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Fernando Bocchini Enrico Quadri

Riassunto dal manuale di “Diritto privato”(Giappichelli 2011, IV ed.)

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PARTE 1 - ORDINAMENTO GIURIDICO

CAPITOLO 1 – ORDINAMENTO GIURIDICO E REALTA’ SOCIALE


1. Società e diritto. L’esperienza giuridica; 2. Correlazioni del diritto con altre esperienze sociali; 3. La
valutazione giuridica della realtà materiale; 4. Ordinamento giuridico; 5. Diritto positivo e diritto naturale;
6. La scienza giuridica e le categorie generali; 7. I principali sistemi giuridici: civil law e common law.

1. Società e diritto. L’esperienza giuridica.


Ogni comunità ha bisogno del diritto (dal latino directus) per organizzarsi e vivere pacificamente; d’altra
parte il diritto è quanto rivolto alla disciplina dei rapporti umani per assicurare ad ogni aggregazione umana
una civile convivenza. Il diritto proviene dall’uomo ed è in funzione di esso in quanto portatore di interessi;
molti di questi interessi non sono realizzabili autonomamente dagli uomini, ma richiedono una aggregazione
di uomini in gruppi e l’impiego di cospicui beni e mezzi, dando così vita ad organizzazioni collettive
(associazioni, società, ecc.). Possiamo dunque dire che il diritto mira alla regolazione degli interessi e dei
comportamenti delle diverse entità sociali attraverso precetti giuridici.

2. Correlazioni del diritto con altre esperienze sociali.


L’esperienza giuridica è intrecciata con altre esperienze sociali, per assumere da queste singole motivazioni.
Un nesso importante ha assunto nelle società moderne il rapporto del diritto con l’economia; l’economia è il
parametro di programmazione ed impiego razionale dei mezzi di produzione, verso uno sviluppo sostenibile.
Altro discorso va fatto circa l’influenza della scienza che induce alla formazione di regole giuridiche in
grado di disciplinare le applicazioni della ricerca. Il giurista guarda al diritto come complesso di regole,
che consente una civile convivenza improntata ai valori operanti nell’ordinamento; in particolar modo è
chiamato ad applicare il diritto e ad individuare le regole vigenti, fissarne il significato e renderle operative
nel caso concreto.

3. La valutazione giuridica della realtà materiale.


Sia in relazione ad un interesse che ad un fatto materiale, il diritto può assumere un duplice atteggiamento:
di indifferenza, in quanto considerati irrilevanti e quindi non disciplinati, oppure di rilevanza, in quanto
ritenuti involgenti valori dell’ordinamento e quindi disciplinati. Un fenomeno risulta essere giuridicamente
disciplinato, quando l’interesse o il fatto materiale incide sul modo di essere e sentire della comunità sociale.
Il diritto svolge una funzione complessa in quanto è espressione dei valori sui quali la singola comunità è
edificata ed intende svilupparsi; è mezzo per garantire il dispiegarsi delle aspirazioni individuali secondo i
valori accolti.
Una tradizionale raffigurazione porta ad attribuire due significati al diritto: il diritto oggettivo indica
l’insieme dei precetti giuridici vigenti su cui si fondano i rapporti tra consociati o tra le diverse comunità (es.
la normativa sulla proprietà), mentre il diritto soggettivo indica il potere attribuito al privato di assumere un
determinato comportamento per realizzare un proprio interesse (es. il diritto del proprietario di godere e
disporre di un bene).

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4. Ordinamento giuridico.
L’ordinamento giuridico è il complesso di regole vincolanti di cui si dota una determinata comunità; tali
regole sono ordinate secondo una tavola formale ( l’ordinamento) attraverso un’organizzazione che ne
consente la formazione e ne presidia l’osservanza.
I connotati strutturali degli ordinamenti moderni sono la effettività e la completezza: la effettività
garantisce la produzione di regole giuridiche e l’applicazione in coerenza con le prerogative riconosciute ai
consociati; secondo invece il principio di completezza, ogni fattispecie deve trovare regolazione all’interno
dell’ordinamento.
Per quanto riguarda le istituzioni di riferimento, l’ordinamento statale è tradizionalmente configurato
come sovraordinato a tutti gli altri ordinamenti delle singoli formazioni sociali sussistenti sul territorio
statale, a presidio della stabilità di organizzazione della comunità nazionale. All’apice degli ordinamenti
giuridici statali delle società moderne vi sono le Costituzioni quali tavole dei valori e delle strutture nei quali
le società civili si riconoscono.
Venendo alla definizione del tessuto normativo, è possibile definire alcuni concetti basilari quali la norma
giuridica che è l’unità elementare dell’ordinamento, ossia la singola regola di comportamento e di
organizzazione della società; l’istituto giuridico esprime il compendio delle regole che disciplinano un
singolo fenomeno giuridico (es. matrimonio, proprietà). Il termine principi invece presenta diverse
accezioni: sono indicati con tale termine i valori fondamentali dell’ordinamento, assolutamente
inderogabili, oppure con tale termine si intendono anche le tecniche organizzative di singole discipline
giuridiche.
Infine annoveriamo le clausole generali che esprimono le tecniche di formazione; il contenuto precettivo
della norma è determinato attraverso l’impiego di formule generali che si completano in ragione
dell’evolvere della realtà socio-giuridica.

5. Diritto positivo e diritto naturale.


a)Il diritto positivo è il complesso delle regole costituenti l’ordinamento giuridico; l’osservanza del diritto
positivo vale a garantire la certezza del diritto e dunque la prevedibilità dell’applicazione delle regole.
A sua volta il diritto positivo si svolge in due dimensioni: diritto materiale e diritto strumentale.
Il diritto materiale (detto diritto sostanziale) regola i rapporti tra i soggetti, selezionando gli interessi
considerati meritevoli di tutela e quelli destinati a soccombere, attribuendo diritti ed obblighi (tali sono il
diritto civile e il diritto penale).
Il diritto strumentale (detto diritto formale) disciplina i meccanismi necessari per l’attuazione degli
interessi protetti(tali sono il diritto processuale e il diritto internazionale privato).
b) Il diritto naturale indica l’insieme di principi che derivano da fonti non formali, quali la natura umana o
la ragione etc. Esprime in sostanza le aspirazioni della società antagoniste al diritto formalmente posto.

6. La scienza giuridica e le categorie generali.


La scienza giuridica è pratica e teorica, in quanto da un lato individua i conflitti ed i valori suscitati dalle
relazioni umane , mentre dall’altro elabora le categorie logiche necessarie alla traduzione del dato reale
in norme giuridiche, consentendo il controllo dell’applicazione delle regole.
La scienza giuridica trova il proprio nutrimento nella realtà materiale, cogliendo l’essenza dei fenomeni
giuridici; ma si esprime attraverso i concetti, rappresentativi dei singoli fenomeni.
Le categorie generali quali concetti di rappresentazione giuridica delle dinamiche sociali, vanno
ammodernate secondo l’evolvere della realtà giuridica, adattate agli eventi e alle novità sociali riflesse
nell’ordinamento.

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7. I principali sistemi giuridici: civil law e common law.
Le esperienze giuridiche dei singoli paesi sono ricollegabili a due famiglie ordinamentali.
1)Il sistema di Civil law è il modello ordinamentale dominante a livello mondiale; si riconducono a tale
modello il nostro paese, i paesi dell’Europa continentale, i paesi del Sud America e dell’America centrale,
la Cina e molti altri paesi asiatici.
Trattasi di un diritto di fonte legislativa, in quanto i giudici sono tenuti ad applicare il diritto espresso dalle
leggi; i precedenti giudiziari non sono vincolanti, ma svolgono solo una funzione persuasiva dei giudici.
2) Il sistema del Common law è invece un modello ordinamentale di matrice anglosassone.
E’ attualmente in vigore in Gran Bretagna, Irlanda, Stati Uniti d’America (escluso lo Stato della Lousiana),
Canada, Australia.
E’ un diritto a formazione giudiziaria, sviluppatosi attraverso i precedenti delle decisioni giurisprudenziali;
vale la regola dello stare decisis, per cui il precedente giudiziario è vincolante per i giudici di pari grado o di
grado inferiore che successivamente giudicano il medesimo caso. Per discostarsene bisogna motivare la
novità del caso (nella struttura o con riferimento a principi dell’ordinamento, cd. distinguishing).

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CAPITOLO 2 – DIRITTO PRIVATO
1.Relatività della nozione di diritto privato; 2. Evoluzione medievale ed età moderna. Il diritto privato degli
Stati moderni; 3. Le codificazioni in senso moderno. Il codice civile francese (cod. nap.) e il codice civile del
1865; 4. Il codice civile tedesco (B.G.B); 5. Il codice civile del 1942; 6. Le costruzioni degli stati moderni;
7. La Costituzione repubblicana. Il primato della persona umana; 8. Il “pluralismo” ordinamentale e sociale;
9. Verso un diritto uniforme; 10. Il diritto privato europeo; 11. L’ambito attuale del diritto privato;
12. La capacità di diritto privato della pubblica amministrazione; 13. Il diritto dei privati e la
globalizzazione; 14. I fondamentali valori ordinatori.

1.Relatività della nozione di diritto privato.


Funzione essenziale del diritto è quella di garantire la pacifica convivenza dei consociati; è uno scopo
primario e generale che consente la coesione di una comunità e giustifica il formarsi di un ordinamento
giuridico. Ogni norma persegue anche uno scopo ulteriore e specifico essendo rivolta a selezionare gli
interessi in conflitto secondo una scala di valori determinata.
Perciò la configurazione del diritto privato è relativa, in quanto correlata alle aree di espansione del diritto
pubblico, e contingente, poiché destinata a mutare in ragione dell’evoluzione della struttura sociale.

2. Evoluzione medievale ed età moderna. Il diritto privato degli Stati moderni.


L’area del diritto privato si configura e delimita il variegato svolgersi della esperienza giuridica.
a)Esauritasi l’attualità dell’ordinamento romano, l’Europa medievale era stata caratterizzata dalla
contemporanea esistenza di una pluralità di fonti del diritto: da una parte, il diritto romano giustinianeo
(corpus iuris civilis), e dall’altra, il diritto della Chiesa (corpus iuris canonici).
Tale molteplicità di fonti non era stata di ostacolo al formarsi di un diritto comune, sia per la comune lingua
utilizzata dai giuristi, sia perche la generalizzata coesistenza era assicurata attraverso un meccanismo per cui
i diritti particolari trovavano applicazione solo in assenza del diritto comune.
b) Con il sec. XIII emergono valori terreni come la valorizzazione del lavoro e la positività del danaro.
Lo sviluppo dei traffici dà luogo al formarsi di uno ius mercatorum incentrato sulle esigenze di difesa del
diritto di proprietà e di stabilità dei rapporti sociali. La figura del mercante si impone ai proprietari terrieri e
ai produttori artigiani, come artefice del collocamento dei prodotti in aree geografiche sempre più vaste.
c) La qualità di commerciante è accordata dal sovrano e quindi dal potere statale; la statalizzazione del
diritto è vissuta come concentrazione nello Stato della produzione e dell’applicazione delle regole
giuridiche.
Il metodo razionalistico di interpretazione della realtà approda ad una valorizzazione della soggettività
dell’individuo contro il potere assoluto; viene dapprima enfatizzata la libertà del volere come essenziale
elemento di sviluppo sociale ed economico. La volontà indica il momento finale di processi individuali
razionali: l’esplicazione della volontà realizza il contenuto dei diritti naturali.
Mentre il diritto pubblico si caratterizza quale disciplina dell’organizzazione dello Stato e dei rapporti tra
lo Stato ed il cittadino, il diritto privato si pone come disciplina dei rapporti tra privati; entrambi i diritti
esprimono diverse sfere di incidenza in ragione della natura degli interessi regolati: il diritto pubblico segna
il campo degli interessi generali, mentre il diritto privato fissa l’ambito degli interessi particolari.

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3. Le codificazioni in senso moderno. Il codice civile francese (Cod. Nap.) e il codice civile del 1865.
I codici sono considerati universali ed immutabili e quindi utilizzabili nel tempo e in più paesi.
Nella compilazione, il codice si presenta come un sistema di norme strutturato in modo organico
(per riguardare un intero settore dell’esperienza giuridica) e sistematico (per l’ordinamento logico che
lo sorregge).
Massima espressione di tale impostazione è il code civil des francais promulgato il 21 marzo 1804, forgiato
secondo i principi espressi dalla rivoluzione francese. Il diritto privato con il codice napoleonico, diviene
diritto dello Stato, che fa propri i valori e le aspirazioni della società civile.
Al codice napoleonico si conformeranno prima i codici di singoli Stati italiani preunitari, poi il cod. civ.
del 1865 , il quale nel prendere a modello il cod. nap., ebbe il torto di non riflettere la realtà socio-economica
che nel frattempo si era andata evolvendo.

4. Il codice civile tedesco (B.G.B).


Si sviluppa in Germania nella prima metà dell’800 la cd. scuola storica del diritto che ricostituisce la
società come attraversata da una perenne evoluzione, contro la universalità razionale dei giusnaturalisti.
Massima espressione della dogmatica pandettistica fu l’elaborazione del codice civile tedesco (Burgerliches
Gesetzbuch) indicato con le iniziali B.G.B, adottato nel 1896 in vigore dal 1 gennaio 1900.
Con un linguaggio tecnico e colto la materia del diritto privato è pensata ed organizzata secondo categorie
logiche generali; elaborato da professori, non è accessibile all’uomo comune ma ai tecnici del diritto.

5. Il codice civile del 1942.


Il codice civile del 1942 muove dall’impianto del code civile, ma utilizza tecniche di generalizzazione
proprie del B.G.B., come la previsione di “disposizioni generali” e l’introduzione di “clausole generali”.
Tratto saliente del codice civile fu quello della unificazione della normativa civilistica e commercialistica
in un unico codice.
Il cod. civ. del 1865 regolava in via esclusiva persone, famiglia, successioni e proprietà; mentre la disciplina
di impresa (e della navigazione) era collocata nel codice di commercio, obbligazioni e contratti erano
disciplinati in entrambi i codici.
Il codice civile del 1942 è tuttora in vigore. A tale longevità hanno concorso due circostanze: l’una interna
al codice, per l’ampio impiego di clausole generali (come buona fede, diligenza), l’altra esterna al codice,
per il processo di novellazione cui è continuamente assoggettato, vuoi con la sostituzione o modificazione di
normative, vuoi con l’aggiunta di nuove discipline.

6. Le costituzioni degli stati moderni.


I valori che pervadono i codici di inizio ‘800 orientano le costituzioni degli Stati moderni, che sanciscono le
libertà e le garanzie dei cittadini verso lo Stato; si apre così la strada alle costituzioni scritte, che hanno il
compito di riconoscere i diritti dei cittadini nei confronti dello Stato, e segnare i rapporti tra lo Stato stesso ed
i consociati (cd. Stato costituzionale).
Espressione di tale stagione è lo Statuto albertino del 1848 contenente una parte intitolata “Diritti e doveri
dei cittadini” rivolto alla regolazione della organizzazione dello Stato.
E’ in generale ribadito il modello dello Stato di diritto; connotato primo di tale modello è il principio di
legalità, per cui tutti sono soggetti alla legge. Poiché il diritto ha la essenziale funzione di garanzia della
coesistenza degli individui, vi è connesso il principio della certezza del diritto: non solo della esistenza
della regola giuridica, ma anche della sua applicazione e tutela attraverso i meccanismi che ne garantiscono
l’attuazione. Il criterio guida è espresso dal principio di eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge,
senza distinzione di classe o di censo.

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7. La Costituzione repubblicana. Il primato della persona umana.
Dalla seconda metà dell’ 800 affiorano più eventi che sconvolgono il tessuto socio-economico.
Sul piano economico, la rivoluzione industriale soppianta la ricchezza agraria, ed emerge la
concentrazione dei capitali; i rapporti con le banche si rivelano essenziali nell’approvvigionamento
dei mezzi di produzione.
Sul piano sociale la industrializzazione determina la concentrazione della forza lavoro nelle aree
industriali, con l’aggregazione in strutture sindacali degli interessi collettivi dei lavoratori per migliori
condizioni salariali.
In campo politico l’universalismo è contraddetto dagli equilibri di potere che la borghesia emergente
instaura con le classi tradizionalmente detentrici del potere.
Anche la Costituzione repubblicana introduce garanzie e tutele contro i poteri di fatto della società civile.
Una sinergia ideologica sorregge le scelte della Carta costituzionale: culture diverse convergono verso
l’affermazione di valori fondativi comuni. Le varie culture si incontrano sul principio della dignità e del
primato della “persona umana” che pervade l’intera Carta costituzionale.
Il principio personalista esprime la sintesi dei diritti fondamentali della persona umana, riflettendosi sulla
regolamentazione delle relazioni sociali.

8. Il “pluralismo ordinamentale e sociale.


L’ispirazione pluralistica si esprime in due direzioni: ordinamentale e sociale.
a) Il pluralismo ordinamentale importa il riconoscimento di altri ordinamenti giuridici con i quali
coordinare l’azione dell’ordinamento giuridico statale; il criterio si lega alla dottrina della “pluralità degli
ordinamenti”.
b) Il pluralismo sociale implica la limitazione del diritto statale in favore degli statuti dei gruppi; tale
limitazione è legata alla valorizzazione dei gruppi, valutati come mezzi privilegiati di sviluppo della persona
umana.

9. Verso un diritto uniforme.


Dopo un lungo periodo di diritto comparato, teso allo studio del confronto tra i vari ordinamenti nazionali,
è da tempo in corso la ricerca di un diritto uniforme.
Dapprima il fenomeno si è sviluppato nel solco di un diritto strumentale uniforme, e di un diritto
internazionale privato uniforme, allo scopo di fissare criteri uniformi di individuazione dell’ordinamento
applicabile alla fattispecie che presenti elementi di collegamento con più ordinamenti.
Ma con l’accrescersi delle relazioni sociali ed economiche tra cittadini di paesi diversi è avvertita l’esigenza
di un diritto materiale uniforme e cioè di una regolazione uniforme delle singole materie, allo scopo di
realizzare maggiore certezza dei rapporti giuridici.

10. Il diritto privato europeo.


Il diritto europeo rappresenta una spinta incisiva alla formazione di un diritto uniforme; è in atto un processo
di costruzione di un diritto privato europeo attraverso un duplice percorso, in quanto da una lato, con la
formazione di un diritto comunitario, ossia di una disciplina del diritto privato proveniente dall’alto,
attraverso le Convenzioni europee e l’intervento normativo delle istituzioni europee; dall’altro , con
l’elaborazione di un diritto comune e cioè di un insieme di criteri e categorie uniformi provenienti dal
basso.
Oggi tutti i settori del diritto privato sono attraversati dalla forza unificatrice del diritto europeo: d’altra
parte l’adozione della moneta unica europea (l’euro) ha comportato la cessione della sovranità nazionale in
tema di politica monetaria. Il terreno più concreto di formazione di un diritto uniforme è quello degli scambi
commerciali e delle organizzazioni economiche; è per questo motivo emerso un diritto dei contratti e dei
consumatori destinato a formare il nucleo di un futuro eventuale codice europeo di diritto privato.

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11. L’ambito attuale del diritto privato.
Nella formazione degli stati moderni si è delineata una separazione tra diritto privato e diritto pubblico in
ragione di un duplice criterio: da un lato la diversità delle sfere di influenza, dall’altro, la natura degli
interessi regolati.
C’è al fondo di tale dicotomia un netto divario tra società civile e Stato, che rilascia ai privati la
realizzazione di interessi particolari, attraverso i meccanismi della parità giuridica degli stessi, e demanda
allo Stato il perseguimento dell’interesse generale attraverso gli strumenti autoritativi della sovranità.
Sempre più spesso lo Stato è portato ad intervenire nella sfera dei rapporti privati e talvolta ad orientare lo
sviluppo socioeconomico in funzione di un benessere generale.
In questo contesto si dilatano i confini del diritto privato.
Resiste il criterio di distinzione fondato sulla natura degli interessi regolati, per cui al diritto pubblico
inerisce la cura dell’interesse generale, mentre al diritto privato è demandata la realizzazione degli interessi
particolari.
L’interesse particolare involge il diritto privato ed è realizzabile solo attraverso i meccanismi di diritto
privato; viceversa l’interesse generale è realizzabile sia con gli strumenti istituzionali del diritto pubblico
(espressivi di sovranità), che con gli strumenti del diritto privato (esplicativi di parità giuridica).

12. La capacità di diritto privato della pubblica amministrazione.


Tutte le amministrazioni pubbliche comprese quelle statali devono godere di diritti e sono quindi dotate di
capacità generale di diritto privato. Mentre gli enti privati possono essere o meno dotati di personalità
giuridica, tutti gli enti pubblici sono dotati di personalità giuridica.
La capacità di diritto privato della pubblica amministrazione consiste nell’attitudine della stessa ad essere
titolare di diritti e doveri (capacità giuridica) e di compiere atti giuridici (capacità di agire).
Allorquando gli enti pubblici agiscano mediante strumenti di diritto privato, c’è però da coniugare i principi
dell’autonomia privata improntati all’autodeterminazione e alla libertà di perseguimento degli interessi,
con i principi che presiedono l’azione pubblica, caratterizzati da potere discrezionale.
L’intreccio tra i due profili è reso possibile dal dovere di osservanza da parte della pubblica amministrazione
di un cd. procedimento di evidenza pubblica, ossia un procedimento interno all’ente, che precede la stipula
del contratto e svolto secondo scansioni fissate dalla legge al fine di garantire la realizzazione dell’interesse
pubblico. La procedimentalizzazione amministrativa (ossia il conseguirsi concatenato di atti tipici da parte
della pubblica amministrazione) nella determinazione dell’interesse da realizzare, consente di verificare il
rispetto della legge e l’uso corretto della discrezionalità, garantendo la trasparenza dell’azione della pubblica
amministrazione.

13. Il diritto dei privati e la globalizzazione.


Accanto al diritto dettato dallo Stato per i rapporti tra privati pulsa un diritto dei privati espresso dagli stessi
privati nei gruppi. L’autonomia collettiva dei gruppi dà luogo a statuti che si impongono ai singoli
partecipanti come diritto proprio della specifica comunità.
Fondamentale limite all’esplicazione dell’autonomia collettiva è che lo statuto si riveli coerente con i
valori dell’ordinamento espressi dalla Carta costituzionale.
L’ammodernamento delle tecniche di produzione e distribuzione di massa, l’evoluzione delle modalità di
erogazione dei servizi, favoriscono lo sviluppo di relazioni economiche tra paesi diversi e sempre più lontani,
soggette a regolamentazioni uniformi imposte dalle multinazionali.
Si rafforza così un fenomeno di controllo privato dell’economia, emerso con la produzione e distribuzione di
massa: la grande impresa riesce ad imprimere una standardizzazione comportamentale che involge la stessa
organizzazione dei mercati e delle relazioni industriali. La globalizzazione acuisce una concorrenza
economica senza regole che coinvolge modelli comportamentali ed una politica salariale al ribasso.

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14. I fondamentali valori ordinatori.
Al modello di Stato sociale di diritto è ormai ispirato anche l’ordinamento europeo che sta evolvendo verso
una regolazione delle relazioni sociali, indirizzando bisogni e risorse verso uno sviluppo equilibrato e
sostenibile.
Emerge così una tutela di valori, che coniuga legalità e giustizia nel segno della tutela e della dignità della
persona umana quale valore primario.
La dimensione dello Stato di diritto involge il terreno proprio dei cd. diritti civili, considerati inviolabili sia
da parte dei poteri pubblici che dei privati (es. diritti di libertà di pensiero, di fede religiosa); connesso con
tali valori è il principio di libertà in campo economico, attraverso il riconoscimento dell’autoregolazione
degli interessi privati (cd. autonomia negoziale).
a)Lo Stato di diritto è presidiato da più principi. C’è innanzitutto il principio di legalità, per cui tutti sono
soggetti alla legge; i giudici sono soggetti soltanto alla legge ed i pubblici uffici sono organizzati secondo
disposizioni di legge; l’osservanza della stessa è garanzia d’ordine e dunque di rispetto della libertà dei
cittadini.
Altro principio fondamentale è quello della certezza del diritto, riferito non solo alla esistenza del diritto ma
anche alla sua applicazione (principio di effettività); ciò implica l’accessibilità alla conoscenza del diritto,
affinché siano conoscibili sia la prescrizione precettiva che le conseguenze della sua violazione.
Essenziale è anche il principio di eguaglianza (cd. eguaglianza formale): per tale norma tutti i cittadini
hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, razza, lingua,
religione, opinioni politiche, condizioni personali e sociali.
La dimensione dello “Stato sociale” (Welfare State): è una dimensione conformata sul dovere di solidarietà,
nei rapporti dei privati con i poteri pubblici, come nei rapporti tra i privati.
b) Secondo il comma 2 dell’art. 3 Cost. è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine
economico e sociale che, limitando la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo
della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e
sociale del Paese.

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CAPITOLO 3 – FONTI ED APPLICAZIONE DEL DIRITTO
1.Regole giuridiche e fonti del diritto; 2. Caratteri e tipologia delle norme giuridiche; -A) FONTI DEL
DIRITTO. 3. Fonti di produzione e fonti di cognizione; 4. Tipologia e gerarchia delle fonti; 5. Costituzione e
leggi costituzionali (il controllo di legittimità costituzionale); 6. Diritto europeo; 7. Leggi (statali e regionali);
8. Regolamenti; 9. Usi; 10. L’emersione di nuove fonti; -B) APPLICAZIONE DEL DIRITTO. 11. Efficacia
nel tempo (obbligatorietà delle norme); 12. Efficacia nello spazio (diritto internazionale privato);
13. Interpretazione della legge. Criteri; 14. Risultati dell’interpretazione. L’analogia; 15. L’equità;
16. Il cd. diritto vivente.

1. Regole giuridiche e fonti del diritto.


Il tema delle fonti del diritto tende ad individuare la specificità delle regole giuridiche tra le tante regole che
sorreggono lo svolgimento quotidiano delle relazioni sociali (morali, religiose). In ciò si coglie l’importanza
di una disciplina delle fonti del diritto, con la quale sono regolati i modi con i quali le norme vengono ad
esistenza e sono rese conoscibili.
A suggellare l’importanza di un tale sistema, in apertura del codice si è posta la normativa relativa alle
disposizioni sulla legge in generale, denominate anche disposizioni preliminari al codice civile
(o preleggi) per indicare il fatto che precedono il codice civile.

2. Caratteri e tipologia delle norme giuridiche.


La norma giuridica incarna l’unità elementare dell’ordinamento giuridico, esprimendo la singola regola di
comportamento o di organizzazione della società; alcuni caratteri sono comuni a tutte le norme giuridiche
(caratteri generali), altri sono riferiti a singole categorie di norme (caratteri particolari).
a)Caratteri generali. I caratteri generali sono riferiti a tutte le norme giuridiche, per inerire all’essenza
stessa delle norme come regole di vita sociale: sono la esteriorità e la plurilateralità.
La esteriorità indica che le regole giuridiche, selezionando i vari interessi espressi dalla società, impongono
i comportamenti conformi all’ordinamento, mentre quelle non giuridiche (morali, religiose) toccano la
coscienza degli uomini e sono quindi avvertite prima che osservate.
Le norme giuridiche impongono i comportamenti relazionati alla società civile, fissando le conseguenze
della relativa violazione o osservanza.
Con la plurilateralità invece si intende che le norme sono rivolte a regolare posizioni e comportamenti di
soggetti nei confronti di altri soggetti e delle istituzioni.
b) Caratteri particolari. I caratteri particolari sono invece riferiti a singole categorie di norme.
E’ possibile delineare 3 criteri di suddivisione delle norme a seconda che si abbia riguardo alla struttura, e
cioè alla formula letterale, alla funzione e quindi alla regola di condotta, alla efficacia e cioè all’imperatività.
1)Con riferimento alla struttura, viene in esame la formulazione letterale della norma. Di regola la norma è
formata da un precetto che fissa la regola di comportamento (cd. norma primaria), che stabilisce la
conseguenza della inosservanza del precetto (cd. norma secondaria): sono queste le cd. norme perfette per
connettere all’antigiuridicità del comportamento, la conseguenza della relativa violazione.
Sono rare le norme che si limitano ad una mera indicazione della condotta, senza prevedere conseguenze per
la violazione e per l’inosservanza; ciò avviene quando la norma intende solo indicare dei modi generali di
comportamento: sono le cd. norme imperfette, perché non si connette al precetto una conseguenza
immediata e diretta.
2) Con riguardo alla funzione, vengono in rilievo il fondamento e gli obiettivi della regola di condotta.
Bisogna perciò analizzare la portata del profilo prescrittivo (precetto) e l’atteggiarsi di quello coercitivo
(sanzione).
a)In relazione al precetto, con la edificazione dello Stato moderno hanno acquisito rilevanza i caratteri della
generalità e dell’astrattezza della norma giuridica.

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Specificamente la generalità ha riguardo al profilo soggettivo del precetto, per indicare che la norma si
applica a tutti i soggetti che si trovano nella particolare situazione o che hanno avuto il determinato
comportamento. L’astrattezza inerisce invece al profilo oggettivo del precetto e vale ad indicare la
situazione o il comportamento regolati dalla norma.
Tale caratterizzazione implica un raffronto tra una cd. fattispecie astratta che esprime il fatto in astratto
regolato dall’ordinamento, con i caratteri della generalità e dell’astrattezza, ed una cd. fattispecie concreta
che indica il fatto oggetto di valutazione da parte dell’ordinamento.
E’ possibile distinguere inoltre le norme generali dalle norme speciali.
Sono norme generali (o di diritto comune) quelle che riguardano tutti i rapporti di un determinato tipo
e si applicano alla generalità dei soggetti; sono invece norme speciali (o di diritto speciale) quelle che
in ragione di elementi di specificità sono inerenti a particolari materie. Talvolta le norme speciali
si atteggiano come norme eccezionali per operare in circostanze specifiche o per far fronte a particolari
evenienze.
b) Quanto alla sanzione si è già parlato della distinzione tra norme perfette ed imperfette, a seconda che il
precetto sia munito o meno di sanzione; tale sanzione è espressione della imperatività dell’ordinamento
giuridico, in quanto in grado di imporre con la forza l’osservanza della norma (cd. coercibilità o coattività).
La sanzione ha una funzione punitiva per chi viola un precetto (con la commissione di una pena a carico del
trasgressore), ed anche una funzione dissuasiva della violazione (inducendo la minaccia della pena
all’osservanza della norma).
Vi è un’altra fondamentale distinzione tra norme di diritto materiale (o sostanziale) e norme di diritto
strumentale (o formale): le prime (dette proibitive) sono norme di reintegro di interessi lesi e tendono alla
regolazione dei rapporti sociali, mentre le seconde (dette ordinative) sono norme di presidio
dell’organizzazione sociale e dell’attività giuridica.
3) In relazione alla efficacia viene in rilievo il grado di imperatività della prescrizione.
Di regola, quando non sono in gioco valori fondamentali dell’ordinamento, quest’ultimo può rimettere ai
privati la valutazione di convenienza dell’applicazione di alcune regole.
Rilevano così due categorie di norme giuridiche: le norme imperative (dette cogenti o inderogabili),
che non consentono deroghe ai privati, e le norme dispositive che sono operanti, ma contro la volontà dei
destinatari.
Le norme dispositive a loro volta si atteggiano in duplice modo: come norme dispositive in senso stretto,
quando sono derogabili dai privati che possono far prevalere un proprio accordo sulla regola giuridica, e
come norme suppletive, quando operano in via residuale, allorchè i privati non abbiano apprestato una
diversa regola pattizia.

A)FONTI DEL DIRITTO


3. Fonti di produzione e fonti di cognizione.
a)Le fonti di produzione sono le fonti del diritto in senso stretto in quanto sono i fatti generatori delle
norme giuridiche, rispetto al quale le norme rappresentano il risultato; affinché tale efficacia si produca, è
necessario che le fonti stesse siano previste e disciplinate da specifiche norme giuridiche, al fine di garantire
la legalità nella produzione del diritto e la certezza della sua esistenza.
b) Le fonti di cognizione sono gli atti e gli strumenti pubblici rivolti a procurare la conoscenza delle
regole giuridiche; le stesse non sono produttive di diritto, ma solo della conoscibilità dello stesso (sono fonti
di cognizione la Gazzetta Ufficiale e il Bollettino Ufficiale della Regione).
Quando in singoli settori, più normative si sono stratificate nel tempo, è frequente il ricorso a testi unici che
riordinano la disciplina di un settore al fine di facilitarne la cognizione e quindi l’applicazione; di regola tali
testi unici, redatti dal governo su delega del parlamento, si limitano a riorganizzare le norme esistenti.

