatore.
L’Art. 1342 fa riferimento all’ipotesi in cui il contratto venga concluso mediante moduli o formulari. Molte
volte per esempio se vado da un'agenzia immobiliare per acquistare un immobile trovo un modulo già
precompilato, quindi sostanzialmente c'è una situazione nella quale mi viene sottoposto un modulo dove ci
sono per esempio le condizioni per la proposta di acquisto; qui il legislatore prevede che qualora si operi tramite
i moduli o formulari le clausole aggiunte al modulo o al formulario prevalgono su quelle che sono stampate
qualora siano incompatibili con esse.
Si osserva inoltre la disposizione del secondo comma dell'Art. precedente e quindi anche qui, qualora si sia in
presenza di clausole particolarmente gravose per il soggetto debole sarà necessaria una specifica approvazione
per iscritto. (torneremo prossimamente all’art. 1341)
Un altro schema fondamentale che opera in maniera diversa rispetto a quelli che abbiamo visto finora. Esiste
l’ipotesi nella quale il raggiungimento dell'accordo, del mero accordo tra le parti non è sufficiente per il
perfezionamento del contratto, ma oltre all’accordo è necessaria la consegna della cosa, questi sono i cosiddetti
contratti reali per i quali ai fini del perfezionamento non è sufficiente il meno raggiungimento dell'accordo
ma è necessaria anche la consegna del bene. Sono di numero limitato (per esempio il deposito, il mutuo, il
comodato ecc.) sono contratti rispetto ai quali il perfezionamento richiede non solo accordo ma anche la
consegna quindi diciamo che ai fini del perfezionamento del contratto bisogna distinguere due grandi categorie
di contratti:
I contratti consensuali, secondo il quali il perfezionamento del contratto si realizza con il nero raggiungimento
dell'accordo, dei quali appunto rientrano peraltro tutti gli schemi che abbiamo appena analizzato
Contratti reali, i quali al fine del perfezionamento richiedono non solo il raggiungimento dell’accordo ma
anche la consegna della cosa.

(torneremo e nel prossimo incontro, visionare codice perché sintesi molto efficace rispetto a ciò che trovate
nei rispettivi manuali)

Lezione 17
11 maggio

Nella lezione precedente abbiamo affrontato il problema dell’accordo contrattuale, e in particolare modo
abbiamo esaminato gli articoli dal 1326 al 1342. Ricordo molto sinteticamente che l’accordo costituisce uno
dei requisiti essenziali del contratto che si esprimono attraverso la funzione di volontà dei contraenti che
appunto si esprimono attraverso atti unilaterali, si realizza l’accordo contrattuale che è alla base del
perfezionamento del contratto e che appunto ha un regolamento vincolante tra le parti successivo alla sua
conclusione. Ora, ricorderete che abbiamo analizzato una pluralità di elementi di formazione del contratto.
Abbiamo chiarito che le regole dall’art. 1326 e ss. sono tendenzialmente regole dirette ad operare con un
riferimento ai c.d. contratti tra persone che non si trovano nel medesimo luogo. Quindi queste regole sono
poste a fornire delle risposte certe in ordine, se, quando e dove il contratto si è concluso. Abbiamo detto che
i procedimenti attraverso i quali si può pervenire al raggiungimento dell’accordo sono vari, molteplici.
Abbiamo analizzato lo schema proposta accettazione, lo schema proposta inizio persecuzione, ecc.… In tutti
questi casi ci troviamo in presenza di contratti il cui perfezionamento si realizza a seguito del raggiungimento
dell’accordo. Ma c’è anche un’altra modalità di perfezionamento che non ritiene sufficiente ai fini del
perfezionamento del contratto, il mero raggiungimento dell’accordo, ma richiede anche la condegna della
cosa, ecco perché si opera dal punto di vista del perfezionamento del contratto una distinzione fondamentale
tra consensuali (quei contratti per il cui perfezionamento è sufficiente l’accordo), e i contratti c.d. reali, per i
quali al fine del perfezionamento, non è sufficiente il mero accordo ma è necessaria anche la consegna. Sono

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fattispecie molto più utilizzate (mutuo, deposito), sono situazioni nelle quali il perfezionamento del contratto
non si realizza con il conseguimento del mero consenso ma necessita anche della consegna della cosa.
Ora parlando dell’accordo, sarei tentata dal proseguire il ragionamento analizzando gli altri requisiti
essenziali del contratto, infatti, l’art. 1325 chiarisce che il contratto richiede la presenza di 4 requisiti:
- L’accordo (tra le parti)
- La causa
- L’oggetto
- La forma (solo quando è prescritta dalla legge sotto pena di nullità)
Tuttavia, prima di analizzare questi 4 fondamentali elementi del contratto. Importanti perché la mancanza di
uno degli elementi essenziali del contratto, da luogo ad una invalidità del contratto, che è appunto la
annullabilità. Ai fini della validità del contratto, e più in generale del negozio giuridico è necessario che il
soggetto abbia la capacità di agire. Quindi il contratto concluso ad esempio da un minore, da un interdetto,
da un soggetto riabilitato che compie atti di ordinaria amministrazione, è un contratto invalido ed in
particolare è annullabile. Cosa significa? Siamo in presenza di un contratto che è produttivo di effetti e che
tuttavia presenta degli effetti non stabili, in quanto questi possono essere eliminati attraverso la proposizione
dell’azione di annullabilità e il suo conseguente accoglimento, in questo caso gli effetti che il contratto ha
prodotto vengono meno. L’altra forma di invalidità invece è rappresentata dalla nullità (ovviamente poi
torneremo sul tema, ora faremo solo un cenno che ci permetta di individuare le differenze tra le due forme
di invalidità). In particolare, in presenza di una nullità il contratto non produce effetti ab originem, quindi
dobbiamo stare attenti e tenere bene presente che il concetto di invalidità non coincide con il concetto di
efficacia: perché un contratto invalido può essere efficace, ipotesi tipica quella del contratto annullabile che
produce effetti fino a quando non viene accolta la domanda di annullamento, e solo da quel momento in poi
cesseranno gli effetti del contratto; Mentre è possibile che un contratto sia invalido ed inefficace, cioè
improduttivo di effetti, questa è la fattispecie che si determina ogni qualvolta il contratto è nullo. Ovviamente
quando studieremo bene il contratto, esamineremo nel dettaglio quali sono tutte le ipotesi che danno luogo
alla nullabilità del contratto. Per quanto attiene all’annullabilità, noi sappiamo già che causa di annullabilità
del contratto sicuramente è l’incapacità (sia legale che naturale) della parte. Tra le ipotesi di annullabilità del
contratto però, ricadono anche i c.d. vizi della volontà ed in particolare, in questo momento ne parlo perché
avendo studiato l’accordo dovrebbe essere a tutti chiaro che l’accordo è la fusione degli intenti delle volontà
dei soggetti, quindi la premessa è che queste volontà dei soggetti volte al raggiungimento dell’accordo e al
perfezionamento del contratto si siano manifestati in maniera corretta. Ci sono però delle ipotesi in cui si
realizzano dei vizi della manifestazione della volontà e in questi vizi ovviamente si riflette il contratto
determinando come conseguenza la sua attività. Ecco perché se voi prendete l’art. 1425 cc. Trovate in primo
luogo che l’annullabilità può essere in primo luogo determinata da incapacità (legale o naturale) di una parte.
Altra ipotesi che possa dar luogo il determinare l’annullabilità del contratto sono proprio i vizi della volontà,
cioè ogni qualvolta vado lontano, diretta alla realizzazione di un accordo, per una serie di ragioni che adesso
esamineremo non si forma in maniera corretta. In particolare, i vizi della volontà sono 3: errore, violenza e
dolo. Si tratta situazioni nelle quali il procedimento di formazione della volontà risulta essere alterata. “Vizi
del consenso”, significa che si è determinata una situazione che ha inciso sulla corretta formazione del
consenso, e quindi tale situazione non può non incidere sulla validità del contratto. Contratto che è un atto
di autoregolamentazione degli interessi dei soggetti e che appunto è volto proprio a realizzare quegli interessi
che sono voluti dai soggetti. Quindi è ovvio che qualora si determini un’alterazione del procedimento di
formazione della volontà, questa alterazione diventa rilevante ed incide sulla validità del negozio. Quindi
possiamo già dire che pur non avendo studiato nel dettaglio la annullabilità, siamo in grado di esprimere un
concetto importante e cioè la individuazione delle cause che danno luogo all’annullabilità del contratto e che
sono riconducibili o all’incapacità delle parti o ai vizi della volontà.
Cosa dice l’art 1427: il contratto il cui consenso fu dato per errore, estorto con violenza, carpito con dolo,
può essere annullato secondo le disposizioni seguenti:
- L’errore è un vizio della volontà che sostanzialmente consiste in una falsa rappresentazione
della realtà. Quindi il soggetto ha una rappresentazione alterata della realtà e sulla base di
questa alterazione esprime un senso che ovviamente non è corrispondente alla realtà delle

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cose. Secondo il nostro ordinamento NON qualsiasi errore è causa di annullamento del
contratto, ma perché l’errore sia causa di annullamento del contratto, deve avere certe
caratteristiche. In particolare, deve essere un errore di tipo essenziale, si dice genericamente
che dev’essere un errore che ha inciso sul processo di formazione della volontà. Il nostro
legislatore indica in maniera precisa quali sono le circostanze secondo le quali un certo
errore può essere qualificato come un errore essenziale, in particolare questo risulta nell’art.
1429. Per esempio, l’errore è essenziale quando cade sulla natura dell’oggetto del contratto:
poniamo che tizio volesse comprare una vite ed invece di comprare una vite per errore
compra un chiodo. Chiaramente si presenta un errore sull’oggetto del contratto; Seconda
ipotesi, l’errore è essenziale quando cade sulla qualità dell’oggetto del contratto: tizio vuole
acquistare lana di pecora ed invece per errore compra una lana sintetica. Anche qui il suo
processo di formazione della volontà non si è determinato in maniera corretta perché a
monte di quel processo di formazione della volontà, vi è un errore che ha condizionato la
sua scelta. Ancora, dice il numero 3 dell’art. 1429, è essenziale un errore quando cade
sull’identità o qualità del contraente: Io penso di concludere un contrato con Tizio ed invece
erroneamente sto concludendo un contratto con Caio. In questi casi c’è un errore sulla
persona che dà luogo all’annullamento del contratto. L’ultimo comma si riferisce ad un tipo
di errore diverso rispetto a quelli che abbiamo fino ad ora analizzato. Infatti, tutti gli errori
che abbiamo richiamato in precedenza sono errori c.d. di fatto, cioè che incidono su elementi
fattoriali.
Ma nel nostro ordinamento esiste anche il cd. errore di diritto (che si contrappone all’errore di fatto), questo
errore riguarda una norma giuridica, un errore che riguarda l’ignoranza di una norma giuridica. Poniamo che
Tizio acquisti un terreno, erroneamente credendo che sia un terreno sul quale possa essere costruita
un’abitazione (terreno edificabile), e che questa valutazione è erronea perché appunto ignora la conoscenza
della norma che reclude la possibilità di costruire su quel terreno e conclude un contratto che sicuramente
presenta un vizio della volontà, perché è basato sulla mancata conoscenza di una norma giuridica, quindi su
un errore di carattere giuridico. Ebbene in questi casi dice l’art. 1429 che affinché l’errore possa essere causa
di annullamento del contratto dev’essere stata la ragione unica o principale del contratto. Quindi qui vedete
la rilevanza della essenzialità che è molto forte, non è sufficiente che sia stato solo determinante del contratto
e della volontà, ma è necessario addirittura che sia stata la ragione unica o principale che ha condotto il
soggetto al contratto.
Ebbene mi potreste sollevare una domanda: Ma come mai si attribuisce rilevanza ad un errore di diritto
quando noi conosciamo una regola altrettanto ambia secondo la quale l’ignoranza della legge non è una
causa di giustificazione? “Ignorantia legis non excusat”? Come si concilia questo principio dell’ignorantia legis
con il principio della rilevanza ai fini dell’eventuale annullamento del contratto dell’errore di diritto? Ebbene,
per poter rispondere a questa domanda dobbiamo tenere presente che le due regole che vi ho richiamato:
quella regola dell’ignorantia legis non excusat e la regola secondo la quale in presenza di un errore di diritto
che ha rappresentato la ragione unica o principale del contratto, il contratto è annullabile, deve essere
considerata perché queste regole operano su piani diversi. Facciamo un esempio pratico partendo dal caso
concreto: Poniamo che io abbia acquistato il terrendo pensando che questo sia edificabile, la regola secondo
la quale l’ignoranza della legge non giustifica, porta a dire che quel soggetto non potrebbe comunque
costruire su quel terreno che ha acquistato perché se costruisce non potrebbe abdurre come giustificazione
alla costruzione abusiva la circostanza che non conosceva la norma sulla inedificabilità. Quindi diciamo che il
principio secondo cui l’ignoranza di una norma giuridica non è una scusa, porta ad impedire che quella
ignoranza possa essere abdotta come motivazione per giustificare l’ottenimento di un risultato proibito dalla
legge. Ma facciamo adesso un’altra ipotesi, e questa è quella che concerne la possibilità di annullamento del
contratto per errore: supponiamo che Tizio abbia acquistato un terreno per edificare sul suolo e che questa
edificazione abbia costituito la ragione unica o principale del contratto: che cosa succede? Qui è caduto
sicuramente in un errore di tipo essenziale. Tuttavia, il soggetto cosa chiede? Che tipo di tutela chiede? Non

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chiede di voler realizzare il risultato vietato, cioè non chiede al giudice “non conoscevo la norma sulla
inedificabilità del suolo e pertanto pretendo di edificare sul terreno” (questo sarebbe in contrasto sul
principio ignorantia legit non excusat, ma chiede che in ragione della formazione alterata della sua volontà,
in ragione del fatto che è caduto in errore, il contratto possa essere annullato, cioè possano essere eliminati
gli effetti prodotti dal contratto in quanto il suo procedimento di formazione della volontà si è determinato
in maniera alterata. Quindi come vedete si tratta di due situazioni che sono profondamente diverse, perché
in un caso si chiede di poter ottenere un risultato vietato, e questo sarebbe impedito sulla base del principio
ignorantia legit non excusat, in altri casi, si fa presente che c’è stata un alterazione del processo di formazione
della volontà purché si è caduti in errore, se l’errore di diritto è essenziale, a condizione che riporrà anche un
altro elemento che ora prenderemo in considerazione, il contratto può essere annullato.
Se non che, l’errore per dar luogo all’annullamento del contratto si chiede un ulteriore requisito, voi sapete
che il contratto è un accordo tra due o più parti per costituire (o estinguere) un regolare rapporto giuridico
di tipo patrimoniale. Ora è chiaro quindi che ci sarà la presenza dell’altro contraente, e la posizione di questo
non è indifferenze ai fini dell’eventuale annullabilità del contratto per errore. Infatti, l’art. 1431 prevede un
secondo requisito, che deve essere presente ai fini dell’ottenimento dell’annullamento del contratto per
errore: Il primo (come abbiamo visto) è che l’errore sia essenziale, cioè cada su una serie di elementi che
sono indicati dal legislatore, mentre oltre all’essenzialità, l’errore deve essere anche riconoscibile. La norma
dice: “l’errore si considera riconoscibile quando in relazione al contenuto e alle circostanze del contratto…”,
ovvero alla coalità dei contraenti, dice,” …una persona in una normale dirigenza, avrebbe potuto rilevarlo".
Quindi che cosa sta cercando di indicare come regola il legislatore, sta dicendo: “l'errore per essere causa di
annullamento dev’essere in primo luogo essenziale, ma è necessario anche che sia riconoscibile da una
persona di normale dirigenza”.
Vi pongo una domanda: secondo voi questo requisito della riconoscibilità a quale dei due contraenti si
riferisce, cioè l'errore deve essere riconosciuto da colui che è caduto in errore o dev’essere riconosciuto dalla
controparte? Dev’essere o meglio più che riconosciuto, riconoscibile. Ragioniamo insieme, certamente se un
soggetto cade in errore, proprio perché “cade" in errore vuol dire che l’errore in quel momento non lo ha
riconosciuto (o non sarebbe caduto in errore).
Supponiamo che io vada da un gioielliere e decida di acquistare un anello, supponiamo che io sia un soggetto
molto allergico e di conseguenza non posso acquistare un anello di qualsiasi materiale ma devo acquistare
un anello di platino perché è l’unico tipo di materiale che non mi provoca allergia. È chiaro che se io entro
nel negozio prendo l’anello cadendo in errore nella convinzione di aver acquistato un anello di platino ed
invece era di metallo, succede che tornando a casa mi accordo che mi si è creata una forte allergia. Per me
quell’errore non poteva essere riconoscibile quindi dobbiamo escludere assolutamente quel requisito della
riconoscibilità che possa essere riferito al soggetto che è caduto in errore. Il requisito della riconoscibilità è
invece al contrario riferito alla controparte con cui, il soggetto che ha concluso il contratto cadendo in errore,
è entrato in relazione. Cerchiamo di capire perché dev’essere riconoscibile l’errore dalla controparte:
supponiamo che io ritorni dal gioielliere dopo una settimana e dica al gioielliere “io ora aggirò con
l'annullamento del contratto perché mi sono resa conto, quando sono tornata a casa di essere caduta in
errore, in quanto pensavo di aver acquistato un oggetto in platino ed invece era di un altro metallo che mi
crea enormi problemi di allergia" che cosa mi potrebbe dire il gioielliere: “ signora ma io come facevo a sapere
che lei doveva necessariamente acquistare un oggetto di platino e che qualsiasi altro metallo non potesse
essere adatto? Io non potevo sapere dell’errore in cui lei è caduta quindi, per quanto mi riguarda il contratto
è pienamente valido e non può essere accolta eventuale azione di annullamento”. Le cose infatti, andrebbero
proprio così perché dobbiamo tener presente che c’è il cosiddetto principio dell’affidamento, per cui badate
bene che bisogna proteggere anche il posto della controparte. Cioè la certezza dei traffici giuridici
presuppongono che vi sia anche una tutela dell’altro contraente che altrimenti sarebbe sempre esposto ad
un rischio troppo grave, troppo alto, che dopo aver concluso un contratto qualcuno dov’esse contestare il
contratto stesso in ragione del fatto che magari è caduto in un errore che la controparte non era tenuto a
conoscere e non conosceva. Sarebbe diversa la situazione qualora io mi recassi dal gioielliere e dov’essi
informarlo della mia allergia. A questo punto nel momento in cui scelgo l’anello che non ha caratteristiche a
me adeguate il gioielliere è nella posizione di rendersi conto che sto per cadere in errore e quindi in ragione
di ciò si trova nella posizione di poterlo comprendere, e di conseguenza, non c’è più ragione di tutelare il suo
affidamento poiché era nella ragione di conoscere.

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Poniamo un altro caso: Tizio si reca in un negozio dove vendono stoffe e dice alla signora: devo comprare
una quantità di seta tale da poter fare una camicetta, dopo di che chiede 10 metri di seta (quantità
sproporzionata rispetto alla quantità utile ai fini della realizzazione della camicetta) in questo caso la
controparte stando nella normale diligenza è nella condizione di capire che sto cadendo in errore. Quindi non
c’è ragione di operare un meccanismo di tutela della controparte che invece ha ragione d'essere
perfettamente giustificabile, quando l’altra parte non è minimamente nella condizione di sapere che sta
cadendo in errore.
Ora, dobbiamo passare a considerare gli altri elementi che incidono sulla corretta formazione della volontà
(non ho potuto trattare tutti i passaggi sull'errore, ho cercato di evidenziare quelli che mi sembrano più
rappresentativi anche con rispetto alle domande e risposte d’esame, però ripeto, poi avete a completamento
il manuale e le slide).
Altri due elementi possono determinare l’annullabilità del contratto: il dolo e la violenza. Molto
sinteticamente, che cosa è il dolo e come si distingue dall’errore?
Il dolo è pur esso una causa di annullamento del contratto, quando è stato determinante del consenso ed è
una situazione nella quale qualcuno viene fatto cadere in errore. Quindi: mentre nelle ipotesi dell’errore, il
soggetto cade da solo in errore; nelle ipotesi del dolo si tengono dei comportamenti, da parte della
controparte, consistenti in artifizi, raggiri e menzogne utili per far cadere in errore la controparte. È possibile
anche che i raggiri vengano fatti da terzi e in questo caso il contratto è annullabile se erano noti al contraente
in vantaggio. Quindi sostanzialmente, Che cosa accade? Attraverso dei raggiri io faccio cadere in errore un
soggetto, il quale ovviamente effettuerà una volontà alterata in ragione dell’attività posta in essere dalla
controparte, e quindi, conclude un contratto, che non avrebbe concluso se quegli artifizi, o raggiri, non lo
avessero indotto a concluderlo cadendo in errore. Questo dolo ovviamente deve essere stato il determinante
nel consenso, nel senso che senza quelle attività che insistono con raggiri e artifizi, il soggetto non avrebbe
ceduto al contratto. Ora badate bene che è un ampio spazio che era coperto da questa disciplina, ricordava
anche il problema della cosiddetta pubblicità ingannevole. Come sapete quando io vado a pubblicizzare un
prodotto devo fare attenzione alla pubblicità che di questo prodotto sto facendo, assicurando quindi degli
standard della pubblicizzazione del prodotto che non comportino un’alterazione da parte del potenziale
acquirente, fino al punto di dar luogo ad una pubblicità di tipo (per esempio) ingannevole. Ora con
riferimento a queste fattispecie, è stata tuttavia dettata una normativa ad hoc, specifica, quindi diciamo che
i negozi in cui si verificano situazioni di pubblicità ingannevole, sono delle situazioni che sono sottoposte ad
una specifica disciplina, ma che giustamente dal punto di vista teorico sono riconducibili nell'ambito della
figura più generale di Dolo, perché anche la pubblicità ingannevole attraverso una serie di raggiri e artifizi,
induce il soggetto a stipulare un contratto che diversamente non avrebbe stipulato. Ora come vi dicevo ai fini
dell’annullamento il Dolo deve essere determinante. Infatti, il legislatore distingue tra dolo determinante e
dolo incidente, che significa che se raggiri non sono stati tali da determinare il consenso nel senso che il
soggetto comunque avrebbe concluso il contratto, ma lo avrebbe ad esempio concluso a condizioni diverse
rispetto a quelle nelle quali si è provato a manifestare il proprio consenso, allora in questi casi il contratto è
valido, però il contraente in malafede risponde degli eventuali danni che ha prodotto alla controparte.
• Il dolo determinante quindi è quello che determina il soggetto a concludere il contratto,
quindi se quel dolo non ci fosse stato il soggetto non avrebbe concluso il contratto.
• Il dolo incidente invece è quando l'acquirente avrebbe concluso comunque il contratto, ma
lo avrebbe concluso in condizioni diverse.
La terza ipotesi che il legislatore contempla e che è idonea ad alterare il procedimento di formazione della
volontà: parliamo di violenza fisica e psichica. Poniamo l’esempio che io vada ad un'asta ed il soggetto dietro
di me mi alzi il braccio per partecipare all'asta. In questo caso potrei aggiudicarmi l’oggetto che è stato messo
in asta senza che io avessi la volontà ad aggiudicarmi realmente quell'oggetto. Qui c’è stata una violenza
anche fisica rispetto alla quale ci sarebbe anche una nullità del contratto. Perché manca proprio la
manifestazione della volontà.
Diversa l'ipotesi in cui si può verificare una violenza di tipo morale e che quindi incide indubbiamente sulla
modalità con cui il soggetto sottoposto a violenza, è in grado di procedere alla manifestazione del proprio
intento. È chiaro che la minaccia, la violenza, determina una incidenza sulla libertà di manifestazione della

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volontà. Quindi non può non incidere, sulla validità del contratto. Tuttavia, anche qui il Legislatore è cauto
nell'indicare quali sono le caratteristiche della violenza che danno luogo ad una causa di annullabilità, non
ogni violenza giustifica l’annullamento. La violenza deve avere delle caratteristiche, indicate dall'art. 1435:
“La violenza deve essere di tal natura da far impressione sopra una persona sensata…"quindi in primo luogo,
si deve trattare di una violenza che deve fare impressione su una persona che sia sensata e ragionevole “…e
da farle temere di esporre sé o i suoi beni a un male ingiusto e notevole". Per conto della valutazione di tutti
questi parametri, l'art 1431 afferma che bisogna avere “…riguardo all'età, al sesso e alla condizione delle
persone”.
Io potrei anche rivolgere la violenza ad un terzo, cioè io potrei anche dire: “se non concludi il contratto, io
uccido tuo figlio”, oppure, “brucio la macchina di tuo figlio”. Quindi il legislatore opera una distinzione, cioè
si pone il problema di quale sia la conoscenza di questo terzo nei confronti del soggetto che è stato
minacciato. È possibile che possano essere beni di un coniuge, di un ascendente o un discendente. In questi
casi il legislatore permette di chiedere l’annullamento del contratto.
Potrebbe anche però accadere che minacciano un mio amico stretto, il contraente scopre chi è il mio amico
stretto e dice:” guarda se non otterrai la conclusione di questo contratto, io farò del male al tuo amico". Qui
entra in gioco una valutazione diversa, perché il male minacciato laddove riguardi altre persone, presuppone
una valutazione da parte del giudice, al fine di verificare se effettivamente ci sono le condizioni per poter
eventualmente chiedere l’annullamento. Badate bene, che non rientra nell’ipotesi di referenziale, cioè quel
timore che si ha nei confronti di una persona, che si può considerare come una persona autorevole e che
sulla base di ciò magari porta anche a fare delle scelte in ragione della autorevolezza. Quindi, quando si parla
di referenziale, sappiamo che non è causa di annullamento del contratto. Come si evince dall'articolo 1438 e
cioè la minaccia di far valere un diritto.
Voi sapete che i diritti soggettivi sono situazioni in cui può essere titolare è un soggetto, sono posizioni di
vantaggio, il cui scopo è quello di soddisfare un interesse proprio. Esempio: se Tizio è creditore di una somma
di denaro nei confronti di Caio, avrà interesse ad ottenere un adempimento, cioè di ottenere il pagamento
di quella somma di denaro. È anche vero che proprio in questa prospettiva, il creditore insoddisfatto, potrà
utilizzare i mezzi a sua disposizione, per poter ottenere la soddisfazione del suo credito. Quindi Tizio,
potrebbe tranquillamente minacciare la controparte. Esempio: un contratto di locazione in cui il conduttore
non paga il canone di locazione, il proprietario potrebbe legittimamente minacciarlo dicendogli” se non paghi
il canone di locazione, io di conseguenza ti esperirò una notificazione di sfratto” (atto pienamente legittimo).
Diverso è il problema che si verifica ogni qualvolta io invece minaccio di far valere un diritto per ottenere un
risultato ingiusto: Quindi io minaccio di esperire lo sfratto, se tu non mi consegni la fornitura di un bene.
Questa richiesta la sto esercitando per un mio interesse ingiusto, quindi sostanzialmente in questa
prospettiva il contratto risulta ugualmente annullabile.
Quindi causa di annullamento del contratto non sono solo le ipotesi di invalidità determinate da incapacità
della parte (sia essa incapacità naturale e legale). Ma sono causa di annullamento anche tutte quelle
situazioni che determinano, secondo una valutazione legale, una alterazione del procedimento di formazione
della volontà. Perché può accadere: per un errore essenziale e riconoscibile; può accadere sulla base di un
dolo determinante; o sulla base di una eventuale violenza diretta contro la controparte, beni o terzi, con le
condizioni determinate dal legislatore.
Qualcuno mi chiede: ma come si fa a dimostrare una violenza? Ebbene qui entriamo nell’ambito della
disciplina delle prove. Nell'ambito del c.c. troviamo una parte dedicata ai mezzi di prova, nella quale parte
abbiamo occasione di individuare tutta una serie di strumenti che possono essere determinanti, decisivi per
una dimostrazione: abbiamo la testimonianza, la confessione, il giuramento, prove documentali (di cui
parleremo la prossima lezione), cioè una serie di elementi che entrano in gioco ai fini di fornire la prova di
certi fatti. Detto ciò, quindi analizzato l'aspetto del procedimento di valutazione di volontà, che come ripeto,
ho volutamente anticipato in quanto strettamente correlata all'idea del consenso che dev'essere
legittimamente manifestato. È chiaro che un consenso deve essere manifestato in modo corretto.
Legittimamente nel senso che può a volte richiederli per la manifestazione una particolare forma, atto
pubblico o scrittura privata. Se vendo un immobile non potrò stipulare un contratto verbale ma dovrò
mantenere una forma specifica (ovviamente scritta). È anche vero che il procedimento di manifestazione
della volontà deve essere determinato in maniera corretta, cioè senza alterazioni significative che

