PARTE I
ORDINAMENTO GIURIDICO
CAPITOLO 1
ORDINAMENTO GIURIDICO E REALTÀ SOCIALE
1. Società e diritto. L’esperienza giuridica. - L’espressione ubi societas ibi ius afferma che dove vi
è una società vi è il diritto. Il diritto si mostra quindi come carattere essenziale per regolare la vita
degli individui all'interno di una data società garantendo pace e ordine. Inoltre il diritto va ad
impedire che, in caso di contrasti, si venga a favorire l'individuo più potente (moralmente,
economicamente o fisicamente).
Il diritto è costituito da un'insieme di regole che prendono il nome di norme giuridiche con il fine di
porre una regolamentazione alla vita della società. Tuttavia considerare il diritto costituito
esclusivamente da norme potrebbe risultare sbagliato. Consideriamo infatti ciò che si desume dalla
vita familiare. All'interno di essa pulsano un complesso di valori, ideali, credi religiosi,
consuetudini, dettami ecc. Questo complesso di valori va ad arricchire la sfera giuridica.
2. Correlazioni del diritto con altre esperienze sociali. - L’esperienza giuridica è intrecciata con
altre esperienze sociali. Non dimentichiamoci della morale, che svolge un ruolo primario in ogni
individuo. Gli stessi precetti non uccidere, non rubare sono peccati per la visione cristiana e reati
per la visione giuridica. La dimensione morale si esaurisce nell'intimità della coscienza mentre la
visione giuridica si esaurisce attraverso l'attività dell'apparato giudiziario.
3. La valutazione giuridica della realtà materiale. - Il diritto può assumere una duplice
atteggiamento: quella di indifferenza, un determinato comportamento viene considerato indifferente
e quindi risulta irrilevante disciplinarlo e un atteggiamento di rilevanza. Un fenomeno viene
considerato rilevante quando un suo effetto viene sentito e quindi incide sulla società che pretende
dall'organo giuridico l'esigenza di prevedere quel dato fenomeno e regolarlo. L'esperienza giuridica
esprime regole sulle quali si fondano i rapporti tra i membri di una società o tra società estranee.
Risulta quindi essenziale ricercare un fondamento del diritto e di connesse regole per dargli
attuazione.
Per imporsi all'intera comunità il diritto ha bisogno della mediazione formale del comando. Più il
diritto si conforma al consenso popolare tanto più l'ordinamento è democratico, viceversa più se ne
discosta tanto più l'ordinamento risulta dispotico.
Il diritto può assumere due significati. Diritto in senso oggettivo, ossia l'insieme dei precetti
giuridici vigenti su cui si fondano i rapporti tra consociati o tra le diverse comunità, diritto in senso
soggettivo ossia il potere attribuito al privato di assumere un determinato comportamento per
realizzare un proprio interesse.
4. Ordinamento giuridico. - L’ordinamento giuridico è il complesso di regole vincolanti cui si dota
una comunità. Le singole norme non operano autonomamente ma sono innervate in un complesso
reticolo che le comprende tutte che è appunto l'ordinamento giuridico.
Elementi essenziali per l'ordinamento sono:
- l’effettività
- la completezza
7. I principali sistemi giuridici: civil law e common law. - Sono due i principali sistemi giuridici
ossia il civil law e common law.
• Il sistema di civil law è il modello ordinamentale dominante a livello mondiale. Si tratta di un
diritto di fonte legislativa. I giudici applicano il diritto a sua volta espresso dalla legge. I
precedenti giudiziari non sono vincolanti.
• Il sistema di Common law è un modello ordinamentale di matrice anglosassone. È un diritto a
formazione essenzialmente giudiziaria sviluppatosi attraverso i precedenti delle decisioni
giurisprudenziali. La giurisprudenza è la principale fonte del diritto. Vale la regola dello stare
decisis per cui il o precedente giudiziario risulta vincolante.
CAPITOLO 2
DIRITTO PRIVATO
2. Evoluzione medioevale ed età moderna. Il diritto privato negli stati moderni. - L’area del
diritto privato si configura e delimita in vario modo lungo il variegato svolgersi della esperienza
giuridica.
a) Esauritasi l'attualità dell'ordinamento romano, l'Europa Medievale, specie quella del XI sec. fu
caratterizzata dalla contemporanea esistenza di molteplici fonti. Da una parte il diritto romano
con il corpus iuris Civilis, da una parte il diritto della chiesa con il corpus iuris canonici, dall'altra
parte il diritto particolare dei regni e ancora il diritto feudale. Tale molteplicità di fonti tuttavia
non ostacolò il formarsi di un diritto comune.
b) È poi dal XIII secolo che, sviluppatosi ampiamente il commercio, dando valore alla ricchezza
immobiliare, al commercio e alla moneta si afferma uno ius mercatorum che si discosta dal
diritto romano, incentrato sulla difesa e sul diritto di proprietà privata, e dal diritto della chiesa.
La figura del mercante si impone ai proprietari terrieri e agli artigiani. La progressiva ascesa
della classe dei mercanti nella gestione del potere consente lo sviluppo di una lex mercatoria. I
mercanti si dotano di un autonoma giurisdizione. Si tratta di un diritto creato dai mercanti che
regola l'attività dei mercanti dove trovano spazio sopratutto le consuetudini. La dottrina
canonistica è quella romanistica si incontrano sul tema della bona fides.
c) Con la pace di Westfalia del 1648 si viene a determinare la nascita degli stati moderni che non
riconoscono alcuna autorità al di sopra di loro generando così la progressiva formazione di diritti
nazionali. L'esperienza mercantilistica, che si sviluppa ancora di più tra '600 e '700, diviene
fondamentale e porrà le basi per lo sviluppo capitalistico. In questo scenario lo Stato, si accorge
di quanto sia determinate tale sfera mercantilista e progressivamente tende ad assorbire
all'interno di se tutto quanto concerne le leggi di mercato. Così il diritto dei mercanti diviene
diritto di stato. L'introduzione della macchina nei processi produttivi innova il sistema
economico. Artigiani e contadini affluiscono progressivamente negli opifici cedendo non più
prodotti finiti ma una prestazione lavorativa. Nel processo di laicizzazione della società che
prende forma tra il '600 e il '700 il sapere giuridico viene attraversato da un forte filone di
pensiero. Si afferma in questo senso il giusnaturalismo razionale. Vi è un assoluta fiducia nella
ragione quale principio e fondamento di ogni regola. In un simile scenario si sviluppa la
rivoluzione liberale contro la stratificazione della società in classi di appartenenza che porterà in
seguito alla dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino nella quale, prendendo spunti dal
Bill of Right e dalla costituzione americana, vengono affermati i diritti naturali ed
imprescindibili dell'uomo come libertà, proprietà, uguaglianza ecc.
L'Illuminismo settecentesco forgerà poi le linee portanti dello stato moderno come stato di diritto
edificato sul l'idea di unità e libertà del soggetto, caratterizzato da principi come: divisione dei
poteri, principio di legalità uguaglianza formale dei cittadini davanti la legge. È il modello di
stato che giunge fino a noi come stato democratico. In tale scenario il diritto pubblico si
caratterizza come disciplina per l'organizzazione dello stato e dei rapporto tra lo stato e il
cittadino, mentre il diritto privato si pone come disciplina dei rapporti tra i privati. Diritto
pubblico e diritto privato esprimono diverse sfere di incidenza a seconda della natura degli
interessi.
3. Le codificazioni in senso moderno. Il codice civile francese (cod. nap.) e il codice civile del
1865. I codici di commercio. - Diritto privato è espressione della società civile: pertanto c’è il
bisogno di codificare per un diritto unitario.
Code Napoleon 1804: rapporti tra privati espressi con legge generale e astratta.
Codice civile del 1865: ruota intorno alla proprietà.
4. Il codice civile tedesco (B.G.B.). - Secondo l’uso delle pandette si elaborano principi generali
per governare l’evoluzione della società.
5. Il codice civile del 1942. - Muove dall’impianto del BGB e del codice del ’65: unifica norma
civilistica e quella commercialistica.
6. Le costituzioni degli Stati moderni. - Espressione di tale stagione è lo Statuto Albertino del
1848. Il principio guida è espresso dall’eguaglianza dei cittadini di fronte la legge in funzione
dell’unità del soggetto di diritto
7. La costituzione repubblicana. Il primato della persona umana. - Il diritto viene studiato come
scienza sociale (regola conflitti sociali).
10. Il diritto privato europeo. - Invade tutti i settori di diritti privato grazie alla sua forza
unificatrice.
11. La capacità di diritto privato della pubblica amministrazione. - Consiste nell’attitudine dell
stessa a essere titolare di diritti e doveri e di compiere atti giuridici; inoltre è riconosciuto alla p.a. il
potere di riesame del provvedimento amministrativo in autotutela della forma dell’annullamento o
revoca.
12. L’ambito attuale del diritto privato. - Nei giorni nostri diritto privato e pubblico si
differenziano anche in base alla tipologia di mezzi per il perseguimento degli interessi: interesse
particolare realizzabile solo tramite diritto privato. Diritto generale: realizzabile con entrambi i
diritti.
PARTE II
CATEGORIE GENERALI
CAPITOLO 1
SOGGETTO E PERSONA
1. Soggettività e personalità. - Il codice civile non offre la nozione di soggetto giuridico dandola
evidentemente per scontata. Più che altro i destinatari delle regole su cui si fonda l'ordinamento
sono le persone giuridiche e le persone fisiche. Il nostro ordinamento giuridico, come poi ogni altro,
individua i soggetti come titolari degli interessi presi in considerazione e disciplinati mediante le
regole finalizzate alla risoluzione dei relativi conflitti. Con la formula di soggetto giuridico si allude
ad un possibile punto di riferimento di rapporti giuridici, e quindi tale soggetto risulta titolare di
situazioni giuridiche soggettive. La nozione di soggetto giuridico è una nozione di carattere
puramente formale in quanto esclusivamente collegata alla potenziale titolarità di situazioni
giuridiche soggettive, con il riconoscimento da parte dell'ordinamento di quella attitudine ad essere
titolare di situazioni giuridiche soggettive che viene definita come capacità giuridica. Tuttavia non
sempre a tutti gli uomini viene riconosciuta la capacità di essere titolari di situazioni giuridiche
soggettive, relegando taluni addirittura al rango di mero oggetto di situazioni giuridiche altrui.
L'ordinamento ha esteso la capacità giuridica anche ad entità diverse dall'uomo. Ed è proprio in
questo senso che la dottrina si è preoccupata di elaborare la nozione di soggetto giuridico quale
categoria unitaria che comprende sia persone giuridiche sia persone fisiche. Persone fisiche
considerate senz'altro soggetti in quanto uomini, persone giuridiche considerate soggetti di diritto
solo in quanto riconosciute tali attraverso meccanismi specificamente predisposti dall'ordinamento.
2. Tipologia. - Sono considerati soggetti giuridici innanzitutto le persone fisiche. Il codice civile
non ha potuto fare altro che riconoscere ad ogni uomo la qualità di soggetto giuridico. Il
riconoscimento dell'uguale qualità di soggetto giuridico ad ogni uomo, in quanto considerato come
persona, centro di imputazione di situazioni giuridiche attive e passive, nell'impianto originario del
codice civile non evitava discriminazioni sul piano della capacità giuridica. In particolare oltre alle
discriminazioni rivolte contro la donna, l'ordinamento proponeva una discriminazione anche
riguardo la razza. L'art. 1 del codice civile del 1938 prevedeva che “limitazioni della capacità
giuridica derivanti dall'appartenenza a determinate razze sono stabilite da leggi speciali”. A
prescindere dall'abrogazione di tale previsione avvenuta nel 1944, qualsiasi discriminazione in tema
di capacità sarebbe destinata a trovare un insormontabile ostacolo nell'articolo. 3 della costituzione
che sancisce il principio di pari dignità sociale e della eguaglianza davanti alla legge senza
distinzione di sesso, razza, lingua, religione, opinione politica ecc.,
Una persona giuridica, in diritto, indica un ente (associazioni, fondazioni ecc) al quale
l'ordinamento giuridico attribuisce la capacità giuridica facendone così un soggetto di diritto. In
generale la capacità giuridica riconosciuta alla persona giuridica (personalità giuridica) è meno
estesa di quella riconosciuta all'essere umano in quanto soggetto di diritto, ossia alla persona fisica,
poiché la persona giuridica non può essere parte di quei rapporti giuridici che, per loro natura,
possono intercorrere solo tra persone fisiche (l'esempio tipico è rappresentato dai rapporti familiari).
3. Soggetto e status. - Gli ordinamenti essendo fondati sul principio di uguaglianza consentono di
guardare l'uomo nella veste di soggetto giuridico in una prospettiva unitaria, cioè che prescinde da
ogni considerazione relativa al suo stato o condizione sociale inteso nel senso di appartenenza a
classi, ceti o caste. Il superamento del senso di appartenenza a ceti, classi o caste è rappresentato dal
passaggio dalla vecchia alla nuova concezione di organizzazione della società. In tale passaggio
risulta fondamentale l'applicazione delle medesime regole a tutti i consociati, riconosciuti come
portatori di una identica capacità giuridica con uguali potenzialità quanto a titolarità di diritti ed
obblighi. Con il concetto di status non ci si riferisce più ad una qualità del soggetto ricollegato ad un
ceto o ad una casta di appartenenza, ma piuttosto ad una situazione giuridica soggettiva che indica
la posizione di un soggetto rispetto a determinati gruppi sociali organizzati.
Particolare importanza assumono, anche sotto un profilo storico, lo stato di cittadino (status
civitatis) e lo stato familiare (status familiae) del soggetto. Il primo fa riferimento al diritto pubblico
mentre il secondo al diritto privato per l'importanza sociale che l'ordinamento conferisce all'organo
famiglia. Bisogna comunque affermare che è lo stato a fissare rigidamente le condizioni e gli effetti
in ordine allo status del soggetto. Al di là degli status familiari, è possibile utilizzare il medesimo
concetto con riguardo alla posizione del soggetto quale membri di gruppi organizzati come,
associazioni o società (associato o socio).
Dove manchi un gruppo organizzato piuttosto che status si può parlare principalmente delle qualità
del soggetto. Si pensi a qualità collegate ad attività svolte abitualmente dal soggetto come ad
esempio l'imprenditore, lavoratore subordinato, consumatore, cliente o utente.
CAPITOLO 2
BENI GIURIDICI
1. Cosa, bene e oggetto di diritti. - Secondo l'art. 810 sono beni le cose che possono formare
oggetto di diritti. Con il termine bene indichiamo una entità in grado di provocare un utilità al
soggetto. Il bene in ragione dell'utilitas può provocare attitudine a soddisfare interessi considerati
rilevanti così da farne possibile oggetto di diritti. Una cosa per essere considerata bene deve essere
suscettibile di appropriazione e di utilizzo, deve possedere cioè un valore. Una cosa ha valore
quando esiste in qualità limitata ed è suscettibile di appropriazione. I beni sono formati oltre che da
cose materiali anche da res incorporales (beni di naturala patrimoniale o secondo l'art 814 le energie
naturali). Non sono definite beni le cose incommerciabili. Un discorso particolare va fatto per le
parti separate del corpo umano. Solo per alcune di esse vige una condizione di libera disponibilità e
di circolazione come ad esempio i capelli. Per altre parti si ha una situazione di massima
incommerciabilità e di una limitata disponibilità senza mai la possibilità di trarne lucro. Non si
considerano beni poi le cose comuni a tutti in quanto essendo liberamente disponibili a tutti in
natura e essendo illimitate il loro godimento non può essere fonte di conflitti e di interessi. Esempi
sono l'aria o l'acqua del mare. Tuttavia l'intervento dell'uomo può determinare un valore economico
dando così luogo all'esistenza di un bene anche per il diritto. Si pensi allo sfruttamento
dell'atmosfera come luogo di propagazione delle onde radioelettriche da reputare beni mobili ai
sensi dell'articolo 814. Sono da considerare beni le cose che al momento non costituiscono oggetto
di diritti ma sono suscettibili di diventarlo attraverso la relativa appropriazione, si tratta delle cose di
nessuno come i pesci e le case abbandonate intenzionalmente dal proprietario a differenza di quelle
smarrite trattate diversamente dal legislatore.
2. Beni immobili e beni mobili. - Il codice civile vigente ha conservato la tradizionale distinzione
tra beni immobili e beni mobili. L'art. 812 individua i beni immobili, mentre beni mobili sono
considerati tutti gli altri beni. Per l'art. 812 sono beni immobili il suolo, le sorgenti, i corsi d'acqua,
gli alberi, gli edifici e in genere tutto ciò che naturalmente o artificialmente è incorporato al suolo.
Sono reputati beni immobili ai sensi dell'articolo 812 i mulini, i bagni e gli altri edifici galleggianti
a condizione che siano saldamente assicurati alla riva o all'alveo. I beni mobili vengono reputati in
via residuale in quanto a tale categoria appartengono tutti i beni non considerati tra quelli immobili.
Le energie naturali, aventi valore economico, sono considerate beni mobili. La categoria dei beni
mobili inoltre comprende il denaro, le azioni di società, le obbligazioni e i titoli di credito.
3. Distinzioni ulteriori. - Relativa alle cose si propongono altre distinzioni. La prima è relativa a
quella tra cose generiche e cose specifiche. Si definiscono cose generiche le cose che vengono prese
in considerazione per la loro appartenenza ad un genere (copia di un libro). Cose specifiche sono
invece le cose considerate per la loro individualità (copia di un libro firmato dall'autore).
Cose fungibili sono tutte quelle considerate a peso, numero e misura (esempio e il prodotto
industriale interscambiabile). Significativo è il prestito che a seconda della fungibilità è mutuo o
comodato. Cose infungibili, quando non possono essere sostituite con cose appartenenti allo stesso
genere. Ad esempio, un libro appena edito è certamente fungibile, ma se è una rara copia di un libro
non più stampato, o se è, ad esempio, una copia con dedica dell’autore, non è più sostituibile, quindi
diventa un bene infungibile.
Cose consumabili e cose inconsumabili. Sono consumabili le cose cui la loro utilizzazione normale
ne comporta la distruzione quale entità (alimenti). Inconsumabili quelle che si presentano a una
utilizzazione normale ripetuta nel tempo.
Cose divisibili e indivisibili. La divisibilità sussiste quando la cosa può essere divisa in parti
omogenee. Cose indivisibili, cioè cose che non possono essere divise senza che perdano la loro
utilità (es.: un cavallo da corsa), o per volontà delle parti o per legge.
La distinzione tra cose produttive e non produttive dipende dall'attitudine della cosa alla produzione
di frutti.
Infine si hanno i beni di consumo a tutela del consumatore.
4. Il danaro. - Il danaro è inquadrato nella categoria dei beni. Viene qualificato come cosa mobile,
generica, fungibile, consumabile e divisibile.
5. Rapporti di connessione tra le cose. Le pertinenze. - Le cose, oltre che nella loro individualità,
possono presentarsi unite o in rapporto tra loro.
Quindi le cose possono ulteriormente dividersi in:
a) cose semplici: cioè le cose dotate di una propria autonoma utilità (un tavolo, un animale);
b) cose composte: formate da più cose semplici, che perdono nella composizione la loro autonomia.
Le cose che compongono la cosa composta, pur essendo separabili, sono tra di loro in un
rapporto di complementarità economica (un paio di occhiali è formato da più cose semplici e
separabili, lenti, montatura, viti, ma la separazione delle cose fa venir meno la funzione cui gli
occhiali sono destinati).
c) cose connesse: cioè quando più cose, mantenendo una loro individualità materiale, sono poste
però in relazione tra loro, in modo tale che è distinguibile una cosa principale ed una accessoria,
legata alla cosa principale da un vincolo di dipendenza. Sono ipotesi di connessione di cose
l’incorporazione, cioè la compenetrazione materiale o artificiale di una cosa all’altra, e la
pertinenza.
Per l'art. 817 pertinenza è la cosa mobile o immobile destinata in modo durevole a servizio o
ornamento di un’altra cosa, che normalmente è immobile. Il rapporto di pertinenza può
intercorrere tra cose mobili (cornice e quadro), tra cose mobili e cose immobili (antenna
televisiva ed edificio) tra cose immobili (la cantina rispetto all'appartamento). Essenziale perché
sorga il rapporto di pertinenza è la destinazione, la quale può essere effettuata esclusivamente dal
proprietario della cosa principale. Perché si abbia la costituzione del rapporto occorre che il
proprietario della cosa principale sia tale anche della cosa accessoria.
Affinché sussista un rapporto di pertinenza tra due beni sono necessari due presupposti:
- Oggettivo: che consiste nel rapporto di servizio ad ornamento rispetto la cosa principale;
- Soggettivo: la volontà da parte del proprietario o titolare di destinare la cosa al servizio od
ornamento della cosa principale.
Un volta costituito il rapporto, la pertinenza segue la sorte della cosa principale. Se ad esempio si
vende la cosa principale si intende venduta la pertinenza a meno che le parti non abbiano
convenuto diversamente art 818.
È possibile costituire rapporti diversi per pertinenza. Posso dunque concedere l'uso del garage
annesso alla mia casa o venderlo.
Il vincolo di pertinenza cessa quando viene meno l'elemento oggettivo e soggettivo, ad esempio
quando la cosa è stata venduta o è perita.
6. Le universalità. - Per universalità di beni mobili si intende, secondo l'articolo 816 del Codice
civile italiano, la pluralità di cose che appartengono alla stessa persona e che hanno una
destinazione unitaria (es. un gregge, una pinacoteca, una biblioteca). Tre sono gli elementi necessari
perché si possa parlare di universalità: una pluralità di cose mobili, una destinazione unitaria intesa
come funzione comune e l'appartenenza delle cose al medesimo soggetto. La destinazione unitaria
non fa comunque perdere l'autonomia alle cose che formano la universalità le quali potranno quindi
essere oggetto, separatamente l'una dall'altra, di singoli atti. Quando l'universalità nasce per volere
del proprietario (ad es. di chi ha raccolto i libri), si parla di universalità di fatto. Invece quando
l'universalità è stabilita dal legislatore si parla di universalità di diritto, ad es. l'azienda è definita
come universalità di beni dalla legge, in quanto una pluralità di beni è destinata al medesimo scopo
(catene di montaggio).
8. Frutti. - Tra i beni il codice civile disciplina i frutti distinguendoli in frutti naturali e frutti civili.
Sono considerati frutti naturali quelli che provengono dalla cosa direttamente con o senza
l'intervento dell'uomo. I frutti naturali seguono la stessa sorte della cosa fruttifera fino alla
separazione, ne fanno parte fino a tal momento che segna il momento dell'acquisto da parte
dell'avente diritto. È possibile disporre di essi prima della separazione come cose mobili future, con
applicazione per la relativa vendita, dell'art 1472 relativo alla vendita di cose future. La separazione,
ossia il distacco dalla cosa madre, determina una autonoma identità giuridica dei frutti facendo
sorgere su di essi un diritto di proprietà. Tale proprietà spetta al proprietario della cosa fruttifera,
salvo che spetti ad altri soggetti quale effetto di un diritto di godimento vantato relativamente alla
cosa madre. Vale il principio per cui chi fa proprio i frutti deve, entro il limite del relativo valore,
rimborsare colui che ha fatto spese per la produzione e il raccolto. Per i frutti civili si intendono
quelli che si ritraggono dalla cosa come corrispettivo di godimento che ne sia attribuito ad altri
(interessi capitali, rendite vitalizie, corrispettivo delle locazioni). Anche i frutti civili come i frutti
naturali spettano al proprietario della cosa fruttifera ovvero a chi abbia un diritto di godimento sulla
cosa medesima.
9. Patrimonio. - Il patrimonio viene inteso come l'insieme delle situazioni giuridiche di rilevanza
economica di cui il soggetto è titolare. Ne restano esclusi i diritti di natura non patrimoniale. Esso
finché la persona è vivente non viene considerato dell'ordinamento come possibile oggetto di
situazioni giuridiche. L'art. 2740 intitolato alla responsabilità patrimoniale indica che ciascuno
risponde dell'adempimento delle proprie obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri.
Ogni soggetto ha un solo patrimonio ma esistono dei patrimoni di destinazione che danno vita a
patrimoni separati attenuando la responsabilità patrimoniale. Esempi significativi di tale fenomeno
sono offerti dalla destinazione di beni che avviene con la costituzione del fondo patrimoniale, con
conseguente trattamento differenziato dei creditori, dai fondi speciali per la previdenza e l'assistenza
e dalla possibile costituzione, da parte di una società per azioni, di patrimoni destinati ad uno
specifico affare.
10. Beni pubblici. - Il codice civile non ha mancato di delineare anche la particolare condizione
giuridica dei beni appartenenti allo stato ed agli enti pubblici. Taluni beni fanno parte del demanio
pubblico in quanto non è ammessa l'appartenenza ai privati. I beni pubblici demaniali naturali sono:
spiagge, porti, laghi, fiumi, torrenti, opere di difesa nazionale. I beni pubblici demaniali artificiali
sono: strade, aerodromi, immobili di interesse storico, archeologico e artistico ecc.
I beni demaniali sono inalienabili e possono formare oggetti di diritti di terzi solo nei modi e nei
limiti stabiliti dalle leggi che li riguardano. Per i beni non necessariamente demaniali è ammessa la
cosiddetta sdemanializzazione. Tale procedimento avviene attraverso procedure particolari. I beni
appartenenti allo stato e agli altri enti territoriali non compresi tra quelli considerati demaniali fanno
parte del relativo patrimonio. Bisogna fare una distinzione per quanto riguarda i beni patrimoniali
indisponibili. Di quello dello stato fanno parte i beni indicati dal l'articolo 826 (miniere, cave,
torbiere, case di interesse storico, archeologico, artistico, caserme, aereo mobili militari, armamenti
ecc). Di quello dello stato o dell'ente pubblico territoriale fanno parte gli edifici pubblici con tutti i
relativi arredi. I beni che fanno parte del patrimonio indisponibile sono comunque vincolati alla loro
destinazione e non possono essere ad essa sottratti se non nei modi stabiliti dalla legge. Per i beni
dello stato e degli enti pubblici territoriali che non fanno parte del patrimonio indisponibile opera
invece la disciplina dettata in generale dal codice civile per i diversi tipi di beni.
CAPITOLO 3
RAPPORTO GIURIDICO E SITUAZIONI GIURIDICHE SOGGETTIVE
2. Diritto soggettivo. - Nel codice civile la situazione giuridica soggettiva favorevole (attiva)
riconosciuta ad un soggetto in relazione ad un bene è identificata con il termine di diritto. Si parla di
diritto, inteso in senso soggettivo, ogni volta che viene garantito al soggetto, da parte
dell'ordinamento la realizzazione del suo interesse.
Alla conformazione del contenuto del diritto concorrono facoltà, poteri, limiti ed obblighi.
4. Abuso del diritto. - Con la formula abuso del diritto si tende ad indicare un limite esterno
all'esercizio, potenzialmente pieno ed assoluto, del diritto soggettivo, il cui riconoscimento, come si
insegna, implica l'attribuzione al soggetto di una duplice posizione, di libertà e di forza.
Come può evincersi dalla radice etimologica del termine (ab-usi), si ha abuso nel caso di uso
anormale del diritto, che conduca il comportamento del singolo (nel caso concreto) fuori della sfera
del diritto soggettivo esercitato, per il fatto di porsi in contrasto con gli scopi etici e sociali per cui il
diritto stesso viene riconosciuto e protetto dall'ordinamento giuridico positivo. Un siffatto
comportamento abusivo costituisce, quindi, un illecito (a seconda dei casi aquiliano o contrattuale,
se trattasi, rispettivamente, di diritto reale o di credito), sanzionato secondo le norme generali di
diritto in materia.
Nel nostro codice non esiste una norma che sanzioni in via generale l'abuso del diritto. La cultura
giuridica degli anni 30 riteneva che l'abuso del diritto, più che essere una nozione giuridica, fosse
un concetto di natura etico-morale, con la conseguenza che colui che ne abusava veniva considerato
meritevole di biasimo, ma non di sanzione giuridica.
5. Tipologia dei diritti soggettivi. - La categoria del diritto soggettivo rappresenta il risultato dello
sforzo tendente ad una ricostruzione in chiave unitaria delle situazioni in cui l'ordinamento
garantisce al soggetto piena e diretta tutela del suo interesse relativamente a un bene.
I diritti soggettivi possono essere di natura molto diversa tra loro. Distinguiamo così tre categorie
fondamentali di diritti soggettivi:
a) Una prima fondamentale distinzione è tra diritti patrimoniali e diritti non patrimoniali. Carattere
patrimoniale hanno il diritto di proprietà e i diritti di credito, non patrimoniale i diritti della
personalità e i diritti familiari.
b) Una seconda distinzione è tra diritti assoluti e diritti relativi. La distinzione si basa sul diverso
modo in cui la posizione del soggetto, titolare del diritto attivo, si correla con la posizione di chi
(titolare del rapporto passivo) col suo comportamento deve consentire la realizzazione
dell'interesse che l'ordinamento ha reputato meritevole di tutela, collocandolo in una posizione
sovraordinata. I diritti assoluti si caratterizzano per il fatto che si possono far valere nei confronti
di tutti. Per la loro realizzazione non è necessaria la collaborazione di altri soggetti. Tipico diritto
assoluto è il diritto di proprietà. Il proprietario per realizzare il proprio diritto infatti non ha
bisogno dell'aiuto di altre persone che devono solo limitarsi a non turbarlo nel suo godimento.
Da un lato abbiamo il diritto, dall'altra parte, cioè dal lato passivo, un generico dovere di
astensione carico di tutti i consociati. Per quanto riguarda il diritto relativo esso si fa valere solo
nei confronti di soggetti determinati. Si distinguono da quelli assoluti anche perché per la loro
realizzazione è necessaria la collaborazione di altri soggetti. Il creditore avrà nei confronti del
debitore una pretesa, il debitore invece dovrà adempire ad un obbligo.
c) Una terza distinzione si ha in campo patrimoniale dove si ha una distinzione tra diritti reali e
diritti di credito. La caratteristica dei diritti reali è quella di attribuire al titolare un potere
immediato sulla cosa, consentendogli di realizzare immediatamente il suo interesse attraverso
l'esercizio delle facoltà e dei poteri conferiti dall'ordinamento rispetto alla cosa stessa. Tale
realizzazione non necessita di mediazione. I diritti di credito si caratterizzano per la pretesa che il
creditore ha nei confronti di uno o più soggetti determinati a che questi tengono uno specifico
comportamento positivo o negativo suscettibile di valutazione economica. In questo caso si parla
di mediatezza.
6. Diritto potestativo. - L’essenza del diritto potestativo è da ricercare nel potere riconosciuto al
soggetto di incidere su situazioni giuridiche, costituendole, modificandole o estinguendole, con una
propria manifestazione unilaterale di volontà. Abbiamo quindi da una parte una situazione di potere,
mentre dall'altra (lato passivo del rapporto) una posizione di soggezione del soggetto passivo, che si
trova nella condizione di essere costretto a subire gli effetti giuridici derivanti dall'esercizio del
diritto potestativo. Un esempio del diritto potestativo possiamo trovarlo nell'ipotesi di diritto di
prelazione conferito dalla legge, diritto di riscatto del venditore in caso di vendita con patto di
riscatto, diritto di recesso unilaterale attribuito ad una delle due parti, ecc. In tutti questi casi l'effetto
è la manifestazione unilaterale di volontà restando la controparte semplicemente assoggettata. Altra
ipotesi di diritto potestativo viene individuata nel potere riconosciuto a ciascuno dei partecipanti di
domandare lo scioglimento della comunione di un bene. Se un bene è di proprietà di più soggetti,
cioè in comunione, ognuno di loro potrà chiedere la divisione del suddetto bene senza che gli altri
possano fare nulla per impedirlo.
7. Potestà. - Il potere conferito nel diritto potestativo può essere usato per realizzare interessi altrui,
in tal caso la situazione giuridica prende il nome di potestà. Un potere del genere può essere
conferito dallo stesso titolare degli interessi in gioco al rappresentante incaricato di concludere un
contratto destinato a produrre effetti direttamente nel patrimonio del titolare. I casi di maggiore
interesse sono però quelli in cui è la legge conferire un tale potere. Esempi significativi di una
simile situazione dell'utilizzo della potestà sono quelli che fanno riferimento alla tutela e alla
responsabilità genitoriale. L'attribuzione del potere nell'interesse altrui non si presenta libero, ma
vincolato alla realizzazione dell'interesse in vista della cui realizzazione è attribuito. Ciò comporta
l'evidente esigenza di provvedere a forme di controllo dell'esercizio del potere. Nell'ipotesi di
rappresentanza diretta il rappresentato può chiedere l'annullamento contro tutti gli atti abusivi del
l'esercizio di rappresentanza come il caso di contratto concluso dal rappresentate in conflitto di
interessi con il rappresentato e in caso di contratto concluso dal rappresentate con se stesso.
L'esercizio dei poteri connessi alla potestà viene ad assumere, di conseguenza, per il soggetto cui
essa è attribuita, un carattere di vera e propria doverosità. Del tutto coerente allora si presta la
previsione della possibile rimozione del soggetto dalla titolarità della potestà, nel caso in cui venga
esercitata in maniera tale da recare pregiudizio nei confronti di altri soggetto. Esemplare si presenta
in tale prospettiva l'articolato controllo sulla responsabilità genitoriale, fino alla possibile pronuncia
della decadenza di essa.
10. Interessi collettivi e diffusi. - Carattere comune delle situazioni giuridiche considerate è quello
di tutelare l'interesse del soggetto, conferendogli una posizione di vantaggio rispetto ad un bene.
Nell'evoluzione dell'ordinamento crescente attenzione è stata rivolta agli interessi facenti capo al
soggetto in quanto appartenente ad una determinata collettività, in quanti membro di una comunità.
La tutela degli interessi collettivi ha trovato meno difficoltà dato che trova il suo naturale punto di
riferimento nell'attribuzione del potere di agire per la relativa salvaguardia degli enti di struttura
tipicamente associativa.
A differenza dall'interesse collettivo, gli interessi diffusi sono comuni a individui di una formazione
sociale non organizzata e non individuabile autonomamente. Esempi di interesse diffuso possono
essere la tutela dell'ambiente e la tutela del consumatore.
11. Onere. - Tale termine viene impiegato per indicare sia la posizione del soggetto passivo del
rapporto ed anche per alludere ad una diversa situazione ossia quella in cui il soggetto sia tenuto ad
un certo comportamento, non al fine di realizzare un interesse altrui ma con il fine di realizzare un
interesse proprio. Il sacrificio di un proprio interesse è imposto per soddisfarne un altro sempre
proprio. Tale figura viene qualificata con il termine di onere. Esempio in proposito è l'onere della
prova. Ai sensi dell'articolo. 2697 “chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che
ne costituiscono il fondamento”. L'attività probatoria, anche se la legge utilizza il termine “deve”
non è oggetto di obbligo, ma per il soggetto in questione è una necessità in quanto in mancanza di
essa non riuscirà a far valere il proprio diritto in giudizio.
CAPITOLO 4
FATTI GIURIDICI
EFFETTI, VICENDE E CIRCOLAZIONE
2. Fatti ed effetti giuridici. - In un quadro così delineato poniamo una distinzione tra fatti ed effetti
giuridici.
• I fatti giuridici sono accadimenti della realtà materiale rilevanti per l'ordinamento giuridico
che producono effetti nel mondo naturale e nel mondo giuridico. Affinché un fatto venga
considerato rilevante è necessario che venga preso in considerazione dall'ordinamento e sia
connesso a tale fatto la produzione di un effetto giuridico. Quando ciò avviene il fatto riveste
la qualifica di fattispecie. I fatti giuridici sono positivi quando rileva giuridicamente il
comportamento attivo del soggetto che compie l'azione. Sono considerati negativi quando
rileva giuridicamente il comportamento passivo del soggetto.
• L'effetto giuridico è la nascita, la modificazione o l'estinzione di un rapporto giuridico in
3. La struttura dei fatti giuridici. - Per quanto riguarda la struttura dei fatti giuridici è possibile
distinguere tre tipi di fattispecie:
• Fattispecie semplice, occorre un unico accadimento per produrre un effetto giuridico.
di un immobile per usucapione da chi non è proprietario. Per verificarsi l'acquisto per
usucapione devono concorrere più fatti: possesso continuo, pubblico e pacifico, l'atto di
acquisto, la buona fede dell'acquirente, la trascrizione dell'atto e il decorso di dieci anni dalla
trascrizione.
• Fattispecie a formazione progressiva. Si ha tale fattispecie quando più fatti sono previsti
5. Segue. Atti giuridici. - Sono atti giuridici i fatti umani compiuti consapevolmente da una
persona capace cui l'ordinamento ricollega ad effetti giuridici. È possibile distinguere gli atti
giuridici in base al compimento, contenuto e valutazione.
a) In relazione al compimento gli atti giuridici si presentano sotto due fondamentali modelli: di
dichiarazione e di contegno. 1)Il primo modello è caratterizzato dalla dichiarazione nel senso che
l'atto esprime i propri effetti attraverso la parola, lo scritto o altri segnali. Gli atti dichiarativi a
loro volta si suddividono in atti recettizi e atti non recettizi. Gli atti recettizi producono effetti nel
momento in cui pervengono a conoscenza del destinatario. Nel nostro ordinamento opera il
principio della recezione temperato da una presunzione di coscienza fissata dall'art. 1334 per cui
la proposta, l'accettazione, la revoca e qualsiasi altra dichiarazione diretta ad una determinata
persona si reputano conosciute al momento in cui giungono all'indirizzo del destinatario, se
questi non prova di essere stato, senza colpa, nell'impossibilità di averne notizia. Sono atti non
recettizi quelli che non sono destinati a terzi e pertanto producono effetto in virtù della mera
redazione. 2) Il secondo modello è caratterizzato dal contegno nel senso che l'atto pur non
contenendo una compiuta determinazione volitiva presenta indici della stessa dai quali è
possibile ricostruirla.
b) In relazione ai contenuti gli atti giuridici si distinguono in due fondamentali categorie, gli atti
giuridici in senso stretto e negozi giuridici. 1) Gli atti giuridici in senso stretto sono fatti
dell'uomo per i quali assume rilevanza la mera volontarietà della materia dell'atto. La
volontarietà è connessa alla struttura e non alla funzione dell'atto e cioè al risultato perseguito. 2)
I negozi giuridici sono mezzi di esplicazione dell'autonomia privata. Strutturalmente sono
manifestazioni di volontà rivolte ad uno scopo pratico tutelato dall'ordinamento. Rilevano
giuridicamente non solo la volontà e la consapevolezza del comportamento ma anche l'intento
perseguito e cioè il risultato voluto dal soggetto. C'è volontà e consapevolezza degli effetti.
Tipico esempio è il contratto art. 1321.
c) In relazione alla valutazione distinguiamo poi atti leciti e atti illeciti a seconda della conformità o
meno all'ordinamento giuridico. 1) Gli atti leciti sono voluti dal l'agente e conformi
all'ordinamento giuridico. 2) Gli atti illeciti sono atti che sono in contrasto con l'ordinamento
giuridico.
6. Attività. - L’attività esprime la coordinazione di più fatti e atti preordinati svolti verso il
conseguimento di uno scopo unitario.
La circolazione dei diritti pone come problema giuridico fondamentale quello del titolo di acquisto.
Distinguiamo i titoli di acquisto in due grandi categorie: a titolo derivato e a titolo originario.
1) Gli acquisti a titolo derivato stabiliscono che un soggetto avente causa acquista il diritto del
precedente titolare dante causa. Gli acquisiti possono intervenire per atto tra vivi o a causa
di morte. L'acquisto a titolo derivativo si distingue in: acquisto derivativo traslativo e
acquisto derivativo costitutivo.
Si ha l'acquisto derivativo traslativo quando il diritto acquistato è lo stesso che era in capo
al dante causa che quindi lo perde. Si ha acquisto derivativo costitutivo quando il diritto
acquistato non esisteva nella realtà giuridica ma promana dal diritto dell'alienante
comportandone una restrizione.
2) Gli acquisti a titolo originario: realizzano l'acquisto di un diritto nuovo indipendentemente
dal rapporto con l'originario titolare. L'usucapione costituisce il modo più diffuso di
acquisto a titolo originario
8. Funzione del tempo. Computo dei termini. - Ogni fenomeno giuridico incide nella realtà
temporale e spaziale. Tempo e spazio esprimono le modalità di svolgimento dei fatti giuridici
influenzando la determinazione delle vicende giuridiche e la stessa vita delle situazioni giuridiche.
Il tempo può essere rilevato nel suo correre e perciò riguardo alla sua durata o può essere rilevato
nel momento e perciò come data. Ad esempio in un contratto di locazione, il tempo fissa il termine
di efficacia del contratto e segna il termine di scadenza del pagamento del canone. Per l'essenza le
rilevanza della dimensione temporale la legge dedica una specifica normativa al computo dei
termini. La legge colloca la disciplina del computo dei termini nel capo dedicato alla prescrizione
(artt. 2962 e 2963).
9. La prescrizione. - L’art. 2105 del cod. civ. abrogato, considerava la prescrizione come un mezzo
con cui, col decorso del tempo e sotto determinate condizioni, taluno acquista un diritto o è liberato
da una obbligazione. Era un sistema orientato all'osservazione della titolarità del diritto, per cui la
prescrizione, rivolta ad assicurare la stabilità dei rapporti, si fondava sulla presunzione che il
proprietario e il creditore che per lungo tempo non avevano esercitato i propri diritti avessero inteso
di abbandonarli.
Per l'art. 2934 ogni diritto si estingue per prescrizione quando il titolare non lo esercita per il tempo
determinato dalla legge. La prescrizione quindi si atteggia come generale modo di estinzione dei
diritti. Sono imprescrittibili i diritti indisponibili e gli altri diritti indicati dalla legge. Tra i diritti
indisponibili ricordiamo i diritti della personalità e quelli connessi agli stati e alle potestà familiari.
La disciplina della prescrizione è di ordine pubblico nel senso che non è derogabile da privati. È
nullo ogni patto diretto a modificare la disciplina legale della prescrizione art. 2936. La prescrizione
non è rilevabile d'ufficio dal giudice ma deve essere opposta e cioè rimessa alla valutazione del
soggetto interessato se avvalersi o meno della prescrizione. Si può rinunziare alla prescrizione solo
quando essa è compiuta. La rinunzia può essere espressa o tacita e cioè risultare da un fatto
incompatibile con la volontà di valersi della prescrizione. È invece vietata la rinunzia preventiva
alla prescrizione o intervenuta durante il decorso del termine di prescrizione con il fine di evitare
abusi di una parte a danno dell'altra. Quanto alla decorrenza del termine prescrizionale, principio
fondamentale è che la prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto
valere art. 2935, non opera quando il mancato esercizio è giustificato. Molto spesso è la legge stessa
a specificare il giorno dal quale decorre il termine della prescrizione. Quanto alla durata la regola
generale è che i diritti si estinguono per prescrizione con il decorso di dieci anni salvi nei casi in cui
la legge dispone diversamente. Sono molte le ipotesi per le quali è previsto un termine diverso di
prescrizione: talvolta più lungo ad esempio i diritti reali di godimento su cosa altrui si prescrivono
in venti anni o più breve dando luogo a prescrizioni brevi come il risarcimento del danno che si
prescrive in cinque anni.
10. Segue. Sospensione e interruzione. - Durante il decorso del tempo possono determinarsi due
tipi di vicende che incidono sulla operatività della prescrizione ossia la sospensione e la
interruzione.
- Si ha sospensione della prescrizione quando il mancato esercizio del diritto è dalla legge
giustificato in considerazione di specifiche circostanze che impediscono o anche solo ostacolano
l'esercizio del diritto. All'occorrenza la legge prevede due categorie di fattispecie. La prima
categoria di ragioni giustificative è inerente alla relazione giuridica che lega il titolare del diritto
con il soggetto passivo art. 2941. Ad esempio la prescrizione rimane sospesa tra il debitore che ha
dolosamente occultato l'esistenza del debito e il creditore finché il dolo non sia stato scoperto. La
seconda categoria di fattispecie giustificativa riguarda la condizione del titolare del diritto art.
2942. Ad esempio la prescrizione rimane sospesa contro minori ed interdetti per il tempo in cui
non hanno rappresentante legale e per sei mesi successivi alla nomina del medesimo o alla
cessazione dell’incapacità.
- Si ha interruzione della prescrizione quando il diritto è esercitato. In tale ipotesi vi è cessazione
dell'inerzia. L'eccezione è rilevabile d'ufficio dal giudice. Regola generale è che la prescrizione è
interrotta dalla notificazione dell'atto con il quale si inizia un giudizio o dell'atto di accesso
arbitrale. Per effetto della interruzione inizia un nuovo periodo di prescrizione.
11. Le prescrizioni presuntive. - La legge presume che alcuni rapporti obbligatori siano
usualmente estinti in un breve lasso di tempo e senza formalità (rilascio di ricevute) perciò le
prescrizioni presuntive sono tutte brevi. Per regola generale il creditore che chiede l'adempimento
dell'obbligazione è tenuto alla sola allegazione del credito, è onere del debitore provare
l'adempimento o altra causa di estinzione del debito. La prescrizione presuntiva solleva il debitore
dall'onere di tale prova. Non è tenuto cioè a provare l'adempimento essendo lo stesso presunto dalla
legge dopo il decorso di un determinato periodo di tempo. In ogni caso si tratta di una presunzione
semplice di estinzione che ammette la prova contraria. La prova è però circoscritta al solo
giuramento. Se il debitore giurando il falso, dichiara che l'obbligazione è stata adempiuta o in altro
modo estinta, il diritto si considera estinto, ma se non c'è stata estinzione incorre nel reato di falso
giuramento, per avere come parte in giudizio civile giurato il falso (art 371 c.p.).
12. La decadenza. - La legge mira a garantire che un diritto sia oggettivamente esercitato entro un
dato termine. Il decorso del tempo pertanto a differenza della prescrizione rileva non come durata
del comportamento di inerzia nell'esercizio del diritto ma nella sola prospettiva della scadenza del
termine entro il quale il titolare del diritto avrebbe dovuto esercitarlo, scaduto il termine il diritto si
perde. La decadenza non può essere rilevata di ufficio dal giudice con la conseguenza che per la sua
operatività deve essere eccepita dalla parte. Può essere rilevata d'ufficio dal giudice, quando trattasi
di materia sottratta alla disponibilità delle parti, il giudice debba rilevare le cause d'improponibilità
dell'azione. C'è nella legge una disciplina differenziata a seconda che la decadenza inserisca a diritto
disponibili o indisponibili dai privati. Se la decadenza inerisce ai diritti disponibili l'operatività della
decadenza è rimessa alla iniziativa del soggetto interessato che ha l'onore di eccepirla. Se la
decadenza inerisce a diritti indisponibili le parti non possono modificare la disciplina legale della
decadenza, ne possono rinunziare alla decadenza medesima. Il giudice può rilevare la decadenza
come causa di improponibilità dell'azione.
1. Autonomia privata e i suoi limiti. - L’espressione autonomia privata indica il potere dei privati
di darsi autonomamente regole. L'esercizio dell'autonomia deve risultare compatibile con i doveri di
solidarietà sociale. L'autonomia privata è espressione delle libertà fondamentali ed è in grado di
procurare il massimo benessere economico collettivo. Sia nella costituzione sia nell'ordinamento
comunitario non c'è un espresso e formale riconoscimento dell'autonomia negoziale, ma la sua
rilevanza giuridica deriva da dati testuali che necessariamente la implicano. Nella carta
costituzionale fondamentali risultano gli art. 2,41,42,47 che sottendono al riconoscimento
dell'autonomia privata. In particolare l'art.2 riconosce e garantisce l'autonomia privata, collettiva e
individuale come espressione della libertà fondamentale limitandone l'esercizio con il rispetto dei
doveri di solidarietà. Anche il diritto comunitario prevedendo un mercato caratterizzato
dall'eliminazione degli ostacoli alla libera circolazione di merci, persone, capitali e servizi, implica
il necessario riconoscimento dell'autonomia privata quale strumento di realizzazione di tali
obbiettivi. Neppure il codice civile contiene una espressa formalizzazione dell'autonomia privata
ma la previsione dell'autonomia contrattuale con il testamento e altri negozi unilaterali ne implicano
il riconoscimento.
Le considerazioni appena fatte fanno emergere alcuni essenziali criteri come:
- L’autonomia negoziale rimane espressione di libertà e perciò non può essere funzionale ad un
interesse generale ma deve risultare ad esso compatibile.
- Riguardo alla forma i negozi devono avere requisiti di validità previsti dalla legge per garantire
una valida espressione della volontà negoziale.
- Principio di indipendenza della sfera giuridica individuale per cui solo con la propria volontà si
può modificare la propria sfera giuridica, non si può incidere con la propria volontà in una sfera
giuridica altrui contro la volontà del titolare.
6. Soggetti e parte del negozio. La legittimazione. - Gli atti dei negozi giuridici provengono da
soggetti che sono autori dell'atto, che devono avere capacità di agire e capacità giuridica. È inoltre
necessario che i soggetti abbiano la competenza ad incidere sugli interessi regolati e dunque rispetto
al rapporto dedotto nel negozio, la cosiddetta legittimazione.
Per quanto riguarda la parte essa esprime il centro di interessi cui si riferisce l'atto che può
riguardare uno o più soggetti.
1. Iniziativa economica. Impresa e società. Non c'è nella legge una esplicita nozione di iniziativa
economica. Il concetto di iniziativa economica è sinergico con quello di impresa. Il codice civile
contiene la definizione di imprenditore e non di impresa per essere l'imprenditore il soggetto che
svolge l'attività economica. Per l'art. 2082 è imprenditore colui che esercita professionalmente
un'attività economica organizzata ai fini della produzione o dello scambio di beni e servizi. Non è
necessario che l'imprenditore sia proprietario dei mezzi di produzione ma che se ne assicuri la
disponibilità e la loro utilizzazione. Mediante i contratti l'imprenditore si procura i mezzi di
produzione, attinge a finanziamenti, si approvvigiona delle risorse necessarie, stringe rapporti di
lavoro con la mano d'opera e piazza i prodotti sul mercato. L'imprenditore dirige il processo
produttivo, è capo dell'impresa e da lui dipendono gerarchicamente i suoi collaboratori. Gli ulteriori
caratteri dell'art. 2082 stabiliscono che un attività economica si definisce imprenditoriale solamente
se colui che la esercita si prefigga di ricavare dalla stessa, sia che produca sia che scambi beni e
servizi, un profitto personale. Inoltre deve essere un'attività esercitata professionalmente e cioè con
abitualità, seppure non continuativamente. Infine l'attività dell'impresa può essere rivolta alla
produzione di nuovi prodotti o allo scambio degli stessi. Uno specifico statuto è riservato alle
imprese di maggiori dimensioni e cioè le imprese commerciali. Per tali imprese si prevede
l'iscrizione dell'imprenditore nel registro per le imprese la tenuta dei registri contabili e la
soggezione a fallimento. Non sono soggetti a tale statuto i piccoli imprenditori e gli imprenditori
agricoli.
L'impresa può essere esercitata in forma individuale o in forma collettiva, in quest'ultimo caso si
parla di società. Per l'art. 2247 con il contratto di società due o più persone conferiscono beni o
servizi per l'esercizio in comune di un'attività economica allo scopo di dividersi gli utili. I
conferimenti in danaro o di natura economica suscettibili di valutazione economica vanno a formare
il patrimonio della società o cosiddetto fondo sociale. L'attività economica deve essere rivolta ad
uno scopo produttivo al fine del conseguimento di utili e cioè di profitto per i soci. Le società che
hanno come oggetto l'esercizio di un'attività commerciale devono costituirsi secondo:
- Accomandata semplice
- Società a responsabilità limitata
- Società per azioni
- Società in accomandata per azioni
Tali società sono di diritto imprese commerciali e perciò soggette al relativo statuto. Le società che
hanno per oggetto l'esercizio di un'attività diversa sono regolate da disposizioni sulla società
semplice. Le società di cui precedentemente si è detto sono società lucrative dove il vantaggio viene
perseguito direttamente dalla società che poi viene distribuito ai soci. Diversamente si atteggiano le
società mutualistiche. Tali società forniscono beni, servizi o occasioni di lavoro direttamente ai
membri dell'organizzazione a condizioni più vantaggiose di quelle che i soci otterrebbero sul
mercato. Tra queste assumono una particolare rilevanza le società cooperative e le mutue
assicurazioni.
2. Buona fede soggettiva (affidamento). - La buona fede esprime l'ispirazione alla realizzazione di
una convivenza civile cementata da un vincolo di lealtà tra i vari soggetti. Distinguiamo due tipi di
buona fede: buona fede soggettiva e buona fede oggettiva.
La buona fede soggettiva esprime uno stato soggettivo di ignoranza della realtà giuridica. In
particolare la legge tutela la situazione soggettiva del soggetto che senza colpa ignora l'esigenza di
un fatto o di un diritto o al contrario considera esistente un diritto che in realtà non esiste (c.d.
affidamento incolpevole).
Perciò la legge tutela non la negligente ignoranza ma solo lo stato psicologico dell'affidamento
senza colpa. Inoltre la tutela della buona fede non può mai condurre alla disapplicazione di regole
giuridiche. Le regole fondamentali sulla buona fede soggettiva sono dettate con riguardo al possesso
di buona fede. La norma innanzitutto qualifica possessore di buona fede chi possiede un diritto
ignorando di ledere un diritto altrui. Dalla stessa norma si ricavano poi due principi ossia la buona
fede non giova se l'ignoranza dipende da colpa grave, la buona fede è presunta al tempo
dell'acquisto. I principi trovano generale applicazione salvo norme contrarie.
4. Buona fede oggettiva (lealtà e correttezza). - A differenza della buona fede soggettiva che
esprime uno stato soggettivo, la buona fede oggettiva indica un dovere di comportamento e più
precisamente il dovere di comportarsi con lealtà e correttezza. Si ha un dovere in senso negativo di
non gabellare gli altri con la menzogna e la reticenza sia un dovere positivo di comportamento
collaborativo verso gli altri. Tale principio trova una specifica previsione in tema di contratti e
obbligazioni per il vincolo che si determina tra le parti del contratto e in via generale tra i soggetti
del rapporto obbligatorio. Già nella formazione dell'accordo e durante le trattative le parti sono
obbligate a comportarsi secondo la buona fede. Inoltre il contratto deve essere interpretato in buona
fede ed eseguito in buona fede. Il dovere di buona fede però si distingue dal dovere di diligenza
nell'adempimento dell'obbligazione. Quest'ultimo allude al dovere della parte di comportarsi senza
colpa è cioè in generale di non incorrere in imprudenza o imperizia o in negligenza. I due doveri
non sono né antitetici ne incompatibili ma esprimono solo due prospettive di osservazione del
generale dovere di collaborazione cui deve informarsi il comportamento di ciascuno nelle relazioni
giuridiche.
6. Persona e solidarietà. - Nella prospettiva di tutela della persona umana la buona fede è di
recente evoluta nel principio di solidarietà, quale generale valore di rilevanza costituzionale che
attraversa ormai l'intero diritto privato, inteso come disciplina delle relazioni tra soggetti. Negli
articoli 2 e 3 cost. è raffigurata una solidarietà sociale che non è solo politica o economica ma
aperta allo sviluppo della persona umana. Affiora una costituzionalizzazione del principio di buona
fede, e dunque dei doveri di lealtà e correttezza in cui si articola, derivando dalla norma
costituzionale forza normativa e ampiezza di contenuto che si specificano di volta in volta in
ragione della peculiarità del rapporto. L'obbligo di solidarietà così si appunta in capo ad ogni
situazione giuridica soggettiva. Così in materia contrattuale il principio di buona fede si colloca
come dovere in capo a ciascun contraente di non essere menzognero e reticente ma di compiere
quanto è necessario alla salvaguardia dell'interesse della controparte nei limiti di un sacrificio
sostenibile. Più in generale la solidarietà si atteggia come criterio fondamentale di civiltà e
convivenza umana è linfa essenziale di coesione sociale.
PARTE IV
SOGGETTI
CAPITOLO 1
PERSONA FISICA
2. Acquisto della capacità giuridica. Il concepito. - L’art. 1 del c.c indica che l'acquisto della
capacità giuridica avviene con la nascita. Contrariamente al passato non è richiesto, ai fini
dell'acquisto della capacità giuridica, il requisito della vitalità ovvero l'idoneità alla sopravvivenza,
ma è sufficiente che il neonato sia nato vivo anche solo per un istante. Parte della dottrina, in
relazione alla situazione del concepito, pur riconoscendo che manchi attualmente una capacità
giuridica generale, accenna ad una capacità giuridica parziale di carattere anticipato o provvisorio.
Tuttavia prevale la tesi secondo cui il concepito risulta privo della capacità giuridica, che si acquista
solo al momento della nascita. Per il periodo anteriore alla nascita vi sarebbe una situazione di
attesa e l'ordinamento si limiterebbe a predisporre una tutela anticipata dei diritti che questi
potrebbe acquistare al momento della nascita. Come già si è detto ai fini dell'acquisto della capacità
giuridica è necessario che il soggetto nasca vivo. Per la nascita decisivo risulta l'accertamento della
respirazione. L'ordinamento, come già si è detto, prevede una forma di tutela anticipata dei diritti
che questi potrebbe acquistare al momento della nascita, come il diritto ad essere risarcito per chi
abbia subito danni a livello fetale.
3. Fine della persona. - Si osservato come l'acquisto della capacità giuridica avvenga con la nascita
del soggetto vivo. Non meno importante risulta quindi la cessazione della capacità giuridica che
avviene con la morte. Sopratutto le esigenze legate ai trapianti di organi hanno indotto il legislatore
a precisare il momento in cui il soggetto deve essere considerato morto a tutti gli effetti. Per la legge
578/1993 la morte si identifica con la cessazione irreversibile di tutte le funzioni dell'encefalo. Il
concetto legale di morte coincide con quello di morte cerebrale. Il venir meno della capacità
giuridica comporta l'impossibilità di riferire al defunto situazioni giuridiche. Con la morte della
persona, situazioni giuridiche si estinguono (in quanto intrasmissibili) e un numero consistente di
rapporti giuridici trova una nuova configurazione soggettiva. Di qui l'interesse della determinazione
precisa della morte. Tale interesse assume peculiare rilevanza nella situazione prevista dall'art.4 che
regola l'ipotesi di commemorienza. Si parla di commemorienza quando un effetto giuridico dipende
dalla sopravvivenza di una persona a un'altra e non consti quale di esse sia morte prima, tutte si
considerano morte nello stesso momento. Con una finzione, cioè nonostante l'evento morte dei
diversi soggetti possa essersi verificato in momenti cronologicamente non coincidenti,
l'ordinamento giuridico considera come se i medesimi soggetti fossero morti nello stesso istante. Un
esempio può essere: nel medesimo incidente muoiano due coniugi e non consti quale dei due sia
morto per primo, i genitori dell'uno o dell'altro avrebbero interesse a dimostrare la sopravvivenza
del proprio figlio rispetto al coniuge, dal momento che il suo asse ereditario risulterebbe accresciuto
dei diritti spettantigli in quanto coniuge superstite. L'art.4 per evitare ogni incertezza pone appunto
la presunzione legale di non sopravvivenza.
5. Localizzazione della persona. - Per l'applicazione delle norme giuridiche è necessario stabilire
una relazione tra il soggetto e una sua ubicazione. Particolare importanza assume il luogo della
nascita dato che è presso il comune in cui essa è avvenuta che viene formato l'atto di nascita.
Dall'atto di nascita è possibile evincere le principali vicende esistenziali del soggetto idonee ad
incidere sul suo status.
Sono considerare rilevanti le distinzioni tra dimora, residenza e domicilio.
Per dimora si intende il luogo in cui il soggetto si trova, anche solo temporaneamente, a
soggiornare.
La residenza è il luogo in cui la persona ha la propria dimora abituale. Ai fini della fissazione della
residenza si ritiene che debba ricorrere un elemento oggettivo ossia la stabile permanenza nel luogo
e un elemento soggettivo ossia l'intenzione di fissare la propria dimora in quel luogo. Il luogo di
residenza risulta rilevante sopratutto per i rapporti di natura personale es. luogo dove deve essere
richiesta la pubblicazione in vista del matrimonio. La residenza determina la competenza territoriale
degli organi giurisdizionali, nonché il luogo dove deve avvenire la notifica degli atti giudiziari.
Il domicilio è il luogo in cui la persona ha stabilito la sede principale dei suoi affari e dei suoi
interessi. Anche per il domicilio vi deve concorrere un elemento soggettivo ossia l'intenzione di
concentrare in un luogo i propri affari e interessi. Dal domicilio volontario si distingue il domicilio
legale stabilito dalla legge in relazione a certe categorie di soggetti: il minore ha il luogo di
residenza della famiglia o quello del tutore, l'interdetto ha il domicilio del tutore. L'art.44 pone una
ipotesi di trasferimento del domicilio, qualora una persona che abbia nel medesimo luogo il
domicilio e la residenza trasferisca quest'ultima altrove. Per le persone giuridiche vale quale criterio
di localizzazione quello della sede.
B) CAPACITÀ DI AGIRE
6. Capacità di agire. - Per capacità di agire si intende l'attitudine a compiere atti idonei ad incidere
sulla propria sfera giuridica. Ai sensi dell'articolo 2 la capacità di agire si acquista con la maggiore
età, vale a dire al compimento del diciottesimo anno. La fissazione di un criterio presuntivo per la
valutazione dell'attitudine del soggetto a regolare i propri interessi rappresenta una necessità per lo
svolgimento di relazioni giuridiche. L'ordinamento non manca di assicurare un adeguata tutela degli
interessi del soggetto, prevedendo l'incidenza di sue peculiari condizioni personali sulla valutazione
di tale attitudine, quali in particolare le condizioni psichiche e fisiche con conseguente riduzione o
addirittura perdita della capacità di agire. Si tratta delle ipotesi di incapacità legale di agire in
conseguenza di un provvedimento giudiziale e l'incapacità di intendere o di volere stato in cui il
soggetto viene a trovarsi. Carattere sanzionatorio ha la limitazione della capacità di agire in
dipendenza di gravi condanne penali.
La differenza con la capacità giuridica è evidente. Mentre chi è dotato di capacità giuridica può
essere titolare di situazioni giuridiche soggettive, il soggetto capace di agire può altresì validamente
compiere atti giuridici idonei a produrre modificazioni nella sfera delle proprie situazioni
soggettive. Così mentre con la nascita il soggetto ha la capacità di essere titolare della proprietà di
beni, con il conseguimento della capacità di agire lo stesso soggetto può con propri atti acquistare,
vendere, dare in garanzia, ecc., i beni di cui risulta proprietario.
7. Minore. - Fissando alla maggiore età l'acquisto della capacità di agire, il minore si trova in una
situazione in incapacità di agire generale. Numerose sono le disposizioni che riconoscono al minore
la capacità di compiere atti idonei ad incidere sulla sua sfera giuridica, sia pure al di fuori dell'area
dei rapporti di natura più strettamente patrimoniale. Il tutto è legato alla sua maturazione, è più
precisamente alla sua capacità di discernimento. L'autonomia del minore circa le scelte di carattere
personale e l'esercizio dei diritti fondamentali, che non si ritiene possa essere esclusa in presenza di
una maturità adeguata, trova ormai ampio riconoscimento anche a livello internazionale. Può essere
ascoltata l'opinione del minore capace di discernimento, può prestare attività lavorativa dai 15 anni,
può compiere tutti gli atti ove è richiesta solo la capacità di intendere e di volere. Il minore deve
essere tutelato e assistito fino al raggiungimento della maggiore età art.30 cost.
8. Responsabilità genitoriale. - Alla luce di una simile esigenza di protezione dell'interesse del
minore il legislatore ha dettato un articolata disciplina della responsabilità genitoriale. La
responsabilità genitoriale, il cui esercizio è disciplinato dagli articoli 316 ss., si ricollega alla
nozione di potestà, intesa quale situazione giuridica soggettiva complessa attribuita
dall'ordinamento in vista della tutela degli interessi altrui reputati meritevoli di tutela. In
considerazione della rilevanza dell'interesse protetto la responsabilità genitoriale viene definita
come un potere-dovere. Essa è esercitata in comune accordo da entrambi i genitori.
Dettagliata risulta la disciplina del profilo patrimoniale della responsabilità genitoriale art.320.
Questa si stanzia nella rappresentanza del minore e nell'amministrazione dei beni del medesimo. I
genitori che esercitano la responsabilità genitoriale hanno la rappresentanza legale del minore
(permettono al soggetto incapace di operare nel mondo dei traffici giuridici). I genitori compiono in
nome e per conto del minore gli atti idonei ad incidere sulla sfera giuridica patrimoniale, così
permettendo di attuare la modificazione delle sue situazioni giuridiche soggettive. I genitori in
modo congiunto rappresentano i figli in tutti gli atti civili e ne amministrano i beni. L'attività di
amministrazione dei beni comprende non solo tutti gli atti necessari alla conservazione del
patrimonio, ma anche quelli tesi alla sua valorizzazione. In base alla rilevanza dell'atto distinguiamo
gli atti di ordinaria amministrazione e gli atti eccedenti l'ordinaria amministrazione. Un atto si
reputa eccedente l'ordinaria amministrazione allorché comporti una modifica nella struttura del
patrimonio. L'atto di ordinaria amministrazione non incide sulla sostanza del patrimonio non
comportando nessuna modificazione nella sua composizione. Gli atti di ordinaria amministrazione
possono essere compiuti disgiuntamente da ciascun genitore, mentre per i secondi la valutazione
non viene rimessa solo ai genitori ma anche al giudice tutelare che valuterà la necessità o utilità
dell'atto. I genitori non possono compiere atti personalissimi come donazione e testamento per
conto del minore. Nel caso di conflitto di interessi tra figli soggetti alla stessa responsabilità
genitoriale, o tra essi e i genitori interviene l'ultimo comma dell'art.320 che prevede la nomina di un
curatore speciale, che rappresenterà il minore nel compimento dell'atto.
Un curatore speciale può essere nominato anche quando i genitori non possono o non vogliono
compiere atti eccedenti l'ordinaria amministrazione. Art.(321.). Gli atti compiuti senza osservare le
regole previste dal legislatore sono annullabili come ad esempio l'atto con cui i genitori abbiano
venduto un bene del figlio senza la necessaria autorizzazione del giudice tutelare. L'azione di
annullamento dell'atto può essere esercitata dai genitori esercenti la responsabilità genitoriale, dal
figlio, nonché dai suoi eredi o aventi causa. L'azione di annullamento si prescrive in 5 anni dal
giorno in cui il minore ha raggiunto la maggiore età. Nel caso di decesso del minore in data
anteriore al raggiungimento della maggiore età il termine di prescrizione decorre dal giorno della
morte del minore stesso. I genitori che esercitano la responsabilità genitoriale sul minore hanno in
comune l'usufrutto legale sui beni del minore. I frutti percepiti dai beni del minore devono essere
destinati al mantenimento della famiglia ed all'istruzione ed educazione dei figli. La responsabilità
genitoriale cessa con il raggiungimento della maggiore età del minore o con la sua emancipazione.
A seguito un controllo dell'autorità giudiziaria può essere pronunciata la decadenza della
responsabilità genitoriale prevedendo poi l'allontanamento del figlio o del coniuge. I provvedimenti
adottati sono sempre revocabili art. 333. Se i genitori conducono una cattiva amministrazione dei
beni del figlio, il tribunale può stabilire condizioni o addirittura può rimuovere da essa uno o
entrambi i genitori, nominando un curatore, privandoli in tutto o in parte dell'usufrutto legale. Art.
334. Il processo di controllo dell'attività del genitore può essere attivato dall'altro genitore, dai
parenti, o dal P.M. La vigilanza dell'osservanza delle regole è affidata al giudice tutelare.
9. Tutela. - Se entrambi genitori sono morti, o per qualunque altra causa non possono esercitare la
responsabilità genitoriale, si apre la tutela presso il tribunale circondario dove è la sede principale
degli affari e interessi del minore, cioè il suo domicilio art. 343. L'istituto della tutela è da ritenersi
espressione del precetto costituzionale secondo cui, nei casi di incapacità dei genitori, la legge
provvede che siano assolti i loro compiti art. 30 comma 2. La tutela ha dunque la funzione di
garantire, attraverso l'intervento di un altro soggetto ed il controllo da parte di organi giudiziali sulla
relativa attività del genitore, al minore la cura dei propri interessi personali e patrimoniali. I poteri
riconosciuti a chi è investito di una simile potestà devono essere esercitati nell'interesse del minore
che l'ordinamento intende proteggere. L'ufficio tutelare è gratuito. Rispetto alla responsabilità
genitoriale che trova un suo fondamento nel vincolo di sangue che lega i genitori al figlio, la tutela
deriva da una pronuncia dell'autorità giudiziaria. È per questo che nella tutela, in particolare in
ordine all'attività di amministrazione del patrimonio del minore, sono previsti vincoli e controlli di
maggiore intensità rispetto a quelli caratterizzanti l'esercizio della responsabilità genitoriale. Nel
quadro dell'esercizio della tutela un ruolo fondamentale assume la figura del giudice tutelare, il
quale soprintende l'esercizio della tutela e può chiedere assistenza agli organi della pubblica
amministrazione e di tutti gli enti i cui scopi corrispondano alle sue funzioni. L'attività del giudice si
atteggia come controllo e coordinamento, egli decide su tutte le questioni maggiormente rilevanti al
minore e al suo patrimonio. Presso ogni giudice tutelare è istituito il registro delle tutele (tutti gli
atti e i provvedimenti). Il giudice tutelare appena ricevuta notizia del fatto da cui deriva l'apertura
della tutela, procede alla nomina del tutore e del protutore art.346. Prima della nomina del tutore
deve essere sentito anche il minore che abbia raggiunto l'età di dodici anni. Il giudice nomina tutore
la persona designata dal genitore che ha esercitato per ultimo la responsabilità genitoriale. La
designazione può essere fatta per testamento, atto pubblico o per scrittura privata autenticata.
