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LEZIONE DEL 10/03

Il diritto penitenziario é caratterizzato da un variegato sistema di fonti che convergono verso un


unico obiettivo: rieducare il condannato e integrarlo socialmente.

Per partire con la giusta prospettiva nella ricerca di quelli che sono i presupposti del diritto
penitenziario, bisogna necessariamente partire dalle norme della Carta Costituzionale.
La norma su cui focalizzarsi con particolare attenzione, analizzandone i contenuti e quello che
è stato il percorso storico, è quella dell’articolo 27 della Costituzione che è rivolto all’apparato
penale dell’Ordinamento giuridico italiano perché riguarda in qualche misura gli aspetti di
carattere processuale e i profili della pena.
Qual è la finalità costituzionale della pena? E perché si parla di finalità costituzionale volendola
distinguere in qualche misura da altri tipi di concezione della pena?
Perché nel corso del tempo è maturato lentamente questo processo fino a giungere a questa
formula ultimativa dell’articolo 27.

La prima cosa da fare è trovare la collocazione sistematica del diritto penitenziario che non è
altro che la parte più significativa del diritto penale, cioè quella parte che analizza la pena.
La pena è la la conseguenza di una violazione di una norma penale che prevede il rispetto di
un obbligo o di un divieto che viene eluso ed a cui segue una punizione che è tipica del sistema.
In realtà, nel nostro sistema ci sono altre forme di punizione ma quella della pena è la forma
caratteristica, specifica per cui si può dire con buona approssimazione che quando vediamo una
pena, parliamo di norma penale.

Nonostante la maggior parte delle discipline del diritto, ruotano intorno al diritto pubblico, ogni
disciplina è caratterizzata dai propri principi per governare lo specifico settore ma, centrali, sono
le diverse fonti che si collocano su diversi livelli gerarchici.
All’apice della gerarchia troviamo le norme costituzionali, poi troviamo le leggi primarie, i
regolamenti, le discipline ecc.

Centrali sono i regolamenti perché disciplinano la vita specifica all’interno degli istituti
penitenziari. Ci sono istituti penitenziari di diversi tipi perché troviamo quelli dove ci sono
esclusivamente donne (istituto penitenziario di Pozzuoli), istituti in cui ci sono esclusivamente i
minori (istituto penitenziario di Nisida) e istituti dove ci sono gli adulti (Secondigliano,
Poggioreale).

É centrale insistere sulle fonti perché la legge di settore che oggi governa la materia
penitenziaria è una ed è centrale rispetto a tutte le altre che possono essere sia precedenti che
successive.
Stiamo parlando della legge 354 del 1975 la cosiddetta legge sull’ordinamento penitenziario.
Quest’ultima esiste oggi ed è entrata in vigore nel 75, ma prima di tale data, tutto il settore era
governato da un regolamento ministeriale e questo ci fa capire come, nel corso del tempo, i
principi costituzionali hanno modellato tutta la disciplina di livello inferiore.

A cura di: Anna Cotugno e Aurora Spagnolo


Precedentemente c’era il regolamento ministeriale che si chiamava regolamento penitenziario
ed era emanato dal ministro della giustizia. All’interno del regolamento c’erano tutta una serie
di norme che non guardano mai al soggetto detenuto o condannato bensì sottolineano la forza
dello Stato, l’espressione più classica della forza dello Stato che esercita la sua violenza nella
fase dell’esecuzione della pena sulla persona. Lì non c’era un soggetto che poteva lamentare
qualcosa in quanto non esistevano i diritti, che vengono riconosciuti solo con la legge del 75.
Con quest’ultima, si mette in campo da un lato un giudice specifico che è il Tribunale di
sorveglianza (prima si chiamerà ufficio e poi sarà il tribunale di sorveglianza), successivamente
invece entra in gioco la figura dell’assistente sociale che non è uno che va a fare compagnia al
detenuto bensì è un professionista del sociale che, utilizzando determinate tecniche, saprà
risolvere il problema o comunque portare all’obiettivo fondamentale dell’esecuzione della pena
ovvero la rieducazione del detenuto.

Questa materia è una materia che prende spunto da altre legislazioni, da altre materie ed infatti
è importante studiare alcune norme del codice penale perché sono state recepite, seppure in
maniera diversa, dalla legge del 75 e quindi dal diritto penitenziario. Importante sarà conoscere
anche le norme processuali, ovvero le norme del codice di procedura penale, perché bisogna
capire in che modo si inseriscono i vari passaggi della nostra materia nell’ambito del percorso
processuale. Centrali saranno anche altre discipline che sono norme che non sono di carattere
nazionale bensì sovranazionale, emanate dal Parlamento europeo la cui legislazione è
completamente diversa in quanto si parla di direttive che vengono inserite, attraverso l’articolo
117, nel nostro sistema però vanno controllate alla luce della Costituzione.

