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DIRITTO PRIVATO
L’ORDINAMENTO GIURIDICO
La societas è una comunità stabile regolata da una serie di regole (ubi societas, ibi ius). Una
societas viene de nita tale in base a tre criteri: 1) l’agire dei consociati è disciplinato da regole, 2)
le regole sono stabilite ed attuate da appositi organi, il cui compito è a dato in base a precise
regole di condotta e di struttura, 3) le regole di condotta e di struttura devono essere osservate
(=principio di e ettività: questo segna il limite entro cui una serie di regole possono dirsi
rispettate dalla comunità; se ciò non accade, la comunità si è sciolta e alla sua vita presiede un
nuovo ordinamento di regole).
Un ordinamento giuridico è tale quando esista un’autorità capace di attuarlo, la cui
legittimazione deriva dal consenso dei consociati negli stati democratici. L’ordinamento giuridico
è il sistema di regole con cui è organizzata la societas, il cui scopo è ordinare questo gruppo
organizzato. L’ordinamento giuridico è dunque il diritto oggettivo (= sistema delle regole che
ordinano la societas, VS diritto soggettivo = libertà di esercitare un diritto).
L’ordinamento giuridico (o diritto oggettivo) è solo una delle manifestazioni della collettività
(cultura, religione, politica…). La politica riveste una fondamentale importanza ed assicura che i
presupposti necessari che scaturiscono dai bisogni stessi si svolgano in modo ordinato e
paci co: nell’età moderna questa crea le condizioni per lo sviluppo della persona e si identi ca nel
concetto di Stato: una comunità di individui stanziata in un certo territorio organizzata in base a
un ordinamento giuridico. Quest’ultimo si dice originario quando superiorem non recognoscit (es.
singoli stati). Va considerata la pluralità degli ordinamenti in cui dev’essere valutata la soggezione
frutto di 1) un’adesione spontanea del singolo, 2) situazione necessaria ed indeclinabile (es.
straniero all’estero).
In questo contesto è da collocarsi la collaborazione fra gli Stati per il mantenimento della pace
tramite il diritto internazionale (ART 10 Cost: “L'ordinamento giuridico italiano si conforma alle
norme del diritto internazionale generalmente riconosciute.”), quale insieme di regole che
disciplinano il rapporto fra stati. La fonte di questo diritto è 1) consuetudinaria, in quanto trae
origine dalla prassi delle relazioni fra stati, 2) pattizia, ovvero nasce da accordi bilaterali. L’Italia
acconsente dunque alla limitazione della sua sovranità necessaria ad un ordinamento che assicuri
la pace.
L’essere suscettibili di coercizione comporta una conseguenza in danno del trasgressore: infatti
spesso, accanto alle norme di condotta dette primarie si a ancano quelle secondarie, che
fungono da risposta o reazione. La difesa dell’ordinamento viene difesa anche mediante misure
preventive o tramite norme che hanno una funzione esemplare (es. bisogna rispettare i genitori).
Lo Stato moderno, tuttavia, rivendica a sé il monopolio di detenzione di strumenti di forza del
trasgressore, riservandone l’esercizio ai suoi apparati, attraverso l’applicazione di una sanzione:
punizione generale del diritto in rimedio ad un termine di condotta non rispettato: queste possono
essere di vario tipo: 1) sanzioni penali (il cui diritto interviene quando la regola di condotta ha
toccato la vita, attraverso l’omicidio, le lesioni, la rapina, la tru a - il soggetto viene privato della
libertà personale, attraverso la reclusione/arresto); 2) sanzioni risarcitorie (il soggetto non ha
rispettato la regola di condotta e va incontro a un risarcimento del danno); 3) sanzioni
invalidatorie (sanzioni che riguardano la validità dei contratti riguardanti beni ritenuti
fondamentali, come il corpo umano).
La sanzione può operare in modo 1) diretto, realizzando il risultato materiale del danno, 2)
indiretto, per cui l’ordinamento si avvale di altri mezzi per ottenere l’osservanza della norma o per
reagire alla sua violazione.
La norma giuridica si distingue per 1) generalità: la legge non deve essere dettata per i singoli
individui, ma coinvolge tutti (fatta per un “qualunque” e non un “chi”): il codice Napoleon è ancora
valido dal 1804 ed è modello dei codici europei. La generalità consente di mantenere
l’eguaglianza nell’applicazione della legge: nessuna legge è ad personam (al massimo, si
rivolgono a delle determinate categorie). La norma si dice dunque valida “erga omnes”, ovvero
riguardante tutti i consociati; 2) astrattezza: la legge non deve essere dettata per speci che
situazioni concrete, bensì per fattispecie astratte, ossia per situazioni descritte ipoteticamente,
poiché essa deve essere applicata ad una serie indeterminata di casi futuri e deve inglobare ogni
possibile fatto, compresi i fatti che il legislatore non poteva prevedere alla stesura della legge.
L’astrattezza consente l’interpretazione della norma, coprendo un gran numero di fatti che s dano
il tempo.
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ART 2043: “qualunque fatto doloso o colposo che cagiona un danno ingiusto obbliga colui che ha
commesso il fatto a risarcire il danno” - generalità: qualunque persona abbia compiuto un fatto
doloso o colposo; astrattezza: un danno, non uno preciso
ART 1218: “il debitore che non esegue esattamente una prestazione è tenuto a risarcire il danno
se non prova che l’adempimento o il ritardo derivino da un’impossibilità della prestazione a lui non
imputabile” - generalità: tutti i debitori, non uno preciso; astrattezza: una persona può essere
debitore per svariati titoli
La norma giuridica deve obbedire al principio di eguaglianza, ossia l’obbligo di applicare le leggi
in modo uguale. Al principio di eguaglianza corrispondono due pro li: 1) formale: a parità di
condizioni deve corrispondere un trattamento uguale. Il controllo del suo rispetto è a dato alla
Corte Costituzionale, che si limita a valutarne la legittimità, mentre spetterà poi all’apparato
legislativo deciderne le soluzioni. La Corte costituzionale è composta da 15 giudici in carica per 9
anni: 5 eletti in seduta comune, 5 eletti dal presidente della Repubblica, 5 eletti dalle magistrature
più alte d’Italia: essa si occupa di veri care che le norme create da un Parlamento potenzialmente
insano non vadano a cozzare contro l’ART 3 Cost (”Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e
sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di
opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”) e se ciò accade la norma viene considerata
non-costituzionale e viene abrogata; 2) sostanziale: la Repubblica si impegna ad attenuare le
di erenze di fatto tra i cittadini, che in concreto discriminano le condizioni di vita dei singoli.
Quando occorre risolvere una concreta controversia, il giudice deve operare tramite la
sussunzione (= riconducendo il caso concreto a quello generale, ovvero la situazione astratta).
In qualche ipotesi, il giudicante può decidere senza applicare una speci ca norma oggettiva, ma
su criteri fondati sul contemperamento dei valori di giustizia, nel caso in cui le norme legali diano
luogo a conseguenze che urtano tali valori. L’ART 1226 cc a erma che “Se il danno non può
essere provato nel suo preciso ammontare è liquidato dal giudice secondo una valutazione
equitative”. Infatti, un danno immateriale può essere valutato solo mediante un’equità del caso
concreto, o meglio: “L’equità è dunque la giustizia nel caso singolo”, cit. Aristotele, che attribuiva
al giudice il compito di saggiatore d’argento.
L’ordinamento giuridico spesso sacri ca l’equità dinnanzi all’esigenza di certezza del diritto, in
quanto ritiene pericoloso a darsi alla soggettività del giudice.
Il giudice, pertanto, può discostarsene solamente quando la legge gli permetta di agire secondo
equità: ciò accade quando viene in itto un danno immateriale, di cui quindi sarebbe impossibile
determinare un risarcimento se non fosse per l’esistenza delle Tabelle: queste non sono norme
giuridiche, ma sono “criteri per cercare di completare ed integrare” una valutazione altrimenti
impossibile da darsi.
Solo in un caso l’equità è decisionale e non integrativa: si tratta di casi minori (che non superano il
valore di 1200 euro) gestiti dai giudici di pace. Le loro decisioni, però, non devono essere in
con itto con i principi generali dell’ordinamento. Nelle altre ipotesi, la norma dev’essere applicata
anche se sembra condurre a un risultato che appare come iniquo.
DIRITTO PUBBLICO: disciplina organizzazione dello stato e degli enti pubblici + impone ai singoli
il comportamento per la vita associata (attraverso l’esplicazione dei pubblici poteri: individua gli
organi competenti ad esercitarli, le modalità, la posizione…
Si articola in 1) diritto costituzionale, 2) diritto amministrativo, 3) penale, 4)…
DIRITTO PRIVATO: disciplina le relazioni inter-individuali (e dei singoli e degli enti privati).
Esso è parte dell’ordinamento (=complesso di norme dettate cercando di avere presente gli
interessi della società), ma fa operare il singolo in condizioni di uguaglianza degli altri (no
soggezione data dalla supremazia dello stato).
La linea di demarcazione tra diritto pubblico e privato è variabile: essa può essere:
1) Mutevole nel tempo: lo stato può avocare a sé funzioni che erano in mano ai privati (es.
ospedali) / sanzionare un comportamento un tempo considerato di interesse privato (es.
norme per la protezione dei lavoratori) / far svolgere attività private da soggetti pubblici (es.
privatizzazioni nelle telecomunicazioni)
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2) Incerta: enti pubblici (es. banche o assicurazioni) possono svolgere attività private in
concorrenza con privati / soggetti privati possono essere concessionari di servizi pubblici (es.
ferrovie, strade) / lo Stato può avere il controllo di società di diritto privato, in quanto azionisti
di maggioranza
Non tutto ciò che riguarda l’ambito pubblico appartiene al diritto pubblico: 1) i soggetti pubblici
possono operare in iure privatorum (es. università che stipula un contratto di locazione), 2) sui
beni pubblici possono applicarsi norme di diritto privato (es. il comune concede una sala ai
privati), 3) gli enti pubblici si servono dei privati per svolgere attività di pubblico interesse (es.
raccolta dei ri uti / erogazione energia)
Inoltre, un medesimo fatto può essere disciplinato da norme di diritto privato e pubblico (es.
investimento di un pedone: sanzione penale + sanzione amministrativa + sanzione civile).
Le fonti di produzione del diritto sono gli atti e i fatti idonei a produrre diritto (atti: fonti che si
manifestano in esplicazioni dell’attività di un determinato organo o autorità produttori di norme;
fatto: una consuetudine a ermatasi nel tempo come regola giuridica di condotta).
Le fonti di cognizione del diritto sono i documenti e le pubblicazioni u ciali da cui si legge il
testo di un atto normativo (es. Gazzetta U ciale)
Rispetto a ciascuna delle fonti, nell’atto si individua: 1) l’organo avente potere di emanarlo, 2)
procedimento formativo dell’atto, 3) documento normativo (= testo), 4) i precetti ricavabili dal
documento (= interpretazione). Ogni ordinamento deve regolare la produzione delle norme: quali
organi possono emanare norme? Con quali valori gerarchici, in un ordinamento che prevede la
pluralità delle fonti?
Prima del codice civile, ci sono 31 articoli: le Disposizioni Preliminari della legge: il primo
articolo è intitolato “Le fonti del diritto”. In esso è indicata la loro gerarchia, che dal 1942 (sotto
Mussolini) era: 1) legge, 2) regolamenti, 3) norme corporative (che hanno perduto di e cacia con
la caduta del fascismo), 4) gli usi. Con il tempo, si sono aggiunte altre fonti del diritto (es.
Costituzione, votata nel 1948/diritto comunitario): la gerarchia delle fonti interne risulta così
modi cata:
1) principi fondamentali (da cui discendono i diritti inviolabili); 2) Carta Costituzionale e leggi
di rango costituzionale; 3) leggi ordinarie e preleggi; 4) leggi regionali, 5) regolamenti, 6) usi.
La Costituzione regola il procedimento di elaborazione delle leggi + pone limiti al legislatore (es.
inviolabilità del domicilio del cittadino): una legge ordinaria che violasse ciò sarebbe illegittima.
I diritti fondamentali non sono suscettibili a revisione (un divieto è inoltre espresso per la natura
repubblicana dello Stato). Le leggi suscettibili a revisione della Costituzione vengono approvate
con una procedura più complessa di quella per le leggi ordinarie.
La Costituzione italiana è rigida: una legge ordinaria non può: 1) modi care la Costituzione o
legge di rango c.; 2) contenere disposizioni ad esse contrastanti —> Corte Costituzionale: valuta
la costituzionalità delle leggi, tramite: 1) controllo incidentale: norma messa in evidenza da un
giudice in un processo, 2) in via principale: promosso dal Governo contro la Regione con troppa
libertà legislativa / da Regione contro il Governo o contro un’altra regione. Se la Corte ritiene una
norma illegittima: dichiara incostituzionali la norma posta sotto esame e questa cessa di avere
e cacia dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione.
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La Costituzione si di erenzia dallo Statuto Albertino del 1918, in quanto la costituzione 1) non si
occupa solamente degli organi statali (motivo per cui lo Statuto Albertino si de niva una “Carta
Costituzionale corta”), ma anche dei diritti della persona; 2) esso poteva essere modi cato con
più facilità rispetto alla Costituzione.
Al rango costituzionale appartengono le norme del diritto internazionale consuetudinario: queste
norme 1) entrano a far parte dell’ordinamento senza una legge di rati ca del Parlamento, 2)
medesima forza vincolante della Costituzione (non possono essere contraddette da legge
ordinaria; ciononostante, in caso di contrasto tra legge consuetudinaria e ordinamento italiano,
prevale quest’ultimo).
D’altro canto, il diritto internazionale convenzionale (o pattizio) ha la stessa valenza di una legge
ordinaria.
Le leggi statali ordinarie sono approvate dal Parlamento con una procedura prevista dalla
Costituzione (1.approvazione del testo da entrambe le camere + 2. divulgazione del Presidente
della Repubblica + 3. pubblicazione sulla Gazzetta U ciale).
La legge può modi care / abrogare qualsiasi norma non avente valore di legge, mentre può
essere abrogata solo da una legge successiva. Essa è una delle tre fonti del diritto; la frase “il
diritto è legge” è uno dei limiti del giuspositivismo: il diritto, in realtà, non è solo legge. Il
procedimento di legiferazione è stato ereditato dalla democrazia parlamentare inglese ed è molto
lento: per questo motivo, è possibile emanare delle leggi anche in modo più veloci: ci sono dei
provvedimenti aventi forza di legge emanati dal Governo (Montesquieu avrebbe ritenuto che essi
non avessero il potere di legiferare, in quanto il potere legislativo spettava al Parlamento, quello
esecutivo al Governo e quello giudiziario alle Magistrature):
• Decreti legislativi delegati (o legge-delega): il Parlamento delega questo compito al Governo,
qualora la materia sia molto complessa (es Giustizia civile, in cui è necessario un altro livello di
competenza) imponendogli dei limiti tramite la comunicazione di criteri e principi ai quali il
Governo deve attenersi nell’emanazione del decreto. Oltre a questi limiti vi è un eccesso di
delega, decretato dalla Corte Costituzionale.
• Decreto legge di urgenza: applicato in casi di urgenza, esso dev’essere convertito in legge
nell’arco di 60 giorni per non perdere e cacia. Inizialmente, si sarebbe dovuto utilizzare nei casi
di emergenza, ma a partire dagli anni ’60 è stato impiegato frequentemente.
Viene così introdotto il T.U. (= testo unico) è un regolamento il cui pregio è essere una legge che
raccoglie varie norme attinenti alla medesima materia e spesso prende il nome di codice.
La legge ordinaria può essere abrogata da referendum popolare.
Le leggi regionali e il loro rapporto con quelle statali sono stati profondamente innovati:
1948: leggi regionali in posizione subordinata rispetto a quelle statali
2001: vennero de nite le rispettive competenze: lo Stato ha potestà legislativa esclusiva
nell’ordinamento civile
2012: lo stato ha potestà legislativa esclusiva anche sull’armonizzazione dei bilanci
La regione ha potestà legislativa su 1) materie di legislazione concorrente (elencate nell’ART 117
Cost), 2) ogni materia non espressamente designata alla legislazione statale.
Il criterio del rapporto tra leggi statali e regionali dunque è di competenza (non più di gerarchia),
in quanto sono stabiliti distinti ambiti di operatività. La gerarchia subentra solo nelle materie di
legislazione concorrente e lo stato stabilisce i principi fondamentale cui la regione si deve
attenere.
I regolamenti sono fonti secondarie che possono essere emanate dal Governo, ma anche da altri
enti non statali. Essi hanno contenuto normativo, ma provengono dall’autorità amministrativa e
non legislativa.