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determinerebbero uno scompenso tale da non giustificare la permanenza del contratto, e quindi da
individuare un eventuale sua invalidità.
Teniamo presente quanto già abbiamo detto a riguardo dei soggetti incapaci. L’annullamento è uno
strumento che sostanzialmente è posto a tutela di una delle parti (se parliamo di incapacità la tutela sarà nei
confronti dell’incapace. La controparte era capace e quindi non aveva ragione di una specifica tutela). Allora
l'azione di annullamento non può essere fatta valere da entrambi i contraenti, ma solo al contraente nel cui
interesse è stata prevista. Quindi per esempio l'azione di annullamento potrà essere esperita per il soggetto
caduto in errore, dal soggetto che ha subito la violenza, dal soggetto che ha stipulato un contratto dopo una
serie di raggiri della controparte (quindi a seguito del dolo), e questi sono i soggetti che possono effettuare
un annullamento.
Tra l’altro i soggetti nel cui interesse è previsto l’annullamento, si trovano nella condizione di poter fare una
valutazione, se intendono o meno a proporre l’azione di annullamento. Non sono obbligati a proporre
l'azione di annullamento. Tanto è vero che questa azione di annullamento non può essere neanche rilevato
dal giudice. Supponiamo io abbia concluso un contratto per errore, e poi mi convinca che quell’affetto di
interessi per me è un affetto vantaggioso, il legislatore mi dà la possibilità di scegliere se esperire o non
esperire l'azione di annullamento. E questa è una differenza notevole rispetto all'azione di nullità, dove
invece l'eventuale nullità è tendenzialmente volta a tutelare interessi che vanno nel generale, che superano
gli interessi delle singole parti. Quindi tendenzialmente qui la nullità può essere fatta valere da chiunque
abbia l'interesse e può essere fatta ad ufficio dal giudice. Certamente quanto sto affermando merita dei
correttivi, perché oggi come oggi sono previste anche delle nullità che hanno delle particolarità, e che per
tanto non sono tanto dettate ad una tutela di un interesse di carattere generale, ma sono invece dettate per
tutelare interessi di determinate categorie di soggetti (esempio soggetti della classe “consumatori” o
“clienti). La nullità non può essere fatta valere da tutti ma si parla di nullità relativa, in ragione del fatto che
tale nullità può essere fatta valere soltanto dal contraente nel cui interesse è stata predisposta. Quello che
vi ho detto è una mera anticipazione che meriterà delle precisazioni, se però ci basiamo sul concetto base,
sicuramente una prima distinzione tra nullità e annullabilità può essere ricondotta dal fatto che secondo
almeno la ricostruzione codicistica classica del codice del ‘42, la nullità è volta a tutelare interessi di carattere
generale, l’annullabilità interessi di carattere particolare.
Facciamo un esempio: Tizio conclude un contratto con Caio, di sfruttamento della prostituzione. Qui siamo
in presenza di un contratto che si caratterizza per una causa illecita. Questo tipo di attività non è ritenuta
accettabile da parte dell'ordinamento, e quindi l'ordinamento sanziona questa fattispecie attraverso la
posizione dell'annullabilità.
La nullità ha un ambito di applicazione molto ampio. Perché essa deriva non solo dalla mancanza dei requisiti
essenziali del contratto, ma può derivare anche dalla carenza di alcuni elementi fondamentali che
concernono i singoli requisiti. Quindi la nullità può riscontrarsi ogni qualvolta il contratto è in contrasto con
norme di legge o contrario all'ordine pubblico o addirittura al buon costume, a quelle che sono le regole
morali e sociali che si affermano in un certo momento storico. (La prossima volta parleremo degli elementi
essenziali del contratto e le sanzioni in caso di anomalie sulla forma o contrarietà del contratto nei confronti
delle regole dell'ordine pubblico).

Lezione 18
13 maggio

Nello scorso incontro abbiamo affrontato il problema dei vizi della volontà, abbiamo chiarito che causa di
annullamento del contratto è rappresentata da un lato, dalla incapacità naturale o legale soggetto, ovvero dalla
sussistenza di un vizio della volontà che incide sul corretto procedimento di formazione della volontà
negoziale. Abbiamo anche analizzato il problema dell'accordo e quindi ci siamo occupati del procedimento di
formazione della volontà.

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Requisiti del contratto


Quelli essenziali non possono quindi mancare, affinché il contratto sia valido sono indicati dall'art. 1325 c.c.
in particolare tale norma, in primo luogo fa riferimento
all'accordo delle parti, in secondo luogo alla causa, in terzo luogo all'oggetto e poi alla forma quando risulta
prescritta dalla legge a pena di nullità.

Causa del contratto


La causa trova la sua disciplina gli artt. 1343 1344 c.c., l’art. 1345 è invece riferito al motivo che può aver
indotto i soggetti a concludere un certo contratto. Se analizziamo le norme sulla causa ci rendiamo conto che
manca una disposizione di tipo definitorio, cioè non c’è un articolo di apertura il quale qualifichi la nozione di
causa, quindi alla domanda “che cosa è la causa del contratto? “non possiamo fornire una risposta sulla base
della lettura delle disposizioni contenute nella sezione II dedicata alla causa, perché non c’è una norma di
carattere definitorio.

Sotto questa prospettiva, la nozione di causa è una nozione abbastanza complessa, la quale nel tempo è stata
soggetta ad una diversa evoluzione, quindi sostanzialmente sono state elaborate molte tesi, molte teorie, da
parte della dottrina, volte a individuare il significato della nozione di causa. Una nozione di causa fortemente
accreditata è quella che la definisce come funzione economico-sociale del contratto, quindi è la funzione che
attraverso l'impiego dello strumento contrattuale le parti intendono realizzare.

Es.: Supponiamo che Tizio e Caio stipulino un contratto di compravendita.


Qual è la funzione che il contratto di compravendita è volto a realizzare?

La funzione è il trasferimento della proprietà della cosa, verso il corrispettivo del prezzo, quindi nel contratto
di compravendita la causa è rappresentata proprio dal trasferimento della proprietà verso il corrispettivo del
prezzo. Questa funzione del contratto di compravendita, che per altro è un contratto tipico, che trova una sua
espressa disciplina nell'ambito del codice, è una funzione che non muta, cioè il contratto di compravendita una
volta impiegato dalle parti come schema contrattuale, caratterizza l’effetto in funzione di una causa che è
costante, quindi con tutti i contratti di compravendita si ha come funzione il trasferimento della proprietà verso
il corrispettivo del prezzo.
Come ben capite questa funzione deve essere tenuta distinta dal concetto di motivo. I motivi sono le ragioni di
carattere soggettivo, individuali, che ciascun contraente pone alla base della scelta di impiegare un certo
schema concettuale.
Quindi tizio stipula un contratto di compravendita, per ragioni che possono essere varie, mutevoli, posso
acquistare un immobile perché intendo effettuare un investimento, posso acquistare un immobile perché
intendo destinarlo a mia abitazione principale, posso acquistare un immobile perché intendo metterlo
disposizione di mio figlio che magari studia all'università. Come vedete queste ragioni sono di carattere
soggettivo, diverse dalla nozione di causa, una funzione costante che indica la funzione economico-sociale che
il contratto è diretto a realizzare. È evidente che in presenza di contratti tipici la causa è stata già predeterminata
dal legislatore, quindi nell'ipotesi in cui le parti dovessero impiegare uno schema contrattuale tipico, la causa
è già predeterminata dal legislatore.

Diverso è il caso in cui le parti utilizzino degli schemi contrattuali atipici, cioè modelli contrattuali che non
sono oggetto di specifica disciplina del legislatore, ma sono il frutto, l’espressione dell’autonomia privata, che
è riconosciuta ai singoli contraenti.
Infatti, le parti non solo possono impiegare gli schemi contrattuali che costituiscono oggetto di una disciplina
specifica, ma possono concludere contratti che non sono oggetto di una disciplina specifica. Ovviamente in
questo caso è necessario che si tratti di contratti diretti a realizzare interessi meritevoli di tutela secondo
l’ordinamento giuridico, anche con riferimento al contratto di causa, la funzione che il contratto è diretto ad
assolvere, è importante che sia meritevole di tutela.

Causa illecita (art. 1343 c.c.)


“La causa è illecita quando è contraria a norme imperative, all’ordine pubblico o al buon costume”.

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Prevede l'ipotesi nella quale nell'ambito di un contratto sia prevista una causa illecita. La causa è illecita quando
è contraria a norme imperative. Quindi se dovessi stipulare un contratto per realizzare una funzione contraria
ad una norma imperativa, cioè inderogabile da parte del singolo, porrei in essere un contratto con causa illecita.
Lo stesso, laddove la funzione fosse contraria all'ordine pubblico, cioè ai principi fondamentali
dell’ordinamento o addirittura fosse in contrasto con il buon costume.
In tutte queste ipotesi di causa illecita il contratto è invalido e precisamente sarà colpito dalla sanzione più
grave, rappresentata dalla nullità.
Lo stesso trattamento viene riservato al contratto in frode alla legge, fattispecie che si realizza quando il
contratto costituisce il mezzo per eludere l’applicazione di una norma imperativa, l’illiceità non si realizza in
modo diretto, attraverso un contrasto tra il contratto e la norma imperativa ma si realizza indirettamente
attraverso uno strumento contrattuale che realizza come finalità l’elusione di una norma di tipo imperativo.
Entrambi determinano come conseguenza la nullità.

Ora possiamo porre un problema importante che ci consente di modificare la suddetta nozione di causa. Fino
a questo momento abbiamo detto che la causa è la funzione economico-sociale che il contratto è diretto ad
assolvere.
La funzione della compravendita è una funzione costante che deve essere necessariamente distinta dalla
nozione di motivo, la quale attiene a motivazioni soggettive ed individuali che hanno condotto un certo
soggetto a stipulare un contratto.
Se ci troviamo in presenza di un contratto tipico, la funzione è stata predeterminata dal legislatore, il quale ha
già preventivamente valutato la liceità della causa, la quale non può mai mancare perché è stata già
predeterminata.
Nella nozione di causa, in realtà anche nelle ipotesi di contratti tipici potrebbe verificarsi un problema, cioè la
mancanza di una causa in concreto. Astrattamente è stata prevista dal legislatore, in concreto potrebbe
verificarsi una mancanza di causa.
Quindi alla suddetta di nozione di causa come funzione economico-sociale si è progressivamente sostituita la
nozione di funzione economica e pratica. Si deve valutare se in concreto la causa sia sussistente anche in
presenza di un contratto tipico.
Es.: La compravendita è un contratto tipico o atipico?
È un contratto tipico che trova corrispondenza nel codice civile, se siamo in presenza di un contratto tipico
significa che la causa teoricamente dovrebbe essere presente, perché predeterminata dal legislatore. In cosa
consiste la causa della vendita?
Consiste nel trasferimento della proprietà verso il corrispettivo del prezzo.
Nonostante la causa della vendita sia presente in astratto, perché predeterminata dal legislatore, può accadere
che in concreto manchi.
Supponiamo che Tizio stipuli un contratto di compravendita con Caio per acquistare il bene x e in realtà questo
bene si trovi già nel patrimonio del soggetto acquirente. In concreto, laddove si verificasse un’ipotesi di questo
tipo la causa sarebbe assente, perché non si potrebbe realizzare lo spostamento patrimoniale verso il
corrispettivo del prezzo, in quanto il bene si trova già nel patrimonio del soggetto acquirente.
In conclusione, ci porta valutare in termini concreti, pratici, applicativi se la causa può effettivamente operare
nell’ambito dello schema contrattuale sia tipico o atipico.

Nel nostro ordinamento il concetto di causa è importante perché in esso vige un principio per cui tutti gli
spostamenti patrimoniali devono avere una causa che li giustifichi. Un mero patto che non contempli una
ragione giustificativa dell’eventuale scambio, dell’attribuzione patrimoniale, nel nostro ordinamento non è
ammesso. Tendenzialmente il nostro ordinamento si basa sul principio secondo il quale ogni spostamento
patrimoniale deve avere una giustificazione causale, cioè una funzione che lo giustifichi.
Tuttavia, si discute sulla ammissibilità della presenza di alcune ipotesi dell'astrazione causale, cioè l’assenza
della causa giustificatrice. Ci sono delle ipotesi che sono ricondotte nell’ambito dei negozi astratti* (cambiali,
promesse unilaterali).

Motivo illecito (art. 1345 c.c.)


“Il contratto è illecito quando le parti si sono determinate a concluderlo esclusivamente per un motivo illecito
comune ad entrambe.”

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Il concetto di causa deve essere tenuto distinto dal concetto di motivi, perché mentre la causa è la funzione che
il contratto è volto a realizzare, i motivi sono ragioni di carattere personale, individuale, possono essere sempre
mutevoli, variabili. Quindi per esempio a fronte di una compravendita la cui causa è costante, i motivi a
fondamento dell’impiego dello schema vendita possono essere mutevoli. Può accadere che un soggetto acquisti
o venda un immobile per ragioni mutevoli. Siccome i motivi rientrano nella sfera psicologica e soggettiva di
ciascuna parte, sono irrilevanti per l’ordinamento.
La mancanza della causa o l’illiceità della causa determinano la nullità, poiché la causa è un elemento
essenziale del contratto. Certamente non rappresenta un elemento rilevante per l’ordinamento il motivo, che
rientra nell'ambito della sfera soggettiva e individuale. Tuttavia, nell’ambito della disciplina del contratto c’è
un'ipotesi in cui la presenza di un motivo illecito, può dar luogo all'illiceità del contratto. È previsto che il
contratto è illecito quando le parti si sono determinate a concluderlo per un motivo illecito comune ad entrambe
le parti. Affinché il contratto sia illecito, con la conseguenza della nullità del contratto, è necessario che il
motivo sia illecito, ma non basta, è ulteriormente necessario che il motivo illecito abbia rappresentato la
ragione che ha indotto i soggetti a contrarre in maniera esclusiva e che questo comune obiettivo riguardi
entrambe le parti. Quindi, non basta che un solo soggetto stipuli un contratto per un motivo illecito non
condiviso dalla controparte.

Passiamo all'analisi degli altri elementi essenziali del contratto che sono rappresentati dall’oggetto e dalla
forma, la quale è elemento essenziale del contratto quando risulta che è prescritta dalla legge sotto pena di
nullità (art. 1325 c.c.).

Oggetto del contratto


In riferimento all’oggetto del contratto non ci troviamo in presenza di una norma di carattere definitorio, il
legislatore non definisce la nozione di oggetto. Invece, precisa quali sono i requisiti che l’oggetto del contratto
deve avere affinché il contratto sia valido.
Per la nozione di oggetto del contratto sono state elaborate una pluralità di teorie diversificate, secondo una
prima concezione l’oggetto del contratto sarebbe rappresentato dalla prestazione dovuta, quindi per oggetto
del contratto debbono intendersi le prestazioni del contratto come dovute dalle parti. Una seconda concezione
identifica l’oggetto come il bene dovuto che costituisce l’oggetto di una prestazione, che può consistere in un
dare, se per esempio prendiamo in considerazione la vendita, l’oggetto del contratto è considerata la res, cioè
la cosa che costituisce oggetto del trasferimento. Infine, un’altra concezione identifica l’oggetto del contratto
come il contenuto del contratto.
Quello che risulta in maniera chiara dal codice sono i requisiti che l’oggetto deve presentare affinché il
contratto sia valido.

Requisiti (art. 1346 c.c.)


“L’oggetto del contratto deve essere possibile, lecito, determinato o determinabile”.

In primo luogo, non posso porre come oggetto del contratto un oggetto impossibile.
Es: Ti vendo la luna. In questa ipotesi sarebbe individuato l’oggetto del contratto, ma c’è una sostanziale
impossibilità, con la conseguenza che il contratto non può ritenersi valido, dando luogo alla nullità del
contratto, dovuta alla mancanza del requisito oggetto e della mancanza dei caratteri necessari, ossia possibilità,
liceità, determinatezza o determinabilità.

Supponiamo che io nell’ambito di un contratto preveda un oggetto illecito, ad esempio consegna di un bene
del quale è vietato il commercio. Se è vietato il commercio è chiaro che siamo in presenza di un’ipotesi in cui
il contratto presenta un oggetto illecito, anche in questa ipotesi siamo in un caso di nullità del contratto.
Il contratto deve essere chiaro, cioè deve risultare in maniera evidente per che cosa le parti si impegnano.
Quindi il requisito della determinatezza richiede una sua chiara individuazione, come conseguenza della
mancanza di determinazione dell’oggetto si determina la conseguenza della nullità del contratto.
L’oggetto deve essere inoltre determinabile, quindi qualora l’oggetto non sia determinato, la legge detta alcuni
criteri integrativi per la determinazione dell’oggetto. In questa prospettiva, laddove l’oggetto non sia
determinato ma sia determinabile, sostanzialmente si ritiene sussistente il requisito per la validità del contratto,
il quale invece sarebbe carente nell’ipotesi di indeterminabilità e quindi indeterminatezza dell’oggetto del
contratto.

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Determinazione dell’oggetto (art. 1349 c.c.)


“Se la determinazione della prestazione dedotta in contratto è deferita a un terzo e non risulta che le parti
vollero rimettersi al suo mero arbitrio, il terzo deve procedere con equo apprezzamento. Se manca la
determinazione del terzo o se questa è manifestamente iniqua o erronea, la determinazione è fatta dal giudice.
La determinazione rimessa al mero arbitrio del terzo non si può impugnare se non provando la sua mala fede.
Se manca la determinazione del terzo e le parti non si accordano per sostituirlo, il contratto è nullo.
Nel determinare la prestazione il terzo deve tener conto anche delle condizioni generali della produzione a
cui il contratto eventualmente abbia riferimento”.

Stabilisce che la determinazione della prestazione dedotta del contratto può essere differita a un terzo, è
possibile che la determinazione dell’oggetto non venga effettuata direttamente dalle parti ma sia rimessa ad un
terzo, il quale dovrà procedere con equo apprezzamento, se manca la determinazione del terzo, è iniqua o
erronea, la determinazione viene fatta dal giudice, è anche possibile che la determinazione sia rimessa al mero
arbitrio del terzo, in questo caso la determinazione non è impugnabile a meno che non venga provata la sua
mala fede.

L’oggetto del contratto viene diversamente definito sulla base di varie teorie che si sono affermate in dottrina,
a volte viene fatto coincidere con la prestazione, altre volte con la res, altre volte con il contenuto del contratto.
In ogni caso il bene oggetto del contratto deve presentare determinati requisiti ai fini della validità del contratto.
Non è sufficiente che il bene sia presente, ma è necessario che esso sia possibile, lecito, determinato e
determinabile. La mancanza di uno di questi requisiti dell’oggetto determina come conseguenza la nullità.

Forma del contratto → Quando risulta che è prescritta dalla legge sotto pena di nullità.
Significa che la forma può essere una forma libera, oppure può essere una forma vincolata, cioè vi sono alcune
ipotesi nelle quali la legge, ai fini della validità del contratto, richiede che la manifestazione di volontà venga
manifestata con alcune modalità specifiche, in particolare una prima fondamentale indicazione ci perviene
dall’analisi dell’art 1350 c.c.

Atti che devono farsi per iscritto (art. 1350 c.c.)


Significa che il legislatore in alcuni casi richiede l'Impiego di una particolare forma e chiarisce che devono
farsi per atto pubblico o per scrittura privata, sotto pena di nullità, cioè laddove io impieghi una forma che
non è rappresentata dall'atto pubblico o dalla scrittura privata, gli atti indicati dall’art. 1350 sono
sostanzialmente nulli, perché la sanzione che è prevista per il mancato rispetto della forma, scritta sotto pena
di invalidità, è della tipologia più grave che è la nullità.

Quali sono i contratti che richiedono una forma specifica?


Se facciamo una lettura della norma, come vedete ci sono tanti numeri di riferimento, vediamo che in primo
luogo ricadono i contratti che trasferiscono la proprietà di beni immobili, i contratti che trasferiscono il diritto
di usufrutto sui beni immobili. Insomma, tendenzialmente sono ipotesi nelle quali la natura del bene, cioè il
fatto che il bene sia bene immobile e non mobile, richiedono l’impiego di una particolare forma.
Altre ipotesi che prevedono la forma scritta sono previste anche in discipline speciali che sono contenute al di
fuori del codice civile. Quindi sostanzialmente gli atti che richiedono la forma scritta sotto pena di nullità non
si esauriscono nella fattispecie indicata nell’art. 1350, ma ci sono ipotesi ulteriori anche al di fuori del codice
civile.

Qual è la conseguenza che si può ricollegare a questo discorso?


La conseguenza è che nell'ambito del nostro ordinamento, tendenzialmente la forma che può essere impiegata
per la stipula di un contratto è una forma libera, nel nostro ordinamento vige come regola generale, come
principio generale, la libertà delle forme. Significa che posso manifestare la mia intenzione, la mia volontà
negoziale con qualsiasi mezzo.
Quindi lo posso fare in forma verbale, non è necessario al fine di concludere un valido contratto l’impiego
della forma scritta dell'atto pubblico o della scrittura privata. La prima cosa che dobbiamo cercare di evitare,
il primo errore grave che possiamo e dobbiamo evitare, è quello di pensare che il contratto debba
necessariamente essere, ai fini della sua validità, stipulato in forma scritta.
Noi compiamo quotidianamente una serie di operazioni ascrivibili al contratto senza impiegare una forma
determinata, senza impiegare l’atto pubblico o la scrittura privata.

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Diritto Privato

Es.: Ci rechiamo dal giornalaio, compriamo il giornale, lo paghiamo e diventiamo proprietari del giornale.
Questo contratto non richiede una forma scritta, come la scrittura privata o l’atto pubblico. Dobbiamo tenere
fermo il principio della libertà delle forme. Il soggetto può concludere un contratto e tendenzialmente la forma
è libera, che non richiede l'impiego dell’atto pubblico o della scrittura privata. Vi sono delle situazioni in cui
l’atto pubblico o la scrittura privata sono richieste dalla legge sotto pena di nullità, quindi l’assenza di queste
determina come conseguenza la nullità del contratto.

In realtà poi c'è anche un’ulteriore funzione della forma, la quale può anche essere richiesta, non per la validità
del contratto, ma per la mera prova del contratto. Ci sono delle ipotesi specifiche nelle quali il requisito della
forma non è necessario per la validità del contratto, ma l’impiego della forma vincolata, è necessaria solo ai
fini di fornire la prova di quel determinato contratto. Quindi si distingue la forma ad substantiam, cioè quella
forma richiesta per la validità del contratto, dalla forma ad probationem, cioè quella forma richiesta ai soli fini
della prova del contratto. In questo secondo caso non siamo in presenza dell'ipotesi di mancato rispetto della
forma di un caso di nullità del contratto, ma semplicemente si avrà una limitazione dell'impiego dei mezzi di
prova da fornire per dimostrare che il contratto è stato concluso, in quanto il mezzo di prova è limitato alla
forma scritta, atto pubblico o scrittura privata.

A questo riguardo, tra i mezzi di prova rientra anche la prova documentale, quindi l'atto pubblico e scrittura
privata rientrano nell’ambito dei mezzi di prova e sono delle prove di tipo documentali.
Infatti, l’art. 2699 c.c. ricomprende l'atto pubblico nell'ambito della disciplina delle prove documentali, nelle
quali viene ricondotta anche la scrittura privata dagli artt. 2702 e seguenti.
Altri mezzi di prova diversi da quelli documentali sono la confessione, il giuramento, la prova testimoniale.
Sono strumenti che operano sul piano della prova e che sono differenziati in ragione del fatto che a volte hanno
carattere documentale e altre volte non documentale e non hanno la medesima efficacia probatoria.
I mezzi di prova hanno una diversa efficacia probatoria, ciascuno va considerato individualmente al fine di
verificare la rilevanza che ad esso è assegnata dal legislatore.

Riassumendo:
Possiamo affermare che nel nostro ordinamento la forma costituisce elemento essenziale del
contratto, la forma nella sostanza è il modo in cui si rende percepibile all’esterno un certo intento
negoziale. Se io non manifesto la mia volontà all’esterno, tale volontà rimane un fatto puramente
interiore e quindi non rilevante dal punto di vista giuridico. Il modo in cui posso manifestare il mio
intento è molteplice. Tendenzialmente non è richiesto che sia manifestato con l'impiego di una forma
determinata, quindi il principio cardine posto alla base del nostro ordinamento, è il principio della
libertà delle forme. Sostanzialmente posso concludere un contratto in forma libera, senza necessità di
ricorrere all’atto pubblico o alla scrittura privata. È richiesta una forma ad substantiam nelle ipotesi
in cui ciò è prescritto dalla legge. La legge prescrive, sotto pena di nullità, che un determinato
contratto debba essere concluso nel rispetto di una determinata forma.
Ripetendo, noi stipuliamo quotidianamente una serie di contratti i quali non richiedono per la loro
validità l'impiego di una forma vincolata, cioè dell'atto pubblico o della scrittura privata. Se voi andate
a comprare il giornale, quindi stipulate sicuramente il contratto di compravendita che ha per oggetto
un bene mobile, per la validità di questo contratto è necessario che impieghiate una forma
specifica? Dovete fare una scrittura privata? Dovete fare un atto pubblico? Oppure lo potete fare
tranquillamente dal punto di vista formale in maniera libera, verbale.
Se vado al supermercato e procedo a comprare una pluralità di merci, ho stipulato dei contratti di
compravendita, ma anche in questo caso non ho impiegato una specifica forma, non è richiesto
l'impiego di una forma determinata per la sua validità, la forma invece è richiesta in alcuni casi dal
legislatore ai fini della validità, quindi laddove ciò sia previsto il mancato rispetto della forma
richiesta dal legislatore, si determina come conseguenza la nullità del contratto. Quindi vi sono dei
contratti a forma libera e vi sono contratti a forma vincolata, questi ultimi richiedono l’impiego di
una determinata forma ai fini della validità del contratto. Possiamo dire che la nullità del contratto si
ricollega anche al mancato rispetto della forma richiesta dalla legge, sotto pena di nullità. Quindi ogni
qualvolta il legislatore richiede l’impiego di una determinata forma vincolata, qualora non si dovesse
rispettare quella determinata forma, ciò determinerebbe conseguenze sulla validità del contratto.