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4. Tipologia e gerarchia delle fonti.
Si è soliti dividere le fonti di produzione in due categorie: fonti-atto e fonti-fatto.
Le fonti-atto attengono all’attività di particolari autorità cui è attribuita la potestà di produrre norme
giuridiche (cd. fonti soggettive o volontarie); il diritto proveniente da fonti-atto è tipicamente
diritto scritto (es. leggi).
Le fonti-fatto invece esprimono l’operare di comportamenti e situazioni cui l’ordinamento attribuisce
rilevanza giuridica, limitandosi a fissare i meccanismi di tale rilevanza (cd. fonti oggettive); per l’emergere
spontaneo del diritto dal corpo sociale si tratta di diritto non scritto (es. usi).
Le disposizioni sulla legge in generale prevedevano originariamente 4 specie di fonti, gerarchicamente
organizzate: le leggi (tra cui erano ricompresi i codici quali discipline giuridiche delle singole branche),
i regolamenti, le norme corporative e gli usi.
Il sistema delle fonti di produzione del diritto si è modificato nel tempo rispetto al quadro originario
e perciò si è ridisegnato e gerarchicamente organizzato:
1)Fonti primarie (Costituzione e leggi costituzionali; Diritto europeo);
2) Leggi (statali e regionali) e atti assimilati;
3) Regolamenti;
4) Usi.

5. Costituzione e leggi costituzionali (il controllo di legittimità costituzionale),


La Costituzione della Repubblica italiana, in vigore dal 1 Gennaio 1948 è una costituzione rigida,
occorrendo uno speciale procedimento per la sua revisione.
Si apre con la formulazione dei “Principi fondamentali” che esprimono i valori portanti della Carta
repubblicana. Seguono due distinte parti: la prima intitolata “Diritti e doveri dei cittadini”, la seconda
“Ordinamento della Repubblica”.
I Principi fondamentali e la Prima parte toccano il diritto privato per riguardare le prerogative dei privati
nonché i rapporti del cittadino con l’autorità pubblica, mentre la Seconda parte è di interesse del diritto
costituzionale e del diritto amministrativo.
Norme particolari sono dettate per le leggi di revisione costituzionale e le altre leggi costituzionali (quando
le dette leggi non sono approvate da ciascuna delle Camere a maggioranza di 2/3 dei suoi componenti, sono
sottoposte a referendum popolare).
Alla Corte costituzionale è rimesso il controllo di legittimità costituzionale delle leggi e degli atti avente
forza di legge dello Stato e delle Regioni. La questione di legittimità costituzionale può essere sollevata da
una delle parti o dal giudice innanzi al quale pende il giudizio principale; il giudice, rilevata la
pregiudizialità della legittimità costituzionale della norma e verificata la non manifesta infondatezza
della questione, con ordinanza di rimessione sospende il giudizio e rinvia gli atti alla Corte costituzionale
dando inizio al procedimento per il controllo di costituzionalità.
Con la sentenza di accoglimento la Corte dichiara la illegittimità costituzionale della norma di legge o di
altro atto avente forza di legge: la norma cessa di avere effetto dal giorno successivo alla pubblicazione della
cessione con efficacia retroattiva.
Le sentenze di accoglimento tendono ad intervenire in vario modo sulla portata della disposizione impugnata
(cd. sentenze manipolative); si distinguono all’uopo 3 modelli di intervento: illegittimità di una sola parte
della disposizione (cd. sentenze di accoglimento parziale); illegittimità della disposizione nella parte in cui
non prevede quanto avrebbe dovuto prevedere conforme a Costituzione, integrato dalla Corte
(cd. sentenze additive); illegittimità della disposizione nella parte in cui prevede una disposizione anziché
un’altra diversa conforme a Costituzione, sostituita dalla Corte (cd. sentenze sostitutive).

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Con la sentenza di rigetto la Corte dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale
prospettata dall’ordinanza di rimessione; sono peraltro frequenti sentenze interpretative di rigetto con le
quali la Corte dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale perché il dubbio sollevato
dal giudice si fonda su una errata interpretazione della disposizione impugnata: la Corte, nel rigettare
la questione, fornisce l’interpretazione conforme a Costituzione che vale ad evitare la illegittimità
costituzionale della disposizione impugnata.

6. Diritto europeo.
Il tradizionale diritto internazionale era in origine formato di regole tra Stati; il diritto europeo supera
l’ottica del diritto internazionale e si atteggia come un sistema di diritti fondamentali che si articola in
due componenti: diritto europeo convenzionale, rappresentato dai Trattati con i quali la Comunità
europea e l’Unione europea si sono costituite e modificate, e il diritto europeo derivato, costituito dagli
atti normativi provenienti dagli organi costituzionali (il diritto convenzionale è gerarchicamente
sovraordinato al diritto derivato).
a)Il diritto convenzionale ha gradualmente segnato la nascita formale dell’ordinamento europeo.
Con il Trattato di Maastricht del 7 febbraio 1992 viene istituita l’Unione Europea, articolata su
3 pilastri di impegno: innanzitutto l’Unione è fondata sulle Comunità europee; assolve funzioni di
politica estera e di sicurezza comune; infine incide sulla cooperazione di polizia in materia penale.
Fallito il tentativo di formazione di una costituzione europea, l’intero impianto è soggetto ad una revisione
ad opera del Trattato di Lisbona che modifica il Trattato sull’Unione europea.
L’Unione europea non è più solo spazio di libera circolazione di persone, merci, servizi, capitali ma anche
una unione monetaria.
Con l’art. 3 vengono riformulati i principi indicati dal Trattato CE: attribuzione, sussidiarietà e
proporzionalità.
Per il principio di attribuzione l’Unione agisce esclusivamente nei limiti delle competenze ad essa
attribuite nei Trattari dagli Stati membri, per realizzare gli obiettivi da questi stabiliti.
Per il principio di sussidiarietà nei settori che non sono di sua competenza esclusiva, l’Unione interviene
soltanto se gli obiettivi dell’azione prevista non possono essere conseguiti in misura sufficiente dagli Stati
membri, ma possono essere conseguiti meglio a livello di Unione.
Il principio di sussidiarietà si esplica in una duplice direzione: orizzontale e verticale.
Il principio di sussidiarietà orizzontale delimita e protegge la sfera dell’autonomia dei privati
dall’intervento pubblico: l’intervento dei pubblici poteri si svolge quando determinate esigenze non sono
realizzabili attraverso l’azione dei privati.
Il principio di sussidiarietà verticale ha invece la funzione di ripartizione dei poteri tra le diverse
istituzioni
Infine per il principio di proporzionalità, il contenuto e la forma dell’azione dell’Unione si limitano a
quanto necessario per il conseguimento degli obiettivi dei Trattati.
b) Le fonti del diritto derivato sono state confermate dal Trattato di Lisbona che vi ha apportato le
precisazioni emerse nella giurisprudenza della Corte di giustizia: per esercitare le competenze dell’Unione, le
istituzioni adottano regolamenti, direttive, decisioni, raccomandazioni e pareri.
Il regolamento ha portata generale; è obbligatorio in tutti i suoi elementi ed è direttamente applicabile in
ciascuno degli Stati membri.
La direttiva vincola lo Stato membro cui è rivolta, relativamente al risultato da raggiungere.
Le direttive sono atti normativi sforniti di immediata applicabilità. La Corte di giustizia ha ritenuto che se la
direttiva è precisa e priva di condizioni relativamente alla fattispecie è immediatamente operante e
vincolante, ossia ha efficacia diretta.

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Tale efficacia opera nei rapporti tra cittadino e Stato (efficacia verticale), per il diritto al risarcimento dei
danni riconosciuti al cittadino, contro lo Stato che ne ha ritardato l’attuazione; non ha invece efficacia nei
rapporti tra cittadini (efficacia orizzontale).
La decisione è obbligatoria in tutti i suoi elementi per i destinatari designati.
Le raccomandazioni ed i pareri invece non sono vincolanti.
c) Anche la giurisprudenza della Corte costituzionale è evoluta in senso “europeista” delineando un primato
del diritto europeo, con i cd. “controlimiti” del rispetto dei principi fondamentali dell’ordinamento
costituzionale e dei diritti inalienabili della persona umana.

7. Leggi (statali e regionali).


La potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni, nel rispetto della Costituzione e dei vincoli
derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali.
In particolare la potestà legislativa è ripartita tra Stato e Regioni, con l’attribuzione di determinate materie
alla legislazione esclusiva dello Stato e l’attribuzione di altre specifiche materie alla legislazione
concorrente di Stato e Regioni; ogni altra materia non riservata alla legislazione (esclusiva o concorrente)
dello Stato, spetta alla legislazione esclusiva delle Regioni.
a)Iniziando con la legislazione statale, la funzione legislativa è esercitata dalle due Camere in più modi.
Il modo normale è quello che porta all’adozione di leggi in senso stretto (o in senso formale), ossia le
leggi ordinarie. Altre procedure coinvolgono l’attività del Governo che si affianca a quella delle Camere,
dando vita ad atti avente forza di legge.
Si ha decreto legislativo (o delegato) quando la funzione legislativa è esercitata dal Governo su delega
delle Camere che nella cd. legge delega devono determinare principi e criteri direttivi, nonché il limite di
tempo e l’oggetto su cui legiferare.
Si ha decreto legge quando la funzione legislativa è esercitata dal Governo senza preventiva delegazione
delle Camere: ciò può avvenire solo in casi straordinari di necessità e d’urgenza, ma il Governo deve il
giorno stesso presentarli per la conversione (tali decreti perdono efficacia se non sono convertiti in legge
entro 60 giorni dalla loro pubblicazione).
Assimilati alle leggi sono i codici quali testi organici ordinati e ordinanti di un’intera materia

8. Regolamenti.
La potestà regolamentare spetta allo Stato nelle materie di legislazione esclusiva; spetta alle Regioni
in ogni altra materia. I Comuni, le Province e le Città metropolitane hanno potestà regolamentare in ordine
alla disciplina dell’organizzazione e dello svolgimento delle funzioni loro attribuite.
E’ fissato un doppio ordine gerarchico: tutti i regolamenti non possono contenere norme contrarie alle
disposizioni delle leggi; i regolamenti emanati da autorità diverse dal Governo non possono dettare norme
contrarie a quelle dei regolamenti emanati dal Governo.
I regolamenti si distinguono dagli atti e provvedimenti amministrativi per essere questi ultimi
espressioni di potestà amministrativa e destinati alla cura di interessi pubblici, con effetti diretti nei
confronti di una pluralità di destinatari non determinati nel provvedimento, ma determinabili.
I regolamenti sono invece espressione di una potestà normativa attribuita all’amministrazione
disciplinando rapporti giuridici mediante una regolamentazione attuativa o integrativa della legge.
I regolamenti si distinguono dalle circolari, per essere queste atti interni privi di rilevanza normativa;
tali circolari mirano ad indirizzare e disciplinare l’attività degli organi inferiori.

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9. Usi.
Gli usi si qualificano come fonti-fatto in quanto espressivi di comportamenti e situazioni cui
l’ordinamento attribuisce rilevanza giuridica. L’art. 8 che regola gli usi normativi, è eccessivamente
sintetico e da ciò conseguono 3 ordini di problemi relativi ai requisiti, alla rilevanza e alla conoscenza.
a)Quanto ai requisiti nulla è detto dalla legge; per la configurabilità di un uso normativo, devono ricorrere
2 requisiti: l’uno, di natura oggettiva, consistente nella uniforme e costante ripetizione di un
comportamento; l’altro, di natura soggettiva, consistente nella consapevolezza di prestare osservanza
ad un precetto giuridico.
b) Quanto alla rilevanza, degli usi non si fa menzione nella Carta costituzionale.
La relativa disciplina è rimessa alla legge ordinaria, sicché la rilevanza degli usi non può mai interferire
con quella di norme primarie; la rilevanza degli usi, tradizionalmente operante nelle relazioni commerciali,
si è andata riducendo con l’accrescersi della statualità del diritto.
Nelle materie regolate dalle leggi e dai regolamenti, gli usi hanno efficacia solo in quanto sono da essi
richiamati; sono i cd. usi secundum legem, in quanto è lo stesso atto normativo (legge o regolamento)
a rinviare all’uso. Si ricava implicitamente anche un altro principio, e cioè che gli usi operano anche nelle
materie non regolate dalle leggi o dai regolamenti; sono questi invece i cd. usi praeter legem.
L’uso però non può mai operare contro la legge, in quanto gerarchicamente subordinato alla legge
(sono inammissibili usi contra legem).
c) Quanto alla conoscenza, si pone il problema della prova della esistenza. Gli usi pubblicati nelle raccolte
ufficiali degli organi a ciò autorizzati, si presumono esistenti fino a prova contraria: la pubblicazione dell’uso
implica solo una presunzione legale semplice di esistenza che ammette la prova contraria di non
sussistenza o permanenza.

10. L’emersione di nuove fonti.


Alle fonti del diritto si vanno aggiungendo ulteriori fonti che assumono influenza sempre più rilevante.
Il discorso riguarda principalmente le cd. Autorità amministrative indipendenti, in ragione della
complessità istituzionale che le caratterizza e della varietà di poteri attribuiti alle stesse.
Sono amministrazioni indipendenti la cui istituzione è giustificata da istanze eterogenee, dotate di strutture
organizzative diversificate e soggette a variegate discipline (sono amministrazioni indipendenti dal Governo
e quindi dalla politica).
Si pensi alla Banca d’Italia per l’attività di controllo delle altre banche; alla Consob per il controllo delle
società quotate in borsa; all’Isvap per il controllo delle attività assicurative.
Una peculiare funzione svolge l’Autorità garante per la protezione dei dati personali: tale autorità ha la
finalità di garantire che il trattamento dei dati personali si svolga nel rispetto dei diritti e delle libertà
fondamentali, nonché nel rispetto della dignità dell’interessato, con particolare riferimento alla riservatezza,
alla identità personale.

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B) APPLICAZIONE DEL DIRITTO
11. Efficacia nel tempo (obbligatorietà delle norme).
Delineate le fonti del diritto, bisogna aver riguardo all’applicazione delle norme nel tempo e nello spazio.
L’efficacia della norma nel tempo indica la durata dell’obbligatorietà della stessa, cioè il tempo in cui
la norma è effettivamente applicabile, ossia il termine dell’entrata in vigore e quello della perdita di vigore
(abrogazione).
a)Per l’entrata in vigore della norma non è sufficiente che sia esaurita la procedura di formazione di tale
norma, in quanto è necessario però che la stessa sia resa pubblica, cioè legalmente conoscibile.
Le leggi sono promulgate dal Presidente della Repubblica entro 1 mese dall’approvazione, tranne il
diverso termine indicato dalle Camere; di regola le leggi ed i regolamenti diventano obbligatori nel
15° giorno successivo a quello della loro pubblicazione (in particolari casi è dichiarata l’immediata
obbligatorietà della legge con la sua mera pubblicazione (leggi catenaccio).
b) Quanto alla perdita di vigore, leggi e regolamenti sono abrogati rispettivamente, da leggi e regolamenti
posteriori in modo espresso o tacito.
Si ha abrogazione espressa quando c’è abrogazione da parte dell’ordinamento; si ha invece abrogazione
tacita o perché le nuove disposizioni sono incompatibili con le precedenti, o perché la nuova normativa
regola l’intera materia già regolata in precedenza in modo da assorbirla.
Per l’abrogazione però è necessario che la normativa abrogante sia di grado superiore o omogeneo
a quello della normativa abrogata. Un modo di abrogazione delle leggi ed atti aventi forza di legge è il
referendum popolare, ammesso quando lo richiedono 500.000 elettori o 5 Consigli regionali.
L’abrogazione non fa perdere efficacia alla norma per il tempo in cui è stata in vigore; anche se una norma
è abrogata, la stessa continua a regolare i fatti intervenuti sotto il suo vigore. In ciò è la profonda differenza
con la dichiarazione di incostituzionalità di una norma, cessando questa di avere efficacia dal giorno
successivo alla pubblicazione della decisione.

12. Efficacia nello spazio (diritto internazionale privato).


Lo sviluppo dell’industrializzazione e della circolazione di persone, capitali e merci ha accresciuto
i rapporti personali e commerciali tra soggetti di paesi diversi; la globalizzazione ha ulteriormente
accentuato il fenomeno, instaurando relazioni tra soggetti di diversa nazionalità, o anche tra due cittadini
in relazione ad un bene situato all’estero, oppure un cittadino italiano che sposi una straniera.
Vuoi per la nazionalità dei soggetti o per altre ragioni, la fattispecie presenta profili di estraneità rispetto
all’ordinamento italiano e criteri di collegamento con più ordinamenti.
Per le fattispecie non riconducibili ad un unico ordinamento, c’è l’esigenza di individuare l’ordinamento
dello Stato dove “localizzare” il singolo rapporto per individuare l’apposito ordinamento in grado di
regolarlo.
Il diritto internazionale privato è appunto un diritto interno che regola i rapporti tra privati aventi punti
di contatto con più ordinamenti, determinando il diritto applicabile; le norme di diritto internazionale privato
sono norme di diritto strumentale in quanto si limitano ad individuare l’ordinamento che deve regolarla.
Il procedimento di individuazione dell’ordinamento applicabile si articola in due passaggi.
Prima di tutto bisogna compiere la qualificazione del rapporto, ossia definire la natura del rapporto da
regolare (es. rapporto coniugale, successorio); successivamente si deve fissare il collegamento della
fattispecie con uno specifico ordinamento secondo i criteri fissati dalle norme di diritto internazionale
privato (ad es. il possesso e i diritti reali sono regolati dalla legge dello Stato in cui i beni si trovano).

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Le norme del diverso ordinamento possono valere all’interno dell’ordinamento dello Stato quando
quest’ultimo compie un rinvio a tali norme.
Il rinvio è fisso (materiale o recettizio) quando è richiamato uno specifico atto in vigore in altro
ordinamento, ordinando ai soggetti dell’applicazione del diritto, di applicare le norme di tale atto normativo
come norme interne; è invece mobile (formale o non recettizio) quando è richiamato non uno specifico atto
di altro ordinamento ma una fonte di esso.
Grave problema si prospetta quando l’ordinamento al quale si rinvia la normativa di diritto internazionale
privato, a sua volta rinvia ad altro ordinamento.
In ogni caso sussistono due tipi di limiti all’applicazione della legge straniera.
Prima di tutto operano le cd. norme di applicazione necessaria: in presenza di tali norme prevalgono le
norme italiane che si ritengono dovere essere applicate nonostante il richiamo alla legge straniera.
Sono norme espressive di valori di rilevanza costituzionale (controllo preventivo).
Quando la legge straniera risulti formalmente applicabile, non è applicata se i suoi effetti sono contrari
all’ordine pubblico (controllo successivo).

13. Interpretazione della legge. Criteri.


La norma giuridica si compone di un dato fenomenico, rappresentato dal testo, ossia dalla formula, e
di un messaggio derivante da tale formula, che costituisce il precetto (la regola vincolante per i destinatari).
La stessa norma giuridica ha bisogno di essere interpretata e richiede un’attività intellettiva di
determinazione del relativo significato.
Il fine dell’interpretazione artistica si esaurisce nell’intimità dell’interprete, mentre il fine
dell’interpretazione giuridica si proietta nella realtà esteriore, imponendosi come regola di comportamento.
L’unica interpretazione vincolante nei confronti dei consociati è l’ interpretazione autentica, proveniente
dallo stesso organo che ha emanato la norma: tale interpretazione ha la funzione di chiarire i dubbi sollevati
dalla relativa applicazione attraverso l’indicazione precettiva del significato da attribuire alla norma
(cd. norme interpretative)
Quando ciò non avviene c’è da attribuire un significato alla norma per regolare i vari comportamenti:
ne consegue che la scelta del metodo di interpretazione non può essere lasciata alla libertà del singolo
soggetto, ma deve rispettare precise regole giuridiche in modo da risultare univoco l’esito
dell’interpretazione.
a)Il primo criterio è rappresentato dalla interpretazione letterale, ossia bisogna attribuire alla norma il
senso delle parole secondo la connessione di esse.
b) Il secondo criterio è costituito dall’interpretazione logica, in cui nella determinazione del significato
della norma, è essenziale la ricerca del fondamento e dello scopo perseguito della stessa, ossia
l’individuazione dell’interesse che si voleva soddisfare con l’emanazione della specifica legge:
la cd. ragione giustificativa (ratio legis).
c) Anche se non previsto dall’art. 12 disp. prel, nell’interpretazione evolutiva, non solo bisogna integrare
la norma nell’ordinamento in cui si è formata, per ricercare la valutazione originaria del legislatore che la
volle (cd. legislatore storico), ma bisogna anche reintegrarla nell’ordinamento nel frattempo evolutosi,
per ricercare la valutazione successiva dell’ordinamento rinnovato (cd. legislatore attuale).

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14. Risultati dell’interpretazione. L’analogia.
Lo svolgimento del procedimento interpretativo conduce a determinare la portata della regola applicabile.
a)Possono prospettarsi 3 risultati dell’interpretazione.
Il modello più semplice è quello dell’interpretazione dichiarativa, dove la portata della regola coincide
con il significato della lettera del testo.
Si dà luogo ad una interpretazione estensiva quando il significato ricostruito della regola è più ampio di
quello ricavabile dal testo della norma; all’opposto si dà luogo ad una interpretazione restrittiva quando il
significato ricavato è più limitato rispetto a quello derivante dalle parole del testo.
b) Se una controversia non può essere decisa con una precisa disposizione, si ha riguardo a disposizioni che
regolano casi simili o materie analoghe; se il caso rimane ancora dubbio, si decide secondo i principi generali
dell’ordinamento giuridico dello Stato (criterio dell’analogia).
Se il caso concreto non è previsto dal legislatore, bisogna ricorrere alla disciplina di casi simili o di materie
analoghe cui attingere la regola mancante (è questa la vera e propria analogia, detta analogia legis perché la
regola del caso concreto è mutuata da uno specifico testo normativo).
Presupposto per il ricorso alla analogia legis è che il caso regolato non sia riconducibile alla ratio
(alla ragione giustificatrice) di una norma che regola una diversa fattispecie.

15. L’equità.
Nel nostro sistema giuridico l’equità non è una fonte del diritto, bensì un criterio di giudizio di cui si avvale
il giudice per risolvere una controversia insorta. Il giudice può pronunziare secondo l’equità o perché la
legge gli accorda espressamente il potere, o perché c’è concorde richiesta delle parti, quando si tratta di diritti
disponibili. Il ricorso al criterio di equità tende ad interagire con l’applicazione del principio di buona fede,
specie nell’accezione della giurisprudenza quale espressione del principio di solidarietà.

16. Il cd. diritto vivente.


L’interpretazione giurisprudenziale proviene dall’autorità giudiziaria ed è determinativa dell’applicazione
delle leggi al caso pervenuto all’attenzione dei giudici. L’art. 2909 stabilisce che “l’accertamento contenuto
nella sentenza passata in giudicato fa stato ad ogni effetto tra le parti, i loro eredi o aventi causa”;
la delimitazione degli effetti della decisione comporta che lo stesso caso possa essere risolto da altri giudici
in modo diverso.
Fondamentali sono prima di tutto , le pronunzie della Corte di giustizia dell’Unione Europea, la quale
finisce con il formulare il diritto europeo applicato, vincolante per i giudici nazionali quando non è in
contrasto con la Costituzione.
La norma vive nella realtà giuridica nel significato normativo che ad essa attribuisce la giurisprudenza
e con il quale è applicata: è il cd. diritto vivente, che è poi il diritto applicato. In tal caso il principio della
certezza del diritto rimane assicurato non solo dalla certezza della norma vigente, ma anche dalla univocità
dell’interpretazione della stessa, in modo da rendere possibile la prevedibilità della regola applicata.
Una dimensione diversa assume l’interpretazione dottrinale proveniente dagli studiosi del diritto che
ha un’autorevolezza morale che favorisce l’intervento legislativo.

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PARTE II – CATEGORIE GENERALI

CAPITOLO 1 – SOGGETTO E PERSONA


1.Soggettività e personalità; 2. Tipologia; 3. Soggetto e status.

1.Soggettività e personalità.
I destinatari delle regole di cui si sostanzia l’ordinamento giuridico sono identificati nelle persone fisiche e
nelle persone giuridiche: il nostro ordinamento giuridico assolve la funzione di individuare i propri soggetti,
ossia i titolari degli interessi presi in considerazione e disciplinati mediante le norme finalizzate alla
risoluzione dei relativi conflitti.
Con la formula di soggetto giuridico (o di diritto) si intende alludere alla qualità di possibile punto di
riferimento di rapporti giuridici; è una nozione di carattere formale collegata alla potenziale titolarità di
situazioni giuridiche soggettive, con il riconoscimento da parte dell’ordinamento di quella attitudine ad
essere titolare di situazioni giuridiche soggettive (capacità giuridica).
Il soggetto giuridico era riconosciuto come una categoria unitaria di carattere formale, atta a comprendere
sia le persone fisiche che giuridiche: le prime considerate soggetti di diritto in quanto uomini, mentre le
seconde considerate soggetti di diritto in quanto riconosciute attraverso meccanismi predisposti
dall’ordinamento.

2. Tipologia.
Sono considerate soggetti giuridici innanzitutto, le persone fisiche.
Il riconoscimento della uguale qualità di soggetto giuridico ad ogni uomo in quanto considerato
(come persona) centro di imputazione di situazioni giuridiche attive e passive non valeva ad evitare
discriminazioni sul piano della capacità giuridica.
Quanto alle persone giuridiche, per le associazioni, le fondazioni e le altre istituzioni di carattere privato,
l’acquisto della personalità giuridica è ricollegato al riconoscimento; è il riconoscimento ad assumere un
valore costitutivo della qualità di soggetto giuridico, evidenziandosi per gli enti, la dipendenza di tale qualità
dalla volontà creatrice dell’ordinamento.

3. Soggetto e status.
Dato che gli ordinamenti moderni sono fondati sul principio di uguaglianza, ciò consente di guardare
all’uomo nella veste di soggetto giuridico, in una prospettiva che prescinde da ogni considerazione relativa
al suo stato o condizione sociale, intesi nel senso di appartenenza a classi, ceti e caste.
Con il concetto di stato (o status) non ci si riferisce più ad una qualità del soggetto ricollegata alla classe,
ceto di appartenenza, bensì ad una situazione giuridica soggettiva che indica la posizione del soggetto
rispetto a determinati gruppi sociali organizzati e costituisce il presupposto dell’insieme di diritti ed obblighi
che si ricollegano alla relativa appartenenza; si tratta di una autonoma situazione giuridica, la quale viene
come tale tutelata dall’ordinamento.
Particolare importanza assumono lo stato di cittadino (status civitatis) e lo stato familiare (status
familliae) del soggetto. Lo stato di cittadinanza per la sua attinenza al diritto pubblico risulta disciplinato
nella legislazione concernente le vicende della cittadinanza, mentre interessano il diritto privato gli status
familiari (coniuge, genitore, figlio): per l’importanza sociale che l’ordinamento conferisce alla famiglia,
i cd. diritti di stato che competono alla persona in ordine al riconoscimento ed al godimento della sua
posizione familiare, costituiscono una categoria peculiare di diritti (assoluti) assimilabili ai diritti della
personalità. Piuttosto che di status, ove manchi un gruppo organizzato rispetto al quale si ponga il problema
del riconoscimento della posizione del soggetto, si parla di sue particolari qualità dotate di una certa stabilità
in quanto relative all’attività abitualmente svolta dal soggetto, come ad es. quelle di imprenditore e
lavoratore subordinato. Tali qualità vengono spesso spesso accostate a dei veri e propri status per
l’importanza che assumono per la vita del soggetto.
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CAPITOLO 2 – BENI GIURIDICI
1.Cosa, bene e oggetto di diritti; 2. Beni immobili e beni mobili; 3. Distinzioni ulteriori; 4. Il danaro;
5. Rapporti di connessione tra le cose. Le pertinenze; 6. Le universalità; 7. Azienda; 8. Frutti;
9. Patrimonio; 10. Beni pubblici.

1.Cosa, bene e oggetto di diritti.


Destinatari delle regole dell’ordinamento sono i soggetti, titolari degli interessi da organizzare per comporre
i relativi conflitti rispetto ai beni; l’interesse può essere visto come una sorta di tensione tra soggetto e
bene.
Soggetti e beni costituiscono i termini di riferimento delle relazioni di cui l’ordinamento si occupa,
organizzando con le proprie regole gli interessi dei soggetti rispetto ai beni.
Il profilo oggettivo delle situazioni giuridiche soggettive è rappresentato dai beni, in quanto entità atte a
soddisfare interessi ritenuti meritevoli di tutela dall’ordinamento (beni giuridici).
Di fronte all’esigenza di allargare l’area degli interessi regolati dall’ordinamento e quindi, dei beni
considerati rilevanti, si è eseguito l’indirizzo di configurare accanto le cose materiali (res corporales),
delle cose immateriali (res incorporales).
La bipartizione tra beni materiali ed immateriali si limita a prendere in considerazione entità che si risolvono
in utilità di carattere economico, con il conseguente riconoscimento di diritti patrimoniali che le hanno ad
oggetto. Il concetto di bene che costituisce possibile oggetto di diritto, tende ad essere esteso anche ai
comportamenti umani e ai servizi, ossia a quelle prestazioni di vario genere che il soggetto si procura
attraverso rapporti contrattuali con altri, al fine di soddisfare proprie esigenze esistenziali o professionali.
I diritti patrimoniali vengono considerati come entità dotate di una propria apprezzabilità economica e
possibile oggetto di rapporti giuridici e delle corrispondenti situazioni soggettive.
Quanto alle cose che sono reputate beni, perché possibile oggetto di diritti, è da tenere presente come un
ampliamento della relativa nozione assimila ai beni (mobili) le energie naturali che hanno valore economico
(come quella elettrica o nucleare).
Non tutte le cose sono beni in senso giuridico; non possono essere considerati beni, le cose incommerciabili,
quali ad esempio i beni demaniali; non si considerano beni, le cose comuni a tutti in quanto, essendo
liberamente disponibili in natura, risultano illimitate ed il loro godimento non è fonte di conflitti di interessi,
che richiedano una regolamentazione da parte dell’ordinamento (ad es. l’acqua del mare, l’aria).
Sono invece da considerarsi beni anche le cose che al momento non costituiscono oggetto di diritti, ma sono
suscettibili di diventarlo, attraverso la relativa appropriazione; si tratta delle cose di nessuno (res nullius)
come i pesci nel mare e le cose abbandonate intenzionalmente dal proprietario (res derelictae).

2. Beni immobili e beni mobili.


Per l’art. 812, sono beni immobili “il suolo, le sorgenti, i corsi d’acqua, gli alberi, gli edifici e le altre
costruzioni, anche se unite al suolo a scopo transitorio, e in genere tutto ciò che naturalmente o
artificialmente è incorporato al suolo” (il termine alberi deve essere riferito a tutte le piante che traggono
vita dal suolo e che essi diventano beni mobili nel momento in cui si distaccano dal suolo; immobili vengono
considerati anche i distributori di carburante). Sono reputati beni immobili, i mulini, i bagni e gli altri edifici
galleggianti, a condizione che siano saldamente assicurati alla riva.
I beni mobili vengono identificati in via residuale essendo reputati tali, tutti i beni non rientranti tra quelli
considerati immobili.
La disciplina concernente i beni immobili si applica anche ai diritti reali aventi ad oggetto beni immobili
(servitù prediali, usufrutto relativo ad un immobile) ed alle azioni relative. Invece la disciplina concernente i
beni mobili si applica a tutti gli altri diritti.

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Decisiva per l’individuazione della disciplina applicabile, è la natura dell’oggetto del diritto.
In relazione alla loro natura, il codice riserva una peculiare disciplina a talune categorie di beni mobili (navi
e altri natanti, aeromobili, autoveicoli) per i quali è prevista l’iscrizione in pubblici registri (beni mobili
registrati).

3. Distinzioni ulteriori.
a)Una prima distinzione è quella tra cose generiche e cose specifiche. Si definiscono generiche le cose che
vengono prese in considerazione per la loro semplice appartenenza ad un genere (individuato sulla base di
caratteristiche comuni: un pastore tedesco, una copia di un certo romanzo); sono invece specifiche, quelle
considerate per la loro individualità (il cane Rex, la copia del romanzo con una dedica dell’autore).
b) Ulteriore distinzione è quella tra cose fungibili e cose infungibili. Essa si fonda sulla considerazione
delle cose come interscambiabili (ossia sostituibili le une con le altre, in quanto di pari utilità).
Fungibili sono tutte quelle considerate a peso, numero e misura (ad es. le derrate alimentari ed i prodotti
industriali). Infungibili sono invece le cose che non possono essere sostituite le une con le altre.
c) Si distinguono poi le cose consumabili da quelle inconsumabili.
Sono consumabili le cose la cui normale utilizzazione ne comporta la distruzione come entità (derrate
alimentari, carburante); sono inconsumabili quelle che invece si prestano ad una utilizzazione normale
ripetuta nel tempo (libro, mobile), anche se non indefinitamente.
d) Importante è anche la distinzione tra cose divisibili e cose indivisibili.
La divisibilità si considera quando la cosa può essere scomposta in parti omogenee (tra loro diverse solo
dal punto di vista quantitativo), idonee allo stesso uso cui era destinata la cosa intera (quadro, un mobile,
animale vivo); le conseguenze dell’indivisibilità si avvertono in relazione all’impossibilità di sciogliere la
comunione.
e) La distinzione tra cose produttive e non produttive, dipende dall’attitudine della cosa alla produzione
di frutti.