Essi non possono contenere norme contrarie alle leggi; in caso di contrasto tra legge e
regolamento, l’ultimo va disapplicato, non tenendone conto in sede processuale (ma restando in
vigore in altri casi magari).
La Corte Costituzionale ha escluso il proprio controllo di legittimità sui regolamenti, non potendo
esso essere contrario alle leggi.
Quando il regolamento sia impugnato da un giudice amministrativo (che ha potere di decidere la
legittimità degli atti della Pubblica Amministrazione), esso può essere annullato, rimuovendo la
sua e cacia e non essendo più applicabile in altre sedi.
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(NON DA SAPERE) La normativa comunitaria hanno acquistato un valore prevalente rispetto alle
leggi ordinarie statali. L’ART 11 dispone che sono ammissibili limitazioni alle sovranità statali a
favore della partecipazione del nostro paese a comunità internazionali. Da una parte, i Trattati che
originano la normativa comunitaria sono equiparati alla Carta Costituzionale; d’altra parte, il diritto
comunitario (e non solo i Trattati) prevalgono su tutto il diritto ordinario. La Corte di Giustizia si è
pronunciata a riguardo sostenendo che gli stati membri devono fare “tutto il necessario” a nché
venga 1) applicato il diritto comunitario, 2) applicata l’interpretazione fornita dalla Corte di
Giustizia.
Le fonti derivate dalla matrice comunitaria sono:
1) I regolamenti: atti di portata generale ed obbligatori in tutti i loro elementi. Contengono norme
applicabili dai giudici degli Stati membri, con la stessa valenza delle leggi statali. Nel caso di
un contrasto con la legge interna, il giudice è tenuto a disapplicare la legge interna.
2) Le direttive: si rivolgano agli organi legislativi degli Stati membri con lo scopo di armonizzare le
legislazioni interne dei singoli paesi. Esse (a di erenza dei regolamenti) non sono
immediatamente e caci nell’ordinamento, ma devono essere attuate con l’emanazione di
apposite leggi nei rispettivi Parlamenti (es. in Italia una volta all’anno viene emanata la legge
comunitaria); se ciò non avviene, lo Stato inadempiente può essere sanzionato. Qualora,
inoltre, le norme della direttiva siano speci che e il termine della sua attuazione sia già
scaduto, gli Organi della Pubblica Amministrazione vi si devono uniformare, anche in assenza
di un’apposita legge. I privati, inoltre, possono pretendere che tali apparati si orientino
coerentemente a queste, potendo chiedere anche il risarcimento di un danno allo Stato,
qualora subisca un danno a causa del mancato recepimento della direttiva.
3) Le decisioni: identi cano situazioni ben de nite, vincolanti solo per i destinatari (persone
siche o giuridiche, Stati membri). Queste sono frequentemente adottate nell’ambito della
concorrenza.
La Corte di Giustizia ha competenza interpretazione 1) dei trattati, 2) degli atti compiuti dalle
istituzioni, organi, organismo dell’unione. Se un giudice ha un dubbio in merito all’interpretazione
di una norma, si rivolge sospendendo il processo alla Corte di Giustizia, la cui sentenza è
vincolante prevalendo sulle norme legge incompatibili, determinandone la disapplicazione.
La legge comunitaria è una legge generale approvata anno per anno che della al Governo
l’emanazione di decreti legislativi di attuazione di un insieme di direttive: ciò permette di non
passare l’iter parlamentare.
La legge europea permette di dare attuazione agli atti europei e ai trattati internazionali nell’ottica
delle relazioni esterne all’Unione.
Il diritto consuetudinario (!!!) riceve una scarsa attenzione (a di erenza degli altri ordinamenti),
sebbene esistano dei settori nei quali esso ha mantenuto un ruolo di rilievo. La consuetudine, che
in diritto assume il nome di uso, sussiste con 1) requisito oggettivo: la ripetizione di un
determinato comportamento in un certo ambiente, osservabile come regola di condotta tra
i privati; 2) requisito soggettivo: l’osservanza di un comportamento ritenuto, socialmente,
doveroso (opinio iuris ac necessitatis = convinzione che un comportamento sia giusto ed
obbligatorio).
Il diritto consuetudinario era l’ordinamento ritenuto più importante prima della codi cazione
napoleonica ed era tramandato oralmente (doit coutumière, in contrapposizione con il doit écrit).
Si di erenzia dalle abitudini meramente sociali in quanto l’inosservanza di queste ultime non
conduce a sanzioni; l’uso normativo, invece, è norma giuridica sanzionabile.
La consuetudine non è prevista e disciplinata dalla Costituzione e resta subordinata alla legge
(ART 8), potendo operare solo nei limiti consentiti dalla legge (= no consuetudine contra legem,
ma operano solo le consuetudini secundum legem).
Talora gli usi sono richiamati come norme derogatorie e perciò la legge contiene scritto “salvo
uso contrario”.
Per quanto concerne le poche materie intorno cui il diritto è lacunoso, nulla è espressamente
disposto: alcuni ritengono che in questi casi si possa far ricordo alla consuetudine (=
consuetudine praeter legem: queste consuetudini valgono dunque erga omnes, poiché sono fonti
del diritto), sebbene però l’ART 12 Preleggi menzioni, come integrazione alle lacune, l’analogia e
il ricorso ai principi generali del diritto. Dunque la decisione tramite consuetudine è consentita
solo quando non sia possibile integrare tramite analogia.
Il diritto consuetudinario, in quanto non scritto, presenta problemi di accertamento del suo
contenuto. Vale da un lato il principio iura novit curia (= il giudice deve applicare la consuetudine
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di cui è a conoscenza, non è la parte interessata a farlo). Dall’altro, se la circostanza è
particolarmente controversa e deve essere accertata, è la parte interessata che, in collaborazione
con il giudice, deve provarne l’esistenza: tale prova può essere fornita facendo ricorso ad ogni
mezzo consentito. Esistono delle raccolte u ciali di usi (es. quelle delle Camere di Commercio)
che non hanno valore di fonte normativa, ma determinano una presunzione semplice. Ci sono
altri tipi di usi (uso normativo, usi negoziali, usi interpretativi), che non sono da confondere con le
consuetudini.
Il codice civile è un codice. Il termine “codice”, che un tempo designava una raccolta di materiali
normativi (vedi il Corpus iuris civilis di Giustiniano), ora indica una legge: si tratta di un testo unico
che ordina tutti gli aspetti che riguardano una determinata materia ed è caratterizzato da:
1) Organicità: disciplina complessivamente un intero settore
2) Sistematicità: coordinamento logico del materiale normativo e delle singole regole
3) Universalità ed eguaglianza: si rivolge in egual modo erga omnes
Esso implica l’abrogazione di tutto il diritto precedente ad essa, l’accentramento della disciplina e
la facilità del reperimento del materiale normativo. Lo scopo del codice è infatti dare alla materia
un assetto organico e non precario.
Dopo il Medioevo (in cui c’era molta arbitrarietà ed incertezza nell’applicazione delle leggi), tra il
XVII e il XVIII la codi cazione sia in campo costituzionale (Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo;
Costituzione Federale americana; …) che in campo di diritto privato ha assunto una notevole
importanza: era infatti il periodo dell’illuminismo (aspirazione a introdurre norme eterne).
Sebbene ora il codice abbia perduto molto dal punto di vista ideologico, riveste tuttora un ruolo
centrale nel sistema ed è concepito come il necessario elemento di supporto di ogni altra legge (il
codice è speciale, ossia di specie, in quanto è l’unica legge a carattere generale).
Il codice Napoleone (Francia, 1804) favorì la di usione 1) dei principi di eguaglianza, 2) primato
del diritto di proprietà (VS sistema feudale), 3) libertà dei commerci e delle attività economiche.
Esso ebbe molto successo, tanto che venne adottato quasi integralmente anche dagli altri Paesi
europei.
In Italia, il codice civile ebbe una vita travagliata: emanato nel 1865, fu modi cato nel 1882 e nel
1938, promulgandolo per intero nel 1942 (esso fu maturato non da giudici fascisti, ma di ideologia
liberal-borghese).
Il diritto civile non si esaurisce nel codice: è infatti ampliato dalla Carta Costituzionale (1948), più
sensibile alle esigenze di perequazione sociale. Crebbe anche la legislazione “speciale”, che ora
costituisce un mondo variegato e complesso: è dunque compito dell’interprete restituire dai
frammenti sistematicità e coerenza.
I codici, essendo approvati con leggi ordinarie, sono soggetti al controllo di legittimità della Corte
Costituzionale e possono essere modi cati (generalmente, vengono modi cati tramite la Novella,
ovvero sostituendo il testo con l’articolo, ferma la numerazione originaria). Le modi che più
importanti al codice civile sono state attuate in materia concernente al diritto di famiglia:
inizialmente, infatti, la separazione si poteva richiedere solo se uno dei due coniugi avesse
commesso una colpa; dal 1975 venne e ettuata quest’operazione di novellamento.
Il codice civile è diviso in 6 libri, che sono a loro volta divisi in sezioni.
LIBRO 1: “Delle persone e della famiglia”, da ART 1 a ART 455 (ART 1: “Le capacità giuridiche
si acquisiscono al momento della nascita”)
LIBRO 2: “Le successioni”, da ART 456 a ART 809; tratta i vari tipi di successione (testamento,
che riserva protezione a determinati soggetti. Successione = sostituire —> si sostituisce il titolare
di un diritto. In questo libro è presente un contratto: la donazione: essa non è infatti un contratto
unilaterale, in quanto c’è bisogno di colui che dona e di colui che acconsente al dono. Questo
contratto è posto nelle successioni in quanto è posto in essere da persone di età avanzata.
LIBRO 3: “Degli eredi e delle proprietà”, da ART 810 a ART 1172. L’ART 832:” Il proprietario ha il
diritto di godere e disporre della cosa in modo pieno ed esclusivo, in osservanza del rispetto dei
limiti e degli obblighi stabiliti dall’ordinamento giuridico”
LIBRO 4: “Obbligazioni e contratti”, da ART 1173 a ART 2059: sono approfondite le nozioni di
debitore/creditore, locazione, appalto, gioco, scommesse, …
LIBRO 5: “del lavoro” da ART 2060 a ART 2643
LIBRO 6: “della tutela dei diritti” da ART 2643 a 2969, libro di materia molto eterogenea. È
trattata la trascrizione, l’ipoteca, testimonianze, confessioni, giuramento, …
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Le norme giuridiche hanno un grado di generalità più alto rispetto al codice civile, che è più che
altro una clausola generale: esse danno una maggiore apertura verso il concreto e potrebbero per
questo motivo essere de nite i “polmoni del diritto”; il codice francese ha molte clausole generali,
che gli permettono di rimanere da due secoli un codice giusto e “vivente”.
Per l’entrata in vigore dei provvedimenti legislativi, si richiede: 1) promulgazione della legge da
parte del Presidente della Repubblica; 2) pubblicazione nella Gazzetta U ciale; 3) vacatio legis, il
periodo di tempo dalla pubblicazione all’entrata in vigore della legge (di regola di 15 giorni, salvo
che la legge stessa non ne stabilisca un termine diverso).
La disciplina costituzionale è integrata dal Testo Unico riguardo questo tema. Con la
pubblicazione, la legge si reputa conosciuta e diviene obbligatoria per tutti -> scienza legale (=
vale il principio “ignorantia iuris non excusat”/ “nemo censitur ignorare legem”); la Corte
Costituzionale ha però stabilito che l’ignoranza di una legge è scusabile quando l’errore di un
soggetto in ordine all’esistenza o al signi cato di una legge penale sia stato inevitabile.
• Una legge può essere abrogata mediante referendum, qualora siano almeno 500 000 elettori o
5 Consigli Regionali a richiederlo. L’abrogazione è approvata dalla maggioranza semplice dei
votanti, purché alla votazione partecipi la maggioranza degli aventi diritto.
L’abrogazione di una norma che aveva a sua volta abrogato una norma precedente non fa rivivere
quest’ultima: in tal caso, essa prende il nome di norma ripristinatoria.
La fattispecie, che è descritta in astratto nella norma, determina la conseguenza giuridica prevista
nel momento in cui i fatti di veri chino in concreto e di regola ciò si veri ca successivamente
all’entrata in vigore della norma stessa: NO e etto retroattivo, di regola.
Si dice retroattiva una norma i cui e etti vengono applicati a fattispecie concrete veri catesi
anteriormente all’entrata in vigore della norma stessa.
L’irretroattività della legge è un principio di civiltà giuridica: la condotta dei consociati non può
pertanto essere valutata in base a regole introdotte ex post facto. Tuttavia, nel nostro
ordinamento solamente la norma incriminatrice penale non può essere in alcun caso retroattiva.
In alcuni casi, il legislatore cura il passaggio tra la legge vecchia e quella nuova, servendosi delle
disposizioni transitorie (es. nel 1975 con l’introduzione della comunione dei beni, venne posto
un lasso di tempo entro cui i coniugi potessero impedire il regime di comunione, tramite una
dichiarazione unilaterale).
Talvolta, però, manca una disciplina intertemporale: si parla dunque di questioni designate con il
termine di “diritto transitorio”. A questo proposito, sono state sostenute due teorie:
1) Teoria del diritto quesito: la legge nuova non può colpire i diritti quesiti (= i diritti facenti parte
del patrimonio di un soggetto, es. una legge dice che non esiste la proprietà per un bene di
cui sono già proprietario: il bene non si tocca, perché è già nel mio patrimonio —> MA: non è
sempre agevole la distinzione tra diritto quesito e aspettativa del diritto (l’insorgenza non è
ancora interamente compiuta)
2) Teoria del fatto compiuto: la legge nuova non estende la sua e cacia a fatti de nitivamente
perfezionati sotto il vigore della legge precedente, ancorché siano ancora pendenti gli e etti
dei fatti stessi (= il legislatore che emana una nuova legge non ha potere su una fattispecie
che si è già realizzata); la legge, se non ne è disposta la retroattività, non si applica 1) alle
fattispecie realizzatesi anteriormente alla sua entrata in vigore; 2) ai rapporti “esauriti” al tempo
della sua entrata in vigore —> MA: i suoi criteri sono meramente indicativi, in quanto lascia
aperti in problemi di soluzione dei rapporti pendenti (= una fattispecie veri catasi nell’imperio
della legge previgente non abbia esaurito tutti i propri e etti giuridici); es. matrimonio svolto
prima del 1975 cui non si applica la comunione dei beni, in quanto è un fatto già interamente
compiuto.
3) Occorre dunque sempre risalire alla volontà del legislatore: intendeva attribuire e cacia
immediata al regolamento disposto ed estenderlo ai fatti compiuti sotto l’imperio della norma
preesistente, oppure limitarne l’applicazione alle sole vicende veri catesi sotto il nuovo
imperio?
Si parla di ultrattività quando una disposizione di legge, derogando al principio tempus regia
actum = l’atto è regolato dalla legge vigente nel momento in cui è posto in essere, stabilisce atti o
rapporti compiuti nel vigore di una nuova normativa, mentre però continuano ad essere regolati
dalla legge anteriore. -> clausole di ultrattività nell’ambito della clausola claims made
Vale il principio “iura novit curia”, che indica che il giudice è tenuto a conoscere il diritto
(sebbene il giudice italiano conosca solo quello italiano): il giudice italiano che si trova in un
con itto di leggi, è tenuto a nominare un professore italiano o straniero che valuti il diritto del
paese straniero. La norma straniera che il giudice italiano sia tenuto ad applicare in virtù del
criterio di collegamento non dev’essere mai in contrasto con la clausola generale. Inoltre, bisogna
speci care che una sentenza straniera dev’essere riconosciuta nel nostro Stato (es. il
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pignoramento non è stato riconosciuto in Italia). Negli Stati Uniti ci sono molti con ict of laws (=
diritto internazionale privato), visto il grande numero di stati che compongono la federazione.
Per applicazione della legge si intende la concreta attuazione di quanto è stabilito dalla regola
stessa. In particolare, il diritto privato regola l’agire degli individui nei rapporti tra loro: qualora la
tutela del diritto individuale di fronte a una sua lesione preveda l’intervento dell’Autorità
giurisdizionale, sarà il giudice ad applicare la legge attraverso la pronuncia dei provvedimenti
(sentenza, ordinanza, decreto).
L’interpretazione è l’attività tipica del giurista, confrontandosi con il testo normativo per
comprenderne il valore precettivo (= la regola a ermata). Interpretare (obscura explanare
interpretando, Cicerone) signi ca attribuire un senso al testo, tra le plurime letture possibili.
L’attività di interpretazione non può esaurirsi nel mero esame dei dati testuali, perché:
1) Il legislatore prescrive che è necessario attribuire alle parole il loro signi cato proprio
(quando però quasi nessun vocabolo ha un signi cato univoco), che va ricavato da elementi
extra-testuali, tenendo conto altresì delle intenzioni del legislatore
2) Gli enunciati normativi si riferiscono a fattispecie ipotetiche: l’interprete dovrà dunque
decidere se considerare i casi concreti parte della disciplina dettata dalla singola norma
(attraverso “l’estensione” o “l’integrazione”).