Qualora manchi la designazione la scelta del tutore viene effettuata preferibilmente tra gli
ascendenti o tra gli altri prossimi parenti o affini del minore (tutela legittima). In mancanza il tutore
viene scelto tra altre persone (tutela dativa), o deferita a un ente o assistenza (tutela assistenziale). In
quest'ultimo caso l'amministrazione dell'ente delega uno dei propri membri a esercitare le funzioni
di tutela. Il tutore ha la cura della persona del minore, lo rappresenta in tutti gli atti civili e ne
amministra i beni. Il tutore assume sia una funzione di carattere personale, che una funzione di
carattere patrimoniale. Sotto il profilo personale ha gli stessi doveri che competono ai genitori
(istruzione, educazione e assistenza morale del minore). Deve però attenersi alle direttive del
giudice tutelare. Sotto il profilo patrimoniale lo stesso giudice indica la spesa annua occorrente per
l'amministrazione del patrimonio del minore, fissando i modi di impiego dei redditi eccedente se
autorizza ad investire i capitali secondo specifici criteri. Il tutore rappresenta il minore in tutti gli
atti civili e amministra il patrimonio del medesimo. Vediamo inoltre come al tutore è impedito
l'usufrutto legale sui beni del minore, proprio in assenza del carattere familiare del rapporto che
rappresenta attributo peculiare del rapporto genitore-figlio. Il tutore compie da solo gli atti di
ordinaria amministrazione, gli atti eccedenti l'ordinaria amministrazione sono compiuti dal tutore su
autorizzazione del giudice tutelare. Tuttavia per gli atti che debbono reputarsi di maggiore
importanza e che comunque comportano una rilevante modificazione della composizione del
patrimonio del minore, l'atto non può essere compiuto se non previa autorizzazione del tribunale e il
parere del giudice tutelare. L'atto compiuto senza osservare le regole accennate è da considerare
annullabile su istanza del tutore, del minore o dei suoi eredi aventi causa. L'azione di annullamento
si prescrive in 5 anni dal giorno in cui il minore ha compiuto la maggiore età oppure dal giorno
della sua morte. Si è visto come il giudice tutelare accanto alla nomina del tutore provveda
contemporaneamente anche alla nomina di un protutore. Il protutore rappresenta il minore quando
l'interesse del tutore è in contrasto con quello del minore. Il protutore è poi tenuto alla nomina del
nuovo tutore nel caso l'originario tutore sia venuto a mancare o abbia abbandonato l'ufficio, in
questo tempo il protutore stesso assume la cura della persona del minore, lo rappresenta e può
compiere gli atti conservativi e gli atti urgenti di amministrazione. In ordine alla responsabilità il
tutore deve amministrare il patrimonio con diligenza del buon padre di famiglia. Il tutore risponde
verso il minore di ogni danno a lui cagionato violando i propri doveri. Nella stessa responsabilità
incorre il protutore per ciò che riguarda i doveri del proprio ufficio. La tutela termina quando il
minore raggiunge la maggiore età o eventualmente consegua l'emancipazione per effetto del
matrimonio. Il giudice tutelare tuttavia può sempre esonerare il tutore dall'ufficio qualora l'esercizio
di esso sia per il tutore soverchiamente gravoso e vi sia altra persona a sostituirlo, può inoltre
rimuovere dall'ufficio il tutore che si sia reso colpevole di negligenza o abbia abusato dei suoi poteri
o si sia dimostrato inetto all'adempimento di essi oppure quando il tutore sia diventato insolvente.
10. Emancipazione. - Il minore che abbia compiuto 16 anni, qualora sussistano gravi motivi, può
esser ammesso con decreto del tribunale per i minorenni al matrimonio, previo accertamento della
sua maturità psico-fisica e della fondatezza delle ragioni addotte, sentito il p.m. i genitori o il tutore
(art. 84). Il minore acquista, così, lo stato di emancipato: la emancipazione avviene di diritto in
conseguenza del matrimonio (art. 390). Il minore acquista così una capacità di agire limitata. Il
minore viene reputato idoneo a curare i propri interessi di natura personale e l’ordinamento
interviene esclusivamente nella cura dei suoi interessi patrimoniali. La funzione di provvedere alla
cura degli interessi patrimoniali del minore emancipato viene assolta dal curatore (coniuge se di
maggiore età). Se entrambi i coniugi sono di minore età, il giudice tutelare può nominare un unico
curatore, scelto preferibilmente tra i genitori. Il curatore ha solo funzioni di carattere patrimoniale:
la sua attività è limitata all’amministrazione del patrimonio dell’emancipato. Il tutore rappresenta il
minore, il curatore si limita ad assistere l’emancipato, senza rappresentarlo. L'atto viene compiuto
in prima persona dal minore emancipato la cui volontà risulta essenziale, tuttavia il suo consenso
non risulta sufficiente in quanto deve essere necessariamente integrato dal consenso del curatore.
L’atto compiuto dal minore emancipato, con il consenso del curatore, è un atto soggettivamente
complesso (atto complesso ineguale). In considerazione della sua limitata capacità di agire il minore
emancipato compie da solo solo atti di ordinaria amministrazione. Il minore può, con l’assistenza
del curatore, riscuotere capitali sotto la condizione di idoneo reimpiego. Gli atti eccedenti
l’ordinaria amministrazione sono compiuti dal minore col consenso del curatore, previa
autorizzazione del giudice tutelare. Per gli atti maggiormente rilevanti (atti di disposizione) indicati
dall'art.375, l'autorizzazione, se curatore non è il genitore deve essere data dal tribunale previo
parere del giudice tutelare. Nell’ipotesi di conflitto tra minore e curatore, il giudice tutelare nomina
un curatore speciale. Anche la violazione delle norme che regolano gli atti di amministrazione dei
beni dell’emancipato comporta l’annullabilità del medesimo. (azione di annullamento cade in
prescrizione in 5 anni dal compimento della maggiore età o dal giorno della morte dell'emancipato).
Una capacità di agire quasi piena ha il minore emancipato autorizzato dal tribunale all’esercizio di
impresa commerciale. Resta comunque preclusa la possibilità di fare testamento e donazioni. La
situazione dell'emancipato termina con il raggiungimento della maggiore età.
11. Cause modificative della capacità di agire e protezione dell’incapace. - Si è avuto modo di
considerare come alcuni soggetti, i minori, siano senz'altro considerati privi della capacità di agire
in dipendenza della loro età. In tale ipotesi il legislatore muove da una sorta di presunzione che il
minore sia inidoneo a provvedere ai propri interessi fino al raggiungimento della maggiore età.
L’esigenza di proteggere il soggetto incapace e di predisporre adeguati strumenti di tutela a suo
favore sussiste pure in relazione a persone che, ancorché maggiori di età, non siano comunque
dotate delle condizioni psico-fisiche, idonee a consentire una corretta cura dei propri interessi e una
ponderata esplicazione della propria autonomia negoziale. La disciplina ha subito una notevole
maggiorazione di elasticità a seguito della L. 6/2004, rendendo maggiormente flessibili da parte
dell'autorità giudiziaria i provvedimenti di interdizione e di inabilitazione e introducendo l'istituto
dell’amministrazione di sostegno. La legge 104/92 esprime l’idea che deve essere adottata ogni
misura atta a valorizzare la capacità residua di chi si trovi in qualsiasi condizione di menomazione.
La prospettiva è quella di non allontanare il soggetto dalla vita di relazione, ritenendo funzionale il
riconoscere la possibilità di continuare ad operare nei campi personali e patrimoniali fino al cui non
sussistano imprescindibili motivi di sostituirlo.
13. Inabilitazione. - Il maggiore di età infermo di mente, lo stato del quale non è talmente grave da
far luogo all’interdizione, può essere inabilitato. Possono essere inabilitati coloro che per prodigalità
o per abuso abituale di bevande alcoliche o stupefacenti, espongano sé o la loro famiglia a gravi
pregiudizi economici. Infine, possono essere inabilitati il sordo e il cieco dalla nascita o dalla prima
infanzia, se non hanno ricevuto una educazione sufficiente. L’inabilitazione è una forma di
limitazione della capacità di agire, meno grave dell’interdizione giudiziale. Le conseguenze
rilevano esclusivamente sotto il profilo patrimoniale, così in particolare l'inabilitato può contrarre
matrimonio, e può riconoscere il figlio nato fuori dal matrimonio. L'inabilitazione può essere
promossa anche su istanza dal soggetto interessato o dalla persona che convive con lui stabilmente.
L'inabilitando deve essere esaminato dal giudice, gli effetti della inabilitazione si producono dalla
pubblicazione della relativa sentenza e la revoca ha efficacia a partire dal momento del passaggio in
giudicato della sentenza di revoca. La sentenza di inabilitazione come la sentenza di revoca sono
annotate nel registro delle curatele ed annotate in margine all'atto di nascita. Con la sentenza di
inabilitazione si da luogo alla curatela. Viene nominato un curatore, e non un tutore, con gli stessi
poteri del curatore del minore emancipato. L’inabilitato compie da solo gli atti di ordinaria
amministrazione, può, con assistenza del curatore, riscuotere capitali sotto la condizione di un
idoneo reimpiego; gli atti eccedenti l’ordinaria amministrazione sono compiuti dall’inabilitato, col
consenso del curatore, previa autorizzazione del giudice tutelare; gli atti di disposizione sono
compiuti dall’inabilitato, col consenso del curatore e previa autorizzazione del tribunale, su parere
del giudice tutelare. L’art. 427 prevede che alcuni atti eccedenti l’ordinaria amministrazione
possano essere compiuti dall’inabilitato senza la presenza del curatore. Quanto alla sorte degli atti
compiuti in violazione della norma che regola l'amministrazione dei beni dell'inabilitato si fa rinvio
a quanto osservato in relazione alla curatela del minore emancipato con l'unica differenza che il
termine quinquennale di prescrizione dell'azione di annullamento dell'atto decorrerà dalla
cessazione dello stato di inabilitazione e quindi dal momento del passaggio in giudicato della
sentenza che revoca l'inabilitazione oltre che dal giorno della morte dell'inabilitato. Mentre
l'interdetto non può fare testamento, l’inabilitato può fare testamento ed effettuare donazioni.
15. Interdizione legale. - Sono sottoposti ad interdizione legale, ai sensi dell’art. 32 c.p., i soggetti
condannati all’ergastolo o alla reclusione per un periodo di tempo non inferiore a cinque anni.
L’interdizione viene definita legale in quanto costituisce un effetto che discende automaticamente
dalla sentenza di condanna, senza risultare dalla sentenza. L'interdizione legale differisce da quella
giudiziale in quanto si tratta non della protezione di un soggetto incapace di provvedere ai propri
interessi, ma una pena accessoria rispetto alla condanna principale. L’interdetto legale subisce
limitazioni analoghe a quelle dell’interdetto giudiziale, con l’unica differenza che le limitazioni
attengono solo alla sfera patrimoniale e non a quella personale (matrimonio- donazioni-testamento).
Gli atti compiuti da esso al di fuori delle forme abilitative prescritte sono annullabili su richiesta di
chiunque vi abbia interesse . Si parla quindi di annullabilità assoluta, come ipotesi che si
contrappone appunto a quella relativa la quale può essere solo fatta valere dalla parte nel cui
interesse è stabilita dalla legge. La ragione di una simile deviazione dal principio generale in
materia è da cogliere proprio nel carattere sanzionatorio e non protettivo dell'interdizione legale. Il
carattere assoluto dell'annullabilità costituisce un connotato che rende del tutto precario per
l'incapace lo stato in cui versano gli atti da lui conclusi senza l'osservanza delle prescrizioni circa la
sua rappresentanza. L'incapace in sostanza è inibito operare nella sfera degli affari di persona, si
parla dell'antica morte civile.
1. Persona e diritti fondamentali. - I diritti della persona (definiti anche diritti fondamentali o
diritti umani) sono quelli il cui riconoscimento tende ad assicurare il pieno sviluppo della persona
umana, tutelandone gli interessi esistenziali, sono inviolabili e l’ordinamento li riconosce per
promuovere la garanzia. L’attività della persona è inquadrata nelle relazioni sociali (principio
personalista e pluralista). Essi sono espressi nell’art. 2 della costituzione.
esistenziali2. Caratteristiche. - A volte sono considerati quali veri e propri diritti soggettivi, i diritti
della personalità vengono annoverati tra quelli assoluti. Pretesa del titolare, nei confronti della
generalità dei consociati, a una astensione da qualsiasi violazione dell’interesse tutelato.
Essi sono innati (non può non averi), imprescrittibili, intrasmissibili (il diritto muore con la morte
del proprietario), indisponibili, inalienabili, irrinunciabili, non patrimoniali.
3. Tutela. - Sono soggetti ad una tutela preventiva (atta ad evitare la lesione) piuttosto che
successiva, secondo il modello risarcitorio, lo strumento usato è l’azione inibitoria: con essa si tende
a impedire lo stesso evento lesivo, prevenendo la condotta idonea a determinarlo, ovvero a farlo
cessare, evitando che il suo protrarsi aggravi la lesione degli interessi protetti.
Ulteriori strumenti di puntuale tutela degli interessi relativi alla sfera morale del soggetto che sono
rappresentati, da una parte, dalla pubblicazione delle sentenze in giornali; dall’altra, dal diritto di
rettifica.
In conseguenza della lesione di diritti della personalità opera, ovviamente, il rimedio generale del
risarcimento del danno, ai sensi degli artt. 2043 ss.
4. Dignità della persona. - La pretesa al rispetto della dignità del soggetto in quanto persona
rappresenta il reale tessuto connettivo della tutela della persona umana nella globalità delle sue
manifestazioni (art. 2 Cost.).
5. Vita, integrità fisica e salute. - La tutela del diritto alla vita è affidata alla legislazione penale,
dalla quale si evince la sua indisponibilità.
Il diritto all’integrità fisica, oltre a trova tutela nella legislazione penale, la trova anche in quella
civile con il risarcimento del danno (art. 2043). L’art. 5 c.c. vieta gli atti di disposizione del proprio
corpo (tranne per donazioni, solo a titolo gratuito).
Il diritto alla salute trova tutela nei confronti dello stato (salvaguardia ambientale) e nei rapporti
intersoggettivi (risarcimento del danno).
Testamento biologico (ricercare la volontà). Rispetto del cadavere (sentimento collettivo di pietà).
In ambito di donazione degli organi post mortem è intervenuta la l. 91/99 affermano che deve
sussistere una volontarietà del soggetto deceduto a non protendere per una donazione degli organi
post mortem. In caso di mancanza, vale il principio del silenzio assenso.
6. Integrità morale. Onore e reputazione (e relativi limiti: cronaca, critica, satira). - Integrità
morale crea profili da tutelare: onore e reputazione hanno sul piano penale la tutela attraverso la
repressile dei reati di ingiuria e diffamazione, mentre la tutela civile è affidata al risarcimento del
danno. Il diritto alla riservatezza ha una maggiore estensione rispetto a quello della eruttazione per
assicurare la protezione della vita personale.
Il rispetto della sfera morale della persona trova il suo bilanciamento nella libertà di manifestazione
del pensiero a cui si riconnettono il diritto di cronaca (limite tutela onore e reputazione) e il diritto
di critica (finalizzato alla valutazione di fatti e opinioni altrui). Tollerano è il diritto alla satira.
9. Trattamento e protezione dei dati personali. - Il diritto alla protezione dei dati personali
riguarda i dati personali che sono una qualsiasi informazione riguardo una persona fisica; il
principio generale è il consenso dell’interessato. Disciplina particolare è per i dati sensibili (razza,
religione, politica). Sotto il profilo sanzionatorio sono previste sanzioni amministrative di tipo
pecuniario e sanzioni penali.
10. Nome. - Il nome è un segno distintivo e identificativo del soggetto, viene disciplinato riguardo
l’interesse della persona alla propria identificazione sociale. Per nome si intende il prenome e il
cognome. Art. 22, Cost. “nessuno, per motivi politici, può essere privato del nome”. In caso di
filiazione fuori dal matrimonio il figlio assume il cognome del genitore che per primo lo abbia
riconosciuto con prevalenza di quello paterno. Le modificazioni del nome e del cognome sono
previsti solo nei casi indicati dalla legge.
11. Identità personale. - Col diritto alla identità personale si vuole assicurare la tutela della
proiezione sociale della personalità dell’individuo: del suo interesse ad essere rappresentato con la
sua vera identità, senza che ne risulti modificato, offuscato, o alterato il patrimonio intellettuale,
ideologico, etico, professionale.
CAPITOLO 3
GLI ENTI
A) PROFILI GENERALI
1. Persona fisica e persona giuridica. - La persona fisica non è per l'ordinamento l'unica entità
dotata di capacità giuridica, considerata cioè in grado di essere titolare di situazioni giuridiche.
Accanto alle persone fisiche, quali soggetti dotati di capacità giuridica, si collocano gli enti, vale a
dire organizzazioni di beni e di persone, cui l'ordinamento riconosce la qualità di centri di
imputazione di situazioni giuridiche soggettive al pari delle persone fisiche. La motivazione che
induce l'ordinamento a considerare gli enti quali soggetti di diritto distinti dalle persone fisiche
sembra radicarsi nella constatazione che il singolo può perseguire solo una certa gamma di interessi,
ma non può spingersi fino alla realizzazione di tutti quegli ulteriori interessi che invece necessitano
di un organizzazione di gruppo. In altre parole gli individui avvertono la necessità di ricorrere alla
forma dell'ente quando i propri interessi perseguiti non possano trovare adeguato soddisfacimento
mediante l'esplicazione di una mera attività individuale.
2. Elementi costitutivi. Ente e soggettività giuridica. - Gli elementi costitutivi della persona
giuridica sono distinti in una componente materiale (persone, patrimonio, scopo) e una componente
formale (riconoscimento). La persona giuridica deve esser dotata di un’adeguata massa di beni che
le permetta di sostenere il peso dell’attività istituzionale dell’ente: questo è il patrimonio.
L’aggregazione di persone e beni avviene in vista della realizzazione di determinate finalità: questo
è lo scopo. A tutti questi elementi viene dato rilevo mediante il riconoscimento da parte
dell'ordinamento giuridico. Il riconoscimento, negli ultimi tempi, ha subito una progressiva
svalutazione da parte dell’ordinamento. La formale attribuzione della personalità giuridica non
risulta più momento essenziale ai fini della considerazione dell’ente quale soggetto di diritto. Al
concetto di personalità giuridica va sostituendosi quello di soggettività giuridica. L’ente non
riconosciuto, al pari di quello riconosciuto, è un autonomo soggetto di diritto.
3. Tipologia di enti. - Oggi continuano a proporsi alcune classificazioni degli enti in considerazione
dello scopo dell'ente e della sussistenza o meno del riconoscimento.
a) Una prima distinzione di fondo che si riscontra nel codice risulta quella tra enti pubblici (persone
giuridiche pubbliche), ed enti privati (persone giuridiche private). Persone giuridiche pubbliche
dovrebbero reputarsi quelle che perseguono istituzionalmente fini di rilevanza generale di
carattere pubblico, diverse sono le persone giuridiche private che per loro natura perseguono
scopi di carattere appunto privato e non di rilevanza generale. Tuttavia tale distinzione così
formulata risulta essere insoddisfacente in quanto non aderente alla realtà che vede in misura
sempre maggiore perseguire interessi di indubbio rilievo generale anche da parte di enti dal
carattere privato. Il carattere generale e pubblico non può considerarsi come indice sicuro per
distinguere persona giuridica pubblica dalla persona giuridica privata. Gli enti pubblici a loro
volta si distinguono in enti pubblici territoriali (stato, regioni, città metropolitane, province e
comuni, art. 114 cost.) ed enti pubblici non territoriali. È da sottolineare come in relazione alla
seconda categoria di enti pubblici sia in atto un processo di soppressione o trasformazione in enti
privati.
b) Altra distinzione è quella tra enti lucrativi ed enti non lucrativi. Enti non lucrativi sono le
associazioni, le fondazioni, e i comitati. Enti lucrativi sono le società il cui scopo è quello di
dividere gli utili prodotti dall'esercizio in comune di un attività economica.
c) La distinzione tra enti riconosciuti ed enti non riconosciuti come persona giuridica ha oggi perso
importanza. L'unica sostanziale differenza di disciplina degli enti riconosciuti rispetto quelli non
riconosciuti, come si vedrà, attiene al diverso regime di responsabilità per le obbligazioni assunte
in nome e per conto dell'ente stesso. Gli enti riconosciuti come persone giuridiche sono le
associazioni riconosciute, le fondazioni, i comitati riconosciuti, società di capitali e società
cooperative. Enti privi di riconoscimento sono le società di persone.
4. Riconoscimento. - In passato la distinzione tra enti lucrativi ed enti non lucrativi era indice di un
sistema di attribuzione di personalità giuridica. Al sistema di riconoscimento cosiddetto normativo
in base al quale queste ultime acquistano la personalità giuridica con l'iscrizione nel registro delle
imprese, si contrapponeva il sistema di riconoscimento cosiddetto concessorio per cui associazioni,
fondazioni e comitati acquistavano la personalità giuridica mediante riconoscimento concesso con
decreto del Presidente della Repubblica. L'attribuzione della personalità giuridica secondo sistema
concessorio era rimessa alla valutazione ampiamente discrezionale da parte della pubblica
amministrazione. Al riconoscimento poi seguiva la registrazione, ovvero l'iscrizione dell'ente
nell'apposito registro. L'ente pertanto acquistava personalità giuridica per effetto del riconoscimento
e dalla registrazione derivava poi la cosiddetta autonomia patrimoniale perfetta. Con il D.P.R
361/2000 si è introdotta una disciplina profondamente innovativa sostituendo il precedente sistema
con uno nuovo. Ai sensi del relativo art. 1, le associazioni, le fondazioni e le altre istituzioni di
carattere privato acquistano capacità giuridica mediante il riconoscimento determinato
dall’iscrizione nel registro delle persone giuridiche istituito presso le prefetture. Al prefetto residua
un certo margine di discrezionalità nella valutazione della possibilità e liceità dello scopo, nonché
della adeguatezza del patrimonio alla realizzazione del medesimo scopo.
5. Capacità. - Dal punto di vista patrimoniale, l'ente ha una capacità giudica del tutto analoga a
quella delle persone fisiche. Nella sua sfera di titolarità possono rientrare tutte le situazioni
giuridiche soggettive attive e passive che potrebbero far capo ad un soggetto persona fisica. Alla
persona giuridica risulta riferibile pure la titolarità di situazioni giuridiche soggettive di contenuto
non patrimoniale. L'ente a differenza della persona fisica non ha l'idoneità ad essere titolare delle
situazioni giuridiche soggettive che presuppongono la fisicità del soggetto. In campo patrimoniale
sono scomparsi gli ostacoli che i passato limitavano fortemente la capacità dell'ente. In particolare,
l'art.17 oggi abrogato, subordinava l'acquisto dei beni mobili, l'accettazione di donazioni o eredità
da parte di associazioni riconosciute e fondazioni, alla preventiva autorizzazione governativa.
Venuta meno questa rilevante restrizione, associazioni e fondazioni hanno oggi piena capacità di
compiere acquisti immobiliari e di beneficiare di attribuzioni a titolo gratuito senza che la
consistenza patrimoniale debba di volta in volta essere sottoposta ad un controllo di carattere
pubblicistico. In conclusione gli enti del I libro, riconosciuti o meno possono liberamente acquistare
beni immobili e di eseguire attribuzioni a titolo gratuito senza la necessità dell'autorizzazione
governativa.
6. Attività. - L’ente in quanto per sua natura non dotato dell'attributo della fisicità ha la necessità di
servirsi di altri soggetti (persone fisiche) non solo per organizzare la propria vita interna ma
sopratutto anche per determinare la propria volontà e manifestarla all'esterno. L'esercizio della
capacità di agire di cui l'ente risulta fornito è reso possibile dai suoi organi. Sono gli organi a
permettere all'ente di formare la propria volontà e di proiettarla all'esterno. La volontà dell'ente,
derivante dalla confluenza delle volontà dei singoli, viene riferita immediatamente all'ente
medesimo. Allo stesso modo tutti i comportamenti giuridicamente rilevanti posti in essere dagli
organi dell'ente sono allo stesso direttamente imputati. Con riguardo all'attività negoziale dell'ente,
il compito di proiettare all'esterno la sua volontà, perché si incontri con quella di altri soggetti nella
conclusione di negozi giuridici è demandato all'organo amministrativo. Sono amministratori gli
organi dell'ente che consentono all'ente medesimo di intrattenere rapporti negoziali. La
determinazione della volontà dell'ente può invece spettare all'assemblea organo peculiare degli enti
di tipo associativo o agli stessi amministratori. Il fenomeno in base al quale l'attività negoziale posta
in essere da un organo dell'ente viene imputata all'ente stesso prende il nome di rappresentanza
organica.
7. Responsabilità per illecito. - Ai sensi dell’art 2043 vi è una responsabilità diretta dell’ente per
gli illeciti commessi dai suoi organi. Quanto agli illeciti penali afferma la responsabilità dell’ente
per i reati commessi nel suoi interesse o a suo vantaggio dalle persone che rivestono funzioni di
rappresentanza, di amministrazione o direzione dell’ente stesso, nonché da persone che esercito la
gestione e il controllo del medesimo. Sanzioni di tipo pecuniario o interdittivo.
B) FIGURE
12. Comitato. - L’ultimo tipo di ente è il comitato su cui la dottrina non ha mai manifestato
concordia di opinioni. Talvolta accostato all'associazione, altre volte alla fondazione ancora altre
volte ad entrambe. Sembra che il comitato ricomprenda un ente sui generis che presenta affinità con
le differenti tipologie di enti non lucrativi ma che in sostanza appare dotato di propria specificità.
Esso consiste in un organizzazione di persone (promotori) che perseguono un determinato fine
altruistico raccogliendo fondi, per il raggiungimento di uno scopo comune, presso il pubblico. Tra
gli scopi possibili (art. 39) vi sono il soccorso, la beneficenza, la promozione di opere pubbliche,
monumenti, esposizioni, mostre, festeggiamenti e simili. Vi è una differenza tra comitato
riconosciuto come persona giudica e comitato non riconosciuto come persona giudica.
L'attribuzione della personalità giuridica al comitato incide sulla responsabilità. Così se il comitato
è riconosciuto, delle obbligazioni assunte in nome e per conto dell'ente, risponderà solo quest'ultimo
col suo patrimonio. Con esclusione quindi della responsabilità personale dei componenti. Qualora al
comitato non siano riconosciuti tutti i suoi componenti risponderanno personalmente e solidalmente
delle obbligazioni. I sottoscrittori (oblatori) vale a dire coloro che procedono alle sovvenzioni a
favore del comitato, sono obbligati soltanto ad eseguire la prestazione promesse con esclusione di
forme di responsabilità per le obbligazioni verso il comitato. L’art. 42 prevede, quali ipotesi di
estinzione del comitato, l’insufficienza di fondi rispetto lo scopo dell'ente. In tal l'autorità
amministrativa stabilisce la devoluzione dei beni.
13. Gli enti non profit nella legislazione speciale. - La locuzione non profit in un primo momento
veniva impiegata per indicare l'attività svolta in settori di più specifica ed accentuata rilevanza e
utilità sociale. Successivamente poi si è affermata la tendenza ad intendere gli enti non profit come
una vasta gamma di enti che non perseguono fini di lucro. Il favore per l'associazionismo si
riscontra in primo luogo nella legge 266/1991 la quale promuove lo sviluppo del volontariato in
vista del conseguimento di finalità di carattere sociale, civile e culturale. Per organizzazione di
volontariato si intende ogni organismo liberamente costitutivo con il fine di svolgere l'attività di
volontariato, che si avvalga in modo determinante delle prestazioni personali, volontarie e gratuite
dei propri aderenti. Il decreto legge 469/1997 contiene poi la disciplina della onlus (organizzazioni
non lucrative di utilità sociale). Sono considerate onlus le associazioni, le fondazioni, i comitati, le
società cooperative e gli altri enti di carattere privato con o senza personalità giuridica, i cui statuti o
atti costitutivi, redatti sotto la fora di atto pubblico o scrittura privata autenticata , contengano una
serie di previsioni relative in particolare all'attività istituzionale dell'ente ed alla destinazione degli
utili. Non si tratta di un nuovo tipo di ente bensì una qualifica volta ad individuare quegli enti che
possono aspirare ad usufruire di particolari benefici sociali. La legge 460/1997 vieta a soggetti
diversi dalle onlus l'uso di tale denominazione e in qualsivoglia segno distintivo o comunicazione
rivolta al pubblico. In tale panoramica sul settore non profit è necessario ricordare l'associazione di
promozione sociale. La legge 380/2000 introduce un regime speciale per tutte le organizzazioni che
rientrano nella definizione di associazione di promozione sociale, ovvero tutte le associazioni
riconosciute e non riconosciute, i movimenti e i gruppi, costituiti al fine di svolgere attività di utilità
sociale a favore di associati o terzi senza finalità di lucro e nel pieno rispetto della libertà e dignità
degli associati. Infine abbiamo l'impresa sociale che indica organizzazioni private che esercitano
un’attività economica organizzata al dine della produzione o dello scambio di beni o servizi di
utilità sociale diretta a realizzare finalità di interesse generale.
PARTE V
FAMIGLIA
CAPITOLO 1
FAMIGLIA E ORDINAMENTO GIURIDICO
3. La disciplina della famiglia: codice civile, Costituzione e altre fonti. - La disciplina dei
rapporti familiari a partire dal code civil francese ha trovato la sua collocazione nel codice civile.
È comunque da sottolineare che la disciplina del code civil e quella del codice civile del 1865
rispecchiassero il modello di famiglia borghese.
Il modello familiare che emerge dal codice civile del 1942 è qualcosa ancora fondato su una
struttura gerarchica tendente a far convergere nel marito poteri autoritari nei confronti della moglie
e nei confronti dei figli, nonché una chiara ripartizione dei ruoli tra i coniugi che riconosce alla
moglie una funzione meramente domestica, emarginata oltre che dal governo della famiglia anche
nelle relazioni economiche del gruppo familiare.
Restava poi un atteggiamento di marcato sfavore per la filiazione fuori dal matrimonio, derivandone
quindi l'irriconoscibilità dei figli adulterini e drastici limiti alla possibilità di accertamento
giudiziale della paternità.
Per quanto concerne il sistema matrimoniale nel codice civile risulta disciplinato il matrimonio
civile rinviandosi al concordato con la santa sede ed alla relativa legislazione applicativa per la
disciplina del cosiddetto matrimonio concordatario. Una vera rottura con il vecchio sistema di
disciplina dei rapporti familiari è da ricollegare all'avvento della costituzione entrata in vigore
l'1.1.1948. L'adeguamento dei principi familiari ai principi fondamentali della costituzione è stato
un processo lento.
Circa i principi costituzionali, l'art.29 nell'affermare che la Repubblica riconosce i diritti della
famiglia come società naturale fondata sul matrimonio, valorizza innanzitutto contro ogni possibile
eccessiva invadenza dell'ordinamento, l'autonomia della famiglia nell'organizzazione della propria
vita. Il secondo comma dello stesso art. 29 stabilisce il profilo di eguaglianza morale e giuridica dei
coniugi.
L'art. 30, sotto il dovere dei genitori di educare ed istruire i figli, stabilisce che tale dovere si
estenda anche ai figli nati al di fuori del matrimonio. Inoltre a tali soggetti venga garantita ogni
tutela giuridica e sociale.
Completa il quadro costituzionale di riferimento alla materia familiare, il sostegno da parte dello
stato per quelle famiglie numerose.
Come già indicato l'attuazione dei principi costituzionali ha richiesto tempi non brevi. La tappa
fondamentale è rappresentata senza dubbio dalla riforma del diritto di famiglia con la quale l'intero
impianto codicistico della disciplina dei rapporti familiari è stato ridisegnato.
Il diritto di famiglia vigente trova sua fonte principale nel codice civile, sopratutto in materia di
filiazione. In primo luogo è da ricordare la legislazione in tema di affidamento e di adozione dei
minori 149/200. Importanza fondamentale assume poi la legislazione sul divorzio.
5. Caratteri degli atti e dei diritti familiari. - Gli atti concernenti i rapporti familiari devono
ritenersi contrassegnati da caratteri peculiari.
L’intimità e l’essenzialità dei vincoli esistenziali che legano i membri del gruppo familiare
impongono che tali valori siano equilibrati con quelli di responsabilità e solidarietà. Di qui la
marcata specificità che contraddistingue i rapporti familiari. I diritti familiari hanno gli stessi
caratteri dei diritti fondamentali oltre che essere personalissimi e solenni.
7. Gli alimenti. - L’obbligo di prestare gli alimenti trova il proprio fondamento nella solidarietà
familiare. Esso grava pure sul donatario.
L'obbligazione alimentare tra i componenti della famiglia è disciplinata dall'art. 433 che stabilisce
un ordine tra di essi ponendo al primo posto il coniuge, quindi i soggetti legati da un rapporto di
discendenza (figli, discendenti prossimi, genitori) poi gli affini in linea retta (generi, nuore, suoceri)
e infine fratelli e sorelle.
Nella famiglia nucleare si ha l'obbligo alimentare per i coniugi, contribuzione cui è tenuto anche il
figlio finché dura la convivenza. In favore dei figli e del coniuge nell'ipotesi di separazione è dovuto
il mantenimento. L'obbligazione al mantenimento presenta un contenuto più ampio di quello
alimentare in quanto riferito al parametro ed al tenore di vita familiare.
Il presupposto del diritto a ricevere gli alimenti (art. 438) è costitutivo dallo stato di bisogno di chi
non sia in grado di soddisfare le proprie necessità di vita.
Circa le modalità di somministrazione, esse sono a scelta dell’obbligato. Dopo l’assegnazione le
condizioni economiche del ricevente possono mutare, pertanto vedrà se cessare, diminuire o
aumentare il mantenimento (art. 448).
L'obbligazione ha natura personale e quindi cessa con la morte dell’obbligato (art. 448). E’ un
diritto non patrimoniale, incedibile, irrinunciabile, impignorabile, insequestrabile.
8. Ordini di protezione contro gli abusi familiari. - Nel corpo del codice civile con la legge
154/2001 sono stati inseriti gli artt. 342 bis e ter in ordine alla protezione contro gli abusi familiari.
Misure quali l'eventuale allontanamento dalla casa familiare, con provvedimento del giudice penale
nei confronti dell'imputato e la previsione di un peculiare procedimento per l'emanazione di
provvedimenti in questione.
Le misure introdotte con la legge 154/2001 fanno riferimento alla posizione familiare del minore,
diretto a consentire, attraverso la modifica degli articoli 330 e 333, l'ordine di allontanamento dalla
residenza familiare del genitore o del convivente che maltratti o abusi del minore. Gli effetti delle
sentenze possono essere l'allontanamento del responsabile dalla casa familiare, oltre alla inibizione
di avvicinarsi in luoghi in cui svolge la vita della vittima.
CAPITOLO 2
MATRIMONIO
1. Matrimonio e famiglia. - Per l’art. 29, il matrimonio costituisce il fondamento della famiglia.
E’ l’atto col quale gli sposi si assumono l’impegno di realizzare una comunione di vita stabile e
socialmente garantita, caratterizzata dalla esclusività della relazione personale, dalla reciprocità
dell’assistenza e della contribuzione al soddisfacimento delle esigenze comuni.
Il matrimonio, come atto, è un negozio bilaterale, concorrendo alla sua formazione la volontà dei
due nubendi. Gli effetti sono regolati unicamente dall’ordinamento civile. L’elemento costitutivo
del matrimonio è rappresentato dalla volontà manifestata personalmente ed incondizionatamente
dagli sposi e nelle forme previste dalla legge: l’atto è personalissimo e puro.
A) ATTO
4. Il matrimonio civile. Requisiti. - Per contrarre matrimonio l'ordinamento richiede che i nubendi
abbiano dei requisiti. In taluni casi, la mancanza dei requisiti può essere superata con un
autorizzazione.
Non risulta esplicitamente annoverata tra i requisiti del matrimonio la diversità di sesso.
L’art. 84, in via generale, ammette al matrimonio il maggiorenne. Può essere ammesso al
matrimonio, su istanza dell'interessato, il sedicenne ma solo a seguito di un autorizzazione del
tribunale per i minorenni ove ricorrano gravi motivi, previo accertamento della sua maturità
psicofisica e della fondatezza delle ragioni addotte. Preclude la possibilità di contrarre matrimonio
all’interdetto per infermità di mente (art. 85). Possono invece contrarre matrimonio l'interdetto a
seguito di una condanna penale e l'inabilitato.
Un altro requisito è la libertà di stato, per cui non può contrarre matrimonio chi sia già vincolato
matrimonialmente essendo il nostro matrimonio fondato sul principio della monogamia.
Uno dei pilastri della nostra civiltà è anche la esogamia, divieto di contrarre matrimonio in vista di
uno stretto rapporto di parentela e affinità (art. 87).
L’art. 88 preclude il matrimonio tra le persone delle quali l’uno sia stata condannata per omicidio
consumato o tentato nei confronti del coniuge dell’altro.
L’insorgere di eventuali difficoltà nell’attribuzione della paternità, si pone ala base del divieto
temporaneo di nuove nozze (per 300 giorni) per la donna.
6. Invalidità del matrimonio. - Taluni difetti del procedimento di celebrazione del matrimonio
danno luogo a mera irregolarità, con conseguenti sanzioni pecuniarie a carico dell'ufficiale civile e
eventualmente dagli sposi (omissione della pubblicazione, mancata presenza dei testimoni,
incompetenza dell'ufficiale civile ecc.).
La violazione delle prescrizioni in materia di requisiti richiesti per contrarre matrimonio e la
difettosità del consenso determinano l'inettitudine dell'atto matrimoniale a produrre i suoi effetti,
con la possibilità accordata ad una sfera più o meno ampia di soggetti di contestarne la validità. Si
parla talvolta anche di inesistenza del matrimonio, per alludere alla situazione in cui risultino, nel
procedimento, carenze tali da impedire la stessa identificabilità come atto matrimoniale. L’invalidità
del matrimonio si ricollega ai difetti genetici dell’atto matrimoniale, mentre un difettoso
svolgimento del rapporto matrimoniale consente la richiesta di separazione personale e del divorzio.
La distinzione tra nullità ed annullabilità può essere utilizzata per contrapporre le ipotesi di
invalidità insanabile (delitto, mancanza di libertà), a quelle in cui il vizio dell’atto matrimoniale sia
rimediabile (sanabile).
Il matrimonio è impugnabile ove sia stato contratto in assenza di uno dei suoi requisiti, per l'art. 84
relativo all’età, art. 86 relativo alla libertà di stato (non può contrarre matrimonio chi è vincolato da
un matrimonio precedente), art. 87 inerente ai gradi di parentela, art. 88 che fa riferimento
all'impossibilità di contrarre matrimonio per le persone delle quali l'una è stata condannata per
omicidio consumato o tentato suo coniuge dell'altra.
Esso può essere impugnato pure nell'ipotesi di interdizione per infermità di mente. Il matrimonio
risulta impugnabile per capacità di intendere o di volere.
Quale vizi del consenso, l’art. 122 contempla la violenza (minaccia finalizzata all’estorsione del
consenso), il timore (quando sia di eccezionale gravità e derivi da cause esterne allo sposo), l’errore
(falsa rappresentazione della realtà che induce a prestare il consenso).
E’ possibile impugnare il matrimonio per simulazione quando “gli sposi abbiano convenuto di non
adempiere agli obblighi e non esercitare i diritti”.
B) EFFETTI
9. Rapporti personali tra coniugi. - La riforma del ’75 ha dato piena attuazione, nei rapporti tra i
coniugi, al principio costituzionale per cui “il matrimonio è ordinato sulla eguaglianza morale e
giuridica dei coniugi (art. 29).
La disciplina contenuta nel c.c. istituzionalizza un modello di famiglia paritario e partecipativo
fondato sui valori di rispetto reciproco e solidarietà. Gli eventuali interventi dell’ordinamento sono
finalizzati affinché tale formazione sociale sia realmente luogo di promozione e sviluppo della
personalità di ciascuno.
L’art. 143 “con il matrimonio il marito e la moglie acquistano gli stessi diritti e assumono i
medesimi doveri”. “Al loro accordo viene demandata la concreta articolazione degli assetti
organizzativi della vita familiare (art. 144).
Gli obblighi reciproci che derivano dal matrimonio sono quelli di fedeltà, assistenza morale e
materiale, collaborazione nell’interesse della famiglia, coabitazione e contribuzione ai bisogni della
famiglia (art. 143).
La fedeltà rappresenta imprescrittibile espressione della esclusività del rapporto personale, che si è
visto essere connaturale all’idea di matrimonio.
Il dovere di assistenza morale e materiale si presenta quale espressione particolarmente significativa
di quel legame di solidarietà che è alla base del matrimonio è che impone un vicendevole aiuto
sopratutto nei momenti difficili. Non a caso il diritto di assistenza morale e materiale è sospeso nei
confronti del coniuge che si allontani in modo ingiustificato dalla residenza familiare.
Il dovere di collaborazione vale a precisare il precedente dovere nel senso della promozione di
un'attività secondo le proprie capacità.
Importante è anche il dovere di coabitazione e della conseguente localizzazione della vita familiare
attestata dal legislatore è definito nella residenza familiare con i possibili risvolti penali del suo
abbandono. Alle ipotesi che si collegano alla convivenza fa riferimento la disciplina degli ordini di
protezione contro gli abusi familiari che comportano anche l'imposizione dell'allontanamento dalla
casa familiare.
Problema discusso è quello della sanzione per l’inosservanza dei doveri familiari, una volta ritenuta
pacifica la loro incoercibilità. L’avere il comportamento tenuto dal coniuge in violazione di tali
doveri causato la crisi coniugale rende a lui eventualmente addebitabile la separazione personale
rientrando la valutazione delle ragioni e della decisione anche tra gli elementi da considerare per la
determinazione dell’assegno di divorzio.
In conseguenza del matrimonio, la moglie aggiunge al proprio cognome quello del marito (143 bis).
Secondo quella che viene definita come regola dell’accordo nel governo della famiglia, i coniugi
concordano tra loro l’indirizzo della vita familiare e fissano la residenza della famiglia, alla luce
delle esigenze di entrambi e quelle collettive (art. 144).
A ciascuno dei coniugi spetta il potere di attuale l’indirizzo concordato (art. 144). Indubbiamente, il
governo della famiglia fondato sulla regola dell'accordo, pone il problema della conseguente
mancanza dell'accordo. La soluzione per la salvaguardia dell'unità familiare, è stata trovata nel
prevedere un intervento del giudice in caso di disaccordo. Per evitare che un simile intervento
determini una lesione dell'autonomia dei coniugi si è previsto che esso abbia carattere
essenzialmente conciliativo in quanto mirato al raggiungimento di una soluzione concordata. Ove vi
siano contrasti sul accordo tra i due coniugi vi sarà un giudice che adotterà la soluzione più
opportuna.
10. Regime patrimoniale della famiglia. Il regime primario. - Prima della riforma del diritto di
famiglia, del 1975, spettava al marito somministrare alla moglie tutto ciò che era necessario ai
bisogni della vita, in proporzione alle sue sostanze. La moglie doveva a sua volta contribuire al
mantenimento del marito, solo se quest'ultimo non possedeva mezzi sufficienti. L'introduzione
dell'eguaglianza giuridica tra i coniugi ha imposto l'obbligo per entrambi di contribuire ai bisogni
della famiglia in proporzione delle rispettive sostanze e capacità di lavoro professionale o casalingo.
I coniugi regolano i propri rapporti patrimoniali scegliendo un regime patrimoniale. La riforma ha
innovato profondamente anche questo settore. Infatti, prima del 1975, il regime consisteva nella
separazione dei beni ed era ammissibile la comunione solo mediante la stipulazione di convenzioni
matrimoniali: attualmente, invece, la legge disciplina i seguenti regimi patrimoniali:
a) comunione dei beni
b) separazione dei beni
c) fondo patrimoniale
d) comunione convenzionale
Bisogna comunque indicare che il regime di comunione legale è "automatico" nel senso che viene
adottato in mancanza di una diversa dichiarazione di volontà (art. 159 c.c.).
11. Convenzioni matrimoniali. - Le convenzioni matrimoniali sono gli accordi coi quali gli sposi,
eccezionalmente con l’intervento di un terzo, adottano un regime patrimoniale della famiglia
diverso da quello legale di comunione. Sono dei regimi atipici non previsti dalla legge o previsti
dalla legge come la separazione dei beni.
I coniugi, oltre alla scelta del regime di separazione dei beni, possono accordarsi per la costituzione
del fondo patrimoniale o per dar vita ad una comunione convenzionale o a un’impresa familiare. Le
convenzioni matrimoniali possono essere stipulate in ogni tempo, anche dopo la celebrazione del
matrimonio e possono essere sempre liberamente modificate con il consenso di tutti coloro che le
hanno formate.
Originariamente era prevista l’autorizzazione del giudice al loro mutamento mentre ora, con una
legge del 1981, questa necessità è stata soppressa.
Per la stipulazione delle convenzioni è prevista, pena nullità, la forma dell’atto pubblico.
Attraverso le convenzioni matrimoniali i coniugi possono apportare delle modifiche al regime di
comunione dei beni:
- possono restringerlo ad alcune della categorie di beni indicati dalla legge;
- possono allargarlo ad altre categorie: per esempio facendo cadere in comunione anche i proventi
dell’attività di ciascun coniuge;
- possono costituire causa di scioglimento della comunione legale.
Circa la capacità di agire, anche il minore ammesso a contrarre matrimonio è reputato capace di
stipulare le relative convenzioni con l'assistenza del tutore o dei genitori. L'inabilitato deve essere
assistito dal curatore. Le convenzioni o la scelta del regime di separazione dei beni devono essere
annotate a margine dell’atto di matrimonio comprese la data del contratto, le generalità del notaio
rogante e dei contraenti per essere opponibili ai terzi che vogliano acquisire un diritto sui beni
oggetto delle stesse.
Nel caso in cui tali convenzioni abbiano ad oggetto beni immobili o mobili registrati è richiesta la
trascrizione come forma di pubblicità dal momento che è necessaria l’annotazione a margine
dell’atto di matrimonio anche in questo caso per l’opponibilità ai terzi.
12. Comunione legale. - Il regime è stato ritenuto indicato per rispondere all’esigenza di
rispecchiare un modello familiare che valorizzi la comunità di vita tra i coniugi. Con tale regime si è
assicurato ad entrambi i coniugi una partecipazione in piena eguaglianza per l'accumulo e la
gestione delle ricchezze familiari.
La comunione legale ha carattere non universale, in quanto non si estende ai beni di cui i coniugi
erano titolari anteriormente al matrimonio, sia perché lascia a ciascuno dei coniugi la titolarità dei
beni essenziali per garantirgli una sfera di libertà in campo personale e professionale.
Vediamo ora quali beni rientrano a far parte della comunione legale di beni e quali ne sono esclusi.
Cominciamo con i primi indicati dall'articolo 177 c.c.:
A. Costituiscono oggetto della comunione gli acquisti compiuti dai due coniugi, insieme o
separatamente durante il matrimonio, ad esclusione dei beni personali, le aziende gestite da
entrambi i coniugi e costituite dopo il matrimonio, i frutti dei beni propri di ciascuno dei
coniugi, percepiti e non consumati allo scioglimento della comunione, i proventi dell'attività
separata di ciascuno dei coniugi se, allo scioglimento della comunione, non siano stati
consumati.
Vediamo che non tutti i beni oggetto della comunione hanno lo stesso regime giuridico.
I primi due, infatti, vi rientrano sempre e comunque, mentre gli ultimi, due fanno parte della
comunione solo al momento del suo scioglimento.
Si tratta della c.d. comunione di residuo, cioè di beni che normalmente non rientrano nella
comunione legale, ma ne fanno parte solo al momento suo scioglimento se esistenti.
La comunione legale ha ad oggetto quasi tutti i beni acquistati durante il matrimonio, ma ne
sono in ogni caso esclusi i "beni personali" indicati nell'articolo 179 del codice civile:
- i beni di cui, prima del matrimonio, il coniuge era proprietario o rispetto ai quali era
titolare di un diritto reale di godimento;
- i beni acquisiti successivamente al matrimonio per effetto di donazione o successione,
quando nell'atto di liberalità o nel testamento non è specificato che essi sono attribuiti alla
comunione;
- i beni di uso strettamente personale di ciascun coniuge ed i loro accessori (cioè di beni che
non si prestano ad un uso comune, come vestiti, ma anche gioielli, pellicce, etc.);
- i beni che servono all'esercizio della professione del coniuge, tranne quelli destinati alla
conduzione di un'azienda facente parte della comunione;
- i beni ottenuti a titolo di risarcimento del danno nonché la pensione attinente alla perdita
parziale o totale della capacità lavorativa;
- i beni acquisiti con il prezzo del trasferimento dei beni personali sopraelencati o col loro
scambio, purché ciò sia espressamente dichiarato all'atto dell’acquisto.
13. Regimi convenzionali. - Ai sensi dell’art. 210, le parti, con una convenzione matrimoniale,
possono modificare il regime della comunione legale.
Alle parti è consentito ampliare l’oggetto della comunione, allargandola ai beni che non vi
rientrerebbero, ma anche restringere la relativa portata, eccetto legge.
Diffusa è l’opzione degli sposi per la separazione dei beni che attribuisce una maggiore autonomia
individuale ai coniugi, restando ciascuno titolare esclusivo dei beni acquistati durante il matrimonio
e potendo goderli e amministrarli liberamente. Di notevole rilevanza è il principio per cui ove
manchi la prova della proprietà esclusiva di un bene esso si presume in comunione per quote uguali.
Diffuso è il fondo patrimoniale, ove determinati beni sono destinati a far fronte ai bisogni della
famiglia. L’amministrazione spetta ad entrambi i coniugi.
14. Impresa familiare. - L’impresa familiare è caratterizzata dal fatto che in essa collaborano
familiari dell'imprenditore. La finalità perseguita è quella di garantire una tutela adeguata a costoro
senza che sia giuridicamente configurabile un rapporto di diversa natura.
Pur non avendo la veste di imprenditori, i familiari partecipanti hanno da una parte il diritto al
mantenimento secondo la condizione patrimoniale della famiglia, dall'altra di partecipare agli utili
ed agli incrementi dell'azienda, in proporzione alla qualità e quantità del lavoro prestato. Inoltre le
decisioni di maggiore rilevanza per la vita dell'impresa devono essere adottate a maggioranza dei
familiari partecipanti.
Oltre ad avere un diritto, ove venga a cessare o sia alienata l'azienda, alla liquidazione in danaro del
proprio diritto di partecipazione, il familiare ha pure un diritto di prelazione sull'azienda in caso di
divisione ereditaria o di relativo trasferimento.
CAPITOLO 3
CRISI CONIUGALE
1. Unità e crisi della famiglia. - La disciplina della crisi del rapporto coniugale rappresenta
l’aspetto più delicato della regolamentazione complessiva del fenomeno familiare. Il legislatore è
chiamato ad assicurare il rispetto della piena eguaglianza dei coniugi, garantendo l’interesse dei
figli ad idonee condizioni di sviluppo della personalità.
Il principio da quale non può prescindere qualsiasi intervento legislativo è quello rappresentato
dalla protezione costituzionale del matrimonio e della famiglia, nella relativa interdipendenza.
I podromi della crisi del rapporto coniugale tendono a farsi avvertire attraverso l'insorgere di una
conflittualità in relazione alle decisioni concernenti la gestione della comunità familiare.
Le procedure di separazione personale e di divorzio sono indirizzate espressamente alla
riconciliazione dei coniugi attraverso l'apertura di spazi di riflessione e di ripensamento contro
iniziative avventate e dettate dal prevalere di fattori emozionali.
2. Separazione personale dei coniugi. - Il venir meno della comunione di vita coniugale e le sue
conseguenze erano disciplinati esclusivamente attraverso la separazione personale, comportante una
modificazione dei rapporti tra i coniugi destinati a restare comunque tali. Con l'introduzione del
divorzio la separazione personale ha assunto i connotati di situazione funzionalmente provvisoria
dato che essa vale a determinare una pausa di riflessione nei rapporti tra i coniugi destinata a
sfociare nel superamento della conflittualità, con la riconciliazione, oppure, nel divorzio.
La riforma del 1975 ha abbandonato il previdente modello di separazione basato sulla necessità di
dimostrazione da parte del coniuge di una responsabilità dell'altro. Si è virati principalmente sul
constatazione di una situazione di intollerabilità della convivenza.
L'ordinamento ricollega alla separazione legale il momento di formalizzazione della crisi coniugale,
vediamo però che taluni effetti derivano pure dalla mera separazione di fatto che ha come
conseguenza la decisione di interrompere la convivenza, presa d'accordo o unilateralmente.
L’allontanamento dalla residenza familiare determina sospensione del diritto all’assistenza morale e
materiale nei confronti del coniuge che rifiuti di tornarci.
La separazione legale può essere:
- consensuale, si fonda su un accordo dei coniugi, esteso sia alla decisione di separarsi, sia alla
regolamentazione dei propri futuri rapporti reciproci e di quelli con i figli. L’accordo è sottoposto
al controllo dell’autorità giudiziaria che svolge il proprio lavoro e vede se le condizioni sono
conformi all’ordinamento (158). Attraverso la separazione il rapporto rimane in piedi, ma si
allenta, viene meno l’obbligo di coabitazione;
- giudiziale, un procedimento attraverso il quale uno solo dei coniugi o ciascuno di essi con
proprio ricorso autonomo chiedono al Tribunale competente di pronunciare una sentenza di
separazione che regoli i loro rapporti, e quelli dei figli, essendo cessata la convivenza tra loro.
Per riconciliazione si intende l’accordo con cui i coniugi fanno cessare gli effetti della separazione;
può avvenire anche tramite dichiarazione tacita.
4. Divorzio. - Fino all'emanazione della "Legge sul Divorzio" (legge n. 898/1970, detta anche
"Legge Fortuna-Baslini"), non erano previste cause di scioglimento del matrimonio diverse dalla
morte di uno dei coniugi: prima dell'avvento della Legge sul Divorzio, il matrimonio era quindi
considerato legalmente indissolubile. La Legge sul Divorzio prevede i casi in cui è consentito il
divorzio; il caso di gran lunga prevalente è dato dalla separazione legale dei coniugi che dura senza
interruzioni da almeno 12 mesi se la separazione è giudiziale o da almeno 6 mesi se la separazione è
consensuale (tali termini sono stati previsti dalla c.d. Legge sul Divorzio breve, in vigore dal 26
maggio 2015 n. 55, e sostituiscono il precedente termine di 3 anni). Il procedimento di divorzio può
essere contenzioso o a domanda congiunta e, una volta pronunciato, ha effetti sul piano civile,
patrimoniale, successorio e sull'affidamento degli eventuali figli. Anziché rivolgersi al Tribunale gli
ex-coniugi possono ora divorziare mediante un accordo raggiunto al termine della procedura di
negoziazione assistita da un avvocato, prevista dal DL 132/2014 così come convertito, oppure - a
certe condizioni - mediante un accordo raggiunto davanti al Sindaco quale Ufficiale di Stato Civile.
Nel caso di matrimonio civile (ossia di matrimonio contratto in Comune davanti all’Ufficiale dello
Stato Civile), il divorzio è lo scioglimento definitivo del vincolo matrimoniale, pronunciato con
sentenza da parte del Tribunale competente; lo scioglimento del vincolo può essere ora l’effetto
anche di un accordo raggiunto al termine di un’apposita procedura di negoziazione assistita da un
avvocato, introdotta dal DL 132/2014, oppure di un accordo innanzi al Sindaco quale Ufficiale di
Stato Civile (ma solo se ricorrono determinate condizioni).
In caso di matrimonio concordatario (ossia quando il matrimonio è stato celebrato in Chiesa e poi
regolarmente trascritto nei registri dello Stato Civile del Comune), si parla più propriamente di
“cessazione degli effetti civili” del matrimonio stesso: permangono infatti gli effetti sul piano del
sacramento religioso (a meno che non si ottenga una pronuncia di annullamento o di nullità da parte
del Tribunale Ecclesiastico Regionale o della Sacra Rota).
Prima di pronunciare la sentenza di divorzio, il Tribunale deve sempre tentare la riconciliazione e
accertare che la comunione spirituale e materiale tra i coniugi non possa più essere mantenuta o
ricostituita (art. 1 della Legge sul Divorzio): in altre parole, prima di pronunciare il divorzio il
Giudice deve sincerarsi che la frattura nei rapporti fra marito e moglie non possa essere in alcun
modo ricomposta.
Oltre a ciò, il Giudice deve controllare la sussistenza di almeno uno dei presupposti tassativamente
previsti dalla legge. In estrema sintesi, i casi di divorzio sono i seguenti:
- i coniugi sono separati legalmente e, al tempo della presentazione della domanda di divorzio, lo
stato di separazione dura ininterrottamente da almeno 12 mesi se la separazione è giudiziale o da
almeno 6 mesi se la separazione è consensuale (tale termine decorre in ogni caso dal giorno della
comparizione delle parti davanti al Presidente del Tribunale nel procedimento di separazione);
- uno dei coniugi ha commesso un reato di particolare gravità (ad esempio è stato condannato con
sentenza definitiva all’ergastolo o a una pena superiore a 15 anni di reclusione) oppure - a
prescindere dalla durata della pena - è stato condannato per incesto, delitti contro la libertà
sessuale, prostituzione, omicidio volontario o tentato di un figlio, tentato omicidio del coniuge,
lesioni aggravate, maltrattamenti, ecc.;
- uno dei coniugi è cittadino straniero e ha ottenuto all’estero l’annullamento o lo scioglimento del
vincolo matrimoniale o ha contratto all’estero un nuovo matrimonio;
- il matrimonio non è stato consumato;
- è stato dichiarato giudizialmente il cambio di sesso di uno dei coniugi.
Procedimento in contenzioso.
Lo scioglimento del vincolo matrimoniale può essere richiesto da uno dei coniugi, anche se l’altro
coniuge non è d’accordo.
Il procedimento cd. in contenzioso (per la mancanza di accordo dei coniugi) si svolge innanzi al
Presidente del Tribunale del luogo in cui il secondo coniuge ha la propria residenza o il proprio
domicilio; nel caso in cui il secondo coniuge sia residente all’estero o risulti irreperibile, la
domanda di divorzio si presenta al Tribunale del luogo di residenza o di domicilio del coniuge
richiedente.
Nel ricorso si deve aver cura di indicare l’esistenza di figli di entrambi i coniugi.
Se il coniuge richiedente è residente all’estero, è competente qualunque Tribunale.
Ciascun coniuge deve essere assistito da proprio difensore.
Come previsto dalla Legge sul Divorzio, alla prima udienza il Presidente del Tribunale tenta la
conciliazione e accerta che la comunione spirituale e materiale tra i coniugi non possa essere
mantenuta o ricostituita. Il Presidente emana quindi un’ordinanza con i provvedimenti temporanei e
urgenti necessari per regolamentare gli aspetti patrimoniali e che interessano i figli nella pendenza
del procedimento. Il Presidente nomina un Giudice Istruttore e fissa la data della relativa udienza
innanzi a quest’ultimo. Il procedimento prosegue poi come un processo ordinario, con la fissazione
di altre udienze. Se il procedimento comporta una lunga fase istruttoria, vale a dire un lungo periodo
di acquisizione delle prove (testimoni, perizie, ecc.), il Tribunale emana una sentenza provvisoria,
che intanto consenta ai coniugi di riottenere lo stato libero.
Procedimento a domanda congiunta.
Lo scioglimento del vincolo matrimoniale può essere richiesto da entrambi i coniugi. Come nel
divorzio in contenzioso, anche in questo caso le parti devono stare in giudizio assistiti da un
difensore, che può essere unico per entrambi.
Il procedimento si svolge innanzi al Tribunale in camera di consiglio, ossia con una procedura
molto più snella del divorzio in contenzioso.
In questo caso tutto si esaurisce in una sola udienza innanzi al Tribunale in camera di consiglio:
l’udienza è fissata dal Presidente del Tribunale dopo aver letto il ricorso. All’udienza il Tribunale
tenta la conciliazione e accerta che la comunione spirituale e materiale tra i coniugi non può più
essere mantenuta o ricostituita. Quindi il Tribunale verifica la sussistenza dei presupposti richiesti
dalla Legge sul Divorzio ed emette la sentenza di scioglimento del vincolo matrimoniale (o di
cessazione degli effetti civili, in caso di matrimonio concordatario).
L’iter del divorzio a domanda congiunta è quindi più veloce e più semplice dell’iter del divorzio
giudiziale.
Sia che venga emessa al termine di un procedimento in contenzioso, sia che venga emessa alla fine
di un procedimento “a domanda congiunta”, la sentenza di divorzio viene trasmessa all’Ufficiale di
Stato Civile per l’annotazione nel Registro dello Stato Civile del luogo in cui fu trascritto il
matrimonio.
In ogni caso, se uno dei coniugi matura il diritto al trattamento di fine rapporto (TFR) prima che sia
pronunciata la sentenza di divorzio, l’altro coniuge ha diritto a una parte di tale importo.
CAPITOLO 4
FILIAZIONE
1. Filiazione: attuale articolazione della disciplina. - La disciplina della filiazione è forse quella
che ha più inciso sulla legislazione in materia familiare. Si tratta di una progressiva e globale
revisione che muovendo dall'art.30 della costituzione trova il suo fulcro nella riforma del 1975 è un
suo completamento nella legge 219/2012. Principio fondamentale che ne deriva dall'art.30 comma 1
della costituzione è che è un dovere e diritto dei genitori provvedere al mantenimento, istruzione ed
educazione dei figli, anche quelli nati fuori dal matrimonio. Di particolare importanza risulta
l'esigenza di garantire al minore il più completo sviluppo della persona umana. Tuttavia
l'ordinamento prevede che nel caso il genitore o i genitori risultino incapaci questi sono sollevati da
tali obblighi verso i figli. La disciplina che viene fuori dalla riforma prende le nette distanze dal
precedente modello caratterizzato dalla discriminazione legata ai figli nati al di fuori del
matrimonio. Tale categoria oggi trova una sua tutela nel comma 3 dell'art. 30 della costituzione
secondo cui, per i figli nati al di fuori del matrimonio l'ordinamento prevede una forma di tutela
giuridica e sociale.
I risultati conseguiti dalla riforma del 1975 sono stati oggetto di un unanime apprezzamento
raggiungendo così l'equiparazione sostanziale tra i figli nati nel matrimonio e i figli nati al di fuori
del matrimonio. Tuttavia sul piano quotidiano permaneva ancora qualche contrasto tra filiazione
legittima e filiazione naturale e i figli nati al di fuori del matrimonio. L'obbiettivo finale perseguito
dal legislatore con la legge 219/2012 fu quello di unificare i due termini, ossia filiazione nel
matrimonio e filiazione fuori il matrimonio, sotto lo status di figlio. Tale unitarietà è stata
completata poi sul piano lessicale provvedendo ad una sostituzione nel codice civile della
terminologia di figli legittimi e figli naturali con quella di figli. Per l'instaurazione di un rapporto di
filiazione, in mancanza di procreazione, risulta essere di particolare importanza l'istituto
dell'adozione atto alla tutela dell'interesse del nato che si trovi irrimediabilmente senza assistenza.
2. L’atto di nascita. - L’atto di nascita assume una fondamentale importanza in quanto presenta la
funzione di strumento di accertamento del rapporto di filiazione. L'atto di nascita è formato sulla
base della dichiarazione di nascita, correlato dall'attestazione di avvenuta nascita, resa all'ufficiale
dello stato civile dai due genitori, dal procuratore o da parte di chi ha assistito al parto. Viene
sottolineato come la madre possa esprimere la volontà di non essere nominata in tale atto. Nell'atto
di nascita sono menzionate le generalità, cittadinanza e residenza dei genitori legittimi oppure di chi
intende proporre una dichiarazione di riconoscimento di filiazione naturale.
4. Accertamento della filiazione fuori dal matrimonio. - L’attribuzione dello stato di figlio nato al
di fuori del matrimonio avviene con un atto di accertamento volontario (riconoscimento) o con un
atto di accertamento giudiziario (dichiarazione giudiziale della paternità o della maternità).
La dichiarazione giudiziale della filiazione fuori dal matrimonio produce gli stessi effetti del
riconoscimento e quindi l'attribuzione dello stato di figlio nella sua unitarietà anche con riguardo
all'instaurazione di vincoli di parentela.
A) Per quanto riguarda l'accertamento volontario si tratta di un atto unilaterale, pur se può avvenire
congiuntamente dai genitori, sempre personalissimo e puro.
Con la riforma del 1975 era venuto meno il divieto di riconoscimento per i figli nati al di fuori
dal matrimoni da parte chi fosse già coniugato. Era rimasto invece quale ipotesi di
irriconoscibilità quella legata ai figli incestuosi ovvero quelli generati attraverso il rapporto tra
due soggetti legati dagli stessi vincoli di parentela, in linea retta o in linea collaterale. Oggi la
nuova disposizione prevede il riconoscimento anche di questa categoria di figli. Per effettuare il
riconoscimento il genitore deve aver compiuto 16 anni e qualora presenti un età inferiore il
tribunale può predisporre il riconoscimento attraverso un'autorizzazione. Il riconoscimento del
figlio che abbia compiuto 14 anni resta inefficace senza il suo assenso (art. 250). Inoltre il
riconoscimento del figlio infraquattordicenne non può avvenire senza che l'altro coniuge lo
abbia riconosciuto. In caso di rifiuto del consenso, il genitore che intende effettuare il
riconoscimento, può rivolgersi al tribunale, il quale valutate le condizioni autorizzerà il
riconoscimento se lo ritiene corrispondente agli interessi del figlio. Il riconoscimento può
avvenire prima della nascita o prima della morte per garantire gli interessi dei suoi discendenti.
Il riconoscimento è un atto formale e può avvenire nell'atto di nascita, con dichiarazione al
momento del matrimonio, con dichiarazione resa all'ufficiale dello stato civile o ad un notaio o
per testamento. Il riconoscimento è inammissibile, e quindi inefficace, se in contrasto con il già
esistente stato di figlio. L'azione di riconoscimento non può essere proposta oltre i cinque anni
dall'annotazione del riconoscimento.
B) Nel codice civile del 1865 la dichiarazione giudiziale di paternità era ammessa solo in caso di
ratto o di stupro. Nel 1942 si provvide ad allargare i casi. Nel 1975 è stato sancito poi il
principio per cui la dichiarazione giudiziale della paternità e della maternità è consentita in tutti
i casi in cui è ammesso il riconoscimento potendo la prova essere fornita con ogni mezzo.
La maternità è dimostrata provando l'identità di chi si pretende essere figlio e di colui che fu
partorito dalla donna che si intende madre. La sola dichiarazione della madre e la sola esistenza
di suoi rapporti col preteso padre all'epoca del concepimento non costituiscono prova della
paternità, in considerazione dell'eventualità di una pluralità di partners. In ciò il giudice gode di
un ampia discrezionalità nella ricerca delle prove sopratutto legata all'evoluzione scientifica
attraverso prove ematologiche e genetiche. Il rifiuto ingiustificato di sottoporsi ad esse è
valutabile come elemento di prova.
Tale azione è considerata imprescrittibile per il figlio e può essere proseguita, dopo la sua morte,
dai suoi discendenti. L'azione può essere proposta, nell'interesse del minore, dal genitore che
esercita la responsabilità genitoriale o dal tutore. Per promuovere o proseguire l'azione è
necessario che il figlio abbia raggiunto i 14 anni e del suo consenso. Nel caso del minore
infraquattordicenne spetta al tribunale valutare il proseguimento dell'azione se vi è un interesse
del figlio.
8. Adozione. - La finalità che l’adozione dei minori risulta chiamata ad assolvere attualmente nel
nostro ordinamento è l’inserimento del fanciullo in una nuova famiglia, con l’acquisto dello stato di
figlio legittimo nella pienezza del relativo rapporto con gli adottanti.
