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DIRITTO PRIVATO

CAPITOLO 1 IL DIRITTO PRIVATO NEL SISTEMA GIURIDICO


Il diritto privato è l’insieme di regole di condotta finalizzate a garantire l’ordine sociale. Ciascun individuo è,
infatti naturalmente sociale, nella ricerca di cooperazione coi propri simili per la soddisfazione dei bisogni. Per
fare ciò è necessario conoscere cosa è permesso fare, i limiti della propria libertà d’azione e gli obblighi da
rispettare.
Il diritto si occupa di fenomeni della vita economico-sociale come:
- Delle organizzazioni  nate per motivi comuni o generali a più individui, in cui vengono analizzate sia
relazioni interne che esterne
- Dell’uso dei beni  stabilendo chi può usarli e in che modo e limiti possano essere usati
- Dei debiti e dei crediti e dei rapporti nati fra le due parti
- Dei contratti, ovvero il principale strumento per movimentare risorse e realizzare operazioni
economiche
- Dei danni  nel momento in cui un soggetto riceve un’aggressione di un proprio bene il diritto privato
stabilisce se la perdita sia a carico del danneggiato o a carico di altri
- Delle attività economiche organizzate
- Della famiglia, sia negli aspetti personali che economici
- Delle successioni per causa di morte
L’obiettivo del diritto è quindi quello di regolare i rapporti e di indirizzare i comportamenti degli uomini coinvolti
in questi fenomeni.
L’interesse è la tensione dell’uomo verso qualcosa che soddisfi i suoi bisogni. Spesso l’interesse di uno può
risultare in contrasto con quello di un altro, in questi casi si prospetta un conflitto fra i portatori dell’interesse in
contrasto. Il diritto assume perciò due funzioni: risolvere i conflitti (che è di fondamentale importanza per
assicurare la pace sociale) e prevenire i conflitti. Gli interessi non sono solo di carattere economico-materiale ma
anche di tipo morale.

Le interazioni sociali si svolgono anche nel rispetto di norme non giuridiche, come regole morali, etiche o
religiose. La differenza sta nel fatto che al mancato rispetto di una norma giuridica corrisponde sempre una
sanzione disposta da un’altra norma. Es. art 1218 cc responsabilità del debitore

L’insieme delle regole del diritto privato fanno parte dell’ordinamento giuridico, norme giuridiche che
sanciscono valori, principi, modalità d’esercizio di poteri prodotte dal legislatore che dà vita al diritto positivo
(mentre quello soggettivo è il potere di azione che uno ha verso qualcun altro).
L’ordinamento da sempre aspira a formare un ordinamento giusto, il pluralismo di idee e valori impedisce però
la creazione di un modello “giusto”, è necessario quindi relativizzare il concetto di giustizia (intendendolo come
una mediazione fra interessi sociali contrapposti).

La norma giuridica funziona come combinazione di regola e sanzione; la regola è indirizzata a ottenere un dato
comportamento desiderato, la sanzione è invece la conseguenza al mancato rispetto della regola. In alcuni casi la
sanzione serve a ripristinare l’interesse leso (ruolo satisfattivo), in altri ha ruolo compensativo (non compensa
l’interesse leso ma lo sostituisce con un valore economico equivalente), o ruolo punitivo (colpisce un
comportamento riprovevole). Tutte hanno anche un ruolo preventivo.
La norma ha le caratteristiche dell’astrattezza (applicabili a un numero indeterminato di situazioni) e della
generalità (moltitudine di destinatari) e ciò garantisce l’uguale trattamento dei destinatari. Una norma si dice
speciale quando ha una limitazione di generalità e astrattezza, es. contratto dei consumatori, mentre la norma
eccezionale è dettata per situazioni particolari e imprevedibili, come catastrofi naturali.
Le norme si distinguono anche in norme dispositive (la maggior parte) e norme imperative. Le norme dispositive
contengono disposizioni non obbligatorie dai privati, che possono scegliere liberamente di regolamentarsi con
altre regole (es. art 1282cc crediti liquidi). Le norme imperative invece contengono principi ritenuti obbligatori
per i privati.
I principi ispiratori delle norme del diritto privato sono il principio di uguaglianza (art 3 cost) e quello della libertà
individuale (art 13 e ss. cost).

La fattispecie è la tecnica di formulazione delle norme e indica “l’immagine del fatto”, può essere astratta, se fa
riferimento alla descrizione di un fatto generico o concreta se riferita ad un caso specifico. Applicare una norma
significa quindi verificare che la fattispecie concreta sia corrispondente a quella astratta descritta dalla norma.
Un’altra tecnica meno frequente di redazione è la clausola generale (es. art 1375 cc “il contratto dev’essere
eseguito secondo buona fede”), in questo caso nell’applicazione sarà il giudice a dare una valutazione del criterio
generale.
Per poter applicare una norma è necessario prima interpretarla. L’interpretazione è l’attività di identificazione
del significato giusto delle parole che la norma usa per descrivere la fattispecie astratta. L’interpretazione può
essere restrittiva o estensiva, si ricava quindi la possibilità di interpretare la norma come testo o come precetto
(significato da attribuire al testo). Colui che interpreta ha comunque dei margini di libertà e discrezionalità, che
sono minori quando le norme sono formulate in modo analitico e puntuale. L’interprete è comunque tenuto a
spiegare nel dispositivo della sentenza i motivi e le attitudini che l’hanno spinto a interpretarla in quel modo.
È possibile applicare diversi criteri nell’interpretazione: i due più utilizzati sono quello letterale e
quello logico. Il primo utilizza il comune significato delle parole e le frasi nella lingua italiana ed è utile nel
momento in cui i significati sono univoci. Nel caso in cui il termine sia ambiguo viene utilizzato il secondo che
porta a scegliere il significato più vicino all’intenzione del legislatore, si tende quindi a identificare la ratio legis. Il
criterio logico può essere inteso sia in senso soggettivo (anche detto criterio psicologico), analizzando quindi le
opinioni manifeste di chi ha formulato la norma o in senso oggettivo (criterio teologico), identificando lo scopo
che tenta di raggiungere.
Nel momento in cui si presenta una lacuna del diritto viene utilizzata l’analogia (criterio analogico), che consiste
nell’applicare al caso una norma che regola un caso simile (analogia legis); è applicabile a tutte le norme fatta
eccezione per norme eccezionali o penali. Nei rari casi in cui non si trovino norme simili al caso analizzato, ci si
rifà ai principi fondamentali dell’ordinamento, con la cosiddetta analogia iuris.
Esistono diversi tipi di interpretazione, in base al soggetto:
- Autentica  fatta da un’altra norma di grado pari o superiore. È l’unica tipologia che vincola le altre.
- Giudiziale  fatta dai giudici
- Amministrativa  fatta dagli organi della pubblica amministrazione
- Dottrinale  fatta dagli studiosi del diritto

La giurisprudenza è il prodotto dell’attività di interpretazione e applicazione della legge da parte della


magistratura. (non è una fonte!) La sua conoscenza è necessaria per la comprensione della dottrina. Per
conoscere la giurisprudenza esistono appositi strumenti come riviste e repertori di giurisprudenza.
Le norme dell’ordinamento giuridico si distinguono in norme di diritto privato e norme di diritto pubblico. Ad
oggi prevale la distinzione che indica le diverse aspirazioni: il diritto privato si aspira a autonomia delle persone e
parità; mentre il diritto pubblico segue principi di soggezione e subordinazione.
Il diritto privato costituisce un settore ampio e variegato dell’ordinamento giuridico. Il diritto civile è l’area più
corposa ed antica e si occupa di rapporti familiari, successioni, proprietà, crediti e debiti… il diritto commerciale
si occupa dell’esercizio di attività economiche, quello industriale della concorrenza fra imprese, il diritto al lavoro
ai rapporti fra datori e lavoratori e il diritto della navigazione alle attività di trasporto.

(L’istituto giuridico: insieme delle norme giuridiche che regolano un dato fenomeno della vita sociale.)

CAPITOLO 2: LE FONTI DEL DIRITTO PRIVATO


La fonte del diritto è ogni atto o fatto che è considerato idoneo dall’ordinamento giuridico alla produzione di una
norma giuridica. La funzione delle fonti è quella di rinnovare il diritto tramite la creazione di nuove norme. Nel
nostro ordinamento vige il principio di pluralità delle fonti. Le fonti sono organizzate secondo un ordine
gerarchico, dettato dall’art. 1 delle preleggi anche se ad oggi è ampiamente integrato da nuovi fonti.
Le fonti del diritto italiano oggi si possono riassumere cosi:

Costituzione e leggi costituzionali

Trattati sull’Ue, Trattati sul funzionamento dell’Ue e regolamenti europei (direttamente applicabili)
Direttive europee
Leggi ordinarie, decreti legge, decreti legislativi, leggi regionali
(devono essere
recepite)
Regolamenti ministeriali
Usi e consuetudini*
*ripetizione di un comportamento ritenuto dai consociati giuridicamente vincolante. È una fonte marginale,
subordinata a tutte le altre fonti scritte.
Le norme risultano valide solo se prodotte secondo quanto disposto da norme di rango superiore. Per evitare le
antonimie (ovvero contraddizioni) vengono utilizzati diversi criteri, fra cui quello cronologico, gerarchico e di
competenza.

Le principali fonti scritte del diritto privato sono il codice civile, la costituzione e la legislazione speciale.
Il codice civile è preceduto dalle preleggi che riguardano fonti, efficacia e criteri di interpretazione delle norme.
Gli articoli del codice vanno da 1 a 2969 e si dividono in 6 libri: il primo s’intitola delle persone e della famiglia, il
secondo s’intitola delle successioni, il terzo della proprietà, il quarto delle obbligazioni, il quinto del lavoro e il
sesto della tutela dei diritti. In appendice ci sono poi le disposizioni di attuazione e transitorie che specificano le
modalità applicative delle norme del codice stesso.
A queste fonti sono state aggiunte, per la necessità di ricodificare il diritto i cosiddetti codici, ovvero raccolte di
norme relative ad un’unica materia. Es. codice del turismo, della protezione dei dati personali…

CAPITOLO 3: SITUAZIONI GIURIDICHE, DIRITTI SOGGETTIVI, RAPPORTI GIURIDICI


Le situazioni giuridiche soggettive esprimono il modo in cui le norme regolano le possibilità dei soggetti, in
conformità con la graduatoria stabilita fra i loro interessi.
Il soggetto a cui appartiene la situazione giuridica è detto titolare. Il contenuto indica il tipo di interesse che
consentono di realizzare al titolare e il tipo di potere che gli danno.
Si distinguono situazioni giuridiche attive, che esprimono la prevalenza dell’interesse del titolare e passive, che
esprimono invece la subordinazione dell’interesse del titolare.

Fra le situazioni giuridiche attive troviamo:


Il diritto soggettivo è la più importante situazione giuridica attiva ed indica il potere di agire nel proprio interesse
e di pretendere che qualcun altro tenga un determinato comportamento nell’interesse del titolare.
Questa tipologia di diritti si distingue in diverse categorie:
- Pubblici  attribuiscono al titolare la possibilità di incidere sull’organizzazione politica. Es. diritto di voto
- Privati  riguardano poteri che non influiscono sulla società. Es. diritto di proprietà
- Patrimoniali  procurano utilità di natura economica
- Non patrimoniali  procurano utilità diverse dalla sfera economica es. diritto all’onore
- Assoluti  diritti che comportano poteri generali e tendenzialmente illimitati di agire al titolare nei
confronti di tutti gli altri soggetti
- Relativi  comportano poteri più limitati da applicare nei confronti di un’altra persona determinata es.
diritto di credito
- Disponibili  il titolare può liberamente trasferire o rinunciare al proprio diritto.
- Indisponibili  diritti che il titolare non può autonomamente trasferire o rinunciarci. Es. diritto della
persona, al nome, all’immagine, alla salute... Non hanno prescrizione.
I diritti potestativi, altra tipologia di situazione giuridica attiva, sono i poteri riconosciuti al titolare di
determinare una modificazione nella situazione giuridica altrui. Es. diritto di recesso da un contratto.
La facoltà indica la possibilità del titolare di tenere un certo comportamento, compreso nel contenuto del diritto
ma che non lo esaurisce. Rappresenta la possibilità di decidere in che maniera agire fra varie possibilità lecite del
proprio diritto.
L’aspettativa è l’attesa di divenire titolare di un potere. Es. un nascituro

Fra le situazioni negative troviamo invece l’onere, l’obbligazione, la soggezione e il dovere.


L’onere è una situazione in cui un soggetto è obbligato a tenere un determinato comportamento solo se vuole
utilizzare una sua situazione attiva. Es. diritto di garanzia
Il dovere è la controparte del diritto soggettivo assoluto, vieta di tenere determinati comportamenti capaci di
ledere diritti soggettivi altrui.
L’obbligo invece rappresenta un vincolo imposto dall’azione del titolare del diritto soggettivo relativo.
La soggezione è la posizione giuridica passiva relativa al diritto potestativo e implica la possibilità di subire
modifiche al rapporto giuridico senza poterlo impedire.
La relazione che si instaura fra il soggetto che possiede una situazione attiva e il soggetto che si trova nella
posizione passiva viene chiamato rapporto giuridico, mentre i due titolari sono detti parti. Chiunque non sia
parte in un rapporto è un terzo.

CAPITOLO 4: FATTI, ATTI E EFFETTI GIURIDICI


Le situazioni giuridiche non restano immobili nel tempo, ma mutano continuamente. I mutamenti che si
producono sono detti effetti giuridici e si distinguono in creazione, modificazione o estinzione. La causa che
provoca effetti giuridici è detta fattispecie giuridica. La fattispecie può essere semplice e complessa, se consiste
in vari elementi combinati. Quando gli elementi di una fattispecie si realizzano a distanza di tempo l’una
dall’altra, la fattispecie prende il nome di fattispecie a formazione progressiva.
Fatti giuridici: sono eventi che accadono e producono effetti giuridici indipendentemente dalla consapevolezza e
intenzionalità.
Atti giuridici: azioni umane sostenute da un certo grado di intenzionalità, al cui rilevanza giuridica (capacità di
produrre effetti giuridici) dipende dalla presenza di questo fattore umano. Si distinguono in due tipologie: atti
negoziali e atti non negoziali.
Gli atti negoziali sono quelli che hanno il più alto grado di consapevolezza umana, sia per quanto riguardala
volontà di compiere l’atto che quella di compiere l’effetto giuridico. Essi producono infatti gli effetti giuridici
importanti. Es. la compravendita
Gli atti non negoziali implicano la volontà di creare l’atto ma non quella di creare effetti giuridici. Es. la
confessione
Gli atti si distinguono ulteriormente in:
- Patrimoniali  riguardano situazioni economiche
- Non patrimoniali  riguardano situazioni prevalentemente non economiche
- Onerosi  quelli in cui tutte le parti coinvolte sostengono un sacrificio economico
- Gratuiti  quelli in cui sono un soggetto sostiene un sacrificio economico, mentre l’altra ottiene un
vantaggio senza sostenere alcun sacrificio
- A causa di morte  producono un effetto solo in seguito alla morte dell’autore dell’atto
- Fra vivi  atti che non presuppongono la morte del loro autore

L’attività giuridica indica il fenomeno del continuo compimento di atti giuridici, mentre l’autonomia privata è la
capacità di creare le proprie situazioni giuridiche liberamente, secondo la propria volontà e i propri interessi.
Se la maggior parte degli atti sono atti di autonomia, esistono anche atti non autonomi, come ad esempio l’atto
di pagamento. L’autonomia privata ha un chiaro valore politico, indica infatti il grado di libertà del cittadino;
nasce attraverso le lotte contro l’assolutismo.

CAPITOLO 5: I BENI E IL PATRIMONIO


Un bene è qualsiasi unità capace di soddisfare bisogni e quindi realizzare interessi umani, l’art. 810 cc lo
definisce come “le cose che possono formare oggetto di diritto”. Può formare oggetto di diritto solo ciò su cui
sia immaginabile un conflitto, perciò i beni comuni come acqua e aria non sono beni in senso giuridico. L’art 814
stabilisce beni le energie naturali alle quali si può dare un valore economico.
Nonostante l’art 810 definisca i beni come cose, quindi porzioni di materia, i giuristi preferiscono ampliare la
nozione di bene a “qualsiasi entità purché suscettibile di aprire conflitti di interessi”, includendo quindi anche i
beni immateriali.
I beni si distinguono in immobili e mobili (art. 812cc).
I beni immobili si dividono in due classi:
- In natura, che sono acqua, terreno, alberi, edifici e tutto ciò che è incorporato al suolo
- Per destinazione, sono gli edifici galleggianti quando saldamente assicurati alla riva
I beni mobili si individuano come tutti i beni residuali.
Le differenze fisico-economiche fra i due tipi di beni portano a una differenza di trattamento giuridico. In
particolare, le possibilità di uso dei beni immobili sono soggette a dei limiti, per gli immobili esiste
un’organizzazione pubblica per l’accertamento e la documentazione della loro consistenza (il catasto), la
circolazione degli immobili richiede formalità più rigoroso ed è soggetto a un regime di pubblicità ed infine per i
beni immobili non è concesso che non abbiano un proprietario, in caso di immobile vacante il bene verrà
considerato di proprietà dello stato. Nel sistema economico si sta sviluppando una mobilizzazione della
ricchezza, per cui i beni immobili perdano importanza.
Per alcuni beni mobili, in particolare autoveicoli, navi e aeromobili, esistono meccanismi di registrazione e di
pubblicità; questi beni prendono il nome di beni mobili registrati.
La legge dedica particolare considerazione all’universalità di mobili, ovvero ai complessi di cose mobili
appartenenti alla stessa persona e con una destinazione unitaria. Per questi beni è possibile disporre sia con un
atto unico che con diversi atti singoli per ogni elemento componente.
I beni si distinguono poi in:
- Divisibili, possono essere divisi fisicamente in porzioni ciascuna delle quali possiede e mantiene la
funzione economica del bene originario
- Indivisibili
- Consumabili, beni che si esauriscono immediatamente con l’uso
- Inconsumabili, suscettibili a uso continuo o ripetuto
- Fungibili, risultano identici per qualità ad altri beni
- Infungibili, sono quelli non sostituibili
Le pertinenze sono le cose accessorie destinate in modo durevole a servizio o a ornamento di un’altra cosa
principale (art. 817 cc); il rapporto che si crea si chiama vincolo pertinenziale e può correre fra due cose mobili,
due cose immobili o fra un immobile e un mobile. Il rapporto pertinenziale nasce generalmente per volere del
proprietario della cosa principale o comunque dal momento in cui un soggetto ha un diritto reale verso la cosa
principale. Il proprietario è libero di trasferire la pertinenza insieme alla cosa principale o separatamente; nel
caso in cui non venga specificato si considera trasferita anche la pertinenza.
I frutti sono beni prodotti da altri beni e si distinguono in naturali e civili. Quelli naturali vengono direttamente
dalla cosa che vi sia o meno attività dell’uomo e normalmente spettano al proprietario della cosa principale,
finché non sono separati si dicono pendenti e si considerano una cosa futura. I frutti civili invece sono quelli che
si traggono come corrispettivo del godimento della cosa da parte degli altri (es. canoni di locazione).