3) Le formulazioni legge possono apparire in con itto tra loro: vengono dunque applicati criteri
di a) gerarchia tra le fonti; b) cronologici: norme posteriori prevalgono su quelle anteriori; c)
specialità: lex specialis derogat lex generali, …
4) Dinanzi ad una fattispecie concreta, di cilmente è applicabile un’unica norma, ma occorre
utilizzare una combinazione di disposizioni —> interpretazione sistematica (= sulla base
dell’intero sistema dell’ordinamento)
In quest’ottica, assume una grande importanza l’attività ermeneutica, che dev’essere ancorata
ai principi della Costituzione: infatti, tra i più signi cati, va scelto quello più attinente alla
Costituzione. Pertanto, una norma può essere dichiarata incostituzionale qualora non sia possibile
darvi un’interpretazione conforme alla Costituzione. Per questo motivo, si parla di interpretazione
costituzionalmente orientata. I suoi principi infatti, non solo vincolano il legislatore, ma “entrano
direttamente nel contratto” e nei rapporti tra privati.
L’indagine dell’interprete non può però limitarsi alla lettera della legge, soprattutto facendo
riferimento a clausole generali (es. buona fede, buon costume, equità, …): espressioni che
obbligano una valutazione riferibili speci catamente al singolo caso.
Per una buona interpretazione, è necessario “valutare l’intenzione del legislatore” (ART 12
preleggi), non in riferimento all’intenzione soggettiva di un inesistente legislatore (che infatti è
costituito da un insieme di organi che scelgono mediante compromessi), bensì alla funzione che
la norma persegue come strumento di disciplina, ovvero la ratio legis (= criterio di interpretazione
teleologica, ovvero indagare la nalità obiettiva): il giudice (la bouche de la loi, che svolge una
funzione non legislativa, bensì dichiarativa, diversamente dalla Common Law), deve agire
mediante un processo di sussunzione, riconducendo la fattispecie concreta a quella generale ed
astratta.
A questo scopo, possono essere utilizzati anche elementi tratti dall’attività di elaborazione delle
leggi (= i lavori preparatori), che o rono però solamente indicazioni di massima. L’individuazione
della ratio (= lo scopo della legge) aiuta a discernere tra i plurimi signi cati attribuibili ad un testo.
Vi sono numerosi altri criteri cui l’interprete si rivolge al ne di comprendere la ratio:
1) Criterio logico: attraverso a) l’argumentum a contrario: escludere dalla norma quanto non vi
appare espressamente compreso; b) l’argumentum a simili: estendere la norma per
comprendervi anche fenomeni simili; c) l’argumentum a fortiori: estendere la norma per
includervi fenomeni che a maggior ragione meritano lo stesso trattamento, d) l’argumentum ad
absurdum: escludere l’interpretazione che dia luogo ad una norma assurda
2) Criterio storico: presupponendo che nessuna disposizione sia stata introdotta
improvvisamente nell’ordinamento, talvolta è utile analizzare le motivazioni, le modi che,
l’interpretazione data a una disposizione in passato.
3) Criterio sistematico: per determinare la portata di una disposizione, è utile collocarla nel
quadro complessivo dell’ordinamento.
4) Criterio sociologico: la conoscenza degli aspetti economico-sociologici dei rapporti regolati
può aiutare a pervenire a un’interpretazione congruente con la realtà disciplinata.
5) Criterio equitativo: mira ad evitare interpretazioni che contrastino il senso di giustizia di una
società
Il legislatore non può disciplinare l’intero ambito dell’esperienza umana ed è pertanto inevitabile
che si presentino delle fattispecie concrete non regolate da nessuna norma (= lacune).
Non essendo possibile risolvere tale problema con una tecnica eccessivamente analitica (che
nirebbe per aumentare il rischio di lacune) ed essendo di cile prevedere talvolta situazioni nuove
a causa dell’evoluzione scienti ca e tecnologica, il giudice si trova spesso ad a rontare fattispecie
concrete che nessuna norma positiva preveda e disciplini.
Non è possibile ri utarsi di decidere (si renderebbe responsabile di denegata giustizia). L’ART 12
delle Preleggi a erma che 1) nei casi non direttamente contemplati da una norma o 2) in cui essa
non possa essere nemmeno interpretata estensivamente, è possibile far ricorso all’analogia: si
deve pertanto procedere applicando per analogia le disposizioni che regolino simili o materie
analoghe. Questo procedimento consiste dunque nell’applicazione di una norma non scritta
desunta da una scritta, dettata da un caso diverso seppur simile; due entità possono dirsi simili,
qualora abbiano in comune 1) oggetto della norma scritta, 2) oggetto della lite. Quell’elemento di
contatto deve consistere proprio della fondamentale giusti cazione della disciplina del caso,
facendoci concludere che anche il caso non regolato da norma scritta debba essere assoggettato
al regime della norma scritta. L’analogia si fonda dunque sulla ratio (= riconoscimento di una
nalità che ne giusti ca l’operare).
L’ART 12 giusti ca sia 1) l’analogia legis: si considera una norma analoga = simile, es. il
franchising che arrivò in Italia dagli Usa negli anni ’70 veniva considerato un contratto “atipico”, in
quanto non esisteva nel codice Civile, ed era regolato tramite il contratto di locazione che gli era
simile, ma anche 2) l’analogia iuris: se infatti il caso rimane ancora in dubbio, non riuscendo a
rinvenire nell’ordinamento una norma analogicamente ad esso applicabile, è possibile far ricorso
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ai principi generali dell’ordinamento giuridico: anche qui, il giudice non crea una norma, ma deve
rispettare il diritto, che in questo caso gli fornisce uno strumento
Il rapporto giuridico è una relazione tra due o più soggetti regolata dall’ordinamento giuridico (es.
rapporto debitore / creditore). I soggetti protagonisti del rapporto sono:
1) Soggetto attivo -> colui al quale l’ordinamento giuridico attribuisce un potere (o diritto
soggettivo)
2) Soggetto passivo -> colui a carico del quale sussiste un dovere
Riferendosi a questi due soggetti, si utilizza il termine “parti” (es. considerando l’ART 1218, la
parte attiva è il creditore, la parte passiva è il debitore). Per designare un soggetto estraneo al
rapporto giuridico, si usa il termine “terzo”. Il rapporto giuridico, salvo esplicite eccezioni, non
produce e etti né a favore né a danno del terzo; tuttavia, spesso la legge deve identi care il ruolo
di un terzo all’interno di un rapporto giuridico.
Il rapporto giuridico fa parte delle situazioni giuridiche. La norma giuridica collega delle
conseguenze a delle determinate fattispecie astratte; quando la fattispecie si realizza, si produce
un mutamento nel mondo dei fenomeni giuridici: allo stato di cose preesistente, infatti, si è
sostituita una situazione giuridica nuova. Questa può consistere in un rapporto o nella
quali cazione giuridica di persone o di cose.
Il diritto oggettivo si di erenzia dal diritto soggettivo, in quanto il primo consiste nell’attribuzione
di tutele e prerogative a capo dei singoli (es. ART 2043). Il diritto soggettivo, invece, consiste nella
protezione giuridica di un certo interesse del singolo al quale, al tempo stesso, si riconosce una
situazione di libertà: il titolare di un diritto, infatti, è libero di esercitare tale di diritto o meno. Il
diritto soggettivo è dunque il potere di agire (agere licere) per il soddisfacimento di un proprio
interesse individuale, protetto dall’ordinamento giuridico. È dunque libero di compiere o meno
un’azione.
La tutela è da quali care nell’ambito dell’interesse personale, come il contenuto di un diritto del
soggetto (esistono infatti molti interessi individuali che però sono giuridicamente irrilevanti, es. le
regole di cortesia).
In 200 anni, si sono succedute tre documenti normativi relativi alla proprietà (ART 832 cc), che
utilizzeremo per per comprendere il concetto di diritto soggettivo:
1) 1804, Code Napoleon (società liberale, che mette al centro l’individuo, riducendo al minimo le
ingerenze statali + residui del giusnaturalismo):”La proprietà è il diritto assoluto di godere e
disporre della cosa nel modo più libero”
2) 1942, Codice Civile Italiano:”Il proprietario ha diritto di godere e disporre della cosa in
modo assoluto in osservanza dei limiti disposti dall’ordinamento” -> a di erenza del
codice francese, qui non viene de nita la proprietà, ma solo il proprietario. Inoltre, mentre nel
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codice napoleonico il proprietario era essenzialmente libero, nel codice italiano con
l’evoluzione del giuspositivismo viene focalizzata maggiormente l’attenzione sull’interesse
tutelato dalla norma.
3) Dunque, è possibile comprendere che il diritto soggettivo contiene sia una componente di
libertà, bilanciata dall’interesse protetto dall’ordinamento: la de nizione di diritto soggettivo è
perciò “Il diritto soggettivo è la facoltà riconosciuta dall’ordinamento ad un determinato
soggetto di agire secondo il proprio interesse, che è protetto dall’ordinamento (es.
prescrizione, il titolare ha la facoltà di esercitare un diritto entro un determinato arco di tempo).
In alcuni casi, il potere di agire per l’ottenimento di un certo risultato pratico non è attribuito al
singolo per il suo proprio interesse, ma per realizzare un interesse altrui: queste gure di potere
prendono il nome di potestà oppure, nel caso di un tutore di una persona incapace, di u cio.
-> es. i poteri dei genitori verso i gli
Le facoltà (o diritti facoltativi) sono manifestazioni del diritto soggettivo e sono comprese in
esso. La facoltà si estingue esclusivamente con la prescrizione del diritto (in facultativis non datur
praescriptio non è valida). Un esempio è che il proprietario ha diritto di godere della cosa in modo
pieno assoluto (ha la facoltà di farlo), ma non è detto che ne goda per forza.
L’acquisto di un diritto talvolta può avvenire dal concorso di più elementi successivi: se alcuni, ma
non tutti, si sono veri cati si ha l’aspettativa. Questo termine si riferisce al punto di vista del
soggetto (coincidente con la situazione psicologica che sta vivendo): mess è il mezzo con cui
viene assicurato il sorgere di un determinato diritto; dal punto di vista oggettivo della fattispecie
viene denominata fattispecie a formazione progressiva, indicando il risultato che si realizza per
gradi (prima l’aspettativa e poi il diritto).
A volte, alcuni diritti e doveri si ricollegano allo status di una persona: per status, si intende la
qualità giuridica che si ricollega alla posizione di un individuo nella collettività. Lo status può
essere 1) di diritto pubblico (es. stato di cittadino); 2) di diritto privato (es. stato di glio / coniuge).
L’esercizio di un diritto soggettivo da parte di colui che ne è titolare consiste nell’esplicazione dei
poteri di cui il diritto soggettivo consta.
L’esercizio del diritto soggettivo, però, non va confuso con la realizzazione del diritto soggettivo:
quest’ultima è la soddisfazione materiale dell’interesse protetto. Talvolta, i due fenomeni possono
coincidere.
La realizzazione dell’interesse può essere: 1) spontanea; 2) coattiva: quest’ultima si veri ca
quando occorre far ricorso ai mezzi disposti dall’ordinamento per la tutela del diritto soggettivo.
Colui che esercita un diritto soggettivo, non è tenuto a compensare gli eventuali pregiudizi che
l’applicazione dello stesso possa aver causato (qui iure suo utitur neminem laedit) = se
realizzando un diritto soggettivo faccio un danno a qualcuno, non sono punito dalla legge)
Alcune disposizioni legislative, d’altro canto, vietano l’abuso del diritto soggettivo, ossia
l’esercizio anomalo delle prerogative concesse dalla legge: queste non sono infatti applicate per
perseguire l’interesse che propriamente è oggetto del diritto soggettivo, bensì per realizzare
nalità eccedenti l’ambito dell’interesse che la legge ha inteso tutelare.
Il titolare di un diritto soggettivo, infatti, è libero per la protezione di un interesse e questa libertà
prende il nome di azione (= strumento processuale attraverso cui prende copro la libertà di
agire tipica del titolare di diritto soggettivo). La libertà di agire prende forma e sostanza di azione,
perché il diritto soggettivo è esercitabile mediante le azioni di procedura civile, ossia mediante un
processo.
L’esercizio dell’azione dev’essere sempre conforme, e mai lontano, dalla buona fede: essa può
essere de nita in due modi nel covid civile: 1) in senso oggettivo: per spiegare ciò, si può far
riferimento all’ART 1175 cc:”Il debitore e il creditore devono comportarsi correttamente”-> regola
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improntata sulla lealtà delle parti; 2) in senso soggettivo: il soggetto ignorava di ledere l’altrui
diritto.
La buona fede è di cile da individuare, in quanto l’atto di basa sulla libertà, che può diventare
abuso (es. in materia di proprietà: ART 833 cc:”Il proprietario (titolare del diritto soggettivo
assoluto) non può compiere atti emulativi privi di qualsiasi ragione oggettiva, il cui unico scopo sia
creare danno”: poche sono state le sue applicazioni in 79 anni, ma quest’articolo contiene una
nozione di diritto soggettivo; anche l’ART 1206 cc:”Il creditore senza motivo legittimo non può
ri utare la prestazione o compiere le attività necessarie per il ricevimento della prestazione”
mostra un abuso del diritto soggettivo -> sarebbe necessaria la cooperazione del creditore.
Da tempo si discute se questo principio vada applicato generalmente o solo negli ambiti
espressamente previsti: il legislatore è intervenuto nei casi espressamente previsti, mentre là dove
nulla ha disposto potrebbe essere pericoloso ai ni della certezza a dare alla discrezione del
giudice l’individuazione caso per caso di variabili con ni di liceità del diritto.
• Ciò ha dunque indotto la dottrina a ritenere: inoperante lo strumento di abuso del diritto in
ipotesi diverse da quelle espressamente menzionate dalla legge
• Altri, invece, ne ammetto un più largo impiego, fondandosi sui principi di solidarietà, correttezza
e buona fede.
Un argine all’esercizio abusivo del diritto è ravvisato nell’exceptio doli generalis (seu
praesentis), il cui scopo è precludere l’esercizio fraudolento o sleale dei diritti: ciò accade se la
pretesa, pur corrispondente al contenuto di un diritto, appaia proposta in modo contrario a
correttezza o in contrasto con pregresse condotte del titolare, o comunque in mala fede.
Altre norme, prevedono poi la repressione di alcune ipotesi di abuso che possano generale una
sorta di vantaggio del soggetto (es. dipendenza economica: subfornitura, abuso di posizione
dominante: legge antitrust).
La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea (Carta di Nizza) ha enunciato un divieto di
abuso del diritto nei casi in cui questo miri a distruggere diritti o libertà riconosciuti nella Carta
stessa o imporre a tali diritti e libertà limitazioni più ampie rispetto a quelli della Carta.
Vari sono i tipi di diritto soggettivo (= libertà di agire per la protezione di un determinato interesse
riconosciuto dall’ordinamento): alcuni sono rivolti erga omnes, altri verso una persona
determinata, alcuni possono essere esercitati senza il bisogno della cooperazione di altri individui,
mentre altri la possono richiedere. Ciò rende dunque necessaria la distinzione tra:
• Diritti soggettivi assoluti: garantiscono al titolare un potere che può far valere erga omnes: in
realtà, con omnes si intende tutti quei soggetti che potrebbero potenzialmente ostacolare il
godimento esclusivo della res. Questi sono diritti reali (iura in re) e cioè diritti su una cosa (res).
Gli altri consociati devono dunque astenersi dall’impedire il paci co svolgimento della signoria
(= proprietà, che può essere piena o limitata, se la cosa è altrui). Anche i diritti della
personalità vengono disciplinati tramite il diritto soggettivo assoluto, in quanto vengono fatti
valore erga omnes; —> diritti di proprietà + diritti di personalità; dal punto di vista del soggetto
passivo, vi è un dovere negativo —> ART 2043 cc;
• Diritti soggettivi relativi: assicurano al titolare un potere rivolto ad una speci ca persona, in
particolare, il soggetto passivo; essi si applicano nei rapporti di credito, in cui un soggetto
passivo ossia il debitore è tenuto a svolgere una determinata prestazione al creditore. In questo
caso, è necessaria la cooperazione del debitore a nché si realizzi l’interesse del creditore. I
diritti soggettivi relativi sono dunque dei diritti che attribuiscono al titolare una pretesa rivolta a
soggetti individuati —> diritti di credito (o personali), dal punto di vista del soggetto passivo, vi è
un obbligo: una o più persone determinate sono obbligate ad eseguire una determinata
prestazione. —> ART 1218 cc
-> DA SAPERE: mi dica l’evoluzione del danno ingiusto, da rivedere storia Torino calcio: diritto
soggettivo assoluto è il 2043, tutti devono astenersi da attività che ledano il diritto di proprietà o
diritto della persona/diritto soggettivo relativo, obbligo solo per il debitore, art 1218. Ma art 2043
dopo il caso Meroni si applica anche nel diritto soggettivo relativo. Ciò riguarda anche casi di ogni
giorno, ad esempio nei rapporti di lavoro: se il lavoro sta male e non va al lavoro, percepisce
comunque il lavoro (lavoratore subordinato a casa per malattia percepisce comunque lo stipendio
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e il datore di lavoro non riceve le prestazioni, anche se magari la posizione occupata dal
lavoratore è nevralgica e non sostituibile all’interno dell’azienda -> posso applicare anche qui il
2043 e il datore di lavoro fa causa a terzo, se il lavoratore sta male per un altro tipo un incidente.