L’adozione dei minori è prevista a favore dei minori dichiarati in stato di adottabilità (art. 7) a
seguito di “una situazione di abbandono, perché privi di assistenza morale e materiale da parte dei
genitori o dei parenti tenuti a provvedervi. L’adozione resta consentita ai coniugi sposati da almeno
3 anni, pur essendo sufficiente una convivenza stabile e duratura che si sia protratta per 3 anni
prima del matrimonio. Ai singoli invece è consentita l'adozione solo in casi particolari. I coniugi
devono essere “affettivamente idonei e capaci di educare, istruire i minori che intendano adottare” e
possono adottare più volte. La differenza di età tra adottante ed adottato viene fissata in 18 anni. Il
minore che abbia compiuto 14 anni deve presentare personalmente il proprio consenso all’adozione
e deve essere personalmente sentito il minore dodicenne o comunque capace di discernimento. Non
è accordata facoltà di scelta agli aspiranti adottanti. La sentenza che dichiara lo stato di adottabilità
del minore viene pronunciata ad esito di una rigorosa verifica delle condizioni previste: può esser
impugnata dal p.m o dalle altri parti davanti la Corte d’Appello. Divenuta definitiva è trascritta a
cura del cancelliere su apposito registro. A seguito dell’adozione, l’adottato acquista, a tutti gli
effetti, lo stato di figlio nato nel matrimonio degli adottanti, dei quali assume il cognome, mentre
cessa ogni rapporto con la sua famiglia d’origine. Egli ha diritto ha conoscere i suoi genitori dopo i
25 anni.
9. Il rapporto di filiazione. - Secondo l'art. 315 “tutti i figli hanno lo stesso stato giuridico”. L’art.
315 bis riconosce al figlio “il diritto di essere mantenuto, educato, istruito e assistito moralmente da
genitori nel rispetto delle sue capacità, delle sue inclinazioni naturali e delle sue aspirazioni”. Il
mantenimento deve essere conforme al tenore di vita della famiglia. Il diritto di mantenimento
perdura oltre il raggiungimento della maggiore età. L’obbligazione di mantenimento ha carattere
solidale ed è ripartita tra i genitori in proporzione delle rispettive sostanze e secondo la loro capacità
di lavoro professionale o casalingo. Quando i genitori non hanno mezzi sufficienti sono gli
ascendenti a dover fornire ad essi i mezzi necessari all'adempimento dei loro doveri nei confronti
dei figli. Ove vi sia un inadempimento da parte di un genitore, può essere obbligato che una quota
di redditi dell'obbligato venga versata all'altro coniuge o a chi sopporta le spese. Quanto al
cognome, nel caso di filiazione nel matrimonio, cui rientra l'ipotesi di adozione, il figlio assume
quello del padre. Nel caso di filiazione fuori dal matrimonio il figlio assume il cognome del
genitore che per primo lo riconosce e quello del padre se il riconoscimento è effettuato da entrambi
i genitori. Il figlio può decidere, ove vi sia stato riconoscimento della madre e quindi l'assunzione
del suo cognome, di assumere il cognome del padre che lo riconosce successivamente,
aggiungendolo, anteponendolo o sostituendolo a quello della madre. Se il figlio è minore, sarà il
giudice a decidere circa l'assunzione del cognome del padre. Il figlio ha il dovere (non sanzionabile)
di rispettare i propri genitori e, finché convive in famiglia, deve contribuire al relativo
mantenimento, in ragione delle sue sostanze e del suo reddito. Tali obblighi non cessano con il
raggiungimento della maggiore età. Alla responsabilità genitoriale, la cui titolarità compete ad
entrambi i genitori, il figlio è soggetto sino alla maggiore età o all’emancipazione. Essa è esercitata
di comune accordo dai genitori. Ciò ha indotto ad introdurre un meccanismo atto a superare le
eventuali situazioni di disaccordo. Quando il contrasto tra i genitori verte su questioni di particolare
importanza si ricorre al giudice. Il giudice, ascoltato pure il figlio, svolge una funzione persuasiva è
solo se il contrasto per mano attribuisce il potere di decisione al genitore che ritiene più idoneo a
curare l'interesse del figlio. L'esercizio della responsabilità genitoriale si concentra nelle mani di un
solo genitore in caso di lontananza o altro impedimento dell'altro. La responsabilità genitoriale non
cessa con il venir meno della convivenza. Al riconoscimento della filiazione al di fuori del
matrimoni consegue la titolarità, per il genitore che per primo lo riconosce, della responsabilità
genitoriale. Ove il figlio nato al di fuori del matrimonio venga riconosciuto da entrambi i genitori la
responsabilità spetta ad entrambi. Con riguardo al caso di riconoscimento di un figlio nato fuori dal
matrimonio da parte di persona coniugata, è rimessa al giudice la decisione circa il suo affidamento
o l'adozione di ogni provvedimento a tutela del suo interesse morale e materiale. Un tale ipotesi può
essere autorizzato, nell'interesse del figlio, il suo inserimento nella famiglia del genitore, una volta
accertato il consenso del coniuge convivente, dei figli ultrasedicenni conviventi.
10. Crisi familiare e tutela dell'interesse dei figli. - Preso atto dell'inevitabilità del verificarsi di
crisi familiari, i figli non devono essere vittime incolpevoli. Bisogna assicurare loro, al di là della
rottura della compagine familiare, l'effettivo rapporto personale oltre che economico di entrambi i
genitori. Data per scontata la continuità dei doveri dei genitori connessi alla responsabilità
genitoriale nei confronti dei figli, il principio basilare è quello per cui tutti i provvedimenti relativi
alla prole devono essere adottati “con esclusivo riferimento all’interesse morale e materiale di
essa” (art. 337 ter). Prevale il modello di affidamento congiunto in caso di separazione
matrimoniale. Ai fini dell’affidamento non incide chi abbia inciso maggiormente nella separazione,
decisivo deve restare solo il riscontro alla idoneità a svolgere i compiti connessi alla qualità di
affidatario. L’esercizio della potestà compete ad entrambi i genitori. Il tribunale dispone di ampi
poteri pur dovendo andare contro gli accordi dei genitori in caso di accordi che vadano contro
l’interesse del figlio. In dipendenza di quanto disposto dalle convenzioni internazionali è sembrata
importante la necessità di conferire attenzione alle opinioni e ai desideri dei figli. Risulta previsto
quindi che il giudice sia tenuto a disporre dell'ascolto del figlio ultradodicenne e anche di età
inferiore capace di discernimento. Sotto il profilo economico i genitori restano tenuti a provvedere
al mantenimento dei figli in misura proporzionale alle loro possibilità corrispondendo un assegno
periodico a carico di uno dei genitori. Tutti i provvedimenti concernenti i figli sono assoggettabili a
revisione.
11. Assegnazione della casa familiare. - L’ordinamento conferisce rilevanza alla destinazione
dell’immobile a casa familiare e le relative vicende tendono ad essere correttamente ricondotte al
piano del regime primario. L’assegnazione presuppone che i coniugi fossero, in precedenza,
legittimati a goderne insieme: ne avessero cioè la disponibilità. Ciò sulla base di un titolo che può
essere rappresentato dal diritto di priorità, diritto reale (usufrutto, abitazione), diritto di locazione o
di comodato. L’interesse è sempre salvaguardare i figli. Alla luce di ciò l'affidamento dei figli o la
convivenza con figli maggiorenni ancora non economicamente autosufficienti erano considerati
presupposto necessario per l'assegnazione. Tale disciplina sembra restare ferma proprio per
prevedere che il godimento della casa familiare è attribuito tenendo prioritariamente conto
dell’interesse dei figli. L’assegnazione può essere limitata a solo una parte dell’immobile.
L'assegnazione della casa coniugale (o familiare: il termine è da considerare sinonimo) è il
provvedimento adottato dal giudice in caso di separazione o di divorzio dei coniugi volto ad
assicurare al residuo nucleo familiare (coniuge affidatario e eventuali figli) la conservazione dello
stesso ambiente di vita domestica goduto in costanza di matrimonio.
PARTE VI
PROPRIETÀ E DIRITTI REALI
CAPITOLO 1
PROPRIETÀ
1. Nozione. - Lo studio della proprietà nell'ordinamento vigente trova i sui fondamentali punti di
riferimento nella definizione che ne offrono l'articolo 42 della costituzione e l'articolo 832 del
codice civile. La proprietà è la massima espressione della libertà dallo Stato. Quando si comprime
la proprietà si comprime la libertà.
La proprietà non è quindi una forma di sovranità sui beni, ma è un diritto che deve armonicamente
inserirsi nel più ampio contesto sociale e non contrastare con esso. Per il proprietario vi saranno,
quindi, non solo diritti (o meglio facoltà, espressione del diritto di proprietà), ma anche doveri, che
renderanno il diritto di proprietà non solo utile per il proprietario, ma anche per la società. In questo
si esplica la funzione sociale della proprietà che non per questo, però, potrà divenire qualcosa di
diverso da quanto è espresso dall'art. 832 c.c.
È vero, infatti, che l'art. 42 della Costituzione riconosce e determina la funzione del diritto di
proprietà, ma è pur sempre l'art. 832 del codice civile che ne definisce il contenuto.
La facoltà di godimento consiste facoltà di usare e sfruttare un bene, direttamente o indirettamente,
per trarne i frutti naturali
La facoltà di disporre, invece, è il diritto di compiere atti di disposizione, cioè quell'attività
negoziale che incide sulla’ “appartenenza” del bene ad un soggetto (alienazione, vendita).
Caratteristiche del diritto di proprietà:
- pienezza: è un diritto che consente al suo titolare ogni utilizzazione lecita del bene che si esplica
principalmente nel potere di godimento e di disposizione ("ha diritto di godere e disporre delle
cose in modo pieno ed esclusivo" art. 832);
- esclusività: il rapporto che si instaura tra il proprietario e il bene è esclusivo, nel senso che non
sono ammesse interferenze nel rapporto con il bene;
- elasticità: le facoltà del proprietario possono essere limitate dall'esistenza di altri diritti come
l'usufrutto, sullo stesso bene. In questi casi, però, il diritto rimane comunque integro
riacquistando automaticamente tutta la sua pienezza alla cessazione del diritto che lo comprime;
- autonomia e indipendenza: a differenza degli altri diritti reali, il diritto di proprietà può esistere
da solo senza dipendere da altri diritti di maggiore ampiezza;
- perpetuità: si ritiene che non possano essere imposti limiti temporali alla proprietà, non è
ammessa una proprietà "a tempo", ma un'eccezione a questo principio può essere costituita
dall'art. 953 c.c. in relazione alla scadenza del termine del diritto di superficie;
- imprescrittibilità: la proprietà non si perde per il non uso, potendo solo essere usucapita dall'uso
che ne facciano altri.
3. Atti emulativi. - Nella definizione dell'art. 832 abbiamo visto che le facoltà attraverso le quali si
esplica il diritto di proprietà sono fondamentalmente illimitate.
Si è infatti deciso di indicare i limiti del diritto di proprietà, piuttosto che elencarne le facoltà, con
l'ovvia conseguenza che il proprietario può fare del suo diritto e della cosa che ne è oggetto ciò che
vuole, ma questa illimitata signoria del suo volere trova il confine nei limiti imposti dalla legge.
Questi si incontrano sia nel codice civile che nelle leggi speciali, e spesso comprimono in maniera
rilevante il diritto di proprietà (pensiamo ai divieti di edificare in zone di interesse paesaggistico o
archeologico). In questa sede ci occuperemo dei soli limiti che emergono dal codice civile,
rimandano allo studio del diritto amministrativo lo studio dei provvedimenti e delle altre leggi che
incidono sul diritto di proprietà.
Le limitazioni cui va incontro il proprietario, soprattutto il proprietario di immobili o fondi, sono
fondamentalmente di due categorie:
- limiti imposti per ragioni di pubblico interesse;
- limiti imposti per salvaguardare i concorrenti diritti di altri soggetti privati.
L'art. 833 pone una norma di carattere generale che vieta al proprietario di compiere atti di
emulazione che sono "atti i quali non abbiano altro scopo che quello di nuocere o recare molestia ad
altri" (divieto di atti emulativi).
Il proprietario, infatti, del suo bene, può farne ciò che vuole, ma non può compiere degli atti al solo
scopo di arrecare danno ad altri.
Si fa spesso l'ipotesi di chi pianta dei pali altissimi sul suo terreno per impedire l'atterraggio di un
aereo sul terreno confinante, ma le ipotesi potrebbero essere innumerevoli. È importante
sottolineare, invece, che per realizzare la previsione dell'art. 833 non basta che l'atto possa arrecare
danno ad altri, ma è anche necessario che sia stato compiuto "al solo scopo" di arrecare danno o
molestia.
Se, quindi, il proprietario pianta dei pali altissimi sul suo terreno anche per istallarci dei reattori
eolici, l'atto non sarà emulativo e quindi lecito.
4. Contenuto della proprietà e garanzia costituzionale. - Si è posto il problema dei limiti entro
cui il contenuto del diritto di proprietà possa essere compresso, almeno senza il riconoscimento di
un ristoro economico e favore del proprietario, discutendosi, in proposito, della configurabilità o
meno di un contenuto minimo della proprietà, intangibile da parte del legislatore. Se le limitazioni
imposte svuotino di ogni sostanza economicamente apprezzabile il diritto del proprietario,
riducendolo ad una mera apparenza, è previsto un indennizzo che deve rappresentare un serio
ristoro per il proprietario privato del suo diritto. Tale non può essere considerata una indennità
meramente simbolica o irrisoria, ma solo una indennità congrua, seria e adeguata.
5. Proprietà fondiaria. - Il codice civile detta una disciplina articolata per la proprietà fondiaria
concernente beni immobili (urbani e agricoli). Innovativa si presenta la normativa destinata a
regolare l'estensione verticale della proprietà. La proprietà del suolo si estende al sottosuolo, con
tutto ciò che esso contiene, potendovi il proprietario svolgere qualsiasi attività di utilizzazione che
non rechi danno ai vicini. Chi ha la proprietà del suolo ha pur quello dello spazio sovrastante e di
tutto ciò che si trova sopra o sotto la superficie. Il proprietario del suolo non può impedire attività
altrui che si svolgano a tale profondità nel sottosuolo o a tale altezza nello spazio sovrastante che gli
non abbia interesse ad escludere (840,c.2)
Il proprietario non può impedire l’accesso al fondo per la caccia, a meno che il fondo non sia stato
chiuso nei modi stabiliti dalla legge in materia di caccia o vi siano colture suscettibili di derivarne
danno. L'accesso per l'esercizio della pesca invece presuppone il consenso del proprietario del
fondo. L'accesso e il passaggio nel fondo non possono essere impediti al fine di riparare, costruire
un muro o qualsiasi altra opera del vicino oppure a chi intende recuperare la cosa che vi si trovi
accidentalmente o l'animale che vi sia riparato sfuggendo alla custodia. Il proprietario peraltro può
impedire l'accesso consegnando la cosa o l'animale. L’accesso, giustificato da tradizionali esigenze
di opportuna collaborazione tra vicini, deve considerarsi lecito e ove cagioni danni è previsto il
pagamento di un’indennità (responsabilità da atto lecito).
6. Immissioni. - Tra le disposizioni generali in tema di proprietà fondiaria spicca la disciplina delle
immissioni. L'art. 844 dispone che “il proprietario di un fondo non può impedire le immissioni
derivanti dal fondo del vicino, se non superino la normale tollerabilità, avuto anche riguardo alla
condizione dei luoghi. Per immissioni si intendono tutte le propagazioni, come quelle consistenti in
fumo, calore, esalazioni, rumore, scuotimento, radiazioni e onde elettromagnetiche. La vicinanza
dei fondi è intesa in senso lato dato che la propagazione delle immissioni, in relazione a quantità
industriali, possono avere una rimarchevole portata. Il proprietario è tenuto a sopportare le
immissioni altrui nei limiti di tollerabilità, la quale deve essere giustificata dal punto di vista del
fondo che la riceve. È però importante considerare che certe attività, come quelle industriali, hanno
anche rilevanza pubblica e non sempre è opportuno far cessare o limitare una determinata attività
per le esigenze dei privati. Il legislatore per cercare di contemperare gli opposti interessi dispone al
secondo comma dell'art. 844 che:
nell'applicare questa norma l'autorità giudiziaria deve adeguare le esigenze della produzione con le
ragioni della proprietà. Il giudice potrebbe, ad esempio, far continuare la produzione imponendo,
però, il rispetto di particolari accorgimenti per diminuire le immissioni, oppure riconoscere un
indennizzo al proprietario senza far cessare la produzione.
Questa disciplina si intreccia, comunque, con quella prevista a tutela della salute pubblica che
impone rigorosi limiti alle aziende in merito alle immissioni nell'ambiente.
7. Rapporti di vicinato. - Il codice civile nella sezione VI negli artt. 873 e ss. disciplina i cosiddetti
rapporti di vicinato dettando regole atte a consentire l'ordinata esistenza tra le proprietà fondiarie
vicine. Le sezioni indicate dai rapporti di vicinato concernono, le distanze nelle costruzioni,
piantagioni e scavi, fossi e siepi interposti tra i fondi, luci, vedute, acque, ecc. La disciplina delle
distanze riguarda innanzitutto quella osservabile nelle costruzioni. Principio generale dettato dal
codice è quello dell'osservanza di una distanza di 3 metri tra i fondi, per evitare intercapedini troppo
anguste e antigieniche. Tale determinazione ha carattere residuale e minimo rinviando la citata
disposizione alle indicazioni dei regolamenti edilizi che prevedono una distanza maggiore. Si tratta
di una materia in cui sono preminenti i caratteri generali legati al corretto sviluppo urbanistico degli
abitanti. L’art. 872 prevede che chi abbia risentito di un danno dall’abuso edilizio di altri, in quanto
all'edificazione del fondo vicino avvenuta in contrasto con al disciplina urbanistica, possa chiedere,
trattandosi di atto illecito, il risarcimento del danno. La riduzione in pristino, ovvero la demolizione,
può essere richiesta solo in violazione delle norme dettate dal codice in materia di distanze. Il
criterio seguito dal codice è quello della prevenzione temporale ossia chi costruisce per primo
condiziona le possibilità edificatorie vicine.
Quando si costruisce si può scegliere se costruite rispettando la metà della distanza prescritta,
costruire ad una distanza inferiore o addirittura sul confine:
- se la prima costruzione è a un metro e mezzo dal confine, i vicino dovrà rispettare la distanza
legale tra le costruzioni
- se la costruzione è stata fatta sul confine, però il proprietario ha la scelta di arretrare a tre metri
dal confine, ovvero avanzare la propria costruzione fino al confine, chiedendo la comunione
forzosa del muro, previo pagamento della metà del relativo valore, ovvero costruendo in
aderenza.
- se il muro è stato costruito ad una distanza inferiore alla metà da quella legale, ma non sul
confine, il vicino può chiedere di avanzare verso la costruzione altrui, chiedendo la comunione
del muro o costruendo in aderenza.
Regimi peculiari sono dettati per muri di cinta, muri divisori e utilizzazione del muro comune. Altre
disposizioni prevedono le distanze da osservare per opere diverse dalle costruzioni e per le
piantagioni. Importante risulta l'art. 890, che impone per manufatti o depositi di sostanze nocive o
pericolose l'osservanza della distanza per preservare i fondi vicini. Minutamente è disciplinata poi
la distanza da osservare per piantare siepi ed alberi prevedendo la relativa estirpazione in caso di
piantagione a distanza inferiore da quella prescritta. Si tratta ancora poi la disciplina relativa alle
luci e vedute. Luci sono le aperture che consentono il passaggio di luce ed aria, ma non affacciano
sul fondo vicino. Vedute sono le aperture che permettono di affacciarsi e guardare di fronte,
obliquamente o lateralmente. L’apertura di luci non deve rispettare distanze potendosi esse aprire
anche sul muro posto sul confine. Le luci possono essere chiuse ad iniziativa del vicino ove
sussistano le condizioni per acquistare la comunione del muro o per costruire in aderenza. Le vedute
possono essere aperte solo ad una distanza di un metro e mezzo dal fondo vicino. Il carattere di
veduta risulta rilevante in quanto determina le conseguenze in ordine alla distanza delle costruzioni.
In caso di apertura di vedute abusive, il proprietario del fondo pregiudicato può esercitare l'azione
negatoria. Dell'opera che violi il diritto di veduta può essere richiesta la rimozione o la
modificazione. Circa lo stillicidio, vale il principio per cui il proprietario deve costruire i tetti in
modo che le acque piovane scolino sul suo terreno e non su quello altrui (art. 908).
Quanto alle acque “ tutte le acque superficiali e sotterranee, ancorché non estratte al sottosuolo,
sono pubbliche”.
8. Proprietà agraria. - Anche la proprietà della terra è considerata, nella Costituzione e nelle leggi
ordinarie, come un problema che coinvolge interessi pubblici fondamentali: lo “sfruttamento
razionale del suolo” e gli “equi rapporti sociali” sono, secondo l’art. 44, comma 1°, Cost., gli
obiettivi finali, cui la legge deve tendere anche fissando limiti e vincoli e imponendo obblighi ai
proprietari, limitando l’estensione della proprietà, promuovendo o imponendo la bonifica delle
terre, la trasformazione del latifondo, ecc.
Il Codice Civile prevede, in tre sezioni (artt. 846-868) alcuni interventi di questo tipo: fissa la
“minima unità colturale”, cioè un’area minima da non dividere nemmeno in caso di successione
ereditaria (artt. 846 e ss.); prevede l’obbligo di esecuzione di opere per i proprietari di terreni
dichiarati soggetti a bonifica (artt. 857 e ss.), o sottoposti a vincoli per scopi idrogeologici (artt. 866
e ss.); in particolare, sia per scopi di bonifica che di difesa fluviale, i proprietari possono essere
riuniti obbligatoriamente in consorzi, che sono persone giuridiche pubbliche, il cui scopo è
provvedere all’esecuzione, alla manutenzione e all’esercizio delle opere necessarie (artt. 857, 868).
La disciplina della proprietà agricola, però, è influenzata soprattutto dalla disciplina dei contratti
agrari, cioè dei contratti tra il proprietario e l’imprenditore, grande o piccolo, che lavora la terra.
9. Proprietà edilizia. Come abbiamo più volte ribadito il proprietario può disporre del suo bene
nella maniera che ritiene più opportuna.
In certi casi, tuttavia, la natura del bene limita fortemente alcune sue facoltà, e ciò è in particolar
modo evidente nel caso di proprietà edilizia.
Il codice civile, infatti, agli artt. 869 e ss. pone una serie di limiti al potere del proprietario di
costruire e riedificare, o modificare le costruzioni esistenti.
Queste diverse esigenze sono protette da norme (c.d. norme di edilizia) che derivano da varie fonti.
Schematicamente, si possono elencare:
- il Codice Civile, che agli artt. 873 e ss. disciplina le distanze tra le costruzioni, e nelle sezioni
seguenti contiene norme che interessano l’edificazione, come quelle relative alle luci e vedute;
- le leggi speciali che stabiliscono regole da osservarsi nelle costruzioni (come ad es.: le norme
antisismiche, le norme di tutela ambientale etc);
- il piano regolatore, e precisamente il piano regolatore generale (P.R.G.) approvato dal Comune e
dalla Regione, e il piano regolatore particolareggiato (P.R.P.) predisposto sulla base dei criteri
generali stabiliti nel P.R.G. e dei limiti inderogabili fissati dalle leggi speciali;
- i regolamenti edilizi comunali, cui fa rinvio lo stesso art. 871.
Il limite fondamentale consiste nel rispetto dei piani regolatori, che molto spesso possono anche
negare o limitare in maniera incisiva la facoltà di costruire o modificare preesistenti costruzioni.
Il piano prevede quali aree possono essere destinate alla edificazione, quali devono essere
mantenute a verde, quali devono essere destinate a pubblici servizi (scuole, parchi, uffici, chiese,
posteggi, ecc.); stabilisce inoltre quali caratteri dovranno avere le zone edificabili, con quali criteri e
con che vincoli (di altezza, volume, area a giardino o cortile ecc.) si dovrà costruire. Ricordiamo,
inoltre, che in generale il potere di costruire, il c.d. ius aedificandi, è subordinato al rilascio di una
concessione edilizia che è il provvedimento attraverso il quale l'autorità comunale consente che si
realizzino le trasformazioni edilizie richieste.
Il d.p.r. 380/2001 (art. 10) ha poi provveduto all'eliminazione della figura della concessione,
sostituendola con quella del "permesso di costruire".
CAPITOLO 2
ACQUISTO E TUTELA DELLA PROPRIETÀ
1. Modi di acquisto. - L’art. 922 c.c, traccia i modi di acquisto della priorità. La proprietà si
acquista per occupazione, per invenzione, per accessione, per specificazione, per unione o
commistione, per usucapione, per effetto di contratti, per successione a causa di morte e negli altri
modi stabiliti dalla legge.
L'art. 922 riportato in tabella elenca i diversi modi di acquisto della proprietà, senza, però, indicarli
in modo tassativo (infatti la proprietà si acquista anche"negli altri modi stabiliti dalla legge").
Prima di analizzare singolarmente le diverse ipotesi previste dal codice civile, possiamo distinguere
i modi di acquisto della proprietà in due categorie:
- modi di acquisto a titolo originario
- modi di acquisto a titolo derivativo
Nei modi di acquisto a titolo derivativo si verifica una successione nel diritto che è trasmesso da un
soggetto ad un altro, mentre in quelli a titolo originario si diviene (o è come se si divenisse)
proprietario per la prima volta.
Di conseguenza l'acquisito a titolo originario è più certo rispetto a quello derivativo, per la semplice
ragione che in quest'ultimo caso la situazione giuridica trasmessa potrebbe non essere quella che
appare; potrebbe accadere, infatti, che si acquisisca il diritto da chi non è proprietario, e poiché non
si può trasmettere quello che non si ha, il nuovo presunto proprietario non avrà in realtà acquisito
alcun diritto.
A ciò consegue la difficoltà della prova del diritto di proprietà quando il soggetto non possa
dimostrare di aver compiuto un acquisto a titolo originario. In caso di acquisto a titolo derivativo,
infatti, non è sufficiente la dimostrazione dell'idoneità del titolo del proprio acquisto, ma occorre a
che la dimostrazione del titolo di acquisto del soggetto dante causa e via via ininterrottamente fino
ad un acquisto a titolo originario. Si parla della cosiddetta probatio diabolica. Vediamo, quindi, uno
per uno i modi di acquisto della proprietà a titolo originario indicati dal codice, mentre di quelli a
titolo derivativo (contratti e successioni) ce ne occuperemo in seguito. Nell'elenco non è compresa
l'usucapione, non perché non sia un modo di acquisto a titolo originario, ma perché ce ne
occuperemo in occasione dello studio del possesso.
4. Accessione. - L’accessione può essere intesa come l'acquisto della proprietà in conseguenza
dell'unione di altre cose alla propria. Si dispone in base all'art. 934 c.c. che qualunque piantagione,
costruzione od opera esistente sopra o sotto il suolo appartiene al proprietario di questo, salvo
quanto è disposto dagli articoli 935, 936, 937 e 938 e salvo che risulti diversamente dal titolo o
dalla legge in generale, e salve le ipotesi previste dallo stesso articolo 934, il suolo attrae tutto ciò
che vi è sopra incorporato.
In altre parole il proprietario del suolo è proprietario anche dei beni che lì si trovano, siano essi
mobili o immobili, il termine accessione, infatti, deriva dal latino "accessio" e tradotto significa
accrescimento, aggiunta, elemento accessorio. Con l'accessione, quindi si verifica un accrescimento
di una cosa a scapito di un'altra, e in genere ciò accade a favore del suolo per tutto quello che vi
trova. In realtà non tutto quello che si trova sul suolo diviene del proprietario del fondo, ma solo
quello che vi è incorporato (stabile) , come, appunto, le piantagioni, le costruzioni e le altre opere
che si trovino sopra (ma anche sotto) il suolo. L’acquisto è definitivo.
Le eccezioni al principio dell'accessione sono elencate nello stesso articolo 934 e si riferiscono ai
casi dell'art. 935 (opere fatte dal proprietario del suolo con materiali non suoi), 936 (opere eseguite
dal terzo con materiali propri), 937 (opere eseguite dal terzo con materiali altrui) e 938 che si
riferisce al fenomeno della cosiddetta accessione invertita. Riportiamo il testo dell'art. 938: “Se
nella costruzione di un edificio si occupa in buona fede una porzione del fondo adiacente, e il
proprietario di questo non fa opposizione entro tre mesi dal giorno in cui ebbe inizio la costruzione,
l'autorità giudiziaria, tenuto conto delle circostanze, può attribuire al costruttore la proprietà
dell'edificio e del suolo occupato. Il costruttore è tenuto a pagare al proprietario del suolo il doppio
del valore della superficie occupata, oltre il risarcimento dei danni”. Come si vede in questo caso, di
natura eccezionale, è il costruttore dell'edificio che diviene (o almeno può divenire) proprietario del
suolo e dello stesso edificio, mentre secondo i normali principi dell'accessione dovrebbe essere il
proprietario del suolo a divenire proprietario della costruzione fatta sul suo terreno.
6. Azioni a difesa della proprietà. Azione di rivendicazione. - Il codice disciplina quattro azioni:
l’azione di rivendicazione, l’azione negatoria, l’azione di regolamento dei confini, l’azione per
apposizione di termini. Tali azioni sono definite petitorie, in quanto caratterizzate dalla esperibilità
nei confronti di chiunque vi interferisca con l’esercizio del diritto reale sulla cosa. Sono le azioni a
difesa della proprietà, lunghe e complesse, assicurano un accertamento definitivo della posizione
del proprietario
Vi sono poi altre due azioni riconosciute al proprietario, al titolare di altro diritto reale di godimento
su cosa altrui e al possessore: la denunzia di nuova opera e la denunzia di danno temuto (azioni di
nunciazione).
Fondamentale è l'azione di rivendicazione disciplinata dall'art. 948 essa può essere esercitata dal
proprietario nei confronti di chiunque possieda o detenga la cosa, al fine di ottenerne la restituzione.
Come tale essa rappresenta il prototipo dell’azione reale. Questa azione è quindi possibile solo per
chi, affermandosi proprietario (legittimato attivo), non solo vuole che si accerti questa sua qualità,
ma vuole anche che la cosa sia recuperata da chi la detiene o possiede. Si tratta, quindi, di un
proprietario che ha perso o non è riuscito mai a conseguire il possesso del bene. L’azione di
rivendicazione è imprescrittibile, ma il proprietario potrebbe comunque non riuscire a raggiungere il
suo scopo per effetto dell'usucapione che ha fatto acquistare il diritto ad altri. L’art. 948 precisa
anche che se il convenuto, dopo la domanda, e quindi nel corso del giudizio, abbia cessato di
possedere o detenere la cosa, cercando di sottrarsi all'obbligo di restituzione o cedendola ad altri,
l'azione può essere perseguita nei suoi confronti e costui resta obbligato a recuperare la cosa o in
mancanza a corrispondere al proprietario il valore oltre che a risarcirgli il danno. Se peraltro il
proprietario riesce a conseguire ugualmente la restituzione della cosa direttamente dal nuovo
proprietario è tenuto a restituire al precedente possessore o detentore, la somma ricevuta in luogo di
essa. La prova richiesta all’attore per la dimostrazione della proprietà si presenta difficile, almeno
ove costui non possa dimostrare di avere acquistato a titolo originario e, per far questo, sarà
necessario provare che il vecchio proprietario aveva ricevuto il diritto da chi era effettivamente
proprietario e così di seguito, in una catena di prove che dovrebbe giungere al primo ed
incontestabile proprietario da cui è sorto a titolo originario il diritto di proprietà in contestazione nel
processo (probatio diabolica).
Per evitare la probativo diabolica se si tratta di bene mobile gli basterà provare il possesso in buona
fede ex art. 1153 c.c.;se si tratta di bene immobile dovrà provare di aver acquistato a titolo
originario anche mediante usucapione (ventennale o decennale).
7. Altre azioni a tutela della proprietà. - L’azione negatoria è il rimedio concesso al proprietario
che intende far accertare l'inesistenza dei diritti affermati da altri sulla cosa. Se sussistano anche
turbative o molestie ne può chiedere la cessazione oltre che l'eventuale risarcimento. L’azione è
imprescrittibile. A differenza dell'azione di rivendicazione il proprietario non dovrà ricorrere alla
probatio diabolica per dimostrare l'esistenza del suo diritto bastando che dimostri di averlo ottenuto
in base ad un valido titolo d'acquisto.
L’azione di regolamento di confini è stabilita dall’art. 950: “quando il confine di due fondi è incerto,
ciascuno dei proprietari può chiedere che sia stabilito giudizialmente”. E’ammessa ogni prova. In
mancanza di elementi il giudice ripiega sulle mappe catastali.
Mentre con l'azione precedente si tende ad eliminare una situazione di incertezza in ordine ai
confini del fondo con l'azione di apposizione di termini ciascuno dei proprietari, se i termini tra
fondi contigui mancano o sono divenuti irriconoscibili, ha diritto di chiedere che siano apposti o
ristabiliti a spese comuni. Tale azione presuppone la certezza dei confini ma mancanza di segni che
li attestino con chiarezza. (pali). È un'azione duplice in quanto può essere intestata
indifferentemente da una qualunque dei proprietari dei fondi contigui e l'interesse che tende a
soddisfare è comune.
8. Azioni di nunciazione. - Tali azioni competono al proprietario (pur non in possesso del bene), al
titolare di altro diritto reale di godimento su cosa altrui e al possessore. Tali azioni sono due:
denuncia di nuova opera e denunzia di danno temuto. Sono azioni cautelari, indirizzate a prevenire
il pericolo di danni derivanti da opere intraprese o da cose esistenti su altri fondi.
Con la denunzia di nuova opera chi abbia ragione di temere che da una nuova opera, intrapresa sul
fondo proprio o altrui, sia per derivare danno a una sua cosa può denunziare all’autorità giudiziaria
la nuova opera, purché non sia terminata e non sia trascorso un anno dal suo inizio (art. 1171). Non
occorre che si verifichi un danno ma basta un timore ragionevole che esso si verifichi. A seguito di
una sommaria cognizione l'autorità giudiziaria può vietare la continuazione dell'opera. Il legislatore
allude alla prestazione di una cauzione pecuniaria da parte di chi abbia avuto provvisoriamente
ragione.
Con la denunzia di danno temuto chi abbia ragione di temere che da qualsiasi edificio, albero o altra
cosa derivi il pericolo di un danno grave e prossimo ad una sua cosa può denunziare il fatto
all’autorità giudiziaria e ottenere che si provveda per ovviare al pericolo (art. 1172). Tale azione non
presume come la precedente un'attività di trasformazione della situazione dei luoghi, bensì una
situazione dei luoghi dalla quale si ha ragione di temere danno ove non si intervenga su di essa. Il
giudice dispone di ampi potere di scelta per far cessare la situazione di pericolo (es. abbattimenti,
demolizioni, ecc.). Non è posto alcun termine per l'esperibilità dell'azione in questione la quale può
essere esercitata finché perduri il pericolo che ne costituisce il presupposto.
CAPITOLO 3
DIRITTI REALI DI GODIMENTO SU COSA ALTRUI
1. La categoria. La tutela. - I diritti reali fanno parte della categoria dei diritti assoluti (come il
diritto al nome), ma si differenziano dagli altri diritti assoluti perché hanno ad oggetto cose.
Nell'ambito della categoria dei diritti assoluti, distinguiamo i diritti reali che sono diritti assoluti su
una cosa, una res, da cui derivano il nome.
Caratteristiche:
- assolutezza: possono essere fatti valere nei confronti di tutti i consociati sui quali incombe solo
un generico dovere di astensione;
- immediatezza: il titolare realizza il diritto direttamente senza che sia necessaria la collaborazione
di altri soggetti, come accade nei diritti di credito
- tipicità: i diritti reali sono solo quelli previsti dalla legge. Costituiscono, quindi, una categoria di
diritti composta da un numero chiuso
- i diritti reali di godimento su cosa altrui comprimono il diritto di proprietà con una intensità
diversa secondo il tipo di diritto. La compressione del diritto di proprietà può essere massima in
alcuni casi, come nell'ipotesi dell'usufrutto. I diritti reali di godimento sono: superficie, enfiteusi,
usufrutto, uso e abitazione e servitù.
N.B. : il diritto ad edificare si estingue per prescrizione ventennale per non uso, a differenza della
proprietà superficiaria, che è imprescrittibile.
3. Enfiteusi. - L’istituto della enfiteusi, di origine romana, molto diffuso per lo sfruttamento del
latifondo, fu radicalmente escluso dal code civil il quale vi vedeva il residuo di una organizzazione
economico-produttiva da superare. Fu disciplinato invece, seppur con un certo sfavore dal codice
civile del 1865. Il c.c. non definisce l’enfiteusi, pur regolando minuziosamente i vari aspetti di tale
rapporto. Non è finalizzata esclusivamente all’assetto produttivo di fondi rustici, ma può avere ad
oggetto anche fondi urbani per assicurarne lo sfruttamento edilizio.
Il proprietario (concedente) cede il godimento di un immobile ad un altro soggetto (enfiteuta), che
acquista su di esso facoltà e poteri corrispondenti a quelli spettanti al proprietario, con l’obbligo di
migliorare il fondo e di pagare un canone.
L’art. 959 riconosce all’enfiteuta “gli stessi diritti che avrebbe il proprietario” su frutti, tesoro e
sottosuolo. Non c'è da meravigliarsi che ci sia da sempre materia di discussione sul fatto che il
proprietario possa essere identificato nel concedente o nell'enfiteuta, ambedue definiti come veri
titolari di un dominio sulla cosa.
La durata può essere perpetua o temporanea. La minima è fissata a 20 anni. L'enfiteuta ha
innanzitutto l'obbligo di migliorare il fondo, obbligo considerato strettamente connesso con la
funzione economica dell'istituto. L’enfiteuta può pagare il canone o con una somma di denaro o in
una quantità fissa di prodotti naturali senza modificazioni. Tale canone è considerato come ipotesi
di onere reale.
L’enfiteusi può essere costituita per contratto o testamento. Nel caso di contratto l'enfiteusi richiede
la forma scritta, pena la nullità, ed è soggetta a trascrizione.
L’enfiteuta può disporre del proprio diritto sia per atto tra vivi che per testamento (965). Nell'atto
costitutivo può essere pattuito il divieto di cessione per atto tra vivi per un tempo non maggiore di
venti anni.
Nell’ipotesi di alienazione del proprio diritto da parte dell’enfiteuta, il nuovo enfiteuta resta
obbligato in solido col precedente per il pagamento dei canoni non soddisfatti (967). Non è
ammessa la subenfiteusi (968). Il concedente ha diritto di richiedere la ricognizione del proprio
diritto a chi si trova nel possesso del fondo enfiteutico un anno prima del compimento del ventennio
(969), per evitare l’usucapione.
Cause di estinzione:
- decorso del termine eventualmente stabilito,
- perimento totale del fondo nonché la prescrizione per uso non protratto per 20 anni.
Alla cessazione dell’enfiteusi, all’enfiteuta sono dovuti rimborsi per i miglioramenti apportati al
fondo e per le addizioni fatte (975).
Nello schema dell’enfiteusi, assumono un ruolo centrale, quali modi di cessazione del rapporto
l’affrancazione e la devoluzione.
- il diritto di affrancazione (o riscatto) è il potere dell’enfiteuta di conseguire la proprietà del
fondo, mediante la corresponsione al concedente di una somma di danaro. Se esercitata
consensualmente richiede la forma scritta. Ai sensi dell’art. 972, l’affrancazione prevale
attualmente in ogni caso sulla devoluzione. Esso può essere fatto valere indipendentemente da
qualsiasi considerazione della pregressa durata del rapporto o dall’effettuazione dei
miglioramenti. L’enfiteuta paga una somma pari a 15 volte il canone annuo (art. 1 comma 4 l. n
607\66) (art. 971 c.c.). L'atto di affrancazione costituisce un diritto potestativo contro il quale il
proprietario non può opporsi;
- diritto di devoluzione: art. 972, potere di far cessare il rapporto di enfiteusi sul fondo. Esercitato
in via giudiziale, è un diritto potestativo giudiziale. Può essere chiesta quando l’enfiteuta
deteriora il fondo o non lo migliora e se l’enfiteuta è in mora nel pagamento di due annualità del
canone.
4. Usufrutto. - È il diritto reale che permette all'usufruttuario di godere della cosa e di trarne ogni
utilità rispettando, però, la destinazione economica del bene.
L'usufrutto è un altro diritto reale che limita in maniera quasi completa le facoltà del proprietario sul
bene.
Da questo punto di vista è simile all'enfiteusi, ma da questa se ne distingue perché l'usufruttuario
deve rispettare la destinazione economica del bene e non ha alcun obbligo di miglioramento.
Aggiungiamo, poi, che non è previsto alcun diritto di affrancazione in suo favore.
Anche con queste differenze, tuttavia, le facoltà del proprietario sono totalmente compresse, tanto
che per indicare il suo diritto di parla di "nuda proprietà" ovvero il valore dell'immobile decurtato
dell'usufrutto. Il nudo proprietario è chi ha il diritto di proprietà su un immobile ma non ha il diritto
di goderne l'uso.
Il proprietario può però vendere la sua nuda proprietà, o costituirvi pegno o ipoteca.
L'usufrutto si distingue dall'enfiteusi anche per i beni che ne possono costituire l'oggetto. Mentre
l'enfiteusi ha per oggetto solo beni immobili, l'usufrutto può avere oggetto anche beni mobili, titoli
di credito (come le azioni), ma anche aziende, universalità prodotti dell'ingegno oltre a, ovviamente,
ai beni immobili.
In genere tale diritto ha ad oggetto beni inconsumabili, ma può esserci usufrutto anche su beni
consumabili (art. 995 c.c.).
In questo caso l'usufruttuario non potrà certo restituire la stessa cosa ricevuta (pensiamo che oggetto
dell'usufrutto siano delle caramelle) ma un'altra di uguale quantità o qualità o pagare il valore del
bene.
Esso si costituisce:
- per legge; ex art. 324 c.c. i genitori esercenti la responsabilità genitoriale hanno in comune
l'usufrutto dei beni del figlio;
- per atto tra vivi, ma se ha ad oggetto beni immobili richiede la forma scritta a pena di nullità ( n.
2 art. 1350 c.c.);
- per testamento, ma non è ammesso l'usufrutto successivo, mentre è possibile l'usufrutto
congiuntivo a favore di più persone. In questo caso l'usufrutto durerà sino alla morte di chi tra gli
usufruttuari sarà sopravvissuto agli altri;
- per usucapione al pari di tutti i diritti reali (art. 1158 c.c.).
In merito alla durata, l'art. 979 c.c. ci chiarisce che questo non può eccedere la durata della vita
dell'usufruttuario, e che, di conseguenza, non può essere perpetuo. Se è costituito a favore delle
persone giuridiche non può eccedere trenta anni.
Visto il modo come si costituisce il diritto, analizziamone il contenuto che si sostanzia nei diritti e
negli obblighi dell'usufruttuario e del proprietario. Cominciamo con l’usufruttuario:
- ha il generale diritto di godere della cosa, cioè di usarla nel modo che riterrà più opportuno, ma
non può mutarne la destinazione economica né venderla poiché non ne è il proprietario;
- ha il diritto di fare suoi i frutti naturali e civili (art. 984 c.c.);
- ha il diritto di conseguire il possesso della cosa oggetto del diritto (art. 981 c.c.) ma solo se prima
fa l'inventario dei beni e presta idonea garanzia al proprietario(art. 1002 c.c.);
- può cedere il suo diritto ( art. 980 c.c.) ma solo se non è vietato dal titolo costitutivo;
- può locare il bene o accendervi ipoteca. La locazione perdura anche dopo la cessazione
dell'usufrutto ma solo se stipulata per atto pubblico o per scrittura privata con data certa anteriore
a detta cessazione (art. 999 c.c.).
5. Uso e abitazione. - Per quanto riguarda l'uso si tratta di un diritto reale dal contenuto più limitato
dell'usufrutto perché attribuisce al suo titolare il potere di servirsi del bene e, nel caso sia fruttifero,
di raccoglierne i frutti, ma solo per quanto occorre per i bisogni suoi e della sua famiglia. I poteri
dell'usuario sono ben più limitati di quelli dell'usufruttuario. Anche l'usuario, infatti, può, al pari
dell'usufruttuario, servirsi della cosa, usarla, ma, a differenza di questo, può percepire i frutti solo
per quanto occorre per i bisogni suoi e della sua famiglia. Aggiungiamo, poi, che non può
appropriarsi dei frutti civili, cedere il diritto o dare in locazione il bene. Possono essere costituiti per
contratto, attraverso la forma scritta e la trascrizione per quanto concerne l'abitazione e l'uso dei
beni immobili, e testamento essendo ammessa anche l'usucapione.
Per l'abitazione i poteri del titolare del diritto sono ancora più limitati.
Chi ha il diritto di abitazione di una casa può abitarla limitatamente ai bisogni suoi e della sua
famiglia. Anche per l'abitazione vige il divieto di cessione e di locazione, ma in entrambi i casi vi è
l'obbligo delle riparazioni ordinarie, alle spese di coltura (per l'usuario), al pagamento dei tributi
come l'usufruttuario.
6. Servitù prediali. Caratteri e tipologia. - Le servitù hanno mantenuto, nel codice civile vigente,
la loro storica qualificazione come prediali, in quanto la relativa titolarità si ricollega alla proprietà
su un fondo (praedium).
Art. 1027 “la servitù prediale consiste nel peso imposto sopra un fondo, detto fondo servente, per
l’utilità di un altro fondo, detto fondo dominante, appartenente a diverso proprietario”. Notiamo che
il codice civile non parla di proprietari, ma di fondi( fondo servente, gravato dal peso e dominante,
destinato a godere dell’utilità), volendo porre l'accento sul fatto che il diritto riguarda dei fondi, e le
utilità che se ne traggono sono oggettive dei fondi considerati e non dei singoli proprietari. Ad una
compressione delle facoltà del proprietario del fondo servente, corrisponde, quindi, una utilità del
fondo dominante. Si tratta di un vero e proprio diritto reale di godimento su cosa altrui, in quanto al
titolare è riconosciuto sul fondo di proprietà altrui l’esercizio di facoltà di godimento, per trarne una
determinata utilità. L'utilità può consistere "anche "nella maggiore comodità o amenità del fondo
dominante. Può del pari essere inerente alla destinazione industriale del fondo. L’utilità deve essere
oggettiva e durevole. L’art. 1029 consente che la servitù sia costituita per assicurare al fondo un
vantaggio futuro (potenziale). I fondi devono essere necessariamente vicini. Quale qualità del
fondo, la servitù non può essere trasmessa separatamente. Art. 1071, se il fondo è diviso, la servitù
spetta ad ogni porzione per l’intero. Cosa deve fare il proprietario del fondo servente? Nulla,
potremmo rispondere (art. 1030 c.c.). Il proprietario del fondo servente deve solo sopportare il peso
sul suo fondo. È vero però che al proprietario del fondo servente spetterà un corrispettivo per la
servitù, e che potrebbe anche impegnarsi (o essere obbligato per legge) a prestazioni accessorie. In
questo caso non può liberarsi delle spese necessarie per l'uso o per la conservazione della servitù, se
non cedendolo al proprietario del fondo dominante (art. 1070 c.c.).
Ma vi può essere servitù a vantaggio di un soggetto piuttosto che di un fondo?
No, perché la servitù riguarda solo fondi e se per, esempio, mi accordo con una persona affinché
passi sul mio fondo per andare a pescare, questo non darà luogo a servitù, ma vi saranno solo effetti
obbligatori. Si parla, in questi casi, di "servitù irregolari" proprio perché manca la caratteristica
della predialità (praediàlis, dal latino medievale: che riguarda un fondo).
Nella disciplina delle servitù risulta possibile operare talune distinzioni di fondo tra le servitù.
- La prima distinzione è tra servitù apparenti non apparenti fondata sul l'esistenza o meno di opere
visibili e permanenti destinate all'esercizio della servitù. Per quanto riguarda la servitù apparente
l'opera deve consistere in segni materiali che ne denotano l'esistenza della servitù. Esempio
strada, ponte, balcone ecc. Le servitù non apparenti sono servitù come quelle di pascolo, di
passaggio, di non edificare o di non sopraelevare. Le opere visibili devono essere tali dal fondo
servente, ma non trovarsi necessariamente su di esso;
- Distinguiamo ancora servitù continue e discontinue. Per le prime non è necessario il fatto
dell'uomo in quanto vi sono delle opere permanenti per il loro esercizio. Servitù discontinue,
quelle per cui è necessaria un attività umana. Ai fini della prescrizione, infatti, se una servitù è
discontinua la prescrizione inizia a correre dall'ultima attività eseguita dall'uomo, dall'ultima
passeggiata; nell'altra ipotesi sino a quando l'acquedotto è in attività, non vi sarà mai inizio della
prescrizione (art. 1073 c.c.).
- Servitù positive e negative. Nelle prime il proprietario del fondo servente deve sopportare
l'attività del fondo dominante. Il comportamento del proprietario del fondo servente si sostanzia
in un "pati" , in una sopportazione. Servitù negative, quelle in cui il comportamento del
proprietario del fondo servente si sostanzia in un non fare, come la servitù di non soprelevare.
7. Servitù coattive (o legali). - Sono denominate servitù coattive o legali quelle che possono essere
imposte al proprietario di un fondo, a prescindere dal suo consenso. Secondo l’art. 1032, quando, in
forza di legge, il proprietario di un fondo ha diritto di ottenere la costituzione di una servitù a carico
di un altro fondo, ove il proprietario di questo non vi consenta, la servitù è costituita con una
sentenza. La sentenza determina l’indennità dovuta al proprietario del fondo servente, quale
compenso per la perdita di valore che il fondo stesso subisce. In presenza delle condizioni previste
dalla legge sorge il diritto potestativo di chiedere la costituzione della servitù, che verrà ad esistenza
solo in conseguenza di un contratto tra i proprietari dei fondi, ovvero una sentenza pronunciata su
domanda dell’interessato. Estinzione. Se il diritto alla loro costituzione si ricollega ad una necessità,
quando essa venga meno la legge ne consente la soppressione su istanza della parte interessata. Essa
avviene, in mancanza di accordo, con sentenza.
Servitù di passaggio coattivo: quando un fondo è circondato da un fondo altrui e non abbia accesso
alla via pubblica. Il passaggio è stabilito nella parte in cui la distanza sia minore. Sono esenti dal
passaggio le case, i cortili, le aie e i giardini ad esse adiacenti. Anche per transito di veicoli.
8. Servitù volontarie. - La loro costituzione può avvenire a titolo derivativo, per contratto (forma
scritta e trascrizione) o per testamento, me se il bene appartiene a più comproprietari c'è bisogno del
consenso di tutti (art. 1059 c.c.). L’acquisto può avvenire, limitatamente alle servitù apparenti, per
usucapione e destinazione del padre di famiglia. L'usucapione è espressamente prevista quale modo
di acquisto, a titolo originario, delle servitù apparenti è opera secondo le regole generali dell'istituto.
Destinazione del padre di famiglia: In questo caso un proprietario costituisce delle opere sul suo
fondo, una strada asfaltata, per esempio, tali da essere utili per una porzione del fondo rispetto ad
un'altra. Ebbene se queste opere sono permanenti e visibili e se il fondo viene diviso e venduto a
due (o più) soggetti diversi, basterà dimostrare che il proprietario ha lasciato le cose in maniera
corrispondete all'esistenza di una servitù che questa, in assenza di una diversa volontà del vecchio
proprietario, è costituita. La servitù si costituisce, quindi, se si verifica la situazione prevista dalla
legge, senza che vi sia una specifica manifestazione di volontà e senza che nemmeno vi sia una
sentenza. La servitù non può essere unilateralmente modificata. Estinzione avviene per confusione
(art. 1072), prescrizione per non uso ventennale (1073), impossibilità di uso e mancanza di utilità
(1074).
9. Usi civici e proprietà collettive. - Ai diritti reali su cosa altrui possono essere accostati gli usi
civici. Essi consistono in diritti spettanti su proprietà altrui agli appartenenti a determinate
collettività di persone. La facoltà di godimento su proprietà private o pubbliche sono riconosciute al
singolo soggetto in quanto membro di una comunità legata ad un territorio. Si tratta di facoltà di
godimento che si ricollegano a una organizzazione della società e della economia in larga misura
non più attuale. Si pensi al diritti degli appartenenti a una frazione comunale di raccogliere legna
corta in boschi o di pascolare greggi in appezzamenti determinati. Tali diritti rappresentano una
persistente limitazione gravante su taluni fondi, soprattutto in alcune zone del paese. Sono
inalienabili e imprescrittibili, ma si tende ad eliminarli, consentendo la liberazione dei fondi da essi
gravati mediante il pagamento di somme di denaro da destinare a beneficio delle comunità che ne
risultano ancora titolari. Il riordino e la conseguente liquidazione degli usi civilistici risultano
perseguiti attraverso l'istituzione di appositi organi cui siano stati attribuiti ampi poteri in materia.
10. Onere reale. - L’onore reale consiste in un vincolo gravante su un bene immobile, in virtù del
quale chi si trova nel relativo godimento è tenuto ad eseguire una prestazione periodica a favore di
un altro soggetto. Caratteristica dell’onere reale è l’immediatezza quale potere del titolare di
soddisfarsi sulla cosa indipendentemente dalle vicende relative ai diritti che la concernono con il
conseguente possibile esercizio di un'azione reale. Il carattere reale del vincolo viene ricollegato
anche al peculiare modi di presentarsi della responsabilità di chi si trovi a godere del bene che ne è
gravato. Costui risponde pure delle prestazioni maturare precedentemente all'instaurazione del suo
rapporto col bene stesso.
CAPITOLO 4
COMUNIONE E CONDOMINIO
2. Condominio negli edifici. - Il c.c. ha dettato una disciplina dettagliata per il condominio negli
edifici. Sono oggetto di proprietà comune tutto ciò che forma il condominio. Ciascuno ha la
proprietà individuale di un piano o porzione di piano ed è allo stesso tempo contitolare della
proprietà delle parti comuni dell'edificio. Sono oggetto di proprietà comune, il suolo, le fondamenta,
i muri maestri, i pilastri e le travi, i porticati, i cortili, il tetto, le aree destinate al parcheggio, ecc.
Proprio per questo carattere funzionale si tratta di una comunione forzosa. Ciascun condomino, può
servirsi di tali parti comuni, ma non può chiedere la divisione. Il diritto di ciascun condomino su tali
cose è proporzionato al valore del piano o al valore della porzione di piano che gli appartiene. Egli
non può rinunciare al suo diritto sulle parti comuni e sottrarsi al contributo per le spese della
relativa conservazione. E’ prevista la presenza di un amministratore qualora i condomini siano più
di 8. All’amministratore compete la rappresentanza dei partecipanti e può agire in giudizio sia
contro i condomini sia contro i terzi. Se i condomini sono più di 10 c’è l’obbligatorietà della
formazione di un regolamento condominiale che contempli le norme per l'uso della cosa comune e
per la ripartizione delle spese. Al regolamento condominiale è rimandata la determinazione del
valore rispettivo delle proprietà individuali ai fini del concorso nell'amministrazione e nella
sopportazione delle varie spese condominiali. Le norme del regolamento condominiale non possono
menomare i diritti di ciascun condominio, quali risultanti dagli atti di acquisto e dalle convenzioni.
L’organo collegiale del condominio, cui sono riconosciuti ampi poteri, è rappresentato
dall’assemblea dei condomini. Per la sua costituzione e per le sue deliberazioni il codice civile detta
una disciplina articolata fondata sulla concorrente rilevanza di due criteri:
- il valore complessivo dell’edificio;
- il numero dei partecipanti al condominio.
Tutti i condomini devono essere invitati alla riunione ed è richiesto un quorum, le maggioranze per
le deliberazioni sono diverse a seconda della decisione da discutere. Le deliberazioni in assemblea
sono obbligatorie per tutti i condomini ma ne è prevista l'impugnazione con ricorso all'autorità
giudiziaria da parte dei condomini dissenzienti o assenti entro 30 giorni. Sono impugnabili le
deliberazioni che incidono sui diritti individuali dei condomini. Le spese sono ripartite tra i
condomini in proporzione al valore della proprietà di ciascuno, con un diverso criterio nel caso di
cose destinate a servire condomini in misura differente e per le spese destinate a servire solo ad un
gruppo di condomini. Regole specifiche sono previste per la ripartizione delle spese relative alle
scale, ai soffitti, volte e solai. Il diritto di sopraelevare l'edificio è riservato al proprietario
dell'ultimo piano o a chi risulti proprietario esclusivo del lastrico solare previo indennizzo agli altri
condomini.
1. Nozione e fondamento. - L’art. 1140 c.c. afferma che “il possesso è il potere sulla cosa che si
manifesta in un'attività corrispondente all'esercizio della proprietà o di altro diritto reale”.
Da tale enunciato si deduce che l’ordinamento offre la sua tutela al soggetto non solo in quanto
titolare di una situazione soggettiva qualificabile come diritto, ma anche per i semplice fatto di
esercitare un potere sulla cosa, tenendo un comportamento corrispondente a quello che gli sarebbe
consentito dalla titolarità della proprietà (o altro diritto reale). Una certa tutela è accordata al
soggetto in quanto eserciti il potere di fatto sulla cosa, indipendentemente dalla incostanza che egli
sia o meno titolare di un diritto che legittimerebbe l’esercizio del potere: potrà esserlo o meno, ciò
non rileva ai fini del riconoscimento della tutela possessorio. E’ riconosciuto valore giuridico a
quella situazione di fatto che si manifesta in un'attività corrispondente all'esercizio della proprietà o
di altro diritto reale, in una parola, tutelando e attribuendo valore giuridico al possesso. Significa
che dal solo possesso scaturiscono conseguenze giuridiche che possono portare anche all'acquisto
del diritto, come accade nella usucapione. Per indicare questa complessa situazione di fatto e tutto
quello che ne consegue, si parla di "ius possessionis", un diritto, certo, ma un diritto a una tutela
provvisoria, destinato a cedere di fronte alla dimostrazione del vero diritto. Per questo motivo non
bisogna confondere lo ius possessionis con lo "ius possidendi" che è il diritto del proprietario a
possedere, diritto che esiste anche quando il proprietario non possiede, perché è stato spogliato del
possesso, o anche perché non lo ha mai conseguito, mentre non è concepibile che scaturiscano
effetti dal possesso quando questo non vi sia mai stato.
Il titolare del diritto in quanto abitualmente anche nel possesso della cosa, trova nella tutela
possessoria mezzi più efficienti per una più pronta tutela dei suoi interessi, senza dover sottostare
alle lungaggini della probatio diabolica per dimostrare il diritto di proprietà.
Ai fini della ora accennata distinzione delle possibili situazioni possessorie rispetto alla cosa, risulta
decisivo l’elemento intenzionale (animus). il quale si ritiene rappresentare, in via generale, uno dei
due elementi costitutivi del possesso (l’altro è individuato nel corpus, potere di fatto sulla cosa, cioè
nella relazione materiale con essa, che ne consente al soggetto la concreta disponibilità).
3. Oggetto e vicende. - Sono suscettibili di possesso tutte le cose aventi una realtà oggettivamente
percepibile. Sono considerate possibili oggetto di possesso, le sorgenti, le energie naturali, le onde
elettromagnetiche. Sono suscettibili di possesso le universalità di beni mobili ma si dubita
fortemente che possano esserlo i beni immateriali. E’ considerato senza effetto il possesso delle cose
di cui non può acquistarsi la proprietà.
L’acquisto del possesso può avvenire originariamente, con l’impossessamento, il quale si realizza
mediante l’apprensione materiale della cosa. L'apprensione della cosa per determinare gli effetti che
ne sono propri, richiede un profilo di consapevolezza e intenzionalità. E’ un atto giuridico in senso
stretto che richiede capacità giuridica. L’acquisto del possesso è escluso se la disponibilità di fatto
della cosa consegue atti di tolleranza altrui (art. 1144). L’acquisto del possesso, il più delle volte,
avviene in modo derivativo, attraverso la relativa trasmissione con la consegna (traditio), in cui si
ravvisa un atto giuridico in senso stretto. La consegna costituisce correntemente adempimento della
relativa obbligazione nascente da un contratto. Per avere acquisto del possesso, occorre che la cosa
sia posta nella effettiva disponibilità di fatto del soggetto. Ciò potrà avvenire materialmente, con
una consegna reale, o tramite consegna meramente simbolica (chiavi).
La consegna può avere anche carattere consensuale quando il possessore trasferisce ad un altro
soggetto il possesso conservando la detenzione della cosa. La perdita del possesso può avvenire,
oltre che per il perimento della cosa, perché il possessore ne viene privato da altri (spoglio), per
l’abbandono (derelictio) della cosa stessa o per la sua restituzione. Dato che l'effetto forse più
rilevante del possesso è legato alla sua persistenza nel tempo, risultano fondamentali le regole
previste con riferimento alla relativa dinamica temporale. Innanzitutto il possessore attuale che
abbia posseduto in tempo più remoto si presume avere posseduto anche nel tempo intermedio.
L'attuale possessore per vedersi riconosciuta la continuità del possesso non dovrà fornire prova di
avere posseduto in ogni momento potendo limitare a provare il possesso in un momento anteriore. È
previsto poi che il possesso attuale non faccia presumere il possesso anteriore. Per essere
considerato tale anche in precedenza, l'attuale possessore dovrà allora provare il possesso anteriore.
L’art. 1146 prevede che il possesso continua nell’erede con effetto della apertura della successione.
In caso di successione mortis causa viene automaticamente a crearsi una continuità tra il possesso
del defunto è quello dell'erede quasi che il secondo ne continui la persona. Il possesso in tal modo
continua nell'erede con i medesimi caratteri che contraddistinguevano il possesso del defunto. Esso
sarà considerato di buona o mala fede a seconda che tale fosse in capo a quest'ultimo,
indipendentemente dallo stato psicologico del successore. In caso di successione a titolo particolare,
il successore, per creare continuità del suo possesso con quello del dante causa può unire al proprio
possesso il possesso del suo autore per goderne degli effetti. Trattandosi di unire al suo possesso
quello del precedente possessore il soggetto dovrà avere conseguito effettivamente il possesso
stesso ottenendo la consegna della cosa dal dante causa o dall'erede. Se il nuovo possessore è in
buona fede al momento dell'acquisto del possesso, tale sarà considerato, anche se il possesso del suo
dante causa fosse stato in mala fede. Se il nuovo possessore acquista il possesso in mala fede, egli
non potrà invocarne la eventuale qualificazione di buona fede del possesso del suo dante causa.
4. Possesso di buona fede. - In ordine agli effetti che l’ordinamento ricollega alla situazione
possessoria, assume una rilevanza essenziale la relativa qualificazione sotto il profilo della buona
fede o mala fede.
E’ considerato possessore di buona fede chi possiede ignorando di ledere altrui diritto (art. 1147). Il
possessore non può invocare la propria buona fede ove l’ignoranza della lesione dell’altrui diritto
dipenda da colpa grave (1147). La colpa si ritiene grave quando l’errore non è scusabile. Al
soggetto, per essere giustificato, è richiesto un comportamento improntato a quel minimo di
diligenza che lo renda socialmente accettabile. È da tenere presente che il dubbio, almeno se
ragionevolmente serio, è incompatibile con la buona fede. L'art.1147 pone una presunzione di
buona fede fino a prova contraria da parte di chi ciò contesta. Inoltre si ritiene che la buona fede
sussista al momento dell’acquisto.
5. Effetti del possesso. Diritti e obblighi del possessore nella restituzione della cosa - Gli effetti
del possesso sono raggruppati in tre nuclei problematici:
- diritti e obblighi del possessore nella restituzione della cosa;
- possesso di buona fede dei beni mobili;
- usucapione.
L'art. 1148, indica che il possessore di buona fede fa suoi i frutti prodotti dal bene fino al giorno
della domanda giudiziale di restituzione. Da tale momento fino alla restituzione della cosa fruttifera
risponde nei confronti del soggetto che abbia esercitato l'azione di rivendicazione nei suoi riguardi
non solo dei frutti effettivamente percepiti ma anche di quelli che avrebbe dovuto percepire usando
l'ordinaria diligenza. Il possessore di mala fede quindi non è ritenuto meritevole di tutela e deve
restituire i frutti percepiti.
Il possessore (buona o mala fede) che è tenuto a restituire i frutti indebitamente percepiti ha diritto
al rimborso delle spese fatte per le riparazioni straordinarie e ordinarie (1150). Il possessore ha
sempre diritto di essere indennizzato per i miglioramenti purché sussistenti al momento della
restituzione. Per le addizioni infine è previsto che per le opere fatte da un terzo con i suoi materiali,
ove prevedono un miglioramento, il possessore di buona fede ha diritto ad una indennità pari
all'aumento di valore della cosa. La posizione del possessore in buona fede è vista con maggior
favore anche da un diverso punto di vista. Egli infatti può ritenere la cosa finché non gli sia
corrisposta l'indennità dovuta, purché richieste nel corso del giudizio di rivendicazione e sia stata
fornita una prova della sussistenza delle riparazioni e dei miglioramenti. Con il diritto di ritenzione
riconosciuto al possessore, il proprietario avente diritto alla restituzione è gravato da obblighi di
rimborso nei confronti del possessore. Si tratta di una forma di autotutela eccezionalmente
consentita dall'ordinamento a garanzia del creditore.
6. Possesso di buona fede di beni mobili (art. 1153). - Tra gli effetti del possesso, si colloca in
primo piano, il principio enunciato dall'art. 1153 secondo cui colui al quale sono alienati beni
mobili da parte di chi non è proprietario, ne acquista la proprietà mediante il possesso, purché sia in
buona fede al momento della consegna e sussista un titolo idoneo al trasferimento della proprietà.
La disciplina in esame regola anche il conflitto tra i successivi aventi causa dallo stesso dante causa.
Se taluno con successivi contratti aliena a più persone lo stesso bene mobile, è preferito colui che
abbia in buona fede conseguito il possesso anche se il suo acquisto sia posteriore. Il possessore
dunque è chiamato a svolgere, in materia di circolazione di beni mobili, una essenziale funzione di
pubblicità risolvendo a favore di chi possa vantare il possesso della cosa il problema delle
conseguenze della doppia alienazione. Chi acquista il possesso in buona fede può essere certo di
non potersi vedere mai opposto il precedente acquisto di altri. Non essendo l'alienante, in quanto
non proprietario, legittimato a trasferire la proprietà, l'acquisto del diritto non può essere
considerato dipendente dalla precedente titolarità del diritto stesso da parte di altri. Si tratta allora di
acquisto a titolo originario. Col carattere originario dell'acquisto risulta coerente la regola per cui la
proprietà si acquista libera da diritti altrui sulla cosa. Di conseguenza il proprietario non potrà
rivendicare il bene, e nemmeno gli altri titolari di diritti sul bene potranno farli valere, a meno che
questi diritti non risultavano dal titolo (astrattamente idoneo) di acquisto del possessore.
Centro di gravità della fattispecie acquisitiva è il conseguimento del possesso della cosa. Il
conseguimento della cosa avviene mediante trasmissione della concreta disponibilità della cosa
stessa dall'alienante all'acquirente. L'acquisto presuppone che il conseguimento sia avvenuto in
buona fede, quindi nell'ignoranza circa la mancanza della proprietà della cosa. La buona fede si
presume ma non può essere invocata in caso di colpa grave. Il soggetto che abbia acquistato la cosa,
conoscendo l'originaria illegittima provenienza (ad esempio rubata), non porta a credere che il suo
precedente possessore sia effettivamente proprietario. La consapevolezza dell'originaria illegittimità
del bene esclude la buona fede. Deve sussistere un titolo idoneo al trasferimento della proprietà. Si
usa precisare che il titolo deve essere astrattamente idoneo al trasferimento della proprietà. Il titolo
astrattamente idoneo ma che non presenti i requisiti richiesti è considerato invalido e l'acquisto del
possesso in buona fede non vale a sanare i vizi dell'atto che lo rendano invalido. Titolo
astrattamente idoneo può essere qualsiasi atto di alienazione, a titolo oneroso, ma anche a titolo
gratuito come donazione, vendita, ecc.
Sempre secondo l'art. 1153 come si può acquistare la proprietà sui beni mobili, allo stesso modo si
possono acquistare sui beni mobili i diritti di usufrutto, di uso e di pegno.
Ricordiamo, infine, che la regola esposta nell'art. 1153 non si applica alle universalità di mobili e ai
beni mobili registrati (art. 1156 c.c.).
7. Usucapione. - È un modo di acquisto dei diritti reali su beni mobili e beni immobili
per effetto del possesso continuo e ininterrotto per i periodi di tempo stabili dalla legge
L'usucapione è quindi un modo di acquisto a titolo originario del diritto di proprietà e degli altri
diritti reali che si verifica per cause opposte alla prescrizione; mentre nelle prescrizione il diritto si
perde a causa del trascorrere del tempo, accompagnata dall'inerzia del titolare del diritto, nella
usucapione il diritto si acquista per il trascorrere del tempo accompagnata da una attività svolta da
un soggetto su un bene su cui grava un diritto reale altrui; questa attività è il possesso.
