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Fernando Bocchini Enrico Quadri

Riassunto dal manuale di “Diritto privato”(Giappichelli 2011, IV ed.)

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PARTE 1 - ORDINAMENTO GIURIDICO

CAPITOLO 1 – ORDINAMENTO GIURIDICO E REALTA’ SOCIALE


1. Società e diritto. L’esperienza giuridica; 2. Correlazioni del diritto con altre esperienze sociali; 3. La
valutazione giuridica della realtà materiale; 4. Ordinamento giuridico; 5. Diritto positivo e diritto naturale;
6. La scienza giuridica e le categorie generali; 7. I principali sistemi giuridici: civil law e common law.

1. Società e diritto. L’esperienza giuridica.


Ogni comunità ha bisogno del diritto (dal latino directus) per organizzarsi e vivere pacificamente; d’altra
parte il diritto è quanto rivolto alla disciplina dei rapporti umani per assicurare ad ogni aggregazione umana
una civile convivenza. Il diritto proviene dall’uomo ed è in funzione di esso in quanto portatore di interessi;
molti di questi interessi non sono realizzabili autonomamente dagli uomini, ma richiedono una aggregazione
di uomini in gruppi e l’impiego di cospicui beni e mezzi, dando così vita ad organizzazioni collettive
(associazioni, società, ecc.). Possiamo dunque dire che il diritto mira alla regolazione degli interessi e dei
comportamenti delle diverse entità sociali attraverso precetti giuridici.

2. Correlazioni del diritto con altre esperienze sociali.


L’esperienza giuridica è intrecciata con altre esperienze sociali, per assumere da queste singole motivazioni.
Un nesso importante ha assunto nelle società moderne il rapporto del diritto con l’economia; l’economia è il
parametro di programmazione ed impiego razionale dei mezzi di produzione, verso uno sviluppo sostenibile.
Altro discorso va fatto circa l’influenza della scienza che induce alla formazione di regole giuridiche in
grado di disciplinare le applicazioni della ricerca. Il giurista guarda al diritto come complesso di regole,
che consente una civile convivenza improntata ai valori operanti nell’ordinamento; in particolar modo è
chiamato ad applicare il diritto e ad individuare le regole vigenti, fissarne il significato e renderle operative
nel caso concreto.

3. La valutazione giuridica della realtà materiale.


Sia in relazione ad un interesse che ad un fatto materiale, il diritto può assumere un duplice atteggiamento:
di indifferenza, in quanto considerati irrilevanti e quindi non disciplinati, oppure di rilevanza, in quanto
ritenuti involgenti valori dell’ordinamento e quindi disciplinati. Un fenomeno risulta essere giuridicamente
disciplinato, quando l’interesse o il fatto materiale incide sul modo di essere e sentire della comunità sociale.
Il diritto svolge una funzione complessa in quanto è espressione dei valori sui quali la singola comunità è
edificata ed intende svilupparsi; è mezzo per garantire il dispiegarsi delle aspirazioni individuali secondo i
valori accolti.
Una tradizionale raffigurazione porta ad attribuire due significati al diritto: il diritto oggettivo indica
l’insieme dei precetti giuridici vigenti su cui si fondano i rapporti tra consociati o tra le diverse comunità (es.
la normativa sulla proprietà), mentre il diritto soggettivo indica il potere attribuito al privato di assumere un
determinato comportamento per realizzare un proprio interesse (es. il diritto del proprietario di godere e
disporre di un bene).

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4. Ordinamento giuridico.
L’ordinamento giuridico è il complesso di regole vincolanti di cui si dota una determinata comunità; tali
regole sono ordinate secondo una tavola formale ( l’ordinamento) attraverso un’organizzazione che ne
consente la formazione e ne presidia l’osservanza.
I connotati strutturali degli ordinamenti moderni sono la effettività e la completezza: la effettività
garantisce la produzione di regole giuridiche e l’applicazione in coerenza con le prerogative riconosciute ai
consociati; secondo invece il principio di completezza, ogni fattispecie deve trovare regolazione all’interno
dell’ordinamento.
Per quanto riguarda le istituzioni di riferimento, l’ordinamento statale è tradizionalmente configurato
come sovraordinato a tutti gli altri ordinamenti delle singoli formazioni sociali sussistenti sul territorio
statale, a presidio della stabilità di organizzazione della comunità nazionale. All’apice degli ordinamenti
giuridici statali delle società moderne vi sono le Costituzioni quali tavole dei valori e delle strutture nei quali
le società civili si riconoscono.
Venendo alla definizione del tessuto normativo, è possibile definire alcuni concetti basilari quali la norma
giuridica che è l’unità elementare dell’ordinamento, ossia la singola regola di comportamento e di
organizzazione della società; l’istituto giuridico esprime il compendio delle regole che disciplinano un
singolo fenomeno giuridico (es. matrimonio, proprietà). Il termine principi invece presenta diverse
accezioni: sono indicati con tale termine i valori fondamentali dell’ordinamento, assolutamente
inderogabili, oppure con tale termine si intendono anche le tecniche organizzative di singole discipline
giuridiche.
Infine annoveriamo le clausole generali che esprimono le tecniche di formazione; il contenuto precettivo
della norma è determinato attraverso l’impiego di formule generali che si completano in ragione
dell’evolvere della realtà socio-giuridica.

5. Diritto positivo e diritto naturale.


a)Il diritto positivo è il complesso delle regole costituenti l’ordinamento giuridico; l’osservanza del diritto
positivo vale a garantire la certezza del diritto e dunque la prevedibilità dell’applicazione delle regole.
A sua volta il diritto positivo si svolge in due dimensioni: diritto materiale e diritto strumentale.
Il diritto materiale (detto diritto sostanziale) regola i rapporti tra i soggetti, selezionando gli interessi
considerati meritevoli di tutela e quelli destinati a soccombere, attribuendo diritti ed obblighi (tali sono il
diritto civile e il diritto penale).
Il diritto strumentale (detto diritto formale) disciplina i meccanismi necessari per l’attuazione degli
interessi protetti(tali sono il diritto processuale e il diritto internazionale privato).
b) Il diritto naturale indica l’insieme di principi che derivano da fonti non formali, quali la natura umana o
la ragione etc. Esprime in sostanza le aspirazioni della società antagoniste al diritto formalmente posto.

6. La scienza giuridica e le categorie generali.


La scienza giuridica è pratica e teorica, in quanto da un lato individua i conflitti ed i valori suscitati dalle
relazioni umane , mentre dall’altro elabora le categorie logiche necessarie alla traduzione del dato reale
in norme giuridiche, consentendo il controllo dell’applicazione delle regole.
La scienza giuridica trova il proprio nutrimento nella realtà materiale, cogliendo l’essenza dei fenomeni
giuridici; ma si esprime attraverso i concetti, rappresentativi dei singoli fenomeni.
Le categorie generali quali concetti di rappresentazione giuridica delle dinamiche sociali, vanno
ammodernate secondo l’evolvere della realtà giuridica, adattate agli eventi e alle novità sociali riflesse
nell’ordinamento.

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7. I principali sistemi giuridici: civil law e common law.
Le esperienze giuridiche dei singoli paesi sono ricollegabili a due famiglie ordinamentali.
1)Il sistema di Civil law è il modello ordinamentale dominante a livello mondiale; si riconducono a tale
modello il nostro paese, i paesi dell’Europa continentale, i paesi del Sud America e dell’America centrale,
la Cina e molti altri paesi asiatici.
Trattasi di un diritto di fonte legislativa, in quanto i giudici sono tenuti ad applicare il diritto espresso dalle
leggi; i precedenti giudiziari non sono vincolanti, ma svolgono solo una funzione persuasiva dei giudici.
2) Il sistema del Common law è invece un modello ordinamentale di matrice anglosassone.
E’ attualmente in vigore in Gran Bretagna, Irlanda, Stati Uniti d’America (escluso lo Stato della Lousiana),
Canada, Australia.
E’ un diritto a formazione giudiziaria, sviluppatosi attraverso i precedenti delle decisioni giurisprudenziali;
vale la regola dello stare decisis, per cui il precedente giudiziario è vincolante per i giudici di pari grado o di
grado inferiore che successivamente giudicano il medesimo caso. Per discostarsene bisogna motivare la
novità del caso (nella struttura o con riferimento a principi dell’ordinamento, cd. distinguishing).

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CAPITOLO 2 – DIRITTO PRIVATO
1.Relatività della nozione di diritto privato; 2. Evoluzione medievale ed età moderna. Il diritto privato degli
Stati moderni; 3. Le codificazioni in senso moderno. Il codice civile francese (cod. nap.) e il codice civile del
1865; 4. Il codice civile tedesco (B.G.B); 5. Il codice civile del 1942; 6. Le costruzioni degli stati moderni;
7. La Costituzione repubblicana. Il primato della persona umana; 8. Il “pluralismo” ordinamentale e sociale;
9. Verso un diritto uniforme; 10. Il diritto privato europeo; 11. L’ambito attuale del diritto privato;
12. La capacità di diritto privato della pubblica amministrazione; 13. Il diritto dei privati e la
globalizzazione; 14. I fondamentali valori ordinatori.

1.Relatività della nozione di diritto privato.


Funzione essenziale del diritto è quella di garantire la pacifica convivenza dei consociati; è uno scopo
primario e generale che consente la coesione di una comunità e giustifica il formarsi di un ordinamento
giuridico. Ogni norma persegue anche uno scopo ulteriore e specifico essendo rivolta a selezionare gli
interessi in conflitto secondo una scala di valori determinata.
Perciò la configurazione del diritto privato è relativa, in quanto correlata alle aree di espansione del diritto
pubblico, e contingente, poiché destinata a mutare in ragione dell’evoluzione della struttura sociale.

2. Evoluzione medievale ed età moderna. Il diritto privato degli Stati moderni.


L’area del diritto privato si configura e delimita il variegato svolgersi della esperienza giuridica.
a)Esauritasi l’attualità dell’ordinamento romano, l’Europa medievale era stata caratterizzata dalla
contemporanea esistenza di una pluralità di fonti del diritto: da una parte, il diritto romano giustinianeo
(corpus iuris civilis), e dall’altra, il diritto della Chiesa (corpus iuris canonici).
Tale molteplicità di fonti non era stata di ostacolo al formarsi di un diritto comune, sia per la comune lingua
utilizzata dai giuristi, sia perche la generalizzata coesistenza era assicurata attraverso un meccanismo per cui
i diritti particolari trovavano applicazione solo in assenza del diritto comune.
b) Con il sec. XIII emergono valori terreni come la valorizzazione del lavoro e la positività del danaro.
Lo sviluppo dei traffici dà luogo al formarsi di uno ius mercatorum incentrato sulle esigenze di difesa del
diritto di proprietà e di stabilità dei rapporti sociali. La figura del mercante si impone ai proprietari terrieri e
ai produttori artigiani, come artefice del collocamento dei prodotti in aree geografiche sempre più vaste.
c) La qualità di commerciante è accordata dal sovrano e quindi dal potere statale; la statalizzazione del
diritto è vissuta come concentrazione nello Stato della produzione e dell’applicazione delle regole
giuridiche.
Il metodo razionalistico di interpretazione della realtà approda ad una valorizzazione della soggettività
dell’individuo contro il potere assoluto; viene dapprima enfatizzata la libertà del volere come essenziale
elemento di sviluppo sociale ed economico. La volontà indica il momento finale di processi individuali
razionali: l’esplicazione della volontà realizza il contenuto dei diritti naturali.
Mentre il diritto pubblico si caratterizza quale disciplina dell’organizzazione dello Stato e dei rapporti tra
lo Stato ed il cittadino, il diritto privato si pone come disciplina dei rapporti tra privati; entrambi i diritti
esprimono diverse sfere di incidenza in ragione della natura degli interessi regolati: il diritto pubblico segna
il campo degli interessi generali, mentre il diritto privato fissa l’ambito degli interessi particolari.

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3. Le codificazioni in senso moderno. Il codice civile francese (Cod. Nap.) e il codice civile del 1865.
I codici sono considerati universali ed immutabili e quindi utilizzabili nel tempo e in più paesi.
Nella compilazione, il codice si presenta come un sistema di norme strutturato in modo organico
(per riguardare un intero settore dell’esperienza giuridica) e sistematico (per l’ordinamento logico che
lo sorregge).
Massima espressione di tale impostazione è il code civil des francais promulgato il 21 marzo 1804, forgiato
secondo i principi espressi dalla rivoluzione francese. Il diritto privato con il codice napoleonico, diviene
diritto dello Stato, che fa propri i valori e le aspirazioni della società civile.
Al codice napoleonico si conformeranno prima i codici di singoli Stati italiani preunitari, poi il cod. civ.
del 1865 , il quale nel prendere a modello il cod. nap., ebbe il torto di non riflettere la realtà socio-economica
che nel frattempo si era andata evolvendo.

4. Il codice civile tedesco (B.G.B).


Si sviluppa in Germania nella prima metà dell’800 la cd. scuola storica del diritto che ricostituisce la
società come attraversata da una perenne evoluzione, contro la universalità razionale dei giusnaturalisti.
Massima espressione della dogmatica pandettistica fu l’elaborazione del codice civile tedesco (Burgerliches
Gesetzbuch) indicato con le iniziali B.G.B, adottato nel 1896 in vigore dal 1 gennaio 1900.
Con un linguaggio tecnico e colto la materia del diritto privato è pensata ed organizzata secondo categorie
logiche generali; elaborato da professori, non è accessibile all’uomo comune ma ai tecnici del diritto.

5. Il codice civile del 1942.


Il codice civile del 1942 muove dall’impianto del code civile, ma utilizza tecniche di generalizzazione
proprie del B.G.B., come la previsione di “disposizioni generali” e l’introduzione di “clausole generali”.
Tratto saliente del codice civile fu quello della unificazione della normativa civilistica e commercialistica
in un unico codice.
Il cod. civ. del 1865 regolava in via esclusiva persone, famiglia, successioni e proprietà; mentre la disciplina
di impresa (e della navigazione) era collocata nel codice di commercio, obbligazioni e contratti erano
disciplinati in entrambi i codici.
Il codice civile del 1942 è tuttora in vigore. A tale longevità hanno concorso due circostanze: l’una interna
al codice, per l’ampio impiego di clausole generali (come buona fede, diligenza), l’altra esterna al codice,
per il processo di novellazione cui è continuamente assoggettato, vuoi con la sostituzione o modificazione di
normative, vuoi con l’aggiunta di nuove discipline.

6. Le costituzioni degli stati moderni.


I valori che pervadono i codici di inizio ‘800 orientano le costituzioni degli Stati moderni, che sanciscono le
libertà e le garanzie dei cittadini verso lo Stato; si apre così la strada alle costituzioni scritte, che hanno il
compito di riconoscere i diritti dei cittadini nei confronti dello Stato, e segnare i rapporti tra lo Stato stesso ed
i consociati (cd. Stato costituzionale).
Espressione di tale stagione è lo Statuto albertino del 1848 contenente una parte intitolata “Diritti e doveri
dei cittadini” rivolto alla regolazione della organizzazione dello Stato.
E’ in generale ribadito il modello dello Stato di diritto; connotato primo di tale modello è il principio di
legalità, per cui tutti sono soggetti alla legge. Poiché il diritto ha la essenziale funzione di garanzia della
coesistenza degli individui, vi è connesso il principio della certezza del diritto: non solo della esistenza
della regola giuridica, ma anche della sua applicazione e tutela attraverso i meccanismi che ne garantiscono
l’attuazione. Il criterio guida è espresso dal principio di eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge,
senza distinzione di classe o di censo.

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7. La Costituzione repubblicana. Il primato della persona umana.
Dalla seconda metà dell’ 800 affiorano più eventi che sconvolgono il tessuto socio-economico.
Sul piano economico, la rivoluzione industriale soppianta la ricchezza agraria, ed emerge la
concentrazione dei capitali; i rapporti con le banche si rivelano essenziali nell’approvvigionamento
dei mezzi di produzione.
Sul piano sociale la industrializzazione determina la concentrazione della forza lavoro nelle aree
industriali, con l’aggregazione in strutture sindacali degli interessi collettivi dei lavoratori per migliori
condizioni salariali.
In campo politico l’universalismo è contraddetto dagli equilibri di potere che la borghesia emergente
instaura con le classi tradizionalmente detentrici del potere.
Anche la Costituzione repubblicana introduce garanzie e tutele contro i poteri di fatto della società civile.
Una sinergia ideologica sorregge le scelte della Carta costituzionale: culture diverse convergono verso
l’affermazione di valori fondativi comuni. Le varie culture si incontrano sul principio della dignità e del
primato della “persona umana” che pervade l’intera Carta costituzionale.
Il principio personalista esprime la sintesi dei diritti fondamentali della persona umana, riflettendosi sulla
regolamentazione delle relazioni sociali.

8. Il “pluralismo ordinamentale e sociale.


L’ispirazione pluralistica si esprime in due direzioni: ordinamentale e sociale.
a) Il pluralismo ordinamentale importa il riconoscimento di altri ordinamenti giuridici con i quali
coordinare l’azione dell’ordinamento giuridico statale; il criterio si lega alla dottrina della “pluralità degli
ordinamenti”.
b) Il pluralismo sociale implica la limitazione del diritto statale in favore degli statuti dei gruppi; tale
limitazione è legata alla valorizzazione dei gruppi, valutati come mezzi privilegiati di sviluppo della persona
umana.

9. Verso un diritto uniforme.


Dopo un lungo periodo di diritto comparato, teso allo studio del confronto tra i vari ordinamenti nazionali,
è da tempo in corso la ricerca di un diritto uniforme.
Dapprima il fenomeno si è sviluppato nel solco di un diritto strumentale uniforme, e di un diritto
internazionale privato uniforme, allo scopo di fissare criteri uniformi di individuazione dell’ordinamento
applicabile alla fattispecie che presenti elementi di collegamento con più ordinamenti.
Ma con l’accrescersi delle relazioni sociali ed economiche tra cittadini di paesi diversi è avvertita l’esigenza
di un diritto materiale uniforme e cioè di una regolazione uniforme delle singole materie, allo scopo di
realizzare maggiore certezza dei rapporti giuridici.

10. Il diritto privato europeo.


Il diritto europeo rappresenta una spinta incisiva alla formazione di un diritto uniforme; è in atto un processo
di costruzione di un diritto privato europeo attraverso un duplice percorso, in quanto da una lato, con la
formazione di un diritto comunitario, ossia di una disciplina del diritto privato proveniente dall’alto,
attraverso le Convenzioni europee e l’intervento normativo delle istituzioni europee; dall’altro , con
l’elaborazione di un diritto comune e cioè di un insieme di criteri e categorie uniformi provenienti dal
basso.
Oggi tutti i settori del diritto privato sono attraversati dalla forza unificatrice del diritto europeo: d’altra
parte l’adozione della moneta unica europea (l’euro) ha comportato la cessione della sovranità nazionale in
tema di politica monetaria. Il terreno più concreto di formazione di un diritto uniforme è quello degli scambi
commerciali e delle organizzazioni economiche; è per questo motivo emerso un diritto dei contratti e dei
consumatori destinato a formare il nucleo di un futuro eventuale codice europeo di diritto privato.

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11. L’ambito attuale del diritto privato.
Nella formazione degli stati moderni si è delineata una separazione tra diritto privato e diritto pubblico in
ragione di un duplice criterio: da un lato la diversità delle sfere di influenza, dall’altro, la natura degli
interessi regolati.
C’è al fondo di tale dicotomia un netto divario tra società civile e Stato, che rilascia ai privati la
realizzazione di interessi particolari, attraverso i meccanismi della parità giuridica degli stessi, e demanda
allo Stato il perseguimento dell’interesse generale attraverso gli strumenti autoritativi della sovranità.
Sempre più spesso lo Stato è portato ad intervenire nella sfera dei rapporti privati e talvolta ad orientare lo
sviluppo socioeconomico in funzione di un benessere generale.
In questo contesto si dilatano i confini del diritto privato.
Resiste il criterio di distinzione fondato sulla natura degli interessi regolati, per cui al diritto pubblico
inerisce la cura dell’interesse generale, mentre al diritto privato è demandata la realizzazione degli interessi
particolari.
L’interesse particolare involge il diritto privato ed è realizzabile solo attraverso i meccanismi di diritto
privato; viceversa l’interesse generale è realizzabile sia con gli strumenti istituzionali del diritto pubblico
(espressivi di sovranità), che con gli strumenti del diritto privato (esplicativi di parità giuridica).

12. La capacità di diritto privato della pubblica amministrazione.


Tutte le amministrazioni pubbliche comprese quelle statali devono godere di diritti e sono quindi dotate di
capacità generale di diritto privato. Mentre gli enti privati possono essere o meno dotati di personalità
giuridica, tutti gli enti pubblici sono dotati di personalità giuridica.
La capacità di diritto privato della pubblica amministrazione consiste nell’attitudine della stessa ad essere
titolare di diritti e doveri (capacità giuridica) e di compiere atti giuridici (capacità di agire).
Allorquando gli enti pubblici agiscano mediante strumenti di diritto privato, c’è però da coniugare i principi
dell’autonomia privata improntati all’autodeterminazione e alla libertà di perseguimento degli interessi,
con i principi che presiedono l’azione pubblica, caratterizzati da potere discrezionale.
L’intreccio tra i due profili è reso possibile dal dovere di osservanza da parte della pubblica amministrazione
di un cd. procedimento di evidenza pubblica, ossia un procedimento interno all’ente, che precede la stipula
del contratto e svolto secondo scansioni fissate dalla legge al fine di garantire la realizzazione dell’interesse
pubblico. La procedimentalizzazione amministrativa (ossia il conseguirsi concatenato di atti tipici da parte
della pubblica amministrazione) nella determinazione dell’interesse da realizzare, consente di verificare il
rispetto della legge e l’uso corretto della discrezionalità, garantendo la trasparenza dell’azione della pubblica
amministrazione.

13. Il diritto dei privati e la globalizzazione.


Accanto al diritto dettato dallo Stato per i rapporti tra privati pulsa un diritto dei privati espresso dagli stessi
privati nei gruppi. L’autonomia collettiva dei gruppi dà luogo a statuti che si impongono ai singoli
partecipanti come diritto proprio della specifica comunità.
Fondamentale limite all’esplicazione dell’autonomia collettiva è che lo statuto si riveli coerente con i
valori dell’ordinamento espressi dalla Carta costituzionale.
L’ammodernamento delle tecniche di produzione e distribuzione di massa, l’evoluzione delle modalità di
erogazione dei servizi, favoriscono lo sviluppo di relazioni economiche tra paesi diversi e sempre più lontani,
soggette a regolamentazioni uniformi imposte dalle multinazionali.
Si rafforza così un fenomeno di controllo privato dell’economia, emerso con la produzione e distribuzione di
massa: la grande impresa riesce ad imprimere una standardizzazione comportamentale che involge la stessa
organizzazione dei mercati e delle relazioni industriali. La globalizzazione acuisce una concorrenza
economica senza regole che coinvolge modelli comportamentali ed una politica salariale al ribasso.

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14. I fondamentali valori ordinatori.
Al modello di Stato sociale di diritto è ormai ispirato anche l’ordinamento europeo che sta evolvendo verso
una regolazione delle relazioni sociali, indirizzando bisogni e risorse verso uno sviluppo equilibrato e
sostenibile.
Emerge così una tutela di valori, che coniuga legalità e giustizia nel segno della tutela e della dignità della
persona umana quale valore primario.
La dimensione dello Stato di diritto involge il terreno proprio dei cd. diritti civili, considerati inviolabili sia
da parte dei poteri pubblici che dei privati (es. diritti di libertà di pensiero, di fede religiosa); connesso con
tali valori è il principio di libertà in campo economico, attraverso il riconoscimento dell’autoregolazione
degli interessi privati (cd. autonomia negoziale).
a)Lo Stato di diritto è presidiato da più principi. C’è innanzitutto il principio di legalità, per cui tutti sono
soggetti alla legge; i giudici sono soggetti soltanto alla legge ed i pubblici uffici sono organizzati secondo
disposizioni di legge; l’osservanza della stessa è garanzia d’ordine e dunque di rispetto della libertà dei
cittadini.
Altro principio fondamentale è quello della certezza del diritto, riferito non solo alla esistenza del diritto ma
anche alla sua applicazione (principio di effettività); ciò implica l’accessibilità alla conoscenza del diritto,
affinché siano conoscibili sia la prescrizione precettiva che le conseguenze della sua violazione.
Essenziale è anche il principio di eguaglianza (cd. eguaglianza formale): per tale norma tutti i cittadini
hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, razza, lingua,
religione, opinioni politiche, condizioni personali e sociali.
La dimensione dello “Stato sociale” (Welfare State): è una dimensione conformata sul dovere di solidarietà,
nei rapporti dei privati con i poteri pubblici, come nei rapporti tra i privati.
b) Secondo il comma 2 dell’art. 3 Cost. è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine
economico e sociale che, limitando la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo
della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e
sociale del Paese.

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CAPITOLO 3 – FONTI ED APPLICAZIONE DEL DIRITTO
1.Regole giuridiche e fonti del diritto; 2. Caratteri e tipologia delle norme giuridiche; -A) FONTI DEL
DIRITTO. 3. Fonti di produzione e fonti di cognizione; 4. Tipologia e gerarchia delle fonti; 5. Costituzione e
leggi costituzionali (il controllo di legittimità costituzionale); 6. Diritto europeo; 7. Leggi (statali e regionali);
8. Regolamenti; 9. Usi; 10. L’emersione di nuove fonti; -B) APPLICAZIONE DEL DIRITTO. 11. Efficacia
nel tempo (obbligatorietà delle norme); 12. Efficacia nello spazio (diritto internazionale privato);
13. Interpretazione della legge. Criteri; 14. Risultati dell’interpretazione. L’analogia; 15. L’equità;
16. Il cd. diritto vivente.

1. Regole giuridiche e fonti del diritto.


Il tema delle fonti del diritto tende ad individuare la specificità delle regole giuridiche tra le tante regole che
sorreggono lo svolgimento quotidiano delle relazioni sociali (morali, religiose). In ciò si coglie l’importanza
di una disciplina delle fonti del diritto, con la quale sono regolati i modi con i quali le norme vengono ad
esistenza e sono rese conoscibili.
A suggellare l’importanza di un tale sistema, in apertura del codice si è posta la normativa relativa alle
disposizioni sulla legge in generale, denominate anche disposizioni preliminari al codice civile
(o preleggi) per indicare il fatto che precedono il codice civile.

2. Caratteri e tipologia delle norme giuridiche.


La norma giuridica incarna l’unità elementare dell’ordinamento giuridico, esprimendo la singola regola di
comportamento o di organizzazione della società; alcuni caratteri sono comuni a tutte le norme giuridiche
(caratteri generali), altri sono riferiti a singole categorie di norme (caratteri particolari).
a)Caratteri generali. I caratteri generali sono riferiti a tutte le norme giuridiche, per inerire all’essenza
stessa delle norme come regole di vita sociale: sono la esteriorità e la plurilateralità.
La esteriorità indica che le regole giuridiche, selezionando i vari interessi espressi dalla società, impongono
i comportamenti conformi all’ordinamento, mentre quelle non giuridiche (morali, religiose) toccano la
coscienza degli uomini e sono quindi avvertite prima che osservate.
Le norme giuridiche impongono i comportamenti relazionati alla società civile, fissando le conseguenze
della relativa violazione o osservanza.
Con la plurilateralità invece si intende che le norme sono rivolte a regolare posizioni e comportamenti di
soggetti nei confronti di altri soggetti e delle istituzioni.
b) Caratteri particolari. I caratteri particolari sono invece riferiti a singole categorie di norme.
E’ possibile delineare 3 criteri di suddivisione delle norme a seconda che si abbia riguardo alla struttura, e
cioè alla formula letterale, alla funzione e quindi alla regola di condotta, alla efficacia e cioè all’imperatività.
1)Con riferimento alla struttura, viene in esame la formulazione letterale della norma. Di regola la norma è
formata da un precetto che fissa la regola di comportamento (cd. norma primaria), che stabilisce la
conseguenza della inosservanza del precetto (cd. norma secondaria): sono queste le cd. norme perfette per
connettere all’antigiuridicità del comportamento, la conseguenza della relativa violazione.
Sono rare le norme che si limitano ad una mera indicazione della condotta, senza prevedere conseguenze per
la violazione e per l’inosservanza; ciò avviene quando la norma intende solo indicare dei modi generali di
comportamento: sono le cd. norme imperfette, perché non si connette al precetto una conseguenza
immediata e diretta.
2) Con riguardo alla funzione, vengono in rilievo il fondamento e gli obiettivi della regola di condotta.
Bisogna perciò analizzare la portata del profilo prescrittivo (precetto) e l’atteggiarsi di quello coercitivo
(sanzione).
a)In relazione al precetto, con la edificazione dello Stato moderno hanno acquisito rilevanza i caratteri della
generalità e dell’astrattezza della norma giuridica.

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Specificamente la generalità ha riguardo al profilo soggettivo del precetto, per indicare che la norma si
applica a tutti i soggetti che si trovano nella particolare situazione o che hanno avuto il determinato
comportamento. L’astrattezza inerisce invece al profilo oggettivo del precetto e vale ad indicare la
situazione o il comportamento regolati dalla norma.
Tale caratterizzazione implica un raffronto tra una cd. fattispecie astratta che esprime il fatto in astratto
regolato dall’ordinamento, con i caratteri della generalità e dell’astrattezza, ed una cd. fattispecie concreta
che indica il fatto oggetto di valutazione da parte dell’ordinamento.
E’ possibile distinguere inoltre le norme generali dalle norme speciali.
Sono norme generali (o di diritto comune) quelle che riguardano tutti i rapporti di un determinato tipo
e si applicano alla generalità dei soggetti; sono invece norme speciali (o di diritto speciale) quelle che
in ragione di elementi di specificità sono inerenti a particolari materie. Talvolta le norme speciali
si atteggiano come norme eccezionali per operare in circostanze specifiche o per far fronte a particolari
evenienze.
b) Quanto alla sanzione si è già parlato della distinzione tra norme perfette ed imperfette, a seconda che il
precetto sia munito o meno di sanzione; tale sanzione è espressione della imperatività dell’ordinamento
giuridico, in quanto in grado di imporre con la forza l’osservanza della norma (cd. coercibilità o coattività).
La sanzione ha una funzione punitiva per chi viola un precetto (con la commissione di una pena a carico del
trasgressore), ed anche una funzione dissuasiva della violazione (inducendo la minaccia della pena
all’osservanza della norma).
Vi è un’altra fondamentale distinzione tra norme di diritto materiale (o sostanziale) e norme di diritto
strumentale (o formale): le prime (dette proibitive) sono norme di reintegro di interessi lesi e tendono alla
regolazione dei rapporti sociali, mentre le seconde (dette ordinative) sono norme di presidio
dell’organizzazione sociale e dell’attività giuridica.
3) In relazione alla efficacia viene in rilievo il grado di imperatività della prescrizione.
Di regola, quando non sono in gioco valori fondamentali dell’ordinamento, quest’ultimo può rimettere ai
privati la valutazione di convenienza dell’applicazione di alcune regole.
Rilevano così due categorie di norme giuridiche: le norme imperative (dette cogenti o inderogabili),
che non consentono deroghe ai privati, e le norme dispositive che sono operanti, ma contro la volontà dei
destinatari.
Le norme dispositive a loro volta si atteggiano in duplice modo: come norme dispositive in senso stretto,
quando sono derogabili dai privati che possono far prevalere un proprio accordo sulla regola giuridica, e
come norme suppletive, quando operano in via residuale, allorchè i privati non abbiano apprestato una
diversa regola pattizia.

A)FONTI DEL DIRITTO


3. Fonti di produzione e fonti di cognizione.
a)Le fonti di produzione sono le fonti del diritto in senso stretto in quanto sono i fatti generatori delle
norme giuridiche, rispetto al quale le norme rappresentano il risultato; affinché tale efficacia si produca, è
necessario che le fonti stesse siano previste e disciplinate da specifiche norme giuridiche, al fine di garantire
la legalità nella produzione del diritto e la certezza della sua esistenza.
b) Le fonti di cognizione sono gli atti e gli strumenti pubblici rivolti a procurare la conoscenza delle
regole giuridiche; le stesse non sono produttive di diritto, ma solo della conoscibilità dello stesso (sono fonti
di cognizione la Gazzetta Ufficiale e il Bollettino Ufficiale della Regione).
Quando in singoli settori, più normative si sono stratificate nel tempo, è frequente il ricorso a testi unici che
riordinano la disciplina di un settore al fine di facilitarne la cognizione e quindi l’applicazione; di regola tali
testi unici, redatti dal governo su delega del parlamento, si limitano a riorganizzare le norme esistenti.

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4. Tipologia e gerarchia delle fonti.
Si è soliti dividere le fonti di produzione in due categorie: fonti-atto e fonti-fatto.
Le fonti-atto attengono all’attività di particolari autorità cui è attribuita la potestà di produrre norme
giuridiche (cd. fonti soggettive o volontarie); il diritto proveniente da fonti-atto è tipicamente
diritto scritto (es. leggi).
Le fonti-fatto invece esprimono l’operare di comportamenti e situazioni cui l’ordinamento attribuisce
rilevanza giuridica, limitandosi a fissare i meccanismi di tale rilevanza (cd. fonti oggettive); per l’emergere
spontaneo del diritto dal corpo sociale si tratta di diritto non scritto (es. usi).
Le disposizioni sulla legge in generale prevedevano originariamente 4 specie di fonti, gerarchicamente
organizzate: le leggi (tra cui erano ricompresi i codici quali discipline giuridiche delle singole branche),
i regolamenti, le norme corporative e gli usi.
Il sistema delle fonti di produzione del diritto si è modificato nel tempo rispetto al quadro originario
e perciò si è ridisegnato e gerarchicamente organizzato:
1)Fonti primarie (Costituzione e leggi costituzionali; Diritto europeo);
2) Leggi (statali e regionali) e atti assimilati;
3) Regolamenti;
4) Usi.

5. Costituzione e leggi costituzionali (il controllo di legittimità costituzionale),


La Costituzione della Repubblica italiana, in vigore dal 1 Gennaio 1948 è una costituzione rigida,
occorrendo uno speciale procedimento per la sua revisione.
Si apre con la formulazione dei “Principi fondamentali” che esprimono i valori portanti della Carta
repubblicana. Seguono due distinte parti: la prima intitolata “Diritti e doveri dei cittadini”, la seconda
“Ordinamento della Repubblica”.
I Principi fondamentali e la Prima parte toccano il diritto privato per riguardare le prerogative dei privati
nonché i rapporti del cittadino con l’autorità pubblica, mentre la Seconda parte è di interesse del diritto
costituzionale e del diritto amministrativo.
Norme particolari sono dettate per le leggi di revisione costituzionale e le altre leggi costituzionali (quando
le dette leggi non sono approvate da ciascuna delle Camere a maggioranza di 2/3 dei suoi componenti, sono
sottoposte a referendum popolare).
Alla Corte costituzionale è rimesso il controllo di legittimità costituzionale delle leggi e degli atti avente
forza di legge dello Stato e delle Regioni. La questione di legittimità costituzionale può essere sollevata da
una delle parti o dal giudice innanzi al quale pende il giudizio principale; il giudice, rilevata la
pregiudizialità della legittimità costituzionale della norma e verificata la non manifesta infondatezza
della questione, con ordinanza di rimessione sospende il giudizio e rinvia gli atti alla Corte costituzionale
dando inizio al procedimento per il controllo di costituzionalità.
Con la sentenza di accoglimento la Corte dichiara la illegittimità costituzionale della norma di legge o di
altro atto avente forza di legge: la norma cessa di avere effetto dal giorno successivo alla pubblicazione della
cessione con efficacia retroattiva.
Le sentenze di accoglimento tendono ad intervenire in vario modo sulla portata della disposizione impugnata
(cd. sentenze manipolative); si distinguono all’uopo 3 modelli di intervento: illegittimità di una sola parte
della disposizione (cd. sentenze di accoglimento parziale); illegittimità della disposizione nella parte in cui
non prevede quanto avrebbe dovuto prevedere conforme a Costituzione, integrato dalla Corte
(cd. sentenze additive); illegittimità della disposizione nella parte in cui prevede una disposizione anziché
un’altra diversa conforme a Costituzione, sostituita dalla Corte (cd. sentenze sostitutive).

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Con la sentenza di rigetto la Corte dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale
prospettata dall’ordinanza di rimessione; sono peraltro frequenti sentenze interpretative di rigetto con le
quali la Corte dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale perché il dubbio sollevato
dal giudice si fonda su una errata interpretazione della disposizione impugnata: la Corte, nel rigettare
la questione, fornisce l’interpretazione conforme a Costituzione che vale ad evitare la illegittimità
costituzionale della disposizione impugnata.

6. Diritto europeo.
Il tradizionale diritto internazionale era in origine formato di regole tra Stati; il diritto europeo supera
l’ottica del diritto internazionale e si atteggia come un sistema di diritti fondamentali che si articola in
due componenti: diritto europeo convenzionale, rappresentato dai Trattati con i quali la Comunità
europea e l’Unione europea si sono costituite e modificate, e il diritto europeo derivato, costituito dagli
atti normativi provenienti dagli organi costituzionali (il diritto convenzionale è gerarchicamente
sovraordinato al diritto derivato).
a)Il diritto convenzionale ha gradualmente segnato la nascita formale dell’ordinamento europeo.
Con il Trattato di Maastricht del 7 febbraio 1992 viene istituita l’Unione Europea, articolata su
3 pilastri di impegno: innanzitutto l’Unione è fondata sulle Comunità europee; assolve funzioni di
politica estera e di sicurezza comune; infine incide sulla cooperazione di polizia in materia penale.
Fallito il tentativo di formazione di una costituzione europea, l’intero impianto è soggetto ad una revisione
ad opera del Trattato di Lisbona che modifica il Trattato sull’Unione europea.
L’Unione europea non è più solo spazio di libera circolazione di persone, merci, servizi, capitali ma anche
una unione monetaria.
Con l’art. 3 vengono riformulati i principi indicati dal Trattato CE: attribuzione, sussidiarietà e
proporzionalità.
Per il principio di attribuzione l’Unione agisce esclusivamente nei limiti delle competenze ad essa
attribuite nei Trattari dagli Stati membri, per realizzare gli obiettivi da questi stabiliti.
Per il principio di sussidiarietà nei settori che non sono di sua competenza esclusiva, l’Unione interviene
soltanto se gli obiettivi dell’azione prevista non possono essere conseguiti in misura sufficiente dagli Stati
membri, ma possono essere conseguiti meglio a livello di Unione.
Il principio di sussidiarietà si esplica in una duplice direzione: orizzontale e verticale.
Il principio di sussidiarietà orizzontale delimita e protegge la sfera dell’autonomia dei privati
dall’intervento pubblico: l’intervento dei pubblici poteri si svolge quando determinate esigenze non sono
realizzabili attraverso l’azione dei privati.
Il principio di sussidiarietà verticale ha invece la funzione di ripartizione dei poteri tra le diverse
istituzioni
Infine per il principio di proporzionalità, il contenuto e la forma dell’azione dell’Unione si limitano a
quanto necessario per il conseguimento degli obiettivi dei Trattati.
b) Le fonti del diritto derivato sono state confermate dal Trattato di Lisbona che vi ha apportato le
precisazioni emerse nella giurisprudenza della Corte di giustizia: per esercitare le competenze dell’Unione, le
istituzioni adottano regolamenti, direttive, decisioni, raccomandazioni e pareri.
Il regolamento ha portata generale; è obbligatorio in tutti i suoi elementi ed è direttamente applicabile in
ciascuno degli Stati membri.
La direttiva vincola lo Stato membro cui è rivolta, relativamente al risultato da raggiungere.
Le direttive sono atti normativi sforniti di immediata applicabilità. La Corte di giustizia ha ritenuto che se la
direttiva è precisa e priva di condizioni relativamente alla fattispecie è immediatamente operante e
vincolante, ossia ha efficacia diretta.

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Tale efficacia opera nei rapporti tra cittadino e Stato (efficacia verticale), per il diritto al risarcimento dei
danni riconosciuti al cittadino, contro lo Stato che ne ha ritardato l’attuazione; non ha invece efficacia nei
rapporti tra cittadini (efficacia orizzontale).
La decisione è obbligatoria in tutti i suoi elementi per i destinatari designati.
Le raccomandazioni ed i pareri invece non sono vincolanti.
c) Anche la giurisprudenza della Corte costituzionale è evoluta in senso “europeista” delineando un primato
del diritto europeo, con i cd. “controlimiti” del rispetto dei principi fondamentali dell’ordinamento
costituzionale e dei diritti inalienabili della persona umana.

7. Leggi (statali e regionali).


La potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni, nel rispetto della Costituzione e dei vincoli
derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali.
In particolare la potestà legislativa è ripartita tra Stato e Regioni, con l’attribuzione di determinate materie
alla legislazione esclusiva dello Stato e l’attribuzione di altre specifiche materie alla legislazione
concorrente di Stato e Regioni; ogni altra materia non riservata alla legislazione (esclusiva o concorrente)
dello Stato, spetta alla legislazione esclusiva delle Regioni.
a)Iniziando con la legislazione statale, la funzione legislativa è esercitata dalle due Camere in più modi.
Il modo normale è quello che porta all’adozione di leggi in senso stretto (o in senso formale), ossia le
leggi ordinarie. Altre procedure coinvolgono l’attività del Governo che si affianca a quella delle Camere,
dando vita ad atti avente forza di legge.
Si ha decreto legislativo (o delegato) quando la funzione legislativa è esercitata dal Governo su delega
delle Camere che nella cd. legge delega devono determinare principi e criteri direttivi, nonché il limite di
tempo e l’oggetto su cui legiferare.
Si ha decreto legge quando la funzione legislativa è esercitata dal Governo senza preventiva delegazione
delle Camere: ciò può avvenire solo in casi straordinari di necessità e d’urgenza, ma il Governo deve il
giorno stesso presentarli per la conversione (tali decreti perdono efficacia se non sono convertiti in legge
entro 60 giorni dalla loro pubblicazione).
Assimilati alle leggi sono i codici quali testi organici ordinati e ordinanti di un’intera materia

8. Regolamenti.
La potestà regolamentare spetta allo Stato nelle materie di legislazione esclusiva; spetta alle Regioni
in ogni altra materia. I Comuni, le Province e le Città metropolitane hanno potestà regolamentare in ordine
alla disciplina dell’organizzazione e dello svolgimento delle funzioni loro attribuite.
E’ fissato un doppio ordine gerarchico: tutti i regolamenti non possono contenere norme contrarie alle
disposizioni delle leggi; i regolamenti emanati da autorità diverse dal Governo non possono dettare norme
contrarie a quelle dei regolamenti emanati dal Governo.
I regolamenti si distinguono dagli atti e provvedimenti amministrativi per essere questi ultimi
espressioni di potestà amministrativa e destinati alla cura di interessi pubblici, con effetti diretti nei
confronti di una pluralità di destinatari non determinati nel provvedimento, ma determinabili.
I regolamenti sono invece espressione di una potestà normativa attribuita all’amministrazione
disciplinando rapporti giuridici mediante una regolamentazione attuativa o integrativa della legge.
I regolamenti si distinguono dalle circolari, per essere queste atti interni privi di rilevanza normativa;
tali circolari mirano ad indirizzare e disciplinare l’attività degli organi inferiori.

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9. Usi.
Gli usi si qualificano come fonti-fatto in quanto espressivi di comportamenti e situazioni cui
l’ordinamento attribuisce rilevanza giuridica. L’art. 8 che regola gli usi normativi, è eccessivamente
sintetico e da ciò conseguono 3 ordini di problemi relativi ai requisiti, alla rilevanza e alla conoscenza.
a)Quanto ai requisiti nulla è detto dalla legge; per la configurabilità di un uso normativo, devono ricorrere
2 requisiti: l’uno, di natura oggettiva, consistente nella uniforme e costante ripetizione di un
comportamento; l’altro, di natura soggettiva, consistente nella consapevolezza di prestare osservanza
ad un precetto giuridico.
b) Quanto alla rilevanza, degli usi non si fa menzione nella Carta costituzionale.
La relativa disciplina è rimessa alla legge ordinaria, sicché la rilevanza degli usi non può mai interferire
con quella di norme primarie; la rilevanza degli usi, tradizionalmente operante nelle relazioni commerciali,
si è andata riducendo con l’accrescersi della statualità del diritto.
Nelle materie regolate dalle leggi e dai regolamenti, gli usi hanno efficacia solo in quanto sono da essi
richiamati; sono i cd. usi secundum legem, in quanto è lo stesso atto normativo (legge o regolamento)
a rinviare all’uso. Si ricava implicitamente anche un altro principio, e cioè che gli usi operano anche nelle
materie non regolate dalle leggi o dai regolamenti; sono questi invece i cd. usi praeter legem.
L’uso però non può mai operare contro la legge, in quanto gerarchicamente subordinato alla legge
(sono inammissibili usi contra legem).
c) Quanto alla conoscenza, si pone il problema della prova della esistenza. Gli usi pubblicati nelle raccolte
ufficiali degli organi a ciò autorizzati, si presumono esistenti fino a prova contraria: la pubblicazione dell’uso
implica solo una presunzione legale semplice di esistenza che ammette la prova contraria di non
sussistenza o permanenza.

10. L’emersione di nuove fonti.


Alle fonti del diritto si vanno aggiungendo ulteriori fonti che assumono influenza sempre più rilevante.
Il discorso riguarda principalmente le cd. Autorità amministrative indipendenti, in ragione della
complessità istituzionale che le caratterizza e della varietà di poteri attribuiti alle stesse.
Sono amministrazioni indipendenti la cui istituzione è giustificata da istanze eterogenee, dotate di strutture
organizzative diversificate e soggette a variegate discipline (sono amministrazioni indipendenti dal Governo
e quindi dalla politica).
Si pensi alla Banca d’Italia per l’attività di controllo delle altre banche; alla Consob per il controllo delle
società quotate in borsa; all’Isvap per il controllo delle attività assicurative.
Una peculiare funzione svolge l’Autorità garante per la protezione dei dati personali: tale autorità ha la
finalità di garantire che il trattamento dei dati personali si svolga nel rispetto dei diritti e delle libertà
fondamentali, nonché nel rispetto della dignità dell’interessato, con particolare riferimento alla riservatezza,
alla identità personale.

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B) APPLICAZIONE DEL DIRITTO
11. Efficacia nel tempo (obbligatorietà delle norme).
Delineate le fonti del diritto, bisogna aver riguardo all’applicazione delle norme nel tempo e nello spazio.
L’efficacia della norma nel tempo indica la durata dell’obbligatorietà della stessa, cioè il tempo in cui
la norma è effettivamente applicabile, ossia il termine dell’entrata in vigore e quello della perdita di vigore
(abrogazione).
a)Per l’entrata in vigore della norma non è sufficiente che sia esaurita la procedura di formazione di tale
norma, in quanto è necessario però che la stessa sia resa pubblica, cioè legalmente conoscibile.
Le leggi sono promulgate dal Presidente della Repubblica entro 1 mese dall’approvazione, tranne il
diverso termine indicato dalle Camere; di regola le leggi ed i regolamenti diventano obbligatori nel
15° giorno successivo a quello della loro pubblicazione (in particolari casi è dichiarata l’immediata
obbligatorietà della legge con la sua mera pubblicazione (leggi catenaccio).
b) Quanto alla perdita di vigore, leggi e regolamenti sono abrogati rispettivamente, da leggi e regolamenti
posteriori in modo espresso o tacito.
Si ha abrogazione espressa quando c’è abrogazione da parte dell’ordinamento; si ha invece abrogazione
tacita o perché le nuove disposizioni sono incompatibili con le precedenti, o perché la nuova normativa
regola l’intera materia già regolata in precedenza in modo da assorbirla.
Per l’abrogazione però è necessario che la normativa abrogante sia di grado superiore o omogeneo
a quello della normativa abrogata. Un modo di abrogazione delle leggi ed atti aventi forza di legge è il
referendum popolare, ammesso quando lo richiedono 500.000 elettori o 5 Consigli regionali.
L’abrogazione non fa perdere efficacia alla norma per il tempo in cui è stata in vigore; anche se una norma
è abrogata, la stessa continua a regolare i fatti intervenuti sotto il suo vigore. In ciò è la profonda differenza
con la dichiarazione di incostituzionalità di una norma, cessando questa di avere efficacia dal giorno
successivo alla pubblicazione della decisione.

12. Efficacia nello spazio (diritto internazionale privato).


Lo sviluppo dell’industrializzazione e della circolazione di persone, capitali e merci ha accresciuto
i rapporti personali e commerciali tra soggetti di paesi diversi; la globalizzazione ha ulteriormente
accentuato il fenomeno, instaurando relazioni tra soggetti di diversa nazionalità, o anche tra due cittadini
in relazione ad un bene situato all’estero, oppure un cittadino italiano che sposi una straniera.
Vuoi per la nazionalità dei soggetti o per altre ragioni, la fattispecie presenta profili di estraneità rispetto
all’ordinamento italiano e criteri di collegamento con più ordinamenti.
Per le fattispecie non riconducibili ad un unico ordinamento, c’è l’esigenza di individuare l’ordinamento
dello Stato dove “localizzare” il singolo rapporto per individuare l’apposito ordinamento in grado di
regolarlo.
Il diritto internazionale privato è appunto un diritto interno che regola i rapporti tra privati aventi punti
di contatto con più ordinamenti, determinando il diritto applicabile; le norme di diritto internazionale privato
sono norme di diritto strumentale in quanto si limitano ad individuare l’ordinamento che deve regolarla.
Il procedimento di individuazione dell’ordinamento applicabile si articola in due passaggi.
Prima di tutto bisogna compiere la qualificazione del rapporto, ossia definire la natura del rapporto da
regolare (es. rapporto coniugale, successorio); successivamente si deve fissare il collegamento della
fattispecie con uno specifico ordinamento secondo i criteri fissati dalle norme di diritto internazionale
privato (ad es. il possesso e i diritti reali sono regolati dalla legge dello Stato in cui i beni si trovano).

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Le norme del diverso ordinamento possono valere all’interno dell’ordinamento dello Stato quando
quest’ultimo compie un rinvio a tali norme.
Il rinvio è fisso (materiale o recettizio) quando è richiamato uno specifico atto in vigore in altro
ordinamento, ordinando ai soggetti dell’applicazione del diritto, di applicare le norme di tale atto normativo
come norme interne; è invece mobile (formale o non recettizio) quando è richiamato non uno specifico atto
di altro ordinamento ma una fonte di esso.
Grave problema si prospetta quando l’ordinamento al quale si rinvia la normativa di diritto internazionale
privato, a sua volta rinvia ad altro ordinamento.
In ogni caso sussistono due tipi di limiti all’applicazione della legge straniera.
Prima di tutto operano le cd. norme di applicazione necessaria: in presenza di tali norme prevalgono le
norme italiane che si ritengono dovere essere applicate nonostante il richiamo alla legge straniera.
Sono norme espressive di valori di rilevanza costituzionale (controllo preventivo).
Quando la legge straniera risulti formalmente applicabile, non è applicata se i suoi effetti sono contrari
all’ordine pubblico (controllo successivo).

13. Interpretazione della legge. Criteri.


La norma giuridica si compone di un dato fenomenico, rappresentato dal testo, ossia dalla formula, e
di un messaggio derivante da tale formula, che costituisce il precetto (la regola vincolante per i destinatari).
La stessa norma giuridica ha bisogno di essere interpretata e richiede un’attività intellettiva di
determinazione del relativo significato.
Il fine dell’interpretazione artistica si esaurisce nell’intimità dell’interprete, mentre il fine
dell’interpretazione giuridica si proietta nella realtà esteriore, imponendosi come regola di comportamento.
L’unica interpretazione vincolante nei confronti dei consociati è l’ interpretazione autentica, proveniente
dallo stesso organo che ha emanato la norma: tale interpretazione ha la funzione di chiarire i dubbi sollevati
dalla relativa applicazione attraverso l’indicazione precettiva del significato da attribuire alla norma
(cd. norme interpretative)
Quando ciò non avviene c’è da attribuire un significato alla norma per regolare i vari comportamenti:
ne consegue che la scelta del metodo di interpretazione non può essere lasciata alla libertà del singolo
soggetto, ma deve rispettare precise regole giuridiche in modo da risultare univoco l’esito
dell’interpretazione.
a)Il primo criterio è rappresentato dalla interpretazione letterale, ossia bisogna attribuire alla norma il
senso delle parole secondo la connessione di esse.
b) Il secondo criterio è costituito dall’interpretazione logica, in cui nella determinazione del significato
della norma, è essenziale la ricerca del fondamento e dello scopo perseguito della stessa, ossia
l’individuazione dell’interesse che si voleva soddisfare con l’emanazione della specifica legge:
la cd. ragione giustificativa (ratio legis).
c) Anche se non previsto dall’art. 12 disp. prel, nell’interpretazione evolutiva, non solo bisogna integrare
la norma nell’ordinamento in cui si è formata, per ricercare la valutazione originaria del legislatore che la
volle (cd. legislatore storico), ma bisogna anche reintegrarla nell’ordinamento nel frattempo evolutosi,
per ricercare la valutazione successiva dell’ordinamento rinnovato (cd. legislatore attuale).

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14. Risultati dell’interpretazione. L’analogia.
Lo svolgimento del procedimento interpretativo conduce a determinare la portata della regola applicabile.
a)Possono prospettarsi 3 risultati dell’interpretazione.
Il modello più semplice è quello dell’interpretazione dichiarativa, dove la portata della regola coincide
con il significato della lettera del testo.
Si dà luogo ad una interpretazione estensiva quando il significato ricostruito della regola è più ampio di
quello ricavabile dal testo della norma; all’opposto si dà luogo ad una interpretazione restrittiva quando il
significato ricavato è più limitato rispetto a quello derivante dalle parole del testo.
b) Se una controversia non può essere decisa con una precisa disposizione, si ha riguardo a disposizioni che
regolano casi simili o materie analoghe; se il caso rimane ancora dubbio, si decide secondo i principi generali
dell’ordinamento giuridico dello Stato (criterio dell’analogia).
Se il caso concreto non è previsto dal legislatore, bisogna ricorrere alla disciplina di casi simili o di materie
analoghe cui attingere la regola mancante (è questa la vera e propria analogia, detta analogia legis perché la
regola del caso concreto è mutuata da uno specifico testo normativo).
Presupposto per il ricorso alla analogia legis è che il caso regolato non sia riconducibile alla ratio
(alla ragione giustificatrice) di una norma che regola una diversa fattispecie.

15. L’equità.
Nel nostro sistema giuridico l’equità non è una fonte del diritto, bensì un criterio di giudizio di cui si avvale
il giudice per risolvere una controversia insorta. Il giudice può pronunziare secondo l’equità o perché la
legge gli accorda espressamente il potere, o perché c’è concorde richiesta delle parti, quando si tratta di diritti
disponibili. Il ricorso al criterio di equità tende ad interagire con l’applicazione del principio di buona fede,
specie nell’accezione della giurisprudenza quale espressione del principio di solidarietà.

16. Il cd. diritto vivente.


L’interpretazione giurisprudenziale proviene dall’autorità giudiziaria ed è determinativa dell’applicazione
delle leggi al caso pervenuto all’attenzione dei giudici. L’art. 2909 stabilisce che “l’accertamento contenuto
nella sentenza passata in giudicato fa stato ad ogni effetto tra le parti, i loro eredi o aventi causa”;
la delimitazione degli effetti della decisione comporta che lo stesso caso possa essere risolto da altri giudici
in modo diverso.
Fondamentali sono prima di tutto , le pronunzie della Corte di giustizia dell’Unione Europea, la quale
finisce con il formulare il diritto europeo applicato, vincolante per i giudici nazionali quando non è in
contrasto con la Costituzione.
La norma vive nella realtà giuridica nel significato normativo che ad essa attribuisce la giurisprudenza
e con il quale è applicata: è il cd. diritto vivente, che è poi il diritto applicato. In tal caso il principio della
certezza del diritto rimane assicurato non solo dalla certezza della norma vigente, ma anche dalla univocità
dell’interpretazione della stessa, in modo da rendere possibile la prevedibilità della regola applicata.
Una dimensione diversa assume l’interpretazione dottrinale proveniente dagli studiosi del diritto che
ha un’autorevolezza morale che favorisce l’intervento legislativo.

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PARTE II – CATEGORIE GENERALI

CAPITOLO 1 – SOGGETTO E PERSONA


1.Soggettività e personalità; 2. Tipologia; 3. Soggetto e status.

1.Soggettività e personalità.
I destinatari delle regole di cui si sostanzia l’ordinamento giuridico sono identificati nelle persone fisiche e
nelle persone giuridiche: il nostro ordinamento giuridico assolve la funzione di individuare i propri soggetti,
ossia i titolari degli interessi presi in considerazione e disciplinati mediante le norme finalizzate alla
risoluzione dei relativi conflitti.
Con la formula di soggetto giuridico (o di diritto) si intende alludere alla qualità di possibile punto di
riferimento di rapporti giuridici; è una nozione di carattere formale collegata alla potenziale titolarità di
situazioni giuridiche soggettive, con il riconoscimento da parte dell’ordinamento di quella attitudine ad
essere titolare di situazioni giuridiche soggettive (capacità giuridica).
Il soggetto giuridico era riconosciuto come una categoria unitaria di carattere formale, atta a comprendere
sia le persone fisiche che giuridiche: le prime considerate soggetti di diritto in quanto uomini, mentre le
seconde considerate soggetti di diritto in quanto riconosciute attraverso meccanismi predisposti
dall’ordinamento.

2. Tipologia.
Sono considerate soggetti giuridici innanzitutto, le persone fisiche.
Il riconoscimento della uguale qualità di soggetto giuridico ad ogni uomo in quanto considerato
(come persona) centro di imputazione di situazioni giuridiche attive e passive non valeva ad evitare
discriminazioni sul piano della capacità giuridica.
Quanto alle persone giuridiche, per le associazioni, le fondazioni e le altre istituzioni di carattere privato,
l’acquisto della personalità giuridica è ricollegato al riconoscimento; è il riconoscimento ad assumere un
valore costitutivo della qualità di soggetto giuridico, evidenziandosi per gli enti, la dipendenza di tale qualità
dalla volontà creatrice dell’ordinamento.

3. Soggetto e status.
Dato che gli ordinamenti moderni sono fondati sul principio di uguaglianza, ciò consente di guardare
all’uomo nella veste di soggetto giuridico, in una prospettiva che prescinde da ogni considerazione relativa
al suo stato o condizione sociale, intesi nel senso di appartenenza a classi, ceti e caste.
Con il concetto di stato (o status) non ci si riferisce più ad una qualità del soggetto ricollegata alla classe,
ceto di appartenenza, bensì ad una situazione giuridica soggettiva che indica la posizione del soggetto
rispetto a determinati gruppi sociali organizzati e costituisce il presupposto dell’insieme di diritti ed obblighi
che si ricollegano alla relativa appartenenza; si tratta di una autonoma situazione giuridica, la quale viene
come tale tutelata dall’ordinamento.
Particolare importanza assumono lo stato di cittadino (status civitatis) e lo stato familiare (status
familliae) del soggetto. Lo stato di cittadinanza per la sua attinenza al diritto pubblico risulta disciplinato
nella legislazione concernente le vicende della cittadinanza, mentre interessano il diritto privato gli status
familiari (coniuge, genitore, figlio): per l’importanza sociale che l’ordinamento conferisce alla famiglia,
i cd. diritti di stato che competono alla persona in ordine al riconoscimento ed al godimento della sua
posizione familiare, costituiscono una categoria peculiare di diritti (assoluti) assimilabili ai diritti della
personalità. Piuttosto che di status, ove manchi un gruppo organizzato rispetto al quale si ponga il problema
del riconoscimento della posizione del soggetto, si parla di sue particolari qualità dotate di una certa stabilità
in quanto relative all’attività abitualmente svolta dal soggetto, come ad es. quelle di imprenditore e
lavoratore subordinato. Tali qualità vengono spesso spesso accostate a dei veri e propri status per
l’importanza che assumono per la vita del soggetto.
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CAPITOLO 2 – BENI GIURIDICI
1.Cosa, bene e oggetto di diritti; 2. Beni immobili e beni mobili; 3. Distinzioni ulteriori; 4. Il danaro;
5. Rapporti di connessione tra le cose. Le pertinenze; 6. Le universalità; 7. Azienda; 8. Frutti;
9. Patrimonio; 10. Beni pubblici.

1.Cosa, bene e oggetto di diritti.


Destinatari delle regole dell’ordinamento sono i soggetti, titolari degli interessi da organizzare per comporre
i relativi conflitti rispetto ai beni; l’interesse può essere visto come una sorta di tensione tra soggetto e
bene.
Soggetti e beni costituiscono i termini di riferimento delle relazioni di cui l’ordinamento si occupa,
organizzando con le proprie regole gli interessi dei soggetti rispetto ai beni.
Il profilo oggettivo delle situazioni giuridiche soggettive è rappresentato dai beni, in quanto entità atte a
soddisfare interessi ritenuti meritevoli di tutela dall’ordinamento (beni giuridici).
Di fronte all’esigenza di allargare l’area degli interessi regolati dall’ordinamento e quindi, dei beni
considerati rilevanti, si è eseguito l’indirizzo di configurare accanto le cose materiali (res corporales),
delle cose immateriali (res incorporales).
La bipartizione tra beni materiali ed immateriali si limita a prendere in considerazione entità che si risolvono
in utilità di carattere economico, con il conseguente riconoscimento di diritti patrimoniali che le hanno ad
oggetto. Il concetto di bene che costituisce possibile oggetto di diritto, tende ad essere esteso anche ai
comportamenti umani e ai servizi, ossia a quelle prestazioni di vario genere che il soggetto si procura
attraverso rapporti contrattuali con altri, al fine di soddisfare proprie esigenze esistenziali o professionali.
I diritti patrimoniali vengono considerati come entità dotate di una propria apprezzabilità economica e
possibile oggetto di rapporti giuridici e delle corrispondenti situazioni soggettive.
Quanto alle cose che sono reputate beni, perché possibile oggetto di diritti, è da tenere presente come un
ampliamento della relativa nozione assimila ai beni (mobili) le energie naturali che hanno valore economico
(come quella elettrica o nucleare).
Non tutte le cose sono beni in senso giuridico; non possono essere considerati beni, le cose incommerciabili,
quali ad esempio i beni demaniali; non si considerano beni, le cose comuni a tutti in quanto, essendo
liberamente disponibili in natura, risultano illimitate ed il loro godimento non è fonte di conflitti di interessi,
che richiedano una regolamentazione da parte dell’ordinamento (ad es. l’acqua del mare, l’aria).
Sono invece da considerarsi beni anche le cose che al momento non costituiscono oggetto di diritti, ma sono
suscettibili di diventarlo, attraverso la relativa appropriazione; si tratta delle cose di nessuno (res nullius)
come i pesci nel mare e le cose abbandonate intenzionalmente dal proprietario (res derelictae).

2. Beni immobili e beni mobili.


Per l’art. 812, sono beni immobili “il suolo, le sorgenti, i corsi d’acqua, gli alberi, gli edifici e le altre
costruzioni, anche se unite al suolo a scopo transitorio, e in genere tutto ciò che naturalmente o
artificialmente è incorporato al suolo” (il termine alberi deve essere riferito a tutte le piante che traggono
vita dal suolo e che essi diventano beni mobili nel momento in cui si distaccano dal suolo; immobili vengono
considerati anche i distributori di carburante). Sono reputati beni immobili, i mulini, i bagni e gli altri edifici
galleggianti, a condizione che siano saldamente assicurati alla riva.
I beni mobili vengono identificati in via residuale essendo reputati tali, tutti i beni non rientranti tra quelli
considerati immobili.
La disciplina concernente i beni immobili si applica anche ai diritti reali aventi ad oggetto beni immobili
(servitù prediali, usufrutto relativo ad un immobile) ed alle azioni relative. Invece la disciplina concernente i
beni mobili si applica a tutti gli altri diritti.

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Decisiva per l’individuazione della disciplina applicabile, è la natura dell’oggetto del diritto.
In relazione alla loro natura, il codice riserva una peculiare disciplina a talune categorie di beni mobili (navi
e altri natanti, aeromobili, autoveicoli) per i quali è prevista l’iscrizione in pubblici registri (beni mobili
registrati).

3. Distinzioni ulteriori.
a)Una prima distinzione è quella tra cose generiche e cose specifiche. Si definiscono generiche le cose che
vengono prese in considerazione per la loro semplice appartenenza ad un genere (individuato sulla base di
caratteristiche comuni: un pastore tedesco, una copia di un certo romanzo); sono invece specifiche, quelle
considerate per la loro individualità (il cane Rex, la copia del romanzo con una dedica dell’autore).
b) Ulteriore distinzione è quella tra cose fungibili e cose infungibili. Essa si fonda sulla considerazione
delle cose come interscambiabili (ossia sostituibili le une con le altre, in quanto di pari utilità).
Fungibili sono tutte quelle considerate a peso, numero e misura (ad es. le derrate alimentari ed i prodotti
industriali). Infungibili sono invece le cose che non possono essere sostituite le une con le altre.
c) Si distinguono poi le cose consumabili da quelle inconsumabili.
Sono consumabili le cose la cui normale utilizzazione ne comporta la distruzione come entità (derrate
alimentari, carburante); sono inconsumabili quelle che invece si prestano ad una utilizzazione normale
ripetuta nel tempo (libro, mobile), anche se non indefinitamente.
d) Importante è anche la distinzione tra cose divisibili e cose indivisibili.
La divisibilità si considera quando la cosa può essere scomposta in parti omogenee (tra loro diverse solo
dal punto di vista quantitativo), idonee allo stesso uso cui era destinata la cosa intera (quadro, un mobile,
animale vivo); le conseguenze dell’indivisibilità si avvertono in relazione all’impossibilità di sciogliere la
comunione.
e) La distinzione tra cose produttive e non produttive, dipende dall’attitudine della cosa alla produzione
di frutti.

4. Il danaro.
Il danaro nella teoria dei beni viene qualificato come cosa mobile, generica, fungibile, consumabile
e divisibile. Con riguardo ad un tradizionale tipo di circolazione monetaria fondata su prezzi monetari aventi
corso legale è evidente come questi, a differenza delle altre cose, assumono semplicemente una funzione
strumentale, quale espressione del valore patrimoniale di cui il soggetto è messo in condizione di disporre
con riguardo alla funzione del danaro quale mezzo di scambio universale.
Da una parte la moneta assolve all’essenziale funzione di misura dei valori, dall’altra si presenta in una
pluralità di modi nei rapporti che lo riguardano

5. Rapporti di connessione tra le cose. Le pertinenze.


Assume notevole rilevanza la considerazione unitaria o meno delle cose sulla base dei collegamenti tra di
esse, naturali oppure ad opera dell’uomo.
Si reputa cosa semplice quella per cui l’integrazione degli elementi che la compongono ha fatto perdere la
loro individualità; nella cosa composta gli elementi che concorrono a formarla conservano la propria
individualità materiale e si presentano come complementari, per consentire alla cosa di svolgere la sua tipica
funzione (ruote, sterzo, scocca). Decisiva non è l’unione materiale dei diversi elementi, bensì la
complementarietà economica (cosa composta sono ad esempio un paio di guanti).
Il codice civile ha ritenuto opportuno definire il rapporto che si può venire ad instaurare tra cosa principale e
cosa accessoria, precisando la nozione di pertinenza, nonché le conseguenze di un eventuale rapporto di
connessione tra cose.

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La connessione per accessorietà si ha quando tra più cose si venga ad instaurare un rapporto caratterizzato
dall’essere l’una, la cosa principale e l’altra accessoria, con la conseguenza di far seguire alla cosa accessoria
le vicende di quella principale.
Per l’art. 817, pertinenze sono “le cose destinate in modo durevole a servizio o ad ornamento di
un’altra cosa”; qui la cosa non perde la sua individualità e autonomia.
Ai fini della ricorrenza del concetto di pertinenza è determinante la instaurazione di un legame
economico-giuridico (pertinenza è considerato lo scaldabagno, ancorché congiunto al muro dell’abitazione).
Il rapporto di pertinenza può intercorrere tra cose mobili (cornice e quadro, piedistallo e statua), tra cosa
mobile ed immobile (antenna televisiva ed edificio), oppure tra cose immobili (la cantina rispetto
all’appartamento).
Un particolare rapporto di pertinenza è disciplinato con riferimento alle aree di parcheggio rispetto agli
edifici (in materia di parcheggi privati, posti auto scoperti, i boxes ed i garages, si è distinto tra parcheggi
obbligatori, facoltativi, e liberi; i parcheggi obbligatori sono quelli necessariamente previsti nelle nuove
costruzioni; quelli facoltativi sono quelli realizzati in base alla legge Tognoli con particolari agevolazioni
urbanistiche e civilistiche; ed infine quelli liberi non rientranti nelle due tipologie precedenti, non soggetti
a particolari vincoli).
Perché sorga il rapporto di pertinenza è essenziale la destinazione, la quale può essere effettuata
esclusivamente dal proprietario della cosa principale. Circa la rilevanza del rapporto pertinenziale,
l’art. 818 prevede che i rapporti giuridici concernenti la cosa principale comprendono anche le pertinenze,
salvo che non sia diversamente disposto. Le pertinenze poiché conservano la loro individualità giuridica,
possono formare oggetto di atti e rapporti separatamente dalla cosa principale. La cessazione del rapporto
pertinenziale non è opponibile ai terzi, salvo che non sia avvenuta prima dell’acquisto di diritti da parte dei
terzi stessi sulla cosa principale.

6. Le universalità.
Il rapporto di connessione tra le cose risulta attenuato nel caso di universalità di mobili: ad un simile
insieme di beni, viene riservato un trattamento giudico diverso da quello previsto per i beni mobili.
Le universalità di mobili (tradizionalmente definite universalità di fatto) sono definite come “pluralità di
cose che appartengono alla stessa persona e hanno una destinazione unitaria”.
Si tratta di complessi di cose che conservano la propria individualità ed autonomia economico-
funzionale (es. sono il gregge, una biblioteca, una collezione di quadri).
Il collegamento tra le cose deriva innanzitutto dalla comune appartenenza ad uno stesso soggetto; occorre
poi la relativa destinazione unitaria, la quale sembra poter essere impressa solo dal proprietario.
Il tratto unificante delle cose è dato dalla funzione complessiva che esse sono chiamate a svolgere a seguito
dell’atto di organizzazione del soggetto che imprime la comune destinazione.
Dalle universalità di mobili (o di fatto) si distinguono le universalità di diritto; la considerazione unitaria di
un complesso di beni si presenta come conseguenza di una valutazione normativa che imprime una
destinazione unitaria ad una serie di rapporti di diversa natura. L’universalità di diritto comprende situazioni
giuridiche soggettive attive e passive non omogenee, quando il legislatore reputi opportuno unificarne il
regime.

7. Azienda.
Taluni annoverano quale universalità di diritto, l’azienda come “complesso dei beni organizzati
dall’imprenditore per l’esercizio dell’impresa”; l’azienda rispetto ad ogni universalità, risulta avere
caratteristiche peculiari.
Per l’art. 2555, l’azienda quale complesso di beni, si distingue dall’impresa consistente nell’attività
economica in vista del cui esercizio è organizzato dall’imprenditore un complesso di beni.

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8. Frutti.
Si considera frutto tutto ciò che una cosa rende di per sé oppure attraverso rapporti giuridici che ad essa si
riferiscono. Tra i beni, il codice distingue i frutti naturali dai frutti civili.
I frutti naturali riguardano le cose materiali derivanti fisicamente dalla cosa madre, mentre i frutti civili
riguardano un reddito pecuniario che si trae da rapporti giuridici concernenti il bene.
Sono considerati frutti naturali quelli che provengono direttamente dalla cosa, con o senza l’intervento
dell’uomo. Nell’idea di fruttificazione è insita la conservazione della cosa nella sua sostanza e nella sua
idoneità alla produzione di cose economicamente apprezzabili.
I frutti naturali seguono la sorte della cosa fruttifera fino alla separazione, ossia ne fanno parte fino a tale
momento, che segna il momento dell’acquisto da parte dell’avente diritto (come bene autonomo).
La separazione determina una autonoma identità giuridica dei frutti, facendo sorgere un diritto di
proprietà su di essi; tale proprietà spetta al proprietario della cosa fruttifera, salvo che spetti ad altri soggetti
come effetto di un diritto di godimento vantato rispetto alla cosa madre.
Vale il principio per cui chi fa propri i frutti deve, entro il limite del relativo valore, rimborsare colui che
abbia fatto spese per la produzione ed il raccolto.
Per frutti civili si intendono invece quelli che si ritraggono dalla cosa come corrispettivo del godimento
che ne sia attribuito ad altri (indirettamente, come effetto di un rapporto giuridico di cui la cosa sia
oggetto, diventando fonte di reddito); tra i frutti civili annoveriamo gli interessi dei capitali, le rendite
vitalizie ed ogni altra rendita. Anche i frutti civili come quelli naturali, spettano al proprietario della cosa
fruttifera, oppure a chi abbia un diritto di godimento sulla cosa medesima.

9. Patrimonio.
Il patrimonio indica l’insieme delle situazioni giuridiche di rilevanza economica, di cui il soggetto è titolare;
ne restano quindi esclusi i diritti di natura non patrimoniale.
Finche la persona è vivente, il patrimonio non viene considerato dall’ordinamento quale unitario oggetto di
vicende giuridiche; nel suo significato economico il patrimonio tende ad essere considerato al netto, dedotte
cioè le passività.
Ogni soggetto ha un solo patrimonio, ma l’ordinamento riserva talvolta una considerazione peculiare a talune
situazioni giuridiche facenti capo al soggetto, tenendole distinte dalle altre di cui egli sia titolare.
Il legislatore in vista della rilevanza consente che a taluni rapporti giuridici del soggetto venga impressa una
peculiare destinazione (si parla infatti di patrimoni di destinazione), dando così vita a patrimoni separati.
Di patrimonio autonomo si parla con riferimento alla considerazione da parte del legislatore,
di un complesso di rapporti non collegati ad un soggetto cui sia riconosciuta una distinta capacità giuridica;
esempi significativi del fenomeno in questione sono offerti dalla destinazione di beni che avviene con la
costituzione del fondo patrimoniale con conseguente trattamento differenziato dei creditori dai fondi
speciali per la previdenza e l’assistenza.

10. Beni pubblici.


Seppure tutti i beni sono suscettibili di essere pubblici o privati, ad assumere rilievo è la peculiarità delle
regole disciplinanti il relativo regime in caso di appartenenza a soggetti diversi dai privati.
Per determinare il carattere di bene pubblico, non sempre gli interessi di carattere generale sono soddisfatti
da beni pubblici; interessi di tale genere possono essere soddisfatti anche da beni di proprietà privata
attraverso una regolamentazione del loro godimento e della loro circolazione, e vengono per questo
identificati come beni di interesse pubblico.
Alcuni beni per necessità fanno parte del demanio pubblico (beni demaniali), in quanto non è ammessa
l’appartenenza ai privati (demanio naturale): lido del mare, spiagge, fiumi.
Del demanio pubblico, solo se appartenenti allo Stato (demanio artificiale) fanno parte le strade, aerodromi,
immobili di interesse storico, archeologico e artistico.

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I beni demaniali sono inalienabili e possono formare oggetto di diritti di terzi nei modi e nei limiti stabiliti
dalle leggi che li riguardano. Per i beni non necessariamente demaniali è ammessa la sdemanializzazione
(il passaggio dei beni dal demanio pubblico al patrimonio dello Stato) da parte dell’autorità amministrativa
attraverso particolari procedure.
I beni appartenenti allo Stato e agli altri enti territoriali non compresi tra quelli demaniali fanno parte del
relativo patrimonio. Al patrimonio dello Stato spettano anche i beni immobili che non sono di proprietà di
alcuno.

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CAPITOLO 3 – RAPPORTO GIURIDICO E SITUAZIONI GIURIDICHE SOGGETTIVE
1.Interessi, rapporto giuridico e situazioni giuridiche soggettive; 2. Diritto soggettivo (nozione);
3. Diritto soggettivo (contenuto e limiti); 4. Abuso del diritto; 5. Tipologia dei diritti soggettivi
(corrispondenti situazioni giuridiche soggettive passive: dovere e obbligo); 6. Diritto potestativo;
7. Potestà; 8. Aspettativa; 9. Interesse legittimo; 10. Interessi collettivi e diffusi; 11. Onere.

1.Interessi, rapporto giuridico e situazioni giuridiche soggettive.


La funzione della regola giuridica va ricercata nell’esigenza di ordinare le relazioni umane; questo avviene
risolvendo i conflitti di interesse che si vengono a determinare tra i diversi soggetti con riferimento ad un
bene.
Se l’interesse viene visto come una sorte di tensione tra soggetto e bene, ne consegue la possibile
insorgenza di conflitti, ove una pluralità di soggetti si presentino interessati allo stesso bene.
L’ordinamento giuridico allora interviene con le sue regole per organizzare gli interessi in gioco, ove si tratti
di interessi meritevoli di essere presi in considerazione.
Con il concetto di rapporto giuridico ci si intende riferire alla relazione intersoggettiva disciplinata
dall’ordinamento, determinando quale tra gli interessi coinvolti sia da considerare meritevole di tutela ed
assicurandone la realizzazione.
A tal fine l’ordinamento riconosce ai soggetti portatori degli interessi coinvolti nella relazione, la titolarità di
una situazione giuridica soggettiva. La situazione giuridica soggettiva di cui risulta investito il soggetto
a seguito dell’intervento regolatore dell’ordinamento è per lui di carattere favorevole, ove sia il suo interesse
a venire considerato maggiormente meritevole di tutela.
Si definisce attiva la situazione giuridica soggettiva di vantaggio, attribuita al soggetto del rapporto
(soggetto attivo) per assicurargli la realizzazione del suo interesse; passiva la situazione soggettiva di
svantaggio, attribuita al soggetto del rapporto (soggetto passivo) tenuto a rendere possibile con il suo
comportamento la realizzazione dell’interesse altrui, contrapposto al suo interesse nella relazione regolata
dal diritto.

2. Diritto soggettivo (nozione).


Nel linguaggio legislativo, la situazione giuridica soggettiva attiva riconosciuta ad un soggetto è identificata
con il termine di diritto (diritto al nome, diritto di proprietà); si parla di diritto ogni volta che ad un soggetto
viene garantita la realizzazione del suo interesse dall’ordinamento, riconoscendogli il potere di pretendere da
dal soggetto passivo che tale realizzazione renda possibile questo fine.
La categoria del diritto soggettivo è stata elaborata per unificare nella relativa definizione tutte le possibili
ipotesi in cui ricorra una simile situazione di favore; il momento di unificazione fu inizialmente ricondotto al
potere di agire attribuito alla volontà dello stesso soggetto, ma successivamente l’accento è stato posto sul
profilo funzionale dell’interesse giuridicamente tutelato.
La difficoltà è sempre stata quella di unire il campo dei diritti assoluti (diritti reali) con quello dei diritti
relativi (diritti di credito), ossia i due modelli fondamentali di diritti riconosciuti dall’ordinamento: solo nei
diritti relativi si evidenzia la pretesa, ossia il potere di esigere da parte del titolare del diritto (creditore),
uno specifico comportamento cui risulta tenuto un altro determinato soggetto (debitore).
Nei diritti reali, il cui modello è rappresentato dalla proprietà, la pretesa all’altrui comportamento è rimasta
sullo sfondo, data l’indeterminatezza dei relativi destinatari, presentandosi la facoltà di agire del titolare
del diritto per soddisfare su di esso il proprio interesse.
La categoria del diritto soggettivo ha perso in parte la sua utilità di formula riassuntiva di uno schema
unitario di tutela, essendosi dovuto riconoscere come la diversità della natura degli interessi considerati
meritevoli di tutela imponga strumenti e modelli di tutela differenziati.

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3. Diritto soggettivo (contenuto e limiti).
Il codice utilizza la terminologia di diritto per indicare non la situazione giuridica di diritto soggettivo nel suo
insieme, ma il suo contenuto. Nell’uso legislativo il termine diritto risulta ambiguo in quanto spesso riferito
al diritto soggettivo ed al suo contenuto.
I comportamenti che la norma consente al titolare della situazione giuridica soggettiva sono in realtà le
manifestazioni dell’unico diritto soggettivo attribuito al soggetto.
Tali manifestazioni sono spesso descritte come facoltà: in relazione all’art. 832 si dovrebbe parlare di
facoltà di godere e di facoltà di disporre delle cose, come comportamenti consentiti al titolare del diritto
per soddisfare il suo interesse.
Il diritto soggettivo si presenta come situazione complessa, sintesi di facoltà e poteri, e l’accrescersi di una
simile complessità ha rappresentato il tratto forse più significativo dell’evoluzione recente della concezione
della figura. Accanto alle facoltà ed ai poteri si sono evidenziati i relativi limiti, fino a giungere ad
addossargli veri e propri obblighi, in vista della realizzazione di un opportuno adeguamento della situazione
di vantaggio, con gli interessi degli altri soggetti che si trovano in rapporto con lui.
Anche il medesimo diritto di proprietà, espressione del potere del titolare nei confronti degli altri consociati, ,
trova tutela solo “entro i limiti e con l’osservanza degli obblighi stabiliti dall’ordinamento giuridico”.
L’evoluzione della concezione del diritto soggettivo ha ricevuto un decisivo impulso con l’avvento
del sistema costituzionale, ispirato al principio di uguaglianza sostanziale tra i consociati; è esplicita
l’allusione al perseguimento della funzione sociale, quale obiettivo della disciplina della proprietà.

4. Abuso del diritto.


Nel tempo si è affermata l’esigenza di evitare il sacrificio degli interessi altrui al di là di quanto sia
necessario alla soddisfazione dell’interesse proprio ritenuto meritevole di tutela.
Ciò ha posto in primo piano il problema dell’opportunità o meno della previsione di un divieto dell’abuso
del diritto, quale limite generale all’esercizio del diritto soggettivo, oppure, in mancanza di una previsione
espressa, della sua ricostruzione in via interpretativa, sulla base dei principi dettati dal legislatore in ordine
alle varie figure del diritto soggettivo.
Tale divieto si atteggia come limite di carattere generale, consistente nel ritenere consentiti al titolare
modi di esercizio del diritto conformi allo scopo, in vista del cui perseguimento l’interesse del soggetto sia
stato valutato come meritevole di tutela.
Il nostro legislatore nel codice civile a differenza di altri, non ha previsto un simile divieto: il timore che ne
potesse venire compromessa la certezza del diritto ha indotto a ritenere preferibile la formulazione del
divieto stesso circa i singoli istituti. Nell’ordinamento in cui tale divieto ha trovato accoglimento si presenta
come corollario della buona fede, ossia un criterio fondamentale cui deve essere sempre improntato
l’esercizio dei propri diritti (oltre che l’adempimento dei propri obblighi). Una ipotesi di violazione
dell’obbligo di buona fede nell’esecuzione del contratto viene considerata proprio l’abuso del diritto,
individuato nel comportamento del contraente che esercita verso l’altro, i diritti derivanti dalla legge per
realizzare uno scopo diverso da quello cui questi diritti sono preordinati.

5. Tipologia dei diritti soggettivi (e corrispondenti situazioni giuridiche soggettive: dovere e obbligo)
La categoria del diritto soggettivo rappresenta il risultato dello sforzo tendente ad una ricostruzione delle
situazioni in cui l’ordinamento garantisce al soggetto piena e diretta tutela del suo interesse relativamente
ad un bene; situazioni la cui varietà dipende dalla diversità degli interessi che l’ordinamento reputa
meritevoli di tutela e dalla conseguente diversità delle modalità di realizzazione che li contraddistingue.
In considerazione di una simile varietà, sulla base dell’atteggiarsi degli interessi e dei relativi modi di tutela,
sono prospettate alcune distinzioni di fondo e operate classificazioni.

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a)Una prima distinzione, basata sulla natura degli interessi considerati meritevoli di tutela, è quella tra
diritti patrimoniali e diritti non patrimoniali, a seconda della relativa valutabilità o meno in termini
economici; il sistema del diritto privato è stato costruito con riguardo ai diritti patrimoniali, caratterizzati
da un valore di scambio, allo scopo di regolare gli interessi economici.
Carattere patrimoniale hanno il diritto di proprietà e i diritti di credito (diritti reali), mentre carattere non
patrimoniale hanno i diritti finalizzati ad assicurare la tutela e lo sviluppo della persona (diritti della
personalità), anche nelle relazioni familiari (diritti familiari).
La patrimonialità del diritto di credito deriva dal dover risultare la prestazione, oggetto dell’obbligazione,
suscettibile di valutazione economica; la non patrimonialità dell’interesse resta estraneo alla struttura
del rapporto, non influenzandone il regime disciplinato rispetto al valore economico che la prestazione
assume secondo le valutazioni sociali.
I diritti di natura personale non sono riconosciuti in considerazione del loro valore di scambio e, quindi,
non fanno parte del patrimonio del soggetto, restando estranei alla responsabilità patrimoniale del debitore.
b) Sotto il profilo strutturale, la distinzione di fondo si ha tra diritti assoluti e diritti relativi, la quale
deriva dalla contrapposizione in campo patrimoniale, tra il modello della proprietà e il modello dei diritti di
credito. Tale distinzione si basa sul diverso modo in cui la posizione del titolare del diritto (soggetto attivo)
si correla con la posizione di chi col suo comportamento deve consentire la realizzazione dell’interesse che
l’ordinamento ha reputato meritevole di tutela (soggetto passivo), collocandolo in posizione sovraordinata.
1)Nel diritto assoluto la realizzazione dell’interesse del titolare del diritto è assicurata dal dovere dei
consociati di astenersi dall’interferire nell’esercizio delle prerogative (facoltà, poteri) riconosciute
dall’ordinamento relativamente al bene.
La caratteristica del diritto assoluto è individuata nel potere del titolare di pretendere l’osservanza di un
dovere negativo di rispetto, da parte dei consociati, con conseguente possibilità di far valere la propria
posizione nei confronti di tutti i consociati stessi.
Il titolare del diritto assoluto non ha bisogno di una specifica attività di cooperazione altrui per realizzare il
proprio interesse, in quanto lo realizza direttamente da sé (immediatezza); per questo il rapporto si ritiene
intercorrere tra il soggetto ed il bene. La categoria dei diritti assoluti abbraccia la proprietà, i diritti sui beni
immateriali ed i diritti della personalità.
2)Nel diritto relativo invece, la realizzazione dell’interesse del titolare è assicurata dall’obbligo di
osservare uno specifico comportamento da parte del soggetto passivo. La caratteristica del diritto
relativo è individuata nel potere del titolare, di pretendere l’osservanza dell’obbligo di comportamento su di
lui gravante, nei confronti di un determinato soggetto passivo, con conseguente possibilità di far valere la
propria posizione nei suoi confronti.
Il titolare del diritto relativo, ha bisogno per realizzare il suo interesse, di una specifica attività di
cooperazione da parte del predeterminato soggetto passivo del rapporto. La categoria dei diritti relativi
abbraccia oltre ai diritti di credito (o di obbligazione), contraddistinti dalla valutabilità in termini economici
del comportamento dovuto, anche situazioni caratterizzate da uno specifico dovere di comportamento
di natura personale di un soggetto determinato, atto a realizzare l’interesse del titolare del diritto.
c) In campo patrimoniale la distinzione tra diritti assoluti e relativi si concretizza in quella tra
diritti reali e diritti di credito.
La caratteristica dei diritti reali è quella di attribuire al titolare un potere immediato su una cosa,
consentendogli di realizzare direttamente il suo interesse, attraverso l’esercizio delle facoltà e dei poteri
conferiti dall’ordinamento rispetto alla cosa stessa (immediatezza del diritto reale).
Si parla anche di inerenza del diritto reale alla cosa in considerazione della posizione riconosciuta al
titolare del diritto reale rispetto alla cosa che ne costituisce oggetto e del conseguente collegamento
tra situazione giuridica soggettiva e cosa stessa.

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Ciò vale a connotare l’azione a sua difesa quale azione reale (actio in rem), in quanto indirizzata contro
chiunque turbi l’esercizio delle prerogative del titolare sulla cosa, che può essere perseguita per consentire il
ripristino di tali prerogative, nelle mani di chiunque tale prerogativa si venga a trovare.
La proprietà si presenta come prototipo dei diritti reali; gli altri diritti reali che si risolvono in una
compressione della proprietà vengono qualificati in contrapposizione alla pienezza caratterizzante la
proprietà. I diritti reali si distinguono a seconda dell’interesse in vista del quale risulta garantito
dall’ordinamento il potere sulla cosa, in diritti reali di godimento (superficie, usufrutto) e diritti reali di
garanzia (pegno, ipoteca).
I diritti di credito (o di obbligazione) si caratterizzano per la pretesa che il titolare (creditore) ha nei
confronti di uno o più soggetti determinati (obbligato/i o debitore/i) affinché questi ultimi tengano uno
specifico comportamento positivo o negativo (prestazione), suscettibile di valutazione economica;
tale comportamento vale a soddisfare l’interesse del titolare del diritto, il quale necessita della cooperazione
del soggetto tenuto al comportamento stesso.
All’immediatezza del diritto reale si contrappone la mediatezza del diritto di credito permettendo la
realizzazione dell’interesse considerato meritevole di tutela dall’ordinamento. Questo vale anche per
i cd. diritti personali di godimento, nei quali l’accesso al godimento della cosa da parte del titolare e
l’esercizio delle relative facoltà vengono considerati dal comportamento di chi sia impegnato a mettere la
cosa stessa a sua disposizione dall’ordinamento. L’azione a tutela del creditore ha carattere personale
(actio in personam), proprio perché indirizzabile nei confronti del soggetto debitore ,consentendo la
realizzazione dell’interesse dedotto nel rapporto obbligatorio.

6. Diritto potestativo.
L’essenza del diritto potestativo è da ricercare nel potere riconosciuto al soggetto di incidere con una
propria manifestazione unilaterale di volontà su una situazione giuridica (costituendola, modificandola o
estinguendola). Al potere conferito al soggetto titolare del diritto potestativo corrisponde una soggezione del
soggetto passivo, che si trova nella condizione di essere costretto a subire gli effetti giuridici derivanti
dall’esercizio del diritto potestativo.
Il risultato vantaggioso avuto di mira dal titolare viene ottenuto direttamente, come conseguenza della sua
manifestazione di volontà. Una ipotesi ascritta alla categoria del diritto potestativo è quella offerta
dall’art. 874 concernente la comunione forzosa sul muro di confine: l’effetto della situazione di
comunione deriva dall’iniziativa del proprietario del fondo contiguo al muro, non potendo l’originario
proprietario del muro fare altro che soggiacere ad un simile effetto (in tale articolo si ritiene contemplato
anche un onere, ossia un pagamento di una somma di denaro a carico del soggetto che intenda esercitare il
diritto potestativo di rendere comune il muro di confine).
Analogamente si atteggiano il diritto di riscatto del venditore, il diritto di recesso unilaterale attribuito ad
una delle parti in cui l’effetto giuridico avuto di mira dal titolare del diritto potestativo, consegue alla sua
manifestazione unilaterale di volontà, restandone la controparte assoggettata.
Sembra quindi che i diritti potestativi presentino un carattere di accessorietà rispetto ad un rapporto o
diritto principale.

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7. Potestà.
Caratteristica fondamentale delle situazioni giuridiche soggettive attive è di comportare l’attribuzione
di poteri per la soddisfazione dei propri interessi a coloro cui risultano attribuite.
Talvolta però un potere è riconosciuto al soggetto per la tutela e la realizzazione di un interesse altrui e
tale situazione giuridica soggettiva prende il nome di potestà.
Tale potere può essere conferito dallo stesso titolare dell’interesse in gioco, come nel caso della
rappresentanza diretta, nella quale al rappresentante è attribuito dal rappresentato il potere di concludere
un contratto, destinato a produrre i suoi effetti direttamente nel patrimonio del rappresentato stesso.
I casi di maggiore interesse sono però quelli in cui tale potere è conferito dalla legge; ciò avviene quando
sussistono delle esigenze di tutela di interessi che altrimenti ne resterebbero privi.
L’attribuzione del potere nell’interesse altrui determina una deviazione nei modi di esercizio del potere
stesso, rispetto ai casi in cui esso sia esercitato dallo stesso titolare dell’interesse da soddisfare.
L’esercizio del potere si presenta vincolato alla realizzazione dell’interesse, comportando l’esigenza di
prevedere forme di controllo dell’esercizio del potere.
L’esercizio dei poteri connessi alla potestà viene ad assumere quindi un carattere di vera e propria
doverosità, motivo per il quale situazioni di questo tipo vengono identificate in termini di potere-dovere.

8. Aspettativa.
Dalla situazione giuridica di diritto soggettivo si distingue la situazione di aspettativa, quando i requisiti
che l’ordinamento pone per il sorgere del diritto soggettivo stesso non sono ancora completamente realizzati
(ossia non sono ancora presenti tutti gli elementi della fattispecie costitutiva).
Quella di aspettativa può essere considerata una situazione giuridica soggettiva; ciò avviene dove
l’ordinamento riconosca al soggetto una qualche tutela del suo interesse a vedere completata la fattispecie
costitutiva del diritto avuto di mira.
Si tratta di una tutela e di una situazione giuridica di natura provvisoria e strumentale all’acquisto della
titolarità di un diritto, da parte del soggetto. Affinché si possa parlare di aspettativa (giuridica o di diritto),
occorre che l’ordinamento consideri già meritevole di tutela un interesse del soggetto al regolare svolgimento
del procedimento di formazione della fattispecie acquisitiva del diritto.
Diversa è la situazione di mera speranza di un futuro diritto, ove l’ordinamento non consideri meritevole
di tutela un interesse del soggetto, non essendosi ancora realizzato alcuno degli elementi della fattispecie
costitutiva del diritto (si parla a riguardo di aspettativa di fatto). Un esempio è fornito dalla situazione in cui
si trova il soggetto in ordine all’eredità di chi è ancora vivo, anche se si tratta di uno di quei soggetti che
hanno diritto ad una quota della relativa eredità (figli), dato che è solo con la morte del soggetto da cui si
conta di ereditare, che comincia a realizzarsi la fattispecie successoria.
Una ipotesi di aspettativa di diritto si ritiene essere quella di chi acquisti un diritto sotto condizione
sospensiva o l’alieni sotto condizione risolutiva.

9. Interesse legittimo.
Prescindendo dai cd. interessi di fatto (semplici), definiti così proprio perché del tutto irrilevanti per
l’ordinamento, sono anche essi considerati meritevoli di protezione, col conseguente riconoscimento di una
situazione giuridica soggettiva, ma al titolare non è conferito un potere di carattere autonomo in vista del
relativo soddisfacimento; il soddisfacimento di un interesse di questo tipo viene a dipendere dall’esercizio di
un potere attribuito ad altri.
Con la terminologia di interesse legittimo si allude ad una situazione caratterizzata da una tutela indiretta
dell’interesse del soggetto che ne è titolare.
La categoria dell’interesse legittimo è stata teorizzata con riferimento al diritto pubblico e all’esercizio
dei poteri amministrativi, per definire la posizione del soggetto privato rispetto al loro esercizio nell’interesse
pubblico, quando questo concerna un bene cui il soggetto stesso sia interessato.

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L’interesse del soggetto privato viene tutelato in quanto coincidente con l’interesse pubblico, e
si sostanzia nella pretesa di un corretto esercizio del potere da parte della pubblica amministrazione.
Un esempio è quello della posizione del soggetto con riferimento ad un concorso pubblico.
Il concorrente ha un interesse giuridicamente rilevante, definito interesse legittimo, ad uno svolgimento
del concorso secondo le regole stabilite dalla legge per disciplinare le relative procedure; regole dettate per il
soddisfacimento di un interesse pubblico, il cui rispetto può essere preteso dal concorrente stesso in vista del
soddisfacimento del suo interesse personale in quanto coincidente con quello pubblico.
Al soggetto privato, di conseguenza, è riconosciuta la possibilità di azionare strumenti di controllo
sull’operato della pubblica amministrazione, in modo da vedere tutelato il proprio interesse personale.
Il campo cui si riferisce è quello delle cd. norme di azione, che disciplinano il buon funzionamento della
pubblica amministrazione; le norme di relazione invece disciplinano specifici rapporti tra privati e pubblica
amministrazione.
La distinzione tra diritti soggettivi e interessi legittimi ha assunto rilevanza sotto alcuni profili:
dal punto di vista delle competenze rispetto alla relativa tutela giurisdizionale, operando per la tutela degli
interessi legittimi quella del giudice amministrativo, e per la diversità dei poteri del giudice amministrativo,
quella del giudice ordinario.
La giurisprudenza con un intervento della Cassazione ha sancito da un lato la risarcibilità del danno
conseguente alla lesione di un interesse legittimo; dall’altro ha riconosciuto al giudice ordinario la
possibilità di giudicare le controversie concernenti la violazione di interessi legittimi condannando la
pubblica amministrazione al risarcimento del danno.
Con l’art. 30 si è stabilito che l’azione di condanna al risarcimento del danno ingiusto derivante
dall’illegittimo esercizio dell’attività amministrativa o dal mancato esercizio di quella obbligatoria,
può essere proposta anche in via autonoma (cd. azione risarcitoria pura).
Un disincentivo all’esercizio in via autonoma dell’azione risarcitoria per la lesione di interessi legittimi,
deriva dalla previsione della esclusione del risarcimento dei danni che si sarebbero potuti evitare usando
l’ordinaria diligenza attraverso gli strumenti di tutela previsti. Della figura di interesse legittimo è stata
proposta l’utilizzazione anche al di fuori dei rapporti con la pubblica amministrazione, per definire
particolari situazioni ricorrenti nei rapporti che interessano il diritto privato.

10. Interessi collettivi e diffusi.


Carattere comune delle situazioni giuridiche soggettive è quello di tutelare l’interesse del soggetto,
conferendogli una posizione di vantaggio rispetto ad un bene, differenziando la sua posizione rispetto a
quella degli altri soggetti eventualmente interessati allo stesso bene.
Crescente attenzione è stata prestata per gli interessi facenti capo al soggetto appartenente ad una determinata
collettività (gli appartenenti alla quale hanno interessi omogenei) in quanto membro della comunità nel suo
complesso.
La tutela degli interessi collettivi, trova il suo punto di riferimento nell’attribuzione ad enti di struttura
associativa, del potere di agire per la relativa salvaguardia; gli interessi di tali enti sono fatti valere attraverso
l’azione del rispettivo ordine professionale.
Più problematica risulta la tutela degli interessi diffusi, ossia di interessi che in genere si ricollegano a valori
di rango costituzionale, come quelli relativi alla salvaguardia della salute e dell’ambiente, oppure alla
protezione dei consumatori.
Nel campo della tutela dei consumatori l’art. 39 e il D.Lgs 206/2005 conferiscono alle associazioni dei
consumatori la legittimazione ad agire a tutela degli interessi collettivi dei consumatori, risultanti
dall’enunciazione dei “diritti dei consumatori”.

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La normativa concernente i consumatori prevede, quale mezzo di tutela, l’azione inibitoria nei confronti dei
comportamenti lesivi, come strumento di tutela degli interessi diffusi. Accanto ad essa sono contemplati
l’eventuale pubblicazione del provvedimento su quotidiani e il pagamento di una somma rapportata alla
durata dell’inosservanza del provvedimento. In considerazione della loro natura, la tutela degli interessi
diffusi percorre vie diverse da quelle tradizionalmente perseguite per la violazione dei diritti.
Un ulteriore strumento di tutela è costituito dalla previsione di azioni collettive (o di categoria), consistenti
nel consentire a soggetti singoli o ad enti di prendere l’iniziativa contro i comportamenti lesivi di
interessi diffusi, per ottenere la relativa inibizione in rappresentanza dei soggetti interessati.
L’azione di classe è diretta a tutelare diritti individuali omogenei dei consumatori e degli utenti, potendo
agire ciascun componente della classe, mediante associazioni cui dà mandato; l’azione di classe è prevista
per l’accertamento della responsabilità e per la condanna al risarcimento del danno.

11. Onere.
Il sacrificio di un proprio interesse imposto per soddisfarne un altro sempre proprio, viene definito
onere.
Il comportamento è libero, dato che la sua inosservanza non comporta alcuna responsabilità a carico del
soggetto nei confronti di altri, secondo quanto invece accade in caso di inosservanza di un obbligo, ma al
contempo il comportamento è necessitato dove il soggetto intenda realizzare il suo interesse per conseguire
una situazione giuridica favorevole. Esempio corrente è quello dell’onere della prova; ai sensi
dell’art. 2697 “chi vuol fare valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il
fondamento”.

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CAPITOLO 4 – FATTI GIURIDICI. EFFETTI, VICENDE E CIRCOLAZIONE
1.Fenomenologia materiale e rilevanza giuridica; -A) TIPOLOGIA DEI FENOMENI GIURIDICI.
2. Fatti ed effetti giuridici; 3. Struttura dei fatti giuridici; 4. Rilevanza dei fatti giuridici. Fatti giuridici in
senso stretto; 5. Atti giuridici; -B) INFLUENZA DEL TEMPO. 8. Funzione del tempo. Computo dei termini;
9. La prescrizione; 10. Sospensione e interruzione; 11. Le prescrizioni presuntive; 12. La decadenza;
-C) INFLUENZA DELLO SPAZIO. 13. La correlazione spaziale; 14. I conflitti di leggi nello spazio.

1.Fenomenologia materiale e rilevanza giuridica.


Il singolo comportamento è valutato dall’ordinamento per verificare se coinvolge interessi futili e quindi
indifferenti per l’ordinamento, o se invece impegna interessi rilevanti per l’ordinamento stesso; quando
impegna interessi rilevanti per l’ordinamento, lo fa per stabilire se gli interessi attuati risultano apprezzabili
in quanto coerenti con l’ordinamento o si rivelano contrari allo stesso.

A)TIPOLOGIA DEI FENOMENI GIURIDICI


2. Fatti ed effetti giuridici.
a) I fatti giuridici sono gli accadimenti della realtà materiale rilevanti per l’ordinamento giuridico.
Nella sua struttura il fatto integra la cd. fattispecie materiale, ossia il fatto concreto valutato
dall’ordinamento, cui l’ordinamento stesso ricollega effetti giuridici, in conseguenza di tale valutazione.
Il fatto giuridico è dunque l’accadimento materiale giuridicamente rilevante in quanto involge interessi
rilevanti per l’ordinamento giuridico.
b) Gli effetti giuridici esprimono le conseguenze della rilevanza assunta dal fatto materiale per
l’ordinamento giuridico. Esprime la valutazione che l’ordinamento fa del singolo fatto materiale;
rappresenta la risposta che l’ordinamento fornisce alla sollecitazione dei fenomeni reali.
L’effetto consiste nella modificazione della realtà giuridica che può prodursi al momento del verificarsi
del fatto oppure in seguito, oppure può distribuirsi nel tempo.
Si faccia il caso che le parti stipulino un contratto di vendita; tale contratto che è senz’altro rilevante
per l’ordinamento, comporta un vincolo contrattuale tra le parti. Ma la produzione degli ulteriori effetti del
trasferimento della proprietà e della nascita della obbligazione di pagare il prezzo, è rinviata ad un momento
successivo, essendo subordinata al verificarsi del conseguimento del finanziamento da parte dell’acquirente.
Più specificamente, l’effetto giuridico determina vicende di situazioni giuridiche soggettive, sicché con la
produzione dell’effetto, si realizzano nella realtà giuridica la costituzione, la modificazione o l’estinzione di
situazione giuridiche (es. acquisto o perdita di un diritto, assunzione o estinzione di un obbligo).
Si distinguono due categorie di effetti giuridici: effetti necessari (o inderogabili), nel senso che
provengono dall’ordinamento e non è consentito ai privati derogarvi: effetti naturali (o dispositivi),
nel senso che è consentito derogarvi pur provenendo dall’ordinamento.

3. Struttura dei fatti giuridici.


La complessità della realtà socio-economica fa emergere diversi fenomeni che è possibile distinguere
secondo due criteri: l’uno relativo alla struttura del fatto; l’altro ha rilevanza giuridica per l’ordinamento.
Quanto alla struttura e quindi alla formazione, la concreta fattispecie può essere semplice, complessa e
formazione progressiva in ragione del suo atteggiarsi rispetto agli effetti che l’ordinamento vi ricollega.
La fattispecie semplice si esaurisce in un unico accadimento: ad es. la nascita, ai fini dell’acquisto della
capacità giuridica; la morte, ai fini dell’apertura della successione.
Si ha fattispecie complessa quando i singoli fatti rilevano come elementi costitutivi dell’unitaria fattispecie
produttiva di effetti giuridici (ad es. nell’acquisto per usucapione di un immobile da parte di chi non è
proprietario, per verificarsi l’acquisto per usucapione decennale, devono concorrere il possesso, l’atto di
acquisto, la buona fede dell’acquirente, la trascrizione e il decorso di 10 anni dalla trascrizione di tale atto).

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Si ha fattispecie a formazione progressiva (variante della fattispecie complessa) quando gli effetti si
realizzano con la stessa gradualità temporale con la quale si verificano i fatti elementari costituenti la
fattispecie, pertanto è accordata dall’ordinamento una protezione dell’aspettativa rispetto al conseguimento
del risultato finale (ad es. con riguardo al contratto condizionato, la produzione del risultato programmato
è subordinato al prodursi dell’evento futuro ed incerto; ma intanto alcuni effetti si producono in capo alle
parti).

4. Rilevanza dei fatti giuridici. Fatti giuridici in senso stretto.


Nella qualificazione dei fatti giuridici è importante verificare se l’ordinamento presti tutela all’accadimento
oppure anche alla partecipazione umana al fatto, offrendo rilevanza all’accadimento in quanto riconducibile
ad un comportamento umano.
Il criterio di rilevanza dà luogo ad una tipologia dei fatti giuridici, che è possibile ricondurre alla dicotomia
di “fatti giuridici in senso stretto” e “atti giuridici”.
Per fatti giuridici in senso stretto si intendono i fatti materiali (naturali o umani) rispetto ai quali
l’ordinamento prescinde da ogni verifica di carattere soggettivo per la produzione dell’effetto giuridico.
Il fatto come tale prescinde dal fatto che esso provenga o meno dall’uomo e che sia o meno volontario.
Sono fatti in senso stretto, i meri accadimenti naturali come gli spostamenti di terreni conseguenti ad
alluvione, che producono l’acquisto della proprietà in favore del proprietario del fondo cui la parte di fondo
si è unita.

5. Atti giuridici.
Sono atti giuridici i fatti dell’uomo cui l’ordinamento ricollega effetti giuridici in ragione dello stato
soggettivo degli autori dell’atto: rilevano giuridicamente la volontarietà e la consapevolezza del
comportamento tenuto.
E’ possibile distinguere gli atti giuridici in base a più criteri: il contenuto, il compimento e la valutazione.
a)In relazione al contenuto degli atti, si distinguono due sottocategorie: atti giuridici in senso stretto
ed i negozi giuridici.
1)Gli atti giuridici in senso stretto (o meri atti giuridici) sono i fatti dell’uomo per i quali assume
rilevanza la volontarietà della materialità dell’atto, ossia l’ordinamento considera gli interessi attuati da
tali atti, degni di tutela; basta solo che il fatto sia compiuto con volontarietà e consapevolezza,
indipendentemente dalla volontà di conseguirli da parte degli autori dell’atto, anche perché spesso gli effetti
intervengono contro la volontà degli autori stessi.
Si pensi alla richiesta di adempimento rivolta dal creditore al debitore: per legge tale atto comporta la
costituzione in mora del debitore, con tutti gli effetti previsti dalla legge (risarcimento del danno,
assunzione del rischio per la sopravvenuta impossibilità della prestazione di consegna).
Essendo gli effetti preordinati dall’ordinamento indipendentemente da un intento degli autori, gli atti in senso
stretto sono per necessità tipici (ossia tassativamente previsti dall’ordinamento), sia nella struttura che nel
contenuto.
2) I negozi giuridici sono i mezzi di esplicazione dell’autonomia privata, manifestazioni di volontà
rivolte ad uno scopo pratico tutelato dall’ordinamento. Rilevano giuridicamente non solo la volontarietà e
consapevolezza del comportamento, ma anche l’intento perseguito, ossia la volontarietà e la
consapevolezza degli effetti. Sono autoregolamenti di interessi, cui l’ordinamento connette effetti giuridici
conformi agli scopi perseguiti dai privati.

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b) In relazione al compimento gli atti giuridici si presentano secondo due modelli.
1)La dichiarazione, nel senso che l’atto rileva giuridicamente per la volizione assunta nell’atto
(cd. atti dichiarativi). Gli atti dichiarativi si distinguono a loro volta in atti recettizi e non recettizi.
Sono atti recettizi gli atti che producono effetto nel momento in cui pervengono a conoscenza
del destinatario (sono atti che assumono efficacia in conseguenza della loro comunicazione ad uno o più
destinatari).
Gli atti non recettizi invece non sono destinati a terzi e producono effetto in virtù della mera redazione.
Tra gli atti dichiarativi una particolare fisionomia assumono le cd. dichiarazioni di scienza, che hanno
l’unica funzione di affermare la verità (si pensi alla confessione; art. 2730).
2) L’attuazione, nel senso che l’atto rileva giuridicamente come compiuto nel suo stesso realizzarsi
attraverso la modificazione del mondo esterno (cd. atti di attuazione o reali, come l’occupazione di una
cosa mobile abbandonata).
c) In relazione alla valutazione degli atti, rileva la distinzione tra atti leciti ed atti illeciti a seconda della
contrarietà o meno degli atti all’ordinamento giuridico.
Gli atti leciti sono atti voluti dall’agente e conformi all’ordinamento giuridico, ai quali l’ordinamento
riconduce effetti giuridici conformi a quelli perseguiti dalle parti; gli atti illeciti sono invece atti che sebbene
voluti, sono in contrasto con l’ordinamento per violazione di norme proibitive (sostanziali) e norme
ordinative (strumentali).

6. L’attività.
Singoli fatti e atti giuridici rilevano per l’ordinamento sia che considerati isolatamente che nella connessione
tra gli stessi; si dà così luogo alla cd. attività, che è la coordinazione di più fatti e atti preordinati e svolti
per il conseguimento di uno scopo unitario.
E’ l’unificazione dei singoli atti sul piano sociale per il raggiungimento di un risultato unitario, a dare luogo
ad una rilevanza di tale unificazione come fattispecie giuridica. L’ordinamento attribuisce all’unificazione
degli atti ulteriori effetti, diversi rispetto a quelli ricollegabili ai singoli atti autonomamente considerati.
Si pensi all’attività economica che contraddistingue l’esercizio dell’impresa: per l’art. 2082 “è imprenditore
chi esercita professionalmente un’attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di
beni o servizi”.

7. Vicende giuridiche e circolazione giuridica. I titoli di acquisto.


a) Le vicende giuridiche indicano i mutamenti dei rapporti e delle situazioni giuridiche soggettive
(cd. modificazioni dei diritti): esprimono la cd. dinamica delle situazioni giuridiche dalla nascita fino
all’estinzione, determinando la sorte dei corrispondenti poteri e obblighi in capo ai singoli titolari.
Si distinguono in merito vicende costitutive, modificative ed estintive.
1)Le vicende costitutive segnano la nascita di situazioni giuridiche soggettive e quindi l’acquisto in capo
ad un soggetto di un diritto che non esisteva e di cui non poteva essere titolare (ad es. a seguito del contratto
di locazione, nasce in capo al locatore il diritto di credito al corrispettivo del canone).
2) Le vicende estintive segnano la cessazione di situazioni giuridiche soggettive, nel senso che il diritto,
prima esistente, viene meno (ad es., con il pagamento del debito si realizza l’estinzione del diritto di credito).
3) Le vicende modificative determinano il mutamento di una situazione giuridica con riguardo all’oggetto.
In particolare la modificazione soggettiva realizza il trasferimento del diritto da un soggetto (alienante o
dante causa) ad un altro soggetto (acquirente o avente causa). Ad es., con la vendita, si determina il
trasferimento della proprietà dal venditore (che perde il diritto) al compratore (che lo acquista).
Il fenomeno delle vicende giuridiche è correlato a quello della circolazione giuridica, come meccanismo di
spostamento dei relativi beni tra gli uomini per consentirne l’utilizzazione da parte di più soggetti, allo scopo
di soddisfare un bisogno o esplicare un’attività economica.

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b) La circolazione dei diritti pone come problema giuridico fondamentale quello del titolo dell’acquisto.
E’ possibile in merito distinguere i modi di acquisto in due categorie: a titolo derivativo e a titolo
originario.
1)Gli acquisti a titolo derivativo producono la vicenda acquisitiva del diritto in capo ad un soggetto
(avente causa) in ragione di un rapporto con il precedente titolare (dante causa). Gli acquisti possono
intervenire per atto tra vivi e morti o a causa di morte, ed essere riferiti a specifiche situazioni giuridiche
(es. proprietà) o possono riferirsi ad una universalità di beni (es. eredità).
L’acquisto a titolo derivativo si distingue a sua volta in due sottofigure.
Si ha acquisto a titolo derivativo-traslativo quando il diritto acquistato è lo stesso che era in capo al dante
causa, che pertanto lo perde.
Si ha acquisto a titolo derivativo-costitutivo quando il diritto acquistato non esisteva nella realtà giuridica,
per non sussistere come tale in capo all’alienante, ma promana comunque dal diritto dell’alienante,
comportandone una restrizione. L’acquisto della nuova situazione avviene a seguito del rapporto con il
precedente titolare.
2) Gli acquisti a titolo originario realizzano l’acquisto di un diritto nuovo, indipendentemente da un
rapporto con l’originario titolare. L’acquisto avviene talvolta in assenza di un diritto di altro titolare su un
bene, talaltra addirittura contro il precedente titolare che conseguentemente lo perde.

8. Funzione del tempo. Computo dei termini.


Ogni fenomeno giuridico incide nella realtà materiale sia nella dimensione temporale che spaziale.
Tempo e spazio influenzano la determinazione delle vicende giuridiche e la vita delle situazioni giuridiche.
Il tempo può rilevare con riguardo alla durata e quindi nel suo correre, oppure può rilevare come data e
quindi con riferimento ad un momento specifico (ad es., in un contratto di locazione, il tempo fissa il termine
di efficacia del contratto, ossia la durata della locazione, e al tempo stesso segna il termine di scadenza del
pagamento del canone, per es. entro il cinque di ogni mese)
Per la rilevanza della dimensione temporale dei fatti giuridici, la legge dedica una specifica normativa
al computo dei termini.
Regola generale è che i termini contemplati dal codice civile e dalle altre leggi si computano secondo
il calendario comune (di regola il riferimento al giorno è da intendersi per l’intera durata delle 24 ore),
Non si computa il giorno iniziale del termine, bensì quello finale.
Il computo dei termini a mesi si determina con riguardo al mese di scadenza e nel giorno di questo
corrispondente al giorno del mese iniziale; se nel mese di scadenza manca tale giorno, il termine si compie
con l’ultimo giorno dello stesso mese (es. il termine di un mese con decorrenza 5 febbraio scade comunque il
5 marzo anche se il mese di febbraio è di 28 giorni).
Analoga disciplina vale per il computo del termine ad anni, dovendosi avere riguardo all’anno di scadenza
rispetto al giorno e al mese corrispondenti a quelli iniziali. Di regola si considera il termine continuo,
ossia comprensivo anche dei giorni feriali, tranne che questi non siano espressivamente esclusi
(solo se l’ultimo giorno è festivo, è prorogato al giorno successivo non festivo).

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9. La prescrizione.
Per l’art. 2934 “ogni diritto si estingue per prescrizione, quando il titolare non lo esercita per il tempo
determinato dalla legge” (cd. prescrizione estintiva).
La prescrizione si atteggia quindi come generale modo di estinzione dei diritti.
Il decorso del tempo rileva nella prospettiva della durata del non esercizio dei diritti.
Sono imprescrittibili i diritti indisponibili e gli altri diritti indicati dalla legge (tra i diritti indisponibili vanno
annoverati i diritti della personalità e quelli connessi agli stati e alle potestà familiari).
La disciplina della prescrizione è di ordine pubblico, nel senso che non è derogabile dai privati.
E’ nullo ogni patto diretto a modificare la disciplina legale della prescrizione.
Non essendo coinvolti valori fondamentali, la prescrizione non è rilevabile d’ufficio dal giudice; la sua
operatività è rimessa all’iniziativa dei privati.
Non opera automaticamente, ma deve essere opposta; la parte che oppone la prescrizione ha solo l’onere di
allegare l’inerzia del titolare del diritto e di manifestare la volontà di voler profittare dell’effetto
estintivo. Il soggetto verso cui si invoca un diritto prescritto ha quindi l’onere di opporre la prescrizione.
Si può rinunziare alla prescrizione solo quando questa è compiuta, ad esempio perché il soggetto cui
profitta ritiene più utile non avvalersene, oppure per ragioni morali; è vietata la rinunzia preventiva alla
prescrizione al fine di evitare abusi di una parte a danno dell’altra.
Quanto alla decorrenza del termine prescrizionale, principio fondamentale è che la prescrizione comincia
a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere (art. 2935).
Con riguardo a prestazioni periodiche, bisogna verificare se le stesse sono frazioni di una prestazione
unitaria oppure sono frazioni di prestazioni autonome: se sono frazioni di una prestazione unitaria,
la prescrizione decorre dalla data della mancata esecuzione della prima frazione, mentre se sono
frazioni di prestazioni autonome, decorre dalle date di scadenza delle singole prestazioni.
Quanto alla durata, la regola generale è che i diritti si estinguono per prescrizione con il decorso di 10 anni
(cd. prescrizione ordinaria), salvi i casi in cui la legge dispone diversamente; sono molte le ipotesi per le
quali è previsto un termine di prescrizione diverso: talvolta più lungo (ad es. i diritti reali di godimento su
cosa altrui si prescrivono per non uso protratto di 20 anni), talaltra più breve, dando luogo alle
cd. prescrizioni brevi (ad es. il diritto al risarcimento del danno si prescrive in 5 anni)

10. Sospensione e interruzione.


Presupposto di operatività della prescrizione è il mancato esercizio del diritto protrattosi nel tempo.
Con il decorso del tempo possono determinarsi due tipi di vicende che incidono sull’operatività della
prescrizione: la sospensione e la interruzione.
a)Si ha sospensione della prescrizione quando il mancato esercizio del diritto è giustificato dalla legge in
ragione di specifiche circostanze che impediscono od ostacolano l’esercizio del diritto.
La legge in merito prevede due categorie di fattispecie riconducibili a due ragioni giustificative.
La prima categoria di fattispecie giustificative è inerente alla relazione giuridica che lega il titolare del
diritto con il soggetto passivo (ad es. la prescrizione rimane sospesa tra i coniugi).
La seconda categoria di fattispecie giustificative riguarda invece la condizione del titolare del diritto
(ad es., la prescrizione che rimane sospesa contro i minori e gli interdetti per il tempo in cui non hanno
rappresentante legale e per 6 mesi successivi alla nomina del medesimo o alla cessazione dell’incapacità).
Per effetto della sospensione il periodo anteriore al verificarsi della causa di sospensione si somma al
periodo successivo alla cessazione della sospensione; così il periodo di sospensione esprime una parentesi
nel calcolo del termine di prescrizione.

