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Le interazioni sociali si svolgono anche nel rispetto di norme non giuridiche, come regole morali, etiche o
religiose. La differenza sta nel fatto che al mancato rispetto di una norma giuridica corrisponde sempre una
sanzione disposta da un’altra norma. Es. art 1218 cc responsabilità del debitore
L’insieme delle regole del diritto privato fanno parte dell’ordinamento giuridico, norme giuridiche che
sanciscono valori, principi, modalità d’esercizio di poteri prodotte dal legislatore che dà vita al diritto positivo
(mentre quello soggettivo è il potere di azione che uno ha verso qualcun altro).
L’ordinamento da sempre aspira a formare un ordinamento giusto, il pluralismo di idee e valori impedisce però
la creazione di un modello “giusto”, è necessario quindi relativizzare il concetto di giustizia (intendendolo come
una mediazione fra interessi sociali contrapposti).
La norma giuridica funziona come combinazione di regola e sanzione; la regola è indirizzata a ottenere un dato
comportamento desiderato, la sanzione è invece la conseguenza al mancato rispetto della regola. In alcuni casi la
sanzione serve a ripristinare l’interesse leso (ruolo satisfattivo), in altri ha ruolo compensativo (non compensa
l’interesse leso ma lo sostituisce con un valore economico equivalente), o ruolo punitivo (colpisce un
comportamento riprovevole). Tutte hanno anche un ruolo preventivo.
La norma ha le caratteristiche dell’astrattezza (applicabili a un numero indeterminato di situazioni) e della
generalità (moltitudine di destinatari) e ciò garantisce l’uguale trattamento dei destinatari. Una norma si dice
speciale quando ha una limitazione di generalità e astrattezza, es. contratto dei consumatori, mentre la norma
eccezionale è dettata per situazioni particolari e imprevedibili, come catastrofi naturali.
Le norme si distinguono anche in norme dispositive (la maggior parte) e norme imperative. Le norme dispositive
contengono disposizioni non obbligatorie dai privati, che possono scegliere liberamente di regolamentarsi con
altre regole (es. art 1282cc crediti liquidi). Le norme imperative invece contengono principi ritenuti obbligatori
per i privati.
I principi ispiratori delle norme del diritto privato sono il principio di uguaglianza (art 3 cost) e quello della libertà
individuale (art 13 e ss. cost).
La fattispecie è la tecnica di formulazione delle norme e indica “l’immagine del fatto”, può essere astratta, se fa
riferimento alla descrizione di un fatto generico o concreta se riferita ad un caso specifico. Applicare una norma
significa quindi verificare che la fattispecie concreta sia corrispondente a quella astratta descritta dalla norma.
Un’altra tecnica meno frequente di redazione è la clausola generale (es. art 1375 cc “il contratto dev’essere
eseguito secondo buona fede”), in questo caso nell’applicazione sarà il giudice a dare una valutazione del criterio
generale.
Per poter applicare una norma è necessario prima interpretarla. L’interpretazione è l’attività di identificazione
del significato giusto delle parole che la norma usa per descrivere la fattispecie astratta. L’interpretazione può
essere restrittiva o estensiva, si ricava quindi la possibilità di interpretare la norma come testo o come precetto
(significato da attribuire al testo). Colui che interpreta ha comunque dei margini di libertà e discrezionalità, che
sono minori quando le norme sono formulate in modo analitico e puntuale. L’interprete è comunque tenuto a
spiegare nel dispositivo della sentenza i motivi e le attitudini che l’hanno spinto a interpretarla in quel modo.
È possibile applicare diversi criteri nell’interpretazione: i due più utilizzati sono quello letterale e
quello logico. Il primo utilizza il comune significato delle parole e le frasi nella lingua italiana ed è utile nel
momento in cui i significati sono univoci. Nel caso in cui il termine sia ambiguo viene utilizzato il secondo che
porta a scegliere il significato più vicino all’intenzione del legislatore, si tende quindi a identificare la ratio legis. Il
criterio logico può essere inteso sia in senso soggettivo (anche detto criterio psicologico), analizzando quindi le
opinioni manifeste di chi ha formulato la norma o in senso oggettivo (criterio teologico), identificando lo scopo
che tenta di raggiungere.
Nel momento in cui si presenta una lacuna del diritto viene utilizzata l’analogia (criterio analogico), che consiste
nell’applicare al caso una norma che regola un caso simile (analogia legis); è applicabile a tutte le norme fatta
eccezione per norme eccezionali o penali. Nei rari casi in cui non si trovino norme simili al caso analizzato, ci si
rifà ai principi fondamentali dell’ordinamento, con la cosiddetta analogia iuris.
Esistono diversi tipi di interpretazione, in base al soggetto:
- Autentica fatta da un’altra norma di grado pari o superiore. È l’unica tipologia che vincola le altre.
- Giudiziale fatta dai giudici
- Amministrativa fatta dagli organi della pubblica amministrazione
- Dottrinale fatta dagli studiosi del diritto
(L’istituto giuridico: insieme delle norme giuridiche che regolano un dato fenomeno della vita sociale.)
Trattati sull’Ue, Trattati sul funzionamento dell’Ue e regolamenti europei (direttamente applicabili)
Direttive europee
Leggi ordinarie, decreti legge, decreti legislativi, leggi regionali
(devono essere
recepite)
Regolamenti ministeriali
Usi e consuetudini*
*ripetizione di un comportamento ritenuto dai consociati giuridicamente vincolante. È una fonte marginale,
subordinata a tutte le altre fonti scritte.
Le norme risultano valide solo se prodotte secondo quanto disposto da norme di rango superiore. Per evitare le
antonimie (ovvero contraddizioni) vengono utilizzati diversi criteri, fra cui quello cronologico, gerarchico e di
competenza.
Le principali fonti scritte del diritto privato sono il codice civile, la costituzione e la legislazione speciale.
Il codice civile è preceduto dalle preleggi che riguardano fonti, efficacia e criteri di interpretazione delle norme.
Gli articoli del codice vanno da 1 a 2969 e si dividono in 6 libri: il primo s’intitola delle persone e della famiglia, il
secondo s’intitola delle successioni, il terzo della proprietà, il quarto delle obbligazioni, il quinto del lavoro e il
sesto della tutela dei diritti. In appendice ci sono poi le disposizioni di attuazione e transitorie che specificano le
modalità applicative delle norme del codice stesso.
A queste fonti sono state aggiunte, per la necessità di ricodificare il diritto i cosiddetti codici, ovvero raccolte di
norme relative ad un’unica materia. Es. codice del turismo, della protezione dei dati personali…
L’attività giuridica indica il fenomeno del continuo compimento di atti giuridici, mentre l’autonomia privata è la
capacità di creare le proprie situazioni giuridiche liberamente, secondo la propria volontà e i propri interessi.
Se la maggior parte degli atti sono atti di autonomia, esistono anche atti non autonomi, come ad esempio l’atto
di pagamento. L’autonomia privata ha un chiaro valore politico, indica infatti il grado di libertà del cittadino;
nasce attraverso le lotte contro l’assolutismo.
I beni vengono ulteriormente distinti in privati e pubblici. I beni pubblici hanno due requisiti: un requisito
soggettivo, che consiste nell’appartenere allo stato e uno oggettivo, che consiste nel soddisfare un interesse
generale della collettività; tutti gli altri beni sono considerati privati. Si tratta di un’importante distinzione in
quanto i beni pubblici sono soggetti a un regime giuridico speciale in base alla categoria di appartenenza, beni
demaniali o beni patrimoniali indisponibili. I beni demaniali sono ad esempio spiagge, fiumi e laghi e sono
caratterizzati dall’essere inalienabili, per cui non possono essere trasferiti a soggetti diversi dallo stato; i beni
indisponibili sono caratterizzati da un vincolo di destinazione, per cui non possono essere sottratti alla loro
destinazione, sono ad es. caserme, navi da guerra… Esistono infine i beni patrimoniali disponibili, beni ritenuti
pubblici nonostante la mancanza del requisito oggettivo, questi seguono il regime ordinario. (es. appartamenti
donati allo stato e messi in affitto)
Il patrimonio è identificato come il complesso delle situazioni giuridiche attive e passive di un soggetto titolare. È
un’entità dinamica che muta continuamente.
Titolo: atto o fatto ritenuto idoneo all’acquisto di un diritto. È la fattispecie che porta all’acquisto di un diritto.
La titolarità di un diritto può essere acquistata a titolo originario o derivativo, nel primo si ha un’assenza di
acquisto
passaggio da precedente a nuovo titolare, mentre nel secondo si ha l’esistenza di un rapporto fra il dante e
l’avente causa, il dante causa aliena il diritto, conferisce la titolarità del diritto per successione, l’avente causa
invece acquista il diritto. Si può ottenere un diritto a titolo derivativo solo se si tratta di un diritto disponibile.
L’acquisto può essere gratuito o oneroso. Si ha poi una distinzione nell’oggetto del diritto, nel caso di acquisto di
uno o più diritti si ha la successione particolare, mentre si parla di successione universale quando il successore
subentra nell’intero patrimonio del dante causa.
L’istituto che disciplina l’estinzione della titolarità è l’istituto della prescrizione (art. 2934 cc). È l’estinzione di un
diritto conseguente al mancato esercizio dello stesso diritto per un tempo definito dalla legge. Si verifica se il
perdita
titolare risulta inerte nei confronti del suo diritto. La funzione della prescrizione è quella di dare certezza nei
rapporti giuridici. Il diritto di proprietà e i diritti indisponibili sono gli unici diritti non soggetti a prescrizione.
L’estinzione mediante prescrizione si verifica solo in caso di inerzia del soggetto. Il tempo ordinario è di 10 anni,
con variazioni più brevi o più lunghe stabilite dal cc, es. il diritto di credito a risarcimento del danno per illecito
extra contrattuale deve essere adempiuto entro 5 anni. Il calcolo del tempo non tiene in considerazione il dies a
quo (giorno odierno) e se la prescrizione cade in un giorno festivo si considera il primo giorno successivo non
festivo.
La prescrizione si può interrompere ogni volta che il titolare del diritto esercita il diritto stesso, ed anche nel
caso in cui il titolare della situazione giuridica passiva correlata riconosce l’esistenza del diritto in modo formale
o con un atto che dimostra la sua volontà di adempiere. Dal momento dell’interruzione ricomincia a decorrere il
tempo a partire da 0.
La sospensione della prescrizione è la scelta dell’ordinamento in date circostante stabilite nel 2941, 2941 cc di
interrompere il tempo della prescrizione. Il tempo trascorso prima della sospensione ricomincia a decorrere dal
perdita
momento in cui terminano le circostanze che hanno portato alla sospensione e si somma a quello successivo.
Le circostanze che determinano la sospensione sono rapporti esistenti fra le parti (matrimonio, lavoro) o per
particolari condizioni soggettive del titolare (minore o interdetto).
La prescrizione è inderogabile, perciò non è ammessa la modifica dei termini temporali, né la rinuncia
preventiva, solamente una volta che la prescrizione si è conclusa è possibile che il soggetto passivo rinunci,
adempiendo comunque al suo obbligo.
La decadenza dalla titolarità rappresenta la perdita della titolarità, i termini, rispetto alla prescrizione, sono
molto più brevi e validi solo per alcuni diritti. La sua funzione (ratio legis) è quello di dare certezza dell’intenzione
del titolare del diritto di volerlo esercitare. Es. diritto di garanzia. Solo alcuni termini di decadenza possono
essere derogati.