Quindi, se un giorno ci dovesse essere a livello europeo una discussione e il consiglio dovesse
far entrare in vigore la norma che prevede la pena di morte, verrebbe immediatamente respinta
dall’ordinamento italiano perché l’articolo 27 vieta la vieta.

Tuttavia esiste il diritto sovranazionale costituito da norme e sentenze che il diritto penitenziario
prendo in considerazione. Alcune volte si tratta di raccomandazioni cioè si dice all’ordinamento
italiano di stare attento perché ha delle carceri che sono sovraffollate e c’è bisogno di utilizzare
dei meccanismi deflattivi per cercare di ridurre il numero di detenuti.
Ci sono invece poi delle norme che sono sentenze che hanno lo stesso valore normativo e sono
le sentenze della Corte Europea dei diritti dell’uomo le cui entrano direttamente nel nostro
sistema ed impongono al giudice italiano di tener conto di questi obblighi o doveri oggetto della
sentenza.

Tutto questo per dire che se da un lato c’è stata la raccomandazione inviata ai paesi e quindi
all’Italia dove si diceva che si dovevano ridurre il numero di detenuti, d’altro lato c’è stata una
sentenza fondamentale la cosiddetta sentenza Torregiani, la quale, con un comando (non
raccomandazione) entro un anno, emanerà la condanna dell’Italia al pagamento di una pena
pecuniaria per non aver rispettato questo dispositivo della sentenza della corte europea dei diritti
dell’uomo. La sentenza si chiama Torregiani in quanto quest’ultimo era il soggetto detenuto che
ricorreva alla corte europea lamentando un trattamento penitenziario in violazione del principio
di umanità e quindi l’insufficienza del sistema generale, determinava la lesione di un diritto
fondamentale della persona. Nonostante ciò non ci sono stati miglioramenti.

A cura di: Anna Cotugno e Aurora Spagnolo


A tal proposito è bene sottolineare l’importanza della figura dell’assistente sociale in quanto
all’esterno del carcere queste persone non sono controllate o vigilate da un Tribunale o da un
giudice che interviene soltanto per stabilire quelle che sono determinate soluzioni processuali,
ma il vero controllo sulla persona e con la persona viene svolto dall’assistente sociale.
L’assistente sociale rappresenta un esempio per queste persone e hanno il compito di instradarli
verso la presa di coscienza dei valori.

Quanto detto, porta a distinguere quello che è il trattamento penitenziario dal trattamento
rieducativo. Il trattamento penitenziario è strettamente legato alla fase carceraria
dell’esecuzione della pena ed è ineludibile, in quanto è un’imposizione; mentre il trattamento
rieducativo guarda all’obiettivo verso il quale si vuole arrivare, ma questo non succede sempre
in quanto alcune volte il condannato non vuole alcun trattamento rieducativo bensì preferisce
restare in carcere per tutta la durata della pena quindi ci troviamo di fronte all’esercizio di un
diritto.
Per capire bene che cos’è il trattamento rieducativo bisogna necessariamente partire dei principi
che dettano il percorso che il soggetto deve fare e gli strumenti e le finalità di questo trattamento.
Questi principi sono di carattere costituzionale in quanto sono insuperabili. Nonostante possono
mutare nel tempo al cambiamento della società, non possono essere superate.

Centrale è l’argomento che tocca la Corte Costituzionale sull’argomento del fine vita.
C’è questo scontro tra la Costituzione del 1948 ed un codice che prevede l’omicidio del
consenziente del 1930. Si tratta di una norma penale che nasce in un periodo antecedente ai
principi di carattere costituzionale in cui non si poneva il problema del fine vita; si è cominciato
a porre questo problema quando la scienza medica è andata talmente avanti che ha portato la
vita dell’uomo ad una durata superiore anche con parziali o piccole sofferenze ma anche con
grandi sofferenze e questo ha causato un grande problema di adattamento. Per questo motivo,
da alcuni, si sta provando a legiferare per equilibrare due questioni che sembrano antitetiche.

La Costituzione è divisa in parti. La prima parte è dedicata alle norme che sono assolutamente
immodificabili, la modifica delle quali romperebbe il patto costituzionale, cioè lo stato si
dissolverebbe perché si sarebbero dissolti i principi fondamentali che tengono insieme la
comunità di quello Stato e di quella Nazione. Infatti, le norme della prima parte si dicono
intangibili. Per intangibilità si intende: l’inderogabilità del violazione dei principi di solidarietà,
l’inviolabilità dei diritti fondamentali della persona, il fatto che la persona viene messa al centro
del sistema costituzionale, tutte queste cose rappresentano la base da cui partiranno le norme
successive.