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b) Si ha interruzione della prescrizione invece quando il diritto è considerato esercitato.
In tale ipotesi non c’è giustificazione dell’inerzia (come nella sospensione) ma cessazione dell’inerzia.
Regola generale è che la prescrizione è interrotta dalla notificazione dell’atto con il quale si inizia un
giudizio, oppure interrotta da ogni altro atto di manifestazione della volontà del titolare del credito
di far valere il proprio diritto nei confronti del soggetto passivo, con l’effetto di costituirlo in mora.
Per effetto dell’interruzione inizia un nuovo periodo di prescrizione. A differenza della sospensione,
il periodo antecedente all’interruzione non è calcolato nel calcolo del termine della prescrizione.

11. Le prescrizioni presuntive.


La caratteristica di tali prescrizioni è di operare sul terreno della prova.
La legge presume che alcuni rapporti obbligatori siano usualmente estinti in un breve lasso di tempo e senza
formalità.
La regola generale vuole che il creditore che chiede l’adempimento dell’obbligazione sia tenuto solo alla
allegazione del credito, mentre è onere del debitore provare l’adempimento o altra causa di estinzione del
debito.
La prescrizione presuntiva solleva il debitore dall’onere di tale prova,in quanto non è tenuto a provare
l’adempimento essendo questo presunto dalla legge dopo il decorso di un determinato periodo.
Il fenomeno è inverso rispetto a quello della prescrizione estintiva, in quanto questa questa estingue il
diritto per mancato esercizio; al contrario, la prescrizione presuntiva fa presumere che il diritto sia stato
esercitato e che sia intervenuto l’adempimento o altro fatto estintivo dell’obbligazione.
In ogni caso si tratta di una presunzione semplice di estinzione, che ammette la prova contraria;
la prova è però circoscritta al solo giuramento: colui al quale la prescrizione è stata opposta può demandare
all’altra parte il giuramento per accertare se si è verificata l’estinzione del debito.
Proprio in quanto il fondamento della prescrizione è la presunzione di estinzione del debito, se chi oppone
la prescrizione ha ammesso che l’obbligazione non è stata estinta, la prescrizione non opera.

12. La decadenza.
L’istituto inerisce alla dimensione temporale nella sua oggettività, senza alcun riguardo al titolare della
situazione soggettiva.
La legge mira a garantire che un diritto sia esercitato entro un dato termine (art. 2964); a differenza della
prescrizione il decorso del tempo rileva non come durata, ma nella prospettiva della scadenza
(c’è la necessità di compimento di un atto entro un determinato termine).
Talvolta la legge qualifica testualmente il termine come di decadenza; sono di decadenza anche molti termini
relativi allo svolgimento del processo, che la legge qualifica come “perentori” (categorico, rigido).
Talaltra la natura del termine deriva dalla ratio della norma.
In ragione della funzione della decadenza, per l’art. 2964, non si applicano le norme relative alla
interruzione né quelle relative alla sospensione, salvo che sia disposto diversamente.
Quanto all’interruzione, con il compimento dell’atto viene meno la ragione della decadenza, sicché la
interruzione non è di per sé ammissibile.
Quanto alla sospensione, è irrilevante la motivazione dell’inerzia: a differenza della prescrizione,
non è consentita la giustificazione dell’inerzia, data l’esigenza di esercitare il diritto “entro un certo
tempo”.
Inoltre la decadenza non può essere rilevata di ufficio dal giudice, con la conseguenza che per la sua
operatività, deve essere eccepita (obiettata, contestata) dalla parte.
Può essere rilevata di ufficio dal giudice quando, trattandosi di materia sottratta alle parti, questo
debba rilevare le cause di improponibilità dell’azione.

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a)Se la decadenza inerisce i diritti disponibili, l’operatività della decadenza è rimessa all’iniziativa
del soggetto interessato, che ha l’onere di eccepirla. E’ anche consentito alle parti stabilire decadenze
contrattuali, ma è nullo il patto con il quale si stabiliscono termini di decadenza che rendono piuttosto
difficile l’esercizio del diritto ad una delle parti.
Il termine di decadenza deve essere congruo sia alla durata del termine pattuito, che alla situazione
del soggetto obbligato a svolgere l’attività prevista per evitare la decadenza.
Se si tratta di un termine stabilito da un contratto o da una norma di legge relativa ai diritti disponibili,
la decadenza può essere impedita con il riconoscimento del diritto proveniente dalla persona contro la quale
si deve far valere il diritto soggetto a decadenza; quando la decadenza è impedita, il diritto rimane soggetto
alle disposizioni sulla prescrizione.
b) Se la decadenza inerisce a diritti indisponibili, le parti non possono modificare la disciplina legale
della decadenza, né rinunziare alla decadenza stessa.

C) INFLUENZA DELLO SPAZIO


13. La correlazione spaziale.
Lo spazio segna la collocazione territoriale del fatto giuridico e quindi delle vicende che ne derivano.
Con riferimento alle obbligazioni, l’adempimento deve avvenire nel luogo determinato nel contratto,
o in uno di quelli fissati dall’art. 1182. Con riguardo ai diritti reali, la localizzazione dei fondi assume
una rilevanza giuridica nella determinazione dello statuto del bene, influenzandone il godimento e la
circolazione. Lo spazio vale anche ad indicare il domicilio o la residenza delle persone fisiche e la sede
giuridica degli enti.

14. I conflitti di leggi nello spazio.


Nei rapporti tra soggetti di nazionalità diversa rileva come territorio ai fini dell’individuazione della legge
regolatrice del rapporto. Determinandosi un conflitto di leggi nello spazio, bisogna ricorrere alle regole del
diritto internazionale privato; in particolare c’è la necessità di ricercare il diritto applicabile al singolo fatto
giuridico o al singolo rapporto ovvero alle singole situazioni giuridiche.

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CAPITOLO 5 – AUTONOMIA NEGOZIALE
1.Autonomia privata e suoi limiti; 2. La categoria del negozio giuridico ed il suo sviluppo; 3. La realtà
dell’autonomia negoziale; 4. Negozio e negozialità; 5. I tratti essenziali dei negozi giuridici; 6. Soggetti e
parte del negozio. La legittimazione; 7. Le fondamentali categorie di negozi giuridici.

1. Autonomia privata e suoi limiti.


L’ espressione autonomia privata indica il potere dei privati di darsi autonomamente delle regole
impegnative. Letteralmente il termine autonomia significa governarsi con leggi proprie senza ingerenze
da parte di altri. L’esercizio dell’autonomia deve risultare compatibile con i doveri di solidarietà sociale.
L’autonomia è collocata in opposizione alla eteronomia, che allude a regole provenienti dall’esterno
rispetto ai soggetti.
In fondo al riconoscimento dell’autonomia privata c’è una duplice scelta dell’ordinamento:
da un lato, ritenere l’autonomia privata come esplicazione delle libertà fondamentali, per cui libertà e
autonomia privata insieme si tengono oppure insieme cadono; dall’altro, considerare l’autonomia privata
come migliore sistema in grado di procurare il benessere economico collettivo.
Alcuni criteri che conducono alla esplicazione dell’autonomia privata sono:
a)Innanzitutto l’autonomia negoziale rimane espressione di libertà, non funzionalizzata all’interesse
generale, ma deve risultare con questo compatibile. Operano in merito vari limiti alla sua esplicazione
relativamente alla natura degli interessi regolati ed al risultato perseguito, attraverso un controllo di liceità
e meritevolezza del contenuto dell’atto (limiti funzionali)
b) Rispetto alla formazione e alla struttura dell’atto negoziale operano precisi limiti perché l’atto
negoziale si svolga come esplicazione di autonomia privata (limiti strutturali): i negozi devono avere
i requisiti di validità previsti dalla legge per garantire una valida espressione della volontà negoziale.
c) A tutela della libertà individuale, opera un principio di indipendenza delle sfere giuridiche individuali.
E’ un criterio di competenza dell’autonomia privata rispetto agli interessi regolati, per cui è possibile
comandare in casa propria ma non in casa altrui.
d) Considerare l’autonomia privata come sistema di realizzazione dell’interesse economico collettivo.

2. La categoria del negozio giuridico ed il suo sviluppo.


L’espressione autonomia negoziale indica l’autonomia privata espressa mediante negozi giuridici
(autonomia privata negoziale); caratteristica dei negozi giuridici è quella di essere atti giuridici
rivolti al conseguimento di un risultato giuridicamente rilevante.
L’ordinamento accorda ai privati il potere di autoregolamentare i propri interessi, apprestando effetti
giuridici coerenti con lo scopo pratico perseguito, previa valutazione positiva dell’ordinamento stesso.
Il percorso di emersione della categoria del negozio giuridico:
a)Il negozio giuridico rileva come fatto regolante di interessi privati attraverso dichiarazioni di volontà;
dal punto di vista dei soggetti, ciò significava riconoscere l’unità del soggetto di diritto contro la
stratificazione sociale e giuridica di derivazione medievale; la volontà, quale espressione della libertà
dell’individuo, diventava la forza creatrice degli effetti giuridici. In una prospettiva economica,
il perseguimento del proprio interesse avrebbe condotto alla realizzazione dell’interesse economico generale.
b) Con lo sviluppo dell’industrializzazione è valorizzata la funzione di scambio del contratto considerato
come “centro della vita degli affari”. Il contratto evoca un circostanziato regolamento di interessi come
accordo per costruire, regolare o estinguere un rapporto giuridico patrimoniale.
Assume qui rilevanza l’esternazione della volontà ed il modo di come questa è avvertita nella società,
poiché c’è da garantire la certezza degli scambi (cd. teoria oggettiva).

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La libertà di contrarre (cioè di stipulare un contratto) non si accompagna più con la libertà di contrattare
(cioè di incidere sul contenuto del contratto).
E’ evidente il divario tra la compravendita di un immobile tra due privati e l’acquisto di un prodotto di serie:
nella prima ipotesi, c’è pieno esercizio di autonomia, sia di contrarre che di contrattare, mentre nella seconda
ipotesi, in capo all’acquirente emerge solo autonomia di contrarre e quindi di scelta del contraente e del
prodotto.
c) L’attenzione alle articolazioni del mercato e l’affermarsi di generali valori di solidarietà sociale, hanno
eroso la categoria del negozio giuridico. Il negozio rileva, non solo come fatto regolante, ma anche come
fatto regolato, aprendo la strada ad una valutazione dei modi di emersione e composizione degli interessi
contrapposti. L’efficacia giuridica del negozio è quindi legata alla valutazione che l’ordinamento compie
sul singolo negozio .

3. La realtà dell’autonomia negoziale.


In antitesi alla qualificazione del negozio come “manifestazione di volontà”, è emersa una configurazione
del negozio giuridico come “autoregolamento di interessi”, al fine di evidenziare l’insufficienza della
volontà a incidere sull’assetto di interessi realizzato dal negozio. La prima enfatizza la tensione soggettiva
verso il risultato che però si concreta in un autoregolamento di interessi, mentre la seconda valorizza
l’assetto di interessi attuato che però implica una manifestazione di volontà che lo sorregge e persegue.
Sono entrambe dimensioni destinate a convivere in una società che si riconosce nei valori della libertà e della
solidarietà. La fiducia nell’autonomia privata e nel mercato deve risultare compatibile con la tutela della
dignità della persona umana.
Non è configurabile una categoria del negozio giuridico come atto astrattamente unitario, mentre
mantiene attualità la categoria dell’autonomia negoziale quale rappresentazione della prerogativa di
autodeterminazione dei privati.

4. Negozio e negozialità.
C’è un diffuso rifiuto del negozio quale categoria generale ed astratta, considerata non in grado di
rappresentare il fenomeno dei contratti di massa, ma sussiste al tempo stesso una accentuazione degli
obblighi di trasparenza ed informazione, come antidoti alla prevaricazione economica al fine di consentire
una libera e consapevole esplicazione dell’autonomia privata.
In realtà bisogna guardare alla negozialità come categoria di frontiera da recuperare.
Rileva giuridicamente l’autonomia negoziale piuttosto che il negozio, per alludere al potere di
autoregolazione dei propri interessi piuttosto che riferirsi ad un atto delineato nella sua astratta unitarietà.
Deve trattarsi di una autonomia negoziale, non solo presupposta in capo ad ogni cittadino come garanzia
di uguaglianza e libertà, ma anche presidiata nell’effettività di esercizio.
Il divario di forza contrattuale può essere colmato dall’ordinamento attraverso due meccanismi:
riarmando la libertà dei privati con la predisposizione di strumenti che permettano informazione e siano
di presidio alla trasparenza, in modo da garantire la consapevolezza delle scelte operate; intervenendo
autoritativamente, con disposizioni che integrano il regolamento dei singoli negozi.
Altri rimedi che affiancano quelli tradizionali nella tutela dei diritti sono da un lato, un controllo preventivo,
per inibire comportamenti lesivi di interessi dei consumatori, indipendentemente dall’insorgere di una lite;
dall’altro, una tutela di massa, da parte di organizzazioni di categoria.
Il negozio giuridico è quindi inteso come espressione di negozialità, cioè come esercizio di autonomia
privata.

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5. Tratti essenziali dei negozi giuridici.
Nei negozi giuridici assumono rilevanza, non solo la volontarietà e la consapevolezza dell’atto,
ma anche la volontarietà dello scopo perseguito, nel senso che gli effetti giuridici determinati
dall’ordinamento, si conformano allo scopo pratico perseguito.
Ogni negozio giuridico consiste in una manifestazione di volontà rivolta al perseguimento di uno scopo
concreto giuridicamente rilevante.
Elementi essenziali (costitutivi) del negozio giuridico sono: la manifestazione di volontà diretta ad uno
scopo; lo scopo concreto perseguito e la forma vincolata della dichiarazione (quando è richiesta
ad substantiam).
a)Manifestazione di volontà. E’ l’espressione volitiva degli autori dell’atto.
La volontà indica la tensione dei soggetti verso il perseguimento di un determinato scopo (volontà negoziale
o intento negoziale); è però necessario che la volontà negoziale sia esteriorizzata, al fine di rivelare
l’assetto di interessi che si intendere realizzare e regolare.
Talvolta la volontà è manifestata attraverso apposita dichiarazione (espressa o tacita); talaltra con
l’attuazione dello scopo perseguito senza una preventiva dichiarazione.
Con riguardo al contratto, è necessario che le manifestazioni di volontà di due o più parti si combinino
in un accordo che incarna la concorde volontà delle parti.
b) Scopo concreto. Indica lo scopo perseguito e quindi l’assetto di interessi attuato, per cui il negozio si
atteggia quale autoregolamento di interessi. Il profilo è giuridicamente espresso dalla nozione di causa del
negozio come funzione concreta realizzata dal negozio stesso.
c) Forma vincolata. Una manifestazione non può mai mancare, in quanto la volontà si esteriorizza
attraverso la manifestazione; talvolta la manifestazione è assoggettata ad una particolare forma per la validità
dell’atto (cd. forma ad substantiam).
Quando è richiesta una specifica forma della manifestazione per la validità dell’atto, la forma stessa diviene
requisito essenziale del singolo negozio (cd. negozi solenni).
Ulteriori requisiti di validità sono richiesti dalla legge rispetto a singoli negozi o con riguardo
a concreti negozi, in ragione della formazione o del contenuto del negozio.

6. Soggetti e parte del negozio. La legittimazione.


Gli atti e i negozi giuridici provengono da soggetti, ossia gli autori dell’atto; è fondamentale che gli autori
dell’atto abbiano la capacità di agire oltre che la capacità giuridica.
E’ necessario che i soggetti abbiano la competenza ad incidere sugli interessi regolati e quindi rispetto al
rapporto dedotto nel negozio (cd. legittimazione al negozio); spesso accade che l’autore formale dell’atto
coincide con il titolare dell’interesse regolato dal negozio.
Talvolta c’è una dissociazione tra i due profili, in quanto l’autore formale dell’atto non coincide con il
titolare dell’interesse regolato dal negozio, come avviene con riguardo alla rappresentanza, per cui un
soggetto (rappresentante) agisce e conclude un contratto in nome e nell’interesse di altro soggetto
(rappresentato), sicché il contratto concluso dal rappresentante produce direttamente effetto nei confronti
del rappresentato.
La legittimazione del soggetto agente sta ad indicare la sua competenza ad ottenere o a subire gli effetti
giuridici del regolamento negoziale. Il riferimento all’interesse regolato dal negozio fa emergere la rilevanza
della figura di parte che esprime il centro di interessi cui si riferisce l’atto, che può riguardare un solo
soggetto (cd. parte unisoggettiva) o involgere più soggetti, persone fisiche o enti (cd. parte plurisoggetiva)
Si suole parlare di parte in senso sostanziale, con riguardo al soggetto titolare dell’interesse regolato
dall’atto e di parte in senso formale con riferimento al soggetto che partecipa, ossia è autore dell’atto.

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Con riguardo alla dichiarazione proveniente da una parte plurisoggettiva, è importante verificare il modo
di disporsi delle volontà dei singoli soggetti: si delineano in tale prospettiva le figure, da un lato dell’atto
complesso e dall’altro, dell’atto collettivo e atto collegiale (il quale ha la funzione di esprimere la volontà
dei gruppi organizzati, come società ed associazioni).
Si ha atto complesso quando le dichiarazioni di volontà di più soggetti convergono e si fondono
nell’attuazione di un interesse unitario; se una delle volontà che concorre a formare la manifestazione
unitaria è viziata, anche questa è viziata e quindi il negozio è invalido.
Si ha atto collettivo quando le più volontà che concorrono a formare la volontà comune si sommano
per esprimere il perseguimento di un interesse degli autori dell’atto mediante manifestazione unitaria di
volontà verso l’esterno (es. deliberazione dei partecipanti di una comunione).
Una specificazione dell’atto collettivo è il cd. atto collegiale; è il terreno dei gruppi organizzati, in quanto
esprime il fenomeno delle delibere assunte dalle organizzazioni collettive. Le singole volontà concorrono al
perseguimento di un interesse del gruppo, considerato proveniente dal gruppo stesso.

7. Le fondamentali categorie di negozi giuridici.


Si vogliono qui delineare alcune classi di negozi giuridici in ragione di generali criteri direttivi.
I negozi illeciti non costituiscono una categoria di negozi contrapposta a quella dei negozi leciti, in quanto
rappresentano deviazioni rispetto alla regola, come violazioni dell’ordinamento.
a)Parti. Si suole distinguere tra negozi unilaterali, negozi bilaterali e negozi plurilaterali a seconda del
numero delle parti che concorre alla determinazione dell’intento negoziale.
1)Il negozio unilaterale si ha quando proviene da una sola parte: esprime la manifestazione di intento
negoziale di una sola parte, se l’intento è espresso da un solo soggetto, atteggiandosi quale negozio
unilaterale unisoggettivo (es. testamento), mentre se l’intento negoziale è espresso dal concorso delle
volontà di più soggetti, si atteggia come negozio unilaterale plurisoggettivo (es. disdetta da un contratto
di locazione proveniente dai coniugi comproprietari dell’immobile).
I negozi unilaterali sono di regola recettizi, nel senso che producono effetto dal momento in cui pervengono
a conoscenza del destinatario, ma non mancano negozi unilaterali non recettizi, la cui efficacia prescinde
dalla conoscenza che ne abbia il terzo.
2) Il negozio bilaterale invece si ha quando proviene da due parti: esprime un regolamento di interessi
in grado di fornire soluzioni alle tensioni di due parti tendenzialmente conflittuali. Se ha un contenuto
patrimoniale, integra un contratto (es. vendita, trasporto, appalto).
3) Il negozio plurilaterale è finalizzato al soddisfacimento degli interessi di due o più parti. Se ha un
contenuto patrimoniale integra un contratto plurilaterale (es. società con più di due soci).
b) Contenuto. Tale profilo consente di distinguere i negozi in ragione della natura patrimoniale o meno
degli interessi attuati.
1)Sono negozi con contenuto patrimoniale quelli che hanno immediatamente ad oggetto interessi
economici (es. contratto di vendita), ma anche quelli che trovano una contropartita in un valore economico
(es. contratti per assistere ad una competizione sportiva)
2) Sono negozi con contenuto non patrimoniale quelli che incidono sulla sfera esistenziale dei soggetti,
nella dimensione personale o collettiva delle formazioni sociali.
Per la dimensione personale si pensi agli atti di disposizione del proprio corpo, ammessi solo quando non
arrechino una diminuzione permanente della integrità fisica o non siano contrari alla legge, all’ordine
pubblico o al buon costume.
Per la dimensione collettiva, si pensi ai negozi giuridici familiari, che hanno come causa l’organizzazione
della vita familiare, da instaurare o esplicare o interrompere.

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c) Forma. Una manifestazione di volontà non può mai mancare per esternare l’intento negoziale; talvolta
questa deve assumere una forma vincolata.
Sono negozi solenni (o con forma vincolata) quelli per i quali è prescritta una determinata forma per la
validità dell’atto; sono invece negozi non solenni (o con forma libera) tutti gli altri, per i quali vale un
principio di libertà di forma, nel senso che la volontà può essere manifestata nei modi ritenuti più
opportuni dagli autori dell’atto.
d) Efficacia. In base a tale criterio distinguiamo tra negozi con effetti reali e negozi con effetti obbligatori.
1) I negozi con effetti reali (o negozi di alienazione), realizzano lo scopo pratico perseguito dai privati,
per effetto del negozio stesso, come suo risultato immediato (si pensi agli acquisti a titolo derivativo,
costitutivo o traslativo).
2) I negozi con effetti obbligatori (o negozi obbligatori), producono la costituzione di obbligazioni a carico
delle parti, sicché la realizzazione dello scopo pratico perseguito attraverso il negozio avviene solo
successivamente in dipendenza dell’adempimento delle obbligazioni stesse.
3) Una categoria autonoma è rappresentata dai negozi di accertamento; da tali negozi non consegue una
vera a propria modificazione della realtà giuridica quale esistente; questi hanno la sola funzione di eliminare
l’incertezza circa un determinato rapporto, immediatamente e con efficacia retroattiva.
e) Vita /Morte. Una rilevante distinzione la si deve fare tra negozi inter vivos e negozi mortis causa.
Alla categoria dei negozi inter vivos appartiene l’esplicazione dell’autonomia negoziale mediante l’esercizio
dell’autonomia contrattuale (es. vendita, appalto). Negozio tipico mortis causa è il testamento, quale atto di
disposizione per il tempo in cui il testatore avrà cessato di vivere (art. 587).
f) Previsione normativa. L’ordinamento regola alcuni schemi negoziali, la cui funzione è considerata
meritevole di tutela (negozi tipici o nominati) come la vendita, la locazione, l’appalto, la donazione etc.
E’ però consentito elaborare ulteriori schemi negoziali o modificare quelli previsti (negozi atipici o
innominati), purché meritevoli di tutela.

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CAPITOLO 6 – INIZIATIVA ECONOMICA (Concorrenza e mercato)
1.Iniziativa economica. L’impresa; 2. L’azienda; 3. L’iniziativa economica privata nel modello
costituzionale; 4. Concorrenza e mercato; 5. Le alterazioni della concorrenza.

1.Iniziativa economica. L’impresa.


L’iniziativa economica è l’attività di combinazione e organizzazione dei fattori della produzione (capitale e
lavoro) per creare ricchezza. Per l’art. 2082 è imprenditore “chi esercita professionalmente un’attività
economica organizzata ai fini della produzione o dello scambio di beni o di servizi”.
In sostanza è una qualifica che si acquista in ragione dell’attività economica svolta.
Non è necessario che l’imprenditore sia proprietario dei mezzi di produzione, ma è sufficiente che se ne
assicuri la disponibilità e che possa utilizzarli. Mediante i contratti l’imprenditore si procura i mezzi di
produzione (materiali e immateriali) in proprietà e/o in mero godimento.
Venendo agli ulteriori caratteri dell’attività imprenditoriale, deve trattarsi di un’attività economica, ossia
di una attività in grado di conseguire la numerazione dei fattori produttivi mediante il risultato della stessa,
senza prefiggersi necessariamente il conseguimento di un lucro e dunque di un profitto dell’imprenditore
(cd. lucro oggettivo). Inoltre deve essere un’attività esercitata professionalmente, stabilmente e con
abitualità.
Uno specifico statuto è riservato alle imprese commerciali, prevedendosi a carico dell’imprenditore
commerciale l’iscrizione nel registro delle imprese, la tenuta delle scritture contabili e la soggezione a
fallimento. Per l’art. 2195 sono soggetti all’obbligo dell’iscrizione nel registro delle imprese,
gli imprenditori che esercitano un’attività industriale diretta alla produzione di beni o servizi, o un’attività
intermediaria nella circolazione dei beni.
L’impresa può essere esercitata in forma individuale o collettiva, dando luogo ad una società.
Per l’art. 2247, con il contratto di società due o più persone conferiscono beni o servizi, per l’esercizio
in comune di un’attività economica allo scopo di dividerne gli utili. L’attività economica deve essere
rivolta al conseguimento di utili, ossia di profitto per i soci (cd. lucro soggettivo).

2. L’azienda.
L’azienda è il complesso dei beni organizzati dall’imprenditore per l’esercizio dell’impresa.
L’impresa invece è una attività economica organizzata per la gestione di un’azienda, la quale è inseparabile
dall’imprenditore. Non è necessario che l’imprenditore sia proprietario dei mezzi della produzione,
ma è sufficiente che ne abbia la disponibilità.
La disciplina dell’azienda è rivolta a regolarne la circolazione, ossia l’alienazione a terzi della stessa
con l’intento di mantenere l’utilità economica del complesso dei beni e dei rapporti contrattuali inerenti
all’azienda.
Segni distintivi dell’azienda, sono la ditta, l’insegna e il marchio.
La ditta identifica la titolarità; deve contenere almeno il cognome o la sigla dell’imprenditore, salva l’ipotesi
del trasferimento dell’azienda. L’insegna connota il luogo ove è esercitata l’attività, mentre il marchio
contraddistingue il prodotto (bene o servizio).
L’azione di contraffazione del marchio d’impresa ha natura reale e tutela il diritto assoluto all’uso
esclusivo del segno distintivo sulla base del riscontro della confondibilità dei marchi.

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3. L’iniziativa economica privata nel modello costituzionale.
Il codice civile del 1942, seguendo il cd. metodo dell’economia è articolato all’insegna della certezza
della circolazione giuridica: la libera circolazione dei beni permette lo sviluppo economico poiché agevola la
collocazione dei prodotti sul mercato.
L’iniziativa economica privata è libera ma non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo
da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana; sono questi limiti alla stessa libertà di
iniziativa, che non può essere svolta se non con i limiti indicati.
Per fare in modo che la libertà dall’iniziativa economica non si faccia piegare dai pubblici poteri è prevista
una riserva di legge per fornire i programmi e i controlli opportuni in modo che l’attività economica,
pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali.
L’impresa peraltro può essere esercitata non solo da privati, ma anche da enti pubblici, con gli strumenti
del diritto privato, secondo un fenomeno di progressiva neutralizzazione delle forme rispetto ai risultati
perseguiti.

4. Conoscenza e mercato.
Il mercato è il luogo di approdo dei risultati dell’attività imprenditoriale, dove cose e servizi vengono
collocati e scambiati; qui si incontrano domanda e offerta.
Poiché sono vari i soggetti del sistema economico (finanziatori, lavoratori, consumatori, ecc) per ognuno
dei componenti di tale sistema si svolge un relativo mercato (dei capitali, del lavoro, dei prodotti).
Un tempo il mercato era circoscritto ad un unità fisica, dove si incontravano i soggetti del processo
produttivo; ma più i confini del mercato si dilatavano, maggiormente era avvertita l’esigenza di garantire
informazione e trasparenza, quali connotati essenziali di funzionamento del mercato.
Il funzionamento del mercato non può essere rilasciato ad uno spontaneismo senza regole, con la vittoria
della legge del più forte: un mercato senza regole non garantirebbe il libero accesso a tutti gli operatori
economici e dunque una corretta gara tra gli stessi.
La libertà di iniziativa economica privata segna la libertà di accesso al mercato; tradizionalmente la
concorrenza è stata configurata come conseguenza della libertà di iniziativa economica.
Il codice civile prevede delle limitazioni legali della concorrenza che operano nella prospettiva di tutela
dei soli imprenditori, al fine di evitare che vincoli troppo prolungati possano svuotare la libertà di iniziativa
economica. Anche la disciplina sulla concorrenza sleale è immaginata come rivolta a disciplinare la
concorrenza tra imprenditori e quindi nella tutela dei soli operatori concorrenti.
Per l’art. 2958 compie atti di concorrenza sleale chiunque compie atti che creino confusione con i prodotti
e con l’attività di un concorrente, o si appropria di pregi dei prodotti o dell’impresa di un concorrente.
L’unica norma a tutela del pubblico è quella relativa all’obbligo di contrattare nel caso di monopolio.
Con il tempo i protagonisti del mercato non sono più solo gli imprenditori in quanto ad essi si affiancano
i consumatori; viene in rilievo il mercato concorrenziale quale presupposto di iniziativa economica.
La disciplina antitrust tutela la concorrenza e non i concorrenti; il bene giuridico tutelato è la struttura
concorrenziale del mercato presidiato dai doveri di lealtà e di trasparenza.
Quanto alla tutela per attività anticoncorrenziale, è istituita l’autorità garante della concorrenza e del
mercato, con il potere di regolazione ed il potere di emettere diffide e sanzioni; tale Autorità, valutati gli
elementi in suo possesso procede ad istruttoria per verificare l’esistenza di infrazioni ai divieti stabiliti negli
art. 2 e 3 (l’art. 2 vieta le intese tra le imprese che hanno per oggetto o per effetto di impedire, restringere o
falsare il gioco della concorrenza all’interno del mercato nazionale, ossia le cd. intese orizzontali; l’art. 3
invece vieta l’abuso di posizione dominante da parte di una o più imprese all’interno del mercato
nazionale).

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5. Le alterazioni della concorrenza.
Lo Stato ha legislazione esclusiva in materia di concorrenza, unitamente alle materie riguardanti la moneta,
la tutela del risparmio e dei mercati finanziari; tale accorpamento rende evidente che la tutela della
concorrenza costituisce una delle leve della politica economica statale.
Quando si parla di problemi della concorrenza e del mercato, si ha riguardo all’azione delle imprese,
ponendosi in una visione prospettica dell’attività delle stesse.
Si pensi al divieto comunitario degli aiuti di Stato, quando favorendo talune imprese o produzioni, falsino
o minaccino di falsare la concorrenza. In una diversa prospettiva operano altri fattori distorsivi della
concorrenza, più insidiosi di quelli regolati dalla legge in quanto la disciplina che li contempla non è
coordinata con la normativa a tutela della concorrenza; si abbia a riguardo al modello di reclutamento della
forza lavoro, agli orari di lavoro praticati, ai luoghi e alle condizioni di lavoro etc.
In definitiva la garanzia del mercato concorrenziale deve aprirsi a tutte quelle pratiche che falsano il mercato
in quanto infrangono la parità delle condizioni di gara.

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CAPITOLO 7 – CLAUSOLE GENERALI
1.Funzione e tipologia delle clausole generali; 2. Buona fede soggettiva (affidamento); 3. Apparenza
giuridica; 4. Buona fede oggettiva; 5. Informazione e trasparenza; 6. Solidarietà.

1.Funzione e tipologia delle clausole generali.


L’aderenza all’ordinamento con l’evolversi della realtà sociale viene assicurata dalle clausole generali; il
ricorso a tali clausole esprime l’esigenza degli ordinamenti di far fronte a due esigenze: da un lato,
l’impossibilità di disciplinare tutti i casi di realtà materiale; dall’altro, la rapidità di mutamento dei valori
nei quali la società si riconosce.
Le clausole generali indicano una tecnica di formazione: mirano alla determinazione del contenuto
precettivo delle singole regole secondo l’evolvere dell’ordinamento, mediante strumenti dotati di elasticità
ed adattabilità (si pensi alle previsioni che si riferiscono a buona fede, correttezza, buon costume; sono tutte
norme elastiche per essere caratterizzate da una formulazione generica e vaga che si riempie di contenuto).
La clausola generale si concretizza nel tempo secondo i valori espressi dall’ordinamento, ai quali anche il
giudice deve uniformarsi. Si comprende così come una stessa clausola generale possa nel tempo riempirsi di
contenuti diversi in ragione dell’evolvere dei valori positivamente espressi.
Le clausole generali favoriscono la regolazione di fattispecie non espressamente previste, e consentono
l’aderenza delle stesse all’evoluzione dell’ordinamento.
Alcune di tali clausole sono già presenti nel codice civile (buona fede, correttezza, buon costume, di
ordinaria e straordinaria amministrazione), altre stanno emergendo in virtù della legislazione successiva
al codice civile, sotto l’influsso della Carta Costituzionale.
Emblematica è la clausola generale del divieto di abuso del diritto, contenuta nelle convenzioni europee
sui diritti dell’uomo e sulle libertà fondamentali, ormai applicata in più direzioni.
La normazione per clausole generali svolge un ruolo significativo nello sviluppo del diritto comunitario,
favorendo l’adattamento di principi comunitari alle diverse esperienze giuridiche nazionali.
In definitiva le clausole generali si riempiono di contenuto con il progredire delle fonti dell’ordinamento:
le stesse consentono una valutazione delle relazioni sociali ed una interpretazione delle singole norme
secondi i valori sopravvenuti e con riguardo alle circostanze del caso concreto.
Nell’opera di determinazione del contenuto dei precetti giuridici, un ruolo fondamentale assume
l’interpretazione, la quale deve svolgere un’azione articolata e complessa di rilevamento e definizione
del contenuto della regola all’interno dell’ordinamento; l’interpretazione delle clausole generali è perciò
soggetta ad uno stringente controllo circa il modo di determinazione del contenuto delle stesse e di
applicazione alla concreta fattispecie, al fine di salvaguardare la certezza del diritto.
Tra le clausole generali, primaria rilevanza ha la previsione di buona fede, fino a potersi considerare questa
come assorbente di ogni altra clausola, per essere idealmente presupposta da ogni altra clausola.

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2. Buona fede soggettiva (affidamento).
La buona fede esprime l’aspirazione alla realizzazione di una convivenza civile improntata su un vincolo
di lealtà tra i vari soggetti.
La buona fede soggettiva esprime uno stato soggettivo di ignoranza della realtà giuridica; la legge tutela
la situazione soggettiva del soggetto che, senza colpa, ignora l’esistenza di un fatto o di un diritto, oppure
considera esistente un fatto o un diritto in quanto apparente, che in realtà non sussiste (cd. affidamento
incolpevole). Le regole sulla buona fede soggettiva sono dettate con riguardo al possesso di buona fede;
la norma qualifica possessore di buona fede “chi possiede ignorando di ledere un diritto altrui”.
La stessa norma stabilisce poi due principi: la buona fede non giova se l’ignoranza dipende da colpa
grave; la buona fede è presunta e basta che vi sia stata al tempo dell’acquisto.
Altre ipotesi di tutela della buona fede soggettiva si ritrovano in tema di obbligazioni e contratti come
ad es. l’annullamento del contratto che non dipende da incapacità legale, non pregiudica i diritti acquistati
a titolo oneroso dai terzi di buona fede.

3. Apparenza giuridica.
L’apparenza giuridica è una specificazione dell’affidamento incolpevole, rinvenibile quando lo stato
soggettivo di affidamento si fonda sull’apparente esistenza di una situazione giuridica.
In sostanza è attribuita rilevanza giuridica a situazioni socialmente apparenti come giuridiche.
Il principio dell’apparenza giuridica è collegato all’esigenza di tutela della certezza del diritto e della
circolazione giuridica, quali fondamentali esigenze del sistema economico.
Figure di apparenza giuridicamente rilevante si trovano già all’interno nel codice civile (ad es. il debitore che
esegue il pagamento ad un creditore apparente, è liberato se prova di essere stato in buona fede).
Per il ricorso all’apparenza giuridica è sufficiente che ricorrano due presupposti: uno stato di fatto
formalmente rispondente ad una realtà giuridica e l’incolpevole convincimento del terzo che le due
distinzioni coincidano (cd. apparenza pura).
Ad opera della giurisprudenza viene delineata una cd. apparenza colpevole (o colposa) richiedendosi
l’ulteriore presupposto della condotta colpevole del soggetto che ha generato l’apparenza.
La tutela dell’apparenza del diritto non può essere invocata da chi trascuri di ispezionare i registri
di pubblicità quando la situazione giuridica apparente è soggetta a pubblicità. La pubblicità, procurando la
conoscibilità legale, costituisce un limite legale all’efficacia dell’apparenza giuridica, la quale opera quando
non ha la possibilità di esplicarsi la pubblicità. Apparenza e pubblicità sono gli essenziali modelli di
rilevanza ed opponibilità di fatti e atti giuridici nei confronti dei terzi.

4. Buona fede oggettiva.


A differenza della buona fede soggettiva, la buona fede oggettiva indica un dovere di comportamento
e più precisamente il dovere di comportarsi con lealtà e correttezza.
Il principio si colloca tra le “clausole generali” del sistema, per esprimere un fondamentale valore
dell’ordinamento che si specifica di volta in volta in relazione al contesto di interessi in cui opera
(con riguardo alla qualità dei soggetti, alle circostanze del fatto e alla natura degli interessi coinvolti).
Il principio trova specifica previsione in tema di obbligazioni e contratti, per il vincolo che si determina tra le
parti del contratto ed in generale tra i soggetti del rapporto obbligatorio.
Già nella formazione dell’accordo e durante le trattative, le parti sono obbligate a comportarsi secondo buona
fede; analogamente, chi ha alienato o acquistato sotto condizione, deve comportarsi secondo buona fede per
conservare integre le ragioni dell’altra parte. Inoltre il contratto deve essere interpretato ed eseguito secondo
la buona fede. E’ un principio unitario che ingloba sia un dovere negativo di non beffare gli altri con la
menzogna o la reticenza, sia un dovere positivo di comportamento improntato alla solidarietà verso gli altri.
Diverso è il dovere di diligenza che allude al dovere della parte di comportarsi senza colpa, ossia di non
incorrere in negligenza, imprudenza o imperizia.

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5. Informazione e trasparenza.
Il dovere di buona fede oggettiva tende a dilatarsi in una duplice direzione: come regola di mercato e
come presidio della persona umana.
Nella dimensione del mercato, si caratterizza come dovere di informazione e regola di trasparenza.
L’agire leale e corretto è comportamento che tutela immediatamente i soggetti del rapporto, ma
mediatamente si risolve a vantaggio dello sviluppo economico-sociale in quanto consente di selezionare le
imprese efficienti attraverso un corretto gioco della concorrenza.
Spetta all’ordinamento giuridico riequilibrare le posizioni degli agenti del mercato, segnando i livelli di
informazione e trasparenza da rispettare, quali postulati di un mercato che si erge a volano dello sviluppo
economico e sociale; vanno peraltro controllate la natura, la funzione e la destinazione dell’informazione,
a tutela di soggetti deboli per la prevenzione di illeciti.
La trasparenza si specifica sia nel dovere di informazione che nel dovere di una corretta pubblicità
(non menzognera o ingannevole). In una società globalizzata come oggi, la scelta non è tra prodotti ma tra
rappresentazioni di prodotti, sicché informazione e trasparenza diventano leve di un mercato non solo
efficiente ma anche equo.

6. Solidarietà.
L’attuazione del principio di solidarietà è stato mediato dall’intervento legislativo o dal potere
amministrativo che operava scelte o imponeva comportamenti rispettosi degli interessi della generalità
o di aiuto ai soggetti più deboli.
La buona fede tende sempre più a connotarsi come dovere di solidarietà attraverso una sinergia della
titolarità dei diritto con l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.
Il principio di buona fede si connota per il dovere in capo a ciascun contraente non solo di non essere
menzognere e reticente (dovere negativo), ma anche di compiere quanto è necessario alla salvaguardia
dell’interesse della controparte nella misura in cui non comporti un consistente sacrificio a suo carico
(dovere positivo).
Più in generale la solidarietà si atteggia come criterio fondamentale di civiltà e convivenza umana,
cui tendono più ideologie politiche e professioni religiose.

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PARTE III – TUTELA DEI DIRITTI

CAPITOLO 1 – TUTELA GIURISDIZIONALE DEI DIRITTI


1.Protezione effettiva dei diritti e giurisdizione; 2. I principi della giustizia civile; 3. Processo di cognizione;
4. Processo di esecuzione; 5. Procedimenti speciali. I procedimenti cautelari; 6. Volontaria giurisdizione;
7. Il diritto processuale uniforme; 8. Le Corti europee; 9. La tutela rimediale.

1.Protezione effettiva dei diritti e giurisdizione.


Ogni ordinamento si caratterizza per un generale principio di effettività, dovendo essere in grado di garantire
l’applicazione delle norme giuridiche emanate.
Agli istituti di diritto sostanziale (o materiale) che riconoscono diritti ed impongono obblighi, si
connettono istituti di diritto processuale, che consentono l’attuazione giudiziaria nel caso in cui i diritti
non siano rispettati.
La tutela giurisdizionale dei diritti integra un sistema di diritto formale o strumentale (processuale)
che opera quando le norme sostanziali siano violate e quindi le situazioni soggettive lese o anche solo
contestate, con funzione di tutela e reintegrazione di queste.
Una dicotomia ha pervaso la tutela dei diritti: actio in rem e actio in personam.
La distinzione era riferita alla natura del diritto vantato, attenendo l’actio in rem alla tutela dei diritti
assoluti e l’actio in personam riguardante la tutela dei diritti relativi; mentre l’actio in rem tende al
conseguimento dell’interesse leso, indipendentemente dalla natura assoluta o relativa dello stesso,
l’actio in personam mira all’ottenimento di un equivalente dell’interesse leso.
Al centro del sistema di tutela si colloca la giurisdizione, la cui configurazione come attributo della
sovranità statale, è concetto collegato allo Stato moderno.
Più di recente la giurisdizione è vista come servizio pubblico rivolto alla tutela di interessi dei cittadini
e perciò alla composizione delle controversie. Distinto dai poteri legislativo ed esecutivo opera il potere
giudiziario, che si esplica mediante l’esercizio della funzione giurisdizionale, cui si connette il diritto di ogni
cittadino ad una protezione giudiziaria effettiva.
Sussistono dei principi fondamentali sulla giurisdizione, sempre più pervasi dai valori della legalità
costituzionale ed europea.
a)Per l’art. 24 Cost. tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti ed interessi legittimi: la
difesa è un diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento.
b) Secondo l’art. 25 nessuno può essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge.
c) Secondo l’art. 101 i giudici sono soggetti soltanto alla legge e la giustizia è amministrata in nome del
popolo.
La tutela dei cittadini si è esplicata attraverso una ripartizione della giurisdizione in due forme:
quella ordinaria (giustizia civile e penale) e quella amministrativa (giustizia amministrativa).
La giurisdizione ordinaria opera quando è leso un diritto soggettivo o altra situazione giuridica soggettiva
(es. il possesso), di cui è titolare il privato nell’ambito di un regime paritario con altro soggetto: si collega
alla violazione di norme di relazione.
La giurisdizione amministrativa opera invece a tutela di posizioni giuridiche soggettive, lese dall’attività
esercitata dalla pubblica amministrazione, quale autorità titolare di poteri autoritativi attribuiti dalla legge
per la realizzazione di interessi generali: questa si collega invece alla violazione di norme di azione.

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2. I principi della giustizia civile.
Con il codice di procedura civile del 1942 si realizza un rafforzamento dell’autorità del giudice;
in una prospettiva più recente anche la giustizia civile è concepita in funzione della tutela dei diritti.
Il diritto processuale civile indica la serie di regole sul come procedere giudiziariamente per conseguire
tale tutela: il codice di procedura civile regola la struttura del processo, le posizioni processuali delle parti e
le modalità di articolazione delle prove.
Il processo è organizzato attraverso più gradi di giurisdizione, al fine di consentire un riesame della
questione decisa dal giudice. Giudici di primo grado sono il tribunale (ordinario) ed il giudice di pace; gli
appelli contro le sentenze dei giudici di primo grado si propongono alla corte di appello e al tribunale nella
cui circoscrizione ha sede il giudice che ha pronunziato la sentenza.
Le sentenze pronunziate in grado d’appello sono impugnabili con il ricorso alla Corte di Cassazione.
Nel quadro dei valori generali sulla giurisdizione vanno delineati i principi specifici ed essenziali della
giurisdizione civile.
a) Correlazione tra la titolarità del potere di azione e la titolarità della situazione giuridica dedotta,
per cui nessuno può far valere in nome proprio nel processo un diritto altrui;
b) Alla disponibilità dei diritti sostanziali si connette la disponibilità della relativa tutela
(cd. principio della disponibilità della giurisdizione).
d) Il giudice non può disporre sopra alcuna domanda, se la parte contro la quale è proposta non è stata
regolarmente citata e non è comparsa (cd. principio del contraddittorio, il quale riguarda non solo il
rapporto tra le parti del giudizio, ma anche il rapporto tra le parti ed il giudice, per cui il giudice, se ritiene di
porre alla base della decisione una questione rilevata di ufficio, deve assegnare alle parti un termine per
memorie sulla questione).
e) Il giudice deve pronunciare su tutta la domanda e non oltre i limiti di essa, e non può pronunciare
d’ufficio su eccezioni che possono essere proposte soltanto dalle parti (cd. principio della corrispondenza
tra il chiesto ed il pronunciato)
L’attore è colui che esercita l’azione; tale azione deve prospettare ed affermare il diritto fatto valere in
giudizio ed il risultato perseguito: si compone di un petitum (l’oggetto della domanda) e di un una causa
petendi (il fondamento della domanda).
Il convenuto è il soggetto contro il quale è proposta la domanda. La sua chiamata in giudizio mediante la
notificazione della domanda, determina la instaurazione del contradditorio; con tale notificazione si
determinano anche gli effetti sostanziali della domanda stessa (es. interruzione della prescrizione, costituente
in mora). La sua posizione difensiva si svolge rispetto alla domanda e all’oggetto del processo fissato dalla
domanda stessa. Il giudice è il soggetto (terzo) tenuto per legge al dovere decisorio; deve sussistere una
correlazione tra il tipo di azione esercitata ed il tipo di provvedimento.
Se la sentenza non copre l’intera domanda, c’è vizio di omissione di pronuncia; se invece la sentenza
eccede la domanda, c’è vizio di ultrapetizione.
In ogni caso il giudice nel pronunciare sulla causa, deve seguire tutte le norme di diritto, non limitandosi a
quelle indicate nella domanda, arrivando anche a mutare le qualificazioni giuridiche addotte dalle parti.

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3. Processo di cognizione.
Ha la funzione di portare alla conoscenza del giudice una questione, perché questo possa individuare la
regola di diritto sostanziale applicabile al caso concreto.
La struttura del processo di cognizione è configurato dalla legge in tre fasi: a) fase di introduzione della
causa; b) fase di istruzione della causa; c) fase di decisione della causa.
Funzione della cognizione è quindi l’accertamento che il giudice compie dell’esistenza o meno di un diritto
vantato o contestato. L’accertamento compiuto dal primo giudice investito della questione è passibile di
riesame da parte di un altro giudice; quando la sentenza non è più soggetta a riesame si determina la cd. cosa
giudicata formale o si intende passata in giudicato (la sentenza non è più soggetta né a ricorso per
cassazione, né a revocazione).
A seconda dello scopo perseguito dall’attore si qualifica l’azione: in ragione della tipologia dell’azione il
processo realizza finalità diverse e si conclude con sentenze differenti.
a)Azione di mero accertamento. Il processo tende al mero accertamento dell’esistenza o inesistenza di
una situazione giuridica lesa o contestata; l’accoglimento della domanda conclude il processo con una
sentenza di mero accertamento (sentenza dichiarativa).
b) Azione di condanna. La finalità realizzata dal processo è più complessa, in quanto l’azione oltre che
perseguire un accertamento mira a ordinare al convenuto un determinato comportamento; l’accoglimento
della domanda conclude il processo con una sentenza di condanna costituente il titolo esecutivo per
l’esecuzione forzata.
c) Azione costitutiva. Ancora più incisiva è la finalità ora perseguita, in quanto con tale azione si mira a
conseguire una modificazione della realtà giuridica.

4. Processo di esecuzione.
Ha la funzione di realizzare coattivamente l’attuazione dei diritti.
La tutela giurisdizionale avviene mediante l’esecuzione forzata, la quale si fonda su un titolo esecutivo
che indica il diritto che si intende attuare; l’esecuzione forzata ha luogo in virtù di un titolo esecutivo
per un diritto certo, liquido ed esigibile, quando lo stesso rimane inattuato. L’esecuzione forzata è sempre
anticipata dal precetto che annunzia l’esecuzione
Il diritto è certo quando risulta dal titolo esecutivo, liquido quando è determinato nell’ammontare
ed esigibile quando si è realizzata l’eventuale condizione o è scaduto l’eventuale termine per il suo esercizio
(tali requisiti devono non solo esistere, ma risultare dal titolo esecutivo).
Sussistono due modelli di esecuzione forzata: in forma specifica e per espropriazione.
a)L’esecuzione forzata in forma specifica consente al titolare del diritto di conseguire forzosamente lo
stesso risultato indicato nel titolo esecutivo, rimasto ineseguito.
b) L’esecuzione forzata per espropriazione è la forma più comune di esecuzione forzata, per essere il
danaro il metro di valutazione di tutti i beni.
c) E’ stato di recente introdotto anche un rimedio di esecuzione indiretta a carattere pecuniario degli
obblighi di fare infungibile o di non fare.

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5. Procedimenti speciali. I procedimenti cautelari.
a) Una rilevante importanza assumono i procedimenti sommari, caratterizzati da una cognizione
sommaria, per la necessità di conseguire in breve tempo un provvedimento giudiziario, salvo realizzare in
un tempo successivo la piena cognizione per l’ipotesi di resistenza della controparte.
Tra i procedimenti a cognizione sommaria una funzione particolare svolgono i procedimenti cautelari,
caratterizzati dalla strumentalità rispetto al merito. La domanda cautelare mira ad assicurare l’effettività
della successiva tutela giurisdizionale di merito (cioè la fruttuosità della decisione).
Presupposti essenziali del provvedimento sono: il fumus boni iuris, cioè la parvenza del diritto affermato;
il periculum in mora, cioè il pericolo che il tempo occorrente per farlo valere davanti al giudice competente
possa pregiudicare o rendere impossibile l’attuazione del provvedimento.
La tutela cautelare si articola in due fasi: una cognizione sommaria della situazione giuridica vantata
che dà luogo al provvedimento cautelare; l’esecuzione del provvedimento stesso, che avviene nelle forme
della esecuzione forzata, in quanto compatibili.
b) La legge prevede altri procedimenti, a cognizione ordinaria, ma con varie deviazioni rispetto al processo
ordinario in ragione della specificità della materia e del risultato conseguito.

6. Volontaria giurisdizione.
Non inerisce alla tutela di diritto, ma sovraintende all’esercizio del diritto stesso quando sono coinvolti
interessi la cui realizzazione l’ordinamento considera necessario sottoporre a controllo.
Le parti tendono alla realizzazione di un interesse comune (ad es. l’alienazione di beni dell’incapace
da parte del rappresentante legale è annullabile se non è preceduta dall’autorizzazione del giudice tutelare o/e
del tribunale).

7. Il diritto processuale uniforme.


Con riguardo al diritto processuale va delineandosi un diritto internazionale processuale uniforme, sia di
fonte convenzionale che di formazione comunitaria. L’atteggiamento comunitario si muove in più direzioni:
da un lato, sono dettati criteri uniformi concernenti la competenza, il riconoscimento e l’esecuzione di
decisioni assunte nei singoli Stati europei per favorire la libera circolazione delle decisioni nella Comunità;
dall’altro, è introdotto un titolo esecutivo europeo per favorire l’esecuzione delle decisioni nel territorio
europeo

8. Le Corti europee.
Per l’applicazione del diritto comunitario operano due Corti con finalità diverse.
a)La Corte di giustizia delle Comunità europee ed il Tribunale di primo grado con sede a Lussemburgo,
hanno assicurato il rispetto del diritto comunitario.
Con il Trattato di Lisbona è stata mutata la dicitura in Corte di giustizia dell’Unione europea.
La Corte di giustizia si pronuncia a) sui ricorsi presentati da uno Stato membro, da un’istituzione o da una
persona fisica o giuridica; c) negli altri casi previsti dai trattati.
Quando una questione di interpretazione è sollevata dinanzi ad una giurisdizione di uno degli Stati membri,
il giudice nazionale può, qualora lo ritenga necessario, domandare alla Corte di Giustizia di pronunziarsi
sulla questione; se però la questione è sollevata in giudizio avverso la cui decisione non possa proporsi un
ricorso giurisdizionale di diritto interno, il giudice nazionale deve rivolgersi alla Corte di giustizia (art. 234).
b) La Corte europea dei Diritti dell’uomo, con sede a Strasburgo, assicura il rispetto della Convenzione
per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali.

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9. La tutela rimediale.
Indica un piano flessibile di protezione degli interessi del cittadino oltre le fattispecie tipiche e la
tipologia delle tutele connesse alle fattispecie astratte.
Con riferimento ai rimedi si tende ad eccitare soluzioni di protezione personalizzate ai soggetti del singolo
conflitto e alla natura e tipologia degli interessi coinvolti (si pensi alla flessibilità dei rimedi che richiede la
lesione dei diritti della personalità). Dalla natura dell’interesse leso consegue la specificità del rimedio
attribuito, in grado di ristorare il danno prodotto e riequilibrare la situazione esistenziale violata.

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CAPITOLO 2 – PROVE
1.La prova dei fatti giuridici; 2. Le prove legali. Prove precostituite; 3. Prove costituende.

1.La prova dei fatti giuridici.


I fatti della realtà materiale rilevano giuridicamente in quanto vengono provati; le prove integrano
i mezzi processuali sui quali il giudice verifica l’esistenza dei fatti affermati dalle parti.
Principio base è che l’onere della prova grava sul soggetto che intende avvalersi del singolo fatto
giuridico.
L’attore, ossia colui che agisce in giudizio per far valere una pretesa, ha l’onere di allegare e provare
i fatti sui quali la pretesa si fonda, mentre il convenuto, ossia la controparte, può limitarsi a negare
l’esistenza del diritto.
L’art. 2697 fissa cosi la distribuzione dell’onere della prova: chi vuol far valere un diritto in giudizio deve
provare i fatti che ne costituiscono il fondamento.
Di regola la valutazione delle prove è rimessa al prudente apprezzamento del giudice; sussistono peraltro
argomenti di prova che operano come elementi di valutazione di altre prove (il giudice può desumere
argomenti di prova dalle risposte che le parti gli danno nel corso di un interrogatorio non formale).

2. Le prove legali. Prove precostituite.


Una particolare rilevanza assumono le prove legali, per essere la relativa efficacia predeterminata dalla
legge, sicché dai risultati delle stesse il giudice non può discostarsi, in quanto il giudice è vincolato al
risultato probatorio conseguito dalle stesse.
Delle prove legali, alcune sono precostituite altre sono costituende.
Le prove precostituite sono le prove formate prima ed indipendentemente dal processo e sono acquisite al
processo mediante la mera produzione in giudizio; tali sono le prove documentali, cioè i documenti allegati
dalle parti nel processo.
Il documento è l’entità materiale rappresentativa di un fatto, in grado di procurare la conoscenza duratura
dello stesso. I documenti possono contenere dichiarazioni di volontà come dichiarazioni di scienza
del soggetto da cui provengono. La data vale a collocarli nel tempo e nello spazio.
Tra le prove documentali assumono primaria rilevanza l’atto pubblico e la scrittura privata.
a)L’atto pubblico è il documento redatto con le formalità richieste, da un notaio o da altro pubblico ufficiale
(es. cancelliere, ufficiale giudiziario) autorizzato ad attribuirgli pubblica fede nel luogo dove l’atto è formato.
Ha una efficacia precostituita dalla legge: per l’art. 2700 l’atto pubblico fa piena prova, fino a querela di
falso, della provenienza del documento dal pubblico ufficiale che lo ha formato, nonché delle
dichiarazioni delle parti e degli altri fatti che il pubblico ufficiale attesta avvenuti in sua presenza o da lui
compiuti.
Il pubblico ufficiale non accerta la veridicità del contenuto delle dichiarazioni rese dalle parti ma ne attesta
solo i termini ed il fatto della provenienza delle dichiarazioni dalle parti: l’efficacia probatoria dell’atto
pubblico quale prova legale che vincola il giudice, attiene solo alla provenienza dell’atto, mentre il suo
contenuto è rimesso al prudente apprezzamento del giudice secondo il criterio di valutazione delle prove.
b) La scrittura privata proviene dal privato, che la sottoscrive. Non rileva chi materialmente la redige; con
la firma il sottoscrittore ne assume la paternità. Per l’art. 2702 la scrittura fa piena prova, fino a querela di
falso, della provenienza delle dichiarazioni da chi l’ha sottoscritta, se colui contro il quale la scrittura è
prodotta ne riconosce la sottoscrizione, oppure se questa è legalmente considerata come riconosciuta.
La scrittura privata fa piena prova solo contro l’autore della stessa, non in suo favore.
In assenza di pubblico ufficiale che conferisca pubblica fede della sua provenienza, è necessario che la
scrittura sia effettivamente riconosciuta dal soggetto contro il quale è fatta valere oppure sia legalmente
considerata riconosciuta. Anche l’efficacia probatoria della scrittura privata quale prova legale che
vincola il giudice, attiene solo alla provenienza del documento; il contenuto dell’atto è soggetto alla
valutazione del giudice.
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Se la parte contro la quale la scrittura è fatta valere la disconosce, la parte che intende valersi della scrittura
disconosciuta deve chiederne la verificazione giudiziale proponendo i mezzi di prova che ritiene utili e
producendo le scritture di comparazione.
Un delicato problema concerne la data certa della scrittura privata nei confronti di terzi, quando la
scrittura non contiene la data o la sottoscrizione non è stata autenticata; in tal caso la data della scrittura
privata non è certa ed opponibile ai terzi, se non dal giorno in cui la scrittura è stata registrata o dal giorno
della morte o della sopravvenuta impossibilità fisica di colui o di uno di coloro che l’hanno sottoscritta.

3. Prove costituende.
Sono le prove che si costituiscono e che si formano nel processo.
La prova testimoniale, la confessione ed il giuramento sono prove orali e dirette, nel senso che si formano
mediante dichiarazioni orali che immediatamente producono la conoscenza dei fatti; le presunzioni sono
invece prove logiche e indirette, nel senso che si formano attraverso operazioni logiche che conducono
mediatamente alla conoscenza di fatti.
a)La prova testimoniale consiste nella conoscenza di fatti procurata da terzi estranei al processo ed
indifferenti agli interessi in gioco.
La prova per testimoni dei contratti non è ammessa quando il valore dell’oggetto eccede euro 2.58; tuttavia
l’autorità giudiziaria può consentire la prova oltre il limite anzidetto, tenuto conto delle qualità delle parti,
della natura del contratto e di ogni altra circostanza.
b) La confessione è la dichiarazione che una parte fa della verità di fatti ad essa sfavorevoli e favorevoli
all’altra parte; la confessione non è efficace se non proviene da persona capace di disporre del diritto a cui
i fatti confessati si riferiscono.
La confessione può essere giudiziale o stragiudiziale; la confessione giudiziale è orale e forma piena prova
contro colui che l’ha fatta, purché non verta su fatti relativi a diritti indisponibili, mentre la confessione
stragiudiziale può essere orale o scritta (tipico esempio è la quietanza, con la quale il creditore dichiara di
aver ricevuto un pagamento contestato in giudizio).
c) Il giuramento consiste in una dichiarazione di verità di fatti favorevoli al soggetto che manifesta il
giuramento; non può essere spontaneo, ma solo provocato. Il giuramento quale prova legale, vincola il
giudice: la controparte non è ammessa a provare il contrario, né può chiedere la revocazione della sentenza
qualora il giuramento sia stato dichiarato falso.
Il giuramento è di due specie: decisorio e suppletorio.
Il giuramento decisorio è quello che una parte deferisce all’altra per farne dipendere la decisione totale o
parziale della causa: deve essere formulato in articoli separati, in modo chiaro e specifico.
Finché non abbia dichiarato di essere pronta a giurare, la parte alla quale il giuramento decisorio è stato
deferito, può riferirlo all’avversario; il giuramento suppletorio invece è deferito d’ufficio ad una delle parti
dal giudice al fine di decidere la causa, quando la domanda o le eccezioni non sono pienamente provate,
ma non sono del tutto sfornite di prova.
d)Le presunzioni integrano una prova logica ed indiretta, in quanto non tendono ad accertare la materialità
del fatto invocato, ma a dedurre l’esistenza di questo da circostanze certe attraverso un procedimento logico.
Si tratta di prove indirette nel senso che, dalla conoscenza di alcuni fatti si risale al fatto da provare.
Per l’art. 2727 le presunzioni sono le conseguenze che la legge o il giudice trae da un fatto noto per risalire
ad un fatto ignorato. Le presunzioni si distinguono in semplici e legali.
Le presunzioni semplici sono lasciate alla prudenza del giudice, il quale deve ammettere presunzioni gravi,
precise e concordanti.
Le presunzioni legali sono le conseguenze che la legge trae da un fatto noto per risalire ad un fatto ignoto:
le stesse dispensano la parte favorita dalla presunzione dal provare i fatti di causa. Le presunzioni legali si
distinguono a loro volta in presunzioni relative che ammettono la prova contraria ed in presunzioni
assolute che invece non ammettono prova contraria.
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CAPITOLO 3 – TECNICHE ALTERNATIVE DI RISOLUZIONE DELLE CONTROVERSIE
1.Generalità; 2. Arbitrato; 3. Conciliazione; 4. Tutela collettiva; 5. Autotutela.

1. Generalità.
Nei sistemi giuridici basati sullo stato moderno in cui il diritto era ricondotto alla legge, sussisteva poco
spazio per una tutela non fondata sulla giurisdizione; il declino di tale modello ha comportato lo sviluppo
di nuove tecniche di soluzione delle controversie.
L’esigenza di deflazione giudiziaria, con la duplice necessità, da un lato, di devolvere questioni
specialistiche a competenze di alta professionalità e dall’altro, di affidare questioni seriali a organismi
istituzionali, hanno fatto emergere la giustizia arbitrale e più di recente tecniche di conciliazione.
Tutto ciò ha aperto nuove frontiere alla tutela dei diritto mediante azioni collettive.

2. Arbitrato.
L’arbitrato è il terreno della libertà dei privati, in cui si esprime l’autonomia privata finalizzata al
conseguimento di una decisione. Le parti possono far decidere ad arbitri le controversie tra loro insorte
che non abbiano per oggetto diritti indisponibili, salvo espresso divieto della legge.
Le controversie individuali di lavoro possono essere decise da arbitri solo se previste dalla legge o nei
contratti o accordi collettivi di lavoro.
Quando le parti vogliono avvalersi di arbitri, stipulano un compromesso o introducono nel contratto che
stipulano una clausola compromissoria con la quale stabiliscono che le controversie nascenti dal contratto
stesso saranno decise da arbitri: sia il compromesso che la clausola compromissoria devono essere fatti per
iscritto a pena di nullità. Gli arbitri possono essere uno o più, purché in numero dispari e decidono secondo
le norme di diritto, salvo che le parti li abbiano autorizzati a pronunciare secondo equità.
Il lodo ha gli effetti della sentenza pronunciata dall’autorità giudiziaria; la parte che intende far eseguire il
lodo, lo deposita nella cancelleria del tribunale nel cui circondario è la sede dell’arbitrato.
Tale lodo è impugnabile innanzi alla Corte di Appello per nullità, per revocazione o per opposizione di terzo,
indipendentemente dal deposito per l’esecutività.

3. Conciliazione.
La conciliazione mira alla soluzione della controversia aiutando le parti in conflitto a raggiungere un
accordo, eventualmente assistite dalle associazioni di categoria: è una tecnica di soluzione negoziata delle
controversie attraverso una sequenza procedimentale che assicuri serietà, professionalità ed imparzialità
(cd. procedimentalizzazione).
La soluzione concordata delle controversie in via immediata, tutela i soggetti dell’accordo ed i soggetti
deboli ed in via mediata è di ausilio al mantenimento del tessuto sociale.
Tale tecnica di soluzione delle controversie è maturata in settori specifici, con la mediazione di enti pubblici
in grado di procurare una definizione convenzionale delle controversie a presidio di soggetti considerati
istituzionalmente deboli.
Il terreno di maggior sviluppo della tecnica di conciliazione è quello dei rapporti di consumo.
Nei rapporti tra consumatore e professionista, le parti possono avviare procedure di composizione
extragiudiziale per la risoluzione delle controversie in materia di consumo, anche per via telematica.
Le associazioni dei consumatori e degli utenti rappresentative a livello nazionale e gli organismi pubblici
indipendenti a ciò abilitati possono attivare prima del ricorso al giudice dinanzi alla Camera di commercio
competente per territorio, la procedura di conciliazione.
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4. Tutela collettiva.
In una società caratterizzata da produzione e distribuzione di massa, il contenuto del contratto così come i
beni prodotti sono seriali.
Da tempo, accanto alla tutela individuale dei diritti, sono reclamate forme di tutela collettiva con il ricorso
alla tecnica della conciliazione o attraverso l’instaurazione di un contenzioso.
La peculiarità della tutela collettiva è che la stessa si atteggia come una tutela di massa per riferirsi a tutti
i soggetti che si trovino in una stessa situazione o siano portatori di interessi omogenei, formanti perciò una
medesima “classe”, senza la necessità di promuovere azioni individuali.
Il nostro ordinamento ha compiuto una fondamentale scelta di rimettere la legittimazione dell’azione
collettiva a gruppi o enti istituzionalizzati, considerati esponenziali degli interessi collettivi dedotti e aventi
la rappresentatività idonea all’esercizio dell’azione per la protezione dell’interesse della categoria.
Venendo all’oggetto della tutela collettiva, la stessa si è inizialmente svolta in forma inibitoria per poi
attingere anche alla forma risarcitoria.
a)L’azione inibitoria è una tutela preventiva rivolta al futuro, di inibizione di un comportamento al fine
di evitare un illecito con la produzione di un danno. E’ una tutela di vantaggio per l’intera platea di
soggetti che si trova nella stessa situazione di fatto o di diritto: la rimozione del comportamento lesivo è
destinata a giovare all’intera classe di appartenenza.
b) L’azione risarcitoria è una tutela successiva rivolta al passato, tendente a conseguire il ristoro dei
danni sofferti da consumatori ed utenti a seguito di un illecito.
Funzione dell’azione è di risarcire i danni omogenei di una pluralità di soggetti relativamente ad uno
stesso fatto lesivo. A differenza dell’azione inibitoria, è più complessa la definizione della comunanza di
classe per la duplice necessità da un lato, di fissare il bene tutelato e dall’altro, di rapportare lo stesso alla
varietà dei soggetti interessati al fine di determinare il risarcimento dovuto.
Sul modello della class action, ciascun componente della classe è legittimato ad agire per l’accertamento
della responsabilità e per la condanna al risarcimento del danno e alle restituzioni. I consumatori e utenti che
intendono avvalersi di tale tutela aderiscono all’azione di classe subendo gli effetti sfavorevoli dell’azione
intrapresa; l’adesione comporta la rinuncia ad ogni azione restitutoria o risarcitoria individuale fondata sul
medesimo titolo.

5. Autotutela.
Con il termine “autotutela” si tende ad indicare il potere di soluzione di potenziali conflitti senza il ricorso
alla giurisdizione e quindi al processo.
Il tratto caratterizzante è da ricercare nella possibilità accordata al soggetto che ricorre all’autotutela,
di realizzare la tutela dei diritti direttamente e immediatamente senza l’intervento di un terzo,
né in veste di decisione (giudice), né di mediatore (conciliatore).
Se l’interesse attuato è riferito alla pubblica amministrazione, vi è autotutela amministrativa funzionale
all’interesse pubblico; se invece l’interesse attuato appartiene ad un soggetto privato, vi è autotutela privata
rivolta al soddisfacimento di un interesse particolare.
Il codice civile italiano fissa specifiche misure di autotutela in tema di possesso (autotutela possessoria) e
nella materia dei contratti (autotutela contrattuale).
In genere ad ovviare i pericoli che l’autotutela possa degenerare nell’uso illegittimo degli strumenti
accordati, è sempre consentito il ricorso all’autorità giudiziaria perché valuti la legittimità del mezzo
utilizzato.

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PARTE IV – SOGGETTI

CAPITOLO 1 – PERSONA FISICA


-A)PERSONA FISICA E CAPACITA’ GIURIDICA. 1. Capacità giuridica; 2. Acquisto della capacità
giuridica. Il concepito; 3. Fine della persona; 4. Scomparsa, assenza e morte presunta; 5. Localizzazione
della persona; -B) CAPACITA’ DI AGIRE. 6. Capacità di agire; 7. Minore; 8. Potestà dei genitori;
9. Tutela; 10 Emancipazione; 11. Cause modificative della capacità di agire e protezione dell’incapace;
12. Interdizione giudiziale; 13. Inabilitazione; 14. Amministrazione di sostegno; 15. Interdizione legale;
16. Incapacità naturale.

A)PERSONA FISICA E CAPACITA’ GIURIDICA


1.Capacità giuridica.
La capacità giuridica è l’attitudine ad essere titolare di situazioni giuridiche soggettive.
Si tratta di una qualità di carattere generale e astratto, il cui riconoscimento rende chi ne è investito,
possibile centro di imputazione di diritti e di obblighi: è una qualificazione normativa legata ad una
valutazione dell’ordinamento giuridico.
Di personalità giuridica il codice civile parla solo a proposito di entità diverse dalla persona
(persone giuridiche), in relazione alle quali il codice stesso disciplina le modalità di attribuzione
della soggettività giuridica, che viene ricollegata all’esistenza della stessa persona fisica.
La capacità giuridica assume il carattere di attributo che non può essere negato per il rispetto di quella
dignità dell’uomo, la cui inviolabilità risulta dichiarata nell’art. 1 Cart. Dir. Fond. U. E.; esiste anche
l’esperienza della possibile perdita della capacità giuridica per causa diversa dalla morte.
L’art. 22 Cost. stabilisce che “nessuno può essere privato, per motivi politici, della capacità giuridica”
(così come della cittadinanza e del nome, ossia attributi che salvaguardano l’individualità della persona nella
società).
Esistono anche ipotesi di incapacità speciali, da intendere come preclusioni della possibile titolarità
di determinate situazioni giuridiche da parte del soggetto; significative ipotesi di incapacità sono
rappresentate da quella dei pubblici ufficiali, i quali non possono essere acquirenti dei beni che sono venduti
per loro ministero, né direttamente né per persona interposta.
Di capacità giuridica sono dotati anche i soggetti di diritto diversi dalle persona fisiche (persone giuridiche
ed enti non riconosciuti), non solo per quanto concerne le situazioni soggettive di contenuto patrimoniale,
ma anche per taluni diritti di natura non patrimoniale (diritti della personalità).

2. Acquisto della capacità giuridica. Il concepito.


Ai sensi dell’art. 1, la persona fisica acquista la capacità giuridica al momento della nascita.
Contrariamente al passato, non è richiesto ai fini dell’acquisto della capacità giuridica, anche il requisito
della vitalità (oppure l’idoneità alla sopravvivenza), ma è sufficiente che il neonato sia nato vivo anche
solo per un istante (pure un cosi breve periodo di vita vale a rendere il nato, titolare di eventuali diritti).
La legge non definisce l’evento della nascita affidandosi alle elaborazioni medico-legali, per cui decisivo
si reputa l’accertamento dell’avvenuta respirazione.
Il problema della condizione giuridica del nascituro si pone in dipendenza dell’art. 1, il quale subordina
i diritti che la legge riconosce a favore del concepito all’evento della nascita. Il riferimento si intende
operato alla prevista capacità di succedere del concepito nonché alla possibilità che gli siano fatte donazioni.
Parte della dottrina in relazione alla situazione del concepito, pur riconoscendo che manchi la capacità
giuridica generale, accenna ad una capacità giuridica parziale, di carattere anticipato o provvisorio.

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Tende a prevalere la tesi secondo cui il concepito risulta del tutto privo di capacità giuridica, in quanto la
stessa si acquista solo al momento della nascita, e prima di essa non esiste il soggetto; per il periodo anteriore
vi sarebbe solo una situazione di attesa e l’ordinamento si limiterebbe a predisporre una tutela anticipata
dei diritti che questi potrebbe acquistare al momento della nascita.
Ulteriore rilevanza l’ordinamento riconosce all’interesse del concepito dal punto di vista della sua aspettativa
non solo a nascere, ma anche a nascere sano; è stato allora ammesso a favore di chi abbia subito danni allo
stato fetale, il diritto ad essere risarcito per i pregiudizi che gliene siano derivati.
Il soggetto una volta acquistata con la nascita la capacità giuridica, può chiedere il risarcimento dei danni
sofferti nel periodo in cui si trovava allo stato fetale; la tutela così accordata non è riferita al feto in quanto
tale, bensì al nato ed al suo diritto ad essere e rimanere integro.
In materia successoria il legislatore non si limita a prendere in considerazione soltanto il concepito,
ma anche il non concepito, allorché prevede la possibilità che destinatari di disposizioni testamentarie
siano non concepiti, purché figli di una determinata persona vivente al tempo della morte del testatore.

3. Fine della persona.


Non meno importante risulta la determinazione del momento a partire dal quale l’esistenza della persona
possa reputarsi terminata e quindi la capacità giuridica si ritenga venuta a cessare.
Le esigenze legate ai trapianti di organi hanno indotto il legislatore a precisare il momento in cui il soggetto
debba essere considerato morto a tutti gli effetti, in quanto per l’art.1 L. 29.12.1993, n.578 “la morte si
identifica con la cessazione irreversibile di tutte le funzioni dell’encefalo”.
Il concetto legale di morte coincide con quello di morte cerebrale, mediante apposite apparecchiature che
rilevano le funzioni di carattere cardio-respiratorio; il venir meno della capacità giuridica comporta
l’impossibilità di riferire al defunto situazioni giuridiche.
Con la morte della persona talune situazioni giuridiche si estinguono ed un numero consistente di rapporti
trovano una nuova configurazione soggettiva; di qui l’interesse ad una precisa determinazione del
momento in cui viene a cessare l’esistenza della persona.
In merito l’art. 4 regola l’ipotesi di commorienza per cui un effetto giuridico dipende dalla sopravvivenza
di una persona rispetto ad un’altra e non sia noto quale di esse sia morta prima, in quanto “tutte si
considerano morte nello stesso momento”.
Con una finzione, nonostante l’evento di morte dei diversi soggetti possa essersi verificato in realtà in
momenti cronologicamente diversi, l’ordinamento giuridico data l’incertezza circa l esatta determinazione,
considera come se gli stessi soggetti fossero morti nello stesso istante.
La disciplina della commorienza assume importanza nei casi in cui la premorienza di un soggetto rispetto
all’altro determini un diverso atteggiarsi della loro vicenda successoria (ove nel medesimo incidente
muoiano due coniugi e non sia noto quale dei due sia morto per primo, i genitori dell’uno e dell’altro
potrebbero avere interesse a dimostrare la sopravvivenza del proprio figlio rispetto al coniuge, dal momento
che il suo asse ereditario risulterebbe accresciuto dei diritti spettantegli in quanto coniuge superstite).
Se vi è incertezza circa il quando dell’evento morte ma vi è certezza circa l’an, può darsi il caso che
l’incertezza concerna proprio l’esistenza della persona; di qui l’esigenza che l’ordinamento predisponga
una serie di strumenti (scomparsa, assenza e morte presunta) per tutelare i diritti spettanti al soggetto del
quale si ignori l’attuale esistenza, ciò nell’interesse di quegli altri soggetti che in conseguenza dell’evento
della sua morte, potrebbero vedere modificata la propria sfera giuridica.

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4. Scomparsa, assenza e morte presunta.
L’irreperibilità del soggetto o addirittura l’incertezza della sua esistenza determinano gravi problemi in
ordine alla gestione delle situazioni giuridiche di cui sia titolare.
a)Viene considerata rilevante la semplice scomparsa della persona; ciò si verifica quando essa non è più
comparsa nel luogo del suo ultimo domicilio o dell’ultima sua residenza e non se ne hanno più notizie.
Tale circostanza non comporta una grave incertezza circa l’esistenza della persona, legittimando l’intervento
del tribunale che può nominare un curatore, il quale rappresenti lo scomparso in giudizio o nella formazione
degli inventari e nelle liquidazioni in cui lo stesso sia interessato.
b) Per quanto concerne l’assenza, trascorsi 2 anni dal giorno a cui risale l’ultima notizia, i presunti
successori legittimi e chiunque creda di avere sui beni dello scomparso diritti dipendenti dalla sua morte,
possono domandare al tribunale che ne sia dichiarata l’assenza; la dichiarazione di assenza si fonda sulla
considerazione della persistenza nel tempo dell’incertezza circa l’esistenza della persona (stato di incertezza
che si protrae per almeno 2 anni).
Sotto il profilo dei rapporti personali, l’assenza non è configurata come causa di scioglimento del
matrimonio; sotto il profilo dei rapporti patrimoniali, una volta dichiarata l’assenza del soggetto, coloro
che sarebbero eredi testamentari o legittimi, se l’assente fosse morto nel giorno a cui risale l’ultima notizia di
lui, possono domandare l’immissione nel possesso temporaneo dei beni. I beni permangono nel patrimonio
dell’assente per tutta la durata dell’assenza e non si ha alcun fenomeno di tipo successorio.
La situazione di assenza termina o con la prova della morte dell’assente, nel qual caso la successione si
apre a vantaggio di coloro che al momento della morte, erano suoi eredi o legatari, o con la dichiarazione di
morte presunta dell’assente, oppure con il suo ritorno.
Per effetto del ritorno dell’assente i possessori temporanei devono restituire i beni.
c) Anche senza una preventiva dichiarazione di assenza quando siano trascorsi 10 anni dal giorno a cui
risale l’ultima notizia, il tribunale può dichiarare la morte presunta dello scomparso nel giorno a cui risale
l’ultima notizia.
Per effetto della sentenza che dichiara la morte presunta si apre la successione ereditaria del soggetto.
Ove la persona di cui è stata dichiarata la morte presunta ritorni o se della stessa ne sia provata l’esistenza,
la stessa recupera i beni nello stesso stato in cui si trovano e ha diritto di conseguire il prezzo di quelli
alienati; ha inoltre diritto di pretendere l’adempimento delle obbligazioni in precedenza reputate estinte.
Dal punto di vista personale il coniuge del soggetto dichiarato morto presunto può contrarre nuovo
matrimonio, considerato però nullo nell’ipotesi di ritorno del morto presunto o di accertamento della sua
esistenza in vita.

5. Localizzazione della persona.


Ai fini dell’applicazione delle norme giuridiche, risulta rilevante lo stabilire una precisa relazione tra il
soggetto ed una delle sue possibili ubicazioni.
Ciò avviene con il ricorso a determinati criteri di collegamento della persona con un determinato luogo.
Particolare importanza assume il luogo della nascita, dato che è presso il comune in cui essa è avvenuta
che viene formato l’atto di nascita; da tale atto risulta possibile evincere le principali vicende esistenziali
del soggetto idonee ad incidere sul suo status.
Nel nostro ordinamento sono considerate rilevanti e distinte le nozioni di dimora, residenza e domicilio.
a)Per dimora si intende il luogo in cui il soggetto si trova, anche solo temporaneamente a soggiornare.
Il carattere anche solo temporaneo della dimora non esclude una certa necessaria durata, tale da rendere il
luogo di dimora idoneo a localizzare il soggetto (ad es., il luogo in cui si trascorre un periodo di
villeggiatura).

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b) La residenza viene individuata nel luogo in cui la persona ha la propria dimora abituale.
Ai fini della fissazione della residenza devono ricorrere un elemento oggettivo (il fatto della stabile
permanenza in un luogo determinato) ed un elemento soggettivo (l’intenzione di fissare la propria stabile
dimora in quel luogo)
Differente è il concetto di residenza familiare come centro della vita comune della famiglia che deve essere
fissata concordemente dai coniugi secondo le esigenze di entrambi.
c) Il domicilio è il luogo in cui la persona ha stabilito la sede principale dei suoi affari ed interessi.
Anche per il domicilio occorre un elemento soggettivo, consistente nell’intenzione di concentrare in un
luogo i propri affari ed interessi.
Il domicilio può essere generale quando si riferisce alla generalità degli affari ed interessi del soggetto o
speciale quando eletto dal soggetto solo per determinati atti o affari.
Dal domicilio volontario ossia scelto dal soggetto si distingue il domicilio legale, stabilito dalla legge:
il minore ha il domicilio nel luogo di residenza della famiglia o del tutore; l’interdetto ha invece il
domicilio del tutore. Il domicilio o la residenza determinano il foro generale della persona, mentre, per la
notificazione degli atti giudiziari, il criterio del domicilio è subordinato a quello della residenza e della
dimora.

B) CAPACITA’ D’AGIRE
6. Capacità di agire.
Per capacità d’agire si intende l’attitudine a compiere atti idonei ad incidere sulla propria sfera
giuridica.
Per l’art. 2, la capacità di agire si acquista con la maggiore età, vale a dire con il compimento del 18° anno.
L’ordinamento assicura una adeguata tutela degli interessi del soggetto, prevedendo l’incidenza di sue
peculiari condizioni personali oltre l’età, come le condizioni psichiche e fisiche, con conseguente riduzione o
addirittura perdita della capacità di agire. Si tratta delle ipotesi di incapacità legale di agire, le quali si
distinguono dalla rilevanza accordata in cui il soggetto venga a trovarsi.
La differenza rispetto alla capacità giuridica è rilevante; mentre chi sia dotato di capacità giuridica, può
essere titolare di situazioni giuridiche soggettive, il soggetto capace di agire può compiere atti giuridici
idonei a produrre modificazioni nella sfera delle proprie situazioni soggettive; così con la nascita il soggetto
ha la capacità di essere titolare della proprietà di beni, con il conseguimento della capacità di agire, lo
stesso soggetto può acquistare beni, oppure vendere, dare in garanzia, i beni di cui risulti proprietario.
In relazione a determinati atti l’ordinamento permette che gli stessi siano compiuti anche prima del
compimento del 18° anno di età; il genitore che abbia compiuto il 16° anno d’età può riconoscere il proprio
figlio naturale e il quattordicenne deve consentire alla propria adozione.

7. Minore.
L’art. 2 fissando al 18° anno la maggiore età e condizionando ad essa l’acquisto della capacità di compiere
tutti gli atti per i quali non sia stabilita un’età diversa, risulta porre il minore in una situazione di incapacità
di agire generale.
Il sedicenne può riconoscere il figlio naturale e deve assentire al proprio riconoscimento, nonché può in via
eccezionale, essere autorizzato a contrarre matrimonio.
In relazione ai rapporti patrimoniali al minore è riconosciuta una certa sfera di autonomia; con le adeguate
cautele a salvaguardia della sua salute e della sua istruzione, il minore può prestare attività lavorativa a
partire dai 15 anni e, dai 16 anni in quanto autore, ha la capacità di compiere gli atti relativi alle opere da lui
create e di esercitare le relative azioni.

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8. Potestà dei genitori.
Per la condizione di debolezza in cui versa il soggetto nella fase della sua crescita, il legislatore ha dettato la
disciplina della potestà dei genitori, cui sono sottoposti tutti i figli (legittimi, legittimati, naturali ed
adottivi).
La potestà dei genitori costituisce l’esempio più significativo di potestà come situazione giuridica
soggettiva complessa, attribuita dall’ordinamento in vista della tutela di interessi altrui; è esercitata in
comune accordo da entrambi i genitori e dura fino alla maggiore età o all’emancipazione del figlio.
Dettagliata risulta la disciplina del profilo patrimoniale della potestà dei genitori, la quale si sostanzia nella
rappresentanza del minore e nella amministrazione dei beni dello stesso (strumenti questi che
consentono la cura dei beni del minore, il quale altrimenti verserebbe nell’impossibilità di preservare
l’integrità del proprio patrimonio).
I genitori esercenti la potestà hanno la rappresentanza legale del minore; i genitori compiono in nome e per
conto del minore gli atti idonei ad incidere sulla sua sfera patrimoniale, permettendo di attuare la
modificazione delle sue situazioni giuridiche soggettive.
L’attività di amministrazione dei beni del minore comprende tutti gli atti necessari non solo alla
conservazione, ma anche alla valorizzazione del suo patrimonio; in base alla rilevanza dell’atto di
amministrazione, in relazione al patrimonio si distinguono gli atti di straordinaria amministrazione dagli atti
eccedenti l’ordinaria amministrazione (l’atto deve reputarsi eccedente l’ordinaria amministrazione quando
comporta una modifica nella struttura del patrimonio; al contrario sarà considerato di ordinaria
amministrazione ove non incida sulla sostanza del patrimonio, non comportandone una modifica nella
composizione).
In relazione agli atti particolarmente significativi riguardanti la struttura del patrimonio del minore
(atti eccedenti l’ordinaria amministrazione), la valutazione circa l’opportunità del compimento dell’atto
non spetta più soltanto ai genitori, ma viene concessa all’autorità giudiziaria, la quale dovrà valutare la
necessità del compimento dell’atto per il figlio: solo ad esito di valutazione, il giudice tutelare rilascerà
l’autorizzazione al compimento dell’atto. In altre parole, l’atto eccedente l’ordinaria amministrazione sarà
compiuto dai genitori in nome e per conto del figlio, previa autorizzazione da parte del giudice tutelare.
I genitori peraltro non possono compiere alcuni atti in nome e per conto del minore, dato il loro carattere
personale (cd. atti personalissimi): in particolare testamento e donazione (per il relativo compimento
risulta necessaria la maggiore età). Altri atti per motivi differenti sono vietati ai genitori: essi non possono
rendersi acquirenti dei beni o dei diritti del minore.
L’ultimo comma dell’art. 320 prevede l’ipotesi del conflitto di interessi patrimoniali tra i figli soggetti
alla stessa potestà, o tra essi e i genitori. In tale circostanza il giudice tutelare nomina ai figli un curatore
speciale, il quale rappresenterà il minore nel compimento dell’atto; tale curatore speciale può essere
nominato anche nel caso in cui i genitori non possono oppure non vogliono compiere atti eccedenti
l’ordinaria amministrazione nell’interesse del figlio.
L’art. 322 in relazione agli atti posti in essere in violazione delle norme disciplinanti l’amministrazione dei
beni del minore, ne sancisce l’annullabilità; l’azione di annullamento dell’atto può essere esercitata dai
genitori esercenti la potestà, dal figlio, nonché dai suoi eredi o aventi causa.
L’azione di annullamento si prescrive in 5 anni dal giorno in cui il minore ha raggiunto la maggiore età;
nel caso di decesso del minore in data anteriore al raggiungimento della maggiore età, il termine di
prescrizione decorre dal giorno della morte del minore stesso.
I genitori esercenti la potestà sul minore hanno in comune l’usufrutto legale sui beni del medesimo; i frutti
percepiti dai beni di quest’ultimo devono essere destinati al mantenimento della famiglia e all’istruzione ed
educazione di tutti i figli. La potestà dei genitori cessa quando il minore raggiunge la maggiore età o con la
sua emancipazione.

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Il carattere funzionale del riconoscimento della potestà ai genitori viene evidenziato dai meccanismi di
controllo sul suo esercizio; ad esito di un simile controllo, è addirittura consentita la decadenza dalla
potestà sui figli, quando il tribunale per i minorenni accerti che il genitore abbia violato o trascurato i doveri
ad essa inerenti. In tal caso può essere ordinato l’allontanamento del figlio dalla residenza familiare oppure
l’allontanamento del genitori che maltratti o abusi del figlio. Cessate le ragioni della decadenza, il genitore
può essere integrato nella potestà.
In relazione alla cattiva amministrazione dei beni del figlio, il tribunale può rimuovere da essa uno o
entrambi i genitori (in tal caso con la nomina di un curatore) privandoli dell’usufrutto legale; è prevista la
riammissione nell’esercizio dell’amministrazione e nel godimento dell’usufrutto, una volta cessati i motivi
della rimozione.

9. Tutela.
L’istituto della tutela è espressione del precetto costituzionale secondo cui, nei casi di incapacità dei
genitori, la legge provvede a che siano assolti i loro compiti. La tutela ha quindi la funzione di garantire al
minore attraverso l’intervento di un altro soggetto, la cura dei propri interessi personali e patrimoniali.
L’ufficio tutelare è gratuito: il giudice tutelare, in considerazione dell’entità del patrimonio, può assegnare
al tutore un’ equa indennità.
Nel quadro dell’esercizio della tutela, un ruolo di primo piano assume la figura del giudice tutelare, il quale
soprintende all’esercizio della stessa e può chiedere l’assistenza degli organi della pubblica amministrazione.
L’attività del giudice tutelare si atteggia quale attività di controllo e coordinamento in quanto egli decide (o
esprime parere) su tutte le questioni relative al minore ed al suo patrimonio.
Presso ogni giudice tutelare è istituito il registro delle tutele, nel quale sono iscritti i principali
provvedimenti concernenti la tutela. Il cancelliere entro 10 giorni dà comunicazione all’ufficiale dello stato
civile dell’apertura e della chiusura della tutela per l’annotazione all’atto di nascita del minore.
Il giudice tutelare, ricevuta notizia del fatto da cui deriva l’apertura della tutela, procede alla nomina del
tutore e del protutore; prima della nomina del tutore, deve essere sentito anche il minore che abbia
raggiunto l’età di 16 anni.
In primo luogo, il giudice tutelare nomina tutore la persona designata dal genitore che ha esercitato per
ultimo la potestà (tutela volontaria); la designazione può essere fatta per testamento, per atto pubblico o per
scrittura privata. Qualora manchi la designazione, la scelta del tutore avviene tra gli ascendenti o tra gli altri
prossimi parenti o affini del minore (tutela legittima), altrimenti viene scelto tra altre persone (tutela
dativa) o deferita ad un ente di assistenza (tutela assistenziale).
Il tutore ha la cura della persona del minore, lo rappresenta in tutti gli atti civili e ne amministra i beni
assumendo quindi sia una funzione di carattere personale che una di carattere patrimoniale.
Sotto il profilo personale, il tutore ha gli stessi doveri che competono ai genitori: mantenimento, istruzione
ed educazione del minore. Sotto il profilo patrimoniale, lo stesso giudice tutelare indica la spesa annua
occorrente per l’amministrazione del patrimonio del minore, fissando i modi d’impiego del reddito eccedente
ed autorizza il tutore ad investire i capitali del minore.
L’azione di annullamento si prescrive nel termine di 5 anni dal giorno in cui il minore ha compiuto la
maggiore età, oppure dal giorno della sua morte. Accanto alla nomina del tutore, il giudice tutelare provvede
anche alla nomina del protutore che rappresenta il minore nei casi in cui l’interesse di quest’ultimo è in
contrasto con l’interesse del tutore; il protutore è inoltre tenuto a promuovere la nomina di un nuovo tutore
nel caso in cui l’originario tutore sia venuto a mancare o abbia abbandonato l’ufficio.
In ordine alla responsabilità, il tutore deve amministrare il patrimonio del minore con la diligenza del buon
padre di famiglia. La tutela termina quando il minore raggiunge la maggiore età o qualora consegue
l’emancipazione per effetto del matrimonio. Il giudice tutelare può tuttavia esonerare il tutore dall’ufficio,
qualora l’esercizio di esso sia gravoso per il tutore e vi sia altra persona atta a sostituirlo.

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10 Emancipazione.
Il minore che abbia compiuto i 16 anni può essere ammesso al matrimonio con decreto del tribunale per
i minorenni acquistando così lo stato di emancipato: l’emancipazione pertanto avviene di diritto in
conseguenza del matrimonio.
Per effetto dell’emancipazione, il minore acquista una capacità d’agire limitata; il minore viene reputato
idoneo a curare i propri interessi di natura personale e l’ordinamento interviene nella cura dei suoi interessi
patrimoniali.
La funzione di provvedere alla cura degli interessi patrimoniali del minore emancipato viene assolta dal
curatore. Ad es. il curatore del minore sposato con persona maggiore di età è il coniuge; se entrambi i
coniugi sono minori di età, il giudice tutelare può nominare un unico curatore, scelto preferibilmente tra i
genitori. Il curatore si limita ad assistere il minore emancipato senza rappresentarlo; l’atto viene insomma
compiuto in prima persona dal minore emancipato, la cui volontà è sempre essenziale.
In considerazione della sua limitata capacità di agire, il minore emancipato compie da solo gli atti di
ordinaria amministrazione. Il minore emancipato può con l’assistenza del curatore, riscuotere capitali
sotto la condizione di un idoneo reimpiego e può stare in giudizio, sia come attore che come convenuto.
Gli atti eccedenti l’ordinaria amministrazione sono compiuti dal minore emancipato con il consenso del
curatore, previa autorizzazione del giudice tutelare.
Autorizzato dal tribunale il minore emancipato acquista una capacità di agire quasi piena all’esercizio di
impresa commerciale in quanto questi può compiere da solo anche gli atti eccedenti l’ordinaria
amministrazione, pur se estranei all’esercizio dell’impresa.
La situazione di emancipazione termina con il raggiungimento della maggiore età da parte del minore
emancipato.

11. Cause modificative della capacità di agire e protezione dell’incapace.


L’esigenza di proteggere il soggetto incapace e di predisporre adeguati strumenti di tutela a suo favore
sussiste pure in relazione a persone che, ancorché maggiori di età, non siano dotate delle condizioni
psicofisiche idonee a consentire una corretta cura dei propri interessi e quindi, una ponderata esplicazione
della propria autonomia negoziale.
Il codice civile prevedeva due forme di protezione: l’interdizione giudiziale, in relazione a soggetti
considerati del tutto privi della capacità di provvedere ai propri interessi e l’inabilitazione, in relazione a
soggetti considerati non in grado di provvedere in maniera adeguata ai propri interessi di natura patrimoniale.
La ratio dell’intervento normativo è da ricercare nell’esigenza di delineare il sistema delle limitazioni della
capacità di agire di quest’ultimo.

12. Interdizione giudiziale.


Sono chiamati interdetti il maggiore di età ed il minore emancipato che si trovino in condizioni di
abituale infermità mentale che li renda incapaci di provvedere ai propri interessi, quando ciò sia necessario
per assicurare la loro adeguata protezione. L’art. 414 conferma quali presupposti per la pronunzia di
interdizione, lo stato di abituale infermità mentale e l’incapacità di provvedere ai propri interessi.
L’abituale infermità mentale viene intesa come “durata nel tempo tale da qualificarla come habitus normale
del soggetto”.
Tra i soggetti legittimati a chiedere l’interdizione viene indicato prima di tutto lo stesso incapace; tra i
soggetti legittimati all’istanza di interdizione, il legislatore contempla anche la persona stabilmente
convivente.
Per la pronunzia di interdizione risulta necessario l’esame del soggetto interdicendo; all’uopo il giudice
può farsi assistere da un consulente tecnico e può disporre d’ufficio dei mezzi istruttori utili ai fini del
giudizio ed assumere le necessarie informazioni.

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Competente per pronunciare l’interdizione è il tribunale del luogo dove la persona nei cui confronti è
proposta l’istanza, ha residenza o domicilio.
Quanto agli effetti della interdizione, il momento decisivo è da individuarsi nella sentenza; infatti la
interdizione produce i suoi effetti dal giorno della pubblicazione della sentenza.
Una analoga prospettiva vale per la cessazione degli effetti della interdizione: la revoca dello stato di
interdizione si produce dal passaggio in giudicato della sentenza che revoca l’interdizione stessa.
Per ragioni di pubblicità, la sentenza deve essere annotata a cura del cancelliere del tribunale nel
registro delle tutele e comunicata entro 10 giorni all’ufficiale dello stato civile per l’annotazione in
margine all’atto di nascita.
Con la sentenza di interdizione si dà luogo alla tutela: all’interdetto vengono assegnati un tutore ed un
protutore ai quali si applicheranno le stesse norme regolanti la tutela del minore. Per la scelta del tutore
dell’interdetto il giudice tutelare deve individuare la persona più idonea all’incarico.
Circa la durata della tutela, nessuno è tenuto a continuare l’incarico oltre i 10 anni, ad eccezione del
coniuge, della persona stabilmente convivente, degli ascendenti o dei discendenti.
Le conseguenze della interdizione giudiziale maggiormente rilevanti attengono alla drastica limitazione
della capacità di agire, sia sotto il profilo personale che patrimoniale, in quanto l’interdizione giudiziale
consegue ad una valutazione di globale inettitudine del soggetto a provvedere ai propri interessi.
Sotto il profilo personale al tutore compete la cura della persona dell’interdetto, comprensiva dell’obbligo
di provvedere al mantenimento, all’istruzione e all’educazione dell’interdetto stesso.
Sotto il profilo patrimoniale si registra una modificazione in quanto in precedenza, per effetto della
interdizione giudiziale, l’interdetto veniva del tutto privato della capacità di agire (incapacità generale).
Pertanto gli atti di ordinaria amministrazione venivano compiuti dal tutore, quale rappresentante legale
dell’interdetto. In considerazione della condizione personale dell’incapace, a costui potrà essere riconosciuta
una limitata capacità di agire a taluni atti di ordinaria amministrazione e potrà essere autorizzato a
compierli da solo o con l’assistenza del tutore. E’ inoltre preclusa la possibilità all’interdetto di fare
testamento, oltre che di effettuare donazioni.

13. Inabilitazione.
Può essere inabilitato il maggiore di età infermo di mente, il cui stato non è talmente grave da dar luogo
ad interdizione; possono altresì essere inabilitati coloro che per abuso abituale di bevande alcoliche o di
stupefacenti, espongano la loro famiglia a gravi pregiudizi economici. Possono infine essere inabilitati il
sordomuto ed il cieco dalla nascita o dalla prima infanzia, se non hanno ricevuto una educazione
sufficiente, a meno che questi non risultino addirittura del tutto incapaci di provvedere ai propri interessi.
E’ quindi una forma di limitazione della capacità di agire meno grave dell’interdizione giudiziale.
L’inabilitazione può essere promossa su istanza dello stesso soggetto interessato o della persona con lui
stabilmente convivente; gli effetti della inabilitazione si producono dalla pubblicazione della relativa
sentenza e la revoca ha efficacia a partire dal momento del passaggio in giudicato della sentenza di revoca;
la sentenza di inabilitazione e l’eventuale sentenza di revoca sono annotate nel registro delle curatele ed
annotate in margine all’atto di nascita.
Con la sentenza di inabilitazione si dà luogo alla curatela; viene nominato un curatore all’inabilitato
che avrà gli stessi poteri del curatore del minore emancipato. Tali poteri avranno pertanto un contenuto
esclusivamente patrimoniale e l’esercizio degli stessi viene regolato dalle stesse norme dettate in materia di
curatela dei minori emancipati.
L’inabilitato compie da solo gli atti di ordinaria amministrazione; può con l’assistenza del curatore,
riscuotere capitali sotto la condizione di un idoneo reimpiego e può stare in giudizio; gli atti eccedenti
l’ordinaria amministrazione sono compiuti dall’inabilitato col consenso del curatore, previa
autorizzazione del giudice tutelare. Mentre l’interdetto non può fare testamento, all’inabilitato tale
possibilità non è preclusa.

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14. Amministrazione di sostegno.
L’istituto dell’amministrazione di sostegno si pone, tra le forme di protezione del soggetto in condizioni di
menomazione, come alternativa rispetto alle tradizionali figure di interdizione giudiziale ed inabilitazione.
L’istituto dell’amministrazione di sostegno ha la finalità di tutelare, con la minore limitazione possibile della
capacità di agire, la persona priva di autonomia nell’espletamento delle funzioni della vita quotidiana,
mediante interventi di sostegno temporaneo o permanente.
Presupposto per l’assegnazione di un amministratore di sostegno al soggetto è l’impossibilità, anche
parziale o temporanea, di provvedere ai propri interessi dovuta ad infermità oppure menomazione fisica
o psichica.
Nel corso del procedimento il giudice tutelare deve sentire personalmente la persona cui il procedimento si
riferisce, recandosi nel luogo in cui questa si trova tenendo conto dei bisogni e delle richieste della persona,
compatibilmente con gli interessi e le esigenze di protezione di questa.
La scelta dell’amministratore di sostegno deve avvenire con riguardo alla cura ed agli interessi del
beneficiario, e può essere designato dallo stesso beneficiario, in previsione della propria eventuale futura
incapacità, mediante atto pubblico o scrittura privata autenticata.
In mancanza di nomina da parte dello stesso beneficiario, il giudice tutelare sceglierà l’amministratore di
sostegno tra i soggetti più vicini al destinatario del provvedimento: coniuge, persona stabilmente convivente,
genitori, figlio, parenti entro il 4° grado.
L’amministratore di sostegno deve svolgere i suoi compiti tenendo conto dei bisogni e delle aspirazioni del
beneficiario e deve informare il beneficiario circa gli atti da compiere.
Quanto alla capacità del soggetto sottoposto ad amministrazione di sostegno, questi conserva la capacità di
agire per tutti gli atti che non richiedono la rappresentanza esclusiva o l’assistenza dell’amministrazione di
sostegno. L’art. 409 prevede che il beneficiario dell’amministrazione di sostegno può in ogni caso compiere
gli atti necessari a soddisfare le esigenze della propria vita quotidiana.
Mentre l’amministrazione di sostegno comporta una limitazione relativa solo a singoli atti o categorie di
atti, individuati dal giudice nel provvedimento di nomina dell’amministratore, l’interdizione giudiziale e la
inabilitazione determinano una compressione della capacità di agire più o meno ampia, a seconda della
gravità del vizio posto a base dell’incapacità non per singoli atti o categorie di atti, bensì in via generale.
Il giudice tutelare nel provvedimento di nomina dell’amministratore di sostegno può disporre che determinati
effetti, limitazioni o decadenze, previsti da disposizioni di legge per l’interdetto o l’inabilitato, si estendano
al beneficiario dell’amministrazione di sostegno, avuto riguardo all’interesse del medesimo.
Quanto alla sorte degli atti compiuti dal beneficiario o dall’amministratore di sostegno, essi sono annullabili
su istanza dell’amministrazione di sostegno, del pubblico ministero, del beneficiario o dei suoi eredi.
L’azione di annullamento si prescrive nel termine di 5 anni a partire dal giorno in cui sia cessato lo stato di
sottoposizione ad amministrazione di sostegno. La cessazione dell’amministrazione di sostegno può
derivare oltre che dalla morte del beneficiario, da un provvedimento di revoca.
Si ricordi anche la possibilità che l’amministrazione di sostegno sia nominato a tempo determinato.

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15. Interdizione legale.
All’interdizione legale sono sottoposti i soggetti condannati all’ergastolo o alla reclusione per un periodo di
tempo non inferiore a 5 anni; in tal caso l’interdizione viene definita legale in quanto costituisce un effetto
che discende automaticamente dalla sentenza di condanna, senza risultare dalla sentenza.
L’interdizione legale non è una forma di protezione in favore di un soggetto incapace di provvedere ai
propri interessi, bensì una pena accessoria rispetto alla condanna principale.
L’interdetto legale subisce sotto il profilo della capacità di agire, limitazioni analoghe a quelle
dell’interdetto giudiziale, con la particolarità che dette limitazioni attengono solamente alla sfera
patrimoniale del condannato e non a quella personale.
La peculiarità dell’interdizione legale può essere colta soprattutto sotto il profilo della sanzione che
colpisce gli atti compiuti dall’interdetto legale: detti atti sono annullabili, ma l’annullamento può essere
chiesto da chiunque vi abbia interesse. Si parla a riguardo di annullabilità assoluta che si contrappone a
quella relativa, la quale può essere fatta valere solo dalla parte nel cui interesse è stabilita dalla legge.

16. Incapacità naturale.


L’incapacità naturale consiste nella incapacità di fatto del soggetto di intendere o di volere, rispetto invece
all’amministrazione di sostegno, l’interdizione giudiziale e l’inabilitazione che conferiscono al soggetto una
condizione legale. E’ incapace naturale colui il quale, pur legalmente capace, non è in grado di valutare la
portata del suo contegno.
L’incapacità di intendere o di volere assume rilievo ai fini della validità dell’atto compiuto, qualora
ricorrano determinate circostanze previste dal legislatore. In particolare, gli atti compiuti da persona che,
sebbene non interdetta si provi essere stata per qualsiasi causa incapace di intendere o di volere al
momento del compimento dell’atto stesso, possono essere annullati su istanza della persona stessa se ne
risulta un grave pregiudizio per l’autore.
Quanto ai contratti conclusi dall’incapace di intendere o di volere, gli stessi possono essere annullati
solo quando per il pregiudizio che ne sia derivato, risulti la malafede dell’altro contraente.
Se l’interdetto compie personalmente un atto al di fuori delle modalità abilitative richieste, l’atto è sempre
annullabile. Qualora lo stesso atto sia compiuto da una persona legalmente capace di agire, ma incapace di
intendere o di volere al momento del compimento dell’atto, esso sarà annullabile solo a condizione che sia
provato il pregiudizio per l’autore, e nell’ipotesi del contratto, la malafede della controparte.
L’azione di annullamento del negozio compiuto dall’incapace di intendere o di volere si prescrive
nel termine di 5 anni dal giorno del compimento dell’atto e non dal giorno in cui sia cessata la causa
dell’incapacità naturale. Il matrimonio, il testamento e la donazione compiuti in stato di incapacità di intere o
di volere sono di per sé annullabili.

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CAPITOLO 2 – DIRITTI DELLA PERSONALITA’
1.Persona e diritti fondamentali; 2. Caratteristiche; 3. Tutela; 4. Dignità della persona; 5. Vita, integrità fisica
e salute; 6. Integrità morale. Onore e reputazione (e relativi limiti:cronaca, critica, satira); 7. Immagine e
corrispondenza; 8. Riservatezza; 9. Trattamento e protezione dei dati personali; 10. Nome; 11. Identità
personale.

1.Persona e diritti fondamentali.


Con l’espressione diritti della personalità (diritti fondamentali) si allude a quei diritti il cui
riconoscimento tende ad assicurare il pieno sviluppo della persona umana, tutelandone gli essenziali interessi
esistenziali; tali sono quelli concernenti l’individuo nella sua fisicità, quanto quelli che valgono a
caratterizzarne la sfera morale nei rapporti con gli altri consociati.
I diritti in questione sono dichiarati senz’altro inviolabili e vengono solo riconosciuti dall’ordinamento per
promuoverne la garanzia: con ciò, da un lato si accoglie l’idea di una loro inerenza alla persona; dall’altro,
si abbandona una visione tendente a considerare la persona e la sua tutela come mero riflesso delle esigenze
di conservazione e di potenziamento dello Stato.
L’attività della persona è poi inquadrata nelle formazioni sociali, nelle aggregazioni dove essa si trova
ad operare (famiglia e organizzazioni con le più diverse finalità: religiose, politiche, sindacali, culturali)
ritenendosi essenziale il loro apporto allo sviluppo della personalità, a condizione però che la relativa
sanzione si svolga nel rispetto dei valori fondamentali della persona stessa.
In un ordinamento che pone lo sviluppo della persona quale suo obiettivo prioritario finisce col risultare
sfumata la distinzione tra diritti civili e diritti sociali: i diritti civili comportanti una pretesa del titolare al
generalizzato rispetto delle prerogative legate alla propria sfera esistenziale, i diritti sociali finalizzati invece
ad una più compiuta realizzazione della propria personalità attraverso l’altrui intervento.
Mentre ai primi, viene riferita la tutela della vita e dell’integrità fisica, ai secondi si riferisce la realizzazione
di esigenze come quelle legate alla salute, al lavoro, all’abitazione.
Sul piano pratico ha perso parte della efficacia la contrapposizione tra la tesi pluralistica e quella monistica:
la prima tendente a valorizzare la pluralità dei diritti della personalità come espressione della peculiarità delle
esigenze di tutela; l’altra favorevole alla sussistenza di un unico diritto della personalità avente ad oggetto
quale valore unitario, la persona in quanto tale.

2. Caratteristiche.
Una volta considerati quali veri e propri diritti soggettivi, i diritti della personalità vengono annoverati tra i
diritti assoluti. Ad essi risulta connaturale la pretesa del titolare, nei confronti della generalità dei consociati
all’altrui astensione da qualsiasi violazione dell’interesse tutelato.
All’inerenza alla persona si ricollega il loro carattere di diritti innati, per cui essi rappresentano un
patrimonio sussistente; di qui anche la imprescrittibilità di tali diritti, essendo il soggetto ammesso a
rivendicarne la titolarità a prescindere dal mancato esercizio. All’inerenza si ricollega anche
l’intrasmissibilità, da intendere nel senso che la possibilità di esercizio di simili diritti è destinata a
venire meno con la morte del titolare. Più delicato si presenta il problema del riconoscimento dei caratteri
di indisponibilità e non patrimonialità ai diritti in questione.
La stretta inerenza alla persona si pone alla base della tradizionale conclusione dell’insussistenza di un potere
generale del soggetto di incidere con propri atti, sulla titolarità di simili diritti (indisponibilità), non
ritenendosi essergli consentito cederli ad altri (inalienabilità) o rinunziarvi (irrinunciabilità).
Se la tolleranza di limitazioni dei diritti della personalità trova minori resistenze quando essa sia motivata da
forti stimoli di solidarietà, i termini della questione si presentano più controversi di fronte alla
“commercializzazione” di aspetti della personalità. Si tratta della problematica relativa alla connotazione in
termini di non patrimonialità dei diritti in esame, ricollegata a quella della loro indisponibilità.

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La tutela dei diritti della personalità compete anche agli enti (riconosciuti come persona giuridica o non
riconosciuti), come riflesso dell’attribuzione ad essi della qualità di soggetto di diritti e della loro dignità
costituzionale di “formazioni sociali” funzionali allo sviluppo della personalità umana.

3. Tutela.
L’attenzione alle esigenze della persona ha condotto all’individuazione di nuovi strumenti di tutela.
a)Ove si consideri la tipologia degli interessi in gioco, appare chiaro privilegiare un modello di tutela
preventiva atta ad evitare la lesione o, almeno a minimizzarne gli effetti, piuttosto che un modello di tutela
successiva in quanto indirizzata alla riparazione degli effetti della lesione.
Lo strumento che si presenta come funzionale alla tutela di interessi di carattere esistenziale, risulta l’azione
inibitoria con cui si tende ad impedire lo stesso evento lesivo, prevenendo la condotta idonea a determinarlo,
evitando che il suo protrarsi aggravi la lesione degli interessi protetti.
Una tutela di tipo inibitorio viene contemplata in materia di protezione dei dati personali.
L’efficacia della tutela inibitoria è accresciuta dalla possibilità per l’interessato di chiedere l’adozione di
un provvedimento di natura cautelare: ai sensi dell’ art. 700 c.p.c. chi teme che il proprio diritto sia
esposto ad un pregiudizio imminente ed irreparabile nel tempo occorrente per far valere il proprio diritto in
via ordinaria, può chiedere che il giudice emani i provvedimenti d’urgenza più idonei ad assicurare una sua
tutela provvisoria, in attesa delle decisione definitiva.
Il ricorso ad una simile tutela cautelare ha finito col costituire il principale baluardo contro la violazione dei
diritti della personalità, per la celerità dello strumento e per la relativa peculiare duttilità.
b) Ulteriori strumenti di tutela degli interessi relativi alla sfera morale del soggetto sono rappresentati dalla
pubblicazione della sentenza in uno o più giornali nonché dal diritto di rettifica come disciplinato ed
esteso con i necessari adattamenti all’informazione radiotelevisiva.
c) Anche in conseguenza della lesione di diritti della personalità, opera il rimedio del risarcimento del
danno. Problema delicato è quello relativo ai criteri di determinazione del danno patrimoniale risarcibile,
nel caso in cui altro ne abbia profitto indebitamente. Il diritto di verifica come strumento di bilanciamento
tra l’interesse del pubblico ad essere informati e l’interesse della persona fisica o giuridica a non essere lesa
nella propria identità personale, non può ritenersi rispettato se la pubblicazione della rettifica avvenga con
modalità o commenti tali da accrescere la lesione dell’identità personale.

4. Dignità della persona.


La pretesa al rispetto della dignità del soggetto in quanto persona, rappresenta il tessuto connettivo della
tutela della persona umana nella globalità delle sua manifestazioni. L’enunciazione dell’art. 2 Cost.
si riconnette all’esigenza di assicurare, contro le aggressioni ad essa portate, la salvaguardia del rispetto
della dignità umana quale valore fondante, vero e proprio filtro attraverso cui verificare l’apprezzabilità
di ogni altro valore.
Il costante riferimento al rispetto della dignità umana, costituisce il parametro essenziale cui riferire qualsiasi
valutazione di interessi ruotanti intorno alla persona per assicurare il bilanciamento di esigenze
eventualmente in conflitto. Ciò assume particolare rilevanza nei confronti dei soggetti che si vengono a
trovare coinvolti in una situazione di debolezza nei rapporti con altri, come il lavoratore o il malato.
La dignità umana, una volta assunta come giustificazione della stessa inviolabilità dei diritti umani,
costituisce un valore il cui rispetto non può essere rimesso alle determinazioni dell’interessato, essendo la
relativa disponibilità destinata ad incontrare limiti invalicabili.

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5. Vita, integrità fisica e salute.
a) La tutela del diritto alla vita è affidata alla legislazione penale dalla quale si evince la sua indisponibilità.
In relazione alla competenza del diritto alla vita si presenta la discussione circa la posizione del concepito
ed il riconoscimento di una sua soggettività concernente la titolarità dei diritti fondamentali.
b) Anche il diritto all’integrità fisica trova tutela nella legislazione penale attraverso lo strumento del
risarcimento del danno; il diritto all’integrità fisica è disciplinato nel codice civile sotto il profilo dei limiti
alla sua disponibilità.
L’art. 5 vieta gli atti di disposizione del proprio corpo quando da essi possa derivarne una diminuzione
permanente dell’integrità fisica, oppure quando siano contrari alla legge, all’ordine pubblico o al buon
costume. Entro i limiti in cui risultano consentiti, gli atti di disposizione del proprio corpo devono avere
sempre alla loro base il consenso libero e consapevole del soggetto e non sono mai suscettibili di
esecuzione forzata in forma specifica.
Diminuzioni permanenti dell’integrità fisica possono conseguire ai trattamenti medici.
L’essere l’intervento terapeutico finalizzato ad un miglioramento complessivo delle condizioni di vita del
soggetto consente di superare le limitazioni poste dall’art. 5, a condizione che l’intervento stesso abbia alla
sua base il consenso dell’interessato (e tale consenso deve essere frutto di una consapevole adesione alla
proposta terapeutica: si deve cioè trattare di un consenso informato).
Il carattere di necessaria volontarietà dell’intervento non consente di intervenire contro la volontà espressa
dal soggetto il quale, può rifiutare le cure nell’esercizio della sua libertà personale; un simile rifiuto,
legittimo quando concerna la propria persona, non può riguardare l’integrità fisica di un altro soggetto in
condizioni di incapacità (come nell’ipotesi dei genitori che, per proprie convinzioni religiose intendono
vietare interventi medici sui figli). Al tema del rifiuto della terapia si collega quello delle cd. direttive
(o disposizioni) anticipate, ossia quelle manifestazioni di volontà in ordine alle possibili opzioni
terapeutiche (con riferimento all’eventuale sospensione delle tecniche artificiali di sostentamento).
c) Il diritto alla salute in quanto fondamentale diritto dell’individuo trova tutela non solo nei confronti
dello Stato, ma anche nei rapporti intersoggettivi. Nei confronti dello Stato, alla garanzia della salute è
finalizzata quella di carattere ambientale, diretta a prevenire e a reprimere le diverse attività inquinanti.
Quanto ai rapporti intersoggettivi, il diritto alla salute trova tutela attraverso lo strumento del risarcimento
del danno.
d)Il rispetto della dignità umana giustifica anche l’attenzione che l’ordinamento ha per il cadavere tutelando
il sentimento collettivo di pietà, oppure riconoscendo al soggetto vivente un potere di determinare con una
manifestazione di volontà, la sorte delle proprie spoglie.

6. Integrità morale. Onere e reputazione (e relativi limiti: cronaca, critica, satira).


Il rispetto all’integrità morale consente la delineazione di una serie di profili di tutela della personalità.
Onere, reputazione, immagine, riservatezza compongono il complesso quadro della personalità morale del
soggetto. L’onore e la reputazione trovano la loro tutela sul piano penale attraverso la repressione dei reati
di ingiuria e diffamazione.
La dignità morale della persona viene riguardata dal punto di vista soggettivo e oggettivo (si parla anche di
onore in senso soggettivo e oggettivo), ossia da una parte, quale considerazione che il soggetto ha di se
stesso; dall’altra, quale considerazione di cui il soggetto gode nella comunità nel cui contesto opera.
La giurisprudenza civile ha affermato l’esistenza di un diritto alla reputazione personale, quale diritto
soggettivo perfetto.
Il diritto alla cronaca è espressione della libertà di stampa presidiata dall’art. 21 Cost. La sua legittimità
viene ricollegata al rispetto di alcune condizioni essenziali che ne rappresentano i limiti invalicabili a
salvaguardia della dignità della persona oggetto di attenzione (limiti del pubblico interesse, della verità,
della continenza).

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Con il diritto di cronaca si intreccia il diritto di critica finalizzato alla valutazione di fatti ed opinioni altrui,
svincolato dai limiti caratterizzanti il diritto di cronaca (soprattutto con riferimento a quello della continenza,
concernente il modo civile della manifestazione del pensiero).

7. Immagine e corrispondenza.
L’immagine costituisce col nome un aspetto della personalità già preso in considerazione dal codice civile
vigente (art. 10).
Col diritto all’immagine viene tutelato l’interesse del soggetto ad esprimere il consenso alla diffusione
del prototipo ritratto. Esso salvaguarda un aspetto intimo della vita privata, assicurando il rispetto
dell’identità sociale della persona. Il diritto all’immagine si ricollegava nel disegno codicistico al diritto
sulla propria corrispondenza concernente la protezione del diritto d’autore e di altri diritti connessi al suo
esercizio.
L’art. 10 vieta l’abuso dell’immagine altrui, attribuendo all’interessato la possibilità di chiederne la
cessazione, salvo il riconoscimento del danno. Il principio fondamentale è quello secondo cui il ritratto della
persona non può essere divulgato senza il suo consenso; non solo il consenso è reputato sempre revocabile,
ma la sua efficacia è da considerare ristretta al tempo, allo scopo e alle modalità di diffusione consentita.
La riproduzione e la diffusione dell’immagine può avvenire a prescindere dal consenso della persona
ritratta se giustificata dalla notorietà o dall’ufficio pubblico ricoperto da necessità di giustizia, da scopi
scientifici, didattici o culturali.
La notorietà può essere invocata solo con riferimento all’ambito territoriale in cui essa esiste ed in
connessione con l’attività o le circostanze cui si ricollega la notorietà stessa; la notorietà non giustifica
una diffusione dell’immagine fatta per sfruttarla a scopo di lucro. La riproduzione può avvenire liberamente,
ove collegata ai fatti, avvenimenti, cerimonie di interesse pubblico o svoltisi in pubblico.
La tutela dell’immagine della persona alle generali esigenze di salvaguardia della sua intimità e di rispetto
della sua identità sociale, senza il relativo consenso risulta operabile congiuntamente alla lesione del diritto
alla riservatezza e del diritto all’identità personale.
La pubblicazione non autorizzata della fotografia di una persona è lesiva non solo del suo diritto
all’immagine, ma anche del suo diritto all’identità personale, ove possa indurre il pubblico a credere che
il soggetto ripreso abbia aderito ai valori espressi nella pubblicazione. L’abuso dell’immagine può avvenire
anche attraverso il ricorso ad un sosia i cui atteggiamenti potrebbero ledere l’identità personale del soggetto.
L’art. 10 prevede che anche i prossimi congiunti (coniuge, figli, genitori) possano invocare la tutela del
diritto di immagine: il congiunto sembra qui essere ammesso a far valere un proprio interesse di carattere
morale ove ne ritenga avvenuta la lesione a seguito della pubblicazione. Dopo la morte della persona
ritrattata, i prossimi congiunti sono ammessi a far valere la tutela del diritto alla sua immagine; tale regola
vale anche in materia di diritti relativi alla corrispondenza.