La circolazione giuridica è il fenomeno per cui i diritti si trasferiscono continuamente ad altre persone che li
acquistano. Riflette l’andamento del sistema economico del paese. Per migliorare il funzionamento è utile che
determinati fatti, con conseguenze rilevanti, siano conosciuti dall’interessato; questa esigenza è soddisfatta dalla
legge con i mezzi di pubblicità. Esistono diversi mezzi di pubblicità: quelli di natura formale e quelli documentati
in modo fattuale (come il pegno), quelli indirizzati a un singolo soggetto e quelli destinati alla generalità di
soggetti. In base agli effetti giuridici che conseguono alla mancata osservanza delle regole sulla pubblicità si
distingue la pubblicità notizia, dichiarativa e costitutiva. La notizia si ha quando la mancata osservanza non
impedisce al fatto di esistere e di produrre i suoi effetti (es. non registrare il matrimonio non rende i due coniugi
non sposati), con la dichiarativa si ha una diminuzione degli effetti dell’atto, infine la costitutiva è necessaria per
l’esistenza dell’atto stesso, in sua mancanza l’atto è come se non esistesse (es. senza l’iscrizione dell’ipoteca nei
registri l’ipoteca non esiste).
La capacità d’agire è definita dall’art. 2 cc come la capacità di compiere atti giuridici. Si acquista con la maggiore
età. Il minore è ritenuto legalmente incapace, per questo motivo viene affiancato da un rappresentante legale.
La capacità d’agire può essere limitata sia con funzione di protezione del soggetto non in grado di prendere le
decisioni di gestione dei propri interessi (interdizione giudiziale), sia con funzione punitiva per reati con
condanne superiori ai 5 anni (interdizione legale). Gli atti compiuti da soggetti legalmente incapaci, sono ritenuti
annullabili.
Le misure di protezione stabilite dal nostro ordinamento sono: l’amministrazione di sostegno (404 e ss. cc),
interdizione (art 414 cc) e inabilitazione (art 415 cc).
Attualmente la più ricorrente è quella dell’amministrazione di sostegno, introdotta nel 2004. I presupposti per
l’adozione sono la rilevanza di un’infermità fisica o psichica nel soggetto, per questa ragione chiunque si trovi nella
situazione anche solo temporanea di non poter provvedere ai propri interessi potrà essere affiancato da un
amministratore di sostegno. Essa va chiesta al giudice tutelare, il quale verificate le condizioni e le specifiche esigenze
del soggetto emette il decreto di nomina dell’amministratore, che deve contenere durata e atti per cui è necessaria
l’assistenza. Il decreto verrà poi pubblicato a mergine dell’atto di nascita.
Il presupposto per l’interdizione è stabilito all’art 414 che afferma che “il maggiore d’età con abituale infermità di
mente è interdetto”. Al soggetto verrà affiancato un tutore che opererà nel nome e per conto del soggetto, solo in casi
particolari il giudice potrà indicare gli specifici atti in cui il soggetto potrà effettuare atti senza l’intervento del tutore.
Il presupposto per l’inabilitazione è stabilito all’art 415, che afferma che i soggetti con uno stato di infermità
qualitativamente inferiore rispetto all’interdizione. Possono essere inabilitati il sordo o il cieco dalla nascita o anche chi
fa uso abituale di droghe o alcool e espone a pregiudizi economici. Il giudice attua queste misure solo dopo
un’istruttoria. Inoltre all’esito della procedura verrà identificato un curatore, che lo affiancherà in casi specifici di
straordinaria amministrazione. Un caso particolare di inabilitazione è il minore emancipato, ovvero un soggetto che
abbia compiuti 16 anni e che sia stato autorizzato a contrarre il matrimonio.
L’incapacità naturale è la condizione di fatto nella qualche chiunque si può trovare, anche temporaneamente, di
incapacità di intendere e volere. Si tratta di una condizione non verificata tramite documenti e quindi più difficile
d’accertare, per questo l’art. 428 ha stabilito tre clausole particolari: gli atti unilaterali posti in essere dal soggetto
naturalmente incapace possono essere annullati, solo se ne risulta un grave pregiudizio all’autore, mentre per i
contratti è necessario dimostrare anche la malafede della controparte. Infine gli atti personalissimi, come il
matrimonio sono sempre annullabili.
Quest’articolo tenta di trovare un bilanciamento fra la volontà dell’incapace e la tutela dell’affidamento della
controparte.
Nel caso in cui un soggetto naturalmente incapace procuri un danno a terzi, si distingue nel caso sia incolpevole o dalla
situazione in cui il soggetto si sia consapevolmente messo in una situazione di incapacità. Se è incolpevole il soggetto
non può rispondere al danno direttamente ma sarà responsabilità del responsabile di sorveglianza o con un’equa
indennità se il responsabile non risponde.
CAPITOLO 9: LE ORGANIZZAZIONI
Oltre alle persone fisiche nel nostro ordinamento si contemplano come soggetti del diritto anche le persone
giuridiche, ovvero entità dotate di una soggettività autonoma rispetto a quella delle singole persone fisiche che le
animano. È importante inserire queste organizzazioni fra i soggetti del diritto in quanto le persone fisiche sono
naturalmente sociali e quindi sentono la necessità di unirsi all’interno di queste organizzazioni. Anche le
organizzazioni, come le persone fisiche hanno la necessità di essere identificate e collegato a un certo ordinamento
giuridico, per questo motivo al momento della costituzione, vengono denominate e gli si attribuisce una nazionalità e
una sede.
Le ragioni che ne giustificano l’esistenza sono diverse: il perseguimento dell’interesse generale, il perseguimento di
finalità ideali, la destinazione di un patrimonio alla realizzazione di uno scopo non lucrativo o lo svolgimento di
un’attività economica.
Le persone fisiche che compongono l’organizzazione formano gli organi dell’ente, che possono essere individuali o
collegiali e vige un principio di rappresentanza (le loro decisioni vengono considerate come atti dell’ente stesso). Nel
caso in cui si abbiano organi collegiali si applica il principio di maggioranza: la volontà della maggioranza è considerata
volontà dell’organizzazione e si esprime tramite una votazione che porta ad una deliberazione.
Le associazioni si distinguono in riconosciute e non, alle non riconosciute sono dedicate alcune norme del cc, es l’art
38 prevede che non abbiano autonomia patrimoniale perfetta e che quindi i terzi possano far valere i diritti sul fondo
comune ma che ne rispondano anche le persone che hanno agito in nome e per conto dell’associazione.
Le fondazioni sono enti al pari delle associazioni, ma si distinguono perché nascono nel momento in cui una o più
persone decidono di mettere insieme un patrimonio da destinare al perseguimento di uno scopo ideale. Possono
essere costituite con un atto fra vivi, con una donazione o con un atto a causa di morte, per volontà del defunto
stabilita nel testamento. Essa può ottenere il riconoscimento con le stesse modalità delle associazioni.
Il fondatore decide non solo lo scopo ma anche le modalità in cui dovrà essere impiegato il patrimonio. Si stabilisce
infatti, preventivamente nell’atto costitutivo un programma d’azione e si mette a disposizione un patrimonio per
l’esecuzione del programma. L’attività principale è quella di dare esecuzione a quel progetto ideale che è stato
individuato nell’atto costitutivo. L’autorità governativa provvederà alla sostituzione dei rappresentanti quando si
dovessero avere difficoltà nel dar seguito a ciò che è stato stabilito nell’atto costitutivo. (art 25 cc).
Nella maggioranza dei casi le fondazioni sono tutte riconosciute, con autonomia patrimoniale perfetta, quelle non
riconosciute prendono il nome di comitati. Il riconoscimento delle fondazioni porta un importante intervento da parte
dell’autorità giuridica per il controllo del corretto utilizzo del fondo.
È possibile che si abbia una trasformazione della fondazione data dall’esaurimento dello scopo o del patrimonio,
prima di decretare l’estinzione. L’autorità governativa può infatti intervenire nella modifica dell’atto costitutivo (a
meno che non sia esplicitamente stabilito dal fondatore), si ha anche la possibilità di coordinamento della fondazione
con altri enti (art 26).
L’estinzione di fondazioni o associazioni può avvenire per diversi motivi: scopo raggiunto o diventato impossibile,
mancanza di patrimonio, assenza di soci, per delibera… in questi casi, il patrimonio dell’ente ddovrà essere sottoposto
alla liquidazione (art 27 ss. cc), dovrà perciò essere utilizzato per soddisfare le pretese creditorie ancora attive, mentre
il residuo verrà devoluto secondo l’art 31. I beni verranno quindi destinati così come previsto nell’atto costitutivo
dell’ente, altrimenti provvederà l’attività governativa, attribuendoli ad altri enti con funzioni analoghe.
Con enti del terzo settore si intende lo svolgimento di attività che assumono rilevanza generale per la comunità
sociale ma operano al di fuori delle logiche di mercato. Si collocano infatti fuori dal settore del mercato e della
pubblica amministrazione. Sono enti ben visti nel nostro ordinamento, perché svolgono una funzione di supplenza
rispetto le istituzioni pubbliche. Svolgono generalmente attività di sostegno alle fasce meno abbienti o
particolarmente svantaggiate.
Per dare un ordine a questo nuovo mondo, in cui operano sia fondazioni che associazioni, ma anche altri soggetti
come cooperative, imprese sociali, è stato redatto il codice del terzo settore con il d lgs 117/2017, in cui è stata
riconosciuta questa una nuova categoria di enti no profit. Gli elementi identificativi di questa tipologia di enti sono:
- il perseguimento di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale,
- la mancanza di scopo di lucro,
- lo svolgimento in via esclusiva o principale di un’attività di interesse generale con natura volontaria o con
erogazione gratuita di beni o servizi, funzione mutualistica.
- iscrizione al RUNTS, registro unico nazionale del terzo settore. I requisiti per l’iscrizione di associazioni e
fondazioni, sono stabiliti dal dm 106/2020, che stabilisce la necessità di una certa dotazione patrimoniale
(15000 associazioni e 30000 euro per le fondazioni). L’effetto dell’iscrizione è la possibilità di agevolazioni
fiscali e l’ottenimento della personalità giuridica.
Il codice definisce la proprietà all’art 832 come “il diritto di godere e disporre di cose in modo pieno ed esclusivo,
entro i limiti stabiliti dall’ordinamento giuridico”. Si tratta di una formula neutra che pone sullo stesso piano i poteri
del proprietario e i limiti a cui questi possono essere sottoposti, senza stabilire quali dei due prevalgono.
Nelle società liberali dell’800, la proprietà era concepita come potere pieno ed esclusivo, che la legge garantiva contro
gli attacchi esterni. Essa entrò però in crisi agli inizi del XX secolo, con l’affermarsi di processi economici che tolsero
alla proprietà il ruolo centrale che aveva fino a prima. Si affermano infatti processi di mobilizzazione e
smaterializzazione della ricchezza, i beni immobili diventarono sempre meno importanti come risorse produttive e si
svilupparono tecnologie e beni immateriali.
La proprietà, come ogni altro diritto soggettivo può acquistarsi a titolo originario o a titolo derivativo.
Gli acquisti a titolo originario presentano una caratteristica importante, permettono l’acquisto di proprietà pieno ed
esclusivo senza vincoli ed è un acquisto stabile, ovvero non può essere messo in dubbio da eventuali irregolarità
precedenti.
- L’occupazione è l’impossessamento di una cosa che attualmente non ha proprietario, può essere solo una
cosa mobile, in quanto gli immobili risultano di proprietà dello stato. Eccezionalmente possono acquistare per
occupazione anche cose che appartengono a qualcuno, ad es. i funghi
- Invenzione, ovvero ritrovamento. È un modo di acquisto delle cose mobili smarrite. Chi ritrova una cosa
smarrita ha l’obbligo di restituirla al proprietario o consegnarla al sindaco. Se dalla consegna passa un anno, il
ritrovatore ne acquista la proprietà, se invece il proprietario la recupera deve pagare un premio al
ritrovatore, che la legge stabilisce in una percentuale del valore.
- Ritrovamento di un tesoro, cioè di una cosa di valore nascosta o sotterrata di cui nessuno può provare
d’essere proprietario. In linea di massima, il tesoro appartiene al proprietario del fondo, se però il
ritrovamento è d’interesse storico o artistico, questi spettano allo stato.
- Accessione, si verifica quando una cosa accessoria si incorpora a una cosa principale, può avvenire per fatto
dell’uomo o per fatto naturale. L’accessione per fatto umano avviene nel momento in cui vengono eseguite
piantagioni, costruzioni o altre opere sul fondo. L’accessione per fatto naturale si ha per alluvione o avulsione
(un proprietario acquista una porzione dell’altro fondo trascinata dal fiume).