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Diritto Privato

Se dovessi stipulare un contratto di compravendita di un bene immobile in forma verbale, quel


contratto sarebbe nullo perché secondo l'art 1350 c.c., precisa che deve essere necessariamente fatto
per atto pubblico o per scrittura privata, sotto pena di nullità, i contratti che trasferiscono la proprietà
di beni immobili.
Invece, se dovessi trasferire la proprietà di un bene mobile non sarebbe richiesta una forma specifica.
In una gioielleria non devo impiegare una forma specifica, posso tranquillamente concludere il
contratto in forma verbale che sarà perfettamente valido. Quindi nel nostro ordinamento non è
tendenzialmente richiesto l’impiego di una forma specifica ai fini della validità del contratto.
Ribadiamo il principio generale di libertà delle forme, cioè la possibilità di impiegare qualsiasi
strumento sufficiente ad esternare la propria volontà senza che si debba essere vincolati all’impiego
di una determinata forma.

In epoca recente si è affermata anche un'ulteriore funzione della forma, di protezione, che a volte è prevista
dal legislatore, non tanto per tutelare interessi di carattere generale, ma per tutelare interessi di categorie
particolari di soggetti che vengono ritenuti particolarmente deboli (contratto di consumo).

Lezione 19
18 maggio

Nelle scorse lezioni abbiamo parlato del contratto diretto a regolare, modificare o estinguere un rapporto
giuridico patrimoniale.
Il contratto tra due o più parti viene utilizzato dalle persone, siano fisiche o giuridiche, per regolare i loro
rapporti, per costituire dei rapporti giuridici che si produrranno tra di loro e avranno riflessi anche all'esterno.
Abbiamo visto quelli che nel linguaggio giuridico chiamiamo elementi essenziali, cioè quegli elementi che ci
devono essere perché si possa parlare di un contratto, senza i quali esso non esiste. Per definire questa
situazione in cui manca uno degli elementi essenziali, parliamo di nullità. Sono infatti elementi richiesti a pena
di nullità, in assenza di uno solo il contratto non può esistere.
Accanto a quelli che sono gli elementi essenziali del contratto, cercheremo di capire come il contratto è in
grado di esistere e di realizzare quella programmazione di interessi che le parti con esso hanno voluto.
Adesso vedremo tutte quelle anomalie che si possono verificare durante la vita del contratto, le quali possono
impedire che produca i suoi effetti, oppure possono portare allo scioglimento del vincolo, oppure sono quelle
situazioni che possono incidere sull’efficacia, cioè quella circostanza in cui il contratto ci sia, è valido, ma non
può produrre totalmente tutte le conseguenze che le parti hanno voluto.

Patologia o invalidità del contratto


Si riferisce alle varie configurazioni o anomalie che si possono verificare, ciascuna delle quali ha un nome
specifico e una disciplina specifica.
Una delle prime domande che ci si possa fare è “siamo davanti a un contratto o no?”
Prima di capire se il contratto ha gli elementi essenziali prescritti, dobbiamo chiederci se siamo davvero di
fronte ad un contratto.
Es.: Io vendo la mia macchina, la mia casa, il mio orologio. Posso scrivere ognuna di queste cose, ma qui il
contratto non esiste. Mancando la volontà di voler creare quel rapporto, il contratto è inesistente.
Nel caso in cui il contratto esista, sia stato stipulato tra due o più parti, ha dei soggetti, quindi c’è una volontà,
però questo contratto può avere dei vizi genetici, cioè è nato con un’anomalia che può essere così grave da
impedire che il contratto produca i suoi effetti, cioè che produca quel regolamento che le parti hanno dichiarato
di volere. Oppure ci possono essere delle anomalie che sono gravi, ma che non necessariamente pregiudicano
la possibilità che il rapporto esista e produca gli effetti, oppure ci possono essere delle situazioni che si creano
nel corso della vita del contratto che impediscono il suo regolare sviluppo, le quali portano a sciogliere il
vincolo. Tutte queste ipotesi hanno un nome, si parla di nullità, annullabilità di risoluzione, di rescissione.
Vediamo cosa succede quando un contratto esiste, ma nasce con un’anomalia genetica, nasce quindi viziato,
con un’anomalia così grande tale da non garantire la sopravvivenza.

Contratto nullo

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Diritto Privato

Parliamo di nullità del contratto quando l’accordo tra le parti abbia delle anomalie così gravi da non potere
produrre la sua finalità.
In primo luogo, il contratto è nullo se nel contratto manca uno degli elementi essenziali, il contratto non
produce effetti.
Es.: Tizio vende la sua casa a Caio, lo scrivono perché trattandosi di un immobile la forma deve essere scritta,
ma in questo contratto manca la prestazione del compratore, non è stato detto che quella casa è stata venduta
dietro il pagamento di un certo prezzo. Quindi significa che quel contratto non può produrre quel regolamento
che le parti hanno voluto, cioè il trasferimento della proprietà. Allo stesso modo se quei due soggetti,
decidessero uno di vendere, l’altro di comprare, decidono il prezzo ma concludono il contratto verbalmente,
pertanto non può produrre l’effetto perché la forma non è quella che la legge richiede per la sua volontà.
Un contratto di locazione relativo ad un immobile deve essere fatto per iscritto. Nel caso contrario, in cui il
locatario volesse abitare in quella casa, non potrebbe perché il contratto non può realizzare quella finalità
voluta.

Il contratto è nullo quando è concluso ma manca uno degli elementi, quindi non è conforme a quello che
prevede la legge.
In alcuni casi dalla nullità può derivare una conseguenza, vediamo cosa non può capitare: non possiamo abitare
in quella casa per il tempo previsto dagli accordi, perché quell’accordo non può produrre quella conseguenza;
non avremo tutela anche contro il locatore, non possiamo avere la tutela che si trasformi, nel caso dovesse
violare alcune regole, in contratto di durata quadriennale. Farebbe comunque sorgere la responsabilità di
pagare una somma al proprietario per l'occupazione (senza titolo).
Dal contratto nullo non derivano quegli effetti che la legge collega a quel tipo contrattuale, a quella
programmazione che la parti hanno voluto realizzare, ma possono sorgere delle responsabilità.

Cause di nullità del contratto (art. 1418 c.c.)


“Il contratto è nullo quando è contrario a norme imperative, salvo che la legge disponga diversamente.
Producono nullità del contratto la mancanza di uno dei requisiti indicati dall'articolo 1325, l'illiceità della
causa [1343], l'illiceità dei motivi nel caso indicato dall'articolo 1345 e la mancanza nell'oggetto dei requisiti
stabiliti dall'articolo 1346.
Il contratto è altresì nullo negli altri casi stabiliti dalla legge [458, 778, 785, 788, 794, 1350, 1354, 1355,
1472, 1895, 1904, 1963, 1972, 2103, 2115, 2265, 2744]”.

Con riferimento relativo a questa particolare ipotesi, il legislatore distingue la nullità testuale, cioè in tutti i
casi il legislatore dica se mancano questi elementi del contratto, il contratto è nullo. Per esempio, in materia
successoria, è vietato il patto successorio, se si fanno sono nulli. Esiste anche il divieto di patto commissorio,
cioè il debitore può dare al suo creditore un bene a garanzia dell’adempimento, il debitore dovrà far vendere il
bene per soddisfare l’adempimento, non si può trasferire la proprietà del bene, dato in garanzia, dal debitore
al creditore. In quest’ultimo caso l’ordinamento si preoccupa che non ci siano elementi perturbatori, che il
creditore non si approfitti di un debitore che è in un momento di difficoltà. Si preoccupa anche di rispettare la
parità di tutti i creditori, infatti se un solo creditore potesse impadronirsi dei beni del debitore verrebbe alterato
l’equilibrio.
La nullità testuale è piuttosto rara, un’altra distinzione che si verifica più frequentemente è la nullità virtuale,
cioè il legislatore non si preoccupa ogni volta di specificare che il contratto è nullo quando parla dell’accordo,
della causa, dell’oggetto, della forma, ma dice genericamente che il contratto è nullo quando manca uno degli
elementi essenziali, per cui non c’è bisogno che ogni volta ripeta quale ipotesi di nullità ricorre, è l’interprete
che deve verificare se quegli elementi essenziali ci sono, in assenza è nullo. Nasce quindi con un difetto tale
che non può produrre nessuno degli effetti che sarebbero propri del regolamento adottato.

Cosa accade quando gli elementi hanno dei difetti?


Es.: La causa c’è ma è illecita. Ti vendo il mio rene, non è ammessa la vendita, quindi la causa è illecita (si
può donare, ma non si può vendere tutto ciò che comporta una menomazione permanente). Rientra nella
previsione generale del contratto nullo.

Se nel contratto ci fossero espressi dei motivi?


Es.: Stipulo un contratto con un’altra persona e stabiliamo che io gli venderò la mia casa e questa la acquista
ad un determinato prezzo. Sono presenti la causa, l’oggetto, ma ciò che non traspare è la ragione per la quale

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Diritto Privato

io decido di vendere, perché sono soggettive, individuali e psicologiche, pertanto non sono rilevanti (voglio
cambiare città, voglio una casa più grande ecc.). L’ordinamento si preoccupa dei motivi quando sono illeciti.
Io vendo la mia casa perché ha una bella serra dove coltivo marijuana, perché è un posto riservato e nessuno
lo scopre. All’acquirente interessa più la serra che la casa. Quindi il motivo illecito diventa comune ad
entrambe le parti ed entra nella causa, rendendo nullo l’intero contratto. Per rendere il contratto nullo è
importante che sia illecito e soprattutto comune ad entrambe le parti.

Diversamente nei negozi unilaterali, per esempio nel testamento, io potrei disporre questo bene in favore del
mio amico perché mi fece il favore di uccidere mio marito. Non c’è un illecito comune, è soltanto della parte
che l’ha espresso perché è proprio del negozio unilaterale che ci sia una sola volontà. In questo caso il motivo
illecito può determinare la nullità, non solo se è illecito, ma se sia espresso. Se il testatore si fosse tenuto per
sé il motivo, non ci sarebbero state conseguenze, invece rendendo palese il motivo illecito travolge il
testamento e lo rende nullo. Quindi mentre per il contratto è necessario il motivo illecito comune, nel negozio
unilaterale, essendo espressione della volontà solo del testatore, basta che sia in forma espressa.

Quindi, altre cause di nullità sono quelle che risultano indicate genericamente, alle quali si fa riferimento come
nullità virtuali, cioè tutte le volte che ai sensi dell’art. 1418 si riscontra nel contratto un’anomalia che riguarda
gli elementi essenziali (la loro liceità) il contratto è nullo. Inoltre, è nullo in tutti i casi sia contrario alla legge,
all’ordine pubblico o al buon costume. Sono quei concetti generali che poi vengono concretizzati
dall’applicazione giurisprudenziale, se la legge non ci aiuta.

Che importanza ha dire che un contratto è nullo?


Perché un contratto nullo non consente di regolare il rapporto tra le parti nel modo in cui queste hanno
programmato.

Quali sono le conseguenze della nullità?


Nessuno potrà agire in giudizio per far valere le prerogative che derivano da una certa posizione contrattuale.

Chi potrà agire per far dichiarare che un contratto non può produrre i suoi effetti?
La legge dà un criterio generale: possono far valere la nullità non soltanto le parti del contratto, ma chiunque
vi abbia interesse. Sopravviene un interesse generale, per cui chiunque sia interessato, può dire che un contratto
è nullo.

Chi è “interessato?”
Le parti che hanno una controversia finiscono davanti al giudice, il quale sente le argomentazioni di entrambe.
Cosa può fare il giudice? Ha il potere di dire che il contratto è nullo? La tutela dei diritti nel nostro
ordinamento prevede che venga portato davanti ad un giudice l’esame di un caso controverso. In materia civile,
il processo riguarda le due parti, c’è uno che afferma delle ragioni e l’altro che si oppone. Davanti ad un giudice
le parti protagoniste sono queste due. Il giudice rispetto a loro due è terzo, pertanto non ha il potere di dare sue
idee o la sua volontà. È colui che, esaminata la questione dal punto di vista giuridico, deve decidere se
accogliere le domande dell’attore o se respingerle, oppure se accogliere le domande di colui che è stato
chiamato in giudizio (convenuto), il quale può fare a sua volta una domanda riconvenzionale, rispetto alla
quale diventa convenuto l’attore originario. Quindi la controversia si svolge tra questi due ed il giudice ha la
funzione di decidere quale delle due posizioni è conforme alla legge. Il giudice che si trovi investito da una
controversia, può da solo dire che il contratto è nullo? In passato il giudice poteva controllare se il contratto
fosse valido, solo nel caso in cui uno dei due avesse fatto valere la nullità, mentre se non ci fosse stata una
richiesta di una delle parti, il giudice anche se si fosse accorto che il contratto era nullo, non avrebbe potuto
fare nulla. Questa circostanza è andata avanti fino a due importanti sentenze delle sezioni unite della
Cassazione del 2014, le quali hanno la funzione di unificare i contrasti e dare delle soluzioni a cui i giudici di
merito si uniformeranno. Queste sentenze del 2014 sulla nullità, hanno chiarito che il giudice deve sempre
accertare la nullità, è legittimato a verificare la validità del contratto, ritenendo che questo comportamento del
giudice sia necessario perché in questo modo egli opera a tutela non di interessi dei singoli, ma nell’interesse
più generale. L’ordinamento cerca di evitare che circoli un elemento perturbatore, quindi l’interesse di
accertare la nullità non è solo delle parti ma è un interesse più generale e d’altra parte conforme con
l’affermazione del legislatore, secondo la quale la nullità può essere richiesta da chiunque abbia interesse, che

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Diritto Privato

non è solo di altri privati che vengano coinvolti nella stipulazione, ma è anche quello pubblico generale,
pertanto il giudice può sempre osservare la nullità.

A seguito della nullità tutte le prestazioni che sono state eseguite, devono essere restituite, cioè la situazione
deve essere ripristinata com’era antecedentemente al contratto, il quale è viziato dalla sua origine, questo è
importante perché l’azione di nullità è imprescrittibile, cioè non c’è un momento entro il quale può essere fatta
valere, perché quegli effetti non potevano prodursi fin dalla sua origine.

Il legislatore prevede delle nullità che hanno la funzione di tutelare determinati soggetti, cioè la conseguenza
di nullità viene determinata in modo tale che diventi uno strumento per proteggere un soggetto particolarmente
debole (nullità di protezione o nullità parziali).

Contratti per adesione


Sono quei contratti che un soggetto normalmente ha la necessità di stipulare con una molteplicità di persone e
ha tutto l'interesse a evitare di iniziare ogni volta una contrattazione.
Es.: Immaginiamo se Abbanoa dovesse stipulare contratti di fornitura di acqua con tutti i soggetti interessati,
oppure immaginiamo un’assicurazione, ancora, la banca ogni volta che un soggetto volesse aprire un c/c.

Quindi, si predisporre un regolamento contrattuale, in modo che ci siano tutte le regolamentazioni e le clausole,
mentre il cliente semplicemente le sottoscrive.
Quindi ci saranno tutte le regole e le condizioni che regolano il rapporto tra chi predispone il contratto e tra
chi lo accetta (sottoscrivendo, quindi aderisce alla regolamentazione predisposta da un altro).
Questi contratti hanno la particolarità che tutta la disciplina è dettata da chi trae vantaggio, non va certo
nell’interesse del cliente, il quale ha la posizione del contraente più debole, non ha molta possibilità di opporsi,
quindi potrebbe accadere che alcune clausole siano eccessivamente gravose per il cliente. In questo caso il
legislatore parla di opponibilità delle clausole, che se eccessivamente gravose per il cliente, vengono definite
vessatorie.
In questa circostanza queste potranno essere a lui opponibili, significa che potranno essere fatte valere solo se
quest’ultimo le avesse espressamente conosciute ed accettate.
In questo modo, attraverso il requisito della conoscenza e dell'accettazione si supera lo squilibrio di posizioni
che si crea tra il contraente forte, che ha predisposto il regolamento, e il contraente debole, costretto ad accettare
un regolamento predisposto da altri.
Come si fa ad accettare queste clausole vessatorie? Siccome la predisposizione è scritta si fa con la
sottoscrizione di una formula. Si usa il sistema della doppia firma, il contraente sottoscrive il contratto che vale
come accettazione del regolamento, poi ci sarà un’ulteriore dicitura al fondo che cita che il cliente dichiara di
conoscere e di accettare le clausole, le quali potrebbero essere eccessivamente gravose. In questo modo
potranno esser fatte valere contro il cliente che le ha accettate. Che possibilità ha il cliente? Potrebbe cercare
di mettere per iscritto che non accetta determinate clausole, ma ciò è raro perché l’altro soggetto non
accetterebbe.
Questa situazione prevista dal codice del ‘42 ha destato attenzione del legislatore nel momento in cui è nata la
necessità di tutelare adeguatamente il consumatore, il quale stipula un contratto con un contraente forte. Nello
scambio tra questi due soggetti le posizioni non sono in equilibrio, se il contraente forte predispone delle
condizioni generali di contratto che il contraente debole non è nemmeno in grado di capire quanto siano
gravose, come si può tutelarlo? Interviene il legislatore specificando quali sono le clausole che possono essere
eccessivamente gravose. Oltre quelle degli artt. 1341-42 c.c., nel codice del consumo esistono alcune clausole
particolarmente gravose contenute in una lista nera, le quali sono nulle (nullità di protezione). Sono predisposte
dalla legge per proteggere un soggetto che si trova in una situazione di particolare debolezza. Tutte quelle
clausole così gravi da meritare un elenco a parte sono da considerare nulle. Esiste un altro lungo elenco di
clausole, che sono considerate non immediatamente nulle, ma che potrebbero essere validamente opponibili al
consumatore solo se da lui accettate. In questo caso la nullità della clausola non investe l’intero contratto. Sono
come una forma di sanzione da parte del consumatore, immaginiamo un contraente che abbia predisposto una
serie di clausole particolarmente gravose per il consumatore. Nel momento in cui il consumatore impugnasse
il contratto, lui avrebbe anche il fastidio di difendersi, allora anziché invocare la nullità, in riferimento al
contratto del consumatore, e in genere alle nullità di protezione, il legislatore ha voluto rafforzare la posizione
del consumatore, continuando a far valere gli effetti del contratto ma non potranno essere a lui opponibili

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Diritto Privato

quelle clausole vessatorie, disponendo che il contratto resti valido, ma il contraente non possa disporre di quelle
prerogative che si era riservato per avvantaggiarsi rispetto al consumatore.

Nullità parziale (art. 1419 c.c.)


“La nullità parziale di un contratto o la nullità di singole clausole importa la nullità dell'intero contratto, se
risulta che i contraenti non lo avrebbero concluso senza quella parte del suo contenuto che è colpita dalla
nullità.
La nullità di singole clausole non importa la nullità del contratto, quando le clausole nulle sono sostituite di
diritto da norme imperative [1573, 1679 comma 4, 1932 comma 2, 1962 comma 2, 2077 comma 2]”.

Può capitare che la nullità investa una singola parte del contratto. Questo lo prevedeva già il legislatore nel
‘42. Stabilendo che in tutti i casi in cui c’è una parte del contratto che potrebbe togliersi senza minare la vitalità
del contratto, il vizio vale per la clausola singola e non per l’intero contratto.
Es.: In un contratto si prevede che il prezzo del canone di locazione verrà aumentato del 30 % anziché
aumentare in base all’indice prezzi della vita ISTAT. È previsto che venga indicizzato ma non oltre un certo
livello, allora quella singola clausola cade, ma non rende inefficace l’intero contratto. In questo caso il
legislatore applica il principio di conservazione, annullando la clausola, ma il contratto resta in piedi. In alcuni
casi può verificarsi la conversione del contratto nullo, le parti potranno cambiare quel contratto in un altro
valido e che abbia i requisiti necessari.

C’è un’ipotesi in cui il legislatore prevede che il contratto di lavoro nullo non produce effetti, in questi casi la
situazione dovrebbe essere ripristinata com’era antecedentemente al contratto, ma come si fa in caso di
contratto di lavoro?
Il lavoratore ha svolto il suo lavoro, il datore di lavoro potrebbe dire in questo caso “io non ti pago perché il
contratto è nullo”? In questo caso il legislatore ha affermato che il datore di lavoro è tenuto ad eseguire la
prestazione relativa al pagamento della retribuzione, anche se il contratto è nullo in base all'obbligo della
restituzione.
Nascono quindi anche delle responsabilità dal contratto nullo per esempio, se uno vende un bene con un
contratto nullo è chiaro che l’acquirente lo dovrà restituire, senza danneggiarlo.

Lezione 20
20 maggio
Nullità del contratto

la nullità del contratto può avvenire in casi in cui il contratto presenta delle anomalie così gravi che
l'ordinamento non consente che ad esso conseguano gli effetti giuridici che gli sono propri.
figura diversa dell’invalidità è quella dell' annullabilità, cioè un'ipotesi in cui il contratto ha delle anomalie fin
dalla sua origine, però se non vengono rilevate consentono al contratto di andare avanti e di produrre i suoi
effetti, cioè sono le ipotesi in cui c'è il contratto ed è stato concluso da un’incapace, c'è l'ipotesi in cui il
contratto sia stato concluso da un soggetto che era determinato a farlo ma la sua volontà era viziata da un
errore, da una violenza oppure dal raggiro. (studiare quali sono i casi di errore essenziale e riconoscibile e
dovete poi sapere che cosa vuol dire errore essenziale, che cosa vuol dire errore riconoscibile.)
in tutti questi casi il contratto nasce con questa anomalia, vuol dire che se il soggetto a cui tutela l'ordinamento
prevede quella particolare disciplina non reagisce, il contratto può andare avanti regolarmente ma a quel vizio
di origine consente alla parte interessata di eliminare il contratto dal mondo giuridico, cioè può essere
annullato.
annullato vuol dire che il contratto non produrrà i suoi effetti, da quando? nel momento in cui venga fatta
rilevare la causa di annullabilità, il contratto viene spazzato via fin dalla sua origine, come se non fosse mai
stato concluso perché si da veramente atto di quella tutela che l'ordinamento ha voluto predisporre per il
contraente che versi in una delle situazioni previste: incapacità, vizio del volere, incapacità anche non
dichiarata.
che cosa ha di diverso l’annullabilità rispetto alla nullità? innanzitutto l’annullabilità è sempre testuale, cioè il
legislatore ha cura ogni volta di prevedere quando il contratto sia annullabile, non è più virtuale come quella
che abbiamo visto per la nullità, ma è di volta in volta disciplina.

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Diritto Privato

mentre la nullità non si prescrive, quindi il contratto non ha mai avuto una parvenza di invalidità e può produrre
effetti di responsabilità; il contratto annullabile invece ha un periodo entro il quale questa annullabilità può
essere fatta valere, un periodo di prescrizione, cioè un termine di 5 anni, decorso il quale il diritto non può più
essere fatto valere.
È irrimediabilmente perso il contratto annullabile? L’ordinamento è ispirato a un principio che chiamiamo di
conservazione del contratto cioè cerca di salvare per quanto è possibile un contratto che nella realtà ha
incominciato a produrre i suoi effetti.
Principio di conservazione che cosa significa? Vuol dire che il contratto annullabile può essere convalidato.
Che significa convalidare? La convalida del negozio annullabile consiste nella volontaria attuazione da
parte del soggetto che avrebbe diritto di chiedere l'annullamento, quindi può convalidare il contratto colui che
potrebbe chiederne l’annullamento, l'ordinamento lo fa chiedendo la consapevolezza di questo soggetto della
causa di annullabilità e la volontà di darne esecuzione. Significa che se un soggetto, in ipotesi, ha venduto un
bene mentre era sotto l'effetto di sostanze stupefacenti (cioè era in uno stato di incapacità transitoria che non
dà luogo a dichiarazione di incapacità) il contrato è annullabile, ma lo può fare il soggetto che si è reso conto
di avere concluso il contratto in una situazione di non integrità del volere è lo può fare liberamente e
spontaneamente. Significa che quello stesso soggetto se si rende conto che invece una volta finita la causa
di incapacità transitoria si rende conto che il contratto corrisponde al suo interesse può darvi esecuzione,
l'importante è che lo faccia sapendo che invece potrebbe chiedere l'annullamento. Quindi la convalida non è
nient’altro che una applicazione del generale principio di conservazione che esiste nel nostro ordinamento, si
cerca quanto più possibile di salvare un negozio che potrebbe avere invece ragione di essere annullato.
l'ordinamento tende alla conservazione Per due ragioni: da un lato abbiamo la necessità di tutelare il soggetto
incapace, il soggetto che quindi si è indotti a concludere il contratto in condizioni di non perfetta integrità del
volere, ma dall’ altro lato si ha la necessità anche di tutelare coloro che in qualche modo vengono in contatto
con questo soggetto e quindi se colui che è interessato non chiedo l'annullamento evidentemente il
contratto produrrà i suoi effetti come se non ci fosse stata la causa dell’ annullabilità; qui interviene da un
lato la tutela dell'affidamento di coloro che dopo tanto tempo hanno visto che il contratto continuava a produrre
i suoi effetti e non avevano ragione di dubitarne della sua validità.
Quindi abbiamo due principi importanti: principio di conservazione e principio dell’affidamento.
in tutti i casi in cui il contatto sia inesistente, nullo, annullabile è corretto dire che siamo di fronte a un contratto
invalido, ma l’invalidità è oggetto generale e non mi consente di capire quale tipo di ipotesi si sta facendo,
quindi dire che in caso un contratto è invalido è sicuramente giusto, ma ciascuno di noi deve poter capire se si
è di fronte ad un contatto nullo, o annullabile o addirittura inesistente.
che cosa può succedere quando un contratto abbia tutti gli elementi essenziali sia cioè un contratto valido? un
contratto valido è un contratto che può produrre i suoi effetti; che cosa si intende per effetti? sono effetti quelli
che l'ordinamento ricollega alla possibilità il contratto stesso. Questi sono in genere di due tipi: effetti reali ed
effetti obbligatori.
Ogni volta che parliamo di effetti reali in un contratto valido, facciamo riferimento al trasferimento del diritto,
tutte le volte in cui si fa riferimento agli effetti obbligatori del contratto, si fa invece riferimento a quei
comportamenti che ciascuno dei contraenti deve tenere in ossequio alla volontà espressa col contratto. esempio:
contratto di compravendita Tizio vende, Caio compra. Il trasferimento del diritto da Tizio a Caio Questo
effetto che noi indichiamo anche come trasferimento del diritto o effetto traslativo del consenso, deriva dall’
accordo manifestato validamente tra le parti attraverso un contratto che abbia tutti gli elementi essenziali e
quindi un contratto valido, produce l’effetto di trasferire il diritto da un soggetto all'altro.
tutte le volte in cui si parla di effetto reale si fa riferimento a un contratto che per la sua
conclusione richiede semplicemente il consenso e dal consenso deriva l’effetto traslativo, (uno degli errori più
frequentemente fanno gli studenti è nel caso di vendita la domanda quando si trasferisce il diritto, la risposta
quando si paga il prezzo è sbagliata perché il pagamento del prezzo è la prestazione del compratore non è il
momento traslativo che consegue alcun consenso). Quello della vendita è un effetto reale.
quali potrebbero essere gli effetti obbligatori? gli effetti obbligatori sono quelli che impongono dei
comportamenti ai soggetti, esempio il contratto preliminare. il contratto preliminare è un accordo e si
conclude tra due soggetti e ha ad oggetto non il trasferimento di un diritto, ma l’impegno a concludere un
futuro contratto. Quindi dal contratto preliminare non derivano effetti reali, derivano soltanto effetti obbligatori
e l'obbligo consiste nella stipulazione del contratto definitivo, cioè di quel contratto che trasferirà il diritto. È
molto importante il contratto preliminare che chiediamo agli esami regolarmente e non diciate “è una specie
di contratto”, no! è un contratto, che ha unicamente effetti obbligatori, non è previsto che l’ordinamento non