I diritti soggettivi si articolano dunque nei diritti potestativi, che consistono nel potere di un
soggetto di modi care la situazione giuridica di un altro soggetto, nel momento in cui questo si
trovi in stato di soggezione. In particolare, l’opposizione ad un atto da parte della parte passiva
non ha valore, poiché si trova in stato di soggezione (es. la moglie chiede lo scioglimento del
matrimonio, anche se il marito non è d’accordo, non può opporsi).
Vi sono poi i diritti personali di godimento, che consistono nel far godere un altro soggetto di un
proprio bene (es. locazione). Questi hanno una duplice natura: 1) diritto relativo verso chi ha
concesso il godimento che è obbligato a consentire l’esercizio, 2) diritto assoluto erga omnes, che
hanno il dovere di astenersi dal turbare il godimento del bene.
Colui che lede il diritto soggettivo va incontro a delle sanzioni: in particolare, colui che lede la
proprietà (diritto soggettivo assoluto), va incontro all’articolo 2043 cc; d’altro canto, colui che lede
un diritto di credito (diritto soggettivo relativo), va incontro all’articolo 1218 cc. Il 2043 cc, dal 1971
può essere applicato anche nelle lesioni del diritto soggettivo relativo, in quanto “ingiusto” si
riferisce ad entrambe le tipologie di diritto soggettivo.
INTERESSI LEGITTIMI
Per interesse, si indica qualsiasi vantaggio o utilità che costituisce l’obiettivo o il movente
dell’agire. L’interesse può essere pubblico o privato.
L’interesse privato può essere 1) semplice, o di fatto, quando non fruisce alcuna protezione
giuridica -> non ho alcun diritto per pretenderlo (es. trasporto pubblici puntuali; 2) diritto
soggettivo: il mio personale interesse riceve piena tutela giuridica e posso sollecitarne la tutela
attraverso gli strumenti di coercizione messi a disposizione dall’ordinamento.
Si parla di interesse legittimo, nell’ottica dei rapporti tra privato e pubblici poteri. Tale situazione,
comporta il potere del singolo a sollecitare un controllo giudiziario della condotta della pubblica
amministrazione.
Il rapporto tra cittadino e Pubblica Amministrazione, si con gura connotato di una reciprocità di
diritti soggettivi e obblighi. Si parla in questo caso di norme di relazione, che regolano il rapporto
tra il privato e la Pubblica Amministrazione.
Vi sono poi le norme di azione, che disciplinano il funzionamenti (l’azione) della Pubblica
Amministrazione. Da queste non derivano diritti soggettivi pieni in capo ai privati interessati alla
loro osservanza, ma il loro unico scopo è disciplinare l’attività pubblica.
In alcuni casi, però, l’esercizio dei pubblici poteri incide nella sfera di determinati soggetti, come
portatori di interessi individuali coinvolti nell’azione pubblica. In questi casi, al privato viene
riconosciuto uno speci co potere di controllo della regolarità dell’azione pubblica ed un
potere di impugnativa nel caso in cui gli atti siamo eventualmente viziati: lo Stato deve infatti
agire secondo i principi di legalità, buona amministrazione ed imparzialità.
L’esercizio dei poteri pubblici nel Stato moderno non è infatti abbandonato all’autorità del stesso,
bensì regolato da norme giuridiche e per questo motivo è possibile parlare di Stato di diritto.
La situazione giuridica dei portatori di tali interessi si chiama interesse legittimo, che si traduce
non nella tutela dell’interesse del singolo, ma in una tutela mediata o strumentale, garante del
controllo del corretto esercizio delle pubbliche funzioni (es. un concorso pubblico: il candidato
non ha diritto di vincerlo, ma ha interesse legittimo che questo si compia regolarmente).
SITUAZIONI DI FATTO
L’acquisto di un diritto indica il fenomeno del collegarsi del diritto ad una persona che ne diventa
il titolare. L’acquisto può essere di due specie:
1) A titolo originario = quando il diritto sorge a favore di una persona, senza che le sia
trasmesso da nessuno. Ciò accade nell’appropriamento ad esempio della 1) res nullius, come
il pesce nello stagno, o delle 2) cose abbandonate o res derelictae;
2) A titolo derivativo = quando il diritto viene trasmesso da una persona ad un’altra. Il titolo
d’acquisto (o causa adquirendi) è il fatto giuridico che ne giusti ca l’acquisto. Nell’acquisto
di un titolo derivativo si veri ca il passaggio di un diritto (assoluto o relativo) dal patrimonio
giuridico di una persona a quello di un’altra: ciò viene denominato successione. La
successione indica il mutamento del soggetto in un rapporto giuridico. Colui che perde il
diritto prende il nome di dante causa o autore, mentre colui che lo acquista si chiama avente
causa o successore. È chiaro che una successione non si veri ca in un acquisto a titolo
originario, mentre i fenomeni di acquisto e successione coincidono in quello derivativo. Può
veri carsi il mutamento del soggetto attivo del rapporto (successione nel lato attivo), ma
anche il mutamento del soggetto passivo del rapporto (successione nel lato passivo).
L’acquisto del titolo derivativo può essere di due specie:
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• A titolo derivativo-traslativo: si trasmette proprio lo stesso diritto che aveva il titolare
• A titolo derivativo-costitutivo: può attribuire al nuovo titolare un diritto di erente rispetto a
quello del precedente -> es. usufrutto
In entrambe, il soggetto che acquista il titolo, consegue lo stesso diritto che aveva il
precedente titolare o un diritto da esso derivante. Ciò giusti ca che: 1) il nuovo titolare non
può vantare un diritto di portata più ampia; 2) l’acquisto del diritto del nuovo titolare dipende,
di regola, dall’e ettiva esistenza del diritto del precedente titolare.
Dalla prospettiva di colui che cede il diritto, l’acquisto a titolo derivativo è denominato
alienazione.
La successione può essere:
• A titolo universale: quando una persona subentra in tutti i rapporti di un’altra persona ->
successione a causa di morte / fusione tra società
• A titolo particolare: quando una persona subentra solo in un determinato diritto o rapporto
La vicenda nale di un rapporto è la sua estinzione: ciò accade quando il titolare perde un diritto
senza trasmetterlo ad altri (es. derelictio di una cosa mobile).
Non tutti i diritti soggettivi sono rimessi all’arbitrio del titolare: accanto a questa categoria di diritti
disponibili, vi è quella dei diritti non disponibili: per la loro natura o rilevanza sono sottratti alla
libera determinazione del titolare (es. diritto al nome). Si può decidere di non esercitare il diritto
non disponibile, ma non di rinunciarvi: l’atto di rinuncia sarebbe nullo.
Le situazioni giuridiche soggettive fanno a capo ai soggetti; l’idoneità ad essere soggetti giuridici
è de nita dalla capacità giuridica (= la capacità giuridica indica l’idoneità ad essere soggetti
giuridici, ossia titolari di situazioni giuridiche soggettive). La capacità giuridica nel nostro
ordinamento compete 1) a persone siche, 2) agli enti, che si dividono in a) dotati di personalità
giuridiche = dotati di autonomia patrimoniale perfetta, b) enti non dotati di personalità giuridica =
non dotati di autonomia patrimoniale perfetta, 3) a strutture organizzate.
Le persone siche o giuridiche sono soggetti, ma non esauriscono quest’ultima categoria, che
comprende anche gli enti non dotati di personalità giuridica.
La soggettività giuridica è un centro di imputazione unitario di situazioni soggettive attive o
passive (il condominio è un soggetto di diritto: per a ermare ciò, si è andati alla Corte di
Cassazione: per molto tempo, la risposta è stata negativa, in quanto si ritenevano soggetti di
diritto solo gli enti personi cati).
Sebbene sia ricorrente l’espressione “diritti degli animali”, il diritto civile continua a considerarli
come mere cose mobili e pertanto non possono essere titolari di diritti: sei dunque possono
costituire l’oggetto dei diritti reali, ma non sono soggetti di diritto dotati dunque di capacità
giuridica.
LA PERSONA FISICA
Capacità giuridica
L’ART 1 cc a erma che:”La capacità giuridica si acquista dal momento della nascita”.
L’acquisizione di questi diritti è accompagnata dall’acquisizione dei diritti di personalità. Eventuale
è l’acquisizione dei diritti patrimoniale alla nascita (es. successione mortis causa).
L’ART 22 Cost a erma che nessuno può essere privato, per motivi politici, della capacità
giuridica. Essa dunque compete indi erentemente a tutti gli uomini. Si tratta di una conquista
relativamente recente, in quanto prima della Rivoluzione francese si delineava per ciascuno uno
status giuridico di erente (uomo/donna/cattolico/ebreo/…)
Con la caduta dell’ancien regime, si a ermò l’uguaglianza formale di tutti gli uomini, annunciata
nella Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino (1789):”Gli uomini nascono e rimangono
liberi e uguali nei diritti”. L’ART 3 della nostra Costituzione a erma che:”tutti i cittadini hanno
pari dignità sociali e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, …”-> la
capacità giuridica spetta a tutti.
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Peraltro, l’uguaglianza divenne anche sostanziale, come a erma l’ART 3 della nostra
Costituzione:”E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico-sociale che,
limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della
persona umana…”
Il legislatore ordinario si è dunque mosso nella direzione indicata dalla Carta Costituzionale (es. ha
varato il “Codice delle pari opportunità tra uomo e donna”, che vieta azioni discriminatorie nei
confronti delle donne, ma anche favorisce le azioni positive). In un’ottica analoga, si muove la
previsione delle quote rosa.
Capacità giuridica di diritto privato compete non solo al cittadino, ma anche allo straniero: l’ART
16 delle Preleggi dispone che ciò può avvenire nel rispetto del principio di reciprocità, che
a erma che lo straniero è ammesso a godere in Italia dei diritti civili nella misura in cui il cittadino
italiano ne gode nel paese di provenienza dello straniero.
Ciò, però, comporta anche pesanti limitazioni al cittadino non membro degli stati dell’Unione
Europea e dunque ora il generale riferimento al principio di reciprocità non compare più nel “Testo
Unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello
straniero”.
Vengono dunque riconosciuti i diritti fondamentali della persona umana riconosciuti dalle norme di
diritto interno, dalle convenzioni internazionali e dai principi di diritto internazionale. La
giurisprudenza a erma che l’interpretazione dell’ART 16 delle Preleggi sia da intendersi nei termini
di un’interpretazione costituzionalmente orientata, e dunque i diritti inviolabili della persona
umana sono riconosciuti dal nostro ordinamento in favore di chiunque.
La persona sica acquista la capacità giuridica con la nascita e la perde con la morte.
Si ha nascita con l’acquisizione della piena indipendenza dal corpo materno, che si realizza con
l’inizio della respirazione polmonare (nel dubbio se il feto sia nato o morto, o in caso di
sopravvenuta morte dopo la nascita si fa ricorso alla docimasia polmonare).
Non occorre vitalità (=idoneità sica alla sopravvivenza).
Entro 10 giorni dalla nascita, essa dev’essere dichiarato all’U ciale di Stato Civile per la
formazione dell’atto di nascita; se la nascita avviene in ospedale / in un centro di cura, la
dichiarazione può essere resa entro 3 giorni presso la relativa direzione sanitaria.
La nascita rende titolare di tutte le situazioni giuridiche soggettive connesse con i propri interessi.
Peraltro, per l’accesso ad alcuni rapporti non è su ciente la nascita, ma è richiesto il concorso di
altri presupposti (es. matrimonio età minima 16 anni), altrimenti il soggetto non può essere parte
di quel determinato rapporto. In questi casi, si ravvisa una limitazione della capacità giuridica, le
cosiddette incapacità speciali, in quanto 1) il rapporto non è accessibile al soggetto, neppure
con l’intervento di un rappresentante; 2) l’atto eventualmente compiuto in violazione del divieto è
nullo.
Le incapacità si distinguono in:
1) Assolute: se al soggetto è precluso quel dato tipo di rapporto o di atto (es. lavoro subordinato
precluso ai minori di 16 anni)
2) Relative: se al soggetto è precluso quel dato tipo di rapporto o atto, ma solo con determinato
persone o in determinate circostante (es. è preclusa al tutore che non sia ascendente,
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discendente, fratello o sorella, coniuge del defunto la capacità di succedere per testamento
alla persona sottoposta alla sua tutela)
All’ipotesi di incapacità fa sempre più spesso ricorso il legislatore penale in caso di pena
accessoria.
La Corte Costituzionale aveva evidenziato nel 1975 che la tutela del concepito avesse
fondamento costituzionale, in riferimento all’ART 2 Cost. “La Repubblica riconosce e garantisce i
diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali”, che riconosce e
garantisce i diritti inviolabili dell’uomo.
Il concepito è tutelato, oltre che dalla Costituzione, anche della legislazione extra-codicistica, nelle
“Norme in materia di procreazione medicalmente assistita” enuncia nel suo ART 1 il principio
secondo cui “vengono assicurati i diritti di tutti i soggetti coinvolti, compreso il concepito”.
Peraltro, già lo stesso codice civile attribuisce al concepito:
1) La capacità di succedere per causa di morte, sia per legge che per testamento
2) La capacità di ricevere per donazione
3) La risarcibilità del danno conseguente a condotte poste in essere, quando il concepito non
era ancora nato: 1) risarcibilità del danno di salute ed integrità sica eventualmente cagionato
al nascituro (es. ostetrica) 2) Risarcibilità del danno so erto a seguito dell’uccisione del padre
da parte di un terzo
La Corte di Cassazione ha anche a ermato che la presenza di nascituri concepiti ostano alla
cessazione del fondo patrimoniale.
Ovviamente, i diritti che sono riconosciuti al concepito sono subordinati all’evento della nascita
e vengono fatti valere solo e quando avvenga la nascita.
Si discute se il concepito sia dotato di una propria autorità giuridica: 1) o parziale e condizionata
(capacità prenatale) o 2) una sua autonoma soggettività giuridica, oppure 3) se il nascituro sia solo
oggetto di tutela.
La capacità giuridica di succedere per testamento e di ricevere per donazione è riconosciuta
anche a chi non sia ancora stato concepito, ma sia glio di una determinata persona sica vivente
al momento dell’apertura della successione del testatore. (???)
Capacità di agire
La capacità di agire si distingue dalla capacità giuridica (=idoneità ad essere titolare di diritti,
doveri, …), in quanto designa l’idoneità del soggetto a curare autonomamente i propri
interessi.
La legge richiede, poiché non sempre il singolo è in grado di gestire in prima persona le situazioni
giuridiche che alla stessa fanno capo, che il soggetto abbia le capacità d’agire, a nché sia
idoneo a compiere personalmente ed autonomamente atti di amministrazione dei propri interessi.
La capacità giuridica, detta anche capacità negoziale, è dunque l’idoneità a porre in essere in
proprio atti negoziali destinati a produrre e etti nella sua sfera giuridica.
L’acquisto della capacità giuridica è ssato al compimento del 18esimo anno, con cui si
raggiunge la maggiore età. Può peraltro accadere che nonostante una persona abbia raggiunto la
maggiore età non abbia le capacità di agire: di qui, la legge dispone degli strumenti di protezione
tutela di detti soggetti.
Si distinguono dalla capacità negoziale: 1) capacità extra-contrattuale = idoneità del soggetto di
porre in essere a rispondere delle conseguenze dannose degli atti da lui posti in essere; 2)
capacità di porre in essere (o ricevere) atti giuridici in senso stretto (es. il danneggiato può
chiedere risarcimento al danneggiante).
A protezione delle persone prive, in tutto o in parte, di autonomia, il codice civile prevede le
seguenti istituzioni:
1) Della minore età
2) Dell’interdizione giudiziale
3) Dell’inabilitazione
4) Dell’emancipazione
5) Dell’amministrazione di sostegno
6) Dell’incapacità di intendere o volere
A una logica non di protezione, ma sanzionatoria, risponde invece l’istituto di interdizione legale.