4. Il danaro.
Il danaro nella teoria dei beni viene qualificato come cosa mobile, generica, fungibile, consumabile
e divisibile. Con riguardo ad un tradizionale tipo di circolazione monetaria fondata su prezzi monetari aventi
corso legale è evidente come questi, a differenza delle altre cose, assumono semplicemente una funzione
strumentale, quale espressione del valore patrimoniale di cui il soggetto è messo in condizione di disporre
con riguardo alla funzione del danaro quale mezzo di scambio universale.
Da una parte la moneta assolve all’essenziale funzione di misura dei valori, dall’altra si presenta in una
pluralità di modi nei rapporti che lo riguardano

5. Rapporti di connessione tra le cose. Le pertinenze.


Assume notevole rilevanza la considerazione unitaria o meno delle cose sulla base dei collegamenti tra di
esse, naturali oppure ad opera dell’uomo.
Si reputa cosa semplice quella per cui l’integrazione degli elementi che la compongono ha fatto perdere la
loro individualità; nella cosa composta gli elementi che concorrono a formarla conservano la propria
individualità materiale e si presentano come complementari, per consentire alla cosa di svolgere la sua tipica
funzione (ruote, sterzo, scocca). Decisiva non è l’unione materiale dei diversi elementi, bensì la
complementarietà economica (cosa composta sono ad esempio un paio di guanti).
Il codice civile ha ritenuto opportuno definire il rapporto che si può venire ad instaurare tra cosa principale e
cosa accessoria, precisando la nozione di pertinenza, nonché le conseguenze di un eventuale rapporto di
connessione tra cose.

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La connessione per accessorietà si ha quando tra più cose si venga ad instaurare un rapporto caratterizzato
dall’essere l’una, la cosa principale e l’altra accessoria, con la conseguenza di far seguire alla cosa accessoria
le vicende di quella principale.
Per l’art. 817, pertinenze sono “le cose destinate in modo durevole a servizio o ad ornamento di
un’altra cosa”; qui la cosa non perde la sua individualità e autonomia.
Ai fini della ricorrenza del concetto di pertinenza è determinante la instaurazione di un legame
economico-giuridico (pertinenza è considerato lo scaldabagno, ancorché congiunto al muro dell’abitazione).
Il rapporto di pertinenza può intercorrere tra cose mobili (cornice e quadro, piedistallo e statua), tra cosa
mobile ed immobile (antenna televisiva ed edificio), oppure tra cose immobili (la cantina rispetto
all’appartamento).
Un particolare rapporto di pertinenza è disciplinato con riferimento alle aree di parcheggio rispetto agli
edifici (in materia di parcheggi privati, posti auto scoperti, i boxes ed i garages, si è distinto tra parcheggi
obbligatori, facoltativi, e liberi; i parcheggi obbligatori sono quelli necessariamente previsti nelle nuove
costruzioni; quelli facoltativi sono quelli realizzati in base alla legge Tognoli con particolari agevolazioni
urbanistiche e civilistiche; ed infine quelli liberi non rientranti nelle due tipologie precedenti, non soggetti
a particolari vincoli).
Perché sorga il rapporto di pertinenza è essenziale la destinazione, la quale può essere effettuata
esclusivamente dal proprietario della cosa principale. Circa la rilevanza del rapporto pertinenziale,
l’art. 818 prevede che i rapporti giuridici concernenti la cosa principale comprendono anche le pertinenze,
salvo che non sia diversamente disposto. Le pertinenze poiché conservano la loro individualità giuridica,
possono formare oggetto di atti e rapporti separatamente dalla cosa principale. La cessazione del rapporto
pertinenziale non è opponibile ai terzi, salvo che non sia avvenuta prima dell’acquisto di diritti da parte dei
terzi stessi sulla cosa principale.

6. Le universalità.
Il rapporto di connessione tra le cose risulta attenuato nel caso di universalità di mobili: ad un simile
insieme di beni, viene riservato un trattamento giudico diverso da quello previsto per i beni mobili.
Le universalità di mobili (tradizionalmente definite universalità di fatto) sono definite come “pluralità di
cose che appartengono alla stessa persona e hanno una destinazione unitaria”.
Si tratta di complessi di cose che conservano la propria individualità ed autonomia economico-
funzionale (es. sono il gregge, una biblioteca, una collezione di quadri).
Il collegamento tra le cose deriva innanzitutto dalla comune appartenenza ad uno stesso soggetto; occorre
poi la relativa destinazione unitaria, la quale sembra poter essere impressa solo dal proprietario.
Il tratto unificante delle cose è dato dalla funzione complessiva che esse sono chiamate a svolgere a seguito
dell’atto di organizzazione del soggetto che imprime la comune destinazione.
Dalle universalità di mobili (o di fatto) si distinguono le universalità di diritto; la considerazione unitaria di
un complesso di beni si presenta come conseguenza di una valutazione normativa che imprime una
destinazione unitaria ad una serie di rapporti di diversa natura. L’universalità di diritto comprende situazioni
giuridiche soggettive attive e passive non omogenee, quando il legislatore reputi opportuno unificarne il
regime.

7. Azienda.
Taluni annoverano quale universalità di diritto, l’azienda come “complesso dei beni organizzati
dall’imprenditore per l’esercizio dell’impresa”; l’azienda rispetto ad ogni universalità, risulta avere
caratteristiche peculiari.
Per l’art. 2555, l’azienda quale complesso di beni, si distingue dall’impresa consistente nell’attività
economica in vista del cui esercizio è organizzato dall’imprenditore un complesso di beni.

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8. Frutti.
Si considera frutto tutto ciò che una cosa rende di per sé oppure attraverso rapporti giuridici che ad essa si
riferiscono. Tra i beni, il codice distingue i frutti naturali dai frutti civili.
I frutti naturali riguardano le cose materiali derivanti fisicamente dalla cosa madre, mentre i frutti civili
riguardano un reddito pecuniario che si trae da rapporti giuridici concernenti il bene.
Sono considerati frutti naturali quelli che provengono direttamente dalla cosa, con o senza l’intervento
dell’uomo. Nell’idea di fruttificazione è insita la conservazione della cosa nella sua sostanza e nella sua
idoneità alla produzione di cose economicamente apprezzabili.
I frutti naturali seguono la sorte della cosa fruttifera fino alla separazione, ossia ne fanno parte fino a tale
momento, che segna il momento dell’acquisto da parte dell’avente diritto (come bene autonomo).
La separazione determina una autonoma identità giuridica dei frutti, facendo sorgere un diritto di
proprietà su di essi; tale proprietà spetta al proprietario della cosa fruttifera, salvo che spetti ad altri soggetti
come effetto di un diritto di godimento vantato rispetto alla cosa madre.
Vale il principio per cui chi fa propri i frutti deve, entro il limite del relativo valore, rimborsare colui che
abbia fatto spese per la produzione ed il raccolto.
Per frutti civili si intendono invece quelli che si ritraggono dalla cosa come corrispettivo del godimento
che ne sia attribuito ad altri (indirettamente, come effetto di un rapporto giuridico di cui la cosa sia
oggetto, diventando fonte di reddito); tra i frutti civili annoveriamo gli interessi dei capitali, le rendite
vitalizie ed ogni altra rendita. Anche i frutti civili come quelli naturali, spettano al proprietario della cosa
fruttifera, oppure a chi abbia un diritto di godimento sulla cosa medesima.

9. Patrimonio.
Il patrimonio indica l’insieme delle situazioni giuridiche di rilevanza economica, di cui il soggetto è titolare;
ne restano quindi esclusi i diritti di natura non patrimoniale.
Finche la persona è vivente, il patrimonio non viene considerato dall’ordinamento quale unitario oggetto di
vicende giuridiche; nel suo significato economico il patrimonio tende ad essere considerato al netto, dedotte
cioè le passività.
Ogni soggetto ha un solo patrimonio, ma l’ordinamento riserva talvolta una considerazione peculiare a talune
situazioni giuridiche facenti capo al soggetto, tenendole distinte dalle altre di cui egli sia titolare.
Il legislatore in vista della rilevanza consente che a taluni rapporti giuridici del soggetto venga impressa una
peculiare destinazione (si parla infatti di patrimoni di destinazione), dando così vita a patrimoni separati.
Di patrimonio autonomo si parla con riferimento alla considerazione da parte del legislatore,
di un complesso di rapporti non collegati ad un soggetto cui sia riconosciuta una distinta capacità giuridica;
esempi significativi del fenomeno in questione sono offerti dalla destinazione di beni che avviene con la
costituzione del fondo patrimoniale con conseguente trattamento differenziato dei creditori dai fondi
speciali per la previdenza e l’assistenza.

10. Beni pubblici.


Seppure tutti i beni sono suscettibili di essere pubblici o privati, ad assumere rilievo è la peculiarità delle
regole disciplinanti il relativo regime in caso di appartenenza a soggetti diversi dai privati.
Per determinare il carattere di bene pubblico, non sempre gli interessi di carattere generale sono soddisfatti
da beni pubblici; interessi di tale genere possono essere soddisfatti anche da beni di proprietà privata
attraverso una regolamentazione del loro godimento e della loro circolazione, e vengono per questo
identificati come beni di interesse pubblico.
Alcuni beni per necessità fanno parte del demanio pubblico (beni demaniali), in quanto non è ammessa
l’appartenenza ai privati (demanio naturale): lido del mare, spiagge, fiumi.
Del demanio pubblico, solo se appartenenti allo Stato (demanio artificiale) fanno parte le strade, aerodromi,
immobili di interesse storico, archeologico e artistico.

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I beni demaniali sono inalienabili e possono formare oggetto di diritti di terzi nei modi e nei limiti stabiliti
dalle leggi che li riguardano. Per i beni non necessariamente demaniali è ammessa la sdemanializzazione
(il passaggio dei beni dal demanio pubblico al patrimonio dello Stato) da parte dell’autorità amministrativa
attraverso particolari procedure.
I beni appartenenti allo Stato e agli altri enti territoriali non compresi tra quelli demaniali fanno parte del
relativo patrimonio. Al patrimonio dello Stato spettano anche i beni immobili che non sono di proprietà di
alcuno.

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CAPITOLO 3 – RAPPORTO GIURIDICO E SITUAZIONI GIURIDICHE SOGGETTIVE
1.Interessi, rapporto giuridico e situazioni giuridiche soggettive; 2. Diritto soggettivo (nozione);
3. Diritto soggettivo (contenuto e limiti); 4. Abuso del diritto; 5. Tipologia dei diritti soggettivi
(corrispondenti situazioni giuridiche soggettive passive: dovere e obbligo); 6. Diritto potestativo;
7. Potestà; 8. Aspettativa; 9. Interesse legittimo; 10. Interessi collettivi e diffusi; 11. Onere.

1.Interessi, rapporto giuridico e situazioni giuridiche soggettive.


La funzione della regola giuridica va ricercata nell’esigenza di ordinare le relazioni umane; questo avviene
risolvendo i conflitti di interesse che si vengono a determinare tra i diversi soggetti con riferimento ad un
bene.
Se l’interesse viene visto come una sorte di tensione tra soggetto e bene, ne consegue la possibile
insorgenza di conflitti, ove una pluralità di soggetti si presentino interessati allo stesso bene.
L’ordinamento giuridico allora interviene con le sue regole per organizzare gli interessi in gioco, ove si tratti
di interessi meritevoli di essere presi in considerazione.
Con il concetto di rapporto giuridico ci si intende riferire alla relazione intersoggettiva disciplinata
dall’ordinamento, determinando quale tra gli interessi coinvolti sia da considerare meritevole di tutela ed
assicurandone la realizzazione.
A tal fine l’ordinamento riconosce ai soggetti portatori degli interessi coinvolti nella relazione, la titolarità di
una situazione giuridica soggettiva. La situazione giuridica soggettiva di cui risulta investito il soggetto
a seguito dell’intervento regolatore dell’ordinamento è per lui di carattere favorevole, ove sia il suo interesse
a venire considerato maggiormente meritevole di tutela.
Si definisce attiva la situazione giuridica soggettiva di vantaggio, attribuita al soggetto del rapporto
(soggetto attivo) per assicurargli la realizzazione del suo interesse; passiva la situazione soggettiva di
svantaggio, attribuita al soggetto del rapporto (soggetto passivo) tenuto a rendere possibile con il suo
comportamento la realizzazione dell’interesse altrui, contrapposto al suo interesse nella relazione regolata
dal diritto.

2. Diritto soggettivo (nozione).


Nel linguaggio legislativo, la situazione giuridica soggettiva attiva riconosciuta ad un soggetto è identificata
con il termine di diritto (diritto al nome, diritto di proprietà); si parla di diritto ogni volta che ad un soggetto
viene garantita la realizzazione del suo interesse dall’ordinamento, riconoscendogli il potere di pretendere da
dal soggetto passivo che tale realizzazione renda possibile questo fine.
La categoria del diritto soggettivo è stata elaborata per unificare nella relativa definizione tutte le possibili
ipotesi in cui ricorra una simile situazione di favore; il momento di unificazione fu inizialmente ricondotto al
potere di agire attribuito alla volontà dello stesso soggetto, ma successivamente l’accento è stato posto sul
profilo funzionale dell’interesse giuridicamente tutelato.
La difficoltà è sempre stata quella di unire il campo dei diritti assoluti (diritti reali) con quello dei diritti
relativi (diritti di credito), ossia i due modelli fondamentali di diritti riconosciuti dall’ordinamento: solo nei
diritti relativi si evidenzia la pretesa, ossia il potere di esigere da parte del titolare del diritto (creditore),
uno specifico comportamento cui risulta tenuto un altro determinato soggetto (debitore).
Nei diritti reali, il cui modello è rappresentato dalla proprietà, la pretesa all’altrui comportamento è rimasta
sullo sfondo, data l’indeterminatezza dei relativi destinatari, presentandosi la facoltà di agire del titolare
del diritto per soddisfare su di esso il proprio interesse.
La categoria del diritto soggettivo ha perso in parte la sua utilità di formula riassuntiva di uno schema
unitario di tutela, essendosi dovuto riconoscere come la diversità della natura degli interessi considerati
meritevoli di tutela imponga strumenti e modelli di tutela differenziati.

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3. Diritto soggettivo (contenuto e limiti).
Il codice utilizza la terminologia di diritto per indicare non la situazione giuridica di diritto soggettivo nel suo
insieme, ma il suo contenuto. Nell’uso legislativo il termine diritto risulta ambiguo in quanto spesso riferito
al diritto soggettivo ed al suo contenuto.
I comportamenti che la norma consente al titolare della situazione giuridica soggettiva sono in realtà le
manifestazioni dell’unico diritto soggettivo attribuito al soggetto.
Tali manifestazioni sono spesso descritte come facoltà: in relazione all’art. 832 si dovrebbe parlare di
facoltà di godere e di facoltà di disporre delle cose, come comportamenti consentiti al titolare del diritto
per soddisfare il suo interesse.
Il diritto soggettivo si presenta come situazione complessa, sintesi di facoltà e poteri, e l’accrescersi di una
simile complessità ha rappresentato il tratto forse più significativo dell’evoluzione recente della concezione
della figura. Accanto alle facoltà ed ai poteri si sono evidenziati i relativi limiti, fino a giungere ad
addossargli veri e propri obblighi, in vista della realizzazione di un opportuno adeguamento della situazione
di vantaggio, con gli interessi degli altri soggetti che si trovano in rapporto con lui.
Anche il medesimo diritto di proprietà, espressione del potere del titolare nei confronti degli altri consociati, ,
trova tutela solo “entro i limiti e con l’osservanza degli obblighi stabiliti dall’ordinamento giuridico”.
L’evoluzione della concezione del diritto soggettivo ha ricevuto un decisivo impulso con l’avvento
del sistema costituzionale, ispirato al principio di uguaglianza sostanziale tra i consociati; è esplicita
l’allusione al perseguimento della funzione sociale, quale obiettivo della disciplina della proprietà.

4. Abuso del diritto.


Nel tempo si è affermata l’esigenza di evitare il sacrificio degli interessi altrui al di là di quanto sia
necessario alla soddisfazione dell’interesse proprio ritenuto meritevole di tutela.
Ciò ha posto in primo piano il problema dell’opportunità o meno della previsione di un divieto dell’abuso
del diritto, quale limite generale all’esercizio del diritto soggettivo, oppure, in mancanza di una previsione
espressa, della sua ricostruzione in via interpretativa, sulla base dei principi dettati dal legislatore in ordine
alle varie figure del diritto soggettivo.
Tale divieto si atteggia come limite di carattere generale, consistente nel ritenere consentiti al titolare
modi di esercizio del diritto conformi allo scopo, in vista del cui perseguimento l’interesse del soggetto sia
stato valutato come meritevole di tutela.
Il nostro legislatore nel codice civile a differenza di altri, non ha previsto un simile divieto: il timore che ne
potesse venire compromessa la certezza del diritto ha indotto a ritenere preferibile la formulazione del
divieto stesso circa i singoli istituti. Nell’ordinamento in cui tale divieto ha trovato accoglimento si presenta
come corollario della buona fede, ossia un criterio fondamentale cui deve essere sempre improntato
l’esercizio dei propri diritti (oltre che l’adempimento dei propri obblighi). Una ipotesi di violazione
dell’obbligo di buona fede nell’esecuzione del contratto viene considerata proprio l’abuso del diritto,
individuato nel comportamento del contraente che esercita verso l’altro, i diritti derivanti dalla legge per
realizzare uno scopo diverso da quello cui questi diritti sono preordinati.

5. Tipologia dei diritti soggettivi (e corrispondenti situazioni giuridiche soggettive: dovere e obbligo)
La categoria del diritto soggettivo rappresenta il risultato dello sforzo tendente ad una ricostruzione delle
situazioni in cui l’ordinamento garantisce al soggetto piena e diretta tutela del suo interesse relativamente
ad un bene; situazioni la cui varietà dipende dalla diversità degli interessi che l’ordinamento reputa
meritevoli di tutela e dalla conseguente diversità delle modalità di realizzazione che li contraddistingue.
In considerazione di una simile varietà, sulla base dell’atteggiarsi degli interessi e dei relativi modi di tutela,
sono prospettate alcune distinzioni di fondo e operate classificazioni.

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a)Una prima distinzione, basata sulla natura degli interessi considerati meritevoli di tutela, è quella tra
diritti patrimoniali e diritti non patrimoniali, a seconda della relativa valutabilità o meno in termini
economici; il sistema del diritto privato è stato costruito con riguardo ai diritti patrimoniali, caratterizzati
da un valore di scambio, allo scopo di regolare gli interessi economici.
Carattere patrimoniale hanno il diritto di proprietà e i diritti di credito (diritti reali), mentre carattere non
patrimoniale hanno i diritti finalizzati ad assicurare la tutela e lo sviluppo della persona (diritti della
personalità), anche nelle relazioni familiari (diritti familiari).
La patrimonialità del diritto di credito deriva dal dover risultare la prestazione, oggetto dell’obbligazione,
suscettibile di valutazione economica; la non patrimonialità dell’interesse resta estraneo alla struttura
del rapporto, non influenzandone il regime disciplinato rispetto al valore economico che la prestazione
assume secondo le valutazioni sociali.
I diritti di natura personale non sono riconosciuti in considerazione del loro valore di scambio e, quindi,
non fanno parte del patrimonio del soggetto, restando estranei alla responsabilità patrimoniale del debitore.
b) Sotto il profilo strutturale, la distinzione di fondo si ha tra diritti assoluti e diritti relativi, la quale
deriva dalla contrapposizione in campo patrimoniale, tra il modello della proprietà e il modello dei diritti di
credito. Tale distinzione si basa sul diverso modo in cui la posizione del titolare del diritto (soggetto attivo)
si correla con la posizione di chi col suo comportamento deve consentire la realizzazione dell’interesse che
l’ordinamento ha reputato meritevole di tutela (soggetto passivo), collocandolo in posizione sovraordinata.
1)Nel diritto assoluto la realizzazione dell’interesse del titolare del diritto è assicurata dal dovere dei
consociati di astenersi dall’interferire nell’esercizio delle prerogative (facoltà, poteri) riconosciute
dall’ordinamento relativamente al bene.
La caratteristica del diritto assoluto è individuata nel potere del titolare di pretendere l’osservanza di un
dovere negativo di rispetto, da parte dei consociati, con conseguente possibilità di far valere la propria
posizione nei confronti di tutti i consociati stessi.
Il titolare del diritto assoluto non ha bisogno di una specifica attività di cooperazione altrui per realizzare il
proprio interesse, in quanto lo realizza direttamente da sé (immediatezza); per questo il rapporto si ritiene
intercorrere tra il soggetto ed il bene. La categoria dei diritti assoluti abbraccia la proprietà, i diritti sui beni
immateriali ed i diritti della personalità.
2)Nel diritto relativo invece, la realizzazione dell’interesse del titolare è assicurata dall’obbligo di
osservare uno specifico comportamento da parte del soggetto passivo. La caratteristica del diritto
relativo è individuata nel potere del titolare, di pretendere l’osservanza dell’obbligo di comportamento su di
lui gravante, nei confronti di un determinato soggetto passivo, con conseguente possibilità di far valere la
propria posizione nei suoi confronti.
Il titolare del diritto relativo, ha bisogno per realizzare il suo interesse, di una specifica attività di
cooperazione da parte del predeterminato soggetto passivo del rapporto. La categoria dei diritti relativi
abbraccia oltre ai diritti di credito (o di obbligazione), contraddistinti dalla valutabilità in termini economici
del comportamento dovuto, anche situazioni caratterizzate da uno specifico dovere di comportamento
di natura personale di un soggetto determinato, atto a realizzare l’interesse del titolare del diritto.
c) In campo patrimoniale la distinzione tra diritti assoluti e relativi si concretizza in quella tra
diritti reali e diritti di credito.
La caratteristica dei diritti reali è quella di attribuire al titolare un potere immediato su una cosa,
consentendogli di realizzare direttamente il suo interesse, attraverso l’esercizio delle facoltà e dei poteri
conferiti dall’ordinamento rispetto alla cosa stessa (immediatezza del diritto reale).
Si parla anche di inerenza del diritto reale alla cosa in considerazione della posizione riconosciuta al
titolare del diritto reale rispetto alla cosa che ne costituisce oggetto e del conseguente collegamento
tra situazione giuridica soggettiva e cosa stessa.

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Ciò vale a connotare l’azione a sua difesa quale azione reale (actio in rem), in quanto indirizzata contro
chiunque turbi l’esercizio delle prerogative del titolare sulla cosa, che può essere perseguita per consentire il
ripristino di tali prerogative, nelle mani di chiunque tale prerogativa si venga a trovare.
La proprietà si presenta come prototipo dei diritti reali; gli altri diritti reali che si risolvono in una
compressione della proprietà vengono qualificati in contrapposizione alla pienezza caratterizzante la
proprietà. I diritti reali si distinguono a seconda dell’interesse in vista del quale risulta garantito
dall’ordinamento il potere sulla cosa, in diritti reali di godimento (superficie, usufrutto) e diritti reali di
garanzia (pegno, ipoteca).
I diritti di credito (o di obbligazione) si caratterizzano per la pretesa che il titolare (creditore) ha nei
confronti di uno o più soggetti determinati (obbligato/i o debitore/i) affinché questi ultimi tengano uno
specifico comportamento positivo o negativo (prestazione), suscettibile di valutazione economica;
tale comportamento vale a soddisfare l’interesse del titolare del diritto, il quale necessita della cooperazione
del soggetto tenuto al comportamento stesso.
All’immediatezza del diritto reale si contrappone la mediatezza del diritto di credito permettendo la
realizzazione dell’interesse considerato meritevole di tutela dall’ordinamento. Questo vale anche per
i cd. diritti personali di godimento, nei quali l’accesso al godimento della cosa da parte del titolare e
l’esercizio delle relative facoltà vengono considerati dal comportamento di chi sia impegnato a mettere la
cosa stessa a sua disposizione dall’ordinamento. L’azione a tutela del creditore ha carattere personale
(actio in personam), proprio perché indirizzabile nei confronti del soggetto debitore ,consentendo la
realizzazione dell’interesse dedotto nel rapporto obbligatorio.

6. Diritto potestativo.
L’essenza del diritto potestativo è da ricercare nel potere riconosciuto al soggetto di incidere con una
propria manifestazione unilaterale di volontà su una situazione giuridica (costituendola, modificandola o
estinguendola). Al potere conferito al soggetto titolare del diritto potestativo corrisponde una soggezione del
soggetto passivo, che si trova nella condizione di essere costretto a subire gli effetti giuridici derivanti
dall’esercizio del diritto potestativo.
Il risultato vantaggioso avuto di mira dal titolare viene ottenuto direttamente, come conseguenza della sua
manifestazione di volontà. Una ipotesi ascritta alla categoria del diritto potestativo è quella offerta
dall’art. 874 concernente la comunione forzosa sul muro di confine: l’effetto della situazione di
comunione deriva dall’iniziativa del proprietario del fondo contiguo al muro, non potendo l’originario
proprietario del muro fare altro che soggiacere ad un simile effetto (in tale articolo si ritiene contemplato
anche un onere, ossia un pagamento di una somma di denaro a carico del soggetto che intenda esercitare il
diritto potestativo di rendere comune il muro di confine).
Analogamente si atteggiano il diritto di riscatto del venditore, il diritto di recesso unilaterale attribuito ad
una delle parti in cui l’effetto giuridico avuto di mira dal titolare del diritto potestativo, consegue alla sua
manifestazione unilaterale di volontà, restandone la controparte assoggettata.
Sembra quindi che i diritti potestativi presentino un carattere di accessorietà rispetto ad un rapporto o
diritto principale.

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7. Potestà.
Caratteristica fondamentale delle situazioni giuridiche soggettive attive è di comportare l’attribuzione
di poteri per la soddisfazione dei propri interessi a coloro cui risultano attribuite.
Talvolta però un potere è riconosciuto al soggetto per la tutela e la realizzazione di un interesse altrui e
tale situazione giuridica soggettiva prende il nome di potestà.
Tale potere può essere conferito dallo stesso titolare dell’interesse in gioco, come nel caso della
rappresentanza diretta, nella quale al rappresentante è attribuito dal rappresentato il potere di concludere
un contratto, destinato a produrre i suoi effetti direttamente nel patrimonio del rappresentato stesso.
I casi di maggiore interesse sono però quelli in cui tale potere è conferito dalla legge; ciò avviene quando
sussistono delle esigenze di tutela di interessi che altrimenti ne resterebbero privi.
L’attribuzione del potere nell’interesse altrui determina una deviazione nei modi di esercizio del potere
stesso, rispetto ai casi in cui esso sia esercitato dallo stesso titolare dell’interesse da soddisfare.
L’esercizio del potere si presenta vincolato alla realizzazione dell’interesse, comportando l’esigenza di
prevedere forme di controllo dell’esercizio del potere.
L’esercizio dei poteri connessi alla potestà viene ad assumere quindi un carattere di vera e propria
doverosità, motivo per il quale situazioni di questo tipo vengono identificate in termini di potere-dovere.

8. Aspettativa.
Dalla situazione giuridica di diritto soggettivo si distingue la situazione di aspettativa, quando i requisiti
che l’ordinamento pone per il sorgere del diritto soggettivo stesso non sono ancora completamente realizzati
(ossia non sono ancora presenti tutti gli elementi della fattispecie costitutiva).
Quella di aspettativa può essere considerata una situazione giuridica soggettiva; ciò avviene dove
l’ordinamento riconosca al soggetto una qualche tutela del suo interesse a vedere completata la fattispecie
costitutiva del diritto avuto di mira.
Si tratta di una tutela e di una situazione giuridica di natura provvisoria e strumentale all’acquisto della
titolarità di un diritto, da parte del soggetto. Affinché si possa parlare di aspettativa (giuridica o di diritto),
occorre che l’ordinamento consideri già meritevole di tutela un interesse del soggetto al regolare svolgimento
del procedimento di formazione della fattispecie acquisitiva del diritto.
Diversa è la situazione di mera speranza di un futuro diritto, ove l’ordinamento non consideri meritevole
di tutela un interesse del soggetto, non essendosi ancora realizzato alcuno degli elementi della fattispecie
costitutiva del diritto (si parla a riguardo di aspettativa di fatto). Un esempio è fornito dalla situazione in cui
si trova il soggetto in ordine all’eredità di chi è ancora vivo, anche se si tratta di uno di quei soggetti che
hanno diritto ad una quota della relativa eredità (figli), dato che è solo con la morte del soggetto da cui si
conta di ereditare, che comincia a realizzarsi la fattispecie successoria.
Una ipotesi di aspettativa di diritto si ritiene essere quella di chi acquisti un diritto sotto condizione
sospensiva o l’alieni sotto condizione risolutiva.

9. Interesse legittimo.
Prescindendo dai cd. interessi di fatto (semplici), definiti così proprio perché del tutto irrilevanti per
l’ordinamento, sono anche essi considerati meritevoli di protezione, col conseguente riconoscimento di una
situazione giuridica soggettiva, ma al titolare non è conferito un potere di carattere autonomo in vista del
relativo soddisfacimento; il soddisfacimento di un interesse di questo tipo viene a dipendere dall’esercizio di
un potere attribuito ad altri.
Con la terminologia di interesse legittimo si allude ad una situazione caratterizzata da una tutela indiretta
dell’interesse del soggetto che ne è titolare.
La categoria dell’interesse legittimo è stata teorizzata con riferimento al diritto pubblico e all’esercizio
dei poteri amministrativi, per definire la posizione del soggetto privato rispetto al loro esercizio nell’interesse
pubblico, quando questo concerna un bene cui il soggetto stesso sia interessato.

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L’interesse del soggetto privato viene tutelato in quanto coincidente con l’interesse pubblico, e
si sostanzia nella pretesa di un corretto esercizio del potere da parte della pubblica amministrazione.
Un esempio è quello della posizione del soggetto con riferimento ad un concorso pubblico.
Il concorrente ha un interesse giuridicamente rilevante, definito interesse legittimo, ad uno svolgimento
del concorso secondo le regole stabilite dalla legge per disciplinare le relative procedure; regole dettate per il
soddisfacimento di un interesse pubblico, il cui rispetto può essere preteso dal concorrente stesso in vista del
soddisfacimento del suo interesse personale in quanto coincidente con quello pubblico.
Al soggetto privato, di conseguenza, è riconosciuta la possibilità di azionare strumenti di controllo
sull’operato della pubblica amministrazione, in modo da vedere tutelato il proprio interesse personale.
Il campo cui si riferisce è quello delle cd. norme di azione, che disciplinano il buon funzionamento della
pubblica amministrazione; le norme di relazione invece disciplinano specifici rapporti tra privati e pubblica
amministrazione.
La distinzione tra diritti soggettivi e interessi legittimi ha assunto rilevanza sotto alcuni profili:
dal punto di vista delle competenze rispetto alla relativa tutela giurisdizionale, operando per la tutela degli
interessi legittimi quella del giudice amministrativo, e per la diversità dei poteri del giudice amministrativo,
quella del giudice ordinario.
La giurisprudenza con un intervento della Cassazione ha sancito da un lato la risarcibilità del danno
conseguente alla lesione di un interesse legittimo; dall’altro ha riconosciuto al giudice ordinario la
possibilità di giudicare le controversie concernenti la violazione di interessi legittimi condannando la
pubblica amministrazione al risarcimento del danno.
Con l’art. 30 si è stabilito che l’azione di condanna al risarcimento del danno ingiusto derivante
dall’illegittimo esercizio dell’attività amministrativa o dal mancato esercizio di quella obbligatoria,
può essere proposta anche in via autonoma (cd. azione risarcitoria pura).
Un disincentivo all’esercizio in via autonoma dell’azione risarcitoria per la lesione di interessi legittimi,
deriva dalla previsione della esclusione del risarcimento dei danni che si sarebbero potuti evitare usando
l’ordinaria diligenza attraverso gli strumenti di tutela previsti. Della figura di interesse legittimo è stata
proposta l’utilizzazione anche al di fuori dei rapporti con la pubblica amministrazione, per definire
particolari situazioni ricorrenti nei rapporti che interessano il diritto privato.

10. Interessi collettivi e diffusi.


Carattere comune delle situazioni giuridiche soggettive è quello di tutelare l’interesse del soggetto,
conferendogli una posizione di vantaggio rispetto ad un bene, differenziando la sua posizione rispetto a
quella degli altri soggetti eventualmente interessati allo stesso bene.
Crescente attenzione è stata prestata per gli interessi facenti capo al soggetto appartenente ad una determinata
collettività (gli appartenenti alla quale hanno interessi omogenei) in quanto membro della comunità nel suo
complesso.
La tutela degli interessi collettivi, trova il suo punto di riferimento nell’attribuzione ad enti di struttura
associativa, del potere di agire per la relativa salvaguardia; gli interessi di tali enti sono fatti valere attraverso
l’azione del rispettivo ordine professionale.
Più problematica risulta la tutela degli interessi diffusi, ossia di interessi che in genere si ricollegano a valori
di rango costituzionale, come quelli relativi alla salvaguardia della salute e dell’ambiente, oppure alla
protezione dei consumatori.
Nel campo della tutela dei consumatori l’art. 39 e il D.Lgs 206/2005 conferiscono alle associazioni dei
consumatori la legittimazione ad agire a tutela degli interessi collettivi dei consumatori, risultanti
dall’enunciazione dei “diritti dei consumatori”.