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Diritto Privato

permetta che quel tipo di accordo comporti il trasferimento del diritto come avviene per il contratto definitivo,
questo nell’intenzione delle parti, deve solo vincolare i due soggetti a stipulare un contratto definitivo.
effetti reali o effetti obbligatori, il trasferimento della proprietà di regola avviene con il semplice consenso,
cioè il trasferimento del prezzo di ipotesi, può avvenire anche in un momento successivo, deve essere previsto
perché costituendo la prestazione del compratore è uno degli elementi essenziali del contratto, ma non è detto
che debba essere pagato in un certo momento, può essere rateizzato, può essere pagato in un momento
successivo; cioè nel contratto poiché sia valido dev’essere previsto quale sia il prezzo della vendita, come e
quando sarà pagato può essere rimessa all’accordo tra le parti, ma nel momento in cui le parti sono d’accordo,
uno di vendere, l’ altro di comprare quel determinato immobile a quel prezzo, la proprietà dell' immobile si
trasferisce dall'uno all'altro perché il contratto di compravendita ha effetti reali: l'effetto reale si produce nel
momento della conclusione di un contratto valido. La vendita ha effetto reale perché dal consenso deriva il
trasferimento del diritto a meno che, per il particolare tipo di accordo, tra le ipotesi particolari anche l'effetto
reale sia differito, cioè può capitare che il compratore e il venditore concludano un contratto valido ma per il
tipo di contratto concluso l'effetto reale non possa prodursi immediatamente, allora da quel contratto derivano
immediatamente degli obblighi e anche l'effetto reale che si produrrà in un momento successivo.
Esempio: se un soggetto vende all'altro una casa che deve ancora essere costruita, (vendita sulla carta) se anche
stipula un contratto perfetto in tutti i suoi elementi strutturali, di tutti gli elementi essenziali al posto giusto, non
potrà acquistare la proprietà di quella villetta per la semplice ragione che quella villetta non c'è ancora
fisicamente, quindi è un edificio da costruire; in questo caso qual è la sorte di quel contratto? È un contratto
nullo? No, ci sono tutti gli elementi, e sono individuati i soggetti e l’accordo, lo scambio, la regione dello
scambio, pagamento del prezzo contro trasferimento della proprietà della casa, sono indicate le prestazioni che
ciascuno deve all'altro, è precisata la forma, l’accordo è fatto in forma scritta. Quindi gli obblighi sono a capo
del venditore che deve curare che la casa venga costruita, perché quello è l'obbligo che deriva dal suo
accordo, e anche del compratore che deve pagare il prezzo ai momenti stabiliti, per esempio al momento di
avanzamento dei lavori come di solito si fa. Quando il compratore diventerà proprietario? Non appena la cosa
viene ad esistenza, cioè per effetto di quel contratto e da che immediatamente ha prodotto effetti
obbligatori, l'obbligo di fare acquistare il diritto, e si verifica il trasferimento del diritto in un momento
successivo all’acquisto del diritto di proprietà sarà differito cioè avverrà nel momento in cui il bene sarà venuto
ad esistenza. Quindi effetti reali ed effetti obbligatori vanno distinti in taluni casi, ma nella maggior parte dei
casi contratti di scambio hanno effetto reale immediato, può essere previsto in talune ipotesi che abbiano effetti
reali differiti.
nel caso invece in cui io vendo un bene che è di un altro, quel contratto non può produrre effetti perché io non
ho il diritto di trasferire, quindi è necessario che io lo acquisti per poterlo trasmettere all'altro.
Vendita di cosa generica, classico esempio ti vendo un quintale di grano, io ho un mucchio di grano quale
sarà la porzione che in effetti è venduta? Allora qui si dovrà fare quello che tecnicamente si chiama
l'individuazione, cioè la separazione della minore somma venduta dalla massa a cui appartiene, nel momento
in cui il venditore mette nel sacco il quintale di grano che ha venduto, l’acquirente diventa il proprietario di
quel quintale, prima era soltanto creditore della prestazione di acquistare la proprietà di quintale di grano. Il
contatto allora una volta concluso e che sia valido può produrre i suoi effetti.
Ma che cosa fare nell’ ipotesi in cui durante la vita del contratto si verifichino delle anomalie? Quali possono
essere queste sopravvenienze? Be, la prima di queste sopravvenienze può essere che una delle due parti non
adempia alla sua prestazione, cioè quello che il soggetto doveva fare non l’ha fatto, non ha tenuto il
comportamento dovuto. L’inadempimento, che cosa comporta? Uno squilibrio nella correspettività iniziale,
uno squilibrio delle prestazioni perché c'è una parte in ipotesi che ha adempiuto, e un contratto che prevedeva
l’adempimento di uno ma anche l’adempimento dell'altro, se uno solo adempie e l'altro no, si sbilanciano le
due posizioni, quindi è una situazione che l’ordinamento non può non considerare, e come la considera, che
rimedio affronta? Bè nel momento in cui viene meno quell’ equilibrio che ha giustificato la
programmazione iniziale, il rapporto che legava i contraenti deve essere sciolto, cioè siamo di fronte a un
inadempimento che può provocare lo scioglimento del contratto, questo scioglimento del rapporto si chiama
risoluzione per inadempimento. Perché è importante questo? perché mancando il bilanciamento, non ha
senso che il vincolo prosegua come era stato programmato all'inizio perché non può realizzare le finalità che
le parti avevano programmato con il contratto.
il contratto si scioglie, che cosa vuol dire? Vuol dire che le prestazioni eseguite restano eventualmente se
possibile ferme, se possibile. Esempio: un contratto che prevede più somministrazioni, contratto di fornitura
del gas, se la parte non paga le bollette che cosa succede? Questo contratto è zoppo, si scioglie, ma le
prestazioni eseguite, le forniture di cui il soggetto si sia avvantaggiato fino a quel momento che fine fanno?

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Non possono essere restituite, il gas è stato consumato, allora quelle se vengono tenute è ovviamente lo
scioglimento farà si che non continuerà il soggetto erogatore, non dovrà più fornire il gas per il futuro, quindi
l'effetto dello scioglimento è in questo caso ex mund, cioè dal momento in cui viene pronunciato, perché il
contratto era ancora valido, aveva tutte le sue prerogative, poteva produrre i suoi effetti solo che a un certo
momento è intervenuto qualcosa che ha bloccato l’equilibrio iniziale, quindi il contratto si risolve, si scioglie il
vincolo, dopo di che se, una prestazione è stata eseguita, oppure uno solo ha eseguito la prestazione e l'altro
no, non c’è ragione che quello che ha ricevuto la prestazione se la tenga se non da la controprestazione che
per contratto doveva dare. in questo caso, si effettueranno le restituzioni, la parte che ha ricevuto la prestazione,
ma non ha eseguito la sua, dovrà restituire la prestazione ricevuta solo da questo momento il contratto si potrà
dire sciolto.
Naturalmente ci sono delle conseguenze perché potrà essere collegato allo scioglimento un risarcimento del
danno, perché se una delle parti non ha adempiuto e se l’inadempimento non derivava da una sua responsabilità
allora non ci saranno conseguenze, ma l'altro può avere subito un danno e questo dovrà essere risarcito, è
una delle ipotesi di responsabilità contrattuale.
La risoluzione da chi viene chiesta? Ovviamente dal soggetto che ha subito l’inadempimento dell’altro e quindi
il soggetto chiederà la risoluzione del contratto, può ovviamente scegliere anche di conservare il contratto,
quindi potrà chiedere che l'altro adempia dandogli un termine; oppure nel caso non annullato, continua a non
adempiere, il contratto potrà essere risolto. La risoluzione (studiatela attentamente), può essere, di regola
pronunciata dal giudice che valuterà l'importanza dell’inadempimento di colui che ha diritto e in questo caso
sarà una sentenza che stabilirà quali sono le restituzioni conseguente allo scioglimento del rapporto, ed
eventualmente l’entità del danno che dovrà essere risarcito.
ci possono essere dei casi in cui lo scioglimento del rapporto può essere programmato dalle parti, cioè le parti
fin dal momento della stipulazione possono avere previsto delle situazioni che se si verificassero,
comporterebbero lo scioglimento immediato del contratto, per esempio: in un momento in cui una delle due
dovrebbe adempiere e l'altra si accorge che ci sono dei ritardi, la parte adempiente può mandare all'altro una
diffida ad adempiere. ovvero gli comunica “ti invito ad adempiere entro il termine di 8 giorni” c’è un termine
minimo decorso il quale il contratto si intenderà risolto di diritto. Il che Vuol dire che decorso il termine
fissato dalla parte nella diffida, il contratto si scioglie indipendentemente da una pronuncia giudiziaria, cioè se
poi le parti arrivassero in giudizio, il giudice dovrebbe dire semplicemente, “non sono io che sto sancendo lo
scioglimento del contratto, l'avete già fatto voi per effetto della diffida, io mi limito a dichiarare che il rapporto
si è il risolto”, significa che la sentenza del giudice ha natura dichiarativa, non costitutiva come invece è
nella risoluzione giudiziale. le parti potrebbero fare La stessa cosa prevedendo nel contratto un termine,
significa che le parti prevedono già che oltre una certa data, la prestazione dell'altro non avrà alcun interesse.
ad esempio: compro un vestito per la mia laurea è evidente che la consegna di quel vestito dovrà essere fissata
entro la data della laurea, se arriveranno tre giorni dopo non mi serve assolutamente a niente. questa
contrattazione è una contrattazione che prevede un termine che è essenziale ma deve essere espresso, deve
essere letto: vuol dire che se la prestazione avvenga fuori da quel termine, non c'è bisogno di dire non mi
interessa più, il contratto si intende risolto di diritto, cioè il vincolo si è sciolto senza bisogno di provocare un
provvedimento del giudice; si è sciolto di diritto, qui vale l'inverso, cioè nel caso in cui io dico che me lo devi
consegnare entro quella data e se quella data non l'hai rispettata il contratto si scioglie di diritto senza bisogno
che io ti dica niente, salvo che io invece ti dica consegnamelo lo stesso, cioè secondo la formula del legislatore,
il contraente, che avrebbe diritto alla risoluzione, può dichiarare di volere ricevere ugualmente la prestazione.
Altra ipotesi di risoluzione di diritto, è quella che conosciamo come clausola risolutiva espressa, cioè i
contraenti al momento in cui concludono il contratto dicono subito quale sarà il comportamento, la situazione
al verificarsi della quale il contratto non ha più per loro alcun interesse.
Esempio: stipulo un contratto con una struttura turistica, dicendo che se però intervenissero misure restrittive
che limitano gli spostamenti tra le regioni e il contratto si intenderà risolto di diritto, cioè possono prevedere
quale è la situazione al verificarsi della quale il contratto si scioglie automaticamente.
le caratteristiche della risoluzione per inadempimento può essere pronunciata dal giudice o può conseguire a
una partizione delle parti assunta già in sede di conclusione del contratto giudiziario di diritto. Ma il contratto
si può sciogliere anche per altre ragioni: cioè la sopravvenienza che si può verificare può essere
un'impossibilità della prestazione, ovvero la prestazione al momento della conclusione del contratto
sembrava possibile, al momento in cui dovrebbe essere eseguita o in un momento successivo diventa
impossibile. Esempio: ieri ho stipulato un contratto di ospitalità alberghiera in un certo posto, e l'albergo è
pronto a eseguire le sue prestazioni, peccato che io non possa raggiungerlo perché ci sono divieti di
spostamento. qui è l'impossibilità sopravvenuta della prestazione, ed è divenuta impossibile per cause che non

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dipendono dal contraente, non è l'albergo che non adempie, è una situazione oggettiva che non gli consente di
adempiere. quindi nell’impossibilità sopravvenuta della prestazione non ha senso che resti in vincolo il
contratto, si scioglie anche in questa ipotesi. la prestazione può anche diventare eccessivamente onerosa, cioè
una delle due prestazioni diventa talmente costosa o impone un sacrificio talmente elevato che si altera
l'equilibrio tra prestazione e controprestazione. Anche in questa ipotesi il legislatore vuole che sia
rispettato quell’ armonia con il rapporto di bilanciamento tra una prestazione e una controprestazione e quindi
consente la risoluzione, il che vuol dire appunto scioglimento del vincolo contrattuale, perché se non si scioglie
quel rapporto resta in vita.
Esempio: normalmente un soggetto si è impegnato a fornire una certa quantità di beni a un certo prezzo e per
effetto delle misure restrittive questo pezzo è diventato impossibile, evidentemente si crea l'impossibilità di
mantenere il rapporto con l’equilibrio che aveva inizialmente, quindi è in relazione al contratto specifico, può
essere in relazione alle condizioni di una delle parti.
Non è mai una questione soggettiva non è che uno possa dire “per me diventato troppo caro”.

la risoluzione che può essere:


➢ per inadempimento;
➢ impossibilità sopravvenuta;
➢ eccessiva onerosità sopravvenuta dalla prestazione.
Mentre per la risoluzione per inadempimento è prevista l’operare della risoluzione di diritto, nei casi di
impossibilità sopravvenuta della prestazione o eccessiva onerosità, siccome è necessaria una valutazione
oggettiva e di regola avviene giudizialmente, a meno che, non siano state previste espressamente dalle parti
delle clausole risolutive che possono evitare anche la valutazione successiva, però proprio perché sopravvenuta
e richiede il bilanciamento di posizione, è difficile che sia valutata a priori.
La rescissione è un’altra forma di scioglimento del vincolo contrattuale, ma è diversa dalla risoluzione anche
se spesso si confondono. Hanno in comune la fattispecie scioglimento, però abbiamo detto che la
risoluzione opera in tutti i casi in cui l'anomalia sopravviene alla conclusione del contratto, quindi avviene
dopo il contratto, l’inadempimento è successivo alla conclusione del contratto. L'impossibilità di una
prestazione originariamente possibile diventa poi impossibile, e via di questo passo.
Nella rescissione invece l’anomalia che porta o può portare allo scioglimento del contratto, nasce col contratto,
c'è al momento della conclusione del contratto, ossia le ipotesi di rescissione sono due:
- quando il contratto è stato concluso da un soggetto per poter salvare sé o altri, o per sottrarre se o altri
da un pericolo grave imminente alla persona. Esempio: io sono alla deriva su una barchetta, trovo un
barcone di passaggio gli dico ti do 80.000 € se tu mi dai un po' della tua benzina che mi consenta di
tornare a riva, di uscire da questa situazione di pericolo.
- oppure quando il soggetto si annuncia a concludere il contratto per la necessità di sopperire a una
situazione di bisogno dell'altra parte. Esempio: un soggetto ha un figlio in mano ai sequestratori e nel
procurare i soldi per il riscatto vende un bene di sua proprietà a chiunque in quel momento sia disposto
ad acquistarlo, pur di recuperare il necessario; in questo caso attenzione però che se il bene valeva 100
e viene venduto a 100 la particolare situazione in cui il soggetto si trova non ha influito, perché ha
venduto il bene al prezzo reale, se invece quel soggetto proprio per la necessità di reperire
immediatamente i soldi che gli servono vende a 40 un bene che valeva 100 ha concluso un contratto a
condizioni palesemente inique, perché ha attribuito a un bene un valore che è meno della metà di
quello che avrebbe avuto in condizioni normali.
Quindi nello stato di bisogno è necessario che lo squilibrio si provochi tra prestazioni in cui una vale meno
della metà del valore dell'altra, si dice la lesione deve essere ultra dimidum, cioè deve superare della metà.
in queste due ipotesi di contratto è concluso in stato di pericolo, necessità di salvare sé o altri dal pericolo, il
contratto concluso in stato di bisogno è rescindibile.
perché si chiama in questo modo diverso dalla risoluzione? Perché in questo caso c’è qualcosa di diverso: è
vero che sono alterate le prestazioni, quindi c'è lo squilibrio tra le prestazioni esattamente come nelle ipotesi
di risoluzione, ma qui c'è qualcosa di più, quello stato di bisogno, quello stato di necessità con cui il soggetto
conclude il contratto, in realtà hanno inciso anche sulla volontà. lo stato di bisogno o lo stato di pericolo sono
prima di tutto elementi perturbatori della volontà, quindi il contratto è rescindibile quando è concluso in stato
di pericolo, quando è concluso in stato di bisogno, perché lo squilibrio si crea sicuramente sul piano oggettivo
cioè le due prestazioni non corrispondono l'uno all'altro, ma c’è in più la possibilità cioè la valutazione di come

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la volontà nasca alterata, limitata da quello stacco di pericolo, e da quello stacco di bisogno. opera su un doppio
profilo: quello soggettivo della volontà, e quello oggettivo dell’equilibrio tra le prestazioni.
In ogni caso comporta lo scioglimento del rapporto; la difficoltà sta nel fatto che il termine per la rescissione
è più breve. la rescissione si può evitare se l'altro contraente riporta il contratto all'equilibrio che gli sarebbe
dovuto spettare, esempio: ho venduto a 40 un bene che valeva 100 è necessario che chi vuole dettare la
rescissione, cioè quello che ha comprato, non deve limitarsi a pagare i 10 mancante per arrivare almeno alla
metà, ma deve riportare il contratto all’equilibrio, cioè se un bene valeva 100, deve pagare 100, quindi se ne
ha pagato 40 deve, può evitare la rescissione integrando con i 60 mancanti. Se non si verifica nessuno di questi
casi, il contratto può produrre i suoi effetti, è efficace, cioè può produrre gli effetti che gli sono propri.
Tra le parti che hanno concluso un contratto quando non ci sono anomalie di nessun genere, quando non ci
sono vizi del volere, non ci sono possibilità sopravvenute, non ci sono inadempimenti eccetera, il contratto
produce i suoi effetti, e si dice è efficace.
Inefficace cosa vuol dire? Che un contratto c'è stato, magari ha tutti gli elementi che lo costituiscono, però non
può produrre i suoi effetti. Esempio: vendo la casa di mio fratello. qui un contratto c’è, le parti sono identificate,
ci sono io c’è il compratore, la volontà non è soggetta, non ha avuto condizionamenti di sorta, non è viziata, la
causa dello scambio è prevista, trasferimento di proprietà contro pezzo, le prestazioni sono indicate, io vendo
lui compra, la forma l'abbiamo fatto per iscritto, c’è solo un piccolo particolare: io non posso trasferire a un
altro un diritto che non ho, cioè Io non ho la legittimazione a disporre di quel determinato diritto, quindi il
difetto di legittimazione comporta che cosa? L’inefficacia assoluta del contratto stipulato e il contratto c’è, è
valido ma non può produrre effetti, perché questo possa avvenire sarebbe necessario che tra me e mio fratello
sia intercorso un altro tipo di negozio, che è una rappresentanza, cioè lui dovrebbe avermi incaricato di vendere
e quindi dovrebbe avermi conferito una procura e mi dia la legittimazione a disporre al posto suo, per fare in
modo che l'attività da me compiuta ricada nella sua sfera giuridica (rappresentanza dovete studiarla dal
manuale.)
quindi nei casi in cui il soggetto non sia legittimato a disporre, il contratto è inefficace. La mancanza di
legittimazione è causa di inefficacia del contratto. È definita assoluta nel senso che vale nei confronti di
chiunque, ma può essere anche relativa.
l’inefficacia è relativa quando un certo contratto si può far valere nei confronti soltanto di determinate
persone. Esempio un soggetto compra, cioè vende un’immobile con una scrittura privata, poi vende anche ad
un altro. Anche in questo caso il contratto è valido, perché sono le parti, sono individuate. Però qual è il
problema? In realtà nel momento in cui ha venduto, questo soggetto, non era più proprietario perché aveva già
trasferito il suo al primo compratore, però noi sappiamo anche che in questa ipotesi è necessaria la pubblicità
dei contratti stipulati tra le parti, quindi non il primo ma il secondo trascrive, chi diventa il proprietario? Diventa
proprietario quello che ha trascritto. Il contratto di vendita, in questo caso è valido ed efficace nei confronti di
tutti; quello che ha trascritto per primo, nel nostro esempio è il secondo che ha acquistato, la trascrizione, rende
questo atto opponibile, può essere fatto valere nei confronti di chiunque, il primo che ha acquistato ma non ha
trascritto, non può far valere il suo contratto nei confronti del secondo, perché non avendo trascritto non può
far valere il suo acquisto prioritario, quello che era avvenuto prima. può opporre qualcosa? No, nessuno può
opporre niente, quindi l’efficacia di quel contratto, di quello che ha trascritto è assoluta, l'efficacia di quello e
ha un diritto ricavato derivante da una scrittura privata, è opponibile, può essere fatto valere nei confronti del
venditore, che deve garantirlo contro l'edizione che lui abbia subito, perché non vale.
perché qui non si applica le regole chi non è proprietario non può trasferire? Perché qui accanto alla
tutela dell’acquirente l’ordinamento si preoccupa di tutelare anche la fiducia dei terzi, che non possono sapere
quello che è avvenuto tra le parti, e possono fare riferimento unicamente ai pubblici registri dove è stato
trasferito l’avvenuta della vendita, quindi è una tutela, e solo in ragione di tutela dell' affidamento di chi è in
buona fede ha creduto nelle risultanze dei registri pubblici che consente di regolare in questo modo il rapporto
tra i soggetti che hanno acquistato il medesimo diritto. Simile al caso del possesso vale titolo in cui è chiaro
che il proprietario potrebbe opporre il suo diritto a chiunque, però siccome è necessario tutelare la buona fede
generale, l’ordinamento tutela il possessore che abbia acquistato in buona fede il possesso se si tratta
ovviamente di un bene mobile.
Esempio: Immaginate un soggetto che sia debitore di più persone, e decide di vendere alcuni suoi beni. I
creditori hanno la possibilità di chiedere la revocatoria degli atti di disposizione compiuti, perché? Perché in
quel modo verrebbe alterata la loro tutela, non avrebbero più il bene del debitore sul quale soddisfarsi. L'azione
di revocatoria non è altro che una richiesta di dichiarazione, di inefficacia degli atti compiuti dal debitore, cioè
i creditori che hanno ragione di voler essere tutelati nei confronti di un soggetto che è loro debitore e che hanno
i suoi beni come garanzia del loro credito, possono chiedere che vengano dichiarati inefficaci gli atti di

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disposizione che lui ha compiuto nei confronti di determinati altri soggetti. quindi questa dichiarazione, quella
che noi chiamiamo azione revocatoria non è altro che la richiesta di dichiarazione di inefficacia degli atti
compiuti da un debitore, che ha leso le aspettative degli altri creditori.
il concetto di inefficacia relativa si esprime anche coi termini opponibile - non opponibile, dove opponibile
vuol dire può essere fatta valere contro determinati soggetti, inopponibile è l’inverso non può essere fatto
valere contro determinati soggetti.
L’inefficacia di un contratto può anche essere temporanea cioè non definitiva, il contratto può essere posto in
una sorta di stand by cioè si può concludere un contratto, fare si che sia valido ma questo non produrrà i suoi
effetti immediatamente, li produrrà in momenti successivi che possono dipendere quando si verificheranno,
quando uno dei due terrà un certo comportamento o quando si verificherà un certo evento. Ovviamente questa
regola vale sia per i contratti, sia per i negozi unilaterali.
Esempio: il testamento. uno lo può scrivere da solo, può andare dal notaio, dispone di tutti i suoi beni, di cosa
si dovrà fare, di cosa non si vorrà fare, ma questo negozio genericamente chiamato, quest’atto unilaterale potrà
lasciare tutti i suoi beni a una certa persona, quella persona designata diventa proprietaria dei bei
immediatamente? No, deve avere la pazienza di aspettare che l'altro sia morto, cioè il testamento è
valido, completo di tutti i suoi elementi, manca un requisito che ne attivi l'efficacia, cioè nel momento in cui
si verificherà l’apertura della successione, allora quel negozio che dispone dei beni per il tempo successivo
alla morte, possa produrre i suoi effetti.
Quindi valido ed efficace, non sono sinonimi ed è un grave errore confonderle.
nell’esempio della vendita di cosa futura, quel contratto è valido ed è temporaneo, il contratto produce i suoi
effetti obbligatori, è solo differito il momento del trasferimento del diritto. Gli obblighi, per esempio quelli
relativi al pagamento del prezzo d'avanzamento lavori si producono tutti, quindi è perfettamente valido e
efficace nei termini in cui è stato stipulato. L’inefficacia si produce quando per situazioni, in genere si tratta di
situazioni espressamente prevista dalle parti, cioè le parti possono inserire nel contrato degli elementi che non
sono elementi essenziali che possono esserci o non esserci, importante è che se ci sono, debbano rispondere ai
requisiti previsti dalla legge per le condizioni inserite nel contratto, per gli elementi del contratto. Sono queste
le ipotesi di condizioni, termine o modo o onere che possono essere inserite nel contratto, cioè le parti possono
subordinare l'efficacia del contratto o nel momento in cui debba cominciare a produrre i suoi effetti o nel
momento in cui debba terminare i suoi effetti, posso subordinarlo al verificarsi di un evento di un qualcosa di
esterno, non è più solo la loro volontà, ma qualcosa di esterno che abbia due caratteristiche che sia futuro e che
sia incerto nel suo verificarsi. Se io dico ti darò 100€ il 15 di giugno; il 15 di giugno è un termine, è un momento
che certamente si verificherà quindi vale il mio obbligo e dovrà essere adempiuto, questo non è una condizione
perché il 15 di giugno è il futuro ma è certo che verrà che si verificherà. al contrario la condizione invece fa si
che l’evento dal quale dipendano il prodursi o il venir meno di uno degli effetti di un contratto, debba essere
futuro ma anche incerto, cioè non deve dipendere dalla volontà delle parti, e allora se io dico ti vendo il mio
immobile a condizione che io sia trasferita e quindi non avrò più bisogno di stare a Cagliari, questo evento
dedotto in questo caso qual è? Un trasferimento di lavoro che è futuro, e una condizione, l'evento è il
trasferimento che avverrà ad opera di altri soggetti, decideranno altri soggetti, non sono io, è futuro ed è incerto,
si chiama tecnicamente condizione in questo caso è sospensiva. Se invece io dicessi ti vendo la mia casa, e
nel caso venga ritrasferita a Cagliari, perché magari sono fuori per un po' per lavoro, gli effetti di questo
contratto verranno meno, cioè si risolvono, vuol dire che qui la condizione è risolutiva, cioè al verificarsi
dell'evento futuro incerto è collegato non l'iniziale prodursi degli effetti, ma il venir meno di quelle che nel
frattempo si sono verificati. Ancora diverso se io dicessi “ti darò 100€ se vorrò” è chiaro che qui non è una
condizione tecnicamente, sto semplicemente subordinando la prestazione alla mia esclusiva volontà che non
sarebbe valida. Qui interviene il principio di conservazione, una clausola di questo genere non fa cadere tutto
il contratto ma si considera come se non ci fosse stata, cioè si cancella la condizione e si lascia vivo il contratto,
per quanto si può l'ordinamento cerca di conservare gli atti che sono stati compiuti. Diversa dalla condizione
è un'altra figura che è una sorta di condizione non è espressa, una di quelle cose che non vengono esplicitate
nel contratto, ma è chiaro che hanno condizionato la volontà dell’uno come dell'altro. esempio: se io stipulassi
un accordo con un soggetto che vive in via Roma a Cagliari, e stabiliamo che mi darà in locazione il suo
balcone con vista via Roma, per il 1° maggio, che stiamo stabilendo? C'è necessità di dire che io non ho nessuna
necessità fuori dal 1° maggio ad andare su quel balcone? Qual è il presupposto che ha regolato l’accordo tra le
parti? Il presupposto per me è vedere la sfilata, per lui guadagnare una somma della locazione del suo balcone
che in un altro periodo dell'anno sicuramente non avrebbe, quindi non c'è bisogno che noi precisiamo a
condizione che la sfilata si tenga, perché la sfilata è il presupposto sulla base del quale entrambi abbiamo
concluso il contratto. Quindi se la filata non si tiene non c'è una ragione che lui mi metta a disposizione il suo