I beni vengono ulteriormente distinti in privati e pubblici. I beni pubblici hanno due requisiti: un requisito
soggettivo, che consiste nell’appartenere allo stato e uno oggettivo, che consiste nel soddisfare un interesse
generale della collettività; tutti gli altri beni sono considerati privati. Si tratta di un’importante distinzione in
quanto i beni pubblici sono soggetti a un regime giuridico speciale in base alla categoria di appartenenza, beni
demaniali o beni patrimoniali indisponibili. I beni demaniali sono ad esempio spiagge, fiumi e laghi e sono
caratterizzati dall’essere inalienabili, per cui non possono essere trasferiti a soggetti diversi dallo stato; i beni
indisponibili sono caratterizzati da un vincolo di destinazione, per cui non possono essere sottratti alla loro
destinazione, sono ad es. caserme, navi da guerra… Esistono infine i beni patrimoniali disponibili, beni ritenuti
pubblici nonostante la mancanza del requisito oggettivo, questi seguono il regime ordinario. (es. appartamenti
donati allo stato e messi in affitto)

Il patrimonio è identificato come il complesso delle situazioni giuridiche attive e passive di un soggetto titolare. È
un’entità dinamica che muta continuamente.

CAPITOLO 6: LE VICENDE DEI DIRITTI E LA CIRCOLAZIONE GIURIDICA


Le vicende del diritto sono le modificazioni e i cambiamenti che avvengono durante la vita di un diritto. Le
principali sono la nascita, il trasferimento e l’estinzione; mentre dal punto di vista del titolare possono essere
l’acquisto o la perdita del diritto.

Titolo: atto o fatto ritenuto idoneo all’acquisto di un diritto. È la fattispecie che porta all’acquisto di un diritto.
La titolarità di un diritto può essere acquistata a titolo originario o derivativo, nel primo si ha un’assenza di
acquisto

passaggio da precedente a nuovo titolare, mentre nel secondo si ha l’esistenza di un rapporto fra il dante e
l’avente causa, il dante causa aliena il diritto, conferisce la titolarità del diritto per successione, l’avente causa
invece acquista il diritto. Si può ottenere un diritto a titolo derivativo solo se si tratta di un diritto disponibile.
L’acquisto può essere gratuito o oneroso. Si ha poi una distinzione nell’oggetto del diritto, nel caso di acquisto di
uno o più diritti si ha la successione particolare, mentre si parla di successione universale quando il successore
subentra nell’intero patrimonio del dante causa.

L’istituto che disciplina l’estinzione della titolarità è l’istituto della prescrizione (art. 2934 cc). È l’estinzione di un
diritto conseguente al mancato esercizio dello stesso diritto per un tempo definito dalla legge. Si verifica se il
perdita

titolare risulta inerte nei confronti del suo diritto. La funzione della prescrizione è quella di dare certezza nei
rapporti giuridici. Il diritto di proprietà e i diritti indisponibili sono gli unici diritti non soggetti a prescrizione.
L’estinzione mediante prescrizione si verifica solo in caso di inerzia del soggetto. Il tempo ordinario è di 10 anni,
con variazioni più brevi o più lunghe stabilite dal cc, es. il diritto di credito a risarcimento del danno per illecito
extra contrattuale deve essere adempiuto entro 5 anni. Il calcolo del tempo non tiene in considerazione il dies a
quo (giorno odierno) e se la prescrizione cade in un giorno festivo si considera il primo giorno successivo non
festivo.
La prescrizione si può interrompere ogni volta che il titolare del diritto esercita il diritto stesso, ed anche nel
caso in cui il titolare della situazione giuridica passiva correlata riconosce l’esistenza del diritto in modo formale
o con un atto che dimostra la sua volontà di adempiere. Dal momento dell’interruzione ricomincia a decorrere il
tempo a partire da 0.
La sospensione della prescrizione è la scelta dell’ordinamento in date circostante stabilite nel 2941, 2941 cc di
interrompere il tempo della prescrizione. Il tempo trascorso prima della sospensione ricomincia a decorrere dal
perdita

momento in cui terminano le circostanze che hanno portato alla sospensione e si somma a quello successivo.
Le circostanze che determinano la sospensione sono rapporti esistenti fra le parti (matrimonio, lavoro) o per
particolari condizioni soggettive del titolare (minore o interdetto).
La prescrizione è inderogabile, perciò non è ammessa la modifica dei termini temporali, né la rinuncia
preventiva, solamente una volta che la prescrizione si è conclusa è possibile che il soggetto passivo rinunci,
adempiendo comunque al suo obbligo.

La decadenza dalla titolarità rappresenta la perdita della titolarità, i termini, rispetto alla prescrizione, sono
molto più brevi e validi solo per alcuni diritti. La sua funzione (ratio legis) è quello di dare certezza dell’intenzione
del titolare del diritto di volerlo esercitare. Es. diritto di garanzia. Solo alcuni termini di decadenza possono
essere derogati.

La circolazione giuridica è il fenomeno per cui i diritti si trasferiscono continuamente ad altre persone che li
acquistano. Riflette l’andamento del sistema economico del paese. Per migliorare il funzionamento è utile che
determinati fatti, con conseguenze rilevanti, siano conosciuti dall’interessato; questa esigenza è soddisfatta dalla
legge con i mezzi di pubblicità. Esistono diversi mezzi di pubblicità: quelli di natura formale e quelli documentati
in modo fattuale (come il pegno), quelli indirizzati a un singolo soggetto e quelli destinati alla generalità di
soggetti. In base agli effetti giuridici che conseguono alla mancata osservanza delle regole sulla pubblicità si
distingue la pubblicità notizia, dichiarativa e costitutiva. La notizia si ha quando la mancata osservanza non
impedisce al fatto di esistere e di produrre i suoi effetti (es. non registrare il matrimonio non rende i due coniugi
non sposati), con la dichiarativa si ha una diminuzione degli effetti dell’atto, infine la costitutiva è necessaria per
l’esistenza dell’atto stesso, in sua mancanza l’atto è come se non esistesse (es. senza l’iscrizione dell’ipoteca nei
registri l’ipoteca non esiste).

CAPITOLO 8: I SOGGETTI DEL DIRITTO. PERSONE FISICHE


I soggetti che possono essere titolari dei diritti sono identificati all’art 1 del cc e sono tutte le persone fisiche e le
organizzazioni che posseggono la capacità giuridica (idoneità di essere titolare di situazioni giuridiche).
La capacità giuridica si acquista alla nascita, per questo motivo anche il concepito può essere titolare di un diritto
ma solamente di aspettativa. Questa capacità può essere limitata solo in casi eccezionali. I diritti inviolabili
dell’uomo non possono essere limitati a nessun soggetto, ad eccezione di questi, i casi di limitazione riguardano:
lo straniero (per principio di reciprocità), l’esercizio di una funzione pubblica (ad esempio un funzionario non può
essere acquirente dei beni pubblici messi in vendita da procedimento presieduto da lui 1471 cc), esercizio di
diritti personalissimi a scopo di protezione del soggetto titolare di quei diritti. Gli atti di disposizione di soggetti
giuridicamente incapaci saranno considerati nulli.

La capacità d’agire è definita dall’art. 2 cc come la capacità di compiere atti giuridici. Si acquista con la maggiore
età. Il minore è ritenuto legalmente incapace, per questo motivo viene affiancato da un rappresentante legale.
La capacità d’agire può essere limitata sia con funzione di protezione del soggetto non in grado di prendere le
decisioni di gestione dei propri interessi (interdizione giudiziale), sia con funzione punitiva per reati con
condanne superiori ai 5 anni (interdizione legale). Gli atti compiuti da soggetti legalmente incapaci, sono ritenuti
annullabili.
Le misure di protezione stabilite dal nostro ordinamento sono: l’amministrazione di sostegno (404 e ss. cc),
interdizione (art 414 cc) e inabilitazione (art 415 cc).
Attualmente la più ricorrente è quella dell’amministrazione di sostegno, introdotta nel 2004. I presupposti per
l’adozione sono la rilevanza di un’infermità fisica o psichica nel soggetto, per questa ragione chiunque si trovi nella
situazione anche solo temporanea di non poter provvedere ai propri interessi potrà essere affiancato da un
amministratore di sostegno. Essa va chiesta al giudice tutelare, il quale verificate le condizioni e le specifiche esigenze
del soggetto emette il decreto di nomina dell’amministratore, che deve contenere durata e atti per cui è necessaria
l’assistenza. Il decreto verrà poi pubblicato a mergine dell’atto di nascita.
Il presupposto per l’interdizione è stabilito all’art 414 che afferma che “il maggiore d’età con abituale infermità di
mente è interdetto”. Al soggetto verrà affiancato un tutore che opererà nel nome e per conto del soggetto, solo in casi
particolari il giudice potrà indicare gli specifici atti in cui il soggetto potrà effettuare atti senza l’intervento del tutore.
Il presupposto per l’inabilitazione è stabilito all’art 415, che afferma che i soggetti con uno stato di infermità
qualitativamente inferiore rispetto all’interdizione. Possono essere inabilitati il sordo o il cieco dalla nascita o anche chi
fa uso abituale di droghe o alcool e espone a pregiudizi economici. Il giudice attua queste misure solo dopo
un’istruttoria. Inoltre all’esito della procedura verrà identificato un curatore, che lo affiancherà in casi specifici di
straordinaria amministrazione. Un caso particolare di inabilitazione è il minore emancipato, ovvero un soggetto che
abbia compiuti 16 anni e che sia stato autorizzato a contrarre il matrimonio.

L’incapacità naturale è la condizione di fatto nella qualche chiunque si può trovare, anche temporaneamente, di
incapacità di intendere e volere. Si tratta di una condizione non verificata tramite documenti e quindi più difficile
d’accertare, per questo l’art. 428 ha stabilito tre clausole particolari: gli atti unilaterali posti in essere dal soggetto
naturalmente incapace possono essere annullati, solo se ne risulta un grave pregiudizio all’autore, mentre per i
contratti è necessario dimostrare anche la malafede della controparte. Infine gli atti personalissimi, come il
matrimonio sono sempre annullabili.
Quest’articolo tenta di trovare un bilanciamento fra la volontà dell’incapace e la tutela dell’affidamento della
controparte.
Nel caso in cui un soggetto naturalmente incapace procuri un danno a terzi, si distingue nel caso sia incolpevole o dalla
situazione in cui il soggetto si sia consapevolmente messo in una situazione di incapacità. Se è incolpevole il soggetto
non può rispondere al danno direttamente ma sarà responsabilità del responsabile di sorveglianza o con un’equa
indennità se il responsabile non risponde.

CAPITOLO 9: LE ORGANIZZAZIONI
Oltre alle persone fisiche nel nostro ordinamento si contemplano come soggetti del diritto anche le persone
giuridiche, ovvero entità dotate di una soggettività autonoma rispetto a quella delle singole persone fisiche che le
animano. È importante inserire queste organizzazioni fra i soggetti del diritto in quanto le persone fisiche sono
naturalmente sociali e quindi sentono la necessità di unirsi all’interno di queste organizzazioni. Anche le
organizzazioni, come le persone fisiche hanno la necessità di essere identificate e collegato a un certo ordinamento
giuridico, per questo motivo al momento della costituzione, vengono denominate e gli si attribuisce una nazionalità e
una sede.
Le ragioni che ne giustificano l’esistenza sono diverse: il perseguimento dell’interesse generale, il perseguimento di
finalità ideali, la destinazione di un patrimonio alla realizzazione di uno scopo non lucrativo o lo svolgimento di
un’attività economica.
Le persone fisiche che compongono l’organizzazione formano gli organi dell’ente, che possono essere individuali o
collegiali e vige un principio di rappresentanza (le loro decisioni vengono considerate come atti dell’ente stesso). Nel
caso in cui si abbiano organi collegiali si applica il principio di maggioranza: la volontà della maggioranza è considerata
volontà dell’organizzazione e si esprime tramite una votazione che porta ad una deliberazione.

Le organizzazioni si distinguono in:


- Privati e pubblici (enti statali, enti pubblici territoriali e enti pubblici istituzionali)
- Enti di tipo associativo e enti di tipo non associativo
- A scopo di lucro o a non a scopo di lucro
- Enti con personalità giuridica e senza personalità giuridica
È necessario che l’organizzazione sia dotata di un patrimonio per far si che venga riconosciuta dall’ordinamento. Il
patrimonio è l’insieme delle poste economiche che fanno capo a un determinato soggetto.
Non sempre il patrimonio dell’organizzazione è totalmente separato rispetto le singole persone fisiche che la
compongono, si parla in questo caso di autonomia patrimoniale imperfetta. Se l’autonomia è perfetta i debiti della
società potranno essere soddisfatti solo con il patrimonio dell’ente.
L’autonomia patrimoniale è lo schermo fra le vicende del patrimonio dell’ente e quello delle singole persone fisiche.
Un ente può dirsi dotato di autonomia perfetta una volta ottenuto il riconoscimento, che consente l’acquisto della
piena personalità giuridica. Il riconoscimento è distinto per le persone giuridiche pubbliche e quelle private, nel caso
dell’ente pubblico è necessario che una legge crei e disciplini la struttura, mentre per gli enti privati è necessaria una
richiesta depositata presso la prefettura (se è un’azienda che opera a livello nazionale) o presso la regione. Il
riconoscimento della persona giuridica coincide con l’iscrizione nel registro delle persone giuridiche.

Gli enti non lucrativi si distinguono in associazioni e fondazioni.


L’associazione è un’organizzazione di persone che perseguono uno scopo comune non lucrativo. Perché esista è
necessaria la presenza di un atto costitutivo e di uno statuto. L’atto costitutivo è un contratto con il quale un gruppo
di persone decide di impegnarsi insieme per realizzare obiettivi, al cui interno deve essere indicata la denominazione
del soggetto e le sue finalità. Deve avere forma pubblica (art 14 cc), scritta e testimoni presenti. Lo statuto è l’atto che
definisce l’organizzazione interna dell’ente, le modalità di adesione e di abbandono, le regole dell’assemblea…
L’istituto dell’associazione è tutelato dalla costituzione all’art 18, fra le libertà fondamentali, sono però vietate le
associazioni che si costituiscono per il perseguimento di finalità sovversive o violente e non democratiche.
Fra gli organi più importanti c’è l’assemblea, che ha compito di stabilire le iniziative che si vogliono prendere e il
perseguimento di nuove finalità, fra cui ad esempio le modifiche dell’atto o l’approvazione del bilancio.
Accanto all’assemblea si hanno gli amministratori, che si occupano di dare esecuzione alle delibere dell’assemblea.
Generalmente il presidente è anche uno degli amministratori.

Le associazioni si distinguono in riconosciute e non, alle non riconosciute sono dedicate alcune norme del cc, es l’art
38 prevede che non abbiano autonomia patrimoniale perfetta e che quindi i terzi possano far valere i diritti sul fondo
comune ma che ne rispondano anche le persone che hanno agito in nome e per conto dell’associazione.

Le fondazioni sono enti al pari delle associazioni, ma si distinguono perché nascono nel momento in cui una o più
persone decidono di mettere insieme un patrimonio da destinare al perseguimento di uno scopo ideale. Possono
essere costituite con un atto fra vivi, con una donazione o con un atto a causa di morte, per volontà del defunto
stabilita nel testamento. Essa può ottenere il riconoscimento con le stesse modalità delle associazioni.
Il fondatore decide non solo lo scopo ma anche le modalità in cui dovrà essere impiegato il patrimonio. Si stabilisce
infatti, preventivamente nell’atto costitutivo un programma d’azione e si mette a disposizione un patrimonio per
l’esecuzione del programma. L’attività principale è quella di dare esecuzione a quel progetto ideale che è stato
individuato nell’atto costitutivo. L’autorità governativa provvederà alla sostituzione dei rappresentanti quando si
dovessero avere difficoltà nel dar seguito a ciò che è stato stabilito nell’atto costitutivo. (art 25 cc).
Nella maggioranza dei casi le fondazioni sono tutte riconosciute, con autonomia patrimoniale perfetta, quelle non
riconosciute prendono il nome di comitati. Il riconoscimento delle fondazioni porta un importante intervento da parte
dell’autorità giuridica per il controllo del corretto utilizzo del fondo.

È possibile che si abbia una trasformazione della fondazione data dall’esaurimento dello scopo o del patrimonio,
prima di decretare l’estinzione. L’autorità governativa può infatti intervenire nella modifica dell’atto costitutivo (a
meno che non sia esplicitamente stabilito dal fondatore), si ha anche la possibilità di coordinamento della fondazione
con altri enti (art 26).

L’estinzione di fondazioni o associazioni può avvenire per diversi motivi: scopo raggiunto o diventato impossibile,
mancanza di patrimonio, assenza di soci, per delibera… in questi casi, il patrimonio dell’ente ddovrà essere sottoposto
alla liquidazione (art 27 ss. cc), dovrà perciò essere utilizzato per soddisfare le pretese creditorie ancora attive, mentre
il residuo verrà devoluto secondo l’art 31. I beni verranno quindi destinati così come previsto nell’atto costitutivo
dell’ente, altrimenti provvederà l’attività governativa, attribuendoli ad altri enti con funzioni analoghe.