8. Riservatezza.
L’esigenza di porre la sfera privata del soggetto al riparo dalle ingerenze altrui è stata avvertita in dipendenza
dello sviluppo dei mezzi di comunicazione di massa. Il riconoscimento del diritto alla riservatezza ha
garantito in modo comprensivo l’intangibilità dell’intimità della vita privata della persona, la quale può
riuscire a svilupparsi in piena libertà e senza condizionamenti intollerabili.
Tale diritto concerne la tutela di quelle situazioni e vicende strettamente personali e familiari, le quali non
hanno per i terzi un interesse socialmente apprezzabile contro le ingerenze che non siano giustificate da
interessi pubblici preminenti.

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9. Trattamento e protezione dei dati personali.
L’ art. 2 del D.Lgs. n. 196, relativo al trattamento dei dati personali, enuncia le finalità del provvedimento
consistenti nel garantire che il trattamento dei dati personali si svolga nel rispetto dei diritti e delle libertà
fondamentali nonché della dignità dell’interessato, con particolare riferimento alla riservatezza, all’identità
personale e al diritto alla protezione dei dati personali.
La disciplina del trattamento dei dati personali è intesa in senso ampio (qualunque operazione, o
complesso di operazioni, effettuate anche senza l’ausilio di strumenti elettronici, concernenti la raccolta,
la registrazione, l’organizzazione, la conservazione, la selezione e la distruzione di dati, anche se non
registrati in una banca dati).
Per dato personale si considera qualunque informazione relativa a persona fisica, giuridica, ente oppure
associazione, identificati o identificabili mediante riferimento a qualsiasi altra informazione.
Peculiari regole sono stabilite per i dati sensibili, ossia per i dati personali idonei a rivelare l’origine razziale
ed etnica, le convinzioni religiose, l’adesione a partiti, sindacati, associazioni, nonché i dati personali idonei
a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale.
Principio generale (art. 23) è quello per cui solo il consenso dell’interessato legittima il trattamento di
dati personali. Per i dati sensibili oltre al consenso dell’interessato, occorre anche l’autorizzazione del
garante.
L’interessato ha il diritto di accesso ai suoi dati personali, in modo da essere messo in grado di conoscerne
l’esistenza e le finalità del relativo trattamento, allo scopo di ottenere la modificazione e la cancellazione dei
dati che lo riguardano oppure di opporsi al trattamento.

10. Nome.
Il nome come essenziale segno distintivo e identificativo del soggetto, viene disciplinato per la tutela
dell’interesse della persona alla propria identificazione sociale. Si tratta di un diritto fondamentale della
persona dimostrato dall’art. 22 Cost., il quale prevede che nessuno per motivi politici può essere privato
del nome (oltre che della capacità giuridica e della cittadinanza).
Nel nome si comprendono il prenome ed il cognome.
Il prenome (spesso indicato come nome) è destinato ad individuare il soggetto nel contesto del gruppo
familiare; la relativa scelta compete ai genitori congiuntamente all’ufficiale dello stato civile.
Il cognome viene acquistato in applicazione dell’operatività di regole legali aventi riguardo al rapporto di
filiazione. In caso di filiazione legittima, il figlio assume il cognome paterno sulla base di una regola non
espressa ma immanente nel sistema e ricavabile dal complessivo sistema delle norme in materia, tutte
ispirate al principio della prevalenza; in caso di filiazione naturale invece, il figlio assume il cognome del
genitore che per prima lo abbia riconosciuto con la prevalenza di quello paterno.
La moglie per effetto del matrimonio aggiunge il cognome del marito al proprio e lo conserva nello stato
vedovile, fino alle eventuali nuove nozze; lo conserva anche in caso di separazione personale, ma il giudice
può vietarne l’uso, così come autorizzare la moglie a non usarlo.
Col divorzio la donna perde il cognome maritale ma può essere autorizzata a conservarlo, ove ricorra un
interesse apprezzabile suo o dei suoi figli.
La modificazione del nome è consentita solo nei casi previsti dalla legge; il cambiamento volontario del
cognome è ammesso solo a seguito di una procedura regolata con decreto di concessione del Ministro
dell’Interno. La tutela del diritto al nome è assicurata dall’art. 7 con gli strumenti già esaminati in materia
di diritti della personalità; tale tutela si ritiene spettare, anche agli enti.

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L’art. 9 estende allo pseudonimo la tutela accordata al nome, ove abbia acquistato l’importanza del nome;
con tale si intende un nome che in sostituzione del nome civile, il soggetto utilizza come proprio mezzo di
identificazione personale. Esso è quindi tutelato quale segno distintivo della persona al pari del nome,
condividendone la natura di diritto della personalità.
Caratteristica dello pseudonimo è quella di costituire un modo di autodesignazione del soggetto che lo
distingue dal soprannome, quale modo di designazione del soggetto attribuitogli dagli altri in un certo
ambito sociale.

11. Identità personale.


L’esigenza di garantire che la personalità del soggetto sia rappresentata in modo fedele e completo, ha
condotto alla delineazione del diritto all’identità personale.
Col riconoscimento del diritto alla identità personale si è voluto assicurare la tutela della proiezione
sociale della personalità dell’individuo, cioè del suo interesse ad essere rappresentato nella vita di relazione
con la sua vera identità, senza che ne risulti modificato, offuscato o alterato il proprio patrimonio
intellettuale, ideologico, etico, già estrinsecatosi o da estrinsecarsi nell’ambiente sociale.
Il diritto alla identità personale trova una specificazione in considerazione del rispetto dovuto all’identità
sessuale del soggetto quale rilevante manifestazione della personalità nei rapporti sociali.

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CAPITOLO 3 – ENTI
-A) PROFILI GENERALI. 1. Persona fisica e persona giuridica; 2. Elementi costitutivi. Ente e soggettività
giuridica; 3. Tipologia degli enti; 4. Riconoscimento; 5. Capacità; 6. Attività; 7. Responsabilità per illecito;
-B) FIGURE. 8. Associazione riconosciuta; 9. Associazione non riconosciuta; 10. Fondazione;
11. Estinzione della persona giuridica. Liquidazione e devoluzione dei beni. Trasformazione; 12. Comitato;
13. Gli enti non profit nella legislazione speciale.

A)PROFILI GENERALI
1. Persona fisica e persona giuridica.
La persona fisica non è l’unica entità dotata di capacità giuridica, ossia considerata in grado di essere
titolare di situazioni giuridiche. Accanto alle persone fisiche si collocano gli enti, ossia le organizzazioni di
beni e di persone cui l’ordinamento riconosce la qualità di centri di imputazioni di situazioni giuridiche
soggettive al pari delle persone fisiche.
La motivazione che induce l’ordinamento a considerare gli enti quali soggetti di diritto distinti dalle persone
fisiche che ne promuovono la formazione e ne assicurano il funzionamento, sembra radicarsi nella
constatazione che il singolo può perseguire solo una certa gamma di interessi, ma non può spingersi fino alla
realizzazione di quegli ulteriori interessi che necessitano invece di un’organizzazione di gruppo.
Una evoluzione della materia è conseguita con il nuovo sistema delineato dalla Costituzione, la quale,
nel porre la persona al centro dell’ordinamento come privilegiato punto di riferimento, ha riconosciuto il
carattere che le formazioni sociali e la relativa attività sono idonee ad apportare allo sviluppo della
personalità dell’uomo ed all’esercizio dei suoi diritti fondamentali.
La conseguente diffusione delle organizzazioni di gruppo si pone alla base di un atteggiamento mutato da
parte del legislatore il quale pare oggi deciso ad incentivare il ricorso alle più diverse forme di aggregazione.

2. Elementi costitutivi. Ente e soggettività giuridica.


Gli elementi costitutivi della persona giuridica sono distinti in una componente materiale
(il cd. substrato materiale) comprensiva di persone, patrimonio e scopo, e in una componente formale
(il riconoscimento).
Ai fini dell’esistenza della persona giuridica, appare immancabile la sussistenza di persone fisiche, portatrici
di interessi non perseguibili attraverso l’azione individuale del singolo: è questo l’elemento personale.
Di qui l’esigenza che la persona giuridica sia dotata di una massa di beni che possa sostenere il peso dello
svolgimento dell’attività istituzionale dell’ente: è questo il patrimonio.
L’aggregazione di persone e di beni avviene per la realizzazione di determinate finalità che possono essere
le più varie: è questo lo scopo.
A tutti questi elementi viene dato rilievo mediante il riconoscimento da parte dell’ordinamento giuridico
come momento formale di attribuzione della personalità giuridica.
Al concetto di personalità giuridica si sostituisce quello di soggettività giuridica che dovrebbe includere
nel gruppo dei soggetti giuridicamente capaci le persone fisiche, le persone giuridiche, e gli enti non
riconosciuti quali persone giuridiche.
L’espressione persona giuridica, che si proponeva come alternativa concettuale alla nozione di persona
fisica, finisce col limitarsi ad indicare solo un particolare profilo di disciplina dell’ente riconosciuto rispetto a
quello non riconosciuto.

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3. Tipologia degli enti.
Oggi si continuano a proporre alcune classificazioni degli enti in considerazione dello scopo dell’ente
e della sussistenza o meno del riconoscimento.
a)Una prima classificazione risulta essere quella tra enti pubblici (persone giuridiche pubbliche) ed enti
privati (persone giuridiche private), ricollegata allo scopo dell’ente: persone giuridiche pubbliche
dovrebbero reputarsi quelle che perseguono fini di rilevanza generale, di carattere pubblico, in
contrapposizione alle persone giuridiche private che invece per loro natura perseguono scopi di carattere
privato e non di rilevanza generale.
Gli enti pubblici a loro volta si distinguono in enti pubblici territoriali (Stato, Regioni, Città
metropolitane, Province e Comuni) ed enti pubblici non territoriali a seconda della sussistenza o meno
di un legame della rispettiva attività con una determinata sfera territoriale.
b) Altra distinzione è quella tra enti lucrativi ed enti non lucrativi; gli enti non lucrativi, anche definiti
enti con scopi ideali o morali (o non profit) sono le associazioni, le fondazioni ed i comitati mentre gli
enti lucrativi sono invece le società, il cui scopo lucrativo è di dividere gli utili prodotti dal comune
esercizio di un’attività economica.
c) Anche la classificazione degli enti in enti riconosciuti ed enti non riconosciuti come persona giuridica
(cd. enti di fatto) ha perso importanza: l’unica sostanziale differenza di disciplina degli enti riconosciuti
rispetto agli enti non riconosciuti attiene al diverso regime di responsabilità per le obbligazioni assunte in
nome e per conto dell’ente stesso.
Enti riconosciuti come persone giuridiche sono le associazioni riconosciute, le fondazioni ed i comitati
riconosciuti; enti non riconosciuti sono invece le associazioni non riconosciute ed i comitati non riconosciuti.

4. Riconoscimento.
Al sistema di riconoscimento normativo previsto per le società di capitali, in base al quale queste ultime
acquistano la personalità giuridica con l’iscrizione nel registro delle imprese, si contrapponeva il sistema di
riconoscimento concessorio, per cui associazioni, fondazioni e comitati acquistavano la capacità giuridica
mediante il riconoscimento concesso con decreto del Presidente della Repubblica.
L’acquisto della personalità avviene in modo automatico essendo subordinata l’iscrizione nel registro delle
imprese solo ad una verifica da parte dell’ufficio del registro delle imprese, della regolarità formale della
documentazione depositata dal notaio che ha ricevuto l’atto costitutivo.
L’attribuzione della personalità giuridica secondo il sistema concessorio era rimessa ad una valutazione
discrezionale da parte della Pubblica Amministrazione, sfociante nel provvedimento dell’organo di vertice
dell’organizzazione statale, concernente lo scopo e la congruità del patrimonio dell’ente, rispetto ad esso.
Al riconoscimento seguiva la registrazione, ossia l’iscrizione dell’ente nell’apposito registro; l’ente
pertanto acquistava la capacità giuridica per effetto del riconoscimento dalla registrazione, derivandogli
poi autonomia patrimoniale perfetta.
Nel passaggio dal sistema originario a quello attualmente vigente, è venuta meno quella duplicazione di fasi,
caratteristica del sistema previgente (riconoscimento e registrazione), che comportava una differenziazione
dei due momenti dell’attribuzione della personalità giuridica e dell’acquisizione dell’autonomia patrimoniale
perfetta, in quanto oggi l’ente acquista la personalità giuridica al momento dell’iscrizione nel registro delle
persone giuridiche e nello stesso momento acquista anche l’autonomia patrimoniale perfetta.

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5. Capacità.
Dal punto di vista patrimoniale l’ente ha una capacità giuridica analoga a quella delle persone fisiche;
alla persona giuridica risulta riferibile anche la titolarità di situazioni giuridiche soggettive di contenuto
non patrimoniale, tutelate al pari di quelle corrispondenti della persona fisica.
L’ente a differenza della persona fisica, non ha l’idoneità ad essere titolare delle situazioni giuridiche
soggettive che presuppongono la fisicità del soggetto.
In campo patrimoniale sono scomparsi preclusioni ed ostacoli che in passato limitavano la capacità
dell’ente; venuta meno questa restrizione, associazioni e fondazioni hanno oggi la piena capacità di compiere
acquisti immobiliari e di beneficiare di attribuzioni a titolo gratuito, senza che la consistenza patrimoniale
dell’ente debba essere spesso sottoposta ad un controllo di carattere pubblicistico.

6. Attività.
L’esercizio della capacità di agire di cui l’ente risulta fornito è reso possibile dai suoi organi; la
delineazione del concetto di organo, affonda le sue radici in quelle teorie che individuavano nella persona
giuridica una entità realmente esistente, al pari della persona fisica.
Sono gli organi a permettere all’ente di formare la propria volontà e di proiettarla all’esterno.
Con riguardo all’attività negoziale dell’ente, il compito di proiettare all’esterno la sua volontà è demandato
all’organo amministrativo. Sono gli amministratori quali organi dell’ente, che consentono all’ente stesso di
intrecciare rapporti negoziali.
La determinazione della volontà dell’ente può spettare all’assemblea, organo peculiare degli enti di tipo
associativo o agli stessi amministratori, cui compete concretizzare la volontà promanante dal fondatore.
Il fenomeno in base al quale l’attività negoziale posta in essere dall’organo dell’ente viene imputata all’ente
stesso, prende il nome di rappresentanza organica imputata direttamente all’ente stesso.

7. Responsabilità per illecito.


In relazione agli atti illeciti compiuti dai propri organi nell’esercizio delle loro attribuzioni istituzionali,
l’ente risponde indirettamente; l’ente dovrebbe reputarsi come committente del proprio organo, e quindi,
responsabile per fatto illecito altrui.
Oggi si tende a configurare una responsabilità diretta dell’ente per gli illeciti commessi da suoi organi.
Per la giurisprudenza l’ente (pubblico o privato) è considerato responsabile per i fatti illeciti a titolo di
responsabilità diretta in virtù del rapporto organico che immedesima l’attività degli organi con quella
dell’ente.

B) FIGURE
8. Associazione riconosciuta.
L’associazione riconosciuta rappresenta la fattispecie di ente assunta dalla dottrina quale modello per la
formulazione delle teorie della persona giuridica.
Nell’associazione riconosciuta sono presenti tutti quei tratti generalmente reputati elementi costitutivi della
persona giuridica (persone, patrimonio, scopo, riconoscimento).
Il ruolo dell’associazione riconosciuta sembra assumere un diverso peso con riferimento al modello
dell’associazione non riconosciuta, la quale non è più sottoposta a quelle limitazioni di azione che rendevano
maggiormente appetibile il riconoscimento; questo perche l’unica differenza sussistente tra l’associazione
riconosciuta e quella non riconosciuta è da individuarsi nella disciplina della responsabilità per le
obbligazioni che fanno capo all’ente.
A rispondere delle obbligazioni stesse con il proprio patrimonio è esclusivamente l’associazione
riconosciuta (autonomia patrimoniale perfetta) mentre le associazioni non riconosciute sono invece
caratterizzate da un’autonomia patrimoniale imperfetta.

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L’associazione riconosciuta nasce mediante il contratto associativo, che deve rivestire la forma dell’atto
pubblico; il contratto associativo è una tipica ipotesi di contratto plurilaterale caratterizzato da una struttura
aperta, nel senso che ad esso possono aderire altri contraenti.
Si distingue poi l’atto costitutivo che racchiude la volontà dei contraenti di dare vita all’ente individuando i
principali elementi caratterizzanti l’ente stesso dallo statuto, che contiene le norme destinate a regolare la
futura vita ed il funzionamento dell’ente. Le disposizioni dello statuto e dell’atto costitutivo di una persona
giuridica sono regolate dai principi generali del negozio giuridico.
Lo scopo rappresenta l’elemento che giustifica l’aggregazione del gruppo di persone che danno vita all’ente,
assicurandone la necessaria coesione. Il contratto associativo si caratterizza per essere le prestazioni degli
associati dirette al perseguimento di uno scopo collettivo, da realizzarsi attraverso lo svolgimento in comune
di un’attività, trovando ogni contraente il corrispettivo della propria prestazione nella partecipazione al
risultato a cui tende l’intera associazione. Lo scopo dell’associazione deve essere non lucrativo.
Elementi costitutivi dell’associazione riconosciuta sono l’elemento patrimoniale (patrimonio) e
l’elemento personale (persone). Nell’associazione il rapporto tra questi due elementi si atteggia in modo tale
da conferire prevalenza al profilo personale su quello patrimoniale: è proprio questo il principale tratto
distintivo tra l’associazione e la fondazione, in cui si ritiene prevalere l’elemento patrimoniale.
Gli associati, all’atto della costituzione dell’ente, devono contribuire alla formazione del patrimonio che
assicura all’ente i mezzi economici per lo svolgimento della propria attività
Si è inoltre sottolineata l’importanza dell’elemento personale, in quanto l’associazione non solo nasce per
volontà degli associati che ne determinano le caratteristiche, ma perviene alla formazione delle proprie
determinazioni volitive attraverso l’attività degli associati stessi che si riuniscono nell’assemblea.
L’assemblea è l’organo sovrano dell’associazione all’interno del quale trova espressione la volontà dell’ente
stesso. L’assemblea, alla quale hanno diritto di partecipare tutti gli associati, adotta le decisioni di maggior
rilievo relative all’associazione, fino al mutamento dello scopo dell’ente o allo scioglimento.
L’assemblea deve essere convocata dagli amministratori almeno una volta l’anno per l’approvazione
del bilancio. La determinazione volitiva adottata dall’assemblea viene definita deliberazione, che è atto
collegiale avente natura negoziale.
La deliberazione viene adottata dall’assemblea secondo il principio maggioritario. La regola generale
vuole che le deliberazioni dell’assemblea siano prese a maggioranza di voti e con la presenza di almeno la
metà degli associati; qualora non si raggiunga il quorum richiesto, l’assemblea viene convocata nuovamente
e la deliberazione è valida qualunque sia il numero degli intervenuti.
Può accadere che le determinazioni volitive dell’assemblea siano contrarie alla legge, all’atto costitutivo ed
allo statuto; in tal caso le stesse sono annullabili su istanza degli organi dell’ente, di qualunque associato o
del pubblico ministero.
Altro organo dell’associazione è l’organo amministrativo che può essere monocratico (amministratore
unico) o collegiale (consiglio di amministrazione). L’organo amministrativo ha il compito di gestire le
risorse dell’associazione, di rappresentare l’ente nei confronti dei terzi e di porre in essere tutti gli atti
necessari allo svolgimento della vita dell’ente e alla realizzazione del suo scopo.
Secondo la regola dell’art. 18 gli amministratori sono responsabili verso l’ente secondo le regole del
mandato (in particolare devono eseguire il proprio incarico con la diligenza del buon padre di famiglia).
Per effetto della partecipazione al contratto associativo o della successiva adesione all’ente, il soggetto
acquista lo stato di associato dal quale derivano diritti ed obblighi connessi all’attività dell’ente e quindi
alla realizzazione degli interessi perseguiti dal gruppo degli associati.
Lo statuto dell’ente deve indicare con chiarezza quali siano i diritti e gli obblighi derivanti dalla situazione
di associato nonché le condizioni di ammissione degli associati all’ente. La qualità di associato conferisce al
medesimo il diritto di prendere parte all’attività dell’ente. Tale qualità, salvo che l’atto costitutivo o lo statuto
non dispongano diversamente, è intrasmissibile.

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Quanto al recesso, consistente nello scioglimento del rapporto associativo per volontà dell’associato,
l’art. 24 dispone che l’associato può sempre recedere dall’associazione.
Con riguardo alla esclusione, l’art. 24 pone la regola secondo cui l’esclusione di un associato può essere
deliberata dall’assemblea solo per gravi motivi; contro la delibera di esclusione l’associato può ricorrere
all’autorità giudiziaria entro 6 mesi dal giorno in cui gli è stata notificata la deliberazione di esclusione.

9. Associazione non riconosciuta.


L’unica differenza che distingue in termini di disciplina applicabile l’associazione non riconosciuta
dall’associazione riconosciuta è oggi da individuarsi nel diverso grado di autonomia patrimoniale.
Il modello dell’associazione non riconosciuta ha assunto un ruolo di assoluta centralità nelle formazioni
sociali all’interno delle quali si svolge la personalità dell’uomo.
La tipologia di associazioni non riconosciute appare assai variegato; si pensi alla semplice struttura che può
assumere un’associazione con finalità ricreative per gli associati, rispetto alla complessità delle associazioni
sindacali e dei partiti come immediata conseguenza del ruolo economico-sociale e politico-istituionale
ricoperto dagli stessi nella società contemporanea.
Anche l’associazione non riconosciuta nasce tramite il contratto associativo; vale pertanto quanto già
osservato in relazione alla struttura aperta ed ai caratteri fondamentali di tale contratto.
Una importante differenza si registra sotto il profilo della forma: la costituzione dell’associazione non
riconosciuta non è soggetta a nessuna forma particolare, salvo la forma richiesta dalla legge ai fini della
validità dei singoli apporti degli associati.
L’elemento patrimoniale dell’associazione non riconosciuta è rappresentato dal fondo comune costituito
dai contributi degli associati e dai beni acquistati con i contributi. Il fondo comune appartiene non in
comunione agli associati, bensì all’ente non riconosciuto individuando in quest’ultimo un vero e proprio
soggetto di diritto. Il fondo comune si presenta pienamente assimilabile al patrimonio dell’associazione
riconosciuta. La separazione del patrimonio dell’associazione da quello degli associati risulta evidenziata dal
principio secondo cui, finché l’associazione non riconosciuta dura, i singoli associati non possono chiedere
la divisione del fondo comune né pretendere la quota in caso di recesso.
Il legislatore prevede inoltre la responsabilità dell’associazione non riconosciuta col suo patrimonio (il fondo
comune); ad essa affianca la responsabilità di coloro che hanno assunto l’obbligazione in nome e per conto
dell’ente, che non è responsabilità per debito proprio ma per debito altrui (dell’ente). Responsabilità che
viene addossata solo a chi abbia concretamente agito in rappresentanza dell’associazione non riconosciuta,
e non agli amministratori o ai rappresentanti istituzionali dell’ente solo per loro qualità.

10. Fondazione.
Il connotato peculiare della fondazione viene individuato nel risultare essa un complesso di beni destinato
alla realizzazione di un determinato scopo prefissato dal fondatore. Il modello tenuto presente dal nostro
legislatore è quello della fondazione erogatrice caratterizzato dall’attività di gestione di un patrimonio al
fine di erogarne le rendite secondo le direttive del fondatore.
Mentre l’ordinamento ammette con riguardo all’ente di carattere associativo, la possibilità di dar vita anche
ad associazioni non riconosciute quali persone giuridiche, per la fondazione può sussistere analoga
alternativa solo se riconosciuta. In quanto riconosciuta risulterà sempre caratterizzata dall’autonomia
patrimoniale perfetta, nel senso che delle obbligazioni assunte per nome e per conto dell’ente risponde
soltanto questo col suo patrimonio.
La fondazione è costituita con un negozio unilaterale (negozio di fondazione) posto in essere da un soggetto
(fondatore), il quale crea l’ente in vista della realizzazione di uno scopo.
La fondazione a differenza dell’associazione viene ad esistenza solo per effetto del riconoscimento.
Il negozio di fondazione quale atto costitutivo dell’ente, se compiuto in vita dal fondatore, deve rivestire
la forma dell’atto pubblico; tuttavia la fondazione può essere disposta anche con testamento.

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Le regole disciplinanti la futura attività della fondazione sono contenute nello statuto in cui devono essere
indicati i criteri e modalità di erogazione delle rendita.
Lo scopo della fondazione stabilito dal fondatore, deve presentare carattere non lucrativo.
Non hanno avuto diffusione le fondazioni di famiglia menzionate dall’art. 28 caratterizzate dall’essere
destinate a vantaggio soltanto di una o più famiglie determinate; queste al pari di ogni altra fondazione da
costituire con funzione erogatrice, dovrebbero comunque presentare uno scopo di utilità sociale che non si
limiti alla mera conservazione di un patrimonio a vantaggio di determinate famiglie.
Nella fondazione non è presente l’assemblea; manca cioè l’organo nel cui ambito si forma la volontà
dell’ente (l’assemblea è invece presente per l’associazione). Tale differenza rispetto all’ente di tipo
associativo si giustifica in considerazione del carattere peculiare del negozio di fondazione attraverso
il quale il fondatore determina i caratteri dell’attività che sarà svolta dall’ente.
Nella fondazione il ruolo dell’organo amministrativo appare diverso rispetto a quello rivestito dallo stesso
all’interno dell’associazione. In primo luogo, gli amministratori nella fondazione non costituiscono
emanazione della volontà assemblare e come tali la loro posizione non è intimamente connessa alle
determinazioni degli associati. L’attività degli amministratori nella fondazione è vincolata solo al
conseguimento dello scopo prefissato dal fondatore. In secondo luogo, in considerazione della mancanza
di dialogo tra assemblea ed amministratori il legislatore prevede un penetrante regime di controllo; tale
mancanza di dialogo si risolve in una dialettica tra gli organi dell’associazione,.
L’art. 25 attribuisce all’autorità amministrativa il controllo e la vigilanza sull’amministrazione delle
fondazioni; compito che comprende la nomina e la sostituzione degli amministratori, l’annullamento delle
deliberazioni adottate dall’organo amministrativo, lo scioglimento dell’amministrazione e la nomina di un
commissario straordinario.

11. Estinzione della persona giuridica. Liquidazione e devoluzione dei beni. Trasformazione.
La persona giuridica si estingue quando lo scopo è stato raggiunto oppure è divenuto impossibile;
l’associazione si estingue anche quando tutti gli associati siano venuti a mancare, oppure quando lo
scioglimento anticipato dell’ente sia deliberato dall’assemblea.
Verificatasi l’estinzione della persona giuridica si apre la fase della liquidazione del patrimonio dell’ente
diretta a definire i rapporti giuridici che vincolano l’ente nei confronti di terzi nonché la sorte delle sue
attività patrimoniali; è il presidente del tribunale a nominare i liquidatori.
Per effetto della estinzione dell’ente viene meno il potere degli amministratori di compiere nuovi operazioni;
le eventuali regressioni saranno fonte di responsabilità personale e degli amministratori trasgressori.
Chiusa la procedura di liquidazione il presidente del tribunale provvede che ne sia data comunicazione ai
competenti uffici per la cancellazione dell’ente dal registro delle persone giuridiche.
Secondo l’art. 31 i beni della persona giuridica che residuano dopo la liquidazione sono devoluti in
conformità dell’atto costitutivo o dello statuto; si ritiene che la devoluzione dei beni dell’ente a terzi dia
luogo ad un fenomeno di successione a titolo universale, soprattutto in considerazione della previsione
contenuta nell’art. 31 secondo cui i creditori che durante la liquidazione hanno fatto valere il loro credito
possono chiedere il pagamento a coloro che ai quali i beni sono stati devoluti.
Diversa è l’ipotesi di trasformazione che il legislatore prevede per la fondazione: in primo luogo, già nello
statuto il fondatore può predisporre delle norme relative alla trasformazione della fondazione.
Quando lo scopo è esaurito o è divenuto impossibile o di scarsa utilità, oppure il patrimonio è divenuto
insufficiente, l’autorità può provvedere alla sua trasformazione allontanandosi il meno possibile dalla
volontà del fondatore.
La nuova disciplina del diritto societario ha reso possibile la trasformazione eterogenea di associazioni
riconosciute e fondazioni in società di capitali superando quelle barriere che un ente non lucrativo potesse
trasformarsi in un ente lucrativo, come le società.

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L’art. 32 infine prevede che nel caso di trasformazione o scioglimento di un ente, al quale siano stati lasciati
beni con destinazione particolare (cioè a scopo diverso da quello proprio in genere dell’ente), l’autorità
amministrativa devolva tali beni con lo stesso onere, ad altre persone giuridiche aventi fini analoghi.
Con la fusione invece due o più enti si estinguono dando vita ad un nuovo ente che diviene titolare dei
rapporti giuridici in precedenza rientranti nella sfera giuridica degli enti estinti.

12. Comitato.
L’ultimo tipo di ente disciplinato è il comitato che presenta affinità con le differenti tipologie di enti non
lucrativi, ma che in sostanza appare dotato di una propria specificità.
Esso consiste in una organizzazione di persone (promotori) che perseguono un determinato fine altruistico
facendo ricorso alla raccolta di fondi presso il pubblico. L’art. 39 enuclea tra gli scopi possibili del
comitato il soccorso, la beneficenza, la promozione di opere pubbliche, monumento.
Il legislatore propone l’alternativa tra comitato riconosciuto come persona giuridica e comitato non
riconosciuto come persona giuridica.
L’attribuzione di personalità giuridica al comitato incide sulla responsabilità.
Se il comitato è riconosciuto, delle obbligazioni assunte in nome e per conto dell’ente risponderà solo
quest’ultimo con il suo patrimonio; qualora invece il comitato non sia riconosciuto, tutti i suoi componenti
risponderanno personalmente e solidamente delle obbligazioni.
I sottoscrittori (oblatori) ossia coloro che procedono alle sovvenzioni a favore del comitato (oblazioni), sono
obbligati soltanto ad eseguire la prestazione promessa con esclusione di qualsiasi forma di responsabilità per
le obbligazioni del comitato.

13. Gli enti non profit nella legislazione speciale.


In un primo momento la locuzione non profit veniva impiegata per indicare l’attività svolta in settori di una
specifica rilevanza ed utilità sociale, ma successivamente si è affermata la tendenza ad intendere per enti non
profit tutta la vasta gamma di enti che non perseguono fini di lucro (quindi non profit voleva significare
assenza di lucratività).
Più di recente il legislatore ha favorito la maggior diffusione di enti che svolgessero attività di rilevanza
sociale mediante agevolazioni fiscali ed incentivi di vario tipo; può cogliersi in proposito una conseguente
diffusione degli enti soprattutto di natura associativa, che si segnalano per lo svolgimento di attività di tale
genere (terzo settore).
a)La Legge-quadro sul volontariato si propone di promuovere lo sviluppo del volontariato in vista del
conseguimento di finalità di carattere sociale, civile e culturale. Per organizzazione di volontariato si
intende ogni organismo liberamente costituito al fine di svolgere l’attività di volontariato che si avvalga di
prestazioni personali, volontarie e gratuite dei propri aderenti.
b)Il D.Lgs. n. 460 contiene la disciplina delle ONLUS (Organizzazioni non lucrative di utilità sociale).
Si tratta di una normativa che si limita a prevedere i presupposti per la concessione di agevolazioni e benefici
fiscali. Sono considerate ONLUS le associazioni, le fondazioni, i comitati, le società cooperative e gli altri
enti di carattere privato, con o senza personalità giuridica, i cui statuti o atti costitutivi contengano una serie
di previsioni relative all’attività istituzionale dell’ente ed alla destinazione degli utili.
Non si tratta di un nuovo tipo di ente bensì solo di una qualifica volta ad individuare quegli enti che possono
aspirare ad usufruire di particolari benefici fiscali.
La qualifica di ONLUS risulta dall’anagrafe unica delle ONLUS istituita presso il Ministero delle Finanze.

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PARTE V – FAMIGLIA

CAPITOLO 1 – FAMIGLIA E ORDINAMENTO GIURIDICO


1.La famiglia nella società e la sua disciplina giuridica; 2. Nozione giuridica di famiglia; 3. La disciplina
della famiglia: codice civile, Costituzione e altre fonti; 4. La famiglia di fatto; 5. Caratteri degli atti e dei
diritti familiari; 6. Parentela ed affinità; 7. Gli alimenti; 8. Ordini di protezione contro gli abusi familiari.

1.La famiglia nella società e la sua disciplina giuridica.


La famiglia costituisce un fenomeno sociale che l’ordinamento giuridico non crea ma col quale è chiamato a
confrontarsi. Nel contesto di tali formazioni sociali occupa una posizione primaria per il carattere di
necessarietà che la contraddistingue. L’idea di famiglia come realtà sociale emerge dall’art. 29 Cost. che
allude alla famiglia come società naturale.

2. Nozione giuridica di famiglia.


La famiglia quale formazione sociale in cui è destinata a svilupparsi la personalità dei suoi membri implica la
valorizzazione della convivenza come espressione di una esperienza di solidarietà e di vita.
Il modello di famiglia cui si riferisce l’ordinamento vigente è quello della famiglia nucleare, ossia della
comunità dei coniugi e dei loro eventuali figli.
Il gruppo trae la sua origine dal matrimonio (rapporto di coniugio) eventualmente arricchito dai figli
generati (rapporti di filiazione) con l’esclusione di altri parenti (ascendenti e collaterali).
Il modello della grande famiglia o famiglia patriarcale quale aggregazione di soggetti accomunati da una
stessa discendenza, era legato ad una organizzazione sociale incentrata su attività economiche di tipo
agricolo ed artigianale, in cui il gruppo familiare finiva col rappresentare la fondamentale unità produttiva.
Il gruppo stesso era chiamato a svolgere non solo la funzione di allevamento e di educazione delle nuove
generazioni, ma anche funzioni formative ed assistenziali nei confronti dei suoi membri.
La struttura organizzativa familiare comportava che la coesione del gruppo rimanesse affidata
all’autorità del capofamiglia, ossia a vincoli di carattere gerarchico, più che affettivo.
L’industrializzazione così come l’urbanizzazione hanno inciso profondamente sulla struttura nonché sulla
vita del gruppo familiare determinandone la contrazione al nucleo composto da genitori e figli.
Secondo l’art. 29 la famiglia che la Costituzione assume come modello la famiglia legittima, ossia quella
fondata sul matrimonio, ciò secondo quel tradizionale collegamento tra famiglia e matrimonio quale suo
momento costitutivo, che relegava ai margini dell’ordinamento la convivenza non matrimoniale e l’eventuale
generazione di figli ad opera di soggetti non legati dal vincolo del coniugio.
L’espressione famiglia di fatto serviva per indicare il gruppo costituito senza matrimonio dalla coppia e
dai figli eventualmente procreati.

3. La disciplina della famiglia: codice civile, Costituzione e altre fonti.


La disciplina dei rapporti familiari a partire dal code civil francese del 1804, ha trovato la sua collocazione
nel codice civile; il codice civile del 1942 delinea un modello familiare considerato già sfasato al tempo
della redazione del codice.
Il modello familiare emergente dal codice è quello fondato su una struttura gerarchica tendente a far
convergere nel marito (capo della famiglia) poteri autoritari nei confronti della moglie (potestà maritale) e
dei figli (patria potestà), nonché fondato su una chiara ripartizione di ruoli tra i coniugi che, nel
riconoscere alla moglie una funzione domestica la emarginava nelle relazioni economiche del gruppo
familiare. Circa i principi costituzionali, il co. del1 art. 29, col proclamare che “la Repubblica riconosce i
diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio”, valorizza l’autonomia della famiglia
nella organizzazione della propria vita: autonomia che trova espressione nel diritto dei genitori di educare i
figli senza condizionamenti ideologici.

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Il co. 2 dell’art. 29 fissa il principio della eguaglianza morale e giuridica dei coniugi con i limiti
stabiliti dalla legge a garanzia dell’unità familiare.
Il sostegno alla famiglia in particolare se numerosa e la promozione della sua formazione, completano il
quadro costituzionale della materia familiare.

4. La famiglia di fatto.
La valorizzazione dell’esperienza di vita nella sua effettività ha determinato un profondo mutamento di
atteggiamento nei confronti del fenomeno della convivenza fuori del matrimonio.
La giurisprudenza ha voluto precisare i tratti distintivi della convivenza cui riconnettere eventuali
conseguenze giuridiche in modo da distinguere la famiglia di fatto dal semplice rapporto occasionale.
Il carattere ritenuto decisivo è quello della stabilità.
Negli ultimi tempi, sulla problematica della rilevanza giuridica della famiglia di fatto si è innestata quella
del riconoscimento delle unioni omosessuali, rendendo più complessa l’eventuale definizione di un quadro
normativo atto a soddisfare le esigenze dei conviventi eterosessuali e la realtà di tali ultime unioni.
Non può sfuggire come dai partners omosessuali non sia perseguito quello statuto minimo della convivenza
eventualmente compatibile con la scelta della coppia eterosessuale in senso contrario all’assunzione degli
obblighi matrimoniali, in una situazione il più possibile simile a quella derivante dal matrimonio.
Mentre in Francia si è optato per una disciplina unitaria delle convivenze eterosessuali od omosessuali,
in Germania si è preferito intervenire solo con riferimento alle unioni omosessuali.

5. Caratteri degli atti e dei diritti familiari.


Gli atti concernenti i rapporti familiari sono contrassegnati da caratteri peculiari come riflesso della
peculiarità degli interessi coinvolti nelle vicende familiari.
Ai fini della caratterizzazione degli atti in questione assume rilievo il superamento della tendenza a ravvisare
l’esistenza di un interesse superiore della famiglia, ossia l’accreditarsi di una visione della famiglia come
formazione sociale, la cui meritevolezza di riconoscimento da parte dell’ordinamento dipende dalla sua
funzionalità ad assicurare lo sviluppo della personalità dei relativi membri nel rispetto dei valori di libertà
ed uguaglianza. L’essenzialità dei vincoli esistenziali che legano i membri del gruppo familiare impongono
che tali valori siano equilibrati con quelli di responsabilità e solidarietà.
Di qui la marcata specificità che contraddistingue gli atti familiari.
La specificità risulta maggiore per gli atti su cui si venga a fondarsi la stessa società coniugale e si
determini l’acquisto degli stati familiari (status di coniuge, figlio, genitore).
Tali atti sono annoverabili tra quelli puri e personalissimi oltre che tipici e formali (o solenni).
Quali diritti fondamentali della persona, i diritti familiari presentano i caratteri della indisponibilità (non
potendo la volontà degli stessi titolari incidere sulle relative vicende, essi risultano irrinunciabili ed
inalienabili) e della imprescrittibilità, nonché della intrasmissibilità e non patrimonialità.

6. Parentela e affinità.
Matrimonio e generazione costituiscono la fonte dei rapporti che legano i membri della famiglia.
Dal matrimonio scaturisce tra i coniugi il rapporto di coniugio, derivandone anche quello di affinità
che lega ciascun coniuge ai parenti dell’altro.
La generazione si pone alla base del rapporti di parentela.
La parentela è il vincolo tra le persone che discendono dallo stesso stipite.
Sono parenti in linea retta coloro che discendono l’uno dall’altro immediatamente (genitori e figli) o per
generazioni successive (nonni e nipoti); sono parenti in linea collaterale coloro che, pur avendo un
ascendente comune, non discendono l’uno dall’altro (fratelli e sorelle, zii e nipoti, cugini). I fratelli si dicono
germani se hanno in comune ambedue i genitori, unilaterali se hanno in comune un solo genitore.

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Circa i gradi che misurano la prossimità della parentela si calcolano tanti gradi quante sono le generazioni,
non contando lo stipite (il rapporto tra genitore e figlio è di primo grado, di secondo quello tra nonno e
nipote); nella linea collaterale, i gradi si calcolano dalle generazioni, risalendo da un parente fino
all’ascendente comune, e da questo discendendo all’altro parente (sempre escludendo lo stipite).
Il rapporto di parentela è giuridicamente rilevante, fino al 6° grado.
La parentela si definisce legittima o naturale a seconda che il rapporto di generazione che è alla base,
si radichi o meno nel matrimonio. Il rapporto di affinità, meno rilevante di quello di parentela, indica il
vincolo tra un coniuge e i parenti dell’altro coniuge. Linee e gradi di affinità corrispondono a quelli di
parentela: il coniuge è affine di secondo grado in linea collaterale (cognato) rispetto al fratello del proprio
coniuge; i genitori sono affini in linea retta di primo grado (suocera) rispetto al coniuge del proprio figlio.
Il rapporto di affinità non cessa con la morte del coniuge da cui deriva (neppure col divorzio), ma cessa in
caso di dichiarazione di nullità del matrimonio.

7. Gli alimenti.
L’obbligo di prestare gli alimenti come tipica ipotesi di obbligazione legale trova il proprio fondamento
nella solidarietà familiare. L’obbligazione alimentare tra i componenti della famiglia è disciplinata
dall’art. 433 che stabilisce un ordine tra di essi, ponendo al primo posto il coniuge, poi gli affini in linea retta
(generi, nuore, suoceri) ed infine, i fratelli e le sorelle.
Nella famiglia nucleare l’obbligo alimentare ha una funzione residuale: opera tra i coniugi il reciproco
dovere di contribuzione cui è tenuto anche il figlio finché dura la convivenza; a favore dei figli e del
coniuge è dovuto il mantenimento.
Il dovere di mantenimento del figlio da parte dei genitori non cessa con il raggiungimento della maggiore
età, ma si protrae fino a quando questo non sia in grado di provvedere direttamente alle proprie esigenze o
non versi in colpa per il mancato raggiungimento dell’indipendenza economica.
L’obbligazione di mantenimento è caratterizzata da un contenuto più ampio dell’obbligazione alimentare
in quanto riferita al tenore di vita familiare al quale il beneficiario deve essere messo in grado di
partecipare.
Il presupposto per ricevere gli alimenti è costituito dallo stato di bisogno di chi non sia in grado di
soddisfare le proprie necessità di vita.
Gli alimenti sono dovuti solo dal momento della domanda giudiziale o dalla costituzione in mora
dell’obbligato. Circa le modalità di somministrazione possono essere prestati a scelta dell’obbligato
mediante un assegno periodico.
L’obbligazione avendo natura personale cessa con la morte dell’obbligato; in conseguenza di ciò si deve
trovare un altro obbligato. Il diritto agli alimenti rientra tra i diritti fondamentali della persona ed ha natura
non patrimoniale.

8. Ordini di protezione contro gli abusi familiari.


Nel corpo del codice civile sono stati inseriti alcuni articoli che contemplano la possibile adozione di ordini
di protezione contro gli abusi familiari, in caso condotte, causanti grave pregiudizio all’integrità fisica o
morale oppure alla libertà dell’altro coniuge o convivente, precisandone il relativo contenuto.
Per coprire l’intera area di esplicazione di violenza nelle relazioni familiari, lo strumentario di tutela appare
allargato ad ogni situazione di convivenza caratterizzata da una certa stabilità della relazione di vita.
Dall’altra, la disciplina risulta applicabile pure nel caso di condotta pregiudizievole tenuta da altro
componente del nucleo familiare diverso dal coniuge o convivente.

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CAPITOLO 2 – MATRIMONIO
1.Matrimonio e famiglia; -A) ATTO. 2. Le forme matrimoniali; 3. Libertà matrimoniale e promessa di
matrimonio; 4. Il matrimonio civile. Requisiti; 5. Formalità e celebrazione; 6. Invalidità del matrimonio;
7. Conseguenze della invalidità; 8. Il matrimonio concordatario; -B) EFFETTI. 9. Rapporti personali tra
coniugi; 10. Regime patrimoniale della famiglia. Il regime primario; 11. Convenzioni matrimoniali;
12. Comunione legale; 13. Regimi convenzionali; 14. Impresa familiare.

1.Matrimonio e famiglia.
Il matrimonio costituisce il fondamento della famiglia, secondo la tradizionale prospettiva che ravvisa un
imprescindibile collegamento tra la nascita dell’organismo familiare e l’istituto matrimoniale.
Il matrimonio è l’atto attraverso il quale gli sposi assumono l’impegno di realizzare una comunione di vita
stabile e socialmente garantita, caratterizzata dalla esclusività della relazione personale e dalla reciprocità
dell’assistenza e della contribuzione al soddisfacimento delle esigenze comuni.
Il matrimonio si presta ad essere visto sia nella prospettiva dell’atto, nel quale si esprime l’impegno di
fondare la famiglia, sia in quella del rapporto che ne deriva, da intendere come complesso dei diritti e
dei doveri che sostanziano lo stato coniugale.
Il matrimonio come atto è un negozio bilaterale, concorrendo alla sua formazione la volontà dei due
nubendi. L’elemento costitutivo del matrimonio è rappresentato dalla sola volontà manifestata dagli sposi
nelle forme previste dalla legge; l’atto è infatti personalissimo e puro.

A)ATTO
2. Le forme matrimoniali.
Il nostro ordinamento è caratterizzato da una pluralità di forme matrimoniali.
Fin dall’entrata in vigore del nuovo sistema le uniche forme matrimoniali considerate erano quella civile e
quella concordataria (in quanto regolata dal Concordato).
Il matrimonio celebrato secondo i riti religiosi diversi da quello cattolico non è altro un matrimonio civile ne
la cui celebrazione avviene con le formalità proprie delle singole confessioni religiose, onde consentire ai
nubendi di evitare una doppia celebrazione.

3. Libertà matrimoniale e promessa di matrimonio.


Il diritto di formazione di una famiglia rappresenta un vero e proprio diritto fondamentale della persona
garantito dall’ordinamento come espressione della sua libertà. La libertà matrimoniale è garantita contro
ogni tentativo di influenzarla; in tale prospettiva la promessa di matrimonio non solo non obbliga a
contrarlo, ma neanche ad adempiere prestazioni cui ci si sia eventualmente impegnati per il caso di
ripensamento.
Se reciproca e formale la promessa di matrimonio obbliga a risarcire il danno arrecato all’altra parte per le
spese fatte e per le obbligazioni assunte in vista del matrimonio; ciò solo se il rifiuto a contrarre il
matrimonio non sia stato determinato da un giusto motivo.
Devono essere in ogni caso restituiti i doni che i fidanzati si sono fatti a causa della promessa di matrimonio.

4. Il matrimonio civile. Requisiti.


Per assicurare che il matrimonio si ponga a base di una compagine familiare, l’ordinamento richiede che i
nubendi abbiano alcuni requisiti (si parla al riguardo di impedimenti matrimoniali, mentre il codice usa la
terminologia di condizioni necessarie per contrarre matrimonio).
Non risulta annoverata tra i requisiti del matrimonio la diversità di sesso in quanto ritenuta costituire uno
dei requisiti minimi per l’esistenza stessa del matrimonio. L’importanza che assume il matrimonio quale atto
fondativo della famiglia, ha indotto a richiedere che gli sposi abbiano un’età tale da farne presumere una
adeguata maturità di determinazione volitiva.

85
L’art. 84 ammette al matrimonio solo il maggiorenne; può essere ammesso al matrimonio anche il 16enne
solo a seguito di autorizzazione del Tribunale per i minorenni, ove ricorrano gravi motivi della sua maturità
psicofisica. Non può contrarre matrimonio chi interdetto per infermità di mente, trattandosi di una forma
di incapacità che l’ordinamento ricollega ad una totale inettitudine a provvedere ai propri interessi anche di
carattere personale.
Possono invece contrarre matrimonio l’interdetto a seguito di condanna penale e l’inabilitato.
Sull’esogamia si fonda il divieto matrimoniale dipendente dall’esistenza di uno stretto rapporto di parentela
e affinità); il divieto non dispensabile riguarda gli ascendenti ed i discendenti (legittimi o naturali), i fratelli
e le sorelle, gli affini in linea retta. Può essere autorizzato dal tribunale il matrimonio tra zii e nipoti e quello
tra affini in linea collaterale di secondo grado (cognati).
L’art. 88 preclude il matrimonio in cui una tra le persone sia stata condannata per omicidio consumato o
tentato nei confronti del coniuge dell’altra (delitto).

5. Formalità e celebrazione.
Le formalità che precedono la celebrazione del matrimonio permettono di rendere nota la relativa
intenzione dei nubendi. La pubblicazione consiste nell’affissione per almeno 8 giorni di un avviso
contenente i dati identificativi di chi intende sposarsi presso la porta della casa comunale.
L’art. 102 elenca le persone che possono fare opposizione ove queste siano a conoscenza di un impedimento
(in genere, genitori e parenti prossimi); sull’opposizione decide il tribunale con decreto motivato.
Trascorsi 3 giorni dalla pubblicazione senza che sia stata fatta alcuna opposizione, l’ufficiale dello stato
civile può procedere alla celebrazione del matrimonio.
Il matrimonio è atto puro, che non ammette termini o condizioni; ove le parti le appongano, l’ufficiale di
stato civile non può procedere alla celebrazione del matrimonio che comunque produrrà i suoi effetti.
L’ufficiale dello stato civile redige quindi l’atto di matrimonio nel quale sono eventualmente inserite le
dichiarazioni consentite. L’atto viene poi iscritto nell’archivio informatico del Comune e la sua
presentazione rappresenta l’essenziale strumento di prova del matrimonio.

6. Invalidità del matrimonio.


Alcuni difetti del procedimento di celebrazione del matrimonio danno luogo a mera irregolarità con
conseguente irrogazione di una sanzione pecuniaria a carico dell’ufficiale dello stato civile ed eventualmente
degli sposi. L’invalidità del matrimonio si ricollega ai difetti genetici dell’atto matrimoniale, mentre un
difettoso svolgimento del rapporto matrimoniale consente la richiesta della separazione personale e del
divorzio nei casi ed alle condizioni stabilite dall’ordinamento,.
Si parla anche di inesistenza del matrimonio quando ci siano carenze tali da impedire la stessa
identificabilità come atto matrimoniale; le categorie generali dell’invalidità del contratto (nullità ed
annullabilità) risultano estranee alla disciplina dettata per il matrimonio.
In materia matrimoniale molto articolato risulta il regime della legittimazione ad agire in quanto la relativa
azione si trasmette agli eredi solo quando il giudizio è già pendente alla morte del soggetto che lo abbia
promosso, in quanto legittimato: il matrimonio può essere impugnato oltre che dai coniugi, dagli ascendenti
prossimi e dal pubblico ministero e da tutti coloro che abbiano un interesse legittimo.
La distinzione tra nullità ed annullabilità può essere utilizzata per contrapporre le ipotesi di invalidità
insanabile (come in caso di mancanza della libertà di stato, di delitto, affinità) a quelle di invalidità
sanabile in cui il vizio dell’atto matrimoniale sia rimediabile.
Dal punto di vista delle carenze del profilo volitivo, il matrimonio risulta impugnabile per incapacità di
intendere o di volere (incapacità naturale) qualunque sia la causa della menomazione della sfera
decisionale del soggetto, purché sussistente al momento della celebrazione.

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Quali vizi del consenso l’art. 122 contempla la violenza, il timore e l’errore.
a)La violenza consiste nella minaccia di un male finalizzata all’estorsione del consenso.
b) Il timore è considerato causa di invalidità del matrimonio quando sia di eccezionale gravità e derivi
da cause esterne allo sposo. Con ciò si è esclusa la rilevanza del mero timore riverenziale consistente
nell’influenza esercitata sul soggetto dalla sua soggezione nei confronti di altri.
Circa il timore invalidante si considerano i casi in cui il matrimonio sia avvertito come mezzo per sottrarsi
a situazioni quali guerre civili e persecuzioni politiche, religiose o razziali.
c) L’errore consiste nella falsa rappresentazione della realtà che induce a prestare il consenso;
essenziale è che l’errore oltre ad essere determinante del consenso, cada sulle qualità previste.
La rilevanza dell’errore è stata notevolmente ampliata in sede di riforma, in quanto a seguito della stessa,
ha trovato accoglimento la possibilità di impugnare il matrimonio in caso di sua simulazione, ossia quando
gli sposi abbiano convenuto di non adempiere agli obblighi e di non esercitare i diritti discendenti dal
matrimonio (art. 123); l’accordo deve riguardare l’esclusione della comunione di vita nel suo insieme.
Le parti attraverso questo matrimonio meramente apparente perseguono gli scopi più diversi: le ipotesi
maggiormente ricorrenti sono quelle dei matrimoni contratti speso con anziani per ottenere permessi di
soggiorno, di espatrio, o una diversa cittadinanza (cd. matrimoni di cittadinanza).

7. Conseguenze dell’invalidità.
La pronuncia di invalidità del matrimonio dovrebbe comportare l’azzeramento degli effetti del matrimonio,
come se non fosse stato mai contratto; al matrimonio dichiarato nullo sono stati ricollegati effetti più
rilevanti di quelli già riconosciutigli nel matrimonio putativo.
Sono considerati figli legittimi quelli nati o concepiti durante il matrimonio dichiarato nullo nonostante la
malafede di ambedue i genitori, salvo che la nullità dipenda da bigamia oppure incesto. Quelli nati
precedentemente al matrimonio sono anch’essi considerati legittimi solo se almeno uno dei genitori era in
buona fede.
Per quanto concerne i coniugi, gli effetti del matrimonio valido si producono fino alla sentenza che
pronunzia la nullità in favore dei coniugi che lo abbiano contratto in buona fede. (il coniuge in buona fede
conserva i diritti successori nei confronti dell’altro se deceduto anteriormente alla sentenza). Ove ambedue i
coniugi siano in buona fede, può essere disposto a carico di uno di essi l’obbligo di corrispondere all’altro un
assegno determinato in proporzione delle sue sostanze, se costui non abbia adeguati redditi propri.
Per l’art 129 bis il coniuge in buona fede ha diritto ad ottenere una congrua indennità da quello cui sia
imputabile l’invalidità del matrimonio, la quale indennità deve essere commisurata almeno a quanto
necessario al mantenimento per 3 anni.

8. Il matrimonio concordatario.
L’originaria disciplina concordataria limitava l’intervento dell’ordinamento statale da una parte, alla
trascrizione nei registri dello stato civile e dall’altra, ai fini del riconoscimento delle sentenze in tema di
validità del matrimonio dei tribunali ecclesiastici.
Circa le formalità preliminari al matrimonio, sono necessarie le pubblicazioni civili su richiesta dei
nubendi e del parroco che ha provveduto alle pubblicazioni religiose; ad esse segue il rilascio del nulla osta
alla celebrazione col quale viene assicurata la trascrizione agli effetti civili del matrimonio. La celebrazione
avviene col rito religioso ed è seguita dalla redazione dell’atto di matrimonio in doppio originale.
La trascrizione non può avere luogo quando gli sposi non abbiano l’età prescritta dalla legislazione civile,
nei casi in cui sussista un impedimento al matrimonio che l’ordinamento civile considera inderogabile.
Il matrimonio, intervenuta la trascrizione ordinaria o tempestiva (in quanto preceduta dal rilascio del
prescritto nulla-osta e richiesta entro 5 giorni dalla celebrazione), produce effetti civili dal momento della
celebrazione. E’ ammessa anche la trascrizione tardiva ove l’atto di matrimonio non venga trasmesso entro
5 giorni dalla celebrazione: occorre a tal fine, la richiesta dei due sposi e che entrambi abbiano conservato
lo stato libero dal momento della celebrazione a quello della richiesta.
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Nell’originario sistema concordatario caratterizzato dalla riserva alla giurisdizione dei tribunali ecclesiastici
dei giudizi riguardanti la validità del matrimonio contratto secondo le norme del diritto canonico, la
esecutorietà agli effetti civili delle decisioni ecclesiastiche era subordinata all’ intervento della Corte di
appello competente, inteso come vaglio formale della regolarità del procedimento

B) EFFETTI
9. Rapporti personali tra coniugi.
La riforma del 1975 ha dato piena attuazione al principio costituzionale secondo cui “il matrimonio è
ordinato sulla eguaglianza morale e giuridica dei coniugi”.
La disciplina contenuta nel codice civile istituzionalizza un modello di famiglia paritario e partecipativo,
in cui i valori di rispetto reciproco e solidarietà sono affidati soprattutto all’impegno profuso dai suoi
membri. Gli interventi disposti dall’ordinamento risultano finalizzati ad assicurare che la formazione sociale
sia luogo di promozione e sviluppo della personalità di ciascuno.
Gli obblighi reciproci derivanti dal matrimonio sono quelli di fedeltà, assistenza morale e materiale,
collaborazione nell’interesse della famiglia, coabitazione e contribuzione ai bisogni della famiglia.
La fedeltà rappresenta espressione della esclusività del rapporto personale connaturale all’idea di
matrimonio. Il dovere di assistenza morale e materiale si presenta come espressione significativa di quel
legame di solidarietà alla base del matrimonio che impone il vicendevole aiuto personale, oltre che
economico, soprattutto nei momenti più difficili. Il dovere di collaborazione promuove di un’attiva
partecipazione alla vita del gruppo familiare nella sua dimensione collettiva; ad esso si ricollega quello di
contribuzione che rappresenta il pilastro su cui la riforma ha fondato l’assetto economico della famiglia
ed il relativo regime.
L’importanza del dovere di coabitazione e della conseguente localizzazione della vita familiare è
attestata dalla insistenza del legislatore nel riferirsi alla residenza familiare.
Problema discusso è quello della sanzione per l’inosservanza dei doveri familiari, una volta ritenuta
pacifica la loro incoercibilità.
In conseguenza del matrimonio la moglie aggiunge al proprio cognome quello del marito, mentre prima
della riforma, era previsto che essa lo sostituisse al proprio. Il conferimento ai coniugi di una simile
possibilità di scelta si risolverebbe in un ulteriore potenziamento di autonomia della quale essi già
dispongono nell’organizzazione della vita familiare.
Secondo la regola dell’accordo nel governo della famiglia, i coniugi concordano tra loro l’indirizzo della
vita familiare e fissano la residenza della famiglia alla luce delle esigenze di entrambi; a ciascuno dei coniugi
spetta poi il potere di attuare l’indirizzo concordato.

10. Regime patrimoniale della famiglia. Il regime primario.


La disciplina del regime patrimoniale della famiglia costituisce un elemento di rilevante per delineare il
modello familiare che il legislatore vuole vedere realizzato. Si tratta del complesso delle norme destinate a
regolare i rapporti di natura patrimoniale dei coniugi in considerazione della loro specifica condizione.
La scelta della riforma ha voluto privilegiare il momento comunitario e partecipativo nello svolgimento
delle relazioni economiche interessanti i membri della famiglia.
L’esigenza è stata quella di tutela della eguaglianza sostanziale dei coniugi cui è stata ritenuta funzionale
la previsione, quale regime legale del regime di comunione dei beni.
Il regime patrimoniale legale di comunione risulta così destinato ad operare solo ove le parti non abbiano
scelto un diverso regime con apposita convenzione. Indipendentemente dal regime patrimoniale esistente tra
i coniugi a salvaguardia degli obiettivi di eguaglianza opera il principio contributivo, ossia una
regolamentazione finalizzata ad assicurare un livello essenziale di integrazione delle sfere patrimoniali dei
coniugi.

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In tale prospettiva si parla di regime primario (inderogabile) con riferimento al dovere di contribuzione,
per il quale entrambi i coniugi sono tenuti a contribuire ai bisogni della famiglia, ciascuno in relazione alle
proprie sostanze e alla propria capacità di lavoro professionale o casalingo.
Viene così sancita la pari dignità ai fini dell’assolvimento del proprio dovere contributivo da parte di
ciascuno dei coniugi per il lavoro prestato all’interno della famiglia, rispetto a quello extradomestico;
anche il coniuge impegnato nell’attività lavorativa domestica è partecipe, durante la convivenza
matrimoniale del tenore di vita consentito dalla complessiva economia familiare.
Per garantire una reale posizione di eguaglianza dei coniugi sembra imprescindibile riconoscere loro poteri
paritari di iniziativa economica nei confronti dei terzi per il soddisfacimento delle necessità familiari.
Al regime primario sono da ricondurre le vicende relative alla casa familiare, sulla base delle numerose
disposizioni che ad essa conferiscono autonoma considerazione rispetto agli altri beni di cui i coniugi siano
titolari.

11. Convenzioni matrimoniali.


Le convenzioni matrimoniali sono gli accordi con i quali gli sposi adottano un regime patrimoniale della
famiglia diverso dal regime legale di comunione. Si tratta di atti di natura negoziale caratterizzati da una
propria disciplina. L’autonomia delle parti incontra il limite del carattere inderogabile dei diritti e doveri
conseguenti al matrimonio.
Sono vietate le convenzioni tendenti a far rivivere il regime della dote in quanto espressione del modello di
organizzazione familiare sconfessato perché fondato sulla preminenza del ruolo del marito. Le convenzioni
possono essere stipulate e modificate in ogni tempo e quindi non solo prima ma anche dopo la celebrazione
del matrimonio.
Circa la capacità di agire richiesta, anche il minore ammesso a contrarre matrimonio è reputato capace
di stipulare relative convenzioni con l’assistenza dei genitori o del tutore. La forma richiesta sotto pena di
nullità è quella dell’atto pubblico. Poiché il regime patrimoniale della famiglia interessa i rapporti dei
coniugi con i terzi, è previsto a loro tutela un peculiare regime di pubblicità per metterli a conoscenza del
regime patrimoniale di chi sia coniugato.
Ai fini dell’opponibilità ai terzi, le convenzioni devono risultare da annotazione a margine dell’atto di
matrimonio contenente l’indicazione della relativa data, del notaio rogante e delle generalità dei contraenti.
Le convenzioni modificative di convenzioni precedenti richiedono il consenso di tutti coloro che ne
erano parte e la relativa pubblicità è operata con annotazione in margine all’atto di matrimonio.

12. Comunione legale.


Il regime di comunione sembra meglio rispecchiare un modello familiare che valorizzi la comunità di vita
tra i coniugi; con tale regime si è inteso assicurare a costoro una partecipazione all’accumulo ed alla gestione
delle ricchezze familiari, in piena uguaglianza.
La comunione legale ha un carattere non universale, sia perché non si estende ai beni di cui i coniugi erano
titolari anteriormente al matrimonio, sia perché lascia ciascuno dei coniugi titolare di taluni beni essenziali
per garantirgli una sfera di libertà in campo personale e professionale.
a)Quanto all’oggetto essa si atteggia come comunione degli acquisti: per l’art. 177 ne costituiscono
oggetto gli acquisti compiuti dai coniugi, insieme o separatamente. Da una simile comunione immediata
restano esclusi i frutti dei beni propri ed i proventi dell’attività separata (onorari, stipendi e simili); tali beni
sono destinati a rientrare nella comunione solo al momento del suo scioglimento in quanto ancora non
consumati (comunione di residuo). Un analogo regime si applica ai beni destinati all’esercizio dell’impresa
di uno dei coniugi costituita dopo il matrimonio ed agli incrementi dell’impresa costituita anche prima di
esso.

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Controverso è il concetto di acquisti destinati ad entrare in comunione; la giurisprudenza esclude che tali
taluni acquisti siano a titolo originario come gli acquisti per accessione, così come sono esclusi i diritti di
credito. Per l’art. 179 sono beni personali esclusi dalla comunione legale, i beni posseduti anteriormente al
matrimonio, i beni acquistati successivamente per donazione o successione e i beni di uso strettamente
personale.
b) Di regola l’amministrazione dei beni della comunione spetta ai coniugi disgiuntamente;
congiuntamente invece per gli atti eccedenti l’ordinaria amministrazione.
Il rifiuto del consenso dell’altro coniuge può essere superato con un’autorizzazione giudiziaria richiesta dal
coniuge interessato, nel caso di atto necessario nell’interesse della famiglia o dell’azienda comune.
Per lontananza o altro impedimento di un coniuge, il compimento di atti di amministrazione richiedenti il
consenso di entrambi i coniugi può essere affidato ad uno solo di essi; in altre circostanze, come minore età
o interdizione, il giudice può addirittura escludere uno dei coniugi dall’amministrazione.
c) Ai fini della responsabilità per debiti rileva la distinzione tra i creditori personali di ciascun coniuge
(anche per le obbligazioni anteriori al matrimonio) e i creditori della comunione per gli obblighi gravanti
sui beni della comunione. I creditori personali possono rivalersi sui beni personali del coniuge debitore e
solo sussidiariamente sui beni comuni, mentre i creditori della comunione hanno a disposizione il
patrimonio comune e solo sussidiariamente possono agire sui beni personali di ciascun coniuge.
d) Lo scioglimento della comunione è determinato da eventi che comportano il venir meno della comunità
di vita (morte, dichiarazione di assenza, annullamento del matrimonio, divorzio, separazione), oltre che dal
mutamento convenzionale del regime patrimoniale. Con lo scioglimento si ritiene che subentri un regime di
comunione ordinaria sui beni già oggetto di comunione legale. La divisione dei beni avviene ripartendo in
parti eguali l’attivo ed il passivo dopo gli opportuni rimborsi e restituzioni.

13. Regimi convenzionali.


a) Per l’art. 210 le parti, con una convenzione matrimoniale possono modificare il regime della comunione
legale. E’ quindi discusso se quello di comunione convenzionale costituisca un regime autonomo oppure
una mera comunione legale modificata.
Alle parti è consentito ampliare l’oggetto della comunione allargandola ai beni che non vi rientrerebbero
(beni posseduti prima del matrimonio), ma anche restringerne la relativa portata.
Non possono essere ricompresi nella comunione i beni di uso strettamente personale.
Le regole di funzionamento della comunione legale possono essere modificate; sono inderogabili quelle
concernenti l’amministrazione e l’uguaglianza delle quote.
b) Diffusa è l’opzione degli sposi per la separazione dei beni costituente regime legale fino alla riforma e
unico regime patrimoniale generale alternativo a quello della comunione; agevolata dalla possibilità di
dichiararne la scelta nell’atto di celebrazione del matrimonio, attribuisce una maggiore autonomia
individuale ai coniugi, restando ciascuno titolare esclusivo dei beni acquistati durante il matrimonio e
potendo goderli ed amministrarli liberamente.
c) Una certa diffusione ha assunto il fondo patrimoniale, in quanto con esso determinati beni immobili o
mobili registrati o titoli di credito sono destinati a far fronte ai bisogni della famiglia. La costituzione
avviene con una convenzione matrimoniale assoggettata alle relative regole generali di forma e pubblicità.
L’ amministrazione spetta ad entrambi i coniugi con applicabilità delle stesse regole dettate per la
comunione legale. La cessazione del fondo consegue all’annullamento, scioglimento o cessazione degli
effetti civili del matrimonio; pertanto se vi sono figli minori la destinazione dei beni dura fino alla maggiore
età dell’ultimo figlio,

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14. Impresa familiare.
Nel contesto del regime patrimoniale della famiglia è stato disciplinata l’impresa familiare, caratterizzata
dal fatto che in essa collaborano familiari dell’imprenditore. La finalità perseguita è quella di garantire una
tutela adeguata ai familiari stessi ove prestino continuativamente la propria attività di lavoro nella famiglia o
nell’impresa. Pur non assumendo la veste di imprenditori, i familiari partecipanti hanno da una parte, il
diritto al mantenimento e dall’altra, quello di partecipare agli utili ed agli incrementi dell’azienda,
in proporzione alla quantità e alla qualità del lavoro prestato. Inoltre le decisioni di maggiore rilevanza per la
vita dell’impresa devono essere adottate a maggioranza dai familiari partecipanti. Ove venga a cessare il
rapporto o sia alienata l’azienda il familiare ha un diritto di prelazione sull’azienda in caso di divisione
ereditaria o di relativo trasferimento.

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CAPITOLO 3 – CRISI CONIUGALE
1.Unità e crisi della famiglia; 2. Separazione personale dei coniugi; 3. Effetti della separazione personale;
4. Divorzio; 5. Effetti del divorzio; 6. Crisi coniugale e tutela dell’interesse dei figli; 7. Assegnazione della
casa familiare.

1.Unità e crisi della famiglia.


La disciplina della crisi del rapporto coniugale rappresenta l’aspetto più delicato della regolamentazione
complessiva del fenomeno familiare. Il legislatore deve assicurare il rispetto della piena eguaglianza dei
coniugi garantendo allo stesso tempo l’interesse dei figli ad idonee condizioni di sviluppo della personalità.
Il principio dal quale non può prescindere qualsiasi intervento legislativo è quello rappresentato dalla
protezione costituzionale del matrimonio e della famiglia nella relativa interdipendenza.
Il carattere fondamentale della garanzia dell’unità familiare si presenta come valore emergente
dall’art. 29.
I prodromi della crisi del rapporto coniugale si avvertono spesso attraverso l’insorgere di una conflittualità
in relazione alle decisioni concernenti la gestione della comunità familiare. La necessità di garantire ai
membri della famiglia condizioni di vita tali dignitose ha indotto a propendere per una disciplina della crisi
familiare che pone in primo piano l’esigenza di non esasperare la situazione di conflittualità esistente tra i
coniugi.

2. Separazione personale dei coniugi.


Il venir meno della comunione di vita coniugale e le sue conseguenze erano disciplinate attraverso la
separazione personale comportante una modificazione dei rapporti coniugali destinati a restare tali.
Con l’introduzione del divorzio, la separazione personale con la relativa conservazione del rapporto
coniugale, ha assunto i connotati di situazione funzionalmente provvisoria dato che essa vale a determinare
una pausa di riflessione nei rapporti tra i coniugi che sfocia poi nel superamento della conflittualità con la
riconciliazione, oppure in caso di irreversibilità della crisi coniugale, nel divorzio.
L’allontanamento dalla residenza familiare se non fondato sull’accordo e privo di giusta causa determina
la sospensione del diritto all’assistenza morale e materiale nei confronti del coniuge che allontanatosi,
rifiuti di tornarvi.
La separazione legale può essere consensuale o giudiziale:
a)La separazione consensuale si fonda su un accordo dei coniugi esteso sia alla decisione di separarsi, sia
alla regolamentazione dei propri futuri rapporti reciproci e di quelli con i figli; tale accordo produce effetti
solo con l’omologazione giudiziale data con decreto del tribunale, ad esito di un procedimento che inizia
con un tentativo di conciliazione e consiste in un controllo delle condizioni pattuite dai coniugi.
Ove gli accordi relativi all’affidamento ed al mantenimento dei figli siano reputati contrari ai loro interessi,
il tribunale indica le opportune modificazioni e nel caso di inadeguata soluzione adottata dai coniugi, può
rifiutare l’omologazione.
b) Ciascuno dei coniugi può chiedere la separazione giudiziale su situazioni che renderono intollerabile la
prosecuzione della convivenza o che espongono l’educazione della prole a grave pregiudizio.
Un compromesso dell’ultimo momento in sede di riforma ha nuociuto alla linearità del sistema, incentrato su
quel carattere rimediale della separazione che dovrebbe evitare la conflittualità innescata da giudizi condotti
in termini di responsabilità: ci si riferisce alla conservazione della possibilità di perpetuare la prospettiva
sanzionatoria della separazione, attraverso la richiesta e la conseguente dichiarazione di addebitabilità della
separazione al coniuge.
Di recente la giurisprudenza ha ritenuto inammissibile il cd. mutamento del titolo della separazione,
ossia la possibilità di chiedere una pronuncia di addebitabilità per comportamenti successivi alla separazione,
trasformando una separazione consensuale in separazione con addebito.

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Per riconciliazione si intende l’accordo con cui i coniugi fanno cessare gli effetti della separazione, non
essendo richiesto l’intervento giudiziale.
Non solo è sufficiente una dichiarazione espressa, ma il medesimo risultato è conseguibile tacitamente con
un comportamento che sia incompatibile con lo stato di separazione, in quanto attestante il ripristino della
comunione di vita.

3. Effetti della separazione personale.


La separazione determina con la cessazione della convivenza, una modificazione del rapporto coniugale con
riguardo ai rapporti personali. Contro la tendenza a considerare totalmente estinti i doveri di natura
personale, permane tra i coniugi un rapporto solidaristico destinato a cessare soltanto con il divorzio (ed il
conseguente riacquisto dello stato libero).
Coerenti con la situazione di cessazione della convivenza sono il venire meno della presunzione di
concepimento durante il matrimonio, nonché l’esclusione della possibilità di adozione.
La separazione non priva la moglie del diritto all’uso del cognome del marito; il giudice può autorizzare la
moglie a non farne uso, nelle stesse condizioni.
Al coniuge cui non sia addebitabile la separazione spetta un assegno di mantenimento qualora non abbia
adeguati redditi propri, dovendosi determinare l’entità della somministrazione in rapporto alle risorse
economiche dell’altro coniuge.
L’obiettivo è di consentire al coniuge economicamente più debole la conservazione di un tenore di vita
analogo a quello goduto in precedenza. La rivedibilità del contributo riconosciuto in sede di separazione
assicura il perseguimento di un simile obiettivo (proteggendo anche il coniuge obbligato).
Il coniuge cui sia stata addebitata la separazione non gode dell’assegno di mantenimento potendo vedersi
attribuire solo un assegno alimentare più esiguo, se versi (o venga successivamente a versare) in condizione
di bisogno.
Mentre il coniuge cui non è addebitata la separazione continua a godere in pieno dei diritti successori che
gli derivano dalla qualità di coniuge, il coniuge al quale è stata addebitata la separazione ha diritto solo ad
un assegno vitalizio ove al momento della morte dell’altro coniuge gode degli alimenti a suo carico (tale
assegno non può essere di ammontare superiore a quello alimentare goduto in precedenza).

4. Divorzio.
Secondo l’art. 149 il matrimonio si scioglie con la morte di uno dei due coniugi e negli altri casi previsti
dalla legge. Alla “disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio” è intitolata la legge che distingue la
pronuncia di scioglimento del matrimonio civile dalla pronuncia di cessazione degli effetti civili
conseguenti alla trascrizione del matrimonio concordatario, per chiarire che il provvedimento giudiziale
incide sugli effetti del matrimonio.
Il modello di divorzio accolto nel nostro ordinamento ed il suo fondamento si colgono nell’essere la relativa
pronuncia conseguente all’accertamento che “la comunione spirituale e materiale tra i coniugi non può
essere mantenuta o riconosciuta”.
Tale modello che vede il divorzio come presa d’atto dell’irreversibilità della crisi del rapporto coniugale e
rimedio alla sua definitiva frattura (cd. divorzio-rimedio) si contrappone a quello tendente a configurarlo
come sanzione per la violazione dei doveri matrimoniali (cd. divorzio-sanzione).
Sperimentato il tentativo di conciliazione, la pronuncia di divorzio richiede la necessaria ricorrenza di una
delle cause elencata nell’art. 3.
La separazione legale rappresenta quindi la più diffusa causa di divorzio; essa deve essersi protratta
ininterrottamente per almeno 3 anni dall’avvenuta comparizione dei coniugi innanzi al presidente del
tribunale nella procedura di separazione personale. Il decorso del termine coincide con lo svolgimento della
procedura di separazione che deve risultare conclusa prima della domanda di divorzio.

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Il divorzio inoltre può essere chiesto da uno dei coniugi quando l’altro sia stato condannato dopo la
celebrazione del matrimonio all’ergastolo o a pena superiore a 15 anni, oppure a qualsiasi pena detentiva per
incesto, reati sessuali; il divorzio può essere chiesto anche se l’altro coniuge è stato assolto per l’infermità di
mente da alcuni delitti prima accennati.
Altre cause di divorzio sono rappresentate: dall’avere l’altro coniuge, cittadino straniero, ottenuto all’estero
l’annullamento del matrimonio o il divorzio; dalla mancata consumazione del matrimonio.
Quale soluzione di compromesso è stata consentita la proposizione di una domanda congiunta di divorzio,
che indichi le condizioni inerenti alla prole ed ai rapporti economici: da essa viene fatta dipendere una mera
semplificazione della procedura di divorzio.
Il procedimento di divorzio su domanda congiunta si svolge con rito abbreviato e il tribunale, sentiti i
coniugi e verificata l’esistenza dei presupposti di legge, decide con sentenza.

5. Effetti del divorzio.


Il tribunale, con l’intervento obbligatorio del pubblico ministero, pronuncia con sentenza lo scioglimento
del matrimonio ordinando la relativa annotazione all’ufficiale dello stato civile competente.
Il divorzio ha infatti efficacia dal giorno dell’annotazione della sentenza; da tale momento, riacquistato lo
stato libero, ciascuno degli ex coniugi può contrarre nuove nozze.
In conseguenza del divorzio la donna perde il cognome del marito ma può essere autorizzata a
conservarlo qualora sussista un interesse meritevole di tutela suo o dei figli.
Per quanto concerne gli effetti patrimoniali, il legislatore è chiamato ad una difficile mediazione tra
l’esigenza di tutela del coniuge più debole ed il perseguimento un’effettiva eliminazione del vincolo
coniugale, a seguito dello scioglimento del matrimonio.
Espressione di una solidarietà postconiugale è considerato l’assegno di divorzio; il relativo presupposto è
individuato nella mancanza di mezzi adeguati e nella impossibilità a procurarseli per ragioni oggettive.
Una simile inadeguatezza viene valutata sulla base di un giudizio complessivo che tiene conto oltre che dei
redditi, anche dei cespiti patrimoniali e di ogni altra utilità disponibile.
Dall’assegno, in quanto periodico e destinato quindi a durare nel tempo, deve essere assicurato
l’adeguamento automatico con riferimento agli indici di svalutazione monetaria.
La sua corresponsione è assicurata dalla possibilità per il beneficiario di ottenerne il pagamento diretto da
chi deve corrispondere somme di danaro all’obbligato stesso.
Su accordo delle parti l’assegno periodico può essere sostituito da una prestazione una tantum
(consistente in somme di danaro, titoli obbligazionari e azionari o beni immobili).
Il divorzio determina il venir meno dei diritti in ordine alla successione del coniuge; peraltro spetta un
assegno periodico di natura alimentare all’ex coniuge cui sia stato in precedenza riconosciuto il diritto
all’assegno di divorzio e che versi in stato di bisogno.
Solo in quanto titolare del diritto all’assegno di divorzio, il divorziato, in caso di morte dell’ex coniuge
ha diritto alla pensione di reversibilità.

6. Crisi coniugale e tutela dell’interesse dei figli.


Preso atto dell’inevitabilità del verificarsi di crisi del rapporto coniugale, il legislatore concentra la sua
attenzione sulla sorte dei figli come vittime incolpevoli della crisi coniugale dei genitori.
La direttiva seguita in materia è quella di promuovere in una prospettiva di superamento della conflittualità,
il sorgere di una comunità parentale che sopravviva al fallimento della comunità coniugale.
Data per scontata la continuità dei doveri dei genitori nei confronti dei figli, il principio basilare è quello per
cui tutti i provvedimenti relativi alla prole devono essere adottati con esclusivo riferimento all’interesse
morale e materiale della prole stessa.

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Contestato è il tradizionale assetto dei rapporti con la prole incentrato sull’affidamento ad uno dei genitori
(cd. mono-genitoriale), prevalendo il favore per modelli di affidamento congiunto.
Carattere prioritario si è attribuito all’affidamento del figlio ad ambedue i genitori (cd. affidamento
condiviso); carattere eccezionale è destinato a residuare all’affidamento ad uno solo dei genitori poiché per
disporlo occorre un provvedimento motivato circa la contrarietà nell’interesse del minore dell’affidamento
ad ambedue i genitori.
In tale ipotesi l’assetto dei rapporti resta fondato su di un affidamento mono-genitoriale (con la previsione
di adeguate modalità di frequentazione e di contribuzione dell’altro genitore, in considerazione
dell’accennato diritto del figlio alla continuità del rapporto con ambedue i genitori).
Secondo la precedente disciplina pur conservando entrambi i genitori la titolarità della potestà sui figli, il
relativo esercizio spettava al solo genitore affidatario. Al fine di evitare il perpetuarsi di situazioni di
conflittualità, si è riconosciuto un ruolo rilevante alla mediazione familiare come strumento per ristabilire
condizioni di accordo spontaneo tra i coniugi in vista dei futuri rapporti reciproci e con i figli.
Sotto il profilo economico i genitori restano tenuti a provvedere al mantenimento dei figli in misura
proporzionale alle proprie possibilità.

7. Assegnazione della casa familiare.


La disciplina dell’assegnazione della casa familiare concerne anch’essa una problematica che si pone in
tutti i casi di dissoluzione della famiglia come comunità di vita.
L’assegnazione dell’abitazione nella casa familiare presuppone che i coniugi (o i conviventi) siano
legittimati a goderne insieme (e con i figli), avendone cioè la disponibilità; ciò sulla base di un titolo che può
essere rappresentato dal diritto di proprietà comune o di uno di essi, oppure da un altro diritto reale
(usufrutto, abitazione). L’interesse rilevante ai fini dell’assegnazione si ritiene essere quello dei figli,
anche per la collocazione delle disposizioni concernenti i relativi rapporti con i genitori.
L’affidamento o la convivenza con i figli maggiorenni ancora non economicamente autosufficienti
costituivano il presupposto necessario per l’assegnazione.
Il diritto di godimento della casa familiare viene meno nel caso in cui l’assegnatario non abiti o cessi di
abitare stabilmente nella casa familiare o conviva more uxorio o contragga nuovo matrimonio.
L’estinzione del diritto derivante dall’assegnazione richiede un provvedimento giudiziale di revoca.
La previsione risulta criticabile in quanto il soddisfacimento dell’interesse dei figli corre il rischio di essere
pregiudicato da situazioni personali del genitore assegnatario.

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CAPITOLO 4 – FILIAZIONE
1.Filiazione: attuale circolazione della disciplina; 2. L’atto di nascita; 3. Accertamento della filiazione
legittima; 4. Accertamento della filiazione naturale; 5. Legittimazione dei figli naturali; 6. Procreazione
assistita; 7. Tutela del minore privo di assistenza. Affidamento; 8. Adozione; 9. Il rapporto di filiazione.

1. Filiazione: attuale articolazione della disciplina.


Si tratta di una globale revisione che trova il suo fulcro nella riforma del 1975. I principi fondamentali
sono quelli risultanti dall’art. 30 il cui primo comma sancisce che “è dovere e diritto dei genitori,
mantenere, istituire ed educare i figli, anche se nati fuori del matrimonio”. L’attenzione è incentrata
sull’esigenza del figlio di essere messo in condizione di sviluppare le sue potenzialità di persona.
Il terzo comma dell’art. 30 affida al legislatore il compito di assicurare ai figli “ogni tutela giuridica e
sociale”. La raggiunta equiparazione sostanziale tra filiazione nel matrimonio (filiazione legittima) e
fuori del matrimonio (filiazione naturale), ha allegerito lo stato di figlio legittimo dai suoi attributi di
privilegio facendo venir meno la giustificazione del tradizionale favor legittimatis consistente nella
preferenza accordata dall’ordinamento all’acquisto e alla conservazione dello stato di figlio legittimo.
La disciplina del rapporto di filiazione, fondata sulla rilevanza della procreazione e della relazione tra
generante e generato, è quella che trionfa in tutte le più recenti riforme straniere della materia.
Nell’attuale ordinamento l’art. 30 Cost. conferisce rilevanza alla procreazione assicurando al procreato il
soddisfacimento delle sue esigenze esistenziali.
Lo stesso accertamento formale dello status filiationis risulta oggetto di un vero e proprio diritto del
procreato che non può trovare limiti se non nel suo stesso interesse.
Anche l’instaurazione di un rapporto di filiazione in mancanza di procreazione (cd. filiazione civile) viene
disciplinata dall’ordinamento come strumento di tutela dell’interesse del nato che si trovi privo di assistenza
attraverso l’istituto dell’adozione, avendo questa stessa perso la sua finalizzazione alla perpetuazione
dell’organismo familiare.

2. L’atto di nascita.
L’atto di nascita è uno strumento di accertamento formale del rapporto di filiazione.
Per la sua efficacia probatoria lo si definisce in termini di titolo dello stato di figlio.
L’atto di nascita è formato sulla base della dichiarazione di nascita corredata da una attestazione di
avvenuta nascita, contenente le generalità della puerpera, nonché le indicazioni relative alla nascita,
resa all’ufficiale dello stato civile da parte di uno dei genitori o di chi ha assistito al parto.
Nell’atto di nascita sono menzionate generalità, cittadinanza e residenza dei genitori legittimi, oppure
di chi intende rendere la dichiarazione di riconoscimento di filiazione naturale.

3. Accertamento della filiazione legittima.


Per l’attribuzione dello stato di figlio legittimo il codice valorizza il rapporto coniugale della madre:
è considerato padre il marito della madre se il concepimento è avvenuto durante il matrimonio
(presunzione di paternità).
Al fine di fissare il tempo del concepimento è prevista una presunzione di concepimento durante il
matrimonio; si presume concepito durante il matrimonio il figlio nato dopo 180 giorni dalla celebrazione
del matrimonio e non oltre 300 giorni dall’annullamento del matrimonio o dal relativo scioglimento
(per morte o divorzio). Del figlio nato dopo i 300 giorni ciascuno dei coniugi ed i loro eredi possono provare
il concepimento durante il matrimonio.
La prova della filiazione legittima avviene attraverso l’atto di nascita e in sua mancanza, dimostrando il
continuo possesso di stato di figlio legittimo; devono concorrere il nome (l’avere sempre portato il cognome
del padre), il trattamento (l’essere sempre stato trattato come figlio, risultando assolti nei suoi confronti gli
obblighi che la legge pone a carico dei genitori), la fama (l’essere sempre stato considerato come figlio nei
rapporti sociali).
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a)La presunzione di paternità può essere vinta con l’azione di disconoscimento di paternità.
Quando tale azione viene esercitata per disconoscere il figlio concepito durante il matrimonio, essa è
consentita solo in casi tassativi: 1) se i coniugi non hanno coabitato tra i 300 ed i 180 giorni prima della
nascita; 2) se in tale periodo il marito era affetto da impotenza anche solo di generare.
L’azione di disconoscimento di paternità può essere esercitata non solo dal marito ma anche dalla moglie o
dal figlio maggiorenne; per il figlio minorenne l’azione può essere promossa da un curatore speciale,
nominato dal tribunale su istanza dello stesso minore che abbia compiuto i 16 anni.
I termini per l’esercizio dell’azione sono diversi a seconda del soggetto legittimato in quanto il marito può
agire entro 1 anno dalla nascita, dal suo ritorno nel luogo di essa, mentre la madre può agire entro 6 mesi
dalla nascita o dal giorno in cui sia venuta a conoscenza dell’impotenza di generare del marito.
Il figlio infine può agire entro 1 anno dalla maggiore età o dalla conoscenza dei fatti che rendono
ammissibile il disconoscimento.
b) L’azione di contestazione della legittimità del figlio che è imprescrittibile, spetta a chi risulti suo
genitore e a chiunque vi abbia interesse, ed è rivolta a dimostrare la carenza di uno dei presupposti sui cui
si fonda la legittimità. Pertanto può essere esercitata se il matrimonio dei genitori non risulta celebrato o
è invalido per bigamia o incesto.
c) L’azione di reclamo della legittimità anch’essa imprescrittibile, spetta al figlio (o ai suoi discendenti, se
è morto prima dei 23 anni senza esercitarla). Con essa si tende ad accertare, in contrasto con l’atto di nascita,
la sussistenza dei presupposti della legittimità.

4. Accertamento della filiazione naturale.


L’attribuzione dello stato di figlio naturale avviene con un atto di accertamento volontario della
procreazione da parte del genitore (riconoscimento) o con un accertamento giudiziale di tale fatto.
La dichiarazione giudiziale della filiazione naturale produce gli stessi effetti del riconoscimento, e
l’art. 261 prevede che il riconoscimento comporta da parte del genitore l’assunzione di tutti i diritti e doveri
previsti nei confronti dei figli legittimi.
a)Discussa è la natura del riconoscimento del figlio naturale. Esso si presenta come atto volontario
inquadrabile nella categoria di negozio di accertamento; si tratta di un atto unilaterale anche se può
avvenire congiuntamente da parte dei due genitori. La sua irrevocabilità è così marcata da farlo
sopravvivere alla revoca del testamento in cui sia eventualmente contenuto.
E’ rimasto il divieto dei figli incestuosi nati cioè da persone legate da un vincolo di parentela in linea retta o
in linea collaterale di 2° grado (fratelli e sorelle), oppure di affinità in linea retta.
Il riconoscimento è consentito ai genitori in buona fede inconsapevoli del vincolo al tempo del
concepimento, o se sia stato dichiarato nullo il matrimonio da cui deriva l’affinità.
Per effettuare il riconoscimento il genitore deve avere compiuto i 16 anni; il riconoscimento può avvenire
anche prima della nascita.
Il riconoscimento del nascituro da parte del padre può avvenire contemporaneamente al riconoscimento
della gestante (donna incinta) o dopo il riconoscimento di quest’ultima. E’ ammesso anche nell’interesse
dei suoi discendenti, il riconoscimento del figlio premorto.
Il riconoscimento è atto formale e può avvenire nell’atto di nascita con dichiarazione resa all’ufficiale dello
stato civile, o può avvenire con dichiarazione al momento del matrimonio.
Il riconoscimento è inammissibile se in contrasto con lo stato di figlio legittimo o legittimato.
b) Nel codice civile del 1865 la dichiarazione giudiziale di paternità era ammessa solo in caso di ratto o
stupro; in quello del 1942 si provvide ad un allargamento dei casi di esercizio dell’azione che rimasero
comunque tassativi. Con la riforma del 1975 è stato sancito il principio per cui la dichiarazione giudiziale
della paternità e della maternità naturale è consentita in tutti i casi in cui è ammesso il riconoscimento,
potendo la relativa prova essere fornita con ogni mezzo.

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La maternità è dimostrata provando l’identità di chi si pretende essere figlio e di colui che fu partorito dalla
donna che si pretende essere madre. La sola dichiarazione della madre e la sola esistenza di suoi rapporti col
padre all’epoca del concepimento non costituiscono prova della paternità, data l’eventuale pluralità di
partners. L’azione è considerata imprescrittibile per il figlio e può essere proseguita dopo la sua morte,
dai suoi discendenti (legittimi o naturali); può essere promossa da costoro dopo la sua morte entro 2 anni, o
può essere promossa nell’interesse del minore, dal genitore che esercita la potestà su di lui o dal tutore.

5. Legittimazione dei figli naturali.


La legittimazione dei figli naturali consente di superare ogni residua differenza tra lo stato di figlio naturale
e legittimo; questa può avvenire per susseguente matrimonio dei genitori e del figlio naturale o per
provvedimento del giudice (la seconda forma di legittimazione ha un ruolo sussidiario).
La legittimazione per susseguente matrimonio opera per effetto della legge dal giorno in cui concorrano
le sue due condizioni rappresentate dal riconoscimento da parte di entrambi i genitori e dal loro matrimonio.
La legittimazione per provvedimento del giudice produce i suoi effetti dalla data del provvedimento;
essa può avvenire esclusivamente se corrisponda all’interesse del figlio su richiesta di uno o di entrambi i
genitori.

6. Procreazione assistita.
La possibilità offerta dal progresso scientifico di intervenire nel processo riproduttivo ha determinato
l’insorgere di ovvi problemi riguardo allo stato dei figli così generati.
Le tecniche di procreazione assistita si scontrano con i principi e le regole affermati fino ad ora in materia
di filiazione con riguardo al rapporto tra derivazione biologica e responsabilità nei confronti del generato.
Vengono messi in discussione il principio di verità (della corrispondenza tra realtà naturale e stato giuridico
del nato) e quello della indisponibilità degli status personali e delle relative azioni (la volontà di chi si
avvale delle nuove tecniche finendo col poter incidere sullo stato del generato). Pur essendo vietato il
ricorso a tecniche eterologhe non si è mancato di disciplinarne le conseguenze.
L’accesso alle tecniche di procreazione assistita è riservato alle coppie maggiorenni di sesso diverso
coniugate o conviventi, in età potenzialmente fertile. Il divieto delle tecniche eterologhe rientra tra i profili
della legge sottoposti al referendum risultato invalido per il mancato raggiungimento del richiesto quorum di
elettori votanti.
In relazione alla procreazione con tecniche omologhe si evidenzia come attribuendo ai nati lo stato di figli
legittimi o di figli riconosciuti della coppia che ha espresso la volontà di ricorrere alle tecniche, si sia
conferito un carattere di automaticità al riconoscimento del figlio naturale.
E’ inoltre vietato alla madre del nato con l’applicazione delle tecniche omologhe la possibilità
riconosciutagli di avvalersi della facoltà di non essere nominata, restando anonima.

7. Tutela del minore privo di assistenza. Affidamento.


Posto il principio per cui il minore ha diritto di crescere ed essere educato nella propria famiglia, ad
assicurare il rispetto dell’autonomia di questa, devono essere proposti gli opportuni interventi di sostegno e
di aiuto. Solo nel caso in cui, nonostante tali interventi di supporto la famiglia non è in grado di provvedere
alla crescita e all’educazione del minore sono chiamati ad operare gli interventi con funzione sostitutiva.
In tale prospettiva il minore temporaneamente privo di un ambiente familiare idoneo può essere affidato ad
una famiglia o ad una persona singola, oppure inserito in una comunità di tipo familiare solo in via
subordinata. L’affidamento mira ad assicurare un’adeguata tutela dell’interesse del minore nel tempo
necessario a consentire il recupero della famiglia di origine; non a caso viene favorito l’affidamento previo
consenso dei genitori, in mancanza del quale provvede il tribunale per i minorenni.

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Nel provvedimento di affidamento devono comunque essere sempre disciplinati il mantenimento dei rapporti
del minore con i genitori e gli altri componenti della sua famiglia.
Lo stesso affidatario che ha il dovere di provvedere al mantenimento e all’educazione e istruzione del
minore, deve tener conto delle indicazioni dei genitori.

8. Adozione.
L’incremento delle garanzie processuali, tanto per il minore quanto per i suoi genitori, rappresenta la novità
più appariscente della nuova disciplina dell’adozione. Tali soggetti devono far valere i propri interessi, ed
essere legalmente assistiti in ogni fase del procedimento stesso.
La finalità dell’adozione dei minori nel nostro ordinamento è l’inserimento del fanciullo in una nuova
famiglia con l’acquisto dello stato di figlio legittimo nella pienezza del relativo rapporto con gli adottanti.
a)L’adozione è prevista a favore dei minori dichiarati in stato di adottabilità a seguito dell’accertamento
di una situazione di abbandono perché privi di assistenza morale e materiale da parte dei genitori o dei
parenti tenuti a provvedervi.
L’adozione resta consentita solo ai coniugi; ai fini della stabilità del relativo rapporto è richiesto che il
matrimonio duri da almeno 3 anni (senza separazione) pur essendo sufficiente una convivenza stabile e
continuativa per almeno tre anni prima del matrimonio. I coniugi devono essere affettivamente idonei e
capaci di educare, istruire i minori che intendano adottare.
Ai singoli è consentita invece solo l’adozione in casi particolari.
Il minore di 14 anni deve prestare personalmente il proprio consenso all’adozione ed essere personalmente
sentito il minore dodicenne o comunque capace di discernimento.
Lo stato di adottabilità del minore è dichiarato a seguito dell’accertamento delle condizioni dianzi
ricordate attraverso una procedura che la riforma del 2001 ha reso più idonea a garantire gli interessi del
minore e quelli dei suoi genitori.
A seguito dell’adozione l’adottato acquista lo stato di figlio legittimo degli adottanti dei quali assume e
trasmette il cognome, mentre cessa ogni suo rapporto con la famiglia di origine.
L’adottato ha il diritto di essere informato di tale sua condizione dai genitori adottivi, essendo ammesso
a conoscere l’identità dei suoi genitori biologici dopo i 25 anni.
b) A prescindere dall’essere stato dichiarato in stato di adottabilità, il minore può essere adottato ove
ricorrano particolari circostanze (adozione in casi particolari): 1) da persona a lui unite dal vincolo di
parentela fino al sesto grado; 2) dal coniuge del genitori.
c) Lo scopo dell’adozione delle persone maggiori di età resta quello di assicurare la continuazione della
famiglia dell’adottante. L’adozione richiede una differenza di età di almeno 18 anni; può anche avvenire
da parte di due coniugi ed è ammessa l’adozione di più persone.
Ovviamente occorre il consenso dell’adottante e dell’adottato nonché l’assenso dei genitori
dell’adottando e del coniuge dell’adottante e dell’adottando.
Circa gli effetti dell’adozione, l’adottato antepone al proprio cognome quello dell’adottante ed acquista gli
stessi diritti spettanti ai figli legittimi in relazione alla successione dell’adottante.
L’adottato conserva tutti i diritti ed i doveri verso la prima famiglia di origine.
L’adozione poi può essere revocata per indegnità dell’adottato o dell’adottante.
d) La L. 184/1983 ha regolato il fenomeno dell’adozione internazionale la cui diffusione è legata
soprattutto alle difficoltà del ricorso all’adozione di minori italiani. Per evitare inconvenienti è stato fissato
un iter procedurale rigoroso. Gli aspiranti all’adozione aventi i requisiti previsti per l’adozione di minori
devono ottenere un decreto attestante l’idoneità ad adottare.
Successivamente i stessi aspiranti devono conferire l’incarico di curare la procedura di adozione ad uno degli
enti a ciò autorizzati dalla Commissione per le adozioni internazionali: l’ente svolge tutte le pratiche
necessarie a consentire l’incontro tra gli aspiranti all’adozione ed il minore.

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La Commissione valutate le conclusioni all’ente incaricato dichiara che l’adozione risponde all’ interesse
del minore e ne autorizza l’ingresso e la residenza in Italia a condizione che il minore si trovasse in
situazione di abbandono.

9. Il rapporto di filiazione.
La materia degli effetti della filiazione può essere tratta da parte del genitore come conseguenza del
riconoscimento del figlio naturale, di tutti i doveri e i diritti che egli ha nei confronti dei figli legittimi.
Il mantenimento deve essere conforme al tenore di vita della famiglia e perdura anche oltre il
raggiungimento della maggiore età da parte del figlio.
L’obbligazione al mantenimento è ripartita tra i genitori in proporzione alle rispettive sostanze e secondo la
loro capacità di lavoro professionale o casalingo.
Quando i genitori non hanno mezzi sufficienti per mantenere i propri figli, sono gli ascendenti legittimi o
naturali a dover fornire ad essi i mezzi necessari all’adempimento dei loro doveri nei confronti dei figli.
Ove vi sia inadempimento del genitore può essere ordinato che una quota dei redditi dell’obbligato venga
versata direttamente all’altro coniuge o a chi sopporta le spese.
Quanto al cognome nel caso di filiazione legittima, il figlio assume il cognome del padre per un principio
implicito nella legislazione civile.
Nel caso di filiazione naturale, il figlio assume il cognome del genitore che per primo lo riconosce e quello
del padre, se il riconoscimento sia stato fatto contemporaneamente dai due genitori.
Il figlio ha il dovere di rispettare i propri genitori e finché convive in famiglia, deve contribuire al relativo
mantenimento, in ragione delle sue sostanze e del suo reddito.
Alla potestà dei genitori esercitata dagli stessi di comune accordo, la cui titolarità compete ad entrambi i
genitori, il figlio è soggetto sino alla maggiore età o alla emancipazione.
L’esercizio delle potestà si concentra in uno dei genitori nel caso di lontananza o altro impedimento
dell’altro. La potestà comune non cessa con il venir meno della convivenza, ed il relativo esercizio è
disciplinato nel contesto degli effetti della crisi coniugale.

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PARTE VI – PROPRIETA’ E DIRITTI REALI

CAPITOLO 1 – PROPRIETA’
1.Nozione; 2. Contenuto e caratteri; 3. Atti emulativi; 4. Contenuto della proprietà e garanzia costituzionale;
5. Proprietà fondiaria; 6. Immissioni; 7. Rapporti di vicinato; 8. Proprietà agraria;
9. Proprietà edilizia; 10. Appartenenza e beni immateriali: la cd. proprietà intellettuale.

1.Nozione.
Nell’ordinamento lo studio della proprietà trova i suoi punti di riferimento nella definizione dell’art. 42
Cost. e nell’art. 832 cod. civ.
L’art. 436 cod. civ. del 1865 definiva la proprietà come “il diritto di godere e disporre della cosa nella
maniera più assoluta, purché non se ne faccia un uso vietato dalle leggi o dai regolamenti”.
La proprietà costituiva il centro di gravità del cod. civ. e quindi dell’intero sistema della legislazione civile.
Secondo invece l’art. 29 dello Statuto albertino del 1848 “tutte le proprietà sono inviolabili”; collocandosi
la proprietà tra i fondamentali diritti di libertà.
La proprietà veniva assumendo il carattere della assolutezza in quanto posta al riparo da qualsiasi
intromissione di altri privati e della autorità politica, nei confronti della quale la proprietà era rivendicata
come manifestazione di libertà della persona.
Il codice civile vigente non definisce più la proprietà bensì la posizione attribuita al proprietario in
relazione ai beni; l’art. 832 stabilisce che il proprietario ha diritto di godere e disporre delle cose in modo
pieno ed esclusivo, entro i limiti e con l’osservanza degli obblighi stabiliti dall’ordinamento giuridico.
All’idea di assolutezza si sostituisce quella di pienezza ed esclusività.
Il contenuto del diritto viene considerato non predefinibile in astratto, risultandone demandata la
determinazione alla disciplina dettata dal legislatore rispetto ai vari tipi di beni. La conformazione del
contenuto della proprietà viene articolata in maniera differenziata in modo da assicurare il soddisfacimento
degli interessi generali ed individuali a ciascun tipo di bene specificatamente riferibili.
La proprietà che interessa la Costituzione è quella dei beni socialmente rilevanti, in quanto finalizzati
all’attività produttiva o al soddisfacimento di esigenze primarie, secondo quanto emerge dalla stessa
enunciazione secondo cui “la proprietà è pubblica o privata” e “i beni economici appartengono allo Stato, ad
enti o a privati”. L’art. 42 sancisce che la proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge che ne
determina i modi di acquisto, di godimento e i limiti, allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di
renderla accessibile a tutti:
Da una parte si avverte l’eco della concezione della proprietà privata come diritto fondamentale, mentre
dall’altra emerge come, in quanto mero rapporto economico relativamente ad essa,
attribuzione, utilizzazione e confermazione vengono fatti dipendere unicamente dalle scelte legislative,
cui risulta assegnato l’obiettivo di indirizzarla nella realizzazione della funzione sociale e della promozione
di un accesso generalizzato.
La funzione sociale della proprietà e la generalizzazione dell’accesso ad essa si integrano nella
definizione della finalità che il legislatore deve avere di mira nella disciplina della proprietà.
Il miglioramento della qualità della vita costituisce parte essenziale del programma che la Costituzione
demanda al legislatore, promovendo lo sviluppo della cultura e la ricerca e tutelando il paesaggio ed il
patrimonio storico e artistico della Nazione.
La nozione di proprietà che ne emerge deve raffrontarsi con la definizione che offre la Carta dei diritti
fondamentali dell’Unione Europea circa il diritto di proprietà. L’affermazione per cui “ogni persona ha il
diritto di godere della proprietà dei beni che ha acquistato legalmente, di usarli, di disporne e di lasciarli in
eredità” viene precisata nel senso che l’uso dei beni può essere regolato dalla legge nei limiti imposti
dall’interesse generale.

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2. Contenuto e caratteri.
Il diritto di proprietà che costituisce il prototipo delle situazioni giuridiche soggettive con carattere di
assolutezza e realità vede il suo contenuto definito dall’art. 832.
Per contenuto del diritto di proprietà si intendono l’insieme delle facoltà e dei poteri riconosciuti al titolare
per la realizzazione del suo interesse. A caratterizzare la situazione del proprietario rispetto a quella del
titolare di qualsiasi altro diritto sono i caratteri di pienezza ed esclusività (per l’art. 832 al proprietario è
riconosciuto il diritto di godere e disporre delle cose in modo pieno ed esclusivo): la pienezza è da intendere
nel senso che al proprietario a differenza degli altri diritti reali, non sono attribuiti facoltà e poteri,
ma sono conferite le generali forme di godimento e disposizione che il bene consente; gli altri diritti risultano
definiti nel loro contenuto per la determinatezza delle facoltà e dei poteri del titolare, in contrapposizione
alle generali prerogative del proprietario.
In relazione alle modalità di utilizzazione e disposizione del bene consentite dall’ordinamento, al proprietario
è riconosciuta una situazione di preminenza rispetto ad ogni altro soggetto, poiché è l’ordinamento stesso
a formare la portata delle facoltà e dei poteri del proprietario; il proprietario può a sua volta può dar vita con
proprie manifestazioni di volontà a vincoli di natura reale od obbligatoria che delimitano le sue possibilità
di godimento.
Al carattere di pienezza si ricollega l’elasticità del diritto di proprietà che rimane tale anche se le
possibilità di godimento e di disposizione consentite al proprietario si trovino ad essere compresse
dall’esistenza di un diritto altrui avente ad oggetto il bene.
La forza della proprietà sta nella sua attitudine a riespandersi automaticamente al venire meno della
situazione giuridica che ne limiti le potenzialità rispetto al bene, riassumendo in pieno il contenuto di
facoltà e poteri che la caratterizzano.
Qualificando il diritto di proprietà in termini di esclusività ci si riferisce alla possibilità del proprietario di
escludere chiunque altro dal godimento del bene.
A caratterizzare il diritto di proprietà contribuiscono anche altre norme; dall’art. 948 emerge il carattere
della imprescrittibilità laddove si prevede l’imprescrittibilità di quell’azione di rivendicazione che
costituisce lo strumento elettivo posto a disposizione del proprietario per far valere le sue ragioni.
Al carattere dell’imprescrittibilità si ricollega quello della perpetuità considerato proprio della proprietà.

3. Atti emulativi.
L’art. 833 vieta al proprietario di fare atti che abbiano lo scopo di nuocere o di recare molestia ad altri;
in tale norma si individua un’applicazione dell’abuso del diritto come limite del diritto soggettivo per cui
al titolare si ritengono consentiti i modi di esercizio del diritto conformi allo scopo per cui il diritto stesso
sia stato riconosciuto al soggetto. Il compimento dell’atto emulativo non è diretto a soddisfare alcun interesse
meritevole di tutela, in quanto è posto allo scopo di nuocere ad altri.
La difficoltà del soggetto che lamenta la lesione del proprio interesse di dimostrare il carattere emulativo
dell’atto deriva soprattutto dalla necessità di provare l’intenzione lesiva del proprietario (animus nocendi).
Ai fini della ricorrenza dell’atto emulativo occorre oltre ad un elemento oggettivo (inutilità dell’atto per il
proprietario), un elemento soggettivo (l’intenzione di nuocere o recare molestia ad altri).
Poiché l’atto di cui sia accertato il carattere emulativo è da considerare illecito contro chi lo ha posto in
essere, può essere chiesta non solo l’eliminazione di quanto compiuto in violazione del relativo divieto,
ma anche il risarcimento dell’atto.

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4. Contenuto della proprietà e garanzia costituzionale.
Tale norma da una parte demanda al legislatore la disciplina di tutti i profili della proprietà, dall’altra, fa ciò
sulla premessa di una dichiarata garanzia della proprietà stessa che impone il relativo indennizzo nel caso
in cui l’interesse generale ne renda necessaria la sottrazione al privato.
Si è allora posto il problema dei limiti entro cui il contenuto del diritto di proprietà possa essere compresso
senza il riconoscimento di un ristoro economico a favore del proprietario, discutendosi in proposito della
configurabilità o meno di un contenuto minimo della proprietà.
Le possibilità di utilizzazione del bene da parte del proprietario dipendono dalla disciplina delle relative
modalità ad opera del legislatore. Il diritto di proprietà non si può sottrarre al privato almeno fin quando la
notevole riduzione del suo contenuto di facoltà e poteri ne consenta un pur ristretto esercizio.
Il problema si pone quando le limitazioni imposte svuotino di ogni sostanza apprezzabile economicamente
il diritto del proprietario, riducendolo ad una mera apparenza.
Le prese di posizione della Corte costituzionale sono state oggetto di contrastanti apprezzamenti circa
l’indubbia valenza politico-ideologica del problema in esame: da una parte la Corte ha ammesso la
legittimità di drastiche limitazioni del contenuto della proprietà in relazione a determinate categorie di beni,
mentre dall’altra, ha sostenuto che il proprietario è espropriato quando i vincoli si traducono in un sacrificio
tale da incidere sul diritto di proprietà al di là di quanto possa reputarsi tollerabile.
Una volta garantito il proprietario assicurandogli almeno l’indennizzo, la discussione relativa al contenuto
minimo della proprietà si risolve nella discussione relativa alla congruità dell’indennizzo spettante in caso
di espropriazione; l’indennizzo pur non dovendosi commisurare necessariamente al valore venale del bene,
non può mai prescindere da questo, in quanto deve rappresentare in ogni caso un serio ristoro per il
proprietario che è stato privato del suo diritto; tale non può essere considerata una indennità simbolica o
irrisoria, ma solo una indennità congrua, seria ed adeguata.

5. Proprietà fondiaria.
La proprietà fondiaria è quella concernente i beni immobili (urbani ed agricoli).
L’importanza riconosciuta alla proprietà di tali beni giustifica l’estensione della relativa regolamentazione;
infatti i beni immobili costituiscono il punto di riferimento di una molteplicità di interessi, sia individuali che
superindividuali.
Il codice propone il coordinamento di tali interessi che finisce col superare i tradizionali steccati
ricollegati alla natura privatistico-individuale o meno dell’interesse regolato.
Innovativa si presenta la norma che regola l’estensione verticale della proprietà; il principio tradizionale
era quello per cui chi ha la proprietà del suolo ha pure quello dello spazio sovrastante e di tutto ciò che si
trova sopra o sotto la superficie.
La proprietà del suolo si estende al sottosuolo con tutto ciò che esso contiene, potendovi il proprietario
svolgere qualsiasi attività di utilizzazione che non rechi danno ai vicini. La novità sta nel fatto che il
proprietario del suolo non può impedire attività altrui che si svolgano a tale profondità nel sottosuolo o a tale
altezza nello spazio sovrastante che egli non abbia interesse ad escluderle. Una simile regola segna
l’evidente distacco dall’idea di proprietà come astratta signoria assoluta sulla cosa a favore di una
concezione che ricollega il riconoscimento della meritevolezza del suo esercizio alla sussistenza di un
interesse effettivo del soggetto che ne è investito.
Al principio dell’esclusività del diritto di proprietà si ricollega la possibilità per il proprietario di chiudere in
qualunque momento il fondo; l’esercizio di tale facoltà dovrà avvenire nel rispetto degli eventuali diritti di
terzi sul bene.
Il proprietario del fondo non può impedire l’accesso ad esso per l’esercizio della caccia a meno che il fondo
sia chiuso nei modi stabiliti dalla legislazione in materia di caccia; ciò a condizione che chi pretende di
accedere al fondo sia munito della licenza rilasciata dalle competenti autorità amministrative.

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L’accesso ed il passaggio nel fondo non possono essere impediti al fine di ricostruire o riparare un muro o
altra opera del vicino o opera comune, oppure a chi intenda recuperare la cosa che vi si trovi
accidentalmente; il proprietario può peraltro impedire l’accesso consegnando semplicemente la cosa.
Ovviamente se l’accesso cagiona danno è dovuta un’adeguata indennità.

6. Immissioni.
Tra le disposizioni generali in tema di proprietà fondiaria spicca quella disciplinante le immissioni.
L’art. 844 dispone che il proprietario di un fondo non può impedire le immissioni derivanti dal fondo del
vicino se queste non superino la normale tollerabilità, avuto anche riguardo alla condizione dei luoghi.
Per immissioni si intendono tutte le propagazioni consistenti in fumo, calore, esalazioni ed in generale tutto
ciò che abbia una materialità, fino a comprendere radiazioni e le onde elettromagnetiche.
Le immissioni cui si ha riguardo sono quelle indirette, ossia si deve trattare di ripercussioni sul proprio
fondo di attività poste in essere sul fondo altrui.
Il proprietario è tenuto a sopportare le altrui immissioni nei limiti della normale tollerabilità che deve
essere giudicata dal punto di vista del fondo che la riceve. Ai fini di tale giudizio assume rilevanza la
condizione dei luoghi, ossia un criterio che tiene conto della situazione economico-ambientale della zona
in cui si trova il fondo.
Delicato è il rapporto con la legislazione di tutela ambientale. L’art. 844 dispone che il giudice debba
adattare le esigenze della produzione con le ragioni della proprietà tenendo conto della priorità di un
determinato uso. Sulla base di tale disposizione il giudice può consentire anche la prosecuzione di
immissioni che superino la soglia della normale tollerabilità, imponendo un indennizzo a carico di chi
provochi le immissioni.
E’ da escludere che le esigenze della produzione possano giustificare la prosecuzione di immissioni lesive
della salute,considerate sempre e comunque illecite e come tali, vietate. Le immissioni disciplinate
dall’art. 844 si distinguono in 3 categorie: immissioni non superanti la normale tollerabilità, che devono
appunto essere tollerate, le immissioni eccedenti la normale tollerabilità giustificate dalle esigenze della
produzione e che quindi non possono essere vietate, ed immissioni eccedenti la normale tollerabilità non
giustificate da esigenze produttive, che sono pertanto illecite e vanno senz’altro vietate.
Il giudice oltre a poter ordinare l’eliminazione della fonte delle immissioni, può assoggettare la
prosecuzione dell’attività da cui derivano le immissioni stesse all’adozione di inidonei accorgimenti
tecnici; se dalle immissioni è derivato un danno alle persone o alle cose può essere chiesto il relativo
risarcimento.

7. Rapporti di vicinato.
Nel quadro della proprietà fondiaria il codice dedica una specifica disciplina alla proprietà rurale e alla
proprietà edilizia; inoltre il codice disciplina minuziosamente i rapporti di vicinato dettando regole che
consentano l’ordinata coesistenza tra le proprietà fondiarie vicine. Le sezioni dedicate ai rapporti di vicinato
riguardano le distanze nelle costruzioni, le piantagioni, le acque, i fossi, le siepi etc.
I limiti legali della proprietà derivanti dai rapporti di vicinato si distinguono dalle servitù (anche legali);
tali limiti hanno il carattere di reciprocità (con conseguente gratuità) e di automaticità non consistendo in
un peso imposto sul fondo a vantaggio di altro fondo, come si verifica per la servitù. Tali limiti sono
imprescrittibili e tutelabili mediante l’azione negatoria, dato che il vicino violandoli, fa valere una pretesa
che comprime l’altrui diritto di proprietà.
Chi invoca la violazione di un limite di buon vicinato potrà ottenere oltre al risarcimento del danno
eventualmente subito, provvedimenti inibitori tendenti alla riduzione della situazione dei luoghi.

104
La disciplina delle distanze riguarda quella da osservare nelle costruzioni. Il principio generale del codice è
quello dell’osservanza di una distanza non minore di 3 metri tra le costruzioni per evitare tra le stesse
intercapedini troppo anguste ed antigieniche.
Il criterio seguito dal codice è quello della prevenzione temporale secondo cui chi costruisce per primo
condiziona le possibilità edificatorie del vicino; quando si costruisce, si può scegliere se costruire rispettando
la metà della distanza prescritta (1 metro e mezzo), costruire ad una distanza inferiore oppure sul confine.
Il vicino dovrà rispettare la distanza legale tra le costruzioni (3 metri o maggiore): se la prima costruzione è
ad un 1 metro e mezzo dal confine, altrettanto dovrà fare anche lui.
Se la costruzione è stata fatta sul confine egli può scegliere tra arretrare a tre metri dal confine, oppure
avanzare anche la propria costruzione fino al confine chiedendo la comunione forzata del muro (previo
pagamento della metà del relativo valore). Se il muro è stato costruito ad una distanza inferiore alla metà di
quella legale (ma non sul confine), il vicino può chiedere di avanzare fino alla costruzione altrui.
Regole particolari sono dettate per muri di cinta, muri divisori e per l’utilizzazione del muro comune.
Altre disposizioni prescrivono le distanze da osservare per opere diverse dalle costruzioni (come pozzi,
canali) e per le piantagioni.
Un problema di osservanza di distanze si pone anche in relazione alle aperture degli edifici destinate ad
illuminare, dare aria e possibilità di vista agli ambienti, che si distinguono tra luci e vedute.
Le luci sono le aperture che consentono il passaggio di luce ed aria ma non l’affaccio sul fondo del vicino
(le luci devono essere munite di inferriata e di rete, avere il lato inferiore ad un’altezza dal pavimento non
minore di 2 metri e mezzo se al pian terreno, oppure di 2 metri se ai piani superiori, e avere il lato inferiore
ad un’altezza dal suolo del fondo vicino non inferiore a due metri e mezzo).
Le vedute (o prospetti) sono le aperture che permettono di affacciarsi a guardare di fronte, obliquamente o
lateralmente.
L’apertura delle luci non deve rispettare distanze, potendosi esse aprire anche sul muro posto sul confine;
le luci (appunto definite luci di tolleranza) però possono essere chiuse ad iniziativa del vicino.
Le vedute se dirette (o frontali), possono essere aperte solo ad una distanza di 1 metro e mezzo dal fondo
del vicino; se laterali (od oblique) non a meno di 75 centimetri dal lato più vicino della finestra.
Chi ha acquistato il diritto di avere vedute verso il fondo vicino può pretendere che il proprietario di questo
si astenga dal fabbricare a distanza minore di 3 metri.
In caso di apertura di vedute abusive il proprietario del fondo pregiudicato può esercitare l’azione
negatoria.
Circa lo stillicidio vale il principio per cui il proprietario deve costruire tetti in modo che le acque piovane
scolino sul suo terreno e non su quello altrui; quanto alle acque la tradizionale distinzione tra acque
pubbliche e acque private è stata radicalmente innovata dalla recente disciplina del settore.
Accanto all’interesse dell’incremento produttivo si è venuto ad affermare l’interesse ambientale.
L’art. 1 L. 5.1.95 n.36 afferma che tutte le acque superficiali e sotterranee ancorché non estratte dal
sottosuolo, sono pubbliche (costituendo una “risorsa salvaguardata ed utilizzata secondo criteri di
solidarietà”).

8. Proprietà agraria.
Nel quadro della proprietà fondiaria, il codice civile affronta problematiche legate all’incremento
produttivo dei terreni agricoli prestando attenzione al soddisfacimento di ulteriori interessi generali legati
allo sviluppo sociale ed alla sicurezza del territorio.
La disciplina della bonifica integrale è finalizzata al conseguimento di fini igienici, demografici, economici
o altri fini sociali. Ai privati è imposto l’onere di partecipare alle spese a ciò necessarie, gravando su di loro
anche l’obbligo di eseguire opere ritenute necessarie. L’art. 44 pone in materia il duplice obiettivo del
razionale sfruttamento del suolo e del perseguimento di equi rapporti sociali.

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Al legislatore è demandata la previsione di obblighi e vincoli alla proprietà terriera privata, l’attuazione della
bonifica, la trasformazione del latifondo
La protezione della posizione di chi dedica la propria attività lavorativa all’agricoltura è alla base dei
numerosi interventi che hanno condizionato i contratti agrari, assicurando la stabilità nel godimento dei
terreni sui quali si opera. Ne è risultata una limitazione dei poteri del proprietario di fondi agricoli fino alla
stessa perdita del diritto,come nel caso della legislazione tendente ad agevolare l’affrancazione delle
enfiteusi.