- Unione e commistione, ricorrono quando più cose mobili appartenenti a diversi proprietari si uniscono o
mescolano così da formare una cosa unica e non più separabile. Se le cose si equivalgono, la proprietà
diventa comune, se invece una è prevalente rispetto all’altra il proprietario acquista la proprietà totale, salvo
pagamento di un corrispettivo all’altro.
- Specificazione è l’attività di chi crea qualcosa con il proprio lavoro ma con la materia altrui.
- Usucapione, “possesso vale titolo” (vedi possesso)
I principali metodi di acquisto a titolo derivativo sono invece il contratto e la successione a causa di morte, per i quali
valgono i criteri di fragilità: se chi trasmette la proprietà non ce l’ha allora la proprietà non si acquista, cosi come se chi
la trasmette l’aveva acquistata con titolo irregolare.
Il diritto di proprietà conserva grande valore e importanza nel sistema giuridico, per questo motivo le norme lo
proteggono con strumenti legali energici, contro le lesioni o le minacce.
Fra questi troviamo le azioni petitorie: rimedi attraverso i quali il proprietario ingiustamente privato della possibilità di
utilizzare la cosa, può recuperare il pieno e tranquillo godimento. Le azioni petitorie sono 4:
- La rivendicazione il proprietario si rivolge contro chiunque possiede la cosa senza titolo, per ottenere la
riconsegna, segue perciò il bene. Presupposto di quest’azione è dare la prova di essere il proprietario della
cosa, con qualunque mezzo. È imprescrittibile, salvo per usucapione. Art.948 cc. È azionabile contro chiunque
abbia la cosa.
- Azione negatoria il proprietario reagisce contro le molestie che disturbano o limitano la sua proprietà. Le
molestie possono essere di diritto (qualcuno afferma infondatamente di avere diritti sulla cosa del
proprietario) o molestie di fatto (chi attua azioni a danno del proprietario). Il proprietario deve dimostrare di
avere la proprietà del bene. Art. 949cc
- Azione di regolamento confini presuppone che il confine fra due proprietà sia incerto, in tal caso, ciascuno
dei proprietari può chiedere che sia stabilito dal giudice, che in mancanza di atti si baserà sulle mappe
catastali.
- Azioni per apposizione di termini presuppone che il confine sia certo, ma che i segni di divisione siano
diventati irriconoscibili. I proprietari possono chiedere che vengano apposti a spese comuni.
Sono tutte imprescrittibili e possono essere esercitate solo dal proprietario privato del suo diritto.
Oltre alle azioni petitorie il diritto di proprietà è difeso anche da altri rimedi, come il risarcimento danni in caso di
danneggiamento o distruzione del bene. La proprietà è protetta inoltre dalle norme penali che puniscono come reati
una serie di atti costituenti violazione del diritto di proprietà, come la violazione di domicilio, il furto…
Le ragioni per cui si attribuisce rilevanza giuridica allo stato di fatto di possesso riguardano: la volontà di rafforzare e
completare la tutela accordata all’interesse soggettivo, valorizzare economicamente il bene oggetto di possesso e
scoraggiare le iniziative rivolte a far valere i propri diritti attraverso forme di autotutela.
Per avere il possesso sono necessari due elementi, uno oggettivo ovvero il controllo effettivo del bene e uno
soggettivo relativo alla volontà di comportarsi come proprietario. In qualche situazione può però essere presente solo
il primo elemento, questa situazione, in cui chi controlla il bene non intende comportarsi come proprietario è detta
detenzione. es. locatario. La detenzione può essere determinata dalla necessità di perseguire un interesse o per
ragioni di servizio.
L’art. 1141 cc stabilisce che generalmente si presume sempre il possesso di un bene a meno che non si provi che il
comportamento è stato messo in atto come detenzione. È possibile che la detenzione si trasformi in possesso finché il
titolo non venga mutato per causa proveniente da un terzo o in forza di opposizione.
Il possesso illegittimo (in cui il possessore non è anche il proprietario) si distingue in possesso di buona fede e
possesso di mala fede. Il primo fa riferimento ad una situazione in cui il possessore si trova in una situazione di
possesso illegittimo ignorando di ledere il diritto altrui (art 1147 cc), la mala fede si ha nel momento in cui il
possessore agisce nella consapevolezza di ledere altrui diritti. La buona fede è sempre presunta, ma è messa fuori
gioco dalla colpa grave, se infatti il soggetto non è venuto a conoscenza della sua situazione di possesso illegittimo per
sue gravi mancanze non potrà godere dei vantaggi della buona fede.
Sono previsti degli effetti positivi a tutela del possesso che si basano sulla volontà del legislatore di incentivare lo
sfruttamento produttivo delle risorse economiche oggetto del possesso. Naturalmente gli effetti cambiano in rilevanza
dello stato soggettivo di mala o buona fede. Ne risulta così una serie di istituti, fra cui:
1. la disciplina dei frutti e delle spese: al possessore in buona fede sono riconosciuti effetti attributivi, solo fino
al momento in cui il proprietario prenda iniziativa con domanda giudiziale e chieda di rientrare nella piena
disponibilità del bene ed effetti compensativi rispetto alle spese sostenute per i miglioramenti del bene e la
produzione dei frutti. Il possessore, anche in mala fede, ha diritto al rimborso per riparazioni straordinarie,
ma al minor valore fra l’aumento del valore del bene e le spese sostenute.
2. La regola possesso vale titolo, che attribuisce la possibilità di divenire proprietario del bene, nel caso in cui il
possesso sia scisso dalla proprietà ovviamente. È un’eccezione alla regola generale secondo cui chi acquista
un bene da un soggetto non proprietario non trasferisce la proprietà”. I presupposti per cui ciò si possa
verificare sono stabiliti all’art 1153 cc: deve esserci buona fede, deve essere un bene mobile non registrabile
e il possesso deve essere conseguito mediante un titolo astrattamente idoneo al trasferimento di proprietà,
fatto da un soggetto non proprietario. Questa norma viene regolamentata perché la circolazione dei beni
mobili dev’essere rapida e dinamica
3. Usucapione (art 1158cc), ovvero la modalità d’acquisto mediante possesso continuato per vent’anni di un
bene immobile. È irrilevante se il possesso sia iniziato in buona o mala fede. L’usucapione ordinaria per i beni
mobili registrati è di 10 anni, mentre l’usucapione abbreviata presuppone sempre la buona fede ed un titolo
idoneo a trasferire la proprietà e trascritto. Il possesso viziato non è utile ai fini dell’acquisto della proprietà.
L’usucapione può essere interrotta quando il possessore sia stato privato del possesso per oltre un anno, ma
anche sospesa nel momento in cui ci siano particolari rapporti fra possessore e proprietario.
4. Azioni possessorie: azioni date al possessore per neutralizzare gli attacchi portati contro il suo possesso e
nasce per impedire che i cittadini si facciano giustizia da sé.
5. Azione di reintegrazione, spetta al possessore spogliato del suo possesso ed è diretta a reintegrare il pieno
possesso. Può essere richiesta entro un anno dallo spoglio solo se questo è avvenuto in modo violento o
clandestino
6. Azione di manutenzione, spetta al possessore molestato che richiede l’eliminazione delle molestie. Deve
essere fatta entro un anno dalla molestia. È applicabile solo a immobili o universalità di mobili e presuppone
che il possesso duri da almeno un anno.
L’ordinamento giuridico prende atto della natura sociale dell’individuo e conoscendo la necessità dei membri di una
comunità di cooperare, mette a disposizione dei cittadini e dei privati questo strumento giuridico di cooperazione: il
rapporto obbligatorio. In passato, spesso, questo rapporto veniva declinato in forme di dipendenza di alcuni nei
confronti di altri, attraverso forme di servitù o di schiavitù, il rapporto obbligatorio permette ad oggi di creare una
cooperazione tra i consociati senza che ciò comporti una subordinazione personale, consente quindi una relazione di
potere nel rispetto dei principi di eguaglianza e libertà individuale. il debitore può rispondere alle obbligazioni solo
con il suo patrimonio, presente e futuro. (art 2740 cc “responsabilità patrimoniale”)
Perché una relazione possa essere identificata come rapporto obbligatorio sono necessari dei requisiti minimi sia per
l’oggetto che per l’interesse del creditore. Questi sono stabiliti all’art 1174 cc, che stabilisce innanzitutto che il
rapporto obbligatorio sia una figura giuridica dotata di massima astrazione, che permetta di essere utilizzata da
chiunque intenda realizzare un interesse richiedendo la cooperazione di un altro soggetto. Per quanto riguarda la
prestazione, questa dev’essere suscettibile di valutazione economica, ciò comporta il carattere esclusivamente
patrimoniale della responsabilità del debitore, secondo l’art 1346 dev’essere inoltre possibile, lecita, determinata o
determinabile. Per quanto riguarda invece l’interesse del creditore dev’essere oggettivamente riconoscibile e può
anche essere un interesse non patrimoniale.
Le fonti giustificative del rapporto obbligatorio sono stabilite dall’art. 1173 cc: il contratto, il fatto illecito oppure ogni
altro atto o fatto idoneo a produrre un rapporto obbligatorio in conformità dell’ordinamento giuridico.
Il contratto è la principale fonte di rapporti obbligatori. È la regola che, su base volontaria, determina le modalità di
cooperazione fra i soggetti contraenti. Es. contratto di compravendita che produce l’effetto reale (non comporta
obbligazioni, ma il trasferimento del diritto) ma anche effetti obbligatori, fa sorgere obbligazioni fra le parti contraenti.
Il fatto illecito è la cooperazione necessaria per far sì che il danneggiante reintegri il danneggiato. Il rapporto sorge
quindi in seguito al verificarsi di un’interferenza accidentale nella sfera giuridica di un soggetto e comporta
un’obbligazione risarcitoria.
Ogni altro atto o fatto idoneo a produrre un rapporto obbligatorio conforme all’ordinamento giuridico indica
l’insieme di atti o fatti che il legislatore può indicare come utili a far sorgere un rapporto obbligatorio. Il legislatore si
rende conto dell’impossibilità di elencare tutti i tipi di atti e fa quindi questo riferimento cumulativo. Alcuni esempi
sono le promesse unilaterali giuridicamente rilevanti, l’arricchimento senza causa (un bene viene restituito
migliorato, spetta alla controparte un risarcimento per l’attività svolta), l’indebito oggettivo o soggettivo (
pagamento ingiustificato. È oggettivo quando un soggetto si ritiene obbligato a una prestazione, mentre è soggettivo
quando il rapporto obbligatorio esiste ma la prestazione è eseguita da un soggetto terzo).
I parametri di comportamento che devono essere rispettati dalle parti del rapporto sono stabiliti dal cc, che indica le
regole della correttezza e della diligenza.
La correttezza, stabilita all’art 1175 è un criterio generico, si tratta di una norma per la quale il legislatore usa la
tecnica di formulazione di clausola generale. Le parti dovranno perciò tenere comportamenti necessari a
salvaguardare gli interessi altrui e massimizzarne l’utilità. La diligenza è stabilita invece dall’art 1176, anch’essa
clausola generale, stabilisce che il debitore debba prestare la cura necessaria nella prestazione a favore del creditore.
Si ha una distinzione di diversi livelli di diligenza, in genere si chiede una diligenza che normalmente terrebbe il buon
padre di famiglia (livello medio di diligenza), se invece il debitore è un professionista è richiesta una diligenza
superiore.
Quando la parte passiva del rapporto obbligatorio è formata da più debitori, l’obbligazione può essere parziaria o
solidale. Nell’obbligazione parziaria, la prestazione è frazionata fra i diversi debitori e il creditore potrà richiedere
l’adempimento solo separatamente ad ognuno di loro. Nell’obbligazione solidale invece, il creditore può chiedere la
somma a una qualsiasi dei condebitori. Ciò comporta il vantaggio di non dover relazionarsi con diversi debitori e che
se uno dei condebitori risulta insolvente il creditore potrà comunque ottenere il suo credito intero. Il pagamento
eseguito da un condebitore libera di conseguenza tutti gli altri dall’obbligazione. La solidarietà è regola generale che si
esclude solo se previsto per volontà delle parti.