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balcone e che io gli paghi il prezzo convenuto. quindi questa diventa una condizione implicitamente
risolutiva, è implicita perché non l'abbiamo espresso ma è lo schema la base di partenza sulla base della quale
ciascuno dei due ha contrattato, quindi per distinguerlo da una condizione in senso tecnico che è quella
formulata col “se avverrà questo” questa si chiama presupposizione. Altro elemento che può, tardare o
limitare l'efficacia immediata del contratto, è quello che si chiama modo o onere.
Modo o onere è semplicemente un comportamento che un soggetto deve tenere perché si producano gli effetti
del contratto, Cioè è un comportamento che si prevede da una delle parti che limita l'efficacia. fino a quando
non sia stato ottenuto un certo comportamento, gli effetti del contratto non si produrranno, quindi subordina
l’iniziare a prodursi, il venir meno degli effetti del contratto, fino a quando venga tenuto un certo
comportamento. Sostanzialmente qui l'inizio degli effetti o la loro fine non sono subordinati al verificarsi di
un evento futuro e incerto come nel caso della condizione, qui il prodursi o il venir meno degli effetti sono
subordinati a un comportamento, in questo consiste l'onore o il modo, che uno dei nuovi soggetti debba
ottenere o al limite con un terzo soggetto estraneo debba tenere.
Efficacia o inefficacia dunque, diversa dalla validità. Nel corso del contratto però possono
verificarsi alcune cosa, alcuni eventi, alcuni fatti non possono definirsi vizi, non possono definirsi condizione
in modo termine ma semplice irregolarità. esempio: un soggetto vuole vendere un appartamento e per cercare
di tirar su un prezzo più elevato fa vedere la casa ai possibili acquirenti e trovando quello particolarmente
credulone gli fa credere che è una casa importante, perché precedentemente era di un personaggio famoso, e
per convincerlo crea una serie di cose, mette delle foto, le espone per la casa, in modo da ottenere un’acquirente
più convinto. Tutto questo atteggiamento che riguarda la fase precedente del contratto poi non comporta nulla
di particolare perché non c'è un raggiro in realtà, lui ha solo pubblicato delle foto che poi aveva fatto con quel
signore non a casa sua ma a casa di altri, sono delle semplici irregolarità così come lo sono tutte le piccole
carenze di buona fede nel corso delle trattative che influenzano sul contratto. Le irregolarità, (purché non si
traducono in un raggiro, che non inducano in un errore che non consistono in una minaccia, che non
siano contenuto di una condizione di un termine di un modo,) non hanno alcuna rilevanza, però possono
comportare conseguenze, conseguenze sul piano della responsabilità e in questo caso darebbe loro solo a
eventuale risarcimento del danno ma non inciderebbe sulla validità del contratto.
Se io stipulo un contratto di compravendita con un signore, relativo un immobile in forma orale ci mettiamo
d'accordo al bar e ci stringiamo la mano; come definireste questa situazione? Come è questo contratto? La
vendita immobiliare in forma orale è nulla per difetto di forma, e quindi possiamo dire che è invalida.
Se io vendo la casa di mio fratello, il contratto è valido? Sì, il contratto è valido ma inefficace, cioè il contratto
di per sé è valido, è integro, non produce effetti traslativi, obbliga me eventualmente a fare acquistare la
proprietà a mio fratello perché così mi sono impegnata a fare, ma non produce effetti traslativi nei confronti
dell'acquirente.

Lezione 21
25 maggio
Obbligazione dall’ ILLECITO.
Quando si dice che le obbligazioni nascono da contratto si fa riferimento a qualsivoglia tipo di accordo tra due
o più soggetti, quindi l'accordo tra due persone ma anche l'accordo da cui nasce una società. Il vincolo che si
crea per effetto di una stipulazione tra due o più parti si chiama contratto. Questo è il contratto generico, però
se di volta in volta io ho un contratto di compravendita tra Tizio e Caio, l'obbligo del venditore di consegnare
il bene, l'obbligo del compratore di pagare il prezzo, non è che traggano origine da chissà quale cosa, ma hanno
il loro titolo nel contratto di compravendita. Il contratto in generale come elemento volitivo da cui deriva un
rapporto obbligatorio è la fonte generale; il singolo contratto, quello di volta in volta preso in considerazione,
è il titolo dell'obbligazione. Fonte è genericamente tutto ciò da cui può nascere un’obbligazione, una delle fonti
è il contratto, qualunque esso sia, o tra due persone, o tra più persone come nella la società, sia il modello
standard che noi conosciamo, sia quello per adesione (visto nella lezione precedente). Quale sia il contratto, è
fonte di obbligazione perché l'ordinamento riconosce all'autonomia privata e alla volontà dei soggetti questo
ruolo di possibile origine dell'obbligazione in base alla volontà dei soggetti
Questo non vuol dire che però le obbligazioni nascano solo da contratto. Lo stesso legislatore nell'articolo 1173
c.c. fa riferimento alle obbligazioni che nascono da fatto illecito. Questa vota il riferimento non è a un rapporto
bilaterale ma è a un comportamento di un individuo o di un gruppo di individui (illeciti di tipo associativo); si
tratta di una situazione in cui il comportamento soltanto di una parte, comportamento un po' deviato dal
normale perché il suo presupposto è che sia doloso o colposo, cioè che sia stato posto in essere con negligenza,
imprudenza, imperizia, oppure con la deliberata volontà di nuocere, e che abbia provocato un danno ingiusto
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, in modo tale che ci sia un rapporto di causa-effetto tra comportamento e danno, un nesso di consequenzialità
tra ciò che è stato fatto e ciò che si è provocato.
In tutti questi casi può sorgere un'obbligazione di risarcimento, cioè un nuovo rapporto obbligatorio che ha
come soggetto passivo, cioè debitore, colui che ha tenuto il comportamento doloso o colposo, e come creditore,
cioè soggetto che deve ricevere una prestazione, colui che ha subito il danno. Quindi “qualunque fatto dolo o
colposo” dice il legislatore, perché ha inteso far riferimento all'illecito come a qualcosa di atipico. Se avesse
voluto indicare quali sono gli illeciti avrebbe dovuto fare un elenco che sarebbe stato di per sé fallibile, perché
non ci sarà mai un elenco interamente completo, qualcosa sfuggirà sempre. La scelta del legislatore è stata
quella di comportarsi un po' come ha fatto per i contratti: ossia “vi dico alcuni modelli di contratti ai quali
potete fare riferimento, però per il resto potrete stipulare qualsivoglia tipo di contratto atipico, l'unica cosa che
vi chiedo è che questi accordi corrispondano a interessi meritevoli di tutela”, cioè che siano conformi ai principi
generali dell'ordinamento giuridico. Quindi piena autonomia delle parti nella determinazione dei contratti. Lì
è fatto per dare spazio all’autonomia, per consentire libertà di espressione e regolare i propri interessi nel modo
che ritengono più opportuno.
Nell'illecito un'ipotesi poteva essere che il legislatore indicasse tutti quelli che sono gli illeciti con il rischio
che se si dovesse presentare una nuova forma di illecito non prevista, non immaginata prima, questa resterebbe
senza tutela; la preferenza è stata accordata in una regolamentazione di tipo aperto, nel senso che il legislatore
ha indicato gli elementi costitutivi dell'illecito senza indicare perfettamente quale sia l'illecito. Quindi noi
possiamo ravvisare e dobbiamo identificare l'illecito in qualunque fatto e comportamento umano che abbia
queste caratteristiche: sia frutto di negligenza, imprudenza, imperizia (mancanza delle tecniche).
- Negligenza: esempio, so che non devo bere prima di guidare, mi bevo un paio di birre e poi esco a
farmi un giro; certo che non volevo investire il pedone, ma la mia condotta nel momento in cui mi son
messo alla guida ubriaco era sicuramente negligenza.
- Imprudenza: esempio, voglio salire ad aggiustare il tetto e salgo con le scarpe con la suola scivolosa,
senza imbragarmi, senza tener conto che da lì potrei scivolare. Cagiono un danno a me stesso. Oppure
sono disattenta, metto nel davanzale un bel vaso di fiori senza tener conto che la finestra sporge
sull'esterno, che non c'è un ferro che regga il vaso, che quando c'è il maestrale colpisce la mia finestra
e butta giù tutto quello che trova; certo che non ho voluto danneggiare la macchina del mio vicino
buttandoci sopra il vaso. È stata imprudenza.
- Imperizia: esempio, il mio vicino mi dice di avere il tubo del gas che non funziona e mi offro di
aggiustarlo senza saperlo realmente fare. Prendo le forbici e inizio a lavorarci perché l’avevo visto fare
a un signore un giorno. Se l’imperizia, ossia l’incapacità, di lavorare ad opera d’arte provoca un danno,
di questo dobbiamo risponderne e ne saremo responsabili.
- Doloso: esempio, mi affaccio dal balcone e butto giù un vaso.

Davanti a un comportamento che sia negligente, imprudente, imperito o addirittura doloso (voluto), sono tutti
comportamenti che sono umani, voluti, volontari, non sono meri accadimenti. Un conto è che cada un fulmine
e bruci tutto il sistema elettrico di una casa, azione non prevedibile e non imputabile ad alcuno. Altro conto è
cagionare volutamente danno ingiusto a qualcuno. Qualunque fatto che non sia un mero accadimento ma sia
un comportamento che abbia i requisiti di colpa o dolo e che per di più nel contempo cagioni un danno ad altri,
obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcirlo. Ci deve essere l'effetto (danno) e la causa (il
comportamento).

Esempio: se metto sul davanzale la pianta in un giorno in cui non c'è vento e la pianta non cade, è chiaro che
non posso risarcire i danni che si sono provocati ad altri. Non c'è nessun nesso diretto tra la mia azione e il
danno che si è verificato sotto di un incendio di una macchina, ad esempio. Potrei essere responsabile se avessi
riparato l’impianto elettrico della macchina e ha fatto corto circuito.

Non dimenticate MAI che gli elementi costitutivi dell'illecito sono:


• il comportamento;
• l'elemento volitivo (il dolo, la colpa);
• il danno;
• il nesso di consequenzialità o causalità (rapporto di causa- effetto tra l'evento e il danno).
In questi casi sorge un’obbligazione che è un’obbligazione di risarcimento. Il presupposto per il risarcimento
è che il danno sia ingiusto, cioè un fatto che abbia provocato un danno, e questo danno sia ingiusto fa nascere
l'obbligo risarcitorio.

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Domanda frequente all'esame: Cosa si intende per DANNO INIGUSTO?


Non qualunque danno è risarcibile, ma solo quello che si configuri come ingiusto!! In prima battuta, quale sia
il danno ingiusto ce lo dice il legislatore che ha tipizzato alcuni casi di danno ingiusto, tipo:
• lesione dei diritti assoluti patrimoniali
• lesione dei diritti della personalità
Sono tutti ipotesi che il legislatore ha, sin dall’inizio, ha tipizzato, allo stesso modo in cui ha tipizzato una serie
di contratti. Sulla falsa riga di questi tipi già individuati dal legislatore, la giurisprudenza ne ha aggiunto altri.
Si faccia riferimento alla vicenda di Superga e dei calciatori del Torino calcio (esempio fatto nelle prime
lezioni), in questi casi c'era stata la lesione del credito da parte di un terzo, non da un soggetto che era legato
da un contratto ma da un terzo estraneo. Questo terzo ha leso comunque il diritto del creditore e, in quanto lo
abbia fatto, viene reputato responsabile del danno. Quindi nell'elenco dei danni ingiusti si è aggiunta anche la
lesione del credito da parte del terzo.
Quando abbiamo parlato delle situazioni di fatto del convivente a cui viene ucciso l'altro convivente e ci si è
chiesto se potesse avere il risarcimento del danno da parte dell'omicida. La giurisprudenza fino a quel punto
era dell'idea che a essere risarcito poteva essere solo il coniuge o tutt'al più i figli, perché sia nei confronti dei
figli che nei confronti del coniuge esiste un obbligo di mantenimento, di assistenza che nasce appunto dal
matrimonio. Fino a quel punto la giurisprudenza era favorevole al fatto che il coniuge avesse il diritto al
risarcimento e anche i figli, il convivente no perché non essendo sposato non c'è nessun obbligo di
mantenimento quindi quello che viene leso è nient'altro che un’aspettativa di fatto sulla quale non crede
neanche lo stesso convivente tant'è che non era sposato. La giurisprudenza all'inizio è stata un po' dura e poi
ha cominciato col cedere: pacifico che i figli debbano essere sempre risarciti qualunque sia il loro stato, sia
che siano nati all'interno del matrimonio e siano nati al di fuori. Per quanto riguarda il convivente si è detto
che è vero che non c'è un obbligo di mantenimento tra i due conviventi di fatto, però c'è un’aspettativa di vita,
di attenzioni reciproche che merita in conformità all'ordinamento giuridico di essere tutelato. Si è riconosciuto
soprattutto in campo penale il diritto al risarcimento del danno da parte del convivente nei casi di omicidio.
Voi capite che l’estensione dal penale al civile è rapida. Si è affermata l’idea che costituisce fatto illecito
l'uccisione del convivente.
Si è inoltre iniziato ad affermare in giurisprudenza la lesione di un diritto laddove non sia proprio un diritto
soggettivo, ma sia un interesse molto forte ad essere stato leso da una parte. È il caso del soggetto che partecipa
ad un concorso a cui venga impedito di partecipare, magari viene ucciso, viene azzoppato mentre si recava a
dare il concorso. Il soggetto non ha un diritto da vantare, perché quel concorso non è detto che l'avrebbe vinto,
ciò che però gli è stata rovinata è l'opportunità. La perdita di opportunità, che in passato non è mai stata presa
in considerazione, è rientrata e comincia a rientrare nel novero degli atti illeciti. Il concetto di illecito è quindi
un concetto che viene elaborato dal legislatore, indicato come fonte delle obbligazioni, i suoi elementi
essenziali sono gli elementi soggettivi del dolo e della colpa, l'elemento oggettivo dell'ingiustizia del danno
dove nella nozione di danno ingiusto rientrano tutti i casi che abbiamo già elencato, legati tra di loro da un
nesso di consequenzialità.
Qualsiasi evento, di qualsiasi altro genere, che non sia compreso in questo elenco, se ha i requisiti di essere
doloso o colposo, di cagionare un danno non necessariamente di un diritto soggettivo ma può essere anche la
lesione di un’aspettativa, la lesione di una legittima pretesa, può comportare l’obbligo di risarcire. Il rapporto
che nasce è un rapporto obbligatorio tra colui che dovrà risarcire il danno, che l’ha cagionato e colui che l'ha
subìto. Normalmente chi risarcisce è colui che ha cagionato il danno, altre volte però il danno può gravare su
soggetti che non centrano niente con chi ha cagionato il danno. Si immagini il caso di un insegnante che
risponde del danno verificatosi a carico di uno degli allievi. Il bambino che va all'asilo e si fa male sbattendo
al termosifone, risponde del danno l'insegnante che non ha adottato le giuste cautele o non opportune, ha
utilizzato un atteggiamento negligente nell'assistenza dei soggetti che gli sono affidati. Se il mio cane
aggredisce il vicino non ne risponderà il cane ma sarò io a risarcirlo perché ho l’animale in custodia. Chi ha
animali o bambini in custodia risponde dei danni da questi cagionati. Se il pargoletto è vivace e tira una biglia
nell'occhio dell'altra maestra a rispondere dei danni non saranno i genitori, sarà l'insegnante che era a scuola
che non ha vigilato; mentre se il pargoletto tira la biglia nell'occhio del bambino con cui sta giocando in cortile,
saranno i genitori che dovranno rispondere dei danni perché per loro esiste una forma di responsabilità che non
è soggettiva, come quella descritta prima, ma è una responsabilità oggettiva perché prescinde
dall’accertamento della colpa o del dolo.
La responsabilità oggettiva, contrapposta alla responsabilità soggettiva, che cos’è? Nei casi descritti prima,
fonte della responsabilità è il comportamento assistito da una certa volontà. Ci sono poi tutta una serie di casi
in cui anche volendo non si riesce a ricondurre il danno alla responsabilità di un soggetto, dei casi in cui il

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danno si verifica ma in teoria non ci sarebbe nessuno su cui far ricadere la responsabilità. Ipotizziamo che
vicino a casa nostra ci sia una fabbrica dove si lavorano i fuochi d'artificio, esplode la fabbrica e cagiona danno
alle strutture vicine, uccide un cane, ferisce il vicino in giardino. Di tutti questi danni chi risponderà?!
È difficile trovare un responsabile, perché? I fuochi sono scoppiati, ci può essere stata una negligenza ma
potrebbe non esserci stata. Potrebbe essere stato un caso fortuito, magari una giornata eccessivamente calda,
un riverbero di luce particolarmente forte che scatena l'incendio. Se non ci fossero altri rimedi, il tutto
graverebbe su chi ha subito il danno quindi avrebbe il danno e la beffa. Sarebbe un far gravare il danno su chi
l’ha subìto perché non è facile individuare chi l'ha provocato. In questi casi il legislatore ha fatto una scelta:
risponde il proprietario della fabbrica. Questo signore potrebbe dire di essere in buona fede, di non essere nella
città, di aver fatto tutto ciò che era possibile per evitare il danno, ma in ogni caso ne risponde.
C’è una ragione? In passato, quando la dottrina era legata ai concetti di responsabilità soggettiva e chiedeva
sempre il dolo e la colpa, si reputa che in ogni caso vi era la colpa o di aver progettato male la fabbrica, o la
colpa di non aver prestato attenzione a come venissero preparati i fuochi, la colpa per non aver controllato
come i materiali veniva accatastati. Capite però che questa è una ricerca di colpa un po’ eccessiva.
L’imprenditore potrebbe essersi fidato dei chimici che gli hanno garantito che era tutto in sicurezza.
L’imprenditore ha studiato Economia e non può essere onnisciente, deve potersi fidare dei titoli di studi degli
specialisti. È il voler addossare la responsabilità ad ogni costo a un soggetto pur essendo consapevoli che in
realtà la colpa non la possiede: non è stato negligente, non è stato imprudente.
Si è cercato di ricorrere alla culpa in vigilando, ossia male che vada non è stato attento, oppure alla culpa in
eligendo ossia accusando di aver scelto male i propri collaboratori. Erano chiaramente costruzioni artefatte che
si sono poi smontate perché è inutile cercare giustificazioni che non si possono reggere. Diciamo
semplicemente che in alcuni casi l’ordinamento addossa la responsabilità a certi soggetti non perché ci sia una
loro colpa ma perché questi sono titolari di una impresa, hanno gli utili di impresa, sono gli unici in grado di
reggere gli eventuali danni che derivano dall’esercizio d’impresa. In sostanza, facciamo gravare su di loro il
rischio del danno perché loro lo possono sopportare. È una soluzione molto più accettabile perché si capisce il
motivo per cui si addossi ad un certo soggetto una responsabilità oggettiva perché non è solo senza colpa o
senza dolo, perché si prescinde dalla colpa. Mentre sui singoli si va a cercare l’imprudenza, l’imperizia e così
via, nei casi in cui il legislatore disciplina la responsabilità dei padroni e dei committenti vuol dire che sta
escludendo la possibilità di indagare se vi sia una responsabilità soggettiva. Non si sta neppure a discutere se
vi sia stata o meno la colpa, non si sta ad indagare, rispondono loro semplicemente per il ruolo che ricoprono.
Questo è importante perché è un tipo di responsabilità civile che si cerca di trasferire anche nel penale.
Esempio: Tangentopoli e nei vari reati politici quando si dice che il responsabile del partito non poteva non
sapere. Non è nient’altro che il tentativo di far migrare anche verso il penale un concetto che è proprio della
responsabilità civile, cioè la responsabilità oggettiva dove tu rispondi per il ruolo che ricopri e per l’attività
che svolgi, indipendentemente dal fatto che tu abbia o meno colpa. Qui il grosso problema qual è? Che mentre
nell’ambito del civile noi conosciamo la differenziazione tra responsabilità soggettiva e responsabilità
oggettiva, nel penale da sempre la responsabilità può essere solo personale. Quindi o il legislatore emana delle
norme dove dice che nei casi di reati collegati ad esempio alle comunicazioni aziendali o collegati alla fede
pubblica (investimenti, emissioni di titoli), si può configurare una responsabilità oggettiva anche penale perché
se non c’è una legge che espressamente lo dica, non abbiamo modo di estendere alla responsabilità penale che
è esclusivamente soggettiva le regole che invece valgono per la responsabilità civile.
Studente chiede: “Sono conduttrice di una casa in locazione, c'è un’infiltrazione d'acqua dal tetto e si rovina la
tv. Chi paga i danni?” Siamo nell'ambito di un contratto di locazione. Qual è il regime di responsabilità nella
locazione? Chi deve fare le riparazioni? Al conduttore spettano le riparazioni di ordinaria amministrazione (es.
si rompe il nastro della serranda e lo sostituisce), ma le infiltrazioni d'acqua dal tetto sono lavori di straordinaria
manutenzione e gravano sul proprietario. Quindi deve essere il proprietario stesso a riparare il tetto. Il danno
qui non è soltanto quello dell'immobile, ma deve garantire il pacifico godimento della cosa locata, e questo
pacifico godimento comprende anche la possibilità di utilizzare le prese della casa per la televisione e il
computer. Questa è una responsabilità contrattuale, non da illecito, perché qui la violazione riguarda il
comportamento che il soggetto deve tenere per effetto del contratto, deve provvedere alle riparazioni
straordinarie. Sarebbe da illecito se, per esempio, il vicino avesse piazzato vicino alla sua un’antenna
parabolica pesantissima che ha rotto un paio di tegole e allora quello ha provocato le infiltrazioni dell'acqua:
lì c'è il fatto del vicino contro cui potrebbe rivalersi perché ha messo sul tetto di un altro una parabolica che
avrebbe dovuto mettere nel suo.
C'è differenza tra la responsabilità contrattuale e quella extracontrattuale (che più avanti specificheremo
più nel dettaglio). Non confondere mai la responsabilità che deriva da un contratto, dalla responsabilità da fatto

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illecito che deriva da un comportamento tenuto da uno e che si riversa nel settore di un altro (domanda gettonata
all'esame: responsabilità contrattuale ed extra contrattuale). L'atto illecito è genericamente una responsabilità
soggettiva, ma esistono casi di responsabilità oggettiva, dove oggettiva vuol dire che il soggetto che risponde
del danno non è necessariamente lo stesso che lo ha cagionato. Un esempio è la responsabilità dei padroni: se
vado al ristorante e il cameriere mi rovescia il brodo bollente sulla schiena, a parte l'ustione mi rovina la maglia,
chi paga? Non certo il cameriere. Pagherà il danno il ristoratore. Egli a sua volta potrà avvalersi contro il
cameriere ma questo riguarda il loro rapporto di lavoro. Tra di loro è una responsabilità contrattuale, mentre
tra cliente e cameriere è una responsabilità extra contrattuale. Sarebbe contrattuale se io pagassi una bottiglia
di vino o una pietanza e non mi venissero servite, e sarebbe una responsabilità che deriva dal contratto di
ristorazione, ma l’ustione che mi hanno provocato nella schiena non centra nulla con esso. Il problema nasce
proprio quando le responsabilità contrattuali ed extra contrattuali si incrociano.
Esempio: sono proprietario di un veicolo, un ladro mi ruba la macchina, commette dei danni ad altre auto e
investe un pedone mandandolo in ospedale, chi risponde? Se la macchina circola con il mio consenso io pago.
Per esempio, se ho dato la macchina a mio figlio senza essere sicura che la sappia guidare e si mette a fare il
raschietto su tutte le macchine che incontra, io pagherò tutte le macchine che rovina, perché ho autorizzato la
messa in circolazione del veicolo, ed è un fatto illecito. Se investe un pedone e si cagionano danni di un certo
tipo ci sarà una responsabilità anche penale per le lesioni, quando supera un certo numero di giorni di cura le
lesioni vanno a sfociare nel penale, però poi ci sono tutti i danni derivanti dal fatto che questo signore avrà
sopportato spese mediche, dovrà aver fatto la riabilitazione, ha perso giorni di lavoro, magari era un libero
professionista, e queste spese patrimoniali le dovrò risarcire io perché proprietaria dell'autovettura. Poi con
mio figlio facciamo i conti.
Studente chiede: “Per quanto riguarda il rapporto contrattuale con l’assicurazione?” Tutto questo laddove
l’assicurazione non intervenga. Con l’assicurazione è ancora un discorso diverso. Nel caso di mio figlio io
rispondo dei danni perché sono proprietaria dell’autoveicolo, dopodiché che cosa posso fare io? Io posso
mitigare la mia responsabilità stipulando un contratto di assicurazione che è obbligatorio dal 1969 (mentre in
passato era facoltativo) proprio per garantire che chi subisce un danno venga in concreto risarcito. Se si
trovasse un nulla tenente che ha commesso il danno (come nel caso di Torino) chi ha subìto il danno non ha
possibilità di essere risarcito. Quindi l’intervento dell’assicurazione ha una funzione sociale di consentire il
risarcimento a soggetti che altrimenti vivrebbe il danno e la beffa, ma non libera totalmente il responsabile.
Nei miei confronti l’assicurazione potrebbe rivalersi se per esempio nel contratto di assicurazione ci fosse una
clausola nella quale io mi impegno a non far guidare la macchina da persone diverse da me, persone di cui non
conosco l’identità. A meno che io non abbia fatto un'altra cosa: abbia fatto una polizza aggiuntiva con cui
assicuro anche il conducente se diverso da me. Queste sono tutte ipotesi diverse in cui contrattualmente si
cerca di allontanare da sé il rischio che deriva dalla circolazione, cioè di fare addossare all’assicurazione
qualcosa che altrimenti dovrebbe pagare il proprietario dell’autovettura. Non confondete i vari piani perché un
conto e l’assicurazione altro conto è la responsabilità nei confronti del danneggiato: nei confronti del
danneggiato risponde il proprietario dell’autovettura.
“Ma se la macchina mi viene rubata?” Se la macchina mi viene rubata il discorso cambia, io devo
immediatamente denunciare il furto in modo che risulti chiaro che la macchina circola senza la mia
autorizzazione. Allora in questo caso io sono esonerato dal risarcire i danni che altri potrebbero eventualmente
poter commesso quando la macchina non è più nella mia disponibilità.
Quindi responsabilità può essere SOGGETTIVA o invece OGGETTIVA, che può dar luogo a delle
obbligazioni che sono di tipo risarcitorio: Questo vuol dire che vanno a compensare una lesione subìta
dall’interessato. Che tipo di lesione può essere? Innanzitutto, vi può essere il danno patrimoniale. Esempio:
una persona che lavora viene costretta a stare in casa perché si è fratturata il piede a causa di uno che gli è
passato sopra con la macchina. Quindi questo signore cosa ha subìto? Una frattura e quindi un danno alla
persona risarcibile (‟ex-articolo 2043). C’è tutta la negligenza di uno che anziché passare sulla strada è passato
sopra il piede del signore e tutti gli altri elementi. Qual è il danno che questo signore ha subito? Se questo
signore fa il libero professionista, vorrà dire che non potrà lavorare prima perché è ingessato oppure avere una
sedia rotelle o qualcuno che lo porti in giro se ha le stampelle. Quindi il primo danno è il mancato reddito più
il gesso, il ticket dell’ospedale, il medico che l’ha visitato, le radiografie che ha fatto, il costo per la
riabilitazione nei centri specializzati.
Tutto quello che ha pagato per curarsi si chiama DANNO EMERGENTE: emergente perché corrisponde a
un costo immediato e lo si può quantificare, mentre il mancato guadagno è il LUCRO CESSANTE. Sono
entrambe voci del danno patrimoniale: danno emergente e lucro cessante. Da sempre queste costituiscono le