Art.2 → “La repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia
nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità e richiede l’adempimento dei doveri
inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.”
Riconosce e garantire i diritti inviolabili dell’uomo, rafforza l’idea secondo la quale non solo si
riconosce ma si garantisce oltre ogni livello possibile l’inviolabilità dei diritti dell’uomo; infatti,
come si vedrà con la questione del sovraffollamento carcerario quest’obbligo costituzionale è

A cura di: Anna Cotugno e Aurora Spagnolo


venuto meno perché non sono stati garantiti i diritti inviolabili, che non possono essere mai
prevaricati neppure dallo stato in cui è inserita la persona, come ad esempio la dignità
personale.
La differenza tra questa norma è le altre è che qui è indicato l’uomo, inteso come essere umano,
altre volte è indicata la persona umana, è una specificazione molto importante perché prima
come persona veniva indicato anche lo stato in una sorta di agglomerato in cui era inserita
anche la persona, e per queste ragioni a quest’ultima lo stato concedeva il riconoscimento dei
diritti di quella specifica persona o del gruppo al quale apparteneva. Con il riconoscimento che
al centro c’è la persona e non più lo stato, è il primo carattere di scontro, di evidente
contraddizione che c’è tra l’impianto ideologico del c.c. del 1930 e l’impianto costituzionale del
1948, in questi diciotto anni è come se fossero passati secoli, in quanto lo stato non è più
sovraordinato alla persona ma subordinato.
Il secondo aspetto da evidenziare riguarda i doveri inderogabili di solidarietà politica, economica
e sociale. Ma la solidarietà per noi è un valore importantissimo per quello che riguarda l’offerta
rieducativa che lo stato deve apprestare alla persona. In questa legislazione così complessa
nata dopo la legge del 1975, vuole soprattutto riconoscere che lo stato offre solidarietà nel
momento in cui lo stato viola la norma penale, viene condannato, viene sottoposto a pena, ma
li si deve concedere una chance, che è anche di solidarietà. Probabilmente tutto quello che non
è stato capito e che ha spinto a commettere il reato dopo quest’offerta rieducativa si avrà la
comprensione di tutte quelle regole che non si possono più violare, e questo meccanismo di
offerta passa attraverso il dovere per costituzione di solidarietà umana. Non esistono carcerati
di serie A e carcerati di serie B e nei penitenziari di una volta la persona non veniva individuata
in quanto tale ma attraverso un numero (matricola), e questo è uno dei caratteri più evidenti del
principio di dignità della persona e allo stesso modo era una repulsione del principio di
solidarietà che invece bisognava offrire a queste persone. Perché era dominante l’idea che il
soggetto doveva essere allontanato dalla società, perché aveva violato il patto contrattuale che
legava le persone che facevano parte dello stato.

Art.13 → La libertà personale è inviolabile. (comma I)


Non è ammessa forma alcuna di detenzione, di ispezione o perquisizione personale, né
qualsiasi altra restrizione della libertà personale, se non per atto motivato dell’autorità giudiziaria
e nei soli casi e modi previsti dalla legge. In casi eccezionali di necessità ed urgenza, indicati
tassativamente dalla legge, l’autorità di pubblica sicurezza può adottare provvedimenti
provvisori, che devono essere comunicati entro quarantotto ore all’autorità giudiziaria e, se
questa non li convalida nelle successive quarantotto ore, si intendono revocati e restano privi di
ogni effetto. È punita ogni violenza fisica e morale sulle persone comunque sottoposte a
restrizioni di libertà.
La legge stabilisce i limiti massimi della carcerazione preventiva.
Questa norma al primo comma prevede quindi l’impossibilità di restringere la libertà di una
persona, immotivatamente. Perché motivatamente è possibile, e si tratta di una deroga messa
da quest’articolo nei casi di commissione di un reato; quando c’è un soggetto indagato e si
avverte l’esigenza da parte del giudice di limitare la sua libertà personale con le misure cautelari,

A cura di: Anna Cotugno e Aurora Spagnolo


in particolare quella in carcere, o anche gli arresti domiciliari. E tra le due misure cautelari esiste
un’enorme differenza;
Arresti domiciliari → forma di limitazione della libertà prima che il soggetto subisca il processo
(riguardano la fase della cautela)
Detenzione domiciliare → misure alternative alla detenzione che si applica dopo che il soggetto
è stato condannato (riguarda la fase dell’esecuzione della pena).
All’ultimo comma l’art. 13 stabilisce un limite, in quanto la carcerazione non può essere eterna.
Quindi, tutte le forme di carcerazione preventiva devono avere per legge un termine, che non lo
stabilisce un giudice.