MINORE ETA
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ART 2 comma 2 cc:”Con la maggiore età, il soggetto acquista la capacità di compiere tutti gli atti
per cui non sia richiesta un’età diversa”:
• Es 1, il minore ultrasedicenne può: 1) stipulare il proprio contratto di lavoro; 2) ammesso al
matrimonio, può prestare il proprio consenso alle nozze; 3) può riconoscere il glio naturale; 4)
l’autore di un’opera di ingegno può compiere gli atti giuridici relativi alle opere da lui stesso
create; 5) può richiedere personalmente la somministrazione dei mezzi necessari per conseguire
le nalità liberamente scelte ai ni della procreazione responsabile; 6) colui che fa uso di
sostanze stupefacenti può richiedere di essere sottoposto ad accertamenti diagnostici o di
eseguire un programma terapeutico.
• Es 2, il minore ultraquattordicenne può acconsentire al trattamento dei dati personali nella
società dell’informazione).
Di regola, il minore non può stipulare atti negoziali, ma neppure decidere il loro compimento.
Gli atti eventualmente posti in essere dal minore sono annullabili (ART 1425), salvo che il minore
non abbia ingannato terzi, occultando la propria minore età (ART 1426); l’annullamento ha luogo
nel caso in cui il minore abbia subito un pregiudizio (= danno). L’atto posto in essere dal
minore può essere impugnato entro cinque anni dal raggiungimento della maggiore età.
L’impugnativa può essere proposta dal rappresentante legale del minore o dal minore stesso (una
volta divenuto maggiorenne, entro 5 anni) e non può essere proposta dalla controparte (ART
1441). Tale negozio prende nome di negozio claudicante (poiché una delle due parti non è nelle
condizioni idonee) e la legge tutela il minore contro i rischi di un atto improvvidamente assunto.
Se l’atto è annullato, il minore ha diritto 1) alla restituzione di quanto prestato in esecuzione di
esso; 2) a restituire la prestazione ricevuta, qualora sia stata rivolta a suo vantaggio.
L’ART 1425 a erma che “il contratto è annullabile se una delle due parti è legalmente incapace di
contrattare”. In realtà, nella quotidianità i minori stipulano molto spesso dei contratti, (es.
Comprando un libro), poiché si tratta di atti necessari a soddisfare le esigenze di vita quotidiana:
diversamente, infatti, l’istituto della minore età nirebbe con il trasformarsi da istituto di protezione
a istituto di emarginazione dal contesto sociale.
La “Convenzione dei diritti del fanciullo” (1989), la “Convenzione Europea sull’esercizio dei diritti
dei fanciulli” (1996), la “Convenzione sugli aspetti civili della sottrazione internazionale dei minori”
(1980) e 4) l’ART 24 della “Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea” hanno stabilito che il
minore debba essere ascoltato e, pertanto, abbia il diritto di ascolto.
Per taluni atti che lo riguardano, è talvolta chiesto il consenso del minore (es. adozione non può
essere svolta se il minore ultraquattordicenne non acconsenta / consenso del glio
ultraquattordicenne al suo riconoscimento).
INTERDIZIONE GIUDIZIALE
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L’interdizione è pronunciata con sentenza del tribunale, congiuntamente i seguenti presupposti,
enunciati dall’ART 414 cc:
1) Infermità di mente: si tratta di una malattia che non consente al soggetto di esprimere la
propria volontà liberamente e consapevolmente maturata
2) Abitualità dell’infermità: l’infermità non dev’essere transitoria; tuttavia, non si richiede: 1) né
che la malattia sia irreversibile o incurabile; 2) né che privi continuativamente il soggetto della
capacità di intendere e volere (???)
3) Incapacità del soggetto: incapacità, a causa di detta infermità, di provvedere ai propri
interessi. Una medesima malattia può determinare l’interdizione giudiziale di colui che abbia
ingenti interessi, mentre non in uire sull’idoneità di colui che non abbia interessi che
richiedono signi cativi atti di gestione: per interessi, comunque, non si intendono solo quelli
economici, ma anche quelli extra-patrimoniali.
4) Necessità di assicurare a un soggetto un’adeguata protezione: si potrà procedere con
l’interdizione solo quando risultino non idonei e/o non su cienti gli altri strumenti di protezione
dell’incapace meno drastici e invasivi. Ciò è denominato carattere residuale della misura
dell’interdizione.
L’interdizione può essere pronunciata solo a carico del maggiore di età, essendo il minorenne
legalmente incapace. Peraltro, il soggetto può essere interdetto nell’ultimo anno della sua minore
età, per evitare situazioni di continuità della protezione, nonostante l’interdizione abbia e etto solo
nel momento in cui si raggiunga la maggiore età.
Il procedimento dell’interdizione può essere promosso dallo stesso interdicendo, dal coniuge, dal
partner, dallo stabile convivente, dai parenti entro il quarto grado, dagli a ni entro il secondo
grado (ART 1442). Avviene poi un esame diretto dell’interdicendo da parte di un giudice, talvolta
a ancato da un tecnico. Dopo l’esame, il giudice può nominare un tutore provvisorio
dell’interdicendo e, in caso di successiva interdizione, gli atti compiuti in prima persona
dall’interdicendo dopo la nomina del tutore provvisorio sono annullabili.
Gli e etti dell’interdizione decorrono dopo la pubblicazione della sentenza di primo grado:
questa viene annotata nel registro delle tutele dal cancelliere (ART 48 disp att cc) e, entro 10
giorni, viene comunicata all’u ciale dello stato civile per essere annotata a margine dell’atto di
nascita.
Le eredità devolute all’interdetto si possono accettare solo con il bene cio dell’inventario (=
tenere distinto il patrimonio dell’erede da quello del defunto, per dissuaderlo da una potenziale
damnosa hereditas).
Il contratto di a tto si scioglie per interdizione dell’a ttuario, così come il contratto di mandato
si scioglie con l’interdizione del mandante o del mandatario.
L’interdetto ha anche incapacità processuale, in quanto non può stare in giudizio, se non
rappresentato dal tutore.
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L’interdizione può essere revocata con sentenza del tribunale, che produce i suoi e etti solo
con il passaggio in giudicato, su istanza del coniuge, del partner, dei parenti entro il quarto grado,
degli a ni entro il secondo grado, dal tutore o dal pubblico ministero.
In sede di revoca di interdizione, il tribunale può trasmettere gli atti al giudice tutelare nche apra
le pratiche all’amministrazione di sostegno.
INTERDIZIONE LEGALE
La capacità di agire si perde, come previsto nel codice penale, come pena accessoria ad una
pena detentiva (reclusione/arresto) superiore ai 5 anni. Quest’istituto ha dunque funzione
sanzionatoria:
- per i rapporti patrimoniali, l’interdetto legale si trova nella medesima condizione dell’interdetto
giudiziale. Ciò signi ca che 1) non potrà compiere atti dispositivi del proprio patrimonio; 2) gli
atti che avesse a compiere sarebbero annullabili; 3) l’amministrazione del suo patrimonio e la
relativa rappresentanza competeranno ad un tutore; 4) … vi è però una di erenza: mentre gli
atti compiuti dall’interdetto giudiziale sono annullabili dall’interdetto stesso e/o dal suo tutore,
alla tutela dell’incapace stesso (annullabilità relativa), gli atti compiuti dall’interdetto legale
possono essere annullati da chiunque, alla tutela di un interesse generale (annullabilità
assoluta).
- Per gli atti a carattere personale, nessuna incapacità consegue all’interdetto legale.
Con 1) la minore età, 2) l’interdizione giudiziale e 3) l’interdizione legale si ha un’incapacità di agire
assoluta.
INABILITAZIONE
L’inabilitazione viene pronunciata con sentenza del tribunale, qualora ricorra alternativamente
uno dei seguenti presupposti (ART 415 cc):
1) Infermità di mente non talmente grave da far luogo all’interdizione (che incida dunque
negativamente sul soggetto, senza però fargli perdere la capacità di intendere e volere)
2) Prodigalità, intesa come impulso patologico, che lo induca ad esporre sé o la propria famiglia
a gravi pregiudizi economici: ovviamente, ciò ma non rileva ai ni dell’inabilitazione una
consapevole e matura scelta di vita che comporti il distacco dai beni materiali.
3) Abuso abituale di bevande alcoliche o di stupefacenti, che esponga sé o la propria famiglia
a pregiudizi economici.
4) Sordità o cecità, nel caso in cui non abbiano ricevuto nel corso degli anni l’educazione
necessaria per fargli amministrare il proprio patrimonio. Se invece la ha ricevuta, il singolo
potrà gestire personalmente i propri a ari.
Il procedimento di inabilitazione ricalca quello di interdizione (es. nomina del curatore provvisorio,
decorrenza degli e etti alla sentenza, …). Ugualmente, quello di revoca dell’inabilitazione ricalca
quello di interdizione.
L’assistenza del curatore è sempre necessaria perché l’inabilitato possa stare in giudizio. Tuttavia,
il giudice può permettere che taluni atti eccedenti l’ordinaria amministrazione possano essere
autonomamente compiuti dall’inabilitato, senza l’assistenza del curatore.
EMANCIPAZIONE
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Il minore ultra-sedicenne che è autorizzato dal tribunale (è infatti necessaria l’autorizzazione del
presidente del tribunale del luogo in cui abita lo sposo, che valuta l’idoneità delle nozze) a
contrarre matrimonio, ottiene automaticamente l’emancipazione (ART 84 cc). Oggi,
quest’istituzione ha un’applicazione pratica marginale e i tribunali adottato una linea sempre più
restrittiva per rilasciare l’autorizzazione.
L’annullamento del matrimonio (non per difetto di età, né per scioglimento del matrimonio) non
fa venire meno l’emancipazione.
AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO
L’amministrazione di sostegno si apre con un decreto del tribunale, nel caso in cui ricorrano
congiuntamente tali presupposti:
1) Infermità o menomazione sica o psichica (presupposto oggettivo)
2) Impossibilità per il soggetto di provvedere ai propri interessi (presupposto soggettivo)
Un’infermità psichica, che può determinare l’interdizione a colui che debba gestire vasti e
complessi interessi, può giusti care solo l’amministrazione di sostegno del soggetto cui facciano
capo interessi più semplici e circoscritti.
L’amministrazione di sostegno può essere, di regola, aperta solo per il maggiore di età: peraltro,
onde evitare situazioni di continuità di protezione, l’apertura dell’amministrazione di sostegno può
essere emessa nell’ultimo anno di minore età, diventando esecutivo quando questo diventi
maggiorenne.
Il giudice tutelare nomina come amministratore di sostegno una persona dal bene ciario
eventualmente designata: la scelta deve avvenire con esclusivo riguardo alla cura e agli interessi
del bene ciario.
INCAPACITA’ NATURALE
Nelle ipotesi n qui esaminate, gli atti posti in essere dall’incapace oltre i limiti a lui consentiti sono
sempre annullabili. Può peraltro accadere, che un soggetto idoneo a compiere un determinato
atto, in concreto si trovi in una situazione di incapacità di volere e/o intendere, nel momento
in cui lo pone in essere, per una causa:
1) Permanente: es soggetto a etto da sindrome di Down
2) Transitoria: es. uso dell’alcol, attacco di epilessia
Perché si abbia incapacità naturale (= incapacità di volere e/o intendere), è necessario che il
soggetto sia privo in modo assoluto, nel momento in cui compie il negozio, della capacità di
autodeterminarsi o della piena coscienza dei propri atti.
In questo caso, dunque, si veri ca uno scollamento tra situazione giuridica (di capacità legale)
e situazione di fatto (incapacità naturale).
Per questo motivo, il soggetto idoneo a compiere un determinato atto può impugnarlo, se provi
che nel momento in cui l’ha compiuto versava in uno stato di incapacità di volere e/o intendere.
La controparte, invece, non è legittimata a porre domanda di annullamento dell’atto stipulato con
l’incapace naturale.
Quanto alla sorte degli atti posti intessere dall’incapace naturale, occorre distinguere:
1) Matrimonio, unione civile, testamento e donazione -> impugnabili se si dimostra che il
soggetto era incapace di intendere e/o volere
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2) Atti unilaterali (es. rinuncia di un credito) -> annullabili se si dimostra che il soggetto che li ha
posti in essere fosse 1) incapace di intendere e/o volere; 2) se a detti atti è arrivato un grave
pregiudizio per l’incapace stesso
3) Contratti -> annullabili, 1) se si dimostra che il soggetto era incapace di intendere e/o volere;
2) l controparte contrattuale era in malafede. Non è richiesto, secondo la giurisprudenza
assolutamente prevalente, che il contratto rechi danno all’incapace.
L’annullamento degli atti posti i essere dall’incapace (atti unilaterali + contratti) può essere posto
in essere entro 5 anni dal loro compimento.
LEGITTIMAZIONE
Peraltro, non sempre il difetto di legittimazione produce invalidità o l’ine cacia dell’atto: è il
caso dell’apparenza (es. il pagamento e ettuato allo sportello postale è comunque valido,
sebbene lo sportello non sia legittimato a ricevere quel pagamento).
Il luogo in cui la persona sica vive e svolge la propria attività ha rilievo per l’ordinamento:
1) in ambito processuale: per la determinazione della competenza territoriale del giudice
2) In ambito sostanziale: i coniugi concordano tra loro l’indirizzo della vita familiare e ssano la
residenza della famiglia secondo le esigenze di entrambi i coniugi e quelle preminenti della
famiglia stessa (ART 144).
L’ART 43 cc, distingue pertanto tra:
1) Domicilio: il luogo in cui la persona ha stabilito la sede principale delle proprie attività. Esso si
distingue in: 1) legale -> se ssato volontariamente dalla legge (es. ART 45, “il minore ha
domicilio nel luogo di residenza della famiglia o del tutore”); 2) volontario -> eletto
dall’interessato al centro della propria vita di relazione. Per lo più, esso coincide con la
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residenza, perché spesso è lì che l’individuo intrattiene i propri rapporti economici, personali e
sociali. In molti casi, però, esso può essere distinto dalla residenza (es. l’avvocato che ha
studio sia a Milano che a Roma). Se il soggetto ha una pluralità di luoghi ove svolge la propria
vita personale e professionale, verrà stabilito come domicilio il luogo dove intrattiene l’attività
principale. Peraltro, non è neppure necessaria la presenza sica della persona presso il
proprio domicilio. Il domicilio generale è unico; peraltro, la legge consente di eleggere un
domicilio speciale per determinati a ari (es. per un determinato processo giudiziale, posso
stabilire il domicilio presso lo studio del mio avvocato). L’elezione del domicilio speciale
dev’essere fatta per iscritto e con dichiarazioni espressa.
2) Dimora: il luogo in cui la persona abitualmente abita
3) Residenza: il luogo in cui la persona ha volontaria ed abituale dimora: dipende
1) dall’elemento oggettivo della permanenza abituale del soggetto in un determinato luogo;
2) dall’elemento soggettivo dell’intenzioni di abitarvi stabilmente, rivelata dalle consuetudini di
vita. L’interessato deve dichiarare al comune in cui intende ssare la propria dimora abituale il
trasferimento della propria residenza. Le risultanze anagra che hanno valore di presunzione
semplice circa la rispondenza della situazione di fatto a quella risultante dall’iscrizione
anagra ca.
Lo status familiae è il rapporto che lega una persona alla famiglia e dà luogo ad una serie di diritti
e doveri.
La parentela (ART 74 cc) è il vincolo che unisce i soggetti che discendono dallo stesso stipite,
indipendentemente se siano nati all’interno dello stesso matrimonio o meno (prima del 2012, sotto
il Governo Monti, i gli erano di due tipi: 1) legittimi; 2) naturali, che avevano una relazione
esclusiva con il genitore/i che riconosceva/no il glio. Ora l’unico termine utilizzato è glio).
Ai ni della determinazione dell’intensità della parentela, occorre considerare linee e gradi:
1) Linea retta: unisce le persone cui l’una discende dall’altra
2) Linea collaterale: unisce le persone che, pure avendo uno stipite comune, non discendono
l’una dall’altra
3) Gradi: si contano calcolando le persone e togliendo lo stipite
Di regola, la legge riconosce gli e etti della parentela solo no al sesto grado (ART 77 cc)
L’a nità (ART 78 cc) è il vincolo che unisce il coniuge con i parenti dell’altro coniuge: per stabilire
il grado di a nità, si tiene conto del grado di parentela cui l’a ne è legato al coniuge. In ogni
caso, ad nes inter se non sunt ad nes = gli a ni di un coniuge non sono a ni dell’altro
coniuge (es. il marito della sorella di mia moglie è un suo a ne, ma non mio). Di regola, la morte di
uno dei due coniugi non estingue l’a nità, che cessa invece se il matrimonio è dichiarato nullo.
Tra i coniugi non c’è rapporto di parentela, né di a nità: il rapporto tra essi esistente è il coniugio.