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voci di danno e da sempre sono i capisaldi del risarcimento, perché il danno emergente e il lucro cessante si
possono quantificare in tutti i casi.
Il problema ha incominciato a sorgere quando non fosse facile quantificare il danno. Immaginate l’incidente
automobilistico che coinvolge la casalinga ed essa si rompe il braccio. Un conto è se si rompe il braccio la
casalinga, altro conto e se si rompe il braccio la notaia o l’avvocatessa che non può scrivere gli atti. In questo
caso il danno ha una rilevanza diversa. La giurisprudenza ha cominciato a elaborare dei concetti strani di danno
nel momento in cui ha detto: nelle ipotesi di illecito o anche nelle ipotesi di reato non c’è solo un danno
patrimoniale come quello che noi conosciamo del danno emergente o del lucro cessante, perché la casalinga
che non guadagna, quanto le si risarcirà? Mentre è facile stabilirlo nel caso dell’avvocatessa o la notaia che
non hanno potuto lavorare per un mese, si vede qual è grosso modo il suo reddito mensile e si quantifica
l’importo del risarcimento in corrispondenza alle somme di solito guadagnate, per la casalinga questo non è
possibile. Però è pacifico che il danno da lei subìto non è diverso da quello subito dall’avvocatessa o dalla
notaia poiché tutte e tre si sono rotte il braccio. Il problema è cominciato a diventare serio quando a un certo
punto si erano verificate due cause parallele nel napoletano. Erano stati investiti due ragazzini, entrambi morti
nell’incidente: uno era il classico scugnizzo abituato a vivere nei bassi fondi e a fare il mariuolo, e l’altro figlio
di un avvocato. Al momento di risarcire il danno i giudici hanno detto che non era possibile valutare un danno
dal punto di vista patrimoniale, perché non c’è un danno emergente o un lucro cessante. Essendo morti non
hanno dovuto fare spese se non quelle del funerale (sembra molto cinico ma è così). Indubbiamente c’è un
danno che va risarcito: la vita dei due ragazzi che è venuta a meno. Per quantificare il danno si è fatto
riferimento alle ASPETTATIVE SUCCESSIVE. Cioè Gennarino (il mariuolo) che era abituato a vivere di
furtarelli che cosa avrebbe fatto da grande? Avrebbe continuato a rubare da grande e quindi valeva poco. Il
figlio dell’avvocato che era già figlio di avvocato, nipote di avvocato ecc.… invece era uno che era destinato
sicuramente a studiare, diventare professionista. Quindi di fronte a due situazioni identiche, ragazzini aventi
la stessa età, sono state risarcite due somme diverse: perché fondate sull’aspettativa che per uno, era pari a zero
e per l’altro pari a 100.
Questo ha un po’ scosso le coscienze e soprattutto si è detto che quello che bisogna valutare non è tanto il
danno patrimoniale che è facilmente quantificabile in tutte una serie di ipotesi, ma quello che bisogna valutare
è il danno al bene che è stato leso. Qui il bene leso qual è? Se il bene leso è la vita esso è uguale per tutti, sia
per Gennarino che per il figlio dell’avvocato. Allo stesso modo, nel caso della rottura/frattura del braccio della
casalinga, il bene leso è la salute e la salute ha lo stesso valore per tutti, sia casalinga che per l’avvocato che
per la notaia. Cioè ci sarà un risarcimento uguale per tutti che tiene il conto del tipo di bene leso. Per l’avvocato
e per il notaio tutta al più ci sarà una componente di danno patrimoniale aggiuntiva, che è una cosa diversa
perché ci sarà in più una porzione in più. Ma il cosiddetto danno biologico, derivante da una lesione di un bene
principale deve essere risarcito per tutti allo stesso modo. Cioè si afferma l’idea del danno come lesione ad un
bene primario che non è rapportabile al tipo di attività svolta. Ma accanto a queste componenti c’è poi un
danno che non è facilmente quantificabile. Il caso sia rappresentato con riferimento a una modella coinvolta
in un incidente d’auto che aveva avuto il viso sfregiato da una cicatrice che le passava da parte a parte. Qui
indubbiamente il bene leso è il bene salute. Nel caso della modella quale altro bene è stato leso? Innanzitutto,
la mancata partecipazione alle sfilate per il periodo della malattia perché lei aveva dei contratti che non ha
potuto onorare e questi le vengono risarciti. Ma l’afflizione e il dolore di questa donna che non potrà più sfilare
sulle passerelle come si può quantificare? A tal proposito è stata elaborata una nuova categoria di danno che
si chiama danno morale o danno alla vita di relazione cioè un danno che incide non sul bene salute ma sulle
conseguenze che il soggetto porterà per sempre nella sua vita privata (es. quello che resta zoppo, quello che
resta col braccio menomato). Questo per un po’ di tempo i giudici erano molto disposti ad accordarlo e quindi
il danno è finito col diventare una cosa enorme e riempirsi di voci tra danno biologico, danno alla vita di
relazione e danno patrimoniale. Ultimamente la giurisprudenza è un po’ tornata sui rami della tradizione e,
rileggendo l’articolo 2059 del codice sulla base della tradizione più che sulla base delle evoluzioni che il
concetto di danno ha subito, afferma che il danno che in quell’articolo viene qualificato come morale non è
nient’altro che il danno alla vita di relazione, cioè il danno legato a una sofferenza che il soggetto ha subìto
per effetto dell’illecito che può essere risarcito ma solo nei casi di reato, cioè se l’illecito costituisce anche un
reato (es. omicidio, lesione, ecc.).
Nel caso dell’incidente, in ipotesi, l’autista non è andato volontariamente a sbattere contro i due ragazzi, quindi
l’assicurazione non deve liquidare anche il danno morale. Quindi varie voci di danno, varie componenti di
danno che si collocano nel settore dell’illecito.
In questa parte dovete studiare molto attentamente:

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• La responsabilità, come nasce la responsabilità soggettiva e quella oggettiva; • Componenti


dell’illecito, ossia tutti i componenti che lo costituiscono;
• La nozione di ingiustizia del danno, poiché una domanda ipotetica dell’esame è: “cosa vuol dire il
danno ingiusto?”
• Quali sono le voci di danno;
• Cosa si intende per danno patrimoniale, cosa si intende per danno non patrimoniale, e quali sono le
voci che compongono il danno patrimoniale (danno emergente e lucro cessante).
Quindi l’illecito fa nascere obbligazioni e anche qui abbiamo un debitore e un creditore. A un certo punto,
dopo l’incidente si arriva a una sentenza nella quale un giudice stabilisce che il signor Tizio, autore dell’illecito
nei confronti di Caio, deve risarcire a Caio la somma di x. Cioè tutto quello che noi abbiamo detto in evoluzione
finora, alla fine risulterà da una sentenza se si arriva a una causa. Ci sarà una sentenza che dice che il signor
Tizio deve tot a Caio, quindi anche la sentenza ha costituito un’obbligazione. Ma attenzione, la fonte
dell’obbligazione è l’illecito, la sentenza è il titolo con cui il creditore potrà rivendicare la somma di x nei
confronti del suo debitore. Chiara la differenza tra fonte e titolo? Come tra fonte e contratto.
Siamo arrivati alla seconda categoria delle fonti delle obbligazioni, ma attenzione a questo punto, nel momento
in cui io ho detto che c’è la sentenza che Tizio deve tot a Caio, è il titolo dell’obbligazione che ha fonte
nell’illecito, ma l’obbligazione in questo momento cambia natura. Perché? Se fino a questo momento la
responsabilità era extra contrattuale e quindi il soggetto doveva una certa somma a titolo di responsabilità extra
contrattuale, nel momento in cui c’è la sentenza che accerta che uno deve pagare una somma all’altro, la
sentenza fa diventare questa obbligazione contrattuale. L’obbligazione è contrattuale, in tutti i casi in cui è
prevista dalla legge, in tutti i casi in cui deriva da contratto ma anche quando viene assunta in una sentenza.
Questo è uno dei casi che solitamente si dimentica. Le regole che si applicano in questo caso sono quelle della
responsabilità contrattuale.
DIFFERENZE CONTRATTUALE ED EXTRA-CONTRATTUALE:
La responsabilità extra-contrattuale è quella che ha fonte in un illecito non in un contratto e che consente la
riparazione dei danni subìti dal soggetto e il risarcimento di eventuali ritardi nei pagamenti (eventuali interessi
moratori, eventuali rivalutazioni monetarie).
La responsabilità contrattuale invece è più ampia perché nel caso in cui un soggetto sia tenuto a pagare una
somma a titolo di responsabilità contrattuale, è tenuto a pagare non solo i danni che si sono verificati, ma anche
quelli che si sarebbero potuti evitare con l’ordinaria diligenza. Cioè ci sono dei danni che sono la conseguenza
del ritardo e lì sono danni che vanno pagati ma addirittura, nel caso di responsabilità contrattuale, vanno
risarciti anche i danni che non si sarebbero cagionati se il soggetto avesse adempiuto l’obbligazione.
Il soggetto deve restituire somme, interessi e frutti. Quali frutti? Sia quelli esistente, sia quelli eventualmente
già percepiti, sia quelli che avrebbe potuto percepire con l’ordinaria diligenza. Cioè la responsabilità
contrattuale si allarga a macchia d’olio. Mentre nella responsabilità extra-contrattuale c’è questo nesso di
consequenzialità che limita un po’ l’ampiezza dei danni risarcibili, quelli che sono conseguenza immediata e
diretta del fatto. I fatti non previsti e non prevedibili non sono risarcibili ulteriormente.
Esempio: se un signore subisce un incidente d’auto, va all’ospedale a farsi medicare, poi esce dall’ospedale e
distrattamente attraversa la strada e un altro lo investe, non sarà l’autista del primo incidente a pagare tutti i
danni. Si potrebbe dire che lui non sarebbe stato in ospedale se ci fosse stato il primo incidente però è anche
vero che non ci sarebbe tornato una seconda volta se fosse stato attento ad attraversare la strada. Quindi non si
carica tutto a uno ma solo a quello che è conseguenza immediata e diretta.
Dire che nell’eventualità di fatto illecito la sentenza che accerta il dovuto da parte del danneggiante fa
scantonare la responsabilità verso la responsabilità contrattuale. Vuol dire che dal momento in cui c’è la
sentenza sono dovuti gli interessi, le more, i frutti percepiti e anche i frutti percipiendi, non soltanto quella che
era al momento limitata come responsabilità extra-contrattuale.
Ma, non accade mai che le obbligazioni derivino dalla legge?
Abbiamo visto che derivano dal contratto, da un atto illecito. In realtà quando il legislatore ha dettato l'art.
1173 nel 1939, non è che non lo sapesse ma ha scelto volontariamente di non mettere la legge tra le fonti delle
obbligazioni. Perché? Se avesse previsto una formula tipo “le obbligazioni derivano da contratto, da illecito e
in ogni altro caso previsto dalla legge”, si sarebbe potuto dire che a questo punto se non c’è una legge specifica
non ci sarebbero delle obbligazioni quindi nessuna nuova obbligazione nasce se non c’è una norma che lo
preveda. Invece il legislatore ha voluto lasciare aperta questa categoria delle fonti in modo da inserire eventuali
altre fonti di obbligazioni che rientrino nel novero di quella categoria lasciata aperta, cioè quei atti o fatti idonei
a produrle in conformità dell’ordinamento giuridico. Cosa vuol dire questo? Sapendo che il contratto è un
accordo e che può essere sia tipico (previsto dal legislatore) che atipico (lasciato alla fantasia delle parti), ma

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Diritto Privato

il nucleo che me lo fa identificare come fonte di obbligazione è l’accordo su una causa, un oggetto, stabilito in
una certa forma per regolamentare l’interesse delle parti. Quello che invece qualifica l’illecito è un fatto doloso
o colposo che cagiona un danno ingiusto e quindi qualunque evento che rientri in questa categorizzazione
dell’atto illecito mi fa assurgere la nuova fonte di obbligazioni, lasciando aperte tutte le categorie: non ha
tipizzato l’illecito perché altrimenti bisognava prevederla ogni volta e ha lasciato aperta anche la stessa
categoria delle fonti.
Non l’ha detto perché altrimenti si sarebbe dovuta aspettare una formula di chiusura di una norma di legge.
Invece ha detto:
“Le obbligazioni possono nascere contratto, da illecito e da qualunque altro atto o fatto idoneo a produrle in
conformità dell’ordinamento giuridico”. Ecco qua la formula di chiusura. Il legislatore dice che le fonti delle
obbligazioni voi le potete trovare in qualunque atto (determinazione volitiva) in qualunque fatto (accadimento)
idoneo a produrre obbligazioni secondo le regole generali dell’ordinamento giuridico, cioè si fa riferimento ai
principi generali. Se la nuova fonte di obbligazione corrisponde ai principi generali dell’ordinamento giuridico
non ci sono problemi ad ammetterla. Il che vuol dire che l’articolo 1173 formulato in quegli anni è sempre
valido, non c’è bisogno di modificarlo perché ogni volta sorga la necessità di individuare una nuova fonte di
obbligazione è facile rinvenirla o nella categoria del contratto (tipico o atipico) composto da interessi
meritevoli di tutela che giustifica l’esistenza del contratto stesso, nell’illecito è il fatto doloso o colposo e
l’ingiustizia del danno, negli altri casi si tratta di tutti quegli altri atti o fatti idonei a produrre obbligazione in
conformità dell’ordinamento giuridico.
Quindi qualunque altra cosa, una categoria aperta nella quale si può far rientrare alcuni casi già tipizzati dal
legislatore, altri che invece non sono stati tipizzati e che potrebbero derivare più avanti. Vi faccio l’esempio di
ciò che non è stato tipizzato perché quelli tipizzati ci sono nei libri.
RESPONSABILITÀ DA CONTATTO SOCIALE
Esempio parcheggio: avete visto che la città è piena di strisce? In alcuni casi vi sono dei parcheggi chiusi con
una sbarra dove io metto la macchina e pago il parcheggio. Un conto è se si tratta di uno stabile privato ma
quando noi parcheggiammo la nostra macchina in una piazza della città, abbiamo fatto un contratto con il
Comune? Il più delle volte vi sono nelle strisce per terra blu, bianco e arancio e, a seconda dei colori, senza
aver fatto alcun contratto con il Comune per l’occupazione del suolo pubblico, se non pago il parcheggio mi
viene assegnata una multa. Qui in realtà ci stanno facendo pagare il prezzo di una prestazione che noi non
abbiamo concordato con nessuno. Il Comune si è assunto l’obbligo di garantire la custodia in quegli spazi?
No, se vogliono ce la portano via con estrema facilità. Se io passo la sbarra dell’aeroporto mi viene rilasciato
un biglietto. A quale contratto corrisponde? A nessuno. Io non ho fatto nessun contratto però se mi fermo più
di 10 minuti devo pagare un parcheggio abbastanza costoso.
Questo non è altro che uno di quegli ambiti che somiglia al contratto ma che non sono propriamente tali. Per
essere contratto cosa manca? Manca la volontà di obbligarmi perché se io potessi non pagherei una lira. Non
ho nessuna intenzione di obbligarmi a pagare il parcheggio così come il Comune non ha la minima intenzione
di obbligarsi a custodirmela. L’unica cosa che si richiede è il pagamento del parcheggio. Cioè sono quelle
ipotesi in cui si verifica una sorta di contatto sociale (lo chiamano così) che può creare delle obbligazioni in
conformità dell’ordinamento. È come se fosse quasi un contratto, stipulato con il comune, evidenziato dal fatto
che io mi inserisco nelle strisce, ma non si tratta di un contratto per adesione perché non c’è una
regolamentazione predisposta. Il contratto sociale crea situazioni che sono simili a quelle contrattuali ma che
non sono tali perché manca la volontà del soggetto di impegnarsi ad osservare il contratto. Al di fuori di questa
ipotesi, quali sono gli altri atti o fatti idonei a produrre obbligazioni in conformità dell’ordinamento giuridico?
Qualcuno lo abbiamo già nominato ma vi ho infilato tanta di quella roba in mezzo mentre parlavo e non ve ne
siete resi conto. Adesso è facile rintracciare, tra le varie cose che abbiamo detto, ciò che ci interessa.

Lezione 22
27 maggio
La responsabilità extracontrattuale

Abbiamo visto che oltre la responsabilità contrattuale esiste un'altra forma di responsabilità che si chiama
responsabilità extracontrattuale, oppure detta anche per fatto illecito o anche aquiliana. abbiamo fatto un
quadro su questo tipo di responsabilità, sulle differenze fra quella extracontrattuale e la responsabilità
contrattuale e poi abbiamo spiegato che c’è una sorta di doppio binario, cioè esiste la fattispecie chiamiamola
così generale, di responsabilità extracontrattuale che è quella contemplata dall’articolo 2043 e se ne occupano

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anche alcuni articoli successivi, e poi esistono delle ipotesi speciali di responsabilità che vengono denominate
ipotesi di responsabilità oggettiva, altre ipotesi di responsabilità e per fatto altrui.
esempio: se cade un vaso da un balcone e danneggia un'automobile che è parcheggiata sotto, la responsabilità
che ne deriva è una responsabilità extracontrattuale, disciplinata da una fattispecie speciali di responsabilità
extracontrattuale. Oppure se un ragazzino giocando a tirare i sassi colpisce un'altra persona e colpendola gli
cagiona un danno, abbiamo anche qui una forma di responsabilità extracontrattuale. tenete presente che quel
comportamento che integra responsabilità appunto per fatto illecito e che obbliga il soggetto a risarcire il
danno, potrebbe anche essere rilevante sul versante penale, quindi potrebbe anche dar luogo a responsabilità
penale.
La fattispecie generale di cui all'Art. 2043, abbiamo individuato, abbiamo suddiviso gli elementi e i presupposti
di questa responsabilità, in presupposti oggettivi, fra questi abbiamo indicato fatto, cioè azione o omissione,
danno ingiusto e nesso di causalità fra fatto comportamento e evento dannoso. Poi
abbiamo ricordato esaminato i presupposti soggettivi della responsabilità di questo tipo di responsabilità che
sono: l’elemento soggettivo principale colpevolezza, quindi colpa o dolo, dev’essere un comportamento
colposo o doloso e poi gli atti di imputabilità. Abbiamo spiegato il concetto di danno ingiusto, abbiamo visto
che dirsi ingiusto il danno, il danno deve essere contra jus e abbiamo spiegato che cosa vuol dire e non iure
datum, quindi deve presentare questi due elementi il danno per potersi definire ingiusto. Quando abbiamo
trattato del fatto che il danno per dirsi ingiusto dev’essere danno non iure datum, abbiamo spiegato che cosa
significa: in termini generali possiamo dire che l’evento lesivo, è conseguenza della condotta di tenuta dal
danneggiato di una condotta lecita diciamo così, una condotta autorizzata, per cui pur essendoci un danno
rilevante, questo danno non è risarcibile, perché è derivato da una condotta che chi ha tenuto quella condotta
era legittimato a tenerla e aveva appunto il diritto di tenere quella condotta. Questo diritto di tenere questa
condotta e quindi queste situazioni che escludono la giustizia del danno, vengono anche chiamate cause di
giustificazione: il fondamento, la ratio di queste cause sta nel fatto che in questi casi si tratta di fare un
bilanciamento, farà gli interessi del danneggiato e l’interesse del danneggiante, contemperamento che viene
effettuato in base a queste regole che attengono nel caso di giustificazione: se il danneggiante stava esercitando
un diritto, o comunque stava tenendo un comportamento che è autorizzato, anche se cagiona un danno, questo
danno non è ingiusto, quindi non è risarcibile, si parla infatti in questi casi atto lecito dannoso, cioè l'atto che
pone in essere il danneggiante è un atto dannoso ma è lecito. Queste situazioni che escludono l’ingiustizia,
(contra ius significa che lede un interesse giuridicamente rilevante) in caso di giustificazione che abbiamo
indicato sono: la legittima difesa, lo stato di necessità, il consenso dell'avente diritto, Art. 50
quest'ultimo del codice penale, l'esercizio del diritto Art. 51 del codice penale, il codice civile non se ne occupa
però sono cause che escludono anche di giustizia del danno oltre che escludere la responsabilità penale, e infine
l’adempimento del dovere. Particolarmente rilevante sono: la legittima difesa e lo stato di necessità. le
differenze fra le due sono che sostanzialmente nella legittima difesa un soggetto cagiona un
danno all’aggressore, quindi reagisce a un'aggressione altrui, e nel reagire per impedire di subire gli effetti di
questa aggressione, cagiona un danno all’aggressore, il danno non può ritenersi ingiusto quando chi agisce lo
fa per difendere un diritto proprio o anche un diritto altrui da un'aggressione. Il soggetto danneggiato è chi
pone in essere questa aggressione potenzialmente dannosa; ci sono delle condizioni perché appunto si possa
parlare di legittima difesa: innanzi tutto ci deve essere una proporzione fra la difesa e l'offesa. Una proporzione
sia rispetto alle situazioni contrapposte, quindi la situazione, la posizione che si ci vuol difendere, il tipo di
situazione giuridica che si può difendere, e il diritto o comunque l'interesse dell' aggressore, quindi per evitare
che mi venga sottratto un oggetto, per esempio un telefonino che ho appoggiato un momento su una scrivania
o su un tavolo di un locale, non posso uccidere una persona con una pistola, così come non potrei investirla
per evitare così che mi venga leso un altro diritto di carattere patrimoniale e potrei strattonarla per riuscire a
portarle via il cellulare che a sua volta questa soggetto stava cercando di sottrarmi. Quindi deve essere una
proporzione fra le due situazioni, la situazione del danneggiante e dell’aggressore; è una proporzione tra difesa
e offesa, non deve essere possibile evitare in altro modo il pregiudizio, se non difendendosi. se è possibile
sfuggire in qualche modo all’aggressione, a quel punto non esiste legittima difesa, poi ovviamente
l'aggressione, l'offesa, il periodo deve essere attuale. In questo caso il diritto che si intende proteggere, può
essere sia un diritto della personalità, ad esempio il diritto alla vita o alla salute, ma anche un diritto avente
natura patrimoniale. Nello stato di necessità invece la situazione è diversa, tenete presente che in quel caso chi
subisce il danno e non è l'aggressore, esiste una situazione di pericolo e per reagire a questa situazione di
pericolo ed evitare che il soggetto sottoposto a questo pericolo subisca il danno, questo soggetto tiene un
comportamento che cagiona il danno, a sua volta un danno ad un terzo. Un esempio abbastanza chiaro può
essere il seguente: un’automobilista ad un certo punto si trova ad incrociare un ciclista il quale perde il controllo

