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CAPITOLO I – L’ORDINAMENTO GIURIDICO Chiara Grillo

Paragrafo 1 “L’ordinamento giuridico.”


Ogni società non può vivere senza due elementi fondamentali:
• un insieme di regole che disciplinino i rapporti tra gli individui (ubi societas ibi ius)
• degli apparati che si occupino di farli osservare.
La società nasce per l’istinto naturale che porta l’uomo a cercare la cooperazione e l’aiuto
degli altri individui per il raggiungimento di obiettivi cui da solo non riuscirebbe ad arrivare.
Chiaramente non tutti gli aggregati umani possono essere definiti delle societas. Affinché
possano essere classificati come tali, devono rispettare tre condizioni:
1. che l’agire dei consociati sia disciplinato da regole di condotta, che indirizzino i
comportamenti degli stessi verso una pacifica convivenza e un ottimale cooperazione
per il raggiungimento di obiettivi comuni;
2. che tali regole di condotta siano stabilite e attuate da apparati ai quali il compito sia
affidato mediante precise regole di struttura;
3. che sia le regole di struttura sia le regole di condotta siano effettivamente osservate
(principio di effettività).
Ciò vuol dire che non tutte le regole di un sistema organizzativo vengono rispettate da tutti
in tutte le situazioni: alcune vengono trasgredite da singoli individui, altre vengono
modificate o interpretate diversamente con il passare del tempo, altre cadono in
desuetudine. Il principio di effettività indica quindi il limite entro il quale si può dire che un
sistema di regole disciplini una collettività: se ad un tratto quello stesso sistema di regole
non è più in grado di funzionare e quindi di far rispettare le norme si dice che la collettività
è sciolta, ossia quel dato sistema organizzativo non presiede più alla vita del gruppo, ma
viene uno nuovo. Quindi un ordinamento giuridico è tale nei momenti in cui vi sia
un’autorità capace di attuarlo, di far rispettare le regole. La legittimazione di tale autorità
in un sistema democratico avviene attraverso il consenso dei consociati. Il sistema di
regole attraverso le quali viene organizzata una determinata collettività viene detto
ordinamento giuridico. Tale denominazione mette subito in luce l’obiettivo di tale
fenomeno giuridico, ossia quello di ordinare la realtà sociale. In questo senso
l’ordinamento giuridico di una collettività costituisce il suo diritto oggettivo, come appunto
insieme di regole che disciplinano la vita sociale; distinto chiaramente al diritto
soggettivo, da intendersi come situazione giuridica appartenente ad un determinato
individuo.

Paragrafo 2 “L’ordinamento giuridico dello Stato e la pluralità degli ordinamenti


giuridici.”
Gli uomini danno vita ad organizzazioni di vario tipo tra le quali quella di importanza
preminente è la società politica, la quale ha come obiettivo l’ordine generale. In epoca
moderna si è verificato un fenomeno di espansione dei compiti pubblici, che ha portato
all’integrazione di quelli classici, come la sicurezza delle minacce esterne, con altri come
quello relativo alla creazione delle condizioni per lo sviluppo della persona, come
recita l’art. 3 della Costituzione, attraverso l’erogazione di servizi ma anche attraverso
intervento nella vita economica, sia attraverso la disciplina dell’iniziativa privata, la quale
come specificato al secondo comma dell’art. 42 della Costituzione “non può svolgersi in
contrasto con l’utilità sociale o in modo da arrecare danno alla sicurezza, alla libertà e la
dignità umana”, sia attraverso la gestione diretta o indiretta di determinate attività. La
stessa definizione dello Stato si identifica con una comunità di individui stanziata in un
determinato territorio, sul quale si dispiega la sovranità del dello Stato, e organizzata
secondo un assetto di regole, ossia l’ordinamento giuridico. Un ordinamento giuridico si
dice originario quando superiorem non reconoscit, ossia quando non necessita di
un’autorità che sia capace di attuarlo. Chiaramente nella prospettiva della pluralità degli
ordinamenti giuridici, è da prendere in considerazione la possibilità di soggezione di un
individuo a uno o più ordinamenti, com’è il caso di un cittadino italiano che si trova
all’estero e che quindi è sottoposto sia all’ordinamento del paese in cui si trova sia
all’ordinamento italiano.