Per quanto riguarda la scelta del debitore è libera, il creditore può infatti rivolgersi a chi crede, a meno che non sia
stabilito da previ accordi un ordine di richiesta beneficio di esclusione di alcuni condebitori che saranno chiamati
solo alla fine. Si ha inoltre un altro criterio generale, secondo il quale gli effetti favorevoli che colpiscono un
condebitore si estendono anche agli altri, così non è per quelli sfavorevoli.
Il condebitore che ha effettuato il pagamento totale è tenuto a mettere in atto l’azione di regresso, ovvero la richiesta
del pagamento delle quote di tutti gli altri condebitori.
La solidarietà attiva è la situazione in cui in un rapporto obbligato si ha un unico debitore e una pluralità di creditori.
La regola essenziale è che ciascun concreditore ha il diritto di chiedere l’intera prestazione e il pagamento ottenuto
libera il debitore verso tutti gli altri creditori. Es. cassetta di sicurezza.
La personalità dell’adempimento è stabilita dall’art 1180 cc, che afferma che l’adempimento risulterà efficace e
regolare anche se svolto da un soggetto terzo, anche contro la volontà del creditore. Si distinguono due situazioni: la
prima avviene quando la prestazione è eseguita da un collaboratore del debitore es. meccanico e dipendenti, in
questo caso è come se l’adempimento fosse fatto dal debitore stesso. Il secondo caso avviene quando l’adempimento
viene effettuato da un terzo non collaboratore, in questo caso risulterà efficace anche se il creditore si oppone. Il
creditore potrà rifiutare l’adempimento solo se ha interesse che la prestazione sia eseguita personalmente dal
debitore o, se anche il debitore si oppone. L’adempimento da terzo può dar luogo al fenomeno di pagamento con
surrogazione, in cui il terzo subentra al creditore nel diritto verso il debitore, questo può essere fatto in modo
volontario o legale quando espressamente richiesta dalla legge.
Il destinatario dell’adempimento è il soggetto che riceve la prestazione, generalmente è il creditore, ma può essere
disposto come beneficiario anche un terzo (es. rappresentate di un incapace). Esistono dei casi in cui il pagamento a
terzo si presenta come anomalo. La regola generale indica che il pagamento a terzo estraneo non libera il debitore, a
meno che il terzo non si tratti di un creditore apparente o se il creditore ne approfitta del pagamento errato. Il
debitore dovrà dimostrare che la persona che ha ricevuto il pagamento fosse un creditore apparente e che sia in
buona fede.
La prestazione deve avvenire esattamente, ovvero deve rispettare tutte le modalità, qualificative, quantitative, di
tempo e luogo previste. Per l’aspetto quantitativo la prestazione deve essere integrale, per la qualità deve essere
proprio la prestazione forma dell’oggetto del rapporto, deve poi essere eseguita nel tempo e nel luogo stabiliti. Una
prestazione eseguita senza una delle precedenti modalità risulta come adempimento inesatto.
Con la datazione in pagamento, il debitore si libera eccezionalmente dall’obbligazione eseguendo una prestazione
diversa da quella formante oggetto di obbligazione.
Per quanto riguarda il termine si distingue a seconda che la fonte indichi una scadenza. Se la scadenza è indicata allora
la prestazione andrà eseguita entro quella data, se non è indicata invece l’adempimento può essere richiesto, se
possibile, immediatamente. Il termine può essere stabilito a favore del debitore (il debitore può decidere se
anticiparla), del creditore (il creditore può chiedere di anticiparla) o di entrambi, generalmente, in mancanza di termini
si considera a favore del debitore. Si incorre nella decadenza del termine quando il debitore risulta insolvente. Il
termine ha implicazioni sociali ed economiche soprattutto se si parla di debiti commerciali, il legislatore per evitare
crisi di aziende ha stabilito termini di pagamento ragionevolmente brevi, interessi di mora e accordi di deroghe.
Per quanto riguarda il luogo, generalmente, in mancanza di indicazioni, si stabilisce che l’adempimento debba essere
fatto presso il debitore, esso subisce deroghe per pagamenti in denaro o consegne di beni.
L’imputazione del pagamento è l’individuazione del debito a cui si riferisce un pagamento. Vengono applicate due
regole generali, la prima è la possibilità del debitore di indicare quale debito sta saldando, in mancanza di scelta il
pagamento è imputato al debito più scaduto e meno garantito.
Molto spesso per l’adempimento di un’obbligazione è necessaria una cooperazione del creditore, se questa non
avviene il creditore potrà incorrere in conseguenze svantaggiose dette mora del creditore. Il presupposto iniziale è
che il creditore rifiuti senza motivo la prestazione o la ostacoli. Questi non si verificano in modo automatico ma solo se
il debitore mette in atto l’offerta della prestazione. L’offerta può presentarsi in vari modi:
- Formale, fatta attraverso un pubblico ufficiale. Si distingue in reale (consegna di denaro o titoli di credito) e
per intimidazione (consegna di mobili o immobili)
- Offerta secondo gli usi, fatta senza formalità, nel caso di prestazione di fare è sufficiente a produrre la mora,
negli altri casi occorre che il debitore faccia il deposito delle cose dovute
Dal momento dell’accettazione dell’offerta, la mora del creditore produce effetti a favore del debitore (art. 1207 cc):
non risponde dei danni, in caso di danneggiamento può richiedere un risarcimento, non deve interessi o frutti e sia ha
lo spostamento a carico del creditore dell’impossibilità della prestazione. Non ha effetto di liberare il debitore, almeno
finché non si estingue l’obbligazione. Il debitore può liberarsi tramite deposito, affidamento a terzi della custodia del
bene oggetto del contratto.
Le obbligazioni pecuniarie sono quelle in cui la prestazione consiste nel pagare una somma di denaro, comprendono
sia i debiti di valuta (già esattamente determinati) che i debiti di valore. Per i debiti di valuta si applica il principio
nominalistico (art. 1277 cc), secondo il quale i debiti pecuniari si pagano a valore nominale, la ragione principale
consiste nell’esigenza di certezza. Questo principio può essere derogato dalle parti con accordi di rivalutazione della
somma, stabilendo la clausola d’oro (valore corrispondente a una certa quantità d’oro) o la clausola numeri-indice
che tiene conto degli aumenti dei costi di vita.
Gli interessi sono altro denaro prodotto nel tempo da una somma e quantificato in una percentuale della somma
base. A seconda della funzione si distinguono in:
- Corrispettivi sono quelli prodotto di pieno diritto dai crediti liquidi ed esigibili. Sono un’obbligazione
accessoria che nasce automaticamente. Si distinguono in legali e convenzionali. I primi sono applicati con il
tasso legale stabilito dal Ministro dell’economia, mentre i secondi sono stabiliti dalle parti, ma non devono
superare comunque una soglia di interesse stabilita tale che oltre quella si considera usura. L’art. 1815 cc
stabilisce che la clausola che stabilisce un tasso troppo alto di interessi è nulla e quindi non produce effetti,
come sanzione civile ha la perdita di interessi dovuti e la restituzione di quelli già pagati.
- Moratori dovuti per ritardi nei pagamenti. Hanno funzione di risarcimento del creditore per il ritardo
- Compensativi utilizzati per la quantificazione del risarcimento del danno nella responsabilità
extracontrattuale
Il fenomeno dell’anatocismo è ad oggi consentito ma con molte limitazioni stabilite dal testo unico bancario.
Esistono altre cause, oltre all’adempimento, che portano all’estinzione dell’obbligazione. Queste si distinguono in
satisfattive e non satisfattive in base alla soddisfazione dell’interesse del creditore. Le principali sono:
- Compensazione sono le obbligazioni che due soggetti hanno l’una contro l’altro. Può essere totale o
parziale. Si distingue in legale (quella che opera automaticamente se i debiti sono omogenei e entrambi
liquidi e fungibili), giudiziale (quando il giudice la stabilisce nonostante ci sia un debito non ancora liquido ma
facilmente liquidabile) e volontaria.
- Confusione le qualità del debitore e del creditore si riuniscono nella stessa persona (es. il creditore diventa
erede del debitore)
- Novazioneaccordo fra credito e debitore per sostituire un’obbligazione diversa a quella originaria che si
estingue. Può essere oggettiva, quando cambia l’obbligazione o soggettiva quando cambia il creditore o il
debitore.
- Remissione atto con cui il creditore rinuncia al proprio credito. L’effetto si produce dal momento della
comunicazione. Il debitore è libero di rifiutare la remissione
- Impossibilità sopravvenuta l’art. 1256 stabilisce che l’impossibilità sopravvenuta è quella che deriva da
una causa non imputabile al debitore, come una catastrofe naturale. Se l’impossibilità è solo temporanea il
debitore continua ad essere obbligato, ma se il tempo diventa eccessivamente lungo l’obbligazione risulterà
estinta. Se l’impossibilità è parziale il debitore si libera adempiendo alla parte rimasta possibile.
La mora del debitore è la situazione giuridica che si determina quando il debitore esegue la prestazione in ritardo. Può
scattare, però solo se il ritardo è ingiustificato.
Gli effetti della mora si producono solo se il creditore prende l’iniziativa di costituzione in mora, consistente nella
richiesta di adempimento rivolta per iscritto al debitore. Si hanno però 3 eccezioni in cui gli effetti si producono
automaticamente: quando il debitore dichiara per iscritto di non voler adempiere, quando l’obbligazione deriva da un
fatto illecito extracontrattuale o quando il termine della prestazione, che doveva essere svolta al domicilio del
creditore scade senza che essa sia stata adempita. Il soggetto è automaticamente moroso.
Una volta avvenuta la costituzione in mora si producono due effetti. Il primo, riguarda solo le obbligazioni pecuniarie e
consiste nel maturare gli interessi moratori, calcolati dal giorno della mora fino a quello del pagamento, con tasso
variabile. Questi hanno funzione risarcitoria. Per i debiti commerciali gli interessi scattano senza la necessità di
richiedere la costituzione in mora. Il secondo effetto consiste nel passaggio del rischio: il rischio di impossibilità della
prestazione passa al debitore anche se non direttamente imputabile a lui. Per potersi liberare, il debitore deve
dimostrare che anche se avesse adempiuto tempestivamente, l’impossibilità sopravvenuta avrebbe comunque colpito
l’oggetto della prestazione.
Gli effetti di mora vengono meno quando viene compiuto un atto capace di cancellarne gli effetti. Può essere un atto
del creditore (rinuncia) o un atto del debitore (adempimento della prestazione).
Esiste una disciplina speciale per i ritardi di pagamento nelle transazioni tra imprese e pubblica amministrazione.
Questa disciplina stabilisce la mora automatica e tempi di pagamento molto brevi di 30 giorni.
La responsabilità per inadempimento, anche detta responsabilità contrattuale, è stabilita dall’art. 1218 cc “il debitore
che non esegue esattamente la prestazione è tenuto al risarcimento del danno se non prova che l’inadempimento è
stato determinato da impossibilità derivante da cause a lui non imputabili”. La prestazione deve divenire quindi
impossibile e non imputabile. Una prestazione risulta “impossibile” quando per adempierla occorrerebbero attività e
mezzi che vanno al di là di ciò che normalmente può richiedersi. L’imputabilità fa riferimento alla presenza o meno di
una responsabilità che giustifichi l’inadempimento dell’obbligazione.
Esistono due tipi di responsabilità:
- Responsabilità per colpa l’inadempimento dipende da sua colpa. Colpa significa negligenza, imprudenza
imperizia è il contrario di diligenza. La colpa può presentarsi con gradazioni d’intensità diverse: ordinaria o
grave. La colpa si distingue dal dolo, che è la coscienza e la volontà di danneggiare qualcuno.