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della bicicletta, e invade la sua corsia; l’automobilista per evitare di investire il ciclista sterza e va a scontrarsi
con un'automobile parcheggiata; in questo caso vi è stato di necessità. Quali sono i presupposti? Allora
l'esigenza, la necessità di evitare un danno, una lesione dell'integrità fisica propria o di terzi, il fatto ovviamente
di non aver provocato volontariamente o anche colpevolmente con la situazione di pericolo; questi sono i
presupposti per evitare questo pericolo, il soggetto è costretto a danneggiare un terzo che non ha alcuna colpa,
non è fonte di quel pericolo; nell’esempio che abbiamo fatto viene danneggiata l’automobile parcheggiata e
ovviamente il proprietario dell’automobile non ha alcuna responsabilità. In questi casi l'autore del danno non
è tenuto a risarcirlo, perché il danno non è ingiusto, talvolta può essere tenuto a pagare un indennizzo, cosa
diversa dal risarcimento del danno, un indennizzo al soggetto danneggiato. Un altro esempio che si fa di stato
di necessità sono quello dei due naufraghi che appunto si trovano a dover sopravvivere, esiste semplicemente
una zattera la quale essi si possono aggrappare per rimanere a galla e questa zattera però è idonea a consentire
il galleggiamento, quindi la sopravvivenza solo uno dei due: in questo caso se appunto uno dei due non
consente all'altro di salire sulla zattera, lo sospinge e quindi non gli consente di accedere e certamente gli
cagiona un danno che probabilmente fa si che poi questo soggetto provochi la morte di questo soggetto, però
anche qui il comportamento è giustificato dallo stato di necessità. Il terzo in questo caso certo subisce, se
potesse potrebbe anche difendersi, non è tenuto a subire, però nell’esempio che abbiamo fatto
dell'automobilista che per evitare di investire il ciclista, sta cercando di evitare un danno all'integrità fisica di
un terzo del ciclista, ma potrebbe anche cercare di evitare uno scontro frontale, quindi sta cercando in questo
caso di evitare un danno alla propria integrità fisica. Ecco ci sono due tipi di differenze importanti rispetto alla
legittima difesa, allora innanzitutto qua il soggetto che subisce il danno a seguito del comportamento di chi si
trova in stato di necessità non è un aggressore, è un terzo che non c'entra nulla e poi proprio per questa ragione,
perché il soggetto che subisce il danno e un terzo che non ha causato lo stato di necessità, si può reagire, è stato
di necessità solo per tutelare un interesse all'integrità fisica. si può agire per stato di necessità per salvare sé
stessi o altri da un pericolo di un danno grave alla persona. mentre la legittima difesa sussiste anche quando si
vuole evitare un danno a un diritto patrimoniale, quindi ci vuole evitare che una cosa di nostra proprietà venga
danneggiata, venga rubata e così via.
Dolo o colpa.
Colpa: si ha colpa quando l'evento dannoso non è voluto dal soggetto però si verifica comunque a causa di
una sua negligenza in perizia, o imprudenza, o anche eventualmente più di queste qualità, oppure per
inosservanza di leggi e regolamenti o comunque altri tipi di regole che disciplinano l’esercizio di quell’attività
per evitare che da essa derivino danni ai terzi. Il danno è prevedibile, l'evento dannoso è evitabile cioè se il
soggetto avesse tenuto un comportamento conforme alle regole o comunque un comportamento diligente
prudente e conforme alle regole di perizia, il danno non si sarebbe verificato.
Imputabilità. perché il soggetto risponda del fatto illecito deve essere capace di intendere e di volere: non è
necessaria la capacità legale, ma è invece necessaria la capacità naturale. Risponde comunque anche
l’incapace, sono delle eccezioni a questa regola, perché l’incapace naturale risponde, qualora lo stato di
incapacità dipenda da dolo o sua colpa. Quindi non potrebbe l’automobilista ubriaco affermare la sua non
responsabilità in quanto ha cagionato il danno perché incapace a seguito del fatto che si era ubriacato, perché
in questo caso ovviamente dalla sua incapacità deriverebbe la colpa: questa regola la trovate nell’articolo
2046 il qual aggiunge un’ulteriore precisazione, quindi questa è una sorta di eccezione. Infatti, dice l’articolo
2046: “Non risponde delle conseguenze del fatto dannoso chi non aveva la capacità d'intendere o di volere al
momento in cui lo ha commesso, a meno che lo stato d'incapacità derivi da sua colpa.”
un minorenne può rispondere del fatto illecito? sì, se è capace di intendere e di volere risponderà, quindi se è
una persona che non ha patologie psichiche e ha un’età sufficiente per ritenere che sia capace di intendere e di
volere. Un ragazzino di 10 11 anni non risponderà, perché si potrà ritenere un incapace naturale, non
confondete la responsabilità penale con quella civile: in quella penale ci sono delle regole che sono
un po’ diverse; la capacità naturale certamente la può avere anche un minorenne; direi che una persona che ha
17 anni o che ne sta per compiere 18, ovviamente è senza alcun dubbio capace di intendere e di volere. il
danneggiato agisce in giudizio e deve provare, gli si chiede ma l’onere su chi grava? L’onere di provare lo
stato di necessità? è una causa di giustificazione, quindi l’onere della prova incombe sul soggetto che
eccepisce l’esistenza dello stato di necessità. oltre a questa fattispecie che abbiamo, che tradizionalmente viene
così indicata fattispecie generale di responsabilità per colpa, vi sono poi ipotesi fattispecie speciali di
responsabilità. l'articolo 2043 non esaurisce l’universo della responsabilità extracontrattuale, vi sono altre
norme e il nostro ordinamento prevede tutta l'altra sede di ipotesi, nelle quali il soggetto può rispondere a
prescindere dalla sussistenza dell'elemento soggettivo, cioè a prescindere dalla sua colpa o dal dolo. Quindi
anche nonostante l'evento dannoso non derivi da sua colpa o dolo. quali sono questi casi? Sono disciplinati

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dagli Art. 2050 e seguenti del codice civile fino all'Art. 2053 e poi vi sono alcune ipotesi che trovate nell’ Art.
2054 “responsabilità da circolazione di veicoli”; in questi casi proprio perché è una responsabilità che
prescinde dalla colpa, si parla di responsabilità oggettiva, perché il termine responsabilità soggettiva evoca il
fatto che si tratti di una responsabilità fondata sulla colpa; quindi responsabilità oggettiva perché non è fondata
sulla colpa.
Come mai sono state previste queste ipotesi di responsabilità oggettiva? Queste ipotesi che esistono nel codice
civile già dal 1942, sono state previste queste ipotesi di responsabilità oggettiva, quale conseguenza del
progresso industriale, nel senso che con l'evoluzione della società, legata a queste attività economiche, sono
aumentati in maniera esponenziale anche i rischi di danni collegati all'esercizio di queste attività. A prescindere
quindi dal fatto che questi danni fossero o meno ricollegabili in senso stretto a una colpa di chi esercitava
queste attività, è sorta quindi la necessità di prevedere le riparazioni di questi danni, in un numero di casi
abbastanza ampio, a prescindere dal fatto che si potesse addebitare una colpa al soggetto che esercitava queste
attività. Si trattava sostanzialmente di ripartire il rischio derivante dall' esercizio di queste attività pericolose
perché le attività industriali sono fondamentalmente quasi sempre attività potenzialmente pericolose; pensate
anche solo alla circolazione dei veicoli su strada: anche se tutti gli automobilisti rispettassero le regole,
comunque statisticamente un numero di incidenti si verificherebbe, certamente inferiore a quello che si
verifica attualmente a seguito anche del mancato rispetto delle regole; il rischio è ineliminabile.

Esistono queste forme di responsabilità oggettiva che sono fondamentalmente basate sulla relazione tra un
soggetto e una certa attività, oppure fra il soggetto e una cosa o un animale. Per esempio, la responsabilità
prevista dall' Art. 2050 “esercizio per attività pericolose” è basata sul fatto che il soggetto svolga un'attività
pericolosa e il danno, 2051-2052, il primo si occupa del danno cagionato da cose in custodia in una relazione
la responsabilità sorge da una relazione fra il soggetto e una cosa che a sua volta provoca un danno, oppure da
una relazione fra il soggetto e un animale, animale che provoca danni a terzi. Analogo discorso riguarda il
danno da rovina di edificio Art. 2053; l'Art. 2054 si occupa del danno dalla circolazione di veicoli è composto
da ben 4 commi, e ci sono varie ipotesi di responsabilità previsti da questi commi.
In tutti questi casi che abbiamo citato adesso, è comunque prevista (se pure la responsabilità non si basa sulla
colpa) di una prova liberatoria, cioè è possibile che il danneggiante vada esente da responsabilità dando
questa prova liberatoria, che può differenziarsi a seconda delle ipotesi, ma che fondamentalmente è individuata
nel caso fortuito, concetto che avete già visto: una cosa estranea imprevedibile alla quale è riconducibile il
danno provato. Ci sono delle differenze; questa affermazione un po’ che è generalizzata non è correttissima
però rende un l’idea, perché poi fra le prove liberatorie previste nei vari casi di responsabilità oggettiva, esse
non sono sempre le stesse. Abbiamo poi delle ipotesi che vengono definite di responsabilità per fatto altrui,
vengono così qualificate perché in questi casi il soggetto non risponde per fatto proprio, ma risponde per un
fatto illecito commesso da altri, e quindi si parla di responsabilità, molti autori parlano di responsabilità
indiretta o appunto per fatto altrui. Vediamo qualche esempio: la prima ipotesi che opportuno esaminare, è
l’ipotesi disciplinata dall'Art. 2047, che si occupa proprio del danno cagionato dall' incapace, quindi è
collegata alla nozione di imputabilità che abbiamo visto poco fa. Abbiamo visto che incapace naturale non
risponde; chi risponde del danno cagionato dall’incapace? Può accadere che risponda qualcun altro? L'Art.
2047 prevede che del danno cagionato dall’ incapace, risponda chi è (se esiste ovviamente) tenuto alla
sorveglianza dell'incapace; il risarcimento dice la norma, primo comma, è dovuto da chi è tenuto alla
sorveglianza dell’incapace; è prevista una prova liberatoria che è la prova di non aver potuto impedire il fatto,
infatti la norma dice: “il risarcimento è dovuto, salvo che il sorvegliante non riesca a provare di non aver
potuto impedire il fatto”. la giurisprudenza richiede una prova molto rigorosa cioè non si accontenta che il
sorvegliante riesca a dimostrare di non essere in colpa proprio perché non è una responsabilità fondata sulla
colpa; si richiede proprio che il sorvegliante riesca a dare la prova specifica della causa che ha fatto si che
l’incapace sfuggisse alla sua sorveglianza. se non riesce a dare la prova di questo caso fortuito, la responsabilità
rimane a carico del sorvegliante, quindi è una responsabilità per fatto altrui, e se vogliamo anche qui una
responsabilità non fondata tecnicamente sulla colpa ovvero una forma di responsabilità oggettiva, però si parla
di responsabilità per fatto altrui perché in questo caso si risponde per il fatto commesso da altri,
il sorvegliano risponde per il fatto dannoso, per il danno cagionato dall’incapace. Per completare, tenete
presente perché forse in qualche manuale farà riferimento a questo concetto: in questi casi si può parlare di
culpa o colpa in vigilando, cioè si dice che la responsabilità del sorvegliante è fondata sulla colpa, e la colpa
consisterebbe nel fatto di non aver vigilato con la dovuta perizia, diligenza sull’incapace; non aveva vigilato
su un comportamento dell’incapace, la particolarità sta nel fatto che non è il danneggiato che deve provare la
colpa del sorvegliante, ma il sorvegliante che è tenuto a provare la sua assenza di colpa, cioè il fatto di essere

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stato diligente, prudente e aver applicato la perizia dovuta. Peccato che come ho già detto, la giurisprudenza
però afferma che il sorvegliante non possa limitarsi a affermare di essere stato non colpevole, cioè diligente,
prudente, ma deve proprio dimostrare qual è stata la causa specifica che ha fatto sì che l’incapace sia sfuggito
al suo controllo. Quindi in realtà non è una responsabilità fondata sulla colpa.
Altra ipotesi di responsabilità per fatto altrui, è quella prevista dalla norma successiva: la responsabilità dei
genitori, dei tutori, dei precettori e dei maestri d’art, cioè limitandoci alla responsabilità, e anche quei i genitori
rispondono per il fatto illecito commesso dai minori, anche se questi minorenni fossero capaci. la prova
liberatoria è la stessa indicata per la responsabilità del sorvegliante, perché l'ultimo comma dell’articolo 2048
dice che i soggetti indicati dai commi precedenti, sono liberate dalla responsabilità soltanto se provano di non
aver potuto impedire il fatto.
ma e nel caso in cui il fatto illecito sia commesso da un 17 enne, chi risponderà del fatto illecito posto in
essere? entrambi i genitori in base al’ articolo 2048, risponderà però anche il minorenne perché comunque se
ha 17 anni è capace di intendere e di volere; se invece si tratta di un ragazzino che ne ha 12 o 11 risponderanno
solo i genitori perché in quel caso si applicherà d’Art. 2047 cioè la norma che fa riferimento alla responsabilità
del sorvegliante dell’incapace.
la responsabilità per fatto altrui previsto dall’Art. 2049 è una responsabilità interessante perché in questo caso
non è ammessa la prova liberatoria, si parla di responsabilità dei padroni o committenti quindi già il termine
padrone richiama appunto una terminologia piuttosto arcaica, d’altronde il codice è stato fatto nel 1942. Quindi
questo tipo di responsabilità quando opera? Opera quando abbiamo un soggetto che agisce su indicazioni e
sotto la direzione di un altro soggetto, quindi tecnicamente si parla di preposto e preponente, il proponente chi
da un incarico al soggetto di svolgere una certa attività, e questa attività deve essere però svolta sulla base delle
indicazioni specifiche date dal preponente. Quindi il preposto esegue le istruzioni del preponente. Caso tipico
è quello del rapporto di lavoro dipendente, del danno commesso dal lavoratore subordinato risponde il datore
di lavoro; ma non è questo l’unico caso anche se è il caso sicuramente più comune. Si deve trattare di un fatto
che il preposto, esempio il lavoratore subordinato, pone in essere, quindi un danno cagionato nell’esercizio
delle sue mansioni, non certamente di un danno che cagiona facendo tutt'altro, quindi per fare un esempio se
un certo punto siamo al ristorante il cameriere inciampa in maniera rovinosa e volano piatti forchette e
danneggia i vestiti dei commensali che sono al tavolo, di questo danno risponderà il datore di lavoro, risponde
anche il cameriere se il fatto è doloso o colposo perché se non è un fatto doloso o colposo chiaramente non
risponde neanche il preponente e quindi datori di lavoro, cioè il datore di lavoro risponde di un fatto illecito
posto in essere dal preposto. Quindi il fatto deve essere comunque illecito in base alle altre norme previste dal
sistema. In questo caso il preponente non può esonerarsi da responsabilità, risponde e basta.
le figure di responsabilità oggettiva sono disciplinate dagli articoli che vanno dal 2050 al 2054, e non tutte le
ipotesi sono ipotesi di responsabilità oggettiva. Sono ipotesi che non si fondano sulla colpa, ma su una relazione
fra il soggetto e la cosa, oppure si fonda sul fatto che il soggetto svolge un'attività: pensate per esempio alle
responsabilità per esercizio di attività pericolose articolo 2050. Una fabbrica e quindi un imprenditore che
lavora prodotti chimici, queste sono sicuramente attività pericolose, si applica quindi l’articolo 2050; in questo
caso il soggetto che esercita questa attività pericolosa, risponde a meno che, e quindi spetta a lui la prova
liberatoria, non riesca a dimostrare di aver adottato tutte le misure idonee ad evitare il danno, in caso contrario
risponderebbe del danno cagionato a seguito dell'esercizio di quell’ attività.
L’altra questione importante che va esaminata riguardo alla responsabilità extracontrattuale è quella del
danno risarcibile. la nozione di danno risarcibile si ripartisce in due:
1. il danno patrimoniale (Art. 2056)
2. il danno non patrimoniale. (Art. 2059)
Il danno patrimoniale consiste nel danno, nella perdita di responsabilità per adempimento, e nel
mancato guadagno. il danno consiste da una parte nella perdita dall’altra nel lucro cessante, cioè nel mancato
guadagno, questa duplice composizione del danno risarcibile, è presente anche nel danno da fatto illecito,
d'altronde l'Art. 2056 dettato in materia del danno per fatto illecito, ci dice che il risarcimento dovuto al
danneggiante si deve determinare secondo le disposizioni dettate per il risarcimento del danno da
inadempimento e richiama gli Art. 1223, 1226 e 1227. Sostanzialmente il perché il risarcimento del danno
possa dirsi integralmente effettuato è necessario che il patrimonio del danneggiato si trovi nella stessa
situazione in cui si sarebbe trovato se l’evento dannoso non si fosse verificato. Sostanzialmente possiamo fare
un confronto fra quella che è la situazione patrimoniale attuale del danneggiato e la situazione patrimoniale
nella quale il danneggiato si sarebbe trovato se l'evento dannoso non si fosse verificato. Una sorta quindi di
differenza, e per individuare in dettaglio questa differenza bisogna far riferimento a due voci: danno
emergente e lucro cessante. Tenete presente che il danno può essere un danno patrimoniale, il danno che

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deriva dalla lesione di un diritto patrimoniale, ma non necessariamente il danno patrimoniale può anche
derivare dalla lesione di un diritto che non ha natura patrimonio. Per esempio dalla lesione del diritto
all'immagine, che non è un diritto patrimoniale ma è un diritto della personalità, può derivare oltre che un
danno non patrimoniale anche un danno patrimoniale, così come dalla lesione dell’integrità fisica può derivare
un danno non patrimoniale, danno biologico ma anche un danno non patrimoniale: un esempio classico se
appunto un musicista, a un seguito di incidente stradale si procura un trauma grave che poi gli impedirà di
suonare, certamente subirà un danno alla sua integrità fisica, quindi danno biologico ma contemporaneamente
non potendo più suonare subirà anche un danno patrimoniale, perché un danno che da perdita della sua capacità
reddituale.
Esempio: responsabilità da danno cagionato da animali. se siamo proprietari di un cane e il cane sfugge al
nostro controllo e cagiona un danno a terzi, perché aggredisce un passante, si applica questa norma: il
proprietario del cane o comunque colui che se ne serve, risponderà del danno cagionato in base all'Art. 2051,
cioè risponderà a prescindere dalla sua colpa, salvo che provi il caso, riesca a provare il caso fortuito ovvero
per esempio sono svenuto e non ho più potuto tenere il guinzaglio, e il cane è scappato, sempre che non si tratti
di un cane che doveva tenere la museruola perché in quel caso comunque sarebbe responsabile perché non ha
adottato la cautela sull’utilizzo della museruola per evitare di cagionare danni a terzi.
modalità per risarcire il danno patrimoniale.
le modalità sono fondamentalmente due:
• risarcimento del danno per equivalente,
• risarcimento del danno in forma specifica.
Nel caso del risarcimento del danno per equivalente, al soggetto danneggiato viene riconosciuta una somma di
denaro, quindi il leso rimane un bene leso, però gli viene riconosciuta una somma di denaro che, sul piano
quantitativo riporta il suo patrimonio nelle condizioni in cui esso sarebbe stato se non si fosse
verificato l'evento lesivo; per determinare il quantum risarcibile, cioè quanto gli spetta, ovviamente sarà
necessario fare un'indagine, darne prova e poi determinare qual è il danno emergente e qual è il lucro cessante,
qual è la perdita subita e qual è il mancato guadagno.
L'obbligazionista del risarcimento del danno è un’obbligazione di valore, una volta che danno viene liquidato
dal giudice o liquidato con un accordo fra le parti, diventa un’obbligazione di valuta. il Risarcimento del danno
in forma specifica si occupa l’Art. 2058 e in questo caso il risarcimento non si traduce in una somma di denaro
che equivale alla perdita subita e al mancato guadagno, ma si traduce in un’attività che ripristina esattamente
la situazione preesistente e quindi elimina la ferita subita dal patrimonio del danneggiato. se per esempio il
danno subito consiste nella demolizione parziale di un muro, il risarcimento in forma specifica consisterà nel
fatto che quel muro dovrà essere ricostruito, se non lo ricostruirà il danneggiante condannato a risarcire il
danno, il muro verrà ricostruito ad opera del danneggiato, ma a spese del danneggiante. Quindi si ripristina
esattamente il bene leso, infatti si parla di risarcimento in forma specifica. Il bene leso viene reintegrato,
ripristinato nel patrimonio del danneggiato. Può esserci anche una forma di risarcimento del danno in forma
specifica anche la pubblicazione sul giornale di una smentita rispetto a una notizia falsa, con riguardo al danno
subito al diritto alla personalità, l’onore, la reputazione, se viene pubblicata su un giornale una notizia che poi
mi si rivela falsa, inesatta, e il danneggiato ottiene dal giudice l'accertamento del fatto che queste sue diritto è
stato leso, normalmente il giudice, su domanda dell’ interessato, oltre al risarcimento del danno pecuniario, in
forma pecuniaria per equivalente, condannerà il danneggiate cioè il giornale a pubblicare la sentenza sul
giornale medesimo, ovviamente in estratto no, o comunque pubblicare un annuncio col quale si chiarisce che
quelle dichiarazioni quell’ articolo era un articolo mendacio. Questo risarcimento in forma specifica incontra
un limite: deve essere innanzitutto possibile effettivamente risarcire il danno in forma specifica e non deve
essere eccessivamente oneroso per il danneggiante, in caso contrario non resterà che chiedere il risarcimento
del danno per equivalente.
Non siamo riusciti a parlare del risarcimento del danno non patrimoniale: del danno non patrimoniale si occupa
l'Art. 2059, il quale prevede testualmente che il risarcimento di questo danno non patrimoniale è dovuto solo
nei casi previsti dalla legge. l’ interpretazione di questa disposizione ha subito un’evoluzione perché si è partiti
da un concetto di danno patrimoniale, quindi danno risarcibile, molto ma molto ristretto, definito come, danno
non patrimoniale, come danno morale soggettivo, fino ad arrivare a un concetto invece attualmente molto
esteso, per cui ormai risarcimento del danno non patrimoniale viene riconosciuto in tutti i casi in cui venga
leso un diritto della personalità, nonché in tutti gli altri casi nei quali la legge specificamente preveda che vada
risarcito il danno non patrimonio. Il danno non patrimoniale è un concetto ampio, all'interno del quale però si
distinguono normalmente delle voci che sono utili, sono danni patrimoniali diversi, ma sono delle voci che

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servono poi per quantificare il danno non patrimoniale. Queste voci sono il danno biologico o danno alla
salute, il danno morale soggettivo e il danno esistenziale.

Lezione 23
3 giugno
Il Contratto

E’ una delle fonti tipiche delle obbligazioni oltre all’illecito, insieme a quegli altri atti o fatti che possono
produrre obbligazioni in conformità dell’ordinamento giuridico.
Il legislatore ha scelto questa forma di regolamentazione, non ha indicato tutte le forme, ne ha indicato due
tipi, il contratto e l’illecito. Spetta al giudice eventualmente individuare altri atti o fatti che possono causare
delle obbligazioni, se questo atto o fatto è conforme all’ordinamento giuridico.

Quali sono gli effetti del contratto?


Regola cardine è quella stabilita nell’art. 1372 c.c. “Efficacia del contratto”
“Il contratto ha forza di legge tra le parti. Non può essere sciolto che per mutuo consenso o per cause ammesse
dalla legge [1399 comma 3, 1453, 1896; 72].
Il contratto non produce effetto rispetto ai terzi che nei casi previsti dalla legge [1411, 1415]”.

E’ quella norma nella quale vengono sintetizzate da un lato l’ampiezza dei poteri data all’autonomia del
privato, dall’altro vengono indicati quali sono le conseguenze di questa autonomia. Ci consente di capire che
le parti possono vincolarsi e questo vincolo consiste nella formazione di un rapporto, nella modifica di un
rapporto precedente o l’estinzione di un rapporto precedente. Questo legame è così forte che viene paragonato
alla legge, quindi vincola tutti i soggetti che ne sono sottoposti e sono previste delle conseguenze per la mancata
osservanza.
Dire che il contratto ha forza di legge vuol dire che gli accordi vincolano i soggetti, con una forza tale che la
violazione della legge contrattuale dà luogo ad una responsabilità contrattuale.
Nel caso dell’illecito la responsabilità è collegata al fatto doloso o colposo che ha cagionato un danno ingiusto.

Il contratto ha un tempo atto per regolamento (?) Perché nel momento in cui due o più parti costituiscono
regolano o estinguono un rapporto giuridico, stanno creando un rapporto tra di loro, quel rapporto in cui il
vincolo era come se fosse una norma di legge, nello stesso tempo il contratto è regolamentazione degli interessi
delle parti e quindi all'interno del contratto sono indicate tutti comportamenti che ciascuna dovrà tenere in
forza di quel vincolo.
Allora, questo spiega perché poi il codice detti tutta una serie di regole anche per l'interpretazione del contratto,
cioè si dovrà capire che cosa le parti hanno voluto stabilire, perché attraverso il contratto le parti possono
veramente regolare il rapporto di interessi come vogliono, sia facendo riferimento a un modello che il
legislatore ha tipizzato, si parla in questo caso di contratto tipico, -se uno dice io vendo e l'altro dice io
acquisto- è evidente che le parti stanno utilizzando quel modello già tipizzato che è la vendita, ma potrebbero
anche concludere un contratto che noi chiamiamo atipico, perché è una regolamentazione che non ha una
preventiva disciplina da parte del legislatore e allora in questo caso si potrà, e si dovrà, fare riferimento
unicamente a quello che le parti hanno voluto e quindi agli accordi che hanno tra di loro concluso. Qui sta tutta
la forza del contratto perché quelle regolamentazioni che hanno trovato tra di loro li vincoleranno fino a che
questo non contravvenga a qualche principio o a qualche norma dell'ordinamento. Ma fino a che non ci sia la
violazione di un valore superiore, che può essere un principio generale dell’ordinamento, le parti possono
stabilire esattamente quello che vogliono nel contratto. Proprio per questo è importante stabilire che effetto
allora abbiano, quali sono questi effetti di cui stiamo parlando. Nel momento in cui si crea il vincolo, il contratto
produce gli effetti ovviamente voluti dalle parti.

Quali possono essere questi effetti? Solitamente facciamo riferimento a delle classificazioni che hanno la
funzione di chiarire un po' le caratteristiche proprie della categoria che stiamo trattando. Abbiamo parlato di
contratti consensuali o reali con riferimento al momento della loro conclusione e con riferimento agli elementi
essenziali per la conclusione. Abbiamo detto che sono consensuali quei contratti nei quali la volontà, l'accordo
delle parti contraenti, è l'unico requisito necessario e sufficiente a produrre gli effetti. Cioè una volta che ci

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sia l'accordo, gli effetti che la legge ricollega a quel tipo contrattuale tipico, o eventualmente all'accordo
incompleto concluso tra le parti, si produrranno direttamente.
Principio consensualistico: il consenso, come elemento essenziale per la produzione degli effetti.
Es.: Tizio vende e Caio compra, nel momento in cui siamo d’accordo, quindi le nostre volontà si sono
incontrate su un regolamento che interessa ad entrambi, l'effetto che si produce è l'effetto traslativo.
Effetto traslativo: il diritto di proprietà che io ho venduto e che lui acquista, si trasferisce immediatamente
all'acquirente.
Quindi il contratto è consensuale considerato il momento della conclusione e gli elementi essenziali per la sua
conclusione, gli effetti si chiamano reali. Questa è la ragione per cui questo insieme di contratti viene indicato
come categoria di contratti traslativi, cioè contratti in cui l'effetto trasferimento del diritto opera al momento
in cui il contratto sia validamente concluso. L'accordo è indifferente sotto questo profilo che si tratti di beni
mobili o immobili, se si tratta di un bene immobile, il consenso va prestato per iscritto , la forma è nient'altro
che il modo in cui deve essere espresso il consenso. Quindi se il contratto è riferito a un bene immobile
l'accordo deve risultare per iscritto, ma se si tratta di un bene mobile, poiché nessun requisito di forma è
previsto, la volontà può essere manifestata liberamente. In un caso o nell'altro all'accordo consegue l'effetto
reale.
Quindi ricapitolando, considerato il momento di conclusione la distinzione è tra contratti consensuali e reali,
dove per consensuali intendiamo contratti nei quali il consenso è un requisito necessario e sufficiente per il
prodursi degli effetti. Parliamo di contratti reali in riferimento a quei contratti che hanno bisogno di un
elemento in più, cioè gli effetti conseguono non direttamente e immediatamente alla manifestazione
dell'accordo ma è necessario un elemento in più per integrare la fattispecie, quindi sarà necessaria la consegna
perché si producano gli effetti voluti dalla legge, o eventualmente dalle parti.

Es.: Il contratto di mutuo: voglio un mutuo in banca, si discute - me lo concede non me lo concedete - la banca
fa l’istruttoria, predispone i modelli, ma il contratto non sarà concluso fino a quando la banca, oltre all'accordo,
non dia materialmente il denaro al mutuatario, in quel momento il mutuatario diventa proprietario di quel
denaro che potrà spendere per le finalità per cui è richiesto il mutuo, e in lui, per effetto di quel contratto, nasce
l’obbligo a restituire quel capitale maggiorato degli interessi.