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La normativa concernente i consumatori prevede, quale mezzo di tutela, l’azione inibitoria nei confronti dei
comportamenti lesivi, come strumento di tutela degli interessi diffusi. Accanto ad essa sono contemplati
l’eventuale pubblicazione del provvedimento su quotidiani e il pagamento di una somma rapportata alla
durata dell’inosservanza del provvedimento. In considerazione della loro natura, la tutela degli interessi
diffusi percorre vie diverse da quelle tradizionalmente perseguite per la violazione dei diritti.
Un ulteriore strumento di tutela è costituito dalla previsione di azioni collettive (o di categoria), consistenti
nel consentire a soggetti singoli o ad enti di prendere l’iniziativa contro i comportamenti lesivi di
interessi diffusi, per ottenere la relativa inibizione in rappresentanza dei soggetti interessati.
L’azione di classe è diretta a tutelare diritti individuali omogenei dei consumatori e degli utenti, potendo
agire ciascun componente della classe, mediante associazioni cui dà mandato; l’azione di classe è prevista
per l’accertamento della responsabilità e per la condanna al risarcimento del danno.

11. Onere.
Il sacrificio di un proprio interesse imposto per soddisfarne un altro sempre proprio, viene definito
onere.
Il comportamento è libero, dato che la sua inosservanza non comporta alcuna responsabilità a carico del
soggetto nei confronti di altri, secondo quanto invece accade in caso di inosservanza di un obbligo, ma al
contempo il comportamento è necessitato dove il soggetto intenda realizzare il suo interesse per conseguire
una situazione giuridica favorevole. Esempio corrente è quello dell’onere della prova; ai sensi
dell’art. 2697 “chi vuol fare valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il
fondamento”.

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CAPITOLO 4 – FATTI GIURIDICI. EFFETTI, VICENDE E CIRCOLAZIONE
1.Fenomenologia materiale e rilevanza giuridica; -A) TIPOLOGIA DEI FENOMENI GIURIDICI.
2. Fatti ed effetti giuridici; 3. Struttura dei fatti giuridici; 4. Rilevanza dei fatti giuridici. Fatti giuridici in
senso stretto; 5. Atti giuridici; -B) INFLUENZA DEL TEMPO. 8. Funzione del tempo. Computo dei termini;
9. La prescrizione; 10. Sospensione e interruzione; 11. Le prescrizioni presuntive; 12. La decadenza;
-C) INFLUENZA DELLO SPAZIO. 13. La correlazione spaziale; 14. I conflitti di leggi nello spazio.

1.Fenomenologia materiale e rilevanza giuridica.


Il singolo comportamento è valutato dall’ordinamento per verificare se coinvolge interessi futili e quindi
indifferenti per l’ordinamento, o se invece impegna interessi rilevanti per l’ordinamento stesso; quando
impegna interessi rilevanti per l’ordinamento, lo fa per stabilire se gli interessi attuati risultano apprezzabili
in quanto coerenti con l’ordinamento o si rivelano contrari allo stesso.

A)TIPOLOGIA DEI FENOMENI GIURIDICI


2. Fatti ed effetti giuridici.
a) I fatti giuridici sono gli accadimenti della realtà materiale rilevanti per l’ordinamento giuridico.
Nella sua struttura il fatto integra la cd. fattispecie materiale, ossia il fatto concreto valutato
dall’ordinamento, cui l’ordinamento stesso ricollega effetti giuridici, in conseguenza di tale valutazione.
Il fatto giuridico è dunque l’accadimento materiale giuridicamente rilevante in quanto involge interessi
rilevanti per l’ordinamento giuridico.
b) Gli effetti giuridici esprimono le conseguenze della rilevanza assunta dal fatto materiale per
l’ordinamento giuridico. Esprime la valutazione che l’ordinamento fa del singolo fatto materiale;
rappresenta la risposta che l’ordinamento fornisce alla sollecitazione dei fenomeni reali.
L’effetto consiste nella modificazione della realtà giuridica che può prodursi al momento del verificarsi
del fatto oppure in seguito, oppure può distribuirsi nel tempo.
Si faccia il caso che le parti stipulino un contratto di vendita; tale contratto che è senz’altro rilevante
per l’ordinamento, comporta un vincolo contrattuale tra le parti. Ma la produzione degli ulteriori effetti del
trasferimento della proprietà e della nascita della obbligazione di pagare il prezzo, è rinviata ad un momento
successivo, essendo subordinata al verificarsi del conseguimento del finanziamento da parte dell’acquirente.
Più specificamente, l’effetto giuridico determina vicende di situazioni giuridiche soggettive, sicché con la
produzione dell’effetto, si realizzano nella realtà giuridica la costituzione, la modificazione o l’estinzione di
situazione giuridiche (es. acquisto o perdita di un diritto, assunzione o estinzione di un obbligo).
Si distinguono due categorie di effetti giuridici: effetti necessari (o inderogabili), nel senso che
provengono dall’ordinamento e non è consentito ai privati derogarvi: effetti naturali (o dispositivi),
nel senso che è consentito derogarvi pur provenendo dall’ordinamento.

3. Struttura dei fatti giuridici.


La complessità della realtà socio-economica fa emergere diversi fenomeni che è possibile distinguere
secondo due criteri: l’uno relativo alla struttura del fatto; l’altro ha rilevanza giuridica per l’ordinamento.
Quanto alla struttura e quindi alla formazione, la concreta fattispecie può essere semplice, complessa e
formazione progressiva in ragione del suo atteggiarsi rispetto agli effetti che l’ordinamento vi ricollega.
La fattispecie semplice si esaurisce in un unico accadimento: ad es. la nascita, ai fini dell’acquisto della
capacità giuridica; la morte, ai fini dell’apertura della successione.
Si ha fattispecie complessa quando i singoli fatti rilevano come elementi costitutivi dell’unitaria fattispecie
produttiva di effetti giuridici (ad es. nell’acquisto per usucapione di un immobile da parte di chi non è
proprietario, per verificarsi l’acquisto per usucapione decennale, devono concorrere il possesso, l’atto di
acquisto, la buona fede dell’acquirente, la trascrizione e il decorso di 10 anni dalla trascrizione di tale atto).

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Si ha fattispecie a formazione progressiva (variante della fattispecie complessa) quando gli effetti si
realizzano con la stessa gradualità temporale con la quale si verificano i fatti elementari costituenti la
fattispecie, pertanto è accordata dall’ordinamento una protezione dell’aspettativa rispetto al conseguimento
del risultato finale (ad es. con riguardo al contratto condizionato, la produzione del risultato programmato
è subordinato al prodursi dell’evento futuro ed incerto; ma intanto alcuni effetti si producono in capo alle
parti).

4. Rilevanza dei fatti giuridici. Fatti giuridici in senso stretto.


Nella qualificazione dei fatti giuridici è importante verificare se l’ordinamento presti tutela all’accadimento
oppure anche alla partecipazione umana al fatto, offrendo rilevanza all’accadimento in quanto riconducibile
ad un comportamento umano.
Il criterio di rilevanza dà luogo ad una tipologia dei fatti giuridici, che è possibile ricondurre alla dicotomia
di “fatti giuridici in senso stretto” e “atti giuridici”.
Per fatti giuridici in senso stretto si intendono i fatti materiali (naturali o umani) rispetto ai quali
l’ordinamento prescinde da ogni verifica di carattere soggettivo per la produzione dell’effetto giuridico.
Il fatto come tale prescinde dal fatto che esso provenga o meno dall’uomo e che sia o meno volontario.
Sono fatti in senso stretto, i meri accadimenti naturali come gli spostamenti di terreni conseguenti ad
alluvione, che producono l’acquisto della proprietà in favore del proprietario del fondo cui la parte di fondo
si è unita.

5. Atti giuridici.
Sono atti giuridici i fatti dell’uomo cui l’ordinamento ricollega effetti giuridici in ragione dello stato
soggettivo degli autori dell’atto: rilevano giuridicamente la volontarietà e la consapevolezza del
comportamento tenuto.
E’ possibile distinguere gli atti giuridici in base a più criteri: il contenuto, il compimento e la valutazione.
a)In relazione al contenuto degli atti, si distinguono due sottocategorie: atti giuridici in senso stretto
ed i negozi giuridici.
1)Gli atti giuridici in senso stretto (o meri atti giuridici) sono i fatti dell’uomo per i quali assume
rilevanza la volontarietà della materialità dell’atto, ossia l’ordinamento considera gli interessi attuati da
tali atti, degni di tutela; basta solo che il fatto sia compiuto con volontarietà e consapevolezza,
indipendentemente dalla volontà di conseguirli da parte degli autori dell’atto, anche perché spesso gli effetti
intervengono contro la volontà degli autori stessi.
Si pensi alla richiesta di adempimento rivolta dal creditore al debitore: per legge tale atto comporta la
costituzione in mora del debitore, con tutti gli effetti previsti dalla legge (risarcimento del danno,
assunzione del rischio per la sopravvenuta impossibilità della prestazione di consegna).
Essendo gli effetti preordinati dall’ordinamento indipendentemente da un intento degli autori, gli atti in senso
stretto sono per necessità tipici (ossia tassativamente previsti dall’ordinamento), sia nella struttura che nel
contenuto.
2) I negozi giuridici sono i mezzi di esplicazione dell’autonomia privata, manifestazioni di volontà
rivolte ad uno scopo pratico tutelato dall’ordinamento. Rilevano giuridicamente non solo la volontarietà e
consapevolezza del comportamento, ma anche l’intento perseguito, ossia la volontarietà e la
consapevolezza degli effetti. Sono autoregolamenti di interessi, cui l’ordinamento connette effetti giuridici
conformi agli scopi perseguiti dai privati.

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b) In relazione al compimento gli atti giuridici si presentano secondo due modelli.
1)La dichiarazione, nel senso che l’atto rileva giuridicamente per la volizione assunta nell’atto
(cd. atti dichiarativi). Gli atti dichiarativi si distinguono a loro volta in atti recettizi e non recettizi.
Sono atti recettizi gli atti che producono effetto nel momento in cui pervengono a conoscenza
del destinatario (sono atti che assumono efficacia in conseguenza della loro comunicazione ad uno o più
destinatari).
Gli atti non recettizi invece non sono destinati a terzi e producono effetto in virtù della mera redazione.
Tra gli atti dichiarativi una particolare fisionomia assumono le cd. dichiarazioni di scienza, che hanno
l’unica funzione di affermare la verità (si pensi alla confessione; art. 2730).
2) L’attuazione, nel senso che l’atto rileva giuridicamente come compiuto nel suo stesso realizzarsi
attraverso la modificazione del mondo esterno (cd. atti di attuazione o reali, come l’occupazione di una
cosa mobile abbandonata).
c) In relazione alla valutazione degli atti, rileva la distinzione tra atti leciti ed atti illeciti a seconda della
contrarietà o meno degli atti all’ordinamento giuridico.
Gli atti leciti sono atti voluti dall’agente e conformi all’ordinamento giuridico, ai quali l’ordinamento
riconduce effetti giuridici conformi a quelli perseguiti dalle parti; gli atti illeciti sono invece atti che sebbene
voluti, sono in contrasto con l’ordinamento per violazione di norme proibitive (sostanziali) e norme
ordinative (strumentali).

6. L’attività.
Singoli fatti e atti giuridici rilevano per l’ordinamento sia che considerati isolatamente che nella connessione
tra gli stessi; si dà così luogo alla cd. attività, che è la coordinazione di più fatti e atti preordinati e svolti
per il conseguimento di uno scopo unitario.
E’ l’unificazione dei singoli atti sul piano sociale per il raggiungimento di un risultato unitario, a dare luogo
ad una rilevanza di tale unificazione come fattispecie giuridica. L’ordinamento attribuisce all’unificazione
degli atti ulteriori effetti, diversi rispetto a quelli ricollegabili ai singoli atti autonomamente considerati.
Si pensi all’attività economica che contraddistingue l’esercizio dell’impresa: per l’art. 2082 “è imprenditore
chi esercita professionalmente un’attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di
beni o servizi”.

7. Vicende giuridiche e circolazione giuridica. I titoli di acquisto.


a) Le vicende giuridiche indicano i mutamenti dei rapporti e delle situazioni giuridiche soggettive
(cd. modificazioni dei diritti): esprimono la cd. dinamica delle situazioni giuridiche dalla nascita fino
all’estinzione, determinando la sorte dei corrispondenti poteri e obblighi in capo ai singoli titolari.
Si distinguono in merito vicende costitutive, modificative ed estintive.
1)Le vicende costitutive segnano la nascita di situazioni giuridiche soggettive e quindi l’acquisto in capo
ad un soggetto di un diritto che non esisteva e di cui non poteva essere titolare (ad es. a seguito del contratto
di locazione, nasce in capo al locatore il diritto di credito al corrispettivo del canone).
2) Le vicende estintive segnano la cessazione di situazioni giuridiche soggettive, nel senso che il diritto,
prima esistente, viene meno (ad es., con il pagamento del debito si realizza l’estinzione del diritto di credito).
3) Le vicende modificative determinano il mutamento di una situazione giuridica con riguardo all’oggetto.
In particolare la modificazione soggettiva realizza il trasferimento del diritto da un soggetto (alienante o
dante causa) ad un altro soggetto (acquirente o avente causa). Ad es., con la vendita, si determina il
trasferimento della proprietà dal venditore (che perde il diritto) al compratore (che lo acquista).
Il fenomeno delle vicende giuridiche è correlato a quello della circolazione giuridica, come meccanismo di
spostamento dei relativi beni tra gli uomini per consentirne l’utilizzazione da parte di più soggetti, allo scopo
di soddisfare un bisogno o esplicare un’attività economica.

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b) La circolazione dei diritti pone come problema giuridico fondamentale quello del titolo dell’acquisto.
E’ possibile in merito distinguere i modi di acquisto in due categorie: a titolo derivativo e a titolo
originario.
1)Gli acquisti a titolo derivativo producono la vicenda acquisitiva del diritto in capo ad un soggetto
(avente causa) in ragione di un rapporto con il precedente titolare (dante causa). Gli acquisti possono
intervenire per atto tra vivi e morti o a causa di morte, ed essere riferiti a specifiche situazioni giuridiche
(es. proprietà) o possono riferirsi ad una universalità di beni (es. eredità).
L’acquisto a titolo derivativo si distingue a sua volta in due sottofigure.
Si ha acquisto a titolo derivativo-traslativo quando il diritto acquistato è lo stesso che era in capo al dante
causa, che pertanto lo perde.
Si ha acquisto a titolo derivativo-costitutivo quando il diritto acquistato non esisteva nella realtà giuridica,
per non sussistere come tale in capo all’alienante, ma promana comunque dal diritto dell’alienante,
comportandone una restrizione. L’acquisto della nuova situazione avviene a seguito del rapporto con il
precedente titolare.
2) Gli acquisti a titolo originario realizzano l’acquisto di un diritto nuovo, indipendentemente da un
rapporto con l’originario titolare. L’acquisto avviene talvolta in assenza di un diritto di altro titolare su un
bene, talaltra addirittura contro il precedente titolare che conseguentemente lo perde.

8. Funzione del tempo. Computo dei termini.


Ogni fenomeno giuridico incide nella realtà materiale sia nella dimensione temporale che spaziale.
Tempo e spazio influenzano la determinazione delle vicende giuridiche e la vita delle situazioni giuridiche.
Il tempo può rilevare con riguardo alla durata e quindi nel suo correre, oppure può rilevare come data e
quindi con riferimento ad un momento specifico (ad es., in un contratto di locazione, il tempo fissa il termine
di efficacia del contratto, ossia la durata della locazione, e al tempo stesso segna il termine di scadenza del
pagamento del canone, per es. entro il cinque di ogni mese)
Per la rilevanza della dimensione temporale dei fatti giuridici, la legge dedica una specifica normativa
al computo dei termini.
Regola generale è che i termini contemplati dal codice civile e dalle altre leggi si computano secondo
il calendario comune (di regola il riferimento al giorno è da intendersi per l’intera durata delle 24 ore),
Non si computa il giorno iniziale del termine, bensì quello finale.
Il computo dei termini a mesi si determina con riguardo al mese di scadenza e nel giorno di questo
corrispondente al giorno del mese iniziale; se nel mese di scadenza manca tale giorno, il termine si compie
con l’ultimo giorno dello stesso mese (es. il termine di un mese con decorrenza 5 febbraio scade comunque il
5 marzo anche se il mese di febbraio è di 28 giorni).
Analoga disciplina vale per il computo del termine ad anni, dovendosi avere riguardo all’anno di scadenza
rispetto al giorno e al mese corrispondenti a quelli iniziali. Di regola si considera il termine continuo,
ossia comprensivo anche dei giorni feriali, tranne che questi non siano espressivamente esclusi
(solo se l’ultimo giorno è festivo, è prorogato al giorno successivo non festivo).

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9. La prescrizione.
Per l’art. 2934 “ogni diritto si estingue per prescrizione, quando il titolare non lo esercita per il tempo
determinato dalla legge” (cd. prescrizione estintiva).
La prescrizione si atteggia quindi come generale modo di estinzione dei diritti.
Il decorso del tempo rileva nella prospettiva della durata del non esercizio dei diritti.
Sono imprescrittibili i diritti indisponibili e gli altri diritti indicati dalla legge (tra i diritti indisponibili vanno
annoverati i diritti della personalità e quelli connessi agli stati e alle potestà familiari).
La disciplina della prescrizione è di ordine pubblico, nel senso che non è derogabile dai privati.
E’ nullo ogni patto diretto a modificare la disciplina legale della prescrizione.
Non essendo coinvolti valori fondamentali, la prescrizione non è rilevabile d’ufficio dal giudice; la sua
operatività è rimessa all’iniziativa dei privati.
Non opera automaticamente, ma deve essere opposta; la parte che oppone la prescrizione ha solo l’onere di
allegare l’inerzia del titolare del diritto e di manifestare la volontà di voler profittare dell’effetto
estintivo. Il soggetto verso cui si invoca un diritto prescritto ha quindi l’onere di opporre la prescrizione.
Si può rinunziare alla prescrizione solo quando questa è compiuta, ad esempio perché il soggetto cui
profitta ritiene più utile non avvalersene, oppure per ragioni morali; è vietata la rinunzia preventiva alla
prescrizione al fine di evitare abusi di una parte a danno dell’altra.
Quanto alla decorrenza del termine prescrizionale, principio fondamentale è che la prescrizione comincia
a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere (art. 2935).
Con riguardo a prestazioni periodiche, bisogna verificare se le stesse sono frazioni di una prestazione
unitaria oppure sono frazioni di prestazioni autonome: se sono frazioni di una prestazione unitaria,
la prescrizione decorre dalla data della mancata esecuzione della prima frazione, mentre se sono
frazioni di prestazioni autonome, decorre dalle date di scadenza delle singole prestazioni.
Quanto alla durata, la regola generale è che i diritti si estinguono per prescrizione con il decorso di 10 anni
(cd. prescrizione ordinaria), salvi i casi in cui la legge dispone diversamente; sono molte le ipotesi per le
quali è previsto un termine di prescrizione diverso: talvolta più lungo (ad es. i diritti reali di godimento su
cosa altrui si prescrivono per non uso protratto di 20 anni), talaltra più breve, dando luogo alle
cd. prescrizioni brevi (ad es. il diritto al risarcimento del danno si prescrive in 5 anni)

10. Sospensione e interruzione.


Presupposto di operatività della prescrizione è il mancato esercizio del diritto protrattosi nel tempo.
Con il decorso del tempo possono determinarsi due tipi di vicende che incidono sull’operatività della
prescrizione: la sospensione e la interruzione.
a)Si ha sospensione della prescrizione quando il mancato esercizio del diritto è giustificato dalla legge in
ragione di specifiche circostanze che impediscono od ostacolano l’esercizio del diritto.
La legge in merito prevede due categorie di fattispecie riconducibili a due ragioni giustificative.
La prima categoria di fattispecie giustificative è inerente alla relazione giuridica che lega il titolare del
diritto con il soggetto passivo (ad es. la prescrizione rimane sospesa tra i coniugi).
La seconda categoria di fattispecie giustificative riguarda invece la condizione del titolare del diritto
(ad es., la prescrizione che rimane sospesa contro i minori e gli interdetti per il tempo in cui non hanno
rappresentante legale e per 6 mesi successivi alla nomina del medesimo o alla cessazione dell’incapacità).
Per effetto della sospensione il periodo anteriore al verificarsi della causa di sospensione si somma al
periodo successivo alla cessazione della sospensione; così il periodo di sospensione esprime una parentesi
nel calcolo del termine di prescrizione.

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b) Si ha interruzione della prescrizione invece quando il diritto è considerato esercitato.
In tale ipotesi non c’è giustificazione dell’inerzia (come nella sospensione) ma cessazione dell’inerzia.
Regola generale è che la prescrizione è interrotta dalla notificazione dell’atto con il quale si inizia un
giudizio, oppure interrotta da ogni altro atto di manifestazione della volontà del titolare del credito
di far valere il proprio diritto nei confronti del soggetto passivo, con l’effetto di costituirlo in mora.
Per effetto dell’interruzione inizia un nuovo periodo di prescrizione. A differenza della sospensione,
il periodo antecedente all’interruzione non è calcolato nel calcolo del termine della prescrizione.

11. Le prescrizioni presuntive.


La caratteristica di tali prescrizioni è di operare sul terreno della prova.
La legge presume che alcuni rapporti obbligatori siano usualmente estinti in un breve lasso di tempo e senza
formalità.
La regola generale vuole che il creditore che chiede l’adempimento dell’obbligazione sia tenuto solo alla
allegazione del credito, mentre è onere del debitore provare l’adempimento o altra causa di estinzione del
debito.
La prescrizione presuntiva solleva il debitore dall’onere di tale prova,in quanto non è tenuto a provare
l’adempimento essendo questo presunto dalla legge dopo il decorso di un determinato periodo.
Il fenomeno è inverso rispetto a quello della prescrizione estintiva, in quanto questa questa estingue il
diritto per mancato esercizio; al contrario, la prescrizione presuntiva fa presumere che il diritto sia stato
esercitato e che sia intervenuto l’adempimento o altro fatto estintivo dell’obbligazione.
In ogni caso si tratta di una presunzione semplice di estinzione, che ammette la prova contraria;
la prova è però circoscritta al solo giuramento: colui al quale la prescrizione è stata opposta può demandare
all’altra parte il giuramento per accertare se si è verificata l’estinzione del debito.
Proprio in quanto il fondamento della prescrizione è la presunzione di estinzione del debito, se chi oppone
la prescrizione ha ammesso che l’obbligazione non è stata estinta, la prescrizione non opera.

12. La decadenza.
L’istituto inerisce alla dimensione temporale nella sua oggettività, senza alcun riguardo al titolare della
situazione soggettiva.
La legge mira a garantire che un diritto sia esercitato entro un dato termine (art. 2964); a differenza della
prescrizione il decorso del tempo rileva non come durata, ma nella prospettiva della scadenza
(c’è la necessità di compimento di un atto entro un determinato termine).
Talvolta la legge qualifica testualmente il termine come di decadenza; sono di decadenza anche molti termini
relativi allo svolgimento del processo, che la legge qualifica come “perentori” (categorico, rigido).
Talaltra la natura del termine deriva dalla ratio della norma.
In ragione della funzione della decadenza, per l’art. 2964, non si applicano le norme relative alla
interruzione né quelle relative alla sospensione, salvo che sia disposto diversamente.
Quanto all’interruzione, con il compimento dell’atto viene meno la ragione della decadenza, sicché la
interruzione non è di per sé ammissibile.
Quanto alla sospensione, è irrilevante la motivazione dell’inerzia: a differenza della prescrizione,
non è consentita la giustificazione dell’inerzia, data l’esigenza di esercitare il diritto “entro un certo
tempo”.
Inoltre la decadenza non può essere rilevata di ufficio dal giudice, con la conseguenza che per la sua
operatività, deve essere eccepita (obiettata, contestata) dalla parte.
Può essere rilevata di ufficio dal giudice quando, trattandosi di materia sottratta alle parti, questo
debba rilevare le cause di improponibilità dell’azione.

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a)Se la decadenza inerisce i diritti disponibili, l’operatività della decadenza è rimessa all’iniziativa
del soggetto interessato, che ha l’onere di eccepirla. E’ anche consentito alle parti stabilire decadenze
contrattuali, ma è nullo il patto con il quale si stabiliscono termini di decadenza che rendono piuttosto
difficile l’esercizio del diritto ad una delle parti.
Il termine di decadenza deve essere congruo sia alla durata del termine pattuito, che alla situazione
del soggetto obbligato a svolgere l’attività prevista per evitare la decadenza.
Se si tratta di un termine stabilito da un contratto o da una norma di legge relativa ai diritti disponibili,
la decadenza può essere impedita con il riconoscimento del diritto proveniente dalla persona contro la quale
si deve far valere il diritto soggetto a decadenza; quando la decadenza è impedita, il diritto rimane soggetto
alle disposizioni sulla prescrizione.
b) Se la decadenza inerisce a diritti indisponibili, le parti non possono modificare la disciplina legale
della decadenza, né rinunziare alla decadenza stessa.

C) INFLUENZA DELLO SPAZIO


13. La correlazione spaziale.
Lo spazio segna la collocazione territoriale del fatto giuridico e quindi delle vicende che ne derivano.
Con riferimento alle obbligazioni, l’adempimento deve avvenire nel luogo determinato nel contratto,
o in uno di quelli fissati dall’art. 1182. Con riguardo ai diritti reali, la localizzazione dei fondi assume
una rilevanza giuridica nella determinazione dello statuto del bene, influenzandone il godimento e la
circolazione. Lo spazio vale anche ad indicare il domicilio o la residenza delle persone fisiche e la sede
giuridica degli enti.

14. I conflitti di leggi nello spazio.


Nei rapporti tra soggetti di nazionalità diversa rileva come territorio ai fini dell’individuazione della legge
regolatrice del rapporto. Determinandosi un conflitto di leggi nello spazio, bisogna ricorrere alle regole del
diritto internazionale privato; in particolare c’è la necessità di ricercare il diritto applicabile al singolo fatto
giuridico o al singolo rapporto ovvero alle singole situazioni giuridiche.

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CAPITOLO 5 – AUTONOMIA NEGOZIALE
1.Autonomia privata e suoi limiti; 2. La categoria del negozio giuridico ed il suo sviluppo; 3. La realtà
dell’autonomia negoziale; 4. Negozio e negozialità; 5. I tratti essenziali dei negozi giuridici; 6. Soggetti e
parte del negozio. La legittimazione; 7. Le fondamentali categorie di negozi giuridici.

1. Autonomia privata e suoi limiti.


L’ espressione autonomia privata indica il potere dei privati di darsi autonomamente delle regole
impegnative. Letteralmente il termine autonomia significa governarsi con leggi proprie senza ingerenze
da parte di altri. L’esercizio dell’autonomia deve risultare compatibile con i doveri di solidarietà sociale.
L’autonomia è collocata in opposizione alla eteronomia, che allude a regole provenienti dall’esterno
rispetto ai soggetti.
In fondo al riconoscimento dell’autonomia privata c’è una duplice scelta dell’ordinamento:
da un lato, ritenere l’autonomia privata come esplicazione delle libertà fondamentali, per cui libertà e
autonomia privata insieme si tengono oppure insieme cadono; dall’altro, considerare l’autonomia privata
come migliore sistema in grado di procurare il benessere economico collettivo.
Alcuni criteri che conducono alla esplicazione dell’autonomia privata sono:
a)Innanzitutto l’autonomia negoziale rimane espressione di libertà, non funzionalizzata all’interesse
generale, ma deve risultare con questo compatibile. Operano in merito vari limiti alla sua esplicazione
relativamente alla natura degli interessi regolati ed al risultato perseguito, attraverso un controllo di liceità
e meritevolezza del contenuto dell’atto (limiti funzionali)
b) Rispetto alla formazione e alla struttura dell’atto negoziale operano precisi limiti perché l’atto
negoziale si svolga come esplicazione di autonomia privata (limiti strutturali): i negozi devono avere
i requisiti di validità previsti dalla legge per garantire una valida espressione della volontà negoziale.
c) A tutela della libertà individuale, opera un principio di indipendenza delle sfere giuridiche individuali.
E’ un criterio di competenza dell’autonomia privata rispetto agli interessi regolati, per cui è possibile
comandare in casa propria ma non in casa altrui.
d) Considerare l’autonomia privata come sistema di realizzazione dell’interesse economico collettivo.

2. La categoria del negozio giuridico ed il suo sviluppo.


L’espressione autonomia negoziale indica l’autonomia privata espressa mediante negozi giuridici
(autonomia privata negoziale); caratteristica dei negozi giuridici è quella di essere atti giuridici
rivolti al conseguimento di un risultato giuridicamente rilevante.
L’ordinamento accorda ai privati il potere di autoregolamentare i propri interessi, apprestando effetti
giuridici coerenti con lo scopo pratico perseguito, previa valutazione positiva dell’ordinamento stesso.
Il percorso di emersione della categoria del negozio giuridico:
a)Il negozio giuridico rileva come fatto regolante di interessi privati attraverso dichiarazioni di volontà;
dal punto di vista dei soggetti, ciò significava riconoscere l’unità del soggetto di diritto contro la
stratificazione sociale e giuridica di derivazione medievale; la volontà, quale espressione della libertà
dell’individuo, diventava la forza creatrice degli effetti giuridici. In una prospettiva economica,
il perseguimento del proprio interesse avrebbe condotto alla realizzazione dell’interesse economico generale.
b) Con lo sviluppo dell’industrializzazione è valorizzata la funzione di scambio del contratto considerato
come “centro della vita degli affari”. Il contratto evoca un circostanziato regolamento di interessi come
accordo per costruire, regolare o estinguere un rapporto giuridico patrimoniale.
Assume qui rilevanza l’esternazione della volontà ed il modo di come questa è avvertita nella società,
poiché c’è da garantire la certezza degli scambi (cd. teoria oggettiva).

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La libertà di contrarre (cioè di stipulare un contratto) non si accompagna più con la libertà di contrattare
(cioè di incidere sul contenuto del contratto).
E’ evidente il divario tra la compravendita di un immobile tra due privati e l’acquisto di un prodotto di serie:
nella prima ipotesi, c’è pieno esercizio di autonomia, sia di contrarre che di contrattare, mentre nella seconda
ipotesi, in capo all’acquirente emerge solo autonomia di contrarre e quindi di scelta del contraente e del
prodotto.
c) L’attenzione alle articolazioni del mercato e l’affermarsi di generali valori di solidarietà sociale, hanno
eroso la categoria del negozio giuridico. Il negozio rileva, non solo come fatto regolante, ma anche come
fatto regolato, aprendo la strada ad una valutazione dei modi di emersione e composizione degli interessi
contrapposti. L’efficacia giuridica del negozio è quindi legata alla valutazione che l’ordinamento compie
sul singolo negozio .

3. La realtà dell’autonomia negoziale.


In antitesi alla qualificazione del negozio come “manifestazione di volontà”, è emersa una configurazione
del negozio giuridico come “autoregolamento di interessi”, al fine di evidenziare l’insufficienza della
volontà a incidere sull’assetto di interessi realizzato dal negozio. La prima enfatizza la tensione soggettiva
verso il risultato che però si concreta in un autoregolamento di interessi, mentre la seconda valorizza
l’assetto di interessi attuato che però implica una manifestazione di volontà che lo sorregge e persegue.
Sono entrambe dimensioni destinate a convivere in una società che si riconosce nei valori della libertà e della
solidarietà. La fiducia nell’autonomia privata e nel mercato deve risultare compatibile con la tutela della
dignità della persona umana.
Non è configurabile una categoria del negozio giuridico come atto astrattamente unitario, mentre
mantiene attualità la categoria dell’autonomia negoziale quale rappresentazione della prerogativa di
autodeterminazione dei privati.