- Responsabilità oggettiva l’inadempimento gli è imputato per cause rientranti nella sua sfera di controllo
anche se non direttamente collegabili alla sua colpa. Questa responsabilità si fonda sul rischio: il debitore
risponde di tutti i fatti anche non dipendenti da sua colpa, che si manifestano nella sfera dell’organizzazione
della sua attività (es. un trasportatore paga per la perdita di valore dopo un incidente stradale, anche se non
causato da lui). Il debitore risponderà anche dei fatti dolosi o colposi dei terzi cui si rivolge per lo svolgimento
della prestazione.
Il debitore sarà sempre liberato da colpa se riesce a provare che l’inadempimento è avvenuto per caso fortuito o forza
maggiore. Le misure di contenimento dell’epidemia Covid sono prese in considerazione nella valutazione
dell’inadempimento, il che significa che la responsabilità non sarà attribuita al debitore.
Un principio generale stabilisce che chi fa valere un diritto ha l’onere di provare i fatti che lo fondano, per
l’inadempimento ad esempio il creditore che pretende il risarcimento deve dimostrare l’esistenza dell’obbligazione,
l’inadempimento, il danno causato e l’imputabilità al debitore. Quest’ultima è la prova più difficile, per questo si
verifica l’inversione onere della prova, sarà quindi il debitore a dover provare che l’inadempimento non è imputabile
a lui.
Quando il debitore risulta responsabile sorge a suo carico l’obbligo di risarcire il danno. Il danno è la diminuzione del
valore che il patrimonio del danneggiato subisce per effetto dell’inadempimento. Si compone di due elementi: danno
emergente e lucro cessante. Il danno emergente è la perdita subita, mentre il lucro cessante implica il mancato
guadagno. Il danno può essere anche non patrimoniale.
La più diffusa forma di risarcimento è quella per equivalente (art. 1223), sostituzione del danno con una somma di
denaro, esiste però un altro modo di riparare: la riparazione in forma specifica (ricreando la situazione iniziale del
danneggiato, rendendolo “non più danneggiato”).
Sorge il problema della quantificazione del danno. Il criterio base utilizzato opera in senso estensivo, afferma infatti
che va risarcito tutto il danno sofferto dal creditore, sia come emergente che come lucro cessante. Mentre gli altri
criteri operano in senso restrittivo per il criterio di causalità il danno va risarcito nella sola misura in cui sia
conseguenza immediata e diretta all’inadempimento, per la prevedibilità (art 1225) va risarcito solo il danno che
poteva essere previsto, il criterio di concorso di colpa del creditore danneggiato (art 1227) si applica quando alla
produzione del danno contribuisce anche un fatto colposo di un terzo che lo subisce. Per il criterio di evitabilità, il
risarcimento non è dovuto per danni che il creditore avrebbe potuto evitare usando l’ordinaria diligenza, infine c’è il
criterio della valutazione equitativa (art 1226), una stima fatta dal giudice in mancanza di prove del preciso
ammontare di un danno.
La clausola penale è l’accordo fra creditore e debitore in cui concorda anticipatamente quale somma sarà dovuta in
caso di inadempimento. Ha funzione di semplificare i rapporti fra le parti ed evitare conflitti. Esistono altre clausole
come la clausola di esonero e di limitazione della responsabilità, che stabiliscono che i danni non saranno risarciti o lo
saranno solo entro un tetto massimo.
Il termine contratto può esprimere due significati, può essere inteso come atto in sé o come rapporto fra le parti.
Il contratto è una categoria estremamente ampia e eterogenea, al cui interno si differenziano diverse sotto categorie
di contratti. Una prima distinzione viene fatta in relazione al numero di parti:
- Contratto bilaterale
- Contratto plurilaterale che si distingue ulteriormente in contratti plurilaterali con comunione di scopo e
senza comunione di scopo. Quelli con comunione sono caratterizzati dal fatto che le prestazioni di ciascuna
parte sono dirette al conseguimento di uno scopo comune, in quelli senza comunione invece ogni parte
persegue il proprio interesse a volte anche conflittuale.
La disciplina del contratto si divide in due grandi settori, da un lato c’è la disciplina generale, che si applica a
qualunque contratto indipendentemente dal tipo, dall’altro le discipline dei singoli tipi contrattuali. Normalmente le
due discipline si cumulano, ad ogni contratto possono applicarsi entrambe le norme, ma se uno stesso aspetto è
regolato da entrambe le discipline preverrà quella specifica, in base al principio di specialità.
Uno dei principali problemi con la disciplina del contratto riguarda i contratti in cui una parte è lo stato. Il fenomeno è
regolato sia dal diritto pubblico che dal diritto privato, la fase che precede e prepara il contratto è regolata dal diritto
pubblico, mentre il rapporto che deriva dalla stipulazione del contratto viene regolamentato dal diritto privato.
All’art. 1326 cc viene stabilito lo schema base della formazione del contratto. “Il contratto è concluso nel momento in
cui chi ha fatto la proposta ha conoscenza dell’accettazione dell’altra parte”. Si presuppone quindi che una parte
formuli la proposta del contratto all’altra parte, detto oblato e che questo faccia la relativa accettazione. L’art. 1335
stabilisce però che il contratto risulti formato già dal momento della consegna dell’accettazione. Nel caso in cui
l’accettazione risulti tardiva, il contratto non risulterà formato, a meno che il proponente non l’accetti ugualmente. Il
contratto si conclude solo se l’accettazione è conforme, se invece è difforme equivale a una controproposta.
Esiste una classe di contratti che richiedono di essere eseguiti senza bisogno di preventiva accettazione comunicata al
proponente, ciò può accadere su richiesta del proponente stesso o per usi. Il contratto sarà concluso “nel tempo e
luogo in cui ha avuto inizio l’esecuzione”, ma l’accettante dovrà dar avviso dell’iniziata esecuzione.
Alcuni contratti possono essere conclusi tramite la proposta non rifiutata, non occorre quindi alcuna risposta
dell’oblato.
Generalmente la consegna di una cosa rappresenta l’esecuzione del contratto, per i cosiddetti contratti consensuali,
esistono però i contratti reali che sono quelli che comprendono nello schema di formazione anche la consegna della
merce.
I contratti aperti sono quelli per i quali esiste la possibilità che altre parti entrino successivamente nel contratto, come
nei contratti associativi. La loro adesione ha funzione di accettazione della proposta. La partecipazione può avvenire
secondo modalità d’adesione stabilite dal contratto oppure quando l’adesione giunge all’organo costituito per
l’attuazione del contratto o a tutti i contraenti originari.
L’offerta al pubblico è un particolare tipo di proposta, che ha la caratteristica di essere indirizzata a una collettività di
possibili destinatari. Ne consegue che per la formazione del contratto sia sufficiente un’accettazione dell’interessato,
ciò incontra però dei limiti: l’offerta deve infatti contenere gli estremi essenziali del contratto e non deve escludere
circostanze o usi.
Fra il momento della proposta e quello di conclusione del contratto, può passare un periodo più o meno lungo in cui
possono verificarsi delle situazioni che possono influire sulla conclusione del contratto.
Una prima ipotesi si ha quando il proponente muore o diventa legalmente incapace, se ciò accade dopo la conclusione
il contratto continuerà ad essere valido e saranno l’erede o il rappresentate a svolgere l’esecuzione del contratto, ma
se ciò accade prima della conclusione del contratto allora la proposta o l’accettazione perderanno efficacia. Questa
regola ha due eccezioni, la prima riguarda la proposta irrevocabile, la seconda se il proponente è un imprenditore. La
ragione è che i contratti relativi all’impresa hanno di solito carattere impersonale, legato all’attività e non
all’imprenditore stesso.
La seconda ipotesi ricorre quando il dichiarante si pente e desidera impedire la conclusione del contratto, ciò è
consentito dalla legge tramite la creazione di un atto unilaterale chiamato revoca. La proposta può essere revocata
fino al momento in cui il contratto risulta concluso, anche l’accettazione può essere revocata, purché la revoca giunga
a conoscenza del proponente prima dell’accettazione. Ci sono alcuni casi in cui la proposta non si può revocare, perché
è una proposta irrevocabile, spesso è una decisione che arriva dallo stesso proponente.
L’opzione è l’accordo fra le parti, per cui il proponente si obbliga a tenere ferma la sua proposta per un tempo
determinato. È essenziale che sia stabilito il termine, la differenza con la proposta irrevocabile è che l’opzione nasce da
un accordo fra le parti e non su base unilaterale.
La prelazione è il diritto di essere preferito a chiunque altro, a parità di condizioni nella conclusione di un determinato
contratto. Si distinguono due tipi di prelazione: quella convenzionale, che nasce per volontà degli interessati ed ha
efficacia obbligatoria e la prelazione legale, disposta dalla legge, ha efficacia reale, il che significa che è opponibile
anche a terzi.
La conclusione del contratto viene generalmente preceduta e preparata da una fase di trattative, in cui le parti
discutono i termini del contratto e ciascuno cerca di far prevalere il proprio interesse. Si tratta di una fase delicata che
viene regolata dalla legge dal principio di buona fede, ovvero con comportamenti di correttezza e lealtà. La parte che
non rispetta questo principio incorrerà nella responsabilità precontrattuale.
La scorrettezza può dar luogo a tre situazioni:
- Il contratto non si forma rottura ingiustificata della trattativa
- Si forma un contratto invalido la parte scorretta non informa l’altra parte di una causa di invalidità
- Si forma un contratto valido ma sconveniente
In ciascuno di questi casi la vittima riceve un danno, che l’autore della scorrettezza deve risarcire. Va risarcito però
solo il cosiddetto interesse negativo, cioè il danno che deriva dall’aver intrapreso una trattativa finita male. Ciò può
comprendere spese inutilmente fatte, perdita di occasioni… è una responsabilità extracontrattuale
Per concludere un contratto non basta la volontà di farlo, ma occorre la corrispondente manifestazione di volontà.
Questa può essere espressa, se comunicata tramite il linguaggio o tacita, con segni diversi dal linguaggio, come ad es.
iniziando a eseguire la prestazione. La manifestazione tacita viene anche definito comportamento concludente. Alcuni
contratti prevedono espressamente la manifestazione espressa, mentre per altri è sufficiente quella tacita. La
presenza del comportamento concludente, ci dice che nel nostro ordinamento vale il principio di libertà della forma,
la manifestazione non richiede infatti modalità particolari ma può avvenire con qualunque modalità idonea a farla
comprendere. Tuttavia questo principio ha delle eccezioni: per alcuni contratti, i cosiddetti formali, la legge richiede
particolari modalità espressive. Il principale vincolo è la scrittura che si traduce in un documento:
- Scrittura privata richiesta per il trasferimento di proprietà di immobili, per i diritti di godimento ultra
novennale e per i contratti con le pubbliche amministrazioni
- Atto pubblico richiede l’intervento di un notaio ed è richiesto per costituzione di società, convenzioni
matrimoniali, donazione…
Le ragioni per cui la legge impone una determinata forma sono in primis assicurare una certezza sull’esistenza e
contenuto del contratto, dare una protezione nei confronti del contraente e infine poter effettuare controlli sui
contratti.
Quando la forma, espressamente richiesta non viene rispettata il contratto è da considerarsi nullo.
Si parla di forma convenzionale quando una particolare forma della manifestazione di volontà è richiesta non dalla
legge, ma dall’accordo delle parti interessate.
La procura è l’atto con cui l’interessato conferisce volontariamente al rappresentante il potere di rappresentarlo. Si
tratta di un atto unilaterale e non ricettizio, in quanto è indirizzato verso i terzi. È necessario che chi la richiede abbia
la capacità legale di agire, mentre al rappresentante si richiede solo la capacità di intendere e di volere. La procura può
richiedere una forma particolare, ovvero la stessa richiesta dal contratto che il rappresentante dovrà concludere.
Il contenuto può essere vario, la distinzione fondamentale è fra procura generale, che autorizza a compiere tutti gli
affari e procura speciale, che impone dei limiti.
L’estinzione della procura può essere determinata dal venir meno del rapporto sottostante, ovvero il rapporto che
giustifica la procura, ma può dipendere anche dalla morte di una delle due parti, dalla rinuncia del rappresentante o
dalla revoca del rappresentato.