Non è raro che di una persona si perdano le tracce; per la disciplina di tali rapporti, sono previsti
questi istituti:
Scomparsa (ART 48 cc): dichiarata con decreto del tribunale, avviene nel caso di: 1)
allontanamento della persona dal luogo del suo ultimo domicilio o residenza; 2) mancanza di
notizie oltre al lasso di tempo giusti cato a scopo lavorativo o ricreativo. Tale istituto ha nalità
essenzialmente conservative del patrimonio dello scomparso e pertanto il tribunale può dare
provvedimenti a ciò necessari (es. nominare un curatore)
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Assenza (ART 49 cc): dichiarata con sentenza del tribunale, avviene nel caso di:
1) allontanamento della persona dall’ultimo domicilio o residenza; 2) mancanza di sue notizie da
oltre due anni. Il tribunale, se richiesto, ordina l’apertura di eventuali testamenti dell’assente.
Coloro che sarebbero stati eredi testamentari o legittimi dell’assente, possono dunque richiedere
1) l’immissione temporanea nel possesso dei beni di lui, senza disporne se non per necessità o
utilità evidente riconosciuta dal tribunale. Chi è in possesso temporaneo di detti beni, ne ha
l’amministrazione e il godimento di eventuali frutti e rendite.
La dichiarazione di assenza stoglie matrimonio, unione civile, ma determina lo 2) scioglimento
della comunione legale.
Gli e etti della dichiarazione di assenza cessano nel momento in cui sia pronunciata sentenza in
merito al ritorno dell’assente oppure alla provata esistenza: ha così diritto alla restituzione dei
suoi beni, pur rimanendo fermi gli atti di gestione e di disposizione, se debitamente autorizzati.
Morte presunta (ART 58 cc): dichiarata con sentenza del tribunale, avviene nel caso di:
1) allontanamento della persona dall’ultimo domicilio o dalla residenza; 2) mancanza di sue notizie
da 10 anni, ma nei confronti di chi è scomparso per infortunio sono su cienti 2 anni.
Gli e etti di pronuncia di morte presunta sono quelli che la legge ricollega alla morte.
Dunque, coloro che sarebbero stati gli eredi legittimi o testamentari ottengono piena titolarità e
disponibilità dei suoi beni e diritti, secondo le regole della successione mortis causa, con la
particolarità che 1) è obbligatorio l’inventario dei beni; 2) la comunione legale si scioglie; 3) il
coniuge può passare a nuove nozze; 4) l’altra parte dell’unione civile può passare ad un’altra
unione civile o a nuove nozze. Questi e etti cessano retroattivamente in forza di sentenza che
accerta il ritorno o l’esistenza in vita della persona cui era dichiarata la morte presunta.
Questa recupererà i propri beni, fermi restando gli atti di gestione e disposizione n qui compiuti.
Il nuovo matrimonio contratto dal coniuge è nullo, (salvo gli e etti del matrimonio putativo), così
come l’unione civile dell’altro partner è nulla.
Le vicende più importanti inerenti alla persona sica sono documentate negli archivi dello stato
civile, conservati presso ogni comune. Questi riguardano:
1) cittadinanza;
2) nascita;
3) matrimoni;
4) unioni civili;
5) morte.
Negli archivi dello stato civile, si iscrivono le dichiarazioni che i privati rendono allo stato civile,
che si presume essere rispondente a verità, no a prova contraria.
Gli atti dello stato civile sono atti pubblici: danno dunque prova, no a querela di falso, di ciò che
l’u ciale civile attesta essere avvenuto in sua presenza o da lui compiuto. Da ciò deriva che
questi hanno principalmente funzione probatoria.
Negli archivi si trascrivono altresì provvedimenti di autorità amministrative e giudiziarie italiane e
straniere.
Gli atti dello stato civile sono pubblici, nel senso che chiunque può consultarli e chiederne estratti
e certi cati. I registri dello stato civile adempiono anche ad una funzione di pubblicità-notizia del
principali vicende della persona sica.
Inviolabili sono anche, oltre alle norme del diritto interno, anche norme di derivazione extra-
testuale:
1) Dichiarazione universale dei diritti umani - Assemblea generale delle Nazioni Unite, 1948
2) Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e le libertà fondamentali (CEDU)
- entrata in esecuzione in Italia con il Trattato di Lisbona, 2009
3) Patto fondamentale relativo ai diritti economici, sociali e culturali / Patto internazionale relativo
ai diritti civili e politici - entrati in esecuzione in Italia nel 1977
4) Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea - entrata in vigore con il Trattato di Lisbona,
2009
Tradizionalmente, si a erma che i diritti della persona siano connotati dei caratteri di:
1) Necessarietà: competono a tutte le persone siche (che li acquistano con la nascita e li
persona con la morte)
2) Imprescrittibilità: il non uso prolungato non ne determina l’estinzione: non sono dunque
assoggettati ad alcun limite temporale di prescrizione (es. ART 832, diritto di proprietà, è
imprescrittibile / ART 2043 è soggetto a prescrizione: il diritto ad ottenere il risarcimento del
danno si prescrive entro 5 anni dal compimento del fatto).
3) Assolutezza: implicano in campo a tutti i consociati un dovere di astensione dal ledere l’altrui
diritto / sono tutelabili erga omnes (chiunque li contesti o pregiudichi)
4) Non patrimonialità: tutelano valori della persona, non suscettibili di valutazione economica:
questi diritti sono strutturalmente non patrimoniali, ma sicuramente, però, questi beni hanno
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anche delle componenti patrimoniali (es. se viene leso il mio diritto alla salute e sono un libero
professionista non percepisco lo stipendio). Dunque essi sono non-patrimoniali, ma possono
avere delle conseguenze che ricadono nella sfera patrimoniale.
5) Indisponibilità: non sono rinunciabili -> si ammette però, sempre con maggior larghezza, di
consentirne l’uso ad altri (es. testimonial), ma devono ritenersi invalidi quegli atti che, alla
stregua della coscienza sociale, risultino incompatibili con i valori fondamentali della persona
(es. l’aspirante cantante che deve ngere una determinata personalità).
Si discute se esista un unico diritto di personalità, avente per oggetto la tutela della persona
(teoria monistica, tipica della tesi tedesca), oppure se ci siano molti diritti distinti volti a tutelare
singolarmente i vari interessi (teoria pluralistica).
Il diritto alla vita è de nito dalla Corte Costituzionale come il primo dei diritti inviolabili dell’uomo
(menzionato nell’ART 3 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani).
Tale diritto obbliga tutti i consociati all’astenersi dall’attentare la vita altrui.
Il diritto a nascere trova tutela piena ed immediata nei confronti dei soggetti diversi dalla madre:
è penalmente sanzionata la condotta che cagioni l’interruzione della gravidanza, senza il
consenso della donna manifestato secondo le modalità previste dalla legge.
Nei confronti della madre, occorre invece distinguere (NON VIENE CHIESTO)
1) L’interruzione volontaria della gravidanza entro i primi 90 giorni dal concepimento è
sostanzialmente rimessa alla sua libera determinazione, in relazione a circostante che
comporterebbero uno stato di “serio pericolo per la sua salute sica o psichica” (la legge è
molto lasca e generica). Qualora il medico ritenga che l’intervento sia urgente, rilascia alla
donna il certi cato attestante l’urgenza e questa può presentarsi a una delle sedi autorizzate e
praticare l’interruzione volontaria di gravidanza; qualora, invece, il medico ritenga che
l’intervento non richieda urgenza, egli le rilascia a copia del documento attestante lo stato di
gravidanza e l’avvenuta richiesta e la invita a soprassedere per sette giorni. Trascorsi i sette
giorni, la donna può presentarsi per ottenere l’interruzione della gravidanza, sulla base del
documento rilasciatole.
2) L’interruzione volontaria della gravidanza dopo i primi 90 giorni dal concepimento può, invece,
essere praticata unicamente quando la gravidanza o il parto siano rischiosi o siano accertati
processi patologici (tra cui anomalie e malformazioni) che comportino un grave pericolo per la
donna. In questo unico caso, dunque, il diritto del nascituro può essere sacri cato solo di
fronte al preminente interesse della madre -> dura lex, sed lex
L’aborto è stato reso legittimo da una legge emanata nel 1978: prima di quella data, il fenomeno
dell’aborto era già di uso clandestinamente o per il turismo abortivo: la legge italiana ha voluto
dunque introdurre livelli di sicurezza in questa pratica.
La legge italiana si trova a metà tra i due possibili modelli di libertà abortiva: 1) quello francese e
tedesco, che adotta una linea di maggiore severità anche nel primo trimestre di gravidanza; 2)
quello americano, che ammette una libertà abortiva più accentuata con il right of abortion (vedi
Roe VS Wade, Texas).
Mentre è tutelato per terzi, il diritto alla vita non costituisce oggetto di tutela nei confronti del
diretto interessato: il suicidio non è, dunque, sanzionabile (così come il tentato suicidio).
Tuttavia integrano gli estremi del diritto civile, costituendo reato, la condotta di
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1) Omicidio del consenziente: colui che cagioni ad altro la morte, seppur con il suo consenso
-> il terzo dà la morte a colui che la risiede.
2) Istigazione o aiuto al suicidio: colui che determini altri al suicidio, o ra orzi i propositi suicidi,
o ne agevoli l’esecuzione -> il suicida si dà morte da sé, seppur con l’intervento adiutorio del
terzo.
Parziale illegittimità costituzionale del divietò di aiuto al suicidio: Es. caso Cappato che
trasportò Dj Fabo a suicidarsi in una clinica Svizzera: la Corte Costituzionale si è pronunciata in
merito a ciò con la illiceità penale dell’aiuto al suicidio, specialmente se si tratta di persone più
deboli e vulnerabili, tuttavia dichiarando illegittima l’estensione del divieto a coloro che:
1) siano a etti da patologia irreversibile,
2) che sia fonte si so erenze siche e psicologiche,
3) tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale,
4) capace di prendere decisioni libere e consapevoli.
In presenza di detti presupposti, l’aiuto al suicidio è lecito.
Diverso è il caso in cui l’interessato ri uti un trattamento terapeutico necessario per salvargli la
vita, oppure decida di interromperlo: i trattamenti sanitari, infatti, possono essere praticati solo
con il consenso dell’avente diritto, secondo il principio di autodeterminazione. Ciò vale anche in
riferimento ai trattamenti salvavita (es. nutrizione arti ciale).
La Suprema Corte, infatti, sottolinea l’esistenza del diritto a non curarsi e persino del diritto a
lasciarsi morire (= lasciare che la malattia faccia il suo corso, no all’exitus nale). In questo
caso, viene meno il dovere del medico a curare il paziente, proprio perché tale dovere è fondato
sul consenso del malato: anzi, il medico è obbligato a rispettare la volontà dell’assistito contrario
alle cure.
Tutto ciò presuppone, ovviamente, che l’interessato sia in grado di manifestare consapevolmente
e liberalmente il proprio intendimento. Allorquando il soggetto versi in uno stato di incapacità,
non essendo dunque in grado di manifestare il proprio consenso, il medico nelle situazioni di
emergenza o di urgenza deve praticar le cure necessarie. Superata l’urgenza, la decisione in
ordine al consenso/ri uto spetta al rappresentante legale dell’incapace: nel caso in cui il
rappresentante ri uti le cure che il medico ritenga necessarie, la decisione è domandata al giudice
tutelare.
In ogni caso, di fronte a paziente con prognosi infausta a breve termine, il medico deve evitare
l’ostinazione irragionevole della somministrazione delle cure e il ricorso ai trattamenti inutili.
Al ne di evitare che decisioni così delicate siano in mano ad un rappresentante legale, la legge
consente di redigere nella forma dell’atto pubblico le disposizioni anticipate di trattamento
(DAT) al maggiorenne capace di intendere e volere.
Attraverso le DAT viene manifestata ora per allora le proprie volontà in tema di accertamenti
diagnostici, scelte terapeutiche e trattamenti sanitari. Il disponente può altresì nominare una
persona di ducia, ossia il duciario, che lo rappresenti nelle relazioni tra medico e strutture
sanitarie. Le copie delle DAT con le relative nomine dei duciari sono state raccolte nella Banca
dati nazionale, istituita presso il Ministero della salute.
Sono dunque state disciplinate le modalità di accessibilità alle DAT da parte del medico che
debba curare il paziente incapace di autodeterminarsi; queste direttive sono vincolanti per il
medico, che può disattenderle solo in accordo con il duciario, nel caso in cui queste siano:
1) incongrue alla condizione clinica attuale del paziente
2) Possano nel frattempo essere divenute disponibili delle terapie, non prevedibili all’atto della
sottoscrizione delle DAT.
Nel caso di con itto tra duciario e medico, la decisione è rimessa al giudice tutelare.
Le DAT possono essere, in qualsiasi momento, modi cate o revocate.
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Una diversa modalità di manifestazione anticipata del volere del paziente è la piani cazione
condivisa delle cure: in presenza di una patologia cronica invalidante o caratterizzata da
inarrestabile evoluzione con prognosi infausta, il paziente può concordare per iscritto con il
medico una piani cazione delle cure, cui il medico sarà un domani tenuto ad attenersi. La
piani cazione condivisa delle cure può, in ogni momento, essere aggiornata.
L’ART 3 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea a erma che “l’individuo ha
diritto alla propria integrità sica e psichica”. Ciò implica l’obbligo per tutti i consociati di astenersi
da condotte che possano cagionare ad altri malattie, infermità o menomazioni.
L’interesse alla salute e all’integrità è tutelato anche a favore del nascituro (si ammette la
risarcibilità del danno a lesioni subite dal feto nel periodo prenatale). Nel nostro ordinamento,
però, non trova cittadinanza il diritto di non nascere se non sano, come stabilito dalla Corte di
Cassazione a sezioni unite: colui che esce a etto da una grave malattia, dunque, non potrà
vantare tale diritto in virtù di una legittimazione risarcitoria 1) né nei confronti della madre (la quale,
informata dell’anomalia del feto, non abbia interrotto la gravidanza); 2) né nei confronti del medico
(che non avendola informata dell’anomalia, le ha impedito di valutare l’opportunità della scelta
abortiva). Il medico, però, risponderà nei confronti dei genitori e dei danni da loro so erti della
nascita indesiderata.
L’ART 32 Cost a erma che in ogni caso accertamenti e trattamenti sanitari possono essere svolti
“solo nel rispetto della dignità della persona e dei diritti civili garantiti dalla Costituzione”. Ciò fu
stabilito anche per i trattamenti sanitari obbligatori per le persona a ette da malattie mentali.
Al di fuori dei casi imposti per legge, gli accertamenti e i trattamenti sanitari sono volontari,
secondo il principio dell’autodeterminazione. Essi richiedono, pertanto, il consenso dell’avente
diritto, che può legittimare o porre ri uto alle cure (es. per motivi religiosi: caso del diniego alla
trasfusione di sangue dal testimone di Geova). Senza il consenso del paziente, il medico non può
sottoporlo ad accertamenti o trattamenti sanitari. Peraltro, a nché possa prestare valido
consenso, è necessario che l’assistito venga chiaramente, correttamente ed estaticamente
informato: si parla dunque di consenso informato. L’eventuale inadempimento da parte del
medico dell’obbligo informativo lede al diritto di autodeterminazione dell’assistito quand’anche il
trattamento sia stato e ettuato in modo tecnicamente corretto.
Il consenso al trattamento medico non obbliga colui che lo ha prestato, che può sempre
revocarlo no a quando l’atto non sia posto in essere.
Nell’ipotesi in cui il paziente legalmente capace si trovi in uno stato di incoscienza e ricorra un
caso di urgenza il medico deve assicurargli le cure necessarie (vedi caso testimone di Geova)
Se, invece, il paziente è incapace legale il consenso dev’essere espresso dal suo rappresentante
legale:
1) Minore di età -> genitori esercenti la potestà genitoriale
2) Interdizione -> tutore
3) Inabilitazione -> dalla stessa persona inabilitata
4) Amministrazione di sostegno -> dallo stesso soggetto assistito dall’amministratore /
dall’amministratore, nel caso in cui la nomina ne preveda la rappresentanza esclusiva in
ambito sanitario.
In ogni caso, l’incapace legale deve ricevere informazioni sulle scelte relative alla propria salute,
per essere messo in condizione di esprimere il proprio volere.
Nell’ipotesi in cui il rappresentante legale ri uti le cure ritenute necessarie dal medico, la decisione
è rimessa al giudice tutelare.
Il diritto alla salute e all’integrità sica non è totalmente rimesso al suo titolare.