Paragrafo 3 “Gli ordinamenti sovranazionali. L’Unione Europea.”


È importante analizzare anche il rapporto tra lo Stato italiano e l’Unione Europea. A questo
proposito è opportuno citare l’art. 10 della Costituzione, che enuncia il principio per cui
“l’ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale
generalmente riconosciute”. Il diritto internazionale è l’assetto di regole che disciplinano i
rapporti fra gli Stati e ha fonte:
1. consuetudinaria, ossia trae origine dalla prassi delle relazioni tra gli Stati che è
venuta affermandosi nel corso del tempo;
2. pattizia, ossia nasce da appositi accordi di carattere bilaterale o plurilaterale gli
Stati stringono tra loro e si impegnano a rispettare.
L’Italia anche parte di organizzazioni internazionali. L’art. 11 della Costituzione stabilisce
che l’Italia “consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità
necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace la giustizia tra le nazioni; promuove e
favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo”. Questo principio rende
dunque ammissibile la sottoposizione dello Stato a organizzazioni sovranazionali, di cui
regole vincolano l’operatività dello Stato stesso, con una conseguente limitazione alla
sovranità. Questa norma costituzionale fu pensata in particolare in vista della
partecipazione dell’Italia all’ONU, anche se poi è stata decisiva in particolare per l’accesso
all’Unione Europea: con il trattato di Roma del 1957, convenzione istitutiva della CEE,
l’entrata nella comunità ha comportato l’accettazione da parte dello Stato delle limitazioni
alla sovranità, sottoponendosi, in un numero sempre crescente di materie, alla volontà
della maggioranza degli Stati membri o degli organi dell’UE.
Il processo di integrazione europea, utile soprattutto per quanto riguarda l’ambito delle
fonti del diritto, in quanto gli atti degli organi comunitari hanno valore di fonte del diritto per
gli ordinamenti interni degli Stati, inizia con tre trattati:
• quello relativo alla Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio (CECA);
• il trattato di Roma del 1957, costitutivo della Comunità Economica Europea (CEE);
• quello relativo alla Comunità Europea per l’Energia Atomica (CEEA).
Questi erano soprattutto relativi alla creazione di un’area di libera circolazione delle merci
e alla coordinazione di alcune attività economiche. A partire da questi poi si è giunti ad un
aumento del numero degli Stati membri e soprattutto a una prevalenza delle decisioni
degli organi comunitari sugli stessi Stati membri. Con il Trattato di Maastricht del 1992
entrato in vigore poi nel 1993:
1. viene modificato il trattato di Roma;
2. viene introdotto il Trattato dell’Unione Europea, contenente i parametri economici
e le regole politiche per gli Stati che volevano avere accesso all’unione;
3. viene promossa una prima idea di Cittadinanza dell’Unione Europea
4. vengono poste le basi per un’unione monetaria ed economica.
Fu creata, però, una clausola detta dell’opt-out, attraverso la quale gli Stati che non
volessero sottostare ai vincoli dell’unione avrebbero potuto trattare la loro permanenza
al suo interno.
Ulteriori modifiche vennero poste dal trattato di Amsterdam e da quello di Nizza. In
occasione di quest’ultimo venne proclamata solennemente la carta di Nizza, ossia la
carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea. Non fu inclusa in quel trattato ma
entrò a far parte di quello che sarebbe dovuto essere il trattato istitutivo della
costituzione europea, il quale però non entrò mai in vigore a causa della mancata
ratifica da parte di tutti gli Stati membri.
E poi con il Trattato di Lisbona del 2007, entrato in vigore nel 2009, vennero apportate
ulteriori modifiche al trattato dell’unione europea e al trattato costitutivo della comunità
europea. In questa occasione viene attribuita alla carta di Nizza valore vincolante sia per
gli Stati membri sia per le istituzioni europee. Anche in questo caso alcuni Stati riuscirono
ad ottenere l’opt-out. La carta di Nizza non va confusa con la CEDU, che è un trattato
internazionale per la tutela dei diritti dell’uomo, il quale concede al singolo di invocare il
controllo giudiziario per il rispetto dei propri diritti. Alla CEDU non aderì formalmente
l’Unione Europea, a causa del difetto di legittimazione della partecipazione della stessa a
convenzioni internazionali concernente i diritti dell’uomo sulla base dei trattati. Da una
parte già nel trattato di Amsterdam in alcuni punti veniva ribadito il rispetto dei diritti
fondamentali garantiti dalla CEDU stessa; dall’altra la Corte di giustizia europea afferma
che i principi presenti nella CEDU erano da considerare quali componenti dell’ordinamento
comunitario.