Il rappresentante è tenuto ad agire nell’interesse del rappresentato, ma se viola questo obbligo e agisce in modo da
avvantaggiare sé stesso, si crea un conflitto di interessi con il rappresentato. Il criterio utilizzato per risolvere il
conflitto è quello della conoscenza del conflitto da parte del terzo, se questi conosceva il contratto è annullabile.
Il contratto per persona da nominare è quello in cui un contraente si riserva di comunicare successivamente alla
controparte il nome della diversa persona che acquisterà i diritti.
In base all’esposizione al rischio i contratti si distinguono in commutativi, in cui le prestazioni sono certe e non
determinate dal caso, e aleatori, in cui il rischio è particolarmente elevato. In questo contratto c’è un’alea, un rischio,
che può incidere sulla prestazione. Possono essere aleatori per natura, ne sono esempio le assicurazioni o per volontà
delle parti.
L’illiceità della causa, i cui parametri sono gli stessi dell’oggetto illecito, impedisce al contratto di essere valido e di
produrre effetti, il contratto sarà perciò nullo.
I motivi del contratto sono i particolari interessi soggettivi che spingono ciascun contraente a fare il contratto, ma
restano estranei alla ragione giustificativa del contratto. Il principio fondamentale è la rilevanza della causa e
l’irrilevanza dei motivi, se perciò si ha un problema a livello di causa questo potrà incidere sul contratto, ma se il
problema sarà nei motivi il contratto continuerà ad avere la sua validità.
La legge prevede e disciplina numerosi tipi di contratto, che corrispondono alle operazioni economiche più diffuse e
collaudate. Quelli che seguono i cosiddetti tipi legali, ovvero schemi di operazione, sono chiamati contratti tipici o
nominati. Esistono anche i cosiddetti contratti atipici, in cui le parti creano un contratto che non corrisponde a nessun
tipo legale. Questa libertà incontra una limitazione, i contratti atipici creati devono essere meritevoli di tutela secondo
l’ordinamento, il che significa che devono essere leciti sia per quanto riguarda la causa che l’oggetto. È così che in Italia
sono nati i contratti di leasing o franchising.
La qualificazione del contratto è l’operazione con cui si stabilisce se una determinata fattispecie corrisponda a un tipo
legale oppure a un contratto atipico.
Nello svolgimento del regolamento contrattuale le parti definiscono innanzitutto gli elementi essenziali, ma non si
limitano a questo, di solito infatti concordano anche gli elementi non essenziali. Tutti gli elementi sia essenziali che
non sono determinati dalle clausole del contratto.
Così come le norme anche il testo del contratto avrà bisogno di un’interpretazione; essa è affidata al giudice, che deve
attenersi a criteri legali di interpretazione. I criteri si distinguono in:
- soggettivi, che mirano a interpretare la comune intenzione delle parti. Si utilizza generalmente il criterio del
comportamento complessivo delle parti o quello dell’interpretazione contestuale, con cui si interpreta il
contratto alla luce di tutte le clausole.
- Oggettivi, che mirano a interpretare le parole con ragionevolezza, funzionalità ed equità. Fra questi si ha il
criterio della buona fede, il criterio degli usi interpretativi, con cui si sceglie il significato conforme a quanto
generalmente si pratica …
L’integrazione del contratto è il fenomeno per cui il regolamento contrattuale può essere determinato anche da fonti
esterne alla volontà delle parti. Si distingue in suppletiva, la cui logica è favorire le scelte dell’autonomia privata,
cogente, la cui logica contrasta l’autonomia privata, legale che si realizza mediante norme giuridiche o giudiziale,
integrato da decisioni del giudice.
In caso di lacuna lasciata dalle parti è possibile fare riferimento alle norme dispositive, anche dette suppletive che
hanno la funzione di riempire una lacuna lasciata nel regolamento contrattuale. Operano solo in caso di mancanza di
patto contrario tra le parti. Uno stesso ruolo hanno anche gli usi contrattuali, che sono delle prassi nei comportamenti
di un certo settore o di una certa impresa, che si intendono inserite nel contratto se non risultano non volute dalle
parti.
L’art 1374 cc stabilisce che quando non c’è alcuna norma dispositiva per coprire una lacuna, il regolamento va
integrato in base all’equità tramite l’intervento di un giudice. L’equità contrattuale indica la possibilità da parte del
giudice di determinare qualche aspetto del contratto, applicando la soluzione che appare più equilibrata alla luce delle
caratteristiche del rapporto.
La norma imperativa, invece interviene contro la volontà delle parti. Essi non possono infatti inserire clausole
contrastanti con le norme inderogabili. Il motivo principale è che le norme imperative perseguono un interesse
generale che deve prevalere su quello privato. I casi sono due o il contratto viene cancellato o resta in piedi ma con un
regolamento diverso da quello volontariamente concordato. Si applica infatti il principio di sostituzione automatica
della norma imperativa (art. 1339 cc).
Il recesso legale è il potere di recedere unilateralmente, attribuita alla parte direttamente dalla legge. Accade per i
contratti a tempo indeterminato. È necessario un preavviso e il contratto si scioglie al momento della scadenza del
preavviso. Questo istituto porta ad un trattamento asimmetrico delle parti, che si trovano in posizioni in cui il recesso
è attribuito a una sola parte o ad entrambe ma con differenza di limitazioni e motivazioni. Es. contratto di lavoro.
Il “ius variandi” è il potere di una parte di modificare unilateralmente l’oggetto del contratto o di qualche aspetto del
regolamento contrattuale.
Il principio di relatività degli effetti è affermato all’art 1372 cc che stabilisce che il contratto non produce effetto
rispetto ai terzi, il che significa che il contratto non può creare obbligazioni a carico di un terzo, impedire l’acquisto di
un diritto da parte di un terzo e disporre di un diritto del terzo.
CAPITOLO 29: EFFETTI DEL CONTRATTO, INTERESSI DELLE PARTI E AUTONOMIA PRIVATA
Esistono strumenti che permettono di modificare la produzione di effetti del contratto:
La condizione è la clausola che subordina gli effetti contrattuali al verificarsi di un avvenimento futuro e incerto. Si
distingue in condizione sospensiva, se blocca gli effetti in attesa di vedere se l’evento si verificherà, o condizione
risolutiva, che consente l’immediata produzione di effetti, ma li farà venire meno se l’evento si verificherà. Ci sono
alcuni atti, chiamati actus legittimi a cui è vietato apporre condizioni, come il matrimonio.
In base alla natura dell’evento, si distingue la condizione potestativa, se l’avvenimento dipende dalla volontà di una
parte, casuale, se è indipendente dalle parti coinvolte, mista se concorrono sia la volontà di una parte che circostanze
estranee o meramente potestativa, se il verificarsi dipenderà dal puro e semplice arbitrio di una parte.
La condizione può presentare poi due patologie, l’essere illecita e l’essere impossibile. È illecita la condizione che
risulta contraria a norme imperative o al buon costume, il contratto in cui è inserita risulterà sempre nullo. È
impossibile la condizione riferita ad un evento che ragionevolmente non può realizzarsi.
La pendenza della condizione è la fase in cui, concluso il contratto, permane l’incertezza sul verificarsi o meno
dell’evento. In questo caso una delle parti ha un diritto condizionato, mentre l’altra ha un’aspettativa di diritto. Il
titolare del diritto condizionato, può esercitarlo compiendo 3 atti:
- Atti di disposizione trasferire il diritto a un terzo
- Atti di amministrazione
- Atti di godimento
Lo stato di pendenza si chiude quando l’incertezza dell’evento viene meno. Se la condizione manca, la situazione
esistente durante la pendenza si consolida, il diritto condizionato diventa pieno, mentre se la situazione si avvera, la
situazione esistente si rovescia.
Il termine è la clausola che disloca gli effetti contrattuali nel tempo. Può essere inziale o finale, il primo indica il
momento a partire dal quale gli effetti cominciano a prodursi, mentre il termine finale indica il momento a partire dal
quale gli effetti cesseranno.
Il contratto preliminare è quello con cui le parti si obbligano a concludere in futuro un determinato contratto, del
quale hanno già concordato gli elementi essenziali, ma del quale desiderano rinviare gli effetti. Le parti prendono il
nome di promittente venditore e promissario compratore. La legge impone una forma vincolata del preliminare,
ovvero la stessa forma richiesta per il contratto definitivo. Quando una parte rifiuta ingiustificatamente di concludere
il definitivo nel termine stabilito, commette inadempimento del preliminare. L’altra parte può chiedere al giudice la
sentenza costitutiva, che produce gli stessi effetti del contratto non concluso.
Il contratto fiduciario ha la caratteristica di combinare effetti reali ed effetti obbligatori. Il codice non lo prevede. È il
contratto con cui una parte trasferisce la proprietà di un bene all’altra parte che si obbliga a gestirlo secondo le
direttive del fiduciante. Chi trasferisce il bene è detto fiduciante, mentre chi assume gli obblighi è il fiduciario.
Il fiduciario, secondo la fiducia romana, acquista la proprietà piena del bene e il fiduciante resta privo di qualsiasi
situazione di tipo reale sul bene, ha solo diritti di credito nei confronti del fiduciario.
La simulazione del contratto è lo strumento a cui le parti ricorrono quando hanno interesse a creare l’apparenza di
una situazione giuridica diversa da quella che è la situazione reale. Si ha simulazione quando le parti dichiarano di fare
un contratto, mentre in realtà sono d’accordo che non vogliono farlo. L’accordo delle parti si chiama accordo
simulatorio e risulta dalla controdichiarazione del contratto simulato. Si distingue in simulazione assoluta, se le parti
dichiarano di non voler nessun contratto o relativa, se contro-dichiarano di voler un contratto diverso. Nei rapporti fra
le parti il contratto simulato non produce alcun effetto, mentre ne ha quello dissimulato, ovvero quello realmente
voluto.
I contratti nulli, invalidi o rescindibili sono anche detti contratti invalidi. Il concetto di invalidità indica la mancanza o il
difetto di elementi costitutivi della fattispecie del contratto, ovvero dei requisiti essenziali stabiliti all’art. 1325cc. I
difetti che portano l’invalidità sono detti vizi ed un contratto con vizi è detto viziato.
L’invalidità non va confusa con l’inefficacia, che indica quando il contratto non produce gli effetti che normalmente
dovrebbe produrre. Fra i due concetti si ha un punto di incontro: un contratto invalido è anche inefficacie, ma non è
vero il contrario. L’inefficacia può dipendere da varie ragioni e operare in diverse maniere. In base al momento in cui si
presenta può essere efficacia originaria, quando il contratto è inefficace dal momento della formazione o inefficacia
sopravvenuta, quando il contratto è inizialmente efficace. A seconda dell’ambito in cui si manifesta può essere
assoluta, se non produce effetti per nessun soggetto o relativa quando produce effetti per le parti ma non per terzi in
determinate circostanze. Si dice che in caso di inefficacia relativa il contratto sia inopponibile a terzi.
L’art. 1418 cc stabilisce in quali casi un contratto è nullo, dividendo le situazioni in nullità strutturale (mancanza di
elementi essenziali, rendo il contratto incompleto) e nullità politiche (contratti disapprovati dall’ordinamento).
Il contratto risulterà nullo “in mancanza dei requisiti stabiliti all’art. 1325”, quindi:
- in mancanza di accordo Vi rientra il contratto per costrizione fisica, il contratto fatto da soggetti che non
abbiano capacità di intendere e di volere, il contratto non riferibile a chi ne pare l’autore (firma falsificata), il
contratto scherzoso o per rappresentazione scenica
- in mancanza di causa
- quando si ha un oggetto inesistente, impossibile, indeterminato o indeterminabile
- quando sussiste un difetto di forma, ma solo se richiesta per la validità del contratto
Il contratto risulterà poi nullo, per illiceità quando contiene un oggetto illecito, ha una causa illecita, ha una
condizione illecita o un motivo illecito comune a entrambe le parti.