In via figurata è come se il possessore "assorbisse" il diritto reale altrui, quando il suo titolare non
faccia nulla per farlo valere nel periodo stabilito dalla legge.
Un esempio chiarirà ulteriormente il concetto. Supponiamo che io sia proprietario di un fondo
agricolo, ma a causa della sua lontananza e della sua posizione disagiata non me ne occupi per venti
anni; nello stesso periodo, però, un contadino occupa il mio fondo e comincia a coltivarlo a
recintarlo etc. comportandosi, quindi, come se fosse il proprietario; se io non faccio valere il mio
diritto per venti anni, e il possesso del contadino dura ininterrottamente per lo stesso periodo, il
contadino diverrà proprietario del fondo per usucapione, mentre io avrò perso il diritto proprio
perché usucapito dal contadino.
L'esempio non è stato scelto a caso, perché se è vero che la proprietà è uno dei pochi diritti che non
si prescrivono, è anche vero che può essere persa a causa della usucapione.
L'elemento fondamentale della usucapione è quindi il possesso; vediamone le caratteristiche:
- deve essere stato conseguito senza violenza o clandestinità (art. 1163 c.c.); il possesso idoneo
alla usucapione si verifica nel momento in cui la violenza o clandestinità è cessata;
- deve protrarsi per i periodi stabili dalla legge;
- deve essere continuo e ininterrotto.
8. Azioni a tutela del possesso. - Le azioni a tutela del possesso sono azioni processuali che hanno
come scopo la difesa del possesso indipendentemente dall'accertamento del diritto che ne dovrebbe
essere alla base. Forniscono una tutela provvisoria destinata a cessare di fronte alle azioni che
accertano il diritto.
Le azioni a tutela del possesso sono due:
- Azione di reintegrazione (o spoglio) art. 1168: ha come scopo la reintegrazione nel possesso di
chi ne sia stato spogliato in maniera violenta o clandestina. L’azione deve essere esercitata entro
un anno dallo spoglio (1168). Se lo spoglio è clandestino il termine decorre dal giorno della
scoperta dello spoglio. Lo spoglio consiste in qualsiasi comportamento che valga ad impedire
durevolmente l’esercizio del potere di fatto sulla cosa. Il carattere violento dello spoglio è inteso
in senso lato dalla giurisprudenza. Tradizionalmente si reputa necessario che lo spossamento
avvenga con una corrispondente intenzione. La giurisprudenza fa riferimento a questa intenzione
come privare il godimento della cosa al possessore contro la sua volontà. Essendo considerato lo
spoglio un atto illecito si tende a ritenere che l'attore debba provarne il carattere colposo o
doloso. Se lo spoglio non è stato violento o clandestino il possessore potrà comunque chiedere di
essere reintegrato nel possesso. La reintegrazione è ordinata dal giudice sulla base della semplice
notorietà del fatto, senza dilazione. Caratteristica del giudizio è quella di svolgersi in due fasi.
Fase di urgenza (si conclude con l’ordine di reintegrazione, di carattere provvisorio e cautelare) e
di merito ( si conclude con sentenza definitiva).
- Con l'azione di manutenzione chi è stato molestato nel possesso di un immobile o su una
universalità di beni mobili, può entro un anno da tali turbative, chiedere la cessazione delle
stesse. Qualora il possesso sia stato acquistato violentemente o clandestinamente l'azione può
essere esercitata entro un anno dal giorno in cui la violenza o la clandestinità sono cessate. La
molestia si distingue dallo spoglio in quanto, nella prima ipotesi, la cosa permane nella
disponibilità del possessore. Le molestie possono essere di fatto (attività materiale che incide
sullo stato di fatto esistente) o di diritto (compimento di atti giuridici volti ad impedire o ad
ostacolare l'esercizio del possesso altrui). Se ricorrono le condizioni per la proposizione
dell'azione di manutenzione, anche colui che abbia subito uno spoglio non violento o clandestino
può chiedere di essere rimesso nel possesso. Per far cessare le molestie il giudice può adottare i
provvedimenti che ritiene più opportuni anche per impedire molestie future. Può così essere
ordinata la demolizione di opere o il ripristino di quelle manomesse per turbare l'altrui possesso.
PARTE VII
OBBLIGAZIONI
CAPITOLO 1
RAPPORTO OBBLIGATORIO
3. Fonti. - Per l’art. 1173 le obbligazioni derivano “da contratto, da fatto illecito, o da ogni altro atto
o fatto idoneo a produrle in conformità dell’ordinamento giuridico”. Per “fonti dell’obbligazione” si
intendono i fatti giuridici da cui le obbligazioni derivano e cioè i fatti giuridici determinativi della
nascita delle obbligazioni. I criteri di identificazione dell’obbligazione si appuntano essenzialmente
sulla causa (titolo) e sul contenuto (prestazione) dell’obbligazione.
Il sistema delle fonti delle obbligazioni è organizzato intorno a tre classi. Le prime due classi sono il
contratto e il fatto illecito. Essi rappresentano le fonti generali e di più comune ricorrenza.
Il sistema delle fonti è organizzato intorno a tre classi. La prima classe è il contratto, che è la tipica
fonte delle obbligazioni. Con questo strumento le parti si impegnano volontariamente ad eseguire
delle prestazioni. Es. se si commissiona un quadro il pittore s'impegnerà ad eseguirlo ed una volta
finito si sarà obbligati a versare il corrispettivo per l'opera svolta.
La seconda è raffigurata dal fatto illecito. In questo caso si prescinde da ogni e qualsiasi accordo tra
i soggetti dell'obbligazione, anzi c'è almeno un soggetto (il danneggiato) che non vuole il fatto da
cui scaturisce l’obbligazione. Art. 2043, risarcimento del danno.
La terza classe è riferita a ogni altro atto o fatto a produrle secondo l'ordinamento. È una classe
residuale rispetto le prime due avendo riguardo tutte le altre fonti non riconducibili al contratto e al
fatto lecito.
Possiamo fare una distinzione tra fonti volontarie e fonti legali a seconda che le obbligazioni
traggano origine dalla volontà degli interessati o siano ricollegati direttamente alla legge. Le fonti
volontarie si riducono all'esplicazione dell'autonomia negoziale, attraverso negozi unilaterali e
mediante contratti. Nelle fonti legali invece l'obbligazione è riconducibile alla legge.
4. Struttura del rapporto obbligatorio. - Il codice civile non contiene una espressa nozione di
obbligazione, infatti ancora oggi si è solito fare riferimento alle definizioni che provengono dal
diritto romano. Gli art. 1174 e 1175, pur regolando solo alcuni profili dell’obbligazione, consentono
di delinearne la fisionomia come di un vincolo giuridico di due posizioni giuridiche (creditoria e
debitoria) correlate al fine di soddisfare un interesse attraverso la cooperazione di altro soggetto.
L'idea di fondo è che si faccia ricorso al rapporto obbligatorio quando si ha necessità di realizzare
un interesse che non si è in grado di soddisfare personalmente e direttamente sicché c'è l'esigenza di
avvalersi dell'attività di un'altro soggetto. La struttura del rapporto di obbligazione è quindi
caratterizzata dalla posizione del creditore e del debitore. Creditore che diritto a conseguire una
utilità tramite il comportamento del debitore e il debitore obbligato a procurare tale utilità al
creditore con il suo comportamento.
Diversamente dai diritti reali che sono caratterizzati da immediatezza e assolutezza, nel senso che
sono realizzabili sulla cosa autonomamente dal titolare e posso essere fatti valere verso tutti, i diritti
di credito sono caratterizzati da mediatezza e relatività, in quanto il credito è realizzabile solo
tramite la cooperazione di altro soggetto e può essere fatto valere solo nei confronti del debitore.
Perciò i diritti di credito sono diritti relativi qualificati da una pretesa verso il debitore ad una
determinata prestazione e presidiati da una cosiddetta azione personale verso il debitore stesso. E
ciò sia quando il credito è rivolto al conseguimento di una cosa (pagamento del prezzo o consegna
di una cosa) o di un servizio (trasporto), sia quando è indirizzato all'utilizzazione di una cosa di
proprietà altrui (locazione di un immobile). Nella determinazione delle situazioni soggettive assume
un ruolo fondamentale il titolo dell'obbligazione, cioè la causa ovvero il fondamento della stessa
che va a fissare la fonte ma anche il contenuto del rapporto. Diverso profilo è quello della tutela
esterna del credito essendo i terzi tenuti al rispetto del vincolo obbligatorio. I terzi che con il proprio
comportamento ostacolano o inducono all'inadempimento o comunque determinano la mancata
attuazione del rapporto obbligatorio rispondo per fatto illecito e sono tenuti a risarcire il danno per
aver reso irrealizzabile la posizione creditoria.
5. Soggetti. - Per soggetti si intendono i titolari delle situazioni soggettive di credito e di debito.
Titolare della situazione attiva è il creditore, della situazione passiva è il debitore. I soggetti
esprimono due centri di interessi. Più spesso la titolarità della situazione attiva o passiva, è formata
da una sola persona ma sono frequenti le ipotesi di una titolarità di situazione composta da più
persone, le quali assumono la veste di contitolari della medesima posizione debitoria o creditoria.
Quando la qualità di debitore e creditore si riuniscono nella stessa persona, l’obbligazione si
estingue per confusione. I soggetti devono essere determinati o determinabili. Se i soggetti non sono
precisamente indicati devono almeno risultare nel titolo i criteri di determinazione degli stessi. Si
pensi alla promessa al pubblico in virtù della quale un soggetto (debitore) promette una prestazione
a favore di chi si trovi in una determinata situazione o compia una determinata azione. Il debitore è
vincolato dalla promessa appena questa è resa pubblica anche se il creditore sarà noto
successivamente. Può avvenire che la persona del creditore o del debitore muti nel tempo in quanto
l'obbligazione è connessa ad altra situazione soggettiva, per cui il mutamento della titolarità di
quest'ultima comporta mutamento anche della connessa posizione di credito o di debito. È il
fenomeno delle cosiddette obbligazioni reali per le quali l'acquisto del diritto reale comporta
l'assunzione di obbligazioni accessorie. La rinuncia al diritto reale comporta la liberazione dalla
obbligazione. L’obbligazione reale è un rapporto personale ed obbligatorio. Di conseguenza il
debitore risponde con l'intero suo patrimonio per l'inadempimento delle obbligazioni maturate con
la titolarità del diritto reale.
Fissati i requisiti generali di ogni prestazione, è possibile delineare la tipologia delle prestazioni in
ragione di due criteri fondamentali: il contenuto della prestazione dovuta e l’esecuzione della stessa.
b) Contenuto. Con riferimento al contenuto della prestazione dovuta, vengono in rilievo tipicamente
tre tipi di prestazioni: dare, fare e consegnare, cui si aggiunge quella di prestare garanzia.
La prestazione può essere semplice o complessa a seconda che si svolga con un unico
comportamento del debitore oppure con più comportamenti.
1) La prestazione di dare consiste nel trasferimento di un diritto. Esempio l'attività del
mandatario che ha acquistato un immobile per conto del compratore ed è obbligato a
ritrasferirlo al mandante;
2) La prestazione di consegnare consiste nel procurare al creditore la disponibilità materiale
della cosa (possesso o detenzione). Esempio, l'obbligazione del venditore di consegnare al
compratore il bene venduto. Strumentale alla obbligazione di consegnare una derivata cosa
è quella di custodirla fino alla consegna;
3) La prestazione di fare consiste nel realizzare un fatto quale risultato dell’attività materiale o
giuridica. La prestazione è fungibile se è indifferente la identità del debitore (pagamento di
una somma di denaro); infungibile se rileva la identità del debitore (prestazione artistica o
professionale). Nel concetto di “facere” rientra anche il “non facere” (obbligazione
negativa);
4) Obbligazione di prestare garanzia con la quale il debitore assume la obbligazione di
procurare una sicurezza nella realizzazione del credito. Tendenzialmente è un’obbligazione
accessoria.
c) Esecuzione. Con riguardo all'esecuzione della prestazione rilevano due fondamentali tipi di
obbligazione. Obbligazione istantanea e obbligazione di durata.
1) L’obbligazione istantanea si caratterizza per l’unitarietà del comportamento (programmato)
e dovuto, in funzione della realizzazione di un interesse unitario del creditore (anche
quando la prestazione è frazionata nel tempo, i singoli atti concorrono all'attuazione di un
interesse programmato e da realizzare come unico ed unitario.);
2) L'obbligazione di durata mira a soddisfare un interesse duraturo del creditore. Si svolge e
realizza nel tempo. A sua volta tale tipo di obbligazione può essere continuata o periodica, a
seconda che perduri continuativamente nel tempo (ad esempio l'obbligazione del locatore
di far godere il bene del locato), o sia eseguita ad intervalli di tempo (ad esempio il canone
di locazione da pagare mensilmente dal locatario).
La distinzione tra l'obbligazione istantanea e di durata rileva per la verifica nell'adempimento che è
correlata all'attuazione dell'interesse del creditore e per la decorrenza del termine di prescrizione del
diritto di credito che nell'obbligazione istantanea decorre dalla data di scadenza dell'obbligazione,
nella obbligazione di durata dalla data di cessazione della prestazione o di scadenza delle singole
prestazioni dovute. In ogni caso l'attribuzione che un soggetto compie nei confronti dell'altro può
essere immediata o differita a seconda che avvenga immediatamente o sia differita nel tempo (nel
primo caso si pensi alla vendita, nel secondo caso si pensi all'appalto).
10. Obbligazioni naturali. - Le obbligazioni naturali sono particolari tipi di obbligazioni in quanto
sorgono da specifici doveri morali o sociali. Non se ne può pretendere l'adempimento che deve
essere spontaneo, ma se questo avviene non è più possibile richiedere quanto prestato.
Dalla nozione ci accorgiamo che queste obbligazioni hanno una singolare natura per due motivi
fondamentali:
- non si è obbligati alla prestazione;
- se questa avviene non è si potrà richiedere quanto prestato.
Sappiamo, infatti, che nelle obbligazioni "si è costretti" ad adempiere, e se la prestazione non era
dovuta si potrà richiedere quanto si è dato secondo il principio espresso nell'art. 2033 c.c.
sull'indebito oggettivo.
Queste particolarità hanno fatto dubitare che le obbligazioni naturali siano obbligazioni, anzi,
secondo alcuni autori si ritiene che non siano nemmeno degli obblighi giuridici, in quanto
giuridicamente non sanzionate. Secondo altri autori, invece si tratterebbe di obbligo giuridico o
anche vera e propria obbligazione, ma di natura "imperfetta" perché, pur conservando tutte le altre
caratteristiche delle categoria cui appartengono, non ne produce alcuni effetti.
Quale che sia la natura giuridica delle obbligazioni naturali scopriamo che l'art. 2034 ne prevede
due ipotesi distinte:
- la prima si riferisce alle ipotesi in cui si è prestata una attività in esecuzione di particolari doveri
morali o sociali
- la seconda al caso in cui, anche al di fuori di prestazione di attività in esecuzione di doveri morali
o sociali, non è ugualmente ammessa la ripetizione di quanto prestato.
La distinzione, operata da parte della dottrina appare fondata, perché se è pur vero che le
conseguenze nei due casi sono identiche (inammissibilità della ripetizione di quanto prestato), i
presupposti sono in parte diversi.
In comune v'è la spontaneità dell'attività prestata, mentre non necessariamente si è spinti ad agire
per adempiere a doveri morali o sociali, e non sempre è ammessa la ripetizione di quanto si è dato
quando l'attività è stata prestata da un incapace.
In conseguenza di quanto abbiamo affermato per le obbligazioni naturali di cui si occupa la prima
parte dell'art. 2034 (che potremo definire insieme al Trabucchi obbligazioni naturali in senso stretto)
si applicheranno le seguenti regole:
- irripetibilità: non è possibile ottenere la restituzione di quanto spontaneamente prestato;
- spontaneità: l'adempimento deve essere spontaneo, poiché deve avvenire senza alcuna coazione
da parte del creditore naturale o di terzi;
- esistenza di un dovere morale o sociale: il debitore naturale adempie per l'esistenza di doveri
morali o sociali;
- capacità di agire: il debitore naturale che adempie deve essere, a differenza di quanto accade in
generale per le obbligazioni, capace di agire.
Per le altre (dette anche imperfette), invece necessariamente si applicheranno solo le seguenti
regole:
- irripetibilità: non è possibile ottenere la restituzione di quanto spontaneamente prestato,
- spontaneità: l'adempimento deve essere spontaneo, poiché deve avvenire senza alcuna coazione
da parte del creditore naturale o di terzi.
11. Generalità. - Sotto il titolo di” obbligazioni in generale”, l'ultimo capo è dedicato alla disciplina
di alcune specie di obbligazioni. La normativa è riferita ad alcuni tipi di rapporti obbligatori che
presentano alcune specificità rispetto alla disciplina generale delle obbligazioni. Il modello di base
del rapporto obbligatorio, cui ha riguardo la disciplina generale delle obbligazioni, incarna la
cosiddetta obbligazione semplice, caratterizzata dalla presenza di due soli soggetti (creditore e
debitore) con unicità di prestazione.
Una disciplina particolare è dedicata ad ipotesi di obbligazione complessa, caratterizzata da una
molteplicità di soggetti e/o di prestazioni. L’obbligazione complessa si specifica a sua volta in
obbligazione plurisoggettiva se la molteplicità riguarda i soggetti di uno o di entrambe le posizioni
soggettive e in obbligazione cumulativa quando sono dedotte in obbligazione più prestazioni, che a
sua volta può essere congiuntiva (sono dovute tutte le prestazioni) o alternativa (quando ne è dovuta
una sola).
12. Obbligazioni plurisoggettive. Le obbligazioni parziarie. - E’ frequente il fenomeno di
obbligazioni caratterizzate dalla presenza di più soggetti, o dal lato passivo o dal lato attivo o da
entrambi i lati. Sono obbligazioni soggettivamente complesse, c'è pertanto da stabilire l'incidenza
della pluralità di soggetti relativamente all'oggetto dell'obbligazione. Rilevano così le figure della
obbligazione parziaria e l'obbligazione solidale.
L'obbligazione parziaria presuppone che l’obbligazione sia divisibile e ricorre quando ciascun
debitore è tenuto all’adempimento di una sola parte dell’obbligazione, ovvero quando ciascun
creditore può pretendere solo la parte dell’oggetto della obbligazione di sua spettanza. La
parziarietà indica la rilevanza della divisibilità dell'obbligazione in presenza di più soggetti (debitori
o creditori). Alla obbligazione parziaria non è dedicata un'apposita normativa. La sua rilevanza è
dedotta dalla norma riguardante l'obbligazione divisibile.
Per l'art. 1314: se più sono i debitori o i creditori di una prestazione divisibile e l’obbligazione non è
solidale, ciascuno dei creditori può domandare il soddisfacimento del credito solo per la sua parte e
ciascuno dei debitori è tenuto a pagare il debito per la sua parte.
Nell'ipotesi di pluralità di debitori, il creditore è tenuto ad esercitare il suo diritto verso tutti i
debitori potendo pretendere da ognuno di essi solo la sua parte. Nell'ipotesi che qualcuno non
adempia, il creditore non può rivalersi sugli altri debitori per la parte non riscossa. Nell'ipotesi di
una pluralità di creditori, il debitore è tenuto all'adempimento parziario a ciascuno dei creditori.
15. Obbligazioni alternative e facoltative. - La rilevanza della dicotomia inerisce alla prestazione
dovuta, in funzione del risultato da procurare al creditore. Quando sono dedotte in obbligazione due
o più prestazioni è importante stabilire se il debitore sia obbligato ad eseguire tutte le prestazioni o
una sola di esse.
a) Nelle obbligazioni alternative due o più prestazioni sono dedotte in obbligazione in modo
disgiuntivo e cioè alternativo. Quando le prestazioni sono due, il debitore si libera eseguendo
una delle due prestazioni dedotte ma non può costringere il creditore a ricevere parte dell’una e
parte dell’altra (1285). Connotato fondamentale di tale tipo di obbligazione è la scelta della
prestazione dovuta, che determina la cd. concentrazione dell’obbligazione: a seguito della
scelta, l'obbligazione diventa semplice. Di regola il potere di scelta spetta al debitore se non è
attribuito al creditore o a un terzo. La scelta può essere tacita o espressa e diviene irrevocabile
con l’esecuzione di una delle prestazioni ovvero con la comunicazione della scelta all’altra
parte, o a entrambe le parti se la scelta è fatta da un terzo (art. 1286). Se il debitore non ne
esegue alcuna delle due prestazioni, nel termine assegnatogli dal giudice, la scelta è rimessa al
creditore (1287). Analogamente se la scelta è rimessa ad un terzo e questi non la fa nel termine
assegnatogli essa è fatta dal giudice. Se la scelta spetta al creditore e questo non la fa nel
termine stabilito o in quello fissatogli dal debitore, la scelta passa a quest'ultimo. Un regime
articolato è quello della impossibilità della prestazione il quale afferma che se una delle
prestazioni non poteva formare oggetto di obbligazione o è divenuta impossibile per causa non
imputabile ad alcuna delle parti, l’obbligazione si considera semplice dall’inizio; se è diventata
successivamente impossibile per causa non imputabile al debitore, l’obbligazione si estingue.
b) l’obbligazione facoltativa, anche detta con facoltà alternativa non ha una disciplina specifica
nel codice. Una sola prestazione è dedotta in obbligazione: è dunque un’obbligazione semplice,
essendo la prestazione unica e determinata fin dall’origine. E’ accordata al debitore la facoltà di
liberarsi eseguendo una prestazione diversa, di regola, preventivamente pattuita; più raramente è
accordata al creditore la facoltà di scegliere una diversa prestazione. In ogni caso, se perisce o
diviene impossibile l’unica prestazione dovuta, per causa non imputabile al debitore,
l’obbligazione si estingue. Una fattispecie di obbligazione facoltativa si trova in materia di
obbligazioni pecuniarie, se la somma dovuta dal debitore è determinata da moneta non avente
corso legale nello stato, il debitore ha facoltà di pagare in moneta legale al corso del cambio nel
giorno della cadenza e nel luogo stabilito per il pagamento.
18. Interessi anatocistici. - In mancanza di usi contrari, gli interessi scaduti possono produrre
interessi solo dal giorno della domanda giudiziale o per effetto di convenzione posteriore alla loro
scadenza, e sempre che si tratti di interesse dovuto almeno per sei mesi (art. 1283). E’ il fenomeno
dell’anatocismo: il termine indica la maturazione di interessi su interessi (interessi composti). Gli
interessi scaduti, cioè maturati, e non pagati diventano capitale sicché sono suscettibili di produrre
al loro volta interessi. Il codice civile ammette l'anatocismo ma lo sottopone a penetranti limiti.
L'anatocismo può operare solo con riguardo agli interessi scaduti e dovuti almeno per sei mesi.
Quanto alla fonte gli interessi anatocistici vanno pattuiti con convenzione posteriore alla scadenza
degli interessi semplici ovvero vanno richiesti con domanda giudiziale.
CAPITOLO 2
MODIFICAZIONI DEL RAPPORTO OBBLIGATORIO
(Vicende modificative)
1. Generalità. - Durante la vita del rapporto obbligatorio possono determinarsi delle modificazioni
che vanno a configurare nuovi soggetti, sia nel lato attivo sia nel lato passivo del rapporto
obbligatorio. Un esempio di mutamento di soggetti si può osservare nella successione per causa di
morte dove gli eredi subentrano nelle universalità o in una quota del defunto e i legatari nei singoli
rapporti.
Più rare invece si presentano invece le modificazioni dell'oggetto dell'obbligazione.
2. Tratto comune (la successione del credito). - La modificazione nel lato attivo si verifica con la
successione di un terzo nella posizione creditoria. Per il debitore la configurazione di un nuovo
creditore non risulta essere poi così importante in quanto vincolato in ogni caso all'adempimento
della sua obbligazione. Il terzo che subentra nella posizione di creditore acquista dei diritti nei
confronti del debitore. Si tratta di un acquisto a titolo derivativo in quanto vi è trasmissione di un
diritto da un soggetto dante causa ad un soggetto avente causa.
3. Cessione del credito. Il titolo. - Il creditore può trasferire il proprio credito, anche senza il
consenso del debitore, ad un terzo. Tale trasferimento si perfeziona con il consenso tra il creditore
(cedente) e il terzo (cessionario) senza accettazione da parte del debitore. Il trasferimento del
credito può essere a titolo oneroso o a titolo gratuito.
L'art. 1376 nel regolare i contratti ad efficacia reale assimila al trasferimento di proprietà di una
cosa, il trasferimento di un'altra diritto che può essere proprio un diritto di credito. L'art. 1470 nel
definire il contratto di vendita, ha per oggetto il trasferimento di proprietà di una cosa è il
conseguente trasferimento di un'altra diritto che può essere un diritto di credito. Un diritto di credito
può essere trasferito anche in luogo dell'adempimento di una diversa obbligazione (c.d. solutoria)
così integrandosi una ipotesi di d'azione in pagamento espressamente prevista dall'art. 1198. Il
credito inoltre può essere anche oggetto di confisca da parte dell'ordinamento giuridico.
In definitiva la cessione del credito si atteggia come un normale contratto consensuale ad efficacia
reale. Il diritto di credito si acquista e si cede per effetto del consenso delle parti.
Quanto all'oggetto, sono oggetto di obbligazione non solo il credito inteso in una qualsiasi forma di
danaro, ma anche le prestazioni di dare, fare o consegnare, nonché anche il credito al risarcimento
del danno patrimoniale e non patrimoniale. La cessione del credito inoltre può riguardare un bene
presente e futuro.
Il cedente, nell'azione di trasferimento del credito al cessionario, deve prestare una prova
dell'esistenza del credito verso il debitore in questione.
Dall'art.1260 derivano poi ipotesi di incedibilità del credito. Il credito risulta incedibile se:
- ha carattere strettamente personale (diritto agli alimenti);
- vi è un divieto legale;
- vi è un divieto convenzionale. Ossia il creditore stipula un patto con il debitore con il quale si
obbliga a non cedere ad altri il suo credito.
Cominciamo allora, a vedere la prima di queste ipotesi, quella dell'art. 1201 c.c.
a) Surroga per volontà del creditore. Il creditore, ricevendo il pagamento da un terzo, può
surrogarlo nei propri diritti. La surrogazione deve essere fatta in modo espresso e
contemporaneamente al pagamento. Cosa accade in questo caso? Accade che il terzo si reca dal
debitore per adempiere, e il creditore non si limita a ricevere il pagamento, ma lo surroga nei
suoi diritti di creditore, insomma il terzo diviene nuovo creditore. Osserviamo che per giungere
a ciò sarà sicuramente accaduto che il terzo avrà avanzato tale richiesta al creditore, e che il
creditore potrebbe anche non surrogarlo (può surrogarlo dispone l'art. 1201); se però decide di
surrogare il terzo, il creditore dovrà seguire certe forme: 1. vi sarà un atto di surrogazione dove
il creditore dichiara espressamente di surrogare il terzo nei propri diritti; 2. la surroga deve
essere contemporanea al pagamento e questo avverrà di solito nel momento in cui il creditore
rilascia al terzo la quietanza (ex art. 1199 c.c.). Se non sono rispettate queste 2 condizioni con il
pagamento il terzo estingue l’obbligazione senza sostituirsi al creditore.
b) Surroga per volontà del debitore. Il debitore, che prende a mutuo una somma di danaro o altra
cosa fungibile al fine di pagare il debito, può surrogare il mutuante nei diritti del creditore,
anche senza il consenso di questo. La surrogazione ha effetto quando concorrono le seguenti
condizioni: 1) che il mutuo e la quietanza risultino da atto avente data certa; 2) che nell’atto di
mutuo sia indicata espressamente la specifica destinazione della somma mutuata; 3) che nella
quietanza si menzioni la dichiarazione del debitore circa la provenienza della somma impiegata
nel pagamento. Sulla richiesta del debitore, il creditore non può rifiutarsi di inserire nella
quietanza tale dichiarazione. Qui cosa accade? Accade che è il debitore originario che paga, ma
con soldi non suoi, ma presi a mutuo; insomma il debitore si è fatto prestare i soldi per pagare il
suo debito, ma chiede, secondo le tre condizioni riportate in tabella, di surrogare il mutuante
(cioè colui che gli ha prestato i soldi), nei diritti del creditore. Se tutte le condizioni sono state
rispettate, il mutuante diverrà nuovo creditore, diversamente si avrà solo l'effetto dell'art. 1180.
c) Surrogazione legale (art. 1203). — quando la surrogazione opera di diritto, e cioè
automaticamente nel senso che è la stessa legge che surroga il terzo adempiente nei diritti del
creditore verso il debitore. Le ipotesi sono indicate dalla legge (1203). Un esempio può essere
che la surrogazione legale opera a vantaggio di chi, essendo creditore, ancorché chirografario,
paga un altro creditore che ha diritto di essergli preferito in ragione dei suoi privilegi, del suo
pegno o delle sue ipoteche.
Negli altri due casi di surrogazione, il semplice pagamento non bastava a produrre la surrogazione,
ma era necessaria la volontà del creditore o del debitore, qui invece il pagamento non produce
l'estinzione dell'obbligazione ex art. 1180 c.c. ma la surrogazione automatica, ope legis, di chi a
pagato nella posizione di creditore; si tratta di ipotesi eccezionali, proprio perché derogano alla
regola dell'art. 1180.
Analizziamo l'esempio fatto: poniamo che c'è un creditore ipotecario, e un altro creditore (anche
chirografario) dello stesso debitore; il creditore ipotecario è preferito sia rispetto ai creditori
chirografari, sia rispetto agli altri creditori ipotecari sullo stesso bene, ma di grado successivo al
suo; poniamo allora che un creditore chirografario, sapendo che difficilmente sarà pagato perché c'è
un creditore ipotecario prima di lui, vada da questo e gli dica: "Salve Sempronio! Io sono Mevio, il
creditore di Tizio, come lo sei tu, che però sei garantito da ipoteca; Tizio ti deve 1.000, ecco i
1.000!”. Ciò fatto, Mevio assumerà la stessa posizione di Sempronio per effetto di legge;
ovviamente abbiamo semplificato l'ipotesi, perché il tutto deve coordinarsi con la specifica
disciplina dell'ipoteca, ma il principio è quello indicato nell'esempio.
8. Delegazione attiva. - La legge provvede alla sola delegazione attiva che incide sul lato passivo
del rapporto, ma ciò non toglie che possa svilupparsi anche dal lato attivo del rapporto. In tal caso
l'iniziativa della delega è presa dal creditore (delegante) che conferisce l'incarico al debitore
(delegato) di conferire il credito ad un terzo (delegatario). Il debitore conseguendo il credito verso il
delegatario è sciolto dal vincolo obbligatorio con il creditore. Il creditore non cede il diritto ad un
terzo, ma conferisce l'incarico al debitore di conseguirlo al terzo stesso. Il terzo non si qualifica
come cessionario in quanto non acquista il credito ma ne consegue ugualmente l'oggetto della
obbligazione. La delegazione attiva è molto frequente nei casi in cui il creditore sia a sua volta
debitore di un terzo.
10. Delegazione passiva. - Si è visto come nella delegazione attiva l'iniziativa della delega è presa
dal creditore. Nella delegazione passiva l'iniziativa è presa dal debitore. In particolare il debitore
(delegante) conferisce l'incarico ad un terzo (delegato) di adempire o di promettere di adempire
all'obbligazione nei confronti del creditore (delegatario). Se l'obbligazione è di adempire allora si
tratta di delegazione di pagamento con cui il terzo, attraverso una sua prestazione economica e nei
confronti del creditore, libera il debitore originario. Se l'incarico è di promettere di adempire il terzo
si aggiunge nella posizione debitoria accanto al debitore originario o in sostituzione dello stesso.
a) Quanto alla funzione la delegazione passiva realizza scopi diversi. Spesso è rivolta alla
concentrazione delle prestazioni. Esempio se Tizio è debitore verso Caio ma creditore verso
Sempronio, è sufficiente che Sempronio adempia nei confronti di Caio per estinguere entrambi i
rapporti. Talvolta la delegazione è accompagnata da una concessione di un mutuo del terzo al
debitore. Esempio non essendo il debitore in grado di adempiere, può incaricare un terzo di
pagare il creditore anticipando i fondi necessari. Può avvenire che il terzo esegua l'ordine di
pagamenti a titolo gratuito.
b) Per quanto riguarda la struttura della delegazione passiva, bisogna analizzare le modalità di
coinvolgimento del terzo. Alla base della delegazione vi è un mandato delegatorio del debitore
al terzo con il quale il delegante conferisce l'incarico al delegato di assumere il debito o il
pagamento nei confronti del creditore.
A seconda dell'oggetto del mandato distinguiamo due tipi di delegazione: di pagamento e di
debito.
La delegazione di pagamento è il modello più semplice con cui il debitore conferisce l'incarico
ad un terzo di assumere il pagamento dell'obbligazione nei confronti del creditore estinguendo
l'obbligazione verso il debitore originario. Non si ha successione nel debito. Si pensi all'assegno
bancario con cui un cliente ordina alla banca di pagare una determinata somma ad un
beneficiario. Sebbene il debitore abbia delegato il terzo al pagamento dell'obbligazione in
sostituzione sua, il debitore originario può a sua volta obbligarsi verso il terzo se questo ne fa
espressa dichiarazione. Il terzo non è tenuto ad accettare l'incarico di pagamento al creditore
anche se è debitore del delegante. Non obbligandosi verso il terzo il creditore non ha alcun
titolo per agire nei suoi confronti.
La delegazione di debito ha invece un meccanismo più complesso. Innanzitutto vi è un incarico
da parte del debitore originario verso il terzo di promettere di adempire al pagamento verso il
creditore. Sono necessari due negozi. Un negozio di assunzione del debito da parte del terzo nei
confronti del creditore e un negozio di assegnazione del nuovo debitore. L'esito della
delegazione di debito è l'assunzione del debito da parte del terzo verso il creditore. Il debitore
originario non è liberato dalla obbligazione se il creditore non lo dichiara espressamente. Con la
liberazione del debitore originario si realizza l'assunzione liberatoria che va a sostituire il
debitore originario con il terzo nel medesimo rapporto. Il creditore che ha liberato il debitore
originario non ha più azione contro lui se il terzo diviene insolvente. Tuttavia se il terzo era
insolvente al momento in cui assunse il debito nei confronti del debitore originario, il debitore
originario non è liberato dalla obbligazione. Se il debitore originario non dichiara al creditore di
assegnargli un terzo che assolva al debito per suo conto, e il terzo non rivela al creditore di agire
per conto del debitore originario si ricorre alla figura dell’espromissione.
c) Quanto alla estinzione della delegazione, sia in caso di delegazione di pagamento sia nel caso di
delegazione di debito, il debitore originario può revocare la delegazione, fino a quando il terzo
non abbia adempiuto o assunto l'obbligazione nei confronti del creditore. Il terzo può adempire
o assumere il debito verso il creditore anche dopo la morte del debitore originario o in caso di
incapacità del debitore originario.
11. Espromissione. - L’espromissione è un contratto tra terzo e creditore. Il terzo assume nei
confronti del creditore il debito del debitore originario senza ordine del debitore oppure laddove
esista la delega del debitore originario, il creditore non ne venga a conoscenza. Il terzo che assume
il debito nei confronti del creditore in nome del debitore originario è obbligato in solido col debitore
originario se il creditore non dichiara espressamente di liberarlo. Un esempio di espromissione può
essere l'azione compiuta dal genitore per conseguire il pagamento dell'obbligazione assunta dal
figlio nei confronti del creditore.
Anche l'espromissione fa in modo che il terzo si affianchi al debitore originario nella posizione
obbligatoria dando luogo all'assunzione cumulativa, ma a sua volta l'espromissione può essere
anche liberatoria con la conseguente liberazione del debitore originario nei confronti del creditore.
Per quanto riguarda le eccezioni, in mancanza di una delegazione da parte del debitore originario, si
esclude che possano essere opposte al creditore.
12. Accollo. - L’accollo è un contratto tra debitore e terzo con il quale il terzo assume nei confronti
del creditore il debito del debitore originario. In tale rapporto il creditore si trova in una posizione
esterna. L'accollo può derivare da varie giustificazioni, ad esempio il terzo può decidere di
assumere il debito altrui per estinguere il suo debito verso il debitore, o per compiere in suo favore
un'operazione di finanziamento o anche solo per spirito di liberalità. L'accollo può essere interno ed
esterno.
a) L’accollo interno non è regolato dal codice civile ma presenta una sua elaborazione dalla
giurisprudenza e dalla dottrina. Si svolge tra il terzo e il debitore rimanendo estraneo dal
rapporto di accollo il creditore. Il terzo assume nei confronti del debitore l'obbligo di tenerlo
indenne dal peso del debito. Terzo e debitore possono modificare in ogni momento convenzione
di accollo senza l'intervento del creditore. Nel caso di mancata osservanza dell'obbligo il terzo
risponde dell'inadempimento verso il debitore originario e non verso il creditore.
b) L'accollo esterno è l'unico previsto dalla legge e rappresenta la figura più complessa di questa
fattispecie. La convenzione di accollo oltre che interessare debitore e terzo, interessa anche al
creditore che può aderire alla convenzione stipulata. Come ogni altra assunzione del debito
altrui l'accollo può essere cumulativo o liberatorio.
Nel caso di accollo liberatorio si prevede nella convenzione la liberazione dall'obbligazione del
debitore originario da parte del creditore. In ogni caso il creditore, in assenza della dichiarazione
di liberazione, può liberare il debitore originario per dichiarazione espressa. Il creditore che ha
aderito all'accolo liberatorio non ha azione contro il debitore originario in caso di insolvenza del
terzo. Se però l'accollante era già insolvente al tempo in cui assunse il debito, il debitore
originario non sarà liberato dall'obbligazione.
Quanto alle eccezioni, si è visto che il creditore aderisce al contratto di accollo e perciò si
adegua a tutte le eccezioni che vi inseriscono debitore e terzo. Perciò il terzo può opporre al
creditore tutte le eccezioni previste nella convenzione di accollo ed anche in assenza di una
espressa previsione di eccezioni, il terzo può far valere nei confronti del debitore le eccezioni
relative al rapporto tra debitore originario e creditore.
C) MODIFICAZIONI OGGETTIVE
15. Ristrutturazione del debito. - È una procedura che prevede un accordo con il quale le
condizioni originarie di un prestito (tassi, scadenze, divisa, periodo di garanzia) vengono modificate
per alleggerire l’onere del debitore.
CAPITOLO 3
ESTINZIONE DEL RAPPORTO OBBLIGATORIO
A) ADEMPIMENTO
2. Attuazione del rapporto obbligatorio. - L’adempimento è atto dovuto dal debitore. Rappresenta
il normale modo di attuazione del rapporto obbligatorio in quanto realizza il diritto del creditore
mediante l'esecuzione della prestazione da parte del debitore facendo conseguire al creditore il bene
oggetto dell'obbligazione. In tal modo l'adempimento rappresenta una vicenda satisfattiva. Il
debitore che ha eseguito la prestazione non può impugnare l'adempimento per incapacità proprio
perché è tenuto comunque a procurare il bene al debitore. L'adempimento può essere compiuto
personalmente dal debitore o mediante un mandatario o altro soggetto legittimato all'adempimento.
Principio generale è che il debitore risponde dei mandatari circa le cause di adempimento
dell'obbligazione. Esistono poi soggetti legittimati dalla legge all'adempimento esempio è il
rappresentate legale del soggetto incapace oppure l'organo giudiziario. Le spese dell'adempimento
sono a carico del debitore. Il debitore che ha adempiuto ha diritto alla quietanza ossia un documento
formale che attesta l'avvenuto pagamento del bene oggetto dell'obbligazione.
5. Adempimento del terzo. - Con riguardo all'adempimento del terzo l'esecuzione della prestazione
proviene da un soggetto diverso dal debitore, non può trattarsi dunque di un rappresentate del
debitore perché l'adempimento sarebbe sempre ricollegabile al debitore. Con l'adempimento del
terzo vi è la realizzazione del credito del creditore senza attuazione dell'obbligo, in quanto il
creditore viene soddisfatto dal terzo e non dal debitore. In ogni caso il terzo non è obbligato ad
adempiere verso il creditore. L'adempimento del terzo in favore del creditore produce l'estinzione
dell'obbligazione. Talvolta però pur intervenendo il soddisfacimento del creditore il debito non si
estingue. Questo è il caso del pagamento con surrogazione. Di regola l'interesse del creditore è
rivolto al conseguimento del credito dedotto dall'obbligazione restando indifferente il soggetto che
glielo procura. Dall'altra parte anche il debitore si trova orientato alla liberazione della obbligazione
anche se l'effetto è prodotto da un terzo. La legge tuttavia prevede un potere di rifiuto dal creditore
ammesso in due ipotesi. Quanto il creditore ha interesse che il debitore consegui all'adempimento
dell'obbligazione personalmente oppure quando il debitore si opponga all'adempimento del terzo, il
creditore deve rifiutare che il terzo adempia.
7. Mora del creditore. La posizione soggettiva del creditore. - Il creditore è in mora quando
senza alcun motivo legittimo si rifiuta di ricevere il pagamento offerto dal debitore nei modi indicati
dalla legge oppure non compie quanto è necessario affinché debitore possa adempiere
all'obbligazione.
L'articolo 1206 del codice civile indica le condizioni alle quali può aversi mora del creditore; si
tratta di una situazione atipica in cui creditore, invece di ottenere quanto gli è dovuto, rifiuta o
ostacola l'adempimento del debitore.
Questa situazione, per quanto paradossale possa sembrare, spesso si verifica nella realtà, in quanto
il creditore, per i motivi più vari, cerca di mantenere una posizione di supremazia nei confronti della
persona del debitore, supremazia che appunto gli deriva dall'esistenza del vincolo obbligatorio.
Il codice civile parla di " mora del creditore " accostandola, almeno dal punto di vista
terminologico, alla ben più frequente mora del debitore.
In realtà si tratta di situazioni completamente differenti, perché il creditore non è obbligato ma solo
onerato a ricevere la prestazione, mentre il debitore è obbligato ad adempiere; tuttavia il
comportamento del creditore può causare difficoltà e danni al debitore che per questo motivo deve
avere il modo di liberarsi dall'obbligazione anche quando il creditore non voglia.
Vediamo schematicamente le varie fasi che portano alla liberazione del debitore;
a) Costituzione in mora. Il debitore offre di eseguire la sua prestazione nei termini stabiliti, ma il
creditore la rifiuta senza alcun motivo legittimo (offerta non formale art. 1220 c.c.).
Di fronte al rifiuto del creditore a ricevere la prestazione, il debitore ricorre ad un'offerta fatta
secondo le modalità dell'articolo 1208 c.c. detta "offerta solenne ". L'offerta solenne ha
caratteristiche diverse secondo il tipo di prestazione:
- è reale se l'obbligazione ha per oggetto: denaro, titoli di credito, oppure cose mobili da
consegnare al domicilio creditore;
- se si tratta di cose mobili da consegnare in luogo diverso dal domicilio del creditore l'offerta
consiste dell'intimazione a riceverle (offerta per intimazione); c) - se deve essere consegnato un
immobile l'offerta consiste dell'intimazione al creditore di prenderne possesso (art. 1216 c.c.);
- se la prestazione consiste in un fare il creditore è costituito in mora mediante intimazione di
ricevere la prestazione o di compiere gli atti necessari affinché questa possa svolgersi (art. 1217
c.c.).
Il debitore che vuole evitare le conseguenze che derivano dall'inadempimento è quindi costretto
ad offrire la sua prestazione con un'offerta solenne.
Eseguita l'offerta solenne si produrranno gli effetti della mora del creditore, effetti che sono
schematizzati qui sotto:
- il creditore subisce il rischio derivante dall'impossibilità sopravvenuta dalla prestazione per
causa non imputabile al debitore;
- il debitore non deve più corrispondere gli interessi o i frutti della cosa;
- il creditore è tenuto a risarcire il debitore degli eventuali danni derivanti dalla mora e a
rimborsarlo delle spese per la custodia e la conservazione della cosa dovuta.
b) Eseguita correttamente offerta solenne e rifiutata dal creditore, il debitore è considerato a tutti
gli effetti in mora con le conseguenze stabilite dall'articolo 1207 c.c.
Per liberarsi definitivamente dall'obbligazione il debitore, di fronte al perdurare del rifiuto del
creditore a ricevere la prestazione, dovrà depositare le cose dovute (art. 1210 c.c.) secondo le
modalità indicate dall'articolo 1212 c.c. ; solo quando il creditore accetta il deposito, oppure, in
caso di rifiuto, quando passa in giudicato la sentenza con la quale viene ritenuto valido il
deposito, il debitore sarà completamente liberato dall’obbligazione.
12. Modi di estinzione non satisfattivi. - In tale ipotesi il creditore non sarà soddisfatto ne
direttamente in quanto non c'è adempimento ne indirettamente in quanto il creditore non trae
nemmeno il vantaggio dalla estinzione della posizione del debitore. I modi di estinzione non
satisfattivi sono: la novazione, remissione in debito, impossibilità sopravvenuta della prestazione
per causa non imputabile al debitore.
13. Novazione. - Con la novazione il rapporto obbligatorio originario viene sostituito con un nuovo
rapporto. La novazione può inerire all'oggetto o al titolo oppure ai soggetti.
a) La novazione oggettiva è l'unico tipo di novazione regolato dalla legge. Con la novazione
oggettiva si ha la sostituzione dell'obbligazione originaria con una nuova obbligazione che può
avere oggetto o titolo diverso. La novazione si atteggia come contratto consensuale poiché il
consenso del creditore risulta fondamentale ai fini della costituzione della novazione. La
novazione si distingue in tal modo dalla dazione in pagamento proprio perché nel caso della
dazione il creditore, nonostante muti l'oggetto della obbligazione viene soddisfatto del suo
credito, nella novazione non vi è comunque soddisfacimento per il creditore.
Affinché la novazione possa esistere sono necessari tre presupposti.
L’obbligazione da novare. Se la obbligazione originaria non esisteva la novazione è senza effetto
poiché non si può sostituire una cosa che non esiste.
L'intento novativo (o animus novandi). Ossia la volontà di estinguere l'obbligazione originaria
deve risultare in modo non equivoco. La volontà può essere manifestata anche tacitamente
purché rivolta alla novazione.
Il terzo presupposto è il mutamento che può essere o dell'oggetto o del titolo.
Con la novazione, come abbiamo già visto, si produce l'estinzione dell'obbligazione originaria; di
conseguenza si estingueranno anche tutte le garanzie collegate all'obbligazione novata.
b) Accanto alla novazione trattata dall'articolo 1230, detta novazione oggettiva, dobbiamo anche
considerare un altro importante tipo di novazione di cui abbiamo avuto occasione di accennare
nell'analisi dei contratti di delegazione, espromissione e accollo.
Ci riferiamo alla novazione soggettiva (art. 1235 c.c.) passiva che si ha quando, restando
immutati gli altri elementi del rapporto, ne mutano i soggetti. Avremo, quindi, novazione
soggettiva attiva se vi sarà mutamento della persona del creditore, mentre avremo novazione
soggettiva passiva quando vi sarà mutamento della persona del debitore
Anche la novazione soggettiva, al pari di quella oggettiva, produce l'estinzione del vecchio
rapporto obbligatorio con la conseguenza che il vecchio debitore sarà completamente liberato
dalla sua obbligazione mentre unico soggetto obbligato sarà il nuovo debitore.
14. Remissione del debito. - Con la remissione del debito il creditore rinunzia in tutto in parte al
suo credito nei confronti del debitore. La comunicazione al debitore della remissione fa estinguere
l'obbligazione salvo che il debitore dichiari in un congruo termine di non volerne profittare.
Come si vede dalla nozione, con la remissione del debito si provoca l'estinzione dell'obbligazione in
base alla dichiarazione unilaterale espressa dal creditore. Per questo motivo la dottrina prevalente
ritiene la remissione del debito negozio unilaterale recettizio, e non contratto; tuttavia il debitore
può far venir meno di effetti della remissione con efficacia retroattiva, comunicando in un congruo
termine di non volerne profittare.
Tradizionalmente si distinguono due tipi di remissione del debito:
- remissione espressa: si verifica nel caso ordinario in cui il creditore comunica al debitore la
remissione del debito.
- remissione tacita: è il caso previsto dall'articolo 1237 c.c. secondo cui la restituzione volontaria
del titolo originale del credito fatta dal creditore al debitore costituisce prova della liberazione.
Quanto alle garanzie, la rinunzia alle stesse non fa presumere la remissione del debito (1238).
Viceversa la remissione accordata dal debitore principale libera i fideiussori (1239).
Diversamente dalla remissione si atteggia il pactum de non petendo con il quale il creditore si
obbliga a non chiedere al debitore l’adempimento prima di un dato tempo.
Tradizionalmente si ritiene che il debitore per liberarsi da responsabilità, debba provare il caso
fortuito o la forza maggiore, fatti che possono derivare da un'impossibilità fisica, ad esempio
l'incendio che distrugge il bene da consegnare, o da impossibilità giuridica, come una legge che
vieti il commercio dei beni. La prova dell'impossibilità è a carico del debitore ex. art. 1218 c.c. che
deve provare la oggettività e assolutezza dell'impossibilità. Ciò vuol dire, in altre parole, che il
debitore deve provare che l'impossibilità non era superabile, non solo da lui, ma da ogni soggetto
che si fosse trovato nella stessa situazione.
Si distinguono quindi:
- impossibilità oggettiva, che fa riferimento alla prestazione in sé tale che nessun debitore
potrebbe eseguirla;
- impossibilità soggettiva, che attiene alla persona del debitore che non è in grado, fisicamente o
economicamente, di eseguirla mentre potrebbe essere eseguita da altri.
Di conseguenza se il debitore, nonostante l'uso della adeguata diligenza, non avrà adempiuto
l'obbligazione, non sarà responsabile per l'inadempimento, e non potendo il creditore richiedere
l'esecuzione della prestazione, si avrà comunque estinzione dell'obbligazione.
CAPITOLO 4
INADEMPIMENTO DELL’OBBLIGAZIONE
1. Inadempimento e impossibilità sopravvenuta. - L’art. 1218 afferma che il debitore che non
esegue esattamente la prestazione dovuta è tenuto al risarcimento del danno se non prova che
l'inadempimento è dovuto da cause non imputabili a lui stesso.
Tale previsione si collega poi con l'art. 1256 secondo cui l'obbligazione si estingue quando, per
causa non imputabile al debitore, la prestazione è divenuta impossibile. Per delineare la figura
dell'inadempimento è corretto capire se l'inadempimento sia collegabile ad una diretta responsabilità
del debitore o dovuto all'impossibilità della prestazione per una causa a lui non imputabile. In
astratto la prestazione potrebbe essere eseguita al fine di procurare una utilità al creditore. Tuttavia
il problema è a quale costo è a quale prezzo. Rileva in tal modo lo sforzo che il creditore debba
eseguire per soddisfare l'interesse del creditore. Un esempio può essere fatto attraverso due soggetti,
un venditore e un compratore. Il venditore trasporta le merci fino al compratore per mezzo di un
ponte. Nel caso in cui il ponte crolli, la prestazione del venditore nei confronti del compratore
diviene si possibile, poiché potrebbe essere utilizzato un elicottero, ma comunque non vantaggiosa
perché il costo di trasporto risulta essere maggiore rispetto al prezzo della marce. Quindi si potrebbe
ritenere il venditore libero dalla prestazione nei confronti del compratore.
4. Gli strumenti di tutela del creditore. L’adempimento coattivo. - Il creditore può soddisfare
coattivamente l’interesse perseguito col rapporto obbligatorio, permettendo di conseguire attraverso
gli apparati giudiziari il bene dedotto in obbligazione non procurato dal debitore: cd. adempimento
coattivo che consente al creditore la realizzazione coattiva del credito. Per realizzare tale risultato
opera lo strumento della esecuzione forzata nelle due specie della esecuzione in forma specifica e
della esecuzione per espropriazione.
Con l'esecuzione forzata in forma specifica, il creditore consegue il medesimo bene oggetto
dell’obbligazione; il c.c. prevede più procedure in tale direzione, con le quali il creditore, attraverso
il processo, consegue coattivamente il bene dovuto dal debitore.
Con l’esecuzione forzata per espropriazione, impiegata per il conseguimento di somme di danaro, il
creditore, attraverso l’aggressione del patrimonio del debitore, consegue il bene dovuto dal debitore:
la normale fungibilità del danaro consente la realizzazione coattiva del credito attraverso la vendita
forzata e quindi la conversione in danaro dei beni assoggettati ad esecuzione presenti nel patrimonio
del debitore.
In ogni caso il fatto che il debitore si sia reso inadempiente, costringendo il creditore ad un’azione
giudiziaria per il soddisfacimento del suo interesse, consegua o meno il medesimo bene dedotto in
obbligazione, integra un illecito civile da inadempimento che obbliga il debitore al risarcimento del
danno.
5. Segue. Il risarcimento del danno. - Il risarcimento del danno si verifica quando il debitore non
esegue, esegue in maniera inesatta, esegue con ritardo la prestazione oggetto della obbligazione.
L'inadempimento provoca quindi una responsabilità del debitore per i danni subiti al creditore e per
questo si dà luogo al risarcimento del danno. Vediamo ora quando il creditore può chiedere il
risarcimento del danno e in che misura.
L’art. 1223 c.c. dispone che il risarcimento del danno è dovuto per la perdita subita e il mancato
guadagno subito dal creditore quando vi siano conseguenze immediate e dirette. Deve sussistere
quindi un rapporto di causa effetto tra perdita subita e mancato guadagno. Il debitore risponde dei
danni di conseguenza immediata e diretta.
Il rapporto di causa effetto, detto anche nesso di causalità, non può mancare per far sorgere la
responsabilità. Bisogna considerare inoltre come il debitore ha posto in essere l'inadempimento
ossia se derivi da una responsabilità colposa o dolosa. Se la responsabilità è dolosa il debitore
risponde sia dei danni prevedibili che dei danni imprevedibili. Se l'inadempimento deriva da colpa il
debitore risponde solo dei danni prevedibili. In caso di responsabilità extracontrattuale il debitore
risponde anche dei danni imprevedibili.
Tali apposizioni rischiano di andare in crisi quando andiamo a chiederci cosa intendiamo per
conseguenze immediate e dirette o quando c'è il nesso di causalità.
Sul nesso di causali distinguiamo 2 teorie:
- teoria della conditio sine qua non, per la quale si considerano tutte le cause idonee o produrre un
certo effetto. Di conseguenza il debitore potrebbe essere sempre responsabile dei danni subiti al
creditore.
- teoria della causalità adeguata, meno rigorosa dal punto di vista scientifico ma più idonea dal
punto di vista giuridico. Questa teoria prende in considerazione come causa di un certo fatto solo
quella idonea a produrlo.
La seconda teoria è quella più seguita dalla giurisprudenza. Secondo questa ultima tesi il debitore
non è responsabile dei danni subiti dal creditore quando l'inadempimento provenga da una causa
non imputabile al debitore stesso. In tal modo si avrebbe una interruzione del nesso di causalità e il
debitore non sarebbe responsabile per i danni subiti dal creditore. Accogliendo la teoria della
causalità adeguata, si afferma che non sono attribuibili al debitore i danni causati da fattori
eccezionali che per essere tali sono anche imprevedibili. Ragionando in tal modo si andrebbe a
svuotare la previsione secondo cui il debitore che agisce con dolo è responsabile anche dei danni
imprevedibili. In presenza quindi dell'interruzione del nesso di causalità si provoca sempre la
mancanza di responsabilità del debitore limitata solo alle conseguenze prevedibili. Del problema se
ne accorta la giurisprudenza che pure accogliendo la teoria della causalità adeguata, riconosce
l'esistenza del nesso di causalità anche quando, secondo la teoria dell'adeguatezza causale, questo
andrebbe escluso, comprendendo fra i danni provocati dal debitore anche fattori che possono
considerarsi eccezionali.
Tornando alla quantificazione del risarcimento del danno, l'art. 1223 dispone che deve comprendere
sia la perdita subita e mancato guadagno.
I due concetti vengono anche indicati come danno emergente e lucro cessante:
- danno emergente, cioè la perdita subita. Esso si quantifica secondo la perdita che ha subito il
patrimonio del creditore dalla mancata, inesatta o ritardata prestazione del debitore;
- lucro cessante, cioè il mancato guadagno si fa riferimento ad una situazione futura, e non ad una
presente come quella che abbiamo visto nel danno emergente. In questo caso si guarda alla
ricchezza che il creditore non ha conseguito in seguito al mancato utilizzo della prestazione
dovuta dal debitore. Trattandosi di evento futuro e solo prevedibile, per ottenere il risarcimento
sarà necessaria una ragionevole certezza circa il suo accadimento.
Danno emergente lucro cessante individuano, quindi, due concetti diversi anche dal punto di vista
temporale in quanto il primo si è già prodotto mentre il secondo, cioè il lucro cessante, deve ancora
prodursi o, meglio, indica un guadagno che si sarebbe prodotto se non vi fosse stato inadempimento
del debitore. Possiamo parlare di lucro cessante quando, ad esempio, il creditore non riesca a
ottenere un macchinario dal debitore. In questo caso il debitore dovrà risarcire anche il mancato
guadagno che il creditore avrebbe realizzato se la macchina fosse stata fornita e utilizzata per la sua
attività.
Può accadere, infine, che il danno sia stato anche cagionato per l'attività colposa del creditore o
dalla sua negligenza.
Questa ipotesi, tutt'altro che infrequente nella realtà, è disciplinata dall'articolo 1227 c.c. secondo
cui:
- se il creditore colposamente ha contribuito a provocare il danno, il risarcimento dovuto dal
debitore è diminuito secondo la gravità della colpa del creditore e delle conseguenze che ne sono
derivate;
- se il creditore, usando l'ordinaria diligenza, avrebbe potuto evitare il prodursi del danno, non avrà
diritto al suo risarcimento.
Norme particolari sono previste per i danni provocati dall'inadempimento delle obbligazioni
pecuniarie di cui siamo già occupati in precedenza.
Possiamo ricordare brevemente che l'articolo 1224 c.c. dispone che al creditore sono dovuti a titolo
di risarcimento del danno, gli interessi che si sono maturati sulla somma dovuta dal giorno della
mora, e questo è vero anche quando il creditore non provi di aver subito alcun danno. Se però il
creditore ritiene aver subito un danno superiore alla misura gli interessi legali che gli debbono
essere corrisposti, dovrà provarne l'ammontare e, una volta raggiunta la prova, gli spetterà l'ulteriore
risarcimento oltre alla misura degli interessi legali a lui dovuti.
Ricordiamo, infine, una sorta di norma di chiusura contenuta nell'art. 1226 del codice civile; si
prevede la possibilità che nonostante l'accertamento del danno, non si riesca a provarlo nel suo
preciso ammontare; in tal caso il giudice lo liquida secondo equità.
6. Mora del debitore. - Indica la situazione in cui il debitore senza giustificato motivo ritarda
l'adempimento.
Il debitore è in mora quando ritarda l'adempimento dell'obbligazione. Dobbiamo però specificare
che non ogni semplice ritardo produce le conseguenze della mora, ma solo quelli " tipici" quelli
cioè che si producono in presenza delle condizioni indicate dal codice civile.
Per la caduta in mora è di regola necessaria la costituzione in mora, ossia quando il creditore gli
intima per iscritto di adempiere (mora ex persona)
Per l’art. 1219 la costituzione in mora non è necessaria, e per questo la caduta in mora è automatica
(mora ex re) quando:
1. il debito deriva da fatto illecito; in questo caso il debitore è in mora dal momento in cui si è
verificato il fatto illecito;
2. il debitore abbia dichiarato per iscritto di non voler adempiere;
3. quando è scaduto il termine e la prestazione doveva essere eseguita presso il domicilio del
creditore.
Non è configurabile la mora del debitore nelle cd. obbligazioni negative per le quali il debitore è
obbligato a non fare. Per la caduta in mora è necessaria la costituzione in mora, che avviene
mediante intimazione o richiesta di adempimento fatta dal creditore per iscritto (cd. mora ex
persona, 1219). Si presume che la mancanza di intimazione sia ricollegabile a una tolleranza del
creditore.
L’atto di costituzione in mora è atto giuridico in senso stretto e non atto negoziale, in quanto gli
effetti sono interamente previsti dall’ordinamento, oltre è recettizio.
7. Segue. Effetti della mora. - La mora comporta più effetti sfavorevoli al debitore.
In caso di impossibilità sopravvenuta della prestazione per causa non imputabile al debitore
quest'ultimo dovrà comunque risarcire i danni al creditore, a meno che non provi che l'oggetto della
prestazione sarebbe comunque perito presso il creditore (art. 1221 c.c.); l’art. 1224 stabilisce che
nelle obbligazioni che hanno per oggetto somme di danaro, sono dovuti dal giorno della mora gli
interessi legali, anche se non erano dovuti precedentemente e anche se il creditore non prova di aver
sofferto un danno (cd. interessi moratori). Il debito deve essere liquido, cioè determinato o di facile
determinazione. Il creditore, in questo caso, non deve dare prova del danno sofferto per chiedere il
risarcimento del danno, tuttalpiù può chiedere un danno maggiore.
Il debitore sarà obbligato a risarcire i danni che il creditore ha subito in seguito al ritardo
nell'adempimento (art. 1223 c.c.).
Gli effetti della costituzione in mora si sostanziano principalmente nel risarcimento dei danni che
questo comportamento colposo del debitore avrà provocato. È certo, però, che in molti casi è
difficile distinguere tra ritardo nell'adempimento, che permette comunque al creditore di ottenere
quanto gli è dovuto, e inadempimento vero e proprio.
Potrebbe darsi, infatti, che il debitore non adempia l'obbligazione per delle difficoltà temporanee in
cui è incorso, ma potrebbe anche darsi che questo ritardo non sia altro che vero e proprio
inadempimento; la differenza è importante perché diverse, almeno dal punto di vista quantitativo,
sono le conseguenze tra il semplice ritardo e il vero e proprio inadempimento.
Verificatasi la mora il debitore si trova esposto a tutte le conseguenze sfavorevoli previste dalla
legge. Tuttavia queste conseguenze possono essere evitate attraverso la purgazione della mora.
Questa può aversi in diverse circostanze, come quando il creditore concede una dilazione del
pagamento al debitore, oppure quando il creditore rinunzia al credito o semplicemente alla mora.
Con la purgazione della mora ne terminano gli effetti sfavorevoli con la cessazione del decorso
degli effetti moratori, e del rischio dell'impossibilità sopravvenuta in capo al debitore.
8. La liquidazione del danno. - La liquidazione del danno consiste nella determinazione del
risarcimento e perciò nella quantificazione dell’ammontare dell’importo dovuto dal debitore al
creditore per ristorarlo del pregiudizio subito. Tale importo è l’oggetto dell’obbligazione
risarcitoria, la cui misura varia in ragione dell’accompagnarsi o meno ad un adempimento coattivo.
Il creditore ha l’onere di provare l’esistenza e l’ammontare del danno sofferto in conseguenza
dell’inadempimento. Sugli interessi moratori possono anche maturare ulteriori interessi dando vita
all’anatocismo.
9. Concorso del fato colposo del creditore. - Nella configurazione della responsabilità per
inadempimento, nella determinazione del danno da risarcire rileva il comportamento tenuto del
creditore tenuto ad un dovere di cooperazione con il debitore. Tale raffigurazione fa riferimento al
dovere di correttezza tra i due soggetti. Il fatto colposo del creditore assume rilevanza giuridica in
duplice modo:
a) come partecipazione causale nel cagionare l’evento dannoso in questo caso il risarcimento è
diminuito a seconda della gravità della colpa del creditore.
b) come inerzia nell’evitare il danno che integra un concorso di colpa del creditore per non aver
evitato i danni che potevano essere evitati con l'ordinaria diligenza. In tale caso il risarcimento
non è dovuto per i danni che il creditore avrebbe potuto evitare usando l'ordinaria diligenza. Il
creditore anche se non ha contribuito a causare l'evento dannoso avrebbe potuto evitare un
aggravamento del danno. Sono regole che trovano applicazione anche in tema di illecito
extracontrattuale, rispetto al fatto illecito danno conseguenti, in virtù del richiamo all’art. 2056.
CAPITOLO 5
RESPONSABILITÀ PATRIMONIALE DEL DEBITORE
(La garanzia generica del credito)
1. Garanzia del credito e responsabilità patrimoniale del debitore. - Parlando dei tratti generali
che costituiscono l'obbligazione abbiamo visto che in un tale rapporto la prestazione del debitore,
suscettibile di valutazione economica, al creditore può corrispondere ad un interesse patrimoniale e
non patrimoniale. Quando il debitore si rende inadempiente, impedendo così al creditore di
soddisfare un proprio interesse, quest'ultimo per conseguire il bene oggetto dell'obbligazione può
ricorre a forme coattive legittimate dall'ordinamento per soddisfare il proprio interesse. In tal
mondo esso può rivalersi sul patrimonio del debitore. L'art. 2740 afferma che il debitore risponde
dell'inadempimento delle obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri. Si parla in definitiva di
una responsabilità patrimoniale del debitore. Il patrimonio del debitore difatti costituisce una
garanzia per il creditore di riscuotere il credito. Quando il patrimonio del debitore è esiguo rispetto
al valore del credito e quindi viene impedita l'esecuzione coattiva, questo può ricorre all'intervento
di terzi che garantiscono per il debitore.
La responsabilità patrimoniale del debitore è regolata dal codice civile da due principi fondamentali
con le apposte eccezioni. A tali due principi se ne è aggiunto poi un terzo. Si parla in tal modo della
responsabilità patrimoniale illimitata con le relative eccezioni previste dalla legge, alla parità di
trattamento dei creditore esclusivi quelli che presentano cause legittime di prelazione e infine si
parla del divieto del patto commissorio.
a) Responsabilità patrimoniale illimitata, salve le eccezioni previste dalla legge. Per l'art. 2740
afferma che il debitore risponde dell'adempimento delle obbligazioni da lui assunte con tutti i
suoi beni presenti e futuri. L'interesse dei beni presenti e futuri rappresentano una importante
garanzia del creditore. Nel corso del rapporto il creditore ha diritto all'integrazione di garanzie
laddove queste vengano diminuite o non più prestate dal debitore. Il comma 2 dell'art. 2740
ammette poi che le limitazioni di responsabilità nei soli casi previsti dalla legge. Limitazioni di
responsabilità sono dunque eccezionali e tassative. Sarà l'ordinamento stesso a valutare
l'opportunità di introdurre figure limitative della responsabilità in base alla valutazione della
natura del credito, qualità dei beneficiari, natura e destinazione dei beni esclusi dalla esecuzione.
Le limitazioni di responsabilità comportano un vincolo di indisponibilità che esclude i beni dalla
espropriazione. Ne sono esempi i vari patrimoni separati e destinati. Esempi sono il fondo
patrimoniale, l'usufrutto legale, fondi speciali per l'assistenza e la previdenza, i patrimoni
destinati dalle s.p.a ad uno specifico affare. Un'ampia categoria è poi rivolta ai cosiddetti atti di
disposizione in cui rientra anche il trust. Vediamo che solo il patrimonio destinato risponde dei
debiti assunti in funzione alla realizzazione della destinazione e su tale patrimonio possono
rivalersi i creditori.
b) Parità di trattamento dei creditori, salve le cause legittime di prelazione. In tal caso i creditori
hanno eguale diritto ad essere soddisfatti sui beni del debitore, salve cause legittime di
prelazione. È la regola della cosiddetta par condito creditorum per il quale dallo stesso
patrimonio devono essere soddisfatti tutti i creditori in maniera paritaria, per intero se il
patrimonio è sufficientemente capiente, in modo proporzionale se non lo è. Una porzione di
vantaggio invece assumono i creditori soggetti a cause legittime di prelazione. Rientrano in tale
categoria, pegni, ipoteche e privilegi. Le cause legittime di prelazione rappresentano una
garanzia specifica rendendo a tali creditori una posizione di vantaggio nella riscossione del
credito rispetto ai creditori chirografi. Si distinguono in tal modo due garanzie. Una generica che
ha come oggetto la totalità del patrimonio e garanzie specifiche che ha come oggetto specifici
beni. Tutti i creditori sono dotati di garanzie generiche solo alcuni di garanzie specifiche.
c) Divieto del patto commissorio. È un istituto che solo di recente si è evoluto a principio generale
di responsabilità patrimoniale. È nullo ogni patto con il quale si conviene che in mancanza del
pagamento del credito nel termine fissato, la proprietà della cosa ipotecata o data in pegno passi
al creditore. Il patto è nullo sia che la costituzione del pegno o dell'ipoteca sia stata fatta
anteriormente o posteriormente. Tale previsione non permette al creditore di ottenere il possesso
del bene se non successivamente ad una sentenza di espropriazione del bene oggetto di pegno o
ipoteca. Viene assicurato che il bene del debitore venga valutato in maniera corretta cosicché con
la rimanenza della liquidazione del bene possano essere soddisfatti anche i creditore chirografari.