L’ART 5 cc a erma infatti:”Gli atti di disposizione del proprio corpo sono vietati quando cagionino
una diminuzione permanente dell’integrità sica, siano contrari alla legge o al buon costume”
(di erentemente da quanto a erma il diritto di proprietà, ART 832 “il proprietario ha diritto di
godere e disporre del bene, in osservanza dei limiti imposti dalla Costituzione”). Questa norma era
vista in ottica militar-fascista: questa norma garantiva che il singolo non si privasse di parti
fondamentali del proprio corpo, in quanto buon soldato e buon fascista. Gli atti dispositivi del
proprio corpo sono dunque consentiti a due condizioni:
1) Non siano contrari alla legge, all’ordine pubblico e al buon costume: la legge vieta, se non
a titolo gratuito il prelievo del sangue, il prelievo di cellule staminali; vietata è la mutilazione
degli organi genitali femminili + maternità surrogata
2) Non cagionino diminuzione permanente dell’integrità sica del soggetto: dovrà ritenersi
legittimo, nella misura in cui l’intervento non incida stabilmente sull’integrità del singolo;
vietato, quand’anche vi sia il consenso dell’interessato, l’espianto di organi.
In questo contesto, è da considerarsi la maternità surrogata: no a che punto è possibile disporre
del proprio corpo? Un caso molto importante fu quello che si veri cò in America nel 1988, quando
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una coppia pagò una donna 100 000 dollari, stipulando con essa il contratto “Surrogacy
Agreement”. Al termine della gravidanza, la donna non vuole dare il glio alla coppia: l’appello
dichiara che il contratto è nullo e la Corte di Cassazione a erma che il bambino avrebbe vissuto
una vita migliore con la famiglia ricca, piuttosto che con la madre povera. La maternità surrogata
è vietata in Italia, coerentemente con quanto a ermato nell’ART 5.
Inoltre, anche le inseminazioni arti ciali eterologhe (e ettuate con il seme o con l’ovulo di uno dei
due uniti, mentre l’altra persona è estranea) sono ritenute illegittime, in base ad una legge del
2004.
Ciò comporta la crescita del turismo procreativi, specie in paesi come Svezia e Olanda. Nasce il
problema di possibile trascrizione nei registri italiani -> problema di diritto internazionale privato
Il paziente, inoltre, potrà acconsentire ad operazioni chirurgiche che compiano menomazioni gravi
e de nitive alla propria integrità sica (es. amputazione di una gamba), se queste siano svolte in
tutela dell’interesse dell’individuo, ossia per preservarne la salute.
Le parti legittimamente staccate dal corpo sono beni autonomi (es capelli, unghie, denti) e
pertanto possono essere oggetto di atti di disposizione = venduti (es. per la creazione delle
Extensions).
Per il momento della propria morte, la persona può disporre in ordine alla collocazione della
propria salma (ius eligendi sepulcrum), sia 1) per testamento, sia 2) con una dichiarazione in
carta libera (se ad esempio fa parte di associazioni riconosciute per la cremazione, oppure per il
prelievo di organi e tessuti, esclusi gonadi ed encefalo, a scopo di trapianti.
La legge prevede, da un lato, che i cittadini siano tenuti a dichiarare la propria libera volontà in
ordine alla donazione di organi, a ermando che “la mancata dichiarazione di volontà è
considerata quale assenso alla donazione”: ciò però, a distanza da 20 anni dalla sua introduzione,
non è ancora stata applicata, in quanto non è stato attivato il sistema formale per la dichiarazione
della libera volontà dei cittadini in merito.
DIRITTO AL NOME
Il nome (prenome + cognome) svolge funzione di identi cazione sociale e viene ricondotto
all’alveo dei valori fondamentali della persona, nella prospettiva della protezione alla sua identità,
coniugata alla protezione della sua personalità (ART 2 e ART 30 Costituzione). È i l primo che
gura nel codice civile, negli ART 6 e 7. L’ART 6:”Ogni persona ha diritto al nome che per legge le
è attribuito. Esso è costituito da prenome e cognome”.
• Il glio nato nel matrimonio assume il cognome del padre e il prenome attribuitogli all’atto di
nascita all’u ciale di stato civile. Se il dichiarante non dà un prenome al bambino, di tale
mancanza supplisce l’u ciale di stato civile. Peraltro, la Corte Europea dei diritti dell’uomo ha
ritenuto che la regola secondo cui il glio legittimo acquistasse automaticamente il cognome
paterno, senza possibilità di ottenere quello della madre contrasti con gli ART 8 e 14 CEDU: lo
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Stato italiano deve dunque adeguarsi alla normativa approvata a Strasburgo e anzi la Corte
Europea considera illegittima tale regola, perché in contrasto con gli ART 2 (diritti inviolabili),
ART 3 (principio di eguaglianza) e ART 29 (matrimonio fondato sull’eguaglianza) della
Costituzione.
• Il glio nato fuori del matrimonio assume il cognome del genitore che lo ha riconosciuto per
primo; se il riconoscimento è e ettuato contemporaneamente da entrambi i genitori, assume il
cognome del padre, sempre che i genitori, di comune accordo, non vogliano trasmettergli anche
il cognome materno. Se il riconoscimento del padre segue quello della madre, il glio può
decidere di anteporre o posporre il cognome paterno. Nel caso in cui il glio sia di minore età, è
il giudice a dover decidere se quest’ultimo debba sostituire o meno il cognome della madre, o
vada anteposto/aggiunto. La Corte Costituzionale ha sollevato il problema in merito alla
legittimità nella parte che preclude ai genitori di trasmettere al glio solo il cognome materno,
ma anche riguardo al fatto che i genitori, non trovando un diverso accordo, trasmettano
senz’altro il cognome paterno.
A seguito del matrimonio, la moglie aggiunge al proprio cognome quello del marito e lo conserva
anche durante la separazione personale. In caso di vedovanza, la moglie conserva il cognome del
marito no a quando passi a nuove nozze. La donna divorziata perde, invece, il cognome
maritale, ma può chiedere al giudice di essere autorizzata a conservarlo, in aggiunta del proprio,
quando sussista un suo interesse (es. ormai è conosciuta così nell’ambiente di lavoro).
Le parti dell’unione civile tra persone dello stesso sesso, se non intendono mantenere i rispettivi
cognomi, assumono un cognome comune, scelto tra i loro cognomi, per la durata dell’unione. La
parte può anteporre o post-porre al cognome comune il proprio, se diverso.
Il nome è tendenzialmente immodi cabile. Il mutamento di nome e/o cognome (es. perché
ridicolo) o l’aggiunta di un altro nome e/o cognome al proprio possono essere concessi dal
Prefetto 1) della provincia del luogo di residenza del richiedente, 2) della provincia nella cui
circoscrizione è situato l’u cio di stato civile in cui si trova l’atto di nascita del richiedente.
Il nome viene tutelato contro:
• Contestazione: un terzo compie atti volti ad ostacolare il soggetto all’utilizzo del nome
legalmente attribuitogli (es. il marito separato impedisce alla moglie l’uso del cognome maritale,
ART 156-bis)
• Usurpazione: un terzo, cui sia stato attribuito un nome diverso, utilizza il nome altrui per
identi care la propria persona, recando pregiudizio al legittimo titolare (es. crea confusione tra le
identità)
• Utilizzazione abusiva: un terzo utilizza un nome altrui per identi care un personaggio di
fantasia (es. il protagonista di un romanzo) o un prodotto commerciale, nel caso in cui rechi un
pregiudizio al titolare del nome.
La vittima di contestazione può richiedere: 1) la cessazione del fatto lesivo (tutela inibitoria ART
7, 2) il risarcimento del danno (tutela risarcitoria), 3) la pubblicazione su uno o più giornali della
sentenza del giudice che accerta l’illecito.
Tutela analoga a quella prevista per il nome vige per lo pseudonimo: si tratta del nome, diverso
da quello attribuitogli per legge, con cui il soggetto è conosciuto in determinati ambienti (es.
Checco Zalone per Luca Pasquale Medici).
Il diritto all’integrità morale è destinato, oggigiorno, a venire in con itto con i diritti di cronaca e
di critica giornalistica (ART 21 Costituzione), es. un sindaco indagato per corruzione -> lui ha
interesse che la notizia non venga divulgata, ma è bene che la collettività ne sia messa al
corrente. In tal caso, il diritto all’integrità morale del singolo cede di fronte al diritti di informazione
e la notizia potrà dunque essere legittimamente pubblicata, qualora concorrano tre distinti
presupposti:
• Verità putativa: la notizia dev’essere vera, considerando il breve arco di tempo disponibile per
veri care la veridicità delle notizie, secondo il principio di diligenza (ART 1176:”La diligenza del
buon padre di famiglia”)
• Utilità sociale dell’informazione
• Continenza espositiva, consistente nell’utilizzo di modalità espressive non eccedenti rispetto
allo scopo informativo, trasmettendo la notizia in modo non sensazionalista né violento -> motto
del giornalismo anglosassone “fatti separati dalle opinioni”
Il diritto alla cronaca è bilanciato dal contrapposto diritto all’oblio (USA, the right to be forgotten),
nalizzato alla tutela della riservatezza della persona interessata a che alcune notizie a lei
riguardanti, già a suo tempo di use, non vengano ulteriormente divulgate a distanza di tempo (es.
la Corte di Cassazione ha dichiarato che a distanza di anni è legittimo riprendere, nell’esercizio del
diritto di rievocazione storica, l’avvenimento di un omicidio, senza però riportare i dati che
consentano l’identi cazione del suo autore, allorquando egli abbia nel frattempo scontato la
relativa detenzione).
Il diritto all’integrità morale può altresì venirsi a trovare in con itto con 1) il diritto di difesa
giudiziale; 2) critica del lavoratore nei confronti del proprio datore di lavoro; 3) diritto alla satira.
Ovviamente, le notizie lesive dell’altrui integrità morale possono essere pubblicate con il consenso
dell’avente diritto.
L’illegittima lesione dell’altrui diritto all’integrità morale obbliga il suo autore 1) al risarcimento del
danno anche non patrimoniale, 2) può essere ordinata la pubblicazione della sentenza in uno o più
giornali, 3) nel caso di di amazione a mezzo stampa, la persona o esa può chiedere, oltre al
risarcimento del danno, una somma a titolo di riparazione.
È paci camente ammesso che il titolare possa consentire a terzi l’uso della propria immagine non
solo a titolo gratuito (es. testimonial di una campagna per l’AIDS), ma anche a titolo oneroso (es.
attore in un spot pubblicitario).
I contratti aventi come oggetto il diritto dell’utilizzazione dell’altrui immagine richiedono la forma
scritta ad probationem.
La lesione al diritto di immagine obbliga il suo autore: 1) al risarcimento del danno patrimoniale e
non (tutela risarcitoria), 2) il giudice può disporre a qualsiasi provvedimento idoneo a nché tale
condotta non venga a ripetersi (tutela preventiva).
Tra i diritti inviolabili dell’uomo riconosciuti e garantiti dall’ART 2 della Costituzione, vi è anche il
diritto alla riservatezza. Questo consiste nel vietare comportamenti di terzi volti a conoscere o far
conoscere situazioni o vicende della propria vita personale, svoltesi anche all’esterno del recinto
domestico, che non presentassero un interesse socialmente apprezzabile. L’intromissione nella
sfera privata dell’individuo è infatti considerata legittima solo se di interesse pubblico attuale che
la giusti chi.
La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea nell’ART 8 enuncia:”Ogni persona ha
diritto alla protezione dei dati personali che la riguardano”
La materia oggi è disciplinata dal GDPR (General Data Protection Regulation): tale
regolamentazione è volta a far sì che il trattamento dei dati personali abbia a svolgersi nel rispetto
della dignità umana, dei diritti e delle libertà fondamentali della persona.
• Dato personale = si intende qualsiasi informazione, sia di vita privata che relativa all’attività
professionale od economica che riguardi una persona sica identi cata od identi cabile.
• Interessato = si intende la persona sica i cui dati personali si riferiscono. La normativa in
esame non trova dunque applicazione ai dati personali degli enti.
• Trattamento = qualsiasi operazione, o insieme di operazioni, concernenti la raccolta,
registrazione, conservazione, consultazione, … dei dati personali.
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La normativa in discussione non si applica, peraltro, ai trattamenti e ettuati da persone siche per
l’esercizio di attività a carattere personale e domestico.
Il diritto all’identità personale consta nel diritti di ciascuno del vedersi rappresentato con i propri
caratteri reali, senza travisamento alcuno.
Esso si distingue:
1) dal diritto alla riservatezza: mentre quest’ultimo è il diritto a non veder rappresentati all’esterno
pro li della propria personalità e della propria vita privata, il diritto all’identità personale è il
diritto che i pro li della propria personalità e della propria vita siano, nella misura in cui
possono essere rappresentati all’esterno, mostrati secondo il principi di verità.
2) Dal diritto all’integrità morale: mentre quest’ultimo si riferisce alla creazione di un pro lo di
disvalore intorno alla persona, il diritto all’identità personale è che i pro li della propria
personalità non siano rappresentati neppure a scopo migliorativo, bensì si attengano il più
possibile nella loro divulgazione al principio di verità.
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Quando il nome non identi ca solo un’identità anagra ca del soggetto, ma il nome vede anche
un’identità culturale o una storia personale: si tratta del diritto all’identità personale. Questo diritto,
nasce da una vicenda giurisprudenziale (il giudice che non è la bocca della legge): Milano, 1980,
una rivista settimanale che dedica una pagina di pubblicità relazionare, in cui intervista un famoso
professore oncologo che brava i tumori: gli intervistatori chiedono se ci sono delle sigarette che
fanno meno male perché contengono meno nicotina? Veronesi dice che contengono meno
nicotina, ma col fatto che ne contengono meno il fumatore ne deve fumare di più. Dopo qualche
mese, la pubblicità relazionale di una marca di sigarette molto leggere: dicendo le sigarette meno
dannose, anche il professor veronesi ha detto che queste sigarette fanno meno male. Veronesi si
arrabbia, anche prece aveva detto di non fumare e ani aveva detto che quelle leggere fanno più
male. Di veronesi era stato preso il nome, ma non nome in quanto tale, bensì nome in quanto
identità e prestigio. Il nome rappresentava tutta la personalità. Veronesi fa causa e il tribale di
Milano, la corte d’appello di Milano e la corte di cassazione nella sentenza del 1985 disse che il
diritto al nome viene qui leso non nella sua identità anagra ca, ma perché il nome è qui
riassuntivo dell’identità personale: dentro al nome c’è la storia, l’identità religiosa, politica e
culturale del soggetto. -> mettere qualcuno in cattiva luce (false light) del pubblico. Il diritto
all’identità personale viene riconosciuto dalla giurisprudenza, in base a un’interpretazione
estensiva degli ARTT 6-7 cc.
GLI ENTI
Gli enti sono soggetti di diritto, ovvero titolari di situazioni giuridiche attive o passive. Ciò implica
che 1) un appartamento, 2) la responsabilità di un fatto illecito (ART 28 Cost), 3) un contratto può
intercorrere direttamente con un ente (es. contratti bancari). Gli enti sono dunque dotati di
capacità giuridica, poiché hanno una soggettività giuridica: sono dunque idonei ad essere
centro unitario di imputazione di azioni attive e passive (NON personalità giuridica, che è propria
degli enti con autonomia patrimoniale perfetta).
Se da una parte gli interessi sostanziali non possono che fare a capo alle persone siche, è anche
vero che la legge tutela detti interessi come se facessero a capo non al singolo, ma al gruppo.
Gli enti divengono dunque delle entità che operano nel contesto sociale con identità e ruolo
distinti da quelli dei loro componenti, al punto che l’interesse del singolo non sempre coincide con
quello del gruppo.
Si dicono dotati di personalità giuridica quegli enti che godono dell’autonomia patrimoniale
perfetta: ciò signi ca che detti enti hanno un loro patrimonio e, al pari della persona sica,
rispondono delle obbligazioni solo con tale patrimonio. La disciplina riguardante gli enti dotati di
personalità giuridica è regolata dagli ART dal 12 al 35 cc.
Gli enti, ovviamente, possono agire solo mediante persone siche che fanno parte della struttura
organizzativa, detti organi. Seppure i loro interessi, in concreto, vengano gestiti da altri soggetti,
si ritiene che gli enti siano dotati di capacità di agire: gli organi sono infatti parte dell’ente (come
gli organi del corpo) e non incontrano neppure le limitazioni della capacità di agire della persona
sica (infermità psichiche, …).
Gli organi dell’ente, a seconda che abbiano o meno il potere di rappresentanza dell’ente, si
distinguono in:
C) Organi interni: dotati di potere di gestione -> è il potere di decidere in merito ad una
determinata operazione (es. acquistare un macchinario)
D) Organi esterni: dotati di poteri di rappresentanza -> è il potere di porre in essere, per conto
dell’ente, l’operazione decisa (es. stipulare con il venditore il contratto di acquisto del
macchinario)
Non sempre il potere di gestione e quello di rappresentanza sono attribuiti ai medesimi organi.