Il contratto in frode è quello che costituisce il mezzo per eludere l’applicazione di una norma imperativa. È nullo
perché ha causa illecita, ovvero gli è attribuita dalle parti una funzione illecita.
La nullità testuale indica che un contratto è nullo quando la legge lo impone, la nullità virtuale stabilisce invece che
sia nullo quando è un contratto contrario alle norme imperative, fatta eccezione che la legge disponga in maniera
diversa.
La nullità può essere anche parziale, quando colpisce una sola clausola del contratto. È disciplinata dall’art. 1419 cc,
che divide la nullità in due situazioni: la prima riguarda una clausola determinante, ovvero che in mancanza di essa i
contraenti non avrebbero concluso il contratto. In questo caso risulterà nullo l’intero contratto. La seconda situazione
riguarda le clausole contrarie alle norme imperative; in questo caso si verifica l’integrazione del contratto, ovvero ci
sarà la nullità della singola clausola che verrà sostituita dalla norma imperativa di riferimento. Il contratto non sarà
quindi nullo.
I vizi che portano all’annullabilità del contratto si riuniscono in due grandi filoni: l’incapacità d’agire e i vizi della
volontà (fattori che disturbano il processo di formazione della volontà contrattuale di una parte). I vizi della volontà
sono 3: errore, dolo e violenza.
Al di fuori di questi due filoni, il contratto è annullabile in qualche altro caso stabilito dalla legge, i principali sono
contratti conclusi con conflitto d’interesse con il rappresentato, contratto compiuto da un coniuge su bene della
comunione…
L’errore è ignoranza o falsa conoscenza di elementi rilevanti per decidere in merito al contratto. Non tutti gli errori
determinano l’annullabilità, ma solo quelli che presentano due requisiti. L’errore è rilevante solo se è essenziale e
riconoscibile. Se non presenta uno dei requisiti l’errore resta a carico di chi l’ha commesso.
È considerato essenziale se riguarda determinati elementi del contratto, ovvero: natura del contratto, oggetto del
contratto (che può riguardare la prestazione, l’identità del bene o una sua qualità) o la persona dell’altro contraente
(che può far riferimento all’identità della persona o alle sue qualità). Nei casi in cui siano implicate le qualità
dell’oggetto o del contraente è necessario che l’errore sia determinante nel consenso, ovvero che se si fossero sapute
inizialmente il contratto non si sarebbe concluso.
L’errore sul motivo è un errore determinante nel consenso ma non essenziale e risulta perciò irrilevante, un tipico
esempio è l’errore di previsione o l’errore sul valore.
L’errore risulta riconoscibile se “una persona di normale diligenza avrebbe potuto rilevarlo” (art. 1431cc).
L’errore ostativo è quello che non implica un vizio di formazione della volontà, ma che tocca la comunicazione della
volontà. Può essere un errore nella dichiarazione o un errore nella trasmissione.
Il dolo è l’inganno nella formazione del contratto, la menzogna utilizzata contro un contraente per indurlo a fare il
contratto. Il rimedio dell’annullabilità del contratto scatta solo se si tratta di un dolo determinante, ovvero un inganno
decisivo per la conclusione del contratto. Il dolo può presentarsi anche come dolo omissivo o reticenza, quando
l’inganno consiste nel tacere elementi decisivi del contratto.
Il dolo di terzo rende annullabile il contratto solo se la controparte ne era a conoscenza.
Alcuni tipi di dolo non hanno come conseguenza l’annullabilità, ad esempio il dolus bonus, che consistente nella
generica esaltazione di una qualità del bene offerto, non ha alcun tipo di conseguenza. Il dolo incidente, ovvero un
inganno non così grave da risultare decisivo ma da indurre la vittima di accettare condizioni meno vantaggiose, implica
non l’annullabilità ma il risarcimento del danno.
La violenza è intesa come minaccia psichica contro un contraente, per costringerlo a fare un contratto che egli non
vorrebbe fare. La minaccia, per rendere il contratto annullabile deve avere tre caratteristiche: essere inerente al
contratto, ragionevolmente grave e prospettare un male ingiusto. Il timore riverenziale non è causa di annullamento.
La rescissione del contratto è un rimedio che si applica ai contratti conclusi in circostanze anomale. Esso scatta in
presenza di due requisiti: uno interno, relativo alla presenza di uno squilibrio economico e un requisito esterno che
consistenze in circostanze anomale, che possono essere circostanze di pericolo o stato di bisogno.
Il contratto concluso in stato di pericolo è rescindibile quando ricorrono i seguenti requisiti: una parte fa il contratto
solo perché vi è costretta dalla necessità di salvare sé o altri dal pericolo attuale di un danno grave, la necessità è nota
a controparte, il contratto viene concluso a condizioni inique. Il contratto concluso in stato di bisogno è rescindibile
quando una parte fa il contratto perché si trova in stato di bisogno, la controparte ne approfitta per trarne vantaggio e
ciò porta uno squilibrio economico fra le prestazioni delle parti. Squilibrio che deve avere uno scarto di valore almeno
di uno a due e che deve perdurare fino al tempo in cui è proposta la domanda di rescissione.
Come regola la risoluzione per inadempimento è risoluzione giudiziale, viene quindi pronunciata dal giudice con la sua
sentenza. Fino a che la sentenza non è emanata il contratto non risulta risolto. Essendo una sentenza che modifica la
situazione fra le parti è considerata una sentenza costitutiva. Per concedere la risoluzione il giudice deve verificare due
presupposti: il primo è la presenza dell’inadempimento ed il secondo è un certo livello di gravità dell’inadempimento.
La regola secondo cui la risoluzione è determinata dal giudice conosce tre eccezioni, in cui la risoluzione è di diritto:
- clausola risolutiva espressa prevede che il contratto si risolverà se una determinata obbligazione nascente
da questo non verrà regolarmente adempiuta. Non si produce automaticamente al momento
dell’inadempimento ma è necessaria un’iniziativa della vittima, che dichiari di volersi avvalere della clausola.
- termine essenziale è il termine di esecuzione della prestazione, scaduto il quale la prestazione non ha più
utilità. Una volta scaduto il termine il creditore potrà esigere ugualmente la prestazione, ma tale decisione
deve essere presa entro 3 giorni.
- diffida ad adempiere la vittima dell’inadempimento formula un’intimidazione scritta ad adempiere entro
un congruo termine accompagnata dalla dichiarazione che decorso tale termine il contratto sarà risolto
La regola secondo cui la sopravvenuta impossibilità della prestazione non imputabile al debitore, estingue
l’obbligazione incontra qualche limite: non si estingue se l’impossibilità si verifica durante la mora del creditore o se il
contratto ha come oggetto una cosa determinata.
La risoluzione per eccessiva onerosità opera solo per i contratti di durata, si applica quando nel corso dell’esecuzione
del contratto si verificano fatti che alterano notevolmente l’originario equilibrio economico. La parte svantaggiata può
chiedere la risoluzione. Le sopravvenienze devono essere successive alla conclusione del contratto, ma anteriori
all’esecuzione del contratto, oggettive ed esterne, straordinarie e imprevedibili. Lo squilibrio economico determinato
può derivare sia da aumenti di costo della prestazione dovuta che da diminuzione di costo della controprestazione.
Perché l’onerosità sia eccessiva è necessario che superi l’alea normale del contratto (normale margine di rischio del
contratto). Quando una parte onerata richiede lo scioglimento, l’altra parte può evitarla se offre di modificare
equamente le condizioni di contratto (offerta di riduzione a equità).
La risoluzione scioglie il rapporto contrattuale, per quanto riguarda il rapporto fra le parti ne consegue la reciproca
liberazione e la restituzione delle prestazioni già eseguite, ad eccezione dei contratti continuati. Per i rapporti con i
terzi si ha la regola di non retroattività, questa non pregiudica i diritti acquistati in precedenza da terzi.
La presupposizione è una causa di risoluzione non prevista per legge ma stabilita e applicata dalla giurisprudenza. Si
identifica con una situazione di fatto che entrambe le parti, pur non menzionandola esplicitamente, hanno
considerato come presupposto fondamentale del contratto. In questo caso il contratto si risolve per inesistenza o
venir meno del presupposto su cui le parti hanno fondato il contratto stesso.
Un contratto a prestazioni corrispettive svolge bene la sua funzione solo se risulta pienamente attuato da entrambe le
parti. Da qui nasce l’utilità di strumenti capaci a rafforzare l’attuazione del contratto e di strumenti che reagiscano
alla sua inattuazione.
Uno strumento per rafforzare l’attuazione è la caparra confirmatoria, consistente in una somma di denaro che una
parte da all’altra alla conclusione del contratto. Funziona come incentivo da entrambe le parti: perché chi la da in caso
di mancato adempimento può richiederla doppia, mentre chi la riceve nel caso in cui la controparte fosse
inadempiente potrebbe recedere dal contratto trattenendosi la caparra. Quando si profila una minaccia è possibile
utilizzare degli strumenti di sospensione dell’attuazione del contratto temporaneamente. Essi prendono il nome di
eccezioni sospensive e le principali sono due: eccezione di inadempimento e mutamento delle condizioni
patrimoniali. Secondo l’eccezione di inadempimento se una parte è inadempiente, l’altra può rifiutare di eseguire la
propria prestazione. Il secondo rimedio protegge il contraente contro il rischio di inadempimento, di fronte al
mutamento di condizioni patrimoniali di una parte, che rendono evidente la possibilità di inadempimento, l’altra può
sospendere la propria prestazione, salvo che gli venga data garanzia.
A parte ai rimedi sospensivi una parte può scegliere altre due strade o conserva la speranza e l’interesse di ottenere la
prestazione e propone una domanda di adempimento oppure propone una domanda di risoluzione. Sia che si faccia
domanda di adempimento che di scioglimento la parte può richiedere in più il risarcimento dei danni.
CAPITOLO 37: LA RESPONSABILITA’ CIVILE FUNZIONI E PRESUPPOSTI
I danni possono verificarsi anche al di fuori di un preesistente rapporto obbligatorio fra danneggiante e danneggiato,
in cui le parti sono estranei. Anche questi danni determinano una responsabilità del danneggiante, chiamata
responsabilità extracontrattuale o responsabilità per fatto illecito oppure civile. Il problema fondamentale è
determinare quando un danno genera responsabilità e quando no, ciò si risolve con due sistemi di responsabilità
civile:
- sistema di tipicità preventiva descrizione di tutti i casi in cui il danno deve essere risarcito
- sistema di atipicità si identificano formule ampie e generiche sulla cui base spetta al giudice identificare in
concreto i singoli casi
Il sistema italiano segue il principio di atipicità in base all’art. 2034cc.
Le norme sulla responsabilità civile affrontano 3 questioni, se il danno verificato debba essere risarcito o no, chi è
obbligato a risarcirlo e quale somma di denaro il responsabile deve pagare al danneggiato.
Le funzioni della responsabilità civile sono compensativa, preventiva e sanzionatoria. La funzione compensativa è la
più immediata e mira a compensare il danneggiato per la perdita subita, reintegrando il suo patrimonio ingiustamente
diminuito. La funzione sanzionatoria ha come obiettivo punire il responsabile per un suo comportamento riprovevole.
Ad oggi, a causa della tendenza ad assicurare, sempre più spesso il responsabile di un danno non lo risarcisce
personalmente ed il danneggiato cerca il risarcimento dal suo assicuratore.
La responsabilità nasce in presenza di presupposti (art. 2043cc): presenza di un danno che sia anche considerato
ingiusto (requisito oggettivo), un autore capace di intendere e di volere e che il fatto sia stato compiuto senza una
giustificazione. Infine è necessario che il danno sia addebitabile al soggetto responsabile (requisito soggettivo).
Requisito oggettivo:
L’art. 2043 cc stabilisce che un danno è risarcibile solo se “ingiusto”, o anche detto antigiuridico. Per stabilire la sua
antigiuridicità sono stati stabiliti dei criteri che qualificano come ingiusto il danno causato da un comportamento che
viola una norma, o che corrisponde alla lesione di un interesse protetto dal diritto. Nei casi più ostici sarà necessario
effettuare un giudizio comparativo fra i due interessi in gioco, che consiste nel verificare quale dei due è prevalente.