È poi possibile anche che le parti convengano ad accordarsi ad un diverso oggetto rispetto
l'obbligazione originaria ma comunque di interesse del creditore aprendosi così la dazione in
pagamento. Un'applicazione del divieto del patto commissorio è operata dalla legge in tema di
anticresi. Ma sono varie le ipotesi in cui si spinge ad aggirare tale previsione con la costituzione
di negozi o contratti che la giurisprudenza ha dichiarato nulli per illiceità della causa concreta.
Risulta invece essere valido il cosiddetto patto marciano in virtù del quale il bene oggetto di
pegno o ipoteca dato in garanzia, può essere acquistato dal creditore che è tenuto al pagamento
della somma del bene valutato da un terzo.
3. In particolare l'espropriazione forzata. - Di regola con una sola sentenza viene accertato
l'inadempimento del debitore ed emessa così la condanna del debitore al pagamento di una somma
di danaro al creditore in sostituzione dell'obbligazione originaria inadempiuta con l'aggiunta dei
relativi danni. La sentenza diviene quindi il titolo esecutivo che consente al creditore di promuovere
l'azione esecutiva di espropriazione forzata dei beni del debitore. Il procedimento è regolato dall'art.
483 del codice di procedura civile. Tale procedimento prende forma inizialmente con il
pignoramento del bene. Tale pignoramento interessa frutti del bene, pertinenze ed accessori.
Tuttavia non tutti i beni sono soggetti a pignoramento. Ne sono esclusi quelli destinati al culto, alla
sfera esistenziale del soggetto e gli strumenti professionali. Quando il valore dei beni pignorati è
superiore al valore del credito il giudice può disporre una riduzione del pignoramento. Se
l'esecuzione non perviene ad esaurimento perché il debitore ad esempio ha pagato il suo debito, gli
atti di alienazione dei beni pignorati rimangono efficaci nei confronti dei terzi. In ogni caso sono
salvi gli effetti del possesso di buona fede da parte del terzo per i beni mobili non registrati mentre
per i beni immobili e mobili registrati è decisiva la trascrizione del pignoramento. L'atto di
pignoramento va trascritto nei registri immobiliari. La trascrizione ha effetto per 20 anni, l'effetto
cessa ipso iure se la trascrizione non viene rinnovata prima della scadenza del termine. Successiva
al pignoramento è la vendita forzata del bene per conseguire una successiva liquidità che andrà a
soddisfare per legge prima i creditori che vantano una causa legittima di prelazione e
successivamente i creditori chirografari secondo la regola della par conditio.
5. Generalità. - Si è visto come la garanzia generica faccia riferimento alla totalità del patrimonio
del debitore. Affinché il creditore consegua, anche coattivamente, l'oggetto della obbligazione è
necessario che il debitore mantenghi integro il patrimonio laddove non esistono delle garanzie
specifiche. Le azioni che non consentono al debitore di diminuire appositamente il patrimonio sono
l'azione surrogatoria, l'azione revocatoria e il sequestro conservativo.
6. Azione surrogatoria. - Tale azione si rivolge verso il debitore inerte nella cura del patrimonio. Il
debitore carico di debiti potrebbe non trovare più interessi nel riscuotere i crediti di terzi poiché è
consapevole che eventuali accrescimenti del patrimonio, ma anche la stessa conservazione,
sarebbero solo di vantaggio al creditore. In tal modo il creditore per evitare che il patrimonio vada a
deperirsi e per assicurare le eventuali garanzie sul patrimonio del debitore, si sostituisce ad esso per
conseguire i debiti verso i terzi. Affinché si realizzi la procedura dell'azione surrogatoria è
necessario:
a) l’inerzia del debitore nel conseguire i crediti verso i terzi costituendo un pregiudizio verso il
creditore;
b) il creditore che si sostituisce al debitore può esercitare nei confronti di terzi solo azioni e diritti di
contenuto patrimoniale e non azioni e diritti che per loro natura debbano essere esercitati
esclusivamente dal debitore.
c) deve sussistere un pregiudizio che susciti nel creditore pericolo per il deperimento del patrimonio
del debitore.
Il risultato dell'azione surrogatoria avvantaggia tutti i creditori e non solo quello che abbia agito.
7. Azione revocatoria. - Tale azione si rivolge verso il debitore malizioso che depaupera il
patrimonio. È una pratica molto diffusa che il debitore tenda a sottrarre intenzionalmente beni al suo
patrimonio per evitare l'aggressione dei creditori simulando una alienazione o compiendo
effettivamente una alienazione di singoli beni a terzi pur di ricavarne qualcosa. L'azione revocatoria
quindi a differenza dell'azione surrogatoria interessa un soggetto attivo che appunto
intenzionalmente vuole ridurre il suo patrimonio. L'azione revocatoria è un atto che impedisce tale
pratica. Non è necessario che il credito sia attuale e liquido ma è sufficiente che esista. Per
realizzarsi l'azione revocatoria deve avere due presupposti ossia un presupposto oggettivo e
soggettivo.
a) Presupposti oggettivi. Deve esistere innanzitutto un atto di disposizione del debitore che rechi
pregiudizio alla garanzia patrimoniale del creditore. Tale atto può essere un negozio traslativo
come per esempio vendita, donazione, ecc. La costituzione di un diritto reale di godimento a
favore di terzi ossia la costituzione di un diritto di usufrutto, la costituzione di garanzie come
pegno o ipoteca. È considerato pregiudizievole anche qualsiasi atto che miri alla riduzione del
valore economico del patrimonio come per esempio locazione di un immobile, fideiussione,
costituzione di servitù, ecc. Il debitore deve mantenere l'originario stato di fruttuosità del
patrimonio.
b) Presupposti soggettivi. Rileva sia lo stato soggettivo del debitore sia lo stato soggettivo del terzo.
Quanto al debitore il tratto minimo è la consapevolezza del pregiudizio che l'atto dispositivo
arreca alle ragioni del creditore diminuendo la garanzia patrimoniale. Tale atto è sufficiente se
successivo alla nascita del debito. Se invece l'atto dispositivo è precedente al sorgere del credito
è richiesta la dolosa preordinazione dell'atto dispositivo al fine di pregiudicare il soddisfacimento
del creditore.
Quanto al terzo risulta determinante la natura dell'atto dispositivo. Per gli atti a titolo oneroso è
sufficiente che il terzo conoscesse il pregiudizio che l'atto dispositivo arrecava alle ragioni del
creditore, avesse cioè consapevolezza del danno causabile al creditore. Se però l'atto dispositivo
è anteriore al sorgere del credito il terzo deve essere partecipe della dolosa preordinazione. Per
gli atti a titolo gratuito è irrilevante lo stato soggettivo del terzo. Ma non sempre riesce la nitida
distinzione tra onerosità e gratuità.
L'azione revocatoria si prescrive in 5 anni dalla data dell'atto dispositivo. Il profilo più delicato è il
regime della prova dei presupposti soggettivi. Principio generale è che la buona fede è presunta al
momento dell'acquisto. Quindi al creditore che agisce in revocatoria incombe l'onere di provare non
solo i presupposti oggettivi ma anche lo stato soggettivo del terzo e del debitore.
8. Segue. Effetti dell'azione revocatoria. - Proprio in quanto l'atto dispositivo revocato è valido
consegue che anche dopo la revoca il bene alienato rimane nel patrimonio del terzo e non del
debitore. L'azione revocatoria determina l'inefficacia dell'atto dispositivo nei confronti del creditore
che agisce in revocatoria al fine di consentirgli di esercitare sull'oggetto che costituisce
l'obbligazione la tutela coattiva. Ottenuta la revoca il creditore può agire nei confronti del debitore o
di ulteriori subacquirenti con azioni esecutive e conservative dei beni oggetti dell'atto impugnato.
Eseguita la espropriazione con la conversione in danaro dei beni alienati, dopo la soddisfazione del
creditore sul ricavato, tutto quanto residua dalla liquidazione fa parte del patrimonio del terzo che
ha acquistato beni oggetto di revocatoria. Il terzo che ha ragioni di credito nei confronti del debitore
non può concorrere sul ricavato dei beni oggetto di revoca se non dopo che viene soddisfatto prima
il creditore. Il terzo può comunque avanzare una azione di risarcimento dei danni nei confronti del
debitore alienante se non è riuscito a soddisfarsi sul residuo dell'espropriazione rimasta in suo
favore. Il creditore presenta anche una tutela verso i subacquirenti. Infatti la revoca dell'atto
dispositivo non pregiudica i diritti acquistati da terzi in buona fede salvi gli effetti della trascrizione
della domanda di revocazione. La sentenza della domanda di revoca è sempre opponibile al terzo
che ha acquistato il bene a titolo gratuito e al terzo che ha acquistato il bene a titolo oneroso solo se
risulti essere a conoscenza del pregiudizio arrecato dall'atto dispositivo verso il creditore. Con
riguardo agli atti dispositivi dei beni immobili, strumento essenziale di risoluzione dei conflitti tra
terzo e creditore è la pubblicità. La sentenza che accoglie la domanda di revoca non pregiudica i
diritti acquistati a titolo oneroso da terzi in buona fede.
9. Sequestro conservativo. - Tale istituto viene applicato quando sussista un pericolo oggettivo di
depauperamento del patrimonio del debitore. Il dato oggettivo è il pericolo da parte del creditore di
perdere completamente la garanzia patrimoniale. Il creditore così può far richiesta di sequestro
conservativo del patrimonio del debitore. Esso può rivolgere tale richiesta anche al terzo per evitare
una ulteriore alienazione del bene.
Il giudice su istanza del creditore che ha fondato timore di perdere la garanzia del proprio credito,
può autorizzare il sequestro di un immobile, mobile o somme di denaro del debitore nei limiti in cui
la legge permette il pignoramento. Affinché si realizzi il sequestro conservativo devono concorrere
due presupposti.
Innanzitutto deve esistere una ragionevole fondatezza del diritto vantato dal creditore per evitare
abusi sia sul debitore sia sul patrimonio di quest’ultimo.
Inoltre, deve sussistere un timore fondato di perdere la garanzia patrimoniale del debitore ricavabile
dal comportamento di quest'ultimo volto al deperimento totale del patrimonio.
Come abbiamo visto possono formare oggetto di sequestro beni mobili, immobili, somme di
denaro, partecipazioni sociali ecc. Il sequestro sugli immobili si esegue con la trascrizione del
provvedimento nei registri immobiliari del luogo in cui sono situati. Analogamente per i beni mobili
registrati si prevede la trascrizione del provvedimento su appositi registi. Con il sequestro si realizza
un vincolo di indisponibilità del bene per il debitore. Il debitore è privato della disponibilità materia
della cosa che è affidata ad un curatore, potrebbe essere lo stesso debitore. Il provvedimento di
sequestro conservativo di beni immobili va trascritto sui registri immobiliari ed ha effetto per 20
anni. L'effetto cessa ipso iure se la trascrizione non è rinnovata prima che scada il suddetto termine.
10. Generalità. - L’esecuzione coattiva del diritto di credito sul patrimonio del debitore è di lunga
durata oltre che essere dispendiosa. Esistono così alcuni metodi tali da garantire la garanzia
patrimoniale con minori spese. Si tratta della cessione dei beni al creditore, anticresi, e rimedi di
autotutela.
11. Cessione dei beni ai creditori. - La cessione dei beni ai creditori è un contratto con cui il
debitore cede parte dei suoi beni o tutti i beni a un creditore o a più creditori con l'intento di far
liquidare tali beni dagli stessi creditori per far conseguire loro il credito vantato è così estinguere
l'obbligazione. Nonostante si parli di cessione di beni non si ha il trasferimento di diritti ai
cessionari in quanto la proprietà e la titolarità rimangono in capo al debitore. Il contratto richiede
forma scritta pena di nullità ed è soggetto a trascrizione se interessa beni immobili. Con la cessione
dei beni il debitore è legato ad un vincolo di indisponibilità verso questi ultimi che si traduce anche
in un divieto di alienazione a terzi. I creditori cessionari sono autorizzati a liquidare i beni ceduti
convertendoli in danaro per soddisfare i propri interessi. Essi assumono sui beni ceduti del debitore
l'amministrazione, la tutela giudiziaria, il potere di alienazione e il riparto del ricavato delle
alienazioni. In sostanza i cessionari dispongono è amministrano i beni nell'interesse del debitore. I
creditori sono soddisfatti in proporzione dei loro crediti salve cause legittime di prelazione. Non
avendo il debitore perduto la titolarità dei propri diritti ciò che residua dalla liquidazione spetta al
debitore. Salvo patto contrario il debitore è libero dall'obbligazione quando tutti i suoi creditori sono
stati soddisfatti.
Il debitore ha diritto di controllare la gestione dei bei ceduti da parte dei creditori e di ottenere un
rendiconto alla fine della liquidazione o alla fine di ogni anno se la gestione dura più di un anno.
Inoltre può recedere sempre il contratto offrendo il pagamento del capitale e degli interessi e
rimborsando ai creditori le spese di gestione. I creditori a loro volta hanno diritto a chiedere
l'annullamento del contratto se il debitore, dichiarando di cedere tutti i suoi beni, ha occultato una
parte consistente degli stessi.
12. Anticresi. - L’anticresi è il contratto con cui il debitore o un terzo si obbliga verso un creditore a
consegnare un immobile al creditore a garanzia del credito, affinché il creditore ne percepisca i
frutti imputandoli agli interessi, se dovuti e quindi al capitale. È un contratto legato essenzialmente
ad una economia agricola attraverso cui il creditore viene soddisfatto del proprio interesse
attraverso i frutti procurati dall'immobile. Perciò oggi è di rara applicazione. Il creditore anticretico
ha l'obbligo di conservare, coltivare e amministrare il fondo da buon padre di famiglia. L'anticresi
dura finché il creditore sia stato completamente soddisfatto del suo credito, in ogni caso non può
perdurare più di 10 anni. Se il bene costituito in anticresi è espropriato da altri creditori, il creditore
anticretico non è preferito agli altri ma concorre con gli essi secondo la par conditio. Il contratto
deve essere stipulato in forma scritta, pena annullamento ed essere soggetto a trascrizione. Il
contratto di anticresi si presta molto spesso ad aggirare il divieto del patto commissorio laddove si
consegna l'immobile, al termine della scadenza dei pagamenti se il debitore non ha adempiuto alla
obbligazione, al creditore che ne ottiene il possesso. L'ordinamento come abbiamo già visto vieta il
patto commissorio dichiarandone la nullità di qualunque patto anche posteriore al contratto che
comporta l'acquisto dell'immobile da parte del creditore nei casi in cui il debitore non adempi
all'obbligazione. Con l'anticresi si estingue l'obbligazione con il pagamento prima degli interessi e
poi dell'intero capitale.
13. Rimedi di autotutela. - Al fine di agevolare la realizzazione del credito, la legge appresta
specifici rimedi di autotutela spettanti al creditore, salva la successiva verifica giudiziaria del
corretto esercizio degli stessi. Sono rimedi che permettono indirettamente la garanzia del credito,
attraverso un’iniziativa del creditore che evita o riduce il danno conseguente all’inadempimento.
Generali rimedi di autotutela del creditore:
a) diritto di ritenzione: è accordato al creditore di non consegnare la cosa dovuta al proprietario o
altro avente diritto finché questi non esegua la prestazione dovuta.
b) decadenza del debitore dal termine: art. 1186, il creditore può esigere immediatamente la
prestazione se il debitore è divenuto insolvente o ha diminuito, per fatto proprio, le garanzia che
aveva dato o non ha dato le garanzia che aveva promesso.
c) sospensione dell’adempimento per mutamento delle condizioni patrimoniali del debitore. Art.
1461, ciascun contraente può sospendere l’esecuzione della prestazione da lui dovuta, se le
condizioni patrimoniali dell’altro sono divenute tali da porre in evidente pericolo il
conseguimento della controprestazione, salvo che sia prestata idonea garanzia.
d) opposizione al pagamento del debitore a un terzo per alcune ipotesi. Il pagamento eseguito dal
debitore non ha effetto se rechi pregiudizio al creditore opponente.
CAPITOLO 6
CAUSE LEGITTIME DI PRELAZIONE
(Le garanzie specifiche del credito)
1. Concorso di creditori e cause di prelazione: tratti comuni. - Si è visto che nei casi in cui
concorrono più creditori sul medesimo patrimonio del creditore, tutti i creditori devono essere
soddisfatti in maniera paritaria secondo il principio della par conditio creditorum. Quando il
patrimonio risulta insufficiente per soddisfare tutti i creditori questi devono essere soddisfatti in
maniera proporzionale. È molto diffusa l'ipotesi in cui sul medesimo patrimonio oltre che rivalersi i
normali creditori vi siano alcuni che presentino su determinati beni cause legittime di prelazione. Si
tratta quindi di garanzie specifiche che portano a soddisfare prima i creditori che presentano tali
caratteristiche e poi i creditori con garanzie generiche detti anche creditori chirografari. Quando i
beni su cui vertono cause legittime di prelazione non risultino essere sufficienti a soddisfare
interamente il creditore, questo può rivalersi sul patrimonio del debitore per soddisfare il credito
residuo insieme ai creditori chirografari in modo proporzionale.
Alcune regole si applicano a tutte le cause legittime di prelazione:
a) Regola della tipicità delle cause di prelazione. Per l’art. 2741 sono cause legittime di prelazione
i privilegi, il pegno e le ipoteche. Pegno e ipoteca sono garanzie reali per inerire ad uno specifico
bene; diversamente operano i privilegi.
b) Surrogazione dell’indennità della cosa: per l’art. 2742 c.c. se la cosa soggetta a garanzia perisce
o si deteriora e la stessa risulta assicurata, il creditore può soddisfarsi sulla corrispondente
indennità pagata dall’assicuratore. La surrogazione reale realizza una vicenda modificativa
oggettiva dell’obbligazione.
c) Decadenza del debitore dal termine: anche se il termine è fissato a favore del debitore, il
creditore può esigere immediatamente la prestazione e il debitore è divenuto insolvente o ha
diminuito, per fatto proprio, le garanzie che aveva dato o non ha dato le garanzie che aveva
promesso.
A) PRIVILEGI
Problema delicato è quello del concorso dei privilegi con altre garanzie. Operano tre regole
fondamentali:
a) di regola il privilegio speciale sui mobili soccombe al pegno, tranne diversa disposizione di legge
(art. 2748);
b) il privilegio speciale su immobili prevale sull’ipoteca, tranne diversa disposizione di legge;
c) Tra più privilegi la preferenza è accordata secondo la graduazione disposta dagli artt. 2777 ss.
(ordine dei privilegi): al primo posto sono sempre le spese di giustizia; se i crediti sono
egualmente privilegiati concorrono tra loro in proporzione del rispettivo importo (art. 2782).
4. Caratteri comuni alle garanzie reali. - In genere, la garanzia del creditore è rappresentata dal
patrimonio del debitore, ma questo è solo una garanzia generica del credito: al creditore non è data
la certezza di potersi soddisfare, in caso di inadempimento, su un dato bene del debitore.
Una garanzia specifica (che dia al creditore la certezza di potersi soddisfare su un dato bene) è
invece rappresentata dalla costituzione del pegno o dell’ipoteca.
Pegno e ipoteca sono garanzie reali parziarie. Tradizionalmente li si definisce come diritti reali di
garanzia su cosa altrui: il bene resta di proprietà di chi, debitore o terzo, lo ha dato in pegno o in
ipoteca, e può essere dal proprietario liberamente alienato. Ma il creditore acquista sul bene un
duplice diritto:
- il diritto di procedere ad esecuzione forzata sul bene anche nei confronti del terzo acquirente
(“diritto di sequela” del pegno o dell’ipoteca);
- il diritto di soddisfarsi sul prezzo ricavato dalla vendita forzata del bene con preferenza rispetto
agli altri creditori del medesimo debitore (“diritto di prelazione”).
Sul creditore pignoratizio o ipotecario incombe un onere: non può sottoporre ad esecuzione forzata
altri beni del debitore se non sottopone prima ad esecuzione i beni gravati da pegno o da ipoteca
(art. 2911).
5. Pegno.
Il pegno è un diritto reale di garanzia su beni mobili costituito dal debitore o dal terzo a garanzia
dell'obbligazione.
Oggetto del pegno sono beni mobili, universalità di beni mobili, crediti e altri diritti aventi ad
oggetto beni mobili. Il pegno è indivisibile e garantisce il credito finché questo non sia stato
completamente soddisfatto anche se il debito o la cosa data in pegno sia divisibile.
Il pegno viene costituito mediante spossamento, colui che costituisce il pegno deve consegnare la
cosa o il documento che costituisce l'esclusiva disponibilità della cosa o del diritto al creditore. Si
tratta di un contratto reale che si perfeziona con la consegna della cosa o del documento. La cosa o
il documento possono essere consegnati anche al terzo destinato dalle parti a riceverla in custodia in
modo che sia negata a colui che ha costituito il pegno la disponibilità senza cooperazione del
creditore. I terzi che acquistano dal debitore diritti su un bene mobile non registrato non in suo
possesso non possono invocarne la tutela. In modo analogo gli altri creditori non possono fare
affidamento alla espropriazione su un bene che non è nel possesso.
Nel pegno di crediti la prelazione ha luogo solo quando il pegno risulta da atto scritto che sia stato
notificato al debitore e accettata la notificazione con scrittura avente data certa. Per pegni di diritti
diversi da crediti si ha il trasferimento di singoli diritti.
Il pegno costituisce un vincolo di destinazione sul bene finalizzato alla garanzia del credito. Sul
bene pignorato quindi si avrà un diritto reale di garanzia che attribuisce un diritto di prelazione
assistito da un diritto di seguito. Il creditore ha diritto di farsi pagare in prelazione sulla cosa
ricevuta in pegno. La prelazione non si può far valere se la cosa non è rimasta in possesso del
creditore o presso il terzo designato. Il creditore non acquista la proprietà del bene ricevuto in pegno
che rimane dunque al debitore. Egli nei confronti del bene pignorato ha un dovere di gestione e
conservazione del bene in vista della restituzione del bene in seguito all'adempimento del debitore.
Il creditore senza il consenso del costituente non può usare la cosa data in pegno con un fine diverso
dalla conservazione. In tal modo non può darla ad altri in pegno ne concederne il godimento ad
altri. Se il debitore rimane inadempiente, il creditore può far vendere la cosa data in pegno. Prima
della vendita deve però intimare il debitore al pagamento del debito e gli accessori, in mancanza si
procederà alla vendita. Quando il credito garantito eccede la somma di euro 2,58 la prelazione non
può essere esercitata se il pegno non ha forma scritta.
Il creditore è tenuto a restituire il pegno solo dopo che siano stati interamente pagati il capitale, gli
interessi e il rimborso per le spese relative al debito e al pegno. Se però il debitore ha nei confronti
del creditore un debito ulteriore sorto dopo la costituzione del pegno e ormai scaduto, il creditore ha
diritto alla ritenzione a garanzia del nuovo credito.
6. Segue. Pegni atipici. - Nella esperienza generale sono diffuse pratiche in deroga ai principi
generali delle garanzie reali.
a) Pegno omnibus. È una figura utilizzata nella prassi bancaria. Si tratta di una clausola con cui la
banca estende la garanzia su tutti i beni di pertinenza del cliente a garanzia di un suo credito
presente o futuro.
b) Con il pegno rotativo le parti provvedono a sostituire i beni originariamente costituiti in garanzia
con altri beni.
c) Con il pegno irregolare il debitore consegna al creditore cose fungibili (danaro, o titoli) che il
creditore acquista in proprietà e che il creditore è tenuto a restituire nello stesso genere e nella
stessa quantità successivamente alla estinzione del rapporto obbligatorio. Il pegno irregolare,
comportando il trasferimento della proprietà al creditore pignoratizio, rappresenta una eccezione
rispetto alla tipica funzione di garanzia del pegno, perciò, per la giurisprudenza, il trasferimento
della proprietà deve essere previsto dalla legge. Diversamente deve essere qualificato come
pegno regolare.
7. Ipoteca. - L’ipoteca è una garanzia reale costituita dal debitore o dal terzo su beni mobili o
immobili a garanzia dell'obbligazione mediante la iscrizione nei registri di pubblicità. Ha la
funzione di prelazione sul ricavato della vendita del bene espropriato.
a) Sono oggetto di ipoteca pertinenze, usufrutti, superfici, diritto dell'enfiteuta, rendite dello stato,
beni mobili registrati. Il diritto di servitù è escluso dai beni oggetto di ipoteca in quanto non
suscettibile di atto di disposizione e dunque di espropriazione.
Sono esclusi da ipoteca anche i diritti di uso e di abitazione per specifici bisogni del titolare e
della sua famiglia. In presenza di pericolo di danno a causa di atti compiuti da terzo o debitore,
per perimento o deterioramento, sui beni su cui insiste ipoteca, il creditore può domandare
all'autorità giudiziaria la cessazione degli atti.
b) L'ipoteca viene costituita mediante l'iscrizione nei registri immobiliari se si tratta di beni
immobili, se si tratta di beni mobili invece con l'iscrizione in appositi registri. L'ipoteca deve
essere iscritta per beni specialmente indicati e per una somma determinata in danaro. C'è dunque
necessità di esatta identificazione dell'immobile o dei singoli immobili ipotecati e dell'esatta
determinazione dell'ammontare del credito. Omissioni o inesattezze nel titolo che inducano
incertezza sulla persona del creditore o del debitore sull'ammontare del credito comportano
l'invalidità della iscrizione.
c) L'ipoteca come anche il pegno rappresenta un diritto reale di garanzia finalizzato al l'attuazione
del diritto di prelazione. In particolare l'ipoteca consente al creditore il diritto di espropriare i
beni vincolati da ipoteca e di essere soddisfatto con preferenza sul prezzo ricavato dalla
espropriazione. Il bene ipotecato rimane comunque nella proprietà e nel possesso del debitore e
può dunque alienarlo a terzi sebbene il vincolo ipotecario non lo rende appetibile sul mercato.
All'ipoteca poi si accompagna il diritto di seguito per cui il creditore può far valere la
espropriazione anche nei confronti del terzo acquirente.
d) È possibile che su un medesimo bene siano costituite più ipoteche. Per stabilire quindi quale
creditore debba essere preferito rispetto ad un altro bisognerà verificare il grado della sua
ipoteca. Sarà preferito in tal modo il creditore che avrà per primo iscritto la sua ipoteca rispetto
al creditore che abbia iscritto la sua ipoteca in un momento secondario. Questa preferenza si
esprime nel fatto che il primo creditore avrà diritto ad essere soddisfatto per l'intero suo credito
sul bene ipotecato, ma se vi sarà un residuo della somma ricavata in seguito all'espropriazione,
questa spetterà al secondo creditore e se, dopo la soddisfazione di quest'ultimo creditore, vi sarà
ancora una somma di danaro disponibile questa spetterà al terzo e così via.
Regole fondamentali sono dettate a favore del terzo acquirente. Al terzo acquirente del bene
ipotecato, che ha trascritto il suo titolo di acquisto, sono accordati tre fondamentali diritti:
- innanzitutto ha diritto ad evitare la espropriazione dei beni ipotecati pagando integralmente i
creditori ipotecari;
- rilasciare i beni ipotecati ai creditori ipotecari; liberare l'immobile da ipoteca (purgazione
dell’ipoteca);
- ha inoltre diritto di far separare dal prezzo della vendita la parte corrispondente ai miglioramenti
eseguiti dopo la trascrizione dell’acquisto.
- infine, se ha pagato i creditori iscritti o ha rilasciato l'immobile ipotecato ai creditori o ha sofferto
l'espropriazione, ha ragione di indennità verso il debitore, anche se si tratta di acquisto a titolo
gratuito. In dipendenza di ciò ha pure diritto di subingresso nelle ipoteche dei creditori
soddisfatti sugli altri beni del debitore. Nei confronti del terzo acquirente l'ipoteca si estingue per
prescrizione con il decorso di venti anni dalla data di trascrizione dell'acquisto del terzo, salvo
cause di sospensione o interruzione.
8. Segue. Titolo dell’ipoteca. - Il titolo costituisce la fonte dell’ipoteca e ne consente la
costituzione. Possiamo distinguere 3 tipi di ipoteca: legale, giudiziaria e volontaria.
a) Per quanto riguarda l'ipoteca legale il titolo dell'ipoteca è nella legge che prevede a favore di
alcuni soggetti il diritto alla iscrizione ipotecaria. Hanno diritto all'iscrizione della ipoteca legale:
1. l'alienante sopra gli immobili alienati per l'adempimento degli obblighi che derivano dall'atto
di alienazione; 2. i coeredi, soci e altri condividenti per il pagamento dei conguagli di beni
immobili assegnati ad altri condividenti; 3. lo Stato sopra i beni dell'imputato o del civilmente
responsabile per il pagamento delle spese processuali. L'ipoteca dell'alienante e quella
condividente sono disciplinate dal codice civile, l'ipoteca dello stato è regolata dal codice penale
e di procedura penale. Tale ipoteca è costituita con l'iscrizione nei registri di pubblicità.
b) L'ipoteca giudiziale deriva dalla sentenza di condanna al pagamento di una somma di denaro o
per l'adempimento di altra obbligazione ovvero al risarcimento del danno da liquidarsi
successivamente. È sufficiente anche una sentenza di condanna generica al risarcimento. Il
provvedimento giudiziale contiene la condanna al pagamento. In virtù di tale titolo il creditore ha
diritto ad ottenere la costituzione dell'ipoteca sugli immobili appartenenti al debitore e su quelli
successivi alla condanna. Si può iscrivere una ipoteca in base a sentenze pronunciate da autorità
giudiziarie straniere dopo che ne sia stata dichiarata l'efficacia dall'autorità giudiziaria italiana.
c) L’ipoteca volontaria trova la sua fonte nella volontà di una o entrambe le parti; normalmente è
costituita per contratto redatto per atto pubblico, ma è possibile che sorga, sempre nella stessa
forma, per atto unilaterale, ma non per testamento.
La concessione deve farsi per atto pubblico o scrittura privata con sottoscrizione autenticata o
accertata giudizialmente. L'atto di concessione deve contenere le informazione dell'immobile
ipotecato.
10. Contratti di garanzia finanziaria. - Si intendono i contratti di garanzia reale avente ad oggetto
attività finanziarie volte a garantire l’adempimento di obbligazioni finanziarie. E’ richiesta la forma
scritta sia ai fini della prova che per l’opponibilità a terzi. La normativa introdotta mira a facilitare
la realizzazione del credito, con la previsione di validità dei contratti che attribuiscono al creditore
pignoratizio poteri di escussione della garanzia in via di autotutela.
CAPITOLO 7
ESTENSIONE DELLA RESPONSABILITÀ PATRIMONIALE
(Le garanzie del terzo)
1. Garanzie legali e volontarie. - Si è visto che la garanzia del credito è rappresentata dal
patrimonio del debitore. Sono frequenti le ipotesi in cui si rafforza la garanzia del credito
affiancando alla garanzia del debitore ulteriori garanzie offerta da soggetti diversi accrescendo così
il patrimonio sul quale il creditore può soddisfarsi. Talvolta è la legge a prevedere che alcuni
soggetti rispondano per le obbligazioni assunte da soggetti giuridici diversi, si parla a riguardo di
garanzia personale. Altre volte la garanzia trova fonte nella volontà privata. In presenza di un
patrimonio modesto, rispetto all'entità del credito, il creditore è solito chiedere che il debitore
procuri garanzie da parte di altri soggetti in grado di soddisfare il il credito.
A) GARANZIE PERSONALI
2. Generalità. - È possibile che un soggetto assuma la garanzia personale per l'adempimento delle
obbligazioni altrui. Il terzo in tal modo è tenuto a rispondere illimitatamente per l'adempimento
delle obbligazioni altrui con tutti i suoi beni presenti e futuri. Si parla in tal modo della fideiussione,
il mandato di credito, il contratto autonomo di garanzia e l'avallo.
6. Avallo. - L’avallo è apposto sull'assegno bancario o sulla cambiale. Da luogo ad una tipica
obbligazione cartolare caratterizzata dai requisiti dell'autonomia, dell'astrattezza e della letteralità.
Sia il pagamento della cambiale che dell'assegno bancario possono essere garantiti con avallo per
tutta o parte della somma. Chi rilascia l'avallo è obbligato nella stessa maniera di colui per il quale
l'avallo è stato dato. Contrariamente alla fideiussione, che rappresenta una garanzia accessoria,
l'avallo è una obbligazione autonoma. Ciò significa che l'avallante è tenuto a pagare anche nel caso
in cui la cambiale sia invalida con eccezione del caso in cui presenti vizi di forma. Colui che rilascia
l'avallo e paga la cambiale o l'assegno, acquista i diritti ad essa inerenti contro il soggetto garantito e
contro coloro che sono obbligati verso quest'ultimo.
7. Lettera di patronge. - È diffusa la prassi di rilasciare, da parte di una società capogruppo o
controllante, lettere di patronage o dette anche di gradimento, ad una banca, affinché questa
conceda, mantenga o rinnovi un credito a favore di una società controllata. Il dato comune alle
lettere di patronage è l'esistenza di un rapporto tra due società, con la partecipazione di una società
controllante nella società controllata e il correlato impegno della società controllante verso la banca
erogatrice del credito di comunicare ogni variazione del rapporto corrente tra le due società.
L'impegno può esaurirsi in una mera informatica di controllo oppure nella gestione della società
controllante, assunzione dell'impegno di solvibilità della società controllata o addirittura il rischio di
inadempimento.
B) GARANZIE REALI
9. Cenni e rinvio. - L’altra forma di estensione della responsabilità patrimoniale è quella della
concessione, da parte di terzi, di garanzie reali (pegno e ipoteca). Si è visto come il pegno e
l’ipoteca possano essere costituiti a garanzia dell’obbligazione, non solo dal debitore, ma anche dal
terzo, il quale così assume la veste di terzo datore di pegno o terzo datore di ipoteca.
PARTE VIII
CONTRATTO
CAPITOLO 1
AUTONOMIA CONTRATTUALE
Tale autonomia contrattuale trova un solo limite ossia quello imposto dalla legge. È l'autorità
giudiziaria a controllare che i contratti non violino tali limiti pena il loro annullamento.
Si è a lungo discusso sul fondamento costituzionale dell'autonomia contrattuale dato che non si
ricavavano elementi dalla costituzione. Ma guardando alla disciplina dei rapporti economici che poi
costituisce tra l'altro la costituzione economica risulta trovare fondamento tale autonomia
contrattuale.
2. La figura del contratto nel codice civile. - Il codice civile distingue la disciplina del contratto in
due categorie. La disciplina dei contratti generali, applicabile dunque ad ogni contratto, è la
disciplina dei singoli contratti applicabile a particolari forme di contratto come locazione, trasporto,
vendita, appalto, ecc.
Il contratto è costituito da elementi essenziali.
a) Il contratto anzitutto implica una pluralità di parti nel senso che non interessa un solo centro di
interesse ma più centri di interesse. Il contratto dunque corre tra almeno due parti nel senso che
può coinvolgere almeno due centri di interesse.
b) Fondamentale nella costituzione del contratto è l'accordo tra le parti che ha luogo con una
manifestazione di volontà delle parti di costituire un rapporto contrattuale. Il termine accordo
quindi indica sia l'incontro delle volontà sia la concordanza degli interessi. La necessità
dell'accordo risulta essere anche una garanzia per l'indipendenza della sfera giuridica individuale
nel senso che il singolo soggetto potrà modificare con la propria volontà, in maniera
indipendente, solo la propria sfera giuridica individuale senza poter modificare la volontà di
sfere giuridiche altrui.
c) Ulteriore elemento è la programmazione di uno scopo ossia l'accordo deve essere finalizzato alla
costituzione, regolazione o estinzione di un rapporto giuridico patrimoniale.
d) Infine il contratto deve incidere su rapporti giuridici patrimoniali, rapporti dunque suscettibili di
valutazione economica. Ciò può avvenire in due modi quando il contratto ha oggetto attribuzioni
intrinsecamente di natura patrimoniale come ad esempio vendita di un bene verso corrispettivo in
danaro, o quando il contratto ha ad oggetto una prestazione. In questo secondo caso la
prestazione oltre che essere suscettibile di valutazione economica e quindi essere di natura
patrimoniale può essere anche di natura non patrimoniale.
3. Segue. Elementi e requisiti del contratto. - Sono elementi essenziali del contratto:
1) l’accordo tra le parti che esprime l'elaborazione e la formazione della volontà negoziale
determinando la conclusione del contratto;
2) la causa che indica la funzione pratica e concreta del singolo negozio;
3) l'oggetto ossia l'elemento che rappresenta il punto di riferimento nell’accordo;
4) la forma vincolata che designa la forma della manifestazione di volontà negoziale.
Tali elementi sono definiti essenziali e la sola mancanza di uno di essi rende il contratto nullo. Si
prevede inoltre che la legge può prevedere elementi aggiuntivi a quelli essenziali che integrano così
gli elementi costitutivi del contratto.
Pure in presenza dei cosiddetti elementi essenziali sussistono cause di invalidità meno gravi che
danno luogo all'annullamento dell'atto quando tali elementi essenziali sono viziati.
Oltre ai requisiti essenziali possono concorrere poi anche requisiti specifici prescritti dalla legge.
Accanto agli elementi essenziali sussistono anche elementi accidentali tipicamente condizione,
termine e onere, possono essere o meno presenti nel contratto, sono aggiunti dalle parti con la
funzione di arricchire il contenuto del contratto.
CAPITOLO 2
CONCLUSIONE
2. Accordo e conclusione del contratto. Il contratto plurilaterale. - Abbiamo visto che l'accordo
è un elemento essenziale affinché si concluda il contratto. Tuttavia esistono alcuni contratti che al
fine del conseguimento della conclusione non basta il mero accordo. Pensiamo in tal modo ai
contratti reali che oltre all'accordo, per la loro conclusione, prevedono anche la consegna della cosa.
Quindi in sostanza l'accordo è si un elemento essenziale ma non sufficiente ai fini della conclusione.
Problema delicato è quello del contratto in presenza di più persone ossia i contratti plurilaterali. La
normativa più ampia che interessa i contratti plurilaterali è quella dei contratti a comunione di scopo
ove più soggetti con interessi comuni convergono in un risultato unitario. Esistono però anche
contratti plurilaterali che non presentano comunione di scopo. I soggetti quindi presentano interessi
diversi ma concorrenti verso la formazione della struttura contrattuale.
3. Contratti consensuali e contratti reali. - Abbiamo già visto prima che l'accordo è un elemento
essenziale ma non sufficiente ai fini della conclusione del contratto. In tal modo distinguiamo
contratti consensuali dai contratti reali.
Il contratto consensuale ai fini della conclusione prevede il mero consenso tra le parti. Il contratto si
conclude quindi con l'accordo tra le parti. Esempio può essere la semplice vendita.
Il contratto reale invece non solo prevede l'accordo ma anche la consegna della cosa. Di regola i
contratti tendono a procurare una situazione soggettiva temporanea sulla cosa, con la restituzione di
quest'ultima da parte del consegnatario. Si tratta dunque di contratti unilaterali ove il soggetto che
detiene la cosa è obbligato alla restituzione ed eventualmente al pagamento del corrispettivo per il
godimento.
La categoria dei contratti consensuali rappresenta dunque una categoria generale in cui rientrano
tutti i contratti. La categoria dei contratti reali d'una categoria speciale e perciò affinché un contratto
sia reale vi è bisogno di una apposita previsione.
5. I modi di manifestazione della volontà. - La manifestazione della volontà può avvenire in due
modi, mediante il linguaggio e mediante il contegno.
a) Il linguaggio da vita ad una manifestazione espressa di volontà mediante la parola, lo scritto o
altri segni.
b) Il contengo da vita ad una manifestazione di volontà tacita in quanto non si utilizzano
meccanismi comunicativi. Dal comportamento si deduce la compatibile volontà negoziale. Si
pensi all'esperienza del conducente di un veicolo che intende avvalersi di un parcheggio privato.
Il conducente introducendosi in modo autonomo nel parcheggio esprime indirettamente l'intento
di avvalersi del servizio di custodia.
Problemi diversi invece ha dato luogo il silenzio. Il silenzio come tale è neutro ed acquista rilevanza
giuridica in base alle diverse circostanze. Può assumere quindi a volte situazioni di assenso a volte
di diniego.
10. Errore. - L’errore può insorgere nella formazione della volontà negoziale o nella dichiarazione
della volontà negoziale. Nel primo caso si parla di errore vizio nel secondo di errore ostativo.
a) Errore vizio. L'errore vizio è l'errore vero e proprio che si sviluppa attraverso una spontanea
falsa rappresentazione della realtà di un soggetto ai danni di un altro. L'errore di conoscenza
influenza e orienta la libertà di scelta e per questo è qualificato come vizio di volontà. Il
consenso viene dato quindi per errore. L'errore vizio può essere di fatto o di diritto.
L'errore di fatto cade su una circostanza di fatto la cui falsa rappresentazione incide nella
determinazione degli assetti altrui. Es. un soggetto crede di aver comprato un oggetto d'oro ma
scopre che esso è solo ricoperto di oro.
L'errore di diritto cade sulla esistenza o interpretazione di una norma giuridica che regola fatti o
rapporti la cui rappresentazione incide sul regolamento di interessi. Nessuno però può invocare
l'inesistenza di una norma giuridica per sottrarsi all'osservanza della stessa.
Sia per l'errore di fatto che per l'errore di diritto è rilevante come causa di annullamento del
contratto quando l'errore è essenziale ed è riconoscibile dall'altro contraente.
L'errore è essenziale quando:
1. cade sulla natura o sull'oggetto del contratto. Quando cade sulla natura ha riguardo la
causa. Esempio un soggetto che pensa di aver fatto un contratto di comodato invece ha
costituito un contratto di locazione. Cade sull'oggetto quando ha riguardo ad una
rappresentazione della prestazione dovuta. Esempio quando si costituisce un contratto
per avere una prestazione particolare ma ci viene offerta una prestazione
standardizzata.
2. Cade sull'identità dell'oggetto della prestazione o sulla qualità dell'oggetto della
prestazione. Per la prima si pensi all'acquisto di un fondo che risulta essere diverso da
quello immaginato, per quanto riguarda la seconda si fa riferimento all'acquisto di un
oggetto di metallo ma che si rileva di plastica.
3. Cade sull'identità o sulla qualità delle persone dell'altro contraente.
4. L'annullamento non ha luogo invece per l'errore di calcolo. In tale caso si dà luogo
solo ad una rettifica tranne nei casi in cui l'errore di calcolo ha influito sulla quantità
programmata dell'oggetto della prestazione da determinare così il consenso. In tal
modo si prevede l’annullamento.
Per rilevare come causa di annullamento l'errore oltre che ad essere essenziale deve essere anche
riconoscibile dall'altro contraente. L'errore si considera riconoscibile quando in relazione al
contenuto e alla qualità una persona di normale diligenza avrebbe potuto rilevarlo. Solo se
l'errore risulta essere riconoscibile il contratto può essere annullato in caso contrario il contratto
rimane valido. È consentito inoltre al destinatario del negozio, evitare l'annullamento del
contratto anche quando l'errore è riconoscibile con il mantenimento del contratto rettificato.
b) Errore ostativo. L'errore ostativo incide sulla manifestazione di volontà negoziale in quanto, la
stessa volontà negoziale contiene un riferimento errato.
11. Dolo. - Come l'errore anche il dolo influenza la conoscenza della realtà giuridica o materiale
condizionando la libertà di scelta. Rappresenta dunque un vizio della volontà negoziale infatti il
consenso è carpito con dolo. Il dolo è un mezzo attraverso il quale un soggetto, attraverso l'inganno,
cioè con un impiego di raggiri, artifici e menzogne, convince un'altro soggetto a concludere il
contratto e quindi ad ottenere il suo consenso. Utilizzando un esempio precedente possiamo
qualificare come situazione di dolo un soggetto che intende vendere un oggetto spacciato per oro ad
un ulteriore soggetto, che convinto di ciò lo acquista.
Il dolo può essere commissivo e quindi caratterizzato da azioni fraudolente come ad esempio,
menzogne, artifici, raggiri ecc. Oppure può essere omissivo cioè compiuto nel silenzio o nella
reticenza. In ogni caso il dolo deve esternare alla parte colpita dal dolo una rappresentazione errata
della realtà. L'assenza di dialogo tra le parti favorisce il dolo, solo la correttezza dell'informazione
assicura la effettività del consenso.
Con riferimento alle comunicazioni di massa pensiamo alle tante pubblicità che ci presentano
servizi esclusivi e confortevoli, alberghi sul mare ecc., ma che in realtà non corrispondono alla
effettiva realtà. Con riguardo agli investimenti si pensi alle falsificazioni di bilancio con cui
vengono accresciute le azioni collocate sul mercato.
A differenza dell'errore non sono previste specifiche fattispecie per il dolo. Il dolo quindi risulta
essere causa di annullamento del contratto in quanto i raggiri utilizzati dal contraente, se conosciuti
non avrebbero dato luogo al consenso e quindi alla conclusione del contratto. Si parla quindi in
questo caso di dolo determinante. Ossia il dolo in questo caso risulta essere fondamentale per
ottenere il consenso. È inoltre necessario che i raggiri e gli inganni provengano dalla parte
interessata che trae profitto a concludere il contratto. Quando artifici e raggiri derivano da un terzo,
il contratto è annullabile se il contraente era a conoscenza degli stessi raggiri. Al vizio di volontà
negoziale si aggiunge ancora la responsabilità dell'autore del dolo per la condotta illecita lesiva
della libertà negoziale. E quindi oltre che l'annullamento del contratto si prevede anche ai danni del
soggetto che ha compiuto il dolo il risarcimento dei danni. Il dolo può avere anche una rilevanza
penale, integrando così il reato di truffa, laddove l'autore del dolo produce a se un vantaggio
recando un danno altrui.
Diverso dal dolo determinante poi vi è il dolo incidente. Il dolo non è determinante nella
conclusione del contratto che sarebbe comunque avvenuta. In questo caso il contratto non sarà
annullato ma la parte che ha agito in mala fede sarà obbligata al risarcimento del danno. Sia il dolo
determinate che quello incidente possono essere omissivi o commissivi. Si presenta ancora una
ulteriore distinzione tra dolo malus, sempre causa di annullamento del contratto e dolus bonus che
corrisponde ad una comune esaltazione della propria merce, e se in buona fede e nel rispetto del
dovere di correttezza non rappresenta causa di invalidità del contratto.
12. Violenza morale. - La violenza morale o anche violenza psichica, incide sulla libertà di
decisione del contraente impendendo il determinarsi della volontà negoziale. La violenza morale
consiste nella minaccia di un male ingiusto e notevole tale da indurre il soggetto violentato alla
conclusione del contratto. Il soggetto in questione potrà assumere due comportamenti ossia subire il
male minacciato ma non concludere il contratto, evitare il danno minacciato e quindi concludere il
contratto. La violenza morale può manifestarsi in via diretta o anche in maniera esplicita attraverso
azioni intimidatorie, oltre che provenire dalla controparte può anche provenire da un terzo. Causa
determinante della violenza è dunque la minaccia del soggetto, che in presenza di questo continuo
pericolo è costretto a concludere il contratto.
Abbiamo detto che la violenza consiste in una minaccia ingiusta e notevole. L'ingiustizia può
riguardare sia il mezzo adoperato sia il vantaggio perseguito. L'ingiustizia del mezzo è ricavabile
dal tipo di comportamento minacciato. Esempio è la gambizzazione, sempre causa di annullamento
del contratto per violenza alla integrità fisica. Per verificare l'ingiustizia del vantaggio bisogna
accettare il fine perseguito. Inoltre il male minacciato deve essere notevole ossia il male minacciato
al soggetto può essere rivolto ai suoi beni o alla sua persona. Con riguardo ai beni il male
minacciato può inerire al patrimonio, esempio può essere l'incendio di un capannone. Nella seconda
direzione inerisce alla vita fisica, esempio minaccia di gambizzazione o alla onorabilità della
persona, esempio campagna denigratoria per screditare un soggetto. La violenza è causa di
annullamento del contratto anche quando inerisce ai beni e alla persona del coniuge, familiare,
ascendente o discendente di lui.
Come si è visto la violenza è sempre causa di annullamento del contratto anche se esercitata da un
terzo, a differenza del dolo nel quale il contratto è annullabile soltanto i raggiri utilizzati dal terzo
erano a conoscenza del contraente. La violenza oltre che a determinare un vizio del consenso
determina anche una condotta illecita per cui oltre all'annullamento del contratto, si somma per
l'autore della violenza, anche la responsabilità civile e di conseguenza il risarcimento del danno
inflitto alla parte violentata. La violenza può inoltre avere una rilevanza penale essendo possibile
integrare il reato di estorsione, che punisce chiunque, mediante violenza o minaccia, costringe un
soggetto a commettere o omettere qualcosa, procurando a se un vantaggio ma un danno altrui.
Non è causa di annullamento del contratto invece il timore reverenziale. Timore reverenziale che
rappresenta uno stato d'animo che, pur incidendo sulla formazione della volontà negoziale, si genera
e sviluppa all'interno del soggetto. Nella violenza morale la pressione psicologica proviene
dall'esterno nel timore reverenziale dall'interno del soggetto per rispetto o servilismo verso l'altra
parte.
14. Offerta al pubblico. - È una proposta indirizzata ad una generalità di persone. Vale come
proposta quando contiene gli estremi essenziali del contratto. Per non essere integrata ad un
soggetto determinato l'offerta al pubblico non comporta un atto recettizio, ossia non deve essere
portato alla conoscenza di terzi per avere efficacia essendo sufficiente la sua conoscibilità. Al
meccanismo dell'offerta al pubblico sono ricondotti i bandi di concorsi per l'assunzione di
lavoratori, bandi di gara indetti tra privati da pubbliche amministrazioni per la stipulazione di
contratti. Sono ulteriori esempi della offerta al pubblico i molti dispositivi meccanici automatici che
espongono insieme la merce, il prezzo d'acquisto cosicché basta solo inserire il danaro per ottenere
la merce esposta. La sufficiente conoscibilità della proposta si riflette sulla natura della revoca. Non
essendo note le persone che abbiamo potuto apprendere la conoscenza, la revoca non può realizzarsi
individualmente. Al pari dell'offerta anche la revoca non è recettizia. La revoca offerta al pubblico è
efficace anche verso chi non ne ha avuto notizia.
15. Il contratto aperto. - Si è anticipato dei contratti con comunione di scopo con i quali si tende a
realizzare un interesse comune a tutte le parti del contratto. Tali contratti possono aprirsi all'esterno
mediante una clausola di apertura. Fenomeno tipico delle organizzazioni collettive, associazioni,
cooperative, al fine di incrementare la compagine sociale oppure per accrescere i fondi. Il carattere
aperto connota i contratti plurilaterali. Con la clausola di apertura i contraenti originari offrono la
possibilità ad altri soggetti di aderire al contratto originario. L'apertura può riguardare soggetti
generici ma anche specifici con determinate caratteristiche. Chi aderisce al contratto offre la sua
adesione. Se le modalità di adesione non sono determinate queste devono essere determinate dal
consiglio di amministrazione. Le adesioni sono soggette a verifica da parte del consiglio di
amministrazione.
16. Predisposizione di condizioni generali di contratto. - Sono una serie di clausole contrattuali
che un soggetto predispone per regolare uniformemente i suoi rapporti contrattuali.
La previsione delle condizioni generali di contratto nasce dalla necessità di organizzare i rapporti di
chi, per la sua attività, è solito stipulare numerosi contratti dello stesso genere con una serie
indefinita di soggetti.
Per evitare di appesantire l'attività contrattuale, discutendo con l'altra parte le singole clausole
contrattuali, il legislatore ha consentito che potessero essere create clausole valide "una volta per
tutte".
È anche vero, però, che se ogni volta il predisponente, di solito un imprenditore, dovesse anche farle
singolarmente approvare dall'altro contraente, si vanificherebbe l'altro scopo cui le condizioni
generali sono volte: velocizzare l'attività dell'impresa. Per questo motivo l’articolo 1341 c.c. nel
prevedere le condizioni generali di contratto, puntualizza che per essere efficaci devono essere
conoscibili.
In altre parole si obbliga il predisponente a svolgere un'attività volta a rendere conoscibili alla
generalità dette clausole, che, una volta effettuata, le rende opponibili agli altri contraenti, sia nel
caso in cui le abbiano conosciute sia nel caso in cui non le conoscessero, ma “avrebbero dovuto
conoscerle usando l'ordinaria diligenza".
Come, poi, debba comportarsi il predisponente per rendere conoscibili le condizioni generali, è fatto
da verificare caso per caso in relazione alla quantità e qualità della attività svolta; in ogni caso, il
richiamo alla ordinaria diligenza e alla conoscibilità fa intendere che la conoscenza debba essere
resa agevole e che, comunque, il predisponente deve rendere manifesta agli altri contraenti
l'esistenza delle condizioni.
L'onere della conoscibilità non può ritenersi assolto quando le condizioni non sono chiare.
Se le condizioni generali non sono conoscibili, nemmeno usando l'ordinaria diligenza, saranno
inefficaci, anche se qualche autore le ritiene nulle.
Le condizioni generali di contratto sono di solito espressione del fenomeno dei contratti per
adesione, dove un soggetto predispone l'intero regolamento contrattuale, mentre l'altro non può far
altro che accettare o rinunciare.
Per questo motivo il legislatore ha previsto una serie di cautele a favore della parte più debole,
cautele che si realizzano nella inefficacia di talune clausole particolarmente gravose, dette clausole
vessatorie particolarmente onerose per il contraente aderente. Esse non hanno effetto se non
approvate specificamente per iscritto.
17. Contratti conclusi fuori dai locali commerciali e a distanza. - Sussiste una decisiva tutela dei
consumatori nella conclusione dei contratti con professionisti riguardanti la fornitura di beni o la
prestazione di servizi quando i contratti sono negoziati fuori dei locali commerciali, durante la vista
del professionista al domicilio del consumatore o sul posto di lavoro del consumatore, nei locali in
cui si trova il consumatore anche contemporaneamente, ecc. Analoga tutela si verifica per i contratti
distanza. In tali contratti il consumatore è colto di sorpresa senza magari essere consapevole della
operazione economica eseguita. Entrambe le normative fanno in modo da garantire al consumatore
la maturazione della scelta e dunque un consapevole esercizio della autonomia negoziale. È perciò
attribuito al consumatore il diritto di recesso dal contratto senza penalità e senza specificarne il
motivo entro il termine di 10 giorni lavorativi. Il diritto di recesso è esercitabile dal consumatore in
maniera assoluta ed insindacabile differenziandosi dal diverso modello di recesso di autotutela
consentito solo in presenza di determinate circostanze. Il diritto del consumatore è presidiato inoltre
da un obbligo di informazione per iscritto, a carico dell'operatore commerciale, del diritto di
recesso. In assenza di tale informazione il termine per l'esercizio di recesso è di 60/90 giorni.
18. Conclusione del contratto senza formale accettazione. - Sono sempre più numerose le ipotesi
nelle quali si realizza un regolamento di interessi tra due parti senza il ricorso alle tecniche delle
formale proposta e/o della formale accettazione, ma solo attraverso il contegno delle parti che
assume un valore sociale tipico giuridicamente rilevante. Si analizzano le due ipotesi tipiche, 1327 e
1333, per le quali è attribuito a specifici comportamenti un significato legale tipico.
a) Esecuzione prima dell’accettazione. Qualora, su richiesta del proponente o per la natura
dell’affare o secondo gli usi, la prestazione debba eseguissi senza una preventiva risposta, il
contratto è concluso nel tempo e nel luogo in cui ha avuto inizio l’esecuzione. Di regola
l’esecuzione segue la conclusione del contratto; in questo caso però si consente da un lato, che
l’esecuzione del contratto possa intervenire prima dell’accettazione, e dall’altro che l’inizio
dell’esecuzione determini la conclusione del contratto. Perciò la sua operatività è circoscritta in
tre ipotesi tassativamente previste (richiesta del proponente, natura dell’affare, presenza di usi.
Es. nelle vendite a distanza mediante tecniche di comunicazione di massa è usuale che l’impresa
venditrice provveda alla esecuzione del contratto appena ricevuto l’ordine di acquisto.
L’accettante deve dare prontamente avviso alla controparte della iniziata esecuzione e, in
mancanza, è tenuto al risarcimento danni (1327).
b) Mancato rifiuto di proposta con obbligazioni del solo proponente. La proposta diretta a
concludere un contratto da cui derivano obbligazioni solo per il proponente è irrevocabile appena
giunge a conoscenza del destinatario (cd. oblato). Il destinatario può rifiutare la proposta nel
termine richiesto dalla natura dell’affare o dagli usi: in mancanza di tale rifiuto il contratto è
concluso (1333). Il mancato rifiuto equivale ad accettazione tacita. Il diritto accorato all’oblato di
“rifiutare la proposta” garantisce allo stesso il diritto di non subire un effetto (ancorché
favorevole) non voluto, cd. principio di tendenziale indipendenza delle sfere giuridiche, per cui
nessuno può incidere la sfera giuridica altrui contro la volontà del titolare.
La rinunzia presuppone la titolarità del diritto: negozio unilaterale rivolto a dismettere la
titolarità del diritto della propria sfera giuridica con la produzione di un effetto abdicativo.
Il rifiuto è un negozio unilaterale di diniego di un effetto favorevole: non intendendo il
destinatario profittare dello stesso ne impedisce l’acquisizione nella propria sfera giuridica.
20. Limiti legali alla libertà di contrarre. - Si è visto come l’autonomia contrattuale si esplichi in
una autoregolazione dei propri interessi che assume la duplice veste di libertà di contrarre, cioè di
stipulare o meno un contratto e di scegliere il contraente voluto, e di libertà di contrattare, cioè di
determinazione del contenuto del contratto. Qui si ha riguardo ai vincoli alla libertà di contrarre.
Con riguardo a specifici beni e servizi, la legge impone spesso limiti legali all'autonomia privata
vincolando in tal modo la libertà di stipulare un contratto o di scelta del contraente. I limiti legali
talvolta ineriscono al potere di acquistare, più spesso riguardano al potere di alienare. In
quest'ultima direzione le tecniche più utilizzate sono la prelazione legale, l'opzione legale, l'obbligo
legale a contrarre, divieto legale di alienazione.
a) La prelazione legale è la figura più diffusa di vincolo legale. E’ impiegata in ragione della
posizione ricoperta da alcuni soggetti rispetto a un bene al fine di favorirne l’accesso, oppure in
ragione della natura del bene al fine di conservarne la destinazione. E’ riconosciuto ex lege il
diritto di essere preferito nella eventualità di alienazione di un diritto: in particolare al soggetto
beneficiario della prelazione vengono riconosciuti due distinti diritti: il diritto di prelazione verso
il titolare del diritto, che ha l’obbligo di preferire il prelazionario a parità di condizioni; il diritto
di riscatto verso il soggetto che acquista in violazione del vincolo di preferenza.
b) L’opzione legale ha una minore diffusione, ma una maggiore incisività della prelazione legale. In
ragione di un particolare assetto giuridico, è accordato ex legge ad un soggetto (cd. opzionario) il
diritto di conseguire un bene, con correlato obbligo del titolare di formulare offerta di acquisto,
che l’opzionario è libero di accettare o meno. La figura ha uno specifico campo di applicazione
in tema di società per azioni, dove è riconosciuto ai soci il diritto di sottoscrizione di nuove
emissioni. Le azioni di nuova emissione e le obbligazioni convertibili in azioni devono essere
offerte in opzione ai soci in proporzione al numero delle azioni possedute. Inoltre coloro che
esercitano il diritto di opzione, se fanno richiesta , hanno anche il diritto di prelazione
nell'acquisto delle azioni e delle obbligazioni convertibili che siano rimaste non optate.
c) L’obbligo legale a contrarre opera in particolare in settori del mercato dove, per ragioni sociali,
persiste un fenomeno di monopolio legale. Per l’art. 2597 chi esercita un’impresa in regime di
monopolio legale ha l’obbligo di contrattare con chiunque richieda le prestazioni che formano
oggetti dell’impresa, osservando la partita di trattamento. Es. Pubblici servizi di linea.
d) Il divieto legale di alienazione si lega ad esigenze di carattere diverso, a volte inerisce a
situazioni esistenziali: è perciò compenetrato alla natura del diritto e l’accompagna per tutta
l’esistenza; talaltra è connesso a relazioni familiari: è connaturato alla relazione stessa. La
violazione del divieto, in quanto in contrasto con l’ordinamento, comporta la nullità dell’atto
compiuto.
21. Generalità. - È diffusa la prassi che la stipulazione del contratto sia preceduta da ulteriori
trattative che vadano ad affinare l'accordo tra le parti circa il risultato perseguito.
22. Vincoli negoziali alla libertà di contrarre. - La conclusione del contratto avviene mediante un
elaborato procedimento di formazione dell'accordo mediante il quale le parti, con diversi atti
esprimono le loro valutazioni circa la convenienza dell'affare. La stipulazione si svolge con un
autolimitazione dell'autonomia negoziale che si snoda attraverso una serie di atti impositivi e di
altrettanti vincoli che incidono sull'autonomia privata, finalizzati alla conclusione del contratto. Tali
vincoli possono rivolgersi ad una delle parti o ad entrambe. Tali vincoli sono: la prelazione
convenzionale, proposta irrevocabile, patto di opzione, divieto negoziale di alienazione.
a) La prelazione convenzionale. È la figura meno incisiva dell’autolimitazione della autonomia
privata poiché riguarda la sola libertà di contrarre. L’iniziativa della stipulazione del contratto
rimane nelle mani del promittente, mentre il contraente ha solo un vincolo di scelta. Con il patto
di prelazione il promittente si obbliga a preferire il beneficiario nella ipotesi di alienazione di un
bene. È ammessa l'assunzione di un obbligo di prelazione anche da parte della pubblica
amministrazione. Nella stipulazione del patto va determinato l'oggetto del contratto per il quale
si concede la preferenza e si deve fissare la durata dell'obbligo di preferenza che non può
superare i 5 anni. Se si decide di alienare, l'alienante deve comunicare al prelazionario le
condizioni propostegli da terzi o comunque a quali condizioni intende alienare, il prelazionario
deve dichiarare, sotto pena di decadenza e nel termine stabilito se intende avvalersi del diritto di
preferenza. La comunicazione non può limitarsi ad una mera enunciazione dell'intenzione ad
essere interessato a quell'affare ma deve indicare gli elementi del contratto traducendosi così in
una vera e propria proposta contrattuale. Tale patto non è suscettibile di esecuzione in forma
specifica nell'ipotesi di mancata alienazione, inoltre il mancato esercizio del diritto di prelazione
non comporta la nullità degli atti compiuti e dei negozi posti in essere ma al diritto del
risarcimento del danno.
b) Proposta irrevocabile. Si è visto che la proposta è sempre revocabile finché il contratto non sia
concluso. Il proponente può però mantenere ferma la proposta per un certo tempo obbligandosi a
non revocare la proposta. In tal modo la revoca è senza effetto. La proposta ferma o irrevocabile
è anche una proposta a termine non consentendo l'ordinamento un impegno perpetuo. Nel
termine indicato il destinatario della proposta irrevocabile ha diritto di concludere il contratto
con l'accettazione senza che il proponente possa revocare la proposta. L'eventuale revoca della
proposta resta senza effetto non impendendo il perfezionamento del contratto in dipendenza
dell'accettazione dell'altra parte. Il termine di irrevocabilità non deve necessariamente coincidere
con il termine di efficacia della proposta. La proposta rimane irrevocabile fino alla scadenza di
tale termine, successivamente la proposta diviene revocabile tranne che per il tempo trascorso
non sia scaduto anche il termine di efficacia della proposta. La morte o la sopravvenuta
incapacità non toglie efficacia alla proposta salvo che la natura dell'affare o altre circostanze non
escludano tale efficacia.
c) Patto di opzione. È il patto con il quale le parti convergono che una di esse rimane vincolata alla
propria dichiarazione e l'altra abbia facoltà di accettarla o meno. Se ad esempio un soggetto è
interessato ad un'acquisto, ma non è ancora sicuro dello stesso o non ha il denaro necessario può
concordare con il venditore che lo stesso rimane obbligato alla vendita per un periodo
determinato con il compratore. Tale meccanismo viene utilizzato in più settori, come per
esempio l'acquisto di un immobile, l'acquisto di un pacchetto di azioni di una società o
nell'acquisto di giocatori di calcio. La concessione dell'opzione è a titolo oneroso. Un soggetto si
obbliga a mantenere ferma la proposta verso un corrispettivo che rappresenta il prezzo
dell'opzione. Essendo il patto opzionale un atto bilaterale comporta che qualsiasi modifica del
patto deve provenire dalla volontà comune delle parti. Il concedente l'opzione rimane obbligato a
mantenere ferma la proposta per il tempo determinato mentre il beneficiario dell'opzione deve
dichiarare l'accettazione degli elementi dell'opzione. Proprio per la soggezione che caratterizza la
posizione del concedente rispetto a quella dell'opzionario nella conclusione del contratto si è
soliti qualificare la situazione dell'opzionario come diritto potestativo. Con l'accettazione il
contratto è concluso e il potere opzionario attuato. Se per l'accettazione non è fissato il termine
questo viene fissato dal giudice secondo la regola generale dell'articolo. 1183. Vi è una profonda
differenza con la prelazione infatti il beneficiario dell'opzione ha diritto, con l'accettazione, di
determinare la conclusione del contratto, il beneficiario della prelazione ha solo il diritto di
essere preferito nella stipulazione di un contatto
d) Prenotazione. Manca una disciplina organica della prenotazione. Di recente tale figura ha
trovato particolare sviluppo nei settori di viaggi organizzati, nelle prestazioni alberghiere e nei
trasporti. Per tale disciplina ci si rifà al D.Lgs 206/2005. Per l'art. 86 del D.Lgs, il contratto di
vendita di pacchetti turistici, da redigersi un forma scritta e in termini chiari e precisi, deve
contenere la indicazione dell'importo, comunque non superiore al 25% del prezzo, da versarsi
all'atto di prenotazione ovvero il termine del pagamento del saldo. Il suddetto importo è versato a
titolo di caparra ed in caso di adempimento del contratto deve essere restituita o imputata alla
prestazione dovuta. Se la parte che ha rilasciato la caparra è divenuta inadempiente, l'altra può
recedere il contratto e ritenere la caparra. Se l'inadempimento proviene dalla parte che ha
ricevuto a caparra, l'altra può recedere il contratto ed esigere il doppio della caparra. Art. 1185.
e) Divieto negoziale di alienazione. Anche tale figura impone un vincolo negoziale all'autonomia
privata, anzi rappresenta il vincolo più incisivo alla libertà di contrarre per escludere addirittura
l'alienazione in quanto stipulato non in vista della conclusione di un contratto ma con un fine
assolutamente opposto ossia evitarne la conclusione.
23. Segue. Il contratto preliminare. - Con tale contratto è assunto l'obbligo di stipulare un
successivo contratto, contratto definitivo, cui si connettono gli effetti perseguiti dalle parti.
L'obbligo può essere assunto da entrambe le parti come più spesso può accadere, oppure da una sola
parte.
a) Fattispecie ed effetti. Con il contratto preliminare le parti, verificata la convenienza del
contratto, intendono fermarlo stabilendo i termini essenziali dello stesso rinviando ad un
momento successivo la stipula del contratto definitivo. Il fenomeno è particolarmente sviluppato
nel mercato immobiliare, infatti le parti fissano il termine del contratto di vendita rinviando ad
un momento successivo la stipula del contratto definitivo per più motivi, ad esempio per
verificare la regolarità urbanistica del fabbricato o la presenza di eventuali vizi di costruzione
oppure per consentire alla banca la concessione di un finanziamento o di un mutuo.
Per gli edifici da costruire o in corso di costruzione sono frequenti le vendite in pianta o su carta
con le quali le società collocano le unità immobiliari prima della realizzazione del fabbricato al
fine di finanziare in parte la costruzione stessa attraverso l'anticipazione del prezzo, si fa così
ricorso al contratto preliminare di vendita, rinviando la stipulazione del contratto definitivo
all'ultimazione del fabbricato.
Nell'ipotesi di preliminare di vendita di un immobile in comunione è necessario il consenso di
tutti i comunisti e che lo stesso consenso permanga fino alla costituzione del contratto definitivo.