Con enti del terzo settore si intende lo svolgimento di attività che assumono rilevanza generale per la comunità
sociale ma operano al di fuori delle logiche di mercato. Si collocano infatti fuori dal settore del mercato e della
pubblica amministrazione. Sono enti ben visti nel nostro ordinamento, perché svolgono una funzione di supplenza
rispetto le istituzioni pubbliche. Svolgono generalmente attività di sostegno alle fasce meno abbienti o
particolarmente svantaggiate.
Per dare un ordine a questo nuovo mondo, in cui operano sia fondazioni che associazioni, ma anche altri soggetti
come cooperative, imprese sociali, è stato redatto il codice del terzo settore con il d lgs 117/2017, in cui è stata
riconosciuta questa una nuova categoria di enti no profit. Gli elementi identificativi di questa tipologia di enti sono:
- il perseguimento di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale,
- la mancanza di scopo di lucro,
- lo svolgimento in via esclusiva o principale di un’attività di interesse generale con natura volontaria o con
erogazione gratuita di beni o servizi, funzione mutualistica.
- iscrizione al RUNTS, registro unico nazionale del terzo settore. I requisiti per l’iscrizione di associazioni e
fondazioni, sono stabiliti dal dm 106/2020, che stabilisce la necessità di una certa dotazione patrimoniale
(15000 associazioni e 30000 euro per le fondazioni). L’effetto dell’iscrizione è la possibilità di agevolazioni
fiscali e l’ottenimento della personalità giuridica.

CAPITOLO 11: IL DIRITTO DI PROPRIETA’ NEL SISTEMA GIURIDICO


Il diritto di proprietà si qualifica come diritto di natura privata, disponibile, patrimoniale e assoluto. Ad esso è dedicato
un intero libro del codice civile, il terzo.
Questo diritto è disciplinato oltre che dal codice civile (che si concentra soprattutto sul modello della proprietà
fondiaria), anche dalla costituzione, dalla legislazione speciale (per alcune particolari tipologie di proprietà, ad
esempio la legislazione urbanistica o la riforma della proprietà agraria) e dalle fonti del diritto europeo (sia la carta dei
diritti fondamentali che il protocollo alla CEDU menzionano il diritto di proprietà come un diritto fondamentale della
persona umana).
La proprietà viene anche disciplinata dalla costituzione all’art 42, che stabilisce la volontà di trovare un equilibrio fra
garanzie del proprietario e limiti, afferma che “i beni sono di proprietà dello stato, di enti o di privati”, formula che
indica il nostro come sistema misto. Una prima garanzia generale è affermata al primo comma, che stabilisce
l’impossibilità di eliminare la proprietà privata, alla quale segue però il limite secondo il quale le modalità di acquisto e
di godimento devono essere stabilite dalla legge stessa per assicurarne una funzione sociale.
Il principio della funzione sociale è una novità introdotta dalla costituzione e segna un distacco rispetto alla
concezione liberale. Indica la volontà che la legge regoli la proprietà privata in modo tale che non contrasti con
l’interesse generale della collettività, esso implica di riflesso il principio di solidarietà. La funzione sociale può riferirsi a
obiettivi di efficienza economica (ad es. alcuni terreni sono indivisibili in quanto le frazioni non risulterebbero
suscettibili di un’utilizzazione efficiente), o a obiettivi di giustizia sociale. Da ciò emerge come lo stato favorisca il
soggetto che fa fruttare la cosa piuttosto che il proprietario che non la utilizza, il motivo è dato dal fatto che l’interesse
di chi la fa fruttare coincida con quello generale.
Assicurare la funzione sociale spetta al Parlamento, che adempie al suo compito definendo quali sono i poteri del
proprietario. Ad oggi esistono diversi diritti di proprietà tanti quanti sono gli statuti (insiemi di regole) differenziati dei
beni.
L’art 42 al comma 3 stabilisce la possibilità di espropriazione, ma con 3 garanzie: l’espropriazione può avvenire solo
nei casi previsti dalla legge, solo per motivi di interesse generale ed al proprietario spetta una contropartita
economica, chiamata indennizzo. Non viene specificato il modo di calcolarlo, perciò è intervenuta la corte
costituzionale che ha stabilito che l’indennizzo possa essere inferiore al costo di mercato, purché risulti serio e
adeguato. Questo istituto è analizzato anche all’art 834 del cc. L’espropriazione è la sottrazione della proprietà di un
bene privato per attribuirne la titolarità ad un soggetto diverso, pubblico o privato (consorzio).

Il codice definisce la proprietà all’art 832 come “il diritto di godere e disporre di cose in modo pieno ed esclusivo,
entro i limiti stabiliti dall’ordinamento giuridico”. Si tratta di una formula neutra che pone sullo stesso piano i poteri
del proprietario e i limiti a cui questi possono essere sottoposti, senza stabilire quali dei due prevalgono.
Nelle società liberali dell’800, la proprietà era concepita come potere pieno ed esclusivo, che la legge garantiva contro
gli attacchi esterni. Essa entrò però in crisi agli inizi del XX secolo, con l’affermarsi di processi economici che tolsero
alla proprietà il ruolo centrale che aveva fino a prima. Si affermano infatti processi di mobilizzazione e
smaterializzazione della ricchezza, i beni immobili diventarono sempre meno importanti come risorse produttive e si
svilupparono tecnologie e beni immateriali.

CAPITOLO 12: LA PROPRIETA’ ESERCIZIO, ACQUISTO E TUTELA


Il diritto di proprietà è l’insieme delle facoltà che spettano al proprietario per l’utilizzazione del bene. Tali facoltà
possono distinguersi in:
- di godimento, ovvero qualunque modo di utilizzare la cosa e ricavarne utilità senza rinunciare alla piena
proprietà
- di disposizione, ovvero l’utilità che il proprietario ottiene dal valore di scambio, rinunciando alla piena
proprietà
Il potere “esclusivo” identifica la facoltà di escludere ogni altro soggetto dal godimento della cosa e di impedire
interferenze altrui nel suo godimento. I poteri di esclusione sono soggetti però a alcune limitazioni, ad esempio il
libero accesso a un fondo per recuperare oggetti o animali. In linea di principio, la proprietà di un fondo si estende
anche allo spazio aereo sovrastante e al sottosuolo, tuttavia esiste una limitazione a ciò: il proprietario non può
impedire attività che si svolgano ad altezza o profondità che egli non abbia interesse a escluderle (non puoi impedire il
passaggio di aerei sopra casa).
I limiti della proprietà si distinguono in 2 categorie:
- limiti nell’interesse pubblico  imposti dalla legge per soddisfare superiori interessi della collettività
- limiti nell’interesse privato  imposti per soddisfare interessi di altri privati, generalmente proprietari di
fondi vicini
Su 120 articoli dedicati alla proprietà, 82 riguardano la proprietà fondiaria. Vi appartengono il divieto di atti emulativi,
la disciplina delle emissioni e le regole sui rapporti di vicinato.
Il divieto di atti emulativi stabilisce che il proprietario non può fare atti che abbiano come unico scopo quello di
nuocere o recare molestia ad altri. È stato identificato all’art 833, un divieto di abuso del diritto (ovvero un esercizio
del diritto irragionevolmente in conflitto con la soddisfazione di interessi altrui meritevoli di tutela).
Le immissioni sono disciplinate all’art 844 cc, che stabilisce che il proprietario del fondo vicino è tenuto a sopportarle
finché esse non superino la normale tollerabilità. Per rendere la valutazione meno arbitraria esistono dei criteri di
giudizio: la condizione del luogo (se abitato o deserto), la priorità dell’uso (se creo un’azienda in una zona abitata) e il
contemperare le esigenze della produzione con le ragioni della proprietà (misura del danno e costo per eliminarlo).
Quando un’immissione risulta illecita chi la subisce può richiedere la cessazione tramite azione inibitoria o chiedere un
risarcimento per il danno.
Fra i rapporti di vicinato sono disciplinate le distanze legali, le luce e le vedute, le acque private e lo stillicidio.
Per ragioni igieniche, la legge vieta che fra gli edifici ci siano distanze troppo ravvicinate, per questo viene indicato
come distanza legale la presenza di almeno 3 metri, modificabile dal comune. Quando si ha una violazione delle
distanze legali, il confinante ha due rimedi: chiedere la riduzione in pristino (rimozione) o un risarcimento.
Le luci sono le finestre che permettono di dare passaggio alla luce e all’aria senza la possibilità di affacciarsi sul fondo,
mentre le vedute sono le finestre che permettono di affacciarsi e guardare nel fondo del vicino. Le regole che ne
stabiliscono le distanze mirano a conciliare l’interesse di riservatezza con quello del vicino di fondo di avere luce. Per
quanto riguarda le acque piovane, il proprietario del fondo deve costruire un tetto tale che queste scolino solo nel suo
terreno.

La proprietà, come ogni altro diritto soggettivo può acquistarsi a titolo originario o a titolo derivativo.
Gli acquisti a titolo originario presentano una caratteristica importante, permettono l’acquisto di proprietà pieno ed
esclusivo senza vincoli ed è un acquisto stabile, ovvero non può essere messo in dubbio da eventuali irregolarità
precedenti.
- L’occupazione è l’impossessamento di una cosa che attualmente non ha proprietario, può essere solo una
cosa mobile, in quanto gli immobili risultano di proprietà dello stato. Eccezionalmente possono acquistare per
occupazione anche cose che appartengono a qualcuno, ad es. i funghi
- Invenzione, ovvero ritrovamento. È un modo di acquisto delle cose mobili smarrite. Chi ritrova una cosa
smarrita ha l’obbligo di restituirla al proprietario o consegnarla al sindaco. Se dalla consegna passa un anno, il
ritrovatore ne acquista la proprietà, se invece il proprietario la recupera deve pagare un premio al
ritrovatore, che la legge stabilisce in una percentuale del valore.
- Ritrovamento di un tesoro, cioè di una cosa di valore nascosta o sotterrata di cui nessuno può provare
d’essere proprietario. In linea di massima, il tesoro appartiene al proprietario del fondo, se però il
ritrovamento è d’interesse storico o artistico, questi spettano allo stato.
- Accessione, si verifica quando una cosa accessoria si incorpora a una cosa principale, può avvenire per fatto
dell’uomo o per fatto naturale. L’accessione per fatto umano avviene nel momento in cui vengono eseguite
piantagioni, costruzioni o altre opere sul fondo. L’accessione per fatto naturale si ha per alluvione o avulsione
(un proprietario acquista una porzione dell’altro fondo trascinata dal fiume).
- Unione e commistione, ricorrono quando più cose mobili appartenenti a diversi proprietari si uniscono o
mescolano così da formare una cosa unica e non più separabile. Se le cose si equivalgono, la proprietà
diventa comune, se invece una è prevalente rispetto all’altra il proprietario acquista la proprietà totale, salvo
pagamento di un corrispettivo all’altro.
- Specificazione è l’attività di chi crea qualcosa con il proprio lavoro ma con la materia altrui.
- Usucapione, “possesso vale titolo” (vedi possesso)
I principali metodi di acquisto a titolo derivativo sono invece il contratto e la successione a causa di morte, per i quali
valgono i criteri di fragilità: se chi trasmette la proprietà non ce l’ha allora la proprietà non si acquista, cosi come se chi
la trasmette l’aveva acquistata con titolo irregolare.

Il diritto di proprietà conserva grande valore e importanza nel sistema giuridico, per questo motivo le norme lo
proteggono con strumenti legali energici, contro le lesioni o le minacce.
Fra questi troviamo le azioni petitorie: rimedi attraverso i quali il proprietario ingiustamente privato della possibilità di
utilizzare la cosa, può recuperare il pieno e tranquillo godimento. Le azioni petitorie sono 4:
- La rivendicazione il proprietario si rivolge contro chiunque possiede la cosa senza titolo, per ottenere la
riconsegna, segue perciò il bene. Presupposto di quest’azione è dare la prova di essere il proprietario della
cosa, con qualunque mezzo. È imprescrittibile, salvo per usucapione. Art.948 cc. È azionabile contro chiunque
abbia la cosa.
- Azione negatoria  il proprietario reagisce contro le molestie che disturbano o limitano la sua proprietà. Le
molestie possono essere di diritto (qualcuno afferma infondatamente di avere diritti sulla cosa del
proprietario) o molestie di fatto (chi attua azioni a danno del proprietario). Il proprietario deve dimostrare di
avere la proprietà del bene. Art. 949cc
- Azione di regolamento confini  presuppone che il confine fra due proprietà sia incerto, in tal caso, ciascuno
dei proprietari può chiedere che sia stabilito dal giudice, che in mancanza di atti si baserà sulle mappe
catastali.
- Azioni per apposizione di termini  presuppone che il confine sia certo, ma che i segni di divisione siano
diventati irriconoscibili. I proprietari possono chiedere che vengano apposti a spese comuni.
Sono tutte imprescrittibili e possono essere esercitate solo dal proprietario privato del suo diritto.
Oltre alle azioni petitorie il diritto di proprietà è difeso anche da altri rimedi, come il risarcimento danni in caso di
danneggiamento o distruzione del bene. La proprietà è protetta inoltre dalle norme penali che puniscono come reati
una serie di atti costituenti violazione del diritto di proprietà, come la violazione di domicilio, il furto…

CAPITOLO 14: I DIRITTI REALI MINORI


Fra i diritti sulle cose si definiscono reali quelli soggettivi assoluti.
Il diritto di proprietà è il più importante dei diritti reali, esistono però altri diritti che attribuiscono al titolare pieni
poteri di utilizzazione del bene, inferiori a quelli che spettano al proprietario, prendono perciò nome di diritti reali
minori. Prendono il nome di diritto su cosa altrui in quanto hanno come oggetto cosa che appartengono a un soggetto
diverso dal titolare del diritto minore. Il proprietario della cosa su cui altri ha diritto minore conserva il potere di
disporne e quindi la possibilità di venderlo; chi lo acquista lo acquisterà però gravato dal diritto minore reale.
Il proprietario della cosa su cui nessuno ha un diritto reale minore ha una proprietà piena.
I diritti reali minori si dividono in:
- diritti reali di godimento  attribuiscono potere di utilizzazione della cosa. Sono l’usufrutto, l’uso,
l’abitazione, le servitù prediali, la superficie e l’enfiteusi.
- diritti reali di garanzia attribuiscono al titolare una sicurezza del credito. Sono il pegno e l’ipoteca.

CAPITOLO 15: DIRITTI REALI E DIRITTI DI CREDITO


I diritti sulle cose, diversi dai diritti reali si chiamano diritti personali e sono patrimoniali e relativi. Appartengono ai
diritti di credito.
La differenza fra diritti reali e diritti personali di credito è molto importante per le conseguenze giuridiche e si basa sul
fatto che i diritti reali sono immediati, assoluti e a numero chiuso (detta tipicità), mentre i diritti di credito sono non
immediati, relativi e a numero aperto.
L’immediatezza indica la capacità del titolare di ricavare utilità dalla cosa senza bisogno dell’intervento di un terzo.
L’assolutezza indica, invece, la possibilità di far valere il proprio diritto verso chiunque e questo implica anche
l’inerenza del diritto alla cosa  posso far valere il mio diritto nonostante gli spostamenti giuridici che possono aver
colpito il bene. La distinzione che si basa sull’assolutezza/relatività permette di distinguere fra due tipi di azioni a
difesa dei diritti: le azioni reali e le azioni personali. Le azioni reali difendono i diritti reali con il presupposto che il
proprietario dimostri di avere il diritto e possono essere fatte valere contro chiunque. Le azioni personali difendono
invece diritti personali come il diritto di credito e possono essere fatte valere solo verso la controparte.
I diritti reali hanno anche la caratteristica dell’elasticità, il che significa che il loro contenuto può essere sottoposto a
compressione ed estensione.

CAPITOLO 16: LA TRASCRIZIONE


La trascrizione è un meccanismo che serve a rendere pubblici determinati atti relativi ai diritti sulle cose. È
strettamente connessa al tema della pubblicità e a quello della circolazione giuridica, serve infatti a rendere pubblici gli
atti che realizzano una circolazione dei diritti personali. Si occupa generalmente di beni immobili e per questo viene
detta trascrizione immobiliare. Si realizza mediante registri pubblici (registri immobiliari) tenuti presso appositi uffici,
le conservatorie immobiliari.
La legge stabilisce una serie di atti che devono essere resi pubblici tramite la trascrizione. Questi, definiti dall’art.
2643cc, sono:
- contratti che trasferiscono la proprietà di immobili, ovvero che costituiscono o modificano altri diritti reali,
come ad es. il contratto che costituisce un usufrutto.
- Contratti preliminari
- Gli atti unilaterali
- I provvedimenti giudiziari che producono i medesimi effetti  ha la funzione di rendere la sentenza
opponibile a chiunque abbia acquistato diritti sul bene coinvolto nel processo. Grazie alla trascrizione quindi
gli effetti della sentenza si producono dal momento dell’accoglimento e non dal momento della sentenza
stessa. Gli viene attribuito effetto retroattivo.
- I contratti di locazione con durata ultra novennale e contratti costitutivi di organizzazioni
- Acquisti a causa di morte
- Domande giudiziali
La categoria più importante è quella dei contratti fra vivi che toccano i diritti reali su immobili. La funzione specifica
della trascrizione è risolvere i conflitti fra più persone che abbiano acquistato lo stesso diritto o diritti incompatibili
sullo stesso immobile. Il conflitto si risolve in base alla regola: prevale chi per primo ha trascritto il suo acquisto, non
importa la data di acquisto (2650 cc). Questo è valido solo se si è rispettato il principio di continuità delle trascrizioni,
fino al titolo originario è per questo che la prova della titolarità del diritto di proprietà è definita probatio diabolica.
Gli atti per poter essere trascritti devono presentarsi nella forma di atto scritto o scrittura privata autenticata. Viene
effettuata dal pubblico impiegato addetto alla conservatoria al quale il richiedente deve consegnare una copia
dell’atto e un documento chiamato nota di trascrizione. I registri sono organizzati su base personale con doppia
prospettiva: a favore dell’avente causa e una contro il dante causa. In alcune province del nord-est italiano si continua
ad usare il sistema tavolare, impostato su base reale (segue quindi l’immobile e non i soggetti).
La trascrizione è valida anche per i beni mobili registrati, gli effetti sono gli stessi mentre la modalità varia nel senso
che ogni tipologia di bene andrà registrato in un apposito registro.

CAPITOLO 17: IL POSSESSO


Il possesso è la situazione di fatto di colui che esercita sopra una cosa poteri che corrispondono alla titolarità di un
diritto di proprietà. È possessore chiunque abbia la disponibilità materiale del bene e ne dispone come se ne fosse il
proprietario.  es. locatario che dopo la scadenza del contratto continua ad usufruire dell’immobile.
È un concetto che si lega alla distinzione fra situazioni di fatto e situazioni di diritto. La prime riguardano l’esercizio
effettivo dei poteri sopra la cosa indipendentemente dal fatto che chi li esercita abbia legalmente quei poteri, mentre
le situazioni di diritto riguardano l’esistenza di poteri legali sulla cosa.