La responsabilità sorge solo se tra il fatto e il danno esiste un nesso di causalità. Secondo l’articolo 2043 il danno è
risarcibile solo in quanto sia conseguenza immediata e diretta del fatto dannoso. Per accertare il nesso di causalità si fa
ricorso a diversi criteri. Il primo è quello della causalità materiale: un danno può dirsi causato da un fatto se in assenza
di quel fatto quel danno non si sarebbe verificato. Il secondo criterio è quello della causalità giuridica, in base al quale
c’è la ragionevole probabilità che quel determinato fatto abbia provocato quel determinato danno, non occorre la
certezza assoluta basta una probabilità relativa. E la relativa valutazione viene fatta attraverso il giudizio contro
fattuale.
Il danno può essere causato dai fatti di più persone, in questo caso tutte sono responsabili e obbligate in solido al
risarcimento. Nei rapporti interni fra i corresponsabili il peso del risarcimento si distribuisce in base a due criteri: la
gravità delle rispettive colpe e l’entità delle conseguenze. Chi ha risarcito tutto il danno ha regresso verso gli altri per
le corrispondenti quote. In caso di dubbio si presumono uguali.
Requisito soggettivo:
Si fa riferimento a due criteri di imputazione della responsabilità, la colpa e il dolo. La colpa indica una superficialità o
negligenza da parte del danneggiante, mentre il dolo indica la coscienza di cagionare il danno.
Il danno non obbliga al risarcimento l’autore se tale soggetto era privo della capacità di intendere di volere, si ha
però un’eccezione in cui l’incapace risponde solo se la sua incapacità dipendeva da sua colpa. Il danno causato viene
risarcito da chi era tenuto alla sorveglianza dell’incapace. Il responsabile può liberarsi dimostrando di non aver potuto
impedire il fatto e in questo caso il giudice stabilirà un’equa indennità per il danneggiato.
Le principali cause di giustificazione di un fatto dannoso sono tre: il consenso dell’avente diritto, quando il
comportamento dannoso viene autorizzato dallo stesso danneggiato, la legittima difesa, non è responsabile chi causa
il danno per difendere un diritto proprio al quale il danneggiato portava minaccia e lo stato di necessità che ricorre
quando l’autore del fatto è costretto a compierlo per necessità di salvare sé o altri dal pericolo di un danno grave alla
persona, a condizione che sia non volontariamente causato e non evitabile.
Il danno extrapatrimoniale può essere sia patrimoniale che non. Il danno non patrimoniale sono le conseguenze
negative che il soggetto patisce per la lesione recata a un valore della sua persona, come tale non suscettibile di diretta
valutazione economica. A differenza del danno patrimoniale, quello non patrimoniale è dichiarato risarcibile solo nei
casi determinati dalla legge. Il caso più importante in cui i danni non patrimoniali risultano risarcibili sono quelli che
derivano da un reato, ma ad oggi si sono cercate vie per allargare la risarcibilità del danno non patrimoniale: il danno
morale non derivante da reati risulta risarcibile quando consiste nella lesione di un interesse costituzionalmente
protetto. Si distingue poi il danno biologico, ovvero una lesione dell’integrità psico-fisica, accertabile medicalmente.
Responsabilità oggettiva significa responsabilità senza colpa. Nasce con lo sviluppo delle prime società industriali,
dove viene consentita l’attività con imposizione di misure di sicurezza e il residuo rischio di danni viene messo a carico
di chi esercita l’attività. Al di fuori dei casi di responsabilità oggettiva, in cui la responsabilità si fonda sul rischio
d’impresa, la responsabilità si fonda sulla colpa del danneggiante.
Il risarcimento è una forma di riparazione per equivalente, nel senso che dà al danneggiato una somma di denaro che
equivale al danno subito. Sorge quindi il problema di determinare la somma, i giudizi in materia comprendono due
quesiti X deve risarcire a Y? E quanti soldi deve?
La determinazione del risarcimento extracontrattuale obbedisce agli stessi criteri previsti per la responsabilità
contrattuale: deve quindi comprendere sia il danno emergente che il lucro cessante, è necessaria la causalità
giuridica per cui vanno risarciti i danni che rappresentano conseguenza immediata e diretta del fatto. Si applica anche
il criterio di concorso di colpa del danneggiato e quello di evitabilità del danno. Quando il danno non può essere
provato nel suo preciso ammontare, la determinazione è rimessa a valutazione equitativa del giudice.
La riparazione in forma specifica rimette il danneggiato nella posizione in cui si trovava prima del fatto dannoso. Ciò è
applicabile a condizione che il rimedio sia possibile e che non risulti eccessivamente oneroso per il danneggiante.
L’inibitoria è un rimedio che serve a prevenire il danno, si realizza tramite un provvedimento del giudice che vieta di
tenere o ordina di cessare il comportamento dannoso.
A queste due forme può cumularsi un risarcimento per equivalente, in quanto non eliminano completamente il
danno.
È importante fare in modo che i consumatori non ricevano dalle imprese prodotti scadenti, inferiori o capaci di creare
dei danni, lo strumento più efficace consiste nell’imporre alle imprese standard minimi di qualità e sicurezza da
osservare nella fabbricazione dei prodotti. Un’altra tutela preventiva può realizzarsi con l’informazione, ecco perché
le confezioni devono contenere tutte le informazioni sulla composizione del prodotto. Una prevenzione totale non è
però realisticamente immaginabile per questo motivo si presenta la disciplina della responsabilità del produttore.
Dal 2007 la materia della pubblicità ingannevole è stata inglobata all’interno del concetto di pratiche commerciali
scorrette. Una pratica commerciale è scorretta se presenta due caratteristiche: è contraria alla diligenza professionale
e risulta idonea a falsare il comportamento economico del consumatore medio.
Si distinguono le pratiche commerciali ingannevoli da quelle aggressive. Le prime si basano su informazioni false o
fuorvianti relative ad aspetti commercialmente importanti, mentre le seconde sono quelle che influenzano le decisioni
del consumatore con molestie, coercizioni fisiche o psichiche… Contro le pratiche scorrette è competente a intervenire
L’Autorità garante della concorrenza e del mercato, che ha competenza per l’applicazione della legge antitrust.
Per organizzare e svolgere l’attività, l’imprenditore ha bisogno di stipulare un gran numero di contratti. Ad oggi non
esiste più una categoria di contratti commerciali, sottoposti a una disciplina diversa da quella degli altri contratti, ma si
continua a parlare di contratti d’impresa (contratti che presuppongono la qualità di imprenditore).
I contratti standard o contratti di massa, sono i contratti creati dalle aziende che producono beni o servizi in serie.
Dato il gran numero di contratti che deve concludere, l’impresa ha bisogno che la conclusione avvenga nel modo più
rapido e meccanico possibile e che i contratti abbiano il medesimo contenuto. Questa tecnica di contrattazione ha una
doppia caratteristica: da un lato la standardizzazione dei contratti, dall’altro la predisposizione unilaterale da parte
dell’impresa e la sola possibilità di accettare o rifiutare da parte dell’altro contraente. L’art. 1341cc riconosce il poter
di predisposizione unilaterale del contratto da parte di uno dei due contraenti, dandogli quindi la possibilità di stabilire
le condizioni generali del contratto, ovvero l’insieme delle clausole unilateralmente predisposte. Le regole di disciplina
principali di questi particolari contratti sono che le condizioni generali vincolano l’aderente solo se risulta che questi
avrebbe dovuto conoscerle usando l’ordinaria diligenza, se fra le condizioni sono presenti clausole svantaggiose per
l’aderente anche dette clausole onerose, tali clausole vincolano l’aderente solo se questi li ha specificamente
approvate per iscritto con una doppia firma. Infine se le clausole sono prestampate su moduli quelle aggiunte
prevalgono su quelle prestampate.
La legge dedica una disciplina particolare ai contratti dei consumatori ovvero i contratti tra consumatore e
professionista. La protezione dei consumatori si realizza con due ordini di regole: quelle sulle informazioni
precontrattuali e quelle sulle clausole vessatorie.
L’articolo 48 del codice del consumatore obbliga il professionista a fornire delle informazioni chiare e complete
comprensibili prima che gli si vincoli. Queste informazioni riguardano aspetti essenziali del contratto.
Il divieto delle clausole vessatorie è stato, invece, introdotto nel 1996. I criteri per individuare quando una clausola è
vessatoria formano un sistema articolato su due livelli: il primo è una definizione generale, il criterio base è che sono
vessatorie tutte le clausole che determinano a carico del consumatore un significativo squilibrio di diritti e obblighi .
Al secondo livello la legge fa un elenco di clausole che si presumono vessatorie. Due circostanze possono escludere la
vessatorietà, che è sempre presunta: quando la clausola riproduce il contenuto di un atto normativo o quando ha
formato oggetto di trattativa individuale tra le parti.
Contro le clausole vessatorie possono scattare due tipi di rimedi: il rimedio individuale o rimedio collettivo. Il rimedio
individuale, invocabile dal singolo consumatore è la nullità (detta di protezione in quanto protegge il consumatore), il
rimedio collettivo può essere attivato da associazioni di consumatori o imprenditori e dalle camere di commercio, si
tratta dell’azione inibitoria con cui il giudice proibisce di inserire quella clausola in tutti i futuri contratti.
I contratti a distanza sono quelli che si concludono senza la compresenza fisica del consumatore e del professionista,
utilizzando tecniche di comunicazione a distanza.
I contratti negoziati fuori dei locali commerciali sono quelli che si concludono con la compresenza fisica del
consumatore e del professionista, ma fuori dei locali di quest’ultimo. Il rischio è quello di mettere pressione al
consumatore.
La protezione del consumatore si realizza con: informazione precontrattuale e diritto di recesso. Il recesso va
comunicato entro 14 giorni dalla conclusione del contratto, non è possibile richiederlo se il bene è già stato usato o
deteriorato ed ha come conseguenza, oltre allo scioglimento del contratto, anche la restituzione del bene in cambio
del prezzo.
Il credito al consumo è un’attività finanziaria rivolta ai consumatori interessati ad acquistare beni, per consentirgli di
acquistarli anche senza disponibilità attuale del denaro. A tal fine si offrono dilazioni di pagamento, finanziamenti o
agevolazioni finanziarie. L’operazione di credito rappresenta un doppio rischio per il consumatore: il rischio di
spingersi ad acquistare beni non coerenti con le sue disponibilità e il rischio di accettare condizioni finanziarie troppo
pesanti. Per proteggere il consumatore si prevedono pubblicità delle condizioni contrattuali e regole di disciplina dei
contratti, in particolare è richiesta forma scritta, contenuti determinati, chiari termini economici.
L’azione di classe è uno strumento che permette di agire contro i danni causati da un’impresa nei confronti di una
pluralità di soggetti. Una sentenza determinerà le somme dovute a tutti coloro che avranno partecipato. In questo
modo, con un solo processo si realizza la tutela di un numero ampissimo di consumatori. Contro gli atti lesivi dei diritti
collettivi è previsto anche un rimedio preventivo, l’inibitoria collettiva, per ottenere un provvedimento che impedisca
tali atti.
Il legislatore ha ritenuto necessario intervenire anche nella tutela dell’impresa debole nei confronti di quella forte con
la legge 192/1998. Esso disciplina in primo luogo i contratti di subfornitura, cioè tutti quelli per cui un’impresa
subfornitrice esegue lavorazioni su commesse di un’impresa committente. Il contratto deve avere forma scritta, deve
essere trasparente e avere termini fissi di pagamento. Alcune clausole sono vietate.
L’art. 9 contiene poi il divieto dell’abuso di dipendenza economica, questa è la situazione in cui l’impresa più forte è
in grado di determinare un eccessivo squilibrio di diritti e di obblighi a danno di un’impresa debole. I rimedi possono
essere diversi: se l’abuso si realizza attraverso un contratto esso è nullo, se non si ha un contratto si può richiedere un
risarcimento extracontrattuale.