9. Proprietà edilizia.
Nel quadro della proprietà fondiaria il codice civile si sofferma sulla proprietà edilizia.
Gli interessi che ruotano intorno all’edificazione dei suoli e alla proprietà degli edifici sono numerosi
e fin troppo noti. Con l’interesse allo sfruttamento economico dei suoli si devono conciliare le esigenze
di salvaguardia dell’ambiente, di soddisfacimento del bisogno abitativo.
In esso si accenna ai piani regolatori comunali (oltre che ai regolamenti edilizi comunali), che costituiscono
l’essenziale di pianificazione urbanistica. Il piano regolatore generale conserva una posizione centrale nella
pianificazione territoriale, tra quella di livello più ampio (regionale e provinciale) e quella più
particolareggiata (piano regolatore particolareggiato).
Il quadro derivante dalla legislazione in materia urbanistica ed edilizia determina una rigorosa delimitazione
dei poteri di iniziativa edificatoria del proprietario del suolo condizionati appunto dagli strumenti urbanistici.
La facoltà di edificare originariamente rientrava nel contenuto del diritto di proprietà essendo assoggettato
ad un provvedimento del Comune (licenza edilizia) il concreto esercizio di tale facoltà per assicurarne la
conformità con i criteri stabiliti dagli strumenti urbanistici.
Con la L. 28.1.97 n.10 si sostituì alla licenza edilizia la concessione edilizia avente alla base della relativa
previsione l’idea che la facoltà di edificare costituisca oggetto di una concessione da parte del Comune.
La concessione edilizia comporta per chi intenda costituire il pagamento di ragguardevoli somme di danaro,
in considerazione tanto della situazione di vantaggio in cui si è posti col riconoscimento della possibilità di
costruire, quanto dei costi che l’ente locale deve sopportare per le opere di urbanizzazione.
L’attività edificatoria è subordinata all’ottenimento del permesso di costruire; il rilascio di tale permesso
comporta però la corresponsione di un contributo.
La proprietà edilizia è stata assoggettata a penetranti limiti ed obblighi da parte del proprietario delle
possibilità di sfruttamento del bene attraverso l’attribuzione ad altri del relativo godimento.

10. Appartenenza e beni immateriali: la cd. proprietà intellettuale.


La caratteristica dell’esclusività rappresenta il profilo che ricollega al tema della proprietà la problematica
concernente l’appropriazione delle utilità economiche.
In dipendenza della evoluzione della realtà economico-sociale, il concetto di bene giuridico si è allargato al
di là delle cose materiali, per ricomprendere tutto ciò che l’ordinamento ha preso via via in considerazione.
Quella dei beni immateriali costituisce una categoria per sua natura aperta all’estensione a nuove tipologie di
fenomeni, via via che l’evoluzione della realtà economico-sociale ne prospetti il possibile sfruttamento come
nuove fonti di utilità (basti pensare all’irruzione sulla scena economica del software e delle banche dati).
La proprietà intellettuale indica le situazioni giuridiche soggettive riconosciute in ordine allo sfruttamento
della creazione intellettuale, specificate con riferimento alla proprietà letteraria e artistica e alla proprietà
industriale.
Il riferimento terminologico alla “proprietà” pare valere solo ad evocare l’idea di esclusività dello
sfruttamento della creazione eventualmente accordato al soggetto sulla base della ricorrenza di specifici
requisiti.

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CAPITOLO 2 – ACQUISTO E TUTELA DELLA PROPRIETA’
1.Modi di acquisto; 2. Occupazione; 3. Invenzione; 4. Accessione; 5. Unione e commistione. Specificazione.
Accessioni fluviali; 6. Azioni a difesa della proprietà. Azione di rivendicazione. 7. Altre azioni a tutela della
proprietà; 8. Azioni di nunciazione.

1.Modi di acquisto.
La disciplina dei modi di acquisto rappresenta uno dei profili fondamentali della regolamentazione
dell’istituto della proprietà; l’art. 922 traccia il quadro dei modi di acquisto della proprietà offrendone un
elenco di carattere non tassativo.
Il codice accomuna nell’elencazione modi di acquisto a titolo originario e modi di acquisto a titolo
derivativo: i modi di acquisto a titolo originario sono quelli in cui l’acquisto del diritto in capo al soggetto
non dipende dalla precedente titolarità del diritto in capo ad un altro soggetto, mentre i modi di acquisto a
titolo derivativo sono quelli in cui invece vi è una dipendenza dell’acquisto dal diritto di un altro soggetto
che ne era precedentemente titolare.
Decisivo risulta che l’ordinamento consideri o meno rilevante il collegamento tra la nuova situazione di
titolarità e la precedente.
La rilevanza negli acquisti derivativi (e rispettivamente l’irrilevanza in quelli originari) di un simile
collegamento determina l’operatività del principio per cui nessuno può trasmettere ad altri un diritto che non
ha o un diritto di contenuto più ampio di quello di cui risulti titolare.
A ciò consegue la difficoltà della prova del diritto di proprietà ove il soggetto non possa dimostrare di
avere acquistato a titolo originario.
In caso di acquisto a titolo derivativo non è sufficiente la dimostrazione dell’idoneità (cioè della mancanza
di difetti) del titolo del proprio acquisto, ma occorre analoga dimostrazione con riguardo all’acquisto del
proprio dante causa (autore) fino ad un acquisto a titolo originario.
Accanto all’usucapione come modo generale di acquisto a titolo originario dei diritti reali di godimento su
cosa altrui, i modi di acquisto a titolo originario della proprietà sono l’occupazione, l’invenzione,
l’accessione, la specificazione, l’unione o commistione.

2. Occupazione.
L’occupazione costituisce il modo di appropriazione principale; il comportamento di materiale
impossessamento produce l’acquisto della proprietà della cosa.
Suscettibili di occupazione sono le cose mobili che non sono di proprietà di alcuno; non possono quindi
acquistarsi per occupazione gli immobili che spettano al patrimonio dello Stato.
Si reputa necessaria ai fini dell’acquisto della proprietà sulla cosa l’intenzione di appropriarsi della cosa
stessa, escludendone tutti gli altri.
L’occupazione rientra tra gli atti reali a loro volta inquadrati tra gli atti giuridici in senso stretto.
Possono costituire oggetto di occupazione solo le res nullius, tali perché mai appartenute ad alcuno o
le res derelictae, ossia le cose abbandonate con l’intenzione di cessarne la proprietà.
L’art. 923 accanto alle cose abbandonate contempla gli animali oggetto di caccia e di pesca.
Per la caccia è da ricordare come la fauna selvatica costituisca patrimonio indisponibile dello Stato.

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3. Invenzione.
La disciplina dell’invenzione riguarda le cose smarrite (o sottratte al proprietario o da lui dimenticate),
ancora oggetto di proprietà.
Anche tale modo di acquisto della proprietà interessa solo le cose mobili.
Chi trova la cosa non ne acquista la proprietà ma ha l’obbligo di restituirla al proprietario e se non lo
conosce ha l’obbligo di consegnarla immediatamente al sindaco del luogo in cui l’ha ritrovata,
indicando le circostanze del ritrovamento. Il ritrovatore si considera detentore della cosa nell’interesse altrui,
salvo che non la trattenga con l’intenzione di farla propria (in tal caso è possessore di mala fede).
Il sindaco procede così a pubblicizzare il ritrovamento e trascorso 1 anno da tale formalità, il ritrovatore
acquista la proprietà della cosa trovata; il ritrovatore in caso di restituzione della cosa al proprietario ha
diritto a chiedere un premio pari a 1/10 della somma ritrovata.
Particolari norme sono dettate relativamente ai relitti marini e aerei il cui ritrovamento non ne comporta
mai l’acquisto della proprietà da parte del ritrovatore, ma solo il diritto ad un premio.
Un particolare regime è previsto per il ritrovamento del tesoro; tesoro è considerato qualunque cosa mobile
di pregio nascosta o sotterrata, di cui nessuno possa provare di essere proprietario dato il tempo trascorso.
Il tesoro appartiene al proprietario del fondo in cui si trova; il ritrovatore, a condizione che il ritrovamento sia
avvenuto casualmente, ha diritto alla metà del tesoro.

4. Accessione.
L’accessione è intesa in senso lato come un modo di acquisto della proprietà in conseguenza dell’unione di
altre cose alla propria.
L’art. 934 dispone che “qualunque piantagione, costruzione od opera esistente sopra o sotto il suolo
appartiene al proprietario di questo”.
L’acquisto si fonda su un giudizio di preminenza del bene immobile rispetto ai mobili che vi possono essere
incorporati e al risultato dell’opera; per avere l’acquisto l’incorporazione deve essere stabile.
L’acquisto è definitivo qualunque siano le successive vicende interessanti le cose incorporate.
La prevalenza del valore da riconoscere all’opera realizzata rispetto al suolo è alla base della regola
enunciata dall’art. 938 per l’ipotesi di occupazione di porzione di fondo attiguo.
Se nella costruzione di un edificio si sconfina nel terreno attiguo occupandone in buona fede una porzione,
l’autorità giudiziaria può attribuire al costruttore la proprietà dell’edificio e del suolo occupato (a condizione
che il proprietario di quest’ultimo non abbia fatto opposizione entro 3 mesi dall’inizio della costruzione).
Il principio dell’incorporazione funziona in termini inversi rispetto alla regola generale e per tale motivo si
parla di accessione invertita (ossia l’opera attrae la proprietà del suolo su cui insiste).
Tale regola si applica solo ove sia una parte della costruzione ad occupare il fondo altrui; la parte in
questione è essenziale per l’idoneità della costruzione realizzata a svolgere la sua funzione; occorre poi che
l’occupazione sia avvenuta in buona fede. Il soggetto interessato all’acquisizione della proprietà del suolo
occupato ha quindi l’onere di provare la propria buona fede; il costruttore infine è tenuto a pagare al
proprietario del suolo il doppio del valore del suolo occupato, oltre il risarcimento dei danni.

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5. Unione e commistione. Specificazione. Accessioni fluviali.
L’art. 939 disciplina il fenomeno dell’accessione di mobili a mobili, alludendo all’unione e alla
commistione
Se cose (mobili) appartenenti a proprietari diversi sono state unite o mescolate ma sono separabili,
ciascuno dei proprietari conserva la proprietà della sua cosa e ha diritto a chiederne la separazione.
Se le cose sono diventate inseparabili la proprietà ne diventa comune in proporzione al valore delle cose
spettanti a ciascuno.
L’unione può determinare una situazione di separabilità (pietra preziosa e anello) o di inseparabilità
(infisso e vernice).
Tale regola non opera se una delle cose può essere considerata principale o vi è una notevole sproporzione
di valore tra le cose: in tal caso il proprietario della cosa principale acquista la proprietà del tutto.
Il proprietario della cosa principale deve corrispondere un indennizzo pari al valore della cosa che vi è unita
o mescolata; se però l’unione o la mescolanza è avvenuta ad opera del proprietario della cosa unita o
mescolata senza il suo consenso, l’indennizzo è pari alla somma minore tra l’aumento di valore della cosa
principale ed il valore della cosa accessoria.
Il codice ha disciplinato anche l’ipotesi di trasformazione della cosa ad opera dell’uomo; l’art.940
parla al riguardo di specificazione.
Se qualcuno ha adoperato una materia altrui per dar vita ad una cosa nuova ne acquista la proprietà
pagandone il prezzo al proprietario, salvo che il valore della materia sorpassi di molto il valore della
mano d’opera. Solo in tal caso la proprietà della cosa spetta al proprietario di quest’ultima che deve pagare
il prezzo della mano d’opera.
L’accessione di immobile ad immobile è stata disciplinata dal codice con riguardo alle accessioni fluviali;
la materia innovata dalla L. 5.1.1994 n.37 che ha attratto nella sfera del demanio pubblico alcuni degli
incrementi del suolo conseguenti all’azione dell’acqua sul suolo.
Hanno riflessi sulla proprietà privata determinandone l’acquisto: l’alluvione, consistente nelle unioni di terra
e negli incrementi che si formano progressivamente nei fondi di fiumi e torrenti; l’abbassamento del livello
di laghi e stagni che lasci scoperti terreni; l’avulsione consistente nel distacco di una considerevole parte di
un fondo rivierasco e nel relativo trasporto altrove, causato dalla corrente.
Appartengono al demanio pubblico i terreni abbandonati dalle acque correnti che si ritirano da una riva
portandosi sull’altra; le isole e le unioni di terra.

6. Azioni a difesa della proprietà. Azione di rivendicazione.


Il codice disciplina 4 azioni: l’azione di rivendicazione, l’azione negatoria, l’azione di regolamento di
confini, l’azione per apposizione di termini.
Tali azioni che garantiscono le prerogative connesse alla titolarità del diritto sono definite azioni petitorie,
in contrapposizione alle azioni a difesa del possesso (azioni possessorie); esse sono azioni reali in quanto
caratterizzate dalla esperibilità nei confronti di chiunque interferisca con l’esercizio del diritto reale sulla
cosa.
1) L’azione di rivendicazione disciplinata dall’art. 948 può essere esercitata dal proprietario nei confronti
di chiunque possieda o detenga la cosa al fine di ottenerne la restituzione.
Legittimato attivo è il proprietario che non sia in possesso del bene, mentre oggetto dell’azione (petitum)
è la condanna del convenuto (l’attuale possessore o detentore) alla restituzione della cosa,
previo accertamento del diritto di proprietà dell’attore.
Il proprietario può anche agire non per ottenere la restituzione della cosa, ma per rimuovere una situazione di
incertezza sulla titolarità del diritto con un’azione di mero accertamento della proprietà.
L’azione di rivendicazione è dichiarata imprescrittibile; il codice qualifica come imprescrittibile l’azione
diretta al recupero da parte del proprietario delle sue prerogative rispetto al bene.

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L’art. 948 precisa anche che se il convenuto dopo la domanda abbia cessato di possedere o detenere la cosa
(cercando di sottrarsi all’obbligo di restituzione), l’azione può essere proseguita nei suoi confronti e costui
resta obbligato nei confronti dell’attore a recuperare la cosa stessa a proprie spese, o in mancanza a
corrispondergliene il valore oltre a risarcirgli il danno.
La prova per la dimostrazione della proprietà richiesta all’attore si presenta difficile ove costui non possa
dimostrare di avere acquistato a titolo originario.
La dimostrazione di un proprio acquisto a titolo derivativo (ad es. per contratto o testamento) non è
sufficiente; occorre perciò provare che a sua volta, il dante causa abbia validamente acquistato da altri e così
via risalendo fino al soggetto che abbia acquistato a titolo originario cui riferire la serie dei successivi
trasferimenti (cd. probatio diabolica).
L’ordinamento facilita il compito di chi intende dimostrare il proprio diritto di proprietà consentendo di
far valere come modo di acquisto a titolo originario l’intervenuta usucapione attraverso l’invocazione
della successione nel possesso e dell’accessione del possesso per creare una continuità del possesso stesso.
L’accertamento della qualità di proprietario e la condanna alla restituzione sono inopponibili a chi ha
conseguito il possesso o la detenzione successivamente alla domanda; l’attore ove si tratti di proprietà
avente ad oggetto un bene immobile potrà conseguire una simile opponibilità attraverso la trascrizione della
domanda di rivendicazione. Se la domanda non viene accolta, essa potrà essere successivamente riproposta
anche nei confronti dello stesso convenuto.

7. Altre azioni a tutela della proprietà.


2) Al proprietario spetta anche l’azione negatoria in quanto egli può agire per far dichiarare l’inesistenza
di diritti affermati da altri sulla cosa quando abbia motivo di temerne pregiudizio.
Se sussistono anche turbative o molestie il proprietario ne può chiedere la cessazione oltre l’eventuale
risarcimento del danno; l’azione è quindi esperibile contro chi affermi sulla cosa un diritto reale di
godimento su cosa altrui.
Si tratta di un’azione di accertamento negativo, il cui oggetto può eventualmente ampliarsi a finalità di
tipo inibitorio.
L’azione è imprescrittibile in quanto la prova non è rigorosa come quella richiesta in materia di
rivendicazione, bastando che l’attore fornisca la dimostrazione del proprio diritto sulla base di un valido
titolo di acquisto; sarà il convenuto a dover fornire la prova dell’esistenza del suo preteso diritto ove intenda
far valere la titolarità di un diritto limitativo di quello dell’attore.
3) In caso di incertezza del confine tra due fondi ciascuno dei proprietari può chiedere che il confine stesso
sia fissato giudizialmente; si tratta dell’azione di regolamento di confini, anche essa un’azione reale ed
imprescrittibile con natura dichiarativa e ricognitiva.
Essa presuppone l’incertezza del confine che può riguardare o meno una zona di terreno ben delimitata di
cui sia incerta l’appartenenza; tale azione si distingue da quella di rivendicazione in quanto la contestazione
verte sulla delimitazione dei rispettivi fondi.
Ogni mezzo di prova risulta ammesso. Quella in esame è un azione duplice nella quale entrambe le parti
hanno reciprocamente l’onere di provare la rispettiva estensione dei fondi indipendentemente da quale dei
proprietari abbia preso l’iniziativa tendente a rimuovere la situazione di incertezza.
4) Con l’azione di apposizione di termini ciascuno dei proprietari, se tra i fondi contigui mancano o sono
diventati irriconoscibili i termini, ha diritto di chiedere che essi siano apposti o ristabiliti a spese comuni.
Essa presuppone invece la certezza dei confini ma la mancanza di segni (pali, siepi) che li attestino con
chiarezza al fine di evitare future incertezze e contestazioni. E’ anche essa considerata un’azione duplice
poiché può essere iniziata da uno qualunque dei proprietari dei fondi contigui e l’interesse che tende a
soddisfare è comune.
Per quanto riguarda la natura di tale azione si ritiene che essa abbia carattere personale, tenendo a costringere
il vicino a partecipare alla spesa necessaria per l’apposizione dei termini.

110
8. Azioni di nunciazione.
Le azioni di nunciazione competono al proprietario (anche se non si trovi nel possesso del bene), al titolare
di altro diritto reale di godimento su cosa altrui e al possessore.
Sono azioni cautelari indirizzate a prevenire il pericolo di danni derivanti da opere intraprese o da cose
esistenti su altri fondi. Le due azioni di nunciazione sono:
1)La denunzia di nuova opera per cui chi teme che da una nuova opera intrapresa da altri su un proprio
fondo o su un fondo altrui possa derivare danno ad una sua cosa, può denunziare all’autorità giudiziaria la
nuova opera, purché non sia terminata e non sia trascorso un anno dal suo inizio.
2) Con la denunzia di danno temuto, chi teme che da qualsiasi edificio, albero o altra cosa derivi il pericolo
di un danno grave e prossimo ad una sua cosa, può denunziare il fatto all’autorità giudiziaria ed ottenere che
si provveda per ovviare al pericolo; tale azione presuppone una situazione dei luoghi dalla quale si ha
ragione di temere un danno ove non si intervenga su di essa.
Le azioni di nunciazione si caratterizzano per la presenza di due fasi; la prima di carattere cautelare in
quanto rivolta ad assicurare gli effetti della futura decisione con l’emanazione di provvedimenti provvisori
ed urgenti, e la seconda potrà essere di natura petitoria o possessoria a seconda della natura della situazione
giuridica dedotta in giudizio a fondamento dell’azione.

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CAPITOLO 3 – DIRITTI REALI DI GODIMENTO SU COSA ALTRUI
1.La categoria. La tutela; 2. Superficie; 3. Enfiteusi; 4. Usufrutto; 5. Uso e abitazione; 6. Servitù prediali.
Caratteri e tipologia; 7. Servitù coattive (o legali); 8. Servitù volontarie; 9. Usi civici e proprietà collettive;
10. Oneri legali.

1.La categoria. La tutela.


Nel quadro dei diritti assoluti, la categoria dei diritti reali abbraccia da una parte la proprietà e dall’altra
i diritti reali su cosa altrui relativamente ai quali si distingue a seconda del tipo di interesse tutelato,
tra diritti reali di godimento e diritti reali di garanzia.
I diritti reali di godimento conferiscono al titolare la possibilità di esercitare sulla cosa di proprietà di altri
facoltà di godimento che tipicamente rientrano nel contenuto del diritto di proprietà di cui determinano una
compressione
I diritti reali di garanzia (pegno ed ipoteca) invece conferiscono al creditore che ne sia titolare, il diritto di
essere soddisfatto con preferenza rispetto agli altri creditori, sul valore del bene oggetto del relativo diritto.
I diritti reali di godimento su cosa altrui sono definiti come diritti reali limitati o parziari.
Per rappresentare la situazione conseguente alla costituzione di un diritto reale limitato si allude ad una
compressione del diritto di proprietà il cui carattere di elasticità sta nel riespandersi e riappropriarsi
di ogni potenzialità di sfruttamento delle utilità del bene.
Proprio perché i diritti reali limitati si risolvono in una stabile compressione del diritto di proprietà, si è
affermato il principio di tipicità con conseguente inammissibilità della creazione di nuove figure ad opera
dei privati.
Caratteristica del diritto reale è l’immediatezza in quanto al titolare è consentito di realizzare il suo
interesse direttamente sulla cosa attraverso l’esercizio di facoltà e dei poteri conferiti dall’ordinamento
rispetto alla cosa stessa.
I diritti reali limitati si estinguono per confusione quando si riunisce la titolarità della proprietà di uno di tali
diritti nella stessa persona (come nel caso in cui il proprietario del fondo servente acquisti la proprietà di
quello dominante); si tratta di situazioni giuridiche che assumono significato proprio rispetto al diritto del
proprietario, come relativi limiti, con la conseguenza dell’inconcepibilità della titolarità della proprietà e del
diritto che la limita.
La tutela del titolare dei diritti reali limitati è tradizionalmente affidata all’azione confessoria che tende a far
riconoscere l’esistenza del diritto stesso tanto nei confronti del proprietario quanto nei confronti di chiunque
ne contesti l’esercizio.
Il codice civile disciplina nell’ordine, superficie, enfiteusi, usufrutto, uso, abitazione e servitù prediali.

2. Superficie.
Il fenomeno che il legislatore ha regolato con la disciplina del diritto di superficie è quello della proprietà
delle costruzioni separata dalla proprietà del suolo su cui insistono tali costruzioni.
Si tratta di una divisione orizzontale della proprietà, il principio per cui tutte le costruzioni che insistono
sul suolo appartengono al proprietario.
Il codice distingue due situazioni del diritto di superficie. L’art. 952 prevede la costituzione del diritto di
fare e mantenere una costruzione al di sopra del suolo da parte del proprietario del suolo, a favore di altro
che ne acquista la proprietà. Si parla a riguardo di concessione di costruzione come diritto reale di
godimento su cosa altrui; a seguito dell’effettuazione della costruzione il titolare del diritto in questione
(superficiario) acquista la proprietà della costruzione la quale in quanto separata dalla proprietà del suolo, è
definita proprietà superficiaria. Per l’art. 952 è consentito al proprietario di una costruzione già esistente,
di alienarla separatamente dalla proprietà del suolo su cui essa insiste determinando la situazione diproprietà
superficiaria.

112
La costituzione del diritto di superficie può riguardare anche costruzioni al di sotto del suolo altrui;
la costituzione può essere fatta a tempo indeterminato o determinato; in quest’ultimo caso, allo scadere del
termine, a seguito dell’estinzione del diritto di superficie, il proprietario del suolo diventa proprietario della
costruzione. Il diritto di superficie può essere acquistato per contratto o per testamento; nella prima
ipotesi, trattandosi di diritto reale relativo ad un immobile, il contratto avrà la forma scritta sotto pena di
nullità ed è soggetto a trascrizione.
Come conseguenze dell’estinzione del diritto di superficie per scadenza del termine, è previsto da un lato,
che essa comporti l’estinzione dei diritti reali eventualmente costituiti dal superficiario sulla
costruzione; e dall’altro, che i diritti gravanti sul suolo si estendano alla costruzione, escludendo
l’ipoteca.
Il diritto di superficie non si estingue in conseguenza del perimento della costruzione; il diritto di costruire
sul suolo altrui in quanto considerato diritto reale di godimento su cosa altrui si prescrive per effetto del non
uso protratto per 20 anni. Da ciò deriva che il superficiario la cui costruzione sia perita può entro tale limite
di tempo, ricostruire anche sul suolo altrui. Il perimento della costruzione determina una sorta di
riviviscenza del diritto di superficie come diritto di fare la costruzione sul suolo altrui.

3. Enfiteusi.
L’istituto dell’enfiteusi molto diffuso per lo sfruttamento delle terre nei tempi e luoghi in cui dominava il
latifondo fu radicalmente escluso dal code civil.
Il codice civile del 1942 rivitalizzò l’enfiteusi ritenendola utile nell’interesse generale (interesse individuato
in quello del miglioramento dei fondi e dell’incremento della produzione nazionale) se opportunamente
disciplinata in modo da realizzare un adeguato bilanciamento tra gli interessi delle parti.
L’enfiteusi anche se finalizzata all’organizzazione dell’assetto produttivo dei fondi rustici, può avere come
oggetto anche fondi urbani per rassicurarne lo sfruttamento edilizio.
Circa la sua configurazione tradizionale, il proprietario (concedente) cede il godimento di un immobile
(di solito un fondo rustico) ad un altro soggetto (enfiteuta) che acquista su di esso facoltà e poteri
corrispondenti a quelli spettanti al proprietario, con l’obbligo di migliorare il fondo e di pagare un canone.
La durata dell’enfiteusi può essere perpetua o temporanea; la durata minima è fissata in 20 anni, poiché
una inferiore non risponde a tali finalità.
L’enfiteuta ha innanzitutto l’obbligo di migliorare il fondo connesso con la funzione economica stessa
dell’istituto; inoltre l’enfiteuta ha l’obbligo di pagare un canone consistente in una somma di danaro o in
una quantità fissa di prodotti naturali senza poterne mai pretendere una remissione o riduzione in
conseguenza di eventi concernenti la produzione.
L’enfiteusi può essere costituita per contratto o testamento; nel caso di contratto richiede la forma scritta
sotto pena di nullità ed è soggetto a trascrizione; l’enfiteuta può inoltre disporre del proprio diritto sia
per atto tra vivi che per testamento.
Non è ammessa la subenfiteusi; in quanto possessore, sono esperibili le azioni possessorie da parte
dell’enfiteuta.
Il concedente ha diritto di richiedere la ricognizione del proprio diritto da chi si trova nel possesso del
fondo enfiteutico 1 anno prima del compimento del ventennio per evitare al proprietario la perdita del suo
diritto.
Tra le cause di estinzione dell’enfiteusi troviamo il perimento totale del fondo nonché la prescrizione
per non uso protratto di 20 anni. Nell’enfiteusi un ruolo centrale assumono come modi di cessazione del
rapporto l’affrancazione e la devoluzione, aventi effetti opposti.
1)Il diritto di affrancazione (o riscatto) è il potere dell’enfiteuta di conseguire la proprietà del fondo
mediante la corresponsione al concedente di una somma di danaro. Ai sensi dell’art. 972 l’affrancazione
prevale in ogni caso sulla devoluzione a prescindere dalla gravità degli inadempimenti dell’enfiteuta.

113
2) Al concedente compete il diritto di devoluzione, ossia il potere di far cessare il rapporto di enfiteusi sul
fondo; tale potere viene considerato un diritto potestativo giudiziale. La devoluzione può essere chiesta in
due casi: se l’enfiteuta deteriora il fondo o non lo migliora e se l’enfiteuta è in mora nel pagamento di
due annualità del canone.

4. Usufrutto.
L’usufrutto ha rappresentato un diffuso modello di configurazione giuridica dei modi di godimento dei beni.
La dissociazione che esso comporta tra la proprietà del bene e le facoltà di relativo godimento rende l’istituto
inadeguato alle esigenze di un’economia dinamica come quella attuale.
Tale situazione emerge con chiarezza dall’art. 981, relativo al contenuto del diritto di usufrutto.
L’usufruttuario ha diritto di godere della cosa traendone tutte le utilità che essa offre, spettandogli tutti i
frutti naturali e civili per la durata del suo diritto. Per essere messo in grado di realizzare le utilità che gli
spettano, egli ha diritto a conseguire il possesso della cosa.
La tradizionale definizione della figura del proprietario è quella di nudo proprietario.
L’usufruttuario deve rispettare la destinazione economica della cosa in quanto non può mutare
l’organizzazione produttiva rispetto a quella operata dal proprietario.
La temporaneità è caratteristica fondamentale dell’usufrutto in quanto ne limiti gli inconvenienti
sul piano economico. La sua durata non può eccedere la vita dell’usufruttuario.
L’usufrutto non è mai ereditariamente trasmissibile da parte dell’usufruttuario e se ceduto, si estingue con
la morte del soggetto a cui favore sia stato originariamente costituito.
E’ espressamente vietata la disposizione mortis causa con cui l’usufrutto sia lasciato a più persone
successivamente (ad un soggetto e, alla sua morte, ad un altro soggetto: cd. usufrutto successivo), poiché
tale disposizione favorisce solo chi si trovi alla morte del testatore, chiamato per primo a goderne.
Si tende a ammettere ciò invece in caso di atto tra vivi a titolo oneroso, in quanto si ritiene che la
costituzione possa avvenire a favore di più persone già viventi al momento della costituzione.
L’art. 978 stabilisce che l’usufrutto si costituisce per legge o volontariamente (per atto tra vivi, a titolo
oneroso o gratuito, oppure per testamento) e può acquistarsi anche per usucapione.
L’usufrutto può avere ad oggetto qualsiasi bene, mobile o immobile, comprese le universalità di fatto
(ad es. un gregge o una mandria) e quelle di diritto (eredità). In caso di miglioramenti l’usufruttuario ha
diritto ad un’indennità dove questi sussistano al momento della restituzione della cosa.
Se l’usufrutto comprende cose deteriorabili (vestiti, apparecchi elettrici) l’usufruttuario può servirsene
normalmente, dovendole restituire nello stato in cui si trovavano alla fine dell’usufrutto.
L’usufruttuario può avere ad oggetto anche cose consumabili come le derrate alimentari (quasi usufrutto);
in questo caso l’usufruttuario ha diritto di servirsi di esse (potendole consumare) in quanto ne acquista la
proprietà, con l’obbligo di pagarne il relativo valore al termine dell’usufrutto secondo la stima convenuta.
L’usufruttuario può cedere ad altri il suo diritto per un certo tempo o per tutta la sua durata, purché ciò non
sia vietato dal titolo costitutivo (cessione dell’usufrutto); il contratto di cessione dell’usufrutto su beni
immobili deve avere la forma scritta ed è soggetto alla trascrizione.
L’usufruttuario che prende le cose nello stato in cui si trovano (acquistandone il possesso), ha l’obbligo di
restituire le cose oggetto del suo diritto al termine di esso, e nel loro godimento deve usare la diligenza del
buon padre di famiglia; inoltre è tenuto a sue spese a fare l’inventario dei beni.
L’usufruttuario deve effettuare le spese per la custodia, l’amministrazione e la manutenzione ordinaria,
mentre il proprietario effettua le spese per la manutenzione straordinaria ed ha però diritto a ricevere i
relativi interessi finché dura l’usufrutto.
E’ tenuto inoltre al pagamento dei carichi annuali nonché a denunciare al proprietario le eventuali
usurpazioni sul fondo commesse da terzi. A tutela del suo diritto, l’usufruttuario può esercitare l’azione
confessoria, competendogli in quanto possessore l’esercizio delle azioni possessorie.

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Ha inoltre il diritto di ritenzione sui beni fino al rimborso delle somme a lui dovute dal proprietario per
anticipazioni effettuate in sua vece. Il proprietario può ovviamente cedere ed ipotecare il suo diritto (nuda
proprietà) e fa propri sia il tesoro che gli alberi di alto fusto.
L’estinzione dell’usufrutto si verifica per scadenza del termine eventualmente apposto ad esso, nonché per
morte dell’usufruttuario, per prescrizione per non uso protratto di 20 anni o ancora per riunione
dell’usufrutto e della proprietà nella stessa persona; per perimento totale della cosa.
L’usufrutto può cessare anche dove l’usufruttuario abusi del suo diritto, alienando i beni, deteriorandoli o
lasciandoli perire per mancanza di ordinarie riparazioni.
La cessazione avviene a seguito di un provvedimento giudiziale.

5. Uso e abitazione.
L’uso e l’abitazione sono diritti reali su godimento altrui affini all’usufrutto. Caratteristica di tali diritti
è il loro carattere strettamente personale dato che non possono essere ceduti o dati in locazione; sono
temporanei in quanto limitati alla vita del soggetto e possono essere costituiti anche essi per contratto e
testamento.
Il titolare del diritto d’uso può servirsi della cosa di cui gli compete il possesso, e se essa è fruttifera può
fare suoi i frutti, nei limiti di quanto occorra per soddisfare i suoi bisogni e della sua famiglia; bisogni che
devono essere valutati tenendo presente la condizione sociale del titolare.
Il diritto di abitazione è un peculiare diritto d’uso che conferisce al titolare la possibilità di abitare la casa
che ne costituisce oggetto limitatamente ai bisogni suoi e della sua famiglia. Per il suo carattere reale il
diritto in questione si distingue dalla situazione derivante dalla locazione.

6. Servitù prediali. Caratteri e tipologia.


Le servitù si definiscono prediali in quanto la relativa titolarità si ricollega alla proprietà su un fondo
(praedium). La servitù prediale consiste qui nel peso imposto su un fondo per l’utilità di un altro fondo
appartenente a diverso proprietario.
Il rapporto intercorre tra due fondi (quello dominante destinato a godere dell’utilità e quello servente
gravato dal relativo peso) piuttosto che tenendo presenti le posizione dei proprietari dei due fondi.
Al proprietario del fondo dominante (il titolare) è riconosciuto l’esercizio di facoltà di godimento sul fondo
servente di proprietà altrui, per trarne una determinata utilità. Il codice vigente ha esteso l’ambito delle
servitù prevedendo non solo che l’utilità possa consistere nella maggiore comodità o serenità del fondo
dominante, ma anche che essa possa essere inerente alla destinazione industriale del fondo (servitù
industriali); nel caso di servitù industriali, la figura della servitù ricorre solo dove l’industria sia
inscindibilmente legata al fondo e alla sua destinazione economica.
L’utilità deve essere obiettiva, ossia consistere in un vantaggio che il fondo dominante trae dal fondo
servente riconducibile alla sua destinazione economica; l’esistenza delle servitù serve per conferire ai fondi
una vera e propria qualità (positiva per il fondo dominante, negativa per quello servente), spettando l’utilità
da essa offerta al fondo di cui accresce il valore.
Lo stesso criterio viene utilizzato quando l’utilità in gioco consiste nella maggiore comodità o amenità per
distinguere la ricorrenza di una servitù prediale da un rapporto di natura personale tra le parti, di carattere
obbligatorio e non reale (si parla a riguardo di servitù personali o irregolari). Il proprietario di un fondo
può pattuire col proprietario del fondo vicino il diritto di passeggiare o cavalcare nel suo bosco.
L’art. 1029 consente che la servitù sia costituita per assicurare al fondo un vantaggio futuro.
Perché possa realizzarsi l’utilità caratterizzante la servitù, i fondi devono essere sufficientemente vicini,
anche se non necessariamente contigui; la stessa utilità deve avere un carattere durevole nel tempo.
L’utilità per i fondi può anche essere reciproca: tali servitù reciproche sono frequenti nel caso di
lottizzazioni di aree edificabili.

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Come qualità del fondo, la servitù non può essere trasmessa separatamente: con l’alienazione del fondo
si trasferiscono automaticamente le servitù attive e passive ad esso inerenti (inscindibilità della servitù).
Altro carattere della servitù è quello della indivisibilità, in quanto considerata inerente nella sua interezza,
all’intero fondo; da ciò si deduce che la servitù non può costituire oggetto di comunione.
L’art. 1071 prevede che se il fondo dominante viene diviso la servitù spetta ad ogni porzione per l’intero;
la stessa regola vale per il fondo servente (in caso di sua divisione, la servitù spetta per intero su ciascuna
porzione).
Gli interessi possono dar vita a servitù conformi alle proprie esigenze; il principio di tipicità di diritti reali
comporta che ci si dovrà sempre muovere entro lo schema proposto con particolare riferimento alla
necessaria ricorrenza di un’utilità. Per tale principio la servitù non si può mai risolvere nell’imposizione di
un comportamento positivo al proprietario del fondo servente, che invece può solo essere tenuto ad un
comportamento negativo, consistente nel sopportare (pati) o nel non fare (non facere).
Il titolare della servitù è tutelato con l’azione confessoria e può farne riconoscere in giudizio l’esistenza
contro chi ne contesti l’esercizio (erga omnes) e può far cessare eventuali impedimenti e turbative.
Risulta inoltre possibile operare alcune distinzioni di fondo tra le servitù:
a)E’prevista la distinzione tra servitù apparenti e non apparenti fondata sull’esistenza o meno di opere
divisibili e permanenti destinate all’esercizio della servitù; l’opera deve consistere in segni materiali
denotanti l’esistenza della servitù, per far risultare inequivoca la funzionalità per il relativo esercizio.
Non apparenti sono invece servitù come quelle di pascolo, di passaggio, di non edificare o sopraelevare.
b) Si distingue poi tra servitù continue e discontinue: per l’esercizio delle servitù continue non è necessario
il fatto dell’uomo (ossia il compimento di un apposito atto di godimento da parte del titolare); continue
sono le servitù apparenti, come quella di acquedotto, o servitù non apparenti, come quella di non
sopraelevare, mentre discontinue sono servitù apparenti come quella di via, o servitù non apparenti,
come quella di pascolo.
c) Inoltre si distingue tra servitù positive (o affermative) e negative. Nelle servitù positive il fondo
servente deve sopportare un’attività positiva di ingerenza del fondo dominante sul fondo del proprietario
(via, passaggio, pascolo). Le servitù negative precludono al proprietario del fondo servente l’esercizio di
facoltà inerenti al suo diritto di proprietà (ad es. non edificare o sopraelevare).
d) Fondamentale è la distinzione tra servitù coattive e volontarie di cui parleremo nel paragrafo successivo.

7. Servitù coattive (o legali).


Le servitù coattive o legali possono essere imposte al proprietario di un fondo a prescindere dal suo
consenso; ciò si verifica in dipendenza di una previsione legislativa ricollegata alla valutazione delle
peculiari esigenze di un altro fondo in modo da renderne necessaria la costituzione a suo vantaggio.
Secondo l’art. 1032, quando il proprietario di un fondo ha diritto di ottenere la costituzione di una
servitù a carico di un altro fondo, la servitù è costituita con una sentenza.
Nei casi previsti dalla legge la costituzione può avvenire anche con un atto amministrativo; ove la
costituzione avvenga con sentenza, questa stabilisce le modalità delle servitù e determina l’indennità
dovuta al proprietario del fondo servente come compenso per la perdita di valore che il fondo stesso subisce.
Al proprietario del fondo servente è attribuito il potere di opporsi all’esercizio della servitù prima del
pagamento di tale indennità.
La disciplina delle servitù coattive si presenta peculiare in relazione all’ estinzione.
Se il diritto alla loro costituzione si ricollega ad una valutazione di necessità legata alla particolare situazione
del fondo, il venire meno delle condizioni di legge ne consente la soppressione su istanza della parte
interessata; tale soppressione che non impedisce una nuova costituzione coattiva, nel caso in cui le
condizioni di legge si ripresentino, avviene con sentenza di carattere costitutivo.

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Un accenno merita la servitù di passaggio coattivo prevista nel caso in cui un fondo sia circondato da fondi
altrui (intercluso) e non abbia accesso alla via pubblica. Il passaggio deve essere stabilito nella parte in cui la
distanza sia minore ed in modo da minimizzare il danno per il fondo servente. La servitù può essere costituita
anche per consentire l’ampliamento del passaggio già esistente sul fondo altrui, per evitare il transito ad ogni
specie di veicoli. Sono esenti dal passaggio coattivo le case, i cortili ed i giardini adiacenti alle aie.

8. Servitù volontarie.
La costituzione delle servitù volontarie può avvenire a titolo derivativo, per contratto (che deve avere
forma scritta ed è soggetto a trascrizione) o per testamento.
Per costituire una servitù su un fondo in comune occorre il consenso di tutti i comproprietari; l’acquisto
può avvenire per usucapione e destinazione del padre di famiglia: l’usucapione è prevista come modo di
acquisto a titolo originario delle servitù apparenti, mentre la destinazione del padre di famiglia rappresenta
un peculiare modo di acquisto delle servitù, anche esso relativo a quelle apparenti.
La costituzione per destinazione del padre di famiglia ha luogo tra due fondi appartenenti a proprietari
diversi ma originariamente dello stesso proprietario, quando la situazione dei luoghi posta in essere da tale
soggetto prima della divisione dei fondi, corrisponda al contenuto di una servitù.
In tal caso, la servitù nasce automaticamente senza necessità di un apposito atto di volontà, in conseguenza
della situazione obiettiva di assoggettamento di un fondo nei confronti dell’altro e della cessazione di
appartenenza allo stesso proprietario. E’ essenziale la comune appartenenza allo stesso proprietario che abbia
destinato un fondo al servizio dell’altro, ponendo in essere uno stato di fatto dei luoghi corrispondente al
contenuto di una servitù.
Circa l’esercizio della servitù, le norme dettate dal codice hanno carattere suppletivo dato che operano solo
in mancanza della relativa regolamentazione da parte del titolo costitutivo. Con la servitù si acquistano anche
le facoltà accessorie necessarie per il suo esercizio, senza le quali non potrebbe realizzarsi l’utilità che
costituisce il fondamento della servitù; l’esercizio deve essere conforme al titolo oppure al possesso, ossia al
modo in cui la servitù è esercitata. Circa le modalità di esercizio della servitù vale il principio del
contemperamento degli interessi delle parti interessate.
La servitù non può essere unilateralmente modificata: il proprietario del fondo dominante non può fare
innovazioni che aggravino la situazione del fondo servente ed il proprietario di quest’ultimo non può operare
per diminuirne esercizio. Sussiste solo una limitata possibilità di trasferimento della servitù ad iniziativa
unilaterale dei proprietari dei fondi interessati, a condizione che risulti assicurato un equo bilanciamento tra
gli interessi in gioco
L’estinzione della servitù può verificarsi per confusione, ossia quando in una sola persona si riunisce la
qualità di proprietario del fondo dominante e di quello servente; si estinguono poi per rinunzia del titolare
(proprietario del fondo dominante), per prescrizione e per impossibilità di uso e mancanza di utilità per
20 anni.
L’art. 1073 disciplina l’operatività della prescrizione per non uso ventennale, a seconda dei diversi tipi di
servitù. Se si tratta di servitù negativa o continua (per il cui esercizio non è necessario il fatto dell’uomo),
il termine decorre dal giorno in cui si è verificato un fatto che ne abbia impedito l’esercizio.
Se si tratta invece di servitù discontinua (il cui esercizio è collegato a comportamenti del titolare) il termine
decorre dall’ultimo atto di esercizio (per una servitù di passaggio, dal momento dell’ultimo transito).
Ove la servitù sia intermittente (da esercitare cioè ad intervalli), il termine decorre dal giorno in cui la
servitù si sarebbe potuta esercitare e non ne fu ripreso l’esercizio (ad es. per una servitù di pascolo, il termine
decorre dall’inizio della stagione successiva in cui il pascolo si sarebbe potuto riprendere).
Quanto alla impossibilità di uso e mancanza di utilità, l’art. 1074 stabilisce che l’impossibilità di fatto di
usare la servitù e il venir meno dell’utilità della stessa, non determinano l’estinzione della servitù, se non per
decorso del termine ventennale di prescrizione.

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Se l’impossibilità cessi e l’utilità si ripresenti prima del compimento dei 20 anni, lo stato di inattività della
servitù viene meno e il decorso del termine di prescrizione si interrompe; fin quando il ripristino di esercizio
del diritto si presenta possibile, il diritto di servitù continua ad esistere. Non solo non determina l’estinzione
ma neppure una modificazione riduttiva della servitù, la quale si conserva per intero indipendentemente dal
motivo di tale minore utilizzazione. L’esercizio della servitù in tempo diverso da quello determinato dal
titolo o dal possesso, non ne impedisce l’estinzione per prescrizione

9. Usi civici e proprietà collettive.


Gli usi civici sono diritti spettanti su proprietà altrui a coloro che appartengono a determinate collettività di
persone; le limitate facoltà di godimento su proprietà private o pubbliche sono riconosciute al singolo
soggetto in quanto membro di una comunità legata ad un territorio.
Si tratta di facoltà di godimento che si ricollegano ad una organizzazione della società non più attuale.
Tali diritti rappresentano una limitazione gravante su taluni fondi soprattutto in alcune zone del paese;
questo perché alla natura pubblicistica che li contraddistingue si ricollegano i caratteri di inalienabilità e
imprescrittibilità: di qui la tendenza ad eliminarli, consentendo la liberazione dei fondi da essa gravati
mediante il pagamento di somma di danaro da destinare a beneficio delle comunità che ne risultano ancora
titolari.
Dagli usi civici si distinguono forme di antiche proprietà collettive (su terreni di proprietà della stessa
collettività di beneficiari); anche in tali ipotesi il godimento spetta sulla base dell’appartenenza a determinate
comunità ristrette ed è organizzato turnariamente.

10. Oneri legali.


L’ onere reale consiste in un vincolo gravante su un bene immobile in virtù del quale, chi si trova nel
relativo godimento deve eseguire una prestazione periodica a favore di un altro soggetto.
In ciò è da ravvisare la distinzione rispetto alle servitù, nelle quali l’obbligo di effettuare una prestazione (da
parte del proprietario del fondo servente) ha carattere accessorio.
Alla figura dell’onere reale si ricollegano i livelli, quali residui del riconoscimento di antichi domini sui
fondi. Caratteristica dell’onere reale è l’immediatezza (oltre all’assolutezza), quale potere del titolare di
soddisfarsi sulla cosa, con conseguente possibile esercizio di un’azione reale.
Il carattere reale del vincolo viene ricollegato anche al peculiare modo di presentarsi della responsabilità di
chi si trovi a godere del bene che ne è gravato; costui risponde pure delle prestazioni maturate
precedentemente all’instaurazione del suo rapporto con il bene stesso.
Si ritiene che egli risponda limitatamente al valore del bene, in ciò ravvisandosi una significativa differenza
rispetto alle obbligazioni reali (o propter rem), in relazione alle quali opera il principio generale della
responsabilità patrimoniale del debitore.
Vale per gli oneri reali il principio di tipicità (numerus clausus), per cui non è consentito agli interessati
costituirne al di fuori delle ipotesi legislativamente previste.

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CAPITOLO 4 – COMUNIONE
1.Comunione. 2. Condominio negli edifici; 3. Multiproprietà.

1.Comunione.
La comunione è la situazione che si determina quando la proprietà o altro diritto reale spetta in comune a più
persone. Se si ritiene inammissibile la coesistenza di più diritti di proprietà sullo stesso bene, è consentita la
contitolarità dello stesso diritto sul bene da parte di una pluralità di soggetti.
Il fenomeno che ne risulta è la concorrenza di una pluralità di interessi individuali della stessa natura,
assicurando che l’esercizio delle facoltà di godimento inerenti alla proprietà non ne risulti pregiudicato.
L’origine della situazione di comunione può essere diversa; si parla di comunione volontaria quando sorge
per volontà delle parti (come nel caso di acquisto insieme di una cosa), incidentale quando sorge
indipendentemente dalla volontà delle parti e forzosa quando è imposta dalla legge e non ne è ammesso lo
scioglimento.
Per regolamentare la partecipazione di ciascuno alla contitolarità del diritto l’ordinamento ricorre al concetto
di quota. Il diritto di ogni partecipante ha come oggetto la cosa nel suo insieme e non una sua parte
specifica, ma questo viene limitato dal concorso del diritto spettante a ciascuno degli altri contitolari.
Il concorso dei partecipanti ai quali spetta la proprietà sulla cosa è determinato in proporzione alle rispettive
quote; tale situazione viene definita per ciascun partecipante come diritto ad una quota ideale della cosa,
intendendosi con ciò che non si tratta di diritto su una parte della cosa in senso fisico.
Il diritto alla quota si traduce in seguito allo scioglimento della comunione ed alla conseguente divisione.
La quota indica la misura della partecipazione di ciascun contitolare al diritto sul bene: per motivi di
opportunità le quote dei partecipanti alla comunione si presumono eguali. Ciascun partecipante può cedere
ad altri il godimento della cosa nonché costituire ipoteca sulla propria quota.
Al modello di comunione si contrappone quello di comunione a mani riunite che si caratterizza per la
mancanza del riferimento alla quota come criterio di misura della partecipazione di ciascuno al diritto.
Quanto alla utilizzazione della cosa comune ogni partecipante può utilizzarla individualmente rispettando
l’analogo diritto di godimento che compete agli altri partecipanti; ogni partecipante può anche apportare
modificazioni necessarie a migliorare il godimento della cosa a proprie spese.
Per trasformare il compossesso in possesso esclusivo occorre un comportamento che denoti l’intenzione di
possedere in maniera esclusiva il bene; ciascun contitolare è tenuto a partecipare alle spese necessarie per
la conservazione ed il godimento della cosa comune in proporzione della propria quota.
L’amministrazione della cosa comune spetta collettivamente a tutti i partecipanti secondo il principio
maggioritario; per gli atti di ordinaria amministrazione è sufficiente che le deliberazioni provengano dalla
maggioranza dei partecipanti calcolata secondo il valore delle rispettive quote, purché tutti siano stati
informati del relativo oggetto.
All’autorità giudiziaria si potrà rivolgere ciascun partecipante nel caso in cui non vengano presi i
provvedimenti necessari all’amministrazione della cosa comune; potrà essere adottato a maggioranza un
regolamento per l’ ordinaria amministrazione e per il migliore godimento della cosa comune, nonché
nominato un amministratore.
Il regolamento può essere impugnato davanti all’autorità giudiziaria dai partecipanti dissenzienti.
Con una maggioranza qualificata si possono disporre innovazioni dirette a migliorare la cosa ed il suo
godimento purché non importino una spesa troppo gravosa, e si possono compiere gli atti eccedenti
l’ordinaria amministrazione. L’autorità giudiziaria chiamata ad intervenire in mancanza di accordo può
stabilire una congrua dilazione non superiore a 5 anni.
Il partecipante ha il diritto di chiedere in ogni momento lo scioglimento della comunione e la conseguente
divisione: le parti possono peraltro obbligarsi a rimanere in comunione per un tempo non superiore a 10
anni; se tale patto di indivisibilità è stato stipulato per una durata maggiore, questa si riduce a 10 anni.

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L’autorità giudiziaria può anche ordinare lo scioglimento anticipato della comunione; tale scioglimento non
si può chiedere se si tratti di cose che, ove divise, cesserebbero di servire all’uso cui sono destinate.
La divisione ha luogo in natura, ove la cosa sia comodamente divisibile in parti corrispondenti alle quote dei
partecipanti.

2. Condominio negli edifici.


Il codice detta una dettagliata disciplina per il condominio negli edifici, in considerazione della rilevanza
sociale del fenomeno della proprietà degli edifici divisi per piani; si tratta di un peculiare modo di atteggiarsi
della proprietà che si realizza negli edifici.
Ciascuno ha la proprietà individuale di un piano o porzione di piano ed è allo stesso tempo contitolare della
proprietà delle parti comuni dell’edificio.
Il supercondominio (condominio complesso o orizzontale) rappresenta la situazione in cui vengono a
trovarsi più edifici che abbiano spazi in comune (portineria, parcheggi), servizi (portierato, pulizia) o
impianti (idraulici, di riscaldamento). Sono oggetto di comunione il suolo, le fondamenta, i muri maestri, i
tetti, la lavanderia, i pozzi, le cisterne ed in genere tutte le parti necessarie all’uso comune.
Si tratta di una comunione forzosa per cui ciascun condomino può servirsi di tali parti comuni
compatibilmente con il pari diritto di servirsene agli altri, ma non può chiederne la divisione;
il diritto di ciascun condomino su tali cose è proporzionato al valore del piano o della porzione di piano che
gli appartiene; egli non può sottrarsi alle relative spese rinunziando al proprio diritto su di esse.
E’ prevista la presenza di un amministratore quando i condomini siano più di 4; la relativa nomina può
essere effettuata, in mancanza di accordo in assemblea, dall’autorità giudiziaria su ricorso di uno o più
condomini. Se composto da meno di 5 condomini, si parla di piccolo condominio o condominio minimo
(locuzione spesso impiegata per indicare i condomini con solo 2 partecipanti).
Se i condomini sono più di 10, è obbligatoria la formazione di un regolamento condominiale (una sorta di
statuto del condominio), che contempli le norme per l’uso della cosa comune e per la ripartizione delle
spese; al regolamento condominiale è demandata la determinazione del valore delle proprietà individuali e
quantificandolo in millesimi.
L’organo collegiale del condominio cui sono riconosciuti ampi poteri (approvazione del regolamento
condominiale, nomina e conferma dell’amministratore) è rappresentato dall’assemblea dei condomini.
Per la sua costituzione e per le sue deliberazioni il codice detta una disciplina fondata sulla rilevanza di
2 criteri: il valore complessivo dell’edificio e il numero di partecipanti al condominio.
Tutti i condomini devono essere invitati alla riunione; è richiesto un quorum (numero minimo di condomini
partecipanti all’assemblea) e le maggioranze sono diverse a seconda del tipo di deliberazione da adottare.
Le deliberazioni dell’assemblea sono obbligatorie per tutti i condomini, ma ne è prevista la possibile
impugnazione da parte dei condomini dissenzienti o assenti, con ricorso all’autorità giudiziaria entro 30
giorni; le deliberazioni che incidono sui diritti individuali dei condomini sono invece impugnabili in ogni
tempo. Le spese sono ripartite tra i condomini in proporzione al valore della proprietà di ciascuno con un
diverso criterio nel caso di cose destinate a servire i condomini in misura differente. Il diritto di sopraelevare
l’edificio è riservato al proprietario dell’ultimo piano o a chi risulti proprietario esclusivo del lastrico solare,
previo indennizzo agli altri condomini.

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3. Multiproprietà.
Con tale espressione si indica l’attribuzione ad un soggetto del godimento ciclico di locali idonei ad una
utilizzazione turistica, per un certo periodo ogni anno, La problematica del godimento turnario di una unità
immobiliare ha interessato il mercato delle seconde case in località a vocazione turistica nel tentativo di
stimolare il mercato in tale settore.
Il modello cui meglio si adatta la qualifica di multiproprietà è quello della multiproprietà immobiliare
(o reale) la cui natura giuridica è stata molto discussa. Le diverse tesi prospettate hanno fatto riferimento alla
comunione, alla delineazione di un nuovo tipo di proprietà. La ricostruzione più diffusa è quella che accosta
il fenomeno alla comunione, caratterizzata dalla indivisibilità e dalla preventiva predeterminazione della
modalità temporale di godimento di ogni comproprietario; la ricostruzione come diritto reale atipico
presuppone il superamento del principio di tipicità dei diritti reali.
Fonte di problemi ricostruttivi è anche la multiproprietà azionaria caratterizzata dall’essere il godimento
turnario del multiproprietario collegato alla titolarità di azione di una società, cui compete la proprietà
dell’immobile.
Alle difficoltà derivanti dalla compatibilità di tale modello con la disciplina societaria, si è cercato di porre
rimedio considerandolo contraddistinto dal collegamento di due rapporti: quello che lega il soggetto alla
società in quanto titolare della posizione di socio, e quello derivante dalla convenzione tra società e azionista,
da cui deriva a quest’ultimo il diritto di godimento dell’unità immobiliare per il periodo stabilito.
Si parla anche di multiproprietà alberghiera riguardo all’ipotesi in cui il godimento periodico del bene sia
assicurato nel contesto di una struttura alberghiera.

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CAPITOLO 5 – POSSESSO
1.Nozione e fondamento; 2. Possesso e detenzione; 3. Oggetto e vicende; 4. Possesso di buona fede;
5. Effetti del possesso. Diritti ed obblighi del possessore nella restituzione della cosa; 6. Possesso di buona
fede di beni mobili; 7. Usucapione; 8. Azioni a tutela del possesso.

1.Nozione e fondamento.
Il codice civile definisce il possesso come il potere sulla cosa che si manifesta in un’attività corrispondente
all’esercizio della proprietà o di altro diritto reale.
L’ordinamento offre la sua tutela al soggetto non solo in quanto titolare di una situazione soggettiva, ma
anche per il semplice fatto di esercitare un potere sulla cosa; viene considerata situazione giuridicamente
rilevante l’instaurazione di un rapporto immediato con la cosa al fine di esercitare su di essa le facoltà ed i
poteri costituenti il diritto di proprietà.
Si tratta di una tutela di carattere provvisorio tendente ad assicurare che non venga modificata l’esistente
situazione di fatto rispetto alla cosa, in conseguenza del ricorso agli strumenti che l’ordinamento mette a
disposizione del titolare del diritto per far riconoscere le proprie prerogative.
Tra le prerogative rientra il diritto di conseguire il possesso della cosa come indispensabile condizione per
l’esercizio delle facoltà e dei poteri che costituiscono il contenuto del suo diritto.
Si allude in proposito allo ius possidendi come facoltà del proprietario e del titolare degli altri diritti reali.
Con riferimento alla posizione giuridicamente rilevante derivante dal potere di fatto sulla cosa si parla invece
di ius possessionis come peculiare situazione giuridica accostabile ad un vero e proprio diritto.
Ove si trovi nel possesso del bene, il proprietario gode di ius possessionis potendosi avvalere anche della
tutela apprestata all’esercizio del potere di fatto sulla cosa, consistente nella salvaguardia della relativa
continuità contro le ingerenze altrui. Un particolare riferimento era fatto all’esigenza di carattere generale
di assicurare una pacifica convivenza sociale: attraverso il riconoscimento della tutela possessoria si evita
che il soggetto che afferma un diritto sulla cosa si possa fare giustizia da sé, sottraendo la cosa alla
disponibilità di chi attualmente la possiede.
Chi si pretende titolare del diritto, ove non possa far valere una propria tutela possessoria dovrà azionare gli
strumenti che l’ordinamento predispone per ripristinare la possibilità di esercitare facoltà e poteri costituenti
il contenuto del suo diritto.
L’esigenza di carattere privato invece costituisce il fondamento della protezione degli interessi reputati
meritevoli di tutela da parte dell’ordinamento attraverso il riconoscimento dei diritti.
La tutela possessoria costituisce un ulteriore strumento di tutela della proprietà; infatti il titolare del diritto,
in quanto abitualmente nel possesso della cosa, trova nella tutela possessoria mezzi più efficienti per una più
pronta tutela dei suoi interessi. La tutela possessoria si caratterizza per la sua rapidità, ma anche per la sua
provvisorietà, essendo destinata a cedere di fronte alla dimostrazione di titolarità del diritto.
L’art. 1140 accosta nella nozione di possesso, al potere sulla cosa che si manifesta in un’attività
corrispondente all’esercizio della proprietà, il potere che si manifesta in una attività corrispondente
all’esercizio di altro diritto reale. La situazione in questione viene definita come possesso di diritti o
possesso minore (quasi possesso).
Il soggetto si comporta rispetto al bene come se fosse titolare di un diritto reale su cosa altrui e tale posizione
viene corrispondentemente tutelata. La qualificazione di possesso come possesso riferito ad un diritto reale
diverso dalla proprietà si presenta rilevante dal punto di vista dei relativi effetti.
Decisivo risulta l’elemento intenzionale (animus) che rappresenta uno dei due elementi costitutivi del
possesso (l’altro è individuato nel corpus, ossia nel potere di fatto sulla cosa che ne consente al soggetto la
concreta disponibilità); dall’intenzione del soggetto dipende la qualificazione del possesso.
In ordine alla qualificazione della situazione possessoria si tende a porre in evidenza come non si tratti tanto
di una questione di volontà e di intenzione del soggetto, bensì della rilevanza del suo comportamento.

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2. Possesso e detenzione.
Sull’elemento intenzionale (animus) si fonda l’essenziale distinzione tra possesso e detenzione alla quale si
riferisce l’art. 1140 secondo cui si può possedere direttamente o per mezzo di altra persona che ha la
detenzione della cosa.
Così l’ordinamento ammette che il possessore resti tale anche se altri siano nella immediata disponibilità di
fatto della cosa (possesso indiretto), quasi che il soggetto che ha tale disponibilità materiale (detentore)
operi come strumento del possessore.
Alla base della detenzione vi è un rapporto col possessore il quale trasmette ad altri la detenzione come
espressione del suo potere sulla cosa, con conseguente riconoscimento della preminenza dell’altrui
posizione rispetto alla cosa stessa e quindi del carattere dipendente della propria posizione.
La distinzione tra possesso e detenzione si fonda sulla diversità dell’elemento costituito dall’intenzione
di chi ha la disponibilità materiale della cosa.
Il possesso risulta caratterizzato dall’intenzione di tenere per sé la cosa senza riconoscere la posizione
preminente, mentre nella detenzione l’intenzione è di tenere la cosa per conto di altri, rispettandone la
posizione preminente.
La qualificazione della situazione in termini di possesso o detenzione dipenderebbe soltanto dalle modalità
del suo comportamento e dalla relativa corrispondenza con le modalità caratterizzanti i diversi rapporti
nella realtà sociale.
Alla difficoltà di qualificare la situazione, l’art. 1141 prevede che l’esercizio del potere di fatto
fa presumere il possesso in chi lo eserciti quando non si possa provare che costui abbia cominciato
ad esercitarlo come detenzione. La prova riguarda il momento iniziale; la situazione proseguirà come
iniziata dato che la detenzione può tramutarsi in possesso solo alle condizioni previste dall’art. 1141;
si parla a riguardo di interversione del possesso.
L’interversione del possesso indica il mutamento della detenzione in possesso o del
possesso corrispondente all'esercizio di un diritto reale su cosa altrui (usufrutto, superficie) in possesso
coincidente all'esercizio del diritto di proprietà. Una volta che la situazione è iniziata come detenzione, il
possesso potrà essere acquistato solo ove il relativo titolo venga mutato per causa proveniente da un terzo
o in forza di opposizione contro il possessore; è necessaria pertanto una manifestazione esterna non
essendo sufficiente un cambiamento interno dell'animus possidendi.
La distinzione tra possesso e detenzione è basilare; solo il possesso è preso in considerazione ai fini
dell’acquisto della proprietà per usucapione; inoltre al possessore compete l’esercizio delle azioni
possessorie, mentre al detentore spetta solo l’azione di reintegrazione, e sempre che si tratti di detenzione
qualificata (che si verifica quando il soggetto pur riconoscendo la dipendenza della propria posizione da
quella altrui, detiene nell’interesse proprio). Nell’interesse altrui (detenzione non qualificata) viene
considerata la detenzione per ragioni di servizio (domestico) o di ospitalità (amico cui sia affidata la cosa
durante la propria assenza).

3. Oggetto e vicende.
Sono suscettibili di possesso tutte le cose aventi una realtà percepibile; sono considerate possibile
oggetto di possesso, le sorgenti o anche le onde elettromagnetiche.
Senza effetto è il possesso delle cose di cui non può acquistarsi la proprietà (cose fuori commercio).
L’acquisto del possesso può avvenire originariamente con l’impossessamento, oppure derivativamente a
seguito di trasmissione da parti di altri.
L’impossessamento quale modo di acquisto originario del possesso si realizza mediante l’apprensione
materiale della cosa che determina l’immediato acquisto della proprietà sulla cosa.
L’apprensione della cosa richiede un profilo di consapevolezza e intenzionalità (animus); si ritiene trattarsi
quindi di atto giuridico in senso stretto che necessità della capacità di intendere e di volere del soggetto.

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L’acquisto del possesso è escluso se la disponibilità della cosa consegue ad atti di tolleranza altrui; tale
disponibilità si fonda sullo spirito di cortesia e condiscendenza, risultando riconducibile ad un permesso
(un atto autorizzativo spesso collegato ai rapporti di buon vicinato).
L’acquisto del possesso, il più delle volte, avviene in modo derivativo, attraverso la relativa trasmissione con
la consegna, in cui si ravvisa un atto giuridico in senso stretto. La consegna costituisce correntemente
adempimento della relativa obbligazione nascente da un contratto (nella vendita rappresenta una delle
obbligazioni principali del venditore, ossia “quella di consegnare la cosa al compratore”).
La consegna richiede un’accettazione del creditore; la fattispecie che determina come effetto il possesso
del nuovo possessore è un’operazione complessa che si articola in 2 atti: la messa a disposizione e la
presa in consegna.
Perché si abbia acquisto del possesso, occorre che la cosa sia posta nella effettiva disponibilità di fatto
del soggetto; ciò potrà avvenire materialmente, con una consegna reale (effettiva).
La consegna può essere anche simbolica (come accade nel caso di immobili, con la consegna delle chiavi);
La consegna può avere inoltre carattere consensuale quando il possessore trasferisce ad un altro soggetto
il possesso, conservando la detenzione della cosa (costituto possessorio). Inversamente si parla di traditio
brevi manu quando il possessore trasferisce il possesso a chi già detiene la cosa.
La perdita del possesso può avvenire oltre che per il perimento della cosa, per abbandono della cosa
stessa o per la sua restituzione.
Dato che l’effetto del possesso più rilevante è legato alla sua persistenza nel tempo, risultano fondamentali
le regole previste con riferimento alla relativa dinamica temporale.
L’attuale possessore che abbia posseduto in tempo più remoto si presume avere posseduto anche nel tempo
intermedio; l’attuale possessore per vedersi riconosciuta la continuità del possesso, non dovrà fornire la
prova di aver posseduto in ogni momento, potendosi limitare a provare il suo possesso in un momento
anteriore.
L’art. 1146 prevede che il possesso continua nell’erede con effetto dall’apertura della successione
(successione nel possesso); in caso di successione mortis causa, se a titolo universale, viene a crearsi una
continuità tra il possesso del defunto e quello dell’erede.
Il possesso continua nell’erede con i medesimi caratteri che contraddistinguevano il possesso del defunto.
In caso di successione a titolo particolare, il successore, per creare la continuità del suo possesso con quello
del dante causa può unire al proprio possesso, il possesso del suo autore per goderne degli effetti (accessione
del possesso)
Trattandosi di unire al suo possesso quello del precedente possessore per invocarne la continuità, il soggetto
dovrà avere conseguito il possesso stesso ottenendo la consegna della cosa dal dante causa (in caso di
contratto) o dall’erede (in caso di legato). Qui il possesso non continua automaticamente con le stesse
caratteristiche che aveva in capo al dante causa, trattandosi di 2 possessori diversi di cui è consentita la
congiunzione al nuovo possessore. Se il nuovo possessore è in buona fede al momento dell’acquisto del
possesso sarà considerato tale, anche se il possesso del suo dante causa fosse stato di mala fede.
Il cumulo dei periodi di possesso assume rilievo sotto diversi profili: la durata del possesso è presa in
considerazione ai fini dell’acquisto del corrispondente diritto per usucapione. La possibilità di cumulo ai
finidel completamento del tempo necessario per l’usucapione, è essenziale per agevolare la prova della
proprietà con l’azione di rivendicazione, invocando l’acquisto a titolo originario.

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4. Possesso di buona fede.
In relazione agli effetti che l’ordinamento ricollega alla situazione possessoria, assume rilevanza la relativa
qualificazione sotto il profilo della buona fede o mala fede del possessore.
E’ considerato possessore di buona fede chi possiede ignorando di ledere il diritto altrui; perché il possesso
sia tale non è richiesta l’esistenza di un titolo alla base del possesso stesso (ossia che sia legittimo o titolato);
l’eventuale esistenza di un titolo costituisce un ulteriore elemento richiesto per la produzione di determinati
effetti giuridici.
Si distingue il concetto di buona fede soggettiva, quale stato psicologico del soggetto che qualifica la sua
situazione, dal concetto di buona fede oggettiva come regola di condotta cui devono ispirarsi i soggetti
nella vita dei traffici al quale si riferiscono numerose norme in materia di contratto.
Il possessore non può invocare la propria buona fede ove l’ignoranza della lesione del diritto altrui dipenda
da colpa grave; la colpa si ritiene grave quando l’errore che il soggetto ha commesso nell’accertamento
della situazione non è scusabile.
Al soggetto per essere giustificato e potere invocare la buona fede del proprio possesso è richiesto un
comportamento improntato a quel minimo di diligenza che lo renda socialmente accettabile.
L’art. 1147 pone una presunzione legale di buona fede: il possesso si presume essere di buona fede fino a
prova contraria (che potrà venire data con ogni mezzo) da parte di chi contesta ciò.
Inoltre è ritenuto sufficiente che la buona fede sussista al momento dell’acquisto.

5. Effetti del possesso. Diritti ed obblighi del possessore nella restituzione della cosa.
Gli effetti del possesso sono raggruppati in 3nuclei problematici: diritti ed obblighi del possessore nella
restituzione della cosa, possesso di buona fede dei beni mobili, usucapione.
Circa i diritti ed obblighi del possessore nella restituzione della cosa l’art. 1148 dispone che il possessore
di buona fede fa suoi i frutti prodotti dal bene fino al giorno della domanda giudiziale di restituzione;
da tale momento fino alla restituzione della cosa fruttifera il possessore di buona fede risponde nei confronti
del soggetto che abbia esercitato l’azione di rivendicazione nei suoi riguardi.
Il possessore di mala fede non è ritenuto meritevole di tutela e deve di conseguenza restituire i frutti
percepiti; il possessore di buona fede successivamente alla domanda giudiziale deve rispondere,
corrispondendone il valore, anche dei frutti che avrebbe potuto percepire usando l’ordinaria diligenza.
Il possessore che è tenuto a restituire i frutti indebitamente percepiti, ha diritto al rimborso delle spese;
secondo l’art. 821 chi fa propri i frutti deve rimborsare nei limiti del loro valore colui che abbia fatto spese
per la produzione ed il raccolto.
A tale rimborso avrà diritto tanto il possessore di buona fede, quanto quello di mala fede.
Al possessore, anche se di mala fede è assicurato il rimborso delle spese fatte per le riparazioni straordinarie;
inoltre se è tenuto alla restituzione dei frutti per il periodo in cui tale restituzione è dovuta, egli ha anche
diritto al rimborso delle spese fatte per le riparazioni ordinarie.
Il possessore ha sempre diritto ad essere indennizzato per i miglioramenti purché sussistenti al momento
della restituzione..
La qualificazione del possesso acquista rilevanza dato che l’indennità spettante al possessore di buona
fede corrisponde all’aumento di valore conseguito dalla cosa per effetto dei miglioramenti, mentre
l’indennità spettante al possessore di mala fede corrisponde alla somma minore tra l’aumento di valore e
l’importo della spesa.
La posizione del possessore di buona fede è favorevole in quanto egli può ritenere la cosa finché non
gli siano corrisposte le indennità dovute, purché richieste nel corso del giudizio di rivendicazione e sia stata
fornita una prova della sussistenza delle riparazioni e dei miglioramenti. Con il diritto di ritenzione così
riconosciuto al possessore, il proprietario avente diritto alla restituzione e obbligato al rimborso nei
confronti del possessore, viene fortemente stimolato a far fronte ai propri impegni nei confronti del primo
(possessore); è questa una forma di autotutela consentita dall’ordinamento a garanzia del creditore.

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6. Possesso di buona fede di beni mobili.
Tra gli effetti del possesso si colloca in primo piano il principio enunciato dall’art.1153 secondo cui
“colui al quale sono alienati beni mobili da parte di chi non è proprietario ne acquista la proprietà mediante
il possesso, purché sia in buona fede al momento della consegna”.
Trova qui espressione il principio de “il possesso vale titolo” fondamentale nella vita dei traffici ed
essenziale soprattutto negli ordinamenti moderni che tendono alla mobilizzazione della ricchezza.
La sua giustificazione è da ricercare nell’esigenza di assicurare la certezza delle situazioni giuridiche
soggettive e la rapidità delle contrattazioni, nella circolazione dei beni immobili.
La regola in esame si risolve nella prevalenza sul proprietario accordata a chi abbia conseguito il possesso
della cosa mobile, a condizione che il possesso stesso sia acquistato in buona fede.
Di fronte al conseguimento del possesso passa in secondo piano la circostanza che l’alienante (colui da cui il
bene viene acquistato) non sia proprietario del bene alienato e l’acquisto viene considerato meritevole di
tutela da parte dell’ordinamento
Il possesso è chiamato a svolgere in materia di circolazione dei beni mobili una funzione di pubblicità,
risolvendo a favore di chi possa vantare il possesso della cosa il problema delle conseguenze della
doppia alienazione; chi acquista il possesso, a condizione di essere in buona fede, può essere certo di
non vedersi mai opposto il precedente acquisto di altri.
Non essendo l’alienante legittimato a trasferire la proprietà, l’acquisto del diritto non può essere considerato
dipendente dalla precedente titolarità del diritto stesso da parte di altri; si tratta quindi di acquisto a titolo
originario (acquisto a non dominio). Con il carattere originario dell’acquisto risulta coerente la regola
per cui la proprietà si acquista libera da diritti altrui sulla cosa, essendo solo imposto il rispetto dei diritti
risultanti dal titolo.
Centro di gravità della fattispecie acquisitiva è il conseguimento del possesso della cosa; il codice allude
in proposito alla relativa consegna da intendere come trasmissione della concreta disponibilità della cosa
dall’alienante all’acquirente.
L’acquisto presuppone che il conseguimento del possesso sia avvenuto in buona fede circa la mancanza
nell’alienante, delle proprietà della cosa.
Il titolo deve essere astrattamente idoneo al trasferimento della proprietà; si tratta di un titolo che
se proveniente dal proprietario, determina il regolare trasferimento della proprietà sulla cosa.
L’unica carenza del titolo posto alla base dell’acquisto riguarda la mancanza di legittimazione
a disporre del diritto da parte dell’alienante.
Non risulta astrattamente idoneo un titolo che non abbia i requisiti richiesti e sia di conseguenza invalido
(l’acquisto in caso di titolo nullo è escluso, mentre l’acquisto è ammissibile nell’ ipotesi di titolo annullabile,
in quanto, almeno fin quando non sia annullato, esso sussiste ed è efficace (ed in tal caso il diritto
dell’acquirente viene meno nel caso sopravvenga la pronuncia di annullamento).

7. Usucapione.
Tra gli effetti del possesso il codice disciplina l’usucapione, che l’art. 922 menziona tra i modi di acquisto
della proprietà. Quale fondamentale modo di acquisto a titolo originario riguarda non solo la proprietà,
ma anche gli altri diritti reali di godimento su cosa altrui.
L’acquisto della proprietà per usucapione si fonda sulle stesse ragioni che giustificano l’operare della
prescrizione quale generale modo di estinzione dei diritti.
Nel caso della prescrizione il diritto viene perso in conseguenza del suo mancato durevole esercizio; nel
caso dell’usucapione invece il diritto viene acquistato in conseguenza del suo concreto persistente esercizio.
In tale prospettiva il codice civile del 1865 considerava unitariamente la prescrizione estintiva e la
prescrizione acquisitiva (per l’art. 2105 la prescrizione è un mezzo con cui col decorso del tempo e
sotto condizioni determinate, taluno acquista un diritto o è liberato da un’obbligazione), mentre il codice
vigente ha ritenuto opportuno separare tali fenomeni per valorizzare l’esercizio del potere di fatto sulla cosa.

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L’esigenza dell’ordinamento è quella di assicurare la certezza delle situazioni giuridiche e la loro
corrispondenza alle situazioni che si presentano nella realtà; come nella prescrizione risulta determinante
l’inerzia del titolare del diritto, così nell’usucapione risulta decisiva l’attività del soggetto.
L’ordinamento adegua la titolarità giuridica dei rapporti economici alla loro effettività nell’interesse generale
per incentivare l’effettivo esercizio sui beni di quelle attività di utilizzazione e di sfruttamento, in vista della
cui meritevolezza riconosce i corrispondenti diritti. L’usucapione è esclusa per i beni del demanio e del
patrimonio indisponibile dello Stato e degli enti pubblici territoriali
Perché si possa avere usucapione il possesso deve avere alcuni requisiti che si deducono dalle disposizioni
disciplinanti l’istituto:
a)Il possesso per essere ad usucapionem deve essere pacifico e pubblico; non deve essere acquistato in
modo violento o clandestino. Il possesso giova ai fini dell’usucapione solo dal momento della cessazione
della relativa violenza e della clandestinità (vizi del possesso). Alcuni ritengono che occorra in proposito
una vera e propria violenza fisica o morale nei confronti del precedente possessore.
b) L’esercizio del potere non può mai essere abbandonato dal possessore in quanto il possesso deve essere
continuo per tutto il periodo prescritto.
c) Il possesso deve risultare non interrotto, in quanto l’interruzione del possesso può essere naturale o
civile: l’interruzione naturale si verifica ove il possessore per una intromissione altrui, è impossibilitato ad
esercitare il potere di fatto sulla cosa. L’usucapione si reputa interrotta solo se la privazione del possesso
si protrae per almeno 1 anno; trascorso un anno dall’avvenuto spoglio il soggetto non può più esercitare
l’azione di reintegrazione. Per evitare l’effetto interruttivo del proprio possesso basta che il soggetto
proponga l’azione di reintegrazione recuperando il possesso stesso.
Quanto all’interruzione civile, gli atti di diffida e messa in mora non interrompono l’usucapione; occorre
quindi la proposizione di una domanda giudiziale di rivendicazione. Ai fini dell’interruzione del termine per
usucapire è necessario che il possessore manifesti la volontà di attribuire al suo titolare il diritto reale da lui
esercitato come proprio, non essendo sufficiente la consapevolezza della spettanza di tale diritto ad altri.
Come per la disciplina del mutamento della detenzione in possesso si pone la regola concernente
l’interversione del possesso.
Chi ha il possesso corrispondente all’esercizio di un diritto reale su cosa altrui non può usucapire la proprietà
della cosa stessa se il titolo del suo possesso non è mutato per causa proveniente da un terzo; in tal caso, il
tempo necessario per l’usucapione decorre dalla data in cui il titolo del possesso è stato mutato.
Si discute se l’usucapione valga a liberare il bene dagli altri diritti reali eventualmente esistenti su di esso.
Si tratta di un principio tradizionale (usucapio libertatis) che non trova riscontro nel codice.
Ad estinguersi saranno esclusivamente i diritti reali altrui incompatibili con il possesso che sia stato
effettivamente esercitato.
L’usucapione produce l’acquisto con modalità temporali molto diverse a seconda del tipo di bene:
a)Per i beni immobili ai fini dell’acquisto della proprietà è necessario il possesso protratto per 20 anni
(usucapione ordinaria); è prevista anche una usucapione decennale (usucapione abbreviata) nel caso in
cui il possesso sia stato acquistato in buona fede da chi non sia il proprietario, in ragione di un titolo idoneo
al trasferimento della proprietà e che sia stato debitamente trascritto.
b) Riguardo alle universalità di mobili la proprietà e gli altri diritti reali di godimento si acquistano
mediante possesso ventennale; in caso di acquisto in buona fede del possesso da chi non è proprietario,
l’usucapione si compie con il decorso di 10 anni.
c) Quanto ai beni mobili il termine ordinario di usucapione è di 20 anni; esso si applica solo se il possessore
è in mala fede; se infatti costui acquista il possesso in buona fede, in mancanza di un titolo idoneo, il tempo
necessario per l’usucapione è di 10 anni.
d) Per i beni mobili registrati l’usucapione ordinaria si compie in 10 anni e quella abbreviata in soli 3
anni.

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8. Azioni a tutela del possesso.
Al possessore è conferita la possibilità di avvalersi di apposite azioni possessorie rapide ed efficaci che
tutelano la sua situazione; il possessore è tutelato indipendentemente dalla propria buona o mala fede
anche contro lo stesso proprietario che non si trovi più nel possesso del bene da un tempo tale da precludergli
l’esercizio delle azioni possessorie; il proprietario potrà in tal caso reagire solo con l’esercizio dell’azione di
rivendicazione.
Le due azioni a tutela del possesso sono l’azione di reintegrazione e l’azione di manutenzione.
Al possessore così come al proprietario competono le azioni di enunciazione.
a)L’azione di reintegrazione (o azione di spoglio) compete a chi sia stato violentemente o
clandestinamente spogliato del possesso di qualsiasi bene per ottenere la reintegrazione del possesso stesso.
L’azione deve essere esercitata entro 1 anno dallo spoglio sofferto; se lo spoglio è clandestino il termine
decorre dal giorno della scoperta dello spoglio: ove lo spoglio sia violento il termine decorre dalla
cessazione della violenza. Il termine annuale in questione viene considerato di decadenza.
Lo spoglio consiste in qualsiasi comportamento che impedisca durevolmente l’esercizio del potere di
fatto sulla cosa; il carattere violento dello spoglio è inteso in senso lato dalla giurisprudenza in quanto lo
spoglio violento si attua non solo con la violenza materiale ma anche mediante qualsiasi azione con la quale
taluno si impossessi della cosa altrui, alterando lo stato di fatto del possessore, in contrasto con la volontà del
medesimo. Essendo considerato lo spoglio un atto illecito l’attore deve provarne il carattere colposo o
doloso.
Se lo spoglio non è stato violento o clandestino (spoglio semplice) il possessore potrà chiedere di essere
reintegrato nel possesso, ove ricorrano le condizioni dell’azione di manutenzione; la reintegrazione è
ordinata dal giudice sulla base della semplice notorietà del fatto senza dilazione.
Caratteristica del giudizio possessorio è quella di svolgersi in due fasi distinte, la fase di urgenza che si
conclude con l’ordine di reintegrazione di carattere provvisorio e cautelare, e la fase di merito che si
conclude con la sentenza definitiva.
b) L’azione di manutenzione è concessa soltanto al possessore (non al detentore) limitatamente alla
proprietà o ad altri diritti reali su beni immobili o su universalità di mobili.
Essa è diretta ad ottenere la cessazione delle turbative arrecate al soggetto che sia stato molestato nel suo
possesso entro 1 anno da quando tali molestie si siano verificate. Il possesso deve avere gli stessi requisiti
richiesti ai fini dell’usucapione e durare da oltre un anno; qualora il possesso sia stato acquistato
violentemente, l’azione può esercitarsi trascorso un anno dal giorno in cui la violenza o la clandestinità sono
cessate (anche in questo caso il termine annuale entro cui deve essere proposta l’azione è di decadenza).
La molestia (o turbativa) si distingue dallo spoglio, in quanto nella molestia la cosa permane nella
disponibilità del possessore. Le molestie sono di fatto quando riguardano un’attività materiale che incide
sullo stato di fatto esistente, mentre sono di diritto quando riguardano il compimento di atti giuridici che
impediscono od ostacolano l’esercizio del possesso.
E’ richiesta la ricorrenza di un elemento intenzionale (animus turbandi) identificato nella mera volontarietà
del comportamento tenuto a danno dell’altrui possesso. Anche colui che abbia subito uno spoglio non
violento o clandestino (cd spoglio semplice) può chiedere di essere rimesso nel possesso.
Per far cessare la molestia il giudice può adottare i provvedimenti più opportuni per impedire le molestie
future. Può così essere ordinata la demolizione di opere o il ripristino di quelle manomesse per turbare
l’altrui possesso.

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PARTE VII – OBBLIGAZIONI

CAPITOLO 1 – RAPPORTO OBBLIGATORIO


1.Emersione storica dell’obbligazione e moderna fisionomia; 2. La sistemazione del codice civile e
i radicamenti sociali dei vincoli obbligatori; 3. Fonti dell’obbligazione (vicende costitutive);
-A) CARATTERI DEL RAPPORTO OBBLIGATORIO. 4. Struttura del rapporto obbligatorio. 5. Soggetti;
6. Contenuto. La pretesa; 7. La prestazione; 8. Oggetto; 9. Dovere di correttezza;
10. Obbligazioni naturali; -B) ALCUNE SPECIE DI OBBLIGAZIONI. 11. Generalità; 12. Obbligazioni
plurisoggettive. Le obbligazioni parziarie; 13. Le obbligazioni solidali; 14. Obbligazioni divisibili ed
indivisibili; 15. Obbligazioni alternative e facoltative; 16. Obbligazioni pecuniarie; 17. Il regime degli
interessi lesi; 18. Gli interessi anatocistici.

1.Emersione storica dell’obbligazione e moderna fisionomia.


Il termine obbligazione deriva dal latino obligare, composto da ligare (legare) e dal prefisso ob.
L’obbligazione consiste in un vincolo giuridico tra due soggetti, in virtù del quale un soggetto (debitore o
soggetto passivo) è tenuto ad un determinato comportamento verso l’altro soggetto (creditore o soggetto
attivo) per soddisfare un interesse anche non patrimoniale di quest’ultimo.
L’obbligazione indicava nel diritto romano la situazione di un soggetto (obligatus) materialmente vincolato
ad un altro soggetto; il vincolo giuridico che legava i due soggetti era concepito come un vincolo materiale
(nexum), dal quale per sciogliersi era necessario che lo stesso obligatus o altro soggetto recidesse per lui da
tale vincolo con la cd. solutio che operava come eliminazione del vincolo.
Lo sviluppo industriale, spostando l’essenza della ricchezza dalla proprietà all’impresa, fa emergere una
nuova dimensione di obbligazioni e dei contratti come mezzi elettivi di esplicazione dell’attività economica.
Oggi il rapporto obbligatorio (il credito) si atteggia come fattore essenziale della vita dell’impresa e di
soddisfazione di interessi e bisogni; con la mobilizzazione della ricchezza la formazione della ricchezza
stessa è connessa alla leva del credito.
E’ anche in atto un processo di cd. smaterializzazione della ricchezza, per cui fattori immateriali
(invenzioni, know how, brevetti) sono destinati ad operare attraverso il credito che diventa componente
essenziale del patrimonio dei soggetti, e fattore di sviluppo economico.

2. La sistemazione del codice civile e i radicamenti sociali nei vincoli obbligatori.


La trattazione delle obbligazioni è articolata in una parte generale che disciplina le vicende del rapporto
obbligatorio, ed una parte speciale dedicata ad alcune specie di obbligazioni. La disciplina in materia
del codice civile si presenta come un complesso di schemi logici neutrali rispetto alla varietà dei titoli
giuridici da cui le obbligazioni derivano (contratti, fatti illeciti) indifferenti rispetto all’atteggiarsi dei
fenomeni socio-economici che vi fanno da sfondo.
E’ in corso un processo di specializzazione dei rapporti obbligatori in ragione delle qualità dei soggetti e
della natura del rapporto; si vanno così accrescendo le peculiarità di disciplina di alcuni rapporti e dei crediti
connessi, come i crediti per prestazioni di lavoro, ed i crediti verso la pubblica amministrazione.
Affianco ad un tessuto normativo generale operano discipline particolari riguardanti la fonte (il cd. titolo) da
cui l’obbligazione deriva, le appartenenze e collocazioni socio-economiche dei soggetti del rapporto.

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3. Fonti dell’obbligazione (vicende costitutive).
Per l’art. 1173 le obbligazioni derivano da contratto, da fatto illecito o da ogni altro atto o fatto idoneo a
produrre tali obbligazioni in conformità dell’ordinamento giuridico.
Per fonti si intendono i fatti giuridici da cui le obbligazioni derivano, e cioè i fatti determinativi delle
vicende costitutive del rapporto obbligatorio; tali fatti rappresentano i titoli (cioè le basi causali che
sorreggono i rapporti obbligatori). I criteri di identificazione dell’obbligazione si appuntano sulla causa
(titolo) e sul contenuto (prestazione) dell’obbligazione.
Il sistema delle fonti dell’obbligazione è organizzato intorno a 3 classi: le prime due classi sono il
contratto e il fatto illecito che rappresentano le fonti generali di maggior ricorrenza; la terza classe riguarda
ogni altro fatto idoneo a produrre le obbligazioni secondo l’ordinamento.
In una diversa prospettiva è possibile distinguere tra fonti volontarie e fonti legali, a seconda che le
obbligazioni traggano origine dalla volontà degli interessati o siano ricollegate direttamente alla legge.
Le fonti volontarie sono connesse all’esplicazione dell’autonomia negoziale, vuoi attraverso negozi
unilaterali, vuoi mediante contratti, in quanto la volontà dei soggetti è rivolta alla costituzione di un rapporto
obbligatorio.
Nelle fonti legali l’obbligazione si ricollega direttamente alla legge quando è connessa ad un fatto volontario
dei soggetti, non essendo la volontà degli autori dell’atto, finalizzata alla costituzione di un rapporto
obbligatorio (chi ha ricevuto indebitamente un pagamento non dovuto è obbligato a restituirlo).

A)CARATTERI DEL RAPPORTO OBBLIGATORIO


4. Struttura del rapporto obbligatorio.
Il codice civile non contiene una espressa nozione di obbligazione, ma gli art. 1174 e1175 consentono di
delinearne la fisionomia di vincolo giuridico di due posizioni giuridiche (creditoria e debitoria) correlate.
L’idea di fondo è che si faccia ricorso al rapporto obbligatorio quando si ha necessità di realizzare un
interesse che non si è in grado di soddisfare personalmente e direttamente, sicché c’è l’esigenza di avvalersi
della cooperazione di altro soggetto (ad es. si ha necessità di danaro, che si ottiene attraverso un prestito)
La struttura del rapporto obbligatorio è quindi caratterizzata dalla correlazione delle posizioni di credito e di
debito: il creditore ha diritto al conseguimento di una utilità tramite il comportamento del debitore, e
dall’altra parte il soggetto è obbligato a procurare tale utilità al creditore con il suo comportamento.
Come ogni altra situazione giuridica soggettiva, anche la situazione creditoria e debitoria si caratterizza per 3
tratti fisionomici (soggetti, contenuto e oggetto); i soggetti sono i titolari delle situazioni soggettive di
credito e di debito; il contenuto indica i poteri e doveri in capo al creditore e al debitore; l’oggetto designa il
bene, cioè l’utilità che il creditore persegue e il debitore deve procurare.
La delineata struttura consente di distinguere l’obbligazione da un’altra tipologia di doveri giuridici; sono
meri doveri giuridici quelli imposti, non a tutela di soggetti determinati, ma a vantaggio della generalità dei
consociati, mentre sono obblighi specifici (o obblighi in senso stretto) quei comportamenti dovuti verso un
soggetto determinato, ma di natura non patrimoniale.
Diversamente dai diritti reali, caratterizzati da immediatezza e assolutezza, i diritti di credito sono
caratterizzati da mediatezza e relatività, in quanto il credito è realizzabile solo tramite la cooperazione di
altro soggetto, e può essere fatto valere solo nei confronti del debitore.
Perciò i diritti di credito sono diritti relativi, qualificati da una pretesa verso il debitore ad una determinata
prestazione e presidiati da una azione personale verso il debitore stesso.
Nella determinazione di entrambi le situazioni soggettive correlate, assume un ruolo fondamentale il titolo
dell’obbligazione, cioè la causa, il fondamento della stessa, che vale a fissare le fonte, ma anche a definire il
contenuto del rapporto. I terzi sono infine tenuti ad un mero rispetto del vincolo obbligatorio; quando con il
loro comportamento determinano la mancata attuazione del rapporto obbligatorio, essi rispondono per fatto
illecito ex art. 2043 e sono tenuti a risarcire il danno per aver reso irrealizzabile la posizione creditoria.

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5. Soggetti.
Per soggetti si intendono i titolari delle situazioni di credito e di debito; creditore e debitore sono estranei
alla struttura del rapporto obbligatorio, per indicare i termini tra i quali corre il rapporto obbligatorio.
Gli stessi talvolta sono anche autori del titolo da cui deriva l’obbligazione ed esprimono due diversi centri
di interesse. Spesso la titolarità della situazione è formata da una sola persona, ma sono frequenti le titolarità
di una situazione (attiva o passiva) riferita a più persone.
Quando le qualità di creditore e debitore si riuniscono in capo allo stesso soggetto, l’obbligazione si estingue
per confusione; le due posizioni, benché riunite nella stessa persona, assumono rilievo con riguardo alla
dimensione patrimoniale che le stesse comportano.
I soggetti del rapporto devono essere determinati o determinabili; se non indicati, nel titolo devono
risultare almeno i criteri di determinazione degli stessi.
Può avvenire che la persona del creditore o del debitore possa mutare nel tempo in quanto l’obbligazione è
connessa ad altra situazione soggettiva, per cui il mutamento della titolarità di quest’ultima comporta anche
il mutamento della titolarità del rapporto obbligatorio (cd. ambulatorietà dell’obbligazione).
E’ questo il fenomeno delle cd. obbligazioni reali o propter rem, per le quali l’acquisto del diritto reale
comporta l’assunzione di obbligazioni accessorie che rendono possibile e/o agevolano l’esercizio del diritto
reale.
La rinunzia al diritto reale comporta la liberazione dalla obbligazione rispetto alle prestazioni non ancora
maturate (ad es. per l’art. 104 ciascun partecipante alla comunione deve contribuire alle spese necessarie per
la conservazione e per il godimento della cosa comune, salva la facoltà di liberarsene con la rinunzia al suo
diritto).
L’obbligazione reale è un rapporto personale ed obbligatorio. Il collegamento con il diritto reale è solo il
mezzo per l’individuazione del soggetto debitore; pertanto quest’ultimo risponde con il suo intero patrimonio
per l’inadempimento delle obbligazioni maturate con la titolarità del diritto reale. Diversamente si configura
l’onere reale, ossia un rapporto reale per cui il contenuto del diritto reale del titolare è rappresentato dal
diritto alle prestazioni dovute dal soggetto che utilizza la cosa.

6. Contenuto. La pretesa.
Il contenuto del rapporto obbligatorio va osservato nella prospettiva di entrambe le posizioni soggettive
(attiva e passiva). Contenuto della posizione attiva (creditoria) è la pretesa alla prestazione di un bene,
cui si connette il corrispondente obbligo del debitore di attuarla. L’art. 1174 vuole che la prestazione deve
corrispondere ad un interesse anche non patrimoniale del creditore, anche di carattere non economico.
E’ quindi fondamentale che la pretesa sia sorretta da un interesse del creditore, anche di carattere non
economico.
Si pensi all’interesse di ascoltare un concerto, ad assistere ad un evento sportivo; in tale ipotesi l’interesse del
creditore è di natura non patrimoniale (di carattere artistico, sportivo), ma la prestazione dovuta dal debitore
che organizza la specifica manifestazione ha una rilevanza economica.
Di regola l’interesse del creditore è soddisfatto attraverso l’attuazione del contenuto dell’obbligo da parte del
debitore (adempimento).

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7. La prestazione.
Contenuto della posizione soggettiva passiva è l’obbligo della prestazione di un bene al creditore.
La prestazione è dunque il comportamento dovuto dal debitore per procurare al creditore una determinata
utilità; la sua esecuzione importa adempimento dell’obbligazione in quanto realizza l’interesse del creditore,
facendogli conseguire il bene perseguito.
a)Requisiti generali. L’art. 1174 fissa 2 requisiti della prestazione: la patrimonialità e la
corrispondenza ad un interesse del creditore.
1)La prestazione deve essere anzitutto suscettibile di valutazione economica (cd. patrimonialità della
prestazione). La patrimonialità può essere valutata in 2 accezioni; una oggettiva, ossia nella sua assenza e
un’altra soggettiva, ossia in riferimento agli interessi coinvolti.
2) La prestazione deve corrispondere ad un interesse anche non patrimoniale del creditore, ossia la
pretesa del creditore deve essere sorretta da un interesse che può anche avere carattere non economico.
3) La prestazione deve essere possibile, lecita, determinata o determinabile secondo i requisiti
dell’oggetto del contratto.
Fissati i requisiti generali è possibile delineare 2 tipologie di prestazioni in ragione di 2 criteri
fondamentali: la natura della prestazione dovuta e la esecuzione della stessa.
b) Natura della prestazione. Con riferimento alla natura della prestazione dovuta rilevano
3 comportamenti: dare, consegnare e fare.
1)La prestazione di dare consiste nel trasferimento di un diritto (tale è l’attività del mandatario che ha
acquistato un bene immobile per conto del compratore ed è obbligato a ritrasferirlo al mandante);
2) La prestazione di consegnare consiste nel procurare al creditore la disponibilità materiale della cosa
(possesso o detenzione). Ad es. l’obbligazione del venditore di consegnare al compratore il bene venduto.
Strumentale alla obbligazione di consegnare una determinata cosa è l’obbligazione di custodirla fino alla
consegna.
3) La prestazione di fare consiste nel realizzare un fatto come risultato dell’attività materiale o giuridica
dovuta (ad es. l’obbligazione di compiere un’opera da parte dell’appaltatore realizza l’opera voluta dal
committente).
Nel concetto di fare rientra anche il non fare (obbligazione negativa), nel senso che il debitore è obbligato
a non compiere un determinato comportamento; l’astensione realizza l’interesse del creditore (ad es.
l’obbligazione di non alienare).
4) Nella cd. obbligazione di garanzia il debitore assume l’obbligazione di procurare una certa sicurezza
nella realizzazione del credito.
c) Esecuzione della prestazione. Circa le modalità di esecuzione della prestazione rilevano una
obbligazione istantanea ed una obbligazione di durata.
1) L’obbligazione istantanea si caratterizza per l’unitarietà del comportamento programmato e dovuto
per la realizzazione di un interesse unitario del creditore.
2) L’obbligazione di durata invece mira a soddisfare un interesse duraturo del creditore.
Il protrarsi nel tempo della prestazione dovuta mira ad attuare un interesse del creditore che si svolge e si
realizza nel tempo. A sua volta l’obbligazione di durata può essere ad esecuzione continuata o periodica
a seconda che la prestazione perduri continuativamente nel tempo (l’obbligazione del locatore di far
godere il bene locato), o sia eseguita ad intervalli di tempo (il canone di locazione da pagare mensilmente
dal locatario).
La distinzione tra obbligazione istantanea e di durata rileva sia per la verifica dell’adempimento sia per
la decorrenza del termine di prescrizione del diritto di credito, che nell’obbligazione istantanea decorre
dalla data di scadenza dell’obbligazione, mentre nella obbligazione di durata decorre dalla data di
cessazione della prestazione.

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8. Oggetto.
Il codice civile qualifica la prestazione come oggetto dell’obbligazione.
Il creditore ha il diritto e l’interesse verso il debitore nel conseguire un determinato bene; in tal modo il bene
diventa oggetto mediato dell’obbligazione, rilevando come punto di incidenza sia del diritto del creditore
ad ottenere l’utilità perseguita, sia del dovere del debitore ad obbligarsi nel procurare l’utilità dovuta.
Possiamo quindi dire che solo il bene realizza l’interesse del creditore.
Opera in merito una tipologia di obbligazioni rispetto a specifici criteri di osservazione del bene dovuto
(funzione del bene dovuto, determinazione del bene, la determinatezza, connessione con la prestazione).
a)Riguardo alla funzione del bene è emersa una distinzione tra beni di consumo e beni di non consumo,
a seconda che il bene dovuto dal debitore sia o meno destinato a soddisfare consumi personali del creditore,
o che il bene sia connesso all’esplicazione della sua attività economica.
b) Circa la determinazione del bene la distinzione avviene tra obbligazioni di specie e di genere;
l’obbligazione di specie è rivolta a procurare una cosa nella sua individualità (il quadro), mentre è
obbligazione generica quella rivolta a procurare una cosa determinata solo per la sua appartenenza ad un
genere (un computer, un televisore); in tal caso il debitore deve prestare cose di qualità non inferiore alla
media.
c) Riguardo alla connessione con la prestazione si distingue tra obbligazioni di mezzi e obbligazioni di
risultato: nelle obbligazioni di mezzi il debitore si obbliga a prestare la propria attività per consentire il
raggiungimento del risultato desiderato dal creditore, mentre nelle obbligazioni di risultato il debitore è
tenuto a procurare il risultato promesso.
Ogni obbligazione ha un oggetto in quanto è destinata a procurare un risultato utile al creditore; il risultato
utile non si concretizza necessariamente nel trasferimento di un diritto (come nelle obbligazioni di dare e
consegnare), ma risiede in ogni utilità procurata al creditore anche realizzando un fatto, quale oggetto
dell’obbligazione (come per le obbligazioni di fare).
Nella obbligazione di mezzi il debitore deve procurare il risultato dovuto agendo con il grado di diligenza
che l’ordinamento gli impone; invece nell’obbligazione di risultato il debitore deve procurare il risultato
dovuto, rimanendo esonerato da responsabilità provando il caso fortuito.

9. Dovere di correttezza.
Per l’art.1175 il debitore ed il creditore devono comportarsi secondo le regole della correttezza, che si
specifica per il debitore, nell’imposizione di obblighi accessori o strumentali all’esecuzione della
prestazione dovuta, e per il creditore, nell’imposizione del dovere di non aggravare la posizione debitoria,
consentendo e agevolando l’esecuzione della prestazione.
Di recente è maturato un indirizzo giurisprudenziale che ricollega il dovere di correttezza al dovere di
solidarietà come limite interno di ogni situazione giuridica; sulla base di tale principio la giurisprudenza ha
poi teorizzato il principio di inesigibilità nei rapporti obbligatori in base al quale è ammesso che
l’inadempimento del debitore risulti giuridicamente giustificato se l’interesse che lo sottende risulta tutelato
dall’ordinamento o dalla Costituzione come valore preminente o superiore a quello perseguito dal creditore.

10. Obbligazioni naturali.


L’art. 2034 prevede una generale categoria di doveri morali o sociali definiti obbligazioni imperfette,
in contrapposizione all’obbligazione giuridica (detta perfetta) o anche indicata come obbligazione civile.
Per il co.1 non è ammessa la ripetizione di quanto è stato spontaneamente pagato in esecuzione di doveri
morali o sociali, salvo che la prestazione sia stata eseguita da un incapace; il co. 2 assimila ai doveri morali e
sociali ogni altro dovere per cui la legge non accorda azione ad esclusione della ripetizione; tale norma ha
appunto la finalità di escludere che ai doveri morali e sociali possano ricollegarsi ulteriori effetti rispetto
all’irripetibilità di quanto prestato.

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Una specifica disciplina è dedicata ai debiti di gioco, per il cui art. 1933 non compete azione per il
pagamento di un debito di gioco o di scommessa, ma la ripetizione è ammessa in ogni caso se il perdente è
un incapace. Non si può agire giudizialmente per l’attuazione di tali obbligazioni, ma ne è sanzionato
l’inadempimento delle stesse.
L’esecuzione della prestazione fa assumere rilevanza giuridica alla obbligazione naturale per l’effetto della
irripetibilità della prestazione che la legge vi connette.
Perché si verifichi l’effetto della irripetibilità devono ricorrere 2 presupposti: la prestazione deve essere
spontanea e chi adempie deve essere capace. Quanto alla spontaneità, l’adempimento non deve essere
frutto di coercizione altrimenti è irripetibile; quanto invece alla capacità, è inevitabile che il soggetto
adempiente debba essere legalmente capace.
In definitiva l’adempimento dell’obbligazione naturale, per non essere dovuto giuridicamente, si atteggia
come negozio giuridico unilaterale attributivo di un bene al creditore, che il debitore non è tenuto a procurare
ma che non può ripetere.

B) ALCUNE SPECIE DI OBBLIGAZIONI


11. Generalità.
Sotto il titolo di obbligazioni in generale sono regolati specifici modelli di obbligazioni caratterizzate da
alcune peculiarità del profilo soggettivo o del profilo oggettivo del rapporto obbligatorio.
Il modello base di rapporto obbligatorio cui ha riguardo la disciplina generale delle obbligazioni, incarna la
cd. obbligazione semplice caratterizzata dalla presenza di due soli soggetti (creditore e debitore) con unicità
di prestazione.
Parte della particolare disciplina è dedicata ad ipotesi che danno luogo alla obbligazione complessa,
caratterizzata da una molteplicità di soggetti e/o di prestazioni. L’obbligazione complessa si divide a sua
volta in obbligazione plurisoggettiva se la molteplicità riguarda i soggetti di una o di entrambe le posizioni
soggettive (pluralità di debitori e/o di creditori) e in obbligazioni cumulativa quando sono dedotte più
prestazioni nell’obbligazione. A sua volta l’obbligazione cumulativa può essere congiuntiva se sono dovute
tutte le prestazioni dedotte oppure alternativa quanto ne è dovuta una sola.

12. Obbligazioni plurisoggettive. Le obbligazioni parziarie.


E’ frequente il fenomeno di obbligazioni caratterizzate dalla presenza di più soggetti: sono obbligazioni
soggettivamente complesse. C’è pertanto da stabilire l’incidenza della pluralità di soggetti relativamente
all’oggetto dell’obbligazione e sulla vita della stessa: si delineano così le due figure di obbligazione
parziaria e della obbligazione solidale.
Parziarietà e solidarietà indicano due diverse modalità di esecuzione della prestazione in ipotesi di
obbligazioni plurisoggettive.
L’obbligazione parziaria presuppone che l’obbligazione sia divisibile e ricorre quando ciascun debitore è
tenuto all’adempimento di una sola parte (dell’oggetto) dell’obbligazione, ovvero quando ciascun creditore
può pretendere solo la parte (dell’oggetto) dell’obbligazione di sua spettanza; la parziarietà indica la
rilevanza della divisibilità dell’obbligazione in presenza di più soggetti.
Per l’art. 1314 se più sono i debitori o i creditori di una prestazione divisibile e l’obbligazione non è solidale,
ciascuno dei creditori può domandare il soddisfacimento del credito, solo per la sua parte e ciascuno dei
debitori è tenuto a pagare il debito solo per la sua parte; ne consegue che, ricorrendo una pluralità di debitori,
il creditore è tenuto ad esercitare il suo diritto verso tutti i debitori, potendo da ognuno di essi pretendere solo
la sua parte. Nell’ipotesi di pluralità di creditori, il debitore è tenuto all’adempimento parziario a ciascuno
dei creditori.

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13. Le obbligazioni solidali.
L’obbligazione solidale è una obbligazione complessa plurisoggettiva, più spesso dal lato passivo.
Si instaura così un vincolo di solidarietà tra i soggetti che ricoprono la stessa posizione soggettiva
all’interno del rapporto obbligatorio.
In ipotesi di pluralità di debitori, tutti sono tenuti per la stessa prestazione in modo che ciascun debitore
può essere costretto all’adempimento per la totalità e l’adempimento di uno libera gli altri debitori
(solidarietà passiva); in ipotesi di pluralità di creditori, ciascuno dei creditori ha diritto di chiedere
l’adempimento dell’intera obbligazione, sicché l’adempimento conseguito da uno di essi libera il debitore
verso tutti i creditori (solidarietà attiva). Nell’obbligazione solidale esistono più posizioni soggettive di
debito o di credito abbracciate dal nesso unitario di una comunanza di interessi.
Regola fondamentale è che i condebitori sono tenuti ad eseguire ed i concreditori a ricevere la
medesima prestazione per l’intero; inoltre l’obbligazione solidale si divide tra i coeredi di uno dei
condebitori o di uno dei creditori in solido, in proporzioni delle rispettive quote.
Se l’obbligazione è indivisibile, l’indivisibilità opera anche nei confronti degli eredi del debitore o degli
eredi del creditore.
Bisogna ora verificare il modo di operare dell’obbligazione solidale nei rapporti esterni (ossia tra il
creditore ed i condebitori, oppure tra il debitore ed i concreditori) e nei rapporti interni (cioè tra i vari
condebitori o tra i vari concreditori).
a)Lato esterno. La solidarietà può derivare da un titolo negoziale (contratto) come dalla legge;
in quest’ultima ipotesi è la legge stessa a prevederla.
1)Iniziamo dalla solidarietà passiva. In presenza di più debitori la solidarietà mira a rafforzare il credito
accrescendo la probabilità di realizzazione del credito stesso, dato che attribuisce al creditore la facoltà di
chiedere l’adempimento per la totalità a ciascuno dei debitori.
Particolare fisionomia assume la solidarietà passiva quando caratterizzata da sussidiarietà; più debitori,
pure essendo obbligati dal vincolo di solidarietà all’adempimento della medesima prestazione, vi sono tenuti
secondo un ordine gerarchico fissato dalle parti.
Tale ordine si traduce in un vantaggio per il debitore obbligato in via sussidiaria.
Se il creditore ha soltanto l’onere di richiedere l’adempimento ad uno specifico debitore, si tratta di un mero
beneficio di ordine; se il creditore ha anche l’onere aggiuntivo di escutere il patrimonio di uno specifico
debitore, si tratta di un beneficio di escussione; ma in tale ipotesi il debitore sussidiario che oppone tale
beneficio deve anche indicare i beni del debitore principale sui quali il creditore può soddisfarsi.
2) Veniamo alla solidarietà attiva. In presenza di più creditori la solidarietà attribuisce a ciascuno dei
concreditori il diritto di chiedere l’adempimento dell’intera obbligazione, sicché l’adempimento
conseguito da uno dei creditori libera il debitore verso gli altri concreditori.
Il debitore ha il vantaggio di potere eseguire l’intera prestazione verso un solo dei creditori; in tal modo la
solidarietà attiva agevola l’adempimento. Il debitore ha la scelta di pagare ad uno dei creditori in solido,
quando non è stato prevenuto da uno di essi con domanda giudiziale. In assenza di previsione l’obbligazione
è parziaria, per cui il debitore che paga per l’intero ad uno dei creditori non è liberato dall’obbligo verso gli
altri creditori, ognuno dei quali può chiedere la rispettiva parte di credito.
La solidarietà attiva a differenza di quella passiva, deve essere espressamente disposta dalla legge o
risultare dal titolo.
Problema delicato è quello delle vicende della posizione soggettiva di uno dei debitori o creditori
rispetto agli altri condebitori o concreditori.
Dalla disciplina emergono 2 principi generali: il principio che non si comunicano i fatti e gli atti
pregiudizievoli e si estendono invece quelli vantaggiosi; inoltre il principio che non si estendono i fatti
inerenti alla sfera personale del singolo debitore o creditore ai condebitori o ai concreditori.

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In applicazione di tali principi il singolo debitore non può opporre al creditore le eccezioni personali agli altri
debitori; analogamente il debitore non può opporre ad uno dei creditori in solido le eccezioni personali agli
altri creditori.
Circa la prescrizione, gli atti con i quali il creditore interrompe la prescrizione contro uno dei debitori in
solido hanno effetto riguardo agli altri debitori; la rinunzia alla prescrizione fatta da uno dei debitori non ha
effetto nei confronti degli altri; analogamente la sospensione della prescrizione nei confronti di uno dei
debitori non ha effetto per gli altri.
b) Lato interno. Nei rapporti tra i debitori solidali o tra i creditori solidali, la prestazione si divide tra i
condebitori oppure tra i concreditori secondo specifici criteri di ripartizione.
Quando uno dei condebitori ha adempiuto o uno dei concreditori ha conseguito l’adempimento per intero,
è essenziale stabilire la misura dell’interesse di ciascuno dei condebitori o concreditori al vincolo di
solidarietà.
Per l’art 1298 nei rapporti interni l’obbligazione in solido si divide tra i diversi debitori o tra i diversi
creditori; il debitore in solido che ha pagato l’intero debito ha diritto di regresso verso gli altri condebitori,
ripetendo la parte di ciascuno di essi (regresso è la ripetizione verso il condebitore di quanto pagato al
comune creditore); se uno dei debitori è insolvente la perdita si ripartisce tra i vari condebitori, compreso
quello che ha adempiuto.
Il diritto di regresso è soggetto al comune termine di prescrizione con decorrenza dalla data del pagamento;
al debitore che agisce in regresso gli altri debitori solidali possono opporre le eccezioni che avrebbero potuto
opporre al creditore.

14. Obbligazioni divisibili ed indivisibili.


La peculiarità di tali obbligazioni riguarda l’oggetto dell’obbligazione.
a)Per l’art. 1316 si ha obbligazione indivisibile quando la prestazione ha ad oggetto una cosa o un fatto
che non è suscettibile di divisione per sua natura o per il modo in cui è stato considerato dalle parti.
La indivisibilità riguarda sempre l’oggetto; per fatto non si intende il comportamento e quindi la prestazione
ma l’oggetto del comportamento e quindi l’utilità dovuta. Il frazionamento dell’oggetto della prestazione
deve avvenire in porzioni uguali e contemporanee, in quanto venendo ad esistenza in tempi diversi, tali
porzioni potrebbero avere valori diversi.
La indivisibilità è oggettiva quando l’oggetto in sé non è frazionabile in parti (consegna di un televisore);
è soggettiva quando le parti considerano l’oggetto non frazionabile.
L’indivisibilità opera anche nei confronti degli eredi del debitore o del creditore; ciascuno dei creditori può
quindi esigere l’esecuzione dell’intera prestazione indivisibile, ma l’erede del creditore deve dare cauzione a
garanzia dei coeredi.
b) Quanto alla obbligazione divisibile, quando sussistono più debitori e/o creditori di una prestazione
divisibile, la legge la considera come obbligazione parziaria, per cui ciascuno dei creditori può domandare
il soddisfacimento del credito solo per la sua parte, e ciascuno dei debitori è tenuto a pagare il debito solo per
la sua parte.

15. Obbligazioni alternative e facoltative.


La rilevanza della dicotomia riguarda la prestazione dovuta in funzione del risultato da procurare al
creditore. Quando sono dedotte in obbligazione due o più prestazioni è importante stabilire se il debitore sia
obbligato ad eseguire tutte le prestazioni o una sola di esse, e con quali modalità.
a)Nelle obbligazioni alternative due o più prestazioni sono dedotte in obbligazione in modo disgiuntivo,
ossia alternativo; quando le prestazioni sono due, il debitore si libera eseguendo una delle due prestazioni
dedotte, ma non può costringere il creditore a ricevere parte dell’una e parte dell’altra.
Principale profilo di tali obbligazioni è la scelta della prestazione dovuta, che determina la cd.
concentrazione dell’obbligazione; a seguito di tale scelta l’obbligazione diviene semplice.

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Il potere della scelta spetta di regola al debitore, e questa può essere compiuta espressamente o tacitamente.
Se una delle due prestazioni diviene impossibile dopo la costituzione del rapporto obbligatorio, bisogna
verificare se la sopravvenuta impossibilità della prestazione sia o meno imputabile ai soggetti del rapporto,
e a quale di questi.
Principio generale è che se l’impossibilità sopravvenuta di una delle prestazioni non è imputabile ad alcun
soggetto del rapporto, l’obbligazione alternativa si concentra nella prestazione ancora possibile.
Se poi sopravviene pure l’impossibilità dell’unica prestazione rimasta possibile per causa non imputabile
alle parti, l’obbligazione si estingue.
Quando la scelta spetta al debitore, l’obbligazione alternativa diviene semplice se una delle due prestazioni
diventa impossibile anche per causa a lui imputabile; se una delle due prestazioni diviene impossibile per
colpa del creditore, il debitore è liberato dall’obbligazione, qualora non preferisca eseguire l’altra
prestazione,
b) Nell’obbligazione facoltativa (o facoltà alternativa) una sola prestazione è dedotta in obbligazione;
è un’obbligazione semplice, essendo la prestazione unica e determinata fin dall’origine.
E’ pero accordata al debitore la facoltà di liberarsi eseguendo una prestazione diversa, preventivamente
pattuita; in ogni caso se perisce o diviene impossibile l’unica prestazione dovuta per causa non imputabile
al debitore, l’obbligazione si estingue.

16. Obbligazioni pecuniarie.


La peculiarità di tali obbligazioni riguarda l’oggetto delle stesse, rappresentato dal danaro.
La specificità delle obbligazioni pecuniarie deriva dal fatto che il danaro non ha un valore intrinseco e rileva
nella società per la duplice funzione di unità di misura dei valori economici e di mezzo generale di
scambio; è termine di valutazione dei beni in più direzioni dell’economia (nelle forniture di cose o servizi,
nelle prestazioni di lavoro).
Per riferirsi tali obbligazioni al danaro emergono delicati problemi riguardanti l’uso della moneta e il
valore economico della moneta stessa.
a)Uso della moneta. Primo problema è quello relativo all’identificazione della moneta da utilizzare
nell’adempimento di un’obbligazione pecuniaria; per regola generale i debiti pecuniari si estinguono con
moneta avente corso legale nello Stato al tempo del pagamento (è la cd. valuta, nella quale sono espressi i
relativi mezzi di pagamento).
b) Valore economico della moneta. E’ essenziale stabilire il rapporto della moneta con la realtà economica
per verificare l’importo necessario per estinguere l’obbligazione.
1)Di regola la moneta è dedotta in obbligazione per il suo “valore nominale” (cd. debiti di valuta).
Le obbligazioni aventi ad oggetto una somma di danaro sono connotate da un principio nominalistico
per cui il pagamento deve avvenire con la moneta espressa, e nell’ammontare indicato.
Se la somma dovuta era determinata in una moneta che non ha più corso legale al momento del pagamento,
questo deve farsi in moneta legale ragguagliata per valore alla prima; se nel determinare la somma dovuta, si
ha riguardo ad una moneta che non ha corso legale nello Stato, il debitore può pagare con la moneta
nazionale legale al corso del cambio, nel giorno della scadenza e nel luogo stabilito per il pagamento.
Il principio nominalistico ha il vantaggio di offrire certezza alla misura del debito e di contenere
l’inflazione. Per ovviare alla rigidità del principio nominalistico esistono molteplici meccanismi di
riequilibrio della svalutazione monetaria in grado di garantire al creditore il conseguimento di un valore
economico ragguagliato all’importo fissato al momento della costituzione del rapporto.
Spesso i privati utilizzano clausole di salvaguardia monetaria con le quali l’importo dovuto è ancorato al
corrispondente valore di un metallo (oro, diamante) o di un diverso bene (petrolio); la più diffusa è la
clausola d’oro, con la quale il debitore si impegnava a pagare alla scadenza una somma corrispondente al
valore di una quantità d’oro stabilità all’atto di costituzione del rapporto.

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2) Diversamente si pongono i debiti di valore, ossia obbligazioni in senso lato in quanto la prestazione,
pur consistendo nella corresponsione di una somma di danaro, assume una funzione sostitutiva di un
diverso bene dovuto. L’obbligazione ha ad oggetto una somma di danaro espressiva di valore reale
cui è sempre ragguagliata al momento del pagamento, attraverso la liquidazione.
Tipica è l’obbligazione di risarcimento danno derivante da fatto illecito dove il danaro funge come metro
di ricostruzione di un valore economico, al fine di reintegrare l’interesse leso; la somma da corrispondere è
ragguagliata alla natura e alla intensità della lesione, ed è determinata in corrispondenza di un valore
economico reale da ricostituire. Ad es. a seguito di un incidente stradale, il responsabile del sinistro è
obbligato a corrispondere una somma sufficiente a reintegrare la riparazione dell’auto danneggiata, il ristoro
del proprietario per la sosta tecnica dell’auto etc. L’operazione rivolta alla determinazione della somma
dovuta dall’autore del sinistro è la liquidazione del danno, con la quale è determinato il debito dell’autore
dell’illecito; la somma dovuta per il ristoro dei danni arrecati (debito di valore) si converte nella
determinazione di uno specifico importo dovuto (diventando debito di valuta).