Le ragioni per cui si attribuisce rilevanza giuridica allo stato di fatto di possesso riguardano: la volontà di rafforzare e
completare la tutela accordata all’interesse soggettivo, valorizzare economicamente il bene oggetto di possesso e
scoraggiare le iniziative rivolte a far valere i propri diritti attraverso forme di autotutela.

Per avere il possesso sono necessari due elementi, uno oggettivo ovvero il controllo effettivo del bene e uno
soggettivo relativo alla volontà di comportarsi come proprietario. In qualche situazione può però essere presente solo
il primo elemento, questa situazione, in cui chi controlla il bene non intende comportarsi come proprietario è detta
detenzione.  es. locatario. La detenzione può essere determinata dalla necessità di perseguire un interesse o per
ragioni di servizio.

L’art. 1141 cc stabilisce che generalmente si presume sempre il possesso di un bene a meno che non si provi che il
comportamento è stato messo in atto come detenzione. È possibile che la detenzione si trasformi in possesso finché il
titolo non venga mutato per causa proveniente da un terzo o in forza di opposizione.

Il possesso illegittimo (in cui il possessore non è anche il proprietario) si distingue in possesso di buona fede e
possesso di mala fede. Il primo fa riferimento ad una situazione in cui il possessore si trova in una situazione di
possesso illegittimo ignorando di ledere il diritto altrui (art 1147 cc), la mala fede si ha nel momento in cui il
possessore agisce nella consapevolezza di ledere altrui diritti. La buona fede è sempre presunta, ma è messa fuori
gioco dalla colpa grave, se infatti il soggetto non è venuto a conoscenza della sua situazione di possesso illegittimo per
sue gravi mancanze non potrà godere dei vantaggi della buona fede.

Sono previsti degli effetti positivi a tutela del possesso che si basano sulla volontà del legislatore di incentivare lo
sfruttamento produttivo delle risorse economiche oggetto del possesso. Naturalmente gli effetti cambiano in rilevanza
dello stato soggettivo di mala o buona fede. Ne risulta così una serie di istituti, fra cui:
1. la disciplina dei frutti e delle spese: al possessore in buona fede sono riconosciuti effetti attributivi, solo fino
al momento in cui il proprietario prenda iniziativa con domanda giudiziale e chieda di rientrare nella piena
disponibilità del bene ed effetti compensativi rispetto alle spese sostenute per i miglioramenti del bene e la
produzione dei frutti. Il possessore, anche in mala fede, ha diritto al rimborso per riparazioni straordinarie,
ma al minor valore fra l’aumento del valore del bene e le spese sostenute.

2. La regola possesso vale titolo, che attribuisce la possibilità di divenire proprietario del bene, nel caso in cui il
possesso sia scisso dalla proprietà ovviamente. È un’eccezione alla regola generale secondo cui chi acquista
un bene da un soggetto non proprietario non trasferisce la proprietà”. I presupposti per cui ciò si possa
verificare sono stabiliti all’art 1153 cc: deve esserci buona fede, deve essere un bene mobile non registrabile
e il possesso deve essere conseguito mediante un titolo astrattamente idoneo al trasferimento di proprietà,
fatto da un soggetto non proprietario. Questa norma viene regolamentata perché la circolazione dei beni
mobili dev’essere rapida e dinamica

3. Usucapione (art 1158cc), ovvero la modalità d’acquisto mediante possesso continuato per vent’anni di un
bene immobile. È irrilevante se il possesso sia iniziato in buona o mala fede. L’usucapione ordinaria per i beni
mobili registrati è di 10 anni, mentre l’usucapione abbreviata presuppone sempre la buona fede ed un titolo
idoneo a trasferire la proprietà e trascritto. Il possesso viziato non è utile ai fini dell’acquisto della proprietà.
L’usucapione può essere interrotta quando il possessore sia stato privato del possesso per oltre un anno, ma
anche sospesa nel momento in cui ci siano particolari rapporti fra possessore e proprietario.

4. Azioni possessorie: azioni date al possessore per neutralizzare gli attacchi portati contro il suo possesso e
nasce per impedire che i cittadini si facciano giustizia da sé.

5. Azione di reintegrazione, spetta al possessore spogliato del suo possesso ed è diretta a reintegrare il pieno
possesso. Può essere richiesta entro un anno dallo spoglio solo se questo è avvenuto in modo violento o
clandestino

6. Azione di manutenzione, spetta al possessore molestato che richiede l’eliminazione delle molestie. Deve
essere fatta entro un anno dalla molestia. È applicabile solo a immobili o universalità di mobili e presuppone
che il possesso duri da almeno un anno.

CAPITOLO 18: L’OBBLIGAZIONE


Il rapporto obbligatorio rappresenta la relazione fra due soggetti determinati uno dei quali assume il potere di
pretendere da un altro soggetto l’adempimento di una prestazione, che può essere un fare un dare o un’astensione.
Il soggetto in posizione dominante prende il nome di creditore, mentre la controparte è il debitore ed è titolare di una
situazione giuridica passiva definita come obbligazione, necessaria per soddisfare l’interesse del creditore.

L’ordinamento giuridico prende atto della natura sociale dell’individuo e conoscendo la necessità dei membri di una
comunità di cooperare, mette a disposizione dei cittadini e dei privati questo strumento giuridico di cooperazione: il
rapporto obbligatorio. In passato, spesso, questo rapporto veniva declinato in forme di dipendenza di alcuni nei
confronti di altri, attraverso forme di servitù o di schiavitù, il rapporto obbligatorio permette ad oggi di creare una
cooperazione tra i consociati senza che ciò comporti una subordinazione personale, consente quindi una relazione di
potere nel rispetto dei principi di eguaglianza e libertà individuale.  il debitore può rispondere alle obbligazioni solo
con il suo patrimonio, presente e futuro. (art 2740 cc “responsabilità patrimoniale”)

Perché una relazione possa essere identificata come rapporto obbligatorio sono necessari dei requisiti minimi sia per
l’oggetto che per l’interesse del creditore. Questi sono stabiliti all’art 1174 cc, che stabilisce innanzitutto che il
rapporto obbligatorio sia una figura giuridica dotata di massima astrazione, che permetta di essere utilizzata da
chiunque intenda realizzare un interesse richiedendo la cooperazione di un altro soggetto. Per quanto riguarda la
prestazione, questa dev’essere suscettibile di valutazione economica, ciò comporta il carattere esclusivamente
patrimoniale della responsabilità del debitore, secondo l’art 1346 dev’essere inoltre possibile, lecita, determinata o
determinabile. Per quanto riguarda invece l’interesse del creditore dev’essere oggettivamente riconoscibile e può
anche essere un interesse non patrimoniale.

Le fonti giustificative del rapporto obbligatorio sono stabilite dall’art. 1173 cc: il contratto, il fatto illecito oppure ogni
altro atto o fatto idoneo a produrre un rapporto obbligatorio in conformità dell’ordinamento giuridico.
Il contratto è la principale fonte di rapporti obbligatori. È la regola che, su base volontaria, determina le modalità di
cooperazione fra i soggetti contraenti. Es. contratto di compravendita che produce l’effetto reale (non comporta
obbligazioni, ma il trasferimento del diritto) ma anche effetti obbligatori, fa sorgere obbligazioni fra le parti contraenti.
Il fatto illecito è la cooperazione necessaria per far sì che il danneggiante reintegri il danneggiato. Il rapporto sorge
quindi in seguito al verificarsi di un’interferenza accidentale nella sfera giuridica di un soggetto e comporta
un’obbligazione risarcitoria.
Ogni altro atto o fatto idoneo a produrre un rapporto obbligatorio conforme all’ordinamento giuridico indica
l’insieme di atti o fatti che il legislatore può indicare come utili a far sorgere un rapporto obbligatorio. Il legislatore si
rende conto dell’impossibilità di elencare tutti i tipi di atti e fa quindi questo riferimento cumulativo. Alcuni esempi
sono le promesse unilaterali giuridicamente rilevanti, l’arricchimento senza causa (un bene viene restituito
migliorato, spetta alla controparte un risarcimento per l’attività svolta), l’indebito oggettivo o soggettivo (
pagamento ingiustificato. È oggettivo quando un soggetto si ritiene obbligato a una prestazione, mentre è soggettivo
quando il rapporto obbligatorio esiste ma la prestazione è eseguita da un soggetto terzo).

I parametri di comportamento che devono essere rispettati dalle parti del rapporto sono stabiliti dal cc, che indica le
regole della correttezza e della diligenza.
La correttezza, stabilita all’art 1175 è un criterio generico, si tratta di una norma per la quale il legislatore usa la
tecnica di formulazione di clausola generale. Le parti dovranno perciò tenere comportamenti necessari a
salvaguardare gli interessi altrui e massimizzarne l’utilità. La diligenza è stabilita invece dall’art 1176, anch’essa
clausola generale, stabilisce che il debitore debba prestare la cura necessaria nella prestazione a favore del creditore.
Si ha una distinzione di diversi livelli di diligenza, in genere si chiede una diligenza che normalmente terrebbe il buon
padre di famiglia (livello medio di diligenza), se invece il debitore è un professionista è richiesta una diligenza
superiore.

Quando la parte passiva del rapporto obbligatorio è formata da più debitori, l’obbligazione può essere parziaria o
solidale. Nell’obbligazione parziaria, la prestazione è frazionata fra i diversi debitori e il creditore potrà richiedere
l’adempimento solo separatamente ad ognuno di loro. Nell’obbligazione solidale invece, il creditore può chiedere la
somma a una qualsiasi dei condebitori. Ciò comporta il vantaggio di non dover relazionarsi con diversi debitori e che
se uno dei condebitori risulta insolvente il creditore potrà comunque ottenere il suo credito intero. Il pagamento
eseguito da un condebitore libera di conseguenza tutti gli altri dall’obbligazione. La solidarietà è regola generale che si
esclude solo se previsto per volontà delle parti.
Per quanto riguarda la scelta del debitore è libera, il creditore può infatti rivolgersi a chi crede, a meno che non sia
stabilito da previ accordi un ordine di richiesta  beneficio di esclusione di alcuni condebitori che saranno chiamati
solo alla fine. Si ha inoltre un altro criterio generale, secondo il quale gli effetti favorevoli che colpiscono un
condebitore si estendono anche agli altri, così non è per quelli sfavorevoli.
Il condebitore che ha effettuato il pagamento totale è tenuto a mettere in atto l’azione di regresso, ovvero la richiesta
del pagamento delle quote di tutti gli altri condebitori.

La solidarietà attiva è la situazione in cui in un rapporto obbligato si ha un unico debitore e una pluralità di creditori.
La regola essenziale è che ciascun concreditore ha il diritto di chiedere l’intera prestazione e il pagamento ottenuto
libera il debitore verso tutti gli altri creditori. Es. cassetta di sicurezza.

CAPITOLO 19: ADEMPIMENTO E ALTRE CAUSE DI ESTINZIONE DELLE OBBLIGAZIONI


L’adempimento è l’attività che consiste nell’eseguire la prestazione che forma oggetto dell’obbligazione. Con
l’adempimento l’obbligazione si estingue, perché l’interesse del creditore è realizzato e il debitore è liberato. Per
confermare il suo stato, il debitore può richiedere la quietanza, un documento che attesta l’avvenuta prestazione; si
tratta di un atto non negoziale che equivale a una confessione.
L’autore dell’adempimento è colui che fa la prestazione, di solito il debitore. Nel caso in cui la prestazione sia eseguita
da un incapace d’agire, questa risulterà comunque valida in quanto si tratta di un comportamento obbligato e non una
scelta di autonomia (art. 1190 cc). Nel caso in cui, invece, sia il creditore un incapace d’agire, una volta eseguita la
prestazione il debitore sarà liberato solo dopo aver dato prova che “ciò che fu pagato è stato rivolto a vantaggio
dell’incapace”, o meglio deve dimostrare che la prestazione è rimasta integra fino al momento di presa di controllo del
rappresentante.

La personalità dell’adempimento è stabilita dall’art 1180 cc, che afferma che l’adempimento risulterà efficace e
regolare anche se svolto da un soggetto terzo, anche contro la volontà del creditore. Si distinguono due situazioni: la
prima avviene quando la prestazione è eseguita da un collaboratore del debitore es. meccanico e dipendenti, in
questo caso è come se l’adempimento fosse fatto dal debitore stesso. Il secondo caso avviene quando l’adempimento
viene effettuato da un terzo non collaboratore, in questo caso risulterà efficace anche se il creditore si oppone. Il
creditore potrà rifiutare l’adempimento solo se ha interesse che la prestazione sia eseguita personalmente dal
debitore o, se anche il debitore si oppone. L’adempimento da terzo può dar luogo al fenomeno di pagamento con
surrogazione, in cui il terzo subentra al creditore nel diritto verso il debitore, questo può essere fatto in modo
volontario o legale quando espressamente richiesta dalla legge.

Il destinatario dell’adempimento è il soggetto che riceve la prestazione, generalmente è il creditore, ma può essere
disposto come beneficiario anche un terzo (es. rappresentate di un incapace). Esistono dei casi in cui il pagamento a
terzo si presenta come anomalo. La regola generale indica che il pagamento a terzo estraneo non libera il debitore, a
meno che il terzo non si tratti di un creditore apparente o se il creditore ne approfitta del pagamento errato. Il
debitore dovrà dimostrare che la persona che ha ricevuto il pagamento fosse un creditore apparente e che sia in
buona fede.

La prestazione deve avvenire esattamente, ovvero deve rispettare tutte le modalità, qualificative, quantitative, di
tempo e luogo previste. Per l’aspetto quantitativo la prestazione deve essere integrale, per la qualità deve essere
proprio la prestazione forma dell’oggetto del rapporto, deve poi essere eseguita nel tempo e nel luogo stabiliti. Una
prestazione eseguita senza una delle precedenti modalità risulta come adempimento inesatto.
Con la datazione in pagamento, il debitore si libera eccezionalmente dall’obbligazione eseguendo una prestazione
diversa da quella formante oggetto di obbligazione.
Per quanto riguarda il termine si distingue a seconda che la fonte indichi una scadenza. Se la scadenza è indicata allora
la prestazione andrà eseguita entro quella data, se non è indicata invece l’adempimento può essere richiesto, se
possibile, immediatamente. Il termine può essere stabilito a favore del debitore (il debitore può decidere se
anticiparla), del creditore (il creditore può chiedere di anticiparla) o di entrambi, generalmente, in mancanza di termini
si considera a favore del debitore. Si incorre nella decadenza del termine quando il debitore risulta insolvente. Il
termine ha implicazioni sociali ed economiche soprattutto se si parla di debiti commerciali, il legislatore per evitare
crisi di aziende ha stabilito termini di pagamento ragionevolmente brevi, interessi di mora e accordi di deroghe.
Per quanto riguarda il luogo, generalmente, in mancanza di indicazioni, si stabilisce che l’adempimento debba essere
fatto presso il debitore, esso subisce deroghe per pagamenti in denaro o consegne di beni.

L’imputazione del pagamento è l’individuazione del debito a cui si riferisce un pagamento. Vengono applicate due
regole generali, la prima è la possibilità del debitore di indicare quale debito sta saldando, in mancanza di scelta il
pagamento è imputato al debito più scaduto e meno garantito.

Molto spesso per l’adempimento di un’obbligazione è necessaria una cooperazione del creditore, se questa non
avviene il creditore potrà incorrere in conseguenze svantaggiose dette mora del creditore. Il presupposto iniziale è
che il creditore rifiuti senza motivo la prestazione o la ostacoli. Questi non si verificano in modo automatico ma solo se
il debitore mette in atto l’offerta della prestazione. L’offerta può presentarsi in vari modi:
- Formale, fatta attraverso un pubblico ufficiale. Si distingue in reale (consegna di denaro o titoli di credito) e
per intimidazione (consegna di mobili o immobili)
- Offerta secondo gli usi, fatta senza formalità, nel caso di prestazione di fare è sufficiente a produrre la mora,
negli altri casi occorre che il debitore faccia il deposito delle cose dovute
Dal momento dell’accettazione dell’offerta, la mora del creditore produce effetti a favore del debitore (art. 1207 cc):
non risponde dei danni, in caso di danneggiamento può richiedere un risarcimento, non deve interessi o frutti e sia ha
lo spostamento a carico del creditore dell’impossibilità della prestazione. Non ha effetto di liberare il debitore, almeno
finché non si estingue l’obbligazione. Il debitore può liberarsi tramite deposito, affidamento a terzi della custodia del
bene oggetto del contratto.

Le obbligazioni pecuniarie sono quelle in cui la prestazione consiste nel pagare una somma di denaro, comprendono
sia i debiti di valuta (già esattamente determinati) che i debiti di valore. Per i debiti di valuta si applica il principio
nominalistico (art. 1277 cc), secondo il quale i debiti pecuniari si pagano a valore nominale, la ragione principale
consiste nell’esigenza di certezza. Questo principio può essere derogato dalle parti con accordi di rivalutazione della
somma, stabilendo la clausola d’oro (valore corrispondente a una certa quantità d’oro) o la clausola numeri-indice
che tiene conto degli aumenti dei costi di vita.

Gli interessi sono altro denaro prodotto nel tempo da una somma e quantificato in una percentuale della somma
base. A seconda della funzione si distinguono in:
- Corrispettivi  sono quelli prodotto di pieno diritto dai crediti liquidi ed esigibili. Sono un’obbligazione
accessoria che nasce automaticamente. Si distinguono in legali e convenzionali. I primi sono applicati con il
tasso legale stabilito dal Ministro dell’economia, mentre i secondi sono stabiliti dalle parti, ma non devono
superare comunque una soglia di interesse stabilita tale che oltre quella si considera usura. L’art. 1815 cc
stabilisce che la clausola che stabilisce un tasso troppo alto di interessi è nulla e quindi non produce effetti,
come sanzione civile ha la perdita di interessi dovuti e la restituzione di quelli già pagati.
- Moratori  dovuti per ritardi nei pagamenti. Hanno funzione di risarcimento del creditore per il ritardo
- Compensativi  utilizzati per la quantificazione del risarcimento del danno nella responsabilità
extracontrattuale
Il fenomeno dell’anatocismo è ad oggi consentito ma con molte limitazioni stabilite dal testo unico bancario.