In definitiva questa è, quindi, la funzione fondamentale del contratto preliminare: ottenere uno
strumento contrattuale (il contratto preliminare) che obblighi le parti a stipulare un nuovo
contratto (il contratto definitivo) che realizzerà l'effetto finale voluto (il trasferimento delle
proprietà, la costituzione di un diritto, l'esecuzione di una prestazione, etc.)
b) Forma e trascrizione. Il contratto preliminare è nullo se non è fatto nella stessa forma che la
legge prescrive per il contratto definitivo (art. 1351). Se manca la stipula del contratto definitivo
è esclusivamente dal contratto preliminare che risulta l'intento delle parti di realizzare lo
specifico assetto di interessi. Di particolare importanza risulta poi la trascrizione del contratto
preliminare che prevede la trascrizione dei contratti preliminari aventi ad oggetto beni immobili
purché risultino da atto pubblico o da scrittura privata o accertata giudizialmente. Solo i contratti
preliminari stipulati con una di tali forme sono soggetti a trascrizione. Nell'ipotesi di mancata
esecuzione del contratto preliminare, cioè di mancata stipula del contratto definitivo, quando c'è
espropriazione del patrimonio del venditore per debiti, la preventiva trascrizione del contratto
preliminare comporta che i crediti del promissario acquirente hanno privilegio speciale sul bene
immobile oggetto del contratto preliminare, sempre che non siano cessati gli effetti della
trascrizione.
c) Inadempimento e tutela. Quando la parte obbligata a concludere il contratto definitivo si rende
inadempiente, non volendo stipulare il contratto definitivo, la parte non inadempiente può
ricorrere a due tipi di tutela.
1. Anzitutto può chiedere l’adempimento coattivo con l’esecuzione in forma specifica
dell’obbligo a contrarre. Per l’art. 2932, se colui che è obbligato a concludere un
contratto non adempie l’obbligazione, l’altra parte “qualora si possibile” e “non sia
escluso dal titolo”, può ottenere una sentenza che produca gli effetti del contratto non
concluso: la sentenza tiene luogo del consenso non prestato dal soggetto inadempiente.
La sentenza, producendo gli effetti del contratto non concluso, ha natura costituiva
(2908). Sia la sentenza che la domanda giudiziale di esecuzione in forma specifica
dell’obbligo a contrarre sono soggette a trascrizione.
2. Alternativamente, si può chiedere la risoluzione del contratto preliminare per
inadempimento dell’obbligo a contrarre. Ciò avviene ad es. quando il promittente
venditore alieni il bene oggetto di preliminare a un terzo o non compia gli atti
necessari all'alienazione. È possibile quindi richiedere la risoluzione del contratto
preliminare per inadempimento oppure avvalersi dei rimedi di autotutela, ovvero se la
parte che ha dato la caparra si mostri inadempiente, l’altra parte può recedere dal
contratto trattenendo la caparra: se inadempiente è la parte che l’ha ricevuta, l’altra
può recedere dal contratto ed esigere il doppio della caparra.
3. Se la cosa presenta dei vizi, il promissario acquirente può chiedere l’eliminazione dei
vizi oppure, in alternativa, la riduzione del prezzo
4. In ogni caso la parte non inadempiente ha diritto al risarcimento dei danni, in via
aggiuntiva se è conseguita la esecuzione in forma specifica, in via sostitutiva se è
ottenuta la risoluzione del contratto.
d) Preliminare a effetti anticipati. Gli effetti del contratto preliminare di regola si producono alla
stipula del contratto definitivo, tuttavia è diffusa nella prassi anticipare al momento del
preliminare alcuni effetti del contratto definitivo. (Preliminare anticipato). E’ così frequente che
una parte del prezzo della vendita sia pagata già all’atto della stipulazione del preliminare e/o che
la consegna del bene sia anticipato rispetto alla stipula del definitivo. Proprio in questo secondo
caso, ovvero con il conseguimento anticipato della disponibilità materiale del bene, si sono
appuntati i maggiori dubbi circa la tutela del promissario acquirente. Tale disponibilità pur
qualificandosi come detenzione tuttavia va a qualificarsi come detenzione qualificata in quanto
finalizzata all’acquisizione della proprietà del bene. Si riconosce dunque al promissario
acquirente oltre l'azione possessoria di reintegrazione una ulteriore tutela funzionale al
conseguimento della proprietà, così in ipotesi di difformità della cosa consegnata rispetto a
quella promessa, la giurisprudenza accorda al promissario acquirente la tutela contrattuale per
inesatta esecuzione della prestazione dovuta.
24. Ripetizione del contratto in una forma determinata. - Diverso dal contratto preliminare è il
contratto preliminare improprio o compromesso. Quest'ultimo è un contratto definitivo,
immediatamente efficace ma che contiene l'impegno di riprodurre il consenso in una forma
determinata . Si pensi al caso in cui le parti di un contratto di compravendita di un bene immobile
redatto nella forma della scrittura privata, già valido ed efficace, si obbligano a redigere
nuovamente l'atto in forma pubblica.
E) RESPONSABILITÀ PRECONTRATTUALE
25. Le ipotesi tipizzate dal codice. - L’ordinamento prescrive che le trattative si svolgano secondo
buona fede. La violazione di tale dovere comporta responsabilità precontrattuale. La dottrina è
divisa se trattasi di responsabilità contrattuale o extracontrattuale mentre la giurisprudenza è
maggiormente incline a qualificarla come responsabilità extracontrattuale per intervenire prima
della conclusione del contratto. L'interesse protetto è quello della libertà negoziale cioè l'interesse a
non essere coinvolti in trattative inutili e a non stipulare contratti invalidi o inefficaci. Le cause che
tradizionalmente danno luogo alla responsabilità precontrattuale sono la ingiustificata rottura delle
trattative e la mancata comunicazione delle cause di invalidità.
a) Ingiustificata rottura delle trattative. Per l’art. 1337 le parti, nella formazione del contratto,
devono comportarsi secondo buona fede. La ingiustificata rottura delle trattative si ha quando le
trattative si spingono fino ad un punto di sviluppo da generare nella controparte il ragionevole
affidamento della conclusione del contratto. Va ribadito però che fino alla conclusione del
contratto, sia la proposta che l'accettazione sono revocabili. L'arbitraria interruzione delle
trattative dopo aver generato nella controparte l'affidamento nella conclusione del contratto, è
causa di responsabilità. Come causa di responsabilità risulterà dunque l'assenza di giusta causa. Il
danneggiato dovrà provare l'affidamento suscitato nella trattativa, il danneggiante dovrà provare
la giusta causa di interruzione delle trattative.
b) Mancata comunicazione delle cause di invalidità. Per l’art 1338 la parte che conoscendo o
dovendo conoscere la esistenza di una causa di invalidità non ne dà notizia all'altra parte,
cosicché è tenuta a risarcire il danno che ha causato all'altra per aver confidato senza sua colpa
nella validità del contratto. Se entrambe le parti conoscevano o erano tenute a conoscere le cause
di invalidità, c'è invalidità dell'atto ma non c'è responsabilità per nessuna delle due parti. Non c'è
responsabilità nemmeno se la parte cui non è stata comunicata la causa di invalidità era
comunque in grado di venirne a conoscenza con la diligenza. Inoltre, per l'applicazione del
dovere di informazione nei rapporti giuridici contrattuali, la parte risulta ancora responsabile per
la mancata comunicazione di una causa di efficacia del contratto e a maggior ragione per il
mancato compimento degli atti necessari alla validità o efficacia del contratto.
Anche se il contratto è validamente concluso il comportamento scorretto di una parte influenza
negativamente le scelte dell'altra parte e dunque si atteggia come illecito civile con il conseguente
obbligo di risarcimento dei danni.
27. I danni risarcibili. - La determinazione dei danni risarcibili è legata alla natura della
responsabilità precontrattuale. Si tende a limitare la responsabilità precontrattuale all'interesse a non
iniziare trattative inutili che hanno comportato la sopportazione di spese, perdita di altre occasioni,
ecc. La liquidazione del danno comprende il danno per la perdita subita e il mancato guadagno.
L'art. 1337 tutela non l'interesse a perfezionare la trattativa ma quanto quella a non iniziarla
inutilmente con perdita di occasioni favorevoli. Il risarcimento che ha diritto il soggetto danneggiato
riguarda il rimborso delle spese sostenute in previsione della conclusione del contratto (viaggi,
corrispondenza, progetti, ecc.) e le perdite sofferte per non aver concluso altri contratti. Sul soggetto
danneggiato grava l'onore di provare l'illiceità del comportamento della controparte e i danni subiti.
CAPITOLO 3
CONTENUTO
A) OGGETTO
2. Nozione. - L’art. 1325, n.3, indica l’oggetto tra i requisiti del contratto: l’oggetto è dunque
elemento essenziale (costitutivo) del contratto, la cui mancanza comporta la nullità del contratto
(1418). Non abbiamo però una definizione. L’art. 1470 definisce la vendita come il contratto che ha
ad oggetto il trasferimento della proprietà di una cosa o il trasferimento di altro diritto verso il
corrispettivo di un prezzo; l’art. 1571 definisce la permuta come il contratto che per oggetto ha il
reciproco trasferimento della proprietà di cose o di altri diritti.
3. Requisiti dell’oggetto. - L’oggetto del contratto deve essere a norma dell’art. 1346, sotto pena di
nullità.
a) Possibilità. Indica la suscettibilità di esecuzione delle attribuzioni dedotte nel contratto e perciò
la idoneità dell’atto a realizzare lo scopo programmato. La possibilità deve essere sia materiale
che giuridica: quindi l’attribuzione deve essere, non solo fisicamente eseguibile, ma anche
giuridicamente realizzabile nel senso che non deve essere vietata dall’ordinamento. Per l’art.
1347, il contratto sottoposto a condizione sospensiva o a termine è valido se la prestazione
inizialmente impossibile diventa possibile prima dell’avveramento della condizione o della
scadenza del termine; per l’art. 1348 la prestazione di cose future può essere dedotta in contratto,
salvo i particolari divieti della legge
b) Liceità. L’oggetto è illecito quando è contrario a norme imperative, all’ordine pubblico e al buon
costume.
c) Determinatezza e determinabilità. Indica il carattere necessariamente definito delle attribuzione
dovute, non potendo sussistere un accordo impegnativo se non è specificato l’oggetto dello
stesso.
4. Beni futuri. - I contratti di sovente riguardano beni esistenti; non mancano però casi in cui i
contratti facciano riferimento a beni non ancora esistenti: per l’art. 1348 la prestazione di cose
future può essere dedotta in contratto, salvi i particolari divieti della legge. I contratti aventi ad
oggetto beni futuri sono dunque validi, ancorché inefficaci fino a quando la cosa non diviene ad
esistenza. Una generale applicazione di tali tipi di contratti risulta essere in materia di vendita,
relativamente alla vendita di cose future. L'acquisto della proprietà si verifica quando la cosa viene
ad esistenza. Qualora le parti non abbiano concluso un contratto aleatorio, la vendita è nulla se la
cosa non viene ad esistenza. È dunque importante distinguere i contratti aleatori dai contratti
commutativi.
Il contratto è aleatorio quando c’è assunzione del rischio della venuta ad esistenza della cosa: la
prestazione corrispettiva all’alienazione della cosa futura è comunque dovuta quantunque la cosa
futura non venga ad esistenza.
Esempio, il compratore del futuro raccolto di un fondo agricolo è tenuto al pagamento del prezzo
pattuito quantunque il raccolto non verrà ad esistenza o sarà distrutto.
Il contratto è commutativo quando non c’è assunzione del rischio della venuta ad esistenza della
cosa: la prestazione corrispettiva all’alienazione della cosa non sarà dovuta se la cosa non verrà ad
esistenza. In assenza di previsione il contratto si presume commutativo. Riprendendo l'esempio
precedente, il prezzo non sarà dovuto se il raccolto non verrà ad esistenza o sarà distrutto.
B) CAUSA
5. Evoluzione del concetto di causa. - Per comprendere il concetto di causa del negozio è
necessario partire da alcuni esempi tratti dalla vita di tutti i giorni. Le azioni, anche più semplici,
che normalmente compiamo in una giornata sono quasi sempre indirizzate a un fine; se ho sete
prendo un bicchiere d'acqua per bere, se devo spostarmi posso usare un automobile o un mezzo
pubblico pagando un biglietto.
Scopo, causa, del prendere il bicchiere d'acqua è bere, scopo, causa del trasporto su un autobus è di
giungere nel luogo di destinazione. Tutte le azioni umane sono, quindi, rivolte a uno scopo, hanno
una causa, e questo vale anche per i negozi giuridici. La causa del negozio giuridico è quindi lo
scopo che attraverso tale mezzo si vuole perseguire.
Questa è una prima definizione della causa, ma in dottrina vi sono diverse teorie sulla causa, e le più
importanti sono: la causa come lo scopo, rilevante dal punto di vista sociale e\o economico, che
s'intende conseguire attraverso il negozio giuridico oppure la causa rappresenta gli scopi concreti
che le parti attraverso il contratto intendono soddisfare.
Anche la causa è richiesta come requisito del contratto (1325); ma manca una nozione normativa di
causa. L’art. 1418 prevede la nullità le contratto per mancanza della causa o per la sua illiceità:
dunque la causa è un elemento essenziale del contratto.
6. Il tipo contrattuale. - Il c.c. parla sia di “tipo” che di “causa” del contratto. Per l’art. 1322 le
parti posso concludere contratti che non appartengono ai tipi aventi una disciplina particolare
purché siano diretti a realizzare interessi meritevoli di tutela secondo l’ordinamento giuridico; e per
l’art. 1323, “tutti i contatti, ancorché non appartengano ai tipi aventi una disciplina particolare, sono
opposti alle norme generali.
Il tipo indica lo schema diffuso di una operazione economica, talvolta nella struttura, talaltra nel
contenuto, talaltra ancora per entrambi i profili.
Si ha mero tipo sociale quando uno schema di operazione, ancorché operante nella realtà sociale e
meritevole di tutela, non è ancora disciplinato dall’ordinamento;
Il tipo legale indica uno schema di operazione economica diffuso nella realtà sociale e proprio
perciò assunto dall’ordinamento giuridico come struttura generale astratta dell’operazione e come
tale regolata: esprima la causa astratta del negozio.
Talvolta la tipicità inerisce ad una categoria di atti in ragione di specifiche e comuni esigenze
suscitate, al fine di apprestare una disciplina uniforme tutela. es. forniture di beni di consumo.
Alla stregua di quanto detto, è possibile cogliere la distinzione tra contratti tipici e atipici.
I contratti tipici hanno una struttura fissata per legge, con conseguente previsione legale della
relativa disciplina.
I contratti atipici utilizzano uno schema non riconducibile ad alcun tipo legale o perché è del tutto
nuovo o in quanto il tipo legale è variamente modificato.
Quando è utilizzato un tipo legale, l’impiego dello stesso implica di per sé conformità
all’ordinamento dello schema impiegato: va solo verificata, la liceità e la meritevolezza dell’assetto
di interessi attuato.
Quando non è utilizzato un tipo legale, bisogna preliminarmente verificare la compatibilità con
l’ordinamento dello schema di operazione impiegato e poi compiere la consueta verifica di liceità e
meritevolezza dell’assetto di interessi attuato.
7. Assenza di causa e astrazione di causa. - Per l’art. 1323 tutti i contratti sebbene non
appartengono ai tipi che hanno una disciplina particolare sono sottoposti alle norme generali sul
contratto: perciò devono avere una causa. L’adozione di un tipo legale facilita la rilevazione della
causa per essere lo schema utilizzato previsto dall’ordinamento; mentre l’impiego di un contratto
atipico implica la preliminare verifica di conformità all’ordinamento dell’operazione realizzata.
In ogni caso una causa concreta deve esistere in tutti i contratti. Per consentire la verifica di legalità
del contenuto del contratto la causa deve, non solo esistere, ma anche risultare dal contratto: solo
attraverso l’individuazione della causa è possibile verificare la conformità all’ordinamento dello
specifico assetto di interessi. Sono nulli i contratti dai quali non risulta la causa in quanto non è
possibile verificare l’operazione economica realizzata.
Di conseguenza il nostro ordinamento vuole che dai contratti e dai negozi risulti sempre lo scopo, la
causa.
Il sistema italiano conosce solo rari casi di negozi astratti, ovvero negozi in cui non risulta la causa,
ci riferiamo ad esempio alla cambiale. Questo titolo di credito è emesso senza che si faccia
riferimento ad alcun rapporto sottostante che ha spinto l'emittente a rilasciare la cambiale. Tale
rapporto può essere irrilevante nei confronti dei successivi prenditori della cambiale ai quali non si
potrà opporre il vizio della causa al fine di non eseguire quanto stabilito dal titolo. La causa invece
sarà rilevante nei rapporti tra l'emittente della cambiale e primo prenditore. Anche la cambiale
quindi non è totalmente astratta, ma l'astrazione sicuramente caratterizza il titolo. Tale esempio fatto
fa riferimento alla astrazione sostanziale da non confondere con l'astrazione processuale. Ad
esempio nella promessa di pagamento o di accertamento del debito, in questo caso non c'è
astrazione della causa, ma quando il creditore citerà in tribunale il debitore inadempiente non sarà
lui a dover provare il suo diritto e la causa, ma sarà se mai il debitore a provare che la promessa o
l'accertamento è stata fatta senza una valida causa. Appare evidente che qui non si ignora la causa,
visto che potrà essere invocata in tribunale, ma vi sarà una semplice inversione dell'onore della
prova.
8. Liceità e meritevolezza della causa. - Una causa può esistere e risultare dal contratto ma essere
illecita o non meritevole di tutela. Tutti i contratti sono soggetti al controllo di legalità sebbene con
intensità diversa a seconda che sia impiegato o meno un tipo legale.
Quando un contratto è nullo per illiceità, non assume rilevanza giuridica l’eventuale adempimento
dello stesso. La illiceità della causa comporta la nullità del contratto (art. 1418).
a) Quanto al controllo di liceità, per l’art. 1343 la causa è illecita quando è contraria a norme
imperative (cd, norme inderogabili, es. è nullo il contratto che esclude o limita preventivamente
la responsabilità del debitore per dolo o colpa grave, 1229), all’ordine pubblico (si allude ai
principi e valori fondamentali dell’ordinamento, desumibili dalla Carta costituzionale, art.2, e dal
diritto europeo convenzionale, principio di buona fede e divieto dei patti successori) o al buon
costume (sfera di pudore sessuale allargato alla cd. morale sociale).
Mentre la illiceità per violazione di norme e imperative e dell’ordine pubblico comporta la
nullità del contratto, con conseguente ripetizione di quanto si è prestato, la illiceità per
contrarietà al buon costume, pur comportando la nullità del contratto, preclude la ripetizione di
quanto prestato: per l’art. 2035 chi ha eseguito una prestazione per uno scopo che, anche da parte
sua, costituisca offesa al buon costume non può ripetere quanto ha pagato. Regola tradizione che
nessuno può invocare la propria immoralità per conseguire un vantaggio. Ricordiamo che il
contratto è illecito anche se sono illeciti l’oggetto, il motivo, la condizione.
b) Quanto al controllo di meritevolezza, manca una nozione specifica nell’ordinamento: un unico
richiamo è nell’art. 1322 dove è la previsione di possibilità di contratti atipici purché “diretti a
realizzare interessi meritevoli di tutela secondo l’ordinamento giuridico”.
I due controlli finiscono inevitabilmente per intrecciarsi e sovrapporsi, nel senso che l’uno
coinvolge l’altro: se un contratto è illecito, non è neppure meritevole di tutela. L’area della
meritevolezza, scissa dalla illiceità, è dunque meramente residuale e può delinearsi in due sole
prospettive. Verifica della coerenza tecnica dello strumento contrattuale utilizzato con le strutture
del sistema giuridico; altro terreno di emersione di un autonomo controllo di meritevolezza è
quello della regolazione di interessi futuri o bizzarri. Nella verifica di meritevolezza c’è anche la
necessità di non impegnare l’apparato giudiziario nella soluzione di contese inutili, attesa la
notoria mole inevasa di processi pendenti.
9. Il contratto in frode alla legge. - Per l’art. 1344 si reputa illecita la causa quando il contratto
costituisce “il mezzo per eludere l’applicazione di una norma imperativa”. C’è un abuso del mezzo
utilizzato: si realizza cioè una elusione della norma giuridica, infrangendo e deformando lo
strumento legale impiegato. Il tipico esempio è la vendita con patto di riscatto stipulata per una
causa di garanzia al fine di aggirare il divieto del patto commissorio. Più spesso la frode alla legge
avviene attraverso una sequenza di atti. Accertata la frode alla legge consegue illiceità e dunque la
nullità del contratto. Un campo di applicazione incisiva della categoria dei contratti in frode alla
legge è quello tributario dove affianco alla evasione fiscale opera la elusione fiscale quale mezzo di
aggiramento della norma tributaria.
10. Motivi. - I motivi costituiscono lo scopo individuale che ha spinto un soggetto a porre in essere
negozio giuridico.
Un esempio chiarirà facilmente la differenza.
Se intendo acquistare un appartamento posso farlo per una serie di motivi; ad esempio lo acquisto
perché penso di essere trasferito in quella città oppure perché ritengo il luogo maggiormente
collegato con il centro.
È evidente che se ogni volta si dovesse dare rilevanza ai motivi potrebbe accadere che nel caso in
cui mi sia già impegnato per l'acquisto dell'immobile senza poi ottenere più il trasferimento che
speravo, potrei legittimamente impugnare il contratto di compravendita sostenendo proprio il mio
errore sui motivi.
Proprio per evitare simili conseguenze si è stabilita l'irrilevanza dei motivi individuali.
Quanto detto però, non è sempre vero. Può darsi, infatti, che le parti intendano dare rilevanza ai
motivi trasformandoli in una clausola condizionale, ma in alcuni casi è la legge a darvi rilevanza.
Questo è il caso dell'articolo 1345 c.c. che stabilisce che il contratto è illecito quando le parti si sono
determinate a concluderlo per un motivo illecito comune ad entrambe.
Come si vede la norma costituisce un'eccezione alla regola della irrilevanza dei motivi che, se
illeciti, possono provocare la nullità del contratto.
Per arrivare a tanto, però, è necessario che il motivo illecito sia comune ad entrambe e sia stato
l'unica ragione che ha determinato le parti a contrarre.
Se, ad esempio, acquisto un appartamento per impiantarvi una casa di prostituzione, il contratto di
compravendita sarà valido se il venditore non sapeva dell'uso che intendevo fare dell'immobile;
ma se il venditore era a conoscenza delle mie intenzioni e mi ha preferito ad altri acquirenti magari
proprio perché intendeva approfittare dell'attività illecita, ecco che il contratto di compravendita
sarà nullo per illiceità dei motivi.
11. La presupposizione. - Accanto agli elementi costitutivi del contratto rilevano spesso i cd.
presupposti del contratto, che possono essere di fatto e di diritto. La presupposizione designa un
presupposto di fatto o di diritto assunto dalle parti a fondamento del contratto, perciò rilevante per
la efficacia dello stesso, pur senza essere oggetto di espressa pattuizione. Si è soliti anche di parlare
di condizione inespressa. La presupposizione perciò non è oggetto di una statuizione contrattuale,
ma emerge dalle circostanze, che i contraenti hanno tenuto presente nel contratto come presupposto
dello stesso. “es. locazione di un balcone per assistere a un evento”.
Secondo l’impostazione volontaristica essa esprime il motivo di ciascun contraente e dunque è
come tale irrilevante; secondo una diversa visione, rileva quando è comune alle parti o quando,
ancorché assunta da una sola parte, sia nota alla controparte. Nella impostazione funzionalista la
presupposizione è ricondotta alla causa concreta del contratto.
Nei termini indicati la presupposizione assume rilevanza sia quando la situazione presupposta
esistente non esiste al momento della conclusione del contratto, sia quando quella contemplata
come futura non si realizza: nella prima ipotesi, il contratto è inefficace sin dalla nascita in quanto
nulla; nella seconda, lo diventa successivamente attraverso la risoluzione.
13. Simulazione. L’accordo simulatorio. - Nozione: Simulare vuol dire fingere, nella simulazione
la parti di un contratto fingono di stipularlo ma, in realtà, o non ne stipulano nessuno (simulazione
assoluta) oppure ne pongono in essere un tipo diverso rispetto a quello che appare (simulazione
relativa).
Come si vede dalla nozione, le parti d'accordo e consapevolmente fingono di stipulare un contratto
perché vogliono che all'esterno (e quindi nei confronti dei terzi) appaia una certa situazione
giuridica da poter invocare quando occorra, mentre all'interno è rilevante ciò che hanno stabilito tra
loro circa il contratto simulato.
Elemento fondamentale della simulazione è, quindi, "l'accordo simulatorio" cioè quello che le parti
hanno stabilito in merito al negozio simulato, cioè sul fatto che il contratto è simulato e non ha
effetto tra le parti. L'accordo simulatorio è essenziale per l'idea stessa di simulazione, deve essere
precedente o contemporaneo all'atto simulato e non va diffuso con la controdichiarazione che serve
solo a provare per iscritto l'esistenza dell'accordo, atto che potrebbe anche mancare.
La simulazione è prevista dall'articolo 1414 c.c. che ne distingue due tipi:
a) Si ha simulazione assoluta quando le parti vogliono solo fingere di porre in essere un contratto
ma in realtà non ne stipulano nessuno. Esempio, il caso in cui si finge di vendere una casa ma
questa rimane di proprietà del finto venditore. Il contratto simulato non ha effetto tra le parti.
b) Si ha simulazione relativa quando le parti fingono di stipulare un contratto mentre, in realtà ne
pongono in essere un altro: si simula di vendere una casa, ma questa viene donata al finto
acquirente. In questo caso vale il negozio dissimulato, cioè la donazione, mentre non ha effetto la
finta vendita.
In caso di simulazione relativa l'atto dissimulato per essere valido deve avere i requisiti di
sostanza e di forma voluti dalla legge; nell'esempio fatto, la dissimulata donazione dovrebbe
essere fatta per atto pubblico, ma parte rilevante della dottrina ritiene che il requisito della forma
sia soddisfatto quando l'atto simulato ( e quindi nell'esempio la vendita) abbia i requisiti di forma
necessari per la validità dell'atto dissimulato (cioè vendita per atto pubblico simulando una
donazione). Il negozio simulato è inefficace, e per questo motivo si parla spesso di nullità di tale
negozio, ma tale posizione lascia perplessi, sia perché lo stesso art. 1414 fa riferimento esplicito
alla inefficacia, più che alla nullità, sia perché l'intera disciplina del negozio simulato ( pensiamo
alle limitazioni alla prova testimoniale) non adatta perfettamente con l'ipotesi di nullità.
Di solito la simulazione ha ad oggetto un negozio giuridico, ma in altri casi può riguardare una delle
parti del negozio, si distingue in proposito tra:
- Simulazione relativa oggettiva: quando la finzione inerisce al contenuto dell'atto. Ad esempio si
stipula una vendita simulata che cela una sottostante donazione per evitare l'azione di riduzione
degli eredi legittimari.
- Simulazione relativa soggettiva: quando la finzione inerisce alle parti. Ad esempio un
imprenditore acquista un immobile intestandolo fittiziamente ad un altro soggetto per evitare la
esecuzione forzata dei propri creditori
Nella simulazione soggettiva una delle parti è un semplice "prestanome"; quest'ultimo, in realtà, è
parte negoziale solo in apparenza mentre vera ed unica parte negoziale è quella che non appare,
titolare dell'interesse negoziale, che usa il prestanome come uno schermo.
È chiara la differenza tra questa ipotesi e quella relativa alla rappresentanza indiretta; qui, infatti, il
prestanome non acquista nemmeno per un attimo la veste di parte negoziale e non esiste alcun
contratto di mandato, mentre nella rappresentanza indiretta, di regola, c'è un contratto di mandato ed
il mandatario acquista per sé con l'obbligo di ritrasferire gli effetti del negozio al mandante.
Non bisogna confondere, inoltre, la simulazione con il negozio indiretto ed il negozio fiduciario. In
entrambi i casi, infatti, i negozi producono gli effetti voluti, cosa che non accade nella simulazione.
Di regola con la simulazione, per il fatto di fingere, si tende a realizzare un inganno nei confronti di
terzi. L'esperienza giudiziaria ci mostra generalmente 4 bersagli a danno dei quali l'inganno è più
spesso perpetrato: verso i creditori quando il debitore mira a vanificare l'esecuzione dei creditori sul
proprio patrimonio; verso gli eredi legittimari quando il testatore vuole preferire uno degli eredi;
verso il fisco quando si dichiara un prezzo inferiore al reale aggirando l'imposizione tributaria;
verso il coniuge quando uno dei coniugi vuole evitare che il bene acquistato cada in comunione con
l'altro coniuge. C'è da dire ancora che entrambi i negozi (simulazione assoluta e relativa) sono
effettivamente voluti dalle parti e questo elemento costituisce la radicale differenza fra l'istituto qui
in esame e l'errore vizio dal quale può derivare una pronuncia di annullamento del contratto. Nella
simulazione infatti la mancata produzione degli effetti del contratto o la produzione di un effetto
diverso rispetto al contratto simulato è espressamente voluta dalle parti ed è uno dei motivi
principali che le ha spinte ad agire.
14. Segue. Effetti della simulazione e opponibilità. - Bisogna valutare distintamente gli effetti
della simulazione tra le parti e rispetto ai terzi.
a) Effetti tra le parti. Regola generale è che “il contratto simulato non produce effetto tra le
parti” (1414). Indirizzo consolidato dalla giurisprudenza è che il contratto simulato è nullo.
Dunque, nella simulazione assoluta, non si realizza alcun effetto.
Il secondo comma dello stesso articolo regola la simulazione relativa “ se le parti hanno voluto
concluder un contratto diverso da quello apparente, ha effetto tra esse il contratto dissimulato,
purché ne sussistano i requisiti di sostanza e di forma”. Dunque, ferma la nullità del contratto
simulato, produce effetto tra le parti il contratto sottostante (dissimulato) quale contratto
realmente voluto. E’ però necessario che il contratto sottostante sia lecito e che abbia la forma
prescritta ad substantiam. (Ad esempio una donazione dissimulata deve essere stipulata per atto
pubblico con la presenza di due testimoni.)
b) Effetto rispetto ai terzi. Il regime degli effetti verso i terzi involge il problema della opponibilità
della simulazione ai terzi. Lo stesso è pertanto governato dal generale principio della tutela della
buona fede dei terzi e cioè dell’affidamento. Regola base è dunque che le parti del contratto
simulato non possono opporre la simulazione ai terzi che, in buona fede, hanno acquistato diritti
dal titolare apparente, salvi gli effetti della trascrizione della domanda di simulazione. In
sostanza, con la creazione di un negozio fittizio, le parti corrono il rischio di suscitare
l’affidamento dei terzi: essendo le parti stesse non incolpevoli, anzi addirittura artefici della
finzione, soccombono rispetto ai terzi che hanno fatto affidamento sulla titolarità apparente,
bensì originata dalla simulazione ma comunque immessa nella realtà giuridica.
Viceversa i terzi possono far valere la simulazione nei confronti delle parti quando la stessa
arrechi pregiudizio ai loro diritti (1415) così da fare emergere la realtà sottostante contro
l’apparenza.
c) Effetto verso i creditori. Un discorso a parte deve essere fatto in merito della simulazione nei
confronti dei creditori delle parti. Avremo infatti due categorie.
I creditori del simulato alienante che avranno interesse a far valere la simulazione poiché
vogliono far tornare nel patrimonio del loro debitore quello che apparentemente era uscito.
I creditori del simulato acquirente che avranno un interesse opposto ai primi in quanto vorranno
far considerare efficace l'atto di acquisto del loro debitore in modo da essere più garantiti.
Potrebbe accadere quindi che entrambe le categorie di creditori intendano soddisfarsi sul bene
oggetto del contratto simulato. Chi prevarrà? Risulta essere intuitivo che prevarranno i creditori
del simulato alienante se il credito è sorto prima del contratto simulato, in quanto sussiste la
finzione, ovvero il bene non è mai uscito dal patrimonio del loro debitore. Ma quando il loro
credito è sorto dopo la finta alienazione prevarranno i creditori del simulato acquirente.
16. Negozi indiretti e fiduciari. - Il negozio indiretto si verifica quando, attraverso la combinazione
di diversi atti, si giunge ad un risultato diverso rispetto a quello tipico dei singoli atti utilizzati,
risultato che è il vero scopo che vogliono raggiungere le parti con il negozio indiretto.
Si pensi, ad esempio, al caso di chi volendo alienare un bene, ma evitare di usare lo strumento del
contratto di compravendita, conferisce un mandato irrevocabile ad amministrare il bene.
Il negozio indiretto può essere usato per perseguire scopi illeciti; in questa ipotesi abbiamo una
combinazione di atti che presi singolarmente sono leciti, ma combinati tra di loro producono un
risultato vietato. Pensiamo, ad esempio, al caso della vendita di beni pignorati; questi non possono
essere aggiudicati al debitore, ma questo potrebbe eludere il divieto stipulando un contratto di
mandato grazie al quale il mandatario si obbliga a concorrere per l'aggiudicazione del bene
pignorato. In questi casi si parla di negozio in frode alla legge, negozio nullo a norma dell'articolo
1344 c.c.
Il negozio fiduciario è un'ipotesi di negozio indiretto; in questo caso si attua il trasferimento di un
bene, ma con l'accordo che il bene sarà usato secondo le istruzioni impartite dall'alienante. In questo
caso l'alienante assume la veste di fiduciante mentre l'intestatario del bene assume la veste di
fiduciario; pensiamo al caso in cui si trasferisca un pacchetto azionario, con l'accordo che
l'acquirente dovrà votare all'assemblea dei soci nel modo indicato dall'alienante.
17. Il trust. - Il trust è previsto in una Convenzione internazionale stipulata all'Aja il primo luglio
1985, che è stata resa esecutiva in Italia con l. n. 364\1989. Non c'è concordia, però,
sull'ammissibilità del trust nel nostro ordinamento, poiché la sua struttura sembra incompatibile con
il regime della trascrizioni immobiliari, anche se la giurisprudenza, sembra ammetterlo, anche in
relazione al c.d. trust interno, stipulato, cioè tra cittadini italiani e per beni che si trovano in Italia.
Per trust si intende il rapporto giuridico in virtù del quale un soggetto costituente (settlor), con atto
tra vivi o mortis causa, pone i propri beni sotto il controllo di un diverso soggetto, persona fisica o
società, di sua fiducia (trustee) nell'interesse di un terzo (beneficiary). Il trust si presenta ad essere
utilizzato in più direzioni, ad esempio in materia familiare, consente la gestione di beni di un minore
fino alla maggiore età o di un disabile fino ad una certa data. Ancora i beni conferirti in trust,
benché intestati nel nome del trustee costituiscono una massa distinta e non fanno parte del
patrimonio del trustee, il quale è investito del potere e onerato dell'obbligo di amministrare, gestire
o disporre beni secondo i termini del trust e le istruzione del costituente, nel rispetto delle norme di
legge.
18. Le dicotomie fondamentali. - Relativamente alla causa è possibile identificare tre fondamentali
dicotomie in grado di raggruppare significative classi di contratti.
a) Contratti a titolo oneroso e a titolo gratuito. L’onerosità si caratterizza per la correlazione tra
sacrificio e vantaggio: il sacrificio di una parte nel procurare alla controparte un vantaggio è
connesso al sacrificio dell’altra parte per procurare un vantaggio corrispettivo. Un soggetto è
cioè disposto ad un depauperamento in vista della realizzazione di un interesse. Sono contratti a
titolo oneroso, la vendita, locazione, l'appalto, ma anche quelli per i quali un soggetto è disposto
a un sacrifico economico per l’appagamento di un interesse non patrimoniale, esempio l'acquisto
di un biglietto per assistere ad un evento sportivo.
Tra i contratti a titolo oneroso assume un significato rilievo la distinzione tra contratti
commutatitivi e contratti aleatori.
Nei contratti commutativi l’entità delle reciproche attribuzioni (e dunque la correlazione tra
vantaggio e sacrificio) è certa fin dalla stipula del contratto. Es. vendita che ha appunto per
oggetto il trasferimento di un diritto verso il corrispettivo prezzo.
Nei contratti aleatori, benché presente la previsione di sacrifici e vantaggi reciproci, la relativa
entità non è predeterminatile: all’atto della conclusione del contratto è ignoto quale delle due
parti subirà il maggior sacrificio e chi il maggior vantaggio. Es. contratto di assicurazione. La
causa concreta dl contratto è quindi caratterizzata da un’alea e dunque da un rischio a carico
delle parti circa il risultato economico che ciascuna, alla fine conseguirà.
La gratuità nella sua essenza elementare, indica l’attribuzione di un vantaggio senza un
corrispettivo. Ma ciò non implica necessariamente uno spirito di liberalità. Questo sussiste solo
quando l’atto gratuito è compiuto con il precipito intento di arricchire il destinatario senza
conseguire alcun tipo di vantaggio. Esempio tipico è la donazione che va stipulata con forma
solenne.
b) Contratti a prestazioni corrispettive e di una sola parte. I contratti con prestazioni corrispettive
realizzano un nesso di reciprocità tra le singole attribuzioni: esprimono perciò una specifica
prospettiva di valutazione dei contratti a titolo oneroso. Il criterio della corrispettività intende
attribuire rilevanza al dato ella reciprocità delle attribuzioni patrimoniali, per cui l’attribuzione di
ciascuna parte è in funzione dell’attribuzione dell’atra (ad es. nella vendita, il trasferimento della
proprietà è in funzione del pagamento del prezzo e viceversa).
Tra le attribuzioni si instaura un nesso di interdipendenza, denominato sinallagma che
accompagna l’intera vita del rapporto, così nella nascita (sinallagma genetico) che durante lo
svolgimento dello stesso (sinallagma funzionale): si parla perciò di contratti sinallagmatici.
Nei contratti con prestazioni d una sola parte c’è sacrificio economico a carico di una sola parte.
Esempio è la fideiussione (1936).
c) Contratti di scambio e con comunione di scopo. Nei contratti di scambio gli interessi sono
divergenti e in conflitto, mirando ciascuna delle parti a perseguire un interesse autonomo e
diverso. La direzione delle attribuzioni è incrociata: ognuno dei contraenti mira al
conseguimento di una specifica utilità tramite il comportamento della controparte. Ad es. nella
vendita il venditore mira a conseguire un prezzo, mentre il compratore tende a procurarsi la
proprietà o altro diritto sul bene.
Nei contratti con comunione di scopo, tutte le parti, anche se con motivazioni personali
eventualmente diverse, tendono a realizzare un interesse comune a tutte. La direzione delle
prestazioni è convergente nel senso che ciascuna attribuzione mira a realizzare uno scopo
comune a tutte le parti e perciò soddisfa l’interesse di tutti i contraenti. Ad es., per l’art. 2247,
con il contratto di società due o più persone conferiscono beni o servizi per l’esercizio in comune
di un’attività economica allo scopo di dividerne gli utili.
C) ELEMENTI ACCIDENTALI
19. L’ampliamento del contenuto contrattuale. - Si è visto come solo i cd. elementi essenziali
(costitutivi) sono requisiti di validità del contratto, nel senso che la mancanza o anomalia di uno di
essi determina la nullità del contratto (1325 e 1418); viceversa i cd. elementi accidentali possono
essere o meno presenti, senza influire sulla validità del contratto ed ampliandone il contenuto.
Gli elementi accidentali sono: condizione, termine ed onere.
Non tutti i negozi giuridici, però, sopportano gli elementi accidentali; abbiamo, infatti, una
categoria di atti detti "actus legitimi" che non tollerano l'apposizione di tali elementi come nel caso
del matrimonio che non può essere sottoposto a condizione o a termine. È da osservare rispetto a
tali atti, che in alcuni casi l'apposizione dell'elemento accidentale non comporta la nullità dell'intero
negozio giuridico, come nell'esempio già fatto del matrimonio (è viziato ma non vizia) mentre in
altri casi apposizione di un elemento accidentale comporta la nullità dell'intero negozio giuridico
come nel caso previsto dall'articolo 475 c.c. relativo all'accettazione ereditaria.
20. Condizione. Caratteri e tipologia. - La condizione è un avvenimento futuro ed incerto dal cui
verificarsi le parti fanno dipendere l'inizio o la cessazione degli effetti di un negozio giuridico
(articolo 1353 c.c.).
- La condizione produce i suoi effetti sulla efficacia e non sulla validità del negozio.
- L'efficacia del negozio è subordinata al verificarsi di un evento che si identifica con la
condizione stessa.
- L'evento per essere definito come condizione deve essere futuro ed incerto.
Se l’avvenimento è futuro ma certo, rileva come termine, non come condizione. Può essere anche
indicato il termine entro cui l’avvenimento deve verificarsi.
Abbiamo visto che la condizione determina l'efficacia del negozio; In realtà il codice civile fa
riferimento a due tipi di condizione. Condizione sospensiva e risolutiva.
- Si ha condizione sospensiva quando le parti subordinano la produzione degli effetti al verificarsi
di un evento futuro o incerto. Es”un impiegato acquista un determinato appartamento sotto
condizione che venga trasferito in quella città”;
- Si ha condizione risolutiva quando il contratto è immediatamente efficace ma soggetto alla
privazione di effetti se interverrà un avvenimento futuro e incerto. Es. “un impiegato acquista
senz’altro un appartamento in una determinata città, ma se entro un determinato periodo non è
trasferito presso tale città o è trasferito altrove il contratto cessa di produrre effetti.
Bisogna fare ancora ulteriori distinzioni in merito alla condizione anche se meno importanti delle
prime due.
- Si ha condizione casuale quando l’avveramento dell’evento dipende dal caso o da terzi.
- Si ha condizione potestativa quando l’avveramento dipende dalla volontà di una delle parti.
- Si ha condizione mista quando l’avvenimento dipende sia dalla volontà di una delle parti sia del
caso.
Di tutte le ipotesi di condizione riportate, sicuramente la più interessante è quella che riguarda la
condizione potestativa.
Abbiamo detto, infatti, che questa si ha quando l'avvenimento oggetto della condizione dipende
dalla volontà di una delle parti, come nel caso in cui stabiliamo che ti assuma al mio servizio nel
caso in cui acquisti un nuovo appartamento. Questa condizione è perfettamente valida, ma l'articolo
1355 del codice civile chiaramente dispone la nullità di una alienazione o dell'assunzione di un
obbligo che dipenda da una condizione sospensiva subordinata alla semplice volontà di chi deve
vendere o di chi deve assumersi l'obbligo.
È questa la condizione meramente potestativa che, se apposta, rende nullo l'intero negozio; la
ragione della nullità è semplice: l'ordinamento non può conferire validità a negozi giuridici che
dipendano dalla semplice volontà di un soggetto, come, ad esempio, ti darò 100 se vorrò o (che è lo
stesso) se mi leverò il cappello
Si è detto come la condizione sia una delle clausole più utilizzate dai soggetti di un negozio
giuridico. Tuttavia non si deve credere che l'utilizzo della clausola condizionale sia illimitato per le
parti, poiché attraverso l'utilizzo della clausola si potrebbe facilmente eludere divieti imposti
dall'ordinamento oppure dare validità a negozi giuridici che per il modo in cui vengo usati non
avrebbero alcun riconoscimento da parte dell'ordinamento giuridico. Vediamo quindi in quali casi
non viene riconosciuta validità alla condizione. In tal modo distinguiamo condizioni illecite o
impossibili.
La condizione illecita è quella contraria a norme imperative, all’ordine pubblico o al buon costume,
secondo la nozione di illiceità della causa. La condizione illecita, sospensiva o risolutiva, rende
nullo il contratto (1354). Questo tipo di condizioni rendono nullo il contratto cui sono apposte,
come ad esempio nel caso in cui io mi impegni a vendere un appartamento a condizione che
l'acquirente mi permetta la spaccio di droga in una stanza dello stesso. Nel caso di negozi mortis
causa la condizione non rende nullo il negozio ma si considera non apposta. Esempio la nomina di
tizio come erede di Sempronio se uccide Caio. In questo caso però la condizione può rendere nullo
il negozio quando sia stata l'unico motivo che ha determinato il testatore a disporre.
La condizione impossibile è quella che non ha nessuna possibilità di realizzazione. Esempio tipico "
ti darò 100 se toccherai il cielo con un dito ". Anche in questo caso bisogna distinguere tra negozi
inter vivos e mortis causa; nei primi la condizione renderà nullo l'intero negozio, mentre nei negozi
mortis causa si avrà per non apposta a meno che non sia stato l'unico motivo che ha spinto il
testatore a disporre.
Sempre in merito alle condizioni impossibili bisogna distinguere il caso della condizione sospensiva
da quello della condizione risolutiva;
la prima, se impossibile, comporta la nullità dell'intero contratto mentre la seconda non influisce
sulla sua validità.
Un esempio chiarirà come mai esiste questa differenza: " ti darò 100 se toccherai il cielo con un dito
". In questo caso è evidente per quale motivo la condizione rende nullo l'intero negozio.
Condizione risolutiva impossibile: "continuerai ad abitare nella mia casa sino a quando toccherai il
cielo con un dito ".
Qui il contratto è perfettamente valido in quanto intendo consentire, in realtà, l'uso perpetuo della
mia abitazione.
La condizione illecita o impossibile può essere apposta anche ad un patto contrattuale e non a tutto
l'intero negozio;
in questo caso vi sarà la nullità del singolo patto a meno che risulti che le parti non avrebbero
concluso quel contratto senza il patto reso nullo dalla
condizione (art. 1419 c.c.).
21. Segue. Pendenza della condizione ed esito dell’avveramento. - La condizione, come del resto
anche il termine, risulta legata allo scorrere del tempo.
Abbiamo quindi due periodi relativi alla vita della condizione:
- la fase di pendenza della condizione in cui esiste una situazione di incertezza circa il suo
avveramento;
- la fase di avveramento o di mancanza della condizione, in questi casi è la situazione di incertezza
cessa.
22. Termine. - Non c’è nella legge una disciplina del termine di efficacia dei contratti: c’è in tema
di obbligazione una disciplina del termine di adempimento, ma i due termini hanno natura diversa.
a) Il termine di efficacia è un elemento accidentale del contratto e rappresenta un avvenimento
futuro è certo dal quale o fino a quale si producono gli effetti di un negozio giuridico. Il termine
fissa nel tempo gli effetti del contratto: perciò si suol dire che il termine corre. Nel termine di
efficacia il diritto nasce o cessa di esistere nel giorno indicato dal termine. Il termine iniziale
indica l’inizio degli effetti del contratto, con la nascita del rapporto; il termine finale indica la
fine degli effetti del contratto, con la estinzione del rapporto: il tempo corrente tra il termine
iniziale e quello finale esprime la durata (efficacia) del contratto.
b) il termine di adempimento dell’obbligazione o di scadenza si riferisce sempre ad un evento
futuro e certo ma serve a differire nel tempo l'adempimento di una obbligazione.
Es. stipulandosi un contratto di locazione nel mese di novembre 2010, si stabilisce che la
locazione ha durata di quattro anni, con decorrenza l’1.1.2011 e scadenza 31.12.2014. Il canone
di locazione sarà pagato entro il 5 di ogni mese.
Per la disciplina del termine di efficacia del contratto si applicano le norme sul termine di
adempimento dell'obbligazione art. 1183 e quelle relative al calcolo del termine di prescrizione.
22. Onere (modus). - L’onere o modus, afferisce ai soli negozi a titolo gratuito (donazione e
testamento), introducendo un obbligo a carico del beneficiario dell’atto. Se il beneficiario non
adempie l'onere, chiunque ha interesse può agire per il suo adempimento. In ogni caso, però,
inadempimento dell'onere non comporta la risoluzione del negozio, a meno che questa non sia stata
prevista come conseguenza dell'inadempimento.
Nel caso in cui il modus fosse impossibile o illecito, si ha per non apposto, salvo che non risulti
essere l'unico motivo che ha determinato la liberalità.
CAPITOLO 4
FORMA
1. Evoluzione del formalismo. - Un manifestazione della volontà negoziale non può mai mancare,
quale essenziale mezzo di comunicazione sociale, talvolta però la legge richiede che la volontà sia
manifestata con particolari formalità. La forma indica appunto i modi di manifestazione della
volontà negoziale. L’ordinamento spesso limita l’autonomia privata, imponendo una forma
vincolata della volontà negoziale in ragione della natura degli interessi coinvolti e delle circostanze
in cui la volontà stessa è esperita e dunque il contratto è concluso. Se non è prescritta una forma
vincolata è lasciata ai privati la scelta della forma con la quale manifestare la propria volontà
negoziale e dunque autoregolare i propri interessi.
2. La forma per la validità. - L’art. 1325, n. 4, prevede la forma come elemento essenziale o
costitutivo del contratto quando è prescritta dalla legge a pena di nullità (c.d. forma ad substantiam).
Spesso è richiesto un requisito formale di carattere generico lasciando ai privati la individuazione
della specifica forma. Ad esempio gli atti di alienazione di immobili devono farsi per iscritto,
rimettendo all'autonomia delle parti la scelta tra atto pubblico o scrittura privata. Talvolta invece è
prescritta una forma specifica da adottare, ad esempio la donazione deve essere fatta per atto
pubblico sotto pena nullità.
La forma ad substantiam può essere prescritta dall’ordinamento (cd. forma legale) e essere adottata
dai privati (cd, forma convenzionale).
a) Forma legale. Il requisito di forma più diffusamente prescritto è la forma scritta, nei due tipi
dell’atto pubblico e della scrittura privata, entrambi collocati dal codice civile sotto il capo
dedicato alle prove documentali. La forma scritta è tradizionalmente prescritta per gli atti relativi
ai beni immobili. Per l’art. 1350 devono farsi per iscritto gli atti che trasferiscono la proprietà o
che costituiscono, modificano o trasferiscono diritti reali o con i quali si rinunzia ai detti diritti; i
contratti di locazione di beni immobili per una durata superiore a nove anni. Il contratto
preliminare è nullo se non è fatto nella stessa forma prescritta per il contratto definitivo (1350).
b) Forma convenzionale. Per l’art. 1352, se le parti hanno convenuto per iscritto di adottare una
determinata forma per la futura conclusione di un contratto, si presume che la forma sia stata
voluta per la validità di questo. Il fenomeno è particolarmente diffuso con riguardo ai contratti
preordinati alla stipula di un contratto successivo. In tale ipotesi c’è un’autolimitazione
dell’autonomia privata; ma proprio perché il vincolo non deriva dalla legge, è sempre in potere
delle parti, d’accordo, cancellare il vincolo di forma adottato. La giurisprudenza indica che in
seguito al mancato rispetto di una delle due parti della forma convenzionale vi è la nullità del
contratto.
3. La forma per la prova. - Talvolta è imposto un vincolo di forma, non già per la validità del
contratto, ma solo ai fini probatori (cd. forma ad probationem). La forma ad probationem è richiesta
solo per provare l'esistenza del negozio, come nel caso di trasferimento di azienda.
È necessario sottolineare che il negozio mancante della forma ad probationem è perfettamente
valido ed efficace, ma, in caso di processo, l'unico modo per provare l'esistenza di quel particolare
negozio sarà la forma che la legge richiedeva, salva la possibilità di ricorrere al giuramento e alla
confessione. Quando un contratto deve essere provato per iscritto, non è ammessa la prova per
testimoni, salvo che il contraente abbia senza sua colpa perduto il documento che gli forniva la
prova (2725).
4. La forma per l’opponibilità. - Sono di sovente prescritte formalità ai soli fini della opponibilità
dell’atto ai terzi: il contratto è dunque valido e produce effetti tra le parti, ma non può farsi valere
per i terzi. I mezzi comunemente impiegati della legge per consentire l’opponibilità dell’atto ai terzi
sono la data certa dell’atto e la pubblicità dello stesso. Emerge un problema della data certa dell’atto
quando questo non è formato per atto pubblico o con scrittura privata con sottoscrizione autentica.
Venendo alla pubblicità, l’esecuzione della stessa implica una forma specifica dell’atto da rendere
pubblico.
A) INTERPRETAZIONE
2. Le norme sul l’interpretazione. - Le norme sulla interpretazione dei contratti hanno scopo di
ricercare il contenuto giuridicamente rilevante dell’atto.
Nella applicazione delle regole contenute in un contratto spesso possono sorgere dubbi circa la loro
interpretazione; può accadere, ad esempio, che le parti si trovino in disaccordo su quanto stabilito in
merito al luogo di pagamento, perché l'atto parla del solo domicilio del creditore, senza specificare
se sia possibile utilizzare anche la residenza. Tale questione non è senza rilievo, perché è possibile
che le parti si siano riferite in modo generico al domicilio, volendo comprendere anche la residenza.
Può quindi sorgere un problema di interpretazione, e se rimane il disaccordo circa il contenuto
dell'atto, sarà necessario ricorrere alle norme del codice per dirimere la questione.
Il codice civile, infatti, dedica numerosi articoli (dal 1362 al 1371) alla interpretazione dei contratti,
norme che si suole dividere in due categorie, quelle relative alla interpretazione soggettiva e le altre
relative alla interpretazione oggettiva, da utilizzarsi quando non si è riusciti, tramite il criterio
soggettivo, a risolvere i dubbi interpretativi.
Tra i due gruppi di norme si inserisce quella contenuta nell'art. 1366 c.c. secondo cui il contratto
deve essere (sempre) interpretato secondo buona fede, buona fede intesa in senso oggettivo, come
regola di condotta da seguire.
Prima di analizzare le norme sulla interpretazione, è necessario puntualizzare che il contratto deve
sempre essere interpretato in maniera "oggettiva", nel senso che non si andrà a ricercare quella che
è stata la reale volontà di ogni parte, (spesso recondita e inafferrabile) ma quella che appare
all'esterno come volontà comune delle parti, e ciò per esigenze di tutela dell'affidamento e di
certezza dei rapporti giuridici.
Ricordiamo, inoltre, le norme sulla interpretazione si applicano, in quanto compatibili, anche agli
altri negozi giuridici unilaterali.
3. Il procedimento ermeneutico legale. - Cominciamo, quindi, ad elencare le regole interpretative
previste dal codice civile.
a) Interpretazione soggettiva. È volta a ricercare la comune intenzione delle parti.
Il contratto deve essere interpretato cercando di ricercare la comune intenzione delle parti che
appare dall’atto, senza limitarsi al significato letterale delle parole (art. 1362 c.c. comma 1).
Per ricercare la comune intenzione delle parti è anche necessario:
• valutare il comportamento complessivo delle parti anche posteriore alla conclusione
del contratto (art. 1362 comma 2, interpretazione globale);
• procedere alla interpretazione della singole clausole per mezzo delle altre clausole
contrattuali, attribuendo ad ognuna il significato che risulta dal complesso dell'atto
(art. 1363 c.c. interpretazione sistematica);
• presumere che le espressioni generali usate nel contratto siano in realtà rivolte agli
oggetti del contratto (art. 1364 c.c. );
• se nel contratto si sono indicati dei casi al fine di spiegare un patto, si presume che
siano inclusi nel patto anche altri casi non espressi ai quali può estendersi lo stesso
patto (art. 1365 c.c. interpretazione presuntiva).
Nel caso in cui nonostante l'applicazione delle regole viste, rimangano dei dubbi circa la comune
intenzione delle parti, sarà necessario applicare le norme sulla interpretazione oggettiva; lo scopo
di questo secondo gruppo di norme è diverso dal quello relativo alla interpretazione soggettiva;
qui, infatti, più che ricercare la comune intenzione delle parti, tentativo già fallito, si prova a dare
un significato all'atto per evitare che questo sia inapplicabile, e ciò per motivi di conservazione e
di equità.
b) Interpretazione oggettiva. È volta a dare un significato al contratto nel caso in cui non si sia
riusciti ad individuare la comune intenzione delle parti.
- nel dubbio il contratto o le sue singole clausole, devono interpretarsi in modo che
abbiano qualche effetto piuttosto nel modo in cui non ne avrebbero nessuno (art. 1367
c.c. interpretazione utile);
- le clausole ambigue devono interpretarsi secondo le pratiche generali in uso nel luogo
di conclusione del contratto (art. 1368 c.c.);
- le espressioni con più sensi devono interpretarsi, nel dubbio, nel senso più conveniente
alla natura e all'oggetto del contratto (art. 1369 c.c.);
- le clausole inserite in moduli o formulari o in condizioni generali di contratto, nel
dubbio devono essere interpretate a favore del contraente che non l'ha inserite (art.
1370 c.c.).
Le norme sulla interpretazione oggettiva si chiudono con l'art. 1371 c.c. che detta le due regole
finali nel caso in cui nemmeno con l'applicazione delle norme riportate in tabella si sia riusciti nella
interpretazione. Qui si distinguono i contratti a titolo gratuito da quelli a titolo oneroso. Per i
contratti a titolo gratuito il contratto, nel dubbio, deve essere interpretato nel senso meno oneroso
per l’obbligato. Per i contratti a titolo oneroso il contratto, nel dubbio, deve essere interpretato nel
modo che realizzi l'equo contemperamento degli interessi delle parti.
B) QUALIFICAZIONE
C) INTEGRAZIONE
7. La legge e gli altri atti normativi. - L’art. 1374 pone al primo posto la legge tra le fonti di
integrazione è però diffuso attribuire al termine il significato di norma giuridica così da considerare
fonte di integrazione del contratto qualsiasi atto normativo (legislativo o regolamentare) secondo
l'ordine gerarchico delle fonti.
Venendo ai modelli di integrazione, c’è da riprendere la distinzione tra norme dispositive
(derogabili) e norme imperative (inderogabili). Proprio in relazione a tale distinzione si è soliti
distinguere tra una integrazione suppletiva e una integrazione cogente a seconda che la norma da
applicare è di ausilio all’autonomia privata (e dunque derogabile) o sia antagonista alla stessa
(imponendosi imperativamente).
- Integrazione suppletiva: l’autonomia privata non si è esplicata in modo compiuto. L’integrazione
suppletiva è di ausilio all’autonomia privata: mira a riempire le lacune dell’autonomia privata,
consentendo al contratto di operare nella realtà economica. La lacuna non deve riguardar profili
essenziali del contratto: la integrazione opera quando il contenuto adottato dalle parti, benché
ricostruito nello scopo perseguito e valutato meritevole di tutela, risulti incompleto. Ne sono
chiari esempi le ipotesi in cui, per negligenza o per altra ragione, non sia indicato il luogo
dell’adempimento dell’obbligazione o il tempo dell’adempimento: in via di supplenza vi
provvedono, 1182 e 1183.
- Integrazione cogente: l’autonomia privata si è esplicata in modo esaustivo ed è in grado di
compiutamente operare. L’integrazione cogente è di contrasto all’automa privata: mira a imporsi
coattivamente all’autonomia privata sovrapponendosi al contenuto contrattuale. Ciò avviene con
riguardo all’applicazione dei valori fondamentali dell’ordinamento (es. protezione persona
umana); ma si verifica anche con riferimento alla salvaguardia di esigenze essenziali del sistema
socio- economico (es. garanzia di trasparenza del mercato). Problema delicato se la
determinazione normativa cogente sopravvenga dopo la conclusione del contratto.
8. Gli usi, equità e buona fede. - Gli usi, equità e buona fede: in mancanza della legge, operano
come fonti di integrazione del contratto gli usi e l’equità. In riferimento agli usi, abbiamo due
disposizione che citano questa funzione integrativa: art. 1374 riferendosi agli usi normativi e l’art.
1340 riferendosi agli usi negoziali, cioè le pratiche comportamentali diffuse nella prassi
commerciale, nella consapevolezza di non osservare una regola giuridica. Sempre l’art. 1374
ammette l’equità come subordinata alla legge e agli usi quale fonte di integrazione del contratto.
Perciò l'equità non può mai operare contra legem. Art. 113 c.p.c., fissando i poteri del giudice
stabilisce che “il giudice deve seguire le norme del diritto”, salvo che la legge gli attribuisca il
potere di decidere secondo equità”. Talvolta è la legge stessa a prevedere espressamente l'intervento
del giudice in via di equità: con riguardo alla valutazione del danno, quando non può essere provato
nel suo preciso ammontare; con riguardo alla riduzione della penale per inadempimento contrattuale
quando la stessa risulta eccessiva, ecc. Il contratto deve essere inteso nel senso meno gravoso per
l'obbligato se a titolo gratuito, e nel senso che realizzi l'equo contemperamento degli interessi se a
titolo oneroso.
Di nuovo l’art. 1374 non annovera formalmente la buona fede tra le fonti di integrazione del
contratto, ma esso rappresenta una clausola generale dell’ordinamento, che permea l’intero
dispiegarsi dell’autonomia privata ed il cui contenuto concreto è determinato volta a volta in
relazione al contesto di interessi in cui deve operare.
CAPITOLO 6
EFFICACIA
1. Efficacia e inefficacia. - Si è visto come, in generale, gli effetti giuridici esprimano la risposta
dell’ordinamento all’agire dei soggetti, secondo l’ordine di valori storicamente operante.
L’efficacia indica una modificazione della realtà giuridica: in particolare gli effetti derivanti dal
contratto sono in funzione di realizzazione dell’intento delle parti alla stregua e con l’integrazione
dei valori espressi dall’ordinamento. E’ possibile delineare una duplice dimensione degli effetti del
contratto: effetto generale, connaturato alla formazione dell’accordo, inerisce ad ogni contratto e
consiste nel vincolo contrattuale assunto; gli effetti particolari, peculiari ai singoli contratti,
esprimono i concreti assetti di interessi realizzati.
In contrapposizione alla efficacia, la inefficacia designa la mancata o anomala produzione di effetti
giuridici (inefficacia in senso ampio). Talvolta l’inefficacia è conseguenza di un vizio strutturale o
funzionale del contratto (inesistenza, invalidità etc). L’inefficacia legale è l’inefficacia imposta
dall’ordinamento per contrarietà del contratto all’ordinamento stesso. Talaltra la inefficacia è voluta
dalle parti (inefficacia volontaria). La inefficacia del contratto è legata all’autonomia privata e
rappresenta il risultato contrattuale perseguito dalle parti (inefficacia in senso stretto).
2. Il vincolo contrattuale i i modi di scioglimento. - Per l’art. 1372 “il contratto ha forza di legge
tra le parti”. Il legislatore con questa espressione ha voluto sottolineare l'importanza del vincolo
contrattuale ma poi successivamente aggiunge che il contratto con forza di legge può sciogliersi per:
- mutuo consenso
- cause ammesse dalla legge
Cominciamo con il mutuo consenso (o mutuo dissenso come viene comunemente definito) che può
essere definito come: la comune volontà delle parti di risolvere il vincolo contrattuale.
Il mutuo dissenso non è altro, quindi, che un contratto che fa cessare gli effetti del primo (vedi art.
1321 c.c. che si riferisce anche all'estinzione del vincolo). Si ritiene che per aversi mutuo dissenso
sia necessario che il contratto non abbia ancora prodotto effetti, come nel caso di vendita di cosa
generica dove non sia stata ancora effettuata l'individuazione, perché nel caso in cui gli effetti si
siano già prodotti (come per la vendita di cosa specifica dove l'efficacia reale è immediata) si
tratterà, semmai, di una rivendita del bene.
La forma dovrà essere la stessa del contratto originario, e dovrà essere sottoposta alle medesime
forme di pubblicità.
Veniamo, ora, alle altre cause di scioglimento del vincolo previste dall'art. 1372.
Il vincolo contrattuale si scioglie anche per:
- risoluzione (artt. 1453 e ss.);
- recesso convenzionale (art. 1373 c.c.);
- recesso previsto dalla legge.
Nei negozi unilaterali la liberazione dal vincolo è realizzata attraverso la cd. revoca, che è atto
unilaterale di caducazione degli effetti della dichiarazione unilaterale.
3. Il recesso. - Il recesso è un negozio unilaterale con il quale una parte dichiara di sciogliersi
unilateralmente dal contratto prima della scadenza. E’ espressivo di un diritto potestativo, a fronte
del cui esercizio, la controparte deve soggiacere.
Vediamo ora i casi di recesso previsti dall'art. 1373 e da altre disposizioni di legge.
1) recesso unilaterale: viene stabilito concordemente dalle parti che una o entrambe di loro possano
sciogliersi dal vincolo contrattuale tramite una dichiarazione da comunicare all'altra parte. Tale
facoltà non può essere esercitata se il contratto ha avuto un principio di esecuzione. Il codice
civile, in relazione ad alcuni tipi di contratto consente un diritto di recesso esercitabile anche
dopo la esecuzione del contratto, esempi sono: diritto del committente di recedere dal contratto
di appalto o dal contratto d'opera tendendo indenne la controparte dalle spese sostenute, del
lavoro eseguito e del mancato guadagno.
2) Nei contratti di durata il recesso può essere esercitato anche dopo l’inizio dell’esecuzione, ma
non ha effetto per le prestazioni già eseguite o in corso di esecuzione (1373, c.2).
3) Le parti possono pattuire un corrispettivo per l’esercito del recesso, che si configura come prezzo
del recesso. Se il corrispettivo è versato all’atto della stipulazione del contratto, si ha caparra
penitenziale: il recedente perde la caparra data o deve restituire il doppio di quella che ha
ricevuto (1386). Se il corrispettivo andrà versato al momento del recesso, si ha multa
penitenziale: il recesso ha effetto quando la prestazione del corrispettivo è eseguita (1373, c.3)
5. Tipologia di effetti. - La tipologia degli effetti particolari derivanti dal contratto è connaturata
alla varietà degli interessi realizzati. Secondo l’art. 1321 è possibile designare gli effetti prodotti dal
contratto come determinativi di vicende costitutive, modificative o estintive di rapporti giuridici a
contenuto patrimoniale. La norma ha riguardo anche alla regolazione di rapporti giuridici. È
consentito realizzare anche un effetto di mero accertamento di situazioni giuridiche esistenti.
Le delineate vicende, prodotte dal contratto, integrano i cd. effetti particolari del contratto espressivi
del regolamento contrattuale quale voluto dalle parti e integrato dall'ordinamento: sono connaturati
al risultato programmato dalle parti come effetti contrattuali. Ad esempio effetti particolari del
contratto di vendita sono il trasferimento del diritto e la costituzione di obbligazione per il
pagamento del prezzo. Gli effetti possono essere anche interni, nel senso di prodursi tra le sole parti
del contratto, si vedrà poi come sussistono ipotesi in cui è consentito all'autonomia privata di
produrre effetti contrattuali anche verso i terzi. Differenti sono i cd. effetti riflessi, che si realizzano
nei confronti dei terzi: tali effetti esprimono le ripercussioni in capo ai terzi della efficacia diretta
del contratto. Non sono effetti contrattuali, ma mere conseguenze degli stessi.
6. Effetti obbligatori e effetti reali. - Una rilevante distinzione degli effetti particolari è quella tra
effetti obbligatori e effetti reali. Prima di fissare le relative configurazioni giuridiche è bene cogliere
il fondamento materiale della dicotomia. Un esempio chiarisce il senso della distinzione. Ad
esempio avendo un soggetto una esigenza abitativa, può realizzare la stessa in un duplice modo,
prendendo un immobile in locazione cosicché il locatore è obbligato a far godere l'immobile al
locatario per un dato tempo e il locatario è obbligato a corrispondere un canone al locatore. Oppure
l'immobile può essere acquistato trasferendo la proprietà al compratore il quale è tenuto a
corrispondere il prezzo della vendita.
Nella prima ipotesi l'esigenza abitativa è realizzata immediatamente tramite la cooperazione del
locatore che si obbliga a far godere la cosa per un certo tempo, costituendo così un effetto
obbligatorio. Nell'ipotesi di vendita viene realizzato il trasferimento della proprietà realizzandosi
quindi un effetto reale. Distinguiamo quindi contratti con effetti obbligatori dai contratti con effetti
reali.
a) Gli effetti obbligatori producono la vicenda costitutiva di rapporti obbligatori: mirano perciò a
procurare una utilità ad una parte come risultato del comportamento dell'altra parte. Es. contratto
di locazione, trasporto, appalto, ecc. I contratti con efficacia obbligatoria producono soltanto
effetti obbligatori
b) Gli effetti reali (e dunque i contratti con efficacia reale) producono il trasferimento della
proprietà o di altro diritto ovvero la costituzione di un diritto reale per effetto del solo consenso.
Lo scopo programmato con il contratto è attuato in virtù del consenso legittimamente
manifestato, con il mutamento nella titolarità del diritto trasferito o la costituzione del diritto
reale (principio del cd. consenso traslativo). Si comprende come la nozione di contratti a effetti
reali, avendo riguarda all’efficacia del contratto, si distingue dalla nozione di contratti reali, che è
riferita alla conclusione del contratto. Alcuni di questi contratti sono rivolti al trasferimento di
una situazione giuridica, producendo la successione nella titolarità del diritto, che si perde
dall’originario titolare e si acquista dal nuovo (contratti derivativi-traslativi), come la vendita.
Altri di tali contratti sono diretti alla costituzione di diritti reali (cd. derivativo-costitutivi)
producendo l’attribuzione di una situazione reale di godimento su un bene che rimane di
proprietà altrui. Per entrambi i modelli la vicenda giuridica si realizza per l’effetto del consenso
delle parti legittimamente manifestato. C’è da rilevare che spesso agli effetti reali si
accompagnano e intrecciano anche effetti obbligatori: ad es. la vendita produce l’effetto tipico
del trasferimento del diritto dal venditore al compratore, ma comporta anche l’assunzione
dell’obbligazione di pagare il prezzo.