17. Il regime degli interessi lesi.


L’ordinamento connette all’obbligazione pecuniaria l’obbligazione accessoria di pagamento degli interessi
per il fatto di utilizzare danaro altrui o di essere in ritardo nel pagamento. E’ possibile ricondurre le diverse
ipotesi di corresponsione di interessi a due funzioni fondamentali: remuneratoria, per l’utilizzazione di
danaro altrui o destinato ad altri; sanzionatoria, per ritardo colpevole nell’adempimento dell’obbligazione.
a)Quanto alla funzione remuneratoria, rilevano 2 categorie di interessi in ragione del differente
fondamento degli stessi.
Gli interessi corrispettivi sono gli interessi dovuti da un soggetto in via corrispettiva al godimento del
danaro di altri. La norma ha riguardo ai soli crediti liquidi (cioè determinati nel loro ammontare) ed esigibili
(cioè scaduti), perché solo con riferimento a questi il creditore ha diritto di realizzare il proprio credito.
Gli interessi compensativi hanno la funzione di ristabilire l’equilibrio economico tra i contraenti,
compensando una parte del mancato godimento dei frutti della cosa consegnata all’altra parte, prima di
ricevere la controprestazione. Tali interessi operano quando i crediti non sono liquidi ed esigibili.
b) Quanto alla funzione sanzionatoria vengono in rilievo gli interessi moratori, ossia gli interessi dovuti
a titolo di risarcimento del danno per l’ingiustificato ritardo con il quale il debitore esegue il pagamento
dovuto.
Gli interessi possono derivare dalla legge (interessi legali), essere previsti dagli usi o fissati dalle parti
(interessi convenzionali); indipendentemente dalla funzione assolta dagli interessi opera la misura legale
degli interessi (cd. saggio degli interessi). Il saggio legale degli interessi è determinato con decreto del
Ministro del tesoro; allo stesso saggio si computano gli interessi convenzionali se le parti non ne hanno
determinato la misura.
Gli interessi superiori alla misura legale devono essere determinati per iscritto, altrimenti sono dovuti nella
misura legale. Essendo necessaria la forma scritta ad substantiam è sufficiente che nel documento risulti una
indicazione per relationem del tasso di interesse.

18. Gli interessi anatocistici.


In mancanza di usi contrari, gli interessi scaduti possono produrre interessi solo dal giorno della domanda
giudiziale o per effetto di accordo posteriore alla loro scadenza, sempre che si tratti di interessi dovuti
almeno per sei mesi.
E’ il fenomeno dell’anatocismo: il termine indica la maturazione di interessi su interessi (interessi
composti). Gli interessi scaduti (ossia maturati) e non pagati diventano capitale, sicché sono suscettibili
di produrre a loro volta interessi. L’art. 1283 ammette l’anatocismo ma lo sottopone a penetranti limiti in
quanto può operare solo con riguardo a interessi scaduti e dovuti almeno per 6 mesi. Circa la fonte, tali
interessi vanno richiesti con domanda giudiziale, ritualmente formulata con decorrenza dalla domanda.

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CAPITOLO 2 – MODIFICAZIONE DEL RAPPORTO OBBLIGATORIO (Vicende costitutive)
1.Generalità; -A) MODIFICAZIONI NEL LATO ATTIVO. 2. Tratto comune (la successione nel credito);
3. Cessione del credito. Il titolo; 4. L’efficacia; 5. Cessione di pluralità di crediti. Il factoring;
6. La cartolarizzazione dei crediti; 7. Pagamento con surrogazione; 8. Delegazione attiva;
-B) MODIFICAZIONI NEL LATO PASSIVO. 9. L’assunzione del debito altrui; 10. Delegazione passiva;
11. Espromissione. 12. Accollo; -C) MODIFICAZIONI OGGETTIVE. 13. Modificazioni non novative;
14. Surrogazione reale.

1.Generalità.
Durante la vita del rapporto obbligatorio possono determinarsi modificazioni del rapporto, più spesso dei
soggetti (vicende modificative soggettive), più raramente dell’oggetto (vicende modificative oggettive).
Con riguardo alle vicende modificative il diritto di credito si presenta come un bene per il creditore
suscettibile di circolazione.
Può determinarsi un mutamento del rapporto obbligatorio sia nel lato attivo (relativamente al creditore) che
nel lato passivo (relativamente al debitore).
Un peculiare mutamento nella posizione attiva e/o passiva si determina in virtù della successione per causa
di morte che fa subentrare gli eredi nell’universalità o in una quota dei rapporti del defunto
(cd. successione a titolo universale) e i legatari in singoli rapporti (cd. successione a titolo particolare).
Più rare sono le vicende modificative oggettive con le quali si muta l’oggetto dell’obbligazione, accordando
al creditore il diritto di conseguire un bene diverso da quello originariamente oggetto dell’obbligazione.

A)MODIFICAZIONI NEL LATO ATTIVO


2. La successione nel credito (tratto comune).
La modificazione nel lato attivo si realizza con la successione di un terzo nella posizione dl creditore;
per il debitore è indifferente se il creditore sia quello originario o muti nel tempo, essendo in ogni caso
obbligato a eseguire la prestazione dovuta.
Succedendo nella posizione del creditore, il terzo subentra nella titolarità del diritto di credito; l’acquisto
avviene a titolo derivativo in quanto trae fondamento da un rapporto con il precedente titolare.
Si delineano in merito 3 figure di successione tra vivi a titolo particolare nel credito:
cessione del credito, surrogazione per pagamento e delegazione attiva.

3. Cessione del credito. Il titolo.


Per l’art. 1260 il creditore può trasferire il proprio credito a titolo oneroso o gratuito anche senza il consenso
del debitore; il relativo contratto si perfeziona con il consenso tra creditore (cedente) e terzo (cessionario),
senza necessità dell’accettazione o dell’intervento del debitore (ceduto).
Il termine cessione indica sia il titolo della cessione, ossia il contratto che la realizza, sia l’effetto che ne
consegue. Il contratto di cessione del credito integra la causa di un comune contratto traslativo
(vendita, permuta, donazione etc).
In definitiva la cessione del credito si atteggia come un normale contratto consensuale ad efficacia reale:
in virtù del contratto traslativo, il diritto di credito si trasmette e si acquista per effetto del consenso delle
parti (cedente e cessionario). Consegue da ciò un duplice corollario: da un lato, la mancanza di causa della
cessione comporta la nullità del contratto di cessione e quindi l’ inefficacia dello stesso; dall’altro che
compiuta la cessione del credito, l’eventuale risoluzione tra creditore e debitore originario è in opponibile
al terzo cessionario.
Il credito può inoltre essere ceduto in funzione di garanzia, con il normale effetto traslativo; tale cessione
con funzione di garanzia comporta l’effetto di essere immediatamente traslativa del diritto al cessionario, il
quale è legittimato ad azionare sia il credito originario che quello che gli è stato ceduto in garanzia.

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Anche la forma dell’atto risente della causa del singolo contratto di cessione (es. è necessaria la forma
pubblica per la donazione del credito).
Quanto all’oggetto, sono oggetto di cessione non solo il credito al conseguimento di una somma di danaro,
ma anche il credito ad una qualsiasi prestazione di dare, fare o consegnare; inoltre la cessione può riguardare
sia un bene presente che futuro.
Il credito viene trasferito al cessionario con i privilegi, le garanzie personali e reali e con gli altri accessori.
Il cedente deve conseguire al cessionario i documenti probatori del credito che sono in suo possesso.
Dall’art. 1260 derivano 3 ipotesi di incedibilità del credito:
1)Una incedibilità per il carattere strettamente personale del credito;
2)Una incedibilità per divieto legale
3) Infine, una incedibilità per il divieto convenzionale di cessione (patto stipulato tra debitore e creditore,
con il quale il creditore si obbliga a non cedere il credito).

4. L’efficacia.
Poiché la cessione del credito implica il trasferimento del diritto nei confronti del debitore, c’è anche da
verificare l’efficacia della cessione verso tale soggetto non partecipe del contratto di cessione.
a)Efficacia tra le parti. Per effetto della cessione il cessionario subentra nella posizione attiva del cedente;
perciò il debitore può opporre al cessionario le stesse eccezioni che avrebbe potuto opporre al cedente.
Se un venditore cede il credito ad un terzo al prezzo vantato verso il compratore, questi può opporre al
cessionario, sia le eccezioni relative alla invalidità del contratto di vendita sia quelle inerenti all’esecuzione
del contratto. Analogamente se si cede un credito altrui, il debitore può opporre l’eccezione di inesistenza
del credito vantato dal cessionario
Ove la cessione sia avvenuta a tiolo oneroso, il cessionario non è tenuto a pagare il prezzo e ha diritto alla
restituzione del prezzo eventualmente pagato. Per la cessione a titolo oneroso il cedente deve garantire
l’esistenza del credito al momento della cessione; per la cessione a titolo gratuito è dovuta la sola garanzia
per l’evizione (perdita del diritto in forza del diritto preesistente di un terzo) operante a carico del donante.
Il rischio di insolvenza del debitore resta a carico del cessionario che nulla può pretendere dal cedente per il
mancato adempimento del debitore (cessione pro soluto).
Con apposito patto il cedente può però assumere la garanzia della solvenza del debitore (cessione pro
solvendo); in questo caso il cedente risponde non solo dell’esistenza del credito, ma anche della solvenza
del debitore nei limiti di quanto ha ricevuto. Il cedente deve inoltre corrispondere gli interessi maturati sul
corrispettivo della cessione e rimborsare le spese della cessione.
Per la cessione a titolo solutorio (dazione in pagamento) il cedente deve garantire la solvenza del debitore;
l’obbligazione originaria si estingue con la riscossione del credito ceduto, salvo diversa volontà delle parti
(la cessione è per legge pro solvendo).
b) Efficacia verso il debitore. Il debitore deve essere informato dell’intervenuta cessione affinché possa
adempiere al cessionario; il debitore è liberato quando esegue in buona fede l’adempimento in favore del
creditore originario.
La cessione ha effetto verso il debitore ceduto quando questi l’ha accettata o quando gli è stata notificata;
la notificazione della cessione costituisce un atto a forma libera che si concreta in qualsiasi atto idoneo a
porre il debitore nella consapevolezza della mutata titolarità attiva del rapporto obbligatorio.
L’efficacia della cessione nei confronti del debitore ceduto si ricollega alla conoscenza legale determinata
dalla conoscenza effettiva della intervenuta cessione. Realizzatasi la conoscenza della cessione, il debitore
non può appoggiarsi sulla sua buona fede soggettiva, ossia sulla mancata conoscenza della cessione,
dovendo comunque adempiere nei confronti del cessionario.
c) Efficacia verso i terzi. Può accadere che il cedente trasferisca lo stesso credito a più persone: tra le varie
cessioni prevale quella notificata per prima al debitore o che è stata per prima accettata del debitore con atto
avente data certa.

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5. Cessione di pluralità di crediti. Il factoring.
Il factoring rappresenta un diffuso modo di gestione dei crediti e di finanziamento delle imprese.
La struttura del factoring presenta due varianti: può esaurirsi in una cessione unica e globale di crediti
presenti e/o futuri, con efficacia traslativa del credito al momento della stipula del contratto di factoring o
quando i crediti vengono ad esistenza; può articolarsi in una sequenza contrattuale.
In ogni caso una impresa specializzata (factor) assume nei confronti di una impresa (cliente) l’obbligo di
una complessa attività di gestione dei crediti dell’impresa cliente verso terzi, dietro pagamento di una
commissione determinata in ragione della tipologia dei servizi assunti (amministrazione, incasso, recupero);
è questa la funzione di gestione dei crediti che rappresenta l’attività comune di ogni factor.
Di maggiore rilevanza è la funzione di finanziamento; previa cessione di crediti in massa verso uno o più
clienti, il factor anticipa all’impresa cedente la somma portata dai crediti ceduti prima della scadenza degli
stessi, o prima del relativo incasso. Al momento dell’incasso il factor restituirà all’impresa cedente gli
importi riscossi dai debitori superiori a quelli anticipati alla stessa.
Di regola la cessione dei crediti è pro solvendo restando sul cedente il rischio del mancato pagamento dei
debitori, con la conseguenza che il cedente dovrà restituire al factor le anticipazioni ricevute.
Talvolta si dà vita anche ad una funzione assicurativa, per cui è il factor ad assumere il rischio del mancato
pagamento dei debitori, con la conseguenza che le anticipazioni fatte restano a beneficio del cedente.
I crediti (esistenti e/o futuri) possono essere anche ceduti in massa ed anche prima che siano stipulati i
contratti dai quali derivano, purché i relativi contratti siano stipulati in 24 mesi.

6. La cartolarizzazione dei crediti.


E’ il meccanismo di smobilitazione di beni (crediti, immobili) al fine di conseguire un flusso finanziario
che assicuri liquidità; è una tecnica finanziaria alla quale più leggi vi hanno fatto ricorso per consentire
agli enti di procurarsi danaro liquido.
La cartolarizzazione è realizzata mediante cessione a titolo oneroso di crediti pecuniari, sia esistenti sia futuri
in favore di una società specializzata (cd. società veicolo) che provvede ad emettere titoli e a collocarli
presso i risparmiatori; il ricavato della collocazione serve per pagare i crediti acquistati dalla società cedente.
Il possesso del titolo emesso dalla società veicolo attribuisce al risparmiatore il diritto di riscossione del
credito nei confronti della società emittente che vi provvederà attraverso la riscossione dai debitori originari.
Le somme versate dal debitore o dai debitori ceduti alla società veicolo (cessionaria) sono da questa destinate
al soddisfacimento dei diritti incorporati nei titoli emessi per finanziare l’acquisto dei crediti.

7. Pagamento con surrogazione.


Un fenomeno di successione nel credito si determina a seguito dell’avvenuto pagamento da parte di un
terzo, con la surrogazione del terzo stesso nella posizione giuridica del creditore verso il debitore
originario.
Mentre la cessione del credito interviene tra cedente e cessionario e determina il mutamento del soggetto
attivo, la surrogazione comporta il mutamento del soggetto attivo in conseguenza del soddisfacimento del
creditore ad opera di un terzo e non del debitore.
Determinandosi la realizzazione del diritto di credito il soggetto che ha adempiuto è sostituito verso
il debitore originario sia nei diritti che nelle garanzie del creditore, consentendo al terzo adempiente di
recuperare quanto prestato per l’adempimento. E’ necessario che il terzo adempia autonomamente e
non in rappresentanza del debitore.
La legge indica 3 modalità di surrogazione:
1)Si ha surrogazione per volontà del creditore quando il creditore, ricevendo l’adempimento da un terzo,
surroga (sostituisce) il terzo stesso nei propri diritti verso il debitore originario; la surroga deve essere fatta
in modo espresso e contemporaneamente al pagamento nella quietanza (surrogazione per quietanza).

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2) Si ha surrogazione per volontà del debitore quando il debitore, prendendo a mutuo una somma di
danaro al fine di pagare il debito, surroga il mutuante nei diritti del creditore, anche senza il consenso del
creditore stesso (surrogazione per imprestito).
Perché si realizzi la surrogazione devono concorrere i seguenti presupposti, che attestino il collegamento
del mutuo con il pagamento del debitore: a) il mutuo e la quietanza devono risultare da atto avente data certa;
b) l’atto di mutuo deve contenere l’espressa indicazione della destinazione della somma mutuata.
3) Si ha surrogazione legale quando la surrogazione opera di diritto, ossia automaticamente; le ipotesi di
surrogazione legale sono tassativamente indicate dalla legge a vantaggio di chi essendo creditore, paga un
altro creditore che ha diritto di essergli preferito in ragione dei suoi privilegi, o a vantaggio dell’erede con
beneficio di inventario che paga con danaro proprio i debiti ereditari.
In ipotesi di adempimento parziale anche la surrogazione è parziale, essendo limitata alla misura
dell’adempimento; il terzo surrogato e il creditore concorrono nei confronti del debitore in proporzione
di quanto loro è dovuto.

8. Delegazione attiva.
La legge prevede solo la delegazione passiva che incide sul lato passivo del rapporto obbligatorio,
ad iniziativa del debitore; ciò non toglie che i soggetti del rapporto possano dare vita ad una delegazione
attiva, con modificazione del lato attivo del rapporto, grazie all’autonomia contrattuale riconosciuta ai
privati.
In tal caso l’iniziativa della delega è presa dal creditore; il creditore (delegante) conferisce incarico al
debitore (delegato) di assumere il debito verso un terzo (delegatario).
Se l’incarico è di adempiere, con il pagamento si ha estinzione dell’obbligazione e non modificazione.
Con tale figura si realizza una disposizione indiretta del credito in quanto il creditore non cede il credito
al terzo, ma conferisce incarico al debitore di assumere il debito verso il terzo, in modo che il terzo consegue
indirettamente l’oggetto dell’obbligazione originaria; ciò avviene perché il creditore è a sua volta debitore
del terzo. In considerazione del vincolo obbligatorio originario il debitore (delegato) promette di pagare al
terzo (delegatario): con l’adempimento il debitore estingue il rapporto esistente tra creditore e terzo
(rapporto di valuta); tale estinzione comporta attuazione anche del rapporto obbligatorio originario
(rapporto di provvista).

B) MODIFICAZIONI NEL LATO PASSIVO


9. L’assunzione del debito altrui.
Per la modificazione nel lato passivo il nuovo debitore può essere insolvibile, a differenza del debitore
originario che aveva un consistente patrimonio ed era in grado di adempiere.
In conseguenza della morte del debitore, il creditore è costretto a subire la modificazione del soggetto
passivo con il subingresso degli eredi, e trattandosi di successione a titolo universale, a questi ultimi si
trasmette il complessivo patrimonio del defunto.
Quando il debitore intende sostituire o aggiungere un terzo nella posizione passiva, si dà luogo ad
un’assunzione del debito altrui, nel senso che il terzo fa proprio il debito altrui verso il creditore,
assumendo la posizione debitoria verso il creditore stesso.
La legge prevede 3 modi di assunzione del debito altrui: delegazione, espromissione ed accollo;
esiste però una disciplina comune alle tre figure, relativamente alla sorte del debito originario e
alla sorte delle garanzie che lo assistevano.
a)La sorte del debito originario è correlata alla posizione del credito; la liberazione del debitore originario
non può avvenire indipendentemente dalla volontà del creditore. L’assunzione comporta che il terzo si
aggiunge al debitore originario (assunzione cumulativa), tranne che non sia prevista la sostituzione del
debitore originario (assunzione liberatoria), che richiede l’assenso del creditore.

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L’assunzione cumulativa determina l’instaurazione di un’obbligazione complessa con più debitori
che si ricostruisce come obbligazione solidale avente i caratteri della sussidiarietà.
L’assunzione liberatoria comporta la successione a titolo particolare nel medesimo rapporto, con il
subingresso del terzo nella posizione giuridica del debitore originario (assunzione privativa) tranne che
non sia pattuita la estinzione del precedente rapporto con la costituzione di un nuovo rapporto
(assunzione novativa), determinando una novazione soggettiva passiva.
Il debitore non è parte del contratto di espromissione ma è parte della delegazione e dell’accollo; il debitore
è parte della delegazione in quanto, come delegante conclude con il delegato il mandato delegatorio; ed è
parte dell’accollo in quanto conclude con il terzo accollante il contratto di cui l’accollo è patto.
b) Con la liberazione del debitore originario si estinguono le garanzie annesse al credito se colui che le ha
prestate non consente di mantenerle. In seguito alla liberazione, se l’obbligazione assunta dal nuovo debitore
verso il creditore è dichiarata nulla o è annullata, l’obbligazione originaria rivive, ma il creditore non può
valersi delle garanzie prestate da terzi.

10. Delegazione passiva.


Nella delegazione passiva l’iniziativa della delega è presa dal debitore; il debitore (delegante)
conferisce incarico ad un terzo (delegato) di adempiere o promettere di adempiere il proprio debito
al creditore (delegatario).
Se l’incarico è di adempiere (delegazione di pagamento), con l’adempimento si produce l’estinzione
dell’obbligazione; se l’incarico è di promettere di adempiere (cioè di assumere il debito)
(delegazione di debito), con l’assunzione dell’obbligazione verso il terzo si determina la modificazione
nel lato passivo del rapporto obbligatorio.
a)Quanto alla funzione, la delegazione realizza scopi diversi; spesso è rivolta alla concentrazione delle
prestazioni. Ad es. se Tizio è debitore verso Caio, ma è creditore verso un terzo (Sempronio), è sufficiente
che il terzo adempia nei confronti di Caio perché con un unico adempimento si raggiunga il risultato finale
dell’attuazione di entrambi i rapporti obbligatori.
E’ possibile delineare 2 rapporti sottostanti al meccanismo di delegazione: i rapporti di valuta e di provvista.
Il rapporto di valuta corre tra il debitore (delegante) e il creditore (delegatario) ed è connesso al titolo
del rapporto obbligatorio originario (es. il debito del compratore verso il venditore per il pagamento del
prezzo della vendita).
Il rapporto di provvista invece corre tra il debitore (delegante) e il terzo (delegato) e giustifica la ragione
dell’intervento da parte del terzo verso il creditore (es. l’esistenza di un precedente debito del terzo verso il
debitore).
La delegazione è coperta se sussiste un rapporto di provvista, mentre è scoperta se manca ogni rapporto di
provvista.
b) Circa la struttura, bisogna analizzare le modalità di coinvolgimento del terzo.
Alla base della delegazione vi è un mandato delegatorio del debitore (delegante) al terzo (delegato),
con il quale il delegante conferisce al delegato l’incarico di pagamento o assunzione del debito verso il
creditore. In ragione dell’incarico, sulle parti gravano le obbligazioni derivanti dal mandato e le
corrispondenti azioni.
Con la stipula del mandato il delegante può o meno anticipare al mandatario i mezzi necessari per
l’esecuzione del mandato; in assenza di anticipazione si realizza un mandato con promessa di mutuo.
Il mandato delegatorio è il negozio minimo ed indefettibile del meccanismo delegatorio; a seconda
dell’oggetto del mandato si delineano i 2 modelli di delegazione (di pagamento e di debito).
La delegazione di pagamento è il modello più semplice, in quanto il debitore conferisce l’incarico al terzo
di adempiere e dunque estinguere l’obbligazione originaria; non c’è una successione nel debito (si pensi
all’assegno bancario con il quale il cliente ordina alla banca di pagare una determinata somma ad un
beneficiario).

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La delegazione di debito ha invece un meccanismo più complesso, in quanto c’è prima di tutto l’incarico
fatto dal debitore al terzo di promettere il pagamento al creditore, ossia di assumere verso il creditore un
proprio vincolo obbligatorio; è necessario un negozio di assunzione del debito da parte del delegato verso
il creditore, che si atteggia come contratto con obbligazioni del solo proponente.
L’esito della delegazione di debito è l’assunzione del debito da parte del terzo verso il creditore;
il debitore originario non è liberato dalla sua obbligazione, salvo che il creditore dichiari di liberarlo,
in quanto è presunta l’assunzione cumulativa del debito, per cui si realizza una obbligazione con più debitori.
Il creditore che ha accettato l’obbligazione del terzo non può rivolgersi al delegante (debitore originario)
se prima non ha richiesto l’adempimento al delegato (nuovo debitore).
Con la liberazione del debitore originario si realizza l’assunzione liberatoria del debito altrui che è
tipicamente una successione a titolo particolare nel debito, con sostituzione del debitore originario con il
terzo nel medesimo rapporto (assunzione privativa), tranne che non sia pattuita un’assunzione novativa
del debito, con estinzione del rapporto originario e costituzione di un nuovo rapporto con un diverso debitore
(assunzione novativa). Se il delegato diviene insolvente, il creditore che ha liberato il debitore originario
non ha più azione contro di lui.
Se il debitore (delegante) non dichiara al creditore (delegatario) di assegnargli un nuovo debitore e questi
non rivela al creditore di agire nella veste di delegato ricorre la figura dell’espromissione.
c) Quanto alla estinzione della delegazione, il delegante può revocare la delegazione (e quindi estinguerla)
fino a quando il delegato non abbia adempiuto o assunto l’obbligazione verso il delegatario; ma il delegato
può adempiere o assumere il debito verso il delegatario anche dopo la morte o la sopravvenuta incapacità del
delegante.
d) Il regime delle eccezioni segna il fulcro del meccanismo delegatorio; il terzo (delegato) può sempre
opporre al creditore (delegatario) le eccezioni relative ai suoi rapporti con questo. Quanto alle eccezioni
relative ai rapporti di provvista e di valuta è essenziale stabilire se la delegazione sia titolata o astratta.
La delegazione è titolata se all’atto dell’assunzione del debito da parte del terzo, si fa riferimento ai due
rapporti sottostanti; la delegazione è pura (o astratta) se manca ogni riferimento ai rapporti sottostanti.
La delegazione pura rafforza la posizione del creditore in quanto, in assenza del richiamo dei rapporti
sottostanti, il terzo non può opporre al creditore né le eccezioni che avrebbe potuto opporre al debitore, né
quelle che avrebbe potuto opporre il debitore originario, tranne l’ipotesi di nullità dei due rapporti.

11. Espromissione.
L’espromissione è un contratto tra creditore e terzo, con il quale il terzo (espromittente) assume verso il
creditore (espromissario) il debito dell’obbligato originario (estromesso) senza delegazione del debitore.
L’assunzione del debito è spontanea; in presenza di rapporti sottostanti tra debitore e terzo è essenziale
che l’assunzione del debito risulti svincolata da tali rapporti.
E’ sufficiente che un soggetto (espromittente) assuma verso il creditore il debito altrui.
Nell’assunzione del debito altrui risiede la causa del contratto di espromissione, qualunque sia lo
specifico interesse perseguito dal terzo (si pensi all’iniziativa del genitore che spontaneamente assume
verso il creditore il debito contratto dal figlio).
Anche l’espromissione determina l’assunzione del vincolo obbligatorio da parte del nuovo debitore che si
affianca al debitore originario (assunzione cumulativa), a meno che il creditore non dichiari di liberare il
debitore originario (assunzione liberatoria)
Quanto alle eccezioni, il mancato richiamo ad una eventuale delega da parte del debitore originario esclude
che il terzo (espromittente) possa opporre al creditore le eccezioni relative ai suoi rapporti col debitore
originario (rapporto di provvista). Avendo assunto un debito altrui, l’espromittente può opporre al creditore
le eccezioni che allo stesso avrebbe potuto opporre il debitore originario (rapporto di valuta); sono così
opponibili le eccezioni relative alla costituzione e alla estinzione del rapporto obbligatorio.

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Necessario presupposto dell’espromissione è l’esistenza di una precedente obbligazione con la
conseguenza che se la precedente obbligazione non esiste o viene estinta senza soddisfazione del creditore,
l’espromissione cade per mancanza di causa.

12. Accollo.
L’accollo è un contratto tra debitore e terzo con il quale il terzo (accollante) assume nei confronti del
debitore (accollato) il debito di questi verso il creditore (accollatario); il creditore può aderire alla
convenzione rendendo irrevocabile la stipulazione a suo favore.
L’accollo del debito altrui può trovare diverse giustificazioni (es. l’accollante può decidersi all’assunzione
del debito altrui per estinguere un suo debito verso l’accollato).
Sussistono 2 tipi di accollo: esterno ed interno:
a)L’accollo esterno rappresenta la figura ordinaria di accollo (es. nel mercato immobiliare è prassi che il
costruttore si procuri il danaro necessario alla costruzione di un fabbricato prendendo a mutuo dalla banca
la somma necessaria alla costruzione, la cui restituzione viene frazionata tra i futuri acquirenti in proporzione
al valore dei singoli appartamenti realizzati; con la vendita degli appartamenti, ciascuno dei compratori si
accolla parte del debito del costruttore verso la banca, di restituzione della somma presa a mutuo).
Con la liberazione del debitore originario l’accollo si configura come stipulazione a favore di terzo in
quanto al creditore è procurato l’effetto favorevole di un nuovo debitore che prima non c’era.
Il negozio di assunzione del debito altrui è destinato a produrre effetti verso il creditore (accollatario) che
può aderire al contratto, secondo le regole del contratto a favore di terzi. L’adesione del creditore integra
la dichiarazione di voler profittare dell’effetto a suo favore rendendo la stipulazione irrevocabile e
immodificabile
Come per ogni assunzione del debito altrui, anche l’accollo è cumulativo, rimanendo il terzo (accollante)
ed il debitore (accollato) obbligati solidamente verso il creditore.
Si ha accollo liberatorio quando il contratto di accollo cui aderisce il creditore contiene la condizione e della
deliberazione del debitore originario; in tal caso l’adesione alla stipulazione comporta la liberazione del
debitore.
In ogni caso il creditore, pure in assenza della condizione di liberazione può con propria dichiarazione
liberare il debitore originario; l’assunzione liberatoria del debito altrui è nel medesimo debito e perciò con
successione nel debito originario (accollo privativo), tranne che non sia stata prevista la novazione del
debito preesistente (accollo novativo).
Il creditore che ha aderito ad un accollo liberatorio non ha azione contro il debitore originario se l’accollante
diviene insolvente; se però l’accollante era già insolvente al tempo in cui assunse il debito nei confronti del
creditore, il debitore originario non è liberato.
Quanto alle eccezioni, il creditore aderisce ad un contratto stipulato da debitore e terzo, perciò soggiace a
tutte le eccezioni che vi ineriscono. Il terzo è obbligato verso il creditore nei limiti in cui ha assunto il debito,
e può opporre al creditore le eccezioni sul contratto di assunzione del debito relative al rapporto con il
debitore originario (rapporto di provvista). In assenza di espressa previsione l’accollante può far valere nei
confronti del creditore le eccezioni relative al rapporto tra debitore originario e creditore (rapporto di
valuta), poichè l’assenza o l’estinzione del rapporto obbligatorio originario rende priva di fondamento
l’assunzione del terzo e quindi l’adesione del creditore.
b)L’accollo interno (o semplice) si svolge tra terzo (accollante) e debitore (accollato) senza produrre
alcun effetto giuridico nei confronti del creditore che ne rimane estraneo non acquistando alcun diritto verso
l’accollante. Questi assume nei confronti del debitore l’obbligo di tenerlo indenne dal peso del debito;
consegue che accollante e accollato possono risolvere o modificare la convenzione di accollo senza
l’intervento del creditore. Nel caso di mancata osservanza dell’obbligo l’accollante risponde
dell’inadempimento nei confronti del solo debitore accollato.

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C) MODIFICAZIONI OGGETTIVE
13. Modificazioni non novative.
La legge prevede la novazione come fattispecie in grado di determinare il mutamento dell’oggetto o
del titolo; la novazione produce l’estinzione del rapporto obbligatorio con la costituzione di un nuovo
rapporto.
Possono però intervenire modificazioni dell’oggetto dell’obbligazione senza novazione dell’obbligazione,
dando vita a mere modificazioni. L’art. 1231 prevede che il rilascio di un documento o la sua rinnovazione,
e ogni modificazione accessoria dell’obbligazione non producono novazione.
Il fenomeno è particolarmente evidente con riguardo ai contratti di locazione, rispetto ai quali la
modificazione della misura del canone o della durata della locazione non è intesa in sé come novazione del
rapporto.

14. Surrogazione reale.


E’ un'altra forma di sostituzione oggettiva senza effetto novativo; un fenomeno di surrogazione reale si ha
in conseguenza della impossibilità sopravvenuta della prestazione dovuta. Per l’art. 1259 il creditore della
prestazione divenuta impossibile subentra nei diritti spettanti al debitore in dipendenza del fatto che ha
causato l’impossibilità, e può esigere dal debitore la prestazione di quanto questi abbia conseguito a titolo
di risarcimento danni.
In tal modo si realizza il subingresso del creditore nei diritti spettanti al debitore verso un terzo per la
distruzione della cosa oggetto della prestazione; il debitore conseguita la prestazione sostitutiva del
risarcimento danni, è tenuto a procurarla al creditore in luogo di quella originaria.

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CAPITOLO 3 – ESTINZIONE DEL RAPPORTO OBBLIGATORIO (Vicende estintive)
1.Tipologia dei modi di estinzione; -A) ADEMPIMENTO. 2. Attuazione del rapporto obbligatorio;
3. Esattezza dell’adempimento. Diligenza e correttezza; 4. Requisiti specifici di esattezza; 5. Adempimento
del terzo; 6. Dazione in pagamento; 7. Mora del creditore. La posizione soggettiva del creditore;
8. Costituzione in mora e liberazione dall’obbligazione; -B) MODI DI ESTINZIONE DIVERSI
DALL’ADEMPIMENTO. 9. Modi di estinzione indirettamente satisfativi; 10. Compensazione;
11. Confusione; 12. Modi di estinzione non satisfativi; 13. Novazione; 14. Remissione del debito;
15. Impossibilità sopravvenuta per causa non imputabile al debitore.

1.Tipologia dei modi di estinzione.


Il rapporto obbligatorio è finalizzato al soddisfacimento dell’interesse del creditore attraverso la
cooperazione del debitore. Il rapporto obbligatorio si estingue o quando il soddisfacimento non può
realizzarsi o anche quando è realizzato un interesse diverso da quello perseguito dal creditore ma che la
legge o lo stesso creditore considerano comunque idoneo a giustificare l’estinzione dell’obbligazione.
Con l’estinzione del rapporto obbligatorio si determina la liberazione del debitore.
Esistono varie cause di estinzione del rapporto obbligatorio: una consistente nella morte del debitore
tipica delle obbligazioni infungibili, mentre le altre sono modi generali di estinzione delle obbligazioni.
E’ possibile raggruppare i modi generali di estinzione dell’obbligazione in 2 categorie a seconda che
determinino o meno il soddisfacimento del creditore.
a)Sono modi di estinzione satisfativi quelli che determinano la estinzione dell’obbligazione con la
realizzazione dell’interesse del creditore (vicende estintive satisfative); si comprende in tale categoria,
l’adempimento che rappresenta il modo fisiologico di estinzione del rapporto obbligatorio in quanto fa
conseguire al creditore il risultato originario perseguito attraverso l’esecuzione della prestazione dovuta da
parte del debitore: si produce cioè il soddisfacimento diretto del creditore.
Esistono però altre cause di estinzione dell’obbligazione che realizzano un interesse del creditore diverso
dall’interesse originario perseguito; si produce cioè un soddisfacimento indiretto del creditore
Tali sono la compensazione e la confusione..
b) Sono modi di estinzione non satisfativi le cause di estinzione dell’obbligazione senza soddisfacimento
di un interesse del creditore, né quello originario né altro di diverso tipo (vicende estintive non satisfative).
Tali sono la novazione, la remissione del debito, e la impossibilità sopravvenuta della prestazione per
causa non imputabile al debitore.

A)ADEMPIMENTO
2. Attuazione del rapporto obbligatorio.
L’adempimento rappresenta il normale modo di attuazione del rapporto obbligatorio in quanto realizza il
diritto di credito mediante l’esecuzione della prestazione dovuta da parte del debitore, facendo conseguire al
creditore il bene perseguito ad opera del debitore: costituisce quindi la vicenda estintiva tipicamente
satisfattiva, procurando il risultato verso cui tende l’interesse del creditore.
Proprio in quanto si caratterizza come attuazione di un obbligo e dunque come atto dovuto, l’adempimento
del debitore non ha natura negoziale. E’ un atto in senso stretto per la cui conformità all’ordinamento è
sufficiente la mera materialità del comportamento tenuto dal debitore.
Il debitore che ha eseguito la prestazione dovuta non può impugnare l’adempimento per incapacità,
in quanto il bene procurato al creditore era comunque dovuto
L’adempimento può essere compiuto dal debitore o mediante un mandatario o altro soggetto legittimato
all’adempimento. Le spese dell’adempimento sono a carico del debitore; il debitore che ha adempiuto,
ha diritto ad ottenere la quietanza a proprie spese (la quietanza è atto unilaterale recettizio che contiene il
riconoscimento da parte del creditore di avere riscosso quanto pagato dal debitore). Il creditore che ha
ricevuto il pagamento deve consentire la liberazione dei beni dalle garanzie reali date per il credito.

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3. Esattezza dell’adempimento. Diligenza e correttezza.
La legge richiede che la prestazione dovuta sia eseguita in modo esatto; per l’art. 1218 il debitore che non
esegue esattamente la prestazione dovuta è tenuto al risarcimento del danno se non prova che
l’inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui
non imputabile.
Requisito generale di esattezza dell’adempimento è il rispetto del dovere di diligenza intrecciato
con il dovere di correttezza che fa carico ad entrambi i soggetti del rapporto obbligatorio.
Mentre il dovere di diligenza serve a definire l’attività dovuta dal debitore, strumentale al soddisfacimento
del creditore, il dovere di correttezza investe la correlazione dei comportamenti delle parti.
L’art. 1176 ha il chiaro significato di determinare lo sforzo (personale, economico, tecnico) che si può
chiedere al debitore per soddisfare l’interesse del creditore. La diligenza come misura del comportamento
del debitore riassume in sé quel complesso di cure e cautele che ogni debitore deve impiegare nel soddisfare
la propria obbligazione.
L’art. 1176 fissa 2 parametri di diligenza, uno speciale ed uno generale: il parametro generale impone al
debitore di usare la diligenza del buon padre di famiglia (è la cd. diligenza generica che opera con
riferimento all’attenzione dell’uomo comune equilibrato nella cura dei propri interessi).
Il parametro speciale invece ha riguardo alle sole obbligazioni riguardanti l’esercizio di un’attività
professionale; in tali ipotesi la diligenza è valutata secondo la natura dell’attività esercitata (è la cd. diligenza
tecnica che opera con riferimento al mondo delle imprese, che implica conoscenza tecnica nell’espletamento
dell’attività economica professionale).

4. Requisiti specifici di esattezza.


L’adempimento deve informarsi a precisi parametri di esattezza circa le modalità di esecuzione della
prestazione. Il debitore è obbligato ad eseguire la prestazione dovuta con le modalità convenute
(espressamente indicate o ricostruibili in via di interpretazione).
a)Luogo dell’adempimento. Se il luogo di esecuzione della prestazione non è previsto dagli usi
valgono le seguenti regole.
L’obbligazione di consegnare una cosa certa e determinata va adempiuta nel luogo in cui si trovava la
cosa quando l’obbligazione è sorta; l’obbligazione di pagare una somma di danaro va adempiuta al domicilio
che il creditore ha al tempo della scadenza (debiti portabili). In ogni altro caso l’obbligazione va adempiuta
al domicilio del debitore al tempo della scadenza (cd. debiti chiedibili).
b) Tempo dell’adempimento. La prestazione va eseguita nel termine di scadenza del debito corrispondente
alla sua esigibilità. Proprio in quanto il soddisfacimento dell’interesse del creditore avviene tramite il
comportamento del debitore, esiste un divario tra esistenza del debito e la sua esigibilità; l’esistenza del
debito segna la titolarità del diritto di credito, mentre l’esigibilità consente l’esercizio del diritto, e solo
quest’ultima indica il termine di adempimento dell’obbligazione.
Il termine di efficacia del contratto fissa nel tempo l’efficacia del contratto, segnando il momento iniziale
e finale (ossia la durata) di produzione degli effetti del contratto; viceversa il termine di adempimento
indica la scadenza del debito, e cioè la sua esigibilità.
Quando non è determinato il termine di esecuzione della prestazione, il creditore può esigerla
immediatamente; se però un termine sia necessario, questo, in mancanza di accordo delle parti è stabilito
dal giudice (si pensi all’obbligazione di restituzione di una somma di danaro presa a mutuo; un termine per la
restituzione del denaro è connesso alla stessa funzione di prestito del mutuo),
E’ importante stabilire se l’indicazione del termine sia posta in favore del debitore o del creditore o di
entrambi, ma la regola fondamentale è che, in mancanza di diverso accordo il termine è presunto a favore
del debitore, nel senso che il debitore può eseguire la prestazione anche prima della scadenza (senza che il
creditore possa rifiutarla), ma il creditore non può chiedere l’adempimento anticipato.

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Se il termine è stabilito a favore del creditore, questi può esigere la prestazione prima della scadenza,
ma il debitore non può adempiere anticipatamente contro la volontà del creditore.
Se il termine è stabilito in favore di entrambi, il debitore deve eseguire e il creditore può esigere la
prestazione solo nel termine stabilito. In ogni caso il debitore decade dal termine a suo favore e il creditore
può esigere immediatamente la prestazione se il debitore è divenuto insolvente o ha diminuito le garanzie
che aveva date.
c) Bene dovuto. L’adempimento deve essere integrale nel senso che il debitore è tenuto a procurare per
intero il bene promesso; il creditore può rifiutare un adempimento parziale anche se la prestazione è
divisibile. Se però la prestazione è divenuta parzialmente impossibile il debitore si libera dall’obbligazione
eseguendo la parte che è rimasta possibile.
Se l’adempimento ha per oggetto “cose”, deve essere eseguito con cose di cui il debitore possa disporre;
il debitore non può impugnare l’adempimento eseguito con cose altrui tranne che non rinnovi l’esecuzione
della prestazione con cose proprie; l’adempimento eseguito con cose altrui può essere invece impugnato dal
creditore che l’ha ricevuto in buona fede.
Inoltre l’obbligazione di consegnare una cosa determinata include quella di custodirla.
d) Imputazione del pagamento. Quando un soggetto ha più debiti nei confronti della stessa persona è
importante stabilire a quale debito sia riferito il singolo adempimento; si pone quindi il problema della
imputazione dell’adempimento.
Il problema dell’imputazione si pone con riferimento all’adempimento di obbligazioni pecuniarie.
Intervenendo un pagamento che non copre l’intera esposizione debitoria verso il creditore, c’è la necessità di
stabilire a quale debito si riferisca il pagamento, in quanto i singoli debiti potrebbero essere regolati, vuoi in
ragione della natura del debito, vuoi per il tempo trascorso.
Regola base è la imputazione del debitore: il debitore che ha più debiti della stessa specie verso lo stesso
creditore può dichiarare quando paga, quale debito intende soddisfare, ma lo può fare con 2 limiti:
a) non può imputare il pagamento al capitale senza il consenso del creditore; b) il pagamento fatto in conto
di capitale e di interessi deve essere imputato prima agli interessi.
In ogni caso deve ricorrere la simultanea esistenza della liquidità ed esigibilità di ambedue i crediti
(per capitale e per interessi); in assenza di imputazione del debitore opera la imputazione del creditore
se è compiuta nella quietanza e questa è accettata dal debitore.
e) Destinatario dell’adempimento. L’adempimento deve essere fatto al creditore o al suo rappresentante
oppure alla persona indicata dal creditore o autorizzata dalla legge o dal giudice a riceverla.
La legge affianca al creditore e al suo rappresentante altri soggetti legittimati a ricevere l’adempimento, che
non sono titolari del diritto e quindi non possono esercitarlo ma rilevano come meri legittimati a riceverlo.
Circa le persone indicate dal creditore, l’ indicazione di pagamento si caratterizza per la comunicazione che
il creditore fa al debitore circa il soggetto indicato a ricevere il pagamento (indicatario); In ogni caso il
debitore è tenuto al pagamento nei confronti dell’indicatario nei limiti del principio di buona fede,
non potendo il creditore aggravare la posizione del debitore.
Relativamente alle persone autorizzate dalla legge o dal giudice, legittimati a ricevere l’adempimento per
legge sono ad es. i rappresentanti legali degli incapaci, i curatori fallimentari etc.
L’adempimento in favore del soggetto non legittimato a riceverlo non libera il debitore: il pagamento fatto
a persona non legittimata è inefficace nei confronti del creditore, ed il debitore rimane obbligato ad eseguire
la prestazione anche in via giudiziaria; infine il debitore è liberato se il creditore lo convalidi o ne approfitti,
ma incombe sul debitore stesso la prova della ratifica o del fatto che il creditore ne abbia approfittato.
Analogamente l’adempimento fatto al creditore incapace non libera il debitore, tranne che ne derivi un
vantaggio al creditore, ma incombe sul debitore la prova del vantaggio dell’incapace.

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Diversa è l’ipotesi di pagamento al creditore apparente; il co.1 art. 1189 riguarda il debitore che esegue il
pagamento a chi appare legittimato a riceverlo; il debitore è liberato quando ricorrono 2 presupposti:
l’apparenza della legittimazione in capo al soggetto che riceve il pagamento in base a circostanze
univoche; la buona fede soggettiva del debitore.
Trova così applicazione il principio dell’affidamento incolpevole nella forma più forte dell’apparenza
giuridica; il debitore che esegue il pagamento a chi appare legittimato a riceverlo è liberato se prova di
essere stato in buona fede. L’apparenza è causa di liberazione del debitore per aver suscitato nello stesso un
ragionevole affidamento che il ricevente il pagamento fosse il vero creditore.

5. Adempimento del terzo.


L’adempimento è il modo di attuazione del rapporto obbligatorio che fa conseguire al creditore il bene
perseguito attraverso l’esecuzione della prestazione da parte del debitore; rispetto a tale meccanismo
si delineano due varianti: una riguardante il soggetto che esegue la prestazione dovuta, che può essere
diverso dal debitore (adempimento del terzo); un’altra relativa all’oggetto procurato al creditore, che può
essere differente da quello dedotto nella obbligazione (dazione in pagamento).
In entrambi i casi il soddisfacimento del creditore rende inutile la permanenza del rapporto obbligatorio,
che di conseguenza si estingue.
Con l’adempimento del terzo l’esecuzione della prestazione proviene da un soggetto diverso dal debitore;
con tale adempimento c’è realizzazione del diritto di credito senza attuazione dell’obbligo, in quanto il
creditore è soddisfatto da un terzo, non dal debitore; è indifferente che il terzo abbia un interesse proprio
all’adempimento.
L’interesse del creditore è rivolto al conseguimento del bene dedotto in obbligazione, restando indifferente
la persona che lo procura, mentre l’interesse del debitore è orientato alla propria liberazione dal vincolo
obbligatorio.
La legge prevede un potere di rifiuto del creditore ammesso solo in 2 ipotesi: quando provi di avere un
interesse specifico a che la prestazione sia eseguita personalmente dal debitore; quando il debitore si oppone
all’adempimento del terzo.
La legge riconosce al debitore il diritto alla liberazione dall’obbligazione, mentre il diritto all’esecuzione
personale della prestazione è circoscritto alla sola ipotesi in cui sussiste un interesse personale del debitore
ad adempiere; il terzo non è obbligato verso il creditore ad adempiere. L’adempimento del terzo producendo
la realizzazione del diritto del creditore comporta l’estinzione del debito, essendo venuta meno la sua
funzione.

6. Dazione in pagamento.
Per quanto riguarda la dazione in pagamento, per l’art. 1197 il debitore non può liberarsi dall’obbligazione
eseguendo una prestazione diversa da quella dovuta, anche se di valore uguale o maggiore, salvo che il
creditore vi consenta.
Con la dazione in pagamento si realizza il soddisfacimento del creditore da parte del debitore,
procurando al creditore un bene diverso da quello oggetto dell’obbligazione; tale sostituzione però
non può avvenire contro o senza la volontà del creditore.
L’accettazione del creditore configura la dazione di pagamento come contratto con funzione solutoria:
la prestazione diversa è offerta in luogo dell’adempimento, con funzione solutoria dell’obbligazione;
ciò significa che la dazione in pagamento produce l’effetto estintivo dell’obbligazione solo con l’esecuzione
della prestazione diversa da quella dovuta. La dottrina tradizionale è solita configurare la dazione in
pagamento come contratto reale, richiedendo per la produzione della estinzione la consegna del bene.
Se la dazione consiste nel trasferimento della proprietà o di altro diritto reale, il debitore è tenuto alla
garanzia per evizione e per vizi secondo le norme della vendita, salvo che il creditore preferisca esigere la
prestazione originaria.

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Se la dazione consiste nella cessione del credito, l’obbligazione si estingue con la riscossione del credito
ceduto; il cedente deve quindi garantire la solvenza del debitore, e pertanto la garanzia cessa e l’obbligazione
si estingue. Se la dazione in pagamento non produce l’effetto sperato è possibile far valere il diritto di credito
originario con le garanzie prestate dal debitore.

7. Mora del creditore. La posizione soggettiva del creditore.


Di regola il creditore ha interesse a conseguire il bene dedotto nell’obbligazione nel tempo stabilito; talvolta
però il creditore vuole rinviare il ricevimento del bene o addirittura rifiutarlo (ad es. in una vendita di
merce tra piazze diverse, il compratore avendo i magazzini pieni ritarda la presa in consegna della merce
messa a sua disposizione dal venditore, ad esempio facendo trovare i magazzini chiusi).
Per l’art. 1206 il creditore è in mora quando senza motivo legittimo, non riceve il pagamento offertogli
nei modi stabiliti o non compie quanto è necessario affinché il debitore possa adempiere l’obbligazione.
Circa la tradizionale qualificazione della situazione soggettiva del creditore è progressivamente emersa una
configurazione della sua posizione soggettiva come obbligo imposto ex lege rivolto a realizzare l’interesse
del debitore all’adempimento; tale meccanismo tende ad eliminare possibili controversie circa la
ripartizione delle varie operazioni e la distribuzione di oneri e rischi, predeterminando obblighi a carico di
ciascuna delle parti.

8. Costituzione in mora e liberazione dall’obbligazione.


Sotto un’unica sezione intitolata “mora del creditore” sono accorpate due figure connesse ma diverse,
con differenti effetti favorevoli per il debitore: la mora del creditore in senso stretto e la liberazione
coattiva dall’obbligazione.
a)La costituzione in mora del creditore inizia con un’offerta che può essere formale o secondo gli usi.
1)L’offerta formale (solenne) tende a verificare e documentare la volontà del debitore di adempiere ed
il rifiuto del creditore di ricevere la prestazione.
Se l’obbligazione ha per oggetto danaro, cose mobili da consegnare al domicilio del creditore,
l’offerta deve essere reale, nel senso che il pubblico ufficiale autorizzato deve portare la cosa dovuta
presso il creditore, perché questi possa farla propria.
Se l’obbligazione ha per oggetto cose mobili da consegnare in luogo diverso dal domicilio del creditore,
l’offerta deve essere fatta per intimazione, nel senso che l’ufficiale autorizzato deve intimare al creditore di
ricevere le cose mobili, o prendere possesso degli immobili.
Quando il creditore rifiuta illegittimamente l’offerta solenne e l’illegittimo rifiuto è verbalizzato, dalla data
di offerta si determina la costituzione in mora del creditore. Gli effetti della mora si verificano dal giorno
dell’offerta, sempre però che questa sia successivamente accettata dal creditore o dichiarata valida con
sentenza passata in giudicato che accerti l’illegittimità del rifiuto del creditore.
Gli effetti della mora sono stabiliti dall’art. 1207; effetto fondamentale è che il creditore sopporta
il rischio dell’impossibilità sopravvenuta della prestazione per causa non imputabile al debitore.
Ulteriore effetto è che il debitore non deve corrispondere più gli interessi né i frutti della cosa che non siano
stati da lui percepiti; inoltre il creditore è tenuto a risarcire i danni derivati dalla mora e a sostenere
le spese per la custodia e la conservazione della cosa.
2) Se l’offerta è eseguita nelle forme d’uso gli effetti della mora si realizzano dal giorno in cui è effettuato
il deposito, se questo è accettato dal creditore.
Dalle offerte formali e secondo gli usi differisce l’offerta non formale, il cui unico effetto è quello di
escludere la mora del debitore.
Comunque sia compiuta l’offerta, l’obbligazione non si estingue e perciò il debitore non è liberato ma
rimane obbligato ad adempiere poiché il vincolo obbligatorio persiste.

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b) La liberazione del debitore è eventuale rispetto alla costituzione in mora del creditore, ma non può
avvenire senza il verificarsi della prima.
Quanto ai beni mobili, se il creditore non accetta l’offerta reale il debitore può eseguire il deposito. Il
debitore può sempre ritirare il deposito prima che lo stesso sia accettato dal creditore o sia dichiarato valido
con sentenza passato in giudicato; in ogni caso il debitore è liberato dall’obbligazione solo se il deposito è
accettato o è dichiarato valido con sentenza passata in giudicato.
Quanto ai beni immobili, il debitore dopo l’intimazione deve chiedere al presidente del tribunale del luogo
dove si trova l’immobile, la nomina di un sequestratario ed è liberato dall’obbligazione con la consegna
dell’immobile dovuto al sequestratario; dalla data di consegna al sequestratario, il debitore è liberato da tutti
gli obiettivi connessi all’immobile.

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B) MODI DI ESTINZIONE DIVERSI DALL’ADEMPIMENTO.
9. Modi di estinzione indirettamente satisfativi.
Viene qui soddisfatto un interesse del creditore diverso da quello originariamente perseguito, realizzandosi
cosi un soddisfacimento indiretto del creditore.
Figure tipiche sono la compensazione e la confusione; il tratto comune alle stesse è che il soddisfacimento
del creditore avviene senza la rispettiva attuazione del contenuto dell’obbligo.
Il creditore realizza un interesse di segno diverso rispetto a quello perseguito con il rapporto obbligatorio.

10. Compensazione.
Due soggetti possono essere obbligati l’uno verso l’altro in due rapporti obbligatori diversi, sicché
ciascuno dei due soggetti riveste la qualifica di debitore in un rapporto obbligatorio, e di creditore in un
diverso rapporto. La compensazione estingue i rapporti reciproci per le quantità corrispondenti.
Il soddisfacimento di ciascun creditore avviene senza l’attuazione del contenuto dell’obbligo da parte del
debitore, in quanto è un soddisfacimento indiretto, per connettersi al diverso rapporto obbligatorio che lo
vede debitore. Con la compensazione il singolo creditore trae il vantaggio della liberazione dalla posizione
debitoria nel diverso rapporto obbligatorio.
I due debiti devono essere coesistenti e reciproci, ma anche autonomi, nel senso che devono risultare da
titoli diversi.
La compensazione non si verifica quando ricorre uno dei seguenti casi: 1)credito per la restituzione di cose
di cui il proprietario sia stato ingiustamente spogliato; 4) rinunzia alla compensazione fatta preventivamente
dal debitore.
La legge prevede 3 tipi di compensazione: legale, giudiziale e convenzionale.
a)La compensazione legale opera in virtù della legge in presenza di 3 presupposti, in quanto i debiti
devono essere omogenei, liquidi ed esigibili.
I due debiti devono essere omogenei, ossia devono avere per oggetto somme di denaro dello stesso genere;
devono essere liquidi, cioè certi e determinati nell’ammontare e infine devono risultare esigibili, nel senso
che sia scaduto il termine di adempimento.
La compensazione legale opera automaticamente dal giorno della coesistenza dei debiti, in forza della legge
(non opera se uno dei due debiti è un’obbligazione naturale), ma il giudice non può rilevarla di ufficio;
la parte chiamata in giudizio per l’adempimento di un debito, ha cioè l’onere di eccepire la compensazione
legale con altro debito.
La non rilevabilità di ufficio sembra esprimere solo l’idea di rimettere ai privati la scelta di avvalersi o meno
di un effetto (estintivo) già determinatosi; l’eventuale sentenza che l’accerta ha quindi natura dichiarativa.
La compensazione, con l’estinzione dei rapporti obbligatori produce il venir meno delle garanzie connesse.
b) La compensazione giudiziale ha luogo quando il debito opposto in compensazione, pur essendo
omogeneo ed esigibile, non è liquido, ma è di pronta e facile liquidazione; può peraltro accadere che
entrambi i debiti non siano liquidi ma di pronta e facile liquidazione.
La compensazione si determina in virtù del provvedimento giudiziario che ha natura costitutiva: solo con il
provvedimento giudiziario si verifica il concorso dei 3 presupposti prima citati.
c) La compensazione volontaria non è subordinata al ricorso dei 3 presupposti; le parti con contratto,
possono sempre compensare i propri debiti estinguendo i reciproci rapporti obbligatori. La compensazione è
espressione di autonomia privata, perciò l’estinzione si realizza nei modi concordati dalle parti e per effetto
del consenso delle parti. Le parti possono anche stabilire condizioni di una successiva compensazione (patto
di compensazione futura); in tal caso la compensazione si verificherà automaticamente al momento del
verificarsi delle previste condizioni.

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11. Confusione.
La confusione ha luogo quando le qualità di creditore e di debitore si riuniscono nella stessa persona
(es. un soggetto che è creditore verso altro soggetto, diventa suo erede).
La riunione nella stessa persona delle qualità di creditore e debitore determina l’estinzione dell’obbligazione.
In questo caso il soddisfacimento del creditore è indiretto in quanto conseguente al mero fatto
della estinzione di una posizione di debito nel proprio patrimonio.

12. Modi di estinzione non satisfativi.


Il tratto comune a tali ipotesi è l’assenza di ogni soddisfacimento del creditore, né diretto, in quanto non
c’è adempimento e neppure il conseguimento di un diverso bene, né indiretto, in quanto il creditore neppure
trae il vantaggio riflesso della estinzione di una posizione debitoria.
I modi di estinzione non satisfativi sono la novazione, la remissione del debito, e la impossibilità della
prestazione per causa non imputabile al debitore.

13. Novazione.
Con la novazione il rapporto obbligatorio è sostituito con un nuovo rapporto; la novazione può
riguardare l’oggetto o il titolo del rapporto (novazione oggettiva) o solo i soggetti (novazione soggettiva).
a)Novazione oggettiva. La novazione oggettiva è l’unico tipo di novazione regolato dalla legge;
con la novazione oggettiva le parti sostituiscono all’obbligazione originaria una nuova obbligazione
con oggetto o titolo diverso.
La novazione si atteggia come contratto consensuale con funzione novativa: è consensuale perché
l’effetto estintivo si produce in virtù del solo consenso; con funzione novativa in quanto il contratto
novativo produce la vicenda estintiva del rapporto obbligatorio originario e la vicenda costitutiva di un
nuovo rapporto che si sostituisce al primo.
Per quanto riguarda i 3 presupposti della novazione oggettiva, questi sono:
1)il sussistere di un’obbligazione da novare; se l’obbligazione originaria non esisteva, la novazione è
senza effetto per l’evidente ragione che non si può sostituire ciò che non esiste.
La formula della legge, per riguardare una obbligazione non esistente, è riferita all’obbligazione derivante da
titolo nullo, anche perché è espressamente prevista l’ipotesi di titolo annullabile; se l’obbligazione originaria
deriva da un titolo annullabile, la novazione è valida se il debitore conosceva la causa di invalidità.
2) l’intento novativo; per l’art. 1230 la volontà di estinguere l’obbligazione precedente deve risultare in
modo non equivoco.
3) il mutamento dell’oggetto o del titolo. La novità può riguardare l’oggetto dell’obbligazione e cioè il
bene dovuto (ad es. alla prestazione di pagare una somma di danaro, si sostituisce quella di consegnare una
partita di merce), ma può riguardare anche solo il titolo dell’obbligazione e cioè il fondamento causale
dell’obbligazione stessa (ad es. non provvedendo il compratore a pagare il residuo prezzo dovuto, le parti
possono convenire di lasciare tale somma nella disponibilità del compratore a titolo di mutuo, sicché il
compratore dovrà pagare tale somma a titolo di restituzione per il mutuo ricevuto).
Possono inoltre intervenire modificazioni dell’oggetto dell’obbligazione senza novazione dell’obbligazione
quando manchi un animus novanti ed un aliquid novi (cd. modificazioni semplici o non novative).
Il fenomeno della novazione è ricorrente e pregna di conseguenze soprattutto con riferimento alla
transazione novativa con la quale le parti intendono definire un rapporto controverso con la costituzione
di un rapporto giuridico incompatibile e nuovo rispetto a quello originario
Perché ricorra la transazione novativa è necessario che dalla transazione sorgano obbligazioni
oggettivamente diverse da quelle preesistenti, in modo da avere la certezza che le parti nel compiere
l’originario rapporto litigioso, arrivino alla conclusione di un nuovo rapporto finalizzato a costituire nuove ed
autonome situazioni.

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b) Novazione soggettiva. L’art. 1235 si limita a menzionare la sola novazione soggettiva passiva che si ha
quando un nuovo debitore è sostituito a quello originario, che viene deliberato.
La legge poi neppure prevede la novazione soggettiva attiva, ma deve ugualmente considerarsi meritevole
di tutela il patto con il quale il debitore e creditore sostituiscano il soggetto attivo con effetto novativo del
rapporto obbligatorio.

14. Remissione del debito.


Ognuno può rinunziare ad un proprio diritto disponibile (anche il creditore può rinunziare al diritto
di credito con la remissione del debito). La dichiarazione del creditore comunicata al debitore, di rimettere
il debito, estingue l’obbligazione, ma è consentito al debitore dichiarare di non volerne profittare.
La remissione si atteggia come negozio unilaterale recettizio in quanto produce gli effetti nel momento in
cui perviene a conoscenza del destinatario. Il diritto del debitore di opporsi alla remissione è espressione del
generale principio della tendenziale indipendenza delle sfere giuridiche, per cui è consentito incidere
sulla sfera giuridica altrui, purché con effetti favorevoli e salvando il diritto di rifiuto del titolare.
La remissione non ha bisogno di una particolare forma, che può essere anche tacita purché inequivoca.
La legge prevede due presunzioni di remissione: una assoluta (cioè che non ammette prova contraria)
rappresentata dalla restituzione volontaria del titolo originale del credito; l’altra relativa (che ammette
prova contraria) costituita dalla consegna volontaria della copia del titolo del credito in forma pubblica
spedita in forma esclusiva. La remissione si configura come atto a titolo gratuito.

15. Impossibilità sopravvenuta per causa non imputabile al debitore.


L’impossibilità rappresenta uno dei requisiti necessari della prestazione per la valida costituzione del
rapporto obbligatorio.
Quando l’impossibilità interviene alla costituzione del rapporto obbligatorio, la prestazione diventa non
più eseguibile e quindi esigibile; è quindi importante stabilire se l’impossibilità sia o meno imputabile al
debitore.
Solo l’impossibilità sopravvenuta per causa non imputabile al debitore estingue l’obbligazione,
poiché non residua in capo al debitore un obbligo succedaneo (cd. impossibilità liberatoria).
L’impossibilità può essere fisica o giuridica a seconda che inerisca alla materialità del bene oppure derivi
dall’ordinamento: nel caso di impossibilità fisica si pensi al perimento del bene dovuto, mentre nel caso di
impossibilità giuridica si pensi al ritiro del bene dal commercio per ordine della pubblica autorità.
Requisiti dell’impossibilità liberatoria sono la sopravvenienza, la non imputabilità al debitore e la
definitività.
a)Quanto alla sopravvenienza, l’impossibilità deve sopravvenire alla nascita del rapporto obbligatorio.
b) Quanto alla non imputabilità si sono fronteggiate due configurazioni di impossibilità; secondo una
impostazione, l’impossibilità deve essere assoluta (cioè sussistere per tutti) e oggettiva (ossia riguardare la
prestazione in sé, senza riferimento alla persona del debitore), mentre una diversa impostazione considera
l’impossibilità come relativa, nel senso che il referente della stessa è il comportamento dovuto dal debitore
nel particolare rapporto.
Il nostro ordinamento adotta un sistema composito, che attinge ora all’una ora all’altra impostazione,
secondo una varietà di criteri di imputabilità al debitore dell’impossibilità sopravvenuta in dipendenza delle
qualità personali del debitore, della natura della prestazione e del titolo dell’obbligazione.
Il grado di difficoltà sopportabile dal debitore è determinato in relazione allo sforzo che può richiedersi al
debitore nel concreto rapporto, in funzione dell’economia dello stesso e del generale dovere di solidarietà.
La “non imputabilità” si traduce nella imprevedibilità e inevitabilità secondo lo sforzo che si può chiedere
al debitore nel concreto rapporto.

155
c) Quanto alla definitività, l’impossibilità è definitiva quando è irreversibile o è ignoto se l’impossibilità
verrà meno. L’impossibilità temporanea non estingue l’obbligazione, ma il debitore finché l’impossibilità
perdura non è responsabile dell’inadempimento.
L’obbligazione si estingue se l’impossibilità perdura fino a quando il debitore non può più essere ritenuto
obbligato ad eseguire la prestazione rispetto alla natura dell’oggetto, oppure il creditore non è più interessato
a conseguirla.
Se la prestazione ha per oggetto una cosa determinata, all’impossibilità viene equiparato lo smarrimento
quando non possa esserne provato il perimento; in caso di successivo ritrovamento si applica la disciplina
dell’impossibilità temporanea.
Non è richiesto che l’impossibilità sia totale, cioè che sia del tutto irrealizzabile l’interesse del creditore;
l’impossibilità può essere anche parziale, nel senso che solo parzialmente sia realizzabile l’interesse del
creditore; in tal caso si ha estinzione dell’obbligazione per la sola parte di prestazione divenuta impossibile
ed il debitore si libera dall’obbligazione eseguendo la prestazione per la parte rimasta possibile.

156
CAPITOLO 4 – INADEMPIMENTO DELL’OBBLIGAZIONE (La responsabilità del debitore)
1.Inadempimento e impossibilità sopravvenuta; 2. La responsabilità per inadempimento (cd. responsabilità
contrattuale); 3. La responsabilità da contatto sociale; 4. Gli strumenti di tutela del creditore. L’adempimento
coattivo; 5. Il risarcimento del danno; 6. Mora del debitore; 7. Effetti della mora; 8. La liquidazione del
danno; 9. Autoresponsabilità del creditore.

1.Inadempimento e impossibilità sopravvenuta.


Per l’art. 1218 il debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta è tenuto al risarcimento del
danno se non prova che l’inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione
derivante da causa a lui non imputabile
Ogni prestazione potrebbe essere eseguita al fine di procurare l’utilità promessa, ma il problema è
a quali costi e con quale impegno; c’è da verificare quale sforzo possa essere richiesto al debitore
per procurare l’utilità programmata.
Si faccia il caso della vendita di merce tra imprese operanti in località vicine, comunicanti attraverso un
ponte; se quest’ultimo crolla, il venditore potrebbe ancora raggiungere la piazza dell’acquirente attraverso
un lungo periplo o mediante trasferimento in elicottero.
L’area dell’inadempimento è connessa alla portata della impossibilità liberatoria; a fronte della inesatta
esecuzione della prestazione dovuta, sussiste inadempimento quando non opera l’impossibilità liberatoria
e viceversa.

2. La responsabilità per inadempimento (cd. responsabilità contrattuale).


L’inadempimento dell’obbligazione integra un fatto illecito per inattuazione dell’obbligo assunto,
che dà luogo alla responsabilità del debitore; tale responsabilità per inadempimento dell’obbligazione
è propriamente responsabilità da inadempimento.
Si è soliti indicarla anche come responsabilità contrattuale per essere il contratto la più diffusa fonte di
obbligazioni; tale responsabilità si distingue dalla responsabilità extracontrattuale ricorrente quando
manca un pregresso vincolo tra l’autore del danno ed il soggetto leso.
Da entrambi i tipi di responsabilità deriva l’obbligo dell’autore dell’illecito al risarcimento del danno, come
tipica sanzione civilistica.
a)Criteri di responsabilità. La responsabilità da inadempimento si colloca a cavallo tra inadempimento
ed impossibilità sopravvenuta della prestazione non imputabile al debitore; il debitore è responsabile
dell’inadempimento se non prova la sopravvenuta impossibilità liberatoria. Il raccordo tra le due regole
fa emergere un favor per il creditore essendo sufficiente allo stesso allegare l’inadempimento e gravando
sul debitore la prova della impossibilità liberatoria: il debitore rimane responsabile dell’inadempimento
quando non riesce a provare l’impossibilità liberatoria.
1)Spesso la responsabilità è collegata alla colpevolezza nell’inadempimento; la colpevolezza si atteggia
come dolo quando l’inadempimento è cosciente e volontario, mentre si atteggia come colpa in senso stretto
quando l’inadempimento è frutto di negligenza, imprudenza. Talvolta è richiesta la colpa grave perché
ricorra inadempimento dell’obbligazione; talaltra è sufficiente la sola colpa lieve.
In definitiva il debitore risponde per i soli danni prevedibili al tempo in cui è sorta l’obbligazione, tranne che
l’inadempimento o il ritardo non dipendano dal dolo del debitore; in ogni caso per accertare la colpevolezza
bisogna accedere ad un criterio soggettivo tipizzato, avendo riguardo ad un soggetto medio con le stesse
qualità e caratteristiche del debitore specifico nel caso concreto. Il parametro di riferimento è la diligenza
generica del buon padre di famiglia oppure la diligenza qualificata per le obbligazioni inerenti all’esercizio
di un’attività professionale. Si configura in merito una responsabilità professionale, per cui la
responsabilità del debitore è valutata “con riguardo alla natura dell’attività esercitata”.

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Riguardo al criterio della colpa si sono fronteggiati 2 indirizzi: uno riguardante il debitore specifico
secondo un giudizio individualizzato, l’altro riguardante il debitore medio secondo un giudizio tipizzato.
2) Si ha responsabilità aggravata quando il debitore è liberato dall’obbligazione solo per impossibilità della
prestazione derivante da caso fortuito (es. distruzione e perimento) o da forza maggiore cui non è possibile
sottrarsi (es. divieto della pubblica autorità di commercio di un determinato bene).
3) Esistono anche ipotesi di responsabilità oggettiva per le quali il debitore risponde per il fatto in sé della
mancata o inesatta esecuzione della prestazione dovuta. Figura significativa di responsabilità oggettiva è la
responsabilità per fatto degli ausiliari; qualunque sia il criterio di responsabilità operante per la singola
fattispecie, il debitore che nell’adempimento dell’obbligazione si avvale dell’opera di terzi risponde anche
dei fatti dolosi o colposi di costoro (dipendenti).
Dell’inadempimento risponde verso il creditore un soggetto diverso dall’autore del comportamento illecito
(cd. preponente). Si trascura la verifica dello stato di colpevolezza del debitore; si risponde per la cattiva
organizzazione delle risorse umane e materiali nell’esplicazione dell’attività economica.
Esistono diversi criteri di collegamento della responsabilità rispetto alla tipologia degli interessi coinvolti,
tenendo conto delle qualità personali del debitore, della natura della prestazione e del titolo dell’obbligazione
Quando la responsabilità dell’evento dannoso è imputabile a più soggetti, tutti sono tenuti solidamente al
risarcimento del danno.
b) Clausole di esonero da responsabilità. Sono nulle le clausole di esonero o limitazione della
responsabilità del debitore per dolo o colpa grave, ammettendo la validità delle clausole di esonero da
responsabilità per colpa ordinaria. Queste ultime sono clausole molto ricorrenti nella pratica, spesso adottate
dalle imprese in moduli e formulari con le quali si vuole escludere o limitare la responsabilità fissando la
misura del risarcimento dovuto. Sono sempre nulle le clausole di esonero di responsabilità per fatti del
debitore o dei suoi ausiliari che integrano violazione di obblighi derivanti da norme di ordine pubblico.
c) Onere della prova. Per l’art. 1218 il debitore è responsabile se non prova che l’inadempimento o
l’inesatto adempimento è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non
imputabile. Opera pertanto il generale principio di inversione dell’onere della prova; non è il creditore a
dover provare il fatto dell’inadempimento, ma è il debitore a dover provare l’assenza di responsabilità.
Il creditore che agisce per l’inadempimento o per l’inesatto adempimento della prestazione ha solo l’onere
di provare la fonte del suo diritto di credito e il relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera
allegazione dell’inadempimento della controparte.
d) Prescrizione. Il termine di prescrizione dell’azione di responsabilità è quello ordinario di 10 anni,
decorrente dal giorno di esigibilità del credito. Il termine di prescrizione della responsabilità
extracontrattuale è invece di 5 anni dal giorno in cui l’illecito si è verificato, salvo termini più brevi.

3. La responsabilità da contatto sociale.


In maniera sempre più diffusa si tende a delineare una rilevanza giuridica del contatto sociale, con
l’attribuzione di responsabilità contrattuale in capo all’autore del danno, anche in assenza di un pregresso
vincolo obbligatorio dello stesso autore verso il soggetto danneggiato, in ragione del dovere di solidarietà
riguardante i soggetti della relazione sociale.
Il fenomeno è emerso con riguardo al dovere di perizia che si connette alla responsabilità professionale.
Questo modello di responsabilità si è sviluppato anche in altri settori; nel campo dell’istruzione scolastica,
oppure nel caso di autolesione dell’alunno si tende a delineare una responsabilità contrattuale dell’istituto
scolastico e una responsabilità da contatto sociale dell’insegnante.

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4. Gli strumenti di tutela del creditore. L’adempimento coattivo.
Nei contratti a prestazioni corrispettive quando uno dei contraenti non adempie le sue obbligazioni, l’altro
può a sua scelta chiedere l’adempimento o la risoluzione del contratto, salvo il risarcimento del danno.
Il risarcimento del danno si atteggia come ulteriore rimedio di tutela rispetto ai due principali rimedi
dell’adempimento e della risoluzione.
Primario strumento di tutela del creditore è quello volto a soddisfare coattivamente l’interesse perseguito
con il rapporto obbligatorio, permettendo di conseguire il bene dedotto in obbligazione non procurato dal
debitore attraverso gli apparati giudiziari; è il cd. adempimento coattivo che consente al creditore la
realizzazione coattiva del credito.
Per conseguire tale risultato l’ordinamento mette a disposizione del creditore lo strumento dell’esecuzione
forzata nelle due forme di esecuzione in forma specifica e della esecuzione per espropriazione.
Con l’esecuzione forzata in forma specifica il creditore consegue il medesimo bene oggetto
dell’obbligazione. Nell’ipotesi di inadempimento di una obbligazione pecuniaria, si può ricorrere alla
procedura di esecuzione forzata per espropriazione. Attraverso l’aggressione del patrimonio del debitore,
il creditore consegue il bene dovuto dal debitore (la somma di danaro dedotta in obbligazione): la normale
fungibilità del danaro consente la realizzazione coattiva del credito attraverso la conversione in danaro dei
beni soggetti ad esecuzione che sono presenti nel patrimonio del debitore.

5. Il risarcimento del danno.


Per l’art. 1218 l’inadempimento dell’obbligazione comporta l’obbligo di risarcimento del danno,
quale tipica sanzione dell’illecito; si determina così un’obbligazione succedanea che reintegra il
patrimonio del creditore per la mancata attuazione dell’obbligo.
E’ un generale modo di tutela del creditore per inattuazione dell’obbligo del debitore.
Incombe sul soggetto danneggiato e quindi sul creditore l’onere della prova del danno e della sua entità;
l’entità del danno è differente a seconda che si accompagni con la realizzazione coattiva del credito o
ne tenga luogo: nella prima ipotesi, il risarcimento è aggiuntivo dell’adempimento coattivo e tende
a ristorare le conseguenze del mancato adempimento nei tempi prestabiliti, mentre nella seconda ipotesi
il risarcimento è sostitutivo dell’adempimento e quindi deve reintegrare il creditore del mancato
conseguimento del bene dovuto, e poi ristorarlo degli ulteriori danni subiti per non aver potuto conseguire il
risultato prefissatosi.
a)Risarcimento per equivalente. La normativa del codice civile è organizzata in funzione del risarcimento
per equivalente quale modo generale di risarcimento del danno da inadempimento. Il risarcimento mira a
riparare il danno sofferto dal creditore con l’attribuzione allo stesso di una somma di danaro
commisurata al pregiudizio subito.
Come per l’illecito extracontrattuale anche il risarcimento del danno per inadempimento si configura come
una obbligazione di valore; si tende a ristorare il creditore dei danni sofferti per l’inadempimento o inesatto
adempimento del debitore.
Il risarcimento mira alla completa reintegrazione dell’interesse leso e perciò va rapportato al momento in
cui avviene la liquidazione e non a quello in cui si realizza la violazione contrattuale.
Sono fissati precisi criteri per la determinazione del danno risarcibile.
1)Anzitutto deve esistere un nesso di causalità tra il fatto dell’inadempimento o del ritardo e la
conseguenza dannosa, nel senso che sono valutabili solo quei danni immediatamente riconducibili al
comportamento imputabile del debitore. A partire dal danno bisogna valutare la catena causale degli eventi
che si susseguono, per verificare gradualmente fino a quale causa, soggetto e a quale evento è possibile
ricondurre la determinazione del danno, secondo un criterio oggettivo di esperienza generalizzata
(causalità adeguata).

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2) E’ risarcito l’interesse positivo del creditore all’adempimento; interesse che va rapportato al risultato
perseguito dal creditore con la costituzione del rapporto obbligatorio secondo il principio di causalità
adeguata
Per l’art. 1223 il risarcimento del danno per l’inadempimento o per il ritardo deve comprendere la perdita
subita dal creditore (cd. danno emergente) ed il mancato guadagno (cd. lucro cessante), che ne sono
conseguenza immediata e diretta.
Il risarcimento deve reintegrare sia i danni patrimoniali che quelli non patrimoniali (morale, esistenziale)
incluso il danno per le occasioni perdute dal creditore a seguito dell’inadempimento (perdita di chance,
intesa come concreta occasione favorevole di conseguire un determinato bene).
Il risarcimento deve coprire l’integrale ristoro del danno sofferto dal creditore per l’inadempimento secondo
il principio di causalità adeguata.
La violazione del dovere di solidarietà nei rapporti tra creditore e debitore costituisce voce autonoma
di risarcimento del danno. E’ stato di recente introdotto nel nostro ordinamento un rimedio di esecuzione
indiretta degli obblighi di fare o di non fare a carattere pecuniario.
3) Sono di regola risarcibili i danni prevedibili al momento della costituzione del rapporto obbligatorio;
solo se l’inadempimento o il ritardo dipendono da dolo del debitore devono risarcirsi anche i danni
imprevedibili.
b) Risarcimento in forma specifica. Questo è previsto solo in tema di responsabilità da atto illecito
extracontrattuale. Il risarcimento in forma specifica è rivolto alla eliminazione in forma specifica delle
conseguenza dannose dell’inadempimento.
Si pensi all’ipotesi di acquisto di un macchinario da inserire in una catena di montaggio presso una casa
costruttrice di impianti industriali; se il macchinario difettoso danneggia l’intera catena di montaggio,
c’è la necessità di risarcire i complessivi danni conseguenti all’inesatto adempimento dell’obbligazione.
In tal caso il creditore ha diritto all’adempimento coattivo con la sostituzione del macchinario acquistato
rivelatosi difettoso, e ha altresì diritto al risarcimento in forma specifica delle conseguenze dannose
dell’inadempimento, con la eliminazione dei danni arrecati alla catena di montaggio.

6. Mora del debitore.


Con la scadenza del termine di adempimento il debito diventa esigibile ed il debitore è tenuto ad eseguire
la prestazione dovuta. Il ritardo nell’adempimento comporta l’inesatta esecuzione della prestazione dovuta;
ogni ritardo comporta mora e perché il debitore cada in mora è necessario che il ritardo sia imputabile
al debitore.
Possiamo quindi dire che la mora è il ritardo ingiustificato nell’adempimento dell’obbligazione.
L’offerta della prestazione impedisce la caduta in mora; per l’art. 1220 il debitore non può essere
considerato in mora se alla scadenza del debito ha fatto offerta della prestazione dovuta.
Anche dopo la scadenza del termine il debitore ha ancora l’obbligo di adempiere, benché in ritardo e
il creditore ha non solo il diritto di pretenderla, ma anche il dovere di riceverla con il risarcimento aggiuntivo
per la mora. Intervenuto l’inadempimento, il risarcimento per ritardo rimane ricompreso ed assorbito in
quello per l’inadempimento. La caduta in mora non è configurabile nelle obbligazioni negative, nelle quali
il debitore è obbligato a un non fare
Per la caduta in mora è necessaria la costituzione in mora che avviene mediante intimazione o richiesta
di adempimento fatta dal creditore per iscritto; si presume che la mancata richiesta di adempimento da parte
del creditore sia da attribuirsi ad una sua tolleranza. Il debitore non subisce gli effetti della mora fino a
quando il creditore non mostri di avere interesse all’adempimento.
L’atto di costituzione in mora è atto giuridico in senso stretto, in quanto gli effetti sono interamente
previsti e disposti dall’ordinamento.

160
Per l’art. 1219 la costituzione in mora non è necessaria e perciò la caduta in mora è automatica
nelle seguenti 3 ipotesi.
1)Quando il debito deriva da fatto illecito.
2) Quando per iscritto il debitore ha dichiarato di non volere adempiere l’obbligazione.
3) Quando è scaduto il termine di adempimento di una obbligazione la cui prestazione deve essere
adeguata al domicilio del creditore. Sono questi i debiti portabili, il cui adempimento deve avvenire presso
il creditore; tra i debiti portabili assumono particolare rilevanza i debiti pecuniari che devono essere
adempiuti al domicilio che il creditore ha al tempo della scadenza (il ritardo nell’adempimento è ricollegabile
al debitore). Discorso diverso vale per i debiti chiedibili, il cui adempimento deve avvenire presso il
domicilio del debitore e che dunque il creditore deve richiedere (il ritardo nell’adempimento è ricollegabile
alla mancata iniziativa del creditore). Il termine deve scadere quando il debitore è in vita, poiché se questo
scade dopo la morte del debitore è necessaria la costituzione in mora degli eredi.

7. Effetti della mora.


La mora comporta più effetti sfavorevoli al debitore.
a)Effetto generale è l’obbligo del debitore di risarcimento del danno conseguente al ritardo, salvo che
non provi che il ritardo stesso sia derivato da impossibilità temporanea della prestazione derivante da causa a
lui non imputabile.
Una disciplina particolare opera per l’inadempimento delle obbligazioni pecuniarie; Per la naturale
prolificità del danaro, nell’ipotesi di ritardo ingiustificato nel pagamento, è prevista la corresponsione di
interessi legali con funzione sanzionatoria-risarcitoria in misura predeterminata, come ristoro in capo al
creditore della mancata disponibilità della somma non ricevuta.
Per l’art. 1224 nelle obbligazioni che hanno per oggetto somme di danaro sono dovuti gli interessi legali
dal giorno della mora anche se il creditore non prova di aver sofferto un danno (interessi moratori).
In ogni caso il debito deve essere liquido, cioè determinato o di facile determinazione.
Una deroga al principio generale dice che chi pretende il risarcimento del danno deve dare la prova del
danno sofferto e della sua entità. Il creditore deve provare di aver sofferto un danno maggiore di quello
ristorato dalla corresponsione degli interessi moratori, con conseguente diritto all’ulteriore
risarcimento.
Le obbligazioni aventi ad oggetto una somma di danaro sono caratterizzate da un principio nominalistico,
per cui il pagamento deve avvenire con la moneta espressa e nell’ammontare indicato (cd. debito di valuta),
sicché tale debito non è suscettibile di automatica rivalutazione in conseguenza del processo inflattivo della
moneta. E’ però possibile conseguire la rivalutazione monetaria del credito mediante la prova del maggior
danno derivato dalla mancata disponibilità della somma durante il periodo di mora e non compensato dagli
interessi moratori.
b) Un effetto specifico si produce rispetto alle obbligazioni che hanno ad oggetto cose riguardo
all’allocazione del rischio. Il debitore che è in mora non è liberato per la sopravvenuta impossibilità
della prestazione derivante da causa a lui non imputabile.
Si ha una deroga al principio generale che pone a carico del creditore il rischio della impossibilità
sopravvenuta della prestazione (es. per caso fortuito è perito il bene da consegnare; se il debitore è in mora,
risponde comunque per l’inadempimento dell’obbligazione).
c) Altro effetto è la interruzione della prescrizione del diritto di credito; per l’ art. 2943 la prescrizione
è interrotta da ogni atto che valga a costituire in mora il debitore.
d) E’ ammessa la purgazione della mora, ossia il venir meno dello stato di mora con i conseguenti effetti,
in presenza di determinati presupposti.
E’ nel potere del creditore rimuovere lo stato di mora, con la rinunzia ad avvalersi della stessa,
cancellando così gli effetti della mora già verificatisi (cancellazione della mora).

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8. La liquidazione del danno.
La liquidazione del danno consiste nella determinazione del risarcimento e quindi nella quantificazione
dell’ammontare dell’importo dovuto dal debitore al creditore per ristorarlo del pregiudizio subito.
Tale importo è l’oggetto dell’obbligazione risarcitoria, la cui misura varia in ragione dell’accompagnarsi
o meno ad un adempimento coattivo.
Il creditore ha l’onere di provare l’ammontare del danno sofferto in conseguenza dell’inadempimento;
deve perciò provare entrambe le componenti del danno (lucro cessante e danno emergente).
Se il danno non può essere provato nel suo preciso ammontare, è liquidato dal giudice con valutazione
equitativa sempre che ne sia provata l’effettiva esistenza.
La liquidazione del danno può essere forfettariamente predeterminata dalle parti, attraverso la preventiva
stipulazione di una clausola penale.

9. Autoresponsabilità del creditore.


Lo svolgimento dei rapporti sociali implica che l’autore di un comportamento, commissivo od omissivo che
sia, ne subisca i relativi rapporti (autoresponsabilità).
Nella configurazione della responsabilità da inadempimento e nella determinazione del danno da risarcire,
è importante il comportamento avuto dal creditore, gravando sullo stesso un dovere di cooperazione nei
confronti del debitore, rispetto all’adempimento dovuto; è anche un dovere giuridico che fa obbligo
al debitore e al creditore di comportarsi secondo le regole della correttezza.
Per l’art. 1227 assume rilevanza giuridica il fatto colposo del creditore in duplice direzione:
come partecipazione causale nel cagionare il danno e come negligenza nel non avere evitato il danno.
a)La partecipazione causale nel cagionare il danno integra un concorso di colpa del danneggiato
(creditore) nel verificarsi dell’evento dannoso e nel compimento dell’illecito.
Per l’art. 1227 se il fatto colposo del creditore ha concorso a cagionare il danno, il risarcimento è diminuito
secondo la gravità della colpa e l’entità delle conseguenze che ne sono derivate. Spetterà al giudice
determinare la proporzione della colpa del ceditore nella pronuncia del danno, e questo ridurrà nella misura
corrispondente il risarcimento dovuto dal debitore.
b) L’inerzia nell’evitare il danno dà luogo ad una irrisarcibilità dei danni evitabili con l’ordinaria diligenza.
Il principio dell’autoresponsabilità opera anche con riguardo alla responsabilità extracontrattuale,
relativamente al comportamento avuto dal soggetto danneggiato rispetto all’atto illecito altrui.

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CAPITOLO 5 – RESPONSABILITA’ PATRIMONIALE DEL DEBITORE
(La garanzia generica del credito)
-A) FUNZIONE E ATTUAZIONE DELLA GARANZIA PATRIMONIALE. 1.Garanzia del credito e
responsabilità patrimoniale del debitore; 2. L’azione esecutiva del creditore; 3. L’espropriazione forzata;
4. L’esecuzione concorsuale. Fallimento e altre procedure; -B) MEZZI DI CONSERVAZIONE DELLA
GARANZIA PATRIMONIALE. 5. Generalità; 6.Azione surrogatoria; 7. Azione revocatoria;
8. Effetti della revocatoria; 9. Sequestro conservativo; -C) MECCANISMI DI GARANZIA. 10.Generalità;
11. Cessione dei beni ai creditori; 12. Anticresi; 13. Rimedi di autotutela.

A)FUNZIONE E ATTUAZIONE DELLA GARANZIA PATRIMONIALE


1.Garanzia del credito e responsabilità patrimoniale del debitore.
Circa i tratti generali dell’obbligazione, requisito della prestazione è la patrimonialità, intesa come sua
suscettibilità di valutazione economica. Oggetto dell’obbligazione è il bene dovuto, quale risultato utile che
il creditore persegue e il debitore deve procurare.
Il patrimonio del debitore rappresenta il termine di riferimento delle aspettative del creditore per l’ipotesi
di inadempimento dell’obbligazione o di mora, consentendo il soddisfacimento coattivo dell’interesse del
creditore attraverso l’azione esecutiva.
La responsabilità patrimoniale rende concreta la situazione attiva di credito e allo stesso tempo rende
gravosa la situazione passiva di debito, consentendo al creditore l’aggressione del patrimonio del debitore.
La responsabilità patrimoniale del debitore costituisce la garanzia del credito in quanto permette il
soddisfacimento coattivo dell’interesse del creditore, senza l’attuazione dell’obbligo da parte del debitore.
Quando il patrimonio del debitore è esiguo rispetto all’importo del credito si ricorre all’intervento di terzi
che garantiscono l’adempimento del debitore nei confronti del creditore.
La responsabilità patrimoniale del debitore è regolata da 2 principi:
a)Responsabilità patrimoniale illimitata, salve le eccezioni previste dalla legge.
Per l’art. 2740 il debitore risponde dell’adempimento delle obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri;
è inoltre affermata la generale soggezione del patrimonio presente e futuro del debitore a garanzia del credito
(cd. garanzia generica del credito).
L’art. 2740 ammette le limitazioni della responsabilità nei soli casi stabiliti dalla legge; tali limitazioni
sono quindi eccezionali e tassative.
b) Parità di trattamento dei creditori, salve le cause legittime di prelazione.
Per l’art. 2741 i creditori hanno uguale diritto ad essere soddisfatti sui beni del debitore, salve le cause
legittime di prelazione; è’ la regola della par condicio creditorum secondo cui, nel concorso di più creditori
nella esecuzione espropriativa i vari creditori devono essere soddisfatti in modo paritario (per intero, se il
patrimonio ha capienza per soddisfarli tutti; in modo proporzionale se non c’è capienza per tutti)
Ai sensi dell’art. 2741 sono cause legittime di prelazione i privilegi, il pegno e le ipoteche.
Le cause legittime di prelazione sono tassative ed integrano altrettante garanzie specifiche che si fissano
su specifici beni o categorie di beni.
La ricorrenza di cause di prelazione assume rilevanza quando il patrimonio del debitore non è abbastanza
capiente da soddisfare tutti i creditori; allora i creditori che vantano cause legittime di prelazione su taluni
beni o categorie di beni (creditori privilegiati) sono soddisfatti prima degli altri creditori (creditori
chirografari), secondo l’ordine di preferenza previsto dalla legge.
E’ possibile distinguere le garanzie del credito in 2 modelli: la garanzia generica e garanzie specifiche.
La garanzia generica ha ad oggetto la totalità del patrimonio del debitore, mentre le garanzie specifiche si
fissano su specifici beni o specifiche categorie di beni, traducendosi in cause legittime di prelazione.
Tutti i creditori sono assistiti dalla garanzia generica, mentre solo alcuni creditori sono anche titolari di
garanzie specifiche. Nel sistema della legge, le garanzie del credito sono considerate accessori del credito
in quanto seguono le sorti del credito.

163
2. L’azione esecutiva del creditore.
Se il debitore non esegue esattamente la prestazione dovuta, il creditore può chiedere la realizzazione
coattiva del credito. Il creditore consegue il bene oggetto dell’obbligazione non tramite il debitore
inadempiente, ma a mezzo dell’esecuzione forzata (cioè attraverso la forza impiegata dall’ordinamento).
La responsabilità patrimoniale del debitore si attualizza nell’effettiva aggressione dei beni sottoposti ad
esecuzione.
L’azione esecutiva del creditore ha una funzione strumentale alla realizzazione del diritto di credito.
La procedura esecutiva può assumere 2 direzioni: in forma specifica o per espropriazione.
Con l’esecuzione forzata in forma specifica il creditore realizza coattivamente il suo diritto conseguendo
l’oggetto originario dell’obbligazione.
Si ricorre all’esecuzione forzata per espropriazione (indicata come espropriazione forzata) quando
oggetto dell’obbligazione è una somma di danaro o non è possibile ottenere il bene perseguito o comunque il
bene non soddisfa più l’interesse del creditore (in tali ipotesi il creditore ha interesse a ricevere una somma di
danaro dal debitore in sostituzione del bene perseguito). L’espropriazione forzata mira alla conversione in
danaro del patrimonio del debitore o di singoli beni, per far conseguire coattivamente al creditore un bene
sostitutivo a quello originariamente perseguito.

3. L’espropriazione forzata.
Con un'unica sentenza è accertato l’inadempimento ed emessa condanna del debitore al pagamento
di una somma di danaro al creditore, in sostituzione dell’obbligazione originaria inadempiuta.
In tal modo la sentenza di condanna a titolo esecutivo consente al creditore di promuovere l’azione
esecutiva con l’espropriazione forzata dei beni del debitore, al fine della conversione in danaro.
Essendo una pluralità di creditori, ciascuno di essi può assumere l’iniziativa del processo esecutivo,
consentendo agli altri di esercitare un intervento nel processo, in modo da realizzare il principio della
parità di trattamento dei creditori.
a)Un effetto sostanziale è realizzato dal pignoramento, con il quale si inizia l’esecuzione annunziata
dall’atto di precetto, con cui determinati beni del debitore sono destinati all’esecuzione.
Il pignoramento comprende gli accessori, le pertinenze e i frutti dei beni pignorati, ma esclude
quelli destinati al culto e quelli inerenti alla dimensione esistenziale della persona (arredi dell’abitazione).
Su istanza del debitore, quando il valore dei beni pignorati è superiore all’importo delle spese e dei crediti
per i quali si procede, il giudice può disporre la riduzione del pignoramento. Se l’esecuzione si esaurisce,
gli atti di alienazione dei beni pignorati rimangono efficaci anche nei confronti dei terzi.
L’atto di pignoramento sugli immobili va trascritto nei registri immobiliari per la produzione degli effetti
prima indicati; la trascrizione conserva il suo effetto per 20 anni dalla sua data e l’effetto cessa ipso iure
se la trascrizione non è rinnovata prima che scada il detto termine.
b) La vendita forzata trasferisce all’acquirente i diritti sulla cosa che spettavano a colui che ha subito
l’espropriazione; su richiesta del creditore pignorante, il procedimento esecutivo può chiudersi con
l’assegnazione del bene oggetto di esecuzione allo stesso.
c) La somma ricavata a tiolo di prezzo della vendita forzata è destinata all’attribuzione.
Se vi è un solo creditore pignorante, è attribuita allo stesso in pagamento di quanto gli spetta per capitale,
interessi e spese; se esistono più creditori, la somma è distribuita tra gli stessi secondo i criteri previsti dalla
legge, previa redazione di un piano di riparto, dove prima sono soddisfatti i creditori assistiti da cause
legittime di prelazione, poi i creditori chirografari.

164
4. L’esecuzione concorsuale. Fallimento e altre procedure.
a) La procedura di fallimento dà luogo ad una procedura di esecuzione collettiva, che assicura la
parità di trattamento dei creditori rispetto all’ eventuale gestione e cessazione dell’attività di impresa.
Per l’art. 5 l’imprenditore che si trova in stato di insolvenza è dichiarato fallito, su ricorso del debitore o di
uno o più creditori. Lo stato di insolvenza si manifesta con inadempimenti o altri fatti che dimostrino che
il debitore non è più in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni.
Il fallimento è dichiarato dal tribunale del luogo dove l’imprenditore ha la sede principale dell’impresa;
la sentenza dichiarativa del fallimento nomina il giudice delegato alla procedura, e il curatore ordina al
fallito il deposito dei bilanci e delle scritture contabili. La sentenza di fallimento priva il fallito
dell’amministrazione e della disponibilità dei suoi beni, con esclusione dei beni più strettamente personali.
Gli atti compiuti dal fallito e i pagamenti da lui eseguiti dopo la dichiarazione di fallimento sono inefficaci
rispetto ai creditori; la sentenza produce i suoi effetti dalla data di pubblicazione, mentre gli effetti nei
riguardi dei terzi si producono dalla data di iscrizione della sentenza nel registro delle imprese.
Funzione essenziale è la ricostruzione e la liquidazione del patrimonio del fallito (attivo fallimentare).
La distribuzione delle somme ricavate dalla liquidazione del patrimonio del fallito segue l’ordine assegnato
dalla legge: prima sono soddisfatti i crediti assistiti da cause legittime di prelazione e poi i crediti
chirografari.
Con la chiusura del fallimento, cessano gli effetti del fallimento sul patrimonio del fallito e decadono
gli organi preposti al fallimento; i creditori riacquistano il libero esercizio delle azioni verso il debitore per
la parte non soddisfatta dei loro crediti per capitale ed interessi; è però ammessa la esdebitazione con la
quale il fallito è ammesso al beneficio della liberazione dei debiti residui nei confronti dei creditori
concorsuali non soddisfatti.
La procedura può anche chiudersi con concordato fallimentare; la proposta di concordato può essere
presentata da uno o più creditori o da un terzo, anche prima del decreto che rende esecutivo lo stato passivo.
Il concordato omologato è obbligatorio per tutti i creditori anteriori all’apertura del fallimento, e la sua
esecuzione estingue l’obbligazione verso il debitore fallito.
b) Una particolare forma di procedura collettiva è la liquidazione coatta amministrativa prevista per
particolari tipi di imprese (istituti bancari, compagnie assicurative)
c) L’imprenditore che si trova in stato di insolvenza, fino alla data di dichiarazione del fallimento può
proporre ai creditori un concordato preventivo; se il tribunale riconosce ammissibile la proposta, delega un
giudice alla procedura e nomina il commissario giudiziale che vigila sull’amministrazione dei beni da parte
del debitore durante la procedura.

B) MEZZI DI CONSERVAZIONE DELLA GARANZIA PATRIMONIALE


5. Generalità.
La garanzia generica si appunta sulla totalità del patrimonio del debitore, in modo che il debitore possa
rispondere per l’inadempimento dell’obbligazione con tutti i suoi beni presenti e futuri; perché tale garanzia
sia fruttuosa è necessario che il patrimonio del debitore non diminuisca lungo la vita del rapporto
obbligatorio.
Sono in merito previsti 3 rimedi di conservazione della garanzia patrimoniale: azione surrogatoria,
azione revocatoria e sequestro conservativo, tutti rivolti all’unico fine di apprestare al creditore una
tutela preventiva di conservazione della garanzia patrimoniale.
Ciò comporta un vantaggio mediato per il creditore circa conservazione del patrimonio del debitore,
sul quale il creditore può soddisfarsi tramite l’azione esecutiva; sono rimedi strumentali alla realizzazione
del credito.
Presupposto per sperimentare i singoli rimedi è la necessità di salvaguardia della garanzia del credito.

165
6.Azione surrogatoria.
L’azione surrogatoria è un’azione fissata contro un debitore noncurante nella cura del patrimonio.
Il debitore oberato di debiti potrebbe non trovare più interesse oltre che stimoli a curare i propri diritti
contro i terzi, essendo consapevole che gli eventuali risultati si risolverebbero solo in un incremento
della garanzia dei creditori.
L’azione surrogatoria sopperisce quindi al mancato esercizio dei diritti del debitore, da cui deriva un
pregiudizio del creditore.
Questi i presupposti dell’azione surrogatoria:
a)Deve sussistere un pregiudizio della garanzia patrimoniale; del risultato di tale azione si
avvantaggiano tutti i creditori.
b) Deve ricorrere la non curanza del debitore nella cura dei propri interessi, indipendentemente
dalle cause che possano determinarla (imputabili o meno al debitore).
c) Deve trattarsi di diritti ed azioni con contenuto patrimoniale
d) Infine diritti ed azioni devono essere esercitabili da altro soggetto, in quanto il creditore non può
surrogarsi nei diritti ed azioni inerenti alla sfera personale del debitore.
Il creditore può agire in surrogatoria sia in via stragiudiziale che in via giudiziale; nel primo caso si pensi
alla richiesta di pagamento verso un debitore al fine di interrompere la prescrizione del diritto di credito;
nel secondo caso si pensi invece ad un’azione di risoluzione contrattuale per conseguire la restituzione del
prezzo in assenza della consegna della cosa venduta.

7. Azione revocatoria.
L’azione revocatoria è un’azione fissata contro un debitore malizioso che depaupera il patrimonio.
Il debitore tende a sottrarre i beni dal patrimonio per evitare che gli stessi siano aggrediti dai creditori, e ciò
lo fa ricorrendo a 2 strumenti: simulando l’alienazione a compiacenti acquirenti, e alienando a terzi
singoli beni pur di ricavarne qualcosa (ed è questa l’ipotesi cui ha riguardo l’azione revocatoria).
L’azione revocatoria si svolge contro l’iniziativa di un debitore attivo che mira a ridurre la consistenza
del patrimonio per evitare l’espropriazione da parte dei creditori.
Non è necessario che il credito sia attuale e liquido, ma è sufficiente che tale credito sia esistente.
Per l’art. 2901 il creditore può domandare che gli atti di disposizione del patrimonio con i quali il debitore
rechi pregiudizio alle sue ragioni siano dichiarati inefficaci nei suoi confronti, quando concorrono alcuni
presupposti di carattere oggettivo e soggettivo.
a)Presupposti oggettivi. E’ essenziale un atto dispositivo del debitore che pregiudichi la garanzia
patrimoniale del creditore. Non tutti gli atti dispositivi sono soggetti a revocatoria, ma solo quello che
riduce la consistenza del patrimonio in misura tale da compromettere il soddisfacimento del creditore.
La giurisprudenza ha chiarito che il debitore deve mantenere l’originario stato di fruttuosità e
agevolezza dell’azione esecutiva sul patrimonio. Non è soggetto a revocatoria l’adempimento di un debito
scaduto in quanto tale passività si trova nel patrimonio del debitore, ma è soggetto a revocatoria
l’adempimento di un debito non ancora scaduto.
b) Presupposti soggettivi. Rileva lo stato soggettivo sia del debitore che del terzo.
1)Quanto al debitore, presupposto minimo è che il debitore conosca il pregiudizio che l’atto dispositivo
arreca alle ragioni del creditore, diminuendo la garanzia patrimoniale del credito.
Se l’atto dispositivo è successivo alla costituzione del rapporto obbligatorio, è sufficiente tale
consapevolezza Se l’atto dispositivo è precedente al sorgere del credito, è richiesta la dolosa
preordinazione dell’atto dispositivo in modo da pregiudicare il soddisfacimento del creditore.
2) Quanto al terzo è determinante la natura dell’atto dispositivo.
Per gli atti a titolo oneroso è sufficiente che il terzo conosca il pregiudizio che l’atto dispositivo arreca
alle ragioni del creditore, cioè abbia consapevolezza del pregiudizio, mentre per gli atti a titolo gratuito
è irrilevante lo stato soggettivo del terzo.

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L’azione revocatoria è soggetta al termine di prescrizione breve di 5 anni dalla data dell’atto dispositivo.
Il profilo più delicato dell’azione revocatoria è il regime della prova dei presupposti oggettivi, in quanto
incombe sul creditore che agisce in revocatoria non solo l’onere di provare i presupposti oggettivi della
revocatoria, ma anche lo stato soggettivo del debitore e del terzo.

8. Effetti della revocatoria.


L’anomalia dell’atto soggetto a revocatoria sta nel fatto che quest’ultimo è revocabile o meno a seconda
della consistenza del patrimonio del debitore; ne consegue che l’atto dispositivo soggetto a revocatoria
è valido quando è validamente formato.
La revocatoria è un’azione di impugnazione dell’atto per una circostanza estranea alla sua formazione.
Proprio in quanto l’atto dispositivo revocato è valido consegue che, anche dopo la revoca, i beni alienati
rimangono nel patrimonio del terzo.
L’esperimento dell’azione determina l’inefficacia dell’atto dispositivo nei confronti del creditore che
agisce in revocatoria (cd. inefficacia relativa), per consentirgli di esercitare sul bene oggetto dell’atto
dispositivo la tutela per la realizzazione coattiva del credito; ossia l’atto dispositivo non è opponibile al
creditore.
La revocatoria giova solo al creditore che l’ha proposta; ottenuta la revoca dell’atto, il creditore può
promuovere le azioni esecutive e conservative sui beni oggetto dell’atto impugnato, nei confronti del terzo
acquirente ed eventuale sub acquirente.
Eseguita l’espropriazione con la conversione in danaro dei beni alienati, dopo la soddisfazione del creditore
sul ricavato, tutto ciò che residua resta nel patrimonio del terzo che ha validamente acquistato il bene oggetto
di revocatoria. Il terzo che ha ragione di credito verso il debitore ha azione di danni nei confronti del debitore
alienante per quanto non è riuscito a soddisfarsi sul residuo dell’espropriazione.

9. Sequestro conservativo.
Nell’ipotesi di sequestro conservativo c’è il solo pericolo per il creditore di perdere la garanzia patrimoniale.
Per evitare che il debitore possa disfarsi del suo patrimonio, il creditore può chiedere il sequestro
conservativo dei beni del debitore. Il creditore può anche chiedere il sequestro nei confronti del terzo
acquirente dei beni del debitore qualora abbia proposto l’azione per far dichiarare l’inefficacia
dell’alienazione.
Il sequestro conservativo impedisce che l’eventuale alienazione da parte del terzo renda infruttuoso
l’esercizio dell’azione revocatoria. Si tratta di un rimedio con funzione cautelare finalizzato alla
conservazione della garanzia patrimoniale generica.
Devono ricorrere dei presupposti per la concessione del sequestro conservativo.
a)Deve sussistere la ragionevole fondatezza del diritto vantato dal creditore per evitare facili abusi e
l’ ingiustificata indisponibilità del patrimonio del debitore.
b) Inoltre deve esservi il fondato timore di perdere la garanzia patrimoniale per il tempo necessario
all’espletamento del giudizio di merito che può durare anche più anni.
Possono formare oggetto del sequestro sia le cose (mobili o immobili) di proprietà del debitore che le cose e
le somme di danaro oggetto di un suo diritto di credito. Il sequestro conservativo sui mobili e sui crediti si
esegue con il pignoramento presso il debitore o presso il terzo, mentre il sequestro conservativo sugli
immobili si esegue con la trascrizione del provvedimento presso l’ufficio del conservatore dei registri
immobiliari del luogo in cui i beni sono situati.
Con il sequestro si realizza un vincolo di indisponibilità dei beni sequestrati; effetto fondamentale del
sequestro è che non hanno effetto rispetto al creditore sequestrante le alienazioni e gli atti aventi per oggetto
la cosa sequestrata (cd. inefficacia relativa). Altra conseguenza del sequestro è che il creditore ha il
diritto di opporsi al pagamento del debitore verso un terzo.

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Il provvedimento del sequestro conservativo su immobili, dopo la notificazione, va trascritto nei registri
immobiliari; la trascrizione conserva il suo effetto per 20 anni dalla sua data, e lo stesso effetto cessa ipso
jure se la trascrizione non è rinnovata prima che scada il detto termine.
Figure diverse sono il sequestro giudiziario ed il sequestro convenzionale, entrambe correlate alla
presenza di una controversia tra le parti.
Il sequestro giudiziario è disposto con provvedimento del giudice ed ha una funzione di conservazione
all’espletamento di un giudizio; ha ad oggetto 1) beni mobili o immobili; 2) libri, registri, documenti.
Il sequestro convenzionale è il contratto con il quale due o più soggetti affidano ad un terzo un bene
rispetto al quale sia nata controversia, perché lo custodisca e lo restituisca a colui al quale spetterà dopo
la definizione della controversia.

C) MECCANISMI INDIRETTI DI GARANZIA


10.Generalità.
L’esecuzione coattiva del credito sul patrimonio del debitore è di lunga durata oltre che dispendiosa;
in ogni caso le spese della procedura gravano sui beni. Si tende a preservare la realizzabilità del credito
per l’ipotesi inadempimento del debitore, attraverso meccanismi che consentono indirettamente la garanzia
del credito con spese minori, con il consenso del debitore o per volontà del creditore: nella prima direzione
si collocano la cessione dei beni ai creditori e l’anticresi, mentre nella seconda operano i rimedi di autotutela.

11. Cessione dei beni ai creditori.


Per l’art. 1977 la cessione dei beni ai creditori è il contratto col quale il debitore incarica i suoi creditori
di liquidare tutte o alcune sue attività dividendo tra loro il ricavato, in soddisfacimento dei loro crediti.
Il contratto richiede la forma scritta a pena di nullità ed è soggetto a trascrizione se comprende beni
immobili. Ai cessionari non è trasferita la proprietà o la titolarità delle altre attività che rimangono in capo
al debitore. La figura è caratterizzata per la derivazione dal contratto di cessione di un vincolo di
indisponibilità sui stessi beni che si traduce in un divieto di alienazione per il debitore.
La cessione dei beni ai creditori è incompatibile con un intento traslativo; i creditori cessionari sono
autorizzati a liquidare i beni ceduti, convertendoli in danaro in grado di soddisfare i crediti vantati.
Con la liquidazione dei beni, la titolarità dei diritti si trasferisce dal debitore ai terzi.
Nella divisione delle somme ricavate i creditori sono soddisfatti in proporzione dei rispettivi crediti, salve
le cause di prelazione. Non avendo il debitore perduto la titolarità dei diritti ceduti, dopo il soddisfacimento
dei creditori cessionari e di quelli che hanno aderito alla cessione, il residuo spetta al debitore.
Salvo patto contrario il debitore è liberato verso i creditori solo dal giorno in cui questi ricevono la parte loro
spettante sul ricavato della liquidazione e nei limiti di quanto ricevono. Il debitore ha il diritto di controllare
la gestione compiuta dai creditori ed averne il rendiconto alla fine della liquidazione; inoltre può sempre
recedere dal contratto offrendo il pagamento del capitale e degli interessi ai cessionari.
I cessionari hanno diritto di chiedere l’annullamento del contratto se il debitore, dichiarando di cedere tutti
i suoi beni, ha nascosto parte notevole degli stessi

12. Anticresi.
L’anticresi (contro-uso) è il contratto con il quale il debitore o un terzo si obbliga a consegnare un
immobile al creditore a garanzia del credito, affinché il creditore ne percepisca i frutti, imputandoli agli
interessi, se dovuti. E’ un contratto legato ad una economia agraria che procura il soddisfacimento del
creditore attraverso la fruttificazione di un bene concesso in godimento. Il creditore anticretico ha l’obbligo
di conservare, amministrare e coltivare il fondo da buon padre di famiglia.
L’anticresi dura finché il creditore non è stato interamente soddisfatto del suo credito; in ogni caso l’anticresi
non può avere una durata superiore a 10 anni.

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Il contratto deve essere fatto in forma scritta sotto pena di nullità ed è soggetto a trascrizione.
L’ipotesi normale di anticresi è estintiva in quanto rivolta all’estinzione del debito, con il pagamento prima
degli interessi e poi del capitale; è consentito alle parti stipulare una anticresi compensativa con la
imputazione dei frutti ai soli interessi; in tal caso il debitore può estinguere il debito in ogni momento e
rientrare nel possesso dell’immobile.

13. Rimedi di autotutela.


Al fine di agevolare la realizzazione del credito la legge appresta al creditore specifici rimedi di autotutela
che permettono indirettamente la garanzia del credito attraverso un’iniziativa del creditore che evita o riduce
il danno conseguente all’inadempimento. Tali sono:
1)Diritto di ritenzione; in alcune ipotesi è accordato al creditore il diritto a non consegnare la cosa
dovuta al proprietario o altro avente diritto finché questi non esegua la prestazione dovuta; in tal modo il
creditore induce il debitore ad adempiere per conseguire la disponibilità della cosa trattenuta dal creditore.
Sono tassative le ipotesi di diritto di ritenzione e sono anche disciplinati i modi di esercizio del diritto stesso
(es. il possessore di buona fede può trattenere la cosa finché non gli siano corrisposte le indennità dovute).
Colui che presta l’opera può trattenere le cose ed i documenti ricevuti per il periodo necessario alla tutela dei
propri diritti.
Talvolta il diritto di ritenzione è connesso ad un privilegio speciale sulla cosa (es. il creditore per prestazioni
e spese di conservazione e miglioramento di beni immobili)
2) Altro rimedio è la decadenza del debitore dal termine; anche se il termine è presunto a favore del
debitore, per l’art. 1186 il creditore può esigere immediatamente la prestazione se il debitore è diventato
insolvente o ha diminuito le garanzie che aveva dato.
3) Ulteriore rimedio è l’opposizione al pagamento del debitore ad un terzo, in determinate ipotesi.

169
CAPITOLO 6 – CAUSE LEGITTIME DI PRELAZIONE (Le garanzie specifiche del creditore)
1.Concorso di creditori e cause di prelazione; -A) PRIVILEGI. 2. Fondamento; 3. Tipologia ed efficacia.
Concorso con altre garanzie; -B) PEGNO ED IPOTECA (Garanzie reali). 4. Caratteri comuni alle garanzie
generali; 5. Pegno; 6. Pegni atipici; 7. Ipoteca; 8. Titolo dell’ipoteca; 9. Vicende dell’ipoteca;
10. Contratti di garanzia finanziaria.

1.Concorso di creditori e cause di prelazione.


Il concorso dei creditori verso lo stesso debitore è regolato dal principio di parità per cui, quando il
patrimonio è insufficiente a soddisfare tutti i creditori, questi sono pagati in modo proporzionale
(creditori chirografari).
Esistono però cause legittime di prelazione, che si traducono in specifiche garanzie su singoli beni o
categorie di beni per cui, i creditori portatori di tali garanzie sono soddisfatti in modo preferenziale rispetto
agli altri (creditori privilegiati).
Quando i beni su cui si appuntano le cause di prelazione non si rivelano sufficienti a realizzare il completo
soddisfacimento dei creditori privilegiati, questi possono rivalersi per il residuo credito sul restante
patrimonio assieme ai creditori chirografari, secondo la regola del concorso paritario.
Per l’art. 2741 sono cause legittime di prelazione, i privilegi, il pegno e le ipoteche; pegno e ipoteca sono
garanzie reali in quanto riguardanti uno specifico bene, mentre diversamente operano i privilegi.
Una regola comune alle cause legittime di prelazione è la surrogazione dell’indennità alla cosa;
per l’art. 2742 se le cose soggette a privilegio, pegno o ipoteca sono perite o deteriorate, le somme dovute
dagli assicuratori per indennità della perdita o del deterioramento sono vincolate al pagamento dei crediti
privilegiati eccetto che le medesime vengano impiegate a riparare la perdita o il deterioramento.
Altra regola è quella della decadenza del debitore dal termine per cui, anche se il termine è fissato a
favore del debitore, il creditore può esigere immediatamente la prestazione se il debitore è divenuto
insolvente o ha diminuito le garanzie che aveva dato o non dato le garanzie che aveva promesso.

A)PRIVILEGI
2. Fondamento.
Il privilegio è la garanzia accordata dalle legge al creditore in considerazione della causa del credito; è
connesso alla valutazione che l’ordinamento compie del singolo credito; rileva la natura dell’interesse
perseguito dal creditore, in ragione del relativo titolo.
Il creditore privilegiato è soddisfatto con preferenza rispetto agli altri creditori sul ricavato della vendita dei
beni. I privilegi sono sempre di fonte legale; la legge è l’unica fonte di derivazione dei privilegi.
Il credito nasce privilegiato, ossia è un modo di essere del credito. In ragione di specifici interessi da
salvaguardare, la costituzione del privilegio può essere subordinata dalla legge alla convenzione delle parti
(cd. privilegi convenzionali): l’accordo delle parti agisce come condizione che rende operante la volontà
della legge cui spetta la nascita e la determinazione dell’estensione dei privilegi.
Il privilegio è di regola occulto, cioè non è soggetto a forme di pubblicità per la sua costituzione ed
opponibilità. La costituzione del privilegio può essere subordinata dalla legge a particolari forme di
pubblicità. Il creditore che intende avvalersi del privilegio ha l’onere di dimostrare i presupposti necessari
per l’esercizio del privilegio, indicando i beni che ne sono colpiti.

170
3. Tipologia ed efficacia. Concorso con altre garanzie.
I privilegi si distinguono in 2 categorie: speciali e generali.
I privilegi su mobili possono essere generali o speciali, mentre i privilegi su immobili sono solo speciali.
a)Privilegi generali. Si esercitano su tutti i beni mobili del debitore, e quindi sulla generale categoria dei
beni mobili (es. i crediti per retribuzioni dovute a lavoratori professionisti (avvocato, notaio) hanno il
privilegio su tutti i beni mobili del debitore.
b)Privilegi speciali. Questi si esercitano su determinati beni mobili e sugli immobili.
Caratteristica di questi è l’inerenza del privilegio a determinati beni, per la particolare connessione
esistente tra il credito e la cosa.
Tra i privilegi speciali su mobili, si pensi ai crediti del locatore di immobili per i fitti degli immobili
che hanno privilegio sui frutti dell’anno e su quelli raccolti anteriormente.
Tra i privilegi speciali sugli immobili, si pensi ai crediti per imposte su redditi immobiliari che sono
privilegiati rispetto agli immobili del contribuente.
Il privilegio speciale è opponibile ai terzi anche se non è ancora iniziata l’esecuzione.
Il bene (mobile o immobile) oggetto di privilegio speciale rimane vincolato al soddisfacimento del creditore.
In capo al creditore opera un diritto di seguito potendo il creditore far valere il privilegio verso ogni
acquirente del bene gravato dal privilegio speciale. In tal modo i privilegi speciali si atteggiano come
diritti reali di garanzia: a differenza di pegno ed ipoteca possono cadere solo sui beni del debitore
Problema delicato è quello del concorso dei privilegi con altre garanzie, in quanto può avvenire che
su uno stesso bene insistano più tipi di garanzie. Operano in merito 3 regole fondamentali:
a)il privilegio speciale sui mobili soccombe al pegno;
b) il privilegio speciale su immobili prevale sull’ipoteca;
c) tra più privilegi la preferenza è accordata secondo una graduazione (ordine di privilegi).

B) PEGNO ED IPOTECA (Garanzie reali)


4. Caratteri comuni alle garanzie generali.
Le garanzie reali sono il pegno e l’ipoteca. Si fissano qui i tratti comuni delle garanzie reali:
a)Quanto alla fonte, pegno ed ipoteca sono costituiti per volontà privata e possono derivare non solo
dal debitore ma anche da un terzo.
b) Un carattere comune è la specialità in quanto cade sempre su beni determinati.
L’inerenza di pegno ed ipoteca a beni determinati conferisce alle due garanzie il carattere della realità.
Circa la natura pegno ed ipoteca sono diritti reali su cosa altrui; sono assistiti dal diritto di seguito
(o di sequela): il diritto di garanzia segue il bene ed il creditore può far valere la garanzia verso qualunque
successivo acquirente del bene. Sono diritti assoluti, cioè opponibili verso tutti (erga omnes).
La garanzia riguarda il bene, ma il creditore non può realizzare ed escutere autonomamente la garanzia senza
l’intervento degli organi giudiziari.
La realità della garanzia consente al creditore di ottenere la realizzazione coattiva del credito contro
tutti gli altri creditori ed aventi causa dal debitore (ciò giustifica il divieto del patto commissorio);
è nullo il patto anteriore o posteriore alla costituzione della garanzia reale con il quale si conviene che,
in mancanza di pagamento nel termine fissato, la proprietà della cosa ipotecata o data in pegno passi al
creditore. Al creditore non è consentita l’attuazione immediata del suo diritto senza la mediazione della
procedura espropriativa in quanto solo questa assicura che il bene sia realizzato al miglior prezzo possibile
senza approfittamento del creditore, il quale altrimenti potrebbe acquisire un bene pignorato o ipotecato
di valore superiore all’ammontare del credito.
Quanto residua dopo il soddisfacimento del creditore garantito può soddisfare gli altri creditori.
Alle parti non è vietato estinguere l’obbligazione con una prestazione diversa da quella dovuta (dazione in
pagamento); è vietato prevedere in anticipo che, alla scadenza del termine di adempimento, la proprietà
della cosa ipotecata o data in pegno passi automaticamente al creditore.

171
La giurisprudenza ha applicato il divieto del patto commissorio a qualsiasi negozio impiegato per
conseguire l’illecita coercizione del debitore a sottostare alla volontà del creditore, accettando
preventivamente il trasferimento di proprietà di un suo bene come conseguenza della mancata estinzione
del debito.
Un’applicazione del divieto del patto commissorio è spesso utilizzata dalla giurisprudenza con riferimento
alla vendita con patto di riscatto, al mutuo e al lease back (il contratto di sale and lease back è attuato
attraverso il contratto di vendita di un proprio bene da parte di una impresa, ad una società di finanziamento
che a sua volta, lo concede in leasing all’alienante che corrisponde un canone di utilizzazione con facoltà di
riacquistarne la proprietà alla scadenza del contratto);.
E’ valido il cd. patto marciano in virtù del quale, al termine del rapporto, si procede alla stima del bene
dato in garanzia ed il creditore, per acquisire il bene, è tenuto al pagamento dell’importo eccedente l’entità
del credito.
c) Altro carattere comune è la determinatezza del credito, nel senso che entrambe le garanzie operano
solo in presenza di crediti determinati.
d) Connesso al carattere della determinatezza del credito è il requisito dell’indivisibilità della garanzia
reale, che è unitaria in ragione di un credito unitariamente garantito, per cui il creditore conserva la
garanzia per l’intero ammontare del credito, sul bene ipotecato o dato in pegno.