Esistono altre cause, oltre all’adempimento, che portano all’estinzione dell’obbligazione. Queste si distinguono in
satisfattive e non satisfattive in base alla soddisfazione dell’interesse del creditore. Le principali sono:
- Compensazione  sono le obbligazioni che due soggetti hanno l’una contro l’altro. Può essere totale o
parziale. Si distingue in legale (quella che opera automaticamente se i debiti sono omogenei e entrambi
liquidi e fungibili), giudiziale (quando il giudice la stabilisce nonostante ci sia un debito non ancora liquido ma
facilmente liquidabile) e volontaria.
- Confusione le qualità del debitore e del creditore si riuniscono nella stessa persona (es. il creditore diventa
erede del debitore)
- Novazioneaccordo fra credito e debitore per sostituire un’obbligazione diversa a quella originaria che si
estingue. Può essere oggettiva, quando cambia l’obbligazione o soggettiva quando cambia il creditore o il
debitore.
- Remissione  atto con cui il creditore rinuncia al proprio credito. L’effetto si produce dal momento della
comunicazione. Il debitore è libero di rifiutare la remissione
- Impossibilità sopravvenuta  l’art. 1256 stabilisce che l’impossibilità sopravvenuta è quella che deriva da
una causa non imputabile al debitore, come una catastrofe naturale. Se l’impossibilità è solo temporanea il
debitore continua ad essere obbligato, ma se il tempo diventa eccessivamente lungo l’obbligazione risulterà
estinta. Se l’impossibilità è parziale il debitore si libera adempiendo alla parte rimasta possibile.

CAPITOLO 21: L’INADEMPIMENTO DEL DEBITORE MORA E RESPONSABILITA’


Si ha inadempimento quando il debitore non esegue esattamente e tempestivamente la prestazione dovuta.
L’adempimento può assumere diverse forme, più o meno gravi: l’inadempimento radicale e definitivo, avviene
quando il debitore non esegue per nulla la prestazione, l’adempimento inesatto, quando il debitore esegue la
prestazione ma con standard qualitativi inadeguati o in misura inferiore e il ritardo nell’adempimento che avviene
quando il debitore esegue la prestazione oltre il termine fissato. Quando avviene una di queste situazioni si verifica il
problema di tutelare il creditore insoddisfatto, esistono diversi rimedi. Per l’adempimento in ritardo si ha la mora del
debitore, per le altre forme di inadempimento si può fare richiesta di risarcimento del danno. Un caso particolare è
quando l’obbligazione inadempiuta nasce da un contratto si ha come rimedio la risoluzione del contratto o l’eccezione
d’inadempimento.

La mora del debitore è la situazione giuridica che si determina quando il debitore esegue la prestazione in ritardo. Può
scattare, però solo se il ritardo è ingiustificato.
Gli effetti della mora si producono solo se il creditore prende l’iniziativa di costituzione in mora, consistente nella
richiesta di adempimento rivolta per iscritto al debitore. Si hanno però 3 eccezioni in cui gli effetti si producono
automaticamente: quando il debitore dichiara per iscritto di non voler adempiere, quando l’obbligazione deriva da un
fatto illecito extracontrattuale o quando il termine della prestazione, che doveva essere svolta al domicilio del
creditore scade senza che essa sia stata adempita. Il soggetto è automaticamente moroso.
Una volta avvenuta la costituzione in mora si producono due effetti. Il primo, riguarda solo le obbligazioni pecuniarie e
consiste nel maturare gli interessi moratori, calcolati dal giorno della mora fino a quello del pagamento, con tasso
variabile. Questi hanno funzione risarcitoria. Per i debiti commerciali gli interessi scattano senza la necessità di
richiedere la costituzione in mora. Il secondo effetto consiste nel passaggio del rischio: il rischio di impossibilità della
prestazione passa al debitore anche se non direttamente imputabile a lui. Per potersi liberare, il debitore deve
dimostrare che anche se avesse adempiuto tempestivamente, l’impossibilità sopravvenuta avrebbe comunque colpito
l’oggetto della prestazione.
Gli effetti di mora vengono meno quando viene compiuto un atto capace di cancellarne gli effetti. Può essere un atto
del creditore (rinuncia) o un atto del debitore (adempimento della prestazione).
Esiste una disciplina speciale per i ritardi di pagamento nelle transazioni tra imprese e pubblica amministrazione.
Questa disciplina stabilisce la mora automatica e tempi di pagamento molto brevi di 30 giorni.

La responsabilità per inadempimento, anche detta responsabilità contrattuale, è stabilita dall’art. 1218 cc “il debitore
che non esegue esattamente la prestazione è tenuto al risarcimento del danno se non prova che l’inadempimento è
stato determinato da impossibilità derivante da cause a lui non imputabili”. La prestazione deve divenire quindi
impossibile e non imputabile. Una prestazione risulta “impossibile” quando per adempierla occorrerebbero attività e
mezzi che vanno al di là di ciò che normalmente può richiedersi. L’imputabilità fa riferimento alla presenza o meno di
una responsabilità che giustifichi l’inadempimento dell’obbligazione.
Esistono due tipi di responsabilità:
- Responsabilità per colpa  l’inadempimento dipende da sua colpa. Colpa significa negligenza, imprudenza
imperizia è il contrario di diligenza. La colpa può presentarsi con gradazioni d’intensità diverse: ordinaria o
grave. La colpa si distingue dal dolo, che è la coscienza e la volontà di danneggiare qualcuno.
- Responsabilità oggettiva l’inadempimento gli è imputato per cause rientranti nella sua sfera di controllo
anche se non direttamente collegabili alla sua colpa. Questa responsabilità si fonda sul rischio: il debitore
risponde di tutti i fatti anche non dipendenti da sua colpa, che si manifestano nella sfera dell’organizzazione
della sua attività (es. un trasportatore paga per la perdita di valore dopo un incidente stradale, anche se non
causato da lui). Il debitore risponderà anche dei fatti dolosi o colposi dei terzi cui si rivolge per lo svolgimento
della prestazione.
Il debitore sarà sempre liberato da colpa se riesce a provare che l’inadempimento è avvenuto per caso fortuito o forza
maggiore. Le misure di contenimento dell’epidemia Covid sono prese in considerazione nella valutazione
dell’inadempimento, il che significa che la responsabilità non sarà attribuita al debitore.

Un principio generale stabilisce che chi fa valere un diritto ha l’onere di provare i fatti che lo fondano, per
l’inadempimento ad esempio il creditore che pretende il risarcimento deve dimostrare l’esistenza dell’obbligazione,
l’inadempimento, il danno causato e l’imputabilità al debitore. Quest’ultima è la prova più difficile, per questo si
verifica l’inversione onere della prova, sarà quindi il debitore a dover provare che l’inadempimento non è imputabile
a lui.

Distinzione fra obbligazioni di mezzi e di risultato.


Le obbligazioni di mezzi sono le obbligazioni che hanno ad oggetto prestazioni che impegnano il debitore in una forma
di cooperazione con il creditore nel raggiungimento dell’obbiettivo, ma non necessariamente del risultato (es.
obbligazione dell’insegnante  ha la responsabilità di insegnare ma non di far passare l’esame). I teorici della
distinzione hanno sostenuto che i debitori di un’obbligazione di mezzi potranno rispondere di inadempimento solo se
hanno avuto un comportamento negligente.
Le obbligazioni di risultato, invece, sono le obbligazioni in cui le prestazioni comportano la consegna al creditore di un
preciso risultato. Si ritiene che lo sforzo massimo dovuto dal debitore sia molto più inteso, il debitore potrà liberarsi
solo dimostrando un’impossibilità oggettiva nell’adempimento della prestazione. Questa distinzione è ritenuta ad oggi
però poco decisiva.

Quando il debitore risulta responsabile sorge a suo carico l’obbligo di risarcire il danno. Il danno è la diminuzione del
valore che il patrimonio del danneggiato subisce per effetto dell’inadempimento. Si compone di due elementi: danno
emergente e lucro cessante. Il danno emergente è la perdita subita, mentre il lucro cessante implica il mancato
guadagno. Il danno può essere anche non patrimoniale.
La più diffusa forma di risarcimento è quella per equivalente (art. 1223), sostituzione del danno con una somma di
denaro, esiste però un altro modo di riparare: la riparazione in forma specifica (ricreando la situazione iniziale del
danneggiato, rendendolo “non più danneggiato”).
Sorge il problema della quantificazione del danno. Il criterio base utilizzato opera in senso estensivo, afferma infatti
che va risarcito tutto il danno sofferto dal creditore, sia come emergente che come lucro cessante. Mentre gli altri
criteri operano in senso restrittivo per il criterio di causalità il danno va risarcito nella sola misura in cui sia
conseguenza immediata e diretta all’inadempimento, per la prevedibilità (art 1225) va risarcito solo il danno che
poteva essere previsto, il criterio di concorso di colpa del creditore danneggiato (art 1227) si applica quando alla
produzione del danno contribuisce anche un fatto colposo di un terzo che lo subisce. Per il criterio di evitabilità, il
risarcimento non è dovuto per danni che il creditore avrebbe potuto evitare usando l’ordinaria diligenza, infine c’è il
criterio della valutazione equitativa (art 1226), una stima fatta dal giudice in mancanza di prove del preciso
ammontare di un danno.
La clausola penale è l’accordo fra creditore e debitore in cui concorda anticipatamente quale somma sarà dovuta in
caso di inadempimento. Ha funzione di semplificare i rapporti fra le parti ed evitare conflitti. Esistono altre clausole
come la clausola di esonero e di limitazione della responsabilità, che stabiliscono che i danni non saranno risarciti o lo
saranno solo entro un tetto massimo.

CAPITOLO 23: LA DEFINIZIONE DI CONTRATTO


Il contratto è l’istituto a cui il legislatore dedica il maggior numero di norme del cc, è l’esemplare più importante degli
atti giuridici. L’art. 1321 cc definisce il contratto come l’accordo di due o più parti per costituire, regolare o estinguere
tra loro un rapporto giuridico patrimoniale. Da questa definizione si ricava che il contratto sia un atto negoziale, un
atto bilaterale e un atto patrimoniale.
È un atto negoziale in quanto la volontà del soggetto di produrre degli effetti giuridici ha un valore fondamentale e
centrale. Si tratta poi di un atto bilaterale o plurilaterale in quando occorre che partecipino almeno due parti animate
dalla comune volontà di modificare la propria situazione giuridica. Gli atti unilaterali si formano invece in base alla
volontà di una sola parte non richiedendo l’accordo a nessun’altra. Sono unilaterali atti con effetti che incidono su
situazioni giuridiche dell’autore (es. accettazione eredità), atti con effetti che incidono su situazioni altrui ma in modo
non vincolante (es. procura) e atti con effetti che indicono pesantemente su situazioni giuridiche altrui (es. recesso
unilaterale).
Il contratto è infine un atto patrimoniale, in quanto incide su situazioni patrimoniali. Questa sua caratteristica lo rende
lo strumento principale per realizzare operazioni economiche.  permette la circolazione delle risorse economiche tra
privati.

Il termine contratto può esprimere due significati, può essere inteso come atto in sé o come rapporto fra le parti.

Il contratto è una categoria estremamente ampia e eterogenea, al cui interno si differenziano diverse sotto categorie
di contratti. Una prima distinzione viene fatta in relazione al numero di parti:
- Contratto bilaterale
- Contratto plurilaterale  che si distingue ulteriormente in contratti plurilaterali con comunione di scopo e
senza comunione di scopo. Quelli con comunione sono caratterizzati dal fatto che le prestazioni di ciascuna
parte sono dirette al conseguimento di uno scopo comune, in quelli senza comunione invece ogni parte
persegue il proprio interesse a volte anche conflittuale.
La disciplina del contratto si divide in due grandi settori, da un lato c’è la disciplina generale, che si applica a
qualunque contratto indipendentemente dal tipo, dall’altro le discipline dei singoli tipi contrattuali. Normalmente le
due discipline si cumulano, ad ogni contratto possono applicarsi entrambe le norme, ma se uno stesso aspetto è
regolato da entrambe le discipline preverrà quella specifica, in base al principio di specialità.
Uno dei principali problemi con la disciplina del contratto riguarda i contratti in cui una parte è lo stato. Il fenomeno è
regolato sia dal diritto pubblico che dal diritto privato, la fase che precede e prepara il contratto è regolata dal diritto
pubblico, mentre il rapporto che deriva dalla stipulazione del contratto viene regolamentato dal diritto privato.

CAPITOLO 24: FORMAZIONE E FORMA DEL CONTRATTO


Il contratto esiste ed è concluso quando le parti raggiungono l’accordo, ma ciò implica una sequenza di
comportamenti umani che deve risultare conforme al modello stabilito dalle norme. All’interno di uno stesso
ordinamento possono coesistere diversi schemi legali per la formazione del contratto, in particolare nel nostro
ordinamento possono identificarsi uno schema base che regola tutti i contratti e svariati schemi particolari.
Tramite questi schemi si afferma la dichiarazione contrattuale, l’esplicita manifestazione della volontà di fare il
contratto. Generalmente è diretta a una persona determinata (dichiarazione ricettizia), ma può anche non rivolgersi
ad altri soggetti (dichiarazione non ricettizia, es. testamento). La dichiarazione ricettizia inizia a produrre gli effetti
giuridici solo dal momento in cui arriva a conoscenza del destinatario.

All’art. 1326 cc viene stabilito lo schema base della formazione del contratto. “Il contratto è concluso nel momento in
cui chi ha fatto la proposta ha conoscenza dell’accettazione dell’altra parte”. Si presuppone quindi che una parte
formuli la proposta del contratto all’altra parte, detto oblato e che questo faccia la relativa accettazione. L’art. 1335
stabilisce però che il contratto risulti formato già dal momento della consegna dell’accettazione. Nel caso in cui
l’accettazione risulti tardiva, il contratto non risulterà formato, a meno che il proponente non l’accetti ugualmente. Il
contratto si conclude solo se l’accettazione è conforme, se invece è difforme equivale a una controproposta.
Esiste una classe di contratti che richiedono di essere eseguiti senza bisogno di preventiva accettazione comunicata al
proponente, ciò può accadere su richiesta del proponente stesso o per usi. Il contratto sarà concluso “nel tempo e
luogo in cui ha avuto inizio l’esecuzione”, ma l’accettante dovrà dar avviso dell’iniziata esecuzione.
Alcuni contratti possono essere conclusi tramite la proposta non rifiutata, non occorre quindi alcuna risposta
dell’oblato.
Generalmente la consegna di una cosa rappresenta l’esecuzione del contratto, per i cosiddetti contratti consensuali,
esistono però i contratti reali che sono quelli che comprendono nello schema di formazione anche la consegna della
merce.

I contratti aperti sono quelli per i quali esiste la possibilità che altre parti entrino successivamente nel contratto, come
nei contratti associativi. La loro adesione ha funzione di accettazione della proposta. La partecipazione può avvenire
secondo modalità d’adesione stabilite dal contratto oppure quando l’adesione giunge all’organo costituito per
l’attuazione del contratto o a tutti i contraenti originari.

L’offerta al pubblico è un particolare tipo di proposta, che ha la caratteristica di essere indirizzata a una collettività di
possibili destinatari. Ne consegue che per la formazione del contratto sia sufficiente un’accettazione dell’interessato,
ciò incontra però dei limiti: l’offerta deve infatti contenere gli estremi essenziali del contratto e non deve escludere
circostanze o usi.

Fra il momento della proposta e quello di conclusione del contratto, può passare un periodo più o meno lungo in cui
possono verificarsi delle situazioni che possono influire sulla conclusione del contratto.
Una prima ipotesi si ha quando il proponente muore o diventa legalmente incapace, se ciò accade dopo la conclusione
il contratto continuerà ad essere valido e saranno l’erede o il rappresentate a svolgere l’esecuzione del contratto, ma
se ciò accade prima della conclusione del contratto allora la proposta o l’accettazione perderanno efficacia. Questa
regola ha due eccezioni, la prima riguarda la proposta irrevocabile, la seconda se il proponente è un imprenditore. La
ragione è che i contratti relativi all’impresa hanno di solito carattere impersonale, legato all’attività e non
all’imprenditore stesso.
La seconda ipotesi ricorre quando il dichiarante si pente e desidera impedire la conclusione del contratto, ciò è
consentito dalla legge tramite la creazione di un atto unilaterale chiamato revoca. La proposta può essere revocata
fino al momento in cui il contratto risulta concluso, anche l’accettazione può essere revocata, purché la revoca giunga
a conoscenza del proponente prima dell’accettazione. Ci sono alcuni casi in cui la proposta non si può revocare, perché
è una proposta irrevocabile, spesso è una decisione che arriva dallo stesso proponente.
L’opzione è l’accordo fra le parti, per cui il proponente si obbliga a tenere ferma la sua proposta per un tempo
determinato. È essenziale che sia stabilito il termine, la differenza con la proposta irrevocabile è che l’opzione nasce da
un accordo fra le parti e non su base unilaterale.

La prelazione è il diritto di essere preferito a chiunque altro, a parità di condizioni nella conclusione di un determinato
contratto. Si distinguono due tipi di prelazione: quella convenzionale, che nasce per volontà degli interessati ed ha
efficacia obbligatoria e la prelazione legale, disposta dalla legge, ha efficacia reale, il che significa che è opponibile
anche a terzi.

La conclusione del contratto viene generalmente preceduta e preparata da una fase di trattative, in cui le parti
discutono i termini del contratto e ciascuno cerca di far prevalere il proprio interesse. Si tratta di una fase delicata che
viene regolata dalla legge dal principio di buona fede, ovvero con comportamenti di correttezza e lealtà. La parte che
non rispetta questo principio incorrerà nella responsabilità precontrattuale.
La scorrettezza può dar luogo a tre situazioni:
- Il contratto non si forma  rottura ingiustificata della trattativa
- Si forma un contratto invalido  la parte scorretta non informa l’altra parte di una causa di invalidità
- Si forma un contratto valido ma sconveniente
In ciascuno di questi casi la vittima riceve un danno, che l’autore della scorrettezza deve risarcire. Va risarcito però
solo il cosiddetto interesse negativo, cioè il danno che deriva dall’aver intrapreso una trattativa finita male. Ciò può
comprendere spese inutilmente fatte, perdita di occasioni…  è una responsabilità extracontrattuale

Per concludere un contratto non basta la volontà di farlo, ma occorre la corrispondente manifestazione di volontà.
Questa può essere espressa, se comunicata tramite il linguaggio o tacita, con segni diversi dal linguaggio, come ad es.
iniziando a eseguire la prestazione. La manifestazione tacita viene anche definito comportamento concludente. Alcuni
contratti prevedono espressamente la manifestazione espressa, mentre per altri è sufficiente quella tacita. La
presenza del comportamento concludente, ci dice che nel nostro ordinamento vale il principio di libertà della forma,
la manifestazione non richiede infatti modalità particolari ma può avvenire con qualunque modalità idonea a farla
comprendere. Tuttavia questo principio ha delle eccezioni: per alcuni contratti, i cosiddetti formali, la legge richiede
particolari modalità espressive. Il principale vincolo è la scrittura che si traduce in un documento:
- Scrittura privata  richiesta per il trasferimento di proprietà di immobili, per i diritti di godimento ultra
novennale e per i contratti con le pubbliche amministrazioni
- Atto pubblico richiede l’intervento di un notaio ed è richiesto per costituzione di società, convenzioni
matrimoniali, donazione…
Le ragioni per cui la legge impone una determinata forma sono in primis assicurare una certezza sull’esistenza e
contenuto del contratto, dare una protezione nei confronti del contraente e infine poter effettuare controlli sui
contratti.
Quando la forma, espressamente richiesta non viene rispettata il contratto è da considerarsi nullo.
Si parla di forma convenzionale quando una particolare forma della manifestazione di volontà è richiesta non dalla
legge, ma dall’accordo delle parti interessate.