Paragrafo 4 “La norma giuridica.”


L’ordinamento giuridico è costituito da un sistema di regola che disciplina la vita della
società organizzata in questione. Le regole che ne fanno parte vengono definite norme
giuridiche, in quanto parte di tale sistema organizzativo che identifica il diritto oggettivo di
quella specifica comunità (dunque giuridico da iuridicus, in quanto parte dello ius). La
giuridicità di tali norme è dovuta non tanto alla peculiarità del suo contenuto, quindi di ciò
che dispone, quanto al fatto che siano dotate di autorità, poiché in grado di essere
inserite nell’ordinamento giuridico ed essere rese suscettibili di vincolare tutti i consociati.
Questo avviene quando tali regole traggono origine da atti o fenomeni giuridici, che,
sempre secondo le regole di quell’ordinamento, sono idonee a porsi come fonti delle
norme o del diritto.
La norma giuridica si distingue da quella morale, anche qualora abbiano lo stesso
contenuto. La norma morale a differenza di quella giuridica è:
• assoluta, in quanto trae validità dal suo contenuto;
• autonoma, poiché obbliga soltanto l’individuo che decida spontaneamente di
adeguarvisi.
La regola giuridica, invece:
• non è autonoma, in quanto trae origine e validità da un altro atto, qualificato come
fonte di quella norma, dotato di autorità;
• è eteronoma, in quanto è imposta a un singolo da altri, da un’autorità esterna capace
di coercizione.
I fatti produttivi di norme giuridiche sono dette “fonti”. Di solito, la norma è espressione
della volontà di un organo preposto all’elaborazione delle regole che entrano a far parte
dell’ordinamento e viene inserita all’interno di un documento normativo (es. una legge).
Chiaramente è necessario non confondere:
1. il testo di una norma con il suo significato; l’individuazione del significato del testo è il
risultato di un’operazione di interpretazione sul testo medesimo;
2. il concetto di norma giuridica con quello di legge, in quanto mentre la norma giuridica
è prodotta, trai origine dalla legge, quest’ultima, come stabilito all’articolo uno delle
disposizioni sulla legge in generale, si identifica come fonte della norma giuridica, e
dunque e quell’atto o quel fenomeno normativo produttivo della norma stessa
elaborato dagli organi competenti come stabilito dagli articoli 70 e seguenti della
Costituzione.
Ovviamente oltre alla legge, vi sono altri tipi di fonti quindi altri tipi di fenomeni o atti
normativi in grado di produrre norme giuridiche, come le ordinanze e regolamenti, I
rapporti tra le quali è importante analizzare.

Paragrafo 5 “Diritto positivo e diritto naturale.”