5. Pegno.
Il pegno è la garanzia reale costituita dal debitore o da un terzo a favore del creditore su beni mobili,
mediante la consegna del bene o del documento contenente il diritto.
Ha la funzione di garantire al creditore di farsi pagare con prelazione sulla cosa ricevuta in pegno:
ciò comporta l’esistenza e determinazione del credito garantito.
a)Sono oggetto di pegno i beni mobili, le universalità, i crediti e gli altri diritti aventi per oggetto beni
mobili. Il pegno è indivisibile e garantisce il credito finché questo non sia completamente soddisfatto,
anche se il debito o la cosa data in pegno è divisibile.
b) La costituzione del pegno avviene mediante lo spossessamento, in quanto colui che costituisce
il pegno deve consegnare al creditore la cosa o il documento che conferisce l’esclusiva disponibilità della
cosa o del diritto.
E’ un contratto reale in quanto l’accordo di pegno si perfeziona con la consegna della cosa o
del documento; la cosa o il documento possono anche essere consegnati ad un terzo designato dalle parti.
Nel pegno di crediti la prelazione ha luogo quando il pegno risulta da atto scritto e la costituzione di esso
è stata notificata al debitore del credito dato in pegno, oppure è stata da questo accettata con scrittura avente
data certa; il pegno di diritti diversi dai crediti si costituisce nella forma di trasferimento dei singoli diritti.
c) Come effetto della costituzione del pegno si produce un vincolo di destinazione sul bene pignorato,
finalizzato alla garanzia del credito; tale destinazione conferma la posizione soggettiva del creditore sul bene.
Tale diritto reale di garanzia sul bene pignorato attribuisce un diritto di prelazione che rappresenta lo scopo
tipico della garanzia reale. Il creditore ha diritto di farsi pagare con prelazione sulla cosa ricevuta in pegno;
però la prelazione non si può far valere se la cosa data in pegno non è rimasta in possesso del creditore;
la ripresa del possesso da parte del debitore paralizza il diritto di prelazione.
Il creditore non acquista la proprietà del bene ricevuto in pegno (che rimane al debitore), ma assume una
posizione funzionale alla realizzazione della garanzia reale comportando un dovere di gestione qualificata
del bene ricevuto in pegno; il creditore può esercitare i diritti funzionali alla realizzazione della garanzia
in caso di inadempimento, ed assolvere gli obblighi di conservazione del bene in vista della restituzione al
debitore a seguito dell’adempimento. Il creditore senza il consenso del costituente non può usare la cosa
per un fine diverso dalla conservazione, né può darla ad altri in pegno (suppegno) o concederne il
godimento.

172
Restando il debitore inadempiente, il creditore può far vendere la cosa ricevuta in pegno, intimando
preventivamente al debitore di pagare il debito e gli accessori, con l’avvertimento che in mancanza si
procederà alla vendita.
Rispetto ad alcuni crediti sono previste delle formalità per l’esercizio della prelazione, ossia quando il
credito garantito eccede la somma di euro 2.58 la prelazione non ha luogo se il pegno non risulta da scrittura
con data certa; la formalità non inerisce alla costituzione del pegno, ma rileva ai soli fini della prelazione.
Il creditore è tenuto a restituire il pegno solo dopo che siano stati interamente pagati il capitale e gli interessi
e siano state rimborsate le spese relative al debito e al pegno; se però il debitore ha verso il creditore un altro
debito sorto dopo la costituzione del pegno e scaduto prima del pagamento del debito cui riguarda il pegno,
il creditore ha diritto di ritenzione a garanzia del nuovo credito.

6. Pegni atipici.
Nell’esperienza economica operano alcune pratiche di pegno che tendono a rendere indeterminati i crediti
garantiti (pegno omnibus) o sostituibili i beni oggetto di pegno (pegno rotativo); talvolta al creditore è
attribuita la proprietà del bene dato in pegno (pegno irregolare).
a)Pegno omnibus. E’ una figura che deroga alla regola della determinatezza del credito garantito;
grazie ad una apposita clausola di estensione, sono garantiti i crediti che potranno successivamente sorgere
tra le parti; il fenomeno tende a costituire un diritto di pegno su determinati titoli di credito depositati ed
amministrati dalla stessa banca a garanzia di tutti i diritti di credito presenti e futuri.
b) Pegno rotativo. Nell’accordo costitutivo della garanzia, le parti prevedono la possibilità di sostituire con
altri beni, i beni originariamente costituiti in garanzia; la determinazione del pegno è riferita al suo valore
economico, i cui effetti risalgono alla consegna dei beni originariamente dati in pegno.
Il pegno rotativo è legittimo quando ricorrono 3 condizioni: il pegno risulti da atto scritto avente data certa;
il bene originariamente oggetto del pegno sia stato consegnato al creditorie pignoratizio; il bene offerto in
sostituzione abbia un valore non superiore a quello sostituito.
c) Pegno irregolare. E’ una figura che deroga alla generale regola del mero spossessamento connesso alla
costituzione del pegno; il debitore consegna al creditore cose fungibili (danaro o titoli) che il creditore
acquista e che è tenuto a restituire nello stesso genere e nella stessa quantità successivamente all’estinzione
del rapporto obbligatorio. Il pegno irregolare, comportando il trasferimento della proprietà del bene al
creditore pignoratizio, rappresenta un’eccezione rispetto alla tipica funzione di garanzia del pegno; perciò
per la giurisprudenza, il trasferimento della proprietà deve essere previsto espressamente dalla legge ed
ammesso alle condizioni previste dalla stessa.

7. Ipoteca.
L’ipoteca è la garanzia reale costituita dal debitore o da un terzo in favore del creditore su beni immobili o
su mobili registrati a garanzia dell’obbligazione, mediante l’iscrizione nei registri di pubblicità; la sua
funzione sta nell’assicurare al creditore la prelazione sul ricavato della vendita del bene espropriato
L’accessorietà dell’ipoteca mostra la mancanza di autonomia rispetto all’obbligazione garantita;
l’ipoteca non può essere ceduta con effetti reali senza il credito garantito né può essere trasferita ad un
chirografo, cui farebbe acquistare una prelazione prima inesistente; consegue l’estinzione dell’ipoteca.
a)Sono oggetto di ipoteca i beni immobili con le relative pertinenze, l’usufrutto, la superficie, nonché
le rendite dello Stato e i beni mobili registrati (navi, aeromobili e autoveicoli).
Si parla di ipoteca mobiliare con riguardo ai beni mobili registrati. Per tali tipi di mobili opera un sistema
di pubblicità, con la conseguenza che le vicende dell’ipoteca sono soggette a pubblicità, come avviene
per i beni immobili.
In presenza di pericolo di danno ai beni ipotecati, poiché il debitore o un terzo compiono atti dai quali può
derivare il perimento o deterioramento dei beni, il creditore può domandare all’autorità giudiziaria che sia
ordinata la cessazione di tali atti o siano disposte le cautele necessarie ad evitare il pregiudizio della garanzia.

173
b) La costituzione dell’ipoteca ad opera del debitore o di un terzo avviene tramite iscrizione nei registri
di pubblicità; trattasi di una pubblicità costitutiva.
Relativamente agli immobili, l’ipoteca si costituisce mediante iscrizione nei registri immobiliari;
rispetto ai beni mobili registrati, si costituisce mediante pubblicità nei registri specifici che li riguardano.
Caratteri comuni delle garanzie reali sono la specialità, la determinatezza e l’indivisibilità.
L’ipoteca deve essere iscritta su beni specialmente indicati e per una somma determinata in danaro;
c’è quindi necessità di esatta identificazione dell’immobile ed esatta determinazione dell’ammontare
del credito, indicato con una somma di danaro (se la somma di danaro non è altrimenti determinata negli atti
in base ai quali è eseguita l’iscrizione, è determinata dal creditore nella nota per l’iscrizione).
Nell’atto di concessione dell’ipoteca, l’immobile deve essere specificamente designato con l’indicazione
della sua natura, del comune in cui si trova, nonché dei dati di identificazione catastale.
Omissioni o inesattezze nel tiolo che inducano incertezza sulla persona del creditore o del debitore
comportano l’invalidità dell’iscrizione.
L’ipoteca è indivisibile nel senso che sussiste per intero sopra tutti i beni vincolati.
Se vi sono più immobili gravati da ipoteca, non c’è necessità di sottoporre ad escussione tutti i beni,
lasciando al creditore la libertà di scegliere il bene o una parte dello stesso sul quale far valere l’ipoteca.
c) Effetto dell’ipoteca è la costituzione di un diritto reale di garanzia sul bene ipotecato, finalizzato
all’attuazione del diritto di prelazione che rappresenta lo scopo tipico della garanzia reale.
L’ipoteca attribuisce al creditore il diritto di espropriare i beni vincolati a garanzia del credito
e di essere soddisfatto con preferenza sul prezzo ricavato dall’espropriazione.
Il bene ipotecato rimane nella proprietà e nel possesso del debitore o del terzo datore ed è perciò circolabile
e possibile oggetto di alienazione da parte del proprietario.
Altro effetto dell’ipoteca riguarda l’attribuzione del diritto di seguito, per cui il diritto segue il bene, che
pertanto può essere espropriato anche rispetto al terzo acquirente.
d) I conflitti tra creditore ipotecario e titolari dei singoli diritti reali incidenti sul bene ipotecato, sono risolti
attraverso la priorità nella pubblicità.
Particolari regole sono dettate a favore del terzo acquirente e del terzo datore di ipoteca: al terzo acquirente
del bene ipotecato sono accordati 3 fondamentali diritti: a) il diritto di evitare l’espropriazione dei beni
ipotecati; b) ha il diritto di far separare dal prezzo di vendita la parte corrispondente ai miglioramenti
eseguiti dopo la trascrizione dell’acquisto; c) se ha pagato i creditori iscritti o ha sofferto l’espropriazione,
ha ragione di indennità verso il debitore.
Il terzo datore di ipoteca, se non è espressamente convenuto, non può invocare il beneficio di preventiva
escussione del debitore.

8. Titolo dell’ipoteca.
Il titolo dell’ipoteca costituisce la fonte che dà diritto alla iscrizione dell’ipoteca e ne consente la
costituzione; in ragione della peculiarità del titolo esistono 3 tipi di ipoteca: legale, giudiziale e
convenzionale.
a)Ipoteca legale. Il titolo dell’ipoteca è nella legge, che prevede a favore di alcuni soggetti il diritto alla
iscrizione ipotecaria; per l’art. 1817 hanno diritto all’iscrizione di ipoteca legale i coeredi, i soci ed altri
condividenti per il pagamento di conguagli sugli immobili assegnati ai condividenti ai quali incombe tale
obbligo (cd. ipoteca del condividente). L’ipoteca è costituita con l’iscrizione nei registri di pubblicità.
Il conservatore dei registri immobiliari, nel trascrivere un atto di alienazione o divisione, deve iscrivere
d’ufficio l’ipoteca legale spettante all’alienante o al condividente, a meno che vi sia stata rinuncia all’ipoteca
legale da parte dell’alienante o del condividente.

174
b) Ipoteca giudiziale. Il titolo dell’ipoteca sta in un provvedimento giudiziale; in particolare è titolo
all’iscrizione dell’ipoteca sui beni del debitore la sentenza di condanna al pagamento di una somma o
all’adempimento di altra obbligazione oppure al risarcimento dei danni da liquidare.
E’ importante sottolineare che non è il provvedimento giudiziale a costituire l’ipoteca, in quanto il
provvedimento giudiziale contiene la condanna al pagamento; in tal modo il creditore ha diritto ad ottenere
la costituzione di ipoteca sugli immobili appartenenti al debitore.
c) Ipoteca volontaria. Il titolo dell’ipoteca sta nella volontà privata; può essere concessa dal debitore o
dal terzo per contratto (cd. ipoteca convenzionale) o per atto unilaterale, ad esclusione del testamento.
L’esclusione della fonte testamentaria mira ad evitare che il debitore possa alterare la situazione dei suoi
creditori per il tempo in cui egli avrà cessato di vivere.
L’atto costitutivo di ipoteca si configura come negozio unilaterale, potendo consistere anche della sola
volontà del concedente che fa assumere al negozio una struttura contrattuale senza che vi sia bisogno
dell’accettazione del creditore.
La concessione deve farsi per atto pubblico o per scrittura privata con sottoscrizione autenticata o
accertata giudizialmente; l’atto di concessione deve contenere le indicazioni dell’immobile ipotecato,
con specificazione della natura dell’immobile.
La concessione di ipoteca su beni altrui è valida per l’alienità del bene concesso in ipoteca;
l’iscrizione dell’ipoteca può essere validamente presa solo quando il bene è acquistato dal concedente.
L’atto di concessione ha efficacia obbligatoria, in quanto il concedente assume l’obbligo di procurare al
creditore la costituzione di ipoteca; analogamente se è concessa ipoteca su beni futuri, l’ipoteca può essere
validamente iscritta solo quando la cosa è venuta ad esistenza.

9. Vicende dell’ipoteca.
La vita dell’ipoteca è presidiata da un sistema di pubblicità in grado di procurare ai terzi la conoscenza
legale della garanzia reale e delle sue vicende.
a)Costituzione. Questa avviene mediante iscrizione nei registri immobiliari o dei mobili registrati
(cd. accensione dell’ipoteca); se l’ipoteca è concessa da chi non è proprietario della cosa, l’iscrizione
può essere presa solo quando la cosa è acquistata dal concedente.
L’ipoteca si iscrive nell’ufficio dei registri immobiliari del luogo in cui si trova l’immobile, con la
presentazione del titolo costitutivo insieme ad una nota scritta dal richiedente in doppio originale.
Nel caso di più iscrizioni ipotecarie la preferenza tra i creditori è data dalla priorità temporale tra le varie
iscrizioni, che si esprime attraverso un ordine cronologico delle iscrizioni stesse che assegna il grado
dell’ipoteca (l’ipoteca prende grado dal momento della sua iscrizione). Il numero d’ordine di iscrizione
determina il grado dell’ipoteca; il numero più antico individua il 1° grado, quello successivo il 2° grado etc.
Se intervengono richieste contemporanee d’iscrizione, in quanto più persone presentano
contemporaneamente la nota per ottenere l’iscrizione contro la stessa persona o sugli stessi immobili,
le iscrizioni sono eseguite con lo stesso numero.
L’iscrizione dell’ipoteca fa collocare nello stesso grado le spese dell’atto di costituzione, quelle della
iscrizione e della rinnovazione; l’iscrizione conserva il suo effetto per 20 anni dalla sua data, e lo stesso
effetto cessa se l’iscrizione non è rinnovata prima che scada detto termine.
b) Surrogazione. Il creditore che ha ipotecato su determinati beni, qualora si trovi perdente perché sul
ricavato degli stessi si è soddisfatto un creditore di grado anteriore, la cui ipoteca si estendeva anche ad altri
beni dello stesso debitore, può surrogarsi nell’ipoteca iscritta a favore del creditore soddisfatto,
al fine di soddisfarsi su questi altri beni con preferenza rispetto ai creditori posteriori alla propria iscrizione
(cd surrogazione del creditore perdente).
c) Disposizioni di grado. Due creditori di grado immediatamente successivo possono compiere atti
dispositivi del grado, scambiandosi di grado (postergazione di grado); tale scambio non nuoce al
creditore di grado ulteriore che comunque ha davanti a sé entrambi i creditori.

175
d) Rinnovazione. L’iscrizione conserva il suo effetto per 20 anni dalla sua data; è consentito evitare la
cessazione dell’effetto dell’iscrizione con la rinnovazione dell’iscrizione stessa prima dello scadere dei
20 anni. In tal modo l’ipoteca è rinnovata di altri vent’anni sempre nel medesimo grado della prima
iscrizione. La rinnovazione consente di prolungare indefinitamente l’effetto dell’iscrizione fino alla
estinzione del diritto di ipoteca. Se il creditore lascia passare inutilmente il termine di 20 anni senza
rinnovare l’iscrizione, l’effetto dell’originaria iscrizione cessa, facendo venire meno gli effetti favorevoli
dell’eseguita pubblicità; Il creditore potrà prendere una nuova iscrizione, ma l’ipoteca prende il grado
dalla data della nuova iscrizione con diverse conseguenze negative per il creditore.
e) Riduzione. Quando la somma per la quale è stata presa l’iscrizione o la consistenza dei beni gravati è
eccessiva rispetto all’importo del credito, è consentito ottenere una riduzione dell’ipoteca per non
ostacolare l’utilizzazione dei beni. La riduzione dell’ipoteca è eseguita riducendo la somma per la quale è
stata presa l’iscrizione o restringendo l’iscrizione ad una parte dei beni più contenuta; in quest’ultimo
caso se l’ipoteca ha ad oggetto un solo bene, la riduzione è possibile se il bene abbia parti distinte o tali che
si possano comodamente distinguere.
f) Estinzione. La vicenda estintiva del diritto di ipoteca è correlata sia alla sorte dell’iscrizione che alla sorte
del titolo sul quale la garanzia è fondata. Le cause di estinzione dell’ipoteca sono tassative ed indicate
dall’art. 2878: 1) la cancellazione dell’iscrizione; 3) l’estinzione dell’obbligazione; 4) il perimento del bene
ipotecato.
Se il bene ipotecato è alienato, l’ipoteca si estingue per prescrizione col decorso di 20 anni dalla data
di trascrizione del titolo di acquisto. indipendentemente dal credito.
g) Cancellazione. Può verificarsi per volontà del creditore, manifestata mediante atto pubblico o per
scrittura privata con sottoscrizione autenticata; è necessaria la capacità del creditore per operare la
liberazione del debitore. La cancellazione può essere ordinata con sentenza passata in giudicato o con
altro provvedimento emesso dalle autorità competenti.

10. Contratti di garanzia finanziaria.


Sono tali i contratti di pegno, di cessione del credito e qualsiasi altro contratto di garanzia reale avente ad
oggetto attività finanziarie volte a garantire l’adempimento di obbligazioni finanziarie, cioè di
obbligazioni al pagamento di una somma di danaro, oppure alla consegna di strumenti finanziari.
Datore di tale garanzia può essere un soggetto diverso dal debitore, ma le parti contraenti devono
necessariamente rientrare in una delle categorie indicate dalla legge (autorità pubbliche, banche centrali,
imprese di investimento). E’ richiesta la forma scritta sia ai fini della prova che per la opponibilità ai terzi.

176
CAPITOLO 7 – ESTENSIONE DELLA RESPONSABILITA’ PATRIMONIALE
(Le garanzie del terzo)
1.Garanzie legali e volontarie; -A) GARANZIE PERSONALI. 2. Generalità; 3. Fideiussione 4. Contratto
autonomo di garanzia; 5. Mandato di credito; 6. Avallo; 7. Lettera di patronage; -B) GARANZIE REALI.
8. Garanzie collettive.

1.Garanzie legali e volontarie.


La garanzia del credito è rappresentata dal patrimonio del debitore; sono frequenti le ipotesi in cui si
rafforza la garanzia del credito affiancando alla garanzia del debitore altre garanzie costituite da soggetti
diversi, accrescendo i patrimoni sui quali il creditore può soddisfarsi.
Si favorisce la realizzabilità del credito con l’estensione della responsabilità patrimoniale a soggetti
ulteriori rispetto al debitore, costituendo ulteriori garanzie fornite da terzi, imposte per legge o assunte
volontariamente.
Talvolta è la legge a prevedere che alcuni soggetti, per l’attività svolta, rispondano per le obbligazioni
assunte da soggetti giuridici diversi, infatti si parla a riguardo di garanzia personale ex lege.
Altre volte la garanzia aggiuntiva trova fonte nella volontà privata; in presenza di un modesto patrimonio
rispetto alla entità del credito, il creditore chiede che il debitore procuri garanzie da parte di terzi soggetti che
assicurino il soddisfacimento del credito.

A)GARANZIE PERSONALI
2. Generalità
E’ possibile che un soggetto assuma le garanzie personali dell’adempimento di una obbligazione altrui;
la garanzia così costituita comporta la garanzia generica del credito in quanto il terzo secondo la generale
regola della responsabilità patrimoniale, è tenuto a rispondere illimitatamente per l’adempimento
dell’obbligazione altrui con tutti suoi beni presenti e futuri.
Perciò le garanzie reali sono anche dette garanzie semplici; le garanzie personali del terzo si aggiungono a
quella del debitore (debitore principale); tali sono la fideiussione, il mandato di credito, il contratto
autonomo di garanzia e l’avallo.

3. Fideiussione.
E’ la garanzia personale più frequente; per l’art. 1936, è fideiussore colui che obbligandosi personalmente
verso il creditore, garantisce l’adempimento di un’obbligazione altrui.
E’ un contratto tipico che si configura come contratto unilaterale ex art. 1333, nel senso che dallo stesso
derivano obbligazioni a carico di una sola parte, ossia del fideiussore.
Funzione della fideiussione è quella di rafforzare la pretesa creditoria attraverso la costituzione di una
obbligazione aggiuntiva all’obbligazione principale, in modo da duplicare i patrimoni sui quali il creditore
possa far valere il diritto di credito.
Per i debiti di maggiore consistenza si coinvolgono più soggetti nella garanzia del credito, costituendo una
cofideiussione o una fideiussione plurima o una fideiussione di fideiussione.
1)Si ha cofideiussione quando la fideiussione è prestata da più persone per uno stesso debitore e a
garanzia di un stesso debito; più soggetti prestano la fideiussione nella reciproca consapevolezza
dell’esistenza dell’altrui garanzia per garantire congiuntamente lo stesso debito e lo stesso debitore.
2) Si ha fideiussione plurima nell’ipotesi di distinte fideiussioni prestate da diversi soggetti in tempi
successivi e con atti separati senza alcuna manifestazione di reciproca consapevolezza tra fideiussori o con
espresso accordo con il creditore di mantenere differenziata la propria obbligazione da quella degli altri.

177
3) Si ha fideiussione di fideiussione quando la fideiussione è prestata a garanzia dell’adempimento
di altra obbligazione fideiussoria del primo garante; il fideiussore di secondo grado è impegnato verso il
creditore nel solo caso in cui il debitore principale e tutti i fideiussori di questo siano insolventi o liberati
poiché incapaci.
La fideiussione è efficace anche se il debitore garantito non ne ha conoscenza. La volontà di prestare
fideiussione deve essere espressa: chi intende garantire deve manifestare la volontà di adempiere
l’obbligazione del debitore principale. E’ un contratto ad esecuzione differita, in quanto la prestazione del
fideiussore deve essere eseguita successivamente alla conclusione del contratto.
Quanto all’oggetto, la fideiussione è prestata per garantire rapporti obbligatori attuali o prestata per
garantire un’obbligazione condizionale o futura.
L’obbligazione fideiussoria è accessoria rispetto a quella principale garantita.
La fideiussione non è valida se non è valida l’obbligazione principale, salvo che sia prestata per
un’obbligazione assunta da un incapace; in tal caso la fideiussione rimane valida e il fideiussore
rimane obbligato anche se l’obbligazione principale viene meno per incapacità del debitore.
Inoltre la fideiussione non può eccedere quanto è dovuto dal debitore, né prestata a condizioni più onerose.
Il fideiussore può opporre al creditore le eccezioni spettanti al debitore principale, salva quella derivante da
incapacità
La fideiussione si estingue con l’estinzione dell’obbligazione principale, ma il fideiussore rimane
obbligato anche dopo la scadenza dell’obbligazione principale, quando il creditore entro 6 mesi dalla
scadenza abbia proposto le sue richieste contro il debitore e le abbia con diligenza continuate.
Inoltre l’obbligazione si estingue nei seguenti 2 casi: 1) quando per fatto del creditore non può avere effetto
la surrogazione del fideiussore nei diritti e nelle garanzie del creditore; 2) quando il creditore, senza
autorizzazione del fideiussore ha fatto credito al terzo, pur conoscendo che le condizioni patrimoniali di
questo erano divenute tali da rendere più difficile il soddisfacimento del credito.
Per quanto riguarda i rapporti tra i soggetti coinvolti:
a)Rapporti tra fideiussore e creditore. Il fideiussore è obbligato in solido con il debitore principale al
pagamento del debito, sicché il creditore può chiedere l’adempimento per l’intero sia al debitore principale
che al fideiussore.
Le parti possono pattuire il cd. beneficio di escussione, per cui il fideiussore non è tenuto a pagare prima
dell’escussione del debitore principale ed in tal caso il fideiussore deve indicare i beni del debitore principale
sui quali il creditore può soddisfarsi. Se la fideiussione è prestata da più fideiussori, per un medesimo debito
e a garanzia di un medesimo debitore, anche tra i vari fideiussori c’è solidarietà verso il creditore, tranne che
non sia stato pattuito il cd. beneficio della divisione; tale beneficio va eccepito dalla parte che intende
avvalersene. Il fideiussore può opporre al creditore le eccezioni spettanti al debitore principali, salva quella
derivante da incapacità
b) Rapporti tra fideiussore e debitore. Il fideiussore ha più rimedi a tutela delle sue ragioni verso il
debitore; anche prima di aver pagato, il fideiussore ha il diritto di rilievo verso il debitore, in modo che
questi gli procuri la liberazione (azione di rilievo per liberazione) o presti le garanzie necessarie ad
assicurargli il soddisfacimento delle eventuali ragioni di regresso (azione di rilievo per cauzione).
Il rilievo del fideiussore è ammesso quando il debitore è divenuto insolvente o anche quando il debito è
divenuto esigibile per la scadenza del termine.
Inoltre il fideiussore che ha pagato il debito è assistito da surrogazione legale nei diritti che il creditore
aveva contro il debitore; il fideiussore può avvalersi anche delle garanzie che il creditore aveva verso il
debitore.
Infine il fideiussore che ha pagato, ha azione di regresso verso il debitore principale, nonostante questo
non fosse consapevole della prestata fideiussione; il regresso comprende il capitale, gli interessi e le spese
che il fideiussore ha fatto dopo aver denunziato al debitore principale le istanze proposte contro di lui.

178
Sul fideiussore grava però l’onere di denunzia al debitore del pagamento fatto al creditore, la cui
omissione comporta 2 effetti: da un lato, il fideiussore non ha regresso verso il debitore principale che ha
pagato il debito; dall’altro, il debitore principale può opporre al fideiussore le eccezioni che avrebbe potuto
opporre al creditore all’atto del pagamento; in entrambi i casi il fideiussore può ripetere contro il creditore
quanto ha pagato.

4. Contratto autonomo di garanzia.


Nelle contrattazioni di impresa, al fine di favorire l’erogazione del credito, si è diffusa la prassi di
rafforzare la posizione creditoria con la stipula di un contratto autonomo di garanzie (performance
bond), caratterizzato dall’assunzione dell’impegno da parte del garante di pagare un determinato importo
al creditore dl beneficiario a “semplice” o a “prima richiesta”.
Tale contratto può affiancare vari tipi di contratto (appalto, vendita, mutuo); è un fenomeno che trova
largo impiego nelle fideiussioni prestate degli appaltatori di opere pubbliche (assicurazioni fideiussorie).
Il tratto fondamentale del contratto autonomo di garanzia è l’assenza dell’accessorietà, per cui il
garante non può opporre al beneficiario creditore, le eccezioni inerenti all’obbligazione principale.
Si deve però ammettere un diritto-dovere del garante di opporre al beneficiario della garanzia alcune
eccezioni relative al rapporto garantito, contro una escussione abusiva della garanzia da parte del creditore;
devono però sussistere delle prove liquide che vanno opposte al creditore nel momento in cui l’eccezione
d’abuso è sollevata.
Di recente si riconduce nell’area delle garanzie autonome anche la promessa del fatto del terzo,
che procura al promissario sicurezza del conseguimento della prestazione; tale promessa però comporta a
carico del promittente un obbligo di indennizzo del promissario per mancata attuazione del fatto del terzo.

5. Mandato di credito.
Il mandato di credito è il contratto con il quale un soggetto, su incarico di altro soggetto si obbliga a
“fare credito a un terzo” in nome e per conto proprio (es. apertura di credito): il soggetto che ha dato
l’incarico (mandante) risponde come “fideiussore di un debito futuro”.
Chi ha accettato l’incarico però non può rinunciarvi mentre chi lo ha conferito può revocarlo, salvo l’obbligo
di risarcire il danno alla controparte; se però dopo l’accettazione dell’incarico, le condizioni patrimoniali di
chi ha conferito l’incarico o del terzo diventano tali da rendere ancora più difficile il soddisfacimento del
credito, chi ha accettato l’incarico non può essere costretto ad eseguirlo.

6. Avallo.
L’avallo è apposto sulla cambiale o sull’assegno bancario e dà luogo ad una obbligazione cartolare,
caratterizzata dai requisiti dell’autonomia, astrattezza e letteralità; chi rilascia l’avallo (avallante) è
obbligato nello stesso modo di colui per il quale l’avallo è stato dato (avallato).
Contrariamente alla fideiussione, l’avallo è una obbligazione autonoma: è valida anche se l’obbligazione
garantita sia nulla per qualsiasi altra causa che non sia un vizio di forma.

7. Lettera di patronage.
E’ diffusa la prassi di rilasciare lettere di patronage (o di gradimento) ad una banca da parte di una società
capogruppo o controllante, affinché questa conceda, mantenga o rinnovi un credito a favore di una società
controllata.
Il dato comune di tali lettere è l’esistenza di un rapporto tra due società, con la partecipazione di una
società controllante (patrocinante) nella società controllata (patrocinata) e il correlato impegno della
patrocinante verso la banca erogatrice del credito di comunicare ogni variazione del rapporto corrente tra le
due società.

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Da tempo si sono delineate 2 classi di lettere di patronage: lettere deboli, consistenti in mere
dichiarazioni di informazione, per le quali la patrocinante risponde verso la banca a tiolo di responsabilità
extracontrattuale quando la non veridicità dell’informativa pregiudica il rapporto della banca con la
patrocinata, e le lettere forti, consistenti in assunzione di obblighi per il cui inadempimento la patrocinante
risponde verso la banca a tiolo di responsabilità contrattuale per non avere esercitato la dovuta influenza
nella patrocinata.

8. Garanzie collettive.
E’ nota la difficoltà delle piccole e medie imprese di accedere al credito (presso banche ed altre strutture
finanziarie) per non essere in grado di offrire idonee garanzie di restituzione del danaro.
Si è perciò diffusa la prassi di costituire strutture consorziate di imprese che danno luogo a garanzie
collettive, formate con gli apporti delle singole imprese consorziate.
La costituzione di consorzi di garanzia collettiva consente alle banche di ridurre i costi dell’informazione
sui soggetti da affidare ed i rischi connessi all’inadempimento

180
Parte VIII – CONTRATTO

CAPITOLO 1 – AUTONOMIA CONTRATTUALE


1.Autonomia negoziale ed autonomia contrattuale; 2. La figura del contratto; 3.Elementi e requisiti del
contratto; 4. I singoli contratti; 5.Il trend normativo e le recenti tecniche di controllo giudiziario; 6. Contratti
di impresa ed abuso di posizione dominante; 7. Contratti dei consumatori ed accesso al consumo; 8. La tutela
di imprenditori deboli (cd. Terzo contratto); 9. La regolamentazione del mercato tra doveri di informazione
ed interventi correttivi; 10. I contratti della pubblica amministrazione ed “evidenza pubblica”; 11. Il diritto
europeo dei contratti.

1.Autonomia negoziale ed autonomia contrattuale.


L’autonomia negoziale esprime l’autoregolazione dei propri interessi, con contenuto sia patrimoniale che
non patrimoniale. L’art. 1321 dà la nozione di contratto come l’accordo di due o più parti per costituire,
regolare o estinguere tra loro un rapporto giuridico patrimoniale.
L’ art. 1322 invece qualifica l’autonomia contrattuale come il potere delle parti di determinare
liberamente il contenuto del contratto nei limiti imposti dalla legge; le parti possono anche concludere
contratti che non appartengono ai tipi aventi una particolare disciplina, purché realizzino interessi meritevoli
di tutela secondo l’ordinamento giuridico. Con il riconoscimento dell’autonomia contrattuale è garantita ai
privati l’autoregolazione dei propri interessi in un duplice senso: come libertà di contrarre, ossia di
stipulare o meno un contratto, oppure come libertà di contrattare, cioè di determinazione del contenuto
del contratto e quindi dello scopo perseguito. Il contratto si pone come generale strumento di
conseguimento di una utilità mediante la cooperazione di altro soggetto, e mezzo di esplicazione
dell’impresa, atteggiandosi anche come strumento degli scambi. In passato la costruzione di una categoria
generale ed astratta del negozio giuridico ha condotto alla unificazione concettuale di negozi inter vivos
(il contratto e atto di matrimonio) e di negozi mortis causa (testamento).

2. La figura del contratto.


a) Il contratto implica una pluralità di parti; il concetto di parte non si esaurisce in quello di soggetto
(persona fisica o giuridica) ma si esplica nel concetto di centro di interessi.
Il contratto corre tra almeno due parti in quanto involge almeno due centri di interessi per lo più contrapposti
(es. vendita, appalto); può però anche coinvolgere più parti con comunione di scopo (contratto di società) o
senza comunione di scopo (divisione).
b) Essenziale è l’accordo tra le parti come espressivo della comune volontà negoziale.
Perché l’accordo si realizzi, è fondamentale che le volontà delle parti siano manifestate all’esterno;
il termine accordo indica sia l’incontro delle volontà che la concordanza degli interessi, ed esprime
l’approdo delle tensioni di due o più parti.
c) Deve sussistere la programmazione di uno scopo; l’accordo deve essere finalizzato a costituire,
regolare o estinguere un rapporto giuridico patrimoniale. E’ il profilo funzionale del contratto che connota
lo stesso quale atto negoziale.
d) Il contratto infine deve incidere sui rapporti giuridici patrimoniali, ed essere quindi suscettibile
di valutazione economica.

181
3. Elementi e requisiti del contratto.
Gli elementi essenziali (o costitutivi) dei negozi giuridici sono: la manifestazione di volontà diretta
ad uno scopo pratico giuridicamente rilevante, una eventuale forma vincolata quando è richiesta dalla
legge a pena di nullità.
L’art. 1325 prevede quali requisiti del contratto: 1) l’accordo delle parti; 2) la causa; 3) l’oggetto;
4) la forma quando prescritta sotto pena di nullità.
L’accordo delle parti esprime l’elaborazione e la formazione della comune volontà negoziale, determinando
la conclusione del contratto; per quanto riguarda la causa e l’oggetto, queste indicano l’assetto di interessi
realizzato, fissando il contenuto del contratto; la forma vincolata a pena di nullità designa la forma di
manifestazione della volontà negoziale.
Si è soliti definire tali requisiti come elementi essenziali o costitutivi del contratto; il termine elementi
riguarda la struttura dell’atto e indica gli elementi costitutivi della formazione del contratto, mentre il termine
requisiti riguarda la violazione dell’atto ed indica i requisiti di validità del contratto richiesti dalla legge.
Gli elementi essenziali del contratto si atteggiano come requisiti essenziali di validità dello stesso in quanto
componenti della struttura dell’atto, sicché la mancanza di uno di essi comporta la nullità del contratto.
A fronte degli elementi essenziali, sussistono elementi accidentali (condizione, temine e onere) che
arricchiscono il contenuto del contratto e che possono essere o meno presenti nello stesso. Quando le parti
si avvalgono di elementi accidentali, questi, penetrando nel contenuto del contratto concorrono alla
elaborazione del programma negoziale, e quindi alla determinazione del concreto assetto di interessi.
Di segno diverso sono gli elementi naturali, ossia gli effetti naturali stessi del negozio predisposti
direttamente dalla legge, ma che possono essere eliminati dalle parti.
In una diversa prospettiva opera la posizione dei soggetti che sono gli autori della struttura dell’atto.

4. I singoli contratti.
L’emergere di nuovi contratti nelle relazioni economiche ha determinato la progressiva formazione di tipi
sociali e nuovi tipi legali; si pensi ai contratti di vendita di pacchetti turistici, o di affiliazione commerciale.
L’esigenza di nuove tutele per le posizioni contrattuali deboli (lavoratori, consumatori) ha fatto si che la
complessiva disciplina dei contratti sia stata spiegata in tale direzione; ad esempio tra le tecniche più diffuse
di tutela dei consumatori si pensi al controllo di trasparenza.

5. Il trend normativo e le recenti tecniche di controllo giudiziario.


A fronte della disciplina del codice civile, sta emergendo un trend normativo che delinea strategie di tutela
dei contraenti deboli o appresta una regolazione del mercato in grado di preservarne il funzionamento.
Il divario di forza contrattuale tende ad essere colmato con il ricorso a 2 meccanismi: riarmando la libertà
dei privati nella formazione del contratto, con la predisposizione di strumenti che garantiscano
informazione e trasparenza oppure intervenendo autoritativamente sulla determinazione del
regolamento contrattuale.
Da tempo anche la giurisprudenza ha iniziato a svolgere una osservazione più penetrante dell’autonomia
contrattuale, con il ricorso a tecniche di controllo del contenuto del contratto; così a partire dagli anni 70,
si è sviluppato un controllo giudiziario dell’autonomia contrattuale, e dato vita ad un principio di
manovra di discrezionalità contrattuale per garantire una congruità dello scambio contrattuale secondo i
valori costituzionali e comunitari, in accordo con il nuovo trend normativo.

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6. Contratti di impresa ed abuso di posizione dominante.
Nella realtà economica si è fortemente dilatata l’area dei contratti di impresa (o commerciali).
La contrattazione di impresa assume una duplice connotazione: da un lato si svolge mediante
predisposizione unilaterale; dall’altro tende a diventare regolazione di massa in quanto il regolamento
contrattuale si impone a tutti i soggetti interessati al conseguimento del particolare prodotto.
Il progressivo ingigantimento delle imprese comporta anche l’estendersi dell’abuso di posizione dominante
nel mercato; questa espressione è maturata per indicare l’abuso di una posizione dominante da parte di
una o più imprese all’interno del mercato nazionale, con conseguente alterazione della struttura
concorrenziale del mercato.
Poiché il contratto è lo strumento di cui si avvalgono le imprese per procurarsi i fattori della produzione,
e collocare i prodotti, il contratto diventa terreno dove normalmente si svolge e si impone la posizione
dominante dell’impresa. Destinati a subire gli effetti distorti della contrattazione per adesione sono i
consumatori, che accedono al consumo per soddisfare i propri bisogni.

7. Contratti dei consumatori ed accesso al consumo.


Il terreno dove si è maggiormente sviluppata la tutela dei contraenti deboli è senz’altro quello del mercato
dei beni e dei servizi ai consumatori. Il contatto sociale con i consumatori è ricercato dall’impresa attraverso
strategie di marketing, sicché la scelta del prodotto cade sempre più spesso tra rappresentazioni di prodotti,
come le comunicazioni di massa.
Il codice del consumo predispone tutele riservate al soggetto che riveste la qualifica di consumatore nei
confronti di un soggetto che riveste la qualifica di professionista, dove per consumatore si intende la
persona fisica che agisce per scopi estranei all’attività imprenditoriale eventualmente svolta, e per
professionista, la persona fisica o giuridica che agisce nell’esercizio della propria attività imprenditoriale.
Il dibattito circa l’identificazione del fondamento giuridico della tutela del consumatore è orientato in
2 direzioni: concentrandosi sulla condizione soggettiva, come espressione di uno stato sociologicamente
debole da proteggere, e focalizzandosi sulla dimensione oggettiva, come espressione di un modello di
accesso al mercato da valorizzare. La tutela dei consumatori contiene ormai l’intera tematica del contratto e
tutte le fasi di svolgimento dello stesso (conclusione, contenuto, esecuzione), evidenziando categorie
giuridiche e tecniche suscettibili di applicazione a tutti i fruitori di prodotti di impresa.

8. La tutela di imprenditori deboli (cd. Terzo contratto).


Accanto al contratto tra imprenditori e a quello tra imprenditore e consumatore, ha assunto rilevanza sociale
e giuridica un Terzo contratto, ossia un contratto stipulato tra imprese con divario di potere
contrattuale, spesso correlato ad una situazione di dipendenza economica tra le parti.
Si pensi alla normativa sulla subfornitura delle attività produttive, il cui art. 9 vieta l’abuso da parte di una
impresa, nello stato di dipendenza economica nel quale si trova un’impresa cliente o fornitrice, determinando
un eccessivo squilibrio di diritti ed obblighi.

9. La regolamentazione del mercato tra doveri di informazione ed interventi correttivi.


Con la crisi economica mondiale e con il fallimento dei mercati finanziari, si accresce la consapevolezza
che il mercato si sia allontanato dal mito della gara tra uguali per essere sostituito da una disparità di potere
dei suoi protagonisti. Col tempo si tende a promuovere produttività e competitività in una visione sociale
del mercato, per realizzare un equilibrio di rapporti tra le varie forze economiche e sociali.
Rispetto all’azione economica gli interventi si sviluppano sia in via preventiva con la fissazione delle regole
della gara, sia in via successiva con strategie rimediali ai fallimenti del mercato.
Nella direzione preventiva si tende ad orientare le strutture del mercato verso una gara corretta e
trasparente che realizzi una equa autoregolazione dei rapporti dei concorrenti, consentendo una
ottimale allocazione delle risorse.

183
L’informazione assume un ruolo strumentale alla conoscenza, riservandosi lo Stato di intervenire quando si
determina il fallimento del mercato nonostante la trasparenza delle relazioni economiche.
Nella direzione successiva invece si tende a regolamentare l’operazione economica con interventi
correttivi integrativi, quando il mercato trasparente ed informato, manifesta segni di fallimento.
Spesso le normative di intervento successivo si propongono di realizzare un bilanciamento tra gli interessi
dei vari protagonisti del mercato in favore della conservazione dell’attività economica.
In tale equilibrio di variegati interessi in conflitto, tutti i protagonisti del mercato sono chiamati ad una
condotta leale e corretta per aiutare il funzionamento del mercato.
Sono accentuati anche gli interventi di sostegno nella conclusione dei contratti con organizzazioni di
categoria che rafforzano il potere contrattuale dei contraenti deboli, attraverso un’autonomia assistita o
con il ricorso alla contrattazione collettiva (i contratti più significativi del mondo del lavoro sono negoziati
dalle organizzazioni sindacali attraverso i contratti collettivi).

10. I contratti della pubblica amministrazione ed “evidenza pubblica”.


La pubblica amministrazione realizza delle finalità istituzionali attraverso moduli convenzionali disciplinati
dal diritto privato. Vanno così estendendosi ai contratti della pubblica amministrazione, principi del diritto
dei contratti che garantiscono la parità delle posizioni contrattuali secondo un crescente diritto patrimoniale
comune a soggetti privati e pubblici. Poiché il ricorso al modulo convenzionale è una tecnica di esplicazione
della funzione pubblica, è necessario che lo strumento privatistico sia preceduto da un procedimento
amministrativo di evidenza pubblica che valga a rendere note le finalità di pubblico interesse perseguite
dall’amministrazione con gli atti di diritto privato, con particolare riferimento alla scelta di contrattare e
alla individuazione del contraente, in modo da rassicurare la trasparenza dell’attività amministrativa e la
verifica del perseguimento dei fini pubblici.

11. Il diritto europeo dei contratti.


Nel tempo si è svolto un progressivo intervento comunitario che ha sedimentato un sovrapporsi di normative
che hanno inciso ed eroso l’ unitaria raffigurazione del contratto. Sta così emergendo un diritto comunitario
dei contratti che viene dall’alto (istituzioni europee); è perciò avvertita l’esigenza di uniformare principi
giuridici di base, in modo che l’impatto con gli ordinamenti nazionali non produca risultati distorti o
differenziati nei singoli paesi, e sia possibile invece ricostruire una uniformità del diritto europeo
applicato, identificando i nuovi valori che innervano il sistema e le nuove categorie giuridiche che li
esprimono.
C’è quindi da operare una armonizzazione delle tradizionali categorie logiche con quelle indotte dalle
nuove normative, ossia coniugare i diritti individuali garantiti dai tradizionali modelli di esplicazione
dell’autonomia privata, con gli affiorati doveri solidali implicati dai nuovi strumenti di tutela della persona
umana. A fronte di tali difficoltà, si svolge un percorso di diritto comune dei contratti con l’intento di
elaborare categorie giuridiche comuni, sulla base di valori condivisi, nella prospettiva di un più generale
diritto privato europeo.

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CAPITOLO 2 – CONCLUSIONE DEL CONTRATTO
1.Le parti e i requisiti soggettivi. La legittimazione; 2. Accordo e conclusione del contratto;
3. Contratti consensuali e contratti reali; -A) L’INTENTO COMUNE. 4. La volontà negoziale e l’asimmetria
degli apporti volitivi; 5. I modi di manifestazione della volontà; 6. Volontà e dichiarazione. La tutela
dell’affidamento; 7. L’assenza di volontà negoziale; 8. Rilevanza della sorpresa;
-B) I VIZI DEL CONSENSO. 9. Generalità; 10. Errore; 11. Dolo; 12. Violenza morale;
-C) MODI DI CONCLUSIONE DEL CONTRATTO. 13. Scambio di proposta e accettazione;
14. Offerta al pubblico; 15. Conclusione del contratto senza formale accettazione; 16. Il contratto aperto.
17. Predisposizione di condizioni generali di contratto. 18. I contratti dei consumatori;
19. Rapporti contrattuali per contatto sociale; 20. Limiti legali alla libertà di contrarre
-D) FORMAZIONE PROGRESSIVA DEL CONTRATTO. 21. Generalità; 22. Vincoli negoziali alla libertà
di contrarre; 23. Il contratto preliminare; 24. Ripetizione del contratto in una forma determinata
E) RESPONSABILITA’ PRECONTRATTUALE. 25. Le ipotesi tipizzate dal codice; 26. La clausola
generale del trattare lealmente; 27. I danni risarcibili.

1.Le parti e i requisiti soggettivi. La legittimazione.


Il contratto implica la presenza di due o più parti; ogni parte può essere unisoggettiva o plurisoggettiva.
Bisogna inoltre distinguere tra parte in senso sostanziale, titolare dell’interesse inciso dall’atto e
destinataria degli effetti del contratto, e parte in senso formale che indica la parte partecipe dell’atto e che
quindi manifesta la volontà negoziale. Mentre la parte in senso sostanziale può essere indicata in seguito
(es. contratto per persona da nominare) o non essere affatto indicata (mandato senza rappresentanza),
la parte in senso formale deve essere sempre determinata e risultare nell’atto.
Quanto ai requisiti soggettivi, è necessario che i soggetti abbiano la capacità giuridica, cioè l’attitudine alla
titolarità delle situazioni giuridiche disposte, e la capacità d’agire, cioè l’idoneità al compimento dell’atto.
Ulteriore requisito è la legittimazione, ossia il potere di agire rispetto agli interessi regolati con il contratto;
il fenomeno è reso evidente quando si vuole disporre di interesse altrui, con incidenza degli effetti dell’atto
sulla sfera giuridica di un soggetto terzo.
L’assenza di legittimazione non incide sulla validità dell’atto, ma solo sull’efficacia.

2. Accordo e conclusione del contratto.


L’accordo traduce il conflitto di interessi in concordanza di intenti; l’accordo delle parti su un assetto
di interessi meritevole di tutela determina la conclusione del contratto;
Esistono però ipotesi in cui per la conclusione del contratto devono concorrere ulteriori fattori oltre
l’accordo; per il perfezionamento dei contratti reali, si richiede oltre l’accordo, la consegna della cosa.
In definitiva l’accordo è essenziale ma non sempre sufficiente alla conclusione del contratto;
l’accordo serve anche ad imputare l’atto a determinati soggetti, e a fissare il tempo ed il luogo dell’incontro
delle volontà per gli effetti che ne derivano.

3. Contratti consensuali e contratti reali.


In relazione al divario tra accordo e conclusione del contratto ha luogo la distinzione tra i 2 tipi di contratto.
I contratti consensuali si perfezionano in virtù del solo consenso e quindi nel momento in cui si forma
l’accordo delle parti (es. vendita).
I contratti reali invece richiedono per il proprio perfezionamento, oltre l’accordo, anche la consegna
della cosa. Di regola i contratti reali tendono a procurare una situazione soggettiva temporanea sulla cosa,
con l’obbligo di restituzione a carico del consegnatario (comodato, mutuo); perciò i contratti reali,
rispetto agli effetti, sono contratti unilaterali in quanto dagli stessi derivano obbligazioni a carico di una
sola parte (il consegnatario), come ad esempio l’obbligazione di restituire il bene ricevuto.

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A)L’INTENTO COMUNE
4. La volontà negoziale e l’asimmetria degli apporti volitivi.
La volontà negoziale è la tensione verso un risultato ed indica l’intento di realizzare uno scopo pratico
dotato di rilevanza giuridica; essenziale è manifestare l’intento perseguito qualunque sia la forma della
manifestazione. Derivando la volontà negoziale da un solo soggetto, è più agevole la verifica della corretta
formazione della volontà negoziale.
Più complessa è la formazione della volontà negoziale nei negozi bilaterali, in quanto il fine perseguito da
una parte non coincide necessariamente con quello stabilito dall’altra o dalle altre parti (es. il venditore vuole
vendere ad un determinato prezzo ed il compratore vuole acquistare ad un prezzo inferiore).
Perché si formi un comune intento negoziale è necessario che i proponimenti individuali di ciascuna parte
si incontrino e combinino in una concorde volontà negoziale, che esprime l’autoregolamento di interessi
realizzato dalle parti. La volontà negoziale giuridicamente rilevante nel contratto è la risultante dell’incontro
tra i due rapporti volitivi; esprime cioè l’intento comune di perseguire uno scopo condiviso, che indica il
risultato programmato e voluto dalle parti.
Sarà poi l’ordinamento giuridico a valutare se vi sia stato un reale incontro di volontà e dunque se si sia o
meno formata una effettiva volontà negoziale e se lo scopo perseguito risulti meritevole di tutela.
L’accordo contrattuale indica l’intento comune di due o più parti di costituire, regolare o estinguere tra loro
un rapporto giuridico patrimoniale.
Accanto ad aree di svolgimento dell’autonomia contrattuale, crescono settori con asimmetria degli apporti
volitivi nella regolazione degli interessi, fino a relegare la volontà della parte aderente alla scelta di contrarre
o meno, ed in tale contesto si rivela essenziale il modo di conclusione del contratto.

5. I modi di manifestazione della volontà.


I fondamentali mezzi di manifestazione sono il linguaggio ed il contegno.
a) Il linguaggio dà vita ad una manifestazione espressa della volontà in quanto rappresenta e comunica
lo scopo pratico perseguito; può esprimersi con la parola, con lo scritto o con altri segni.
Nel tempo lo sviluppo delle ricerche scientifiche applicate alle comunicazioni ha fatto emergere nuovi
meccanismi di svolgimento del linguaggio (telegrafo, telematica). Spesso la legge per varie esigenze,
richiede che la manifestazione debba essere espressa in una forma vincolata (es. l’alienazione di beni
immobili deve farsi per iscritto).
b) Il contegno invece dà vita ad una manifestazione tacita di volontà in quanto non utilizza meccanismi
comunicativi di volontà negoziale.
Spesso la volontà negoziale è attuata senza una preventiva manifestazione (espressa o tacita).
Il contegno esprime ed attua la volontà negoziale mediante la realizzazione dello scopo perseguito
(cd. negozi di volontà). A particolari problemi ha dato luogo il silenzio, che come tale è neutro ed
acquista rilevanza giuridica in ragione delle circostanze in cui è tenuto il comportamento silente.

6. Volontà e dichiarazione. La tutela dell’affidamento.


Può accadere che una manifestazione di volontà non sia spontaneamente e consapevolmente voluta.
L’impatto sociale di ogni dichiarazione ha in considerazione non solo l’interesse del soggetto dichiarante,
ma anche quello dei soggetti che vi fanno affidamento, attribuendo rilevanza giuridica alla relazione sociale
indotta dalla dichiarazione.
Il rapporto tra volontà e dichiarazione è risolto dal codice civile accordando tutela all’autore della
dichiarazione, nei limiti della protezione dell’affidamento che la dichiarazione suscita verso il destinatario
e nei confronti dei terzi (cd. buona fede soggettiva).

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7. L’assenza di volontà negoziale.
Si ha assenza di volontà negoziale (e dunque assenza di consenso) quando non si realizza un libero e
consapevole intento comune, nonostante l’impiego degli schemi formali di manifestazione della volontà
e di formazione del consenso; di regola l’assenza di volontà negoziale comporta la nullità del negozio.
Esistono ipotesi in cui è addirittura assente la volontà della materialità della dichiarazione.
E’ il tipico esempio della violenza fisica (cd. violenza assoluta), con cui si costringe materialmente un
soggetto a dichiarare una volontà negoziale inesistente (es. conducendo forzatamente la mano altrui nella
sottoscrizione); la violenza fisica è atto così grave da produrre la nullità del contratto.
Altre volte c’è la volontà della materialità della dichiarazione, ma è assente la volontà della dichiarazione
orientata ad un regolamento di interessi; è il caso della non serietà della dichiarazione, in quanto la stessa
è espressa per scherzo o formulata per fine didattico. Un discorso a sé è da fare per l’errore ostativo, ossia
l’errore nella dichiarazione o nella sua trasmissione, in quanto c’è discordanza tra volontà negoziale e
dichiarazione; il relativo trattamento è assimilato a quello dell’errore vizio della volontà negoziale per la
tutela dell’affidamento del destinatario della dichiarazione.

8. Rilevanza della sorpresa.


Nei contratti conclusi fuori dei locali commerciali, o in altri luoghi non destinati al commercio,
si è emotivamente più indotti all’acquisto, mancando la maturazione dell’operazione che normalmente
caratterizza il recarsi presso i locali commerciali.; si è così voluto tutelare il consumatore colto di sorpresa
da una sollecitazione all’acquisto non preventivamente ponderato, oppure tutelarlo contro tecniche di
stipulazione aggressive in quanto l’operatore commerciale coglie il consumatore impreparato all’acquisto.
L’anomalia sta nella sorpresa che coglie il consumatore, il quale interviene nel contratto nella immediatezza
emotiva dell’offerta, senza considerare l’utilità né la convenienza dell’acquisto.
Per le circostanze di conclusione del contratto è presunta l’assenza di una consapevole volontà negoziale
(con conoscenza della realtà e coscienza della decisione).

B) I VIZI DEL CONSENSO


9. Generalità.
Di regola i vizi della volontà negoziale danno luogo all’annullabilità, per cui l’atto è efficace ma suscettibile
di esserne privato con sentenza di annullamento. I vizi del consenso previsti dal codice sono l’errore,
il dolo, e la violenza; errore e dolo influenzano la conoscenza, la violenza invece condiziona la decisione.
Per l’art. 1427 il contraente il cui consenso fu dato per errore, estorto con violenza o carpito con dolo,
può chiedere l’annullamento del contratto secondo le disposizioni indicate dai successivi articoli.
Tali vizi sono maggiormente riferibili al singolo privato che accede al mercato sorretto dalla sua razionalità
e forte solo della propria volontà, destinato a subire tutte le conseguenze di processi logici errati, o di
violenze alla sua libertà.
Nel mercato dei beni di consumo, la spinta del consenso è indotta dalla pubblicità commerciale, quindi
senza dialogo e in assenza del bene.

10. Errore.
L’errore può insorgere sia nella formazione della volontà negoziale che nella dichiarazione della stessa.
Nella formazione della volontà negoziale l’errore opera quale errore vizio della volontà negoziale,
ed è perciò detto errore vizio o errore motivo della volontà; invece nell’ipotesi di dichiarazione
l’errore opera quale anomalia della dichiarazione, ed è perciò indicato come errore ostativo.
a)Errore vizio (o motivo): è l’errore vero e proprio quale vizio della volontà, consistente in una falsa
rappresentazione della realtà (materiale o giuridica) rilevante nella formazione del consenso.
La falsa conoscenza della realtà è imputabile allo stesso autore della dichiarazione, che autonomamente
e spontaneamente rappresenta una situazione diversa della realtà.

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L’errore vizio può essere di fatto o di diritto: l’errore di fatto cade su una circostanza di fatto la cui
falsa rappresentazione incide nella determinazione dell’assetto di interessi (es. in una galleria di quadri,
un visitatore acquista un determinato quadro ad un prezzo elevato per averlo erroneamente attribuito
ad un pittore famoso, mentre in seguito si rivela solo una crosta).
L’errore di diritto invece cade sull’esistenza o interpretazione di una norma giuridica che regola fatti
o rapporti la cui rappresentazione incide sul regolamento di interessi; nessuno può accampare l’ignoranza
di una norma giuridica per sottrarsi all’osservanza della stessa poiché l’ignoranza della norma può solo
servire a conseguire l’annullamento del contratto (ad es. un soggetto acquista un terreno ad un determinato
prezzo credendolo edificabile, ma poi scopre che questo non lo è vuoi per un vincolo militare, o perché
insiste in zona agricola).
L’errore è rilevante come causa di annullamento del contratto quando è essenziale e riconoscibile
dall’altro contraente; l’errore è essenziale quando cade su specifiche circostanze indicate dalla legge,
ed è considerato tale solo quando risulti il carattere determinante del consenso.
Per l’art. 1429 l’errore è essenziale in relazione alle seguenti circostanze: 1) Quando cade sulla natura o
sull’oggetto del contratto; l’errore sulla natura del contratto ha riguardo alla causa dello stesso, mentre
l’errore sull’oggetto del contratto riguarda la rappresentazione della prestazione dovuta.
2) Quando cade sull’identità o sulle qualità della persona dell’altro contraente.
Oltre ad essere essenziale, l’errore deve essere riconoscibile dall’altro contraente; per l’art. 1431 l’errore
si considera riconoscibile quando in relazione al contenuto, una persona di normale diligenza avrebbe
potuto rilevarlo. Rilevante per l’annullamento del contratto non è più la scusabilità dell’errore da parte del
dichiarante, bensì la riconoscibilità dell’errore da parte del destinatario della dichiarazione; la
riconoscibilità va però verificata con riferimento al caso concreto.
Solo se l’errore risulta riconoscibile il contratto può essere annullato, altrimenti pure in presenza dell’errore,
il contratto rimane valido: l’interesse del dichiarante all’annullamento del contratto è sacrificato rispetto al
contrapposto interesse del destinatario della dichiarazione alla validità del contratto.
b) Errore ostativo: l’errore incide sulla manifestazione della volontà negoziale, in quanto la stessa,
in conseguenza dell’errore, contiene un riferimento errato (es. 100 invece di 1000; Tizio invece di Caio).
L’errore può cadere sulla dichiarazione oppure sulla sua trasmissione quando è inesattamente trasmessa
dal dichiarante o dall’ufficio che ne era stato incaricato (es. errata trasmissione di una posta elettronica).
Anche l’errore ostativo è rilevante come causa di annullamento del contratto solo se essenziale e
riconoscibile
c) Errore materiale: è frutto di una volizione che si è espressa in modo palesemente distorto.

11. Dolo.
Come l’errore anche il dolo influenza la conoscenza della realtà e quindi la libertà di scelta.
Il fatto peculiare è che il dolo induce in errore tramite l’inganno, ossia tramite l’impiego di raggiri ed
artifici che una parte compie a danno dell’altra per indurla a concludere il contratto, in quanto il consenso è
carpito con dolo.
Riprendendo gli esempi fatti per l’errore, il visitatore della galleria d’arte acquista lo specifico quadro ad un
prezzo elevato a seguito dei raggiri usati dal gallerista, che lo induce in errore circa l’attribuzione del quadro
ad un pittore di una prestigiosa scuola, quando in realtà si scopre solo dopo che è una crosta.
Il dolo può essere commissorio, ossia compiuto con atti fraudolenti (artifici raggiri, menzogne), oppure
omissivo e cioè compiuto con il silenzio o la reticenza di quanto risultava utile conoscere nella stipula del
contratto alla controparte; in ogni caso deve ingenerare nella controparte una rappresentazione alterata
della realtà, in modo da essere determinante del consenso.
Il dolo omissivo può ravvisarsi solo quando l’inerzia della parte si inserisca in un comportamento complesso,
con malizia o astuzia per realizzare l’inganno perseguito, determinando l’errore del “deceptus”.

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Per l’art. 1439 il dolo è causa di annullamento del contratto quando i raggiri usati da un contraente
(deceptor) sono stati tali che, senza di essi l’altro contraente (deceptus) non avrebbe contrattato.
Si parla in questo caso di dolo determinante, in quanto il dolo deve essere determinante del consenso,
nel senso di svolgere un’efficienza causale sulla determinazione volitiva della controparte.
I raggiri devono essere idonei ad indurre in errore un soggetto con le stesse qualità personali e professionali
e nelle stesse circostanze in cui è stipulato il contratto.
E’ necessario che artifici e raggiri provengano dalla controparte che trae profitto dalla conclusione del
contratto; quando artifici e raggiri sono stati usati da un terzo, il contratto è annullabile solo se gli stessi
erano noti al contraente che ne ha tratto vantaggio.
Diverso dal solo determinante è il dolo incidente, ossia il dolo non è determinante della conclusione del
contratto, ma incide sul contenuto che si sarebbe pattuito diversamente.
Per l’art. 1440, se i raggiri non sono stati tali da determinare il consenso, il contratto è valido, ma il
contraente in mala fede risponde dei danni.
Si è anche posta la distinzione tra dolus malus, che è il dolo giuridicamente rilevante in quanto considerato
socialmente inammissibile, sempre vietato, e dolus bonus, che è la comune esaltazione della propria merce,
generalmente consentito se facilmente avvertibile.

12. Violenza morale.


La violenza morale è una violenza psichica che incide sulla libertà di decisione, impedendo alla volontà
negoziale di determinarsi liberamente. La violenza morale consiste nella minaccia di un male ingiusto e
notevole, tale da indurre il soggetto violentato a concludere un contratto; più specificamente, a seguito della
minaccia, al soggetto violentato si prospettano 2 possibilità: subire il male minacciato e non concludere il
contratto, evitare il male minacciato e concludere il contratto (in questa ultima ipotesi il consenso è estorto
con violenza). La minaccia deve assumere efficienza causale nella determinazione del consenso.
Circa i requisiti del male minacciato, il male minacciato deve essere ingiusto; l’ingiustizia può riguardare
sia il mezzo adoperato che il vantaggio perseguito.
L’ingiustizia del mezzo è rilevabile immediatamente dal tipo di comportamento minacciato (es. la minaccia
di gambizzazione è causa di annullamento del contratto poiché impiega un mezzo illecito); per verificare
invece l’ingiustizia del vantaggio bisogna accertare il fine perseguito tramite il comportamento minacciato.
Inoltre il male minacciato deve essere notevole, ossia il male deve prospettarsi per il soggetto minacciato
come in grado di arrecare un grave danno ai beni o al soggetto violentato; nella prima direzione il male
inerisce al patrimonio (es. minaccia di incendio di un capannone se non si stipula un determinato contratto),
mentre nella seconda direzione il male può riguardare la vita fisica (es. minaccia di gambizzazione).
La violenza è sempre causa di annullamento del contratto, anche se esercitata da un terzo; nel dolo invece il
contratto è annullabile solo se i raggiri usati dal terzo erano noti alla controparte.
Non è causa di annullamento del contratto il timore riverenziale, ossia uno stato d’animo che, pur incidendo
sulla formazione della volontà negoziale, si genera e si sviluppa all’interno del soggetto.

189
C) MODO DI CONCLUSIONE DEL CONTRATTO
13. Scambio di proposta e accettazione.
Tecnica generale di conclusione del contratto è la formazione dell’ accordo tramite lo scambio di
dichiarazione di proposta e accettazione. Proposta e accettazione sono atti recettizi, nel senso che
producono effetto dal momento in cui pervengono a conoscenza dei destinatari.
a) La proposta esprime l’iniziativa del contratto: è l’offerta di una parte all’altra parte di voler
concludere un contratto rispetto ad un determinato assetto di interessi sul quale si richiede l’accettazione.
Tale proposta deve essere completa ed impegnativa, ossia deve contenere i tratti essenziali del contratto
proposto (es. la proposta di acquisto deve contenere l’indicazione del prezzo che si è disposti a pagare);
se incompleta, la dichiarazione si atteggia quale invito ad offrire, ed in tal caso il destinatario, se intende
concludere il contratto, deve formulare una sua proposta.
La proposta deve inoltre esprimere un intento impegnativo, in quando deve manifestare una decisione
di concludere il contratto e non essere rivolta solo ad impostare una trattativa.
La proposta è revocabile fino a quando il contratto non è concluso. Se l’accettante ha intrapreso in buona
fede l’esecuzione del contratto prima di avere avuto notizia della revoca, il proponente è tenuto ad
indennizzarlo delle spese e delle perdite subite per l’iniziata esecuzione del contratto.
b) L’accettazione è invece la dichiarazione di consenso alla proposta, e dunque la dichiarazione di
consenso all’assetto di interessi stabilito. L’accettazione deve essere conforme alla proposta e tempestiva,
in quanto un’ accettazione non conforme alla proposta equivale a nuova proposta.
Il destinatario della proposta (non accettata) diventa nuovo proponente e l’originario proponente diventa
destinatario della nuova proposta, fino alla formazione di un accordo; tale accettazione deve giungere al
proponente nel termine indicato secondo gli usi.
In ogni caso il proponente può sempre considerare efficace l’accettazione tardiva purché ne dia
immediatamente avviso all’altra parte.
Anche l’accettazione è revocabile se giunge a conoscenza del proponente prima dell’accettazione
c) Circa i tratti comuni, proposta e accettazione possono essere dichiarate in qualsiasi forma; se però il
proponente richiede per l’accettazione una forma determinata, l’accettazione non ha effetto se data in forma
diversa.
Il proponente può peraltro rinunciare a tale forma, ritenendo sufficiente un’adesione manifestata in modo
diverso. La morte o l’incapacità successiva di una delle parti prima della formazione dell’accordo impedisce
la conclusione del contratto.
Sia la proposta che l’accettazione, quando sono fatte da un imprenditore, nell’esercizio della sua impresa,
non perdono efficacia se l’imprenditore muore o diviene incapace prima della conclusione del contratto,
salvo che si tratti di piccolo imprenditore.
d) Il contratto è concluso nel momento in cui chi ha fatto la proposta ha conoscenza dell’accettazione
dell’altra parte, ossia quando l’accettazione è portata a conoscenza del proponente.
Il nostro legislatore, per l’efficacia di una dichiarazione unilaterale, ha attribuito rilevanza alla conoscenza
della stessa da parte del destinatario (principio cognitivo); tale principio opera però con il fondamentale
temperamento della presunzione di conoscenza, per cui proposta, accettazione, la loro revoca ed ogni altra
dichiarazione diretta ad una determinata persona, si reputano conosciute nel momento in cui giungono al
destinatario, salvo che questi non provi che, senza sua colpa, era nella impossibilità di prenderne conoscenza.
La verifica della formazione dell’accordo risulta delicata con riguardo alle puntuazioni (o minute)
dovendosi verificare se ed in quale momento, la progressiva formazione dell’accordo abbia condotto alla
conclusione del contratto. Si tende a considerare non sufficiente una puntazione sugli elementi essenziali del
contratto; ai fini della configurabilità di un vincolo contrattuale definitivo, è necessario che tra le parti sia
raggiunta l’intesa su tutti gli elementi dell’accordo.

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14. Offerta al pubblico.
E’ una proposta indirizzata ad una generalità di persone; vale come proposta quando contiene gli estremi
essenziali del contratto alla cui conclusione è diretta. Dato che non è indirizzata ad un soggetto determinato,
per avere efficacia non deve essere portata a conoscenza dei terzi, essendo sufficiente che sia resa
conoscibile.
Significativi esempi provengono dalle tecniche di collocazione dei prodotti finanziari; altri esempi sono i
parcheggi automatici di veicoli, ai quali si accede attraverso sistemi automatici, con meccanismi automatici
di pagamento della prestazione e prelievo del veicolo. Caratteristica di tali fenomeno è modalità di
formazione del contratto mediante un peculiare contegno.
La conoscibilità della proposta si riflette sulla natura della revoca, la quale non può indirizzarsi
individualmente; è sufficiente che anche essa sia resa conoscibile. La revoca dell’offerta al pubblico,
quando è fatta nella stessa forma dell’offerta, è efficace anche verso chi non ne ha avuto notizia.
L’offerta al pubblico si differenzia dalla promessa al pubblico, essendo quest’ultima un negozio unilaterale.

15. Conclusione del contratto senza formale accettazione.


Il cod. civile prevede 2 meccanismi di conclusione del contratto senza formale accettazione.
a)Esecuzione prima dell’accettazione. Di regola l’esecuzione segue la conclusione del contratto: il
proponente deve essere a conoscenza dell’accettazione prima dell’esecuzione per predisporsi a ricevere la
prestazione della controparte. Quando però su richiesta del proponente, il destinatario deve eseguire la
prestazione senza una preventiva risposta, il contratto è concluso nel tempo e nel luogo in cui ha avuto inizio
l’esecuzione. C’è un comportamento concludente del destinatario della proposta, che con l’inizio
dell’esecuzione mostra di voler concludere il contratto; tale meccanismo di conclusione è eccezionale in
quanto l’esecuzione del contratto interviene prima dell’accettazione, perciò la sua operatività è
circoscritta dalla legge alle sole 3 ipotesi previste (richiesta del proponente, natura dell’affare,
presenza di usi).
L’accettante deve dare prontamente avviso alla controparte della iniziata esecuzione per evitare il
risarcimento dei danni: il proponente non avvertito dell’accettazione, potrebbe non essere pronto a ricevere
la prestazione.
b) Mancato rifiuto della proposta. Nei contratti con obbligazioni a carico di una sola parte, quando la
proposta è diretta a concludere un contratto da cui derivano obbligazioni solo per il proponente,
è irrevocabile appena giunge a conoscenza del destinatario; se non è rifiutata dal destinatario avvantaggiato
(oblato) nel termine richiesto dall’affare, il contratto è concluso.
Derivando dal contratto obbligazioni a carico del solo proponente, il silenzio del destinatario è considerato
dalla legge come comportamento concludente favorevole alla formazione del contratto.
E’ possibile fare una distinzione tra rinunzia e rifiuto in quanto la rinunzia presuppone la titolarità del
diritto poiché è un negozio unilaterale rivolto a cessare la titolarità del diritto con la produzione di un
effetto abdicativo, mentre il rifiuto è un negozio unilaterale di rifiuto di un effetto favorevole;
non volendo il destinatario profittare dello stesso, ne impedisce l’acquisizione nella propria sfera giuridica.

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16. Il contratto aperto.
I contratti con comunione con i quali si tende a realizzare un interesse comune a tutte le parti del contratto
possono aprirsi all’esterno mediante la previsione di una clausola di apertura; è il fenomeno tipico delle
organizzazioni collettive (associazioni) al fine di incrementare la compagine sociale.
Il carattere aperto connota i contratti plurilaterali. Con la clausola di apertura i contraenti originari offrono la
possibilità ad altri soggetti di aderire al contratto originario, accettandone i fini e l’organizzazione interna.
L’apertura può riguardare la generalità dei soggetti o specifiche categorie di soggetti con determinate
caratteristiche, operando come offerta al pubblico. L’adesione al contratto vale come accettazione; se non
sono determinate modalità dell’adesione, questa deve essere diretta all’organo costituito per l’attuazione del
contratto o a tutti i contraenti originari.
L’organo a ciò deputato è il consiglio di amministrazione, cui spetta l’attuazione del contratto. Le adesioni
sono soggette a verifica da parte dell’organo a ciò destinato per statuto, o in mancanza, dagli associati.

17. Predisposizione di condizioni generali di contratto.


Si è già parlato del crescente fenomeno di standardizzazione contrattuale, con la previsione di condizioni
generali di contratto, come esigenza di programmazione e razionalizzazione delle scelte imprenditoriali in
una produzione di massa.
In presenza della predisposizione unilaterale del contenuto contrattuale, il profilo dell’accordo rimane
scolorito per assenza di una congiunta elaborazione del regolamento di interessi; è questa la tecnica dei
contratti per adesione, per cui una parte aderisce ad un contratto predisposto dall’altra parte.
Si è così determinato nel nostro ordinamento un doppio regime dei contratti per adesione: il regime del
codice civile regolante i contratti per adesione conclusi tra professionisti ed il regime del codice del
consumo, che invece regola i contratti per adesione conclusi tra professionista e consumatore.
Per il codice civile le condizioni generali di contratto predisposte da uno dei contraenti sono efficaci nei
confronti dell’altro se al momento della conclusione del contratto, questi le ha conosciute o avrebbe dovuto
conoscerle usando l’ordinaria diligenza.
Il criterio della conoscenza del regolamento contrattuale è sostituito da quello della mera conoscibilità a
vantaggio del predisponente; la conoscibilità è intesa come notorietà della esistenza delle condizioni generali
e conoscibilità del relativo contenuto.
Il codice civile appresta 3 meccanismi di tutela del contraente aderente, che trovano applicazione quando
ricorrono insieme un fenomeno di predisposizione unilaterale del contratto e un impiego sociale del
contratto stesso.
a)Innanzitutto è introdotto un requisito di forma per le clausole vessatorie, ossia quelle clausole
considerate particolarmente onerose per il contraente aderente.
Per l’art. 1341 le condizioni che stabiliscono limitazioni di responsabilità a favore di colui che le ha
predisposte non hanno effetto se non sono approvate per iscritto; è inoltre maturata la convinzione che
l’assenza di specifica approvazione scritta delle clausole vessatorie comporti un vizio di forma
ad substantiam che determina la nullità delle clausole stesse.
b) Inoltre è stabilità la prevalenza delle clausole aggiunte a moduli o formulari; le clausole aggiunte al
modulo o formulario prevalgono su quelle del modulo.
E’ fissata la regola della interpretazione contro l’autore della clausola; per l’art. 1370 le clausole inserite
nella condizione generali di contratto s’interpretano nel dubbio a favore dell’aderente.

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18. I contratti dei consumatori.
Venendo ai contratti regolati dal codice del consumo, il contratto deve essere concluso tra un
consumatore/utente e un professionista, intendendo per consumatore/utente la persona fisica che agisce
per scopi estranei all’attività imprenditoriale e per professionista, la persona fisica o giuridica che agisce
nell’esercizio della propria attività imprenditoriale.
Con riferimento a tali contratti opera un controllo di vessatorietà del relativo contenuto che si estende
all’equilibrio economico in ipotesi di mancata trasparenza.
a)Sono vessatorie le clausole che malgrado la buona fede, determinano a carico del consumatore un
significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto; sono considerate vessatorie
le clausole che determinano un significativo squilibrio giuridico delle posizioni contrattuali.
L’accertamento della vessatorietà è compiuto tenendo conto della natura del bene, del servizio oggetto
del contratto o delle altre clausole del contratto. Tale giudizio è agevolato attraverso la tipizzazione delle
clausole di maggiore diffusione.
Sono in merito delineate 2 liste di clausole vessatorie..
Una prima lista è formata dalle clausole presunte vessatorie fino a prova contraria, sempre che non siano
state oggetto di trattativa individuale (lista grigia). Tra le clausole presunte vessatorie l’art. 33 evidenzia
quelle che tendono ad escludere o a limitare la responsabilità del professionista o la tutela del consumatore.
La seconda lista è invece formata dalle clausole comunque vessatorie (lista nera); tali sono le clausole
che hanno per oggetto o per effetto: 1) di escludere o limitare le responsabilità del professionista in caso
di morte; 2) di escludere o limitare le azioni del consumatore nei confronti del professionista in caso di
inadempimento totale o parziale.
Sono clausole oggettivamente vessatorie, indipendentemente da una negoziazione delle stesse.
b) La valutazione di vessatorietà non attiene alla determinazione dell’oggetto del contratto, né alla
adeguatezza del corrispettivo dei beni e dei servizi, purché tali elementi siano individuati in modo chiaro
e comprensibile; consegue che il giudizio di vessatorietà si estende all’assetto economico quando questo
non sia espresso in modo chiaro e comprensibile.
Le clausole illegittime, per lo squilibrio che si verifica tra le parti sono nulle, mentre il contratto rimane
valido per il resto.

19. Rapporti contrattuali per contatto sociale.


La consapevolezza acquisita che gli effetti giuridici sono disposti dall’ordinamento a seguito di una
valutazione dei fatti giuridici, ha portato ad attribuire rilevanza giuridica anche al mero contatto sociale
estrinsecato vuoi in comportamenti attuativi di negozi giuridici invalidi, vuoi in mere relazioni sociali.
Nella prima direzione si tende ad attribuire effetti giuridici ad atti e comportamenti compiuti sul presupposto
di negozi giuridici rivelatisi invalidi.
Nella seconda direzione il fenomeno rileva in ragione della responsabilità contrattuale connessa a specifici
comportamenti, anche in assenza di un vincolo contrattuale tra gli stessi.
L’ordinamento fa derivare effetti giuridici per il fatto in sé dell’intervenuto contatto sociale, che suscita
affidamenti e quindi involge responsabilità.

20. Limiti legali alla libertà di contrarre.


Riguardo a specifici beni e servizi la legge impone spesso limiti legali all’autonomia privata vincolando la
libertà di stipulare un contratto e/o la libertà di scelta del contraente; sono in gioco interessi degni di
protezione.
I limiti legali talvolta ineriscono al potere di acquistare, ma più spesso si riferiscono al potere di alienare;
in quest’ultima direzione le tecniche più utilizzate sono la prelazione legale, il divieto legale e l’obbligo
legale a contrarre

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a)Prelazione legale. E’ la figura più diffusa di vincolo legale ed è impiegata in ragione della posizione
ricoperta da alcuni soggetti rispetto ad un bene al fine di favorirne l’accesso, A carico del titolare del diritto
grava l’obbligo della denunzia al beneficiario della volontà di alienazione, con l’indicazione del prezzo
dell’alienazione, del contenuto del contratto e dell’invito ad esercitare la prelazione. Il soggetto beneficiario
della prelazione (prelazionario) ha il diritto potestativo di riscatto dal terzo avente causa.
b) Divieto legale di alienazione. Spesso inerisce a situazioni esistenziali ed è perciò assimilato alla natura
del diritto e l’accompagna per tutta l’esistenza. La violazione del divieto, in quanto in contrasto con
l’ordinamento, comporta la nullità dell’atto compiuto.
c) Obbligo legale a contrarre. Opera in settori del mercato dove per ragioni sociali, persiste un fenomeno
di monopolio legale

D) FORMAZIONE PROGRESSIVA DEL CONTRATTO


21. Generalità.
La stipulazione del contratto è preceduta da trattative, con progressivo affinamento dell’accordo relativo al
risultato perseguito. Nelle contrattazioni più elaborate si procede con puntualizzazioni che in ragione del
grado di completezza, prendono il nome di minuta, puntazione; quando ciò avviene si prospetta il problema
della verifica se tali intese abbiano ad oggetto un vero e proprio regolamento definitivo del rapporto.
Quando non emerge la formazione di una volontà di un accordo contrattuale, tali intese non sono vincolanti,
ma rilevano comunque giuridicamente per la verifica della responsabilità precontrattuale; se viceversa dalle
stesse intese emerge un contenuto compiuto dell’assetto di interessi, la mancata redazione dell’atto comporta
inadempimento del contratto.

22. Vincoli negoziali alla libertà di contrarre.


Spesso la conclusione del contratto avviene tramite un elaborato procedimento di formazione
dell’accordo durante il quale si esprime la valutazione delle parti, circa la convenienza dell’affare
e la determinazione dell’autonomia negoziale, che si snoda tramite una sequenza di atti che impongono
altrettanti vincoli dell’autonomia privata, finalizzati alla conclusione del contratto;
Tali vincoli possono essere assunti da una sola delle parti o con accordo di entrambi le parti.
Le figure più significative sono la prelazione convenzionale, la proposta irrevocabile e il contratto
preliminare che rappresenta la figura più diffusa e di maggiore rilevanza.
a)Prelazione convenzionale. E’ la figura meno incisiva di autolimitazione dell’autonomia privata che
riguarda la sola libertà di contrarre; l’iniziativa della stipula del contratto rimane nelle mani del promittente
con il solo vincolo al potere di scelta del contraente.
Con il patto di prelazione il promittente si obbliga a preferire il beneficiario (prelazionario) nell’ipotesi
di alienazione di un bene. Il patto non è preordinato alla conclusione di un contratto in quanto il titolare
del diritto rimane libero di alienare o meno; solo se il titolare intende alienare deve preferire il soggetto
beneficiario della prelazione.
Nella stipula del patto va determinato l’oggetto del contratto per il quale si concede la preferenza;
deve essere fissata la durata dell’obbligo di preferenza. Decidendo di alienare, l’alienante deve
comunicare al prelazionario le condizioni propostegli da terzi o comunicare a quali condizioni intende
alienare, e il prelazionario deve indicare nel termine stabilito se intende valersi del diritto di preferenza.
La comunicazione deve indicare gli elementi del contratto, in modo da tradursi in una vera e propria proposta
contrattuale. Tale patto ha efficacia obbligatoria tra le parti e non è opponibile ai terzi.

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b) Proposta irrevocabile. La proposta è sempre revocabile finché il contratto non è concluso
(proposta semplice); però il proponente può mantenere ferma la proposta per un certo tempo,
obbligandosi a non revocare la proposta o dichiarandola ferma; in tal caso la revoca è senza effetto
(proposta ferma o irrevocabile).
L’irrevocabilità esprime un impegno unilaterale del proponente connesso alla proposta anche
essa unilaterale. La proposta irrevocabile è anche una proposta a termine, in quanto non si consente
nell’ordinamento un impegno perpetuo.
Nel termine indicato il destinatario della proposta irrevocabile ha il diritto di concludere il contratto con
l’accettazione, senza che il proponente possa revocare la proposta.
Il termine di irrevocabilità non deve necessariamente coincidere con il termine di efficacia della proposta:
con la previsione del termine di irrevocabilità la proposta rimane irrevocabile fino alla scadenza di tale
termine; successivamente la proposta diviene revocabile. Fino allo scadere del termine di irrevocabilità,
la morte o la sopravvenuta incapacità del proponente non toglie efficacia alla proposta.
c) Opzione. E’ il patto con il quale le parti convengono che una di esse rimanga vincolata alla propria
dichiarazione e l’altra (opzionario o oblato) abbia facoltà di accettarla o meno; la dichiarazione della parte
che si vincola è considerata come proposta irrevocabile.
Se ad es. un soggetto è interessato ad un acquisto, ma non è ancora sicuro dello stesso, stipulando un
patto di opzione, può concordare con il venditore che lo stesso rimanga obbligato alla vendita per un
determinato periodo, mentre il compratore, nello stesso termine ha il diritto o meno di accettarlo.
La concessione dell’opzione è di regola a titolo oneroso, ossia un soggetto si obbliga a mantenere
ferma la proposta verso un corrispettivo che rappresenta appunto il prezzo dell’opzione.
L’opzione contenendo una proposta irrevocabile, produce la definitività del vincolo di una delle parti; ma la
proposta irrevocabile è di per se un atto unilaterale, mentre l’opzione è atto bilaterale.
Sul piano strutturale, l’opzione integra un contratto finalizzato all’attuazione di un assetto di interessi; tale
struttura bilaterale comporta che qualsiasi modifica del patto di opzione deve provenire dalla volontà comune
delle parti. Il termine di esercizio dell’opzione segna il termine finale di efficacia del patto di opzione, e
scaduto tale termine, la stessa opzione si estingue e l’opzionario non può accedere con una sua dichiarazione
unilaterale al rapporto finale, dovendo rinegoziare il risultato programmato con l’opzione.
Il concedente l’opzione invece rimane obbligato a mantenere ferma la proposta rispetto all’assetto di
interessi per il tempo determinato, mentre il beneficiario dell’opzione ha il diritto di provocare con una sua
dichiarazione di accettazione, la conclusione del contratto e quindi l’attuazione dell’assetto di interessi;
quindi con l’accettazione il contratto si considera concluso.
Per la finalizzazione dell’opzione alla conclusione di un contratto, il patto di opzione deve avere la forma del
contratto che si intende concludere. Inoltre esiste una profonda differenza con la prelazione, in quanto il
beneficiario dell’opzione ha il diritto con l’accettazione di determinare la conclusione del contratto, mentre
il beneficiario della prelazione ha il solo diritto di essere preferito nella eventuale stipula di un successivo
contratto.

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23. Il contratto preliminare.
E’ la figura più incisiva nella formazione progressiva del contratto, poiché con tale contratto è assunto
l’obbligo di stipulare un futuro contratto (contratto definitivo), cui si connettono gli effetti perseguiti
dalle parti; tale obbligo può essere assunto da entrambe le parti (preliminare bilaterale) oppure da una sola
parte (preliminare unilaterale).
a)Fattispecie ed effetti. Con il contratto preliminare le parti, verificata la convenienza di un affare,
intendono fermarlo stabilendo i termini essenziali dello stesso, e rinviando ad un momento successivo la
stipula del contratto definitivo; è un fenomeno particolarmente sviluppato nel mercato immobiliare,
in quanto le parti fissano i termini del contratto di vendita (prezzo di vendita, data di consegna) rinviando
ad un momento successivo la stipula del contratto definitivo per più motivi.
Per gli edifici da costruire o in corso di costruzione, frequenti sono le cd. vendite in pianta , con le quali le
società di costruzione collocano le unità immobiliari prima della realizzazione del fabbricato, al fine di
finanziare (in parte) la costruzione stessa, attraverso l’anticipazione (di parte) del prezzo: si fa così ricorso al
preliminare di vendita, rinviando la stipula del contratto definitivo all’ultimazione del fabbricato quando è
possibile la consegna delle singole unità immobiliari.
In definitiva il contratto preliminare fissa un assetto di interessi preordinato alla stipula di un successivo
contratto definitivo, ed è quindi necessario che contenga gli estremi essenziali del contratto definitivo.
Possiamo dire quindi che il contratto preliminare fissa un assetto di interessi prodromico e funzionale al
conseguimento dello scopo programmato dai contraenti, derivando da esso l’obbligo delle parti di tenere
il comportamento necessario al raggiungimento dello scopo perseguito.
b) Forma e trascrizione. Per l’ art. 1351 il contratto preliminare è nullo se non è fatto nella stessa forma
che la legge prescrive per il contratto definitivo (forma per relationem).
Alle parti è affidata la possibilità di ottenere in via giudiziaria gli effetti del contratto non concluso, senza
l’intervento della controparte; se manca la stipula del contratto definitivo, solo dal contratto preliminare
risulta l’intento della parti di realizzare lo specifico assetto di interessi.
La trascrizione del contratto preliminare prevale sulle trascrizioni ed iscrizioni eseguite contro il
promittente alienante dopo la trascrizione del contratto stesso. Trascorsi i termini indicati, gli effetti
della trascrizione del contratto preliminare cessano e si considerano come mai prodotti.
Nell’ipotesi di mancata esecuzione del contratto preliminare (cioè di mancata stipula del definitivo),
quando c’è espropriazione del patrimonio del venditore per debiti, la preventiva trascrizione del contratto
preliminare, comporta che i crediti del promissario acquirente hanno privilegio speciale sul bene immobile
oggetto del contratto preliminare.
c) Inadempimento e tutela. Quando la parte obbligata a concludere il contratto definitivo si rende
inadempiente, l’altra parte può ricorrere a 2 tipi di tutela:
1) E’ possibile conseguire l’esecuzione in forma specifica dell’obbligo a contrarre, in quanto per
l’art. 2932, se colui che è obbligato a concludere un contratto non adempie l’obbligazione, l’altra parte,
qualora sia possibile può ottenere una sentenza che produca gli effetti del contratto non concluso.
La sentenza producendo gli effetti del contratto non concluso, ha natura costitutiva; è perciò necessario
che nel contratto preliminare siano presenti tutti i requisiti di validità del contratto definitivo, o che gli stessi
intervengano prima del contratto definitivo.
Se il contratto preliminare è finalizzato al trasferimento della proprietà di una determinata cosa, o alla
costituzione di altro diritto presupposto della domanda di esecuzione è l’esecuzione della prestazione
dovuta o l’offerta di esecuzione della stessa nelle forme di legge.
2) Alternativamente all’esecuzione in forma specifica, la parte adempiente può chiedere la risoluzione del
contratto preliminare per inadempimento dell’obbligo a contrarre (ciò avviene ad es. quando prima della
stipula del contratto definitivo il promittente venditore, alieni il bene oggetto di preliminare ad un terzo).

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Sia che si acceda alla esecuzione in forma specifica dell’obbligo a contrarre, che si scelga la strada della
risoluzione del contratto, la parte non adempiente ha diritto al risarcimento dei danni, in via aggiuntiva se è
conseguita l’esecuzione in forma specifica, e in via sostitutiva se è ottenuta la risoluzione del contratto
Il risarcimento del danno al promissorio acquirente per la mancata stipulazione del contratto definitivo di
vendita di un immobile, consiste nella differenza tra il valore commerciale del bene al momento della
proposizione della domanda di risoluzione del contratto, ed il prezzo pattuito; tale differenza va rivalutata per
compensare la svalutazione intervenuta nelle more del giudizio.
d) Preliminare a effetti anticipati (o preliminare spurio). Nella prassi è diffuso anticipare al momento del
preliminare alcuni degli effetti propri del contratto definitivo; è frequente che una parte del prezzo di vendita
sia pagata già all’atto della stipulazione del preliminare e/o che la consegna del bene sia anticipata rispetto
alla stipula del definitivo.

E) RESPONSABILITA’ CONTRATTUALE
25. Le ipotesi tipizzate dal codice.
L’ordinamento valuta il comportamento tenuto dalle parti durante le trattative e nella formazione del
contratto, in modo che si svolga secondo buona fede. La violazione di tale dovere comporta responsabilità
precontrattuale.
La dottrina è divisa se si tratti di responsabilità extracontrattuale (per non essere ancora concluso il
contratto) o di responsabilità contrattuale (oppure da contatto sociale).
L’interesse protetto è quello della libertà negoziale, ossia l’interesse a non essere coinvolti in trattative
inutili e a non stipulare contratti invalidi o inefficaci.
Quando si parla di buona fede si tratta di buona fede oggettiva, cioè del dovere di lealtà e correttezza che
deve caratterizzare il comportamento delle parti nella formazione e nell’esecuzione del contratto.
Le cause che hanno dato luogo a responsabilità precontrattuale sono connesse alla mancata conclusione
del contratto e tipizzate in 2 ipotesi: l’ingiustificata rottura delle trattative e la mancata comunicazione
delle cause di invalidità.
a)Ingiustificata rottura delle trattative. Per l’art. 1337 nello svolgimento delle trattative e nella
formazione del contratto, le parti devono comportarsi secondo buona fede.
L’ ingiustificata rottura delle trattative si ha quando le trattative si spingono fino ad un punto tale da
determinare nella controparte, l’affidamento nella conclusione del contratto; fino alla conclusione del
contratto, sia la proposta che l’accettazione sono revocabili, sicché le parti possono evitare la conclusione
del contratto fino al perfezionamento dell’accordo; solo l’arbitraria interruzione delle trattative è causa di
responsabilità.
Ad integrare la responsabilità è sufficiente l’assenza di giusta causa; incorre in tale responsabilità anche il
soggetto che, essendo a conoscenza della impossibilità di esecuzione del contratto, non l’ha comunicata
all’altra parte e successivamente ha interrotto le trattative, adducendo l’inutilità del contratto.
b) Mancata comunicazione delle cause di invalidità. Per l’art. 1338 la parte che, conoscendo o dovendo
conoscere l’esistenza di una causa di invalidità, non ne dà notizia all’altra parte, è tenuta a risarcire il danno
da questa sofferto per avere confidato senza sua colpa nella validità del contratto; la parte che conoscendo la
causa di invalidità, non l’ha comunicata alla controparte, compie un atto illecito per lesione della libertà
negoziale della controparte.Se entrambe le parti conoscevano la causa di invalidità, non c’è responsabilità,
come non c’è responsabilità se la parte cui non è stata comunicata la causa di invalidità era comunque in
grado di venirne a conoscenza con la diligenza. La parte è responsabile per la mancata comunicazione, non
solo di una causa di invalidità, ma di ogni causa che conduca all’inefficacia del contratto.

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26. La clausola generale del trattare lealmente.
Il precetto dell’art. 1337 connesso al principio di buona fede oggettiva, opera come clausola generale che
impone alle parti di trattare con lealtà, con conseguente responsabilità precontrattuale per violazione di tale
principio. L’incidenza del principio di buona fede si esplica in una serie di ipotesi: anche se il contratto è
validamente concluso, il comportamento scorretto di una parte influenza negativamente le scelte dell’altra
parte.
Si è così delineata una responsabilità per carenza di informazione riguardante profili dell’assetto di
interessi che opera indipendentemente dalla conclusione o meno del contratto.
E’ stato anche delineato un dovere di salvaguardia dell’interesse della controparte, nei limiti di un
apprezzabile sacrificio dell’interesse proprio; è stata inoltre ravvisata una responsabilità per ingiustificato
ritardo nella conclusione del contratto.
In sintesi ogni soggetto che nella formazione del contratto non tratti lealmente, è tenuto per responsabilità
precontrattuale, indipendentemente dalla conclusione del contratto.

27. I danni risarcibili.


In ragione di una responsabilità precontrattuale, si tende a limitare il risarcimento al ristoro del solo interesse
negativo, ossia dell’interesse a non iniziare trattative inutili che hanno comportato la sopportazione di spese
e la perdita di altre occasioni. La liquidazione del danno comprende il danno per la perdita subita (danno
emergente) ed il mancato guadagno (lucro cessante), rapportati all’interesse negativo.
Il risarcimento cui ha diritto il soggetto danneggiato comprende il rimborso delle spese sostenute in
previsione della conclusione del contratto (viaggi, progetti) e le perdite sofferte per non aver concluso altri
contratti.
Sul soggetto danneggiato grava l’onere di provare l’illiceità del comportamento della controparte e
i danni subiti, come ad esempio le spese sostenute per la stipula del contratto non concluso.

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CAPITOLO 3 - CONTENUTO
1.Determinazioni del contenuto contrattuale; -A) OGGETTO. 2. Nozione; 3. Requisiti dell’oggetto;
4. Beni futuri; -B) CAUSA. 5. Evoluzione del concetto di causa; 6. Il tipo contrattuale; 7. Assenza di causa e
astrazione dalla causa. 8. Liceità e meritevolezza della causa; 9. Il contratto in frode alla legge; 10. Motivi;
11. La presupposizione; 12. Combinazione di fasci di prestazioni: contratto (specie misto) e collegamento
negoziale; 13. Simulazione. L’accordo simulatorio; 14. Effetti della simulazione ed opponibilità;
15. Azione di simulazione e prova della simulazione; 16. Negozi indiretti e fiduciari; 17. Il trust;
18. Dicotomie fondamentali; -C) ELEMENTI ACCIDENTALI. 19. L’ampliamento del contenuto
contrattuale; 20.Condizione. Caratteri e tipologia; 21. Pendenza della condizione ed esito dell’avvenumento;
22. Termine; 23. Onere (modus).

1.Determinazioni del contenuto contrattuale.


Il contenuto del contratto contiene l’assetto di interessi realizzato dalle parti, da cui si evince il risultato
programmato dalle stesse (cd. voluto). Nel contenuto confluiscono le clausole di diversa ispirazione e
diversa rilevanza rispetto all’assetto di interessi avuto di mira.
Le determinazioni dispositive segnano il regolamento di interessi, ma la reale portata di ciò emerge
dall’intero contenuto contrattuale considerato nel suo insieme; tali determinazioni talvolta ripetono tratti
tipici di contratti nominati (es. nella stipula della vendita), talaltra arricchiscono o modificano tipi legali.
Per la norma fondamentale sull’autonomia contrattuale, le parti possono determinare liberamente il
contenuto del contratto nei limiti imposti dalla legge.
Il contenuto del contratto si connette a 2 elementi essenziali: oggetto e causa, disciplinati dagli art. 1346 e
1343 come requisiti di validità del contratto; oggetto e causa si integrano nella determinazione dell’assetto
di interessi e del programma contrattuale, e la mancanza o anomalia di uno di tali elementi determina la
nullità del contratto.
Di regola i contratti contengono precetti volti a regolare direttamente e nell’immediatezza i rapporti tra le
parti; esistono però i contratti normativi (o contratti quadro) che apprestano un regolamento che vale
per i futuri rapporti tra le parti. Con tali contratti le parti dettano le regole impegnative per i successivi
rapporti che si instaureranno tra le stesse e per la eventuale stipula di successivi contratti.

A)OGGETTO
2. Nozione.
Tra i requisiti del contratto l’art. 1325 indica l’oggetto, considerato quindi elemento essenziale (costitutivo)
del contratto, la cui mancanza comporta la nullità dello stesso.
Da alcuni la qualificazione giuridica dell’oggetto del contratto è riferita al bene materiale esterno all’atto,
mentre da altri è ricondotta all’interno dell’atto per indicare vuoi la materia, vuoi la rappresentazione ideale
del risultato perseguito.
L’art. 1470 definisce la vendita come il contratto che ha per oggetto il trasferimento della proprietà di una
cosa, o il trasferimento di altro diritto verso il corrispettivo di un prezzo.

3. Requisiti dell’oggetto.
L’oggetto del contratto deve essere possibile, lecito, determinato o determinabile; sono questi altrettanti
requisiti di validità del contratto la cui mancanza determina la nullità del contratto stesso (art. 1418).
a)Possibilità. Indica l’idoneità dell’atto a realizzare lo scopo programmato; la possibilità deve essere
sia materiale che giuridica, quindi l’attribuzione deve essere non solo fisicamente eseguibile ma anche
giuridicamente realizzabile. La possibilità dell’attribuzione non deve essere necessariamente attuale al
momento della conclusione del contratto, potendo anche sopravvenire; essenziale è che esista al momento
della sua efficacia. In sostanza deve trattarsi di attribuzioni realizzabili riferite a cose presenti o future.

199
b) Liceità. Non c’è in legge una qualificazione di liceità o illiceità dell’oggetto; lo stesso oggetto è illecito
quando è contrario a norme imperative (cioè inderogabili), all’ordine pubblico o al buon costume.
c) Determinatezza o determinabilità. Indica il carattere definito delle attribuzioni dovute, non potendo
sussistere un accordo impegnativo se non è specificato l’oggetto dello stesso; è quindi necessario che il
contratto abbia riguardo ad attribuzioni definite.
La determinazione dell’oggetto può essere compiuta nel contratto oppure ricorrendo a fattori esterni
(disposizioni per relationem) che possono essere meramente oggettivi o riferiti all’intervento di un terzo.
Più spesso sono le parti a fissare i criteri di determinazione dell’oggetto; nei contratti per i quali è prevista la
forma scritta ad substantiam (es. compravendita immobiliare), l’oggetto deve essere determinato o
determinabile in base agli elementi contenuti nel relativo atto scritto.
Rilevante è l’ipotesi di deferimento della determinazione dell’oggetto del contratto ad un terzo
(arbitraggio).La funzione del terzo (arbitratore) è quella di contribuire a determinare il contenuto del
contratto, anche se lo stesso rimane estraneo rispetto all’atto di autonomia voluto e concluso dalle parti.
L’arbitraggio deferisce al terzo l’incarico di determinare un profilo del contenuto del contratto in via
sostitutiva della volontà delle parti; si ha arbitrato quando le parti affidano ad arbitri la definizione di una
controversia tra loro insorta.

4. Beni futuri.
Più spesso i contratti riguardano beni esistenti; non mancano però i casi in cui i contratti facciano riferimento
a beni non ancora esistenti; i contratti aventi ad oggetto beni futuri sono validi, sebbene inefficaci fino a
quando la cosa non viene ad esistenza.
Una applicazione in materia si ha relativamente alla vendita di cosa futura; l’acquisto della proprietà si
verifica quando la cosa viene ad esistenza, e qualora le parti non abbiano voluto concludere un contratto
aleatorio, la vendita è nulla se la cosa non viene ad esistenza.
Il contratto è aleatorio quando c’è assunzione del rischio della venuta ad esistenza della cosa, quindi la
prestazione corrispettiva è dovuta anche quando non venga ad esistenza la cosa futura, oggetto della
controprestazione (es. è pattuito che il compratore del futuro raccolto di un fondo agricolo sarà tenuto al
pagamento del prezzo pattuito sebbene il raccolto non verrà ad esistenza).
Il contratto è commutativo quando non c’è assunzione del rischio della venuta ad esistenza della cosa,
e quindi la prestazione corrispettiva non sarà dovuta se non verrà ad esistenza la cosa, oggetto della
controprestazione (es. è pattuito che il prezzo non sarà dovuto se il raccolto non verrà ad esistenza).

B) CAUSA
5. Evoluzione del concetto di causa
Come l’oggetto, anche la causa è richiesta come requisito del contratto ed anche essa è considerato
elemento essenziale (costitutivo) del contratto.
a)L’esigenza di una causa come requisito di validità del contratto nasce con riferimento all’obbligazione
come titolo giustificativo del comportamento dovuto dal debitore; la causa esprimeva la giustificazione
dell’assunzione di una situazione passiva di un soggetto verso altro soggetto.
b) Con la progressiva valorizzazione della competenza dei privati nel produrre immediatamente gli effetti
reali del consenso traslativo, viene meno la connessione tra risultato programmato e vincolo obbligatorio,
potendo lo scopo perseguito trovare realizzazione anche senza la mediazione di un rapporto obbligatorio.
Emerge così una nuova prospettiva della causa, in quanto il referente della causa non è più l’obbligazione,
ma il contratto con il quale si programma e si realizza in buona parte lo scopo perseguito; la causa esprime
quindi lo scopo pratico perseguito dal contratto.
Dapprima si affaccia una ricostruzione della causa come scopo o motivo ultimo voluto dalle parti
(teoria soggettiva); successivamente si afferma una qualificazione della causa indirizzata alla funzione
dell’operazione economica (teoria oggettiva).

200
La causa si configura come uno strumento di controllo dell’utilità sociale del contratto, in modo da
giustificare la tutela dell’autonomia privata; l’atto di autonomia è depurato delle peculiarità che lo
connotano, relativamente alle circostanze della stipulazione e alla specificità delle singole attribuzioni,
risultando decisiva la funzione astratta dell’operazione economica impegnata, intesa nella sua unitarietà
(causa astratta del negozio). Ad es. in un contratto di vendita, il dato giuridicamente rilevante è il mero
scambio della cosa con il prezzo. In tale accezione il concetto di causa consente il controllo degli
spostamenti di ricchezza: con la richiesta di una causa si vuole che emerga dal contratto il dato strutturale
dell’operazione economica che sorregge tale spostamento.
c) Da alcuni anni si va però sviluppando una tendenza legislativa che tende valorizza la specificità
del concreto assetto di interessi. Emerge e rileva la funzione concreta, e cioè lo scopo pratico e concreto
dell’operazione economica realizzata nella sua specificità (causa concreta del negozio).
In tal modo lo stesso concetto di causa ne esce ridisegnato; la causa si atteggia come ragione giustificativa
dello specifico negozio, che sorregge la volontà negoziale. Il contenuto del contratto, è valutato nella
prospettiva dall’assetto di interessi concretamente attuato, con la conseguenza che la verifica ordinamentale
di meritevolezza e liceità della causa va condotta valutando tutte le circostanze che sorreggono l’assetto di
interessi realizzato con il contratto. Lo scopo pratico perseguito dall’atto di autonomia riceve tutela come
esplicazione di atto di libertà, purché realizzi interessi compatibili con i valori dell’ordinamento.

6. Il tipo contrattuale.
Il codice civile parla sia di tipo che di causa del contratto.
Per l’art. 1322 le parti possono concludere contratti che non appartengono ai tipi aventi una disciplina
particolare, purché realizzino interessi meritevoli di tutela, e per l’art. 1323 tutti i contratti sono sottoposti
alle norme generali sul contratto e devono quindi avere una causa.
Si ha mero tipo sociale quando uno schema di operazione, sebbene operante nella realtà sociale e meritevole
di tutela, non è ancora disciplinato dall’ordinamento (cd. negozio socialmente tipico).Quando l’operazione
sociale, per il suo ripetersi, ha fatto emergere uno schema consolidato e regolato dall’ordinamento giuridico,
si dà vita ad un tipo legale.
Il tipo legale indica uno schema di operazione economica regolato dall’ordinamento giuridico;
esprime quindi la causa astratta del negozio (si pensi alle tante ragioni per le quali un soggetto acquista
un immobile, ossia abitarvi, per destinarlo alla propria attività professionale).
Il tipo legale esprime la funzione astratta ed elementare del contratto; l’operazione in sé è considerata
adeguata specificazione dello spostamento di ricchezza o di altro comportamento umano e quindi
meritevole di tutela da parte dell’ordinamento giuridico.
I contratti tipici (o nominati) hanno una struttura fissata per legge, con conseguente previsione della
relativa disciplina; l’operazione è in grado di produrre gli effetti essenziali predisposti, ma per la validità del
contratto bisogna verificare l’impatto dello schema astratto e valutare il concreto assetto di interessi nel quale
è inserito lo schema tipico per valutare la liceità e meritevolezza del complessivo risultato programmato.
I contratti atipici (o innominati) utilizzano invece uno schema non riconducibile ad alcun tipo legale, o
perché è del tutto nuovo, o in quanto il tipo legale è variamente modificato; in tal caso è in discussione la
stessa compatibilità dell’operazione economica con l’ordinamento e bisogna determinare di volta in volta
gli effetti che ne conseguono.
Diverso è il concetto di causa concreta del contratto che indica lo scopo pratico realizzato dal particolare
negozio, cioè la funzione individuale del singolo atto. Tutti i contratti che hanno una disciplina particolare,
sono sottoposti alle norme generali sul contratto, e devono quindi avere una causa concreta.
Quando è impiegato un tipo legale, ciò implica conformità dello schema impiegato con l’ordinamento e
va verificata la liceità e meritevolezza dell’assetto di interessi attuato; viceversa, quando non è impiegato
un tipo legale, bisogna verificare la compatibilità dello stesso schema di operazione impiegato con
l’ordinamento e poi compiere la verifica di liceità e meritevolezza dell’assetto di interessi attuato.

201
7. Assenza di causa ed astrazione dalla causa.
Per l’art. 1323 tutti i contratti, sebbene non appartengono ai tipi che hanno una particolare disciplina,
sono sottoposti alle norme generali sul contratto e devono perciò avere una causa.
Oltre che essere lecita e meritevole di tutela, la causa concreta deve esistere in tutti i contratti (es. è nulla
la vendita di una cosa di cui il compratore è già proprietario)
Per consentire la verifica di legalità del contenuto del contratto la causa deve non solo esistere,
ma anche risultare dal contratto; in tal senso la presenza di una causa costituisce un limite
all’esplicazione dell’autonomia privata, in quanto l’ordinamento intende controllare la ragione
giustificativa dell’operazione economica realizzata (es. non è sufficiente volere il trasferimento di un diritto,
ma bisogna anche indicare la ragione dello stesso)
a)Si ha astrazione sostanziale quando la evidenziazione della causa è irrilevante rispetto alla validità del
contratto.
b) Diversa è l’astrazione processuale; in relazione alla promessa di pagamento e alla ricognizione di debito
l’astrazione si concreta in una mera inversione dell’onere della prova, per cui il destinatario della promessa è
dispensato dall’onere di provare il rapporto fondamentale, la cui esistenza è presunta fino a prova contraria.
La causalità dei negozi tutela il titolare del diritto oggetto di disposizione, dovendo sussistere una ragione
giustificativa del trasferimento di ricchezza a terzi; viceversa l’astrattezza dei negozi tutela l’aspirante
acquirente, non risentendo l’acquisto delle anomalie della causa.

8. Liceità e meritevolezza della causa.


Tutti i contratti sono soggetti al controllo di legalità (liceità o meritevolezza) con intensità diversa a seconda
che sia o meno impiegato un tipo legale. Una causa può essere illecita o non meritevole di tutela, perché è
illecita la natura delle prestazioni, o perché è illecita la combinazione delle prestazioni.
a)Quanto al controllo di liceità, la causa è illecita quando è contraria a norme imperative, all’ordine
pubblico o al buon costume; tale illiceità della causa comporta la nullità del contratto.
1) Le norme imperative sono le norme inderogabili (es. è nullo un accordo con cui taluno dispone
della propria successione).
2) Per ordine pubblico si allude ai principi e ai valori fondamentali dell’ordinamento espressi dalla
Carta costituzionale, che informano i rapporti sociali nel particolare momento storico (es. è nullo ogni
patto che in qualunque forma tenda a limitare la libera espressione della persona umana).
L’ordine pubblico si atteggia quale limite fondamentale all’autonomia privata anche sul piano politico
ed istituzionale.
3) Circa il buon costume è in corso da tempo un percorso che tende ad ampliarne la portata dall’area
del pudore sessuale alla morale sociale. Il rispetto del buon costume esprime un principio generale
dell’ordinamento formulato attraverso la tecnica della clausola generale che tende a determinarne il
contenuto precettivo; il contratto è illecito non solo se ne è illecita la causa, ma anche se ne sono illeciti
l’oggetto, la condizione ed il motivo.
b) Il controllo di meritevolezza comporta la verifica di coerenza dell’atto di autonomia privata con i
valori costituzionali. La necessità di meritevolezza dell’interesse è già desumibile dalla nozione di contratto,
essendo essenziale che il contratto sia diretto a costituire, regolare oppure estingue un rapporto giuridico
patrimoniale.

202
9. Il contratto in frode alla legge.
Per l’art. 1344 la causa si reputa illecita quando il contratto costituisce il mezzo per eludere l’applicazione di
una norma imperativa, ossia c’è un abuso del mezzo utilizzato, piegando la funzione ordinaria del contratto
ad uno scopo illecito (es. è la vendita con patto di riscatto stipulata per una causa di garanzia al fine di
aggirare il divieto del patto commissorio).
Accertata la frode alla legge, consegue l’illiceità e dunque la nullità del contratto; un campo di applicazione
della categoria dei contratti in frode alla legge è quello tributario, dove affianco alla evasione fiscale,
opera l’elusione fiscale come mezzo di aggiramento della norma tributaria.

10. Motivi.
Il motivo indica la ragione individuale dell’atto, ossia lo scopo specifico e personale per cui ciascuna
delle parti conclude il contratto (es. un soggetto acquista un immobile per abitarlo o per installarvi uno studio
professionale); questi sono i motivi specifici che spingono il singolo contraente alla stipula della vendita.
I motivi perseguiti dal singolo contraente sono irrilevanti ove non sono esteriorizzati in una condizione o in
un’altra pattuizione contrattuale, e ciò per garantire stabilità alle operazioni economiche e dunque all’intero
mercato. Può assumere rilevanza solo l’illiceità del motivo, in quanto per l’art. 1345 il contratto è illecito
quando le parti si sono decise a concluderlo esclusivamente per un motivo illecito comune ad entrambe.
Il motivo illecito è causa di illiceità del contratto quando assume 2 caratteri:
1) è comune ad entrambe le parti; 2) è l’unico per il quale le parti hanno concluso il contratto.

11. La presupposizione.
Accanto agli elementi costitutivi del contratto rilevano spesso i presupposti del contratto, che possono
essere di fatto e di diritto. La presupposizione designa un presupposto di fatto o di diritto assunto dalle
parti a fondamento del contratto, rilevante per l’efficacia dello stesso, anche senza essere oggetto di espressa
pattuizione. Si è soliti parlare di condizione inespressa, in quanto comune alle parti e determinante della
volontà negoziale (es. locazione del balcone per un determinato giorno, sul presupposto inespresso di
assistere alla sfilata di un corteo). La presupposizione emerge dalle circostanze che i contraenti hanno tenuto
presente nel contratto, come presupposto dello stesso.
La presupposizione non è disciplinata dalla legge, sicché da tempo la sua rilevanza giuridica è oggetto di
dibattito. Le diverse opinioni si svolgono intorno a 2 impostazioni contrapposte: nell’impostazione
volontaristica la presupposizione esprime il motivo del negozio, mentre nell’impostazione funzionalista la
presupposizione è ricondotta alla causa concreta del contratto; è sufficiente accertare la comparabilità del
fenomeno con l’assetto di interessi realizzato.
Al dibattito sulla presupposizione si tende a ricollegare la riflessione sulle sopravvenienze, ossia il
sopraggiungere durante l’esecuzione del contratto di fatti e interessi non considerati dai contraenti al
momento della stipulazione, ma tali da stravolgere l’assetto di interessi programmato.

12. Combinazione di fasci di prestazioni: contratto (specie misto) e collegamento negoziale.


a) Si ha contratto complesso quando singoli fasci di prestazioni sono combinati dalle parti in un
contratto unico ed unitario strutturalmente e funzionalmente. Si tratta di una volontà negoziale espressa
in un medesimo contesto e racchiusa in uno stesso atto che riconduce ad unità, prestazioni astrattamente
riconducibili a più negozi. Tale fenomeno è evidente in presenza di obbligazioni aggiuntive alle
obbligazioni principali assunte, aventi carattere strumentale o accessorio.; le obbligazioni strumentali
mirano invece ad agevolare l’attuazione del contenuto tipico del contratto.
Quando fasci di prestazioni rispecchiano più tipi legali si dà luogo al contratto misto, che è la figura più
diffusa di contratto complesso. Gli elementi di più schemi tipici concorrono all’elaborazione di un intento
negoziale unitario in funzione del conseguimento di uno scopo unitario.

203
Il contratto misto si configura come un contratto atipico, per non essere riconducibile ad uno schema legale,
ma per risultare dalla combinazione di più frammenti di schemi tipici finalizzati ad un unitario assetto di
interessi.
b) Si hanno contratti collegati quando singoli fasci di prestazioni integrano più contratti autonomi, ma
connessi ed orientati al conseguimento di uno scopo pratico unitario. Il collegamento negoziale è un
meccanismo di regolamento degli interessi economici, con il quale le parti perseguono il risultato
programmato tramite una pluralità coordinata di contratti che conservano la propria causa autonoma.
Il collegamento negoziale può essere necessario o facoltativo a seconda che un contratto sia
strumentalmente preordinato alla conclusione dell’accordo, oppure connesso ad altro contratto in virtà di
disposizione della legge.

13. Simulazione. L’accordo simulatorio.


La simulazione realizza un complesso regolamento di interessi in quanto le parti perseguono un determinato
risultato avvalendosi della creazione di una situazione apparente.
Da tale disciplina emerge quale tratto significativo della stessa l’accordo simulatorio; è tale l’intento
con il quale le parti, d’accordo e consapevolmente vogliono e dichiarano di volere un determinato
scopo, frapponendo una diversa situazione di apparenza destinata a trarre in inganno i terzi.
Il fenomeno simulatorio si atteggia come espressione di un unico intento negoziale; essenza della
simulazione è proprio l’intento simulatorio, ossia l’intesa tra le parti di porre in essere un atto solo per
l’apparenza, ed è proprio tale intesa a distinguere la simulazione dalla riserva mentale che ricorre quando
un soggetto esclude gli effetti del contratto; se le parti escludono gli effetti del contratto si ha duplice riserva
mentale.
Il problema giuridico della simulazione sta nella determinazione degli effetti tra le parti e verso i terzi,
di negozi che le parti hanno volutamente frapposto all’esterno per celare gli scopi realmente perseguiti.
Il risultato voluto è espresso dall’accordo simulatorio; emerge di regola una controdichiarazione che le parti
pongono in essere per documentare il complessivo fenomeno simulatorio (per la giurisprudenza la
controdichiarazione è atto di accertamento o di riconoscimento scritto che non ha carattere negoziale).
La simulazione spesso riguarda l’intero negozio simulato che è frapposto nella sua totalità per l’apparenza
(simulazione totale); però può riguardare anche solo parte di un negozio, voluta per l’apparenza
(simulazione parziale). In ragione del modo di atteggiarsi dell’accordo simulatorio è fondamentale
la distinzione tra simulazione assoluta e simulazione relativa.
a)Si ha simulazione assoluta quando le parti creano un contratto per l’apparenza, quando in realtà non
vogliono alcun mutamento della realtà giuridica (es. si aliena fittiziamente un bene per evitare
l’espropriazione dei creditori); in sostanza ci si limita a privare di effetti il negozio simulato.
b) Si ha simulazione relativa quando le parti creano un contratto per l’apparenza, mentre in realtà vogliono
un mutamento della realtà giuridica, o nell’oggetto o con riguardo ai soggetti; in tal caso a fronte del negozio
creato per l’apparenza (negozio simulato), si dà vita ad un diverso negozio destinato ad avere effetti tra le
parti (negozio dissimulato) che spesso contiene anche la controdichiarazione da cui emerge il fenomeno
simulatorio.
La simulazione inoltre può essere oggettiva o soggettiva; è oggettiva quando la finzione riguarda il
contenuto dell’atto, mentre è soggettiva (o interposizione fittizia di persona) quando la finzione riguarda
le parti dell’atto, in quanto si realizza un accordo simulatorio tra 3 soggetti, per cui si finge che parte del
contratto sia un determinato soggetto (prestanome) mentre gli effetti sono destinati ad essere imputati ad un
diverso soggetto (soggetto effettivo). Ad es. un imprenditore acquista un immobile intestandolo fittiziamente
alla moglie o ad altro soggetto per sfuggire ai creditori o al fisco. Il soggetto apparente è il soggetto
interposto, rispetto al quale il contratto non è destinato a produrre effetti; il soggetto nascosto è il soggetto
interponente, che invece è il destinatario reale degli effetti.

204
Per operare l’interposizione fittizia, è necessario che la controparte se non concorre direttamente alla
creazione della situazione apparente, quantomeno vi aderisca.
L’interposizione fittizia di persona si differenzia dall’ interposizione reale di persona in quanto, in questa
occasione il soggetto interposto è contraente effettivo e reale. Con la simulazione, per il fatto stesso di
fingere una situazione apparente con occultamento di altra situazione reale, si tende a realizzare un inganno
nei confronti di terzi (maggiormente bersagliati sono i creditori, gli eredi legittimari ed il fisco).
Poiché la simulazione si sostanzia nell’accordo simulatorio, non sempre è agevole stabilire se il contratto di
vendita del bene sia stato stipulato solo per l’apparenza o sia realmente voluto: nella prima ipotesi, il
creditore può agire con l’azione di simulazione, mentre nella seconda ipotesi il creditore può agire con
l’azione revocatoria.
Il negozio simulato non è riducibile al negozio fraudolento, in quanto la simulazione dà luogo ad un negozio
fittizio voluto per l’apparenza, mentre la frode dà vita ad un negozio vero e reale, voluto con lo scopo di
frodare i terzi.

14. Effetti della simulazione ed opponibilità


Bisogna valutare distintamente gli effetti della simulazione tra le parti e rispetto ai terzi.
a)Effetti tra le parti. Il contratto simulato non produce effetto tra le parti, tanto che la giurisprudenza
afferma che il contratto simulato è nullo; quindi nella simulazione assoluta non si realizza alcun effetto.
Più complessa è la situazione della simulazione relativa, in quanto per l’art. 1414, se le parti hanno voluto
concludere un contratto diverso da quello apparente, tra esse ha effetto il contratto dissimulato, purché ne
sussistano i requisiti di sostanza e di forma.
Ferma la nullità del contratto simulato, il contratto sottostante (dissimulato) produce effetto tra le parti
quale contratto realmente voluto, ma è necessario che il contratto sottostante sia lecito e che abbia la
forma prescritta ad substantiam.
b) Effetti rispetto ai terzi. Il regime degli effetti verso i terzi è governato dal principio della tutela della
buona fede dei terzi, ossia l’affidamento; regola base è che le parti del contratto simulato non possono
opporre la simulazione ai terzi che, in buona fede hanno acquistato diritti dal titolare apparente.
Con la creazione di un negozio fittizio le parti corrono il rischio di originare l’affidamento dei terzi:
essendo le parti stesse artefici della finzione, queste soccombono rispetto ai terzi che hanno fatto affidamento
sulla titolarità apparente. Viceversa i terzi possono far valere la simulazione nei confronti delle parti quando
la stessa arrechi pregiudizio ai loro diritti.
c) Effetti verso i creditori. Rispetto ai creditori i beni rilevano in funzione di garanzia patrimoniale;
i creditori del titolare apparente che in buona fede hanno compiuto atti di esecuzione sui beni da costui
acquistati simulatamente, non subiscono gli effetti della simulazione, e agli stessi non è opponibile la
simulazione.