CAPITOLO 25: LA RAPPRESENTANZA


Con la rappresentanza il contratto è fatto da un soggetto, ma gli effetti si producono a capo di un soggetto diverso.
colui che fa il contratto è detto rappresentante, mentre chi riceve gli effetti è il rappresentato. Questa distinzione di
soggetti è importante per alcune regole: è necessario che il rappresentante sia in buona fede e che dichiari di agire in
nome e per conto del rappresentato, cosiddetta spendita del rappresentato.
Non si ha rappresentanza in caso di nuncius, ovvero se l’interessato manda un terzo a informare della sua volontà di
concludere il contratto.
Si può ricorrere alla rappresentanza anche fuori dal campo dei contratti, con atti unilaterali, ricezione di atti. La
rappresentanza è esclusa per gli atti personalissimi, come matrimonio, testamento…
La rappresentanza è un potere, di incidere con le proprie volontà sulle situazioni giuridiche del rappresentato. L’art
1387 distingue la rappresentanza legale, quella volontaria e quella organica. La rappresentanza legale è quella
stabilita dalla legge, riguarda sia la rappresentanza dell’incapace che altre situazioni come il fallimento in cui il
rappresentato non ha potere di decisione. La rappresentanza volontaria è caratterizzata dall’autonomia
dell’interessato. La rappresentanza organica è particolare in quanto il rappresentato non è una persona fisica, ma
un’organizzazione.

La procura è l’atto con cui l’interessato conferisce volontariamente al rappresentante il potere di rappresentarlo. Si
tratta di un atto unilaterale e non ricettizio, in quanto è indirizzato verso i terzi. È necessario che chi la richiede abbia
la capacità legale di agire, mentre al rappresentante si richiede solo la capacità di intendere e di volere. La procura può
richiedere una forma particolare, ovvero la stessa richiesta dal contratto che il rappresentante dovrà concludere.
Il contenuto può essere vario, la distinzione fondamentale è fra procura generale, che autorizza a compiere tutti gli
affari e procura speciale, che impone dei limiti.
L’estinzione della procura può essere determinata dal venir meno del rapporto sottostante, ovvero il rapporto che
giustifica la procura, ma può dipendere anche dalla morte di una delle due parti, dalla rinuncia del rappresentante o
dalla revoca del rappresentato.

Il rappresentato è generalmente libero di cancellare o ridurre i poteri di rappresentanza, ma ha l’onere di portare a


conoscenza dei terzi la nuova situazione creata. Nel caso in cui un falso rappresentante stipuli un contratto, si
seguono 4 regole fondamentali. La prima riguarda l’inefficacia del contratto, la seconda riguarda la possibilità di
ratifica, il rappresentato ha infatti la possibilità di pretendere con un atto unilaterale che il contratto risulti ugualmente
efficace. La terza regola tiene conto che il falso contratto crea una situazione di incertezza, per questo offre due
possibilità, stabilire un termine entro il quale decidere se ratificare oppure sciogliere consensualmente il contratto.
L’ultima regola è la responsabilità del falso rappresentante verso il terzo contraente, egli è infatti tenuto a risarcire il
danno al terzo.

Il rappresentante è tenuto ad agire nell’interesse del rappresentato, ma se viola questo obbligo e agisce in modo da
avvantaggiare sé stesso, si crea un conflitto di interessi con il rappresentato. Il criterio utilizzato per risolvere il
conflitto è quello della conoscenza del conflitto da parte del terzo, se questi conosceva il contratto è annullabile.

Il contratto per persona da nominare è quello in cui un contraente si riserva di comunicare successivamente alla
controparte il nome della diversa persona che acquisterà i diritti.

CAPITOLO 26: GLI ELEMENTI DEL CONTRATTO


Gli elementi essenziali del contratto sono stabiliti all’art. 1325 che ne indica 4: l’accordo, la causa, l’oggetto e la forma.
L’oggetto è costituito dalle prestazioni contrattuali, ovvero dagli impegni che il contratto mette a carico della parte. Il
codice indica i requisiti dell’oggetto contrattuale all’art 1346, deve essere possibile, lecito e determinato o
determinabile.
I criteri dell’illiceità sono stabiliti all’art 1343, indicando tre parametri, essere illecito significa essere contrario a norme
imperative, all’ordine pubblico o al buon costume.
Il requisito della determinazione, significa che il contratto non può prevedere prestazioni che attribuiscono vantaggi o
sacrifici indefiniti. È possibile che l’oggetto non sia determinato ma determinabile da criteri o elementi esterni al
contratto stesso. Questo fenomeno è definito come contratto per relazionem, “contratto per riferimento”. Un caso
particolare di contratto per relazionem è quello in cui la relatio viene costituita dalla decisione di un terzo. Il terzo
viene definito arbitratore e l’operazione affidatagli si dice arbitraggio. La sua valutazione può essere fatta con un equo
apprezzamento o essere rimessa al suo mero arbitrio.
La causa del contratto è la ragione giustificativa degli spostamenti patrimoniali creati dal contratto. Ad esempio, lo
scambio di cosa-prezzo è la causa del contratto di compravendita.
In relazione alla diversa causa i contratti si distinguono in:
- Onerosi  entrambe le parti sostengono un sacrificio per avere in cambio un vantaggio. Si distingue a sua
volta in base al modo in cui il contratto realizza l’interesse delle parti:
o Contratti con prestazioni corrispettive, in cui i vantaggi e i sacrifici delle parti sono interdipendenti.
Si definiscono anche contratti di scambio.
o Contratti associativi, caratterizzati da uno scopo comune perseguito mediante un’organizzazione.
- Gratuiti  solo una parte sostiene un sacrificio, mentre l’altra consegue il vantaggio senza sostenere alcun
sacrificio.

In base all’esposizione al rischio i contratti si distinguono in commutativi, in cui le prestazioni sono certe e non
determinate dal caso, e aleatori, in cui il rischio è particolarmente elevato. In questo contratto c’è un’alea, un rischio,
che può incidere sulla prestazione. Possono essere aleatori per natura, ne sono esempio le assicurazioni o per volontà
delle parti.
L’illiceità della causa, i cui parametri sono gli stessi dell’oggetto illecito, impedisce al contratto di essere valido e di
produrre effetti, il contratto sarà perciò nullo.

I motivi del contratto sono i particolari interessi soggettivi che spingono ciascun contraente a fare il contratto, ma
restano estranei alla ragione giustificativa del contratto. Il principio fondamentale è la rilevanza della causa e
l’irrilevanza dei motivi, se perciò si ha un problema a livello di causa questo potrà incidere sul contratto, ma se il
problema sarà nei motivi il contratto continuerà ad avere la sua validità.

CAPITOLO 27: IL REGOLAMENTO CONTRATTUALE


Il regolamento contrattuale è l’insieme delle regole che il contratto detta alle parti, e che esprimono gli impegni e
risultati legali previsti come sistemazione dei loro interessi.
Non è regolato da un unico tipo di fonte, ma da più fonti che possono operare congiuntamente. Queste si distinguono
in fonti autonome, corrispondente alla volontà delle parti e fonti eterogenee, che operano indipendentemente dalle
parti e danno luogo all’integrazione del contratto.
In prima battuta determinare il regolamento contrattuale spetta alle parti, titolari degli interessi che il contratto
regola, vale quindi il principio della libertà contrattuale, secondo il quale è riconosciuto ai privati il potere di
conformare i propri interessi patrimoniali secondo la propria libertà, senza subire imposizioni da autorità esterne, nei
limiti imposti dalla legge. L’art 1322 cc stabilisce che l’autonomia contrattuale è prima di tutto decidere se fare o meno
il contratto, poi se la decisione è di farlo, poter decidere la controparte, il contenuto e la tipologia di contratto da fare
e se fare un contratto atipico.

La legge prevede e disciplina numerosi tipi di contratto, che corrispondono alle operazioni economiche più diffuse e
collaudate. Quelli che seguono i cosiddetti tipi legali, ovvero schemi di operazione, sono chiamati contratti tipici o
nominati. Esistono anche i cosiddetti contratti atipici, in cui le parti creano un contratto che non corrisponde a nessun
tipo legale. Questa libertà incontra una limitazione, i contratti atipici creati devono essere meritevoli di tutela secondo
l’ordinamento, il che significa che devono essere leciti sia per quanto riguarda la causa che l’oggetto. È così che in Italia
sono nati i contratti di leasing o franchising.
La qualificazione del contratto è l’operazione con cui si stabilisce se una determinata fattispecie corrisponda a un tipo
legale oppure a un contratto atipico.

Nello svolgimento del regolamento contrattuale le parti definiscono innanzitutto gli elementi essenziali, ma non si
limitano a questo, di solito infatti concordano anche gli elementi non essenziali. Tutti gli elementi sia essenziali che
non sono determinati dalle clausole del contratto.
Così come le norme anche il testo del contratto avrà bisogno di un’interpretazione; essa è affidata al giudice, che deve
attenersi a criteri legali di interpretazione. I criteri si distinguono in:
- soggettivi, che mirano a interpretare la comune intenzione delle parti. Si utilizza generalmente il criterio del
comportamento complessivo delle parti o quello dell’interpretazione contestuale, con cui si interpreta il
contratto alla luce di tutte le clausole.
- Oggettivi, che mirano a interpretare le parole con ragionevolezza, funzionalità ed equità. Fra questi si ha il
criterio della buona fede, il criterio degli usi interpretativi, con cui si sceglie il significato conforme a quanto
generalmente si pratica …
L’integrazione del contratto è il fenomeno per cui il regolamento contrattuale può essere determinato anche da fonti
esterne alla volontà delle parti. Si distingue in suppletiva, la cui logica è favorire le scelte dell’autonomia privata,
cogente, la cui logica contrasta l’autonomia privata, legale che si realizza mediante norme giuridiche o giudiziale,
integrato da decisioni del giudice.
In caso di lacuna lasciata dalle parti è possibile fare riferimento alle norme dispositive, anche dette suppletive che
hanno la funzione di riempire una lacuna lasciata nel regolamento contrattuale. Operano solo in caso di mancanza di
patto contrario tra le parti. Uno stesso ruolo hanno anche gli usi contrattuali, che sono delle prassi nei comportamenti
di un certo settore o di una certa impresa, che si intendono inserite nel contratto se non risultano non volute dalle
parti.
L’art 1374 cc stabilisce che quando non c’è alcuna norma dispositiva per coprire una lacuna, il regolamento va
integrato in base all’equità tramite l’intervento di un giudice. L’equità contrattuale indica la possibilità da parte del
giudice di determinare qualche aspetto del contratto, applicando la soluzione che appare più equilibrata alla luce delle
caratteristiche del rapporto.
La norma imperativa, invece interviene contro la volontà delle parti. Essi non possono infatti inserire clausole
contrastanti con le norme inderogabili. Il motivo principale è che le norme imperative perseguono un interesse
generale che deve prevalere su quello privato. I casi sono due o il contratto viene cancellato o resta in piedi ma con un
regolamento diverso da quello volontariamente concordato. Si applica infatti il principio di sostituzione automatica
della norma imperativa (art. 1339 cc).

CAPITOLO 28: GLI EFFETTI DEL CONTRATTO E IL VINCOLO CONTRATTUALE


A seconda dei tipi di effetti che si producono si distinguono varie tipologie di contratti.
- Contratti di attribuzione  mirano a modificare le situazioni giuridiche delle parti e determinano
spostamenti patrimoniali
- Contratti di accertamento  sono una parte residuale e si limitano a chiarire le situazioni giuridiche
preesistenti. Su questa categoria i giuristi non hanno idee univoche
- Contratti con effetti obbligatori  sono quelli i cui effetti si esauriscono nel generare debiti e crediti, ovvero
obblighi di comportamento
- Contratti con effetti reali  costituiscono o trasferiscono diritti reali o diritti di credito. Viene seguito un
criterio enunciato all’art 1376 cc “i diritti si trasmettono e si acquistano per effetto del consenso delle parti
legittimamente manifestato”. Questo principio permette di individuare con precisione il momento del
passaggio di proprietà, che si identifica al momento di conclusione del contratto.
- Contratti normativi  definiscono in via preventiva uno schema di regolamento contrattuale che dovrà
essere recepito da una serie di contratti futuri. L’esempio più importante è il contratto di lavoro collettivo
- Contratti con effetti istantanei  sono quelli in cui le prestazioni si esauriscono in un atto o un effetto
puntualizzato nel tempo. Si distinguono in a esecuzione immediata o a esecuzione differita
- Contratti di durata  sono quelli in cui le prestazioni si sviluppano nel tempo. Si distinguono in a esecuzione
periodica o a esecuzione continuata
L’art. 1372 cc stabilisce che il contratto ha forza di legge tra le parti, il che implica la presenza di un vincolo
contrattuale (che è il primo effetto del contratto!) tra le parti, una volta concluso il contratto le parti dovranno
rispettare il patto preso. Questo vincolo può però essere sciolto, per difetto del contratto o per mutuo dissenso o
recesso unilaterale.
Il mutuo dissenso è l’accordo con cui le parti decidono di sciogliere il contratto cancellandone gli effetti.
Il recesso unilaterale normalmente non è ammesso, a meno che non si tratti di un recesso convenzionale, ovvero
stabilito da una clausola del contratto. È possibile che alla clausola di recesso sia affiancata una clausola di caparra
penitenziale, con cui viene stabilita una somma consegnata dalla parte che recede come corrispettivo del recesso. Nel
caso di contratti a esecuzione continuata il recesso può svolgersi in qualsiasi momento ma non tocca o modifica gli
effetti sulle prestazioni già eseguite, in tutti gli altri contratti il recesso è applicabile solo prima del principio di
esecuzione della prestazione.

Il recesso legale è il potere di recedere unilateralmente, attribuita alla parte direttamente dalla legge. Accade per i
contratti a tempo indeterminato. È necessario un preavviso e il contratto si scioglie al momento della scadenza del
preavviso. Questo istituto porta ad un trattamento asimmetrico delle parti, che si trovano in posizioni in cui il recesso
è attribuito a una sola parte o ad entrambe ma con differenza di limitazioni e motivazioni. Es. contratto di lavoro.
Il “ius variandi” è il potere di una parte di modificare unilateralmente l’oggetto del contratto o di qualche aspetto del
regolamento contrattuale.
Il principio di relatività degli effetti è affermato all’art 1372 cc che stabilisce che il contratto non produce effetto
rispetto ai terzi, il che significa che il contratto non può creare obbligazioni a carico di un terzo, impedire l’acquisto di
un diritto da parte di un terzo e disporre di un diritto del terzo.

CAPITOLO 29: EFFETTI DEL CONTRATTO, INTERESSI DELLE PARTI E AUTONOMIA PRIVATA
Esistono strumenti che permettono di modificare la produzione di effetti del contratto:

La condizione è la clausola che subordina gli effetti contrattuali al verificarsi di un avvenimento futuro e incerto. Si
distingue in condizione sospensiva, se blocca gli effetti in attesa di vedere se l’evento si verificherà, o condizione
risolutiva, che consente l’immediata produzione di effetti, ma li farà venire meno se l’evento si verificherà. Ci sono
alcuni atti, chiamati actus legittimi a cui è vietato apporre condizioni, come il matrimonio.
In base alla natura dell’evento, si distingue la condizione potestativa, se l’avvenimento dipende dalla volontà di una
parte, casuale, se è indipendente dalle parti coinvolte, mista se concorrono sia la volontà di una parte che circostanze
estranee o meramente potestativa, se il verificarsi dipenderà dal puro e semplice arbitrio di una parte.
La condizione può presentare poi due patologie, l’essere illecita e l’essere impossibile. È illecita la condizione che
risulta contraria a norme imperative o al buon costume, il contratto in cui è inserita risulterà sempre nullo. È
impossibile la condizione riferita ad un evento che ragionevolmente non può realizzarsi.
La pendenza della condizione è la fase in cui, concluso il contratto, permane l’incertezza sul verificarsi o meno
dell’evento. In questo caso una delle parti ha un diritto condizionato, mentre l’altra ha un’aspettativa di diritto. Il
titolare del diritto condizionato, può esercitarlo compiendo 3 atti:
- Atti di disposizione  trasferire il diritto a un terzo
- Atti di amministrazione
- Atti di godimento
Lo stato di pendenza si chiude quando l’incertezza dell’evento viene meno. Se la condizione manca, la situazione
esistente durante la pendenza si consolida, il diritto condizionato diventa pieno, mentre se la situazione si avvera, la
situazione esistente si rovescia.

Il termine è la clausola che disloca gli effetti contrattuali nel tempo. Può essere inziale o finale, il primo indica il
momento a partire dal quale gli effetti cominciano a prodursi, mentre il termine finale indica il momento a partire dal
quale gli effetti cesseranno.

Il contratto preliminare è quello con cui le parti si obbligano a concludere in futuro un determinato contratto, del
quale hanno già concordato gli elementi essenziali, ma del quale desiderano rinviare gli effetti. Le parti prendono il
nome di promittente venditore e promissario compratore. La legge impone una forma vincolata del preliminare,
ovvero la stessa forma richiesta per il contratto definitivo. Quando una parte rifiuta ingiustificatamente di concludere
il definitivo nel termine stabilito, commette inadempimento del preliminare. L’altra parte può chiedere al giudice la
sentenza costitutiva, che produce gli stessi effetti del contratto non concluso.