8. Contratti bilaterali e contratti unilaterali. - Secondo il codice del 1865, art. 1099 “il contratto
è bilaterale quando i contraenti si obbligano reciprocamente gli un verso gli altri, mentre è
unilaterale quando una parte si obbliga verso l’altra senza che quest’ultima incontri alcuna
obbligazione. La dicotomia è tuttora impiegata determinando non pochi equivoci. Con riguardo alla
conclusione del contratto, ogni contratto è bilaterale, per rappresentare l’accordo un requisito
essenziale del contratto. Dai contratti bilaterali derivano obbligazioni a carico di entrambe le parti,
esempio vendita, locazione, dai contratti unilaterali derivano obbligazioni a carico di una sola parte,
esempio fideiussione. Fattispecie da distinguere da i contratti unilaterali è il contratto
sinallagmatico. Si tratta di un contratto a prestazioni corrispettive in cui le parti si impegnano, l'una
nei confronti dell'altra. L'inadempimento di una delle parti comporta la possibilità per l'altra parte di
chiedere la risoluzione del contratto. Un classico caso di contratto sinallagmatico è il contratto di
compravendita nel quale una parte si obbliga a corrispondere una quantità di denaro solo quando
l'altra parte gli trasferisce la proprietà di un bene o di un diritto.
9. Effetti verso i terzi. Per l’art. 1372 c.c. comma 2, il contratto produce effetto rispetto ai terzi nei
casi previsti dalla legge.
Dobbiamo chiederci verso quali soggetti sono rivolti effetti del contratto; come prima risposta
possiamo pensare sicuramente alle parti che hanno stipulato l'atto, ma è anche vero che gli effetti
del contratto si riversano anche su coloro che subentrano nella posizione delle parti e cioè gli eredi e
gli aventi causa.
Gli eredi, come sappiamo, sono i continuatori della personalità del defunto e subentrano in tutta la
sua posizione patrimoniale;
Gli aventi causa sono coloro che derivano il loro diritto dal diritto di una delle parti, i successori a
titolo particolare. Il diritto dell'avente causa derivando da quello della parte, ne segue le vicende.
Al di fuori di questi soggetti abbiamo coloro che non sono toccati dalle vicende contrattuali: il
terzo, cioè colui che non è né parte, né erede o avete causa delle parti
Queste persone non sono quindi toccate dagli effetti del contratto, anche se si è soliti distinguere, in
merito agli effetti contrattuali, tra efficacia diretta e efficacia riflessa; la prima, che è tipica
contrattuale, tocca solo le parti, mentre l'efficacia riflessa si propaga come conseguenza indiretta
della prima, sui terzi.
Abbiamo quindi stabilito che il contratto ha efficacia solo tra le parti e che queste non possono
disporre della sfera giuridica di altri soggetti, i terzi, appunto. Questa ovvia affermazione sembra,
però essere contraddetta dallo stesso secondo comma dell'art. 1372 c.c. che permette in certi "casi
previsti dalle legge" l'effetto diretto del contratto anche sui terzi.
Dobbiamo chiederci, allora, quando è possibile che i terzi siano coinvolti in contratti altrui e perché;
Rispondendo alla seconda parte della domanda, osserviamo che quando il contratto ha effetti
favorevoli per il terzo, si permette che possa avere efficacia su di lui, a meno che il terzo non
intenda rifiutare il beneficio. Caso tipico è l'ipotesi prevista dall'art. 1411 del codice civile, il
contratto a favore del terzo, con tutte le sue derivazioni, come ad esempio l'accollo.
Al di fuori del beneficio del terzo, rientrano i casi in cui una parte s'impegna a coinvolgere nel
rapporto contrattuale un terzo; in tal caso abbiamo le ipotesi del contratto per persona da nominare
(art. 1401 c.c.) e della promessa del fatto di un terzo. Osserviamo, però, che questi due ultimi
contratti non rientrano nella previsione del secondo comma dell'art. 1372, perché qui non c'è alcun
effetto diretto sui terzi, né favorevole né sfavorevole; ce ne occupiamo, quindi, solo per comodità
espositiva.
10. Segue. Il contratto a favore di terzi. - Secondo l’art. 1411 c.c. è il contratto in cui due (o più
parti) si accordano affinché una di loro esegua una prestazione ad un terzo.
Nel contratto a favore del terzo abbiamo, quindi, tre soggetti fondamentali:
- lo stipulante, che è colui che designa il terzo come destinatario della prestazione; deve avere un
interesse, anche morale o affettivo, alla stipula del contratto;
- il promittente, è l'altra parte contrattuale che deve eseguire la prestazione al terzo;
- il terzo, beneficiario della prestazione, non è parte del contratto né lo diviene in seguito.
Come abbiamo già detto, questo contratto è una applicazione del principio contenuto nel secondo
comma dell'art. 1372 c.c.
La disciplina contenuta negli art. 1411 e seguenti, cerca di contemperare l'esigenza dello stipulante
ad attribuire il beneficio al terzo è quella del terzo a rifiutarla, se vuole.
Vediamo, quindi, cosa accade.
Posizione del terzo:
1) deve dichiarare di voler profittare della stipulazione fatta a suo favore, ma questa non è
accettazione del contratto di cui non è parte;
2) acquista il diritto alla prestazione da parte del promittente per effetto della stipulazione; in altre
parole il suo diritto non nasce dalla sua dichiarazione di voler profittare;
3) il terzo può anche rifiutare il beneficio, dichiarando di non voler profittare della stipulazione in
suo favore.
Passiamo, ora, alla posizione dello stipulante.
Il contratto a favore del terzo è una sorta di contratto base per una serie indefinita di contratti,
pensiamo ad esempio all'accollo e al contratto di assicurazione per conto altrui o di chi spetta ex art.
1891 c.c. che si ritiene rientrino nella figura del contratto a favore del terzo.
C) EFFICACIA RIFLESSA
12. I c.d. effetti riflessi o indiretti. - In conseguenza della stipulazione di un contratto e della
relativa efficacia possono determinarsi delle conseguenze indirette nei confronti dei terzi (c.d. effetti
riflessi) che non fanno parte dell’intento negoziale e dunque dallo scopo pratico perseguito dalle
parti. Sono le conseguenze che si determinano di rimbalzo ovvero in modo derivativo ogni volta che
si verifica un fatto giuridico. Gli effetti (favorevoli o dannosi) per il terzo non sono il risultato
perseguito dagli autori del contratto, ma rappresentano le ripercussioni del mutamento giuridico
operato dal contratto.
Sono ipotizzabili due categorie di effetti riflessi: effetti riflessi di fatto ed effetti riflessi di diritto.
L'effetto riflesso di fatto è una semplice conseguenza del mutamento dell'assetto giuridico
introdotto nella realtà è determinato dal perfezionamento di qualsiasi atto modificativo del mondo
giuridico.
Più articolata risulta invece essere l'efficacia riflessa di diritto. È riconducibile alla efficacia riflessa
di diritto la rilevanza esterna che attiene ai diritti, ai doveri, alle obbligazioni dei terzi.
Risulta essere quindi palese il vasto ambito di rilevanza degli effetti riflessi del contratto. Effetti che
non si esauriscono esclusivamente con la titolarità di diritti reali e nell'ambito contrattuale, ma
anche alle modalità di estinzione dell'obbligazione. Un esempio potrebbe essere fatto proprio in
merito alla remissione del debito. Essa quando effettuata produce un effetto liberatorio anche nei
confronti degli altri condebitori, a meno che il creditore, al momento della remissione, non abbia
riservato tale diritto di liberazione nei loro confronti.
13. Cessione del contratto e subcontratto. - Con queste due figure si realizzano peculiari intrecci
tra distinti rapporti contrattuali, sicché si pone il problema di verificare l’incidenza degli effetti del
singolo contratto sui rapporti derivanti da altro contratto: in sostanza le conseguenze che derivano
dalla stipulazione di un contratto sui rapporti di un diverso contratto.
a) Cessione del contratto. Con questo negozio una parte di un diverso contratto a prestazioni
corrispettive non ancora eseguite sostituisce un terzo a sé nei rapporti derivanti dal contratto e
sempre che l'altro contraente vi consenta (1406). Per comprendere meglio la cessione del contratto è
necessario puntualizzare le ipotesi in cui può verificarsi la cessione.
In primo luogo individuiamo gli attori della vicenda contrattuale.
- cedente, è colui che cede il contratto;
- cessionario, è la nuova parte contrattuale che sostituisce il cedente;
- ceduto è il contraente originario che non muta la sua posizione.
Stabiliti chi sono gli attori, passiamo ad esporre la trama.
Il cedente parte di un contratto, poniamo di assicurazione, è l'assicuratore. Ad un certo punto vuole
sostituire a sé nel contratto un altro assicuratore, il cessionario. Per far ciò si accorda con il nuovo
assicuratore e con l'assicurato, il contraente ceduto, per dar vita alla cessione.
Non sarebbe possibile, infatti, stipulare efficacemente una cessione del contratto senza il consenso
del contraente ceduto.
Nell'esempio fatto abbiamo supposto che la cessione del contratto sia contratto plurilaterale,
contratto, cioè, che vede la necessaria partecipazione dei tre soggetti coinvolti.
Va segnalata, però, la tesi di quegli autori che ritengono che la cessione del contratto possa
realizzarsi anche tra i soli cedente e cessionario, mentre il contraente ceduto può approvare la
stipulazione già effettuata.
Una ulteriore tesi importante è quella che vede la cessione del contratto come combinazione della
cessione dei crediti e dell'accollo di debiti.
In tal caso il consenso del contraente ceduto non sarebbe essenziale al contratto, perché, in
mancanza, vi sarebbe una cessione dei crediti contrattuali accompagnato dall'accollo interno dei
debiti.
Vediamo come il codice regola i vari aspetti del contratto.
- Contratti di cui possibile la cessione: sono quelli a prestazioni corrispettive quando le prestazioni
non siano state ancora eseguite.
- Rapporti tra cedente e ceduto: il cedente è liberato dalle sue obbligazioni verso il ceduto e non è
responsabile dell'inadempimento del cessionario, a meno che il ceduto dichiari espressamente di
non volerlo liberare. In questo caso il cedente risponderà dell'inadempimento del cessionario (art.
1408 c.c.).
- Rapporti tra ceduto e cessionario: il contraente ceduto può opporre al cessionario ceduto solo le
eccezioni derivanti dal contratto originario, ma non quelle derivanti da altri rapporti con il
cedente, a meno che non se ne sia riservato il diritto al momento della sostituzione (art. 1409
c.c.).
- Rapporti tra cedente e cessionario: il cedente deve garantire al cessionario la validità del contratto
originario, ma non l'adempimento del contraente ceduto; nel caso in cui, però, si assuma anche
questa garanzia, risponderà dell'adempimento come un fideiussore (art. 1410 c.c.).
Assume ancora un ruolo fondamentale il prezzo della cessione del contratto. Il prezzo può essere
pagato dal cessionario al cedente se l'affare risulta diventato maggiormente conveniente per il
cedente, oppure dal cedente al cessionario se l'affare si rileva non più vantaggioso per il cedente,
anche un terzo potrebbe essere disposto a pagare un prezzo della cessione pur di procurarsi la
posizione contrattuale del cedente e perciò il bene dedotto nel contratto ceduto.
Non è richiesta una forma espressa come requisito di validità del contratto, ma se la cessione
contrattuale implica la circolazione di un diritto è richiesta la forma solenne. Esempio trasferimento
della proprietà o altra situazione reale su beni immobili.
15. Promessa di comportamento del terzo e disposizione di beni altrui. - Esistono ipotesi in cui
il contratto riguarda il terzo, non in via immediata come effetto diretto, esempio il contratto a favore
di un terzo, e neppure di rimbalzo, (esempio la vendita dell'immobile locato fa subentrare
l'acquirente nel contratto di locazione del terzo locatario), ma solo in modo potenziale in ragione di
atti che indirettamente lo riguardano o perché è promesso un suo comportamento o perché si è
disposto del suo patrimonio: in entrambe le ipotesi è richiesto l’assenso del terzo.
a) Promessa dell'obbligazione o del fatto del terzo. Per l'art. 1381 chi ha promesso l'obbligazione o
il fatto di un terzo è tenuto ad indennizzare l'altro contraente se il terzo non si obbliga o non
compie il fatto promesso. Con tale contratto è promesso un obbligo di comportamento del terzo,
la cui assunzione evidentemente non può avvenire senza il consenso del terzo che vi sarebbe
tenuto. (Si pensi alla vendita dell'immobile locato con la promessa di liberazione dell'immobile
da parte del locatario entro una determinata data). Il contratto ha solo effetto tra le parti
vincolando il promittente al promissario. La giurisprudenza ha ricostruito l'impegno del
promittente come obbligazione di facere consistente nell'adoperarsi affinché il terzo tenga il
comportamento promesso per soddisfare il promissario. Il mancato comportamento del terzo
comporta l'obbligo del promittente di indennizzare il promissario. Se però il promittente è
inadempiente alla promessa, poiché nulla fa perché si realizzi il fatto del terzo o addirittura
concorra perché non si verifichi consegue il comune obbligo di risarcimento del danno da
inadempimento. Bisogna comunque verificare se il comportamento del terzo fosse dedotto in
condizione del contratto. La promessa può essere assunta per negozio unilaterale o per contratto.
Il fatto può consistere nell'assunzione di una obbligazione o nel compimento di un atto giuridico.
Se consiste in una obbligazione, intervenuta l'assunzione della stessa da parte del terzo, il
promittente non è garante dell'esecuzione della prestazione dovuta dal terzo. Affinché la
promessa di obbligazione del terzo sia valida è necessario che la prestazione abbia i requisiti di
determinatezza, possibilità e liceità. Diverso è il caso in cui il terzo sia già obbligato verso il
promissario, in tal modo l'obbligazione del promittente si atteggia come garanzia fideiussoria o
come assunzione del debito altrui.
b) Negozi sul patrimonio altrui. Principio logico dovrebbe essere che nessuno può disporre di beni
di proprietà altrui. Per il cod. Civ. del 1865, orientato alla difesa della proprietà, la vendita di
cosa altrui era nulla. Ma esigenze legate al funzionamento del mercato hanno spinto il cod. Civ.
del 1942 a considerare la vendita di cosa altrui un contratto valido. Per l'art. 1478 dalla vendita di
cosa altrui deriva l'obbligazione del venditore di procurare l'acquisto della cosa al compratore, il
quale diventa automaticamente proprietario nel momento in cui il venditore acquista la proprietà
dal terzo. Il trasferimento di diritto al compratore si produce senza necessità di un nuovo atto
dispositivo in suo favore. È invece dibattito se la donazione di cosa altrui sia nulla o solo
inefficace.
16. Il conflitto di diritti. L’opponibilità. - Uno specifico angolo di osservazione degli effetti del
contratto nei rapporto con i terzi, è quello del conflitto tra diritti incompatibili. Si pensi all'ipotesi
che un soggetto alieni un suo bene prima ad un acquirente e successivamente ad un diverso
acquirente. Il secondo acquisto è incompatibile con il primo. In entrambi i casi gli aquirenti vantano
un titolo di acquisto a proprio favore. C'è dunque incompatibilità di diritti derivante da
incompatibilità di titoli acquisitivi. Un generale criterio logico dovrebbe condurre a preferire il
soggetto che prima ha acquistato il diritto e che dunque ha per primo concluso il contratto. Il titolare
di un diritto, alienato lo stesso, non potrebbe di nuovo alienare il medesimo diritto a un diverso
soggetto, per non esserne più titolare. Ma sono molte le deroghe legali a tale principio in ragione di
più esigenze legate al funzionamento del mercato e allo sviluppo economico. In ragione di ciò può
avvenire che un contratto, pur validamente concluso ed efficace tra le parti, sia considerato
inefficace nei confronti di determinati terzi. Il fenomeno è indicato con il termine inopponibilità del
contratto ai terzi. Il conflitto è risolto rendendo uno dei contratti inefficace nei riguardi di un
determinato avente causa o verso determinati terzi che vantino una situazione giuridica
incompatibile con gli effetti del contratto.
Analizziamo ora vari casi.
a) Tra più aventi causa di diritti reali su immobili, o mobili registrati, da un medesimo autore, il
conflitto è risolto mediante la pubblicità e in modo particolare attraverso le regole della
trascrizione nei registri immobiliari, per cui gli atti dispositivi di immobili e mobili registrati non
hanno effetto riguardo ai terzi che hanno acquistato diritti su tali beni in base ad un atto trascritto
o iscritto anteriormente alla trascrizione degli atti medesimi.
b) Tra più aventi causa di diritti reali su beni mobili non registrati, quello tra essi che ne ha
acquistato in buona fede il possesso è preferito agli altri anche se il suo titolo è di data posteriore.
c) Tra più aventi causa di diritti personali di godimento relativi alla stessa cosa, il godimento spetta
al contraente che per primo lo ha eseguito. Se nessuno dei contraenti ha eseguito il godimento è
preferito quello che ha il titolo di data certa anteriore.
d) tra più aventi causa del diritto di credito, prevale la cessione notificata per prima al debitore o
quella che è stata accettata per prima dal debitore con atto di data certa.
L'autore di più atti dispositivi, cioè chi aliena uno stesso diritto prima ad un soggetto e poi ad un
terzo, risponde verso il primo avente causa per inadempimento del contratto ed è dunque tenuto al
risarcimento del danno. Anche il secondo avente causa è tenuto al risarcimento del danno se in mala
fede.
CAPITOLO 7
ESECUZIONE
2. Modalità dell’esecuzione. - Per cogliere la dinamica della esecuzione del contratto bisogna
avere riguardo alle modalità di esecuzione delle singole attribuzioni delle parti, espressamente
programmate o dovute per legge:
a) Con riguardo al comportamento attuativo della esecuzione, si distingue tra contratti ad
esecuzione istantanea (o unica) e contratti a esecuzione di durata, a seconda che il
comportamento dovuto, satisfattivo della controparte, si esaurisca in un solo atto o si svolga
attraverso un contegno che si protrae nel tempo. Si ha esecuzione istantanea unica quando
l'esecuzione si esaurisce in un solo momento. Si ha esecuzione di durata quando una parte è
obbligata a compiere un determinato comportamento che dura nel tempo con soddisfacimento
duraturo dell'interesse della contro parte. (Esempi sono contratti di locazione, e
somministrazione). A sua volta l'esecuzione di durata può atteggiarsi in un duplice modo quale
esecuzione continuata se prosegue ininterrottamente nel tempo (esempio è l'obbligazione del
locatore di mantenere la cosa locata nello stato da servire all'uso convenuto), oppure come
esecuzione periodica se si svolge in periodo ciclici (esempio. Erogazione di servizi da ripetersi in
determinati periodi dell'anno). Con riguardo ai contratti di durata, svolgendo prestazioni nel
tempo, con correlato soddisfacimento del destinatario, operano alcune significative regole che
mirano a non far risentire gli effetti dello scioglimento del contratto rispetto alle prestazioni già
eseguite o in corso di esecuzione. La inefficacia del contratto a seguito di recesso, di risoluzione,
di avveramento della condizione non travolge le prestazioni già eseguite.
b) Con riguardo al tempo di attuazione della esecuzione, è possibile distinguere tra contratti ad
esecuzione immediata ( l’esecuzione è contestuale alla conclusione del contratto, anzi sinergica)
e contratti ad esecuzione differita (l’esecuzione è successiva alla conclusione del contratto,
implicando un comportamento posteriore che attua il risultato programmato). L’esecuzione
differita indica il termine di esigibilità della prestazione.
Ad esempio in un contratto di vendita di una cosa determinata, si stabilisce che la consegna e il
pagamento del prezzo avverranno a 90 giorni dalla conclusione del contratto.
1. Rapporto gestorio e potere rappresentativo. - Non è sempre possibile curare direttamente tutti
i propri interessi, talvolta è sufficiente avvalersi di mere collaborazioni tecniche, talaltra si rende
indispensabile farsi sostituire da altri soggetti. Esiste così il fenomeno della sostituzione nell'attività
giuridica, il soggetto che agisce giuridicamente (sostituto o gestore) realizza un interesse non
proprio ma di altro soggetto (cd. sostituto o gerito). Non per tutti gli atti è consentita la sostituzione
(es. personalissimi). Tratto comune della sostituzione nell’attività giuridica altrui è la gestione
dell’interesse altrui, che ne incarna il profilo sostanziale (cd. rapporto gestorio). Tale attività può
essere svolta quale funzione, in ottemperanza di un obbligo di legge (es. potestà genitoriale) o in
attuazione di un incarico o per iniziativa del gestore stesso. Al dato di carattere sostanziale di cura
dell'interesse altrui, se ne accompagna un altro, di carattere formale, costituito da un potere del
gestore di incidere senz’altro la sfera giuridica del soggetto interessato, riversando nella sfera altrui
gli effetti degli atti compiuti: è questo il fenomeno della rappresentanza in senso tecnico, con il
quale ad un soggetto è conferito il potere rappresentativo di altro soggetto. Quanto alla fonte del
potere di rappresentanza lo stesso può essere conferito dalla legge (rappresentanza legale) ovvero
dall’interessato (rappresentanza volontaria, procura) (1387).
A) RAPPRESENTANZA
4. Il negozio concluso dal rappresentante. - Come ogni negozio, anche quello concluso dal
rappresentante deve avere i requisiti previsti dalla legge per la validità dei contratti, sia con riguardo
alla formazione del negozio e quindi alla conclusione del contratto, sia con riferimento al contenuto
del negozio stesso (1325 ss). Per la verifica di validità del contratto bisogna verificare come la legge
imputa ai due soggetti i requisiti soggettivi di validità del negozio concluso e la rilevanza che
attribuisce agli apporti dei due soggetti.
a) Relativamente alla capacità, è sufficiente che il rappresentate abbia la capacità di intendere e di
volere, avuto riguardo alla natura e al contenuto del contratto concluso. Non si richiede, nel
rappresentante, la capacità legale di agire, ma solo la capacità naturale. Il rappresentato deve
invece avere necessariamente la capacità legale di agire per valutare l'affare da concludere e
l'operato del rappresentante. Per la validità del contratto è necessario inoltre che il negozio
concluso non sia vietato al rappresentato. Il rappresentante deve cioè avere la capacità giuridica
relativa ai singoli rapporti.
b) Con riguardo ai vizi della volontà, si è anticipato che la legge riferisce al rappresentante la
elaborazione della volontà negoziale: per l’art. 1390 il contratto è annullabile se è viziata la
volontà del rappresentante. Quando il vizio riguarda elementi predeterminati dal rappresentato, il
contratto è annullabile se era viziata la volontà di questo (1390).
c) Circa gli stati soggettivi rilevanti, si ripropone la medesima imputazione dei vizi della volontà.
Per l’art. 1392, quando rileva lo stato di buona o di mala fede, di scienza o d’ignoranza di
determinate circostanze, si deve avere riguardo alla persona del rappresentante.
In nessun caso il rappresentato che è in mala fede può giovarsi dello stato d’ignoranza o di buona
fede del rappresentato (1391).
5. L’abuso di potere (conflitto di interessi). - Verifichiamo le anomalie sui vari profili - sostanziale
e formale- della rappresentanza.
Può avvenire che il rappresentante non persegua (come dovuto) gli interessi del rappresentato ma
quelli propri o di terzi, versando in conflitto di interessi con il rappresentato. Il rappresentante, cioè,
abusa del potere rappresentativo conferitogli, realizzando un risultano non utile o addirittura
dannoso al rappresentato. E’ sufficiente la potenzialità del conflitto di interessi anche se non è
ancora attuale il sacrificio dell’interesse del rappresentato: ciò che rileva è che il rappresentate
persegua interessi incompatibili con quelli del rappresentato. Per l’art. 1394 il contratto concluso
dal rappresentante in conflitto di interessi col rappresentato è annullabile su domanda del
rappresentato, se il conflitto era conosciuto o riconoscibile dal terzo contraente. La legge sacrifica
l’interesse del rappresentato alla inefficacia del contratto rispetto all’opposto interesse del terzo
contraente in buona fede alle efficacia del contratto. Il contratto quindi è annullabile se e solo se il
conflitto è conosciuto o conoscibile dal terzo: applicazione del principio generale di tutela
dell’affidamento. La legge tipizza un’ipotesi di conflitto di interessi nel c.d. contratto con se stesso,
quando cioè il rappresentate riunisce nella sua persona le posizione di entrambe le parti del
contratto che deve concludere, così sintetizzando la duplicità dei centri di interessi. Es. il
rappresentante del venditore si rende acquirente del bene da vendere. Il fatto in se di riunire
entrambe le posizioni contrattuali fa presumere l'esistenza di un conflitto di interessi. È perciò di
regola annullabile il contratto che il rappresentante conclude con se stesso, o come rappresentante di
un'altra parte. La medesima norma però contiene deroghe alla generale previsione dell'annullabilità
riconoscendo la eccezionale validità del contratto con se stesso quando ricorra una delle due
seguenti ipotesi: il rappresentato abbia autorizzato specificamente il rappresentate di tale contratto;
il contenuto del contratto sia predeterminato da rappresentato in modo da escludere la possibilità del
conflitto di interessi. Esempio è il commesso che in un negozio che vende a prezzi fissi, acquista un
bene secondo le condizioni di vendita fissate dal venditore.
6. Il difetto di potere (rappresentanza senza potere). - Con riguardo al versante (formale) della
spendita del nome altrui (contemplatio domini), affiora la situazione del difetto di potere
rappresentativo. Può avvenire cioè che un soggetto spenda il nome altrui, mancando del tutto di
potere rappresentativo (assenza di potere) o esorbitando dal potere conferitogli (eccesso di poteri).
In entrambe le ipotesi si ha rappresentanza senza potere in quanto chi si presenta al terzo come
rappresentante è in difetto di potere e dunque è un falso rappresentate (falsus procurator). Emergono
tre dimensioni di osservazione: la sorte del contratto concluso dal falso rappresentante; la posizione
del terzo che ha agito con il falso rappresentante; la posizione del rappresentato per illegittima
spendita del suo nome.
a) Quanto alla sorte del contratto, per regola generale, il contratto concluso dal rappresentante in
nome e nell’interesse del rappresentato produce effetti nei confronti del rappresentato nei limiti
delle facoltà conferitegli (1388).; pertanto chi agisce privo di poteri rappresentativi pone in
essere un contratto non efficace per il rappresentato (1398); il contratto stipulato dal falso
rappresentante è sempre inefficace, non potendosi riferire né al rappresentato né al
rappresentante.
b) La posizione del terzo rimane evidentemente danneggiata dalla inefficacia del contratto. Perciò,
per l’art.1398, chi ha contrattato come rappresentante senza averne i poteri o eccedendo i limiti
delle facoltà conferitegli è responsabili del danno che il terzo contraente ha sofferto per avere
confidato senza sua colpa nella validità del contratto. Il risarcimento dovuto dal falso
rappresentante al terzo comprende solo l’interesse negativo, ossia il rimborso delle spese
sostenute e il ristoro per le eventuali occasione perdute e per l’attività svolta per la trattative.
(non comprende dunque il cd. interesse positivo, cioè il risultato ricavabile dall’adempimento).
c) Per quanto riguarda la posizione del rappresentato, questo non può essere obbligato ad osservare
il contratto concluso dal falso rappresentante, ma potrebbe comunque essere interessato a questo
nel caso in cui il contratto sia conveniente. In tal modo è consentito al rappresentato di far
proprio il contratto concluso dal falso rappresentate attraverso la ratifica. La ratifica è un negozio
unilaterale con il quale il rappresentato fa propri gli effetti del contratto stipulati dal falso
rappresentate. Con la ratifica è come se il falso rappresentate avesse avuto sia da subito la
procura. La ratifica può essere espressa o tacita ed è prevista una forma solenne se il negozio da
ratificare abbia ad oggetto la vendita di un immobile o di mobili registrati.
B) ALTRE FIGURE
8. Il contratto per persona da nominare. - È un contratto in cui una parte può riservarsi la facoltà
di nominare, entro 3 giorni dalla stipula o in diverso termine accordato, la persona che acquisterà i
diritti e gli obblighi nascenti dal contratto. La dichiarazione di nomina non ha effetto se non
accompagnata dall'accettazione della persona nominata o se non esiste una procura anteriore al
contratto. Se la dichiarazione di nomina è valida la persona nominata diviene parte sin dal momento
della stipula del contratto. Se la nomina non è fatta validamente nei termini indicati, il contratto non
è nullo e nemmeno inefficace, ma produce i suoi effetti tra i contraenti originari. La persona
nominata assume la qualifica di parte contraente. Gli effetti si producono tra controparte e persona
nominata la quale acquista diritti e assume obblighi derivanti dal contratto con effetto dal momento
della stipula del contratto. Il contratto per persona da nominare realizza una sostituzione nella
posizione giuridica del contraente che si riserva la nomina del terzo. Si discosta però dalla
rappresentanza diretta in quanto non è speso il nome altrui, che è anzi tenuto segreto. Si discosta
anche dalla rappresentanza indiretta in quanto il contraente che designa il terzo non è obbligato a
concludere un nuovo contratto per ritrasferire gli effetti, producendosi gli effetti senz’altro in capo
alla persona nominata. Si distingue anche dal contratto a favore del terzo; nel primo, la nomina del
terzo è solo eventuale, con la conseguenza che in caso di mancata nomina il contratto produce
effetti tra i contraenti originari; nel secondo la figura del terzo deve essere necessariamente prevista
nel contratto, e il terzo deve essere determinato o determinabile.
9. Il contratto per conto di chi spetta. - L’ipotesi corre quando c’è l’esigenza di regolare uno
specifico interesse, ma non è ancora determinato il titolare dell’interesse stesso. Ad esempio in tema
di vendita di cose mobili in caso di divergenza sulla qualità o condizione della cosa, il venditore o il
compratore possono chiederne la verifica giudiziale. Il giudice quindi su istanza della parte
interessata può ordinarne il deposito, il sequestro o la vendita per conto di chi spetta
determinandone le condizioni. Analogamente in tema di trasporto se sorge controversia tra più
destinatari circa il diritto alla riconsegna o circa l'esecuzione di questa, o se il destinatario ritarda a
ricevere le cose trasportate, il vettore può depositarle in un locale di pubblico deposito. Il contratto
per conto di chi spetta è caratterizzato dalla incertezza circa il destinatario degli effetti del contratto:
c’è l’esigenza di stipulare il contratto nell’attesa di definire, sulla base di circostanze oggettive, la
ricerca del destinatario degli effetti e cioè del risultato programmato con il contratto.
Anche il contratto per conto di chi spetta realizza una sostituzione, anche se non può parlarsi di
rappresentanza per due motivi: non c'è spendita di nome altrui, essendo anzi incerto il destinatario
degli effetti del contratto; non c'è gestione di un interesse determinato perché la individuazione del
destinatario è legata ad un evento oggettivamente incerto e successivo.
CAPITOLO 9
ANOMALIE GENETICHE
(Difetti della formazione)
2. Irregolarità e inefficacia del contratto. - Nei capitoli precedenti abbiano analizzato le varie
anomalie dell’atto, rispetto ai singoli elementi costitutivi richiesti dall’ordinamento (1325 ss).
Esaminiamo ora le conseguenze giuridiche previste dalla legge per quella che può essere indicata in
generale come contrarietà dell’atto all’ordinamento (cioè la sua illegalità). Tal disciplina generale
non esaurisce l’area delle anomalie del contratto.
E’ da ribadire che l’atto di autonomia privata è soggetto alla valutazione dell’ordinamento, che vi
connette gli effetti giuridici: in presenza di una valutazione positiva, conseguono effetti
tendenzialmente conformi allo scopo perseguito dai privati, con le eventuali integrazioni dianzi
accennate; a fronte di una valutazione negativa, le reazioni dell’ordinamento sono orientate in due
fondamentali direzioni: contro i soggetti e/o contro l’atto o anche in entrambe le direzioni.
a) La reazione contro i soggetti comporta la comminatoria di multe e pene contro gli autori
dell’atto. Se la reazione si esaurisce in tale direzione senza incidere sulla sorte dell’atto c’è mera
irregolarità del negozio, che produce normalmente i suoi effetti, Es. evasione di imposte di bollo.
b) La reazione contro l’atto incide sulla efficacia dell’atto, privando l’atto senz’altro degli effetti o
connettendovi effetti precari in quanto destinati alla caducazione. Tale tipo di reazione comporta
la inefficacia del negozio (privazione di effetti).
Sono varie le ipotesi di contrarietà dell’atto all’ordinamento dalle quali deriva la inefficacia del
contratto. Tali anomalie possono ricondursi a due generali categorie giuridiche, a seconda che
l’anomalia inerisca alla conclusione o all’esecuzione del contratto: nella prima direzione operano la
invalidità, nelle due specie della nullità e annullabilità e la rescissione; nella seconda direzione
operano la risoluzione e l’autotutela.
Su un diverso piano si colloca la manovra volontaria degli effetti del contratto che da luogo alla
inefficacia in senso stretto. Comune conseguenza a tutte le ipotesi di inefficacia del contratto è la
ripetibilità delle attribuzione eseguite (indebito oggettivo, 2033), in quanto, con la inefficacia
dell’atto, le attribuzioni sono prive di causa giustificativa e vanno dunque restituite.
3. Inesistenza e invalidità. - Con l'invalidità l'atto non risulta essere idoneo a perseguire scopi
meritevoli di riconoscimento e di tutela. Il codice disciplina due ipotesi di invalidità negoziale: la
nullità e l'annullabilità. Accanto alla categoria dell'invalidità si colloca la fattispecie relativa
all'inesistenza priva di un riferimento normativo e ignota al codice civile. L'inesistenza si configura
quando le anomalie del negozio assumono una dimensione tale, sotto il profilo strutturale e
funzionale, da far ritenere la fattispecie neppure esistente per l'ordinamento giuridico. La categoria
dell'inesistenza tende a confondersi con quella della nullità. La dottrina e la giurisprudenza tendono
a distinguere le due categorie. In tal senso una fattispecie è giuridicamente rilevante quando viene
così qualificata dall'ordinamento indipendentemente dalla produzione di effetti giuridici. La
qualificazione di un operazione economica come inesistente preclude a monte la possibilità di
considerarla corrispondente ad un determinato regolamento di interessi meritevoli di tutela proprio
perché inesistenti. Il contratto nullo, benché viziato, presenta almeno una impalcatura esterna di un
negozio giuridico ed in ogni caso suscita interesse nell'ordinamento, che nel qualificarlo
negativamente presuppone la sua rilevanza giuridica.
L’invalidità opera con riferimento a contratti esistenti e cioè socialmente identificati come atti di
autonomia privata, ma difformi all’ordinamento giuridico. L’atto, benché in grado di operare nella
realtà sociale, è valutato negativamente dall’ordinamento per contrarietà ai “valori” fondanti o
anche solo a specifiche regole organizzative.
Le cause di invalidità attengono, da un lato, a vizi di forma dell’atto e cioè con riferimento
all’attività rappresentativa e al documento; dall’altro, a vizi di sostanza dell’atto e cioè con riguardo
al contenuto dell’atto e al contesto in cui è maturato oltre he alla persona degli autori.
La invalidità si articola in due specie: la nullità e l’annullabilità.
La nullità determina l’inefficacia originaria e automatica del negozio; l’annullabilità comporta la
precarietà degli effetti dell’atto, che possono essere caducati dall’autorità giudiziaria. La
comminatoria dell’una o dell’altra specie di invalidità è in ragione di due fondamentali criteri: il
tipo di illegalità, e perciò la natura degli interessi coinvolti e lesi; l’impatto sociale dell’atto, e
dunque l’affidamento che lo stesso è in grado di suscitare e in realtà determina.
A) NULLITÀ
La nullità può colpire l'intero negozio o una sua parte oppure, ancora, singole clausole. Si parla in
tutti questi casi di:
- nullità totale: quando investe l'intero negozio.
- nullità parziale: quando investe parti o clausole del negozio. In questo caso il negozio è nullo solo
se i contraenti non l'avrebbero concluso senza quella parte o clausola colpita da nullità (art. 1419
c.c.) E’ la parte che invoca la nullità totale a dovere fornire la prova della estensione della nullità
parziale all’intero contratto.
Non si verifica la nullità quando le singole clausole nulle sono sostituite di diritto da norme
imperative.
Per stabilire quando la nullità di singole clausole (o parti del) negozio comporti la nullità dell'intero
negozio sarà quindi necessario andare a ricercare l'intenzione delle parti, l'intenzione comune nel
caso di contratti. Tale intenzione sarà desunta dal loro comportamento e non certo da sottili indagini
psicologiche; in altre parole bisognerà verificare se dal contegno delle parti sarà oggettivamente
possibile risalire alla loro intenzione secondo i principi della buona fede e dell'affidamento.
Precisiamo, ancora, che nel caso in cui vi sia nullità parziale, comunque residuerà un negozio
giuridico perfetto del tipo voluto dalle parti, e non un altro tipo di negozio come invece accade
nell'ipotesi apparentemente simile relativa alla conversione del negozio nullo.
L’azione di nullità è l'azione con cui si intende far dichiarare dal giudice la nullità di un negozio
giuridico. All'azione di nullità sono dedicate due norme del codice civile: l'art. 1421 in tema di
legittimità dell'azione di nullità e il 1422 che dispone l'imprescrittibilità dell'azione.
Innanzitutto l'azione di nullità ha natura di accertamento e la sentenza che la definisce ha natura
dichiarativa.
Analizziamo ciò che si desume dagli articoli.
- Legittimazione all'azione di nullità: la nullità può essere fatta valere da chiunque vi abbia
interesse, e cioè sia dalle parti e sia dai terzi. Vi sono inoltre ipotesi in cui la legittimazione ad
agire per far dichiarare la nullità del contratto è stabilita esclusivamente in favore di determinati
soggetti (di solito si tratta di una parte del contratto). In tal modo si verifica la cosiddetta nullità
relativa.
- Rilevabilità d'ufficio della nullità: la nullità del negozio giuridico può esser fatta valere in
giudizio non solo dalle parti ma anche dal giudice anche se non vi sia stata specifica richiesta
proveniente da una delle parti.
- L'art. 1422 stabilisce che l'azione di nullità sia imprescrittibile, salvi gli effetti della usucapione e
della prescrizione delle azioni di ripetizione.
Si è arrivati ad utilizzare la nullità per sanzionare così l'inosservanza di molti obblighi imposti
durante la formazione del contratto.
Molto spesso così le due tecniche sanzionatorie si sovrappongono operando insieme e
contemporaneamente. Entrambe tendono ad attribuire alla nullità la funzione di protezione di
interessi qualificati. Perciò tali nullità si qualificano come relativa per poter essere rilevate dal solo
soggetto appartenente alla categoria nel cui interesse sono previste, oltre che dal giudice. Ad
esempio in tema di contratti dei consumatori, la nullità delle clausole vessatorie opera solo a
vantaggio dei consumatori e può essere rilevata d'ufficio dal giudice. Tali nullità sono di regola
insanabili e parziali.
b) Nullità parziale. La nullità può colpire l'intero negozio o una sua parte oppure, ancora, singole
clausole. Si parla in tutti questi casi di:
- nullità totale: quando investe l'intero negozio.
- nullità parziale: quando investe parti o clausole del negozio. In questo caso il negozio è
nullo solo se i contraenti non l'avrebbero concluso senza quella parte o clausola colpita da
nullità (art. 1419 c.c.) E’ la parte che invoca la nullità totale a dovere fornire la prova della
estensione della nullità parziale all’intero contratto.
Non si verifica la nullità quando le singole clausole nulle sono sostituite di diritto da norme
imperative.
c) Contratto plurilaterale. Per l’art. 1420, nei contratti con più di due parti, in cui le prestazioni di
ciascuna sono dirette al conseguimento di uno scopo comune, la nullità che colpisce il vincolo di
una sola delle parti non importa nullità del contratto, salvo che la partecipazione di essa debba,
secondo le circostanze, considerarsi essenziale. È questa una regola fondamentale dei contratti
con comunione di scopo;(società, consorzi, ecc.). Bisogna verificare se la liberazione di una
singola parte consenta al contratto di attuare egualmente lo scopo comune programmato.
d) Sanatoria. Il negozio nullo non può essere sanato attraverso un negozio di convalida tranne che
la legge non disponga diversamente.
B) ANNULLABILITÀ
10. Conservazione del negozio annullabile. - Come per il contratto nullo, anche per il contratto
annullabile operano strumenti di conservazione dell’attività negoziale. A differenza della nullità, la
conservazione riguarda lo stesso negozio annullabile nella sua interezza.
a) Convalida. È un negozio giuridico con il quale la parte legittimata a chiedere l'annullamento del
contratto vi rinuncia pur essendo consapevole del vizio che è causa di annullabilità.
Abbiamo già osservato che l'annullabilità è posta principalmente per la tutela di interessi
particolari di un soggetto. A lui infatti spetta agire per l'annullamento del contratto oppure
rimanere inerte sanando così vizio.
La sanatoria può avvenire, però, anche attraverso un mezzo specifico, la convalida (art. 1444
c.c.).
Attraverso la convalida, infatti, il contraente cui spetta l'azione annullamento può porre in essere
un nuovo negozio attraverso il quale dichiari di voler convalidare il negozio annullabile.
In questo caso si parla di convalida espressa poiché c'è stata una specifica attività volta a
manifestare la volontà di convalidare; per la validità del negozio di convalida sarà anche
necessario che sia indicato il vizio che inficia il negozio annullabile; la ragione di ciò è intuitiva.
Come farebbe, ad esempio, il raggirato a convalidare il negozio se non si sia ancora reso conto di
essere stato raggirato?
La convalida, oltre che espressa può essere anche tacita.
Questa si verifica quando il contraente cui spetta l'azione annullamento ha volontariamente dato
esecuzione al negozio pur conoscendo il motivo di annullabilità.
La sola esecuzione, anche parziale, del contratto accompagnata dalla consapevolezza
dell'esistenza del vizio potrà esser considerata come convalida tacita; altri comportamenti, come
ad esempio la promessa di eseguire la prestazione, non costituiranno convalida tacita.
In ogni caso essendo la convalida un negozio giuridico dovrà essere posta in essere solo da chi è
in condizione di concludere validamente il negozio di cui si tratta. Il minore, quindi, non
potrebbe convalidare un negozio annullabile propria a causa della sua minore età.
C) RESCISSIONE
Pensiamo al caso in cui una madre vede rischiare di annegare suo figlio e non è in grado di
prestargli soccorso; in tale situazione potrebbe promettere una grossa somma di denaro a chi lo
porterà in salvo. Pensiamo ancora all'ipotesi di chi trovandosi in stato di bisogno venda un bene
prezioso al di sotto della metà del suo valore.
Entrambi i contratti sono stati conclusi sotto la spinta di situazioni particolari, ben note a tutti i
contraenti, situazioni che hanno cagionato una particolare iniquità nelle condizioni negoziali.
Proprio per permettere un riequilibrio delle condizioni negoziali, il legislatore ha concesso l'azione
di rescissione, lasciando la scelta alla parte svantaggiata se mantenere in vita il contratto oppure
rescinderlo, facendone cessare l'efficacia.
La figura della rescissione è tradizionalmente inquadrata tra le cause di invalidità del contratto,
anche se una autorevole dottrina la intende, piuttosto, come rimedio contro l'iniquità di un contratto
di per sé perfetto.
12. Le specie di rescissione. - Prevista in via generale dal codice civile (artt. 1447 e 1448) se ne
distinguono due ipotesi.
a) Rescissione del contratto in stato di pericolo. (nel caso, ad esempio , del genitore che promette
una grossa ricompensa a chi salverà il figlio che sta per annegare) condizioni per l’azione.
1. stato di pericolo attuale: il pericolo deve riguardare esclusivamente un danno grave
alla persona che può essere sia lo stesso contraente sia altra persona. Il pericolo deve
essere in atto al momento della stipulazione del contratto.
2. iniquità delle condizioni contrattuali: lo stato di pericolo deve aver determinato il
contraente a stipulare il contratto a condizioni inique.
3. conoscenza dello stato di pericolo: la parte avvantaggiata deve essere a conoscenza del
fatto che il contratto è stato concluso sotto la spinta dello stato di pericolo.
In caso di rescissione il giudice potrà assegnare un equo compenso all'altra parte per l'opera
prestata.
b) Rescissione contratto per lesione (è l'ipotesi di chi spinto da uno stato di bisogno venda un bene
al di sotto della metà del suo valore). Condizioni per l’azione:
- lesione ultra dimidium: la sproporzione tra due prestazioni dev'essere tale entità che
l'una valga più del doppio dell'altra ( ad esempio vendo un bene che vale 100 a 49 );
- stato di bisogno: può essere inteso come vera e propria indigenza, ma si riscontra anche
quando vi siano delle difficoltà economiche, seppure di natura transitoria, che però
rivestano una notevole importanza per il contraente;
- approfittamento dello stato di bisogno: l'altra parte deve essere conoscenza dello stato
di bisogno e se ne è servito per trarne vantaggio.
13. Rescissione ed usura. - Passiamo ora a un delicato argomento, sempre relativo alla rescissione,
e cioè il rapporto tra rescissione e usura.
Questa è prevista dall'art. 644 c.p. che ha assorbito l'ipotesi dell'abrogato articolo 644 bis c.p.
relativo all'usura impropria.
In ogni caso il nuovo articolo 644 prevede il caso di chi si fa dare o promettere "in corrispettivo di
una prestazione di danaro o di altra utilità, interessi o vantaggi usurari" e al terzo comma si fa
riferimento a chi pur non ricevendo, o non avendo ricevuto la promessa, di interessi usurari,
(stabiliti in base all'art. 2 l. 108\1996 con decreto del ministero del tesoro), si approfitti di chi si
trova in stato di difficoltà economica o finanziaria; in quest'ultimo caso la somiglianza con la
rescissione è evidente.
Sarà quindi il giudice a stabilire se il caso concreto di rescissione rientri nell'usura (soprattutto
quella del comma 3 dell'art. 644 c.p.), ma se ciò sarà accertato tale contratto non sarà
semplicemente rescindibile, ma nullo per contrarietà a norme imperative. In tal modo la vittima
della rescissione-usura riceverà un tutela ben più efficace da quella che può ottenere dalla sola
rescissione.
CAPITOLO 10
ANOMALIE SOPRAVVENUTE
(Difetti dell’attuazione)
A) AUTOTUTELA
10. Gli strumenti di tutela. L'adempimento coattivo. - Per l’art. 1453 nei contratti con
prestazioni corrispettive, quando uno dei contraenti non adempie le sue obbligazioni, l’altro può a
su scelta chiedere l’adempimento o la risoluzione del contratto, salvo, in ogni caso, il risarcimento
del danno. Se la parte non inadempiente conserva l’interesse a conseguire l’adempimento benché
tardivo, può chiedere l’adempimento (adempimento coattivo) e quindi coltivare la realizzazione
coattiva del contratto. Abbiamo già parlato dei rimedi in autotutela. In questa sede si discorre del
conseguimento coattivo dell’adempimento attraverso l’apparato coercitivo giudiziario. In ogni caso
la parte che si avvale dello strumento dell’adempimento coattivo deve mantenersi pronta ad
eseguire la prestazione quando conseguirà la prestazione della controparte. Come si è visto in tema
di obbligazioni, il contraente può ricorrere alla esecuzione forzata in forma specifica nelle ipotesi
previste dagli art.. 2930 ss., al fine di costruire l’utilità non procurata dall’altro contraente.
In definitiva, l’adempimento coattivo si configura quale lo strumento accordato alla parte non
inadempiente di conseguire l’attuazione dell’assetto di interessi divisato con il contratto: non solo
dunque la realizzazione coattiva dei diritti di credito, ma in generale l’attuazione coattiva del
regolamento contrattuale. La domanda di adempimento tende a far conseguire, per via giudiziaria,
quel risultato che il contraente non ha ottenuto attraverso l’adempimento spontaneo dell’altro
contraente.
11. Segue. La risoluzione del contratto. La risoluzione giudiziale. - Se la parte non inadempiente
perde interesse all’adempimento, anche solo perché non ha più fiducia in un esatto adempimento
della controparte, può chiedere la risoluzione del contratto e dunque perseguire lo scioglimento del
contratto. In ogni caso la risoluzione è rimedio che tutela interessi la cui cura è rimessa all’iniziativa
dei privati e perciò non può essere rilevata d’ufficio dal giudice.
La normativa più nutrita in materia di risoluzione del contratto è dedicata alla risoluzione per
inadempimento, per essere l’inadempimento la causa più diffusa di inattuazione del contratto.
Presupposto essenziale della risoluzione è l’importanza dell’inadempimento: per l’art. 1455 il
contratto non si può risolvere se l’inadempimento di una delle parti ha scarsa importanza avuto
riguardo all’interesse dell’altra. Se le parti denunciano inadempimenti reciproci bisogna verificare
quale dei due abbia maggiore rilevanza ed efficienza causale nell’alterazione del sinallagma.
Veniamo alle generali conseguenze della risoluzione del contratto.
a) La risoluzione determina lo scioglimento del vincolo e dunque del rapporto contrattuale: è un
rimedio “distruttivo” del contratto.
b) Ha effetto retroattivo tra le parti, salvo il caso di contratti ad esecuzione continuata o periodica
riguardo ai quali l’effetto della risoluzione non si estende alle prestazioni già eseguite (1458).
Ciò comporta che con la risoluzione le prestazioni già eseguite vanno restituite, venendo meno la
causa delle relative attribuzioni (2033). In particolare per i contratti ad esecuzione istantanea le
prestazioni eseguite diventano prive di giustificazione e vanno dunque restituite, nei contratti
traslativi si produce l'automatico ritrasferimento del diritto alienato in capo al suo originario
titolare. Come già abbiamo detto nei contratti di durata (ad esempio di esecuzione continua o
periodica) l'effetto della risoluzione non si estende alle prestazioni già eseguite, si ha quindi una
inefficacia parziale del contratto che la giurisprudenza ha applicato anche con riguardo alla
alienazione di cose.
c) Anche se è stata espressamente pattuita, la risoluzione non pregiudica i diritti acquistati dai terzi,
salvi gli effetti della trascrizione della domanda di risoluzione (art. 1458). C'è dunque una tutela
preferenziale dei terzi rispetto all'interesse delle parti: a differenza dell'annullamento i terzi sono
tutelati sempre indipendentemente dal titolo di acquisto (Oneroso o gratuito) e dallo stato
soggettivo (mala fede o buona fede).
d) La risoluzione può essere giudiziale o di diritto, a seconda che intervenga per provvedimento del
giudice o operi automaticamente.
La risoluzione giudiziale può essere domandata anche quando il giudizio è stato promosso per
ottenere l’adempimento, ma non può più chiedersi l’adempimento quando è stata domandata la
risoluzione (1453). L’impossibilità di mutare la domanda di risoluzione in domanda di
adempimento si giustifica per la ragione che la domanda di risoluzione del contratto denota in chi la
propone di non avere più interesse alla esecuzione del contratto: ciò comporta che la parte
inadempiente consideri ormai inutile apprestare l’adempimento. Correlativamente l’inadempiente,
dalla data della domanda di risoluzione, non può più adempiere la propria obbligazione (1453) in
quanto la parte che ha chiesto la risoluzione potrebbe avere già reperito sul mercato la prestazione
non eseguita dalla controparte. La domanda di risoluzione è soggetta a prescrizione ordinaria
decennale con decorrenza dalla data di inadempimento.
Il giudice che pronunzia la risoluzione deve verificare i presupposti dell’inadempimento. La
sentenza di risoluzione ha efficacia costituiva in quanto determina l’estinzione del rapporto
contrattuale, con lo scioglimento del vincolo che teneva unite le parti.
12. Segue. La risoluzione di diritto. - In determinate ipotesi la risoluzione opera di diritto (ipso
iure) e cioè automaticamente, al ricorrere di determinati presupposti. Tratto comune è il
riconoscimento ai privati del potere di realizzare la risoluzione del contratto senza l’intervento del
giudice. Il ricorso all’autorità giudiziaria ha solo funzione di accertamento dei presupposti della
risoluzione: l’azione di risoluzione del contratto tende dunque ad una sentenza dichiarativa
dell’avvenuta risoluzione per inadempimento.
Le ipotesi generali di risoluzione di diritto sono la diffida ad adempiere, la clausola risolutiva
espressa e il termine essenziale.
a) Diffida ad adempiere. In realtà tale figura integra un rimedio di autotutela in senso stretto, in
quanto è attribuito a uno dei contraenti il potere di realizzare unilateralmente la risoluzione del
contratto. Rimanendo una parte inadempiente del contratto, è accordata alla controparte il diritto
potestativo di realizzare la risoluzione del contratto senza l’intervento del giudice. In particolare
è un atto unilaterale negoziale che la parte non inadempiente indirizza alla controparte con lo
scopo di determinare la risoluzione “ipso iure” del contratto. Deve essere formulato per iscritto e
contenere la intimazione ad adempiere in un congruo termine che non può essere inferiore a 15
giorni salvo diversa pattuizione o salvo che il contratto preveda diversamente e l’avvertimento
che decorso il termine, il contratto si intenderà risoluto. Decorso il termine senza che il contratto
sia adempiuto, questo è risoluto di diritto (1454). La diffida ad adempiere ha una duplice
funzione: da un lato pone le basi per la successiva risoluzione del contratto allo scadere del
termine assegnato, dall'altro vale a costituire in mora il debitore. Una mera intimazione di
adempire in un congruo termine non accompagnata da un'espressa dichiarazione che il decorso
del tempo comporterà la risoluzione del contratto non vale come diffida ad adempire ma solo
come costituzione in mora, con gli effetti propri di questa. Anche la diffida ad adempiere è
esercitabile in presenza di un inadempimento della controparte di non scarsa importanza (1455).
b) Clausola risolutiva espressa. È un meccanismo di risoluzione che deve essere espressamente
previsto dalle parti: è in facoltà delle stesse convenire che il contratto si risolva nel caso in cui
una determinata obbligazione non sia adempiuta secondo le modalità stabilite (1456). Risponde
all’esigenza di rafforzare l’adempimento di specifiche obbligazioni ovvero l’osservanza di
particolari modalità di adempimento, verso cui una parte nutre uno specifico interesse. In quanto
sono le parti stesse a valutare il ricorso dell’inadempimento, è presunta l’importanza
dell’inadempimento ai sensi dell’art. 1455.
E’ necessario che la mancata esecuzione della prestazione dovuta sia imputabile al debitore e che
perciò ricorra tecnicamente un “inadempimento”. Se non è imputabile al debitore si è in presenza
di condizione risolutiva negativa (1353). L’inadempimento di per se non determina l’automatica
risoluzione del contratto. E’ la parte beneficiaria a valutare la convenienza o meno della
risoluzione e dunque decidersi se avvalersi o meno di tale clausola: la parte beneficiaria potrebbe
anche essere interessata a ricevere un adempimento tardivo e dunque a non avvalersi della
clausola. Perciò la operatività della clausola risolutiva è rimessa alla iniziativa della parte nel cui
favore la clausola stessa è destinata ad operare. La risoluzione si verifica di diritto quando la
parte interessata dichiara all’altra che intende valersi della clausola risolutiva (1456).
c) Termine essenziale. Ricorre tale figura quando il termine di adempimento dell’obbligazione di
una delle parti deve considerarsi essenziale nell’interesse dell’altra (1457) sicché un
adempimento tardivo non procura le utilità perseguite. Ciò può essere esplicitamente pattuito tra
le parti o dedursi implicitamente nel contenuto e dalle circostanze del contratto. Diversamente
dalla clausola risolutiva espressa, la risoluzione opera di diritto e perciò automaticamente con la
scadenza del termine (1457). Se però la parte beneficiaria, nonostante la scadenza del termine
essenziale, vuole egualmente esigere la prestazione, salvo patto o uso contrario, deve darne
notizia all’altra parte entro tre giorni (1457).
Unico presupposto è che l’inadempimento sia imputabile alla parte inadempiente: la legge poi
presume l’importanza dell’inadempimento ai fini della risoluzione del contratto (1455).
13. Il risarcimento del danno. - L’art. 1453, nell’accordare alla parte non inadempiente i due
strumenti di tutela dell’adempimento e della risoluzione, fa “salvo in ogni caso il risarcimento del
danno”.
E’ dunque un rimedio ulteriore accordato, aggiuntivo dei due specifici riconosciuti.
L’entità è diversa a seconda che il risarcimento accompagni l’adempimento coattivo, limitandosi a
reintegrare gli eventuali danni aggiuntivi, o sostituisca l’adempimento procurando l’intero risultato
perseguito con il contratto oltre i danni aggiuntivi. Con riguardo alla risoluzione del contratto,
quando il risarcimento del danno, operando in sostituzione della prestazione originaria, deve coprire
il c.d. interesse positivo, cioè comprensivo sia della “perdita subita” dal contraente che del
“mancato guadagno” in quanto ne siano conseguenza immediata e diretta. Il ricorso a tale rimedio
deve avvenire nel rispetto del principio di buona fede. Si tende a ritenere che la domanda di
risarcimento del danno possa essere autonomamente proposta ed accolta.
14. II. Impossibilità sopravvenuta. - Si è già visto come la impossibilità originaria di una
prestazione, comportando un oggetto impossibile del contratto, è causa di nullità dello stesso
(1346).
Se l’impossibilità sopravvenuta della prestazione si verifica per causa imputabile al debitore, la
situazione è assimilata all’inadempimento, sicché la controparte ha diritto a chiedere la risoluzione
del contratto per inadempimento, oltre il risarcimento dei danni (1453).
Se la impossibilità sopravvenuta si verifica per causa non imputabile al debitore, la stessa determina
la estinzione dell’obbligazione (1256). La impossibilità deve essere oggettiva e definitiva e può
anche riferirsi alla impossibilità di utilizzazione della prestazione della controparte, secondo la
causa concreta del contratto; può essere invocata da entrambe le parti.
L’impossibilità può essere di vario modo (parziale, temporanea, etc).
Nei contratti con prestazioni corrispettive, il modello di impossibilità sopravvenuta dell’una
prestazione si riverbera sulla vita dell’altra, influenzando il nesso di causalità che tiene unite
entrambe le prestazioni.
a) In presenza di sopravvenuta impossibilità totale della prestazione, si determina la estinzione
dell’obbligazione (1256); e il soggetto che non ha eseguito la prestazione dovuta non è tenuto
neppure all’obbligo di risarcimento del danno. La estinzione di una prestazione comporta anche
l’estinzione dell’altra corrispettiva, perciò la parte liberata per la sopravvenuta impossibilità della
prestazione dovuta non può chiedere la controprestazione e deve restituire quella che abbia già
ricevuto (1463). Trattasi di una risoluzione di diritto del contratto, perciò senza l’intervento
dell’autorità giudiziaria (eccetto funzione di accertamento).
In presenza di un contratto plurilaterale con comunione di scopo, l’impossibilità della
prestazione di una parte non importa scioglimento del contratto rispetto alle altre, salvo che la
prestazione mancante debba, secondo le circostanze, considerarsi essenziale.
b) Ricorrendo una sopravvenuta impossibilità parziale della prestazione, di regola il debitore si
libera dall’obbligazione eseguendo la prestazione per la parte che è rimasta possibile (1258):
disposizione applicabile anche in caso di deterioramento o parziale perimento di cosa
determinata (1258,2). L’altra parte ha sia diritto a una riduzione della prestazione o ha anche
diritto di recesso dal contratto quando non abbia un interesse apprezzabile all’adempimento
parziale.
c) Nell’ipotesi di impossibilità temporanea della prestazione dovuta, l’obbligazione si estingue se
l’impossibilità perdura fino a quando, in relazione al titolo dell’obbligazione o alla natura
dell’oggetto, il debitore non può più essere ritenuto obbligato a eseguire la prestazione ovvero il
creditore non ha più interesse a conseguirla (1256), in tale caso si deve riconoscere alla
controparte un potere di recesso dal contratto.
d) Grave problema è quello della impossibilità parziale della prestazione per causa imputabile al
creditore, per non essere la figura regolata dalla legge. Assodato che l'impossibilità della
prestazione comporta dunque la risoluzione del contratto per la inattuabilità del rapporto
contrattuale programmato, c'è da stabilire le conseguenze della imputabilità della impossibilità
del creditore. Si può configurare una risoluzione del contratto per inadempimento contrattuale
imputabile al creditore, con obbligo di risarcimento del danno a suo carico, per essere venuto
meno al dovere di buona fede nell’esecuzione del contratto (1453 ss.)
15. Segue. Sopportazione del rischio. - Trattandosi di contratti a prestazioni corrispettive, c’è
l’esigenza di individuare il soggetto che, in definitiva, risente delle conseguenze della impossibilità
della prestazione: c’è cioè da stabilire su quale patrimonio concretamente gravi la perdita
economica della impossibilità sopravvenuta della prestazione.
a) Principio generale per i contratti obbligatori è che il rischio cade sul debitore la cui prestazione è
divenuta impossibile. Per l’art. 1463, nei contratti con prestazioni corrispettive, la parte liberata
per la sopravvenuta impossibilità della prestazione dovuta non può richiedere la
controprestazione e deve restituire quella che abbia già ricevuto, secondo le norme relative alla
ripetizione dell’indebito. In tal guisa la perdita economica per la impossibilità della prestazione
si colloca nel patrimonio della parte debitrice della prestazione divenuta impossibile, in quanto
perde il bene dovuto senza avere diritto alla controprestazione (deve anzi restituire la prestazione
eventualmente ricevuta). La controparte, è vero che non riceve la prestazione divenuta
impossibile, ma nulla perde per tale evento in quanto è liberata dall’obbligo della
controprestazione. In sostanza la peculiarità della sopportazione del rischio nei contratti
obbligatori sta nel fatto che l’impossibilità dell’una prestazione, determinando la estinzione
dell’obbligazione, comporta la liberazione della controparte dall’obbligo di eseguire la
controprestazione. Si pensi al classico esempio dell'incendio dell'immobile dato in locazione: il
locatore a seguito dell'incendio è liberato si dalla obbligazione di far godere l'immobile, ma
perde il bene e non ha diritto ai canoni locativi. Viceversa il locatario è vero che non consegue il
godimento dell'immobile, ma non paga i canoni e quindi non perde nulla. Anche qui però
troviamo i principi relativi alla mora. Se il debitore è in mora, non è liberato dall’obbligazione ed
è tenuto al risarcimento per equivalente della prestazione non eseguita: il debitore può liberarsi
solo provando che l’oggetto della prestazione sarebbe egualmente perito presso il creditore, salvo
che si tratti di cosa illecitamente sottratta (1221). Se ad essere in mora è il creditore, è a suo
carico la impossibilità della prestazione sopravvenuta per causa non imputabile al debitore
(1207).
b) Il discorso è più complesso con riferimento ai contatti con effetti reali, per operare il principio
del c.d. consenso traslativo, per cui gli effetti reali si producono in virtù del consenso
legittimamente manifestato. La sopportazione del rischio è organizzata sulla dinamica del
trasferimento del diritto: gli eventi fortuiti che colpiscono il bene dopo il trasferimento del diritto
gravano sull’acquirente in quanto già proprietario. Nei contratti in cui si ha il trasferimento di
una cosa determinata oppure costituiscono o trasferiscono diritti reali, il perimento della cosa per
una causa non imputabile all'alienante non libera l'acquirente dall'obbligo di eseguire la
controprestazione ancorché la cosa non gli sia stata consegnata. Si considera cioè che, con il
trasferimento del diritto è realizzato il risultato traslativo che è il risultato fondamentale del
contratto e dunque l'acquirente è tenuto alla prestazione corrispettiva.
16. III. Eccessiva onerosità. - Si è visto come nei contratti ad esecuzione differita e nei contratti di
durata la esecuzione è procrastinata o si svolge nel tempo. Può quindi accadere che, nel correre del
tempo, l’equilibrio economico programmato nel contratto si incrini o addirittura venga meno,
mutando l’originario rapporto di corrispettività: il sinallagma funzionale è distorto e compromesso.
La legge attribuisce al soggetto obbligato ad eseguire una prestazione divenuta eccessivamente
onerosa, il diritto a chiedere la risoluzione del contratto; ma circonda il rimedio di specifici limiti, al
fine di evitare che lo stesso possa costituire un docile strumento di scioglimento del contratto
quando è venuto meno l’interesse originario. Per l’art. 1467 devono ricorrere più presupposti.
a) Deve trattarsi di contratti a esecuzione differita ovvero di durata (continuata o periodica) e cioè
di contratti la cui esecuzione è differita o si protrae nel tempo: il divario di valore deve
intervenire quando una prestazione è ancora dovuta. La sproporzione deve dunque intervenire
dopo la conclusione del contratto, ma prima della esecuzione non è ammessa la ripetizione di
una eventuale prestazione onerosa già eseguita.
b) La prestazione di una delle parti deve essere divenuta eccessivamente onerosa rispetto all’altra.
Ossia la prestazione deve essere eccessiva e cioè notevole.
c) La eccessiva onerosità deve connettersi al verificarsi di avvenimenti straordinari e imprevedibili.
Ricorrendo tali presupposti la parte che deve la prestazione divenuta eccessivamente onerosa può
domandare la risoluzione del contratto (1467). Ciò significa che la risoluzione è giudiziale e la
relativa sentenza ha efficacia costitutiva. La prescrizione (decennale) dell’azione decorre da quando
si è determinata la sperequazione tra le prestazioni.
La risoluzione ha effetto retroattivo tra le parti, con salvezza delle prestazioni già eseguite ne
contratti di durata. La risoluzione però non pregiudica i diritti acquistati dai terzi, salvi gli effetti
della trascrizione e della domanda di risoluzione. In applicazione del principio di conservazione dei
contratti, la parte contro la quale è domandata la risoluzione può evitarla mediante l’offerta di equa
modifica della condizione del contratto: il contratto è rettificato con riconduzione ad equità dello
stesso (1467).
Il rimedio non è applicabile ai contratti aleatori, rientrando nella stessa causa del contratto la
incertezza dell’esito.
PARTE X
FATTI ILLECITI E RESPONSABILITÀ CIVILE
CAPITOLO 1
STRUTTURA DEL FATTO ILLECITO
1. Nozione e funzione. - È giusto iniziare a discutere di tale problematica partendo dalla nozione
degli art. 2043 del c.c. ovvero, qualunque fatto doloso o colposo, che cagiona ad altri un danno
ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno, e dell'art. 1218, ovvero il
debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta è tenuto al risarcimento del danno se non
prova che l'inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione
derivante da una causa a lui non imputabile.
Prima di analizzare, però, l'atto illecito è necessario riportare alcune distinzioni utili a farci
comprendere l'esatta collocazione di tali atti.
In primo luogo riportiamo la distinzione tra gli atti umani vietati e leciti.
- atti vietati sono posti in essere in violazione di un obbligo di legge arrecando un danno ad un altro
soggetto giuridico. La violazione dell'obbligo fa nascere nel soggetto danneggiato il diritto al
risarcimento del danno.
- atti leciti sono posti in essere in maniera conforme al diritto.
Ci dobbiamo chiedere ora, che cos'è l'illecito civile, cioè come identificare la generale figura
dell'illecito civile? Possiamo quindi affermare che è illecito civile qualunque fatto che provochi
come conseguenza voluta dalla legge il risarcimento del danno.
Il risarcimento del danno, però, può nascere da fatti o atti diversi, può nascere dalla violazione
dell'art. 2043 c.c. o dell'art. 1218 c.c.
Nel primo caso avremo illecito civile di natura extracontrattuale, mentre nel secondo vi sarà illecito
di natura contrattuale, ma pur sempre di illeciti civili si parla.
Sarà quindi illecito civile extracontrattuale la responsabilità precontrattuale ex art. 1337 c.c. ,
mentre sarà illecito civile di natura contrattuale l'inadempimento di una obbligazione.
Nell'ambito degli atti vietati distinguiamo ancora due categorie che fanno sorgere i due diversi tipi
di responsabilità.
- atti che danno vita a responsabilità contrattuale: sono quegli atti che violano obblighi che
intercorrono tra soggetti determinati, come gli inadempimenti contrattuali
- atti che danno vita a responsabilità extracontrattuale: sono gli altri atti illeciti (civili); la
responsabilità nasce dalla violazione del generico obbligo di non ledere l'altrui sfera giuridica.
Nel nostro ordinamento non sono previsti, però, solo gli illeciti civili; ricordiamo, infatti, che alcuni
illeciti civili sono anche rilevanti per altri rami del diritto essendo anche illeciti penali e
amministrativi.
Occupiamoci della distinzione tra l'illecito penale e quello civile di natura extracontrattuale.
- illecito penale nasce da un comportamento che contrastando con i i fini dello Stato esige come
sanzione una pena criminale. Il comportamento vietato è detto reato ed è espressamente previsto
dalla legge.
- illecito civile nasce dalla violazione del generico obbligo di non ledere l'altrui sfera giuridica.
Conseguenza della violazione sarà l'obbligazione di risarcimento del danno.
Su questa distinzione sono opportune alcune osservazioni.
In primo luogo i fatti che danno luogo ad illecito civile e penale possono anche coincidere;
pensiamo, ad esempio, al caso in cui un sinistro provochi delle lesioni; qui avremo insieme un
illecito penale, e cioè un reato (art. 590 c.p. lesioni colpose), e un illecito civile (art. 2043 c.c.).