15. Azione di simulazione e prova della simulazione.


La configurazione della simulazione, si riflette sul regime dell’azione e della prova della simulazione.
a)L’azione di simulazione si configura come azione di accertamento di un negozio nullo, come tale
imprescrittibile. L’accertamento è negativo soltanto con riguardo alla simulazione assoluta, e positivo
con riferimento alla simulazione relativa.
b) La prova della simulazione è difficilmente acquisibile attraverso il negozio apparente; per la simulazione
relativa, la prova della simulazione si fonda su elementi estranei al contratto simulato e si atteggia in modo
diverso a seconda che la simulazione sia fatta valere dalle parti o dai terzi.
1)Tra le parti, per essere queste autori del contratto, opera il limite dell’art. 2722, per cui “la prova per
testimoni non è ammessa se ha per oggetto patti aggiunti o contrari al contenuto di un documento per i quali
si alleghi che la stipulazione è stata anteriore o contemporanea; la prova per testimoni è ammessa senza limiti
solo se la domanda proposta dalle parti è diretta a far valere l’illiceità del contratto dissimulato.

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L’illiceità del negozio dissimulato è configurabile solamente se il negozio persegue interessi che
l’ordinamento reprime, con la conseguenza che è soggetto alle limitazioni della prova per testimoni,
in quanto l’interesse perseguito dalle parti, ossia l’arricchimento di un soggetto, non è contrario ai
principi fondamentali dell’ordinamento.
2) Quanto ai terzi, non essendo questi partecipi dell’atto simulato, la simulazione rileva verso gli stessi
come mero fatto giuridico, perciò i terzi e i creditori possono avvalersi di tutti i mezzi di prova;
la prova della simulazione quindi può essere data anche per testimoni senza limiti.

16. Negozi indiretti e fiduciari.


a)Si ha negozio indiretto quando si impiega un tipo legale per conseguire uno scopo ulteriore rispetto a
quello connesso alla causa astratta del tipo impiegato; si determina così una divergenza dello scopo pratico
perseguito rispetto alla funzione tipica dello schema legale adottato.
Spesso il risultato indiretto è conseguito tramite un procedimento indiretto che coinvolge più negozi,
per cui la combinazione degli stessi consente di conseguire un ulteriore fine rispetto a quello tipico.
Un esempio di negozio indiretto è la donazione indiretta caratterizzata dal fine perseguito di realizzare
una liberalità.
b) Si ha negozio fiduciario quando è impiegato un tipo legale per conseguire uno scopo più limitato di
quello che la legge connette a tale tipo; in questo caso si ha eccedenza dello schema tipico utilizzato
rispetto allo scopo pratico perseguito.
Il fenomeno è impiegato con riferimento ai contratti traslativi, dove accanto all’attribuzione traslativa c’è la
previsione di un effetto obbligatorio che mira a correggere l’effetto reale.
La fiducia sta nell’affidamento che il fiduciante fa nell’utilizzo del bene da parte del fiduciario in modo più
limitato rispetto al titolo di acquisto, assumendo l’obbligo di ritrasferimento al fiduciante o ad un terzo.
A differenza del negozio simulato che è voluto per l’apparenza, il negozio fiduciario è voluto in sé e
nei suoi effetti; essenziale è che la fiducia lascia comunque emergere la causa del contratto stipulato.

17. Il trust.
L’istituto di origine anglosassone, poggia sull’ idea di una dissociazione dei poteri che si connettono alla
proprietà come diritto esclusivo ed assoluto. Per trust si intende il rapporto giuridico in virtù del quale un
soggetto costituente (settlor) pone propri beni sotto il controllo di un diverso soggetto di sua fiducia
(trustee), nell’interesse di un terzo (beneficiary) o per un fine specifico.
Il trust può essere utilizzato in materia familiare, in quanto consente la gestione di beni di un minore fino alla
maggiore età. I beni conferiti in trust, benché intestati a nome del trustee, costituiscono una massa distinta
e non fanno parte del patrimonio del trustee, il quale è investito del potere e dell’obbligo di amministrare,
gestire o disporre beni secondo i termini del trust.
Costituendo i beni conferiti in trust una massa distinta dal patrimonio del trustee, gli stessi non sarebbero
assoggettabili a pignoramento o sequestro da parte dei creditori personali del trustee.
In virtù della convenzione dell’Aja sono riconosciuti all’interno dell’ordinamento non solo i trust
internazionali, ma anche i trust interni, ossia quei trust che non presentano alcun elemento di estraneità
con l’ordinamento italiano né di carattere oggettivo (avuto riguardo ai beni conferiti in trust), né di carattere
soggettivo (in relazione alla persona del disponente, ossia il trustee).

206
18. Dicotomie fondamentali.
Relativamente alla causa è possibile identificare tre fondamentali dicotomie in grado di raggruppare
significative classi di contratti.
a)Contratti a titolo oneroso e a titolo gratuito; tutti i negozi che hanno ad oggetto attribuzioni
patrimoniali sono inquadrabili in tale dicotomia.
L’onerosità si caratterizza per la correlazione tra sacrificio e vantaggio; il sacrificio di una parte nel
procurare un vantaggio alla controparte è compensato da una correlativo sacrificio dell’altra parte nel
procurare un vantaggio corrispettivo. Un soggetto è cioè disposto ad un depauperamento in vista della
realizzazione di un interesse (sono contratti a titolo oneroso sia la vendita che la locazione, ma anche quelli
per i quali un soggetto è disposto ad un sacrificio economico per l’appagamento di un interesse non
patrimoniale come l’acquisto di un biglietto per ascoltare un concerto).
Tra i contratti a titolo oneroso assume rilievo la distinzione tra contratti commutativi e contratti aleatori,
in quanto nei contratti commutativi (contratto di assicurazione, rendita vitalizia) la correlazione tra
vantaggio e sacrificio è certa fin dalla stipula del contratto (esempio ne è la vendita che ha per oggetto il
trasferimento di un diritto verso il corrispettivo di un prezzo), mentre nei contratti aleatori (assicurazione,
rendita perpetua), benché presente la previsione di sacrifici e vantaggi reciproci, la relativa entità non è
predeterminabile; all’atto della conclusione del contratto è ignoto quale delle due parti subirà il maggiore
sacrificio e quale il maggior vantaggio.
La gratuità invece indica l’attribuzione di un vantaggio senza un corrispettivo; questo sussiste solo
quando l’atto gratuito è compiuto con l’intento di arricchire il destinatario senza conseguire alcun tipo di
vantaggio (es. donazione).
b) Contratti con prestazioni corrispettive e di una sola parte. La formulazione della dicotomia incentrata
sul termine “prestazioni” risente di una tradizione antecedente all’affermarsi del consenso traslativo.
I contratti con prestazioni corrispettive realizzano un nesso di reciprocità tra le singole attribuzioni,
esprimendo una specifica prospettiva di valutazione dei contratti a titolo oneroso; tra tali attribuzioni si
instaura un sinallagma, ossia nesso di interdipendenza che accompagna l’intera vita del rapporto,
dalla nascita (sinallagma genetico) allo sviluppo dello stesso (sinallagma funzionale).
Si parla infatti di contratti sinallagmatici; in virtù di tale nesso le attribuzioni si tengono insieme o
insieme cadono: l’anomalia di un’attribuzione si comunica al complessivo rapporto sinallagmatico
Nei contratti con prestazioni di una sola parte c’è sacrificio economico a carico di una sola parte
(es. fideiussione, mutuo gratuito)
c) Contratti di scambio e con comunione di scopo.
Nei contratti di scambio gli interessi coinvolti sono divergenti ed in conflitto, e ciascuna delle parti mira a
perseguire un interesse autonomo e diverso; qui l’attribuzione delle parti è incrociata in quanto ognuno
dei contraenti mira al conseguimento di una specifica utilità tramite il comportamento della controparte
(es. nella vendita, il venditore mira a conseguire un prezzo, ed il compratore tende a procurarsi la proprietà).
Nei contratti con comunione di scopo tutte le parti tendono a realizzare un interesse comune a tutte;
in questo caso l’attribuzione delle parti è convergente nel senso che ciascuna delle parti mira a
realizzare uno scopo comune a tutte le parti e quindi soddisfa l’interesse di tutti i contraenti.

207
C) ELEMENTI ACCIDENTALI
19. L’ampliamento del contenuto contrattuale.
Solo gli elementi essenziali sono requisiti di validità del contratto, nel senso che la mancanza di uno di
essi determina la nullità del contratto; viceversa gli elementi accidentali possono essere o meno presenti,
senza influire sulla validità del contratti.
L’accidentalità è solo di carattere strutturale in un duplice senso: da un lato, le parti sono libere di avvalersi
o meno di elementi accidentali; dall’altro, tali elementi sono aggiuntivi rispetto allo schema tipico adottato.
Nel momento in cui le parti si avvalgono degli elementi accidentali, gli stessi concorrono all’elaborazione
del programma negoziale.
Con l’inserimento di ulteriori determinazioni nel contratto, si amplia il contenuto contrattuale concorrendo
le stesse determinazioni alla regolazione del negozio concreto e quindi del complessivo assetto di interessi.
Tra gli elementi accidentali sono regolati la condizione, il termine e l’onere.
Condizione e termine operano una manovra degli effetti del contratto, regolandone lo svolgimento nel
tempo; il modo li amplia imponendo un obbligo ulteriore. Alcuni negozi non consentono l’apposizione
di elementi accidentali, per non essere modificabile lo schema tipico previsto (atti puri o legittimi).

20.Condizione. Caratteri e tipologia.


La condizione incide sulla sorte degli effetti del contratto determinando uno stato di pendenza;
perciò si suole dire che la condizione pende. La condizione rileva come parte integrante ed inscindibile
del contenuto contrattuale; è questa la condizione volontaria, in quanto voluta ed apposta dalle stesse parti,
e può riguardare l’intero contratto o un singolo patto.
Con l’apposizione della condizione, le parti subordinano l’efficacia o la risoluzione del contratto
al verificarsi di un avvenimento futuro e incerto; se l’avvenimento è solo futuro ma certo, rileva come
termine e non come condizione.
L’incertezza deve riguardare il se dell’evento, e deve riferirsi ad uno stato di incertezza obiettivo.
Nell’autonomia delle parti rientra fissare la condizione nell’interesse di entrambe le parti o di una sola di
esse, in quanto in mancanza di specifica determinazione, si presume apposta a favore di entrambe le
parti.Perché una condizione possa ritenersi operante nell’interesse di una sola delle parti contraenti, occorre
una espressa clausola contrattuale, oppure un insieme di elementi dai quali emerga che l’altra parte non
aveva interesse alcuno
Con riferimento all’avvenimento dedotto in condizione, è possibile delineare 3 criteri di osservazione
della condizione, relativi all’incidenza dell’evento sulla efficacia del contratto, alla derivazione dell’evento
e al carattere dell’evento.
a)In relazione all’incidenza dell’evento sull’efficacia, si distinguono la condizione sospensiva e la
condizione risolutiva; la condizione sospensiva si ha quando le parti subordinano la produzione degli
effetti al verificarsi di un evento futuro ed incerto; in questo caso il verificarsi dell’avvenimento incide
in positivo, determinando la produzione degli effetti (es. un impiegato acquista un determinato
appartamento sotto condizione che venga trasferito in quella città).
Si ha invece condizione risolutiva quando il contratto è immediatamente efficace, ma soggetto alla
privazione degli effetti se interverrà un avvenimento futuro ed incerto; in questo caso il verificarsi
dell’avvenimento incide in negativo, determinando la cessazione degli effetti (es. un impiegato acquista un
appartamento in una determinata città, ma se entro un determinato periodo non è trasferito presso tale città o
è trasferito altrove, il contratto cessa di produrre effetti),

208
b) In relazione alla derivazione dell’evento, si distingue tra condizione casuale e condizione potestativa.
Si ha condizione casuale quando l’avvenimento dell’evento è connesso al caso o all’attività di terzi
(es. se il terreno acquistato sarà qualificato come edificabile).
Si ha condizione potestativa quando l’avvenimento è rimesso alla volontà di una della parti, nel senso
che tutela la libertà di una parte circa l’assunzione o meno di una determinata iniziativa (es. è valida la
vendita di macchinari condizionata alla scelta di un imprenditore di attivare un nuovo ramo di azienda).
Si ha infine condizione mista quando l’avvenimento dipende dal concorso sia del caso (o di terzi) sia
dell’iniziativa della parte (es. la condizione di conseguire un finanziamento involge sia l’iniziativa della parte
interessata che deve inoltrare la domanda, sia l’erogazione del finanziamento da parte di terzi).
c) In relazione al carattere dell’evento, è necessario che lo stesso si riveli possibile e lecito.
La condizione illecita è quella contraria a norme imperative, all’ordine pubblico o al buon costume;
la condizione illecita, sospensiva o risolutiva rende nullo il contratto.
La condizione impossibile è quella inerente ad un evento fisicamente o giuridicamente impossibile;
tale condizione se è sospensiva, rende nullo il contratto, mentre se è risolutiva si ha come non apposta.
Particolare fisionomia ha la condizione legale; trattasi della previsione normativa di una condizione
(spesso sospensiva, talvolta risolutiva), che fa dipendere l’efficacia del contratto da un presupposto previsto
dall’ordinamento; spesso tali condizioni si atteggiano come requisiti legali del contratto.

21. Pendenza della condizione ed esito dell’avvenimento.


A seguito della stipulazione del contratto, c’è un periodo di pendenza in cui esiste il vincolo contrattuale
ma è incerta la sorte degli effetti; durante tale periodo, in favore della parte che dovrebbe trarre giovamento
dall’avveramento della condizione, nasce una posizione giuridica di aspettativa.
C’è quindi la necessità di coordinamento tra la posizione della parte ancora titolare del diritto oggetto del
contratto e la posizione della parte già titolare dell’aspettativa.
a)L’esercizio delle posizioni soggettive durante la pendenza della condizione è regolato dalla legge.
Nello stato di pendenza della condizione le parti sono obbligate ad informare il proprio comportamento a
buona fede; in particolare, chi ha alienato un diritto sotto condizione sospensiva, oppure lo ha acquistato
sotto condizione risolutiva, deve comportarsi secondo buona fede per conservare integre le ragione
dell’altra parte.
Quanto alle singole posizioni, il principio dice che in pendenza della condizione il titolare del diritto
può disporne, ma gli effetti di ogni atto di disposizione sono subordinati alla condizione stessa;
al titolare dell’aspettativa spettano solo poteri di controllo e conservazione. Circa l’amministrazione,
la stessa spetta al soggetto cui durante la pendenza della condizione, spettava l’esercizio del diritto;
L’incertezza della pendenza può sciogliersi o con l’avveramento dell’avvenimento o con la mancanza
dello stesso.
b) L’avveramento dell’evento dedotto in condizione può essere effettivo quando si realizza l’avvenimento
dedotto nella condizione, e legale quando l’avvenimento dedotto in condizione non si realizza per causa
imputabile al soggetto che aveva interesse al non avveramento.Per l’art. 1359 la condizione si considera
avverata qualora sia mancata per causa imputabile alla parte che aveva interesse contrario all’avveramento
di essa. Devono quindi ricorrere 2 presupposti: l’apposizione della condizione nell’interesse di una sola
delle parti, e l’imputabilità del mancato avveramento della condizione alla parte interessata al non
avveramento.Con l’avveramento dell’avvenimento si producono gli effetti del contratto sotto condizione
sospensiva, mentre vengono meno gli effetti del contratto sotto condizione risolutiva; l’efficacia o inefficacia
è di regola retroattiva, nel senso che gli effetti dell’avveramento della condizione retroagiscono al tempo in
cui il contratto è stato concluso, salvo che debbano essere riportati ad un tempo diverso.
c) Il mancato avveramento dell’avvenimento consolida la situazione pendente: non verificandosi la
condizione sospensiva, non si producono gli effetti del contratto; non verificandosi la condizione risolutiva,
gli effetti prodotti dal contratto diventano definitivi.

209
22. Termine.
a)Il termine di efficacia è un elemento accidentale del contratto che incide sul tempo degli effetti
del contratto, segnando il momento iniziale e/o finale della produzione degli effetti stessi.
Il termine fissa nel tempo gli effetti del contratto; si dice infatti che il termine corre (es. è stipulato un
contratto di locazione con decorrenza dell’efficacia ad una determinata data, e con scadenza ad una data
successiva). Per la determinazione del termine è importante che sussista la certezza dell’avvenimento.
Si ha necessità di ricorrere ad un termine di efficacia del contratto quando c’è necessità di prorogare l’inizio
dell’efficacia del contratto rispetto alla stipula oppure fissare la fine dell’efficacia quando l’esecuzione
si protrae nel tempo.
Il termine iniziale indica l’inizio degli effetti del contratto con la nascita del rapporto, mentre il termine
finale indica la fine degli effetti del contratto con la estinzione del rapporto; il tempo corrente tra il termine
iniziale e quello finale esprime la durata dell’efficacia del contratto.
b) Il termine di adempimento dell’obbligazione designa una modalità cronologica di attuazione del
rapporto obbligatorio indicando una modalità di adempimento dell’obbligazione.
I due tipi di termini possono anche convivere; ad es. stipulandosi un contratto di locazione nel mese di
novembre 2010, si stabilisce che la locazione ha la durata di 4 anni, con decorrenza l’1.1.2011 (termine di
efficacia iniziale) e scadenza il 31.12.2014 (termine di efficacia finale). Il canone di locazione quindi sarà
pagato entro il cinque di ogni mese (termine di adempimento dell’obbligazione).

23. Onere (modus).


L’onere (o modus) riguarda i soli negozi a titolo gratuito (donazione e testamento), introducendo un
obbligo a carico del beneficiario (donatario, erede, legatario), che limita il vantaggio economico ricevuto.
Non incide sull’efficacia (come condizione e termine), ma obbliga ad un comportamento, e per questo
motivo infatti si dice che “l’onere obbliga”.
Se l’onere non viene adempiuto, i soggetti interessati possono agire per l’adempimento dell’obbligazione;
l’onere impossibile o illecito si considera invece non apposto.

210
CAPITOLO 4 – FORMA
1.Evoluzione del formalismo; 2. La forma per la validità; 3. La forma per la prova; 4. La forma per
opponibilità; 6. Il documento informatico. Firma elettronica e digitale.

1.Evoluzione del formalismo.


Il diritto regola rapporti sociali, e perché l’intento negoziale realizzi un regolamento di interessi, è necessario
che si concretizzi in segni tangibili nel contesto sociale.
La forma indica i modi di manifestazione della volontà negoziale; l’ordinamento spesso limita
l’autonomia privata imponendo autoritativamente una forma vincolata della volontà negoziale.
L’art. 1325 prevede la forma come requisito del contratto quando è prescritta dalla legge sotto pena di
nullità (atti formali o solenni); è la cd. forma ad substantiam che costituisce l’elemento essenziale del
contratto. La formulazione di tale articolo lascia intendere che principio generale è la libertà di forma;
se non è prescritta una forma vincolata, è lasciata alla libera scelta dei privati di come si debba manifestare
la propria volontà negoziale, autoregolando i propri interessi.
E’ richiesta una forma dell’atto al fine di stimolare la conoscenza del contenuto del contratto: la legge detta
in merito una normativa di controllo della trasparenza delle clausole del contratto, con la previsione della
nullità per l’inosservanza della forma richiesta; è inoltre accentuato il dovere di informazione, considerando
la trasparenza del mercato come criterio ottimale di allocazione delle risorse.
Nel tempo la forma si presta ad essere fondamentale meccanismo di tutela dei contraenti aderenti,
nonché mezzo di supporto per l’esplicazione di un’effettiva autonomia privata.
L’assenza della forma comporta nullità che si atteggia come nullità protettiva che può essere rilevata solo
dal soggetto aderente, nel cui interesse è prescritta (nullità relativa) e che non preclude al soggetto protetto
il conseguimento del risultato perseguito (nullità parziale).
Il problema si è posto in particolar modo nel settore dell’intermediazione finanziaria, dove è richiesto ai
soggetti abilitati di comportarsi con diligenza, correttezza e trasparenza nell’interesse dei clienti e per
l’integrità dei mercati.

2. La forma per la validità.


L’art. 1325 prevede la forma come elemento essenziale del contratto quando è prescritta dalla legge a pena
di nullità (forma ad substantiam). Spesso è richiesto un requisito formale generico, lasciando ai privati
l’individuazione della specifica forma (es. gli atti di alienazione di immobili devono “farsi per iscritto”,
rimettendo all’autonomia delle parti la scelta tra l’atto pubblico o la scrittura privata).
Un problema si è posto circa il contenuto necessario del contratto assoggettato ad una forma vincolata;
è necessario che l’atto formale contenga gli estremi essenziali dell’assetto di interessi.
Problema connesso è quello relativo alle determinazioni per relationem, ossia quelle determinazioni
del contenuto contrattuale non contenute nell’atto, ma alle quali le parti fanno espresso rinvio: quando tali
determinazioni esterne all’atto incidono sull’assetto di interessi assunto, è da considerarsi nullo lo stesso atto
che alle stesse rinvia.
Grave problema è quello della forma degli atti strumentali, quali gli atti preparatori, o prodromici,
integrativi, modificativi, di recesso e risoluzione. Inoltre bisogna anche verificare se la forma è prescritta
in funzione di tutela di entrambe le parti, o di una sola di esse, e come si atteggi nel singolo contratto.
Spesso emergono questioni con riferimento agli allegati all’atto; quando gli allegati sono essenziali alla
determinazione del regolamento contrattuale, non solo devono rivestire la forma richiesta per il contratto
concluso, ma devono anche essere sottoscritti dalle parti.
Non sono invece requisiti di forma per la validità dell’atto, né il bollo né la registrazione, in quanto
entrambi assolvono una funzione essenzialmente fiscale. La forma ad substantiam può essere prescritta
dall’ordinamento (forma legale) o essere adottata dai privati (forma convenzionale).

211
a)Forma legale. Il requisito di forma maggiormente prescritto è la forma scritta, nei 2 tipi di atto pubblico
e scrittura privata, entrambi collocati dal codice civile sotto il capo dedicato alle prove documentali.
La forma scritta è tradizionalmente prescritta per gli atti relativi a beni immobili; per l’art. 1350 devono
farsi per iscritto gli atti che trasferiscono la proprietà o che costituiscono, modificano o trasferiscono diritti
reali. La giurisprudenza ha rilevato la necessità della forma ad substantiam per i contratti preordinati al
conseguimento di diritti reali, ed in generale per tutte le determinazioni negoziali che incidono su diritti reali
sopra immobili.
b) Forma convenzionale. Per l’art. 1352, se le parti hanno accordato per iscritto di adottare una determinata
forma per la futura conclusione del contratto, si presume che la forma sia stata voluta per la validità di
questo; si tratta di una presunzione semplice che ammette la prova contraria.
Il fenomeno è particolarmente diffuso con riguardo ai contratti preordinati alla stipula di un successivo
contratto; in tali ipotesi c’è una autolimitazione dell’autonomia privata, e proprio perché il vincolo non
deriva dalla legge, è sempre nel potere delle parti che sono d’accordo, di cancellare il vincolo di forma
adottato.

3. La forma per la prova.


Talvolta è imposto un vincolo di forma solo a fini probatori (forma ad probationem); in questo caso la
forma è richiesta solo al fine di poter provare l’esistenza dell’atto in giudizio.
L’atto privo della forma richiesta è valido e produce effetti tra le parti, ma incontra un limite in sede
giudiziaria, risultandone ridotta la possibilità di prova.
Talvolta, per un stesso tipo di atto è prevista una forma per la prova ed è richiesta una forma ad
substantiam quando lo stesso atto abbia ad oggetto determinati diritti.
Quando un contratto deve essere provato per iscritto, non è ammessa la prova per testimoni, salvo che il
contraente abbia senza sua colpa perduto il documento che gli forniva la prova; con la conseguenza che,
quando un contratto deve essere provato per iscritto, venendo meno la prova documentale per assenza di
forma del contratto, gli unici mezzi di prova risultano essere la confessione ed il giuramento.

4. La forma per opponibilità.


Sono solitamente prescritte delle formalità ai fini della opponibilità dell’atto ai terzi; il contratto è quindi
valido e produce effetti tra le parti, ma non può farsi valere verso i terzi.
I mezzi comunemente impiegati dalla legge per consentire l’opponibilità dell’atto ai terzi sono la data certa
dell’atto e la pubblicità dell’atto stesso. Emerge un problema di data certa dell’atto quando l’atto non è
formato per atto pubblico, o con scrittura privata con sottoscrizione autenticata, sicché c’è l’esigenza di
stabilire la data della scrittura privata nei confronti dei terzi (es. il contratto di locazione di un immobile è
opponibile all’acquirente dello stesso se ha data certa anteriore all’alienazione della cosa).
Venendo alla pubblicità dell’atto, l’esecuzione della stessa implica una forma specifica dell’atto da rendere
pubblico; la necessità di una forma per la pubblicità opera con riferimento al regime della trascrizione nei
registri immobiliari.

5. Le tecniche di comunicazione a distanza.


L’impiego di mezzi di comunicazione a distanza, per l’assenza di dialogo ha indotto a circondare tale modo
di formazione dell’accordo con molti vincoli di forma.
Per tecniche di comunicazione a distanza si intende qualunque mezzo che, senza la presenza fisica del
fornitore e del consumatore si può utilizzare per la conclusione del contratto tra le dette parti.
Per l’art. 52 prima della conclusione di qualsiasi contratto a distanza, il consumatore deve ricevere dal
fornitore in modo chiaro, le informazioni necessarie circa l’operazione economica, le modalità di
esecuzione e restituzione del bene

212
In caso di comunicazione telefonica, l’identità del fornitore e lo scopo commerciale della telefonata devono
essere dichiarati all’inizio della conversazione con il consumatore, a pena di nullità del contratto.
In sostanza sussiste un divario tra comunicazione a distanza di massa e comunicazione a distanza
individuale, in quanto nella prima ipotesi (sito web) si realizza una vetrina virtuale, mentre nella seconda
ipotesi (posta elettronica), quando la comunicazione è individuale e non ripetitiva, si applica la sola
normativa del codice del consumo per l’impiego di tali tecniche di comunicazione a distanza.

6. Il documento informatico. Firma elettronica e digitale.


La firma elettronica è l’insieme dei dati in forma elettronica connessi ad altri dati elettronici tramite
associazione logica. Invece la firma elettronica qualificata è la firma elettronica ottenuta attraverso una
procedura informatica che garantisce la connessione univoca al firmatario, e la sua univoca identificazione
informatica, creata con mezzi sui quali il firmatario può conservare un controllo esclusivo, e collegata ai dati
ai quali si riferisce in modo da consentire di rilevare se i dati stessi siano stati successivamente modificati, e
sia realizzato mediante un dispositivo sicuro per la creazione della firma.
Infine la firma digitale è un particolare tipo di firma elettronica qualificata, basata su un sistema di chiavi
crittografiche, una pubblica ed una privata, che consente al titolare tramite la chiave privata, e al
destinatario tramite la chiave pubblica, di manifestare e verificare la provenienza e l’integrità di un
documento informatico. La firma digitale deve riferirsi in maniera univoca ad un solo soggetto ed al
documento, o all’insieme dei documenti cui è apposta o associata.

213
CAPITOLO 5 – REGOLAMENTO CONTRATTUALE
1. Atto di autonomia e valutazione ordinamentale; -A) INTERPRETAZIONE. 2. Le norme
sull’interpretazione; 3. Il procedimento ermeneutico legale; 4. L’interpretazione secondo buona fede;
-B) QUALIFICAZIONE. 5. La qualificazione giuridica del contratto; -C) INTEGRAZIONE.
6. Il concorso di fonti nella determinazione del regolamento contrattuale; 7. La legge e gli altri atti
normativi; 8. Gli usi; 9; L’equità; 10. La buona fede.

1.Atto di autonomia e valutazione ordinamentale.


Ogni fatto (naturale o umano) rileva giuridicamente in ragione della valutazione che compie l’ordinamento
sullo stesso; in tale opera rileva non solo il testo del contratto, ma anche il contesto di conclusione
del contratto per le circostanze in cui si è formato.
Vanno in merito compiute 3 fondamentali operazioni.
1)Bisogna innanzitutto definire il contenuto del contratto, ricostruendo il comune intento delle parti;
ciò comporta un’attività di interpretazione del contratto.
2) Occorre poi verificare il contenuto del contratto; ciò comporta la qualificazione dell’atto di
autonomia privata.
3) Infine bisogna determinare il trattamento dell’atto da parte dell’ordinamento giuridico, e ciò
porta talvolta ad imporre effetti diversi rispetto a quelli stabiliti, tramite l’integrazione del contratto

A)INTREPRETAZIONE
2. Le norme sull’interpretazione.
Poiché il contratto mira alla regolazione di una relazione sociale, c’è la necessità di apprestare dei criteri
affinché chiunque lo interpreti, possa attribuirvi un significato tendenzialmente uniforme.
Un testo contrattuale può essere oscuro (in quanto non chiaro) o equivoco (in quanto suscettibile di più
significati diversi), o addirittura contraddittorio (in quanto passibile di significati contrastanti).
Ulteriori difficoltà provengono dal problema della lingua quando la traduzione letterale tradisce il
significato che la formula assume nella lingua utilizzata.
C’è però l’esigenza di fissare dei criteri vincolanti all’attività interpretativa in modo che l’interpretazione
possa accedere ad un significato univoco.
Le regole sull’interpretazione del contratto sono norme giuridiche vincolanti per l’interprete.
I criteri di interpretazione fissati dal codice si riconducono a 2 classi di regole, a seconda che tendano
a ricostruire la volontà comune delle parti (interpretazione soggettiva), o ad attribuire all’atto
un significato ragionevole e/o equo (interpretazione oggettiva); le due classi sono organizzate
gerarchicamente, nel senso che, solo ove i criteri soggettivi non conducano alla ricostruzione di un
significato univoco, si può far ricorso ai criteri oggettivi di determinazione del significato

3. Il procedimento ermeneutico legale.


a) Interpretazione soggettiva. E’ la interpretazione in senso stretto, in quanto mira a ricostruire
l’intento comune delle parti. Secondo l’art. 1362, nell’interpretare il contratto si deve indagare la comune
intenzione della parti. Innanzitutto bisogna esaminare il linguaggio e quindi il testo del contratto secondo
precisi criteri; va perciò verificato il senso letterale delle parole (criterio letterale) nel contesto sistematico
dell’atto, per cui le clausole del contratto vanno interpretate “le une per mezzo delle altre, attribuendo a
ciascuna il senso che risulta dal complesso dell’atto” (criterio sistematico).
b) Interpretazione oggettiva. E’ una interpretazione in senso lato, che opera quando nonostante l’impiego
dei criteri della interpretazione soggettiva, non si pervenga a definire la comune intenzione delle parti circa
l’intero contratto. L’interprete è chiamato a definire il contenuto del contratto attraverso il ricorso a criteri
legali; cioè è assegnato al contratto un senso oltre l’intento delle parti, rimasto oscuro, attribuendovi un
significato considerato dalla legge ragionevole.

214
4. L’interpretazione secondo buona fede.
Per l’art. 1366 il contratto deve essere interpretato secondo buona fede; la buona fede opera quale clausola
generale che assiste l’intera vita del contratto; a carico delle parti grava l’obbligo di un comportamento leale
e corretto, che preservi l’interesse della controparte nei limiti di un sacrificio dell’interesse proprio (secondo
il principio di solidarietà). Il principio di buona fede accompagna sempre l’attività di interpretazione ed
orienta ogni criterio interpretativo.

B) QUALIFICAZIONE
5. La qualificazione giuridica del contratto.
Interpretato e definito il contenuto contrattuale, c’è da determinare gli effetti che l’ordinamento vi
attribuisce; in tale direzione si rivela l’essenzialità della qualificazione dell’atto di autonomia.
Fondamentale è la determinazione del complessivo assetto di interessi attuato al fine di una verifica
ordinamentale.
Con tale qualificazione si compie la riconduzione del contenuto contrattuale alla realtà normativa.
Il procedimento di qualificazione di un contratto consta in 2 fasi; quella di ricerca e individuazione della
comune volontà dei contraenti che si risolve in un accertamento riservato al giudice del merito, e l’altra di
inquadramento della comune volontà che può formare oggetto di verifica e riscontro in sede di legittimità.
La qualificazione mentre riconduce il concreto contratto alla verifica formale ordinamentale per la
determinazione degli effetti giuridici, arreca all’atto di autonomia gli ulteriori effetti che la valutazione
dell’atto comporta, aprendo la strada all’integrazione.

C) INTEGRAZIONE
6. Il concorso di fonti nella determinazione del regolamento contrattuale.
A seguito della qualificazione, quando il contratto supera nell’insieme la verifica ordinamentale, conseguono
gli effetti giuridici, che sono conformati con il contratto secondo lo scopo pratico perseguito dai privati, per
essere riconosciuto il diritto dei privati di autoregolare i propri interessi.
In ragione della tavola dei valori assunta dall’ordinamento, sono frequenti le ipotesi di integrazione del
regolamento contrattuale con fonti di natura diversa, che realizzano effetti ulteriori e/o diversi rispetto a
quelli perseguiti dai privati, talvolta in via di ausilio della volontà dei privati, talaltra in via limitatrice.
Secondo l’art. 1374 il contratto obbliga le parti non solo a quanto è espresso nello stesso, ma anche a tutte
le conseguenze che ne derivano secondo la legge, o in mancanza, secondo gli usi e l’equità.

7. La legge e gli altri atti normativi.


L’art. 1374 pone al primo posto la legge tra le fonti di integrazione. In relazione alla distinzione tra norme
dispositive (derogabili) e norme imperative (inderogabili) si è soliti distinguere tra integrazione suppletiva e
integrazione cogente.
a)Interpretazione suppletiva. Questa è di ausilio all’autonomia privata, mirando a riempire le lacune
dell’autonomia privata, consentendo al contratto di operare nella realtà economica; tale lacuna però non deve
riguardare profili essenziali del contratto, altrimenti il contratto sarebbe nullo. L’interpretazione opera
quando il contenuto adottato dalle parti, benché valutato meritevole di tutela, risulti incompleto.
b) Integrazione cogente. Questa è di contrasto all’autonomia privata, in quanto mira a imporsi
coattivamente all’autonomia privata sovrapponendosi al contenuto contrattuale.
L’intervento in integrazione può essere meramente soppressivo, meramente additivo e sostitutivo.
Con l’intervento meramente soppressivo la legge si limita a dichiarare la nullità della singola clausola
contrattuale, con la sua conseguente caducazione. Con l’intervento meramente additivo la legge aggiunge
specifiche determinazioni al regolamento contrattuale; infine con l’intervento sostitutivo si realizza
l’integrazione più penetrante, in quanto la legge prescrive la sostituzione di una determinazione pattizia con
un’altra autoritativamente imposta.

215
8. Gli usi.
In mancanza di legge, gli usi e l’equità operano come fonti di integrazione del contratto.
Il riferimento agli usi in funzione integrativa del contratto è espresso con due disposizioni; innanzitutto
con l’art. 1374 si fa riferimento agli usi normativi che prendiamo in considerazione come fonte del diritto.
Con l’art. 1340 secondo cui le clausole d’uso s’intendono inserite nel contratto se non risulta che non sono
state volute dalle parti; ci riferiamo agli usi negoziali, cioè le pratiche comportamentali diffuse nella prassi
commerciale, nella consapevolezza di non osservare una regola giuridica.

9. L’equità.
L’equità non è una fonte del diritto, bensì un criterio di giudizio; l’art. 1374 ammette l’equità come fonte
di integrazione del contratto in via subordinata alla legge e agli usi; quindi non può mai operare contra
legem.
A volte è la legge stessa a prevedere l’interveto del giudice in via di equità, ad es. con riguardo alla
valutazione del danno, quando questo non può essere provato nel suo preciso ammontare.

10. La buona fede.


L’art. 1374 non annovera la buona fede tra le fonte di integrazione del contratto; il principio di buona fede
oggettiva rappresenta una clausola generale che permea l’intero dispiegarsi dell’autonomia privata, il cui
contenuto è determinato di volta in volta in relazione al contesto di interessi in cui opera.
I riferimenti normativi alla buona fede in tema di conclusione, interpretazione ed esecuzione del contratto,
fanno della buona fede un principio legale che assume il ruolo di fonte di integrazione del regolamento
contrattuale.

216
CAPITOLO 6 – EFFICACIA (Il vincolo contrattuale)
1.Efficacia ed inefficacia; -A) EFFETTO GENERALE. 2. Il vincolo contrattuale e modi di scioglimento;
3. Il recesso. –B) EFFETTI PARTICOLARI. 4. La tendenziale relatività della efficacia del contratto;
5. Effetti obbligatori ed effetti reali; 6. Tipologia di effetti; 7. Il consenso traslativo ed il regime del rischio.
La consegna; 8. Contratti bilaterali e contratti unilaterali; 9. Effetti verso i terzi; 10. Il contratto in favore di
terzi; 11. La manovra degli effetti del contratto (condizione e termine) -C) EFFICACIA RIFLESSA.
12. I cd. effetti riflessi o indiretti; 13. Cessione del contratto e subcontratto. 14. Limitazioni convenzionali
del potere di disposizione; 15. Promessa del fatto del terzo e negozi sul patrimonio altrui; 16. Il conflitto di
diritto. L’opponibilità.

1.Efficacia ed inefficacia.
L’efficacia determina una modificazione della realtà giuridica; gli effetti derivanti dal contratto sono
disposti dalla legge per la realizzazione dell’intento delle parti.
Esiste una duplice dimensione degli effetti del contratto: l’effetto generale inerente ad ogni contratto,
è connaturato alla formazione dell’accordo, e consiste nell’assunzione di un vincolo contrattuale,
mentre gli effetti particolari esprimono i concreti assetti di interessi realizzati.
In contrapposizione all’efficacia, l’inefficacia designa la mancata produzione di effetti giuridici dando
luogo all’inefficacia in senso ampio.
Talvolta l’inefficacia del contratto è imposta dall’ordinamento per contrarietà del contratto all’ordinamento
stesso (inefficacia legale), per anomalie della conclusione o del contenuto del contratto.
Talaltra l’inefficacia è voluta dalle parti (inefficacia volontaria), quando la stessa autonomia privata
intende privare di efficacia un contratto, dando così luogo alla inefficacia in senso stretto.

A)EFFETTO GENERALE
2.Il vincolo contrattuale e modi di scioglimento.
Per l’art. 1372 il contratto ha forza di legge tra le parti; la norma delinea il fondamentale effetto derivante
dal contratto, ossia il vincolo contrattuale. la seconda parte della norma dice che il contratto può essere
sciolto per mutuo consenso o per cause ammesse dalla legge (recesso unilaterale e la risoluzione).
Il vincolo contrattuale può essere sciolto per accordo delle parti in senso contrario (mutuo dissenso); si tratta
di una risoluzione consensuale con la quale le parti, sciogliendosi dal vincolo, dissolvono il rapporto
contrattuale prodotto.
Se per il contratto era prevista una forma ad substantiam, il mutuo dissenso deve avere la medesima forma.
Nei negozi unilaterali la liberazione dal vincolo è realizzata attraverso la revoca, che è atto unilaterale di
caducazione degli effetti della dichiarazione unilaterale.

3. Il recesso.
Il recesso è un negozio unilaterale con il quale una parte dichiara di sciogliersi unilateralmente dal
contratto prima della scadenza.
Il diritto di recesso può avere fonte convenzionale o legale; nella prima ipotesi, sono le stesse parti ad
attribuire a entrambe o ad una di esse, il potere di sciogliersi unilateralmente dal contratto, affermando che
il recesso è a base volontaria.
Nella seconda ipotesi è la legge che attribuisce il potere di sciogliersi unilateralmente dal contratto.
Operano in merito alcuni principi fondamentali:
1)Se ad una delle parti è attribuita la facoltà di recedere dal contratto, tale facoltà può essere esercitata
finché il contratto non abbia avuto un principio di esecuzione.
2) Nei contratti di durata (contratti ad esecuzione continuata o periodica), il recesso può essere esercitato
anche dopo l’inizio dell’esecuzione, ma non ha effetto relativamente alle prestazioni già eseguite o in corso
di esecuzione.

217
3) E’ consentito alle parti prevedere un corrispettivo per l’esercizio del recesso, che si configura come
prezzo del recesso.
Se il corrispettivo è versato all’atto della stipulazione del contratto si ha caparra penitenziale, in quanto il
recedente perde la caparra data, o deve restituire il doppio di quella che ha ricevuto; se invece il corrispettivo
deve essere versato al momento dell’esercizio del recesso, si ha multa penitenziale.
Il recesso ha effetto quando la prestazione del corrispettivo è eseguita.
In relazione alla funzione assolta, esistono 2 modelli di recesso:
a)Recesso di ripensamento. E’ il diritto di pentirsi, cioè di sciogliersi volontariamente dal vincolo
contrattuale senza bisogno di giustificazione; l’esercizio del recesso è rimesso alla libertà del beneficiario.
b) Recesso in autotutela. E’ un meccanismo di tutela del contraente rispetto all’attuazione del contratto,
vuoi per anomalie dell’attuazione, vuoi per consentire di sciogliersi dal contratto nei contratti di durata a
tempo indeterminato; consente a uno dei contraenti di realizzare la definizione dell’operazione
economica con lo scioglimento del contratto.

B) EFFETTI PARTICOLARI (effetti contrattuali diretti)


4. La tendenziale relatività della efficacia del contratto.
Per l’art. 1372 il contratto ha forza di legge tra le parti (comma 1); non produce effetti rispetto ai terzi nei
casi previsti dalla legge (comma 2). E’ la norma sulla competenza dell’autonomia privata quale
autoregolamento di interessi, per cui di regola il contratto ha efficacia solo tra le parti ed i loro eredi
(relatività dell’efficacia del contratto).
Si esprime in tal modo un principio di tendenziale indipendenza delle sfere giuridiche individuali,
per cui nessuno può incidere la sfera giuridica altrui contro la volontà del suo titolare: il contratto così come
interpretato e conformato dall’integrazione, produce un’efficacia diretta ed interna tra le parti.

5. Effetti obbligatori ed effetti reali.


Avendo un soggetto una esigenza abitativa, può realizzare tale esigenza in un duplice modo: prendendo in
locazione l’immobile, sicché il locatore è obbligato a far godere l’immobile al locatario per un dato tempo e
il locatario è obbligato a corrispondere un canone; oppure può acquistare l’immobile, sicché la proprietà
dello stesso si trasferisce al compratore, il quale è tenuto a corrispondere il prezzo della vendita.
Nell’ipotesi della locazione l’esigenza abitativa è realizzata tramite la cooperazione del locatore, che si
obbliga a far godere la cosa per un certo tempo; nell’ipotesi di vendita, l’esigenza abitativa è realizzata con
il trasferimento della proprietà del bene.
E’ così possibile distinguere i contratti con effetti obbligatori e contratti con effetti reali.
a)Gli effetti obbligatori (contratti con efficacia obbligatoria) producono la costituzione di rapporti
obbligatori; procurano una utilità ad una parte come risultato del comportamento dell’altra parte
(si pensi al contratto di trasporto, dove l’interesse del passeggero è attuato tramite il comportamento
del vettore che si obbliga a trasferire la persona o la merce da un luogo ad un altro).
b) Gli effetti reali (contratti con efficacia reale) producono il trasferimento della proprietà o di altro diritto,
ossia producono la costituzione di un diritto reale per effetto del solo consenso.
Alcuni di questi contratti sono rivolti al trasferimento di una situazione giuridica producendo la successione
nella titolarità del diritto (vendita, donazione); altri contratti sono diretti alla costituzione di diritti reali
producendo l’attribuzione di una situazione reale di godimento su un bene di proprietà altrui.
Spesso, agli effetti reali si accompagnano anche effetti obbligatori come ad es. la vendita che produce il
trasferimento del diritto, dal venditore al compratore.

218
6. Tipologia di effetti.
La tipologia degli effetti particolari derivanti dal contratto è connaturata alla varietà degli interessi
realizzati. Le delineate vicende integrano gli effetti particolari del contratto, espressivi del regolamento
contrattuale voluto dalle parti ed integrato dall’ordinamento. Sono connaturati al risultato programmato dalle
parti come effetti contrattuali (o diretti) dell’atto di autonomia privata (es. effetto particolare del
contratto di vendita è il trasferimento del diritto). Gli effetti contrattuali sono anche interni, in quanto si
producono tra le sole parti del contratto (efficacia diretta interna).
Gli effetti riflessi (o indiretti) invece si realizzano nei confronti di terzi; tali effetti esprimono le
ripercussioni della efficacia diretta del contratto in capo ai terzi.
In una diversa prospettiva si pongono gli effetti naturali (elementi naturali del contratto) apprestati dalla
legge in via dispositiva, in quanto è consentito alle parti di escluderli.

7. Il consenso traslativo ed il regime del rischio. La consegna.


Il nostro ordinamento adotta il principio del consenso traslativo, per cui l’atto dispositivo è causale
in quanto regolativo dell’assetto di interessi tra le parti, e traslativo in quanto determinativo dell’effetto reale
tra le stesse. L’effetto traslativo si realizza per effetto del consenso legittimamente espresso.
Per i contratti aventi ad oggetto il trasferimento della proprietà di cose determinate, la costituzione o il
trasferimento di un diritto reale, l’effetto traslativo è contestuale alla formazione del consenso.
Quindi il risultato traslativo è prodotto per effetto del consenso e al momento dello stesso; è immediato e
automaticamente consegue al perfezionarsi del consenso.
Per i contratti aventi ad oggetto il trasferimento di cose determinate solo nel genere, sebbene il contratto
sia casualmente traslativo, il trasferimento avviene solo tramite l’impegno dell’alienante di specificare la
cosa oggetto del diritto trasferito.
Il risultato traslativo è prodotto per effetto del consenso ed è differito ad un momento successivo
in conseguenza della individuazione nel modo concordato tra le parti.
Il regime del rischio è modellato sulle cadenze della vicenda traslativa, nel senso di far sopportare al titolare
del diritto il rischio per la perdita ed il deterioramento della cosa alienata; a seguito del trasferimento del
diritto in capo all’acquirente, il perimento della cosa non libera l’acquirente dall’obbligo di eseguire la
controprestazione. Con il trasferimento del diritto è attuata solo l’attribuzione traslativa del diritto.
Il regime del rischio adottato dalla legge è fondato sull’idea che con il trasferimento del diritto, si realizzi
l’attribuzione fondamentale dell’alienante.
Quindi i rischi dell’impossibilità della consegna della cosa per perdita o deterioramento della stessa, sono
sopportati dall’acquirente anche se la cosa non gli è stata consegnata, la consegna, che mette l’acquirente
nella disponibilità materiale del bene diventa essenziale punto di riferimento del soddisfacimento
dell’acquirente.

8. Contratti bilaterali e contratti unilaterali.


Per l’art. 1099 il contratto è bilaterale quando i contraenti si obbligano reciprocamente gli uni verso gli altri,
mentre è unilaterale quando una parte si obbliga verso l’altra senza che quest’ultima incontri alcuna
obbligazione. La conclusione del contratto è bilaterale in quanto l’accordo rappresenta un requisito
essenziale del contratto.
Secondo il criterio strutturale dai contratti bilaterali derivano obbligazioni a carico di entrambe le parti
(vendita), mentre dai contratti unilaterali derivano obbligazioni a carico di una sola parte (fideiussione).
Alla stregua di tale criterio il mutuo a titolo oneroso si presenta come contratto unilaterale; trattandosi di
contratto reale, la consegna del danaro concorre alla conclusione del contratto.

219
9. Effetti verso i terzi.
Per l’art. 1372 il contratto produce effetti rispetto ai terzi solo nei casi previsti dalla legge.
La norma riguarda gli effetti particolari derivanti dal contratto, ossia gli effetti contrattuali (o diretti);
in questo caso è ammessa una efficacia diretta esterna del contratto.
Talvolta è la legge ad imporre l’efficacia del contratto nella sfera giuridica di soggetti estranei alla sua
conclusione; talaltra sono i privati ad essere abilitati a farlo.
Nella prospettiva della legge si pensi al regime patrimoniale familiare della comunione legale
(l’acquisto compiuto da un coniuge dopo il matrimonio comporta di diritto l’acquisto anche in capo all’altro
coniuge non partecipe dell’atto).
Nella prospettiva dei privati, la legge consente l’incisione favorevole della sfera giuridica del terzo,
accordando al beneficiario il diritto di rifiuto; se non è consentito ai privati incidere negativamente sulla sfera
giuridica altrui contro la volontà del relativo titolare, è permessa l’attribuzione di benefici.
Esistono però delle ipotesi nelle quali è consentito ai privati di incidere favorevolmente sulla sfera giuridica
altrui anche senza il consenso del destinatario, ma non contro la sua volontà, ossia con diritto del terzo
(oblato) di rifiutare il beneficio arrecatogli.

10. Il contratto a favore di terzi.


Nel contratto a favore di terzi è consentito ai contraenti attribuire effetti contrattuali in favore di un
terzo (oblato); d’altra parte non si vuole imporre che la sfera giuridica del terzo rimanga incisa contro la sua
volontà, perciò il terzo può rifiutare di approfittarne.
Il terzo deve essere determinato o determinabile ed in assenza di indicazione di questo, si dà luogo ad un
contratto per persona da nominare.
Il contratto a favore di terzi si atteggia come una stipulazione apposta con lo scopo di indirizzare ad un terzo
l’attribuzione spettante ad una parte.
La parte interessata all’attribuzione nei confronti del terzo e che ne indica il nome è lo stipulante; la parte
che compie l’attribuzione al terzo è il promittente. Unico requisito di validità della stipulazione a favore
del terzo è l’interesse dello stipulante all’attribuzione del terzo.
Salvo patto contrario, il terzo acquista il diritto verso il promittente per effetto della stipulazione in suo
favore; il terzo, acquistando il diritto verso il promittente diviene titolare anche delle azioni a presidio della
esecuzione della prestazione. L’attribuzione a favore del terzo può essere revocata o modificata dallo
stipulante finché il terzo non abbia dichiarato di volerne profittare. Il terzo può rifiutare il beneficio
accordatogli; la dichiarazione di non profittare del beneficio paralizza l’efficacia del contratto in suo
favore, mentre la dichiarazione di adesione alla stipulazione impedisce la revoca.

11. La manovra degli effetti del contratto (Condizione e termine).


L’autonomia dei privati può arricchire il contenuto del contratto con la manovra degli effetti, non solo
deviando gli effetti del contratto in favore di un soggetto diverso, ma addirittura incidendo sulla sorte o sul
tempo degli effetti.
Mentre la condizione incide sulla sorte degli effetti, subordinandone la produzione ad un avvenimento
futuro ed incerto, il termine incide sul tempo degli effetti, fissando nel tempo gli effetti del contratto.

220
C) EFFICACIA RIFLESSA
12. I cd. effetti riflessi o indiretti.
In conseguenza della stipulazione di un contratto possono determinarsi delle conseguenze indirette nei
confronti dei terzi (effetti riflessi o indiretti). In sostanza gli effetti riflessi o derivati si connettono al fatto
del contratto, ma non sono espressivi del risultato programmato con il contratto.
Gli effetti favorevoli o dannosi per il terzo rappresentano le ripercussioni del mutamento giuridico operato
dal contratto (efficacia indiretta o riflessa); tali ripercussioni possono essere di fatto o giuridicamente
rilevanti. Nella prima direzione, i terzi risentono le conseguenze del mutamento giuridico, mentre nella
seconda direzione i terzi risentono le conseguenze del mutamento giuridico intervenuto in ragione della
relazione esistente con le parti, considerata giuridicamente rilevante.
L’area dell’efficacia riflessa o indiretta è indefinita e variegata poiché risente della varietà dei contesti in cui
il singolo contratto si colloca e produce gli effetti contrattuali.

13. Cessione del contratto e subcontratto.


Con queste due figure si realizzano dei particolari intrecci tra diversi rapporti contrattuali.
a)Cessione del contratto. La cessione si riferisce al rapporto contrattuale conseguente alla fattispecie.
Il codice nel fornire la nozione di cessione del contratto ha riguardo proprio ai rapporti derivanti dal
contratto stesso; quindi la cessione del contratto esprime la vicenda traslativa del rapporto contrattuale.
Circa struttura della cessione, è prevalsa in giurisprudenza la configurazione della cessione del contratto
come cessione di posizione contrattuale; oggetto di trasferimento sono i diritti potestativi e le tutele che
presidiano l’attuazione del rapporto.
Con la cessione del contratto la posizione contrattuale di una parte (cedente) è trasferita ad altro soggetto
(cessionario), previo consenso dell’altra parte (ceduto).
Poiché oggetto della cessione del contratto è la trasmissione delle situazioni giuridiche attive e passive
derivanti dalla conclusione del contratto per ciascuna delle parti, ai fini della sua configurazione occorre che
le relative prestazioni non siano state interamente eseguite.
Si tratta di un contratto trilaterale, per la cui conclusione deve intervenire l’incontro delle dichiarazioni dei
tre soggetti coinvolti (cedente, cessionario, ceduto); ciò per il fatto che trattandosi di contratti a prestazioni
corrispettive, la posizione contrattuale ceduta è composta sia di crediti che di debiti.
Non è necessaria la contestualità delle tre dichiarazioni.
Non è richiesta una forma espressa come requisito di validità del contratto; se la cessione della posizione
contrattuale implica la circolazione di un diritto per il cui trasferimento è richiesta la forma solenne, anche
il contratto di cessione è soggetto alla stessa forma.
In virtù della cessione del contratto si producono effetti nei confronti di tutti i soggetti che hanno concorso a
determinarla.
La prima fascia di effetti si realizza nei rapporti tra cedente e cessionario, tra i quali si trasmette il rapporto
contrattuale; di regola il cedente è tenuto a garantire la validità del contratto ceduto.
La seconda fascia di effetti sia attua nei rapporti tra cedente e ceduto; di regola il cedente è liberato dalle
sue obbligazioni verso il contraente ceduto quando la sostituzione diviene efficace nei confronti di questo.
Ciò avviene al momento della conclusione del contratto di cessione, se l’incontro delle tre dichiarazioni è
contestuale.
La terza fascia di effetti si produce nei rapporti tra ceduto e cessionario; qui il contraente ceduto può
opporre al cessionario tutte le eccezioni derivanti dal contratto.

221
b) Subcontratto (o contratto derivato). Del subcontratto non esiste una disciplina generale, ma sussistono
specifiche previsioni (es. con riguardo alla sublocazione, e al subappalto).
In ragione alla natura della prestazione dedotta nel contratto, il subcontratto talvolta deve essere autorizzato
dall’altro contraente, talaltra non richiede autorizzazione.
A differenza della cessione del contratto, nel subcontratto il rapporto contrattuale corrente tra i contraenti
che hanno concluso il contratto base, rimane in vita e continua ad operare; si innesta così un nuovo
rapporto tra uno dei contraenti originari ed il terzo, anche a condizioni diverse rispetto al contratto originario,
ma tale nuovo rapporto è derivato dal rapporto base, in quanto non può avere una durata maggiore del
contratto base e viene meno se è invalido.

14. Limitazioni convenzionali del potere di disposizione.


E’ possibile che l’autonomia privata possa autolimitarsi in quanto stipula un divieto negoziale di alienazione.
Per tali ipotesi che integrano altrettanti limitazioni convenzionali del potere di disposizione, si pone il
problema di stabilire l’incidenza del patto limitativo sul negozio stipulato in violazione del patto
limitativo.
La previsione dell’art. 1379 concernente il divieto negoziale di alienazione si conforma al principio di
relatività del contratto, prevedendo che il divieto di alienazione stabilito per contratto ha effetto solo tra le
parti; il contratto non è valido se non risponde ad un apprezzabile interesse di una delle parti.

15. Promessa del fatto del terzo e negozi sul patrimonio altrui.
Esistono ipotesi in cui il contratto riguarda il terzo in ragione di atti che indirettamente lo riguardano,
perché è promesso un suo comportamento o perché si è disposto del suo patrimonio; in entrambe le ipotesi
è richiesto l’assenso del terzo.
a)Promessa dell’obbligazione o del fatto del terzo. Per l’art. 1381 chi ha promesso l’obbligazione o il
fatto di un terzo è tenuto ad indennizzare l’altro contraente se il terzo non si obbliga o non compie il fatto
promesso. In assenza del fatto del terzo il promittente non è tenuto ad eseguire quanto promesso, ma solo al
pagamento di una indennità.
b) Negozi sul patrimonio altrui. Per l’art. 1478 dalla vendita di cosa altrui deriva l’obbligazione del
venditore di procurare al compratore l’acquisto della cosa, che diventa automaticamente il proprietario nel
momento in cui il venditore acquista la proprietà del terzo.

16. Il conflitto di diritti. L’opponibilità.


Si pensi all’ipotesi in cui un soggetto alieni un suo bene prima ad un acquirente e successivamente ad un
diverso acquirente; il secondo acquisto è incompatibile con il primo.
Criterio logico dovrebbe essere quello di preferire il soggetto che per primo ha acquistato il diritto
(che per primo ha concluso il contratto), secondo un principio logico temporale.
Il titolare di un diritto, alienato lo stesso, non potrebbe alienare di nuovo lo stesso diritto ad un diverso
soggetto, in quanto non ne è più titolare. In ragione di ciò può avvenire che un contratto, anche se
validamente concluso ed efficace tra le parti, sia considerato inefficace dall’ordinamento nei confronti di
determinati terzi (inefficacia relativa); il fenomeno è indicato con il termine di inopponibilità del contratto
ai terzi. Il conflitto è risolto rendendo uno dei contratti inefficace relativamente (quindi inopponibile) nei
confronti di un determinato avente causa.

222
CAPITOLO 7 – ESECUZIONE
1.L’attuazione del risultato programmato; 2. Modalità dell’esecuzione; 3. L’esecuzione dei contratti
nell’economia dei servizi; 4. Misure rafforzative dell’esecuzione; 5. Sopravvenienze e adeguamento del
contratto. La rinegoziazione.

1. L’attuazione del risultato programmato.


In alcune ipotesi, con la conclusione del contratto è attuato anche lo scopo perseguito (es. nella vendita di
cosa determinata, il risultato traslativo è conseguito per effetto del solo contratto, in virtù del principio del
consenso traslativo). Esiste un’area di rapporti economici in cui il risultato programmato è realizzabile solo
attraverso il comportamento delle parti; ad es. con il contratto di appalto, una parte (appaltatore) assume
l’obbligazione di compiere un’opera, a fronte dell’obbligazione dell’altra parte (committente) di un
corrispettivo in danaro.
I contratti con efficacia obbligatoria richiedono per il soddisfacimento delle parti l’esecuzione del contratto;
emerge così la rilevanza giuridica dell’esecuzione del contratto, che ha la funzione di attuazione del
risultato programmato, quando lo stesso non è realizzato per effetto del contratto.
L’esecuzione del contratto è dimensione più ampia dell’adempimento delle obbligazioni dedotte nel
contratto; l’esatta esecuzione del contratto comporta l’esatta attuazione di tutti gli obblighi connessi dalla
legge alla singola fattispecie contrattuale.

2. Modalità dell’esecuzione.
E’ possibile delineare più classi di contratti in ragione delle modalità di esecuzione delle singole attribuzioni
delle parti.
a)Con riguardo alle modalità comportamentali dell’esecuzione, si distingue tra contratti ad esecuzione
istantanea e contratti di durata, a seconda che l’esecuzione si protragga o meno nel tempo.
Si ha esecuzione istantanea quando l’esecuzione si esaurisce in un solo momento; vi è un soddisfacimento
istantaneo dell’interesse della controparte.
Si ha esecuzione di durata quando una parte è obbligata ad un determinato comportamento che dura nel
tempo, con soddisfacimento duraturo dell’interesse della controparte.
A sua volta l’esecuzione di durata può atteggiarsi come esecuzione continuata se prosegue ininterrottamente
nel tempo, e come esecuzione periodica se si svolge a periodi ciclici.
b)Con riguardo alle modalità cronologiche dell’esecuzione è possibile distinguere tra contratti ad
esecuzione immediata quando l’esecuzione è contestuale alla conclusione del contratto, e contratti ad
esecuzione differita quando l’esecuzione è successiva alla conclusione del contratto.

3. L’esecuzione dei contratti nell’economia dei servizi.


Con lo sviluppo della produzione e distribuzioni di massa emerge la rilevanza del profilo dell’esecuzione del
contratto, in quanto il risultato programmato si realizza sempre di più tramite il comportamento delle parti.
I contratti di erogazione di servizi sono tutti ad esecuzione differita rispetto al contratto, in quanto
comportano un successivo comportamento in grado di procurare le utilità programmate, e sono inoltre
contratti di durata in quanto procurano al creditore un soddisfacimento duraturo del suo interesse.

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4. Misure rafforzative dell’esecuzione.
Perché il risultato programmato sia attuato, quando l’esecuzione del contratto è disgiunta dall’efficacia,
c’è l’esigenza di stimolare tale comportamento esecutivo.
La legge appresta in merito 2 meccanismi che disincentivano dall’inadempimento in quanto consentono una
tutela agevole e spedita della parte interessata.
a)Clausola penale. Il creditore che chiede il risarcimento del danno per inadempimento o per inesatto
adempimento della controparte deve fornire la prova del danno subito.
Per rafforzare l’esecuzione del contratto è consentito alle parti introdurre la clausola penale, con cui si
conviene che in caso di inadempimento o di ritardo nell’inadempimento, il soggetto inadempiente è tenuto
ad una determinata prestazione; la clausola penale ha la funzione di liquidazione anticipata del danno,
esonerando il soggetto danneggiato dalla prova del danno subito.
b) Caparra confirmatoria. Dopo la conclusione del contratto può emergere nei contraenti l’interesse a non
adempiere il contratto poiché ad es. si intende alienare o acquistare ad un prezzo più conveniente o con
modalità di esecuzione più convenienti.
Tale caparra tende a rafforzare la serietà dell’impegno con il versamento anticipato di una somma di
danaro che una parte fa all’altra al momento della conclusione del contratto.
In caso di adempimento, la caparra non svolge alcuna funzione, in quanto deve essere restituita, mentre
in caso di inadempimento tale caparra rafforza l’esecuzione; se la parte che ha dato la caparra è
inadempiente, l’altra può recedere dal contratto trattenendo la caparra a titolo di risarcimento dei danni,
mentre se la parte che l’ha ricevuta è inadempiente, l’altra può recedere dal contratto ed esigere il doppio
della caparra versata.

5. Sopravvenienze e adeguamento del contratto. La rinegoziazione.


Nella fase di esecuzione del contratto, spesso sopravvengono fatti non imputabili ad alcuna delle parti in
grado di alterare l’originario equilibrio contrattuale, e quindi l’assetto di interessi programmato.
Nell’esperienza del commercio internazionale è diffuso l’inserimento di clausole di rinegoziazione
nei testi contrattuali, ossia frequenti sopravvenienze che alterano l’originario equilibrio contrattuale.
In tale contesto assume un ruolo fondamentale la gestione del rischio delle circostanze sopravvenute.
a)L’ipotesi più agevole è quella delle sopravvenienze regolate dalla legge, rispetto alle quali la legge stessa
appresta i relativi rimedi.
b) Può accadere che singole sopravvenienze siano tenute presenti dalle parti al momento del contratto,
e convenzionalmente regolate nel contratto con diversi atteggiamenti, in modo da realizzare una gestione
concordata delle sopravvenienze.
c) Più complessa si rivela la gestione delle sopravvenienze in assenza di previsione, ossia quando non
operano criteri convenzionali preventivi di gestione e regolazione delle sopravvenienze.

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CAPITOLO 8 – SOSTITUZIONE NELL’ATTIVITA’ GIURIDICA
1.Rapporto gestorio e potere rappresentativo; -A) RAPPRESENTANZA. 2. Rappresentanza diretta ed
indiretta; 3. La procura. 4. Il negozio concluso dal rappresentante; 5. L’abuso di potere (conflitto di
interessi); 6. Il difetto di potere (rappresentanza senza potere); 7. La rappresentazione apparente; -
B) ALTRE FIGURE. 8. Il contratto per persona da nominare; 9. Il contratto per conto di chi spetta.

1.Rapporto gestorio e potere rappresentativo.


La vita delle relazioni economiche è contraddistinta dal frequente ricorso alla sostituzione nell’attività
giuridica; si delinea una dissociazione tra autore formale dell’atto e titolare dell’interesse regolato,
sicché il soggetto che agisce giuridicamente (sostituto o gestore) realizza un interesse di altro soggetto
(sostituito o gerito).
Non per tutti gli atti è consentita la sostituzione, poiché per alcuni atti riguardanti la dimensione
esistenziale del soggetto, la legge richiede che siano compiuti personalmente (atti personalissimi).
Tratto comune della sostituzione nell’attività giuridica altrui è la gestione dell’interesse altrui;
tale gestione dell’interesse altrui può essere svolta quale funzione (es. la potestà genitoriale).
Al dato sostanziale di cura dell’interesse altrui, si accompagna un dato formale costituito da un potere
del sostituto di incidere sulla sfera giuridica del sostituito, riversando gli effetti degli atti compiuti nella sfera
altrui; è il fenomeno della rappresentanza con il quale ad un soggetto è conferito il potere
rappresentativo di altro soggetto.
La fonte del potere di rappresentanza può essere conferito dalla legge oppure dall’interessato.
a)Nella rappresentanza legale il potere rappresentativo si configura come una potestà che il soggetto
investito dell’ufficio è vincolato ad esercitare per il perseguimento di interessi altrui, sotto il controllo
dell’autorità giudiziaria che ne verifica il corretto assolvimento (es. rappresentanza dei genitori rispetto
ai minori).
b) Nella rappresentanza volontaria si ha attribuzione di potere rappresentativo da parte del soggetto
interessato mediante la procura. L’agire in nome altrui è funzionale alla realizzazione dell’interesse altrui.

A)RAPPRESENTANZA
2. Rappresentanza diretta ed indiretta.
La rappresentanza volontaria si distingue a sua volta in rappresentanza diretta ed indiretta.
a)La rappresentanza diretta è caratterizzata dalla spendita del nome altrui. Si realizza una gestione
qualificata dell’interesse altrui, in quanto il sostituto agisce non solo nell’interesse di un soggetto diverso,
ma anche in suo nome.
Il negozio è concluso dal rappresentante in nome e nell’interesse del rappresentato (cd. negozio
rappresentativo) e perciò produce effetto direttamente nei confronti del rappresentato, il quale assume
immediatamente la titolarità dei rapporti derivanti dal contratto stesso.
Il rappresentante è parte formale del negozio rappresentativo, mentre il rappresentato è la parte
sostanziale (es. l’acquisto di un bene in nome e per conto altrui comporta che gli effetti del contratto di
vendita si producano direttamente tra il venditore e il compratore), per cui in capo al rappresentato si
realizza il trasferimento della proprietà acquistata e nasce l’obbligazione di pagamento del prezzo.
Il rappresentante può essere autorizzato tanto a compiere atti in nome del rappresentato (rappresentanza
attiva), quanto a ricevere dichiarazioni o prestazioni in nome del rappresentato (rappresentanza
passiva).
Con riguardo al negozio compiuto dal rappresentante, è questi che elabora la volontà negoziale e la dichiara,
su istruzione del soggetto rappresentato nel cui interesse è esercitato il potere rappresentativo (es. è conferito
al rappresentante il potere di acquistare un appartamento con alcune caratteristiche in una specifica città ad
un prezzo non superiore ad una determinata soglia).

225
b) La rappresentanza indiretta (o rappresentanza impropria) non è una rappresentanza in senso stretto,
in quanto essa realizza una interposizione reale o gestoria di persona, per cui un soggetto agisce
nell’interesse altrui ma in nome proprio.
Il contratto così concluso dal sostituto produce effetti nella sfera giuridica del sostituto stesso; in virtù del
rapporto gestorio che lega il sostituto al sostituito, il sostituto è obbligato a riversare gli effetti del contratto
dalla sua sfera giuridica, in quella del sostituito.
Una nutrita normativa è dedicata al mandato, ossia il più diffuso contratto regolatore del rapporto
gestorio.
Nell’ ipotesi di mandato con rappresentanza (cioè quando al mandatario è stato conferito anche il potere di
agire in nome del mandante), si applica la disciplina sulla rappresentanza; perciò gli effetti contrattuali si
producono direttamente nella sfera giuridica del soggetto sostituito.
Nell’ipotesi di mandato senza rappresentanza, il mandatario che agisce in nome proprio acquista i
diritti ed assume gli obblighi derivanti dagli atti compiuti con i terzi, che non hanno alcun rapporto con il
mandante, anche se questi hanno avuto conoscenza del mandato.
Quando i beni acquistati dal mandatario sono immobili o mobili registrati, opera il criterio sopra delineato; in
virtù dell’acquisto compiuto, il mandatario ne acquista la proprietà ed è obbligato a trasferirla al mandante.
Il mandante, sostituendosi al mandatario, può esercitare i diritti di credito derivanti dall’esecuzione del
mandato.
Al mandante è accordata la possibilità di opposizione che i creditori del mandatario aggrediscano i beni
mobili ed i crediti acquistati dal mandatario per conto del mandante, purché il mandato abbia data certa
anteriore al pignoramento.
c) Su un versante diverso è l’interposizione fittizia di persona, è una simulazione soggettiva in quanto si
realizza un accordo simulatorio tra tre soggetti, fingendo che parte del contratto sia un determinato
soggetto (prestanome) mentre gli effetti sono in realtà imputati ad un diverso soggetto (soggetto effettivo).
d) Su un piano diverso si pone il nuncius, anche detto portavoce che si limita a trasmettere materialmente
una dichiarazione di volontà altrui senza contribuire alla elaborazione della volontà negoziale.

3. La procura.
La procura è la fonte del potere di rappresentanza; è il negozio unilaterale con il quale è conferito il
potere di rappresentanza, autorizzando un soggetto (procurator) ad agire in sostituzione
dell’interessato, e dunque a rappresentarlo compiendo atti giuridici in suo nome.
La procura attiene al lato esterno e formale della sostituzione; proprio per questo si diversifica dal negozio
gestorio che invece regola il rapporto interno e sostanziale tra rappresentato e rappresentante.
E’ da tempo dibattuto se la procura sia o meno un negozio recettizio, e nel caso fosse recettizio, se lo sia
verso il procuratore oppure verso il terzo.
La delineata funzione della procura fa propendere per la recettizietà verso il procuratore, essendo questo
il soggetto sul quale si produce l’effetto della procura, ossia l’attribuzione del potere di rappresentare il
soggetto interessato (dominus); il procuratore non è obbligato a portare la fonte del suo potere
rappresentativo a conoscenza dei terzi.
Un fenomeno di rappresentanza diretta si realizza anche se il terzo non prende conoscenza della procura;
il rappresentante deve però informare il terzo che sta agendo in nome altrui, altrimenti assume in proprio il
contratto, ed è destinatario degli effetti dallo stesso prodotti.
Quanto ai soggetti, la procura può provenire da un solo soggetto verso un solo rappresentante (procura
semplice) o può involgere una pluralità di soggetti rappresentati e/o rappresentanti (procura collettiva); in
questo ultimo caso la procura può essere disgiuntiva o congiuntiva a seconda che i vari procuratori siano
obbligati ad agire insieme, o siano autorizzati ad agire separatamente.

226
Quanto alla forma, la procura come ogni dichiarazione di volontà può essere espressa o tacita.
Essendo la procura un negozio orientato alla stipula di un contratto successivo, la forma della stessa è
vincolata al contratto da concludere; la procura non ha effetto se non è conferita con le forme previste
per il contratto prescritto che il rappresentante deve concludere (forma per relationem).
Ad es. la procura a vendere o ad acquistare un bene immobile deve essere conferita per iscritto.
Quanto all’oggetto, la procura può essere speciale o generale; è speciale se ha riguardo ad un singolo atto,
o ad un singolo affare, mentre è generale se ha riguardo a tutti gli affari del rappresentato.
In assenza di una specifica disciplina in tema di rappresentanza, la procura comprende non solo gli atti
per i quali è sta conferita, ma anche gli atti necessari al loro compimento.
La permanenza dell’efficacia della procura è legata alla permanenza della volontà del soggetto che l’ha
conferita (rappresentato); il rappresentato può modificare il contenuto della procura come può disporre la
revoca della procura con conseguente estinzione della stessa.
Però le modificazioni e la revoca della procura devono essere portate a conoscenza dei terzi con idonei
mezzi; in mancanza di tali mezzi, esse non sono opponibili ai terzi, e grava quindi sul rappresentato la prova
di avere impiegato mezzi idonei per la conoscibilità da parte dei terzi della modificazione o della revoca.

4. Il negozio concluso dal rappresentante.


Il negozio concluso dal rappresentante (negozio rappresentativo) deve avere i requisiti previsti dalla
legge per la validità dei contratti, sia con riguardo alla formazione e quindi alla conclusione del contratto,
sia con riferimento al contenuto del negozio stesso.
a)Relativamente alla capacità, è sufficiente che il rappresentante abbia la capacità di intendere e di
volere, avuto riguardo alla natura ed al contenuto del contratto concluso.
Il rappresentato invece deve avere necessariamente la capacità legale di agire.
b) Riguardo i vizi della volontà, la legge riferisce al rappresentante l’elaborazione della volontà negoziale;
per l’art. 1390 il contratto è annullabile se la volontà del rappresentante è viziata.

5. L’abuso di potere (conflitto di interessi).


Con riguardo al versante materiale della gestione dell’interesse altrui, affiora la figura dell’abuso di potere;
può avvenire che il rappresentante non persegua gli interessi del rappresentato, ma quelli propri o di terzi,
versando in conflitto di interessi con il rappresentato.
Il rappresentante abusa del potere rappresentativo conferitogli, realizzando un risultato non utile o
addirittura dannoso al rappresentato; è sufficiente la potenzialità del conflitto di interessi.
Per l’art. 1394 il contratto concluso dal rappresentante in conflitto di interessi con il rappresentato è
annullabile su domanda del rappresentato, solo se il conflitto era conosciuto o riconoscibile dal terzo
contraente; perciò il contratto efficace può perdere la stessa efficacia a seguito di sentenza di annullamento.
La legge tipizza una ipotesi di conflitto di interessi nel contratto con se stesso, cioè quando il
rappresentante riunisce nella sua persona le posizioni di entrambi le parti del contratto che deve concludere,
(ad es. il rappresentante del venditore si rende acquirente del bene da vendere); è perciò di regola annullabile
il contratto che il rappresentante conclude con se stesso, in proprio o come rappresentante di un’altra parte.
La stessa norma contiene però delle deroghe alla previsione dell’annullabilità, riconoscendo la validità del
contratto con se stesso quando ricorra una delle seguenti due ipotesi: il rappresentato abbia autorizzato
specificamente il rappresentante a tale contratto; il contenuto del contratto sia predeterminato da
rappresentato in modo da escludere la possibilità di conflitto d’interessi.

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6. Il difetto di potere (rappresentanza senza potere).
Può accadere che un soggetto spenda il nome altrui mancando del tutto il potere rappresentativo.
Si ha rappresentanza senza potere in quanto chi si presenta al terzo come rappresentante è in difetto di
potere, e dunque è un falso rappresentante (falsus procurator).
Emergono in merito 3 dimensioni di osservazione: la sorte del contratto concluso dal falso rappresentante;
la posizione del terzo che ha agito con il falso rappresentante e la posizione del rappresentato per illegittima
spendita del suo nome.
a)Quanto alla sorte del contratto, il contratto concluso dal rappresentante in nome e nell’interesse del
rappresentato produce direttamente effetto nei confronti del rappresentato nei limiti della facoltà conferitegli;
pertanto chi agisce privo di poteri rappresentativi pone in essere un contratto non efficace per il
rappresentato. Inoltre il contratto stipulato dal falso rappresentante è sempre inefficace, non potendosi
riferire né al rappresentato né al rappresentante.
b) La posizione del terzo rimane danneggiata dall’inefficacia del contratto; perciò per l’art. 1398, chi ha
contratto come rappresentante senza averne i poteri è responsabile del danno che il terzo contraente ha
sofferto per aver confidato senza sua colpa nella validità del contratto.
Il terzo è tutelato esclusivamente con una norma materiale, mediante attribuzione allo stesso del diritto al
risarcimento dei danni per avere confidato senza colpa nell’efficacia del contratto per il rappresentato;
c) La posizione del rappresentato rimane non incisa dal contratto concluso dal rappresentante senza potere,
in quanto il contratto è inefficace; è consentito al rappresentato di avvalersi del contratto concluso dal falso
rappresentante mediante la ratifica del contratto inefficace. La dichiarazione di ratifica è un negozio
unilaterale con il quale il rappresentato fa propri gli effetti del contratto stipulato dal falso rappresentante.
Si differenzia dalla convalida del negozio annullabile, per non riguardare la struttura dell’atto bensì la
legittimazione all’atto; la ratifica ha lo scopo di immettere nella sfera giuridica dell’interessato il risultato
dell’attività compiuta da chi era privo di poteri.
Per l’art. 1399 il terzo e il falso rappresentante di comune accordo possono sciogliere il contratto prima
della ratifica del rappresentanto; il riferimento a tale possibilità di scioglimento del contratto implica che
dal contratto concluso, sia derivato un vincolo contrattuale tra i due soggetti, che gli stessi possono
sciogliere; ciò comporta che nessuno dei due può unilateralmente sciogliersi mediante recesso.
La ratifica può essere espressa o tacita; quando il negozio concluso dal falso rappresentante non richiede una
particolare forma, la ratifica del rappresentato può essere anche tacita.
La ratifica quindi deve avere la forma del negozio da ratificare, se per questo è prevista una forma solenne.

7. La rappresentanza apparente.
Il contratto stipulato dal falso rappresentante è inefficace rispetto al soggetto rappresentato; il terzo che ha
confidato senza colpa sulla validità del contratto ha diritto al solo risarcimento del danno nei confronti del
falso rappresentante.
Da tempo si conferisce rilevanza giuridica alla autoresponsabilità per cui l’autore di un’azione o di una
omissione ne deve subire i relativi effetti; il passo successivo è stato quello di correlare tale principio al
principio di tutela dell’apparenza giuridica,
La rappresentanza apparente inerisce alla rappresentanza senza potere; il contratto concluso dal
rappresentante senza potere vincola il rappresentato se concorrono alcuni presupposti: a) un’apparenza di
poteri rappresentativi; b) l’imputabilità di tale apparenza al falso rappresentato.

228
B) ALTRE FIGURE
8. Il contratto per persona da nominare.
Al momento della conclusione del contratto, una parte può riservarsi la facoltà di nominare
successivamente una diversa persona (soggetto designato) che deve acquistare i diritti ed
assumere gli obblighi nascenti dal contratto nei confronti dell’altra parte.
Il vincolo contrattuale si instaura immediatamente tra i contraenti originari, mentre gli effetti particolari si
producono rispetto al terzo designato con la nomina del terzo.
La dichiarazione di nomina deve essere comunicata all’altra parte in tre giorni dalla stipulazione del
contratto, salvo che le parti stabiliscano un diverso termine. La dichiarazione di nomina è un negozio
unilaterale recettizio mediante il quale una parte imputa in capo al terzo, gli effetti del contratto; non ha
effetto se non è accompagnata dall’accettazione della persona nominata.
La persona nominata assume la qualifica di parte contraente, sicché gli effetti del contratto si producono
direttamente tra la controparte e la persona nominata che acquista i diritti ed assume gli obblighi derivanti dal
contratto, con effetto dal momento di stipula del contratto. Se la dichiarazione di nomina non è fatta nel
termine di legge, o in quello accordato tra le parti, il contratto produce effetti tra i contraenti originari.
Il contratto per persona da nominare realizza una sostituzione nella posizione giuridica del contraente
che si riserva la nomina del terzo, quando al contratto segue la nomina.
L’essenza della figura sta nella non indicazione del designando al momento della conclusione del
contratto. Il contratto per persona da nominare si differenzia dal contratto a favore di terzo, in quanto nel
contratto per persona da nominare, la nomina del terzo è eventuale con la conseguenza che in caso di
mancata nomina, il contratto produce i suoi effetti tra i contraenti originari, mentre nel contratto a favore di
terzo, la figura del terzo deve essere necessariamente prevista nel contratto, ed il terzo deve essere
determinato o determinabile.

9. Il contratto per conto di chi spetta.


Il contratto è preordinato alla ricerca del titolare del risultato programmato, quando c’è incertezza circa il
destinatario degli effetti del contratto. Ad es. in tema di vendita di cose mobili, in caso di divergenza sulla
qualità o condizione della cosa, il venditore o il compratore possono chiederne la verifica giudiziale; il
giudice, su istanza della parte interessata, può ordinare il deposito, il sequestro o la vendita per conto di chi
spetta, determinandone le condizioni.

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CAPITOLO 9 – ANOMALIE DEL CONTRATTO
1.L’atto ed il rapporto contrattuale; 2. Irregolarità e inefficacia del contratto; 3. Inesistenza e invalidità;
-A) NULLITA’ 4. Configurazione della nullità; 5. Le cause di nullità; 6. Le nullità di protezione; 7.
Conservazione del negozio nullo. -B) ANNULLABILITA’ 8. Configurazione dell’annullabilità;
9. Le cause di annullabilità; 10.Conservazione del negozio annullabile. C) RESCISSIONE
11. Configurazione della rescissione; 12. Le specie di rescissione; 13. Rescissione ed usura.

1.L’atto ed il rapporto contrattuale.


Si è visto come il contratto rilevi giuridicamente nella duplice prospettiva di atto e di rapporto.
Nella prima prospettiva si ha riguardo alla formazione del contratto, che rileva come titolo. Le anomalie
che si verificano in questa fase prendono il nome di difetti genetici, per inerire alla fase costitutiva del
contratto. Nella seconda prospettiva si fa riferimento all’esecuzione del contratto, che rileva in funzione
dello svolgimento del rapporto contrattuale; in questo caso le anomalie integrano difetti funzionali, per
riguardare la fase attuativa dell’assetto di interessi programmato con il contratto.

2. Irregolarità e inefficacia del contratto.


La disciplina delle anomalie del contratto si presta ad un’applicazione estensiva come disciplina generale
delle anomalie di tutti i negozi giuridici. L’atto di autonomia privata è soggetto alla valutazione
dell’ordinamento, che vi connette gli effetti giuridici: in presenza di una valutazione positiva, conseguono
effetti conformi allo scopo perseguito dai privati; a fronte invece di una valutazione negativa, le reazioni
dell’ordinamento sono orientate in due fondamentali direzioni: contro i soggetti e/o contro l’atto, o anche in
entrambe le direzioni.
a)La reazione contro i soggetti comporta la comminatoria di multe e pene conto gli autori dell’atto; se la
reazione si esaurisce in tale direzione senza incidere sulla sorte dell’atto, c’è mera irregolarità del negozio,
che produce i suoi effetti (ne sono tipici esempi, le varie violazioni di norme fiscali).
b) La reazione contro l’atto incide sull’efficacia dell’atto, privando l’atto di effetti. Tale tipo di reazione
comporta la inefficacia del negozio. La categoria dell’inefficacia assume così una valenza descrittiva molto
ampia per indicare varie ipotesi che hanno in comune il risultato ultimo della privazione di effetti
(inefficacia in senso ampio).
Tali anomalie possono ricondursi a due generali categorie giuridiche: la invalidità, nelle due specie della
nullità e dall’annullabilità, e la rescissione. Conseguenza comune a tutte le ipotesi di inefficacia del
contratto è la ripetibilità delle attribuzioni eseguite in quanto, con la inefficacia dell’atto, le attribuzioni sono
prive di causa giustificativa e vanno dunque restituite

3. Inesistenza e invalidità.
Sono categorie di elaborazione dottrinale; entrambe le categorie si connettono a difetti originari del contratto
inteso come atto.
a)La categoria dell’inesistenza è quella più insidiosa; è in discussione la stessa identificabilità della
fattispecie realizzata come atto di autonomia privata. E’ posto in essere un atto che già nella valutazione
sociale, non si presenta idoneo a realizzare un regolamento di interessi; non essendo in grado di operare nei
rapporti sociali come atto di autonomia, il negozio risulta inesistente anche giuridicamente.
Si tende ad utilizzare la categoria della inesistenza quando si vuole adottare un tipo di contrasto più grave da
parte dell’ordinamento, privando l’atto anche della indicata esigua rilevanza connessa alla nullità.
b) La invalidità opera con riferimento a contratti giuridicamente esistenti, identificati come atti di autonomia
privata, ma difformi dall’ordinamento giuridico. L’atto è valutato negativamente dall’ordinamento per
contrarietà ai valori fondanti o anche solo a specifiche regole organizzative.
L’invalidità è stata configurata con riferimento alla struttura dell’atto, in quanto mancante di uno degli
elementi costitutivi.

230
Si è però visto come una normativa di provenienza comunitaria, stia estendendo la valutazione ordinamentale
oltre l’atto per coinvolgere il contesto dell’atto, attribuendo rilevanza giuridica alle circostanze della
stipulazione del contratto.
Con l’espressione “anomalie del contratto” intendiamo riferirci alle anomalie inerenti alla formazione del
contratto in quanto considerate dall’ordinamento come determinative della invalidità dello stesso.
La invalidità si articola in due specie: la nullità (più grave) e l’annullabilità (meno grave); la nullità
determina l’inefficacia originaria ed automatica del negozio, mentre l’annullabilità comporta la precarietà
degli effetti dell’atto, che possono essere annullati dall’autorità giudiziaria.
La comminatoria dell’una o dell’altra specie di invalidità è in ragione di due fondamentali criteri: il tipo di
illegalità, e quindi la natura degli interessi coinvolti e lesi; l’impatto sociale dell’atto.
Grave problema è quello dell’ammissibilità della invalidità successiva dell’atto; una recente attenzione alle
posizioni contrattuali assunte nell’atto ha fatto emergere una legislazione che sanziona con la invalidità
anche contratti validamente conclusi, quando risultano in contrasto con valori fondamentali dell’ordinamento
successivamente affermatisi.

A)NULLITA’
4. Configurazione della nullità.
La nullità è la specie più grave di invalidità. L’atto di autonomia privata è considerato inidoneo a realizzare
gli interessi perseguiti; l’atto nasce nullo e quindi privo di effetti.
a)Il fondamento della nullità sta nella rilevanza degli interessi coinvolti e lesi; l’atto è in contrasto con i
valori fondamentali dell’ordinamento, indisponibili e inderogabili dai privati, in quanto considerati essenziali
fattori di coesione della società.
La figura della nullità ha tutelato interessi generali, per la mancanza di un elemento costitutivo del negozio
o per la sua illiceità; essa opera di diritto (ipso iure), nel senso che la inefficacia dell’atto, è originaria, ossia
opera fin dalla formazione dell’atto; per altro verso è automatica, cioè opera senza necessità di intervento
giudiziale.
b) L’azione di nullità, può essere esercitata e “fatta valere” da chiunque vi abbia interesse e può essere
“rilevata di ufficio” dal giudice. La legittimazione ha tradizionalmente conferito alla nullità il carattere della
assolutezza; la nullità è di regola assoluta; la nullità è rilevabile di ufficio dal giudice in ogni stato e grado
del processo, anche indipendentemente dal volere delle parti del negozio.
Per l’art. 1422 l’azione per far dichiarare la nullità è imprescrittibile, salvi gli effetti dell’usucapione e
della prescrizione delle azioni di ripetizione; la inefficacia comporta come corollario, la ripetibilità delle
attribuzioni eseguite. Se nonostante la nullità, il contratto sia stato egualmente eseguito dalle parti, si
determina un evento suscettibile di autonoma rilevanza giuridica.
L’atto, nato nullo, rimane nullo, e quindi è imprescrittibile l’azione di nullità.
La legge non prevede la eccezione di nullità; è da considerarsi sempre sollevabile e imprescrittibile, essendo
imprescrittibile l’azione di nullità; per essere prevista la imprescrittibilità dell’eccezione di annullabilità deve
considerarsi imprescrittibile la eccezione di nullità.
c) Gli effetti della sentenza consistono nell’accertamento della nullità del negozio e dunque della inefficacia
originaria dello stesso; si tratta appunto di una sentenza dichiarativa. La parte però che conoscendo la causa
di invalidità non ne ha dato notizia all’altra, è tenuta a risarcire il danno da questa risentito per avere
confidato senza sua colpa nella validità del contratto.
Di regola la dichiarazione di nullità opera retroattivamente, travolgendo tutti gli atti successivamente
compiuti in conseguenza del contratto nullo; così i cd. rapporti contrattuali per contatto sociale, si
estrinsecano in comportamenti attuativi di negozi giuridici invalidi.
Si pensi alla nullità del contratto di lavoro “ che non produce effetto per il periodo in cui il rapporto ha avuto
esecuzione, salvo che la nullità derivi dalla illiceità dell’oggetto o della causa”.

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d) La sanatoria del negozio nullo è di regola non consentita; l’art. 1423 fissa il principio della
inammissibilità della convalida del contratto nullo, tranne che la legge non disponga diversamente.
Alcuni autori sono preposti a considerare forme di sanatoria, la conferma ed esecuzione volontaria di
disposizioni testamentarie nulle, e di donazioni nulle.
In queste ipotesi si tratta di determinare l’efficacia del contratto; inoltre la conferma così come l’esecuzione,
provengono da soggetti diversi dagli autori del negozio nullo. Più esattamente la conferma e l’esecuzione
volontaria sono state ricostruite come elemento essenziale di una fattispecie complessa.

5. Le cause di nullità.
E’ possibile raggruppare le cause di nullità in 3 classi fondamentali: cause generali di nullità per assenza
di un elemento essenziale e illiceità (nullità strutturali); cause particolari di nullità per specifiche
previsioni normative (nullità testuali); cause implicite di nullità, per contrarietà a norme imperative
(nullità virtuale).
a)Nullità strutturali. Si è visto come, elementi essenziali del contratto sono l’accordo delle parti, la causa,
l’oggetto e la forma quando è prescritta a pena di nullità. Per l’art. 1418 producono nullità del contratto la
mancanza di uno degli elementi essenziali, nonché la mancanza dei requisiti nell’oggetto stabiliti
dall’art. 1346. Per la stessa norma inoltre produce la nullità l’illiceità del contratto, per illiceità della causa
e dei motivi; è inoltre nullo il contratto al quale è apposta una condizione, sospensiva o risolutiva, illecita.
Sono cause generali di nullità per inerire agli elementi costitutivi di ogni negozio giuridico, o alla relativa
illiceità; attengono sia alla formazione dell’atto che all’assetto di interessi realizzato.
b) Nullità testuali. L’art. 1418 prevede che “il contratto è altresì nullo negli altri casi stabiliti dalla legge”;
sono cause particolari di nullità per operare in ragione della specifica contrarietà dell’atto ad una norma
determinata. Alcune ipotesi sono previste già nel codice civile, come ad es. la nullità dei patti successori.
c) Nullità virtuali. L’art. 1418 prescrive che il contratto è nullo quando è contrario a norme imperative.
Sono cause implicite di nullità, per operare in assenza di una specifica previsione normativa.
E’ perciò una norma di chiusura del sistema, che prescrive la nullità del contratto per contrarietà a norme
inderogabili; dalla norma violata deve emergere la finalità di tutela di un valore fondamentale
dell’ordinamento, o di un generale interesse pubblico (si parla in merito di nullità funzionali).

6. Le nullità di protezione.
La nullità è impiegata a tutela di posizioni giuridiche soggettive qualificate socialmente deboli o
comunque deboli nei rapporti di mercato, in quanto subiscono l’abuso di posizioni dominanti.
La tutela di tali interessi deboli è sollevata ad impegno generale della società, secondo il disegno solidaristico
previsto dalla Costituzione; perciò la lesione di tali interessi è sanzionata con la nullità.
Tale tutela si svolge in una duplice funzione:
1)Incidendo sulla fattispecie e sanzionando con la nullità le clausole considerate vessatorie o comunque
espressive di abuso di posizione dominante, con l’amputazione di singole clausole contrattuali e la
sostituzione di altre;
2) Valorizzando le circostanze dell’atto.
Le due tecniche di sanziona mento tendono ad attribuire alla nullità la funzione di protezione di interessi
qualificati che si atteggiano come nullità relative per essere rilevate dal solo soggetto appartenente alla
categoria nel cui interesse sono previste.

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7. Conservazione.
Il principio di conservazione dell’attività giuridica trova applicazione anche con riguardo ai negozi nulli,
al fine di non disperdere l’attività negoziale e consentire l’utilizzazione dell’attività economica e dei relativi
risultati. Circa alcune esplicazioni del principio in riferimento a negozi nulli:
a)Conversione del contratto nullo. Per l’art. 1424 il contratto nullo può produrre gli effetti di un contratto
diverso, che contenga i requisiti di sostanza e di forma qualora debba ritenersi che le parti lo avrebbero
voluto se avessero conosciuto la nullità. E’ questa la conversione in senso stretto, meglio definita come
conversione sostanziale, con la quale si tende a salvare l’autonomia privata esplicata.
Devono ricorrere quindi 2 presupposti: a) il contratto nullo deve avere i requisiti di sostanza e di forma
di un contratto valido diverso; b) dal contratto nullo deve emergere una volontà ipotetica per una funzione
più limitata.
E’ necessario che allo scopo pratico perseguito dal negozio nullo sia comparabile un diverso scopo più
limitato, ossia siano riferibili al negozio nullo effetti meno ampi di quelli perseguiti dallo stesso, ma
comunque congruenti con il risultato programmato.
La conversione è un’operazione giuridica che si svolge senza intervento sul negozio, ossia il contratto
produce effetti più limitati in forza della legge e non per opera delle parti.
Diversa dalla conversione sostanziale è la conversione formale, che non è una vera e propria conversione
in quanto non tocca lo scopo pratico originario perseguito dai contraenti; presupposto della conversione
formale è che il medesimo negozio è suscettibile di essere compiuto in più forme, per cui risultando
carente una, rimane l’altro.
b) Nullità parziale. La nullità può essere totale o parziale a seconda che inerisca all’intero contratto o
a singole clausole. La nullità parziale comporta la nullità dell’intero contratto solo se risulta che i
contraenti non l’avrebbero concluso senza quella parte del suo contenuto colpita dalla nullità.
La nullità di singole clausole non comporta la nullità del contratto quando le clausole nulle sono sostitute di
diritto da norme imperative.
c) Contratto plurilaterale. Per l’art. 1420, nei contratti con più di due parti, in cui le prestazioni di ciascuna
parte sono dirette al conseguimento di uno scopo comune la nullità che colpisce il vincolo di una sola delle
parti non comporta la nullità del contratto.

B) ANNULLABILITA’
8. Configurazione dell’annullabilità.
L’annullabilità è la specie meno grave di invalidità; l’atto di autonomia privata è considerato idoneo a
realizzare gli interessi perseguiti, anche se i relativi effetti sono precari, potendo venire meno la iniziativa di
una delle parti a seguito della sentenza di annullamento.
L’atto produce quindi effetti, ma gli stessi non sono stabili.
a)Il fondamento della figura è nella tutela di interessi considerati dall’ordinamento, degni di tutela, ma non
tali da comportare una inderogabilità della relativa tutela. Perciò la caducazione dell’atto invalido è rimessa
all’iniziativa del titolare dell’interesse tutelato, il quale può trovare anche più conveniente l’esecuzione del
contratto piuttosto che la inefficacia dello stesso.
b) L’azione di annullamento può essere proposta solo dalla parte nel cui interesse è stabilità dalla legge.
L’esercizio dell’azione è rimesso all’iniziativa del soggetto protetto dalla legge (cd. relatività della
annullabilità); per questo l’annullabilità non è rilevabile di ufficio dal giudice. In ciò si evidenzia il carattere
dispositivo dell’annullabilità. L’azione di annullamento si prescrive di regola in 5 anni; anche la decorrenza
del termine di prescrizione è informata ad un criterio generale per cui l’annullabilità conseguente a vizi del
consenso e incapacità legale decorre dal momento in cui è cessata la causa di invalidità.
Eccezionale è la cd. annullabilità assoluta, che si ha quando l’annullamento del contratto può essere
domandato a chiunque vi abbia interesse; tipica ipotesi è la incapacità del condannato in stato di interdizione
legale che può essere fatta valere da chiunque vi ha interesse.

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c) L’eccezione di annullabilità, a differenza dell’azione di annullamento è imprescrittibile; funzione della
imprescrittibilità è di tutelare il soggetto interessato all’annullamento contro il comportamento malizioso
della controparte (il soggetto interessato alla efficacia del contratto potrebbe rimanere inattivo e non
pretendere l’esecuzione del contratto fino allo spirare del termine di prescrizione dell’azione di annullamento
e chiedere poi l’esecuzione del contratto).
Presupposto per sollevare l’eccezione di annullabilità è che il contratto non sia ancora stato eseguito, in
quanto l’eccezione serve a paralizzare la richiesta di esecuzione del contratto oltre il termine di prescrizione
dell’azione di annullamento.
d) Gli effetti della sentenza consistono nell’annullamento del negozio, e quindi nella privazione
dell’efficacia dello stesso; l’efficacia precaria del negozio, a seguito della iniziativa di una delle parti, rimane
caducata dalla sentenza di annullamento.
L’annullamento è richiesto con domanda giudiziale dalla parte legittimata, ed interviene in virtù di sentenza
costitutiva che annulla l’atto ed elimina gli effetti nel frattempo prodottisi; l’annullabilità inoltre non è
rilevabile d’ufficio dal giudice.
Come la nullità anche l’annullamento ha efficacia retroattiva sicché le attribuzioni eseguite vanno
restituite in quanto prive di causa giustificativa; se però il contratto è annullato per incapacità (legale o
naturale) di uno dei contraenti, questi non è tenuto a restituire all’altro la prestazione ricevuta.
Fino all’annullamento, il contratto ha però prodotto effetti suscitando affidamento nei terzi che hanno avuto
rapporti con una delle parti del contratto annullato. Trova qui applicazione un principio espresso dalla
clausola generale di buona fede (soggettiva), secondo cui ogni atto di autonomia privata, è in grado di
suscitare affidamenti sia tra gli autori dell’atto che da parte di terzi; d’altra parte tutela dell’affidamento
significa verifica della realtà, in quanto il terzo di per sé è tutelato in ragione della sicurezza della
circolazione dei beni, ed in genere della certezza dell’attività giuridica. In ragione della natura degli
interessi coinvolti l’ordinamento talvolta privilegia gli autori dell’atto, talaltra i terzi.
Per l’art. 1445 l’annullamento che non dipende da incapacità legale non pregiudica i diritti acquistati a titolo
oneroso dai terzi in buona fede; l’annullamento conseguente ad incapacità legale è sempre opponibile ai
terzi, quindi gli incapaci legali sono preferiti ai terzi.
L’incapacità legale è legalmente conoscibile attraverso l’ispezione dei registri di stato civile dove risulta
l’età dei soggetti e sono notate le sentenze di interdizione e inabilitazione; il terzo non merita protezione in
quanto ha la possibilità di acquisire la conoscenza dell’incapacità legale.

9. Le cause di annullabilità.
Le cause di annullabilità sono tassativamente previste dalla legge; a differenza della nullità manca una
previsione di annullabilità virtuale.
Esistono 3 categorie di cause di annullabilità; due di carattere generale (incapacità di agire e vizi del
consenso), ed una terza relativa a specifiche fattispecie.
a)Incapacità di agire. La capacità di agire è l’attitudine a compiere atti giuridici che di regola si acquista
con la maggiore età
Per l’art. 1425 il contratto è annullabile se una delle parti era legalmente incapace di contrattare.
Il riferimento alla incapacità legale rende manifesto che sono annullabili gli atti compiuti dai minori e da
interdetti; sono altresì annullabili gli atti di straordinaria amministrazione compiuti dal minore emancipato e
dall’inabilitato senza l’assistenza del curatore.
Unica ipotesi in cui il contratto non è annullabile è quando il minore con raggiri, ha occultato la sua minore
età; però la semplice dichiarazione da lui fatta di essere maggiorenne non è di ostacolo all’impugnazione del
contratto.
Diversamente opera la incapacità naturale o non dichiarata, cioè l’incapacità di intendere o di volere al
momento del compimento dell’atto per cause diverse da quelle che danno luogo all’incapacità legale.

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L’annullamento del contratto può essere pronunziato solo quando risulta la mala fede dell’altro contraente,
nel senso di una consapevolezza dell’incapacità.
b) Vizi del consenso. Per l’art.1427 il contraente il cui consenso fu dato per errore, estorto con violenza o
carpito con dolo, può chiedere l’annullamento del contratto; tali vizi del consenso si atteggiano come cause
generali di annullabilità, per riferirsi ad un profilo strutturale di ogni negozio.
c) Altre ipotesi. Sono cause particolari di annullabilità per riferirsi a specifiche fattispecie espressamente
sanzionate dalla legge con l’annullabilità. Si pensi al contratto stipulato dal rappresentante in conflitto di
interessi con il rappresentato; tale contratto può essere annullato su domanda del rappresentato, se il conflitto
era conosciuto o riconoscibili dal terzo.
Si pensi inoltre al contratto di vendita compiuto in violazione di alcuni divieti speciali di comprare; sono
annullabili gli acquisti compiuti da coloro che, per legge o per atto della pubblica autorità, amministrano beni
altrui rispetto ai beni medesimi.

10. Conservazione del negozio annullabile.


Come per il contratto nullo, anche per il contratto annullabile operano strumenti di conservazione
dell’attività negoziale; a differenza della nullità, la conservazione riguarda non una parte dell’attività
negoziale, ma lo stesso negozio annullabile nella sua interezza.
a)Convalida. La convalida mira a consolidare definitivamente gli effetti prodotti dall’atto attraverso
una successiva esplicazione dell’autonomia negoziale. Ha efficacia retroattiva, essendo rivolta a salvare
e consolidare l’assetto di interessi programmati dalle parti.
La convalida deve provenire dal contraente legittimato all’azione di annullamento ed essere in grado
di concludere validamente il contratto; è necessario che il contraente che intende convalidare abbia la
consapevolezza del vizio.
La convalida può essere espressa o tacita; la convalida espressa consiste in un atto contenente la menzione
del contratto e del motivo di nullità, mentre è tacita se il contraente al quale spettava l’azione di
annullamento ha dato volontariamente esecuzione al contratto, conoscendo il motivo di annullabilità.
Se l’azione di annullamento spetta a più soggetti, la convalida che proviene da uno solo dei soggetti,
vale come rinunzia all’annullamento da parte di tale soggetto; quindi il negozio annullabile vive in una
situazione di precarietà destinata a evolvere o meno verso l’annullamento o verso la convalida.
b) Mantenimento del contratto rettificato. Quando il consenso è dato per errore è consentito alla
controparte di impedire l’annullamento tramite l’offerta di mantenimento del contratto rettificato.
Per l’art. 1432 la parte caduta in errore non può domandare l’annullamento del contratto se prima che da
essa possa derivarne pregiudizio, l’altra si offre di eseguirlo in modo conforme al contenuto e alle modalità
del contratto che quella intendeva concludere.

C) RESCISSIONE
11. Configurazione della rescissione.
Come le due specie di invalidità, anche la rescissione attiene alla formazione dell’atto.
a)Il fondamento della rescissione risiede in uno squilibrio generico del rapporto sinallagmatico.
L’anomalia è legata al contesto in cui il contratto è maturato, che ne influenza la conclusione, si tratta di
circostanze esterne all’atto, che impediscono la libera determinazione di una delle parti costringendola ad
accettare condizioni inique. In ragione di ciò si determina un difetto genetico della causa per lo squilibrio
dell’assetto di interessi realizzato.
b)L’azione di rescissione si prescrive in un anno dalla conclusione del contratto; se però il fatto costituisce
reato, si applica l’ultimo comma dell’art. 2947 (nel senso che, se per il reato è stabilità una prescrizione più
lunga, questa si applica anche all’azione civile). Al pari dell’annullamento, anche la rescissione va richiesta
con domanda giudiziale dalla parte a ciò legittimata, ed interviene in virtù di sentenza costitutiva che
elimina gli effetti prodotti dall’atto.

235
La rescissione non è rilevabile di ufficio dal giudice; se però lo squilibrio economico assume i caratteri
dell’usura, il negozio è nullo. Pure la rescissione può essere fatta valere in via di eccezione, però tale
eccezione di rescissione è soggetta a prescrizione, ed è opponibile nel medesimo termine di prescrizione
dell’azione; peraltro non può essere opposta quando l’azione è prescritta.
c) Gli effetti della sentenza consistono nella rescissione del contratto e quindi nella privazione di efficacia
dello stesso; tale sentenza che accoglie la domanda di rescissione è quindi una sentenza costitutiva.
La rescissione ha efficacia retroattiva; in virtù dell’effetto restitutorio, le cose ricevute devono essere
restituite con tutti gli accessori e le utilità che nel frattempo esse abbiano prodotto, e sulle somme ricevute
devono corrispondersi gli interessi legali alla data in cui le somme vennero ricevute. Come per la risoluzione
c’è una tutela preferenziale dei terzi rispetto all’interesse delle parti. I terzi sono tutelati sempre,
indipendentemente dal titolo di acquisto (oneroso e gratuito) e dallo stato soggetto (di buona o mala fede).
La rescissione è contigua all’annullabilità, per essere il contratto (rescindibile) efficace, e per intervenire la
inefficacia solo successivamente in forza di una sentenza costitutiva pronunziata su domanda della parte nel
cui interesse il rimedio è previsto dalla legge; ma a differenza dell’annullabilità non è ammessa la
convalida ed è esclusa la imprescrittibilità dell’eccezione.
d) Anche con riguardo alla rescissione opera il principio di conservazione dell’attività negoziale; il
contraente contro il quale è domandata la rescissione può evitarla offrendo la modificazione del contratto
sufficiente per ricondurlo all’equità.

12. Le specie di rescissione.


Le generali circostanze rilevanti per la rescissione del contratto sono due: lo stato di pericolo, e lo stato di
bisogno.
a)Rescissione per stato di pericolo. Per l’art. 1447 il contratto con cui una parte ha assunto obbligazioni a
condizioni inique, per la necessità nota alla controparte, di salvare sé o altri dal pericolo di un danno grave
alla persona, può essere rescisso sulla domanda della parte che si è obbligata.
Devono quindi concorrere dei presupposti
1)Prima di tutto lo stato di pericolo; deve cioè ricorrere la “necessità” di salvare sé o altri da un pericolo, e
questo deve riguardare la persona del danneggiato o di altri, e deve essere attuale e notevole (ossia far
temere un danno grave alla persona);
2) Le condizioni inique del contratto, che emergono dal testo e dal contesto del contratto.
3) La conoscenza nella controparte dello stato di pericolo di cui intende approfittare.
Poiché è possibile che nell’approfittare dello stato di pericolo altrui, la controparte abbia prestato aiuto per
scongiurarlo, è prevista una eventuale ricompensa alla controparte. Il giudice così nel pronunciare la
rescissione, può assegnare un equo compenso all’altra parte, per l’opera prestata.
b) Rescissione in stato di bisogno.
La figura più significativa di rescissione; per la sua rilevanza devono ricorrere specifici presupposti:
1)Prima di tutto lo stato di bisogno di una parte che la induce ad accettare le condizioni inique;
2) Inoltre la sproporzione tra le due prestazioni oltre la “metà del valore” che la prestazione eseguita o
promessa dalla parte danneggiata aveva al tempo del contratto; ciò significa che il valore della prestazione di
una parte deve essere superiore al doppio del valore della prestazione dell’altra.
3) L’approfittamento dello stato di bisogno da parte dell’altra per trarne vantaggio. Il requisito dello stato
di bisogno non coincide con l’assoluta indigenza o con una pressante esigenza di denaro, ma deve intendersi
come ricorrenza di una situazione di difficoltà economica.
c) Per l’art. 1448 sono salve le disposizioni relative alla rescissione della divisione; la disciplina della
rescissione della divisione si discosta dalla disciplina relativa all’azione generale di rescissione per lesione.

236
13. Rescissione ed usura.
Con la legge n.108 del ’96 è stato riformulato il reato di usura, per cui ora sono disciplinati due modelli di
usura; una cd. usura pecuniaria, rapportata ad un tasso-soglia degli interessi normativamente determinato,
ed una cd. usura reale, da verificare in concreto, quando i vantaggi arrecati sono sproporzionati rispetto alla
prestazione ricevuta e chi li ha dati o promessi, si trova in condizioni di difficoltà economica o finanziaria.

CAPITOLO 10 – ANOMALIE DELL’ATTUAZIONE


9. Inadempimento; 10. Gli strumenti di tutela. L’adempimento coattivo; 11. La risoluzione del contratto; 12.
La risoluzione di diritto; 13. Il risarcimento del danno; 14. Impossibilità sopravvenuta;
16. Eccessiva onerosità.

9. Inadempimento.
L’inadempimento del contratto non si esaurisce nell’inadempimento della obbligazione, coinvolgendo il
contratto la cui soddisfazione non è attuata solo attraverso il meccanismo delle obbligazioni. Nel nostro
ordinamento opera il principio del consenso traslativo, per cui i contratti di alienazione hanno efficacia
reale (la proprietà, i diritti reali), sicchè rileva l’inadempimento del contratto per inattuazione del risultato
traslativo promesso.
Per delineare l’inadempimento del contratto bisogna analizzare il complessivo contenuto del contratto,
verificando il programma contrattuale divisato dalle parti, quale assetto di interessi dalle stesse attuato.
L’inadempimento contrattuale si atteggia ed opera come inattuazione del regolamento contrattuale, non
procurando uno dei contraenti il risultato programmato nel contratto; l’espressione “inadempimento” è
comprensiva sia della inattuazione che della inesatta attuazione del contratto.
Trattandosi di inadempimento di una obbligazione, è necessario che l’obbligazione non adempiuta sia
esigibile, ossia sia scaduto il termine di adempimento dell’obbligazione.
L’inesatta esecuzione della prestazione deve essere imputabile alla parte inadempiente. Infine
l’inadempimento del contratto deve essere importante, e cioè grave , nel senso che non deve avere scarsa
importanza avuto riguardo all’interesse dell’altra parte. Gioca in merito un ruolo fondamentale il principio
di buona fede, dovendosi verificare in concreto, e quindi in relazione alla economia del contratto e alla
natura delle prestazioni, se l’inadempimento può considerarsi di tale importanza da non soddisfare l’interesse
della controparte.

10. Gli strumenti di tutela. L’adempimento coattivo.


Nei contratti con prestazioni corrispettive, quando uno dei contraenti non adempie le sue obbligazioni, l’altro
può a sua scelta chiedere l’adempimento oppure la risoluzione del contratto, salvo il risarcimento del danno.
Se la parte non inadempiente conserva l’interesse a conseguire l’adempimento, benché tardivo, può chiedere
l’adempimento (cd. adempimento coattivo) e quindi coltivare la realizzazione coattiva del contratto.
In definitiva l’adempimento coattivo si configura quale strumento accordato alla parte non adempiente, di
conseguire l’attuazione dell’assetto di interessi divisato con il contratto (non solo la realizzazione coattiva
dei diritti di credito, ma in generale l’attuazione coattiva del regolamento contrattuale).

11. La risoluzione del contratto.


Se la parte non inadempiente perde interesse all’adempimento, anche solo perché non ha più fiducia della
controparte, può chiedere la risoluzione del contratto e perseguire lo scioglimento del contratto.
La normativa più nutrita in materia di risoluzione del contratto è dedicata proprio alla risoluzione per
inadempimento proprio, per essere l’inadempimento stesso, la causa più diffusa di in attuazione del contratto.
Questi i caratteri della risoluzione:
a)La risoluzione determina lo scioglimento del vincolo e dunque del rapporto contrattuale; è un rimedio
“distruttivo” del contratto. Grave problema si ha quando le parti denunciano inadempimenti reciproci;
237
si deve allora verificare attraverso una valutazione comparata dei comportamenti delle parti, quale dei due
abbia efficienza causale nell’alterazione del sinallagma.
b) Ha effetto retroattivo tra le parti, salvo il caso di contratti ad esecuzione continuata o periodica,
riguardo ai quali, l’effetto della risoluzione non si estende alle prestazioni già eseguite; di regola, con la
risoluzione per inadempimento, le prestazioni già eseguite vanno restituite.
In particolare, per i contratti ad esecuzione istantanea (o unica), le prestazioni eseguite diventano prive di
giustificazione e vanno quindi restituite.
Per i contratti di durata (ad esecuzione continuata o periodica), l’effetto della risoluzione non si estende
alle prestazioni già eseguite; si ha cioè una inefficacia parziale del contratto.
c) La risoluzione non pregiudica i diritti acquistati dai terzi, salvi gli effetti della trascrizione della
domanda di risoluzione. C’è quindi una tutela preferenziale dei terzi rispetto all’interesse delle parti; a
differenza dell’annullamento, i terzi sono sempre tutelati, indipendentemente dal titolo di acquisto (oneroso o
gratuito) e dallo stato soggettivo (di buona o mala fede).
d) La risoluzione può essere giudiziale o di diritto, a seconda che intervenga per provvedimento del giudice,
o operi automaticamente.
La risoluzione giudiziale può essere domandata anche quando il giudizio è stato promosso per ottenere
l’adempimento, ma non più chiedersi l’adempimento quando la risoluzione è stata domandata; la domanda di
risoluzione del contratto denota in chi la propone, di non avere più interesse all’esecuzione del contratto; ciò
comporta che la parte inadempiente consideri inutile apprestare l’adempimento.
Correlativamente, l’inadempiente dalla data della domanda di risoluzione, non può più adempiere la propria
obbligazione, in quanto la parte che ha chiesto la risoluzione, potrebbe avere già reperito sul mercato la
prestazione non eseguita dalla controparte. In assenza di una norma sulla prescrizione, la domanda di
risoluzione è soggetta alla prescrizione ordinaria decennale, con decorrenza dalla data dell’inadempimento.
La sentenza di risoluzione ha efficacia costitutiva in quanto determina l’estinzione del rapporto contrattuale,
con lo scioglimento del vincolo che teneva unite le parti.

12. La risoluzione di diritto.


In determinate ipotesi la risoluzione opera di diritto (ipso iure), cioè automaticamente, al ricorrere di alcuni
presupposti; tratto comune è il riconoscimento ai privati del potere di realizzare la risoluzione del
contratto senza l’intervento del giudice, in quanto il ricorso all’autorità giudiziaria ha la sola funzione di
accertamento dei presupposti della risoluzione.
Il giudice che la accerta, emette una sentenza dichiarativa dell’avvenuta risoluzione di diritto.
Le ipotesi generali di risoluzione di diritto, sono la diffida ad adempiere, la clausola risolutiva espressa ed
il termine essenziale.
a)Diffida ad adempiere. La diffida ad adempiere integra un rimedio di autotutela in senso stretto, in quanto
è attribuito ad uno dei contraenti il potere di realizzare unilateralmente la risoluzione del contratto; la diffida
ad adempiere è un atto unilaterale negoziale che la parte non inadempiente indirizza alla controparte con lo
scopo di determinare la risoluzione ipso iure del contratto. Deve essere formulata per iscritto e contenere due
indicazioni; la intimazione di adempiere in un congruo termine (che non può essere inferiore ai 15 giorni),
e l’avvertimento che decorso inutilmente detto termine, il contratto s’intenderà senz’altro risoluto (decorso
tale termine senza che il contratto sia adempiuto, questo è risoluto di diritto).
La diffida ad adempiere ha una duplice funzione: da un lato pone le basi per la successiva risoluzione del
contratto allo scadere del termine assegnato, dall’altro vale a costituire in mora il debitore.
b) Clausola risolutiva espressa. E’ un meccanismo di risoluzione che deve essere espressamente previsto
dalle parti; risponde all’esigenza di rafforzare l’adempimento di specifiche obbligazioni, ovvero l’osservanza
di particolari modalità di adempimento, verso cui una parte nutre uno specifico interesse.
Presupposto essenziale è che la mancata esecuzione della prestazione dovuta, sia imputabile al debitore e che
ricorra un “inadempimento”, presumendo la legge l’importanza dell’inadempimento.

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c) Termine essenziale. Tale figura ricorre quando il termine di adempimento dell’obbligazione di una delle
parti deve considerarsi essenziale nell’interesse dell’altra, dato che un adempimento tardivo non procura le
utilità perseguite.

13. Il risarcimento del danno.


L’art. 1453 nell’accordare alla parte non inadempiente i due strumenti di tutela dell’adempimento e della
risoluzione, fa salvo in ogni caso il risarcimento del danno. L’entità del danno risarcibile è differente a
seconda che il risarcimento accompagni l’adempimento coattivo, limitandosi a reintegrare gli eventuali
danni aggiuntivi, o sostituisca l’adempimento procurando l’intero risultato perseguito con il contratto oltre i
danni aggiuntivi.
In assenza di una normativa specifica sul risarcimento del danno in tema di contratto, trova applicazione la
disciplina sul risarcimento per l’inadempimento dell’obbligazione attraverso una interpretazione estensiva
della stessa. Il risarcimento del danno operando in sostituzione della prestazione originaria, deve coprire il
cd. interesse positivo, cioè comprensivo sia della “perdita subita” dal contraente (cd. danno emergente),
che del “mancato guadagno” (cd. lucro cessante), in quanto ne siano conseguenza immediata e diretta.

14. Impossibilità sopravvenuta.


La impossibilità originaria di una prestazione, comportando un oggetto impossibile del contratto, è causa di
nullità dello stesso; più articolato è il discorso relativamente alla impossibilità sopravvenuta di una
prestazione.
Se la impossibilità sopravvenuta della prestazione si verifica per causa imputabile al debitore, la situazione
è assimilata all’inadempimento, e quindi la controparte ha diritto a chiedere la risoluzione per
inadempimento, oltre il risarcimento del danno.
Se invece la impossibilità sopravvenuta della prestazione si verifica per causa non imputabile al debitore,
la stessa determina l’estinzione dell’obbligazione.
Tale impossibilità deve essere oggettiva e definitiva e può essere invocata da entrambe le parti.
La risoluzione del contratto per impossibilità sopravvenuta della prestazione, con la conseguente possibilità
di attivare i rimedi istitutori, può essere invocata da entrambe le parti del rapporto sinallagmatico, cioè sia
dalla parte la cui prestazione sia divenuta impossibile, sia da quella la cui prestazione sia rimasta possibile;
l’impossibilità sopravvenuta della prestazione si ha anche nel caso in cui sia divenuta impossibile
l’utilizzazione della prestazione della controparte, quando tale impossibilità sia non imputabile al creditore.
L’impossibilità può inoltre atteggiarsi in vario modo (totale, parziale, temporanea etc), sicché incide in modo
diversificato sulla singola obbligazione, fino all’estinzione.
a)In presenza di sopravvenuta impossibilità totale della prestazione, si determina l’estinzione
dell’obbligazione; il soggetto che non ha eseguito la prestazione dovuta non è tenuto neppure all’obbligo di
risarcimento del danno; l’estinzione di una prestazione comporta anche l’estinzione della corrispettiva
prestazione, venendo meno la ragione giustificativa del rapporto contrattuale, perciò la parte liberata per la
sopravvenuta impossibilità della prestazione dovuta non può chiedere la controprestazione, e deve restituire
quella che abbia già ricevuto (in presenza di contratto plurilaterale con comunione di scopo, l’impossibilità
della prestazione di una parte non comporta lo scioglimento del contratto rispetto alle altre).
b) Ricorrendo una sopravvenuta impossibilità parziale della prestazione, di regola il debitore si libera
dall’obbligazione estinguendo la prestazione per la parte che è rimasta possibile; ne consegue una speculare
incidenza sulla prestazione corrispettiva e sull’intero contratto. Quando la prestazione di una parte è divenuta
solo parzialmente impossibile, l’altra parta ha diritto ad una corrispondente riduzione della prestazione
dovuta, nonché un potere di recesso dal contratto quando non abbia un interesse apprezzabile
all’adempimento parziale.