4. Negozio e negozialità.
C’è un diffuso rifiuto del negozio quale categoria generale ed astratta, considerata non in grado di
rappresentare il fenomeno dei contratti di massa, ma sussiste al tempo stesso una accentuazione degli
obblighi di trasparenza ed informazione, come antidoti alla prevaricazione economica al fine di consentire
una libera e consapevole esplicazione dell’autonomia privata.
In realtà bisogna guardare alla negozialità come categoria di frontiera da recuperare.
Rileva giuridicamente l’autonomia negoziale piuttosto che il negozio, per alludere al potere di
autoregolazione dei propri interessi piuttosto che riferirsi ad un atto delineato nella sua astratta unitarietà.
Deve trattarsi di una autonomia negoziale, non solo presupposta in capo ad ogni cittadino come garanzia
di uguaglianza e libertà, ma anche presidiata nell’effettività di esercizio.
Il divario di forza contrattuale può essere colmato dall’ordinamento attraverso due meccanismi:
riarmando la libertà dei privati con la predisposizione di strumenti che permettano informazione e siano
di presidio alla trasparenza, in modo da garantire la consapevolezza delle scelte operate; intervenendo
autoritativamente, con disposizioni che integrano il regolamento dei singoli negozi.
Altri rimedi che affiancano quelli tradizionali nella tutela dei diritti sono da un lato, un controllo preventivo,
per inibire comportamenti lesivi di interessi dei consumatori, indipendentemente dall’insorgere di una lite;
dall’altro, una tutela di massa, da parte di organizzazioni di categoria.
Il negozio giuridico è quindi inteso come espressione di negozialità, cioè come esercizio di autonomia
privata.

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5. Tratti essenziali dei negozi giuridici.
Nei negozi giuridici assumono rilevanza, non solo la volontarietà e la consapevolezza dell’atto,
ma anche la volontarietà dello scopo perseguito, nel senso che gli effetti giuridici determinati
dall’ordinamento, si conformano allo scopo pratico perseguito.
Ogni negozio giuridico consiste in una manifestazione di volontà rivolta al perseguimento di uno scopo
concreto giuridicamente rilevante.
Elementi essenziali (costitutivi) del negozio giuridico sono: la manifestazione di volontà diretta ad uno
scopo; lo scopo concreto perseguito e la forma vincolata della dichiarazione (quando è richiesta
ad substantiam).
a)Manifestazione di volontà. E’ l’espressione volitiva degli autori dell’atto.
La volontà indica la tensione dei soggetti verso il perseguimento di un determinato scopo (volontà negoziale
o intento negoziale); è però necessario che la volontà negoziale sia esteriorizzata, al fine di rivelare
l’assetto di interessi che si intendere realizzare e regolare.
Talvolta la volontà è manifestata attraverso apposita dichiarazione (espressa o tacita); talaltra con
l’attuazione dello scopo perseguito senza una preventiva dichiarazione.
Con riguardo al contratto, è necessario che le manifestazioni di volontà di due o più parti si combinino
in un accordo che incarna la concorde volontà delle parti.
b) Scopo concreto. Indica lo scopo perseguito e quindi l’assetto di interessi attuato, per cui il negozio si
atteggia quale autoregolamento di interessi. Il profilo è giuridicamente espresso dalla nozione di causa del
negozio come funzione concreta realizzata dal negozio stesso.
c) Forma vincolata. Una manifestazione non può mai mancare, in quanto la volontà si esteriorizza
attraverso la manifestazione; talvolta la manifestazione è assoggettata ad una particolare forma per la validità
dell’atto (cd. forma ad substantiam).
Quando è richiesta una specifica forma della manifestazione per la validità dell’atto, la forma stessa diviene
requisito essenziale del singolo negozio (cd. negozi solenni).
Ulteriori requisiti di validità sono richiesti dalla legge rispetto a singoli negozi o con riguardo
a concreti negozi, in ragione della formazione o del contenuto del negozio.

6. Soggetti e parte del negozio. La legittimazione.


Gli atti e i negozi giuridici provengono da soggetti, ossia gli autori dell’atto; è fondamentale che gli autori
dell’atto abbiano la capacità di agire oltre che la capacità giuridica.
E’ necessario che i soggetti abbiano la competenza ad incidere sugli interessi regolati e quindi rispetto al
rapporto dedotto nel negozio (cd. legittimazione al negozio); spesso accade che l’autore formale dell’atto
coincide con il titolare dell’interesse regolato dal negozio.
Talvolta c’è una dissociazione tra i due profili, in quanto l’autore formale dell’atto non coincide con il
titolare dell’interesse regolato dal negozio, come avviene con riguardo alla rappresentanza, per cui un
soggetto (rappresentante) agisce e conclude un contratto in nome e nell’interesse di altro soggetto
(rappresentato), sicché il contratto concluso dal rappresentante produce direttamente effetto nei confronti
del rappresentato.
La legittimazione del soggetto agente sta ad indicare la sua competenza ad ottenere o a subire gli effetti
giuridici del regolamento negoziale. Il riferimento all’interesse regolato dal negozio fa emergere la rilevanza
della figura di parte che esprime il centro di interessi cui si riferisce l’atto, che può riguardare un solo
soggetto (cd. parte unisoggettiva) o involgere più soggetti, persone fisiche o enti (cd. parte plurisoggetiva)
Si suole parlare di parte in senso sostanziale, con riguardo al soggetto titolare dell’interesse regolato
dall’atto e di parte in senso formale con riferimento al soggetto che partecipa, ossia è autore dell’atto.

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Con riguardo alla dichiarazione proveniente da una parte plurisoggettiva, è importante verificare il modo
di disporsi delle volontà dei singoli soggetti: si delineano in tale prospettiva le figure, da un lato dell’atto
complesso e dall’altro, dell’atto collettivo e atto collegiale (il quale ha la funzione di esprimere la volontà
dei gruppi organizzati, come società ed associazioni).
Si ha atto complesso quando le dichiarazioni di volontà di più soggetti convergono e si fondono
nell’attuazione di un interesse unitario; se una delle volontà che concorre a formare la manifestazione
unitaria è viziata, anche questa è viziata e quindi il negozio è invalido.
Si ha atto collettivo quando le più volontà che concorrono a formare la volontà comune si sommano
per esprimere il perseguimento di un interesse degli autori dell’atto mediante manifestazione unitaria di
volontà verso l’esterno (es. deliberazione dei partecipanti di una comunione).
Una specificazione dell’atto collettivo è il cd. atto collegiale; è il terreno dei gruppi organizzati, in quanto
esprime il fenomeno delle delibere assunte dalle organizzazioni collettive. Le singole volontà concorrono al
perseguimento di un interesse del gruppo, considerato proveniente dal gruppo stesso.

7. Le fondamentali categorie di negozi giuridici.


Si vogliono qui delineare alcune classi di negozi giuridici in ragione di generali criteri direttivi.
I negozi illeciti non costituiscono una categoria di negozi contrapposta a quella dei negozi leciti, in quanto
rappresentano deviazioni rispetto alla regola, come violazioni dell’ordinamento.
a)Parti. Si suole distinguere tra negozi unilaterali, negozi bilaterali e negozi plurilaterali a seconda del
numero delle parti che concorre alla determinazione dell’intento negoziale.
1)Il negozio unilaterale si ha quando proviene da una sola parte: esprime la manifestazione di intento
negoziale di una sola parte, se l’intento è espresso da un solo soggetto, atteggiandosi quale negozio
unilaterale unisoggettivo (es. testamento), mentre se l’intento negoziale è espresso dal concorso delle
volontà di più soggetti, si atteggia come negozio unilaterale plurisoggettivo (es. disdetta da un contratto
di locazione proveniente dai coniugi comproprietari dell’immobile).
I negozi unilaterali sono di regola recettizi, nel senso che producono effetto dal momento in cui pervengono
a conoscenza del destinatario, ma non mancano negozi unilaterali non recettizi, la cui efficacia prescinde
dalla conoscenza che ne abbia il terzo.
2) Il negozio bilaterale invece si ha quando proviene da due parti: esprime un regolamento di interessi
in grado di fornire soluzioni alle tensioni di due parti tendenzialmente conflittuali. Se ha un contenuto
patrimoniale, integra un contratto (es. vendita, trasporto, appalto).
3) Il negozio plurilaterale è finalizzato al soddisfacimento degli interessi di due o più parti. Se ha un
contenuto patrimoniale integra un contratto plurilaterale (es. società con più di due soci).
b) Contenuto. Tale profilo consente di distinguere i negozi in ragione della natura patrimoniale o meno
degli interessi attuati.
1)Sono negozi con contenuto patrimoniale quelli che hanno immediatamente ad oggetto interessi
economici (es. contratto di vendita), ma anche quelli che trovano una contropartita in un valore economico
(es. contratti per assistere ad una competizione sportiva)
2) Sono negozi con contenuto non patrimoniale quelli che incidono sulla sfera esistenziale dei soggetti,
nella dimensione personale o collettiva delle formazioni sociali.
Per la dimensione personale si pensi agli atti di disposizione del proprio corpo, ammessi solo quando non
arrechino una diminuzione permanente della integrità fisica o non siano contrari alla legge, all’ordine
pubblico o al buon costume.
Per la dimensione collettiva, si pensi ai negozi giuridici familiari, che hanno come causa l’organizzazione
della vita familiare, da instaurare o esplicare o interrompere.

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c) Forma. Una manifestazione di volontà non può mai mancare per esternare l’intento negoziale; talvolta
questa deve assumere una forma vincolata.
Sono negozi solenni (o con forma vincolata) quelli per i quali è prescritta una determinata forma per la
validità dell’atto; sono invece negozi non solenni (o con forma libera) tutti gli altri, per i quali vale un
principio di libertà di forma, nel senso che la volontà può essere manifestata nei modi ritenuti più
opportuni dagli autori dell’atto.
d) Efficacia. In base a tale criterio distinguiamo tra negozi con effetti reali e negozi con effetti obbligatori.
1) I negozi con effetti reali (o negozi di alienazione), realizzano lo scopo pratico perseguito dai privati,
per effetto del negozio stesso, come suo risultato immediato (si pensi agli acquisti a titolo derivativo,
costitutivo o traslativo).
2) I negozi con effetti obbligatori (o negozi obbligatori), producono la costituzione di obbligazioni a carico
delle parti, sicché la realizzazione dello scopo pratico perseguito attraverso il negozio avviene solo
successivamente in dipendenza dell’adempimento delle obbligazioni stesse.
3) Una categoria autonoma è rappresentata dai negozi di accertamento; da tali negozi non consegue una
vera a propria modificazione della realtà giuridica quale esistente; questi hanno la sola funzione di eliminare
l’incertezza circa un determinato rapporto, immediatamente e con efficacia retroattiva.
e) Vita /Morte. Una rilevante distinzione la si deve fare tra negozi inter vivos e negozi mortis causa.
Alla categoria dei negozi inter vivos appartiene l’esplicazione dell’autonomia negoziale mediante l’esercizio
dell’autonomia contrattuale (es. vendita, appalto). Negozio tipico mortis causa è il testamento, quale atto di
disposizione per il tempo in cui il testatore avrà cessato di vivere (art. 587).
f) Previsione normativa. L’ordinamento regola alcuni schemi negoziali, la cui funzione è considerata
meritevole di tutela (negozi tipici o nominati) come la vendita, la locazione, l’appalto, la donazione etc.
E’ però consentito elaborare ulteriori schemi negoziali o modificare quelli previsti (negozi atipici o
innominati), purché meritevoli di tutela.

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CAPITOLO 6 – INIZIATIVA ECONOMICA (Concorrenza e mercato)
1.Iniziativa economica. L’impresa; 2. L’azienda; 3. L’iniziativa economica privata nel modello
costituzionale; 4. Concorrenza e mercato; 5. Le alterazioni della concorrenza.

1.Iniziativa economica. L’impresa.


L’iniziativa economica è l’attività di combinazione e organizzazione dei fattori della produzione (capitale e
lavoro) per creare ricchezza. Per l’art. 2082 è imprenditore “chi esercita professionalmente un’attività
economica organizzata ai fini della produzione o dello scambio di beni o di servizi”.
In sostanza è una qualifica che si acquista in ragione dell’attività economica svolta.
Non è necessario che l’imprenditore sia proprietario dei mezzi di produzione, ma è sufficiente che se ne
assicuri la disponibilità e che possa utilizzarli. Mediante i contratti l’imprenditore si procura i mezzi di
produzione (materiali e immateriali) in proprietà e/o in mero godimento.
Venendo agli ulteriori caratteri dell’attività imprenditoriale, deve trattarsi di un’attività economica, ossia
di una attività in grado di conseguire la numerazione dei fattori produttivi mediante il risultato della stessa,
senza prefiggersi necessariamente il conseguimento di un lucro e dunque di un profitto dell’imprenditore
(cd. lucro oggettivo). Inoltre deve essere un’attività esercitata professionalmente, stabilmente e con
abitualità.
Uno specifico statuto è riservato alle imprese commerciali, prevedendosi a carico dell’imprenditore
commerciale l’iscrizione nel registro delle imprese, la tenuta delle scritture contabili e la soggezione a
fallimento. Per l’art. 2195 sono soggetti all’obbligo dell’iscrizione nel registro delle imprese,
gli imprenditori che esercitano un’attività industriale diretta alla produzione di beni o servizi, o un’attività
intermediaria nella circolazione dei beni.
L’impresa può essere esercitata in forma individuale o collettiva, dando luogo ad una società.
Per l’art. 2247, con il contratto di società due o più persone conferiscono beni o servizi, per l’esercizio
in comune di un’attività economica allo scopo di dividerne gli utili. L’attività economica deve essere
rivolta al conseguimento di utili, ossia di profitto per i soci (cd. lucro soggettivo).

2. L’azienda.
L’azienda è il complesso dei beni organizzati dall’imprenditore per l’esercizio dell’impresa.
L’impresa invece è una attività economica organizzata per la gestione di un’azienda, la quale è inseparabile
dall’imprenditore. Non è necessario che l’imprenditore sia proprietario dei mezzi della produzione,
ma è sufficiente che ne abbia la disponibilità.
La disciplina dell’azienda è rivolta a regolarne la circolazione, ossia l’alienazione a terzi della stessa
con l’intento di mantenere l’utilità economica del complesso dei beni e dei rapporti contrattuali inerenti
all’azienda.
Segni distintivi dell’azienda, sono la ditta, l’insegna e il marchio.
La ditta identifica la titolarità; deve contenere almeno il cognome o la sigla dell’imprenditore, salva l’ipotesi
del trasferimento dell’azienda. L’insegna connota il luogo ove è esercitata l’attività, mentre il marchio
contraddistingue il prodotto (bene o servizio).
L’azione di contraffazione del marchio d’impresa ha natura reale e tutela il diritto assoluto all’uso
esclusivo del segno distintivo sulla base del riscontro della confondibilità dei marchi.

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3. L’iniziativa economica privata nel modello costituzionale.
Il codice civile del 1942, seguendo il cd. metodo dell’economia è articolato all’insegna della certezza
della circolazione giuridica: la libera circolazione dei beni permette lo sviluppo economico poiché agevola la
collocazione dei prodotti sul mercato.
L’iniziativa economica privata è libera ma non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo
da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana; sono questi limiti alla stessa libertà di
iniziativa, che non può essere svolta se non con i limiti indicati.
Per fare in modo che la libertà dall’iniziativa economica non si faccia piegare dai pubblici poteri è prevista
una riserva di legge per fornire i programmi e i controlli opportuni in modo che l’attività economica,
pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali.
L’impresa peraltro può essere esercitata non solo da privati, ma anche da enti pubblici, con gli strumenti
del diritto privato, secondo un fenomeno di progressiva neutralizzazione delle forme rispetto ai risultati
perseguiti.

4. Conoscenza e mercato.
Il mercato è il luogo di approdo dei risultati dell’attività imprenditoriale, dove cose e servizi vengono
collocati e scambiati; qui si incontrano domanda e offerta.
Poiché sono vari i soggetti del sistema economico (finanziatori, lavoratori, consumatori, ecc) per ognuno
dei componenti di tale sistema si svolge un relativo mercato (dei capitali, del lavoro, dei prodotti).
Un tempo il mercato era circoscritto ad un unità fisica, dove si incontravano i soggetti del processo
produttivo; ma più i confini del mercato si dilatavano, maggiormente era avvertita l’esigenza di garantire
informazione e trasparenza, quali connotati essenziali di funzionamento del mercato.
Il funzionamento del mercato non può essere rilasciato ad uno spontaneismo senza regole, con la vittoria
della legge del più forte: un mercato senza regole non garantirebbe il libero accesso a tutti gli operatori
economici e dunque una corretta gara tra gli stessi.
La libertà di iniziativa economica privata segna la libertà di accesso al mercato; tradizionalmente la
concorrenza è stata configurata come conseguenza della libertà di iniziativa economica.
Il codice civile prevede delle limitazioni legali della concorrenza che operano nella prospettiva di tutela
dei soli imprenditori, al fine di evitare che vincoli troppo prolungati possano svuotare la libertà di iniziativa
economica. Anche la disciplina sulla concorrenza sleale è immaginata come rivolta a disciplinare la
concorrenza tra imprenditori e quindi nella tutela dei soli operatori concorrenti.
Per l’art. 2958 compie atti di concorrenza sleale chiunque compie atti che creino confusione con i prodotti
e con l’attività di un concorrente, o si appropria di pregi dei prodotti o dell’impresa di un concorrente.
L’unica norma a tutela del pubblico è quella relativa all’obbligo di contrattare nel caso di monopolio.
Con il tempo i protagonisti del mercato non sono più solo gli imprenditori in quanto ad essi si affiancano
i consumatori; viene in rilievo il mercato concorrenziale quale presupposto di iniziativa economica.
La disciplina antitrust tutela la concorrenza e non i concorrenti; il bene giuridico tutelato è la struttura
concorrenziale del mercato presidiato dai doveri di lealtà e di trasparenza.
Quanto alla tutela per attività anticoncorrenziale, è istituita l’autorità garante della concorrenza e del
mercato, con il potere di regolazione ed il potere di emettere diffide e sanzioni; tale Autorità, valutati gli
elementi in suo possesso procede ad istruttoria per verificare l’esistenza di infrazioni ai divieti stabiliti negli
art. 2 e 3 (l’art. 2 vieta le intese tra le imprese che hanno per oggetto o per effetto di impedire, restringere o
falsare il gioco della concorrenza all’interno del mercato nazionale, ossia le cd. intese orizzontali; l’art. 3
invece vieta l’abuso di posizione dominante da parte di una o più imprese all’interno del mercato
nazionale).

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5. Le alterazioni della concorrenza.
Lo Stato ha legislazione esclusiva in materia di concorrenza, unitamente alle materie riguardanti la moneta,
la tutela del risparmio e dei mercati finanziari; tale accorpamento rende evidente che la tutela della
concorrenza costituisce una delle leve della politica economica statale.
Quando si parla di problemi della concorrenza e del mercato, si ha riguardo all’azione delle imprese,
ponendosi in una visione prospettica dell’attività delle stesse.
Si pensi al divieto comunitario degli aiuti di Stato, quando favorendo talune imprese o produzioni, falsino
o minaccino di falsare la concorrenza. In una diversa prospettiva operano altri fattori distorsivi della
concorrenza, più insidiosi di quelli regolati dalla legge in quanto la disciplina che li contempla non è
coordinata con la normativa a tutela della concorrenza; si abbia a riguardo al modello di reclutamento della
forza lavoro, agli orari di lavoro praticati, ai luoghi e alle condizioni di lavoro etc.
In definitiva la garanzia del mercato concorrenziale deve aprirsi a tutte quelle pratiche che falsano il mercato
in quanto infrangono la parità delle condizioni di gara.

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CAPITOLO 7 – CLAUSOLE GENERALI
1.Funzione e tipologia delle clausole generali; 2. Buona fede soggettiva (affidamento); 3. Apparenza
giuridica; 4. Buona fede oggettiva; 5. Informazione e trasparenza; 6. Solidarietà.

1.Funzione e tipologia delle clausole generali.


L’aderenza all’ordinamento con l’evolversi della realtà sociale viene assicurata dalle clausole generali; il
ricorso a tali clausole esprime l’esigenza degli ordinamenti di far fronte a due esigenze: da un lato,
l’impossibilità di disciplinare tutti i casi di realtà materiale; dall’altro, la rapidità di mutamento dei valori
nei quali la società si riconosce.
Le clausole generali indicano una tecnica di formazione: mirano alla determinazione del contenuto
precettivo delle singole regole secondo l’evolvere dell’ordinamento, mediante strumenti dotati di elasticità
ed adattabilità (si pensi alle previsioni che si riferiscono a buona fede, correttezza, buon costume; sono tutte
norme elastiche per essere caratterizzate da una formulazione generica e vaga che si riempie di contenuto).
La clausola generale si concretizza nel tempo secondo i valori espressi dall’ordinamento, ai quali anche il
giudice deve uniformarsi. Si comprende così come una stessa clausola generale possa nel tempo riempirsi di
contenuti diversi in ragione dell’evolvere dei valori positivamente espressi.
Le clausole generali favoriscono la regolazione di fattispecie non espressamente previste, e consentono
l’aderenza delle stesse all’evoluzione dell’ordinamento.
Alcune di tali clausole sono già presenti nel codice civile (buona fede, correttezza, buon costume, di
ordinaria e straordinaria amministrazione), altre stanno emergendo in virtù della legislazione successiva
al codice civile, sotto l’influsso della Carta Costituzionale.
Emblematica è la clausola generale del divieto di abuso del diritto, contenuta nelle convenzioni europee
sui diritti dell’uomo e sulle libertà fondamentali, ormai applicata in più direzioni.
La normazione per clausole generali svolge un ruolo significativo nello sviluppo del diritto comunitario,
favorendo l’adattamento di principi comunitari alle diverse esperienze giuridiche nazionali.
In definitiva le clausole generali si riempiono di contenuto con il progredire delle fonti dell’ordinamento:
le stesse consentono una valutazione delle relazioni sociali ed una interpretazione delle singole norme
secondi i valori sopravvenuti e con riguardo alle circostanze del caso concreto.
Nell’opera di determinazione del contenuto dei precetti giuridici, un ruolo fondamentale assume
l’interpretazione, la quale deve svolgere un’azione articolata e complessa di rilevamento e definizione
del contenuto della regola all’interno dell’ordinamento; l’interpretazione delle clausole generali è perciò
soggetta ad uno stringente controllo circa il modo di determinazione del contenuto delle stesse e di
applicazione alla concreta fattispecie, al fine di salvaguardare la certezza del diritto.
Tra le clausole generali, primaria rilevanza ha la previsione di buona fede, fino a potersi considerare questa
come assorbente di ogni altra clausola, per essere idealmente presupposta da ogni altra clausola.

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2. Buona fede soggettiva (affidamento).
La buona fede esprime l’aspirazione alla realizzazione di una convivenza civile improntata su un vincolo
di lealtà tra i vari soggetti.
La buona fede soggettiva esprime uno stato soggettivo di ignoranza della realtà giuridica; la legge tutela
la situazione soggettiva del soggetto che, senza colpa, ignora l’esistenza di un fatto o di un diritto, oppure
considera esistente un fatto o un diritto in quanto apparente, che in realtà non sussiste (cd. affidamento
incolpevole). Le regole sulla buona fede soggettiva sono dettate con riguardo al possesso di buona fede;
la norma qualifica possessore di buona fede “chi possiede ignorando di ledere un diritto altrui”.
La stessa norma stabilisce poi due principi: la buona fede non giova se l’ignoranza dipende da colpa
grave; la buona fede è presunta e basta che vi sia stata al tempo dell’acquisto.
Altre ipotesi di tutela della buona fede soggettiva si ritrovano in tema di obbligazioni e contratti come
ad es. l’annullamento del contratto che non dipende da incapacità legale, non pregiudica i diritti acquistati
a titolo oneroso dai terzi di buona fede.

3. Apparenza giuridica.
L’apparenza giuridica è una specificazione dell’affidamento incolpevole, rinvenibile quando lo stato
soggettivo di affidamento si fonda sull’apparente esistenza di una situazione giuridica.
In sostanza è attribuita rilevanza giuridica a situazioni socialmente apparenti come giuridiche.
Il principio dell’apparenza giuridica è collegato all’esigenza di tutela della certezza del diritto e della
circolazione giuridica, quali fondamentali esigenze del sistema economico.
Figure di apparenza giuridicamente rilevante si trovano già all’interno nel codice civile (ad es. il debitore che
esegue il pagamento ad un creditore apparente, è liberato se prova di essere stato in buona fede).
Per il ricorso all’apparenza giuridica è sufficiente che ricorrano due presupposti: uno stato di fatto
formalmente rispondente ad una realtà giuridica e l’incolpevole convincimento del terzo che le due
distinzioni coincidano (cd. apparenza pura).
Ad opera della giurisprudenza viene delineata una cd. apparenza colpevole (o colposa) richiedendosi
l’ulteriore presupposto della condotta colpevole del soggetto che ha generato l’apparenza.
La tutela dell’apparenza del diritto non può essere invocata da chi trascuri di ispezionare i registri
di pubblicità quando la situazione giuridica apparente è soggetta a pubblicità. La pubblicità, procurando la
conoscibilità legale, costituisce un limite legale all’efficacia dell’apparenza giuridica, la quale opera quando
non ha la possibilità di esplicarsi la pubblicità. Apparenza e pubblicità sono gli essenziali modelli di
rilevanza ed opponibilità di fatti e atti giuridici nei confronti dei terzi.

4. Buona fede oggettiva.


A differenza della buona fede soggettiva, la buona fede oggettiva indica un dovere di comportamento
e più precisamente il dovere di comportarsi con lealtà e correttezza.
Il principio si colloca tra le “clausole generali” del sistema, per esprimere un fondamentale valore
dell’ordinamento che si specifica di volta in volta in relazione al contesto di interessi in cui opera
(con riguardo alla qualità dei soggetti, alle circostanze del fatto e alla natura degli interessi coinvolti).
Il principio trova specifica previsione in tema di obbligazioni e contratti, per il vincolo che si determina tra le
parti del contratto ed in generale tra i soggetti del rapporto obbligatorio.
Già nella formazione dell’accordo e durante le trattative, le parti sono obbligate a comportarsi secondo buona
fede; analogamente, chi ha alienato o acquistato sotto condizione, deve comportarsi secondo buona fede per
conservare integre le ragioni dell’altra parte. Inoltre il contratto deve essere interpretato ed eseguito secondo
la buona fede. E’ un principio unitario che ingloba sia un dovere negativo di non beffare gli altri con la
menzogna o la reticenza, sia un dovere positivo di comportamento improntato alla solidarietà verso gli altri.
Diverso è il dovere di diligenza che allude al dovere della parte di comportarsi senza colpa, ossia di non
incorrere in negligenza, imprudenza o imperizia.

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5. Informazione e trasparenza.
Il dovere di buona fede oggettiva tende a dilatarsi in una duplice direzione: come regola di mercato e
come presidio della persona umana.
Nella dimensione del mercato, si caratterizza come dovere di informazione e regola di trasparenza.
L’agire leale e corretto è comportamento che tutela immediatamente i soggetti del rapporto, ma
mediatamente si risolve a vantaggio dello sviluppo economico-sociale in quanto consente di selezionare le
imprese efficienti attraverso un corretto gioco della concorrenza.
Spetta all’ordinamento giuridico riequilibrare le posizioni degli agenti del mercato, segnando i livelli di
informazione e trasparenza da rispettare, quali postulati di un mercato che si erge a volano dello sviluppo
economico e sociale; vanno peraltro controllate la natura, la funzione e la destinazione dell’informazione,
a tutela di soggetti deboli per la prevenzione di illeciti.
La trasparenza si specifica sia nel dovere di informazione che nel dovere di una corretta pubblicità
(non menzognera o ingannevole). In una società globalizzata come oggi, la scelta non è tra prodotti ma tra
rappresentazioni di prodotti, sicché informazione e trasparenza diventano leve di un mercato non solo
efficiente ma anche equo.

6. Solidarietà.
L’attuazione del principio di solidarietà è stato mediato dall’intervento legislativo o dal potere
amministrativo che operava scelte o imponeva comportamenti rispettosi degli interessi della generalità
o di aiuto ai soggetti più deboli.
La buona fede tende sempre più a connotarsi come dovere di solidarietà attraverso una sinergia della
titolarità dei diritto con l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.
Il principio di buona fede si connota per il dovere in capo a ciascun contraente non solo di non essere
menzognere e reticente (dovere negativo), ma anche di compiere quanto è necessario alla salvaguardia
dell’interesse della controparte nella misura in cui non comporti un consistente sacrificio a suo carico
(dovere positivo).
Più in generale la solidarietà si atteggia come criterio fondamentale di civiltà e convivenza umana,
cui tendono più ideologie politiche e professioni religiose.

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PARTE III – TUTELA DEI DIRITTI

CAPITOLO 1 – TUTELA GIURISDIZIONALE DEI DIRITTI


1.Protezione effettiva dei diritti e giurisdizione; 2. I principi della giustizia civile; 3. Processo di cognizione;
4. Processo di esecuzione; 5. Procedimenti speciali. I procedimenti cautelari; 6. Volontaria giurisdizione;
7. Il diritto processuale uniforme; 8. Le Corti europee; 9. La tutela rimediale.

1.Protezione effettiva dei diritti e giurisdizione.


Ogni ordinamento si caratterizza per un generale principio di effettività, dovendo essere in grado di garantire
l’applicazione delle norme giuridiche emanate.
Agli istituti di diritto sostanziale (o materiale) che riconoscono diritti ed impongono obblighi, si
connettono istituti di diritto processuale, che consentono l’attuazione giudiziaria nel caso in cui i diritti
non siano rispettati.
La tutela giurisdizionale dei diritti integra un sistema di diritto formale o strumentale (processuale)
che opera quando le norme sostanziali siano violate e quindi le situazioni soggettive lese o anche solo
contestate, con funzione di tutela e reintegrazione di queste.
Una dicotomia ha pervaso la tutela dei diritti: actio in rem e actio in personam.
La distinzione era riferita alla natura del diritto vantato, attenendo l’actio in rem alla tutela dei diritti
assoluti e l’actio in personam riguardante la tutela dei diritti relativi; mentre l’actio in rem tende al
conseguimento dell’interesse leso, indipendentemente dalla natura assoluta o relativa dello stesso,
l’actio in personam mira all’ottenimento di un equivalente dell’interesse leso.
Al centro del sistema di tutela si colloca la giurisdizione, la cui configurazione come attributo della
sovranità statale, è concetto collegato allo Stato moderno.
Più di recente la giurisdizione è vista come servizio pubblico rivolto alla tutela di interessi dei cittadini
e perciò alla composizione delle controversie. Distinto dai poteri legislativo ed esecutivo opera il potere
giudiziario, che si esplica mediante l’esercizio della funzione giurisdizionale, cui si connette il diritto di ogni
cittadino ad una protezione giudiziaria effettiva.
Sussistono dei principi fondamentali sulla giurisdizione, sempre più pervasi dai valori della legalità
costituzionale ed europea.
a)Per l’art. 24 Cost. tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti ed interessi legittimi: la
difesa è un diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento.
b) Secondo l’art. 25 nessuno può essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge.
c) Secondo l’art. 101 i giudici sono soggetti soltanto alla legge e la giustizia è amministrata in nome del
popolo.
La tutela dei cittadini si è esplicata attraverso una ripartizione della giurisdizione in due forme:
quella ordinaria (giustizia civile e penale) e quella amministrativa (giustizia amministrativa).
La giurisdizione ordinaria opera quando è leso un diritto soggettivo o altra situazione giuridica soggettiva
(es. il possesso), di cui è titolare il privato nell’ambito di un regime paritario con altro soggetto: si collega
alla violazione di norme di relazione.
La giurisdizione amministrativa opera invece a tutela di posizioni giuridiche soggettive, lese dall’attività
esercitata dalla pubblica amministrazione, quale autorità titolare di poteri autoritativi attribuiti dalla legge
per la realizzazione di interessi generali: questa si collega invece alla violazione di norme di azione.