L’insieme delle regole che costituiscono l’ordinamento giuridico di una determinata società
rappresenta il diritto positivo (ius in civitate positum).
Nel corso della storia dell’uomo, si è sempre pensato che vi fosse un “diritto naturale”:
talvolta inteso come matrice dei singoli diritti positivi, talvolta come un complesso di
principi universali ed eterni, talvolta identificato come legato alla “natura delle cose”, in cui
ogni legislatore troverebbe un limite invalicabile. Il richiamo al diritto naturale cerca di
soddisfare l’aspirazione ad ancorare diritto positivo ad un fondamento di valori
obiettivi, universali che eliminino il rischio di arbitrarietà collocato nella possibilità di
elevare a norma giuridica qualsiasi contenuto approvato da chi detiene il potere. Le
concezioni proprie del diritto naturale prendono piede soprattutto in quei periodi storici in
cui l’organizzazione della società, quindi l’ordinamento giuridico contrastava con i
sentimenti diffusi all’interno della collettività: basti pensare ai regimi totalitari in cui
venivano imposte regole che andavano a ledere i valori fondamentali della libertà e della
dignità umana, facendo sì che i consociati subissero tali regole, imposte con la forza
senza un’intima giustificazione morale e sociale. A sua volta però il diritto naturale non è
mai riuscito a trovare un fondamento stabile, in quanto il suo stesso contenuto è mutato
nel tempo: ad esempio nelle società antiche era ritenuta naturale e la condizione di
schiavitù di alcuni, cosa che adesso è divenuta inconcepibile. Chiaramente la
configurazione di un diritto naturale sovraordinato a quello positivo costituisce un forte
vincolo per il legislatore, che chiaramente deve tenere conto dei valori fondamentali
della collettività e del singolo.
Il concetto di diritto evoca anche quello di giustizia. Non a caso l’apparato di uffici preposto
all’esercizio del potere giurisdizionale è il ministero della giustizia. È indiscutibile che in
nessun ordinamento realizza davvero un sistema di rapporti che possa essere definito
come giusto. L’individuazione di ciò che è obiettivamente giusto infatti presupporrebbe la
capacità dell’uomo di spogliarsi delle sue passioni, dei suoi egoismi, quindi di tutto ciò che
concerne la sua soggettività, comprese le ideologie che sono comunque sempre
l’espressione di un punto di vista condizionato da specifiche aspirazioni e obiettivi.

Paragrafo 6 “La struttura della norma. La fattispecie.”


La norma è un enunciato prescrittivo che si articola:
o nella formulazione di una ipotesi di fatto,
o al cui verificarsi la norma ricollega una determinata conseguenza o effetto giuridico,
che può consistere:
a) nell’acquisto di un diritto, come nel caso dell’usucapione (art. 1158 c.c.),
b) nell’insorgenza di un’obbligazione, come nel caso del risarcimento per fatto illecito (art.
2043 c.c.),
c) nell’estinzione o modificazione di un diritto, come nel caso della dichiarazione di
remissione di debito (art.1236 c.c.),
d) nell’applicazione di una conseguenza afflittiva, come nel caso di omicidio per il quale il
codice penale prevede una reclusione non inferiore a 21 anni.
La norma si struttura dunque come un periodo ipotetico: se A, allora B.
“Se A” dunque la parte della norma che descrive l’evento che si intende regolare facendo
discendere da esso determinati effetti giuridici, si definisce fattispecie, dal latino species
facti. Distinguiamo la fattispecie astratta da quella concreta. La fattispecie astratta è il fatto
o complesso di fatti descritti ipoteticamente all’interno di una norma, dai quali scendono
determinate conseguenze giuridiche. La fattispecie concreta, invece, a differenza di quella
astratta, non è un modello di fatto, ma è un determinato fatto o complesso di fatti che si
sono realmente verificati cui la norma chiaramente ricollega determinati effetti giuridici.
Talvolta per la delineazione della fattispecie è necessaria la considerazione di più
enunciati normativi, i quali descrivono ciascuno un profilo o una componente della
fattispecie, che alla fine risulta idonea a produrre gli effetti giuridici previsti dalla norma
soltanto se tali aspetti vengono considerati nella loro complessità: ad esempio il furto è
descritto come il comportamento di chi si appropria della cosa mobile altrui, dunque
implica la conoscenza non solo della nozione giuridica di cosa mobile ma anche di quella
dell’altruità.
Occorre precisare che mentre l’indagine sulla fattispecie astratta si risolve in una pura
operazione intellettuale di interpretazione, quella relativa alla fattispecie concreta
consiste proprio nell’accertamento del fatto storico, da porre poi a confronto con
l’ipotesi astratta prevista e regolata dalla legge.
Distinguiamo anche la fattispecie semplice da quella complessa. La prima consiste in un
unico fatto, mentre la seconda in una pluralità di fatti giuridici. L’effetto ricollegato alla
norma di fattispecie complessa non si verifica se non quando si siano realizzati tutti i fatti
parte della pluralità che la compongono. In alcuni casi se la fattispecie si compone di una
serie di fatti che si succedono nel tempo, si possono verificare degli effetti prodromici o
preliminari prima che l’intera serie di fatti si sia completata. Un esempio tipico è costituito
dal contratto sottoposto a condizione sospensiva: la condizione sospensiva è quella dal
cui verificarsi viene fatta dipendere l'efficacia del contratto o di un patto (ad esempio
l'acquirente si impegna ad acquistare un appartamento solo se il Comune gli rilascerà il
permesso per ampliare un vano); gli effetti definitivi si producono a patto che la condizione
si sia verificata, ma prima di questo momento il soggetto è titolare di un’aspettativa che
riceve una certa protezione dall’ordinamento.