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c) Nell’ipotesi di impossibilità temporanea della prestazione dovuta, l’obbligazione si estingue se
l’impossibilità perdura fino a quando il debitore non può più essere ritenuto obbligato a eseguire la
prestazione, ovvero il creditore non ha più interesse a conseguirla.
d) Grave problema è quello dell’impossibilità della prestazione per causa imputabile al creditore, per non
essere la figura regolata dalla legge; assodato che l’impossibilità della prestazione comporta comunque la
risoluzione del contratto per l’inattualità del rapporto contrattuale programmato, c’è da stabilire le
conseguenza dell’imputabilità dell’impossibilità al creditore.

16. Eccessiva onerosità.


Nei contratti ad esecuzione differita e nei contratti di durata, l’esecuzione è procrastinata, o si svolge nel
tempo; si determina in sostanza un’alterazione del programmato rapporto di corrispettività.
La legge attribuisce al soggetto obbligato ad eseguire una prestazione divenuta eccessivamente onerosa, il
diritto di chiedere la risoluzione del contratto; ma circonda il rimedio di specifici limiti, al fine di evitare
che lo stesso possa costituire uno strumento di scioglimento dal contratto quando è venuto meno l’interesse
originario. Per l’art. 1467 devono ricorrere più presupposti:
a)Deve trattarsi di contratti ad esecuzione differita o di durata(continuata o periodica); di contratti la cui
esecuzione è differita, o si protrae nel tempo, ed il divario di valore deve intervenire quando una prestazione
è ancora dovuta.
b) La prestazione di una delle parti deve essere divenuta eccessivamente onerosa rispetto all’altra; la
maggiore onerosità di una prestazione rispetto all’altra deve essere eccessiva, e cioè notevole.
c) Infine l’eccessiva onerosità deve connettersi al verificarsi di avvenimenti straordinari ed
imprevedibili; gli avvenimenti devono dunque essere eccezionali rispetto al normale ed oggettivo evolvere
dei rapporti economici.
Poiché ogni contratto comporta un minimo di incertezza circa la convenienza economica dell’affare, la
risoluzione non può essere domandata se la sopravvenuta onerosità rientra nell’alea normale del contratto; la
parte che deve la prestazione divenuta eccessivamente onerosa può domandare la risoluzione del contratto, la
quale ha effetto retroattivo tra le parti, con salvezza delle prestazioni già eseguite nei contratti di durata.
La controprestazione eventualmente già eseguita deve essere restituita in quanto priva di giustificazione.
La parte contro la quale è domandata la risoluzione può evitarla mediante offerta di equa modifica delle
condizioni contrattuali.

PARTE IX –SINGOLI CONTRATTI

CAPITOLO 1 – CONTRATTI DI ALIENAZIONE DI BENI


-A) VENDITA. 1. Scherma generale; 2. Le obbligazioni del venditore; 3. Le obbligazioni del compratore;
4. Limitazioni convenzionali dei diritti del compratore. 5. Vendita di immobili; 7. Vendita di cose mobili;
8. La vendita di beni di consumo; 9. La vendita di beni mobili registrati.

A)VENDITA
1. Scherma generale.
La vendita è il più diffuso contratto di scambio riguardante l’alienazione di beni; nel codice civile, la
relativa disciplina si presenta molto articolata, con la previsione di “disposizioni generali” che integrano lo
scherma generale, e singole normative per determinati sottotipi di vendita.
a)Rispetto alla formazione, è un contratto consensuale, perfezionandosi la conclusione del contratto con il
consenso delle parti;
b) Quanto al contenuto, è un contratto a titolo oneroso (con prestazioni corrispettive). Per l’art. 1470 la
vendita ha per oggetto il trasferimento di proprietà di una cosa o il trasferimento di un altro diritto verso il

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corrispettivo di un prezzo; lo scambio di cosa con prezzo, rappresenta la causa tipica ed indefettibile della
vendita che rende tale contratto lo strumento più diffuso di appagamento di bisogni.
Oggetto della vendita è il trasferimento di un diritto; può riguardare un diritto reale come un diritto di
credito, o anche una situazione più complessa; ulteriore oggetto della vendita è il pagamento di un prezzo,
che deve essere determinato o determinabile, ed espresso comunque in moneta.
La determinazione del prezzo può essere affidata ad un terzo eletto nel contratto, o da eleggere
posteriormente;
c) Con riguardo all’efficacia, è un contratto tipicamente con effetti reali, per realizzarsi il trasferimento del
diritto venduto per effetto del consenso delle parti legittimamente manifestato (per questo motivo la vendita è
tipicamente un contratto traslativo).
L’acquisto del compratore è mediato dall’obbligazione dell’alienante di fare acquistare il trasferimento del
diritto (si parla di vendita obbligatoria); il vincolo obbligatorio è strumentale al determinarsi dei
presupposti perché si realizzi il risultato traslativo disposto con il contratto. Anche la vendita obbligatoria è
un contratto traslativo, con la caratteristica però che l’effetto reale è differito a seguito del comportamento
dovuto dal venditore per la produzione dell’effetto traslativo, che interverrà automaticamente dopo
l’esecuzione degli obblighi in virtù dell’unico contratto.
Analogo fenomeno si riscontra nella vendita di cosa futura, dove il differimento dell’effetto traslativo
prescinde anche dall’attività del venditore; l’acquisto della proprietà si verifica appena la cosa viene ad
esistenza.
Dalla vendita derivano ulteriori effetti obbligatori, per le varie prestazioni cui sono tenute le parti (consegna,
pagamento del prezzo); tali obbligazioni si aggiungono all’attribuzione traslativa facente carico al venditore;
d) Le spese del contratto di vendita e le altre accessorie sono a carico del compratore.

2. Le obbligazioni del venditore.


Per l’art. 1476 le obbligazioni principali del venditore sono 1) quella di consegnare la cosa al compratore; 2)
quella di fargli acquistare la proprietà della cosa o il diritto; 3) quella di garantire il compratore dall’evizione
e dai vizi della cosa.
a)L’obbligazione di consegna consiste nel procurare la materiale disponibilità della cosa venduta. Per l’art.
1477 la cosa deve essere consegnata nello stato in cui si trovava al momento della vendita; la cosa deve
essere consegnata insieme con gli accessori ed i frutti, dal giorno della vendita;
b) L’obbligazione di fare acquistare la proprietà o altro diritto, quando l’acquisto non è effetto immediato
del contratto;
c) La garanzia per evizione e vizi della cosa non integra l’oggetto di un’autonoma obbligazione, ma
esprime una responsabilità speciale del venditore per l’inattuazione del risultato programmato. Tale garanzia
deriva dalla legge (garanzia legale) e si configura come effetto naturale del contratto nel senso che consegue
al contratto, ma che le parti possono convenzionalmente escludere o modificare.
1) La garanzia per evizione inerisce alla titolarità del diritto e mira a proteggere il compratore nell’esercizio
del diritto acquistato. Con tale garanzia è accordata al compratore la tutela contro la sottrazione totale o
parziale della cosa per diritti vantati da terzi sulla cosa.
In ipotesi di evizione totale, il venditore è tenuto a restituire al compratore il prezzo eventualmente pagato,
oltre al risarcimento dei danni e alla corresponsione delle spese sostenute dal compratore.
Nell’ipotesi di evizione parziale si applica la disciplina della vendita di cosa parzialmente altrui; il
compratore può chiedere la risoluzione del contratto ed il risarcimento del danno, quando deve ritenersi, che
non avrebbe acquistato la cosa senza quella parte di cui non è divenuto proprietario.
Contro il pericolo di evizione la legge accorda al compratore un rimedio di autotutela al fine di preservare il
rapporto di corrispettività. Le parti possono escludere o modificare la portata della garanzia; in ogni caso il
venditore è sempre tenuto per la evizione derivante da fatto proprio, con la nullità di ogni patto contrario.

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2) La garanzia per vizi della cosa impone l’obbligo di garantire che la cosa venduta sia immune da vizi
che la rendano inidonea all’uso a cui è destinata o ne diminuiscano il valore.
A differenza della garanzia per evizione, la garanzia per vizi inerisce al bene procurato, nella sua materialità
e nel suo statuto giuridico. La disciplina della garanzia si lega al principio del consenso traslativo, per cui il
perimento fortuito della cosa dopo il trasferimento della proprietà non libera l’acquirente dall’obbligo di
eseguire la controprestazione.
Non è dovuta la garanzia se, al momento del contratto il compratore conosceva i vizi della cosa; è dunque
una garanzia per vizi occulti. In presenza di vizi il compratore può domandare a sua scelta la risoluzione
del contratto, oppure la riduzione del prezzo, salvo che per determinati vizi, gli usi escludano la
risoluzione.
La scelta tra i due rimedi è irrevocabile quando è fatta con la domanda giudiziale; se la cosa consegnata è
perita in conseguenza dei vizi, il compratore ha egualmente diritto alla risoluzione del contratto; se è perita
per caso fortuito o per colpa del compratore, o se questi l’ha alienata o trasformata per utilizzarla, può
domandare solo la riduzione del prezzo.
L’azione si prescrive in 1 anno dalla consegna, ma il compratore, che sia convenuto per l’esecuzione del
contratto, può sempre far valere la garanzia purché il vizio della cosa sia stato denunziato entro 8 giorni dalla
scoperta e prima del decorso dell’anno dalla consegna.
3) Secondo un consolidato indirizzo della Corte Suprema, qualora la cosa consegnata sia completamente
diversa da quella pattuita, ricorre l’ipotesi della consegna che dà luogo ad un’ordinaria azione di risoluzione.

3. Le obbligazioni del compratore.


Il compratore è obbligato a pagare il prezzo nel termine e nel luogo fissati dal contratto ed in mancanza
di pattuizione, il pagamento deve avvenire al momento e nel luogo della consegna secondo un principio di
contestualità dell’esecuzione delle prestazioni. Se il prezzo non si deve pagare al momento della consegna, il
pagamento si fa al domicilio del venditore; per quanto riguarda la determinazione del luogo di pagamento del
prezzo incide sulla individuazione della competenza territoriale in base al criterio del foro facoltativo del
cd. forum destinatae solutionis.

4. Limitazioni convenzionali dei diritti del compratore.


La produzione dell’effetto traslativo determina in capo al compratore l’acquisto del diritto, che può essere
liberamente esercitata nei limiti e con i vincoli fissati dalla legge. E’ consentito però alle parti introdurre
delle limitazioni alla posizione soggettiva del compratore, in modo tale che le parti possono imporre al
compratore un divieto di alienazione in favore dello stesso venditore o di un terzo, nei limiti previsti dalla
legge. In tema di vendita sono disciplinati due modi di incidere sulla posizione soggettiva del compratore: il
patto di riscatto ed il patto di riserva della proprietà.
a)Patto di riscatto. Nella vendita con patto di riscatto (riscatto convenzionale) il venditore si riserva il
diritto di riavere la proprietà della cosa venduta, dietro restituzione del prezzo e i rimborsi stabiliti dalla
legge; tale patto mira a soddisfare l’esigenza del venditore di procurarsi liquidità attraverso
l’incameramento del prezzo, conservandogli il diritto di riavere il bene.
Il diritto di riscatto si configura come un diritto potestativo, il cui esercizio è sottoposto a termine di
decadenza: non può essere maggiore ai 2 anni nella vendita di cose mobili e di 5 anni per la vendita di
immobili; se le parti stabiliscono un termine maggiore, esso si riduce a quello legale.
Il venditore, con l’esercizio di riscatto deve restituire al compratore il prezzo e rimborsargli le spese ed ogni
altro pagamento fatto per la vendita. L’esercizio del riscatto ha efficacia reale, con effetti retroattivi tra le
parti, opponibile ai terzi. Il riscatto determina l’automatico ritrasferimento del diritto in capo al venditore
senza la necessità di un successivo atto dispositivo.

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Spesso il patto di riscatto tende a coprire uno scopo di garanzia; il venditore vende il bene al compratore,
ricevendone il prezzo; se è in grado di restituire il prezzo, esercita il riscatto e quindi ritorna ad essere
proprietario del bene, altrimenti questo rimane in proprietà dell’acquirente.
Diverso è il contratto risolutivo della vendita (un nuovo contratto con il quale le parti eliminano gli effetti
della vendita, ed è ripristinatorio delle precedenti posizioni giuridiche; diverso ancora è il patto di
retrovendita (con cui il compratore assume l’obbligazione di stipulare un successivo contratto di vendita
che trasferisca al venditore il bene acquistato). Il patto di retrovendita ha efficacia obbligatoria tra le parti,
per cui, se il compratore non conclude il nuovo contratto di vendita, il venditore può avvalersi solo del
normale rimedio della esecuzione in forma specifica degli obblighi a contrarre.
b) Riserva di proprietà. La vendita con riserva di proprietà è disciplinata sotto il titolo dedicato alla vendita
di cose mobile; questa mira a rafforzare la posizione del venditore, con il differimento del trasferimento della
proprietà al momento del pagamento del prezzo.
Per l’art. 1523 nella vendita a rate con riserva della proprietà, il compratore acquista la proprietà della cosa
con il pagamento dell’ultima rata di prezzo, ma assume i rischi dal momento della consegna; il pagamento
rateizzato è solo la fattispecie più diffusa cui si connette la riserva di proprietà, ma questa può essere
stipulata ogni volta che si determina un differimento del pagamento del prezzo rispetto alla consegna.
Per effetto del patto di riservato dominio, consegue un doppio vincolo di destinazione del bene venduto, in
quanto da un lato, il bene è destinato alla utilizzazione del compratore e a pervenire nel suo patrimonio al
momento del pagamento integrale del prezzo, sicchè al venditore è vietato ogni atto in grado di distogliere il
bene da tale destinazione; dall’altro, lo stesso bene è destinato a garantire il venditore per l’ipotesi di
mancato pagamento del prezzo, sicchè il compratore non può compiere alcun atto in grado di sottrarre il bene
a tale seconda destinazione.
Il patto mira a favorire la collocazione dei beni, originando il formarsi di distinte situazioni reali in capo ai
contraenti, con fondamento ed obiettivi diversi da quelli perseguiti dai tradizionali diritti reali tendenti allo
sfruttamento del bene.

5. Vendita di immobili.
a)La vendita di beni immobili è un negozio solenne, richiedendo l’art. 1350 la forma scritta (scrittura
privata o atto pubblico) a pena di nullità per i contratti dispositivi di diritti reali su immobili.
b) Problema delicato è la identificazione dell’immobile venduto, come requisito essenziale di
determinazione dell’oggetto del contratto; l’individualità dell’immobile si fonda sulla posizione che lo stesso
assume nei confronti degli altri immobili che sono sulla stessa superficie.
c) Gli articoli in tema di vendita di cose immobili non attengono alla identificazione dell’immobile, bensì
alla determinazione della consistenza dello stesso, in ragione del prezzo pattuito.
Si ha vendita a misura quando un determinato immobile è venduto con l’indicazione della sua misura e per
un prezzo stabilito per ogni unità di misura; il prezzo di vendita deve cioè rappresentare il risultato di un
computo della estensione dell’immobile per il prezzo concordato per unità di misura.
Se il prezzo complessivo stabilito risulta difforme dal computo del prezzo unitario per la estensione effettiva
del bene, ciascuno dei contraenti può chiedere la rettifica del prezzo fissato; se la misura del bene indicata
nel contratto risulta superiore a quella effettiva, il compratore ha diritto ad una riduzione del prezzo; se la
misura indicata dal contratto risulta inferiore a quella effettiva, è il venditore che ha diritto al supplemento
del prezzo.
Si ha vendita a corpo quando il prezzo è determinato in relazione al corpo dell’immobile e non alla sua
misura, sebbene questa sia stata indicata; si prescinde cioè dalla valutazione della unità di misura, per essere
il prezzo determinato in maniera globale relativamente al bene nella sua globalità come identificato nel
contratto.
Entrambi i tipi di vendita si addicono sia al trasferimento di terreni che di fabbricati, essendo utilizzabili
sistemi di misurazione per entrambe le categorie di beni. L’indicazione della misura dell’immobile non è

243
significativa del tipo di vendita adottato; decisiva è la funzione della indicazione: se la misura è fissata in
ragione della determinazione del prezzo, si ha vendita a misura, se viceversa è svincolata da tale relazione, si
ha vendita a corpo.

7. Vendita di cose mobili.


E’ il contratto che ciascuno compie per soddisfare le proprie esigenze; poiché i beni mobili acquistati sono
sempre maggiormente prodotti di impresa, la disciplina della stessa involge i rapporti tra imprese e
consumatori.
Per rappresentare il bene procurato si è solito parlare di contratto di fornitura che include la
corresponsione sia di cose che di servizi. La disciplina è di carattere dispositivo, sicché di regola sono fatti
salvi il patto o uso contrari; ma in un mercato di massa che si svolge attraverso contratti uniformi, è difficile
rintracciare deroghe alla regole del codice, e quando ciò avviene è perché il potere contrattuale della parte
acquirente riesce ad imporsi alla parte venditrice.
a)Quanto al luogo di consegna, nella vendita su piazza la consegna della cosa deve avvenire nel luogo dove
questa si trovava al tempo della vendita, se le parti ne erano a conoscenza, o nel luogo dove il venditore
aveva il suo domicilio o la sede dell’impresa. Nella vendita tra piazze diverse, in cui la cosa deve essere
trasportata da un luogo all’altro, il venditore si libera dall’obbligo della consegna rimettendo la cosa allo
spedizioniere, ma le spese del trasporto sono a carico del compratore.
b) Con riguardo alla conformità del bene venduto, è prevista la garanzia di buon funzionamento. Trattasi
di una garanzia convenzionale, con la quale il venditore garantisce per un tempo determinato il buon
funzionamento della cosa venduta. Il giudice secondo le circostanze, può assegnare al venditore un termine
per sostituire o riparare la cosa in modo da assicurarne il buon funzionamento.
c) La verifica del bene è spesso considerata nella stipulazione del contratto; si ha vendita con riserva di
godimento, quando la vendita non si perfeziona fino a che il gradimento del compratore non sia comunicato
al venditore, e si ha vendita a prova quando la vendita è fatta sotto la condizione sospensiva che la cosa
abbia le qualità pattuite o sia idonea all’uso a cui è destinata;
infine si ha vendita su campione quando la vendita è perfetta ed efficace, ed il campione deve servire come
esclusivo paragone per la qualità della merce.
e) E’ previsto l’impiego di titoli rappresentativi di merci (polizze di carico, duplicato della lettera di
vettura), utilizzati di regola nel commercio tra piazze diverse. Nella vendita su documenti, il venditore si
libera dall’obbligo di consegna rimettendo al compratore il titolo rappresentativo della merce, e gli altri
documenti stabiliti dal contratto o, in mancanza, dagli usi.

8. La vendita di beni di consumo.


La disciplina si colloca nel quadro di tutela dei diritti dei consumatori nei rapporti con i professionisti.
a)Si considera “bene del consumo” qualsiasi bene mobile, anche da assemblare, tranne i beni oggetto di
vendita forzata, l’acqua e il gas, l’energia elettrica; ai contratti di vendita sono equiparati i contratti di
permuta e di appalto e tutti gli altri contratti finalizzati alla fornitura di beni di consumo da fabbricare o
produrre.
c) La legge fissa specifici requisiti di conformità del bene al contratto; in particolare l’art. 129 presume
che i beni di consumo sono conformi al contratto quando coesistono le seguenti circostanze: a) sono idonei
all’uso al quale servono abitualmente beni dello stesso tipo; b) sono conformi alla descrizione fatta dal
venditore e possiedono le qualità del bene che il venditore ha presentato al consumatore come campione.
Pure in presenza dei detti requisiti non vi è difetto di conformità se al momento della conclusione del
contratto, il consumatore era a conoscenza del difetto o non poteva ignorarlo con ordinaria diligenza.
d) Un divario rispetto alla disciplina del codice civile riguarda la tutela del compratore; in caso di difetto di
conformità, il consumatore può avvalersi dei seguenti rimedi: il ripristino della conformità del bene, o la
restituzione delle prestazioni totale o parziale.

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E’ però possibile esercitare i secondi rimedi ove ricorra una delle seguenti situazioni: a) la ripartizione e la
sostituzione sono impossibili o eccessivamente onerose; b) il venditore non ha provveduto alla riparazione o
alla sostituzione del bene entro il termine congruo stabilito.

9. La vendita di beni mobili registrati.


Manca una disciplina organica della vendita di beni mobili registrati, perciò in assenza di una normativa
speciale si applica la disciplina propria delle cose mobili. In particolare gli atti costitutivi, traslativi o estintivi
di proprietà devono essere fatti per iscritto a pena di nullità. Gli stessi atti devono essere resi pubblici
mediante trascrizione nella matricola, ed annotazione sull’atto di nazionalità ovvero mediante trascrizione
nel registro aeronautico ed annotazione sul certificato di immatricolazione.

CAPITOLO 3 – CONTRATTI DI COOPERAZIONE GIURIDICA


-A) MANDATO. 1. Lo schema generale; 2. Mandato e rappresentanza; 3. Le obbligazioni delle parti;
4. L’estinzione del mandato; 5. Commissione; 6. Spedizione.

A)MANDATO
1. Lo schema generale.
Il mandato si inquadra nella categoria dei contratti di cooperazione giuridica, ed esprime il modello generale
di riferimento per tutte le ipotesi in cui un soggetto si avvalga dell’ausilio di altri per il compimento di
un’attività giuridica.
Lo scorrere della vita quotidiana non consente allo stesso soggetto di curare personalmente i propri affari; c’è
quindi la necessità di avvalersi dell’azione di altri soggetti, cui affidare la gestione di singoli rapporti.
Questo dato materiale e costante della gestione dell’interesse altrui sottende e caratterizza ogni contratto di
mandato. Una figura particolare è il mandato in rem propriam che si ha quando il mandatario realizza nel
compimento del negozio gestorio, anche un interesse proprio; tale tipo di mandato si ha con riguardo al
mandato all’incasso irrevocabile, che può essere o meno accompagnato dal diritto di utilizzazione del
danaro da parte del mandatario.
Il mandato è il contratto con il quale una parte (mandataria) si obbliga a compiere uno o più atti giuridici
per conto dell’altra (mandante); anche il mandato rientra nell’ampia categoria dei contratti che hanno ad
oggetto un facere, ed in questa prospettiva esso è anche riconducibile alla locatio operis per non svolgersi
l’attività del mandatario alle dipendenze del mandante.
La peculiarità del mandato sta nella natura della prestazione e dell’oggetto realizzato; la prestazione del
mandatario consiste nel compimento di atti giuridici, mentre l’oggetto sta nel procurare un risultato di
carattere giuridico.
Per quanto riguarda i caratteri del contratto di mandato:
a)Il mandato è un contratto consensuale con efficacia obbligatoria. In virtù del contratto il mandatario
assume l’obbligazione di curare il compimento di atti giuridici nell’interesse del mandante (dominus); l’atto
compiuto dal mandatario evidenzia quindi un divario tra autore formale dell’atto e titolare dell’interesse
regolato, in quanto il mandatario (gestore o sostituto) realizza un interesse di un altro soggetto
(gerito o sostituito). In sostanza il mandatario conclude un affare per conto del mandante.
b) Il mandato può essere conferito da un solo mandante, come da più mandanti (mandato collettivo);
analogamente il mandato può essere conferito ad un solo mandatario o ad una pluralità di mandatari, ed in
questo ultimo caso, il mandato può essere disgiuntivo o congiuntivo a seconda che i vari mandatari possano
agire separatamente o siano vincolati ad agire insieme.
c) Il mandato comprende non solo gli atti per i quali è stato conferito, ma anche quelli necessari al
compimento; può essere conferito per affari specifici (mandato speciale) o per una pluralità di affari o
addirittura per tutti gli affari del mandante (mandato generale).

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d) In ogni caso il mandato si presume oneroso; la misura del compenso, se non è stabilita dalle parti, è
determinata in base alle tariffe professionali o agli usi; in mancanza è determinata dal giudice.

2. Mandato e rappresentanza.
Il mandato può essere con rappresentanza oppure senza rappresentanza.
a)Mandato con rappresentanza. Mediante procura è conferito al mandatario il potere di rappresentanza del
soggetto interessato, sicché il mandatario (ad un tempo rappresentante) agisce non solo per conto proprio, ma
anche in nome altrui mediante spendita del nome del mandante (rappresentato).
Il mandato è il contratto che regola il rapporto gestorio interno tra mandante e mandatario e che giustifica il
perché un soggetto assuma l’obbligazione di curare l’interesse altrui con il compimento di atti giuridici,
mentre la procura è atto unilaterale di conferimento del potere rappresentativo, con la funzione di
autorizzare la spendita del nome altrui e di determinare quindi l’efficacia nella sfera giuridica del mandante,
degli atti giuridici compiuti dal mandatario.
b) Nel mandato senza rappresentanza il mandatario agisce nell’interesse altrui, ma senza spendita del
nome altrui, cioè non si presenta come rappresentante del mandante. Per la regola generale dell’art. 1705 il
mandatario che agisce in proprio nome acquista i diritti ed assume gli obblighi derivanti dagli atti compiuti
con i terzi, i quali non hanno alcun rapporto col mandante.
Un mandato senza rappresentanza dà luogo alla figura dell’interposizione reale (o gestoria) di persona
(detta anche rappresentanza indiretta o impropria). Per l’assenza della spendita del nome del mandante, il
negozio concluso dal mandatario senza rappresentanza produce effetti giuridici nel patrimonio del
mandatario.
Anche in assenza di conferimento di potere rappresentativo, esistono ipotesi di tutela diretta del mandante
verso il terzo; mentre al terzo non è riconosciuto alcun diritto contro il mandante, al mandate è accordato il
diritto di agire direttamente verso il terzo per il soddisfacimento degli interessi derivanti dal contratto
concluso dal mandatario. E ciò sia per evitare ritardi nel ritrasferimento del mandatario infedele, sia per
rendere più spedita la definizione dell’operazione, evitando la prolungata paralisi dei beni coinvolti.
Con riguardo agli effetti obbligatori, il mandante, sostituendosi al mandatario può esercitare i diritti di
credito derivanti dall’esecuzione del mandato; il mandante può far valere i soli diritti conseguenti al contratto
oggetto di mandato (ad es. il mandatario vende al terzo un bene di proprietà del mandante, e quest’ultimo
può richiedere al terzo l’ adempimento dell’obbligazione di pagamento del prezzo).
Un trattamento più articolato è compiuto con riguardo agli effetti reali, per il diverso regime di circolazione
giuridica dei beni immobili e mobili registrati rispetto ai beni mobili non registrati; il mandante può
rivendicare le cose mobili acquistate per suo conto dal mandatario che ha agito in nome proprio.
Se le cose acquistate dal mandatario sono beni immobili o beni mobili iscritti in pubblici registri, il
mandatario è obbligato a ritrasferire gli stessi al mandante; in caso di inadempimento, si osservano le
norme relative all’esecuzione dell’obbligo di contrarre, per cui il mandante può ottenere una sentenza
costitutiva che tiene luogo del contratto non concluso, producendo gli effetti dello stesso.

3. Le obbligazioni delle parti.


Dal mandato derivano obbligazioni a carico di entrambe le parti.
a)Obbligazioni del mandatario. Obbligazione peculiare del mandatario è quella di compiere gli atti
giuridici previsti nel contratto di mandato; il compimento di tali atti costituisce adempimento
dell’obbligazione del mandatario.
Connessa a tale obbligazione è quella del ritrasferimento degli effetti del negozio gestorio nella sfera
giuridica del mandante.
Nell’esecuzione della prestazione il mandatario deve tenere la diligenza del buon padre di famiglia.

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Nell’espletamento dell’incarico, il mandatario non può eccedere i limiti fissati nel mandato, rimanendo a
suo carico l’atto non ratificato dal mandante; il mandatario elabora così la volontà negoziale del contratto che
andrà a concludere nell’interesse del mandante.
Il mandato è sorretto dalla fiducia riposta dal mandante nella persona del mandatario, e perciò il mandatario
non può farsi sostituire da terzi nell’espletamento dell’incarico.
Esaurito l’incarico, sul mandatario gravano i seguenti obblighi: comunicare tempestivamente l’esecuzione
del mandato, rendere il conto del suo operato e rimettere quanto ha ricevuto a causa del mandato.
b) Obbligazioni del mandante. Agendo il mandatario nell’interesse del mandante, questi è tenuto a
corrispondere al mandatario i mezzi necessari per l’adempimento delle obbligazioni che il mandatario ha
contratto in proprio nome; inoltre il mandante deve rimborsare al mandatario le anticipazioni con gli interessi
legali dal giorno in cui sono state fatte, e deve pagargli il compenso spettantegli.

4. L’estinzione del mandato.


La legge indica più cause di estinzione del mandato, ma gli atti che il mandatario ha compiuto prima di
conoscere l’estinzione del mandato sono validi nei confronti del mandante o dei suoi eredi; tali cause sono
tassative:
a)Scadenza del termine o compimento dell’affare. Il mandato si estingue per scadenza del termine o per il
compimento da parte del mandatario dell’affare per il quale il mandato è stato conferito;
b) Revoca del mandante. Essendo il rapporto di mandato fondato sull’intuitus personae, il mandante può
revocare in ogni momento il mandato; ma se era stata pattuita l’irrevocabilità, risponde dei danni. Quando il
mandato è conferito anche nell’interesse altrui, non può essere revocato salvo che sia diversamente stabilito,
e non si estingue neppure per la morte.
Se il mandato è conferito per un tempo determinato o per un determinato affare, la revoca dello stesso
obbliga il mandante a risarcire i danni, quando la revoca interviene prima della scadenza del termine o del
compimento dell’ affare.
Se il mandato è a tempo indeterminato, la revoca obbliga il mandante al risarcimento qualora non sia stato
dato un congruo preavviso. E’ ammessa la revoca tacita del mandato.
c) Rinunzia del mandatario. Anche il mandatario può in ogni momento rinunziare al mandato, ma la
rinuncia deve essere fatta nei modi e nei tempi tali che il mandante possa provvedere altrimenti. Però il
mandatario che rinunzia senza giusta causa al mandato, deve risarcire i danni al mandante; se il mandato è a
tempo indeterminato il mandatario che rinunzia senza giusta causa è tenuto al risarcimento qualora non abbia
dato un congruo preavviso.
d) Morte o incapacità. Il mandato si estingue infine per la morte o incapacità legale (interdizione o
inabilitazione) del mandante o del mandatario.
Quando il mandato si estingue per morte o per incapacità sopravvenuta del mandante, il mandatario che ha
iniziato l’esecuzione deve continuarla, se vi è pericolo nel ritardo; quando il mandato si estingue per morte o
per sopravvenuta incapacità del mandatario, i suoi eredi o colui che lo rappresenta, o lo assiste, se hanno
conoscenza del mandato devono avvertire prontamente il mandante e prendere nell’interesse di questo i
provvedimenti richiesti dalle circostanze.

5. Commissione.
Figure qualificate di mandato sono la commissione e la spedizione in ragione della specificità dell’oggetto
del mandato.
In relazione alla commissione è emersa la tendenza delle imprese produttrici a liberarsi dalle responsabilità e
dai costi connessi all’organizzazione e alla gestione della rete distributiva attraverso il ricorso ad una fitta
rete di intermediari. Commissione e spedizione sono due sottotipi di mandato, suscettibili di essere utilizzati
da chiunque, ma nella prospettiva della distribuzione denotano la peculiarità della relativa disciplina.

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Per l’art. 1731 il contratto di commissione è un mandato che ha per oggetto l’acquisto o la vendita di beni
per conto del committente ed in nome del commissionario.
Trattasi di una specie di mandato senza rappresentanza per agire il commissionario senza spendita del nome
del committente; il commissionario assume le obbligazioni proprie del mandatario ed il committente quelle
proprie del mandante.
Questo tipo di contratto è correntemente utilizzato nella distribuzione di prodotti delle grandi imprese (ad es.
è diffuso nel mercato delle autovetture); per l’attività svolta, il commissionario ha diritto ad una
provvigione, la cui misura si determina secondo gli usi del luogo in cui si è compiuto l’affare.
Il commissionario può inoltre compiere iterazioni a fido; si presume cioè che il commissionario sia
autorizzato a concedere dilazioni di pagamento in conformità degli usi del luogo in cui compie
l’operazione, indicando al committente la persona del contraente ed il termine concesso, altrimenti
l’operazione si considera fatta senza dilazione.
Quando il mandato ha ad oggetto la vendita o l’acquisto di cose che hanno un prezzo corrente, è consentito
il contratto con se stesso con la cd. entrata del commissionario nel contratto. Il committente può revocare
l’ordine di concludere l’affare fino a che il commissionario non l’abbia concluso; ma spetta al
commissionario una parte della provvigione in ragione delle spese sostenute e dell’opera prestata.

6. Spedizione.
Il contratto di spedizione si specifica rispetto al mandato per inerire ai soli affari di trasporto. Per l’art.
1737 il contratto di spedizione è un mandato con il quale lo spedizioniere assume l’obbligo di concludere, in
nome proprio e per conto del mandante un contratto di trasporto e di compiere le operazioni accessorie
(imballaggio, caricamento sul mezzo di trasporto); è quindi un mandato senza rappresentanza, per assenza di
spendita del nome del mandante.
A carico dello spedizioniere grava l’obbligo di attenersi alle istruzioni del committente, ed in mancanza, ad
operare secondo il migliore interesse del medesimo; salvo patto contrario i premi ed i vantaggi di tariffa
ottenuti dallo spedizioniere devono essere accreditati al committente.
Trattandosi di un’attività professionale, lo spedizioniere ha diritto alla retribuzioni per l’esecuzione
dell’incarico, oltre al rimborso delle spese (le spese anticipate ed i compensi per le prestazioni accessorie
eseguite dallo spedizioniere sono liquidati sulla base dei documenti giustificativi).
Come per la commissione, finché lo spedizioniere non abbia concluso il contratto di trasporto, il mittente può
revocare l’ordine di spedizione, rimborsando allo spedizioniere le spese sostenute, corrispondendogli un
equo compenso per l’attività prestata. Quindi lo spedizioniere è solo obbligato a concludere un contratto di
trasporto, quindi con una norma di chiusura della disciplina della spedizione è prevista la figura dello
spedizioniere-vettore; per l’art. 1741 quando lo spedizioniere con mezzi propri o altrui assume l’esecuzione
del trasporto in tutto o in parte, ha gli obblighi e i diritti del vettore.

CAPITOLO 4 – CONTRATTI DI GODIMENTO


1.Locazione; 2. Obbligazioni del locatore e del conduttore; 5. Leasing; 6. Comodato; 7. Il mutuo;
8. Onerosità del mutuo e obbligazione degli interessi; 9.Mutuo di scopo.

1.Locazione.
Secondo l’art. 1571, la locazione è il contratto con il quale una parte si obbliga a far godere all’altra una
cosa mobile o immobile per un dato tempo, verso un determinato corrispettivo; con tale contratto, da una
parte, un soggetto (locatore) realizza le potenzialità economiche del bene di cui può disporre
indipendentemente dal suo godimento diretto; dall’altra, un altro soggetto (locatario) si assicura il
soddisfacimento delle esigenze legate al godimento di un bene con uno sforzo economico relativamente
modesto, rappresentato dall’effettuazione di una prestazione quale corrispettivo del godimento conseguito.

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Nello schema del codice, la locazione assume la veste di genere contrattuale, cui sono dedicate disposizioni
generale seguite da una disciplina specifica della locazione di fondi urbani.
La rilevanza sociale degli interessi coinvolti nei tipi di locazione aventi nel disegno codicistico una disciplina
peculiare, ha indotto il legislatore a farne oggetto di una regolamentazione attenta alle esigenze sociali da
soddisfare.
Oggetto della locazione può essere qualsiasi cosa, mobile o immobile; la locazione di cose mobili è definita
nolo oppure noleggio (terminologia usata per designare particolari rapporti contrattuali, concernenti navi e
aeromobili, disciplinati nel codice della navigazione). L’affitto poi si distingue nel quadro generale della
locazione per avere come oggetto il godimento di cosa produttiva, mobile o immobile.
La locazione si configura come contratto consensuale ad effetti obbligatori, a prestazioni corrispettive e
di durata. Il corrispettivo del godimento può essere rappresentato da qualunque prestazione del
conduttore; la durata della locazione è limitata nel massimo a 30 anni.
La locazione per una durata superiore ai 9 anni è atto eccedente l’ordinaria amministrazione.
Materia di risalente e ricorrente controversia è la natura della situazione giuridica che la locazione assicura
al conduttore. Alla locazione si applica la regola generale per cui il contratto a prestazioni corrispettive non
può essere ceduto ad altri senza il consenso della controparte; è invece previsto che il conduttore abbia la
facoltà di sublocare la cosa locatagli.
La diversità della disciplina deriva dal presentarsi la sublocazione come creazione di un nuovo e diverso
rapporto tra conduttore e terzo, caratterizzato da un proprio contenuto.

2. Obbligazioni del locatore e del conduttore.


Quanto alle obbligazioni principali del locatore egli deve: 1) consegnare al conduttore la cosa locata in
buono stato di manutenzione; 2) mantenerla in stato da servire all’uso convenuto; 3) garantirne il pacifico
godimento durante la locazione.
Se la cosa locata è affetta da vizi tali da diminuirne l’idoneità all’uso pattuito, il conduttore può domandare la
risoluzione del contratto o una riduzione del corrispettivo. Il locatore è tenuto a risarcire al conduttore i
danni derivati da vizi della cosa.
Per quanto concerne il mantenimento della cosa in buono stato locativo, il locatore deve eseguire le
riparazioni necessarie. Il conduttore è tenuto a dare avviso al locatore della necessità di riparazioni che non
siano a suo carico, potendo direttamente provvedere a quelle urgenti.
Le obbligazioni principali del conduttore sono quelle di: 1) prendere in consegna la cosa ed osservare la
diligenza del buon padre di famiglia nel servirsene per l’uso determinato nel contratto; 2) dare il corrispettivo
nei termini convenuti.
Il conduttore al termine della locazione deve restituire la cosa locata nello stesso stato in cui l’ha ricevuta,
salvo il perimento ed il normale deterioramento dovuti a vetustà; salvo disposizioni particolari della legge, il
conduttore non ha diritto ad essere indennizzato per i miglioramenti apportati alla cosa locata.

5. Leasing.
La terminologia di leasing è venuta formandosi con riferimento ad una serie di operazioni giuridico-
economiche caratterizzate da alcuni tratti comuni. Con tale termine (o locazione finanziaria) si intende
quella complessa operazione contrattuale nella quale un soggetto (concedente o lessor) acquista un bene da
un terzo (fornitore), per poi concederne ad altri (utilizzatore o lessee) il godimento.
Il lessee è tenuto al pagamento di un canone e ha la facoltà di acquistare la proprietà del bene al termine
dell’operazione, pagando una somma (riscatto).
a)La fattispecie di leasing maggiormente rilevante viene generalmente individuata nel cd. leasing
finanziario; secondo lo schema il concedente acquista un bene dal fornitore, generalmente su indicazione
dell’utilizzatore, e lo concede in godimento a questi dietro corresponsione di un canone. Allo scadere del

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termine fissato nel contratto, all’utilizzatore viene riconosciuta la facoltà di acquistare la proprietà del bene
già utilizzato, pagando una ulteriore somma predeterminata.
Nell’operazione decritta vengono a comporsi gli interessi economici di 3 soggetti distinti: l’utilizzatore,
tipicamente un imprenditore o un professionista, che ha la possibilità di utilizzare un bene necessario
all’esercizio della propria attività, senza essere costretto ad impiegare il capitale necessario all’acquisto della
relativa proprietà; il fornitore, che realizza in un’unica soluzione il prezzo del bene venduto: il concedente,
tipicamente una società specializzata in un simile tipo di operazioni, che ricava dal complessivo ammontare
di quanto versatogli dall’utilizzatore un congruo interesse sul capitale impiegato.
b) Differente è l’ipotesi del cd. leasing operativo, in cui è lo stesso produttore del bene a concederlo in
godimento all’utilizzatore dietro corresponsione di un canone periodico: in uno stesso soggetto risultano
convergere la qualità di fornitore e concedente.
Proprio in considerazione del carattere bilaterale del rapporto che, con il leasing operativo, si viene ad
instaurare tra fornitore-concedente ed utilizzatore, la figura, priva di quella peculiare funzione di
finanziamento che qualifica il leasing finanziario, viene ricondotta alla locazione.
c) Ancora diversa è la fattispecie del sale and lease-back (cd. leasing di ritorno); il proprietario di un bene,
normalmente un imprenditore o un professionista, lo vende ad una società finanziaria, la quale, assumendo la
veste di concedente, lo concede allo stesso proprietario originario in leasing.
L’operazione ha la funzione di far ricavare al proprietario originario del bene, la liquidità di cui necessità per
la propria attività, senza perdere il godimento del bene ceduto, assicuratogli dal pagamento del canone.
Lo stesso proprietario infine potrà riacquistare la proprietà del bene esercitando il diritto di opzione.

6. Comodato.
Il comodato è il contratto con il quale una parte (comodante) consegna all’altro (comodatario) una cosa
mobile o immobile, affinché se ne serva per un tempo o per un uso determinato, con l’obbligo di restituire la
stessa cosa ricevuta.
Quanto alla sua natura, si tratta di un contratto reale, e si perfeziona con la consegna della cosa.
Il comodato è reputato tipico esempio di contratto unilaterale, in considerazione del fatto che esso si presenta
caratterizzato dall’obbligazione restitutoria a carico del comodatario.
L’art. 1803 lo qualifica come essenzialmente gratuito; la pattuizione di un corrispettivo per il godimento è
incompatibile col suo schema causale, così da modificarne la qualificazione. Quello spettante al comodatario
si configura come diritto personale di godimento sulla cosa.
La forma del comodato è libera: si esclude la necessità della forma scritta anche per il comodato
ultranovennale di beni immobili.
Circa il suo oggetto, il comodato può concernere cose mobili o immobili, purché inconsumabili ed
infungibili, dovendo il comodatario restituire la stessa cosa ricevuta.
Il comodatario è tenuto a custodire e a conservare la cosa con la diligenza del buon padre di famiglia, e può
servirsene solo per l’uso determinato dal contratto, o che risulta connaturato alla cosa; non può concedere ad
altri il godimento della cosa (sub comodato).
In caso di mancato adempimento di tali obblighi, il comodante può chiedere l’immediata restituzione della
cosa, oltre al risarcimento del danno.
Inoltre il comodatario è responsabile del perimento della cosa 1) se la cosa perisce per un caso fortuito che
poteva essere da lui evitato sostituendo la cosa comodata con una propria, 2) se la cosa comodata è stata
stimata al tempo del contratto.
Del deterioramento della cosa il comodatario non risponde, purchè sia incolpevole ed esclusivamente effetto
dell’uso per cui è stata comodata; sono a carico del comodatario le spese sostenute per servirsi della cosa.
Il comodante poi è tenuto a risarcire i danni che il comodatario abbia subito in conseguenza dei vizi della
cosa, se conoscendoli, non lo abbia avvertito.

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Il comodatario è inoltre obbligato alla restituzione della cosa alla scadenza del termine convenuto, o in
mancanza di termine, quando se ne è servito in conformità al contratto. La tradizionale concezione del
comodato come espressione di cortesia del comodante è alla base della regola per cui la sopravvivenza di un
suo impreveduto bisogno giustifica la richiesta di immediata restituzione della cosa, anche se prima della
scadenza del termine stabilito o che il comodatario abbia cessato di servirsene.
Una particolare ipotesi di comodato si reputa ricollegarsi alla previsione secondo cui, ove non sia stato
convenuto un termine né questo risulti dall’uso a cui la cosa doveva essere destinata, il comodatario è tenuto
a restituirla non appena il comodante la richiede (si tratta del cd. comodato precario caratterizzato dalla
facoltà del comodante di recedere ad nutum).
7. Mutuo.
Il mutuo è il contratto con il quale una parte (mutuante) consegna all’altra (mutuatario) una determinata
quantità di denaro o di altre cose fungibili, e l’altra si obbliga a restituire altrettante cose della stessa specie e
qualità.
L’avere ad oggetto danaro o altre cose fungibili vale a distinguere il mutuo, quale contratto di prestito, dal
comodato, che si è visto concernere cose inconsumabili ed infungibili, motivo per il quale il mutuatario è
obbligato a restituire non le stesse cose ricevute, di cui acquista la proprietà, ma altrettante cose della stessa
specie e qualità.
Il codice con la sua definizione che pone l’accento sulla consegna come momento perfezionativo del mutuo,
tende a considerarlo contratto reale. Il mutuatario con la relativa consegna acquista la proprietà delle cose
mutuate potendo disporne (si tratta di contratto traslativo). Efficacia obbligatoria ha la promessa di mutuo,
con riguardo alla quale l’art. 1822 ha previsto che chi ha promesso di dare a mutuo può rifiutare
l’adempimento della sua obbligazione, se le condizioni patrimoniali dell’altro contraente sono divenute tali
da rendere difficile la restituzione.
Circa l’obbligo di restituzione si presenta come essenziale, l’esistenza di un termine.
Se è stata convenuta la restituzione rateale delle cose mutuate e il mutuatario non adempie l’obbligo del
pagamento anche di una sola rata, il mutuante può chiedere l’immediata restituzione dell’intero; quanto alla
restituzione, nel caso di somma di danaro, opera il principio nominalistico, per cui il mutuatario adempie la
sua obbligazione restituendo una somma dello stesso ammontare di quella ricevuta.

8. Onerosità del mutuo e obbligazione degli interessi.


Il mutuo si presume oneroso, dato che il mutuatario deve corrispondere gli interessi al mutuante; il mutuo
gratuito si presenta come contratto unilaterale. Il mutuo oneroso è invece da considerarsi contratto a
prestazioni corrispettive.
La prestazione degli interessi costituisce il corrispettivo del sacrificio sopportato dal mutuante con il
concedere al mutuatario il godimento delle cose mutuate per il tempo stabilito.
Il concetto stesso di interessi e la loro disciplina sembrano strettamente collegati al carattere di capitale
monetario dell’oggetto del mutuo; tali interessi sono dovuti al saggio legale, salvo che siano fissati in una
diversa misura in forma scritta.
La libertà di determinazione dell’ammontare degli interessi è soggetta al limite del relativo carattere
usurario; se sono convenuti interessi usurari, la clausola è nulla e non sono dovuti interessi.
Tenendo presente il possibile oggetto del mutuo (danaro) gli interessi sembrano doversi ritenere intesi quali
obbligazione accessoria, in una quantità di cose dello stesso genere di quelle oggetto dell’obbligazione
principale.
Gli interessi sono considerati sempre usurari quando superano il limite stabilito in conformità all’art. 2 della
legge citata (il tasso-soglia è costituito dal tasso medio rilevato trimestralmente per le diverse categorie di
operazioni creditizie, aumentato della metà). Il tasso di riferimento è il TEGM(Tasso Effettivo Globale
Medio), comprensivo di commissioni, remunerazioni a qualsiasi titolo e spese, riferito ad anno; è rilevato
trimestralmente con riferimento a operazioni della stessa natura). Si tratta di un criterio rigorosamente

251
oggettivo; sono altresì considerati usurari gli interessi, anche se inferiori a tale limite, e gli altri vantaggi o
compensi che risultano sproporzionati rispetto alla prestazione ricevuta, quando chi li ha dati o promessi si
trovi in condizioni di difficoltà economica o finanziaria.

9.Mutuo di scopo.
Nei rapporti creditizi è diffuso il cd. mutuo di scopo (definito anche contratto di finanziamento); esso si
caratterizza per essere l’erogazione della somma oggetto del mutuo finalizzata ad un determinato impiego,
rispondente all’interesse non solo del mutuatario, ma anche dello stesso soggetto mutuante.
Il mutuo di scopo si differenzia dal mutuo disciplinato dal codice civile.
Si ritiene che esso sia un contratto consensuale; il mutuo di scopo sembra presentarsi quale figura atipica
del mutuo.

PARTE X – FATTI ILLECITI E RESPONSABILITA’ CIVILE

CAPITOLO 1 – STRUTTURA DEL FATTO ILLECITO


1.Nozioni e funzione; 3. Danno ingiusto;

1.Nozioni e funzione.
Tra le fonti dell’obbligazione l’art. 1173 dopo il contratto annovera il fatto illecito; qualunque fatto doloso o
colposo che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto, a risarcire il danno.
La norma dell’art. 2043 concorre insieme a quella dell’art. 1218, a dar vita al sistema dell’illecito civile,
finalizzato a garantire la tutela degli interessi che l’ordinamento giuridico considera meritevoli di protezione.
Di fronte alla ingiustificata lesione di un simile interesse l’ordinamento interviene per assicurare la
riparazione delle conseguenze, con le disposizioni che ad essi seguono, e delineano i criteri in base ai quali
sorge una responsabilità civile in capo ad un soggetto per la riparazione del danno che altri abbia subito in
conseguenza della lesione del proprio interesse.
L’art. 1218 prende in considerazione la responsabilità che deriva dall’inadempimento dell’obbligazione,
dalla lesione, cioè dall’interesse del creditore al conseguimento della prestazione cui ha diritto per non avere
il debitore tenuto il comportamento dovuto (responsabilità contrattuale).
L’art. 2043 invece, determina le conseguenze della lesione di qualsiasi interesse, in quanto protetto
dall’ordinamento, quando tra danneggiato e danneggiante non sussista un precedente rapporto obbligatorio;
si parla in proposito di responsabilità extracontrattuale, per chiarire che la responsabilità sorge
indipendentemente dall’esistenza, tra i soggetti di un precedente vincolo giuridicamente rilevante, in
conseguenza della violazione del generale dovere imposto a tutti i consociati di astenersi dall’arrecare danno
agli altri, ledendone interessi considerati rilevanti dall’ordinamento.
Per qualunque fatto che abbia arrecato danno ad altri, l’illecito civile si atteggia diversamente dall’illecito
penale, in quanto in quest’ultimo caso vale il principio della tipicità dei fatti costituenti, mentre l’illecito
civile è da considerarsi atipico.
La differenza si ricollega alla diversità delle finalità perseguite attraverso le valutazioni alla base dei due tipi
di illecito: il ripristino dell’interesse leso, in quanto considerato meritevole di tutela nel caso dell’illecito
civile; la salvaguardia di un interesse pubblico che si reputi minacciato nel caso dell’illecito penale.
Il risarcimento del danno si caratterizza rispetto alla pena, per la sua funzione riparatoria; nella
concezione più tradizionale, il sorgere dell’obbligazione risarcitoria era guardato dal punto di vista della sua
funzione sanzionatoria.
Mentre all’atto lecito, si riteneva fossero dall’ordinamento ricollegati effetti conformi a quelli avuti di mira
dal soggetto, all’atto illecito in quanto si riteneva fosse ricollegato quale sanzione, il risarcimento del danno.

252
L’attenzione dell’ordinamento si è sempre più spostata dall’autore alla vittima del danno; la disciplina
dettata in materia si sforza di individuare un soggetto cui far carico della riparazione, sulla base di un
giudizio di comparazione e bilanciamento degli interessi in conflitto.
Centrale è diventato il problema della selezione degli interessi da reputarsi meritevoli di protezione, la cui
ingiustificata lesione faccia avvertire l’esigenza di addossare ad altri il relativo obbligo risarcitorio; la ricerca
di tale soggetto può avvenire sulla base dei più diversi criteri di imputazione della responsabilità, tra i quali
lo svolgimento di attività rischiose, o l’opportunità di far sopportare a chi trae vantaggio economico da una
certa attività anche i relativi oneri e così via.
In questo processo, un peso determinante ha assunto lo strumento dell’assicurazione che ha consentito
all’ordinamento, attraverso la collettivizzazione economica dei rischi, di realizzare un più avanzato e
tollerabile equilibrio tra l’esigenza di non lasciare senza riparazione le vittime dei cd. nuovi danni e quella
di non rinunciare allo svolgimento di attività ritenute di essenziale utilità sociale.
L’esame dell’illecito civile viene condotto approfondendone il profilo oggettivo, rappresentato dal fatto
produttivo del danno ingiusto, dall’altra il profilo soggettivo, costituito dalla imputabilità e dalla
colpevolezza.

3. Danno ingiusto.
La nozione di danno ingiusto ha costituito oggetto di un radicale ripensamento.
L’antigiuridicità veniva intesa come contrarietà del comportamento tenuto ad un dovere giuridico imposto
dall’ordinamento nell’interesse altrui, come violazione di un altrui diritto soggettivo; tale comportamento
doveva essere tenuto in assenza di una causa di giustificazione. L’antigiuridicità era insomma riferita alla
condotta dell’agente, il quale avesse ingiustificatamente violato un diritto soggettivo altrui.
L’ingiustizia viene così riferita immediatamente al danno; ai fini della riparazione del danno, diventa
determinante stabilire se l’interesse leso sia effettivamente meritevole di tutela e se la relativa lesione risulti
ingiustificata. Solo in tal caso, della riparazione potrà essere fatto carico ad un altro soggetto, identificato
sulla base di un suo comportamento colpevole.

CAPITOLO 2 – RISARCIMENTO DEL DANNO


1.Illecito, risarcimento del danno e tecniche di tutela degli interessi lesi; 2. Modalità del risarcimento e
valutazione del danno; 3. Responsabilità contrattuale ed extracontrattuale; 4. Danno non patrimoniale e
danno alla persona.

1.Illecito, risarcimento del danno e tecniche di tutela degli interessi lesi.


L’ingiusta lesione dell’altrui interesse determina il sorgere dell’obbligazione di risarcire i danni che ne siano
derivati; si è visto come l’intero sistema della responsabilità civile sia finalizzato alla riparazione delle
conseguenze che l’illecito abbia prodotto nella sfera giuridica del soggetto.
Il conseguimento del risultato di una simile riparazione rappresenta l’obiettivo perseguito dall’ordinamento
attraverso la disciplina del risarcimento del danno.
Una funzione preventiva la svolge lo stesso risarcimento del danno in quanto opera anche nel senso di
dissuadere dal tenere comportamenti atti a ledere gli altrui interessi.
L’attenzione per tale funzione del risarcimento del danno induce a proporre di adeguarne i meccanismi in
tale direzione; non solo si tende ad accrescere la misura del risarcimento, ma si va oltre la funzione
riparatoria, in quanto si prospetta di addossare al responsabile la corresponsione di somme di danaro di
ammontare proporzionato alla gravità connaturata al fatto lesivo ed alla colpa di chi lo abbia commesso.

253
Il risarcimento del danno finisce così con l’assumere i connotati di una pena per il responsabile, e la finalità
dissuasiva della relativa obbligazione viene espressa con la terminologia di danni esemplari o punitivi.
Un carattere più immediatamente preventivo assumono altre forme di intervento a tutela degli interessi
considerati meritevoli di particolare protezione da parte dell’ordinamento; si allude alla previsione di
strumenti atti a impedire, prevedendolo, il compimento del fatto dannoso limitandone le conseguenze per i
soggetti sui cui interessi esso incide.
Si tratta del modello di tutela che si attua attraverso le azioni inibitorie; la sfera di operatività dell’ azione
inibitoria si è andata estendendo oltre i limiti entro cui era stata originariamente confinata.
Lo strumento dell’azione inibitoria ha finito col perdere il suo tradizionale connotato di eccezionalità, per
assumere una portata generale affidata all’impiego dell’analogia, a tutela di tutti i diritti della personalità, dei
quali si sia inteso garantire la tutela (salute, riservatezza, identità personale); i vantaggi del ricorso
all’azione inibitoria sono stati avvertiti in ordine alla tutela degli interessi collettivi e diffusi.
Lo strumento dell’azione inibitoria, essendo finalizzato esclusivamente alla prevenzione del comportamento
lesivo, è destinato a concorrere con il risarcimento del danno, ove la lesione dell’interesse abbia determinato
conseguenze pregiudizievoli per il relativo titolare.

2. Modalità del risarcimento e valutazione del danno.


Il risarcimento del danno è lo strumento attraverso cui si realizza la funzione riparatoria del sistema della
responsabilità civile; una simile funzione tendente a porre il soggetto (attraverso una riparazione integrale del
danno) nelle stesse condizioni in cui si sarebbe trovato ove non si fosse verificata la lesione, può essere
svolta in modo adeguato dal risarcimento del danno solo in relazione alle conseguenze di carattere
economico della lesione, ossia al danno patrimoniale.
In relazione al danno non patrimoniale, al risarcimento non può essere riconosciuta la stessa funzione
ripristinatoria, data la impossibilità di ricostruire la situazione precedente alla lesione. Ecco perché si tende
a parlare di una funzione satisfatoria del risarcimento del danno non patrimoniale, quasi che si intenda con
ciò, procurare al titolare dell’interesse leso un surrogato (economico) delle conseguenze determinate dal fatto
dannoso.
La disciplina dettata dal codice in ordine alle modalità del risarcimento ed alla valutazione del danno
concerne esclusivamente il danno patrimoniale.
La reintegrazione del patrimonio del soggetto leso può avvenire attraverso il risarcimento per equivalente
o il risarcimento in forma specifica; solo la seconda forma di risarcimento vale a realizzare l’effettivo
ripristino della situazione alterata dall’evento dannoso, mentre la prima forma di risarcimento si limita,
attraverso l’attribuzione di una somma di danaro ragguagliata per valore al pregiudizio, a porre solo da un
punto di vista economico il patrimonio del soggetto nelle condizioni in cui esso si sarebbe trovato in assenza
dell’illecito altrui. E’ il risarcimento per equivalente a costituire la modalità corrente di riparazione del
danno; ciò presuppone una valutazione del danno.
E’ da inoltre tenere presente come il risarcimento del danno abbia come esclusivo punto di riferimento
l’entità del pregiudizio subito dal soggetto leso in conseguenza dell’illecito, restando estranea alla sua
quantificazione la caratterizzazione soggettiva del comportamento lesivo; nel campo extracontrattuale si
presenta indifferente la natura dolosa o colposa del comportamento.
L’art. 2056 rinvia ai fini del risarcimento dovuto al danneggiato, ai fondamentali criteri di valutazione
stabiliti per il danno derivante dall’inadempimento dell’obbligazione; da questo articolo è richiamato
innanzitutto l’art. 1223 il quale costituisce il criterio fondamentale per la determinazione del danno
risarcibile, prevedendo che il risarcimento deve comprendere tanto la perdita subita (danno emergente),
quanto il mancato guadagno (lucro cessante), a condizione che siano conseguenza immediata e diretta del
fatto cui il danno si ricollega.
Vengono infine richiamati i principi attraverso i quali è riconosciuta rilevanza nella determinazione del
danno risarcibile, anche alla valutazione del comportamento del danneggiato.

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In relazione all’illecito extracontrattuale, sono sempre considerati risarcibili i danni prevedibili, quanto i
danni imprevedibili.
Una regola che riguarda specificamente il danno alla persona è quella dell’art. 2057; quando il danno alla
persona ha carattere permanente, la relativa liquidazione può essere fatta dal giudice sotto forma di
rendita vitalizia. La finalità di una simile forma di risarcimento è quella di assicurare al danneggiato un
flusso costante di risorse, tale da evitare i rischi derivanti dall’investimento della somma ottenuta quale
risarcimento del danneggiato sotto forma di capitale.
L’art. 2058 contempla quale possibile modalità di risarcimento, il risarcimento in forma specifica, nel cui
concetto rientra la condanna dell’autore dell’illecito a ricostruire nella sua materialità, la situazione che
sarebbe esistita in assenza dell’evento dannoso (ad es. l’investitore è condannato a provvedere alla
riparazione dell’automobile danneggiata; chi ha abbattuto un muro è condannato alla sua ricostruzione);
all’idea di risarcimento in forma specifica si ricollega anche la condanna ad una somma di danaro, la cui
quantificazione avvenga in base al costo del ripristino della situazione alterata in conseguenza dell’illecito.
Infine l’obbligazione risarcitoria, in quanto finalizzata a reintegrare il patrimonio del danneggiato, del
valore perduto, costituisce un debito di valore sottratto all’operatività del principio nominalistico; solo la
liquidazione la trasforma in un debito di valuta, assoggettandone l’importo determinato al principio
nominalistico.

3. Responsabilità contrattuale ed extracontrattuale.


Si è avuto modo di richiamare l’attenzione sulla distinzione della responsabilità contrattuale dalla
responsabilità extracontrattuale (o aquiliana), evidenziando come essa dipenda dall’esistenza o meno di
un precedente rapporto (obbligatorio) tra le parti, di cui l’illecito costituisca violazione (essendo la
responsabilità contrattuale, conseguente all’inadempimento di una obbligazione, mentre quella
extracontrattuale, alla ingiustificata lesione di un interesse riconosciuto dall’ordinamento, come meritevole
di protezione nei confronti dei consociati).
Diverso è il termine di termine di prescrizione, in quanto in materia di responsabilità contrattuale, il
termine è quello ordinario di 10 anni, mentre in materia di responsabilità extracontrattuale, il diritto al
risarcimento del danno si prescrive in 5 anni.
Se poi il fatto è considerato dalla legge come reato, e per il reato è stabilita una prescrizione più lunga, questa
si applica pure all’azione risarcitoria.
Differente è anche la distribuzione dell’onere probatorio, in quanto nel caso dell’illecito contrattuale, il
creditore insoddisfatto deve dimostrare la sussistenza del credito vantato, la relativa scadenza ed il danno
lamentato; è il debitore che, per evitare di essere considerato responsabile, dovrà fornire la prova di avere
adempiuto, o di non avere potuto adempiere per causa a lui non imputabile.
Per ottenere il risarcimento del danno in materia di illecito extracontrattuale, il danneggiato dovrà provare
la sussistenza della situazione giuridica, il fatto dannoso e la colpevolezza (il dolo o la colpa) del
danneggiante, oltre al danno lamentato.
A favore del danneggiato gioca la regola per cui è da considerare ammesso il concorso di responsabilità
contrattuale ed extracontrattuale, in conseguenza del medesimo fatto. Si è cioè ritenuto che il medesimo
fatto possa essere valutato allo stesso tempo, in considerazione della natura degli interessi lesi, come
inadempimento di una obbligazione e come illecito extracontrattuale (così ad es. nel caso di lesione
personale subita da chi venga trasportato in taxi, il danneggiato potrà agire nei confronti del conducente, sia
invocando una responsabilità contrattuale per violazione degli obblighi nascenti dal contratto di trasporto, sia
invocando una responsabilità extracontrattuale per essere stato leso un suo interesse, ossia il diritto
all’integrità fisica).

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4. Danno non patrimoniale e danno alla persona.
Nel sistema del codice civile, un ruolo marginale risultava quello del danno non patrimoniale. L’art. 2059
prevede che il danno non patrimoniale deve essere risarcito solo nei casi determinati dalla legge; la
risarcibilità del danno non patrimoniale era vista in funzione punitiva.
In tale quadro si era accreditata l’interpretazione secondo cui il danno alla persona potesse acquistare
rilevanza ai fini risarcitori, solo in relazione alle sue conseguenze economiche, rappresentate dalla perdita o
dalla diminuzione dei redditi derivanti dall’attività lavorativa, ossia potesse venire considerato rilevante
solo nel caso in cui esso si fosse tradotto in danno patrimoniale.
La crescente attenzione alla persona umana e alle sue esigenze di sviluppo, ha reso sempre più centrale il
tema del danno alla persona, di fronte all’insoddisfazione per una simile ricostruzione della problematica,
in quanto questa finiva col privare di ogni ristoro, anche per lesioni gravi dell’integrità fisica, chi fosse privo
di reddito (a causa dell’età o per altri motivi).
In un primo tempo si è registrato il tentativo da parte della giurisprudenza, di ampliare la sfera del danno
patrimoniale; ma una svolta decisiva in materia è stata impressa dalla Corte Costituzionale, la quale ha
ritenuto autonomamente risarcibile il danno biologico, limitando la portata dell’art. 2059 al solo danno
morale soggettivo. Il danno biologico viene considerato sulla base del collegamento tra gli art. 2043 e 32
Cost., quale danno evento sempre risarcibile in caso di lesione dell’integrità fisica in quanto connesso alla
lesione di se stessa. Il dibattito successivamente si è incentrato da una parte, sulla precisazione della natura
giuridica del fatto biologico; dall’altra sulla sua liquidazione.
Sulla base del suggerimento della stessa Corte Costituzionale hanno trovato larga applicazione tabelle
elaborate dai vari tribunali, ispirate al modello francese, aventi come base di calcolo, il valore del punto di
invalidità, corretto e moltiplicato per il grado di invalidità concretamente accertato.
Per offrire un sufficiente livello di certezza, è intervenuto lo stesso legislatore solo in relazione al danno della
persona causato da sinistro conseguente alla circolazione dei veicoli a motore e dei natanti. Nel nuovo
contesto normativo la definizione riguarda tanto le lesioni di lieve entità che quelle di non lieve entità.
Il danno biologico viene definito quale lesione temporanea o permanente all’integrità psico-fisica della
persona suscettibile di accertamento medico legale che esplica una incidenza negativa sulle attività
quotidiane e sugli aspetti dinamico-relazionali della vita del danneggiato.
Il meccanismo di valutazione del danno biologico risulta fondato sulla predeterminazione del valore
economico di ciascun punto di invalidità. Negli anni più vicini si è assistito anche alla tendenza della
legislatore a estendere espressamente la risarcibilità del danno non patrimoniale.
La giurisprudenza a sua volta sollecitata dalla dottrina, ha cercato di estendere la tutela risarcitoria a ulteriori
profili legati allo sviluppo della persona umana.
A prescindere dai numerosi interventi giurisprudenziali collegati all’affermata risarcibilità del danno
biologico, una importante svolta si è avuta in dipendenza di un intervento simultaneo della Cassazione e
della Corte Costituzionale, con cui in sostanza è stata ricondotta nell’ art .2059 l’intera problematica del
danno alla persona. La Cassazione ha ritenuto possibile concludere che in caso di ingiusta lesione di un
interesse inerente alla persona, una lettura di quest’ultimo articolo costituzionalmente orientata, imponga di
considerare inoperante il limite in esso previsto, se la lesione abbia riguardato valori della persona che
risultino costituzionalmente garantiti; ove cioè sia stato leso un interesse protetto di rilievo costituzionale, ci
si deve riferire all’art. 2059 per il relativo risarcimento.
Decisa è la negazione che il danno non patrimoniale, in quanto categoria generale, sia suscettibile di
suddistinzioni in sottocategorie; in particolare si nega che possa farsi riferimento ad una generica
sottocategoria denominata danno esistenziale, dato che il pregiudizio del tipo esistenziale risulta risarcibile
solo entro il limite segnato dalla ingiustizia costituzionalmente qualificata dall’evento di danno.
Il forte richiamo al carattere unitario del danno non patrimoniale si presenta funzionale ad evidenziare
che, se è vero che il risarcimento del danno alla persona deve ristorare il pregiudizio, esso non deve andare
però oltre.

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PARTE XII – SUCCESIONI PER CAUSA DI MORTE

CAPITOLO 1 - SUCCESSIONE IN GENERALE


1.Concetto di successione per causa di morte; 2. Divieto dei patti successori; -A) APERTURA DELLA
SUCCESSIONE. 3. Vocazione e delazione; 4. Capacità e indegnità; 5. Posizioni del chiamato all’eredità;
-B) ACQUISTO DELL’EREDITA’. 6. Accettazione dell’eredità; 7. Accettazione dell’eredità con beneficio
d’inventario; 8. Rinunzia all’eredità; 11. Eredità giacente; 12. La petizione di eredità e l’erede apparente.

1.Concetto di successione per causa di morte.


Per successione si è soliti intendere quel fenomeno giuridico consistente nell’avvicendamento di un soggetto
ad un altro in una situazione giuridica soggettiva, attiva o passiva.
Nella successione per causa di morte (o mortis causa) il fenomeno successorio trova giustificazione nella
morte di un soggetto, e consiste nel trasferimento dei diritti dal defunto (de cuius) ad altri soggetti,
individuati dal de cuius stesso, o in mancanza di questo, dal legislatore. Nel fenomeno successorio in esame,
la morte assume ai fini della produzione degli effetti che da esso derivano, una rilevanza non temporale,
bensì causale.
Un primo importante principio fondamentale ai fini della comprensione del diritto successorio, attiene
all’oggetto della successione mortis causa; sono normalmente trasferibili per causa di morte tutte le
situazioni giuridiche di contenuto patrimoniale rientranti nella sfera di titolarità del de cuius.
La connotazione patrimoniale della successione per causa di morte è da ricondursi all’indissolubile legame
storico della materia con i principi che sono alla base della disciplina del diritto di proprietà.
Per comprendere il sistema del diritto successorio, non può prescindersi dalla considerazione dell’intreccio di
interessi di differente natura sottesi alle vicende successorie: interessi non solo individuali, ma anche
generali. Il legislatore quindi assolve al delicato compito di bilanciare tali interessi, individuando volta per
volta, quali di essi debbano prevalere rispetto agli altri contrapposti.
La più rilevante distinzione che si è soliti operare in relazione al fenomeno della successione mortis causa è
quella a titolo universale e a titolo particolare; si ha successione a titolo universale quando il successore
(erede) succede nella totalità dei rapporti del de cuius o in una quota dei medesimi, mentre si ha successione
a titolo particolare quando il successore (legatario) succede in singoli specifici rapporti giuridici.
Nella successione anomala il legislatore in occasione della morte di un soggetto, si discosta dai criteri
generali dettati per individuare chi sarà il destinatario dell’attribuzione di determinati beni o rapporti
giuridici.
Restano escluse dal concetto di successione per causa di morte quelle ipotesi, nelle quali l’acquisto della
situazione giuridica avviene a seguito della morte di un soggetto in conseguenza di un proprio diritto, non
rientrando la situazione giuridica stessa nel patrimonio del de cuius; pertanto il beneficiario può esercitare il
diritto indipendentemente dall’assunzione della qualità di erede.

2. Divieto dei patti successori.


Il divieto dei patti successori assume rilievo centrale nel quadro del sistema del diritto successorio; sono
sanzionate con la nullità le convenzioni con cui taluno dispone della propria successione (patti istitutivi),
nonché gli atti con cui taluno dispone dei diritti che gli possono spettare su una successione non ancora
aperta (patti dispositivi), ovvero rinunzia ai medesimi (patti abdicativi).
Nella medesima disposizione risultano ricompresi 3 tipi di patto successorio, il cui divieto ha diverso
fondamento.
La ratio del divieto dei patti successori istitutivi, consistenti in un vero e proprio contratto con cui una
parte dispone della propria futura successione, è da individuare nella duplice circostanza che il legislatore ha
inteso predisporre solo 2 modalità di vocazione (legittima e testamentaria).

257
Il fondamento del divieto dei patti successori dispositivi e dei patti successori abdicativi deve invece
essere ricercato nella volontà del legislatore di impedire che il soggetto disponga delle future ragioni
ereditarie, senza una piena consapevolezza della loro entità.
L’ordinamento intende inoltre evitare il cd. votum captandae mortis, ovvero il desiderio della morte del
soggetto titolare dei diritti che perverranno una volta aperta la relativa successione.
Le giustificazioni del divieto con riguardo alle diverse tipologie di patti successori sono ritenute del tutto
inadeguate di fronte alle esigenze che potrebbero trovare soddisfazione col riconoscimento di idonei spazi
alla esplicazione dell’autonomia privata degli interessati.

A)APERTURA DELLA SUCCESSIONE


3. Vocazione e delazione.
Ai sensi dell’art. 456, la successione si apre al momento della morte e nel luogo dell’ultimo domicilio
del defunto.
E’ importante sottolineare come la successione si apra nel luogo del suo ultimo domicilio; l’esatta
determinazione del luogo di apertura della successione vale ad identificare anche l’autorità giudiziaria
competente ad emanare i provvedimenti più rilevanti relativi alla vicenda successoria.
Aperta la successione, la principale esigenza è quella concernente la identificazione di quali siano i
successibili del de cuius. Il legislatore prevede che l’eredità si devolve per legge o per testamento e che non
si fa luogo alla successione legittima se non quando manca quella testamentaria.
In proposito si suole distinguere la vocazione, che consiste nella individuazione in astratto di colui che
dovrà succedere, dalla cd. delazione, ossia la chiamata concreta ed attuale in favore del successibile, una
volta realizzatisi tutti i presupposti richiesti per la successione; soltanto a partire dal momento della
delazione, il successibile potrà accettare l’eredità.
Mentre il momento della vocazione coincide con quello dell’apertura della successione, il momento della
delazione può essere anche successivo (Es. Se tizio muore lasciando superstite l’unico erede nominato nel
testamento, questi, al momento dell’apertura della successione, sarà individuato quale successibile, secondo
il criterio della vocazione testamentaria, e potrà anche accettare l’eredità in quanto nei suoi confronti è
avvenuta la chiamata in concreto, ovvero la delazione).

4. Capacità e indegnità.
L’art. 462 co.1 dichiara capaci di succedere tutti coloro che sono nati o concepiti al tempo della
successione; il co.2 dello stesso articolo specifica che possono ricevere per testamento anche i figli di una
determinata persona vivente al tempo della morte del testatore, benché non ancora concepiti (Ad es. Tizio
attribuisce per testamento un bene a favore di un ipotetico nipote che, al momento dell’apertura della
successione, non risulta ancora concepito; ai fini dell’efficacia della disposizione testamentaria, è sufficiente
che, al momento dell’apertura della successione, sia vivo il figlio/a del testatore Tizio, dal quale lo stesso
Tizio spera di avere il nipote).
La capacità di succedere consiste nell’idoneità del soggetto ad acquistare le situazioni soggettive che in
precedenza rientravano nella sfera giuridica del de cuius; in quanto tale, essa deve ricondursi al più ampio
concetto di capacità giuridica, e non a quello di capacità di agire.
Il codice civile non prevede ipotesi di incapacità assoluta a succedere, ma solo delle forme di incapacità
relativa di ricevere per testamento: l’incapacità del tutore e del protutore rispetto all’incapace, l’incapacità
del notaio. In tutti questi casi l’eventuale disposizione testamentaria è sanzionata con la nullità e qualora
l’incapace di ricevere dovesse accettare, l’eventuale accettazione sarebbe da reputarsi invalida.
Diversa dall’incapacità a succedere è la indegnità a succedere; indegno è considerato il soggetto chiamato
all’eredità che sia incorso in una delle sette cause di esclusione elencate nell’art. 463. L’indegnità è quindi
una sanzione che colpisce il chiamato in considerazione del compimento di atti ritenuti particolarmente
riprovevoli dall’ordinamento.

258
Le ipotesi di indegnità sono considerate riconducibili a 2 categorie: a) atti compiuti dall’indegno contro la
persona del de cuius (chi ha volontariamente ucciso o tentato di uccidere il de cuius o il coniuge o un suo
ascendente o discendente, purchè non ricorra alcuna delle cause che escludono la punibilità a norme della
legge penale); b) atti compiuti contro la libertà testamentaria (chi ha indotto con dolo o violenza il de cuius a
fare revocare o mutare il testamento).
L’indegnità a succedere non è da considerare una forma di incapacità, in quanto l’indegno può acquistare
l’eredità o il legato, ma il suo acquisto può essere dichiarato inefficace a seguito di provvedimento emesso
dall’autorità giudiziaria, su istanza dei soggetti interessati.
L’indegnità a succedere ha carattere relativo: il soggetto dichiarato indegno a succedere è tale solo in
relazione al soggetto nei confronti del quale ha commesso uno degli atti entranti nell’art. 463; ha inoltre
carattere personale, nel senso che colpisce solo la persona dell’indegno e non i suoi successori.
L’art. 466 legittima il de cuius a riabilitare l’indegno espressamente con atto pubblico o con testamento; la
riabilitazione espressa è un vero a proprio negozio giuridico, che ha la funzione di rimuovere le
conseguenze giuridiche derivanti dalla indegnità.
E’ un atto assolutamente personale irrevocabile e formale.
Nonostante parte della dottrina parli di riabilitazione parziale e tacita, contrapposta a quella espressa regolata
nel comma precedente, è preferibile ritenere che non si tratti di una vera e propria forma di riabilitazione,
bensì di una mera limitazione delle conseguenze derivanti dall’indegnità.

5. Posizioni del chiamato all’eredità.


Nel periodo che intercorre tra il momento dell’apertura della successione e quello dell’accettazione
dell’eredità, il soggetto in favore del quale l’eredità è devoluta, assume la qualifica di chiamato all’eredità.
Lo stato di chiamato all’eredità è essenzialmente transitorio, destinato ad esaurirsi con l’accettazione o la
rinuncia da parte del medesimo, oppure con la prescrizione del diritto di accettare l’eredità.
Per il semplice fatto di essere chiamato all’eredità, il soggetto può esercitare le azioni possessorie a tutela
dei beni ereditari, senza che sia necessaria la materiale apprensione del bene; il chiamato può in generale
compiere atti conservativi, di vigilanza e di amministrazione temporanea e può farsi autorizzare
dall’autorità giudiziaria a vendere i beni che non si possono conservare.

B) ACQUISTO DELL’EREDITA’
6. Accettazione dell’eredità
L’art. 459 opera una precisa scelta in ordine alla modalità di acquisto dell’eredità, la quale si acquista con
l’accettazione. Con l’apertura della successione, il successibile non è ancora erede, ma soltanto chiamato
all’eredità e in quanto tale, ha il diritto di accettarla.
L’effetto dell’accettazione dell’eredità viene fatto retroagire al momento dell’apertura della successione
per evitare quella soluzione di continuità nella titolarità del patrimonio del de cuius.
L’accettazione all’eredità può essere espressa o tacita.
L’accettazione espressa è un negozio giuridico unilaterale non recettizio e ciò che più conta,
irrevocabile; il carattere dell’irrevocabilità dell’accettazione si giustifica in base al principio semel heres
semper heres: l’ordinamento giuridico non tollera incertezze o discontinuità con riguardo alla
individuazione dell’erede.
L’accettazione espressa è negozio formale e si verifica allorchè in un atto pubblico, o in una struttura privata,
il chiamato all’eredità ha dichiarato di accettarla; l’accettazione dell’eredità è un negozio giuridico puro nel
senso che non tollera l’apposizione di condizioni o termini (l’eventuale dichiarazione di accettazione
sottoposta a condizione o a termine, è nulla).
Si ha accettazione tacita quando il chiamato all’eredità compie un atto che presuppone necessariamente la
sua volontà di accettare e che non avrebbe il diritto di fare se non nella qualità di erede.

259
Il legislatore poi, prevede le due fattispecie legali tipiche di accettazione tacita: la donazione, la vendita o
la cessione che il chiamato faccia dei suoi diritti di successione ad un estraneo o a tutti gli altri chiamati.
Il diritto di accettare l’eredità si prescrive nel termine di 10 anni dal giorno dell’apertura della successione; il
termine non corre per i chiamati ulteriori se vi è stata accettazione da parte dei precedenti chiamati e
successivamente il loro acquisto ereditario è venuto meno.
L’accettazione dell’eredità può essere impugnata quando è effetto di violenza o dolo, e l’azione si prescrive
nel termine di 5 anni da quando è cessata la violenza, o è stato scoperto il dolo, mentre invece non può
essere impugnata per errore.

7. Accettazione dell’eredità con beneficio di inventario.


L’accettazione dell’eredità può essere pura e semplice, o con beneficio di inventario.
Nel primo caso si verifica la confusione tra il patrimonio del defunto e quello dell’erede; quest’ultimo
risponderà così dei debiti per i debiti ereditari ed i legati (eventualmente anche ultra vires) cioè impegnando
il suo patrimonio personale, qualora l’importo dei debiti e dei legati superi il valore dell’eredità acquistata.
Con l’accettazione beneficiata l’erede risponderà soltanto intra vires, ovvero nei limiti del valore di quanto
ricevuto.
Il beneficio d’inventario permette di evitare che per effetto dell’accettazione si verifichi il fenomeno della
confusione. L’accettazione con beneficio d’inventario è una scelta rimessa al chiamato; alcuni soggetti
però non possono accettare se non con beneficio d’inventario, in quanto da un lato, i minori, i minori
emancipati, gli interdetti e gli inabilitati dovranno accettare a seconda dei casi, ed a seguito di prescritte
autorizzazioni, mentre dall’altro, le persone giuridiche e gli enti non riconosciuti, diversi dalle società.
L’accettazione con beneficio d’inventario si fa mediante dichiarazione, ricevuta da un notaio o dal
cancelliere del tribunale del circondario in cui si è aperta la successione, ed inserita nel registro delle
successioni conservato nello stesso tribunale; quindi l’accettazione beneficiata deve essere sempre espressa.
L’accettazione con beneficio d’inventario fatta da uno dei chiamati giova a tutti gli altri, anche se
l’inventario è compiuto da un chiamato diverso da quello che ha fatto la dichiarazione.
Si distingue a seconda che il chiamato all’eredità sia o meno nel possesso di beni ereditari: ove sia nel
possesso di beni ereditari, il chiamato deve fare l’inventario entro 3 mesi dal giorno dell’apertura della
successione, e se entro tale termine lo ha cominciato e non terminato, può ottenere dal tribunale del luogo
dove si è aperta la successione una proroga che non può eccedere i 3 mesi. Qualora non compia l’inventario
il chiamato, trascorso tale termine è considerato erede puro e semplice.
Ove il chiamato non sia nel possesso di beni ereditari, egli può accettare l’eredità con beneficio
d’inventario fino a che il suo diritto non è prescritto. I minori, gli interdetti e gli inabilitati non decadono dal
beneficio d’inventario se non decorso un anno dal compimento della maggiore età o dal cessare dello stato di
incapacità.
L’effetto del beneficio d’inventario consiste nel tenere distinto il patrimonio del defunto da quello
dell’erede impedendone la confusione; pertanto l’erede conserva verso l’eredità tutti i diritti e gli obblighi
che aveva verso il defunto (tranne quelli che si sono estinti per effetto della morte).
L’erede non è tenuto al pagamento dei debiti ereditari e dei legati oltre il valore dei beni a lui pervenuti; i
creditori dell’eredità e i legatari hanno preferenza sul patrimonio ereditario di fronte ai creditori dell’erede.
Nell’amministrazione dei beni ereditari, l’erede con beneficio d’inventario non risponde se non per colpa
grave. Vi sono inoltre delle ipotesi in cui l’erede decade dal beneficio d’inventario: in tal caso viene
considerato come se avesse accettato puramente e semplicemente con tutte le relative conseguenze.
L’erede decade dal beneficio d’inventario se aliena o sottopone a pegno o ipoteca beni ereditari o transige
relativamente a questi beni, senza l’autorizzazione giudiziaria.

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8. Rinunzia all’eredità.
Se la posizione di chiamato all’eredità è caratterizzata dal diritto di accettare l’eredità, il chiamato è altresì
libero di rinunziare all’eredita’, ovvero di manifestare la volontà di non voler accettare l’eredità stessa.
La rinunzia all’eredità, è negozio unilaterale non recettizio e può essere compiuto fino a che il diritto di
accettare l’eredità non sia prescritto; la rinunzia è negozio puro che non tollera l’apposizione di condizioni o
termini, né può essere parziale; ha inoltre effetto retroattivo nel senso che il rinunziante si considera come
se non fosse mai stato chiamato.
La rinunzia deve essere sempre espressa, cioè posta in essere mediante dichiarazione ricevuta da un notaio o
dal cancelliere del tribunale del circondario in cui si è aperta la successione (pertanto non è ammessa la
rinunzia tacita all’eredità).
E’ impugnabile dai creditori, benché fatta senza frode, ove gli stessi ricevevano danno dalla rinunzia; essi
possono farsi autorizzare dal tribunale ed accettare l’eredità in nome e luogo del rinunziante, al solo scopo di
soddisfarsi sui beni ereditari fino alla concorrenza dei loro crediti.
11. Eredità giacente.
Nel diritto romano l’eredità veniva definita giacente nel periodo che intercorreva tra l’apertura della
successione e l’accettazione da parte del chiamato; la disciplina si ricollega all’esigenza di assicurare un
adeguato grado di tutela ai beni componenti l’asse ereditario, nell’ipotesi in cui non vi sia altro soggetto
reputato idoneo alla loro conservazione. Ai sensi dell’art. 528 quando il chiamato non è nel possesso dei
beni ereditari, il tribunale del circondario in cui si è aperta la successione, su istanza delle persone interessate
o anche d’ufficio, nomina un curatore dell’eredità.
Il presupposto per la nomina del curatore e quindi, per la giacenza dell’eredità viene individuato nella
circostanza che nessuno dei chiamati sia nel possesso di beni ereditari; quando il chiamato è nel possesso di
beni ereditari, la situazione è transitoria e destinata a risolversi nel breve tempo.
Diversa dall’eredità giacente è l’eredità vacante, situazione che si verifica quando non sussistono più
chiamati che possano accettare l’eredità; in tal caso l’eredità viene acquistata dallo Stato.

12. La petizione di eredità e l’erede apparente.


L’azione di petizione di eredità consente all’erede di chiedere il riconoscimento della sua qualità ereditaria
contro chiunque possiede tutti o parte dei beni ereditari, a titolo di erede o senza titolo alcuno, allo scopo di
ottenere la restituzione dei beni medesimi.
Caratteristiche dell’azione sono l’assolutezza e l’imprescrittibilità.
Con riguardo alla realizzazione delle ragioni dell’erede, essenziale risulta l’individuazione della posizione
che il legislatore riserva al cd. erede apparente. In assenza di una definizione legislativa, la dottrina ritiene
tale colui che, pur non essendo erede, si comporta quale erede.
La nozione di erede apparente acquista rilevanza con riguardo ai terzi: nei rapporti con il vero erede rileva la
qualificazione di buona fede o di mala fede del possesso da parte sua dei beni ereditari.
Quanto ai rapporti tra erede apparente ed erede vero, un trattamento più favorevole è riservato al
possessore in buona fede, definito come colui che ha acquistato il possesso dei beni ereditari, ritenendo per
errore di essere erede, purchè l’erronea convinzione non dipenda da colpa grave.

CAPITOLO 2 – CRITERI DI VOCAZIONE


-A) SUCCESSIONE LEGITTIMA. 1.Presupposti e fondamento. 2. Successione dei parenti. 3. Successione
del coniuge. 4. Successione dello Stato; -B)SUCCESSIONE TESTAMENTARIA. 5. Il testamento;
6. Istituzione di erede e legato. La institutio ex re certa; 7. Legati (tipologia e disciplina); 8. Capacità di
ricevere per testamento e capacità di disporre per testamento; 9. Forma del testamento; 10. Pubblicazione;
11. Invalidità. Fiducia testamentaria; 12. Disposizioni condizionali e a termine, 13. Onere; 16. Revocazione
delle disposizioni testamentarie. 17. Esecutore testamentario.

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A)SUCCESSIONE LEGITTIMA
1.Presupposti e fondamento.
La successione legittima si verifica quando manca in tutto o in parte quella testamentaria: il presupposto
per l’operatività della vocazione legittima è la carenza di disposizioni testamentarie idonee a disciplinare
la successione del de cuius.
Hanno diritto a succedere per vocazione legittima, il coniuge, i discendenti legittimi e naturali, gli ascendenti
legittimi, i collaterali e gli altri parenti, fino al sesto grado ed infine lo Stato.
Condizioni per la successione legittima sono il rapporto di coniugio o di parentela che lega il successibile
al de cuius. Nonostante qualche autore individui il fondamento della successione legittima in una presunta
volontà del de cuius, deve concordarsi con l’orientamento, che pone alla base della successione legittima la
tutela della famiglia quale formazione sociale.

2. Successione dei parenti.


Secondo l’ordine stabilito dal legislatore, categorie privilegiate nella successione legittima sono quelle del
coniuge e dei figli, i quali ultimi, tra i parenti del de cuius sono gli unici a non concorrere con nessun altro
parente.
Al padre e alla madre succedono i figli legittimi e naturali in parti uguali; i figli concorrono solo con il
coniuge superstite: se il figlio è uno solo, metà spetta a questi e metà al coniuge; se i figli sono più di uno,
1/3 spetta al coniuge e 2/3, complessivamente e da dividersi in parti uguali, ai figli.
Sono successibili ex lege anche i nascituri che risultino concepiti al momento dell’apertura della successione.
I figli naturali risultano equiparati ai figli legittimi; unico presupposto è che la filiazione naturale sia
riconosciuta o dichiarata giudizialmente.
In mancanza di discendenti, l’eredità si devolve ai genitori o ascendenti del de cuius, i quali concorrono
con il coniuge, nonché con i fratelli e le sorelle; oltre i genitori legittimi, succedono pure i genitori di figli
legittimati ed i genitori adottanti a seguito di adozione legittimante.
Quanto ai genitori naturali, l’art. 578 dispone che se il figlio naturale muore senza lasciare prole né
coniuge, l’eredità si devolve a quello dei genitori che lo hanno riconosciuto o del quale è stato dichiarato
figlio; se è stato riconosciuto o dichiarato figlio di entrambi i genitori, l’eredità spetta per metà a ciascuno di
esse, mentre se uno solo dei genitori ha legittimato il figlio, l’altro è escluso dalla successione.
La successione degli ascendenti, operante solo in mancanza di genitori, avviene per metà nella linea
paterna, e per l’altra metà in quella materna, seguendo la regola per cui, se gli ascendenti non sono di eguale
grado, l’eredità è devoluta al più vicino senza distinzione di linea.
I fratelli concorrono oltre che con il coniuge, anche con i genitori o gli ascendenti del de cuius, e se sono
unici eredi, i fratelli e le sorelle succedono in parti uguali.
Quanto alla successione degli altri parenti, in mancanza di discendenti, coniuge, genitori, ascendenti e
fratelli o sorelle, l’eredità si devolve al parente o ai parenti prossimi (senza distinzione di linea); il più vicino
come grado di parentela esclude i successivi fino ad arrivare al sesto grado, e al di là dei parenti di sesto
grado succede lo Stato.

3. Successione del coniuge.


Il coniuge assume una posizione privilegiata nel quadro della successione legittima, in quanto ha sempre
diritto di succedere, insieme ai discendenti del de cuius.
La posizione del coniuge superstite è stata radicalmente modificata dalla riforma del diritto di famiglia, che
lo ha collocato al vertice della gerarchia dei successori legittimi, in attuazione del principio della parità tra
coniugi.
In mancanza di altri successibili (discendenti, ascendenti, fratelli e sorelle), al coniuge si devolve l’intera
eredità. Circa invece la posizione successoria del coniuge superstite nell’ipotesi di separazione personale,
anche per le conseguenze dell’addebito si rinvia a quanto illustrato nella parte dedicata al diritto di famiglia.

262
Si ricordi come nell’ipotesi di dichiarazione di nullità del matrimonio dopo la morte del de cuius, al coniuge
superstite di buona fede spettino gli ordinari diritti successori; egli è escluso dalla successione, però quando
il de cuius risulti legato da valido matrimonio al momento della morte.

4. Successione dello Stato.


In mancanza di altri successibili, l’eredità è devoluta allo Stato. Il fondamento della successione dello Stato
deve individuarsi nell’esigenza dell’ordinamento di garantire che non si verifichi soluzione di continuità
nella titolarità dei beni e dei rapporti giuridici, a salvaguardia della certezza degli stessi diritti e rapporti
giuridici. Presupposto della successione dello Stato è che l’eredità sia vacante, ossia che non esistano
successori testamentari o legittimi, o che nessuno di essi possa più accettare l’eredità.
Lo Stato acquista l’eredità senza bisogno di accettazione e non può rinunziare; per questo è definito erede
necessario; inoltre lo Stato non risponde dei debiti ereditari oltre il valore dei beni acquistati.

B) SUCCESSIONE TESTEMENTARIA
5. Il testamento.
Il testamento, quale prototipo dell’atto mortis causa, ha da sempre assunto un ruolo centrale nel quadro delle
vicende successorie. Il suo carattere di negozio mortis causa sta ad indicare che il testamento è destinato a
definire l’assetto dei rapporti patrimoniali del de cuius per il tempo in cui questi avrà cessato di vivere.
Il testamento deve considerarsi l’unico strumento negoziale riconosciuto ai privati per disporre del proprio
patrimonio per il periodo successivo alla cessazione dell’esistenza.
Il testamento è un negozio giuridico dotato di propria spiccata specificità; una volta affermatane la struttura
unilaterale (in quanto destinato a perfezionarsi con la sola volontà del testatore), si riscontra una certa
difficoltà nell’accostare il testamento agli altri atti unilaterali a contenuto patrimoniale.
Il testamento si presenta come un atto di carattere personale volto ad incidere su situazioni di contenuto
patrimoniale; del testamento si è sottolineato il carattere di atto mortis causa, oltre che la peculiarità del
carattere patrimoniale che lo contraddistingue (un es. è costituito dalla problematica dell’interpretazione,
cui il legislatore non dedica come per il contratto, una disciplina analitica, limitandosi a dettare disposizioni
specifiche).
E’ evidente che il criterio di fondo consisterà nella ricerca della concreta volontà del testatore manifestata
nella scheda testamentaria.
Il testamento è definito dall’art, 587 come “atto revocabile” con il quale taluno dispone per il tempo in cui
avrà cessato di vivere, di tutte le proprie sostanze o di parte di esse; pare il caso di distinguere il testamento,
che è l’atto di ultima volontà complessivamente inteso, dalle singole disposizioni testamentarie, che invece
rappresentano ciascuna una manifestazione volitiva del testatore.
Il testamento è negozio personale, ed in quanto tale non risulta suscettibile di essere compiuto mediante
rappresentante; è inoltre negozio uni personale nel senso che il testamento deve rispecchiare la volontà del
solo testatore e contenere esclusivamente disposizioni da lui provenienti.
Il testamento è poi negozio revocabile, carattere emergente dalla stessa definizione fornita dal legislatore
nell’art. 587: il testamento può essere revocato dal testatore in qualunque momento ed un simile potere di
revoca si giustifica in relazione al principio di tutela della libertà testamentaria.
Il testamento è infine negozio formale: ai fini della validità del testamento è assolutamente necessario che
esso sia redatto nelle forme previste dal codice civile.
6. Istituzione di erede e legato. La institutio ex re certa.
Le disposizioni testamentarie sono a titolo universale ed attribuiscono la qualità di erede, se comprendono
l’universalità o un quota dei beni del testatore; le altre disposizioni sono a titolo particolare ed attribuiscono
la qualità di legatario.
Mentre l’eredità si acquista con l’accettazione, il legato si acquista senza bisogno di accettazione; mentre il
possesso continua nell’erede fin dal momento dell’apertura della successione, il legatario deve domandare

263
all’onerato il possesso della cosa legata. Ancora, mentre l’erede risponde dei debiti ereditari, il legatario non
risponde di tali debiti ed è tenuto all’adempimento del legato e di ogni altro onere a lui imposto solo nei
limiti del valore di quanto ricevuto.

7. Legati (tipologia e disciplina).


Si è rilevato che l’acquisto del legato quale attribuzione mortis causa a titolo particolare, avviene
automaticamente (senza bisogno d’accettazione, ma con facoltà di rinunzia) al momento dell’apertura della
successione e che il legatario deve chiedere il possesso della cosa legata.
E’ da precisare che l’attribuzione a titolo particolare può avere efficacia reale o obbligatoria, a seconda che,
al momento dell’apertura della successione, il legatario acquisti immediatamente la proprietà del bene o il
diritto oggetto del legato, oppure semplicemente acquisti il diritto ad ottenere la prestazione che ne
costituisce oggetto da parte del soggetto ad essa obbligato
In ciò consiste la differenza tra legato di specie e legato di genere, in quanto nel legato di specie, in
quanto avente ad oggetto la proprietà di una cosa determinata, la proprietà o il diritto si acquista dal
legatario al momento dell’apertura della successione, mentre nel legato di genere, in quanto avente ad
oggetto cose determinate solo nel genere, al momento dell’apertura della successione il legatario acquista
un diritto di credito nei confronti dell’obbligato, ad ottenere la prestazione delle cose cui si riferisce il legato.
In relazione al legato di genere si opera la tradizionale distinzione tra soggetto onorato (legatario), in
quanto beneficiario dell’attribuzione, e soggetto onerato, ovvero colui che è tenuto all’adempimento del
legato; onerato è l’erede ma può anche accadere che l’adempimento del legato sia imposto dal testatore ad
altro legatario, nel cui caso si avrà cd. sublegato, ovvero il legato a carico del legatario, il quale ne
risponderà nei limiti di quanto ricevuto. Nel silenzio del testatore, il legato è sempre a carico dell’erede o
degli eredi.
Diverso dal sublegato è il prelegato, ovvero il legato è stato fatto a favore di un soggetto che è anche stato
istituito erede; il legato è in questo caso a carico dell’intera eredità e si considera come legato per il suo
intero ammontare.
Se il legatario acquista il suo diritto senza bisogno di accettazione, egli non è obbligato a trattenere quanto
acquistato; il legatario può però sempre rinunciare al legato e chiunque vi abbia interesse può chiedere che
l’autorità giudiziaria fissi un termine entro il quale il legatario dichiari se intende esercitare la facoltà di
rinunziare. Trascorso detto termine nel silenzio, il legatario perde il diritto di rinunziare.
Il legatario acquista la cosa legata con tutte le sue pertinenze nello stato in cui si trova al momento
dell’apertura della successione. Peculiari ipotesi di legato sotto il profilo dell’oggetto sono il legato di
alimenti ed il legato di credito o di liberazione da debito.

8. Capacità di ricevere per testamento e capacità di disporre per testamento.


Circa la capacità di ricevere per testamento, nella parte dedicata alla capacità a succedere si è evidenziato
come il legislatore preveda forme di incapacità relativa di ricevere per testamento.
Quanto alla capacità di disporre per testamento, sono 3 i casi di incapacità di disporre: la minore età,
l’interdizione per infermità di mente, l’incapacità di intendere e di volere nel momento della redazione
del testamento (in tali ipotesi il testamento è annullabile su domanda di chiunque vi abbia interesse; si tratta
di una forma di annullabilità assoluta, in contrasto con l’usuale carattere relativo dell’annullabilità).
L’azione si prescrive in 5 anni dal giorno in cui è stata data esecuzione alle disposizioni testamentarie.

9. Forma del testamento.


Il testamento è negozio formale (o solenne). Tale carattere trova il suo peculiare fondamento
nell’importanza anche sociale del negozio testamentario, quale strumento che permette al soggetto di
disporre delle proprie sostanze per il periodo successivo alla morte.

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Le diverse forme di testamento presentano vantaggi e svantaggi, dei quali solo il testatore risulta unico
arbitro; nessuno può imporre al testatore una determinata forma e, qualunque forma il testatore decida di
utilizzare, l’efficacia delle disposizioni testamentarie sarà sempre la medesima.
Per quanto riguarda la distinzione di fondo tra testamentari ordinari e testamenti speciali.
a)Tra i testamenti ordinari si distingue il testamento olografo dai testamenti per atto di notaio
(testamento pubblico e testamento segreto).
Il testamento olografo è il testamento scritto per intero, datato e sottoscritto di mano del testatore; le stesse
caratteristiche del testamento olografo costituiscono requisiti di validità dello stesso: autografia,
sottoscrizione e data. Autografia vuol dire che il testamento deve essere scritto dal testatore, di suo pugno,
in quanto non sarebbe valido un testamento redatto a macchina; la sottoscrizione è anch’essa requisito
essenziale e deve essere posta alla fine delle disposizioni (se non è fatta indicando nome e cognome è valida
quando designa con certezza la persona del testatore); quanto alla data deve essere apposta dal testatore e
contenere l’indicazione del giorno, mese ed anno (è sufficiente che identifichi con chiarezza un determinato
momento temporale).
Diverse sono le conseguenze della mancanza di uno dei 3 requisiti: se manca l’autografia o la
sottoscrizione, il testamento è nullo; se manca la data o se la data non è autografa, il testamento è
annullabile, su istanza di chiunque vi abbia interesse, e l’azione si prescrive nel termine di 5 anni dal giorno
in cui è stata data esecuzione alle disposizioni testamentarie.
Il testamento olografo ha il duplice vantaggio della economicità e della segretezza: esso infatti non richiede
alcuna spesa, come invece accade per gli atti di notaio; nessuno può essere a conoscenza della sua esistenza a
meno che non sia stato informato dallo stesso testatore, o lo abbia scoperto per caso.
Il testatore può sempre depositare presso un notaio il testamento olografo e può parimenti ritirarlo in ogni
momento.
I testamenti per atto di notaio, dato l’intervento dello stesso, forniscono una garanzia per il testatore contro
possibili sottrazioni o alterazioni.
Il testamento pubblico è ricevuto dal notaio in presenza di due testimoni (che diventano 4 qualora il testatore
muto, sordo o sordomuto, non sia in grado di leggere). In presenza dei testimoni, il testatore dichiara le sue
ultime volontà, che a cura del notaio sono ridotte in iscritto; il notaio infine dà lettura al testatore del
testamento, sempre in presenza dei testimoni, e fa menzione nello stesso testamento di tali formalità.
Il ruolo del notaio costituisce anche una grande garanzia di chiarezza del contenuto delle disposizioni
testamentarie, in quanto è il notaio, che una volta ascoltate le dichiarazioni del testatore, traduce le medesime
in proposizioni significative.
Il testamento pubblico deve indicare il luogo, la data del ricevimento, l’ora della sottoscrizione (deve
essere sottoscritto oltre che dal testatore, anche dai testimoni e dal notaio, e se il testatore non può
sottoscrivere, deve dichiararne la causa, ed il notaio deve menzionare tale dichiarazione prima della lettura
dell’atto). Il testamento è valido quindi solo se tale causa effettivamente sussista.
Il testamento segreto presenta una struttura più complessa.
La scheda testamentaria viene redatta dal testatore o da un terzo; se è scritta dal testatore deve essere
sottoscritta dal medesimo alla fine delle disposizioni, se invece è scritta da un altro soggetto deve portare la
sottoscrizione del testatore in mezzo foglio, unito o separato.
La scheda poi deve essere sigillata, in modo che il testamento non possa aprirsi né estrarsi senza rottura o
alterazione; questa viene poi consegnata al notaio alla presenza di due testimoni dal testatore, il quale
dichiara che nella stessa è contenuto il suo testamento.
I testamenti per atto di notaio sono nulli qualora manchi la redazione per iscritto da parte del notaio delle
dichiarazioni del testatore.
b) La peculiarità dei testamenti speciali concerne i presupposti e l’efficacia.
In relazione ai presupposti, è il legislatore che in considerazione di particolari situazioni autorizza talune
deroghe sotto il profilo formale e delle modalità di ricevimento, nella redazione del testamento.

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L’efficacia del testamento speciale è limitata nel tempo; così il testamento redatto in costanza di calamità
pubbliche perde la sua efficacia 3 mesi dopo la cessazione della causa che ha impedito al testatore di valersi
delle forme ordinarie; il testamento fatto durante il viaggio per mare, o a bordo di aeromobile perde la sua
efficacia 3 mesi dopo lo sbarco del testatore.

10. Pubblicazione.
Il testamento olografo deve essere presentato ad un notaio per la pubblicazione da chiunque ne sia in
possesso, appena giunta la notizia della morte del testatore. Il notaio procede alla pubblicazione del
testamento in presenza di due testimoni, redigendo apposito verbale, nel quale descrive lo stato del
testamento e ne riproduce il contenuto.
Se il testamento è stato depositato dal testatore, la pubblicazione è eseguita dal notaio depositario; una volta
avvenuta la pubblicazione il testamento ha esecuzione. La pubblicazione è quindi operazione assolutamente
necessaria a portare a conoscenza dei terzi interessati alla successione del testatore, le ultime volontà del
medesimo.
Il testamento segreto invece deve essere aperto e pubblicato dal notaio appena gli perviene la notizia della
morte del testatore.

11. Invalidità. Fiducia testamentaria.


Nell’analizzare il tema dell’invalidità, è necessario richiamare la distinzione tra testamento e disposizione
testamentaria.
La disposizioni testamentaria è annullabile se è effetto di errore, violenza o dolo; si tratta di annullabilità
assoluta, in quanto può essere fatta valere da chiunque vi abbia interesse. L’azione si prescrive nel termine
di 5 anni dal giorno in cui si è avuta notizia della violenza, dell’errore o del dolo, di cui sia stato vittima il
testatore.
L’errore sul motivo della disposizione testamentaria è causa di annullamento della medesima, quando il
motivo risulta ed è il solo che ha determinato il testatore a disporre.
E’ causa di nullità della disposizione testamentaria, l’illiceità del motivo quando risulta dal testamento ed
è il solo che ha indotto il testatore a disporre; è parimenti nulla la disposizione testamentaria fatta a favore di
persona indicata in modo da non poter essere determinata.
L’art. 590 riconosce la possibilità della conferma delle disposizioni testamentarie nulle, da qualunque
causa la nullità dipenda; colui il quale, conoscendo la causa della nullità ha, dopo la morte del testatore,
confermato la disposizione, o dato ad essa volontaria esecuzione, non può poi far valere la nullità della stessa
disposizione.
Il tema della determinazione del destinatario della disposizione si intreccia con quello della rilevanza dei
motivi del testatore nel fenomeno della fiducia testamentaria. Il legislatore così ha disciplinato la
disposizione fiduciaria, con cui il testatore dispone a favore di un soggetto indicato nel testamento (come
erede o legatario) il quale dovrebbe destinare l’attribuzione ad altra persona non contemplata nel testamento.
In tal caso, la persona dichiarata nel testamento non è obbligata a rispettare le prescrizioni del testatore.

12. Disposizioni condizionali e a termine.


Dall’art. 637 si ricava l’importante regola secondo cui il termine, iniziale o finale può essere apposto solo
alle disposizioni a titolo particolare, e non a quelle a titolo universale.
Sia le disposizioni a titolo universale che quelle a titolo particolare possono invece essere sottoposte a
condizione, tanto sospensiva che risolutiva; il relativo avveramento ha effetto retroattivo.
Particolari regole sono previste in relazione all’impossibilità o illiceità della condizione apposta dalla
disposizione testamentaria: le condizioni impossibili o illecite si considerano non apposte.
Il legislatore detta una particolare regola per l’ipotesi di disposizione sottoposta a condizione risolutiva:
l’autorità giudiziaria, qualora ne ravvisi l’opportunità, può imporre all’erede o al legatario di prestare idonea

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garanzia a favore di coloro ai quali l’eredità o il legato dovrebbe devolversi nel caso che la condizione si
avverasse.

13. Onere.
L’onere (o modus) consiste in un peso posto dal testatore o dal donante a carico del beneficiario
dell’attribuzione gratuita. Il beneficiario è considerato soggetto passivo di un vero e proprio rapporto
obbligatorio (cd. obbligazione modale); l’onere in quanto tale obbliga ma non sospende l’efficacia della
disposizione.
Il modus da non confondere con l’onere quale situazione giuridica soggettiva è configurato come elemento
accidentale o accessorio del negozio giuridico.
L’onere può essere apposto tanto all’istituzione dell’erede che al legato; qualora l’onere sia illecito o
impossibile, si considera non apposto. Rende però nulla la disposizione testamentaria se ne ha costituito il
solo motivo determinante; per l’adempimento dell’onere può agire chiunque vi abbia interesse.
Peculiarità dell’obbligazione modale si rinviene pure sotto il profilo del suo inadempimento: questo non
determina la risolubilità della disposizione testamentaria, che resta pienamente efficace. La risoluzione della
disposizione però può essere pronunciata qualora la risoluzione sia stata prevista dal testatore.

16. Revocazione delle disposizioni testamentarie.


Tra i caratteri essenziali del negozio testamentario, non possiamo non citare la revocabilità; il testamento è
in ogni momento revocabile dal suo autore, il quale non può in alcun modo rinunziare alla suddetta facoltà di
revocare o mutare le disposizioni testamentarie, non avendo effetto qualsiasi clausola o condizione in senso
contrario.
Una prima ipotesi di revocazione è la revocazione espressa; essa può farsi però solo con un nuovo
testamento o con un atto ricevuto da notaio in presenza di due testimoni, nel quale il testatore dichiara
personalmente di revocare in tutto o in parte la disposizione anteriore.
Per quanto riguarda invece la revocazione tacita (o implicita), ogni testamento posteriore che non revochi
espressamente il precedente o i precedenti, vale ad annullare in questi le disposizioni con esso incompatibili.
Si parla invece di revocazione presunta con riferimento al caso di distruzione, lacerazione o cancellazione
in tutto o in parte del testamento olografo.
Questo infatti si considera in tutto o in parte revocato, a meno che si provi che fu distrutto, lacerato o
cancellato da persona diversa dal testatore, ovvero si provi che il testatore non ebbe l’intenzione di revocarlo.
Del tutto diverso è l’istituto della revocazione per sopravvenienza di figli; le disposizioni a titolo
universale o particolare, fatte dal testatore in un momento in cui non aveva o ignorava di avere figli o
discendenti, sono revocate di diritto per l’esistenza o la sopravvenienza di un figlio o discendente legittimo,
ovvero il riconoscimento di un figlio naturale.

17. Esecutore testamentario.


Il testatore può nominare uno o più esecutori testamentari i quali, apertasi la successione ed accettato
l’incarico, devono curare che siano esattamente eseguite le disposizioni di ultima volontà del defunto. Se
sono nominati più esecutori testamentari, essi devono agire congiuntamente salvo che il testatore abbia
diviso tra loro le attribuzioni.
L’esecutore non è un rappresentante del de cuius, bensì svolge un ufficio di diritto privato.
L’esecutore testamentario ha facoltà di rinunziare all’incarico, al contrario del tutore che può solo essere
dispensato in particolari ipotesi. L’accettazione o la rinunzia da parte dell’esecutore deve risultare da
dichiarazione fatta presso la cancelleria del tribunale nella cui giurisdizione si è aperta la successione, e deve
essere annotata nel registro delle successioni. Tale ufficio è gratuito, a meno che il testatore abbia stabilito
una retribuzione a carico dell’eredità.
Per essere nominato, deve avere la piena capacità di obbligarsi e può essere anche un erede o legatario.

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La nomina di un esecutore testamentario rappresenta per il testatore una garanzia di corretta esecuzione
delle proprie volontà, come manifestate nel testamento. L’esecutore deve esattamente attenersi a quanto
previsto nel testamento; l’esecutore deve amministrare la massa ereditaria, prendendo possesso dei beni che
ne fanno parte.
Nell’attività di amministrazione dei beni, l’esecutore deve usare la diligenza del buon padre di famiglia, e al
termine della gestione, deve rendere il conto della stessa, ed è tenuto al risarcimento dei danni verso gli eredi
ed i legatari.

CAPITOLO 3 – DIRITTI DEI LEGITTIMARI


1.Nozione di legittimario; 2. Categorie di legittimari; 3. Posizione del legittimario; 4. Azione di riduzione.

1.Nozione di legittimario.
Con la disciplina della successione dei legittimari viene apprestata tutela a talune categorie di soggetti, cui
l’ordinamento intende garantire i diritti, in considerazione dello stretto vincolo familiare che li lega al de
cuius.
La quota che spetta ai legittimari viene denominata legittima o riserva o indisponibile; il de cuius cioè non
può disporre di tale quota né per testamento né a titolo di liberalità.
E’ in tale prospettiva che si parla di successione necessaria e che i legittimari stessi sono anche chiamati
eredi necessari nel senso che dal complessivo atteggiarsi della vicenda successoria non può derivare
pregiudizio per le loro ragioni. La quota di patrimonio della quale il de cuius può liberamente disporre
prende il nome di disponibile.
La quota che spetta al legittimario non può essergli sottratta e in ciò consiste il principio di intangibilità
della legittima. Tale principio va inteso in senso quantitativo e non qualitativo; al legittimario deve
pervenire un certo quantitativo di beni per un determinato ammontare, e al testatore è consentito comporre la
sua quota come meglio crede.
Circa la natura della successione dei legittimari, prevale l’orientamento nel senso di escluderne la
configurazione quale tertium genus di vocazione successoria, accanto alla successione legittima ed a quella
testamentaria. Le disposizioni testamentarie non possono pregiudicare i diritti che la legge riserva ai
legittimari; la successione necessaria si presenta come un peculiare modo ti atteggiarsi della successione
legittima.
Legittimari sono il coniuge, i figli (legittimi, legittimati, adottivi e naturali) e gli ascendenti legittimi; ai
discendenti dei figli sono riservati gli stessi diritti che la legge riserva ai figli. La differenza sostanziale che
intercorre tra erede legittimo e legittimario sta nel fatto che erede legittimo è colui cui spetta succedere in
assenza, totale o parziale, di vocazione testamentaria, mentre erede legittimario è invece colui nella
successione a favore del quale deve essere ricompreso un quantitativo di beni almeno pari a quello che
l’ordinamento gli riserva con riferimento al patrimonio complessivo del de cuius.
La lesione della legittima può così verificarsi, sia quando si apre la successione testamentaria (perché il
legittimario non è stato contemplato nel testamento o ha ricevuto dal testatore meno di quanto gli spetta), sia
quando si apre la successione legittima, in quanto la lesione stessa può derivare da atti di disposizione
(donazioni) posti in essere dal de cuius quando ancora era in vita.
Tratto peculiare delle norme dettate a disciplina dei diritti dei legittimari risulta, quello di essere destinate ad
essere azionate solo nella misura in cui, all’apertura della successione il legittimario sia stato leso.

2. Categorie di legittimari.
Categoria privilegiata è quella dei figli, i quali concorrono solo con il coniuge superstite ed escludono dalla
successione nella legittima, gli ascendenti.
Se il genitore lascia un solo figlio, a questi spetterà metà del patrimonio; se i figli sono più, è loro riservata la
quota di 2/3, da dividersi in parti uguali tra tutti i figli, legittimi e naturali.

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In favore dei figli legittimi, l’art. 537 riconosce il cd. diritto di commutazione; essi possono cioè soddisfare
in danaro o in beni immobili ereditari, la porzione spettante ai figli naturali che non vi si oppongono, e nel
caso di opposizione decide il giudice.
Il diritto di commutazione, che si giustifica nella preferenza per la famiglia legittima rispetto a quella
naturale, costituisce un discusso privilegio concesso ai figli legittimi.
Qualora l’unico figlio concorra con il coniuge superstite, a ciascuno spetta un terzo del patrimonio; ove con
il coniuge concorra più di un figlio, al coniuge spetta un quarto del patrimonio ed ai figli metà, da dividersi
in parti uguali.
Al coniuge superstite, in qualità di legittimario, spetta metà del patrimonio del defunto del coniuge. Qualora
manchino figli, il coniuge concorre con gli ascendenti legittimi del de cuius e gli spetta comunque metà del
patrimonio, mentre agli ascendenti compete solo un quarto.
Al coniuge separato, spettano gli stessi diritti successori del coniuge non separato, se la separazione
personale non gli sia stata addebitata; ove la separazione gli sia stata addebitata, il coniuge separato ha diritto
soltanto ad un assegno vitalizio, se al momento dell’apertura della successione godeva degli alimenti a
carico del coniuge defunto (tale assegno è commisurato alle sostanze ereditarie e alla qualità e al numero
degli eredi legittimi, e non può essere di entità superiore a quella della prestazione alimentare
precedentemente goduta).
Con il divorzio vengono meno i diritti successori; agli ascendenti legittimi, la cui successione necessaria è
esclusa dalla sussistenza dei figli del de cuius, spetta un terzo del patrimonio del de cuius.

3. Posizione del legittimario.


Apertasi la successione occorre verificare se al legittimario risulti garantito l’acquisto di una quantità di beni
almeno corrispondente alla quota che l’ordinamento gli riserva.
Fondamentale è la cd. riunione fittizia; si tratta dell’operazione aritmetica che permette di determinare
l’ammontare della porzione di patrimonio di cui il defunto poteva disporre, considerati qualità e numero dei
legittimari.
Al relictum, ovvero ai beni appartenenti al defunto al momento dell’apertura della successione, detratti i
debiti, si aggiunge il donatum, ovvero l’insieme dei beni donati dal de cuius quando questi era ancora in
vita, secondo il relativo valore al momento dell’apertura della successione.
La lesione della legittima può consistere o in una totale esclusione del legittimario dalla successione, o in un
minor valore della quota pervenuta al legittimario.
Il legittimario pretermesso non è da considerare chiamato all’eredità, ma acquista tale qualità soltanto per
effetto dell’esito vittorioso dell’azione di riduzione. Il legittimario semplicemente leso invece, in quanto
chiamato all’eredità può accettare l’eredità a lui devoluta e acquista la qualità di erede limitatamente a
quanto acquistato.

4. Azione di riduzione.
Se ad esito della riunione fittizia emerge una lesione dei diritti spettanti al legittimario, questi potrà esperire
l’azione di riduzione, che ha come risultato quello di rendere inefficaci (in opponibili) nei confronti del
legittimario istante, le disposizioni testamentarie o le donazioni lesive, fatte oggetto di riduzione.
L’azione di riduzione colpisce in primo luogo, le disposizioni testamentarie, che si riducono
proporzionalmente senza fare distinzione tra eredità e legato.
Qualora la riduzione delle disposizioni testamentarie non sia sufficiente a soddisfare le ragioni del
legittimato leso, si riducono le donazioni, cominciando dall’ultima e risalendo alle anteriori.
Quanto alle condizioni per l’esercizio dell’azione di riduzione, il legittimario deve sempre imputare alla sua
porzione legittima le donazioni ed i legati a lui fatti.

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Il legittimario che succede per rappresentazione deve imputare, oltre alle donazioni, anche i legati fatti al suo
ascendente. La cd. dispensa da imputazione ha la funzione di permettere al legittimario dispensato, di
trattenere la donazione o il legato, in aggiunta alla legittima a lui riservata.
Qualora oggetto di riduzione siano le donazioni ed i legati fatti a soggetti che non sono chiamati come
coeredi, il legittimario deve accettare l’eredità con beneficio di inventario; in caso contrario non può
chiedere la riduzione di tali donazioni e legati.
La norma che mira a tutelare i legatati ed i donatari estranei all’eredità, si riferisce solo al legittimario leso e
non pretermesso, dato che il legittimario pretermesso non può accettare l’eredità.
Se l’erede-legittimario ha accettato con beneficio d’inventario ma è decaduto dallo stesso, può esperire
comunque l’azione di riduzione.
L’azione di riduzione può essere esercitata solo dal legittimario, e in caso di mancato esercizio da parte sua,
dai suoi eredi o aventi causa, sempre che il legittimario non via abbia rinunziato. E’ inoltre da precisare che il
legittimario non può rinunziare al suo diritto alla riduzione fino a che sia in vita il donante; può però
rinunciarvi successivamente all’apertura della successione.
Il legislatore, deve ritenere che l’azione di riduzione si prescriva nel termine ordinario di 10 anni, anche se vi
è incertezza circa l’identificazione del dies a quo (è diffusa l’opinione secondo cui il dies a quo
coinciderebbe con l’apertura della successione), a partire dal quale il termine inizia a decorrere. L’eccessiva
durata del termine di prescrizione è alla base delle critiche, in quanto tale da ostacolare la circolazione dei
beni di provenienza donativa.

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