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2. I principi della giustizia civile.
Con il codice di procedura civile del 1942 si realizza un rafforzamento dell’autorità del giudice;
in una prospettiva più recente anche la giustizia civile è concepita in funzione della tutela dei diritti.
Il diritto processuale civile indica la serie di regole sul come procedere giudiziariamente per conseguire
tale tutela: il codice di procedura civile regola la struttura del processo, le posizioni processuali delle parti e
le modalità di articolazione delle prove.
Il processo è organizzato attraverso più gradi di giurisdizione, al fine di consentire un riesame della
questione decisa dal giudice. Giudici di primo grado sono il tribunale (ordinario) ed il giudice di pace; gli
appelli contro le sentenze dei giudici di primo grado si propongono alla corte di appello e al tribunale nella
cui circoscrizione ha sede il giudice che ha pronunziato la sentenza.
Le sentenze pronunziate in grado d’appello sono impugnabili con il ricorso alla Corte di Cassazione.
Nel quadro dei valori generali sulla giurisdizione vanno delineati i principi specifici ed essenziali della
giurisdizione civile.
a) Correlazione tra la titolarità del potere di azione e la titolarità della situazione giuridica dedotta,
per cui nessuno può far valere in nome proprio nel processo un diritto altrui;
b) Alla disponibilità dei diritti sostanziali si connette la disponibilità della relativa tutela
(cd. principio della disponibilità della giurisdizione).
d) Il giudice non può disporre sopra alcuna domanda, se la parte contro la quale è proposta non è stata
regolarmente citata e non è comparsa (cd. principio del contraddittorio, il quale riguarda non solo il
rapporto tra le parti del giudizio, ma anche il rapporto tra le parti ed il giudice, per cui il giudice, se ritiene di
porre alla base della decisione una questione rilevata di ufficio, deve assegnare alle parti un termine per
memorie sulla questione).
e) Il giudice deve pronunciare su tutta la domanda e non oltre i limiti di essa, e non può pronunciare
d’ufficio su eccezioni che possono essere proposte soltanto dalle parti (cd. principio della corrispondenza
tra il chiesto ed il pronunciato)
L’attore è colui che esercita l’azione; tale azione deve prospettare ed affermare il diritto fatto valere in
giudizio ed il risultato perseguito: si compone di un petitum (l’oggetto della domanda) e di un una causa
petendi (il fondamento della domanda).
Il convenuto è il soggetto contro il quale è proposta la domanda. La sua chiamata in giudizio mediante la
notificazione della domanda, determina la instaurazione del contradditorio; con tale notificazione si
determinano anche gli effetti sostanziali della domanda stessa (es. interruzione della prescrizione, costituente
in mora). La sua posizione difensiva si svolge rispetto alla domanda e all’oggetto del processo fissato dalla
domanda stessa. Il giudice è il soggetto (terzo) tenuto per legge al dovere decisorio; deve sussistere una
correlazione tra il tipo di azione esercitata ed il tipo di provvedimento.
Se la sentenza non copre l’intera domanda, c’è vizio di omissione di pronuncia; se invece la sentenza
eccede la domanda, c’è vizio di ultrapetizione.
In ogni caso il giudice nel pronunciare sulla causa, deve seguire tutte le norme di diritto, non limitandosi a
quelle indicate nella domanda, arrivando anche a mutare le qualificazioni giuridiche addotte dalle parti.

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3. Processo di cognizione.
Ha la funzione di portare alla conoscenza del giudice una questione, perché questo possa individuare la
regola di diritto sostanziale applicabile al caso concreto.
La struttura del processo di cognizione è configurato dalla legge in tre fasi: a) fase di introduzione della
causa; b) fase di istruzione della causa; c) fase di decisione della causa.
Funzione della cognizione è quindi l’accertamento che il giudice compie dell’esistenza o meno di un diritto
vantato o contestato. L’accertamento compiuto dal primo giudice investito della questione è passibile di
riesame da parte di un altro giudice; quando la sentenza non è più soggetta a riesame si determina la cd. cosa
giudicata formale o si intende passata in giudicato (la sentenza non è più soggetta né a ricorso per
cassazione, né a revocazione).
A seconda dello scopo perseguito dall’attore si qualifica l’azione: in ragione della tipologia dell’azione il
processo realizza finalità diverse e si conclude con sentenze differenti.
a)Azione di mero accertamento. Il processo tende al mero accertamento dell’esistenza o inesistenza di
una situazione giuridica lesa o contestata; l’accoglimento della domanda conclude il processo con una
sentenza di mero accertamento (sentenza dichiarativa).
b) Azione di condanna. La finalità realizzata dal processo è più complessa, in quanto l’azione oltre che
perseguire un accertamento mira a ordinare al convenuto un determinato comportamento; l’accoglimento
della domanda conclude il processo con una sentenza di condanna costituente il titolo esecutivo per
l’esecuzione forzata.
c) Azione costitutiva. Ancora più incisiva è la finalità ora perseguita, in quanto con tale azione si mira a
conseguire una modificazione della realtà giuridica.

4. Processo di esecuzione.
Ha la funzione di realizzare coattivamente l’attuazione dei diritti.
La tutela giurisdizionale avviene mediante l’esecuzione forzata, la quale si fonda su un titolo esecutivo
che indica il diritto che si intende attuare; l’esecuzione forzata ha luogo in virtù di un titolo esecutivo
per un diritto certo, liquido ed esigibile, quando lo stesso rimane inattuato. L’esecuzione forzata è sempre
anticipata dal precetto che annunzia l’esecuzione
Il diritto è certo quando risulta dal titolo esecutivo, liquido quando è determinato nell’ammontare
ed esigibile quando si è realizzata l’eventuale condizione o è scaduto l’eventuale termine per il suo esercizio
(tali requisiti devono non solo esistere, ma risultare dal titolo esecutivo).
Sussistono due modelli di esecuzione forzata: in forma specifica e per espropriazione.
a)L’esecuzione forzata in forma specifica consente al titolare del diritto di conseguire forzosamente lo
stesso risultato indicato nel titolo esecutivo, rimasto ineseguito.
b) L’esecuzione forzata per espropriazione è la forma più comune di esecuzione forzata, per essere il
danaro il metro di valutazione di tutti i beni.
c) E’ stato di recente introdotto anche un rimedio di esecuzione indiretta a carattere pecuniario degli
obblighi di fare infungibile o di non fare.

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5. Procedimenti speciali. I procedimenti cautelari.
a) Una rilevante importanza assumono i procedimenti sommari, caratterizzati da una cognizione
sommaria, per la necessità di conseguire in breve tempo un provvedimento giudiziario, salvo realizzare in
un tempo successivo la piena cognizione per l’ipotesi di resistenza della controparte.
Tra i procedimenti a cognizione sommaria una funzione particolare svolgono i procedimenti cautelari,
caratterizzati dalla strumentalità rispetto al merito. La domanda cautelare mira ad assicurare l’effettività
della successiva tutela giurisdizionale di merito (cioè la fruttuosità della decisione).
Presupposti essenziali del provvedimento sono: il fumus boni iuris, cioè la parvenza del diritto affermato;
il periculum in mora, cioè il pericolo che il tempo occorrente per farlo valere davanti al giudice competente
possa pregiudicare o rendere impossibile l’attuazione del provvedimento.
La tutela cautelare si articola in due fasi: una cognizione sommaria della situazione giuridica vantata
che dà luogo al provvedimento cautelare; l’esecuzione del provvedimento stesso, che avviene nelle forme
della esecuzione forzata, in quanto compatibili.
b) La legge prevede altri procedimenti, a cognizione ordinaria, ma con varie deviazioni rispetto al processo
ordinario in ragione della specificità della materia e del risultato conseguito.

6. Volontaria giurisdizione.
Non inerisce alla tutela di diritto, ma sovraintende all’esercizio del diritto stesso quando sono coinvolti
interessi la cui realizzazione l’ordinamento considera necessario sottoporre a controllo.
Le parti tendono alla realizzazione di un interesse comune (ad es. l’alienazione di beni dell’incapace
da parte del rappresentante legale è annullabile se non è preceduta dall’autorizzazione del giudice tutelare o/e
del tribunale).

7. Il diritto processuale uniforme.


Con riguardo al diritto processuale va delineandosi un diritto internazionale processuale uniforme, sia di
fonte convenzionale che di formazione comunitaria. L’atteggiamento comunitario si muove in più direzioni:
da un lato, sono dettati criteri uniformi concernenti la competenza, il riconoscimento e l’esecuzione di
decisioni assunte nei singoli Stati europei per favorire la libera circolazione delle decisioni nella Comunità;
dall’altro, è introdotto un titolo esecutivo europeo per favorire l’esecuzione delle decisioni nel territorio
europeo

8. Le Corti europee.
Per l’applicazione del diritto comunitario operano due Corti con finalità diverse.
a)La Corte di giustizia delle Comunità europee ed il Tribunale di primo grado con sede a Lussemburgo,
hanno assicurato il rispetto del diritto comunitario.
Con il Trattato di Lisbona è stata mutata la dicitura in Corte di giustizia dell’Unione europea.
La Corte di giustizia si pronuncia a) sui ricorsi presentati da uno Stato membro, da un’istituzione o da una
persona fisica o giuridica; c) negli altri casi previsti dai trattati.
Quando una questione di interpretazione è sollevata dinanzi ad una giurisdizione di uno degli Stati membri,
il giudice nazionale può, qualora lo ritenga necessario, domandare alla Corte di Giustizia di pronunziarsi
sulla questione; se però la questione è sollevata in giudizio avverso la cui decisione non possa proporsi un
ricorso giurisdizionale di diritto interno, il giudice nazionale deve rivolgersi alla Corte di giustizia (art. 234).
b) La Corte europea dei Diritti dell’uomo, con sede a Strasburgo, assicura il rispetto della Convenzione
per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali.

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9. La tutela rimediale.
Indica un piano flessibile di protezione degli interessi del cittadino oltre le fattispecie tipiche e la
tipologia delle tutele connesse alle fattispecie astratte.
Con riferimento ai rimedi si tende ad eccitare soluzioni di protezione personalizzate ai soggetti del singolo
conflitto e alla natura e tipologia degli interessi coinvolti (si pensi alla flessibilità dei rimedi che richiede la
lesione dei diritti della personalità). Dalla natura dell’interesse leso consegue la specificità del rimedio
attribuito, in grado di ristorare il danno prodotto e riequilibrare la situazione esistenziale violata.

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CAPITOLO 2 – PROVE
1.La prova dei fatti giuridici; 2. Le prove legali. Prove precostituite; 3. Prove costituende.

1.La prova dei fatti giuridici.


I fatti della realtà materiale rilevano giuridicamente in quanto vengono provati; le prove integrano
i mezzi processuali sui quali il giudice verifica l’esistenza dei fatti affermati dalle parti.
Principio base è che l’onere della prova grava sul soggetto che intende avvalersi del singolo fatto
giuridico.
L’attore, ossia colui che agisce in giudizio per far valere una pretesa, ha l’onere di allegare e provare
i fatti sui quali la pretesa si fonda, mentre il convenuto, ossia la controparte, può limitarsi a negare
l’esistenza del diritto.
L’art. 2697 fissa cosi la distribuzione dell’onere della prova: chi vuol far valere un diritto in giudizio deve
provare i fatti che ne costituiscono il fondamento.
Di regola la valutazione delle prove è rimessa al prudente apprezzamento del giudice; sussistono peraltro
argomenti di prova che operano come elementi di valutazione di altre prove (il giudice può desumere
argomenti di prova dalle risposte che le parti gli danno nel corso di un interrogatorio non formale).

2. Le prove legali. Prove precostituite.


Una particolare rilevanza assumono le prove legali, per essere la relativa efficacia predeterminata dalla
legge, sicché dai risultati delle stesse il giudice non può discostarsi, in quanto il giudice è vincolato al
risultato probatorio conseguito dalle stesse.
Delle prove legali, alcune sono precostituite altre sono costituende.
Le prove precostituite sono le prove formate prima ed indipendentemente dal processo e sono acquisite al
processo mediante la mera produzione in giudizio; tali sono le prove documentali, cioè i documenti allegati
dalle parti nel processo.
Il documento è l’entità materiale rappresentativa di un fatto, in grado di procurare la conoscenza duratura
dello stesso. I documenti possono contenere dichiarazioni di volontà come dichiarazioni di scienza
del soggetto da cui provengono. La data vale a collocarli nel tempo e nello spazio.
Tra le prove documentali assumono primaria rilevanza l’atto pubblico e la scrittura privata.
a)L’atto pubblico è il documento redatto con le formalità richieste, da un notaio o da altro pubblico ufficiale
(es. cancelliere, ufficiale giudiziario) autorizzato ad attribuirgli pubblica fede nel luogo dove l’atto è formato.
Ha una efficacia precostituita dalla legge: per l’art. 2700 l’atto pubblico fa piena prova, fino a querela di
falso, della provenienza del documento dal pubblico ufficiale che lo ha formato, nonché delle
dichiarazioni delle parti e degli altri fatti che il pubblico ufficiale attesta avvenuti in sua presenza o da lui
compiuti.
Il pubblico ufficiale non accerta la veridicità del contenuto delle dichiarazioni rese dalle parti ma ne attesta
solo i termini ed il fatto della provenienza delle dichiarazioni dalle parti: l’efficacia probatoria dell’atto
pubblico quale prova legale che vincola il giudice, attiene solo alla provenienza dell’atto, mentre il suo
contenuto è rimesso al prudente apprezzamento del giudice secondo il criterio di valutazione delle prove.
b) La scrittura privata proviene dal privato, che la sottoscrive. Non rileva chi materialmente la redige; con
la firma il sottoscrittore ne assume la paternità. Per l’art. 2702 la scrittura fa piena prova, fino a querela di
falso, della provenienza delle dichiarazioni da chi l’ha sottoscritta, se colui contro il quale la scrittura è
prodotta ne riconosce la sottoscrizione, oppure se questa è legalmente considerata come riconosciuta.
La scrittura privata fa piena prova solo contro l’autore della stessa, non in suo favore.
In assenza di pubblico ufficiale che conferisca pubblica fede della sua provenienza, è necessario che la
scrittura sia effettivamente riconosciuta dal soggetto contro il quale è fatta valere oppure sia legalmente
considerata riconosciuta. Anche l’efficacia probatoria della scrittura privata quale prova legale che
vincola il giudice, attiene solo alla provenienza del documento; il contenuto dell’atto è soggetto alla
valutazione del giudice.
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Se la parte contro la quale la scrittura è fatta valere la disconosce, la parte che intende valersi della scrittura
disconosciuta deve chiederne la verificazione giudiziale proponendo i mezzi di prova che ritiene utili e
producendo le scritture di comparazione.
Un delicato problema concerne la data certa della scrittura privata nei confronti di terzi, quando la
scrittura non contiene la data o la sottoscrizione non è stata autenticata; in tal caso la data della scrittura
privata non è certa ed opponibile ai terzi, se non dal giorno in cui la scrittura è stata registrata o dal giorno
della morte o della sopravvenuta impossibilità fisica di colui o di uno di coloro che l’hanno sottoscritta.

3. Prove costituende.
Sono le prove che si costituiscono e che si formano nel processo.
La prova testimoniale, la confessione ed il giuramento sono prove orali e dirette, nel senso che si formano
mediante dichiarazioni orali che immediatamente producono la conoscenza dei fatti; le presunzioni sono
invece prove logiche e indirette, nel senso che si formano attraverso operazioni logiche che conducono
mediatamente alla conoscenza di fatti.
a)La prova testimoniale consiste nella conoscenza di fatti procurata da terzi estranei al processo ed
indifferenti agli interessi in gioco.
La prova per testimoni dei contratti non è ammessa quando il valore dell’oggetto eccede euro 2.58; tuttavia
l’autorità giudiziaria può consentire la prova oltre il limite anzidetto, tenuto conto delle qualità delle parti,
della natura del contratto e di ogni altra circostanza.
b) La confessione è la dichiarazione che una parte fa della verità di fatti ad essa sfavorevoli e favorevoli
all’altra parte; la confessione non è efficace se non proviene da persona capace di disporre del diritto a cui
i fatti confessati si riferiscono.
La confessione può essere giudiziale o stragiudiziale; la confessione giudiziale è orale e forma piena prova
contro colui che l’ha fatta, purché non verta su fatti relativi a diritti indisponibili, mentre la confessione
stragiudiziale può essere orale o scritta (tipico esempio è la quietanza, con la quale il creditore dichiara di
aver ricevuto un pagamento contestato in giudizio).
c) Il giuramento consiste in una dichiarazione di verità di fatti favorevoli al soggetto che manifesta il
giuramento; non può essere spontaneo, ma solo provocato. Il giuramento quale prova legale, vincola il
giudice: la controparte non è ammessa a provare il contrario, né può chiedere la revocazione della sentenza
qualora il giuramento sia stato dichiarato falso.
Il giuramento è di due specie: decisorio e suppletorio.
Il giuramento decisorio è quello che una parte deferisce all’altra per farne dipendere la decisione totale o
parziale della causa: deve essere formulato in articoli separati, in modo chiaro e specifico.
Finché non abbia dichiarato di essere pronta a giurare, la parte alla quale il giuramento decisorio è stato
deferito, può riferirlo all’avversario; il giuramento suppletorio invece è deferito d’ufficio ad una delle parti
dal giudice al fine di decidere la causa, quando la domanda o le eccezioni non sono pienamente provate,
ma non sono del tutto sfornite di prova.
d)Le presunzioni integrano una prova logica ed indiretta, in quanto non tendono ad accertare la materialità
del fatto invocato, ma a dedurre l’esistenza di questo da circostanze certe attraverso un procedimento logico.
Si tratta di prove indirette nel senso che, dalla conoscenza di alcuni fatti si risale al fatto da provare.
Per l’art. 2727 le presunzioni sono le conseguenze che la legge o il giudice trae da un fatto noto per risalire
ad un fatto ignorato. Le presunzioni si distinguono in semplici e legali.
Le presunzioni semplici sono lasciate alla prudenza del giudice, il quale deve ammettere presunzioni gravi,
precise e concordanti.
Le presunzioni legali sono le conseguenze che la legge trae da un fatto noto per risalire ad un fatto ignoto:
le stesse dispensano la parte favorita dalla presunzione dal provare i fatti di causa. Le presunzioni legali si
distinguono a loro volta in presunzioni relative che ammettono la prova contraria ed in presunzioni
assolute che invece non ammettono prova contraria.
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CAPITOLO 3 – TECNICHE ALTERNATIVE DI RISOLUZIONE DELLE CONTROVERSIE
1.Generalità; 2. Arbitrato; 3. Conciliazione; 4. Tutela collettiva; 5. Autotutela.

1. Generalità.
Nei sistemi giuridici basati sullo stato moderno in cui il diritto era ricondotto alla legge, sussisteva poco
spazio per una tutela non fondata sulla giurisdizione; il declino di tale modello ha comportato lo sviluppo
di nuove tecniche di soluzione delle controversie.
L’esigenza di deflazione giudiziaria, con la duplice necessità, da un lato, di devolvere questioni
specialistiche a competenze di alta professionalità e dall’altro, di affidare questioni seriali a organismi
istituzionali, hanno fatto emergere la giustizia arbitrale e più di recente tecniche di conciliazione.
Tutto ciò ha aperto nuove frontiere alla tutela dei diritto mediante azioni collettive.

2. Arbitrato.
L’arbitrato è il terreno della libertà dei privati, in cui si esprime l’autonomia privata finalizzata al
conseguimento di una decisione. Le parti possono far decidere ad arbitri le controversie tra loro insorte
che non abbiano per oggetto diritti indisponibili, salvo espresso divieto della legge.
Le controversie individuali di lavoro possono essere decise da arbitri solo se previste dalla legge o nei
contratti o accordi collettivi di lavoro.
Quando le parti vogliono avvalersi di arbitri, stipulano un compromesso o introducono nel contratto che
stipulano una clausola compromissoria con la quale stabiliscono che le controversie nascenti dal contratto
stesso saranno decise da arbitri: sia il compromesso che la clausola compromissoria devono essere fatti per
iscritto a pena di nullità. Gli arbitri possono essere uno o più, purché in numero dispari e decidono secondo
le norme di diritto, salvo che le parti li abbiano autorizzati a pronunciare secondo equità.
Il lodo ha gli effetti della sentenza pronunciata dall’autorità giudiziaria; la parte che intende far eseguire il
lodo, lo deposita nella cancelleria del tribunale nel cui circondario è la sede dell’arbitrato.
Tale lodo è impugnabile innanzi alla Corte di Appello per nullità, per revocazione o per opposizione di terzo,
indipendentemente dal deposito per l’esecutività.

3. Conciliazione.
La conciliazione mira alla soluzione della controversia aiutando le parti in conflitto a raggiungere un
accordo, eventualmente assistite dalle associazioni di categoria: è una tecnica di soluzione negoziata delle
controversie attraverso una sequenza procedimentale che assicuri serietà, professionalità ed imparzialità
(cd. procedimentalizzazione).
La soluzione concordata delle controversie in via immediata, tutela i soggetti dell’accordo ed i soggetti
deboli ed in via mediata è di ausilio al mantenimento del tessuto sociale.
Tale tecnica di soluzione delle controversie è maturata in settori specifici, con la mediazione di enti pubblici
in grado di procurare una definizione convenzionale delle controversie a presidio di soggetti considerati
istituzionalmente deboli.
Il terreno di maggior sviluppo della tecnica di conciliazione è quello dei rapporti di consumo.
Nei rapporti tra consumatore e professionista, le parti possono avviare procedure di composizione
extragiudiziale per la risoluzione delle controversie in materia di consumo, anche per via telematica.
Le associazioni dei consumatori e degli utenti rappresentative a livello nazionale e gli organismi pubblici
indipendenti a ciò abilitati possono attivare prima del ricorso al giudice dinanzi alla Camera di commercio
competente per territorio, la procedura di conciliazione.
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4. Tutela collettiva.
In una società caratterizzata da produzione e distribuzione di massa, il contenuto del contratto così come i
beni prodotti sono seriali.
Da tempo, accanto alla tutela individuale dei diritti, sono reclamate forme di tutela collettiva con il ricorso
alla tecnica della conciliazione o attraverso l’instaurazione di un contenzioso.
La peculiarità della tutela collettiva è che la stessa si atteggia come una tutela di massa per riferirsi a tutti
i soggetti che si trovino in una stessa situazione o siano portatori di interessi omogenei, formanti perciò una
medesima “classe”, senza la necessità di promuovere azioni individuali.
Il nostro ordinamento ha compiuto una fondamentale scelta di rimettere la legittimazione dell’azione
collettiva a gruppi o enti istituzionalizzati, considerati esponenziali degli interessi collettivi dedotti e aventi
la rappresentatività idonea all’esercizio dell’azione per la protezione dell’interesse della categoria.
Venendo all’oggetto della tutela collettiva, la stessa si è inizialmente svolta in forma inibitoria per poi
attingere anche alla forma risarcitoria.
a)L’azione inibitoria è una tutela preventiva rivolta al futuro, di inibizione di un comportamento al fine
di evitare un illecito con la produzione di un danno. E’ una tutela di vantaggio per l’intera platea di
soggetti che si trova nella stessa situazione di fatto o di diritto: la rimozione del comportamento lesivo è
destinata a giovare all’intera classe di appartenenza.
b) L’azione risarcitoria è una tutela successiva rivolta al passato, tendente a conseguire il ristoro dei
danni sofferti da consumatori ed utenti a seguito di un illecito.
Funzione dell’azione è di risarcire i danni omogenei di una pluralità di soggetti relativamente ad uno
stesso fatto lesivo. A differenza dell’azione inibitoria, è più complessa la definizione della comunanza di
classe per la duplice necessità da un lato, di fissare il bene tutelato e dall’altro, di rapportare lo stesso alla
varietà dei soggetti interessati al fine di determinare il risarcimento dovuto.
Sul modello della class action, ciascun componente della classe è legittimato ad agire per l’accertamento
della responsabilità e per la condanna al risarcimento del danno e alle restituzioni. I consumatori e utenti che
intendono avvalersi di tale tutela aderiscono all’azione di classe subendo gli effetti sfavorevoli dell’azione
intrapresa; l’adesione comporta la rinuncia ad ogni azione restitutoria o risarcitoria individuale fondata sul
medesimo titolo.

5. Autotutela.
Con il termine “autotutela” si tende ad indicare il potere di soluzione di potenziali conflitti senza il ricorso
alla giurisdizione e quindi al processo.
Il tratto caratterizzante è da ricercare nella possibilità accordata al soggetto che ricorre all’autotutela,
di realizzare la tutela dei diritti direttamente e immediatamente senza l’intervento di un terzo,
né in veste di decisione (giudice), né di mediatore (conciliatore).
Se l’interesse attuato è riferito alla pubblica amministrazione, vi è autotutela amministrativa funzionale
all’interesse pubblico; se invece l’interesse attuato appartiene ad un soggetto privato, vi è autotutela privata
rivolta al soddisfacimento di un interesse particolare.
Il codice civile italiano fissa specifiche misure di autotutela in tema di possesso (autotutela possessoria) e
nella materia dei contratti (autotutela contrattuale).
In genere ad ovviare i pericoli che l’autotutela possa degenerare nell’uso illegittimo degli strumenti
accordati, è sempre consentito il ricorso all’autorità giudiziaria perché valuti la legittimità del mezzo
utilizzato.

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PARTE IV – SOGGETTI

CAPITOLO 1 – PERSONA FISICA


-A)PERSONA FISICA E CAPACITA’ GIURIDICA. 1. Capacità giuridica; 2. Acquisto della capacità
giuridica. Il concepito; 3. Fine della persona; 4. Scomparsa, assenza e morte presunta; 5. Localizzazione
della persona; -B) CAPACITA’ DI AGIRE. 6. Capacità di agire; 7. Minore; 8. Potestà dei genitori;
9. Tutela; 10 Emancipazione; 11. Cause modificative della capacità di agire e protezione dell’incapace;
12. Interdizione giudiziale; 13. Inabilitazione; 14. Amministrazione di sostegno; 15. Interdizione legale;
16. Incapacità naturale.

A)PERSONA FISICA E CAPACITA’ GIURIDICA


1.Capacità giuridica.
La capacità giuridica è l’attitudine ad essere titolare di situazioni giuridiche soggettive.
Si tratta di una qualità di carattere generale e astratto, il cui riconoscimento rende chi ne è investito,
possibile centro di imputazione di diritti e di obblighi: è una qualificazione normativa legata ad una
valutazione dell’ordinamento giuridico.
Di personalità giuridica il codice civile parla solo a proposito di entità diverse dalla persona
(persone giuridiche), in relazione alle quali il codice stesso disciplina le modalità di attribuzione
della soggettività giuridica, che viene ricollegata all’esistenza della stessa persona fisica.
La capacità giuridica assume il carattere di attributo che non può essere negato per il rispetto di quella
dignità dell’uomo, la cui inviolabilità risulta dichiarata nell’art. 1 Cart. Dir. Fond. U. E.; esiste anche
l’esperienza della possibile perdita della capacità giuridica per causa diversa dalla morte.
L’art. 22 Cost. stabilisce che “nessuno può essere privato, per motivi politici, della capacità giuridica”
(così come della cittadinanza e del nome, ossia attributi che salvaguardano l’individualità della persona nella
società).
Esistono anche ipotesi di incapacità speciali, da intendere come preclusioni della possibile titolarità
di determinate situazioni giuridiche da parte del soggetto; significative ipotesi di incapacità sono
rappresentate da quella dei pubblici ufficiali, i quali non possono essere acquirenti dei beni che sono venduti
per loro ministero, né direttamente né per persona interposta.
Di capacità giuridica sono dotati anche i soggetti di diritto diversi dalle persona fisiche (persone giuridiche
ed enti non riconosciuti), non solo per quanto concerne le situazioni soggettive di contenuto patrimoniale,
ma anche per taluni diritti di natura non patrimoniale (diritti della personalità).

2. Acquisto della capacità giuridica. Il concepito.


Ai sensi dell’art. 1, la persona fisica acquista la capacità giuridica al momento della nascita.
Contrariamente al passato, non è richiesto ai fini dell’acquisto della capacità giuridica, anche il requisito
della vitalità (oppure l’idoneità alla sopravvivenza), ma è sufficiente che il neonato sia nato vivo anche
solo per un istante (pure un cosi breve periodo di vita vale a rendere il nato, titolare di eventuali diritti).
La legge non definisce l’evento della nascita affidandosi alle elaborazioni medico-legali, per cui decisivo
si reputa l’accertamento dell’avvenuta respirazione.
Il problema della condizione giuridica del nascituro si pone in dipendenza dell’art. 1, il quale subordina
i diritti che la legge riconosce a favore del concepito all’evento della nascita. Il riferimento si intende
operato alla prevista capacità di succedere del concepito nonché alla possibilità che gli siano fatte donazioni.
Parte della dottrina in relazione alla situazione del concepito, pur riconoscendo che manchi la capacità
giuridica generale, accenna ad una capacità giuridica parziale, di carattere anticipato o provvisorio.

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Tende a prevalere la tesi secondo cui il concepito risulta del tutto privo di capacità giuridica, in quanto la
stessa si acquista solo al momento della nascita, e prima di essa non esiste il soggetto; per il periodo anteriore
vi sarebbe solo una situazione di attesa e l’ordinamento si limiterebbe a predisporre una tutela anticipata
dei diritti che questi potrebbe acquistare al momento della nascita.
Ulteriore rilevanza l’ordinamento riconosce all’interesse del concepito dal punto di vista della sua aspettativa
non solo a nascere, ma anche a nascere sano; è stato allora ammesso a favore di chi abbia subito danni allo
stato fetale, il diritto ad essere risarcito per i pregiudizi che gliene siano derivati.
Il soggetto una volta acquistata con la nascita la capacità giuridica, può chiedere il risarcimento dei danni
sofferti nel periodo in cui si trovava allo stato fetale; la tutela così accordata non è riferita al feto in quanto
tale, bensì al nato ed al suo diritto ad essere e rimanere integro.
In materia successoria il legislatore non si limita a prendere in considerazione soltanto il concepito,
ma anche il non concepito, allorché prevede la possibilità che destinatari di disposizioni testamentarie
siano non concepiti, purché figli di una determinata persona vivente al tempo della morte del testatore.

3. Fine della persona.


Non meno importante risulta la determinazione del momento a partire dal quale l’esistenza della persona
possa reputarsi terminata e quindi la capacità giuridica si ritenga venuta a cessare.
Le esigenze legate ai trapianti di organi hanno indotto il legislatore a precisare il momento in cui il soggetto
debba essere considerato morto a tutti gli effetti, in quanto per l’art.1 L. 29.12.1993, n.578 “la morte si
identifica con la cessazione irreversibile di tutte le funzioni dell’encefalo”.
Il concetto legale di morte coincide con quello di morte cerebrale, mediante apposite apparecchiature che
rilevano le funzioni di carattere cardio-respiratorio; il venir meno della capacità giuridica comporta
l’impossibilità di riferire al defunto situazioni giuridiche.
Con la morte della persona talune situazioni giuridiche si estinguono ed un numero consistente di rapporti
trovano una nuova configurazione soggettiva; di qui l’interesse ad una precisa determinazione del
momento in cui viene a cessare l’esistenza della persona.
In merito l’art. 4 regola l’ipotesi di commorienza per cui un effetto giuridico dipende dalla sopravvivenza
di una persona rispetto ad un’altra e non sia noto quale di esse sia morta prima, in quanto “tutte si
considerano morte nello stesso momento”.
Con una finzione, nonostante l’evento di morte dei diversi soggetti possa essersi verificato in realtà in
momenti cronologicamente diversi, l’ordinamento giuridico data l’incertezza circa l esatta determinazione,
considera come se gli stessi soggetti fossero morti nello stesso istante.
La disciplina della commorienza assume importanza nei casi in cui la premorienza di un soggetto rispetto
all’altro determini un diverso atteggiarsi della loro vicenda successoria (ove nel medesimo incidente
muoiano due coniugi e non sia noto quale dei due sia morto per primo, i genitori dell’uno e dell’altro
potrebbero avere interesse a dimostrare la sopravvivenza del proprio figlio rispetto al coniuge, dal momento
che il suo asse ereditario risulterebbe accresciuto dei diritti spettantegli in quanto coniuge superstite).
Se vi è incertezza circa il quando dell’evento morte ma vi è certezza circa l’an, può darsi il caso che
l’incertezza concerna proprio l’esistenza della persona; di qui l’esigenza che l’ordinamento predisponga
una serie di strumenti (scomparsa, assenza e morte presunta) per tutelare i diritti spettanti al soggetto del
quale si ignori l’attuale esistenza, ciò nell’interesse di quegli altri soggetti che in conseguenza dell’evento
della sua morte, potrebbero vedere modificata la propria sfera giuridica.

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4. Scomparsa, assenza e morte presunta.
L’irreperibilità del soggetto o addirittura l’incertezza della sua esistenza determinano gravi problemi in
ordine alla gestione delle situazioni giuridiche di cui sia titolare.
a)Viene considerata rilevante la semplice scomparsa della persona; ciò si verifica quando essa non è più
comparsa nel luogo del suo ultimo domicilio o dell’ultima sua residenza e non se ne hanno più notizie.
Tale circostanza non comporta una grave incertezza circa l’esistenza della persona, legittimando l’intervento
del tribunale che può nominare un curatore, il quale rappresenti lo scomparso in giudizio o nella formazione
degli inventari e nelle liquidazioni in cui lo stesso sia interessato.
b) Per quanto concerne l’assenza, trascorsi 2 anni dal giorno a cui risale l’ultima notizia, i presunti
successori legittimi e chiunque creda di avere sui beni dello scomparso diritti dipendenti dalla sua morte,
possono domandare al tribunale che ne sia dichiarata l’assenza; la dichiarazione di assenza si fonda sulla
considerazione della persistenza nel tempo dell’incertezza circa l’esistenza della persona (stato di incertezza
che si protrae per almeno 2 anni).
Sotto il profilo dei rapporti personali, l’assenza non è configurata come causa di scioglimento del
matrimonio; sotto il profilo dei rapporti patrimoniali, una volta dichiarata l’assenza del soggetto, coloro
che sarebbero eredi testamentari o legittimi, se l’assente fosse morto nel giorno a cui risale l’ultima notizia di
lui, possono domandare l’immissione nel possesso temporaneo dei beni. I beni permangono nel patrimonio
dell’assente per tutta la durata dell’assenza e non si ha alcun fenomeno di tipo successorio.
La situazione di assenza termina o con la prova della morte dell’assente, nel qual caso la successione si
apre a vantaggio di coloro che al momento della morte, erano suoi eredi o legatari, o con la dichiarazione di
morte presunta dell’assente, oppure con il suo ritorno.
Per effetto del ritorno dell’assente i possessori temporanei devono restituire i beni.
c) Anche senza una preventiva dichiarazione di assenza quando siano trascorsi 10 anni dal giorno a cui
risale l’ultima notizia, il tribunale può dichiarare la morte presunta dello scomparso nel giorno a cui risale
l’ultima notizia.
Per effetto della sentenza che dichiara la morte presunta si apre la successione ereditaria del soggetto.
Ove la persona di cui è stata dichiarata la morte presunta ritorni o se della stessa ne sia provata l’esistenza,
la stessa recupera i beni nello stesso stato in cui si trovano e ha diritto di conseguire il prezzo di quelli
alienati; ha inoltre diritto di pretendere l’adempimento delle obbligazioni in precedenza reputate estinte.
Dal punto di vista personale il coniuge del soggetto dichiarato morto presunto può contrarre nuovo
matrimonio, considerato però nullo nell’ipotesi di ritorno del morto presunto o di accertamento della sua
esistenza in vita.