Il contratto fiduciario ha la caratteristica di combinare effetti reali ed effetti obbligatori. Il codice non lo prevede. È il
contratto con cui una parte trasferisce la proprietà di un bene all’altra parte che si obbliga a gestirlo secondo le
direttive del fiduciante. Chi trasferisce il bene è detto fiduciante, mentre chi assume gli obblighi è il fiduciario.
Il fiduciario, secondo la fiducia romana, acquista la proprietà piena del bene e il fiduciante resta privo di qualsiasi
situazione di tipo reale sul bene, ha solo diritti di credito nei confronti del fiduciario.

La simulazione del contratto è lo strumento a cui le parti ricorrono quando hanno interesse a creare l’apparenza di
una situazione giuridica diversa da quella che è la situazione reale. Si ha simulazione quando le parti dichiarano di fare
un contratto, mentre in realtà sono d’accordo che non vogliono farlo. L’accordo delle parti si chiama accordo
simulatorio e risulta dalla controdichiarazione del contratto simulato. Si distingue in simulazione assoluta, se le parti
dichiarano di non voler nessun contratto o relativa, se contro-dichiarano di voler un contratto diverso. Nei rapporti fra
le parti il contratto simulato non produce alcun effetto, mentre ne ha quello dissimulato, ovvero quello realmente
voluto.

CAPITOLO 30: I RIMEDI CONTRATTUALI: INVALIDITA’ DEL CONTRATTO


I rimedi contrattuali sono i diversi meccanismi offerti dalla legge per reagire al difetto o disturbo che il contratto
presenta e metterne in discussione gli effetti. Senza tale rimedio gli effetti conserverebbero forza vincolante e questo
sarebbe lesivo di qualche interesse meritevole di tutela. I principali rimedi sono 4: nullità, annullamento, rescissione e
risoluzione.
La nullità reagisce contro contratti difettosi, il cui difetto pregiudica qualche valore fondamentale dal punto di vista
sociale, mentre gli altri tre rimedi fanno riferimento a tutela di interesse particolare, reagiscono a contratti che
presentano difetti che pregiudicano l’interesse del singolo.
In base al momento in cui si presenta il difetto distinguiamo invece nullità annullamento e rescissione che agiscono
contro difetti originari e la risoluzione che agisce invece per disturbi sopravvenuti.

I contratti nulli, invalidi o rescindibili sono anche detti contratti invalidi. Il concetto di invalidità indica la mancanza o il
difetto di elementi costitutivi della fattispecie del contratto, ovvero dei requisiti essenziali stabiliti all’art. 1325cc. I
difetti che portano l’invalidità sono detti vizi ed un contratto con vizi è detto viziato.
L’invalidità non va confusa con l’inefficacia, che indica quando il contratto non produce gli effetti che normalmente
dovrebbe produrre. Fra i due concetti si ha un punto di incontro: un contratto invalido è anche inefficacie, ma non è
vero il contrario. L’inefficacia può dipendere da varie ragioni e operare in diverse maniere. In base al momento in cui si
presenta può essere efficacia originaria, quando il contratto è inefficace dal momento della formazione o inefficacia
sopravvenuta, quando il contratto è inizialmente efficace. A seconda dell’ambito in cui si manifesta può essere
assoluta, se non produce effetti per nessun soggetto o relativa quando produce effetti per le parti ma non per terzi in
determinate circostanze. Si dice che in caso di inefficacia relativa il contratto sia inopponibile a terzi.

L’art. 1418 cc stabilisce in quali casi un contratto è nullo, dividendo le situazioni in nullità strutturale (mancanza di
elementi essenziali, rendo il contratto incompleto) e nullità politiche (contratti disapprovati dall’ordinamento).
Il contratto risulterà nullo “in mancanza dei requisiti stabiliti all’art. 1325”, quindi:
- in mancanza di accordo  Vi rientra il contratto per costrizione fisica, il contratto fatto da soggetti che non
abbiano capacità di intendere e di volere, il contratto non riferibile a chi ne pare l’autore (firma falsificata), il
contratto scherzoso o per rappresentazione scenica
- in mancanza di causa
- quando si ha un oggetto inesistente, impossibile, indeterminato o indeterminabile
- quando sussiste un difetto di forma, ma solo se richiesta per la validità del contratto
Il contratto risulterà poi nullo, per illiceità quando contiene un oggetto illecito, ha una causa illecita, ha una
condizione illecita o un motivo illecito comune a entrambe le parti.

Il contratto in frode è quello che costituisce il mezzo per eludere l’applicazione di una norma imperativa. È nullo
perché ha causa illecita, ovvero gli è attribuita dalle parti una funzione illecita.

La nullità testuale indica che un contratto è nullo quando la legge lo impone, la nullità virtuale stabilisce invece che
sia nullo quando è un contratto contrario alle norme imperative, fatta eccezione che la legge disponga in maniera
diversa.
La nullità può essere anche parziale, quando colpisce una sola clausola del contratto. È disciplinata dall’art. 1419 cc,
che divide la nullità in due situazioni: la prima riguarda una clausola determinante, ovvero che in mancanza di essa i
contraenti non avrebbero concluso il contratto. In questo caso risulterà nullo l’intero contratto. La seconda situazione
riguarda le clausole contrarie alle norme imperative; in questo caso si verifica l’integrazione del contratto, ovvero ci
sarà la nullità della singola clausola che verrà sostituita dalla norma imperativa di riferimento. Il contratto non sarà
quindi nullo.

I vizi che portano all’annullabilità del contratto si riuniscono in due grandi filoni: l’incapacità d’agire e i vizi della
volontà (fattori che disturbano il processo di formazione della volontà contrattuale di una parte). I vizi della volontà
sono 3: errore, dolo e violenza.
Al di fuori di questi due filoni, il contratto è annullabile in qualche altro caso stabilito dalla legge, i principali sono
contratti conclusi con conflitto d’interesse con il rappresentato, contratto compiuto da un coniuge su bene della
comunione…

L’errore è ignoranza o falsa conoscenza di elementi rilevanti per decidere in merito al contratto. Non tutti gli errori
determinano l’annullabilità, ma solo quelli che presentano due requisiti. L’errore è rilevante solo se è essenziale e
riconoscibile. Se non presenta uno dei requisiti l’errore resta a carico di chi l’ha commesso.
È considerato essenziale se riguarda determinati elementi del contratto, ovvero: natura del contratto, oggetto del
contratto (che può riguardare la prestazione, l’identità del bene o una sua qualità) o la persona dell’altro contraente
(che può far riferimento all’identità della persona o alle sue qualità). Nei casi in cui siano implicate le qualità
dell’oggetto o del contraente è necessario che l’errore sia determinante nel consenso, ovvero che se si fossero sapute
inizialmente il contratto non si sarebbe concluso.
L’errore sul motivo è un errore determinante nel consenso ma non essenziale e risulta perciò irrilevante, un tipico
esempio è l’errore di previsione o l’errore sul valore.
L’errore risulta riconoscibile se “una persona di normale diligenza avrebbe potuto rilevarlo” (art. 1431cc).
L’errore ostativo è quello che non implica un vizio di formazione della volontà, ma che tocca la comunicazione della
volontà. Può essere un errore nella dichiarazione o un errore nella trasmissione.

Il dolo è l’inganno nella formazione del contratto, la menzogna utilizzata contro un contraente per indurlo a fare il
contratto. Il rimedio dell’annullabilità del contratto scatta solo se si tratta di un dolo determinante, ovvero un inganno
decisivo per la conclusione del contratto. Il dolo può presentarsi anche come dolo omissivo o reticenza, quando
l’inganno consiste nel tacere elementi decisivi del contratto.
Il dolo di terzo rende annullabile il contratto solo se la controparte ne era a conoscenza.
Alcuni tipi di dolo non hanno come conseguenza l’annullabilità, ad esempio il dolus bonus, che consistente nella
generica esaltazione di una qualità del bene offerto, non ha alcun tipo di conseguenza. Il dolo incidente, ovvero un
inganno non così grave da risultare decisivo ma da indurre la vittima di accettare condizioni meno vantaggiose, implica
non l’annullabilità ma il risarcimento del danno.

La violenza è intesa come minaccia psichica contro un contraente, per costringerlo a fare un contratto che egli non
vorrebbe fare. La minaccia, per rendere il contratto annullabile deve avere tre caratteristiche: essere inerente al
contratto, ragionevolmente grave e prospettare un male ingiusto. Il timore riverenziale non è causa di annullamento.

La rescissione del contratto è un rimedio che si applica ai contratti conclusi in circostanze anomale. Esso scatta in
presenza di due requisiti: uno interno, relativo alla presenza di uno squilibrio economico e un requisito esterno che
consistenze in circostanze anomale, che possono essere circostanze di pericolo o stato di bisogno.
Il contratto concluso in stato di pericolo è rescindibile quando ricorrono i seguenti requisiti: una parte fa il contratto
solo perché vi è costretta dalla necessità di salvare sé o altri dal pericolo attuale di un danno grave, la necessità è nota
a controparte, il contratto viene concluso a condizioni inique. Il contratto concluso in stato di bisogno è rescindibile
quando una parte fa il contratto perché si trova in stato di bisogno, la controparte ne approfitta per trarne vantaggio e
ciò porta uno squilibrio economico fra le prestazioni delle parti. Squilibrio che deve avere uno scarto di valore almeno
di uno a due e che deve perdurare fino al tempo in cui è proposta la domanda di rescissione.

CAPITOLO 31: IL TRATTAMENTO DEI CONTRATTI INVALIDI


Le principali differenze di trattamento giuridico fra i contratti nulli e contratti annullabili riguardano
fondamentalmente quattro aspetti:
- la legittimazione di attivare il rimedio  per la nullità si prevede una legittimazione allargata. Il rimedio può
essere invocato da chiunque abbia interesse o può essere applicato d’ufficio dal giudice. La ragione è che la
nullità fa riferimento all’interesse generale, per questo la legge allarga al massimo la possibilità che sia
scoperta e dichiarata. L’annullabilità invece può essere invocata solo dalla parte nel cui interesse la legge lo
prevede. La ragione è che l’annullabilità serve l’interesse particolare. Esistono però delle eccezioni come
l’annullabilità assoluta, in cui il rimedio può essere invocato da chiunque e la nullità relativa cui può essere
fatta valere solo da una delle due parti.
- la prescrizione del diritto di attivarlo  il diritto di far accertare al giudice la nullità è imprescrittibile.
L’azione per far valere l’annullabilità si prescrive in cinque anni
- il recupero del contratto difettoso  nel caso della nullità, il contratto viziato non può diventare valido, la
convalida infatti non è ammessa. Un’eccezione è prevista per la donazione nulla, che può essere convalidata.
Nei casi di annullabilità invece il contratto può essere convalidato. La convalida è un atto unilaterale che
rende il contratto valido e recupera pienamente i suoi effetti. Per essere valido è necessario che la causa di
annullabilità sia venuta meno e inoltre la parte legittimata deve manifestare la volontà di convalidare, ciò può
avvenire in modo espresso con una dichiarazione di convalidazione oppure in modo tacito.
È vero che il contratto nullo non si può convalidare, tuttavia è possibile un certo recupero attraverso la
conversione. Con essa il contratto può produrre gli effetti di un contratto diverso.
- le conseguenze dell’applicazione del rimedio  nei rapporti interni fra le parti i due rimedi hanno un
trattamento tendenzialmente omogeneo: sei una sentenza dichiara un contratto nullo o annullabile entrambi
i rimedi operano retroattivamente ciò significa che il contratto si considera invalido fin dal principio. Rispetto
ai terzi invece la nullità del contratto è sempre opponibile l’annullamento invece è inopponibile ai terzi.
Risulta eccezionalmente opponibile solo in tre casi ovvero se il terzo è in malafede, se ha acquistato a titolo
gratuito o se l’annullamento dipende da incapacità legale

CAPITOLO 32: RISOLUZIONE DEL CONTRATTO E ALTRI RIMEDI


La risoluzione è uno dei rimedi per lo scioglimento del contratto, generalmente avviene per qualche difetto di
funzionamento che sopravviene dopo la conclusione del contratto.
Le cause di risoluzione sono principalmente 3: inadempimento, impossibilità sopravvenuta della prestazione ed
eccessiva onerosità sopravvenuta.

Come regola la risoluzione per inadempimento è risoluzione giudiziale, viene quindi pronunciata dal giudice con la sua
sentenza. Fino a che la sentenza non è emanata il contratto non risulta risolto. Essendo una sentenza che modifica la
situazione fra le parti è considerata una sentenza costitutiva. Per concedere la risoluzione il giudice deve verificare due
presupposti: il primo è la presenza dell’inadempimento ed il secondo è un certo livello di gravità dell’inadempimento.
La regola secondo cui la risoluzione è determinata dal giudice conosce tre eccezioni, in cui la risoluzione è di diritto:
- clausola risolutiva espressa  prevede che il contratto si risolverà se una determinata obbligazione nascente
da questo non verrà regolarmente adempiuta. Non si produce automaticamente al momento
dell’inadempimento ma è necessaria un’iniziativa della vittima, che dichiari di volersi avvalere della clausola.
- termine essenziale  è il termine di esecuzione della prestazione, scaduto il quale la prestazione non ha più
utilità. Una volta scaduto il termine il creditore potrà esigere ugualmente la prestazione, ma tale decisione
deve essere presa entro 3 giorni.
- diffida ad adempiere la vittima dell’inadempimento formula un’intimidazione scritta ad adempiere entro
un congruo termine accompagnata dalla dichiarazione che decorso tale termine il contratto sarà risolto

La regola secondo cui la sopravvenuta impossibilità della prestazione non imputabile al debitore, estingue
l’obbligazione incontra qualche limite: non si estingue se l’impossibilità si verifica durante la mora del creditore o se il
contratto ha come oggetto una cosa determinata.

La risoluzione per eccessiva onerosità opera solo per i contratti di durata, si applica quando nel corso dell’esecuzione
del contratto si verificano fatti che alterano notevolmente l’originario equilibrio economico. La parte svantaggiata può
chiedere la risoluzione. Le sopravvenienze devono essere successive alla conclusione del contratto, ma anteriori
all’esecuzione del contratto, oggettive ed esterne, straordinarie e imprevedibili. Lo squilibrio economico determinato
può derivare sia da aumenti di costo della prestazione dovuta che da diminuzione di costo della controprestazione.
Perché l’onerosità sia eccessiva è necessario che superi l’alea normale del contratto (normale margine di rischio del
contratto). Quando una parte onerata richiede lo scioglimento, l’altra parte può evitarla se offre di modificare
equamente le condizioni di contratto (offerta di riduzione a equità).

La risoluzione scioglie il rapporto contrattuale, per quanto riguarda il rapporto fra le parti ne consegue la reciproca
liberazione e la restituzione delle prestazioni già eseguite, ad eccezione dei contratti continuati. Per i rapporti con i
terzi si ha la regola di non retroattività, questa non pregiudica i diritti acquistati in precedenza da terzi.

La presupposizione è una causa di risoluzione non prevista per legge ma stabilita e applicata dalla giurisprudenza. Si
identifica con una situazione di fatto che entrambe le parti, pur non menzionandola esplicitamente, hanno
considerato come presupposto fondamentale del contratto. In questo caso il contratto si risolve per inesistenza o
venir meno del presupposto su cui le parti hanno fondato il contratto stesso.

Un contratto a prestazioni corrispettive svolge bene la sua funzione solo se risulta pienamente attuato da entrambe le
parti. Da qui nasce l’utilità di strumenti capaci a rafforzare l’attuazione del contratto e di strumenti che reagiscano
alla sua inattuazione.
Uno strumento per rafforzare l’attuazione è la caparra confirmatoria, consistente in una somma di denaro che una
parte da all’altra alla conclusione del contratto. Funziona come incentivo da entrambe le parti: perché chi la da in caso
di mancato adempimento può richiederla doppia, mentre chi la riceve nel caso in cui la controparte fosse
inadempiente potrebbe recedere dal contratto trattenendosi la caparra. Quando si profila una minaccia è possibile
utilizzare degli strumenti di sospensione dell’attuazione del contratto temporaneamente. Essi prendono il nome di
eccezioni sospensive e le principali sono due: eccezione di inadempimento e mutamento delle condizioni
patrimoniali. Secondo l’eccezione di inadempimento se una parte è inadempiente, l’altra può rifiutare di eseguire la
propria prestazione. Il secondo rimedio protegge il contraente contro il rischio di inadempimento, di fronte al
mutamento di condizioni patrimoniali di una parte, che rendono evidente la possibilità di inadempimento, l’altra può
sospendere la propria prestazione, salvo che gli venga data garanzia.
A parte ai rimedi sospensivi una parte può scegliere altre due strade o conserva la speranza e l’interesse di ottenere la
prestazione e propone una domanda di adempimento oppure propone una domanda di risoluzione. Sia che si faccia
domanda di adempimento che di scioglimento la parte può richiedere in più il risarcimento dei danni.
CAPITOLO 37: LA RESPONSABILITA’ CIVILE FUNZIONI E PRESUPPOSTI
I danni possono verificarsi anche al di fuori di un preesistente rapporto obbligatorio fra danneggiante e danneggiato,
in cui le parti sono estranei. Anche questi danni determinano una responsabilità del danneggiante, chiamata
responsabilità extracontrattuale o responsabilità per fatto illecito oppure civile. Il problema fondamentale è
determinare quando un danno genera responsabilità e quando no, ciò si risolve con due sistemi di responsabilità
civile:
- sistema di tipicità  preventiva descrizione di tutti i casi in cui il danno deve essere risarcito
- sistema di atipicità  si identificano formule ampie e generiche sulla cui base spetta al giudice identificare in
concreto i singoli casi
Il sistema italiano segue il principio di atipicità in base all’art. 2034cc.
Le norme sulla responsabilità civile affrontano 3 questioni, se il danno verificato debba essere risarcito o no, chi è
obbligato a risarcirlo e quale somma di denaro il responsabile deve pagare al danneggiato.
Le funzioni della responsabilità civile sono compensativa, preventiva e sanzionatoria. La funzione compensativa è la
più immediata e mira a compensare il danneggiato per la perdita subita, reintegrando il suo patrimonio ingiustamente
diminuito. La funzione sanzionatoria ha come obiettivo punire il responsabile per un suo comportamento riprovevole.
Ad oggi, a causa della tendenza ad assicurare, sempre più spesso il responsabile di un danno non lo risarcisce
personalmente ed il danneggiato cerca il risarcimento dal suo assicuratore.

La responsabilità nasce in presenza di presupposti (art. 2043cc): presenza di un danno che sia anche considerato
ingiusto (requisito oggettivo), un autore capace di intendere e di volere e che il fatto sia stato compiuto senza una
giustificazione. Infine è necessario che il danno sia addebitabile al soggetto responsabile (requisito soggettivo).