Paragrafo 7 “La sanzione.”


Secondo un’antica concezione di norme giuridiche si caratterizzerebbero:
o per il fatto di essere suscettibili di attuazione forzata, ossia la coercizione;
o per il fatto di prevedere, in caso di trasgressione, una sanzione, la cui minaccia
favorirebbe automaticamente l’osservanza spontanea della norma, attraverso una
sorta di coazione psicologica volta dissuadere dal tenere comportamenti antigiuridici.
Infatti spesso accanto a norme di condotta, dette norme primarie, vengono previste dal
legislatore le cosiddette norme sanzionatorie o secondarie, che costituirebbero una sorta
di risposta dell’ordinamento. Chiaramente la difesa dell’ordinamento non viene perseguita
soltanto attraverso misure restaurative di una situazione preesistente illegittimamente
violata, ma anche attraverso:
1. misure preventive, di vigilanza e di dissuasione;
2. norme che si limitano all’enunciazione di affermazioni di principio, come nel caso
dell’articolo 315 c.c. relativo al dovere dei figli di rispettare i genitori.
La presenza della sanzione in tutte le norme giuridiche è legata al fatto che l’ordinamento
di una società politica prevede sempre l’allestimento di un apparato coercitivo, che
assicuri, anche eventualmente con l’uso della violenza:
à la salvaguardia della collettività e degli interessi e i valori propri della stessa contro
minacce esterne o interne;
à l’applicazione delle conseguenze sanzionatorie previste dalle singole norme per una
loro eventuale violazione.
Anzi lo stato moderno rivendica per sé il monopolio dell’uso della forza, riservandone
l’esercizio ai suoi apparati e consentendolo ai privati soltanto in determinate circostanze
(come nel caso della legittima difesa).
La sanzione può operare in due modi:
1. in modo diretto, quindi realizzando materialmente la conseguenza sanzionatoria che
la legge prescrive;
2. in modo indiretto, avvalendosi di altri mezzi per ottenere l’osservanza della norma,
com’è il caso del cantante che Tizio scrittura rifiuta di esibirsià è chiaro che Tizio non
può costringerlo materialmente ad esibirsi ma può citarlo in giudizio, cercando di
ottenere dal giudice che il cantante sia condannato a risarcire i danni che ha subito per
effetto della sua inadempienza.

Paragrafo 8 “Caratteri della norma giuridica. Generalità e astrattezza. Il principio