5. Localizzazione della persona.


Ai fini dell’applicazione delle norme giuridiche, risulta rilevante lo stabilire una precisa relazione tra il
soggetto ed una delle sue possibili ubicazioni.
Ciò avviene con il ricorso a determinati criteri di collegamento della persona con un determinato luogo.
Particolare importanza assume il luogo della nascita, dato che è presso il comune in cui essa è avvenuta
che viene formato l’atto di nascita; da tale atto risulta possibile evincere le principali vicende esistenziali
del soggetto idonee ad incidere sul suo status.
Nel nostro ordinamento sono considerate rilevanti e distinte le nozioni di dimora, residenza e domicilio.
a)Per dimora si intende il luogo in cui il soggetto si trova, anche solo temporaneamente a soggiornare.
Il carattere anche solo temporaneo della dimora non esclude una certa necessaria durata, tale da rendere il
luogo di dimora idoneo a localizzare il soggetto (ad es., il luogo in cui si trascorre un periodo di
villeggiatura).

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b) La residenza viene individuata nel luogo in cui la persona ha la propria dimora abituale.
Ai fini della fissazione della residenza devono ricorrere un elemento oggettivo (il fatto della stabile
permanenza in un luogo determinato) ed un elemento soggettivo (l’intenzione di fissare la propria stabile
dimora in quel luogo)
Differente è il concetto di residenza familiare come centro della vita comune della famiglia che deve essere
fissata concordemente dai coniugi secondo le esigenze di entrambi.
c) Il domicilio è il luogo in cui la persona ha stabilito la sede principale dei suoi affari ed interessi.
Anche per il domicilio occorre un elemento soggettivo, consistente nell’intenzione di concentrare in un
luogo i propri affari ed interessi.
Il domicilio può essere generale quando si riferisce alla generalità degli affari ed interessi del soggetto o
speciale quando eletto dal soggetto solo per determinati atti o affari.
Dal domicilio volontario ossia scelto dal soggetto si distingue il domicilio legale, stabilito dalla legge:
il minore ha il domicilio nel luogo di residenza della famiglia o del tutore; l’interdetto ha invece il
domicilio del tutore. Il domicilio o la residenza determinano il foro generale della persona, mentre, per la
notificazione degli atti giudiziari, il criterio del domicilio è subordinato a quello della residenza e della
dimora.

B) CAPACITA’ D’AGIRE
6. Capacità di agire.
Per capacità d’agire si intende l’attitudine a compiere atti idonei ad incidere sulla propria sfera
giuridica.
Per l’art. 2, la capacità di agire si acquista con la maggiore età, vale a dire con il compimento del 18° anno.
L’ordinamento assicura una adeguata tutela degli interessi del soggetto, prevedendo l’incidenza di sue
peculiari condizioni personali oltre l’età, come le condizioni psichiche e fisiche, con conseguente riduzione o
addirittura perdita della capacità di agire. Si tratta delle ipotesi di incapacità legale di agire, le quali si
distinguono dalla rilevanza accordata in cui il soggetto venga a trovarsi.
La differenza rispetto alla capacità giuridica è rilevante; mentre chi sia dotato di capacità giuridica, può
essere titolare di situazioni giuridiche soggettive, il soggetto capace di agire può compiere atti giuridici
idonei a produrre modificazioni nella sfera delle proprie situazioni soggettive; così con la nascita il soggetto
ha la capacità di essere titolare della proprietà di beni, con il conseguimento della capacità di agire, lo
stesso soggetto può acquistare beni, oppure vendere, dare in garanzia, i beni di cui risulti proprietario.
In relazione a determinati atti l’ordinamento permette che gli stessi siano compiuti anche prima del
compimento del 18° anno di età; il genitore che abbia compiuto il 16° anno d’età può riconoscere il proprio
figlio naturale e il quattordicenne deve consentire alla propria adozione.

7. Minore.
L’art. 2 fissando al 18° anno la maggiore età e condizionando ad essa l’acquisto della capacità di compiere
tutti gli atti per i quali non sia stabilita un’età diversa, risulta porre il minore in una situazione di incapacità
di agire generale.
Il sedicenne può riconoscere il figlio naturale e deve assentire al proprio riconoscimento, nonché può in via
eccezionale, essere autorizzato a contrarre matrimonio.
In relazione ai rapporti patrimoniali al minore è riconosciuta una certa sfera di autonomia; con le adeguate
cautele a salvaguardia della sua salute e della sua istruzione, il minore può prestare attività lavorativa a
partire dai 15 anni e, dai 16 anni in quanto autore, ha la capacità di compiere gli atti relativi alle opere da lui
create e di esercitare le relative azioni.

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8. Potestà dei genitori.
Per la condizione di debolezza in cui versa il soggetto nella fase della sua crescita, il legislatore ha dettato la
disciplina della potestà dei genitori, cui sono sottoposti tutti i figli (legittimi, legittimati, naturali ed
adottivi).
La potestà dei genitori costituisce l’esempio più significativo di potestà come situazione giuridica
soggettiva complessa, attribuita dall’ordinamento in vista della tutela di interessi altrui; è esercitata in
comune accordo da entrambi i genitori e dura fino alla maggiore età o all’emancipazione del figlio.
Dettagliata risulta la disciplina del profilo patrimoniale della potestà dei genitori, la quale si sostanzia nella
rappresentanza del minore e nella amministrazione dei beni dello stesso (strumenti questi che
consentono la cura dei beni del minore, il quale altrimenti verserebbe nell’impossibilità di preservare
l’integrità del proprio patrimonio).
I genitori esercenti la potestà hanno la rappresentanza legale del minore; i genitori compiono in nome e per
conto del minore gli atti idonei ad incidere sulla sua sfera patrimoniale, permettendo di attuare la
modificazione delle sue situazioni giuridiche soggettive.
L’attività di amministrazione dei beni del minore comprende tutti gli atti necessari non solo alla
conservazione, ma anche alla valorizzazione del suo patrimonio; in base alla rilevanza dell’atto di
amministrazione, in relazione al patrimonio si distinguono gli atti di straordinaria amministrazione dagli atti
eccedenti l’ordinaria amministrazione (l’atto deve reputarsi eccedente l’ordinaria amministrazione quando
comporta una modifica nella struttura del patrimonio; al contrario sarà considerato di ordinaria
amministrazione ove non incida sulla sostanza del patrimonio, non comportandone una modifica nella
composizione).
In relazione agli atti particolarmente significativi riguardanti la struttura del patrimonio del minore
(atti eccedenti l’ordinaria amministrazione), la valutazione circa l’opportunità del compimento dell’atto
non spetta più soltanto ai genitori, ma viene concessa all’autorità giudiziaria, la quale dovrà valutare la
necessità del compimento dell’atto per il figlio: solo ad esito di valutazione, il giudice tutelare rilascerà
l’autorizzazione al compimento dell’atto. In altre parole, l’atto eccedente l’ordinaria amministrazione sarà
compiuto dai genitori in nome e per conto del figlio, previa autorizzazione da parte del giudice tutelare.
I genitori peraltro non possono compiere alcuni atti in nome e per conto del minore, dato il loro carattere
personale (cd. atti personalissimi): in particolare testamento e donazione (per il relativo compimento
risulta necessaria la maggiore età). Altri atti per motivi differenti sono vietati ai genitori: essi non possono
rendersi acquirenti dei beni o dei diritti del minore.
L’ultimo comma dell’art. 320 prevede l’ipotesi del conflitto di interessi patrimoniali tra i figli soggetti
alla stessa potestà, o tra essi e i genitori. In tale circostanza il giudice tutelare nomina ai figli un curatore
speciale, il quale rappresenterà il minore nel compimento dell’atto; tale curatore speciale può essere
nominato anche nel caso in cui i genitori non possono oppure non vogliono compiere atti eccedenti
l’ordinaria amministrazione nell’interesse del figlio.
L’art. 322 in relazione agli atti posti in essere in violazione delle norme disciplinanti l’amministrazione dei
beni del minore, ne sancisce l’annullabilità; l’azione di annullamento dell’atto può essere esercitata dai
genitori esercenti la potestà, dal figlio, nonché dai suoi eredi o aventi causa.
L’azione di annullamento si prescrive in 5 anni dal giorno in cui il minore ha raggiunto la maggiore età;
nel caso di decesso del minore in data anteriore al raggiungimento della maggiore età, il termine di
prescrizione decorre dal giorno della morte del minore stesso.
I genitori esercenti la potestà sul minore hanno in comune l’usufrutto legale sui beni del medesimo; i frutti
percepiti dai beni di quest’ultimo devono essere destinati al mantenimento della famiglia e all’istruzione ed
educazione di tutti i figli. La potestà dei genitori cessa quando il minore raggiunge la maggiore età o con la
sua emancipazione.

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Il carattere funzionale del riconoscimento della potestà ai genitori viene evidenziato dai meccanismi di
controllo sul suo esercizio; ad esito di un simile controllo, è addirittura consentita la decadenza dalla
potestà sui figli, quando il tribunale per i minorenni accerti che il genitore abbia violato o trascurato i doveri
ad essa inerenti. In tal caso può essere ordinato l’allontanamento del figlio dalla residenza familiare oppure
l’allontanamento del genitori che maltratti o abusi del figlio. Cessate le ragioni della decadenza, il genitore
può essere integrato nella potestà.
In relazione alla cattiva amministrazione dei beni del figlio, il tribunale può rimuovere da essa uno o
entrambi i genitori (in tal caso con la nomina di un curatore) privandoli dell’usufrutto legale; è prevista la
riammissione nell’esercizio dell’amministrazione e nel godimento dell’usufrutto, una volta cessati i motivi
della rimozione.

9. Tutela.
L’istituto della tutela è espressione del precetto costituzionale secondo cui, nei casi di incapacità dei
genitori, la legge provvede a che siano assolti i loro compiti. La tutela ha quindi la funzione di garantire al
minore attraverso l’intervento di un altro soggetto, la cura dei propri interessi personali e patrimoniali.
L’ufficio tutelare è gratuito: il giudice tutelare, in considerazione dell’entità del patrimonio, può assegnare
al tutore un’ equa indennità.
Nel quadro dell’esercizio della tutela, un ruolo di primo piano assume la figura del giudice tutelare, il quale
soprintende all’esercizio della stessa e può chiedere l’assistenza degli organi della pubblica amministrazione.
L’attività del giudice tutelare si atteggia quale attività di controllo e coordinamento in quanto egli decide (o
esprime parere) su tutte le questioni relative al minore ed al suo patrimonio.
Presso ogni giudice tutelare è istituito il registro delle tutele, nel quale sono iscritti i principali
provvedimenti concernenti la tutela. Il cancelliere entro 10 giorni dà comunicazione all’ufficiale dello stato
civile dell’apertura e della chiusura della tutela per l’annotazione all’atto di nascita del minore.
Il giudice tutelare, ricevuta notizia del fatto da cui deriva l’apertura della tutela, procede alla nomina del
tutore e del protutore; prima della nomina del tutore, deve essere sentito anche il minore che abbia
raggiunto l’età di 16 anni.
In primo luogo, il giudice tutelare nomina tutore la persona designata dal genitore che ha esercitato per
ultimo la potestà (tutela volontaria); la designazione può essere fatta per testamento, per atto pubblico o per
scrittura privata. Qualora manchi la designazione, la scelta del tutore avviene tra gli ascendenti o tra gli altri
prossimi parenti o affini del minore (tutela legittima), altrimenti viene scelto tra altre persone (tutela
dativa) o deferita ad un ente di assistenza (tutela assistenziale).
Il tutore ha la cura della persona del minore, lo rappresenta in tutti gli atti civili e ne amministra i beni
assumendo quindi sia una funzione di carattere personale che una di carattere patrimoniale.
Sotto il profilo personale, il tutore ha gli stessi doveri che competono ai genitori: mantenimento, istruzione
ed educazione del minore. Sotto il profilo patrimoniale, lo stesso giudice tutelare indica la spesa annua
occorrente per l’amministrazione del patrimonio del minore, fissando i modi d’impiego del reddito eccedente
ed autorizza il tutore ad investire i capitali del minore.
L’azione di annullamento si prescrive nel termine di 5 anni dal giorno in cui il minore ha compiuto la
maggiore età, oppure dal giorno della sua morte. Accanto alla nomina del tutore, il giudice tutelare provvede
anche alla nomina del protutore che rappresenta il minore nei casi in cui l’interesse di quest’ultimo è in
contrasto con l’interesse del tutore; il protutore è inoltre tenuto a promuovere la nomina di un nuovo tutore
nel caso in cui l’originario tutore sia venuto a mancare o abbia abbandonato l’ufficio.
In ordine alla responsabilità, il tutore deve amministrare il patrimonio del minore con la diligenza del buon
padre di famiglia. La tutela termina quando il minore raggiunge la maggiore età o qualora consegue
l’emancipazione per effetto del matrimonio. Il giudice tutelare può tuttavia esonerare il tutore dall’ufficio,
qualora l’esercizio di esso sia gravoso per il tutore e vi sia altra persona atta a sostituirlo.

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10 Emancipazione.
Il minore che abbia compiuto i 16 anni può essere ammesso al matrimonio con decreto del tribunale per
i minorenni acquistando così lo stato di emancipato: l’emancipazione pertanto avviene di diritto in
conseguenza del matrimonio.
Per effetto dell’emancipazione, il minore acquista una capacità d’agire limitata; il minore viene reputato
idoneo a curare i propri interessi di natura personale e l’ordinamento interviene nella cura dei suoi interessi
patrimoniali.
La funzione di provvedere alla cura degli interessi patrimoniali del minore emancipato viene assolta dal
curatore. Ad es. il curatore del minore sposato con persona maggiore di età è il coniuge; se entrambi i
coniugi sono minori di età, il giudice tutelare può nominare un unico curatore, scelto preferibilmente tra i
genitori. Il curatore si limita ad assistere il minore emancipato senza rappresentarlo; l’atto viene insomma
compiuto in prima persona dal minore emancipato, la cui volontà è sempre essenziale.
In considerazione della sua limitata capacità di agire, il minore emancipato compie da solo gli atti di
ordinaria amministrazione. Il minore emancipato può con l’assistenza del curatore, riscuotere capitali
sotto la condizione di un idoneo reimpiego e può stare in giudizio, sia come attore che come convenuto.
Gli atti eccedenti l’ordinaria amministrazione sono compiuti dal minore emancipato con il consenso del
curatore, previa autorizzazione del giudice tutelare.
Autorizzato dal tribunale il minore emancipato acquista una capacità di agire quasi piena all’esercizio di
impresa commerciale in quanto questi può compiere da solo anche gli atti eccedenti l’ordinaria
amministrazione, pur se estranei all’esercizio dell’impresa.
La situazione di emancipazione termina con il raggiungimento della maggiore età da parte del minore
emancipato.

11. Cause modificative della capacità di agire e protezione dell’incapace.


L’esigenza di proteggere il soggetto incapace e di predisporre adeguati strumenti di tutela a suo favore
sussiste pure in relazione a persone che, ancorché maggiori di età, non siano dotate delle condizioni
psicofisiche idonee a consentire una corretta cura dei propri interessi e quindi, una ponderata esplicazione
della propria autonomia negoziale.
Il codice civile prevedeva due forme di protezione: l’interdizione giudiziale, in relazione a soggetti
considerati del tutto privi della capacità di provvedere ai propri interessi e l’inabilitazione, in relazione a
soggetti considerati non in grado di provvedere in maniera adeguata ai propri interessi di natura patrimoniale.
La ratio dell’intervento normativo è da ricercare nell’esigenza di delineare il sistema delle limitazioni della
capacità di agire di quest’ultimo.

12. Interdizione giudiziale.


Sono chiamati interdetti il maggiore di età ed il minore emancipato che si trovino in condizioni di
abituale infermità mentale che li renda incapaci di provvedere ai propri interessi, quando ciò sia necessario
per assicurare la loro adeguata protezione. L’art. 414 conferma quali presupposti per la pronunzia di
interdizione, lo stato di abituale infermità mentale e l’incapacità di provvedere ai propri interessi.
L’abituale infermità mentale viene intesa come “durata nel tempo tale da qualificarla come habitus normale
del soggetto”.
Tra i soggetti legittimati a chiedere l’interdizione viene indicato prima di tutto lo stesso incapace; tra i
soggetti legittimati all’istanza di interdizione, il legislatore contempla anche la persona stabilmente
convivente.
Per la pronunzia di interdizione risulta necessario l’esame del soggetto interdicendo; all’uopo il giudice
può farsi assistere da un consulente tecnico e può disporre d’ufficio dei mezzi istruttori utili ai fini del
giudizio ed assumere le necessarie informazioni.

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Competente per pronunciare l’interdizione è il tribunale del luogo dove la persona nei cui confronti è
proposta l’istanza, ha residenza o domicilio.
Quanto agli effetti della interdizione, il momento decisivo è da individuarsi nella sentenza; infatti la
interdizione produce i suoi effetti dal giorno della pubblicazione della sentenza.
Una analoga prospettiva vale per la cessazione degli effetti della interdizione: la revoca dello stato di
interdizione si produce dal passaggio in giudicato della sentenza che revoca l’interdizione stessa.
Per ragioni di pubblicità, la sentenza deve essere annotata a cura del cancelliere del tribunale nel
registro delle tutele e comunicata entro 10 giorni all’ufficiale dello stato civile per l’annotazione in
margine all’atto di nascita.
Con la sentenza di interdizione si dà luogo alla tutela: all’interdetto vengono assegnati un tutore ed un
protutore ai quali si applicheranno le stesse norme regolanti la tutela del minore. Per la scelta del tutore
dell’interdetto il giudice tutelare deve individuare la persona più idonea all’incarico.
Circa la durata della tutela, nessuno è tenuto a continuare l’incarico oltre i 10 anni, ad eccezione del
coniuge, della persona stabilmente convivente, degli ascendenti o dei discendenti.
Le conseguenze della interdizione giudiziale maggiormente rilevanti attengono alla drastica limitazione
della capacità di agire, sia sotto il profilo personale che patrimoniale, in quanto l’interdizione giudiziale
consegue ad una valutazione di globale inettitudine del soggetto a provvedere ai propri interessi.
Sotto il profilo personale al tutore compete la cura della persona dell’interdetto, comprensiva dell’obbligo
di provvedere al mantenimento, all’istruzione e all’educazione dell’interdetto stesso.
Sotto il profilo patrimoniale si registra una modificazione in quanto in precedenza, per effetto della
interdizione giudiziale, l’interdetto veniva del tutto privato della capacità di agire (incapacità generale).
Pertanto gli atti di ordinaria amministrazione venivano compiuti dal tutore, quale rappresentante legale
dell’interdetto. In considerazione della condizione personale dell’incapace, a costui potrà essere riconosciuta
una limitata capacità di agire a taluni atti di ordinaria amministrazione e potrà essere autorizzato a
compierli da solo o con l’assistenza del tutore. E’ inoltre preclusa la possibilità all’interdetto di fare
testamento, oltre che di effettuare donazioni.

13. Inabilitazione.
Può essere inabilitato il maggiore di età infermo di mente, il cui stato non è talmente grave da dar luogo
ad interdizione; possono altresì essere inabilitati coloro che per abuso abituale di bevande alcoliche o di
stupefacenti, espongano la loro famiglia a gravi pregiudizi economici. Possono infine essere inabilitati il
sordomuto ed il cieco dalla nascita o dalla prima infanzia, se non hanno ricevuto una educazione
sufficiente, a meno che questi non risultino addirittura del tutto incapaci di provvedere ai propri interessi.
E’ quindi una forma di limitazione della capacità di agire meno grave dell’interdizione giudiziale.
L’inabilitazione può essere promossa su istanza dello stesso soggetto interessato o della persona con lui
stabilmente convivente; gli effetti della inabilitazione si producono dalla pubblicazione della relativa
sentenza e la revoca ha efficacia a partire dal momento del passaggio in giudicato della sentenza di revoca;
la sentenza di inabilitazione e l’eventuale sentenza di revoca sono annotate nel registro delle curatele ed
annotate in margine all’atto di nascita.
Con la sentenza di inabilitazione si dà luogo alla curatela; viene nominato un curatore all’inabilitato
che avrà gli stessi poteri del curatore del minore emancipato. Tali poteri avranno pertanto un contenuto
esclusivamente patrimoniale e l’esercizio degli stessi viene regolato dalle stesse norme dettate in materia di
curatela dei minori emancipati.
L’inabilitato compie da solo gli atti di ordinaria amministrazione; può con l’assistenza del curatore,
riscuotere capitali sotto la condizione di un idoneo reimpiego e può stare in giudizio; gli atti eccedenti
l’ordinaria amministrazione sono compiuti dall’inabilitato col consenso del curatore, previa
autorizzazione del giudice tutelare. Mentre l’interdetto non può fare testamento, all’inabilitato tale
possibilità non è preclusa.

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14. Amministrazione di sostegno.
L’istituto dell’amministrazione di sostegno si pone, tra le forme di protezione del soggetto in condizioni di
menomazione, come alternativa rispetto alle tradizionali figure di interdizione giudiziale ed inabilitazione.
L’istituto dell’amministrazione di sostegno ha la finalità di tutelare, con la minore limitazione possibile della
capacità di agire, la persona priva di autonomia nell’espletamento delle funzioni della vita quotidiana,
mediante interventi di sostegno temporaneo o permanente.
Presupposto per l’assegnazione di un amministratore di sostegno al soggetto è l’impossibilità, anche
parziale o temporanea, di provvedere ai propri interessi dovuta ad infermità oppure menomazione fisica
o psichica.
Nel corso del procedimento il giudice tutelare deve sentire personalmente la persona cui il procedimento si
riferisce, recandosi nel luogo in cui questa si trova tenendo conto dei bisogni e delle richieste della persona,
compatibilmente con gli interessi e le esigenze di protezione di questa.
La scelta dell’amministratore di sostegno deve avvenire con riguardo alla cura ed agli interessi del
beneficiario, e può essere designato dallo stesso beneficiario, in previsione della propria eventuale futura
incapacità, mediante atto pubblico o scrittura privata autenticata.
In mancanza di nomina da parte dello stesso beneficiario, il giudice tutelare sceglierà l’amministratore di
sostegno tra i soggetti più vicini al destinatario del provvedimento: coniuge, persona stabilmente convivente,
genitori, figlio, parenti entro il 4° grado.
L’amministratore di sostegno deve svolgere i suoi compiti tenendo conto dei bisogni e delle aspirazioni del
beneficiario e deve informare il beneficiario circa gli atti da compiere.
Quanto alla capacità del soggetto sottoposto ad amministrazione di sostegno, questi conserva la capacità di
agire per tutti gli atti che non richiedono la rappresentanza esclusiva o l’assistenza dell’amministrazione di
sostegno. L’art. 409 prevede che il beneficiario dell’amministrazione di sostegno può in ogni caso compiere
gli atti necessari a soddisfare le esigenze della propria vita quotidiana.
Mentre l’amministrazione di sostegno comporta una limitazione relativa solo a singoli atti o categorie di
atti, individuati dal giudice nel provvedimento di nomina dell’amministratore, l’interdizione giudiziale e la
inabilitazione determinano una compressione della capacità di agire più o meno ampia, a seconda della
gravità del vizio posto a base dell’incapacità non per singoli atti o categorie di atti, bensì in via generale.
Il giudice tutelare nel provvedimento di nomina dell’amministratore di sostegno può disporre che determinati
effetti, limitazioni o decadenze, previsti da disposizioni di legge per l’interdetto o l’inabilitato, si estendano
al beneficiario dell’amministrazione di sostegno, avuto riguardo all’interesse del medesimo.
Quanto alla sorte degli atti compiuti dal beneficiario o dall’amministratore di sostegno, essi sono annullabili
su istanza dell’amministrazione di sostegno, del pubblico ministero, del beneficiario o dei suoi eredi.
L’azione di annullamento si prescrive nel termine di 5 anni a partire dal giorno in cui sia cessato lo stato di
sottoposizione ad amministrazione di sostegno. La cessazione dell’amministrazione di sostegno può
derivare oltre che dalla morte del beneficiario, da un provvedimento di revoca.
Si ricordi anche la possibilità che l’amministrazione di sostegno sia nominato a tempo determinato.

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15. Interdizione legale.
All’interdizione legale sono sottoposti i soggetti condannati all’ergastolo o alla reclusione per un periodo di
tempo non inferiore a 5 anni; in tal caso l’interdizione viene definita legale in quanto costituisce un effetto
che discende automaticamente dalla sentenza di condanna, senza risultare dalla sentenza.
L’interdizione legale non è una forma di protezione in favore di un soggetto incapace di provvedere ai
propri interessi, bensì una pena accessoria rispetto alla condanna principale.
L’interdetto legale subisce sotto il profilo della capacità di agire, limitazioni analoghe a quelle
dell’interdetto giudiziale, con la particolarità che dette limitazioni attengono solamente alla sfera
patrimoniale del condannato e non a quella personale.
La peculiarità dell’interdizione legale può essere colta soprattutto sotto il profilo della sanzione che
colpisce gli atti compiuti dall’interdetto legale: detti atti sono annullabili, ma l’annullamento può essere
chiesto da chiunque vi abbia interesse. Si parla a riguardo di annullabilità assoluta che si contrappone a
quella relativa, la quale può essere fatta valere solo dalla parte nel cui interesse è stabilita dalla legge.

16. Incapacità naturale.


L’incapacità naturale consiste nella incapacità di fatto del soggetto di intendere o di volere, rispetto invece
all’amministrazione di sostegno, l’interdizione giudiziale e l’inabilitazione che conferiscono al soggetto una
condizione legale. E’ incapace naturale colui il quale, pur legalmente capace, non è in grado di valutare la
portata del suo contegno.
L’incapacità di intendere o di volere assume rilievo ai fini della validità dell’atto compiuto, qualora
ricorrano determinate circostanze previste dal legislatore. In particolare, gli atti compiuti da persona che,
sebbene non interdetta si provi essere stata per qualsiasi causa incapace di intendere o di volere al
momento del compimento dell’atto stesso, possono essere annullati su istanza della persona stessa se ne
risulta un grave pregiudizio per l’autore.
Quanto ai contratti conclusi dall’incapace di intendere o di volere, gli stessi possono essere annullati
solo quando per il pregiudizio che ne sia derivato, risulti la malafede dell’altro contraente.
Se l’interdetto compie personalmente un atto al di fuori delle modalità abilitative richieste, l’atto è sempre
annullabile. Qualora lo stesso atto sia compiuto da una persona legalmente capace di agire, ma incapace di
intendere o di volere al momento del compimento dell’atto, esso sarà annullabile solo a condizione che sia
provato il pregiudizio per l’autore, e nell’ipotesi del contratto, la malafede della controparte.
L’azione di annullamento del negozio compiuto dall’incapace di intendere o di volere si prescrive
nel termine di 5 anni dal giorno del compimento dell’atto e non dal giorno in cui sia cessata la causa
dell’incapacità naturale. Il matrimonio, il testamento e la donazione compiuti in stato di incapacità di intere o
di volere sono di per sé annullabili.

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CAPITOLO 2 – DIRITTI DELLA PERSONALITA’
1.Persona e diritti fondamentali; 2. Caratteristiche; 3. Tutela; 4. Dignità della persona; 5. Vita, integrità fisica
e salute; 6. Integrità morale. Onore e reputazione (e relativi limiti:cronaca, critica, satira); 7. Immagine e
corrispondenza; 8. Riservatezza; 9. Trattamento e protezione dei dati personali; 10. Nome; 11. Identità
personale.

1.Persona e diritti fondamentali.


Con l’espressione diritti della personalità (diritti fondamentali) si allude a quei diritti il cui
riconoscimento tende ad assicurare il pieno sviluppo della persona umana, tutelandone gli essenziali interessi
esistenziali; tali sono quelli concernenti l’individuo nella sua fisicità, quanto quelli che valgono a
caratterizzarne la sfera morale nei rapporti con gli altri consociati.
I diritti in questione sono dichiarati senz’altro inviolabili e vengono solo riconosciuti dall’ordinamento per
promuoverne la garanzia: con ciò, da un lato si accoglie l’idea di una loro inerenza alla persona; dall’altro,
si abbandona una visione tendente a considerare la persona e la sua tutela come mero riflesso delle esigenze
di conservazione e di potenziamento dello Stato.
L’attività della persona è poi inquadrata nelle formazioni sociali, nelle aggregazioni dove essa si trova
ad operare (famiglia e organizzazioni con le più diverse finalità: religiose, politiche, sindacali, culturali)
ritenendosi essenziale il loro apporto allo sviluppo della personalità, a condizione però che la relativa
sanzione si svolga nel rispetto dei valori fondamentali della persona stessa.
In un ordinamento che pone lo sviluppo della persona quale suo obiettivo prioritario finisce col risultare
sfumata la distinzione tra diritti civili e diritti sociali: i diritti civili comportanti una pretesa del titolare al
generalizzato rispetto delle prerogative legate alla propria sfera esistenziale, i diritti sociali finalizzati invece
ad una più compiuta realizzazione della propria personalità attraverso l’altrui intervento.
Mentre ai primi, viene riferita la tutela della vita e dell’integrità fisica, ai secondi si riferisce la realizzazione
di esigenze come quelle legate alla salute, al lavoro, all’abitazione.
Sul piano pratico ha perso parte della efficacia la contrapposizione tra la tesi pluralistica e quella monistica:
la prima tendente a valorizzare la pluralità dei diritti della personalità come espressione della peculiarità delle
esigenze di tutela; l’altra favorevole alla sussistenza di un unico diritto della personalità avente ad oggetto
quale valore unitario, la persona in quanto tale.

2. Caratteristiche.
Una volta considerati quali veri e propri diritti soggettivi, i diritti della personalità vengono annoverati tra i
diritti assoluti. Ad essi risulta connaturale la pretesa del titolare, nei confronti della generalità dei consociati
all’altrui astensione da qualsiasi violazione dell’interesse tutelato.
All’inerenza alla persona si ricollega il loro carattere di diritti innati, per cui essi rappresentano un
patrimonio sussistente; di qui anche la imprescrittibilità di tali diritti, essendo il soggetto ammesso a
rivendicarne la titolarità a prescindere dal mancato esercizio. All’inerenza si ricollega anche
l’intrasmissibilità, da intendere nel senso che la possibilità di esercizio di simili diritti è destinata a
venire meno con la morte del titolare. Più delicato si presenta il problema del riconoscimento dei caratteri
di indisponibilità e non patrimonialità ai diritti in questione.
La stretta inerenza alla persona si pone alla base della tradizionale conclusione dell’insussistenza di un potere
generale del soggetto di incidere con propri atti, sulla titolarità di simili diritti (indisponibilità), non
ritenendosi essergli consentito cederli ad altri (inalienabilità) o rinunziarvi (irrinunciabilità).
Se la tolleranza di limitazioni dei diritti della personalità trova minori resistenze quando essa sia motivata da
forti stimoli di solidarietà, i termini della questione si presentano più controversi di fronte alla
“commercializzazione” di aspetti della personalità. Si tratta della problematica relativa alla connotazione in
termini di non patrimonialità dei diritti in esame, ricollegata a quella della loro indisponibilità.

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La tutela dei diritti della personalità compete anche agli enti (riconosciuti come persona giuridica o non
riconosciuti), come riflesso dell’attribuzione ad essi della qualità di soggetto di diritti e della loro dignità
costituzionale di “formazioni sociali” funzionali allo sviluppo della personalità umana.