Per quanto riguarda gli effetti che possono derivare dal contratto, questi possono essere effetti reali o effetti
obbligatori. Laddove per effetti reali si intende trasferimento del diritto, quindi si fa riferimento a quella
categoria di contratti che chiamiamo traslativi, gli effetti obbligatori sono invece i vincoli che ciascun
contraente assume nei confronti dell’altro.
Questi ultimi ci sono sempre, talora effetti reali ed effetti obbligatori ci sono insieme, in alcuni contratti si
hanno solo effetti obbligatori.

Es.: Immaginiamo che io veda la casa di Cagliari, via Roma, traduciamo in termini giuridici vendita di un bene
determinato. Il bene esiste, le parti sono d'accordo su vendita e acquisto di quel bene, hanno previsto le
prestazioni di entrambi, quindi uno trasferisce il diritto e l'altra pagherà il prezzo, quindi assume l'obbligo nei
confronti dell'altra, vediamo pertanto la coincidenza di effetti reali e obbligatori, nel momento in cui c'è il
consenso scritto su un pezzo di carta, perché stiamo parlando di vendita di beni immobili, si verificano gli
effetti, quali? L’effetto reale, che è il trasferimento del diritto dal venditore al compratore, ma anche l'effetto
obbligatorio che consiste per esempio nel pagamento del prezzo, perché il compratore dovrà pagare un prezzo,
ci saranno delle obbligazioni ulteriori che le parti si dovranno prestare, per esempio il venditore si obbliga a
effettuare determinate riparazioni e questo lo vincola per effetto del contratto. Per effetto di quell’accordo
questo non c'entra più, la proprietà è passata ma l’obbligo di effettuare determinate riparazioni -dice io ti vendo
questo bene mi paghi 100, però io mi impegno a demolire una parete che c'era per creare un ambiente unico,
oppure a rimuovere le piastrelle che avevo messo in bagno in modo che tu possa liberamente fare l'impianto
nuovo-. Cioè tutti questi accordi non hanno niente a che vedere.
Allora, effetti reali ed effetti obbligatori sono direttamente conseguenti al perfezionamento del rapporto, cioè
derivano dal consenso.

Effetti reali ed effetti obbligatori molto spesso coincidono perché se uno dei contratti traslativi, al trasferimento
del diritto si accompagna tutti i vincoli che ciascuna parte assume nei confronti dell'altro.
Es.: Tizio ha comprato l’appartamento da Caio, allora Tizio diventa proprietario, subentrerà a Caio nella
posizione che lui aveva. Se quella casa fa parte di un condominio acquisterà anche gli obblighi del condomino

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nei confronti del condominio stesso. Soprattutto sarà tenuto a rispettare tutti gli impegni nei confronti degli
altri.

Ma a volte può capitare che un contratto non abbia effetti traslativi e abbia solo effetti obbligatori.
Es.: Io prendo in locazione una casa vicino a Viale Merello perché ci voglio andare ad abitare quando le lezioni
riprenderanno in presenza. Devo trovare qualcuno che sia proprietario di una casa e fare con lui un contratto,
il quale produrrà effetti, non traslativi, lui si obbligherà a farmi godere la casa, a mantenerla in buono stato
locativo, io mi obbligherò a pagare il canone di locazione, eventualmente a pagare direttamente le spese,
oppure a rimborsare le spese per l'acqua, per tutti i servizi connessi all'immobile. Sono tutti accordi tra di loro,
vincoli tra di loro, non c'è un effetto traslativo, ma sono tutti effetti obbligatori. Io non posso dire -se voglio
pago l'affitto- no, nel momento in cui ho stipulato il contratto l'effetto obbligatorio mi vincola come se fossi
sottoposto ad una norma di legge.

Effetti reali e obbligatori spesso si considera che nascano insieme, nel caso si producono contemporaneamente
nei contratti traslativi, invece si hanno solo effetti obbligatori nei contratti che chiamiamo ad effetti obbligatori.
Es.: la vendita, io decido di comprare una casa, però non sono ancora pronto a farlo. Devo chiedere il mutuo,
non sono sicura di avere a disposizione tutta la somma. Al momento mi vincolo con il soggetto che vuole
vendere perché mi piace, ho trovato la casa che mi interessa, va bene il prezzo. Allora, mi vincolo con un
contratto preliminare, cioè io mi obbligo a stipulare in futuro un contratto traslativo. Che cosa significa? Vuol
dire che così come io mi sono vincolata a comprare, il venditore è obbligato a vendere. Però in realtà da questo
contratto non deriva un effetto traslativo, perché noi non stiamo vendendo, io non sto comprando, ci stiamo
obbligando a farlo in futuro. Quindi l'effetto traslativo conseguirà a un contratto definitivo che stipuleremo più
avanti, al momento c'è solo il vincolo nato dal contratto preliminare, il quale ha solo effetti obbligatori. Qui si
capisce la forza di legge del contratto: quel vincolo che noi abbiamo stretto, ci costringe in futuro a stipulare
il contratto definitivo, se uno dei due si rifiuta, l'altro che cosa potrà fare? l'ordinamento consente in questo
caso che la parte possa chiedere al giudice una sentenza che tenga luogo del contratto non concluso. Il giudice
dice -ti sei vincolato, quel contratto ha una forza tale che se tu non adempi all'obbligo che avevi assunto, gli
effetti di quel contratto che avresti concluso e che avrebbe prodotto effetti traslativi, li introduco io con una
mia sentenza- la quale trasferisce il diritto, cioè la sentenza sostituisce gli effetti che avrebbe avuto un contratto
traslativo, perché dal preliminare sono nati effetti obbligatori, non effetti reali.

Domanda esame: il contratto ha effetti reali, vuol dire che gli effetti reali si devono produrre solo
immediatamente? Non necessariamente, questo effetto reale può essere immediato o può essere differito e
quando l'effetto reale è differito, accade soprattutto nella vendita, si parla di vendita obbligatoria.
Attenzione,che cosa vuol dire? Allora, abbiamo fatto l'esempio prima della vendita, dal consenso deriva il
trasferimento del diritto, Tizio vende, Caio acquista, sono d'accordo, lo scrivono, la proprietà si trasferisce. Ma
io posso anche comprare un bene che non è ancora stato costruito, c’è solo il cantiere, la casa non c'è ancora,
cioè posso acquistare la proprietà di una casa che non è ancora esistente, quindi di un bene, utilizzando le
nostre categorie giuridiche, futuro. non è ancora venuta ad esistenza, posso farlo certo che sì, allora stipulo un
contratto di vendita di cosa futura. Cosa vuol dire? Che dal contratto di vendita nascono immediatamente tutti
gli effetti obbligatori, ci sono tutti i vincoli quello che io ho assunto, che cosa mi sono impegnata a fare, a
pagare il prezzo ad avanzamenti lavori, a dare determinate garanzie per il pagamento del prezzo futuro, mentre
il venditore si obbliga a trasferirmi la proprietà quando la casa sarà ultimata. Tutto questo fa si che il contratto
sia perfetto, è valido, produce immediatamente effetti obbligatori. L'effetto reale, che è proprio del contratto
di vendita normalmente, si produrrà non immediatamente al momento della conclusione del contratto, ma in
un momento successivo, quando cioè la cosa sarà venuta ad esistenza, perché in questo momento il venditore
non ha trasferito il diritto, ma si è obbligato a far acquistare la proprietà di quel bene al compratore, quindi
nella vendita di una cosa futura il cui effetto reale non è immediato, è differito al momento in cui la cosa sia
venuta ad esistenza. Lo stesso sia ha nel caso vendita di cosa altrui. Io vendo a Tizio la casa di mio fratello,
che cosa vuol dire? Io non posso vendere un diritto che non ho. nei confronti di Tizio, avrò assunto l'obbligo
di farlo diventare proprietario, di fargli acquistare la proprietà. Siccome io non posso, quindi il contratto non
può avere effetti traslativi immediati, per difetto mio di legittimazione a disporre di quel bene ciò che deriva
dal contratto è l'obbligo che io assumo nei suoi confronti di farlo diventare proprietario. E come potrò
adempiere quest’obbligo? In due modi: convincendo mio fratello a vendere, oppure diventando io proprietaria
di quel bene in modo che avrò sanato quel difetto di legittimazione che avevo in precedenza, quindi posso
trasferire il diritto. Tanto nel caso di vendita futura, nel caso di vendita di cosa altrui, che qui stiamo trattando,

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non sarà necessario un nuovo contratto, gli effetti traslativi si produrranno per effetto di quel consenso
manifestato al momento in cui le parti hanno concluso il contratto di vendita, che pure sotto questa forma di
vendita di cosa altrui o di vendita di cosa generica futura o di altro.
Ulteriore caso di vendita, cosiddetta obbligatoria, è quello della vendita di una cosa determinata solo nel
genere: Io vendo un quintale di grano, ma siccome ho una quantità immensa di grano, quale sarà il quintale
che in concreto ti ho venduto? Si saprà quando io separo dal più grosso mucchio quella quantità che corrisponde
ad un quintale.
Nel momento in cui sto facendo quella separazione da una maggiore quantità della porzione che ho venduto,
al momento dell'individuazione si trasferisce il diritto del quintale di grano. Quindi nei casi di vendita
cosiddetta obbligatoria l'effetto immediato è obbligatorio, gli effetti reali sono differiti a un momento
successivo. Allora tutto ciò che deriva dal contratto è un insieme di diritti e doveri che ciascuno ha nei
confronti dell'altro, questa è la ragione per la quale si parla più esattamente di posizione contrattuale, faccio
riferimento alla posizione del venditore, faccio riferimento a tutto ciò che deriva dal contratto, sia i diritti e gli
obblighi, lo stesso per quanto riguarda il compratore, faccio riferimento a tutti i diritti e gli obblighi connessi
alla sua posizione. Questo è importante perché se io volessi cedere il contratto non cedo fisicamente il
documento, cedo attraverso un documento, cioè un titolo in realtà, cedo in quel caso la mia posizione a un altro
soggetto, cioè trasferirò la mia intera posizione contrattuale, con tutto ciò che è connesso alla mia posizione
all'interno del contratto.

Tutto questo fa si che il soggetto che stipula un contratto, quindi acquisti una determinata posizione
contrattuale, abbia la legittimazione anche a disporre perché vale la regola che nessuno può trasferire ad altri
ciò che non ha. A queste regole fondamentali dobbiamo sovrapporre il fatto che l'ordinamento ha una
preoccupazione in più, cioè quella di assicurare un traffico giuridico, soprattutto conservare la pace sociale, e
come lo fa? In questo caso dettando delle regole per la circolazione, quindi noi sappiamo per esempio che le
regole di circolazione possono incidere su questa situazione, immaginiamo un soggetto vende un bene a Tizio,
poi siccome l'ha fatto con una scrittura privata, ha un'altra struttura con un altro soggetto, secondo le regole
che noi abbiamo detto, che cosa accadrebbe? che il primo diventa proprietario, il secondo non può diventarlo
perché al momento in cui il venditore ha concluso con lui il contratto aveva già trasferito il diritto, quindi non
era più proprietario, Queste sarebbero le regole generali, e così sarebbe se non fosse che l'ordinamento dice -
attenzione quando questo accade, unicamente a fini di certezza dei terzi, tutti siano documentati e sappiano
che cosa è accaduto, io tutelo quello che ha trascritto per primo, ma è una tutela che riguarda le regole di
circolazione, non riguarda quello che abbiamo detto, cioè il prodursi degli effetti reali, i quali si sarebbero
prodotti col primo, con il secondo non si sarebbero potuti produrre perché il soggetto non era proprietario, però
se il secondo trascrive per primo, è quello che acquisterà il diritto. Quindi il legislatore ha introdotto una regola
per favorire la circolazione dei beni perché altrimenti tutto si paralizzerebbe. Così ci sono regole di
circolazione, per esempio, che stabiliscono nel caso di doppie alienazioni di beni immobili prevale quello che
consegue il possosso. Nel caso di più cessioni di credito prevale quello che per primo ha notificato la ricezione
al debitore.
Se nessuna di queste regole opera quale varrà? quella del contratto concluso, se non c'è una regola di
circolazione che interviene, la regola generale è che valgono gli effetti del contratto concluso per primo.

Problema: Se le parti non hanno previsto tutto e ci sono degli effetti che non hanno regolato che cosa
accade? Qui il potere salvifico dell'ordinamento, interviene la legge, la quale stabilisce quali sono le regole
che si applicano per integrare gli effetti che non sono stati previsti dalle parti.
Abbiamo già studiato le regole che riguardano l'integrazione del contenuto del contratto con la sostituzione
automatica delle clausole, con inserimenti di alcune regole previste dall'ordinamento, quelle sulla nullità
parziale ecc. Quindi se i contraenti hanno stipulato un contratto tipico, faccio l'esempio più clamoroso, nella
vendita non hanno stabilito quando si trasferisce il diritto, questo contratto sarebbe nullo? no, perché la legge
prevede che i contratti traslativi relativi a beni determinati, l'effetto si produce al momento dell'accordo. Quindi
quello che le parti non avevano previsto è stabilito dalla legge, quindi la legge integra gli effetti eventualmente
non stabiliti dalle parti. Se si trattasse di un effetto particolare che la legge non ha provveduto a regolare, che
cosa si fa? Qui intervengono eventualmente gli usi, cioè se ci fossero degli effetti che le parti hanno dimenticato
di regolare, che è necessario però fare riferimento, in mancanza di norme di legge che provvedano per caso
specifico, o perlomeno per il tipo contrattuale concluso, si farà riferimento agli usi.

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Diritto Privato

Es.: Acquisto un cavallo perché mi piace andare a fare le passeggiate nel verde e scopro che ha una malattia
per cui è zoppo, la legge disciplina la vendita di animali, fa riferimento alla garanzia per i vizi, cioè quei difetti
occulti, ma questa zoppia che è una manifestazione che si verifica, eventualmente può essere un profilo
particolare sopravvenuto, che tutela mi da? la legge non me lo dice, e se non me lo dice, che cosa faccio? io
posso pensare che l’effetto traslativo sia stato parzialmente inficiato da questo difetto, qui farò riferimento agli
usi, per esempio quelli che valgono in ambito regionale potrebbero prevedere per la Regione Sardegna che in
questo caso il contratto è non produce i suoi effetti, oppure che l'effetto è sospeso fino a quando l'animale non
sia guarito (sto inventando sul momento).
E se non ci fossero neanche gli usi che cosa succede? Si fa ricorso al giudice il quale deciderà secondo equità,
cioè farà un bilanciamento della posizione delle parti ed adotterà una soluzione.

Naturalmente quelli di cui stiamo parlando sono tutti gli effetti diretti tra le parti. Ci possono essere degli effetti
indiretti, in riferimento al negozio indiretto.
Es.: Tizio deve 100 a Caio, abbiamo due posizioni, i 100 possono essere dovuti come restituzione di una
somma data mutuo o come parte di un prezzo non interamente pagato, abbiamo due posizioni quello del
creditore e quello del debitore. Tizio deve 100 a caio, naturalmente Caio aspetterà che tizio adempia, sapete
come ci si comporta in questi casi dei rapporti tra creditore e debitore. Facciamo ora l'ipotesi in cui Caio per
generosità dice -Sai cosa ti dico, non restituirmi più quei 100 che mi dovevi, lo so che me li dovevi non li
voglio più-. In termini non tecnici la chiameremo la remissione del debito, cioè non voglio più essere pagato,
questo atto che funzione ha? Di estinguere l'obbligazione, è una remissione. L'obbligazione che era nata da un
contratto si estingue e quindi quello che era originario debitore è liberato, non è più debitore. Naturalmente
con l’accettazione da parte del debitore, perché non solo ha l'obbligo di pagare, ma ha il diritto di pagare.
Immaginate se uno fosse il debitore di un soggetto con cui non vuole avere niente a che fare e non voglia
risultare in qualche modo di dovergli essere grato per qualunque cosa. Quindi paga il debito ed estinguere
l'obbligazione con i mezzi correnti normali, quelli che l’obbligazione aveva previsto.
Facciamo l’ipotesi in cui il soggetto accetti e quindi la remissione del debito che effetto diretto ha? L’estinzione
dell’obbligo, perchè è uno dei modi con cui si estingue l'obbligazione, atto volontario stavolta è un atto
negoziale quello del creditore a cui può rispondere accettazione del debitore, l'obbligazione si estingue, non
c'è più. Ma questo è un effetto diretto, ma che cos'è successo nel patrimonio di quel debitore? Avrebbe dovuto
sborsare 100 e non lo ha più sborsato, il suo patrimonio risulta incrementato diciamo se non incrementato,
almeno non è stato intaccato, dal suo patrimonio non uscirà più quella somma che sarebbe servita a pagare il
debito. Quindi nei rapporti diretti è estinzione dell'obbligazione ma questo effetto estintivo ne comporta uno
indiretto, è come se il creditore avesse regalato 100 al debitore, perché è la stessa cosa se io ti impedisco di
spendere 100 o se ti regalo 100, il tuo patrimonio si è incrementato di 100, quindi l'effetto indiretto è quello
della donazione, ma l’effetto diretto è l’estinzione dell'obbligo.
Questo è importante perché qualificato questo effetto seppure indiretto come attribuzione a titolo gratuito, ha
tutto un risvolto per esempio nelle successioni, perché poi di quella donazione si terrà conto ai fini del
patrimonio della formazione del patrimonio ereditario, una donazione potrebbe essere ridotta per soddisfare
un legittimario che sia stato leso.

In qualche caso la legge interviene in modo più preciso, dice per esempio che può prevedere che determinate
clausole, o un contratto possa avere effetto tra le parti, oppure si considera come non esistente tra le parti, mi
spiego facciamo l'esempio Tizio dona a Caio e ottiene da lui l'impegno di non vendere il bene che gli è stato
donato. -Tu non venderai per i prossimi 10 anni- Questo è un accordo, è un contratto di donazione, l'effetto
traslativo c'è perché il diritto si trasferisce al donatario, ma c'è anche l'effetto obbligatorio il vincolo in forza
del quale il donatario si è obbligato a non vendere per i successivi 10 anni alla donazione. Che succede
nell'eventualità che invece il donatario, ignorando l'impegno assunto, quindi quell’obbligazione che deriva
dal regolamento della donazione tra di loro intercorsa, decide di vendere ad un terzo?
La legge dice che in questo caso il patto di non alienazione non è opponibile al terzo acquirente, i problemi
allora si si risolveranno all'interno del rapporto contrattuale a cui quel patto di non alienazione accedeva, era
la donazione e si vedrà tra le parti che ruolo questo accordo ha avuto all'interno della donazione, se è stata
prevista per esempio come causa di risoluzione, o non ci fosse nessuno di tutti questi si vedrà quali regole
applicare per l'eventualità.

Allora abbiamo fin qui detto che gli effetti hanno forza di legge tra le parti, e per i terzi?

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Diritto Privato

Un contratto normalmente non ha effetti per i terzi, vincola le parti ma non i terzi. C’è il modo per produrre
gli effetti di un contratto, ed eventualmente anche il vantaggio o a danno di terzi? C'è la possibilità che il
contratto stipulato produca effetti anche nella sfera giuridica di un soggetto estraneo alla stipulazione. L’ipotesi
è quella in cui il soggetto in sede di conclusione del contratto stabilisca che gli effetti si produrranno o su se
stesso o su una persona che si riserva di nominare, è un classico: un genitore conclude un contratto di vendita
relativa ad un immobile e fa la stipulazione per sè o per una persona che egli si riserva di nominare. Ciò vuol
dire che mi riservo di nominare chi risulterà acquirente in questo contratto e lo farò nel tempo che viene
indicato nel contratto. Inoltre, la legge stabilisce ,se non è previsto un termine nel contratto, che la nomina
deve essere fatta entro tre giorni. In caso contrario, se non viene effettuata la nomina gli effetti si produrranno
su chi ha stipulato il contratto.
Altra ipotesi in cui si può far intervenire un terzo nel contratto è il contratto a favore di un terzo dove la legge
espressamente prevede l'eventualità che un soggetto stipuli il contratto e gli effetti del contratto si producono,
non su di lui, ma su un terzo.
Es.: un genitore stipula un contratto per l’assicurazione della responsabilità civile sull'auto del figlio.
L'assicurazione stipulerà il contratto con il genitore, gli effetti, cioè i vantaggi derivanti dalla stipulazione del
contratto si produrranno sul figlio, proprietario di quella macchina, il quale l'unica cosa che dovrà fare è
dichiarare di volerne profittare.
Cioè non è un'accettazione in senso tecnico, ma è la scelta di far sì che rientri nel suo patrimonio il beneficio
derivante dalla stipulazione fatta da un altro. Questo perché c'è una regola generale dell'ordinamento secondo
la quale nessuno spostamento patrimoniale si può avere senza il consenso del titolare del patrimonio, pertanto
neanche un beneficio può entrare nel patrimonio di un soggetto, se lui non vi consenta.
Il contratto a favore di un terzo è uno schema generale chiunque può fare un contratto facendo sì che gli effetti
si producano a vantaggio di un altro soggetto.
Diverse da queste ipotesi è quella che è nota come promessa del fatto del terzo (articolo 1331c.c.)
Es.: Io prometto a uno di voi che mio fratello gli venderà la sua automobile, questo contratto può avere effetti
reali? Ovviamente no, io non sono proprietario, così io non sto vendendo la macchina di mio fratello, perché
questa sarebbe una vendita di cosa altrui, vendita con effetti obbligatori, se io dicessi -vi vendo la macchina di
mio fratello-, sto assumendo io l'obbligazione di farvi diventare proprietari di un bene che attualmente non è
di mia proprietà, quindi l'effetto, la vendita produrrebbe effetti obbligatori, ma se io invece dico -mio fratello
vi venderà- io non sto assumendo un'obbligazione mia, ma sto dicendo che lui diventerà venditore nei vostri
confronti. Qual è l'effetto di questo contratto? Non vincola me perché io non sono proprietaria, mio fratello
neanche, allora accade che io dovrò rispondere nei confronti vostri di una promessa che non potevo fare e che
non potevo soprattutto mantenere, quindi la promessa del fatto del terzo non vincola chi lo promette perché
non può adempiere, non vincola il terzo perché non ha promesso, può nascere solo una responsabilità, non
definibile come danno, perché in realtà quello che ti ha fatto la promessa incautamente, ma è tenuto a dare un
indennizzo, cioè non c'è un criterio di determinazione del danno tale da ricostituire una situazione patrimoniale
lesa come nel risarcimento del danno, è un indennizzo.

Può accadere che le parti si accordino per creare una apparenza che non è conforme a ciò che tra loro hanno
voluto. Io sono oberato di debiti, so che che da un giorno all'altro l'Agenzia delle Entrate metterà mano al mio
patrimonio per ottenere la vendita dei liberi, allora trovo una persona compiacente con la quale stipuliamo un
contratto di compravendita in modo che risulti che questa abbia acquistato le proprietà che voglio occultare,
in modo che l'agenzia contro questa non potrà agire e quando agirà nei miei confronti non troverà nulla nel
mio patrimonio. Qui abbiamo un'apparenza creata (abbiamo detto il contratto ha forza di legge tra le parti), il
problema è che il vero contratto intercorso tra me e lui l'accordo che fa fede è quello che abbiamo realmente
voluto, cioè dietro quell’apparenza non si cela una vera volontà di trasferire il diritto, anzi non c'è nulla, si
chiama simulato il contratto per questa ragione, perché c'è un contatto apparente, che è quello simulato, e un
contratto dissimulato, che è quello che realmente hanno voluto tra le parti. Il problema è che ruolo ha questo
contratto nell'ordinamento: tra le parti è evidente che vale quello effettivamente voluto, ma l'ordinamento fa
credito anche all'apparenza, di quello che appare ai terzi, i quali hanno diritto di far valere la realtà rispetto
all'apparenza creata. Significa che i terzi potranno fare affidamento soltanto su quello che appare. Quindi i
creditori dell'acquirente per esempio hanno tutto l'interesse a far valere il contratto simulato, perché c'è un bel
in più che è entrato nel suo patrimonio, mentre i creditori del simulato alienante, avranno l’interesse di
dimostrare che il bene non è mai uscito dal mio patrimonio. Questo spiega perché l'ordinamento ovviamente
non può andare a indagare sulla volontà degli interessati, ma si preoccupa di tutelare i terzi, che eventualmente

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Diritto Privato

vengano in contatto con questi soggetti, tant'è che viene disciplinata la prova del contratto simulato, trattando
in modo differente i terzi, che siano creditori dell'uno o creditori dell’altro, e le parti.
Perché tra le parti che cosa può essere accaduto? I due si sono messi d'accordo bonariamente sulla fiducia , io
te lo trasferisco sulla fiducia tu un giorno l'altro me lo restituirai L'unica speranza che ha l'alienante è che
l'altro osservi quella fiducia e restituisca, perché non riuscirà mai a provare che quel trasferimento è fittizio.
Quindi non può dimostrare che il negozio era fatto sulla fiducia. L'unica cosa che può procurarsi fin da subito
è quella che si chiama controdichiarazione, cioè un altro contratto, quello effettivamente voluto tra le parti, il
quale costituisce una documentazione del fatto che in realtà gli effetti che le parti hanno posto in essere sono
solo apparenti e che tra di loro nessun effetto è voluto. Qui si distingue se il simulato sia assoluto o relativo,
cioè se in realtà i contraenti hanno solo creato il simulato di un contratto ma tra di loro e nessun effetto doveva
prodursi, oppure in altri casi la simulazione è relativa quando per esempio si simulano gli effetti di un contratto,
ma in realtà se ne vogliono altri differenti.
Tra le parti e ovviamente vale solo ciò che effettivamente voluto, ossia nessun effetto nel caso di simulazione
assoluta oppure l'effetto del contratto effettivamente voluto rispetto a quello simulato nel caso di simulazione
relativa, i terzi dovranno impugnare quel contratto per fare accertare che è stato simulato. Il problema riguarda
qui poi i mezzi di prova perché con le parti il giudice dice -se voi volete far valere tra di voi la realtà, dovete
produrre il contratto che avete effettivamente voluto, quindi dovete far vedere la controdichiarazione- mentre
i terzi non hanno accesso alle stipulazioni segrete, quindi potranno avvalersi di qualunque mezzo: documenti,
mezzi di prova, indizi, testimonianze, tutto quello che sarà possibile per fare risultare la realtà rispetto
all'apparenza.
Ovviamente la punizione maggiore è per le parti perché se loro non riescono a portare la controdichiarazione,
il giudice non potrà che far riferimento all'apparenza, oppure uno dei contraenti, che non abbia la prova della
simulazione, la controdichiarazione, potrà fare ricorso ad uno strumento che però si rivela assai pericoloso,
potrebbe deferire il giuramento decisorio, cioè si dice -giura che quello che abbiamo fatto era questo- , ciò
vuol dire che deve fidarsi dell'altro contraente, il quale se giurasse il falso, il giudice non potrebbe che decidere
in base al giuramento ottenuto, perdendo la causa civile, ma resta salva la possibilità di una causa penale per
il falso giuramento.

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