Accade, però, che i due illeciti operino su piani diversi, perché con la previsione dell'illecito civile
si vuole ristorare la vittima del danno attraverso il risarcimento, mentre con la previsione di un fatto
come reato, lo Stato vuole tutelarsi contro comportamenti da lui ritenuti contrastanti con i suoi fini.
Il risarcimento è quindi secondario rispetto al fine primario (autotutela dello Stato) che si vuole
ottenere attraverso la minaccia di una pena criminale.
Ancora dobbiamo considerare che mentre un fatto è reato solo se viene espressamente previsto
come tale dalla legge (art. 1 c.p. art. 25 Cost.), l'illecito civile, invece, può essere previsto anche in
modo generico ("qualunque fatto", recita l'art. 2043); di conseguenza ci saranno dei fatti che
possono essere rilevanti solo come illecito civile (es. responsabilità precontrattuale), ma non come
reato, mentre, all'opposto, vi sono dei reati che possono non essere illeciti civili (es. spionaggio).
4. Ampliamento della sfera del danno ingiusto. - La sfera del danno ingiusto si presenta
attualmente ampliata in diverse direzioni.
a) Una prima apertura è avvenuta superando la rigidità della contrapposizione tra diritti assoluti e
diritti relativi. Vi è un interesse del creditore a non vedere turbata da terzi la possibilità del
soddisfacimento della sua pretesa nei confronti del debitore. Ove il terzo renda impossibile
l’adempimento, potrà essere chiamato a rispondere in base all’art. 2043.
È stato considerato obbligato a risarcire il danno risentito dal creditore pure chi dolosamente
inficia il debitore a non adempiere (induzione all’inadempimento).
b) È ritenuta risarcibile la lesione di aspettative di carattere patrimoniale in campo familiare. Pure in
assenza di diritto all'ottenimento di una sovvenzione economica, si è ritenuta tutelabile, come
legittima aspettativa, quella alla partecipazione ai risparmi che il congiunto avrebbe accumulato.
Il risarcimento del danno patrimoniale è stato particolarmente riconosciuto anche al convincente
more uxorio, benché costui non abbia un diritto all'assistenza economica da parte del compagno.
c) È stato ritenuto risarcibile il danno derivante dalla perdita di chance, quale concreta ed effettiva
occasione favorevole di conseguire un determinato risultato economicamente vantaggioso. Essa
non è considerata mera aspettativa di fatto, ma un’entità patrimoniale rilevante di per se stessa,
per cui la perdita configura un danno concreto e attuale.
d) Abbiamo ancora il diritto all'integrità del patrimonio con cui si è ritenuto che un pittore, risponde
del danno subito da uno dei successivi acquirenti di un quadro per aver autenticato egli sul retro
dello stesso quadro, uno suo quadro risultato falso.
9. Regimi peculiari di responsabilità. - Il c.c. oltre a recepire tre ipotesi di risalente tradizione
(responsabilità per danno cagionato da cosa in custodia, per danno cagionato da animali e per rovina
di edificio) ne introduce due miranti ad adeguare il sistema di responsabilità civile a nuove esigenze
di tutela più strettamente legale alla più recente evoluzione dei rapporti economico-sociali
(responsabilità per l’esercizio di attività pericolose e per la circolazione di veicoli).
a) Responsabilità per danno cagionato da cosa in custodia. L’art. 2051 stabilisce che ciascuno è
responsabile del danno cagionato dalle cose o animali che ha in custodia, salvo che non provi il
caso fortuito. Nella portata della disposizione rientra qualsiasi cosa, mobile o immobile,
indipendentemente dalla sua interseca pericolosità. Il danno deve derivare dalla cosa: se essa
costituisce strumento di un’attività pericolosa, il principio operante è quello del 2050. La
casistica è sconfinata, si pensi alla caduta dei rami, alle strade insidiose, ai pavimenti sconnessi,
alle impalcature che permettono l'intrusione dei ladri, all'incendio sviluppato su un terreno che
produca danni ai fondi vicini, ecc. Condizione del sorgere della responsabilità è che il soggetto
ne abbia la custodia. Questa viene intesa come effettivo potere materiale sulla cosa. Potrà
trattarsi quindi non solo del proprietario, ma anche del possessore o detentore, pure nel caso di
potere di fatti esercitato abusivamente. La prova liberatoria consiste nella dimostrazione del solo
caso fortuito, che viene, in effetti, inteso in senso ampio, ma estremamente rigoroso.
b) Affine è la responsabilità, che grava sul proprietario di un animale o su chi se ne serve per il
tempo in cui lo ha in uso, per i danni cagionati dall’animale, anche se smarrito o fuggito salvo
che venga provato il caso fortuito (2052) vi è prova liberatoria, deve trattarsi di un fattore che
presenti rigorosi caratteri di imprevedibilità, inevitabilità e assoluta eccezionalità.
c) L’art. 2053 disciplina la responsabilità per rovina di edificio o di altra costruzione, addossandola
al proprietario, salvo che costui provi che la rovina stessa non è dovuta a difetti di manutenzione
o vizio di costruzione. La norma si ritinte applicabile anche a chi sia titolare di un diritto di
godimento, che comporta l’obbligo di manutenzione (usufrutto). Il proprietario resta esclusivo
responsabile nel caso che l’immobile sia locato. Per rovina si intende anche la disgregazione di
piccole parti dell’edificio, come sostegni per vasi da fiori, tegole, cornicioni, ecc. La
responsabilità per i danni derivanti da difetto di manutenzione è ricollegabile ad un
comportamento colposo, la responsabilità per i danni derivanti da vizi di costruzione è
ricollegabile al carattere oggettivo.
d) Significativa novità introdotte dal c.c. è quella per cui grava su chi svolge un’attività pericolosa.
art. 2050, chi causa ad altri danni nello svolgimento dell’attività pericolosa per sua natura, o per
la natura dei mezzi impiegati, è tenuto al risarcimento, indipendentemente dalla sua colpa, salvo
che non provi di aver adottato, nello svolgere l’attività, tutte le misure consentite dalla tecnica
idonee a evitare ogni pregiudizio a terzi, salvo quelli inevitabili, cd. prova liberatoria. Gli esempi
sono innumerevoli, caccia, organizzazione di gare motociclistiche su circuito aperto al pubblico,
attività edilizia, esecuzione di lavori su strada pubblica, produzione e distribuzione di bombole di
gas, ecc.
e) In ordine la circolazione dei veicoli, il conducente di un veicolo senza guida di rotaie è obbligato
a risarcire il danno prodotto a persona o a cose dalla relativa circolazione, se non provi di avere
fatto tutto il possibile per evitare il danno (2054). Nel caso di scontro tra veicoli, si presume, fino
a prova contraria, che ciascuno dei conducenti abbia concorso ugualmente a provocare il danno
subito dai singoli veicoli (2054). E’ responsabile in solido con il conducente, se non prova che la
circolazione del veicolo sia avvenuto contro la sua volontà, il proprietario del veicolo o, in sua
vece, l’usufruttuario o l’acquirente con patto di riservato dominio. Le persone in precedenza
indicate sono responsabili dei danni derivanti da vizi di costruzione o difetto di manutenzione
(2054). Per veicolo si intende qualsiasi mezzo circolante, a trazione meccanica o animale, o
determinata all’azione diretta dell’uomo, purché senza guida di rotaie. La circolazione cui si
riferisce la norma è quella aperta al transito pubblico, non quindi la manovra di un veicolo in un
area privata.
Quanto ai soggetti danneggiati, ad esito di una lunga discussione sul punto, si è convenuto da
parte della giurisprudenza che il particolare regime di responsabilità previste dal 2054 operi
anche nei confronti delle persone a qualunque titolo trasportate nel veicolo. Il principio della
uguale responsabilità dei conducenti in caso di scontro di veicoli ha carattere solo sussidiario in
quanto destinato ad operare solo esclusivamente quando non sia possibile accertare in concreto
in quale misura il conducente abbia concorso a cagionare l'evento. La presunzione prevista in
caso di scontro opera anche nel caso in cui uno solo dei veicoli abbia riportato danni. Articolato è
il regime della responsabilità che emerge dalla norma in esame. Carattere oggettivo si ritiene
avere la responsabilità per i vizi di costruzione o per difetto di manutenzione. Nel primo caso con
la responsabilità del conducente e del proprietario concorre la responsabilità del costruttore.
L'unica prova per esentarsi dalla responsabilità può essere la negazione della sussistenza del
nesso di causalità tra vizi di costruzione o difetto di manutenzione e danno. Circa la
responsabilità del conducente si tratterebbe di una responsabilità pur sempre fondata sulla colpa,
anche se lievissima. Per quanto riguardo la prova liberatoria, il conducente deve provare di aver
fatto tutto il possibile per evitare il danno. Quanto alla responsabilità del proprietario in solido
con il conducente è diffusa l'idea che si tratti di una responsabilità oggettiva. La prova liberatoria
è fondata sulla opposizione alla circolazione e quindi sull'adozione di mezzi idonei a impedire
l'entrata in circolazione del veicolo. Il proprietario viene così considerato responsabile ove affidi
le chiavi ad un parcheggiante, e addirittura anche in caso di furto se non siano prese le idonee
misure di prevenzione (come la chiusura a chiave e l'applicazione di congegni di antifurto).
La gravità dei pericoli che la diffusione della circolazione stradale comporta ha introdotto il
legislatore, per garantire un sicuro e pronto ristoro al danneggiato, ad introdurre un regime di
assicurazione obbligatoria della responsabilità civile automobilistica, con l’istituzione anche di
un “Fondo di garanzia per le vittime della strada”.
f) Il legislatore con il codice del consumo, il D. Lgs. 206/2005, ha regolamentato la responsabilità
per danno da prodotti difettosi. Il principio di fondo è quello secondo cui il produttore è
responsabile del danno cagionato da difetti del suo prodotto. Ove il produttore non sia
individuato, è assoggettato alla stessa responsabilità il fornitore. Il prodotto è considerato
difettoso quando non offre la sicurezza che ci si può legittimamente attendere, tenuto conto di
tutte le circostanze. Il danneggiato deve provare il danno, il difetto e la connessione causale tra
difetto e danno (120) mentre il produttore può escludere la propria responsabilità nei casi
tassativamente previsti: se egli non aveva messo in circolazione il prodotto o se il difetto non
esisteva nel momento in cui è stato messo in circolazione, se egli non ha fabbricato il prodotto
per la vendita o per ogni altra distribuzione a titolo oneroso, ecc. Il danno risarcibile è quello
cagionato dalla morte, da lesioni personali, nonché quello relativo alla istruzione o al
deterioramento di cose diverse dal prodotto difettoso, normalmente destinato all’uso o consumo
privato e così principalmente utilizzate (123). Il diritto al risarcimento del danno si prescrive in 3
anni dalla conoscenza del danno del difetto, e dell'identità del responsabile. Vi è responsabilità in
solido in caso di pluralità di responsabili. Il risarcimento del danno non è dovuto in caso di
consapevole esposizione ai rischi derivanti dal difetto del prodotto.
g) Responsabilità gravante sugli esercenti di impianti nucleari. L’art. 15 L. 1860/1962 prevede che
l’esercente di un impianto nucleare risponda di ogni danno causato da un incidente avvenuto
nell’impianto o ad esso connesso, con la sola eccezione dei danni derivanti da conflitti armati
legati ad eventi bellici e insurrezionali o derivanti da cataclismi naturali di carattere eccezionale.
La responsabilità, trova una limitazione nel suo importo massimo, essendo previsto, poi, in
considerazione dell’eventuale carattere catastrofico dei danni verificatisi, l’intervento dello Stato
e di un fondo internazionale a ciò destinato.
PARTE XI
ALTRE FONTI DI OBBLIGAZIONE
CAPITOLO 1
ATTI E FATTI DIVERSI DA CONTRATTO E FATTO ILLECITO
1. Fonte negoziale ex lege. - Si è anticipato che, per l’art. 1173, le obbligazioni derivano da
“contratto, da fatto illecito o da ogni altro atto o fatto idoneo a produrle in conformità
dell’ordinamento giuridico”. Si è fissata una clausola generale di ammissione di fonti di
obbligazioni diverse da contratto o fatto illecito con l’unico limite della conformità all’ordinamento
giuridico. Dei fatti illeciti e dei contratti c'è ne siamo già occupati ma ora è necessario concentrare
la nostra attenzione sui quegli altri "atti o fatti idoneo a produrle" .
Il riferimento va principalmente (e quindi non esclusivamente) alle ipotesi disciplinate nel titolo IV
del codice civile (artt. 1987-2042) di cui ci occuperemo in questo capitolo, e che possono essere
divise tra obbligazioni nascenti da atto unilaterale, che trovano, in ogni caso, la loro giustificazione
nella volontà di un soggetto, obbligazioni nascenti dalla legge come la gestione di affari altrui, la
ripetizione dell'indebito e l'ingiustificato arricchimento.
A) PROMESSE UNILATERALI
2. Negozi unilaterali e promesse unilaterali. - Sono negozi giuridici unilaterali con i quali un
soggetto assume delle obbligazioni a suo esclusivo carico.
Il negozio si perfeziona indipendentemente dalla accettazione del promissario. Secondo l'art. 1987,
la promessa unilaterale non produce effetti al di fuori dei casi ammessi dalla legge.
Ma cosa sono le promesse unilaterali?
Non sono dei contratti, perché provengono da una parte sola, non sono degli atti illeciti ma sono
negozi giuridici perfettamente validi solo nei casi previsti dalla legge, come prevede l'art. 1987. Gli
art. 1988 regolano due schemi di promesse unilaterali ovvero la promessa al pubblico e la promessa
di pagamento e la ricognizione del debito.
B) OBBLIGAZIONI EX LEGE
5. Generalità. - Per le obbligazioni che derivano dalla legge la tipicità è in re ipsa e cioè nel fatto in
sé di derivare dalla legge. Nel nostro c.c. si pensi all’obbligazioni di prestare gli alimenti (433) e
alle specifiche obbligazioni di mantenimento che caratterizzano i rapporti familiari (147-148) o
all’obbligo del partecipante alla comunione di contribuire nelle spese necessarie per la
conservazione e il godimento della cosa comune (1104), Altre sono contenute in normative diverse
dal c.c., ovvero ricostruire dalla giurisprudenza: si pensi alla obbligazioni di equa riparazione per
mancato rispetto del termine ragionevole del processo (L. 89/2001).
6. Gestione di affari. - Si ha gestione di affari altrui quando un soggetto senza esservi obbligato
assume consapevolmente la gestione di uno o più affari di un altro soggetto che non è in grado di
provvedervi.
L'ipotesi dell'art. 2031 riguarda una situazione che può verificarsi nella realtà con un frequenza
maggiore di quanto non si pensi.
Può succedere, infatti, che una persona non possa occuparsi dei suoi affari rischiando di subire un
danno.
Ma può anche accadere che un'altra persona, essendo a conoscenza di questa situazione, decida di
intervenire per impedire il danno. Se la gestione avverrà alle condizioni previste dalla legge, il
dominus dovrà non solo adempiere alle obbligazioni assunte dal gestore, ma dovrà anche
indennizzarlo (e non compensarlo) delle spese che questi ha sostenuto.
Come si vede la gestione di affari altrui è fonte di obbligazioni che non derivano né da contratto né
da atto illecito, ma direttamente dalla legge.
Analizziamo la posizione del dominus:
- l’interessato non deve essere in grado di provvedere ai propri affari;
- se l'interessato ha vietato che altri si occupassero della gestione dei propri affari non sarà tenuto
ad adempiere alle obbligazioni che sono nate dalla gestione (art. 2031 comma 2);
- deve adempiere agli obblighi che scaturiscono dalla gestione e indennizzare il gestore delle spese
non solo quando la gestione gli sia stata utile ma anche quando non gli abbia portato vantaggi ma
sia stata "utilmente iniziata" dal gestore.
Come si vede il dominus deve effettivamente trovarsi in una particolare situazione che gli
impedisca di occuparsi dei propri affari. Questa può verificarsi quando il dominus sia scomparso e
non siano stati ancora presi i provvedimenti previsti dalla legge, o quando sia incapace senza che vi
sia chi lo rappresenti. In merito al divieto, questo è efficace solo se non sia contrario alla legge,
all'ordine pubblico o la buon costume, ma si ritiene che sia anche inefficace quando riguardi una
situazione imprevista.
Analizziamo la posizione del gestore:
- deve essere a conoscenza di gestire un affare altrui. Se credeva di agire per un affare proprio potrà
comunque beneficiare degli effetti della gestione se vi sarà la ratifica del dominus (art. 2032 c.c.);
- una volta iniziata la gestione è tenuto a portarla a termine sino a quando il dominus non sia in
grado di provvedervi da sé stesso.
- In caso di morte del dominus prima della fine della gestione questa dovrà comunque essere
eseguita sino a quando l'erede non possa provvedere direttamente;
- deve avere la capacità di contrattare in merito all'affare di cui si occupa (art. 2029 c.c.);
- è tenuto al risarcimento del danno se ha agito con colpa;
- è soggetto alle stesse obbligazioni che deriverebbero dal mandato (art. 2030 c.c.).
L'azione di arricchimento ha quindi carattere sussidiario proprio perché si può esperire solo quando
non sia possibile nessuna altra azione.
Ciò stabilito, chiediamoci a che cosa avrà diritto chi riesce a portare a termine con successo l'azione
.
Secondo l'art. 2041 c.c. a lui spetterà un'indennità per la perdita subita. Questa è calcolata tenendo
conto dei valori di mercato dell'arricchimento e dell'impoverimento e procedendo alla liquidazione
della minore somma tra queste due entità.
Se, invece, l'arricchimento ha per oggetto una cosa determinata sorgerà, invece, l'obbligo della
restituzione, sempre che sia ancora esistente al tempo della domanda.
Chiudiamo l'argomento osservando che questa azione è esperibile sempre in seguito ad attività
lecita, è ciò lo capiamo anche dal fatto che si prevede una indennità e non un risarcimento;
osserviamo, ancora, che nonostante si parli di "danno" nella sua liquidazione indennitaria non deve
essere calcolato il lucro cessante.
PARTE XII
SUCCESSIONI PER CAUSA DI MORTE
CAPITOLO 1
SUCCESSIONE IN GENERALE
1. Concetto di successione per causa di morte. - Per successione si è soliti intendere quel
fenomeno giuridico consistente nell’avvicendamento di un soggetto ad un altro in una situazione
giuridica soggettiva o passiva. Nella successione per causa di morte (mortis causa), in particolare, il
fenomeno successorio trova giustificazione nella morte di un soggetto e consiste nel trasferimento
dei diritti del defunto (de cuius) ad altri soggetti, individuati dal de cuius stesso o, in mancanza, dal
legislatore.
Ma che cosa viene trasferito agli eredi? È possibile per il de cuius lasciare sue sostanze a persone
diverse dai suoi familiari? Ed ancora, è possibile trasferire solo alcuni diritti e non tutto il
patrimonio?
Rispondendo all'ultima domanda è prevista una successione a titolo universale e a titolo particolare.
La successione a titolo universale si verifica quando l'erede acquista tutti diritti ed obblighi del
defunto o subentra in una quota degli stessi. La successione a titolo particolare: quando il
successore (legatario) succede in singoli specifici rapporti giuridici. Vi sarà quindi un legatario
istituito in un testamento.
Per quanto riguarda i soggetti, nell'ambito della successione a titolo universale distinguiamo:
- la successione legittima. Si applica quando manca un testamento o quando questo abbia disposto
solo parzialmente del patrimonio del de cuius.
- la successione testamentaria in questo caso il de cuius ha già stabilito a chi saranno trasferiti i
suoi rapporti giuridici redigendo un apposito atto, il testamento.
Deroga al divieto dei patti successori si mostra il patto di famiglia con cui l'imprenditore trasferisce,
in tutto o in parte, l'azienda, oppure il titolare di partecipazioni societarie, trasferisce del tutto o in
parte, le proprie quote ad uno o più discendenti. A pena di nullità il contratto deve essere concluso
per atto pubblico. Le parti contrattuali devono essere: l'imprenditore o il titolare di quote sociali,
uno o più discendenti dell'imprenditore e il coniuge dell'imprenditore e tutti coloro che sarebbero
legittimari al momento in cui è stato stipulato il patto.
Si tratta quindi di un contratto plurilaterale, volto a provocare un consenso completo con tutti i
futuri eredi dell'imprenditore ( o del titolare di quote sociali).
Dobbiamo, però, considerare, che non sarebbe giusto un patto di famiglia, che desse tutto ad alcuni
figli dell'imprenditore, e praticamente niente agli altri potenziali eredi e legittimari, ed è per questo
motivo, che l'imprenditore nello stipulare un tal patto, deve salvaguardare anche le posizioni di
questi ultimi;
il coniuge e i futuri legittimari, infatti, se non vi hanno rinunziato, devono ricevere dagli assegnatari
(cioè i figli che hanno ricevuto l'azienda), una somma di denaro (o dei beni in natura) che
corrisponda alle quote che a loro spetterebbero ex art. 536 e ss. c.c., cioè le quote che gli
spetterebbero in quanto legittimari.
Questi beni sono loro assegnati come quota di legittima, cioè come quella quota che a loro
spetterebbe come legittimari, e ciò per tacitare da subito possibili future contestazioni, tanto che una
volta stipulato il contratto, le assegnazioni ricevute non possono essere oggetto di collazione o
riduzione.
Andiamo ora a verificare dal punto di vista della validità, cosa accade se non si seguono le
prescrizioni cui ci siamo riferiti.
Sappiamo della nullità dell'atto se non è stipulato per atto pubblico, ma potrebbe accadere che
all'atto stesso non partecipino tutti coloro che ne hanno diritto ex art. 768 quater; vediamo le
conseguenze. In caso di mancata partecipazione alla stipula del contratto del coniuge e\o dei
legittimari, se gli assegnatari non liquidano loro le somme che gli spettano il patto è annullabile
entro un anno dall'apertura della successione. In caso di vizi del consenso è possibile chiedere
l'annullamento del patto entro un anno dalla sua stipula. Ricordiamo, infine, che il patto può essere
sciolto o modificato dagli stessi che l'hanno stipulato, o mediante un nuovo contratto, o con un
recesso, solo, però, se previsto nel patto e certificato da un notaio (art. 768 septies c.c.). Le eventuali
controversie che scaturiscono dal patto, non possono essere decise dal tribunale, ma da organismi di
conciliazione (art. 768 octies c.c.). Questo perché le cause ereditarie durano così tanto tempo che
spesso gli stessi eredi che le avevano instaurare muoiono prima della sentenza. Affidando il
procedimento agli organi di conciliazione si tenta a rendere più rapida la tutela.
3. Vocazione e delazione. - Secondo l'articolo 456 del codice civile " la successione si apre al
momento della morte, nel luogo dell'ultimo domicilio del defunto ".
Come si vede un evento giuridico scaturisce, o meglio è contemporaneo, ad un evento naturale: la
morte. L’esatta determinazione del luogo di apertura della successione vale ad identificare anche
l’autorità giudiziaria competente ad emanare i più rilevanti provvedimenti relativi alla vicenda
successoria. “Apertura” si riferisce alla possibilità che nuovi soggetti si sostituiscano al defunto
subentrando nei suoi rapporti giuridici. Aperta la successione, la principale esigenza è quella
concernente la identificazione di quali siano i successibili del de cuius. La successione si apre in
base ad un titolo che può consistere nel testamento oppure nella legge. Abbiamo, quindi, il concetto
giuridico di " vocazione " che indica proprio il titolo in base al quale deve avvenire la successione,
il testamento o la legge.
Si suole distinguere la c.d. vocazione, che consiste nella individuazione in astratta, in base ai criteri
del 457, di colui che dovrà succedere, dalla c.d. delazione che costituisce la messa a disposizione
del patrimonio del defunto ai chiamati all'eredita.
4. Capacità e indegnità. - L’art. 462 dichiara capaci di succedere tutti coloro che sono nati o
concepiti al tempo dell’apertura della successione. L’art. 462, c.3. specifica che possono ricevere
per testamento anche i figli di una determinata persona vivente al tempo della morte del testatore,
benché ancora non concepiti. La capacità di succedere consiste nell’idoneità del soggetto ad
acquistare le situazioni soggettive che in precedenza rientravano nella sfera giuridica del de cuius.
In quanto tale, essa deve su istanza dei soggetti interessati ricondursi al più ampio concetto di
capacità giuridica e non a quello di capacità di agire.
L’accettazione dell’eredità è un negozio giuridico e presuppone la capacità di agire dell’autore.
Pertanto, se una eredità viene lasciata ad un soggetto legalmente incapace di agire, questi sarà
capace di succedere, ma incapace di accettare l’eredità, se non a mezzo del suo legale
rappresentante e nelle forme richieste.
L’indegnità invece è la situazione di chi avendo compiuto gravi atti contro il de cuius quando questi
era in vita è escluso dalla successione. L'indegnità non è una forma di incapacità in quando
l'indegno può acquistare l'eredità, ma il suo acquisto può essere dichiarato inefficace a seguito di un
provvedimento disposto dall'autorità giudiziaria su istanza dei soggetti interessati. Cause di
indegnità possono essere: omicidio o tentato omicidio commesso contro il potenziale de cuius,
calunnie, attentato alla volontà di testare, soppressione-alterazione-falsificazione del testamento.
L’art. 464 impone all'indegno l’obbligo di restituire i frutti che siano pervenuti dopo l’apertura della
successione.
L’art. 466 legittima il de cuius a riabilitare l’indegno espressamente con atto pubblico o con
testamento. La riabilitazione espressa è un vero e proprio negozio giuridico, che ha la funzione di
rimuovere le conseguenze giuridiche derivanti dalla indegnità. E’ un atto personale, irrevocabile e
formale. L’art. 466, c.2, prevede che è ammesso a succedere se è stato contemplato nel testamento
quando il testatore conosceva la causa dell’indegnità, ma nei limiti della disposizione testamentaria.
Si parla in questo vaso di riabilitazione parziale e tacita.
5. Posizione del chiamato all’eredità. - Nel periodo che intercorre tra il momento dell’apertura
della successione e quello dell’accettazione dell’eredità, il soggetto in favore del quale l’eredità è
devoluta assume la qualifica di chiamato all’eredità. Lo stato di chiamato all'eredità è transitorio ed
è destinato ad esaurirsi o con l’accettazione o la rinunzia da parte del medesimo, oppure con la
prescrizione del diritto di accettare l’eredità. Per il semplice fatto di essere chiamato all'eredita il
soggetto può esercitare le azioni possessorie a tutela dei beni ereditati. Più in generale il chiamato
all'eredita può compiere atti conservativi, di vigilanza, e di amministrazione temporanea e può farsi
autorizzare dall'autorità giudiziaria a vendere i beni che non si possono conservare o cui la
conservazione comporta un grave dispendio.
B) ACQUISTO DELL’EREDITÀ
6. Accettazione dell’eredità. - L’art. 459 opera una precisa scelta in ordine alla modalità di acquisto
della eredità: l’eredità si acquista con l’accettazione. Con l’apertura della successione, quindi, il
successibile non è ancora erede, ma è soltanto chiamato all’eredità e, in quanto tale, ha il diritto di
accettarla. L’effetto dell’accettazione viene però fatto retroagire al momento dell’apertura della
successione, proprio per evitare quella soluzione di continuità nella titolarità del patrimonio del de
cuius, che rischierebbe di pregiudicare gravemente l’esigenza di certezza dei rapporti giuridici.
L’accettazione può essere:
- Espressa: negozio giuridico unilaterale non recettizio e assolutamente irrevocabile (semel heres
semper heres.). Si ha quando, in un atto pubblico o in una scrittura privata, il chiamato all'eredità
ha dichiarato di accettarla, oppure ha assunto il titolo di erede. Per la sua validità è quindi
necessaria la forma scritta; di conseguenza sarà nulla una accettazione verbale.
- Tacita: quando il chiamato all’eredità compie un atto che presuppone necessariamente la sua
volontà di accettare e che non avrebbe il diritto di fare se non nella qualità di erede.
Il diritto di accettare l’eredità si prescrive in 10 anni dal giorno all'apertura della successione. Se vi
sono altri chiamati il termine di prescrizione corre anche per loro a meno che non vi sia stato
acquisto dell'eredità poi venuto meno da parte dei primi chiamati.
Può essere impugnata quando è effetto di violenza o di dolo e l’azione si prescrive in 5 anni da
quando è cessata la violenza o è stato scoperto il dolo (482). Essa non può essere impugnata per
errore.
Sotto il profilo pubblicitario, l’art. 2648 prevede la trascrizione degli atti di accettazione di eredità
comportanti acquisto di diritti reali immobiliari o liberazione dei medesimi. Se l'accettazione è
espressa la trascrizione opera in base alla dichiarazione del chiamato, purché contenuta in un atto
pubblico o una scrittura privata con sottoscrizione autenticata o accertata giudizialmente. Se
l'accettazione è tacita la trascrizione può essere richiesta sulla base dell'atto che ha comportato
l'accettazione qualora esso risulti da sentenza, da atto pubblico, o da scrittura privata con
sottoscrizione autenticata o accertata giudizialmente.
7. Accettazione dell'eredità con beneficio di inventario. - È una dichiarazione resa con atto
pubblico attraverso cui l'erede dichiara di accettare con beneficio di inventario evitando, in tal
modo, la confusione del suo patrimonio con quello del defunto.
Con l'accettazione pura e semplice l'erede confonde il suo patrimonio con quello del defunto che
divengono, in tal modo, un unico patrimonio; questa conseguenza può non sempre essere
conveniente per l'erede, perché se nel patrimonio del de cuius i debiti superano i crediti, l'erede sarà
tenuto comunque ad onorarli. Per questo motivo potrebbe convenire accettare l'eredità, non
puramente e semplicemente, ma con beneficio di inventario in modo da non dover rispondere con il
proprio patrimonio per i debiti che erano del defunto.
A volte l'accettazione beneficiata non è facoltativa, ma obbligatoria; in particolare devono accettare
con beneficio d’inventario:
- i minori o gli interdetti (art. 471 c.c.);
- i minori emancipati o gli inabilitati (art. 472 c.c.);
- le persone giuridiche, le associazioni, fondazioni e gli enti non riconosciuti, escluse, però, le
società commerciali (art. 473 c.c.).
Vediamo, ora, la forma richiesta dalla legge per l'accettazione con beneficio d'inventario (art. 484
c.c.).
È necessario l'atto pubblico a pena di nullità; la dichiarazione deve essere ricevuta da un notaio o
dal cancelliere del tribunale del circondario in cui si è aperta la successione, e inserita nel registro
delle successioni conservato nello stesso tribunale. La dichiarazione deve essere trascritta, a cura
del cancelliere, presso l'ufficio dei registri immobiliari del luogo in cui si è aperta la successione. La
dichiarazione di accettazione deve essere preceduta o seguita dall'inventario.
L'inventario deve essere fatto entro tre mesi dal giorno dell'apertura della successione o della notizia
della devoluta eredità. Se l'inventario non viene fatto entro i tre mesi, si considera che abbia
accettato puramente e semplicemente.
Con l'accettazione con beneficio d'inventario i poteri sul patrimonio del defunto del chiamato
all'eredità non saranno certamente quelli pieni che gli sarebbero derivati dalla accettazione pura e
semplice; Con l'accettazione beneficiata, infatti, l'erede diviene l'amministratore del patrimonio del
de cuius, patrimonio che amministra nel suo interesse e in quello dei creditori e dei legatari; proprio
perché l'erede amministra pur sempre delle cose sue, l'art. 491 c.c. prevede la sua responsabilità per
l'amministrazione solo per colpa grave. L’erede decade dal beneficio d’inventario se aliena o
sottopone a pegno o ipoteca beni ereditari o omette parte degli stessi nell'inventario e in caso di
inosservanza delle procedure previste dalla legge.
8. Rinunzia all’eredità. - Il chiamato è libero di rinunziare all’eredità, ovvero di manifestare la
volontà di non voler accettare l’eredità stessa. La rinunzia è un negozio unilaterale non recettizio e
può essere compiuto fino a che il diritto di accettare l’eredità non sia prescritto. E’ un negozio puro,
che non tollera, sotto pena di nullità, l’apposizione di termini o di condizioni, né può essere parziale
(520). La rinunzia ha effetto retroattivo, nel senso che il rinunziante si considera come se non fosse
mai stato chiamato (521). La rinunzia deve essere espressa, non è ammessa rinunzia tacita
all’eredità. A differenza dell’accettazione, la rinunzia può essere revocata (525): tale revoca della
rinunzia si realizza mediante l’accettazione dell’eredità, la quale può intervenire fino a che il diritto
di accettare non sia prescritto e se l’eredità non sia già stata acquistata da altro dei chiamati.
La rinunzia è impugnabile dai creditore, ove gli stessi ricevano danno dalla rinunzia. La rinunzia
può essere impugnata pure dal rinunziante se è effetto di dolo o violenza: l’azione si prescrive in 5
anni dal giorno in cui è stato scoperto il dolo o è cessata la violenza (526).
10. Separazione dei beni del defunto da quelli dell’erede. - Nell’analizzare gli effetti
dell’accettazione con beneficio d’inventario si è sottolineato come la stessa produca il risultato di
evitare la confusione del patrimonio dell’erede con quello del defunto: tale circostanza costituisce
un indubbio vantaggio non solo per l’erede, che vede la propria responsabilità limitata intra vires,
ma anche per i creditori del de cuius ed i legatari, cui viene attribuita preferenza sul patrimonio
ereditario. Si è evidenziata la precarietà di tale effetto, che potrebbe venire meno ogniqualvolta
l’erede incorra in una delle cause di decadenza del beneficio d’inventario: ecco perché i creditori
del de cuius ed i legatari, per evitare tale rischio, devono chiedere la separazione dei beni del
defunto da quelli dell’erede.
Tale istituto assicura il soddisfacimento, con i beni del defunto, dei creditori di lui e dei legatari che
l’hanno esercitata, a preferenza dei creditori dell’erede (512). Anche la separazione, al pari
dell’accettazione beneficiata, evita che si produca confusione. Il diritto alla separazione, che dee
essere esercitato entro tre mesi dall’apertura della successione (516), spetta pure a creditori e
legatari che abbiano altre garanzie sui beni del defunto e non impedisce ai creditori e legatari che
l’hanno esercitata di soddisfarsi anche sui beni propri dell’erede (512).
11. Eredità giacente. - Nel diritto romano l’eredità veniva definita giacente nel periodo che
intercorreva tra l’apertura della successione e l’accettazione da parte del chiamato.
La disciplina della eredità giacente si ricollega all’esigenza di assicurare un adeguato grado di tutela
ai beni componenti l’asse ereditario, nella ipotesi in cui non vi sia altro soggetto reputato idoneo
alla loro conservazione. Ai sensi dell’art. 528, quando il chiamato non ha accettato l’eredità e non è
nel possesso dei beni ereditari, il tribunale del circondario in cui si è aperta la successione, su
istanza delle persona interessata o anche d’ufficio, nomina un curatore dell’eredità. La giacenza
dell’eredità cessa in conseguenza dell’avvenuta accettazione da parte di uno dei chiamati. Il
curatore è tenuto a procedere all’inventario dell’eredità, a esercitarne e promuoverne le ragioni, a
rispondere alle istanze proposte contro la medesima e, più in generale, ad amministrarla (529).
Diversa dall’eredità giacente è la c.d. eredità vacante, situazione che si verifica quando non
sussistano più chiamati che possano accettare l’eredita. In tal caso, l’eredità viene acquistata dallo
Stato.
A) SUCCESSIONE LEGITTIMA
1. Presupposti e fondamento. - È la successione che avviene per volontà di legge quando non vi
sia testamento. Se il de cuius è morto senza lasciare testamento, la successione è interamente
regolata da norme di legge ( art. 457 c.c.), norme che tendono a privilegiare le persone che hanno
avuto un rapporto di parentela più stretto con il defunto, rispetto a coloro che hanno un grado di
parentela più lontano. Se, poi, esisteva un rapporto di coniugio anche il coniuge del defunto
concorrerà con i parenti nella successione ereditaria. Abbiamo detto che presupposto della
successione legittima è la mancanza di testamento. Specifichiamo che questo tipo di successione ha
luogo anche quando un testamento è nullo o è stato annullato, quando è privo di disposizioni
patrimoniali o quando il testamento prevede solo legati oppure, infine, quando il testamento dispone
solo per alcuni beni.
Insomma la mancanza di una valida o completa volontà del testatore in merito alla individuazione
degli eredi che subentreranno nel suo patrimonio, apre la strada alla successione legittima.
Ciò detto, cominciamo a vedere, chi sono le categorie di successibili, chi sono, cioè, coloro che
hanno titolo alla vocazione legittima.
Hanno diritto a succedere, per vocazione legittima, il coniuge, i discendenti, gli ascendenti, i
collaterali e gli altri parenti (fino al sesto grado), infine lo Stato. Quest'ultimo, però, succede solo
quando non sia possibile la successione degli altri chiamati.
2. Successione dei parenti. - Secondo l’ordine stabilito dal legislatore, categorie privilegiate nella
successione legittima sono quelle del coniuge e dei figli, i quali ultimi, tra i parenti del de cuius,
sono gli unici a non concorrere con nessun altro parente.
Al padre e alla madre succedono i figli in parti uguali (566).
I figli concorrono solo con il coniuge superstite, se il figlio è uno metà spetta a questi e metà al
coniuge; se i figli sono più di uno 1/3 al coniuge e i 2/3 ai figli (581).
Con riguardo ai figli nati fuori dal matrimonio, unico presupposto per l’applicazione del regime
successorio che li riguarda è che la filiazione sia stata riconosciuta o dichiarata giudizialmente
(573). In mancanza di discendenti, l’eredità si devolve ai genitori o ascendenti del de cuius, i quali
concorrono con il coniuge, nonché con i fratelli e le sorelle (568).
I fratelli concorrono, oltre che con il coniuge, anche con i genitori o con gli ascendenti del de cuius
(570, 571, 582). Se sono gli unici eredi, i fratelli e le sorelle succedono in parti uguali: i fratelli e le
sorelle unilaterali (fratellastri), però, conseguono solo metà della quota che conseguono i germani
(fratelli veri e propri) (570). Quanto alla successione degli altri parenti, in mancanza di discendenti,
coniuge, genitore, ascendenti e fratelli o sorelle, l’eredità si devolve al parente o ai parenti prossimi,
senza distinzione di linea: il più vicino come grado di parentela escludendo i successivi, fino al
sesto grado (572). Dopo succede lo Stato.
3. Successione del coniuge. - Il coniuge ha sempre diritto di succedere, insieme ai discendenti del
de cuius. In mancanza di altri successibili (discendenti, ascendenti, fratelli o sorelle) al coniuge si
devolve la intera eredità (583). Quanto al concorso del coniuge con gli ascendenti ed i fratelli e
sorelle del de cuius, l’art. 582 gli riserva 2/3 dell’eredità nel concorso con gli ascendenti, con fratelli
e sorelle o con entrambe le categorie di successibili.
In caso di separazione o divorzio si rimanda al diritto di famiglia.
Nell’ipotesi di dichiarazione di nullità del matrimonio dopo la morte del de cuius, al coniuge
superstite di buona fede spettano gli ordinari diritti successori: egli è escluso però se il de cuius era
legato da valido matrimonio al momento della morte (584).
Al coniuge superstite spettano il diritto di abitazione sulla casa adibita a residenza familiare e il
diritto di uso sui mobili che la corredano.
4. Successione dello Stato. - In mancanza di altri successibili, per l’art. 586, l’eredità è devoluta
allo Stato. Presupposto è che l’eredità sia vacante, ossia che non esistano successori testamentari o
successori legittimi o che nessuno di essi possa accettare l'eredità ad esempio per prescrizione del
diritto di accettare. Tale ipotesi si differenzia dalla eredità giacente in cui l'eredità è priva di un
attuale titolare ma è ancora possibile l'accettazione da parte di uno dei chiamati. Lo stato non può
rinunziare all’eredità. Lo Stato non risponde dei debiti ereditari e dei legati oltre il valore dei beni
acquistati.
B) SUCCESSIONE TESTAMENTARIA
6. Istituzione di erede e legato. - La institutio ex re certa: Si è già accennato alla distinzione tra
successione a titolo universale e successione a titolo particolare. Prevede l’art. 588, che le
disposizioni testamentarie, qualunque sia l’espressione utilizzata dal testatore, sono a titolo
universale e attribuiscono la qualifica di erede, se comprendo l’universalità o una quota dei beni del
testatore; le altre disposizioni sono a titolo particolare e attribuiscono la qualità di legatario. La
differenziazione dei concetti di eredità e legato è fondamentale.
Innanzitutto mentre l'eredità si acquista con l'accettazione, il legato si acquista senza bisogno di
accettazione, salvo la facoltà di rinunziare. Inoltre mentre il possesso continua nell'erede fino al
momento dell'apertura alla successione, il legatario deve domandare all'onerato il possesso della
cosa legata. Ancora mentre l'erede risponde dei debiti ereditati, il legato non risponde dei debiti
ereditari ed è tenuto all'adempimento del legato e di ogni altro onere a lui imposto solo nei limiti di
valore di quanto ricevuto.
Si ha instituito ex re certa, ovvero istituzione di erede per una data cosa, quando il testatore
attribuisce all'erede non una quota dell'intero patrimonio ereditario, ma una o più cose determinate.
In questo caso non si ha legato ma una vera istituzione di erede se il testatore ha inteso i beni
assegnati come rappresentativi di una quota o dell'intera eredità. (Es. lascio tutti i miei beni mobili
al mio primo figlio e tutti i miei beni immobili al mio secondo figlio).
7. Legati (tipologia e disciplina). - È una disposizione testamentaria a titolo particolare in base alla
quale ad un soggetto succede in uno o più rapporti determinati.
Il legato è istituto tipico della successione testamentaria e non trova riscontro nella successione
legittima; pur essendo nominato nel testamento, però, il legatario non diviene erede del defunto e
non risponde dei debiti che derivano dal legato ed è tenuto all'adempimento del legato e di ogni
altro onere nei limiti di valore di quanto ricevuto ( art. 671 c.c.); in altre parole il legatario è un
soggetto che è stato beneficiato dal testatore, una persona che dovrebbe ricevere vantaggio dalla
attribuzione ricevuta, cosa che non sempre accade per l'erede.
Proprio perché il legato di solito si risolve in un vantaggio, non è previsto che debba essere
accettato, come invece accade per l'eredità, ma è fatta salva, però, la facoltà di rinunciare (art. 649
c.c.).
Il legato è quindi un atto di liberalità che il testatore ha voluto fate nei confronti del legatario, anche
se questa caratteristica può a volte non verificarsi, come nel caso in cui il testatore imponga un
onere al legatario pari al valore del legato.
Il testatore ha quindi deciso di favorire una o più persone ( fisiche o giuridiche) con il legato, ma chi
dovrà eseguire la prestazione oggetto del legato?
Ci risponde l'art. 662 c.c. che la pone a carico degli eredi, se il testatore non ha disposto nulla in
proposito; ma il testatore può aver indicato chiaramente tutti gli eredi o uno o più legatari
(sublegato) come obbligati, o anche un solo erede ( art. 663 c.c.). In quest'ultimo caso l'erede
indicato sarà il solo a dover adempiere, mentre negli altri casi l'obbligo grava in proporzione della
rispettiva quota di eredità o di legato, se il testatore non ha stabilito diversamente. I soggetti
incaricati di adempiere sono anche chiamati "onerati", mentre il legatario è detto "onorato".
L'acquisto del legato avviene ipso iure senza che sia necessaria accettazione. L'accettazione non è
quindi necessaria, ma è pur sempre possibile rinunciare, solo che per la rinuncia non è previsto
alcun termine; per questo motivo l'art. 650 c.c. permette di agire innanzi alla autorità giudiziaria
affinché questa fissi un termine al legatario per la rinuncia. La particolarità di questa specie di actio
interrogatoria sta nel fatto che se il legatario lascia trascorrere il termine senza che abbia espresso
alcuna dichiarazione, la conseguenza non sarà la rinunzia implicita, ma, al contrario, la perdita della
facoltà di rinunziare.
Il legatario, inoltre, non potrà più rinunziare quando abbia esercitato il diritto oggetto del legato.
La rinunzia, a differenza della rinunzia dell'eredità, è un negozio abdicativo unilaterale, proprio
perché si perde un diritto di cui si è già titolare.
Ma cosa può avere ad oggetto il legato?
Si ne distinguono in merito all'oggetto due fondamentali tipi:
1) legato di specie: quando ha ad oggetto la proprietà o altro diritto reale su un bene o su una quota
di bene determinato appartenente al testatore; il diritto si trasmette al legatario al momento della
morte del testatore e il possesso del bene può essere domandato all'onerato anche se ne sia stato
dispensato dal testatore;
2) legato di quantità: è valido il legato di una cosa individuata solo nel genere; in tal caso l'onerato
dovrà fornire al legatario cose di qualità non inferiore alla media; a lui, inoltre, spetta di eseguire
la specificazione, se il testatore non abbia incaricato lo stesso legatario o un terzo (art. 664 c.c.).
In merito al legato di quantità sono necessarie alcune importanti osservazioni. Può accadere, infatti,
che il testatore abbia incaricato l'onerato di soddisfare il legato di una cosa generica, senza
specificare se questa si trovi o meno nel suo patrimonio. È valido il legato di cosa determinata solo
nel genere ( art. 653 c.c) anche se la cosa non si trovi nel patrimonio del testatore. Quando il
testatore ha lasciato la cosa generica o specifica da prendersi dal proprio patrimonio, il legato non
ha effetto se la cosa non si trova nel patrimonio del testatore al tempo della sua morte ( art. 654
c.c.);
Ma cosa accade se il testatore ha indicato come oggetto del legato una cosa che appartiene a un
terzo o addirittura all'onerato?
Secondo l'art. 651 il legato è nullo, ma se risulta dal testamento o da altra dichiarazione scritta che il
testatore sapeva che la cosa era di altri, il legato è valido; in tal caso l'onerato sarà obbligato ad
acquistare la proprietà della cosa dal terzo e dovrà trasferirla al legatario. Se però la cosa legata pur
appartenendo ad altri al tempo stesso testamento, si trova nella proprietà del testatore al momento
della sua morte il legato è valido.
Oltre alla fondamentale distinzione che abbiamo appena fatto, il codice civile elenca ancora
numerosi tipi di legato. Esaminiamoli sinteticamente.
Il prelegato, previsto dall'art. 661 c.c., è invece il legato di cui beneficiario sia uno degli eredi o più
coeredi. Questi cumula pertanto le due qualità di coerede onerato e di legatario, in ragione di due
distinte attribuzioni patrimoniali: istituzione di erede ed attribuzione di legato.
Il beneficiato non confonde mai, tuttavia, i due distinti titoli di acquisto; può dunque acquistare il
legato e rinunciare all'eredità.
Il prelegato è considerato legato per l'intero ammontare della successione: esso grava pertanto su
tutta l'eredità e quindi anche sulla quota spettante allo stesso legatario in qualità di erede.
Infine si ha il legato di credito: può avere ad oggetto un credito (e in tal caso il legatario diviene il
nuovo creditore) o la liberazione da un debito ( e di conseguenza il legatario è liberato dal debito
che aveva nei confronti del testatore).
8. Capacità di ricevere per testamento e capacità di disporre per testamento. - Circa la capacità
di ricevere per testamento, nella parte dedicata alla capacità a succedere si è già evidenziato come il
legislatore preveda forme di incapacità relativa di ricevere per testamento (596, 597, 598). In tal
ipotesi le disposizioni a favore dell’incapace sono considerate nulle.
Quanto alla capacità di disporre per testamento, tre sono i casi di incapacità di disporre per
testamento (591): la minore età, l’interdizione per infermità di mente e l’incapacità di intendere e di
volere nel momento della reazione del testamento. In tali ipotesi il testamento è annullabile, su
domanda di chiunque ne abbia interesse. L'azione si prescrive in 5 anni dal giorno in cui è stata data
esecuzione alla disposizione testamentaria.
9. Forma del testamento. - Il testamento è negozio formale (solenne). Nessuno può imporre al
testatore una determinata forma.
La distinzione di fondo è tra testamenti ordinati e testamenti speciali.
a) Tra i testamenti ordinari si distingue (601) il testamento olografo, dai testamenti per atto di
notaio. Il testamento olografo è il testamento scritto per intero, datato e sottoscritto di mano del
testatore (602). Le stesse caratteristiche del testamento olografo costituiscono requisiti di validità
del medesimo: autografia, sottoscrizione e data. Autografia vuol dire che il testamento deve
essere scritto interamente di suo pugno dal testatore. Non sarebbe valido un testamento olografo
redatto a macchina. Quando alla data anch'essa deve essere apposta di pugno dal testatore e deve
contenere l'indicazione del giorno, mese ed anno. Diverse sono le conseguenze in caso di
mancanza di uno dei 3 requisiti: se manca l'autografia o la sottoscrizione il testamento è nullo, se
manca la data o se la data non è autografa il testamento è annullabile su istanza di chiunque ne
abbia interesse. Tale azione si prescrive in 5 anni. Il testamento olografo ha il duplice vantaggio
della segretezza e della economicità; esso però presenta una forma precaria, dato che potrebbe
mancare chiarezza da parte del testatore e sia difficile ricostruire la sua volontà e potrebbe essere
esposto a rischio di sottrazione o alterazione. Per ovviare a questo problema il testatore può
sempre depositare presso un notaio il testamento e può ritirarlo in ogni momento (608). I
testamenti per atto di notaio presentano costi, ma forniscono garanzia per il testatore. Il
testamento pubblico (603) è ricevuto dal notaio in presenza di due testimoni. In presenza dei
testimoni, il testatore dichiara le sue ultime volontà, che, a cura del notaio, sono ridotte in
iscritto, il notaio dà lettura al testatore del testamento e da menzione nello stesso testamento di
tali formalità. Il notaio da chiarezza alle disposizioni testamentarie; esso deve indicare la data e il
luogo del ricevimento, l’ora della sottoscrizione: deve essere sottoscritto, oltre che dal testatore,
anche dai testimoni e dal notaio. Il testamento segreto (604) è scarsamente impiegato. La scheda
testamentaria viene letta dal testatore o da un terzo; se è scritta dal testatore deve essere
sottoscritta dal medesimo alla fine delle disposizioni; se è scritta da altro soggetto, o se scritta
con mezzi meccanici, deve portare la sottoscrizione del testatore anche in ciascun mezzo foglio,
unito o separato. La scheda deve essere sigillata e consegnata al notaio in presenza di due
testimoni. L’atto viene sottoscritto dal testatore, dai testimoni e dal notaio (605). Anche il
testamento segreto può essere ritirato in ogni momento da parte del testatore (608). I testamenti
per atto di notaio sono nulli qualora manchi la reazione per iscritto da parte del notaio, delle
dichiarazioni del testatore o la sottoscrizione dell’uno o dell’altro (606). Per ogni altro difetto di
forma il testamento è annullabile.
b) Testamenti speciali concernono i presupposti e l’efficacia. In relazione ai presupposti, è il
legislatore che in corrispondenza di particolari situazioni tassativamente prededeterminate
(epidemie, calamita, operazioni belliche) autorizza talune deroghe sotto il profilo formale nella
redazione del testamento. L’efficacia è limitata nel tempo. Così infatti il testamento, redatto in
costanza di epidemie o viaggio in nave perde efficacia tre mesi dopo la cessazione della causa
che ha impedito al testatore di avvalersi delle forme ordinarie (610). Il testamento dei militari
perde la sue efficacia dopo il ritorno del testatore in un luogo dove è possibile far testamento
nelle forme ordinarie.
10. Pubblicazione. - Il testamento olografo deve essere presentato ad un notaio per la pubblicazione
da chiunque ne sia in possesso, appena giunta la notizia della morte del testatore. Il notaio procede
alla pubblicazione del testamento in presenza di due testimoni, redigendo un apposito verbale nel
quale descrive lo stato del testamento e ne riproduce il contenuto. Se il testamento è stato depositato
dal testatore presso il notaio, la pubblicazione è eseguita dal notaio depositario. Una volta avvenuta
la pubblicazione il testamento ha esecuzione. La pubblicazione è operazione assolutamente
necessaria per portare a conoscenza dei terzi interessati alla successione del testatore le ultime
volontà del medesimo.
Analoga esigenza di pubblicazione del testamento non sussiste nell'ipotesi di testamento pubblico
che è di per se eseguibile: qualunque interessato ne potrà prendere conoscenza una volta che dal
notaio il testamento sia passato dal fascicolo e repertorio speciale degli atti di ultima volontà a
quello generale degli atti notarili.
Il testamento segreto deve essere aperto e pubblicato dal notaio appena gli perviene la notizia della
morte del testatore (621).
13. Onere. - L’onore o modus, consiste in un peso posto dal testatore o dal donante a carico del
beneficiario dell'attribuzione gratuita. In cui si ravvisa la differenza con la condizione in quanto
l'onere obbliga ma non sospende l'efficacia della disposizione. Il modus, da non confondere con
l'onere, è qualificato come elemento accidentale del negozio giuridico. L'onore può essere apposto
tanto nei confronti dell'erede quanto al legatario. Qualora l'onore sia illecito o impossibile si
considera come non apposto. Rende però nulla la disposizione se ha costituito il motivo
determinante. Per l'adempimento dell'onere può agire chiunque ne abbia interesse.
Particolarmente interessante è la posizione dell'istituito che dovrà restituire i beni alla sua morte.
Secondo l'articolo 693 del codice civile l'istituito ha il godimento e l'amministrazione dei beni che
formano oggetto della sostituzione e può compiere tutte le innovazioni dirette ad una loro migliore
utilizzazione. A lui si applicano, in quanto applicabili, le norme relative all'usufruttuario.
Si è parlato, in conseguenza di ciò, di proprietà temporanea o risolubile, ma altra dottrina preferisce
individuare questo caso come ipotesi di usufrutto o, infine come proprietà gravata da un vincolo
reale di indisponibilità.
Il sostituito (cioè l'ente o la persona che si occupano dell'interdetto), invece, non ha un diritto ma
una semplice aspettativa di diritto che si realizzerà al momento della morte dell'istituito.
Alla morte dell'istituito l'eredità si devolve al sostituito, ma potrebbe accadere che questi muoia
prima dell'interdetto. In tal caso l'istituito acquista la piena disponibilità dei beni ereditari che
passeranno, alla sua morte, ai suoi successori legittimi.
La sostituzione di cui ci stiamo occupando è l'unica ammessa dal codice civile, ed è anche chiamata
"fedecommesso assistenziale" ; ribadiamo che ogni altro tipo di sostituzione che non abbia le
finalità assistenziali che abbiamo visto è nulla.
15. Diritto di accrescimento. - Qualora venga meno uno dei chiamati, l’istituto dell’accrescimento
consente, a determinate condizioni, l’espansione automatica della quota a lui spettante agli altri
successori.
I presupposti sono indicati dall’art. 674: i coeredi devono essere chiamati nello stesso testamento,
nella universalità dei beni e senza determinazione di parti o in parti uguali; uno dei chiamati non
può o non vuole accettare l’eredità; sull’accrescimento prevalgono, nell’ordine, l’eventuale volontà
contraria del testatore ed il diritto di rappresentazione.
L’accrescimento opera automaticamente, cioè di diritto in costanza di una chiamata congiuntiva e
solidale. La quota spettante al chiamato venuto meno si accresce automaticamente senza ulteriore
accettazione dei coeredi.(676). Si è evitato invece che nel diritto il rappresentazione il rappresentate
succeda al de cuius solo a seguito di un atto di accettazione dell'eredità a lui devoluta.
Nel legato (675) è sufficiente che la chiamata concerna lo stesso oggetto, mentre si tende ad
escludere il requisito dell’unicità del testamento.
Qualora non sussistano i presupposti per l’accrescimento la porzione di eredità dell’erede mancante
si devolve secondo i criteri della successione legittima, mentre la pozione del legatario mancante va
a profitto dell’onerato (677).
17. Esecutore testamentario. - Il testatore può nominare uno o più esecutori testamentari (700), i
quali, apertasi la successione e accettato l’incarico, devono curare che siano esattamente eseguite le
disposizioni di ultima volontà del defunto (703). L'esecutore non è un rappresentante del de cuius.
L’ufficio è gratuito, a meno che il testatore abbia stabilito una retribuzione sull’eredità. Per essere
nominato deve avere la capacità di obbligarsi e può essere un erede o un legatario. La nomina di un
esecutore testamentario rappresenta una garanzia di corretta esecuzione della propria volontà.
L'esecutore deve attenersi a quanto previsto nel testamento. L'esecutore, salva diversa volontà del
testatore, deve amministrare la massa ereditaria prendendo possesso dei beni che ne fanno parte. Il
possesso non può durare più di un anno dall'accettazione. Tale termine può essere prorogato solo
una volta dal l'autorità giudiziaria. Nell'amministrazione l'esecutore deve usare la diligenza del buon
padre di famiglia. L'alienazione dei beni ereditati deve essere sempre espressamente autorizzata
dall'autorità giudiziaria, sentiti gli eredi. Al termine della gestione l'esecutore è tenuto a rendere
conto della sua attività, e in caso di colpa è tenuto al risarcimento del danno verso gli eredi e i
legatari.
CAPITOLO 3
DIRITTI DEI LEGITTIMARI
1. Nozione di legittimario. - Con la disciplina della successione dei legittimari viene apprestata
tutela a talune categorie di soggetti, i cui diritti l’ordinamento intende garantire in sede successoria,
in considerazione dello stretto vincolo familiare che li lega al de cuius. Nel bilanciamento tra
l’interesse del soggetto alla piena disponibilità dei propri beni e l’interesse dei componenti del
nucleo familiare, il legislatore accorda una spiccata preferenza al secondo, riservando a determinati
successibili del defunto (legittimari) una certa quantità di beni da calcolarsi sul patrimonio
complessivo del medesimo.
La quota che spetta ai legittimari viene comunemente denominata legittima o riserva o
indisponibile: il de cuius, cioè non può disporre di tale quota né per testamento né a titolo di
liberalità (in vita). Si parla di successione necessaria e i legittimari sono anche chiamati eredi
necessari. La quota di riserva si contrappone alla cosiddetta quota disponibile, cioè la quota del
patrimonio di cui ciascun soggetto può liberamente disporre per testamento. La quota che spetta al
legittimario non può essergli sottratta e in ciò consiste il principio di intangibilità della legittima.
Tale principio va inteso in senso quantitativo e non qualitativo: al legittimario deve pervenire un
certo quantitativo di beni per un determinato ammontare e al testatore è consentito comporre la sua
quota come meglio crede. Tale principio trova piena applicazione nell’art. 549, che vieta al testatore
di imporre pesi e condizioni sulla quota spettante ai legittimari.
Sono legittimari: il coniuge, i figli, e, in assenza dei figli, gli ascendenti (536). E’ da evidenziare che
i fratelli non fanno parte dei legittimari.
Erede legittimo è colui cui spetta succedere in assenza, totale o parziale, di vocazione testamentaria;
erede legittimario è colui nella successione a favore del quale deve essere comunque ricompreso un
quantitativo di beni almeno pari a quello che l’ordinamento gli riserva con riferimento al patrimonio
complessivo del de cuius.
La tutela del legittimario contrasta con l’interesse del soggetto a disporre liberamente del proprio
patrimonio. Risultano frequenti le proposte di limitare la portata.
2. Categorie dei legittimari. - Categoria privilegiata è quella dei figli, i quali concorrono solo col
coniuge superstite ed escludono dalla successione nella legittima gli ascendenti. Se il genitore lascia
un solo figlio, a questi spetterà metà del patrimonio; se i figli sono più, loro riservata la quota di 2/3,
da dividere in parti uguali tra tutti i figli (537).
Qualora l'unico figlio concorra con il coniuge superstite, a ciascuno spetta un terzo del patrimonio.
Ove con il coniuge concorra più di un figlio, al coniuge spetta 1/4 del patrimonio ed ai figli la metà
da dividersi i parti uguali. Se mancano i figli il coniuge concorre con gli ascendenti del de cuius e
gli spetta comunque metà del patrimonio, mentre agli ascendenti solo 1/4 compete. In ogni caso, al
coniuge superstite spetta il diritto di abitazione sulla casa adibita a residenza familiare e di uso sui
mobili che la corredano, se di proprietà del defunto o comuni.
Al coniuge separato, spettano gli stessi diritti successori del coniuge non separato, se la separazione
personale non gli sia stata addebitata (548). Ove la separazione gli sia stata addebitata, ha solo
diritto ad un assegno vitalizio, se al momento dell’apertura della successione godeva degli alimenti
a carico del coniuge defunto. Col divorzio, vengono meno i diritti successori.
4. Azione di riduzione. - È l'azione concessa al legittimario che ha visto ledere, in tutto o in parte,
la sua quota di legittima a causa delle disposizioni testamentarie o delle donazioni effettuate dal
defunto. Con questa azione si tende ad ottenere la riduzione delle disposizioni testamentarie o delle
donazioni allo scopo di reintegrare la quota di legittima.
Abbiamo visto come si calcola la quota riservata ai legittimari; se da questo calcolo risulta lesa, si
può agire con l'azione di riduzione;
riduzione di cosa?
Delle disposizioni testamentarie (legati compresi), delle donazioni effettuate che, appunto, si
riducono in modo da integrare la quota spettante al legittimario.
L'art. 557 c.c. ci indica chi sono i soggetti che possono proporre l'azione, ovvero i legittimati attivi: i
legittimari lesi in tutto o in parte nella loro quota di legittima, i loro eredi o aventi causa.
Come si vede il diritto alla legittima ( e alla relativa azione) può essere trasmesso per atto tra vivi o
mortis causa ( si parla, infatti, di "eredi o aventi causa").
Il diritto è "irrinunciabile" finché il donante è in vita, ma la rinuncia può avvenire dopo la morte del
donante.
Potrebbe accadere che il de cuius abbia posto in essere delle vendite simulate, per evitare l'azione di
riduzione; in questo caso al legittimario converrà prima dimostrare la simulazione e poi agire in
riduzione.
Vediamo, ora, chi sono i legittimati passivi: eredi, legatari o donatario, coloro, cioè, che sono stati
beneficiari della disposizione lesiva.
Ma come si riducono le disposizioni lesive?
La riduzione delle disposizioni testamentarie avviene proporzionalmente, senza distinguere tra eredi
e legatari.
Tuttavia se il testatore abbia dichiarato che una disposizione deve avere effetto a preferenza delle
altre, questa disposizione non si riduce, se non quando il valore delle altre non sia sufficiente a
integrare la quota riservata ai legittimari. Qualora la riduzione delle disposizioni testamentarie non
sia sufficiente a soddisfare le ragioni del legittimario leso, si riducono le donazioni, cominciando
dall'ultima e risalendo via via alle anteriori.
L'azione di riduzione è soggetta alla prescrizione ordinaria decennale.
5. Azione di restituzione. - I beneficiari possono restituire spontaneamente i beni al legittimario,
ma nel caso in cui ciò non avvenga, si potrà ancora agire con una nuova azione, l'azione di
restituzione ( artt. 561 c.c. e ss.).
Scopo dell'azione di restituzione è quello di far conseguire il pieno possesso dei beni al legittimario,
ed è esperibile sia contro i beneficiari sia contro gli aventi causa da questi.
Nel caso di restituzione della cosa donata, se la stessa è perita per causa imputabile al donatario o ai
suoi avanti causa, o in caso di insolvenza del donatario, sorgerà un diritto di credito nei confronti
del donatario, ma se questo risulterà insolvente saranno gli eredi e gli altri donatari anteriori a
sopportare le conseguenze di questa insolvenza.
Se i donatari contro i quali è stata pronunziata la riduzione hanno alienato a terzi gli immobili
donati e non sono trascorsi venti anni dalla trascrizione della donazione, il legittimario, premessa
l'escussione dei beni del donatario, può chiedere ai successivi acquirenti, nel modo e nell'ordine in
cui si potrebbe chiederla ai donatari medesimi, la restituzione degli immobili.
L'azione per ottenere la restituzione deve proporsi secondo l'ordine di data delle alienazioni,
cominciando dall'ultima. Contro i terzi acquirenti può anche essere richiesta la restituzione dei beni
mobili, oggetto della donazione, salvi gli effetti del possesso di buona fede.
Il terzo acquirente può liberarsi dall'obbligo di restituire in natura le cose donate pagando
l'equivalente in danaro.
1. Comunione ereditaria. - Si ha comunione dell'eredità quando più persone, per effetto di una
vocazione congiuntiva, acquistano l'eredità. Abbiamo, quindi, la figura del coerede che è titolare
"pro quota" dell'asse ereditario insieme agli altri eredi, si tratta quindi, di titolarità di una quota
ideale dei beni ereditari, e non di una parte determinata di questi. Non partecipa alla comunione
ereditaria il legatario.
I coeredi contribuiscono tra loro al pagamento dei debiti e pesi ereditari in proporzione delle
rispettive quote ereditarie, salvo diversa disposizione del testatore. Il legatario è esente dal
pagamento dei debiti ereditari, tuttavia se ha estinto il debito di cui era gravato il fondo legato,
subentra nelle ragioni del creditore contro gli eredi (756). Nel caso in cui un coerede adempia
all’obbligazione in una misura eccedente alla sua quota, egli avrà il diritto di rivalsa nei confronti
degli altri coeredi. Per quanto concerne i crediti del de cuius, questi potranno essere riscossi da un
solo coerede.
La quota ereditaria è un bene alienabile. L’art. 732 stabilisce che il coerede che intende alienare la
propria quota deve notificare la proposta agli altri coeredi, i quali hanno diritto di prelazione (ratio
nella concentrazione dell’eredità in pochi soggetti). Deve trattarsi di atto a titolo oneroso. Il diritto
di prelazione deve essere esercitato entro 2 mesi dalla notificazione, trascorsi i quali l'erede sarà
libero di alienare la sua quota anche ad estranei all'eredità. In caso in cui il coerede abbia alienato la
quota senza notificare l’intenzione di alienare agli altri coeredi, essi hanno diritto di riscattate la
quota dell’acquirente e da ogni altro successivo avente causa, finché dura lo stato di comunione
ereditaria. E’ questo il c.d. retratto successorio, negozio unilaterale recettizio, con efficacia reale,
che produce l’effetto di sostituire il coerede che l’abbia posto in essere nel diritto acquistato
dall’estraneo, con effetto dalla data di conclusione del contratto di alienazione a quest’ultimo. Nel
caso in cui più coeredi intendano acquistare la quota oggetto di prelazione, essa sarà assegnata, in
parti uguali, ai coeredi che intendono acquistare.
I coeredi godono in comunione i beni ereditari, ma questa può sempre essere sciolta per iniziativa
anche di uno solo di loro che non intenda più farne parte con la divisione dell'eredità.
2. Divisione fatta dal testatore e norme date dal testatore per la divisione. - La situazione di
comunione ereditaria si determina automaticamente, per effetto dell’acquisto pro quota dell’eredità
da parte dei chiamati. Una simile forma peculiare di contitolarità dei beni ereditari non si realizza
nell’ipotesi in cui sia stato il testatore stesso ad attribuire direttamente i beni ai coeredi. Il testatore,
ai sensi dell’art. 734, può dividere i suoi beni tra gli eredi: in tal caso, per effetto dell’accettazione,
costoro acquisteranno i beni senza passare per lo stato di comunione ereditaria. L’istituto,
denominato divisione fatta dal testatore, sostituisce la divisio inter liberos.
La divisione fatta dal testatore può anche non comprendere tutti i beni lasciati al tempo della morte
se non risulta una diversa volontà del testatore.
Viene considerata nulla la divisione dalla quale sia escluso qualcuno dei legittimari o degli eredi
istituti (735): è questa la divisione soggettivamente parziale. La dottrina tende però a salvare dalla
nullità, la divisione fatta dal testatore, qualora nell'asse ereditario il testatore abbia lasciato un
quantitativo tale di beni da soddisfare gli esclusi.
3. Collazione. - È il rimedio previsto dalla legge per aumentare la massa ereditaria grazie al quale i
figli, i loro discendenti, e il coniuge che hanno accettato l’eredità devono restituire alla massa
ereditaria tutti i beni che sono stati loro donati in vita dal defunto, in maniera tale da dividerli con
gli altri coeredi.
Prima ancora di approfondire la dinamica dell'istituto è importante sottolineare una differenza con
una situazione simile che abbiamo già visto parlando della lesione della quota di legittima, ci
riferiamo, cioè alla riunione fittizia della massa ereditaria.
La differenza è sostanziale, anche se di non immediata percezione;
accade, infatti, che nella riunione fittizia è necessario far rientrare nella massa ereditaria i beni che
sono stati donati dal coniuge per determinare la quota disponibile ( art. 556 c.c.).
I beni donati rientrano nella massa ereditaria ma solo per l'ammontare del valore necessario per
reintegrare la quota del legittimario che sia stata lesa dalle donazioni.
Nella collazione, invece, non ci sono legittimari da tutelare, ma una eredità da dividere, ed è
necessario che questa eredità sia completamente divisa comprendendo per intero anche i beni che vi
sono usciti a causa di donazioni.