Art.25 → Nessuno può essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge.
Nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto
commesso (comma II).
Nessuno può essere sottoposto a misure di sicurezza se non nei casi previsti dalla legge.
La regola di cui al secondo comma, viene definita principio di legalità costituzionale, rafforza il
principio di legalità contenuto all’art.1 del c.p., perché se all’art.1 è una disposizione contenuta
in una legge ordinaria, la disposizione nell’art.25 ne dà una dignità gerarchica superiore perché
appartiene ad un documento legislativo superiore a cui tutte le norme devono rifarsi. Questo
principio è assolutamente irrinunciabile.

Art.27 → La responsabilità penale è personale.


L’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva.
Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere
alla rieducazione del condannato.
Non è ammessa la pena di morte.
La rieducazione del condannato, quindi, non è solo un’opportunità, ma è un obbligo
costituzionale.

Quest’ultimo comma è posizionato dopo la rieducazione non in maniera casuale, bensì vi è una
logica di carattere normativo per cui la pena di morte non può essere ammessa in quanto, se
l’obbligo dello Stato è quello di rieducare il condannato, non è possibile educare una persona
che è morta. Ciò vuol dire che questa forma di pena é la più grave, ancora più che l’ergastolo,
perché alcune forme di ergastolo potrebbero portare alla rieducazione del condannato se questi,
nel corso di tutti gli anni, da prova in qualche modo di aderire ad un programma o un progetto
educativo, in questo modo anche l’ergastolano può essere ammesso ad una sorta di riduzione
della pena fino a trent’anni riacquistando la libertà con permessi. (Infatti si sta ripensando
all’ergastolo in modo tale da cambiare il fine pena mai con un fine pena possibile).

E’ importante sottolinare che il codice del 1930 nasceva in un periodo in cui c’era un’
impostazione ideologica dello Stato che vede al centro lo Stato stesso e la sua amministrazione
o addirittura la figura del re e del presidente del Consiglio dei Ministri mentre, assistiamo ad un
rovsciamento, nel momento in cui guardiamo alla costituzione del 1948.

A cura di: Anna Cotugno e Aurora Spagnolo


La connotazione di carattere politico-ideologico che c’è dietro, ha sicuramente un significato per
quanto riguarda l’organizzazione dei rapporti all’interno dello Stato e tra Stato e cittadini.
In realtà ci troviamo di fronte anche ad una sorta di incongruenza di determinate norme tra loro,
tra norme tradizionali e norme del codice penale; ad esempio negli anni 80 venne abrogato dalla
Corte Costituzionale il delitto di plagio che era figlio di un codice penale di un certo tipo ma in
realtà qui dobbiamo fare un discorso che riguarda non solo il contrasto di carattere ideologico
ma anche l’evoluzione legislativa.

Infatti, il codice del 1930 non è un codice che nasce senza costituzione, in quanto,
cronologicamente abbiamo due costituzioni diverse, cioè: lo statuto Albertino che risale al 1848
sotto il cui Governo entra in vigore il codice del 1930, perciò, da un punto di vista strettamente
normativo, la carta costituzionale è rappresentata dallo statuto Albertino che però non
prevedeva alcuna norma per il rispetto dei diritti del cittadino. Era un carta costituzionale ottriata
cioè concessa mentre la Carta Costituzionale Repubblicana, nasce dall’incontro della volontà di
tutti I cittadini che é espressa attraverso la commissione dei costituenti che rappresenta le
esigenze di tutti mentre, per lo statuto Albertino non era così perché era il re che regolava i suoi
affari e poi concedeva qualcosa al cittadino.

Quanto detto, si nota sin dalla prima norma che considera i cittadini come regnicoli, ossia
appartenenti al regno ma in realtà appartenenti al re cioè il rapporto che c’era tra la sovranità e
il cittadino era un rapporto di proprietà e possesso mentre per la Costituzione Repubblicana il
rapporto è rovesciato in quanto esiste lo Stato proprio perché esistono i cittadini.
Dunque, quel codice penale, nato secondo quei principi, si trasforma in qualche modo per
essere reinterpretato alla luce dei principi della Carta Costituzionale del 1948. È importante
sottolineare che la concezione della pena del codice del 1930 è completamente diversa dalla
concezione di pena o carcere che abbiamo oggi. Non è solo un qualcosa di ideologico ma si
tratta di un complesso normativo completamente diverso.

A cura di: Anna Cotugno e Aurora Spagnolo

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