costituzionale di eguaglianza.”
I caratteri essenziali della norma giuridica sono la generalità e l’astrattezza.
> Con il carattere della generalità si fa riferimento al fatto che la legge non deve essere
dettata per singoli individui bensì o per tutti i consociati oppure classi generiche di
soggetti, come ad esempio i commercianti, gli studenti universitari eccetera.
> Con il carattere dell’astrattezza invece si intende che la legge non deve essere dettata
per specifiche situazioni concrete, bensì per fattispecie astratte, ossia per situazioni
ipoteticamente descritte: la norma infatti allo scopo di regolare una serie indeterminata
di casi futuri ed eventuali ai quali si presta ad applicarsi.
Nonostante ciò, si ritengono ammissibili leggi che non detti no norme generali astratte, ma
contengano la disciplina di una certa situazione individualmente determinata, come nel
caso delle leggi-provvedimento, create per la costituzione o il cambiamento di un certo
ente pubblico.
Nella formulazione della norma giuridica è importantissimo il rispetto del “principio di
uguaglianza”, proclamato dall’art. 3 della Costituzione. Altrettanto rilevante è il criterio di
imparzialità, enunciato dall’art. 97 della Costituzione, ossia l’obbligo per i pubblici uffici di
applicare le leggi in modo eguale, senza differenziazioni di trattamento a favore o a danno
dei singoli interessati.
Il principio di uguaglianza si compone di due tipi di uguaglianza:
à la prima è l’uguaglianza formale (comma 1) e fa riferimento alla condizione di
uguaglianza davanti alla legge di tutti i cittadini, senza distinzione di sesso, razza,
lingua ecc.; nella norma si fa esplicito riferimento ai soli cittadini, ma la Corte
Costituzionale ha precisato che tale principio deve essere rispettato anche nei
confronti degli stranieri. Costituisce un vincolo soprattutto per il legislatore ordinario, e
opera in modo che l’individuazione dei soggetti cui ciascuna norma è destinata
avvenga in modo non arbitrario, quindi con criteri che l’hai evitino di trattare situazioni
omogenee in modo differenziato e viceversa. Il controllo del rispetto di tale principio è
compito della Corte Costituzionale, la quale può dichiarare illegittima una legge qualora
ravvisi nella sua formulazione una violazione di tale principio, sempre facendo in modo
che il suo giudizio si mantenga su un piano di valutazione della legittimità delle
soluzioni normative in conformità con il principio di uguaglianza, senza sconfinare in un
giudizio riguardante i criteri con cui legislatore decide discrezionalmente le soluzioni da
dare ai vari problemi in quanto questioni rimesse al potere legislativo;
à la seconda è l’uguaglianza sostanziale (comma 2) e consiste nell’indicazione
programmatica rivolta agli organi dello Stato sollecitati ad assumere misure, non solo
normative, ma anche amministrative e di politica economica e sociale, con lo scopo di
attenuare le differenze di fatto, quelle qui in concreto discriminano le condizioni di
vita dei singoli.

Paragrafo 9 “L’equità.”
Quando occorre risolvere una controversia concreta, il giudice è tenuto a decidere
applicando la norma precostituita, che identifica come riferibile al caso che sta
esaminando, attraverso quella che viene chiamata sussunzione, ossia l’operazione per la
quale il caso concreto viene ricondotto al caso generale. Soltanto in rari casi il giudice può
decidere senza applicare una specifica norma, dunque sulla base di criteri fondati sul:
§ contemperamento degli interessi contrapposti
§ la realizzazione di valori di giustizia condivisi dalla collettività.
Questo perché in alcuni casi l’applicazione della norma ad una determinata situazione può
dare luogo a conseguenze che urtano contro il sentimento di giustizia.
Dunque è opportuno introdurre il concetto di equità, che è stata definita come la giustizia
del caso singolo. Il ricorso all’equità come criterio decisionale è consentito soltanto in casi
eccezionali, in quanto l’ordinamento giuridico
1. ritenendo pericoloso affidarsi alla valutazione soggettiva dei singoli e
2. ritenendo che i singoli possono prevedere esattamente quali saranno le
conseguenze dei loro comportamenti,
Sacrifica spesso l’equità a favore della certezza del diritto. Quindi secondo l’art. 313 c.p.c.
Il giudice può discostarsi dalle norme del diritto qualora “la legge gli attribuisca il potere di
decidere secondo equità”: quindi nelle cause di minor valore, attribuite alla competenza
del giudice di pace, quindi nel caso in cui siano state le parti ad attribuire concordemente
al giudice il potere di decidere secondo equità (art.114 c.p.c.), sempre quando i diritti che
vengono fatti valere possono essere qualificati come disponibili.
Chiaramente anche nell’ipotesi in cui è ammesso ricorso all’equità, il giudice deve ispirarsi
alle concezioni accolte nell’ordinamento vigente e non può far prevalere quelle personali
quindi deve cercare di capire come si sarebbe comportato il legislatore se avesse potuto
prevedere quel caso.
L’equità come criterio decisorio va distinta dall’equità integrativa, che fa invece riferimento
ai casi in cui la legge prevede che il giudice integri ho dei termini secondo equità gli
elementi di una fattispecie O anche di un regolamento contrattuale predisposto dalle parti
(art. 1371 e 1374 c.c.)

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