3. Tutela.
L’attenzione alle esigenze della persona ha condotto all’individuazione di nuovi strumenti di tutela.
a)Ove si consideri la tipologia degli interessi in gioco, appare chiaro privilegiare un modello di tutela
preventiva atta ad evitare la lesione o, almeno a minimizzarne gli effetti, piuttosto che un modello di tutela
successiva in quanto indirizzata alla riparazione degli effetti della lesione.
Lo strumento che si presenta come funzionale alla tutela di interessi di carattere esistenziale, risulta l’azione
inibitoria con cui si tende ad impedire lo stesso evento lesivo, prevenendo la condotta idonea a determinarlo,
evitando che il suo protrarsi aggravi la lesione degli interessi protetti.
Una tutela di tipo inibitorio viene contemplata in materia di protezione dei dati personali.
L’efficacia della tutela inibitoria è accresciuta dalla possibilità per l’interessato di chiedere l’adozione di
un provvedimento di natura cautelare: ai sensi dell’ art. 700 c.p.c. chi teme che il proprio diritto sia
esposto ad un pregiudizio imminente ed irreparabile nel tempo occorrente per far valere il proprio diritto in
via ordinaria, può chiedere che il giudice emani i provvedimenti d’urgenza più idonei ad assicurare una sua
tutela provvisoria, in attesa delle decisione definitiva.
Il ricorso ad una simile tutela cautelare ha finito col costituire il principale baluardo contro la violazione dei
diritti della personalità, per la celerità dello strumento e per la relativa peculiare duttilità.
b) Ulteriori strumenti di tutela degli interessi relativi alla sfera morale del soggetto sono rappresentati dalla
pubblicazione della sentenza in uno o più giornali nonché dal diritto di rettifica come disciplinato ed
esteso con i necessari adattamenti all’informazione radiotelevisiva.
c) Anche in conseguenza della lesione di diritti della personalità, opera il rimedio del risarcimento del
danno. Problema delicato è quello relativo ai criteri di determinazione del danno patrimoniale risarcibile,
nel caso in cui altro ne abbia profitto indebitamente. Il diritto di verifica come strumento di bilanciamento
tra l’interesse del pubblico ad essere informati e l’interesse della persona fisica o giuridica a non essere lesa
nella propria identità personale, non può ritenersi rispettato se la pubblicazione della rettifica avvenga con
modalità o commenti tali da accrescere la lesione dell’identità personale.

4. Dignità della persona.


La pretesa al rispetto della dignità del soggetto in quanto persona, rappresenta il tessuto connettivo della
tutela della persona umana nella globalità delle sua manifestazioni. L’enunciazione dell’art. 2 Cost.
si riconnette all’esigenza di assicurare, contro le aggressioni ad essa portate, la salvaguardia del rispetto
della dignità umana quale valore fondante, vero e proprio filtro attraverso cui verificare l’apprezzabilità
di ogni altro valore.
Il costante riferimento al rispetto della dignità umana, costituisce il parametro essenziale cui riferire qualsiasi
valutazione di interessi ruotanti intorno alla persona per assicurare il bilanciamento di esigenze
eventualmente in conflitto. Ciò assume particolare rilevanza nei confronti dei soggetti che si vengono a
trovare coinvolti in una situazione di debolezza nei rapporti con altri, come il lavoratore o il malato.
La dignità umana, una volta assunta come giustificazione della stessa inviolabilità dei diritti umani,
costituisce un valore il cui rispetto non può essere rimesso alle determinazioni dell’interessato, essendo la
relativa disponibilità destinata ad incontrare limiti invalicabili.

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5. Vita, integrità fisica e salute.
a) La tutela del diritto alla vita è affidata alla legislazione penale dalla quale si evince la sua indisponibilità.
In relazione alla competenza del diritto alla vita si presenta la discussione circa la posizione del concepito
ed il riconoscimento di una sua soggettività concernente la titolarità dei diritti fondamentali.
b) Anche il diritto all’integrità fisica trova tutela nella legislazione penale attraverso lo strumento del
risarcimento del danno; il diritto all’integrità fisica è disciplinato nel codice civile sotto il profilo dei limiti
alla sua disponibilità.
L’art. 5 vieta gli atti di disposizione del proprio corpo quando da essi possa derivarne una diminuzione
permanente dell’integrità fisica, oppure quando siano contrari alla legge, all’ordine pubblico o al buon
costume. Entro i limiti in cui risultano consentiti, gli atti di disposizione del proprio corpo devono avere
sempre alla loro base il consenso libero e consapevole del soggetto e non sono mai suscettibili di
esecuzione forzata in forma specifica.
Diminuzioni permanenti dell’integrità fisica possono conseguire ai trattamenti medici.
L’essere l’intervento terapeutico finalizzato ad un miglioramento complessivo delle condizioni di vita del
soggetto consente di superare le limitazioni poste dall’art. 5, a condizione che l’intervento stesso abbia alla
sua base il consenso dell’interessato (e tale consenso deve essere frutto di una consapevole adesione alla
proposta terapeutica: si deve cioè trattare di un consenso informato).
Il carattere di necessaria volontarietà dell’intervento non consente di intervenire contro la volontà espressa
dal soggetto il quale, può rifiutare le cure nell’esercizio della sua libertà personale; un simile rifiuto,
legittimo quando concerna la propria persona, non può riguardare l’integrità fisica di un altro soggetto in
condizioni di incapacità (come nell’ipotesi dei genitori che, per proprie convinzioni religiose intendono
vietare interventi medici sui figli). Al tema del rifiuto della terapia si collega quello delle cd. direttive
(o disposizioni) anticipate, ossia quelle manifestazioni di volontà in ordine alle possibili opzioni
terapeutiche (con riferimento all’eventuale sospensione delle tecniche artificiali di sostentamento).
c) Il diritto alla salute in quanto fondamentale diritto dell’individuo trova tutela non solo nei confronti
dello Stato, ma anche nei rapporti intersoggettivi. Nei confronti dello Stato, alla garanzia della salute è
finalizzata quella di carattere ambientale, diretta a prevenire e a reprimere le diverse attività inquinanti.
Quanto ai rapporti intersoggettivi, il diritto alla salute trova tutela attraverso lo strumento del risarcimento
del danno.
d)Il rispetto della dignità umana giustifica anche l’attenzione che l’ordinamento ha per il cadavere tutelando
il sentimento collettivo di pietà, oppure riconoscendo al soggetto vivente un potere di determinare con una
manifestazione di volontà, la sorte delle proprie spoglie.

6. Integrità morale. Onere e reputazione (e relativi limiti: cronaca, critica, satira).


Il rispetto all’integrità morale consente la delineazione di una serie di profili di tutela della personalità.
Onere, reputazione, immagine, riservatezza compongono il complesso quadro della personalità morale del
soggetto. L’onore e la reputazione trovano la loro tutela sul piano penale attraverso la repressione dei reati
di ingiuria e diffamazione.
La dignità morale della persona viene riguardata dal punto di vista soggettivo e oggettivo (si parla anche di
onore in senso soggettivo e oggettivo), ossia da una parte, quale considerazione che il soggetto ha di se
stesso; dall’altra, quale considerazione di cui il soggetto gode nella comunità nel cui contesto opera.
La giurisprudenza civile ha affermato l’esistenza di un diritto alla reputazione personale, quale diritto
soggettivo perfetto.
Il diritto alla cronaca è espressione della libertà di stampa presidiata dall’art. 21 Cost. La sua legittimità
viene ricollegata al rispetto di alcune condizioni essenziali che ne rappresentano i limiti invalicabili a
salvaguardia della dignità della persona oggetto di attenzione (limiti del pubblico interesse, della verità,
della continenza).

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Con il diritto di cronaca si intreccia il diritto di critica finalizzato alla valutazione di fatti ed opinioni altrui,
svincolato dai limiti caratterizzanti il diritto di cronaca (soprattutto con riferimento a quello della continenza,
concernente il modo civile della manifestazione del pensiero).

7. Immagine e corrispondenza.
L’immagine costituisce col nome un aspetto della personalità già preso in considerazione dal codice civile
vigente (art. 10).
Col diritto all’immagine viene tutelato l’interesse del soggetto ad esprimere il consenso alla diffusione
del prototipo ritratto. Esso salvaguarda un aspetto intimo della vita privata, assicurando il rispetto
dell’identità sociale della persona. Il diritto all’immagine si ricollegava nel disegno codicistico al diritto
sulla propria corrispondenza concernente la protezione del diritto d’autore e di altri diritti connessi al suo
esercizio.
L’art. 10 vieta l’abuso dell’immagine altrui, attribuendo all’interessato la possibilità di chiederne la
cessazione, salvo il riconoscimento del danno. Il principio fondamentale è quello secondo cui il ritratto della
persona non può essere divulgato senza il suo consenso; non solo il consenso è reputato sempre revocabile,
ma la sua efficacia è da considerare ristretta al tempo, allo scopo e alle modalità di diffusione consentita.
La riproduzione e la diffusione dell’immagine può avvenire a prescindere dal consenso della persona
ritratta se giustificata dalla notorietà o dall’ufficio pubblico ricoperto da necessità di giustizia, da scopi
scientifici, didattici o culturali.
La notorietà può essere invocata solo con riferimento all’ambito territoriale in cui essa esiste ed in
connessione con l’attività o le circostanze cui si ricollega la notorietà stessa; la notorietà non giustifica
una diffusione dell’immagine fatta per sfruttarla a scopo di lucro. La riproduzione può avvenire liberamente,
ove collegata ai fatti, avvenimenti, cerimonie di interesse pubblico o svoltisi in pubblico.
La tutela dell’immagine della persona alle generali esigenze di salvaguardia della sua intimità e di rispetto
della sua identità sociale, senza il relativo consenso risulta operabile congiuntamente alla lesione del diritto
alla riservatezza e del diritto all’identità personale.
La pubblicazione non autorizzata della fotografia di una persona è lesiva non solo del suo diritto
all’immagine, ma anche del suo diritto all’identità personale, ove possa indurre il pubblico a credere che
il soggetto ripreso abbia aderito ai valori espressi nella pubblicazione. L’abuso dell’immagine può avvenire
anche attraverso il ricorso ad un sosia i cui atteggiamenti potrebbero ledere l’identità personale del soggetto.
L’art. 10 prevede che anche i prossimi congiunti (coniuge, figli, genitori) possano invocare la tutela del
diritto di immagine: il congiunto sembra qui essere ammesso a far valere un proprio interesse di carattere
morale ove ne ritenga avvenuta la lesione a seguito della pubblicazione. Dopo la morte della persona
ritrattata, i prossimi congiunti sono ammessi a far valere la tutela del diritto alla sua immagine; tale regola
vale anche in materia di diritti relativi alla corrispondenza.

8. Riservatezza.
L’esigenza di porre la sfera privata del soggetto al riparo dalle ingerenze altrui è stata avvertita in dipendenza
dello sviluppo dei mezzi di comunicazione di massa. Il riconoscimento del diritto alla riservatezza ha
garantito in modo comprensivo l’intangibilità dell’intimità della vita privata della persona, la quale può
riuscire a svilupparsi in piena libertà e senza condizionamenti intollerabili.
Tale diritto concerne la tutela di quelle situazioni e vicende strettamente personali e familiari, le quali non
hanno per i terzi un interesse socialmente apprezzabile contro le ingerenze che non siano giustificate da
interessi pubblici preminenti.

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9. Trattamento e protezione dei dati personali.
L’ art. 2 del D.Lgs. n. 196, relativo al trattamento dei dati personali, enuncia le finalità del provvedimento
consistenti nel garantire che il trattamento dei dati personali si svolga nel rispetto dei diritti e delle libertà
fondamentali nonché della dignità dell’interessato, con particolare riferimento alla riservatezza, all’identità
personale e al diritto alla protezione dei dati personali.
La disciplina del trattamento dei dati personali è intesa in senso ampio (qualunque operazione, o
complesso di operazioni, effettuate anche senza l’ausilio di strumenti elettronici, concernenti la raccolta,
la registrazione, l’organizzazione, la conservazione, la selezione e la distruzione di dati, anche se non
registrati in una banca dati).
Per dato personale si considera qualunque informazione relativa a persona fisica, giuridica, ente oppure
associazione, identificati o identificabili mediante riferimento a qualsiasi altra informazione.
Peculiari regole sono stabilite per i dati sensibili, ossia per i dati personali idonei a rivelare l’origine razziale
ed etnica, le convinzioni religiose, l’adesione a partiti, sindacati, associazioni, nonché i dati personali idonei
a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale.
Principio generale (art. 23) è quello per cui solo il consenso dell’interessato legittima il trattamento di
dati personali. Per i dati sensibili oltre al consenso dell’interessato, occorre anche l’autorizzazione del
garante.
L’interessato ha il diritto di accesso ai suoi dati personali, in modo da essere messo in grado di conoscerne
l’esistenza e le finalità del relativo trattamento, allo scopo di ottenere la modificazione e la cancellazione dei
dati che lo riguardano oppure di opporsi al trattamento.

10. Nome.
Il nome come essenziale segno distintivo e identificativo del soggetto, viene disciplinato per la tutela
dell’interesse della persona alla propria identificazione sociale. Si tratta di un diritto fondamentale della
persona dimostrato dall’art. 22 Cost., il quale prevede che nessuno per motivi politici può essere privato
del nome (oltre che della capacità giuridica e della cittadinanza).
Nel nome si comprendono il prenome ed il cognome.
Il prenome (spesso indicato come nome) è destinato ad individuare il soggetto nel contesto del gruppo
familiare; la relativa scelta compete ai genitori congiuntamente all’ufficiale dello stato civile.
Il cognome viene acquistato in applicazione dell’operatività di regole legali aventi riguardo al rapporto di
filiazione. In caso di filiazione legittima, il figlio assume il cognome paterno sulla base di una regola non
espressa ma immanente nel sistema e ricavabile dal complessivo sistema delle norme in materia, tutte
ispirate al principio della prevalenza; in caso di filiazione naturale invece, il figlio assume il cognome del
genitore che per prima lo abbia riconosciuto con la prevalenza di quello paterno.
La moglie per effetto del matrimonio aggiunge il cognome del marito al proprio e lo conserva nello stato
vedovile, fino alle eventuali nuove nozze; lo conserva anche in caso di separazione personale, ma il giudice
può vietarne l’uso, così come autorizzare la moglie a non usarlo.
Col divorzio la donna perde il cognome maritale ma può essere autorizzata a conservarlo, ove ricorra un
interesse apprezzabile suo o dei suoi figli.
La modificazione del nome è consentita solo nei casi previsti dalla legge; il cambiamento volontario del
cognome è ammesso solo a seguito di una procedura regolata con decreto di concessione del Ministro
dell’Interno. La tutela del diritto al nome è assicurata dall’art. 7 con gli strumenti già esaminati in materia
di diritti della personalità; tale tutela si ritiene spettare, anche agli enti.

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L’art. 9 estende allo pseudonimo la tutela accordata al nome, ove abbia acquistato l’importanza del nome;
con tale si intende un nome che in sostituzione del nome civile, il soggetto utilizza come proprio mezzo di
identificazione personale. Esso è quindi tutelato quale segno distintivo della persona al pari del nome,
condividendone la natura di diritto della personalità.
Caratteristica dello pseudonimo è quella di costituire un modo di autodesignazione del soggetto che lo
distingue dal soprannome, quale modo di designazione del soggetto attribuitogli dagli altri in un certo
ambito sociale.

11. Identità personale.


L’esigenza di garantire che la personalità del soggetto sia rappresentata in modo fedele e completo, ha
condotto alla delineazione del diritto all’identità personale.
Col riconoscimento del diritto alla identità personale si è voluto assicurare la tutela della proiezione
sociale della personalità dell’individuo, cioè del suo interesse ad essere rappresentato nella vita di relazione
con la sua vera identità, senza che ne risulti modificato, offuscato o alterato il proprio patrimonio
intellettuale, ideologico, etico, già estrinsecatosi o da estrinsecarsi nell’ambiente sociale.
Il diritto alla identità personale trova una specificazione in considerazione del rispetto dovuto all’identità
sessuale del soggetto quale rilevante manifestazione della personalità nei rapporti sociali.

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CAPITOLO 3 – ENTI
-A) PROFILI GENERALI. 1. Persona fisica e persona giuridica; 2. Elementi costitutivi. Ente e soggettività
giuridica; 3. Tipologia degli enti; 4. Riconoscimento; 5. Capacità; 6. Attività; 7. Responsabilità per illecito;
-B) FIGURE. 8. Associazione riconosciuta; 9. Associazione non riconosciuta; 10. Fondazione;
11. Estinzione della persona giuridica. Liquidazione e devoluzione dei beni. Trasformazione; 12. Comitato;
13. Gli enti non profit nella legislazione speciale.

A)PROFILI GENERALI
1. Persona fisica e persona giuridica.
La persona fisica non è l’unica entità dotata di capacità giuridica, ossia considerata in grado di essere
titolare di situazioni giuridiche. Accanto alle persone fisiche si collocano gli enti, ossia le organizzazioni di
beni e di persone cui l’ordinamento riconosce la qualità di centri di imputazioni di situazioni giuridiche
soggettive al pari delle persone fisiche.
La motivazione che induce l’ordinamento a considerare gli enti quali soggetti di diritto distinti dalle persone
fisiche che ne promuovono la formazione e ne assicurano il funzionamento, sembra radicarsi nella
constatazione che il singolo può perseguire solo una certa gamma di interessi, ma non può spingersi fino alla
realizzazione di quegli ulteriori interessi che necessitano invece di un’organizzazione di gruppo.
Una evoluzione della materia è conseguita con il nuovo sistema delineato dalla Costituzione, la quale,
nel porre la persona al centro dell’ordinamento come privilegiato punto di riferimento, ha riconosciuto il
carattere che le formazioni sociali e la relativa attività sono idonee ad apportare allo sviluppo della
personalità dell’uomo ed all’esercizio dei suoi diritti fondamentali.
La conseguente diffusione delle organizzazioni di gruppo si pone alla base di un atteggiamento mutato da
parte del legislatore il quale pare oggi deciso ad incentivare il ricorso alle più diverse forme di aggregazione.

2. Elementi costitutivi. Ente e soggettività giuridica.


Gli elementi costitutivi della persona giuridica sono distinti in una componente materiale
(il cd. substrato materiale) comprensiva di persone, patrimonio e scopo, e in una componente formale
(il riconoscimento).
Ai fini dell’esistenza della persona giuridica, appare immancabile la sussistenza di persone fisiche, portatrici
di interessi non perseguibili attraverso l’azione individuale del singolo: è questo l’elemento personale.
Di qui l’esigenza che la persona giuridica sia dotata di una massa di beni che possa sostenere il peso dello
svolgimento dell’attività istituzionale dell’ente: è questo il patrimonio.
L’aggregazione di persone e di beni avviene per la realizzazione di determinate finalità che possono essere
le più varie: è questo lo scopo.
A tutti questi elementi viene dato rilievo mediante il riconoscimento da parte dell’ordinamento giuridico
come momento formale di attribuzione della personalità giuridica.
Al concetto di personalità giuridica si sostituisce quello di soggettività giuridica che dovrebbe includere
nel gruppo dei soggetti giuridicamente capaci le persone fisiche, le persone giuridiche, e gli enti non
riconosciuti quali persone giuridiche.
L’espressione persona giuridica, che si proponeva come alternativa concettuale alla nozione di persona
fisica, finisce col limitarsi ad indicare solo un particolare profilo di disciplina dell’ente riconosciuto rispetto a
quello non riconosciuto.

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3. Tipologia degli enti.
Oggi si continuano a proporre alcune classificazioni degli enti in considerazione dello scopo dell’ente
e della sussistenza o meno del riconoscimento.
a)Una prima classificazione risulta essere quella tra enti pubblici (persone giuridiche pubbliche) ed enti
privati (persone giuridiche private), ricollegata allo scopo dell’ente: persone giuridiche pubbliche
dovrebbero reputarsi quelle che perseguono fini di rilevanza generale, di carattere pubblico, in
contrapposizione alle persone giuridiche private che invece per loro natura perseguono scopi di carattere
privato e non di rilevanza generale.
Gli enti pubblici a loro volta si distinguono in enti pubblici territoriali (Stato, Regioni, Città
metropolitane, Province e Comuni) ed enti pubblici non territoriali a seconda della sussistenza o meno
di un legame della rispettiva attività con una determinata sfera territoriale.
b) Altra distinzione è quella tra enti lucrativi ed enti non lucrativi; gli enti non lucrativi, anche definiti
enti con scopi ideali o morali (o non profit) sono le associazioni, le fondazioni ed i comitati mentre gli
enti lucrativi sono invece le società, il cui scopo lucrativo è di dividere gli utili prodotti dal comune
esercizio di un’attività economica.
c) Anche la classificazione degli enti in enti riconosciuti ed enti non riconosciuti come persona giuridica
(cd. enti di fatto) ha perso importanza: l’unica sostanziale differenza di disciplina degli enti riconosciuti
rispetto agli enti non riconosciuti attiene al diverso regime di responsabilità per le obbligazioni assunte in
nome e per conto dell’ente stesso.
Enti riconosciuti come persone giuridiche sono le associazioni riconosciute, le fondazioni ed i comitati
riconosciuti; enti non riconosciuti sono invece le associazioni non riconosciute ed i comitati non riconosciuti.

4. Riconoscimento.
Al sistema di riconoscimento normativo previsto per le società di capitali, in base al quale queste ultime
acquistano la personalità giuridica con l’iscrizione nel registro delle imprese, si contrapponeva il sistema di
riconoscimento concessorio, per cui associazioni, fondazioni e comitati acquistavano la capacità giuridica
mediante il riconoscimento concesso con decreto del Presidente della Repubblica.
L’acquisto della personalità avviene in modo automatico essendo subordinata l’iscrizione nel registro delle
imprese solo ad una verifica da parte dell’ufficio del registro delle imprese, della regolarità formale della
documentazione depositata dal notaio che ha ricevuto l’atto costitutivo.
L’attribuzione della personalità giuridica secondo il sistema concessorio era rimessa ad una valutazione
discrezionale da parte della Pubblica Amministrazione, sfociante nel provvedimento dell’organo di vertice
dell’organizzazione statale, concernente lo scopo e la congruità del patrimonio dell’ente, rispetto ad esso.
Al riconoscimento seguiva la registrazione, ossia l’iscrizione dell’ente nell’apposito registro; l’ente
pertanto acquistava la capacità giuridica per effetto del riconoscimento dalla registrazione, derivandogli
poi autonomia patrimoniale perfetta.
Nel passaggio dal sistema originario a quello attualmente vigente, è venuta meno quella duplicazione di fasi,
caratteristica del sistema previgente (riconoscimento e registrazione), che comportava una differenziazione
dei due momenti dell’attribuzione della personalità giuridica e dell’acquisizione dell’autonomia patrimoniale
perfetta, in quanto oggi l’ente acquista la personalità giuridica al momento dell’iscrizione nel registro delle
persone giuridiche e nello stesso momento acquista anche l’autonomia patrimoniale perfetta.

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5. Capacità.
Dal punto di vista patrimoniale l’ente ha una capacità giuridica analoga a quella delle persone fisiche;
alla persona giuridica risulta riferibile anche la titolarità di situazioni giuridiche soggettive di contenuto
non patrimoniale, tutelate al pari di quelle corrispondenti della persona fisica.
L’ente a differenza della persona fisica, non ha l’idoneità ad essere titolare delle situazioni giuridiche
soggettive che presuppongono la fisicità del soggetto.
In campo patrimoniale sono scomparsi preclusioni ed ostacoli che in passato limitavano la capacità
dell’ente; venuta meno questa restrizione, associazioni e fondazioni hanno oggi la piena capacità di compiere
acquisti immobiliari e di beneficiare di attribuzioni a titolo gratuito, senza che la consistenza patrimoniale
dell’ente debba essere spesso sottoposta ad un controllo di carattere pubblicistico.

6. Attività.
L’esercizio della capacità di agire di cui l’ente risulta fornito è reso possibile dai suoi organi; la
delineazione del concetto di organo, affonda le sue radici in quelle teorie che individuavano nella persona
giuridica una entità realmente esistente, al pari della persona fisica.
Sono gli organi a permettere all’ente di formare la propria volontà e di proiettarla all’esterno.
Con riguardo all’attività negoziale dell’ente, il compito di proiettare all’esterno la sua volontà è demandato
all’organo amministrativo. Sono gli amministratori quali organi dell’ente, che consentono all’ente stesso di
intrecciare rapporti negoziali.
La determinazione della volontà dell’ente può spettare all’assemblea, organo peculiare degli enti di tipo
associativo o agli stessi amministratori, cui compete concretizzare la volontà promanante dal fondatore.
Il fenomeno in base al quale l’attività negoziale posta in essere dall’organo dell’ente viene imputata all’ente
stesso, prende il nome di rappresentanza organica imputata direttamente all’ente stesso.

7. Responsabilità per illecito.


In relazione agli atti illeciti compiuti dai propri organi nell’esercizio delle loro attribuzioni istituzionali,
l’ente risponde indirettamente; l’ente dovrebbe reputarsi come committente del proprio organo, e quindi,
responsabile per fatto illecito altrui.
Oggi si tende a configurare una responsabilità diretta dell’ente per gli illeciti commessi da suoi organi.
Per la giurisprudenza l’ente (pubblico o privato) è considerato responsabile per i fatti illeciti a titolo di
responsabilità diretta in virtù del rapporto organico che immedesima l’attività degli organi con quella
dell’ente.

B) FIGURE
8. Associazione riconosciuta.
L’associazione riconosciuta rappresenta la fattispecie di ente assunta dalla dottrina quale modello per la
formulazione delle teorie della persona giuridica.
Nell’associazione riconosciuta sono presenti tutti quei tratti generalmente reputati elementi costitutivi della
persona giuridica (persone, patrimonio, scopo, riconoscimento).
Il ruolo dell’associazione riconosciuta sembra assumere un diverso peso con riferimento al modello
dell’associazione non riconosciuta, la quale non è più sottoposta a quelle limitazioni di azione che rendevano
maggiormente appetibile il riconoscimento; questo perche l’unica differenza sussistente tra l’associazione
riconosciuta e quella non riconosciuta è da individuarsi nella disciplina della responsabilità per le
obbligazioni che fanno capo all’ente.
A rispondere delle obbligazioni stesse con il proprio patrimonio è esclusivamente l’associazione
riconosciuta (autonomia patrimoniale perfetta) mentre le associazioni non riconosciute sono invece
caratterizzate da un’autonomia patrimoniale imperfetta.

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L’associazione riconosciuta nasce mediante il contratto associativo, che deve rivestire la forma dell’atto
pubblico; il contratto associativo è una tipica ipotesi di contratto plurilaterale caratterizzato da una struttura
aperta, nel senso che ad esso possono aderire altri contraenti.
Si distingue poi l’atto costitutivo che racchiude la volontà dei contraenti di dare vita all’ente individuando i
principali elementi caratterizzanti l’ente stesso dallo statuto, che contiene le norme destinate a regolare la
futura vita ed il funzionamento dell’ente. Le disposizioni dello statuto e dell’atto costitutivo di una persona
giuridica sono regolate dai principi generali del negozio giuridico.
Lo scopo rappresenta l’elemento che giustifica l’aggregazione del gruppo di persone che danno vita all’ente,
assicurandone la necessaria coesione. Il contratto associativo si caratterizza per essere le prestazioni degli
associati dirette al perseguimento di uno scopo collettivo, da realizzarsi attraverso lo svolgimento in comune
di un’attività, trovando ogni contraente il corrispettivo della propria prestazione nella partecipazione al
risultato a cui tende l’intera associazione. Lo scopo dell’associazione deve essere non lucrativo.
Elementi costitutivi dell’associazione riconosciuta sono l’elemento patrimoniale (patrimonio) e
l’elemento personale (persone). Nell’associazione il rapporto tra questi due elementi si atteggia in modo tale
da conferire prevalenza al profilo personale su quello patrimoniale: è proprio questo il principale tratto
distintivo tra l’associazione e la fondazione, in cui si ritiene prevalere l’elemento patrimoniale.
Gli associati, all’atto della costituzione dell’ente, devono contribuire alla formazione del patrimonio che
assicura all’ente i mezzi economici per lo svolgimento della propria attività
Si è inoltre sottolineata l’importanza dell’elemento personale, in quanto l’associazione non solo nasce per
volontà degli associati che ne determinano le caratteristiche, ma perviene alla formazione delle proprie
determinazioni volitive attraverso l’attività degli associati stessi che si riuniscono nell’assemblea.
L’assemblea è l’organo sovrano dell’associazione all’interno del quale trova espressione la volontà dell’ente
stesso. L’assemblea, alla quale hanno diritto di partecipare tutti gli associati, adotta le decisioni di maggior
rilievo relative all’associazione, fino al mutamento dello scopo dell’ente o allo scioglimento.
L’assemblea deve essere convocata dagli amministratori almeno una volta l’anno per l’approvazione
del bilancio. La determinazione volitiva adottata dall’assemblea viene definita deliberazione, che è atto
collegiale avente natura negoziale.
La deliberazione viene adottata dall’assemblea secondo il principio maggioritario. La regola generale
vuole che le deliberazioni dell’assemblea siano prese a maggioranza di voti e con la presenza di almeno la
metà degli associati; qualora non si raggiunga il quorum richiesto, l’assemblea viene convocata nuovamente
e la deliberazione è valida qualunque sia il numero degli intervenuti.
Può accadere che le determinazioni volitive dell’assemblea siano contrarie alla legge, all’atto costitutivo ed
allo statuto; in tal caso le stesse sono annullabili su istanza degli organi dell’ente, di qualunque associato o
del pubblico ministero.
Altro organo dell’associazione è l’organo amministrativo che può essere monocratico (amministratore
unico) o collegiale (consiglio di amministrazione). L’organo amministrativo ha il compito di gestire le
risorse dell’associazione, di rappresentare l’ente nei confronti dei terzi e di porre in essere tutti gli atti
necessari allo svolgimento della vita dell’ente e alla realizzazione del suo scopo.
Secondo la regola dell’art. 18 gli amministratori sono responsabili verso l’ente secondo le regole del
mandato (in particolare devono eseguire il proprio incarico con la diligenza del buon padre di famiglia).
Per effetto della partecipazione al contratto associativo o della successiva adesione all’ente, il soggetto
acquista lo stato di associato dal quale derivano diritti ed obblighi connessi all’attività dell’ente e quindi
alla realizzazione degli interessi perseguiti dal gruppo degli associati.
Lo statuto dell’ente deve indicare con chiarezza quali siano i diritti e gli obblighi derivanti dalla situazione
di associato nonché le condizioni di ammissione degli associati all’ente. La qualità di associato conferisce al
medesimo il diritto di prendere parte all’attività dell’ente. Tale qualità, salvo che l’atto costitutivo o lo statuto
non dispongano diversamente, è intrasmissibile.

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Quanto al recesso, consistente nello scioglimento del rapporto associativo per volontà dell’associato,
l’art. 24 dispone che l’associato può sempre recedere dall’associazione.
Con riguardo alla esclusione, l’art. 24 pone la regola secondo cui l’esclusione di un associato può essere
deliberata dall’assemblea solo per gravi motivi; contro la delibera di esclusione l’associato può ricorrere
all’autorità giudiziaria entro 6 mesi dal giorno in cui gli è stata notificata la deliberazione di esclusione.

9. Associazione non riconosciuta.


L’unica differenza che distingue in termini di disciplina applicabile l’associazione non riconosciuta
dall’associazione riconosciuta è oggi da individuarsi nel diverso grado di autonomia patrimoniale.
Il modello dell’associazione non riconosciuta ha assunto un ruolo di assoluta centralità nelle formazioni
sociali all’interno delle quali si svolge la personalità dell’uomo.
La tipologia di associazioni non riconosciute appare assai variegato; si pensi alla semplice struttura che può
assumere un’associazione con finalità ricreative per gli associati, rispetto alla complessità delle associazioni
sindacali e dei partiti come immediata conseguenza del ruolo economico-sociale e politico-istituionale
ricoperto dagli stessi nella società contemporanea.
Anche l’associazione non riconosciuta nasce tramite il contratto associativo; vale pertanto quanto già
osservato in relazione alla struttura aperta ed ai caratteri fondamentali di tale contratto.
Una importante differenza si registra sotto il profilo della forma: la costituzione dell’associazione non
riconosciuta non è soggetta a nessuna forma particolare, salvo la forma richiesta dalla legge ai fini della
validità dei singoli apporti degli associati.
L’elemento patrimoniale dell’associazione non riconosciuta è rappresentato dal fondo comune costituito
dai contributi degli associati e dai beni acquistati con i contributi. Il fondo comune appartiene non in
comunione agli associati, bensì all’ente non riconosciuto individuando in quest’ultimo un vero e proprio
soggetto di diritto. Il fondo comune si presenta pienamente assimilabile al patrimonio dell’associazione
riconosciuta. La separazione del patrimonio dell’associazione da quello degli associati risulta evidenziata dal
principio secondo cui, finché l’associazione non riconosciuta dura, i singoli associati non possono chiedere
la divisione del fondo comune né pretendere la quota in caso di recesso.
Il legislatore prevede inoltre la responsabilità dell’associazione non riconosciuta col suo patrimonio (il fondo
comune); ad essa affianca la responsabilità di coloro che hanno assunto l’obbligazione in nome e per conto
dell’ente, che non è respon