Requisito oggettivo:
L’art. 2043 cc stabilisce che un danno è risarcibile solo se “ingiusto”, o anche detto antigiuridico. Per stabilire la sua
antigiuridicità sono stati stabiliti dei criteri che qualificano come ingiusto il danno causato da un comportamento che
viola una norma, o che corrisponde alla lesione di un interesse protetto dal diritto. Nei casi più ostici sarà necessario
effettuare un giudizio comparativo fra i due interessi in gioco, che consiste nel verificare quale dei due è prevalente.

La responsabilità sorge solo se tra il fatto e il danno esiste un nesso di causalità. Secondo l’articolo 2043 il danno è
risarcibile solo in quanto sia conseguenza immediata e diretta del fatto dannoso. Per accertare il nesso di causalità si fa
ricorso a diversi criteri. Il primo è quello della causalità materiale: un danno può dirsi causato da un fatto se in assenza
di quel fatto quel danno non si sarebbe verificato. Il secondo criterio è quello della causalità giuridica, in base al quale
c’è la ragionevole probabilità che quel determinato fatto abbia provocato quel determinato danno, non occorre la
certezza assoluta basta una probabilità relativa. E la relativa valutazione viene fatta attraverso il giudizio contro
fattuale.

Il danno può essere causato dai fatti di più persone, in questo caso tutte sono responsabili e obbligate in solido al
risarcimento. Nei rapporti interni fra i corresponsabili il peso del risarcimento si distribuisce in base a due criteri: la
gravità delle rispettive colpe e l’entità delle conseguenze. Chi ha risarcito tutto il danno ha regresso verso gli altri per
le corrispondenti quote. In caso di dubbio si presumono uguali.

Requisito soggettivo:
Si fa riferimento a due criteri di imputazione della responsabilità, la colpa e il dolo. La colpa indica una superficialità o
negligenza da parte del danneggiante, mentre il dolo indica la coscienza di cagionare il danno.

Il danno non obbliga al risarcimento l’autore se tale soggetto era privo della capacità di intendere di volere, si ha
però un’eccezione in cui l’incapace risponde solo se la sua incapacità dipendeva da sua colpa. Il danno causato viene
risarcito da chi era tenuto alla sorveglianza dell’incapace. Il responsabile può liberarsi dimostrando di non aver potuto
impedire il fatto e in questo caso il giudice stabilirà un’equa indennità per il danneggiato.

Le principali cause di giustificazione di un fatto dannoso sono tre: il consenso dell’avente diritto, quando il
comportamento dannoso viene autorizzato dallo stesso danneggiato, la legittima difesa, non è responsabile chi causa
il danno per difendere un diritto proprio al quale il danneggiato portava minaccia e lo stato di necessità che ricorre
quando l’autore del fatto è costretto a compierlo per necessità di salvare sé o altri dal pericolo di un danno grave alla
persona, a condizione che sia non volontariamente causato e non evitabile.

Il danno extrapatrimoniale può essere sia patrimoniale che non. Il danno non patrimoniale sono le conseguenze
negative che il soggetto patisce per la lesione recata a un valore della sua persona, come tale non suscettibile di diretta
valutazione economica. A differenza del danno patrimoniale, quello non patrimoniale è dichiarato risarcibile solo nei
casi determinati dalla legge. Il caso più importante in cui i danni non patrimoniali risultano risarcibili sono quelli che
derivano da un reato, ma ad oggi si sono cercate vie per allargare la risarcibilità del danno non patrimoniale: il danno
morale non derivante da reati risulta risarcibile quando consiste nella lesione di un interesse costituzionalmente
protetto. Si distingue poi il danno biologico, ovvero una lesione dell’integrità psico-fisica, accertabile medicalmente.

Responsabilità oggettiva significa responsabilità senza colpa. Nasce con lo sviluppo delle prime società industriali,
dove viene consentita l’attività con imposizione di misure di sicurezza e il residuo rischio di danni viene messo a carico
di chi esercita l’attività. Al di fuori dei casi di responsabilità oggettiva, in cui la responsabilità si fonda sul rischio
d’impresa, la responsabilità si fonda sulla colpa del danneggiante.

CAPITOLO 38: PARTICOLARI IPOTESI DI RESPONSABILITA’


Responsabilità dei genitori e degli insegnanti (art. 2048cc)
I genitori sono responsabili del danno causato dal fatto illecito del figlio minore non emancipato, a condizione che abiti
con loro. Nel caso in cui sia un incapace, risponde chi è tenuto alla sua sorveglianza. La stessa disciplina si applica ai
tutori, per gli illeciti commessi dagli interdetti e agli insegnanti per illeciti compiuti da allievi nel periodo in cui sono
sotto la loro sorveglianza. Genitori tutori e insegnanti hanno la possibilità di una prova liberatoria ovvero dimostrare di
non aver potuto impedire il fatto.

Responsabilità per i collaboratori


Secondo l’articolo 2049 il datore di lavoro è responsabile dei danni causati a terzi per fatto illecito dei suoi
collaboratori purché il fatto sia stato compiuto nell’esercizio delle loro incombenze. I presupposti sono: il rapporto di
preposizione fra responsabile e autore del danno, l’illiceità del fatto e nesso tra fatto dannoso e incombenze. Si tratta
di un tipico esempio di responsabilità oggettiva. Il datore di lavoro obbligato a risarcire può rivalersi in via di regresso
sul dipendente colpevole del danno.

Responsabilità per esercizio di attività pericolose


Chi esercita un’attività pericolosa risponde del danno causato nello svolgimento di essa. L’attività può qualificarsi
pericolosa sia per la sua natura intrinseca sia per la natura dei mezzi utilizzati. È ammessa una prova liberatoria:
dimostrare di aver adottato tutte le misure idonee a evitare il danno.

Responsabilità per il danno da cose


Chi ha la custodia di una cosa risponde dei danni causati dalla medesima. La prova liberatoria è quella tipica delle
ipotesi di responsabilità oggettiva: il custode deve provare il caso fortuito.
Il codice prevede poi la responsabilità per il danno da animali. Il proprietario di un animale risponde dei danni causati
da questo sia che fosse sotto la sua custodia sia che fosse smarrito o fuggito.
Infine la responsabilità per rovina di edificio grava sul proprietario dell’edificio per i danni causati dalla sua rovina. La
prova liberatoria ha un contenuto negativo: il proprietario deve provare che la rovina non dipende né da difetto di
manutenzione né da vizio di costruzione.

La responsabilità per la circolazione di veicoli


L’articolo 2054 distingue fra responsabilità del conducente e responsabilità del proprietario. Il conducente del veicolo
coinvolto è in linea di principio responsabile dei danni conseguenti. Può evitare la responsabilità dimostrando di aver
fatto tutto il possibile per evitare il danno. Una regola particolare è dettata dallo scontro tra veicoli si presume che
tutti i conducenti abbiano concorso in misura uguale a causare lo scontro e il danno conseguente.
Nel caso in cui l’auto coinvolta sia guidata da una persona diversa dal proprietario si aggiunge la responsabilità solidale
del proprietario a quella del conducente. Il proprietario può evitare la responsabilità solidale dimostrando che la
circolazione del mezzo è avvenuta contro la sua volontà.
La responsabilità del produttore
Il produttore che abbia messo in circolazione un prodotto difettoso è responsabile dei danni causati dal difetto del
prodotto. Il produttore risponde anche senza colpa. La prova liberatoria gli impone di dimostrare che il danno non
dipende dal difetto del prodotto o che il prodotto non è stato messo da lui in circolazione. Quando il produttore non è
individuato la responsabilità può colpire il distributore.

La responsabilità per danno alla persona


Oggi ha grande rilevanza l’ipotesi di responsabilità legata alla lesione dell’integrità fisica o della salute della persona. Il
risarcimento del danno coinvolge tre voci: il danno patrimoniale, il danno morale e il danno biologico. Il danno
patrimoniale è formato da danno emergente e lucro cessante. Il danno biologico rappresenta la lesione dell’integrità
fisio-psichica dell’uomo in sé. Per quantificarlo i giudici fanno uso di parametri organizzati in apposite tabelle. Il
legislatore ha parzialmente risolto il problema fissando dei parametri per il danno biologico relativo alle lesioni
derivanti da incidenti stradali.

CAPITOLO 39: I RIMEDI CONTRO IL DANNO, E I DIVERSI TIPI DI RESPONSABILITA’


Il risarcimento del danno è la conseguenza più frequente alla responsabilità, ma non è l’unica possibile. La riparazione
del danno può realizzarsi attraverso due rimedi: il risarcimento e la riparazione in forma specifica.

Il risarcimento è una forma di riparazione per equivalente, nel senso che dà al danneggiato una somma di denaro che
equivale al danno subito. Sorge quindi il problema di determinare la somma, i giudizi in materia comprendono due
quesiti X deve risarcire a Y? E quanti soldi deve?
La determinazione del risarcimento extracontrattuale obbedisce agli stessi criteri previsti per la responsabilità
contrattuale: deve quindi comprendere sia il danno emergente che il lucro cessante, è necessaria la causalità
giuridica per cui vanno risarciti i danni che rappresentano conseguenza immediata e diretta del fatto. Si applica anche
il criterio di concorso di colpa del danneggiato e quello di evitabilità del danno. Quando il danno non può essere
provato nel suo preciso ammontare, la determinazione è rimessa a valutazione equitativa del giudice.

La riparazione in forma specifica rimette il danneggiato nella posizione in cui si trovava prima del fatto dannoso. Ciò è
applicabile a condizione che il rimedio sia possibile e che non risulti eccessivamente oneroso per il danneggiante.
L’inibitoria è un rimedio che serve a prevenire il danno, si realizza tramite un provvedimento del giudice che vieta di
tenere o ordina di cessare il comportamento dannoso.
A queste due forme può cumularsi un risarcimento per equivalente, in quanto non eliminano completamente il
danno.

La responsabilità contrattuale e quella extracontrattuale presentano 3 differenze:


- onore della prova  la regola generale stabilisce che “chi vuole far valere un diritto deve provare i fatti che
ne costituiscono il fondamento”. Per la responsabilità extracontrattuale si applica il principio generale, è
quindi il danneggiato che ha l’onere della prova, per la responsabilità contrattuale si deroga il principio, la
legge prevede l’inversione dell’onere della prova.
- risarcibilità dei danni imprevedibili  una regola stabilisce per la responsabilità contrattuale l’esclusione del
risarcimento dei danni non prevedibili, mentre per la responsabilità extracontrattuale vanno risarciti anche i
danni imprevedibili.
- prescrizione del diritto al risarcimento  per la responsabilità contrattuale il diritto è soggetto a prescrizione
ordinaria di 10 anni, per quella extracontrattuale si ha invece una prescrizione abbreviata di 5 anni

CAPITOLO 42: IMPRESE E CONSUMATORI


Il mercato ha due protagonisti: imprese e consumatori. Da tempo si è consapevoli che gli interessi delle prime
possano confliggere con quelli dei consumatori, per questo in tutti i paesi più evoluti paesi industriali i legislatori si
occupano di predisporre strumenti a tutela di quegli interessi.
In Italia dal 2005 le norme dedicate alla protezione dei consumatori, sono state raccolte in modo organico nel codice
di consumo.
Il codice del consumo definisce il consumatore come “la persona fisica che agisce per scopi estranei all’attività
imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale eventualmente svolta”. La sua controparte è il
professionista, cioè “la persona fisica o giuridica che agisce nell’esercizio della propria attività imprenditoriale,
commerciale o artigianale”. Il codice del consumo regola i rapporti fra queste due figure.

È importante fare in modo che i consumatori non ricevano dalle imprese prodotti scadenti, inferiori o capaci di creare
dei danni, lo strumento più efficace consiste nell’imporre alle imprese standard minimi di qualità e sicurezza da
osservare nella fabbricazione dei prodotti. Un’altra tutela preventiva può realizzarsi con l’informazione, ecco perché
le confezioni devono contenere tutte le informazioni sulla composizione del prodotto. Una prevenzione totale non è
però realisticamente immaginabile per questo motivo si presenta la disciplina della responsabilità del produttore.

Dal 2007 la materia della pubblicità ingannevole è stata inglobata all’interno del concetto di pratiche commerciali
scorrette. Una pratica commerciale è scorretta se presenta due caratteristiche: è contraria alla diligenza professionale
e risulta idonea a falsare il comportamento economico del consumatore medio.
Si distinguono le pratiche commerciali ingannevoli da quelle aggressive. Le prime si basano su informazioni false o
fuorvianti relative ad aspetti commercialmente importanti, mentre le seconde sono quelle che influenzano le decisioni
del consumatore con molestie, coercizioni fisiche o psichiche… Contro le pratiche scorrette è competente a intervenire
L’Autorità garante della concorrenza e del mercato, che ha competenza per l’applicazione della legge antitrust.

Per organizzare e svolgere l’attività, l’imprenditore ha bisogno di stipulare un gran numero di contratti. Ad oggi non
esiste più una categoria di contratti commerciali, sottoposti a una disciplina diversa da quella degli altri contratti, ma si
continua a parlare di contratti d’impresa (contratti che presuppongono la qualità di imprenditore).

I contratti standard o contratti di massa, sono i contratti creati dalle aziende che producono beni o servizi in serie.
Dato il gran numero di contratti che deve concludere, l’impresa ha bisogno che la conclusione avvenga nel modo più
rapido e meccanico possibile e che i contratti abbiano il medesimo contenuto. Questa tecnica di contrattazione ha una
doppia caratteristica: da un lato la standardizzazione dei contratti, dall’altro la predisposizione unilaterale da parte
dell’impresa e la sola possibilità di accettare o rifiutare da parte dell’altro contraente. L’art. 1341cc riconosce il poter
di predisposizione unilaterale del contratto da parte di uno dei due contraenti, dandogli quindi la possibilità di stabilire
le condizioni generali del contratto, ovvero l’insieme delle clausole unilateralmente predisposte. Le regole di disciplina
principali di questi particolari contratti sono che le condizioni generali vincolano l’aderente solo se risulta che questi
avrebbe dovuto conoscerle usando l’ordinaria diligenza, se fra le condizioni sono presenti clausole svantaggiose per
l’aderente anche dette clausole onerose, tali clausole vincolano l’aderente solo se questi li ha specificamente
approvate per iscritto con una doppia firma. Infine se le clausole sono prestampate su moduli quelle aggiunte
prevalgono su quelle prestampate.

La legge dedica una disciplina particolare ai contratti dei consumatori ovvero i contratti tra consumatore e
professionista. La protezione dei consumatori si realizza con due ordini di regole: quelle sulle informazioni
precontrattuali e quelle sulle clausole vessatorie.
L’articolo 48 del codice del consumatore obbliga il professionista a fornire delle informazioni chiare e complete
comprensibili prima che gli si vincoli. Queste informazioni riguardano aspetti essenziali del contratto.
Il divieto delle clausole vessatorie è stato, invece, introdotto nel 1996. I criteri per individuare quando una clausola è
vessatoria formano un sistema articolato su due livelli: il primo è una definizione generale, il criterio base è che sono
vessatorie tutte le clausole che determinano a carico del consumatore un significativo squilibrio di diritti e obblighi .
Al secondo livello la legge fa un elenco di clausole che si presumono vessatorie. Due circostanze possono escludere la
vessatorietà, che è sempre presunta: quando la clausola riproduce il contenuto di un atto normativo o quando ha
formato oggetto di trattativa individuale tra le parti.
Contro le clausole vessatorie possono scattare due tipi di rimedi: il rimedio individuale o rimedio collettivo. Il rimedio
individuale, invocabile dal singolo consumatore è la nullità (detta di protezione in quanto protegge il consumatore), il
rimedio collettivo può essere attivato da associazioni di consumatori o imprenditori e dalle camere di commercio, si
tratta dell’azione inibitoria con cui il giudice proibisce di inserire quella clausola in tutti i futuri contratti.

I contratti a distanza sono quelli che si concludono senza la compresenza fisica del consumatore e del professionista,
utilizzando tecniche di comunicazione a distanza.
I contratti negoziati fuori dei locali commerciali sono quelli che si concludono con la compresenza fisica del
consumatore e del professionista, ma fuori dei locali di quest’ultimo. Il rischio è quello di mettere pressione al
consumatore.
La protezione del consumatore si realizza con: informazione precontrattuale e diritto di recesso. Il recesso va
comunicato entro 14 giorni dalla conclusione del contratto, non è possibile richiederlo se il bene è già stato usato o
deteriorato ed ha come conseguenza, oltre allo scioglimento del contratto, anche la restituzione del bene in cambio
del prezzo.

Il credito al consumo è un’attività finanziaria rivolta ai consumatori interessati ad acquistare beni, per consentirgli di
acquistarli anche senza disponibilità attuale del denaro. A tal fine si offrono dilazioni di pagamento, finanziamenti o
agevolazioni finanziarie. L’operazione di credito rappresenta un doppio rischio per il consumatore: il rischio di
spingersi ad acquistare beni non coerenti con le sue disponibilità e il rischio di accettare condizioni finanziarie troppo
pesanti. Per proteggere il consumatore si prevedono pubblicità delle condizioni contrattuali e regole di disciplina dei
contratti, in particolare è richiesta forma scritta, contenuti determinati, chiari termini economici.

L’azione di classe è uno strumento che permette di agire contro i danni causati da un’impresa nei confronti di una
pluralità di soggetti. Una sentenza determinerà le somme dovute a tutti coloro che avranno partecipato. In questo
modo, con un solo processo si realizza la tutela di un numero ampissimo di consumatori. Contro gli atti lesivi dei diritti
collettivi è previsto anche un rimedio preventivo, l’inibitoria collettiva, per ottenere un provvedimento che impedisca
tali atti.
Il legislatore ha ritenuto necessario intervenire anche nella tutela dell’impresa debole nei confronti di quella forte con
la legge 192/1998. Esso disciplina in primo luogo i contratti di subfornitura, cioè tutti quelli per cui un’impresa
subfornitrice esegue lavorazioni su commesse di un’impresa committente. Il contratto deve avere forma scritta, deve
essere trasparente e avere termini fissi di pagamento. Alcune clausole sono vietate.
L’art. 9 contiene poi il divieto dell’abuso di dipendenza economica, questa è la situazione in cui l’impresa più forte è
in grado di determinare un eccessivo squilibrio di diritti e di obblighi a danno di un’impresa debole. I rimedi possono
essere diversi: se l’abuso si realizza attraverso un contratto esso è nullo, se non si ha un contratto si può richiedere un
risarcimento extracontrattuale.

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