Gli enti (personi cati e non) sono caratterizzati tra tre tratti distintivi:
1) Elemento personale: l’ente ha bisogno di persone siche (i suoi organi): il problema della One
Man Association è molto discusso, poiché potrebbe essere utilizzata come strumento di azioni
di abuso, in cui il socio unico potrebbe scaricare i propri debiti sull’associazione, che risponde
lei sola con il suo patrimonio delle obbligazioni, svincolando così illegalmente l’unico socio al
risanamento delle obbligazioni: solo ed esclusivamente nelle situazioni di abuso di
personalità giuridica l’ordinamento italiano, sulla base di quello americano, ammette delle
forme giurisprudenziali mediante le quali il giudice possa superare lo schermo della
personalità giuridica, ammettendo il creditore a richiedere il risanamento delle obbligazioni al
socio. L’ART 2247 cc si pronuncia in materia di contratto di società, designando come “due o
più parti” il numero di persone minime di un ente, al ne di evitare gli abusi di personalità
giuridica.
2) Elemento patrimoniale: gli enti del libro V, il codice per la società dei capitali (SRL, SPA)
individua un minimo ammontare per il capitale della sociale: il ne della previsione di un limite
patrimoniale è proteggere i creditori. Infatti, gli enti del libro V (con nalità economica)
svolgono un’attività economica e dunque i creditori devono essere tutelati, rendendoli a
conoscenza del patrimonio dell’ente. La valutazione del patrimonio non è lasciata ad una
valutazione di tipo quantitativo, bensì discrezionale: la valutazione discrezionale viene svolta
dalla Prefettura (in particolare, presso U cio delle persone giuridiche private, a livello
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provinciale) che svolge un controllo per veri care se il patrimonio sia adeguato allo scopo, una
volta richiesta l’iscrizione nel registro. Negli enti del libro I, invece, il codice non prevede
alcuna indicazione quantitativa del patrimonio. Tale di erenza risale al 1942 e anche prima,
nelle precedenti codi cazioni.
3) Elemento teleologico ( nalistico): nel caso degli enti regolati dal libro V, lo scopo è la
divisione degli utili: per questo motivo, essi sono detti enti pro t, caratterizzati da un
contratto di società. Il pro tto è la di erenza tra costi e ricavi: il pro tto viene reinvestito e non
può essere distribuito tra i soci, poiché il meccanismo degli enti no pro t è diverso rispetto a
quello delle società, in cui sarebbe contemplata la distribuzione degli utili -> no distribution
constraint = obbligo di non distribuzione dell’utile, pena la perdita della ducia che la società
nutre in un determinato ente. A questi, si contrappongono gli enti no pro t, che non hanno
scopo di lucro.
IL FENOMENO ASSOCIATIVO
La tradizione liberal-ottocentesca guardava con di denza il fenomeno degli enti senza nalità
economiche: essi, infatti, costituivano i cosiddetti corpi intermedi che costituivano un ostacolo
nel rapporto diretto tra cittadino e Stato. Tale ostilità, tipica del XIX e XX secolo: la codi cazione
napoleonica è un solare esempio di ostilità dello Stato nei confronti delle strutture intermedie tra
lo Stato e l’individuo), era causata dal fatto che lo Stato accentratore mirava a mantenere il suo
controllo diretto sui cittadini, nel timore che gli enti intermedi potessero far sfuggire il controllo di
mano allo Stato. Immagine di tale ostilità è intriso anche il codice civile italiano del 1942 che sarà
a lungo oggetto di atti abrogativi (basti pensare agli ART 11-35 cc, di cui molti sono stati abrogati
o modi cati, es ART 17 cc); non è intrisa di ciò, invece, la nostra Carta Costituzionale (ART 2
Cost:”La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili del singolo e nella formazioni
sociali”); inoltre, di uso era il timore che l’accumulo di patrimoni immobiliari potesse ricadere in
un ine ciente utilizzo, avendo conseguenze negative sul piano del benessere collettivo e dello
sviluppo economico.
Il clima autoritario nel quale venne concepita la vigente codi cazione spiega il tentativo di
contenere e controllare il fenomeno associativo: infatti, venivano disposti i modelli di associazione
riconosciuta e l’associazione non riconosciuta. Il riconoscimento, nell’originaria impostazione
codicistica , avrebbe fatto acquisire all’ente una posizione più favorevole rispetto a quella delle
associazioni non riconosciute.
Alle associazioni non riconosciute erano preclusi sia gli acquisti mortis causa, sia le
donazioni, sia quelli immobiliari. Tali acquisti erano, invece, accessibili alle associazioni
riconosciute, seppure successivamente all’ottenimento dell’apposita autorizzazione governativa.
Tale autorizzazione, dal 1942 no al 2000 con la riforma Bassanini, si acquistava con un
procedimento molto lungo, chiamato sistema concessorio: veniva redatto l’atto pubblico in sede
notarile, che lo inviava alla Prefettura, mandandolo poi a Roma nel ministero competente (a
seconda della nalità dell’ente), che poi lo sottoponeva al controllo del Consiglio di Stato (che
espleta una funzione consultiva) e in ne il lungo procedimento terminavano un decreto del
Presidente della Repubblica (DPR) che pubblicava il riconoscimento nella GU; il tempo stimato dal
Consiglio Nazionale del Notariato per il conferimento della personalità giuridica era 3/4 anni.
Durante quest’arco di tempo, le associazioni non godevano dell’autonomia patrimoniale perfetta
e, dunque, i soci rispondevano delle obbligazioni.
Con la riforma Bassanini, il sistema concessorio agisce su scala provinciale e non più nazionale:
il notaio redige l’atto pubblico, che poi viene mandato alla Prefettura e da lì va all’U cio del
registro delle persone giuridiche private.
La riforma Bassanini rese il sistema concessorio più snello ed e ciente e, infatti, il tempo stimato
per l’iscrizione nel registro delle persone giuridiche private è di 2-5 mesi.
Se si ritiene che l’ente non sia idoneo al riconoscimento, si comunicano eventuali perplessità al
presidente dell’ente, che eventualmente modi cherà qualche clausola dell’atto costitutivo (ART
17 cc, abrogato nel 1997, era un residuo della “legge Siccardi” di Cavour ed a ermava che le
donazioni potevano avvenire solo con l’autorizzazione dello Stato, per eliminare la “mano morta”,
ossia i terreni privi di operatività; il codice civile venne poi modi cato nel 1997, con l’abrogazione
degli ART 17 cc (“Acquisto di immobili e accettazione di donazioni”), 600 (“Enti non riconosciuti”),
786 (“Donazioni a ente non riconosciuto”); da qui si passò alla cosiddetta “fuga dal codice
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civile”: non riuscendo esso ad incentivare le formazioni sociali, vengono emanate delle leggi volte
alla regolazione degli enti no-pro t, ODV, ACS, facendo prendere dunque una forma diversa alle
norme degli enti rispetto a quella contemplata nel codice civile, che sminuiva le formazioni sociali.
Da ciò, si passò alla riforma del terzo settore nel 2017)
L’obiettivo era di consentire all’autorità governativa di conoscere gli enti meritevoli di tutela.
Gli enti riconosciuti, se da un lato avrebbero potuto assumere posizioni di una certa rilevanza
economico-sociale, dall’altro sarebbero stati assoggettati al controllo pubblico.
Gli enti non riconosciuti avrebbero rivestito un ruolo marginale ed erano realtà talmente modeste
da non necessitare di particolari controlli da parte del regime.
È evidente come le organizzazioni collettive vengano viste nella Carta Costituzionale come delle
realtà da tutelare e da promuovere, mentre nel disegno codicistico originario erano fenomeni da
controllare od emarginare. La realtà sociale si è incaricata di smentire le aspettative del legislatore
del 1942: ciò è chiaro anche considerando che la veste di associazioni non riconosciute non
solo è stata assunta da organizzazioni marginali e operanti in ambito locale, ma anche le maggiori
organizzazioni politiche del paese (es. partiti, sindacati).
Determinante, in questa scelta, è stata la volontà di limitare le ingerenze statati all’interno
dell’ente: vengono infatti rimesse all’autonomia dell’ente la regolamentazione dell’associazione
interna e dei rapporti endoassociativi (es. i sindacati, pur di sottrarsi al controllo dello stato in
punto di democraticità dell’ordinamento interno, hanno rinunciato alla registrazione e alla
conseguente possibilità di stipulare contratti collettivi di lavoro).
Il diritto di associazione trova solenne enunciazione anche nella normativa extra-testuale: ART 20,
Dichiarazione Universale dei Diritti Umani; ART 12 Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione
Europea.
ASSOCIAZIONE E SOCIETÀ
Inoltre, la disciplina ex novo dell’impresa sociale, ossia quella che esercita in via stabile e
principale una o più attività di impresa di interesse generale per il perseguimento di nalità civiche,
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solidaristiche o di utilità sociale, consente che la stessa agisca senza scopo di lucro (sebbene sia
esercitata nelle forme dettate dal libro V del codice civile).
Inoltre, sempre nella promozione della responsabilità sociale dell’impresa, sono state dischiuse le
possibilità di perseguire oltre allo scopo lucrativo o mutualistico anche nalità di bene cio
comune: si tratta delle società bene t, che si collocano in un’aria intermedia tra la società pro t e
no pro t.
Non va confuso lo scopo perseguito dall’ente con l’attività svolta dallo stesso per realizzarlo.
Le associazioni, al pari delle società, possono svolgere attività di impresa (= attività economica
di produzione e scambio di beni). Esse possono svolgere tale attività sia in via secondaria (per
procurarsi le entrate da destinare al perseguimento del loro scopo ideale), ma anche in via
principale o, addirittura, esclusiva (es. Associazione concertistica che, per di ondere la cultura
musicale, fa concerti). Essenziale è che sia statutariamente escluso il lucro soggettivo: ciò
signi ca che gli utili eventualmente conseguiti tramite l’esercizio di dette attività siano distribuiti
tra gli associati.
L’atto costitutivo, oltre alla manifestazione della volontà dei fondatori di dar vita all’associazione,
deve contenere:
1) Denominazione dell’ente
2) Scopo, patrimonio, sede
3) Norme sull’ordinamento e sull’amministrazione
4) Diritti ed obblighi degli associati
5) Condizioni dell’ammissione all’associazione
Tali previsioni possono essere contenute in un documento separato dall’atto costitutivo,
denominato statuto.
Atto costitutivo e statuto devono essere presentati alla prefettura nella cui provincia è stabilita la
sede dell’ente, presso l’U cio del registro delle persone giuridiche private, unitamente alla
richiesta di riconoscimento dell’associazione come persona giuridica. Al ne del riconoscimento,
la Prefettura veri ca:
1) Che siano soddisfatte le condizioni previste dalle norme di legge o di regolamento per la
costituzione dell’ente
2) Che lo scopo sia possibile e lecito
3) Che il patrimonio sia adeguato alla realizzazione dello scopo
Nessun controllo può essere svolto dalla prefettura riguardo la meritevolezza dello scopo che
l’associazione si pre gge: al prefetto è infatti domandato il solo controllo di legittimità.
Con l’esito positivo di tale controllo, il prefetto provvede all’iscrizione dell’associazione al registro
delle persone giuridiche tenuto presso la stessa prefettura: con l’iscrizione presso l’u cio del
registro delle persone giuridiche, l’associazione ottiene la personalità giuridica.
Per le associazioni la cui opera si esaurisca nel contesto regionale, la domanda di
riconoscimento va presentata presso la medesima regione.
Nel lasso di tempo che intercorre tra la stipula dell’atto costitutivo e la registrazione nel registro
delle persone giuridiche, l’associazione già esiste, ma può operare come un’associazione non
riconosciuta.
In materia di acquisti, ormai sono venuti meno tutti i condizionamenti che originariamente
circondavano la possibilità di e ettuare acquisti immobiliari, o acquisiti a titolo gratuito o mortis
causa. Oggi, l’associazione riconosciuta può e ettuare qualsiasi tipo di acquisto, senza alcuna
autorizzazione.
Gli associati non hanno alcun diritto sul patrimonio dell’associazione, che è distinto dal loro
patrimonio personale (ART 24 cc). Da ciò discende che per le obbligazioni del singolo associato
non risponde il patrimonio dell’associazione e viceversa, e ciò quand’anche il patrimonio delle
associazioni dovesse risultare insu ciente per far pronte alle obbligazioni associative. Delle
obbligazioni dell’associazione riconosciuto risponde solo ed esclusivamente l’associazione stessa
con il suo patrimonio -> autonomia patrimoniale perfetta, in quando dotata di personalità
giuridica.
L’accordo associativo è aperto all’adesione di terzi -> struttura aperta dell’associazione: infatti,
vi si può aderire all’atto costitutivo o in un momento successivo.
Peraltro, l’aspirante non ha diritto di entrare nell’associazione: l’accoglimento della sua
domanda è subordinato alla valutazione degli organi dell’associazione.
Di contro, una volta entrato a far parte dell’associazione l’aspirante ha diritto di rimanervi: egli
non può essere espulso, se non per gravi motivi e in forza di una delibera motivata
dell’assemblea. Se contrario a tale delibera, l’associato espulso può ricorrere all’autorità
giudiziaria entro 6 mesi dal giorno dell’espulsione; l’autorità giudiziaria dovrà procedere
all’annullamento dell’espulsione, qualora non siano state rispettate le regole procedurali per la
sua adozione.
All’associato è riconosciuto, al ne di tutelare la libertà individuale, il diritto di recedere
all’associazione (recesso), in qualsiasi momento, purché tale diritto sia esercitato 3 mesi prima:
tale richiesta può essere compiuta qualora sussista una giusta causa.
L’associazione si estingue:
1) Cause eventualmente previste nell’atto costitutivo o nello statuto
2) Deliberazione assembleare
3) Raggiungimento dello scopo
4) Impossibilità di realizzazione dello scopo
5) Venir meno di tutti gli associati
Il veri carsi di una delle cause di estinzione dell’associazione viene veri cata dal prefetto, se
l’assemblea non ne delibera lo scioglimento.
Una volta dichiarato l’estinzione dell’associazione si procede con la liquidazione del patrimonio,
con il pagamento delle obbligazioni. I beni che eventualmente residuino sono devoluti in
conformità con quanto previsto nell’atto costitutivo o nello statuto; se nulla è dichiarato, ciò viene
stabilito dall’assemblea che ha deliberato lo scioglimento; se nulla viene dichiarato, ciò viene
stabilito dall’autorità governativa, che attribuisce i beni ad altri enti con ni analoghi.
Chiusa la procedura di liquidazione, si procede con la cancellazione dell’ente dal registro delle
persone.
L’associazione non riconosciuta prende vita con un atto di autonomia (un vero e proprio
contratto, secondo l’orientamento prevalente) tra i fondatori = associazione riconosciuta.
Diversamente da quanto accade per l’associazione riconosciuta, però, non sono previsti
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requisiti di forma, né di contenuto: l’atto di autonomia si esaurisce dunque con il perfezionarsi
dell’accordo tra i fondatori, che potrebbe essere redatto anche in forma privata e può nascere
anche da un atto informale.
L’associazione non riconosciuta non acquista, quindi, personalità giuridica, seppure goda di
soggettività giuridica: il titolare del fondo comune, infatti, risponde delle obbligazioni per suo
nome e per suo conto.
Molto spesso, in materia di rapporti inter-individuali sono sorte delle lacune: infatti, le norme che
disciplinano le associazioni non riconosciute sono solo tre (ART 36-38) e gli associati non hanno,
nel loro statuto, previsto tutto ciò che potesse accadere nel corso della vita dell’associazione.
Viene dunque applicata l’analogia legis, utilizzando la norma delle associazioni riconosciute
come persone giuridiche, che hanno una disciplina più ricca e articolata (ART da 12 a 35); nel
caso in cui l’analogia legis con le associazioni riconosciute non fosse su ciente, si ricorrerà alla
disciplina delle società (che però sono pro t e sono trattate nel libro V: queste hanno una
disciplina in materia di rapporti tra soci che in qualche modo può essere utilizzata dall’interprete
per le associazioni).
Laddove non derogati dall’atto costitutivo o dallo statuto, dovranno ritenersi validi i principi del
codice dettati in tema di associazione riconosciuta prima dell’avvenuto riconoscimento.
Laddove si discostino dalle previsioni codicistiche in tema di associazione riconosciuta, atto
costitutivo e statuto non potranno attuare soluzioni che si risolvano in un sostanziale
disconoscimento dei diritti dell’associato a partecipare alla vita associativa, in conformità all’ART
2 della Costituzione. (es. la volontà degli associati può non essere espressa tramite deliberazione
assembleare, ma via posta, pur mantenendo a loro qualsiasi scelta associativa).
Analogamente, si potrà prevedere che l’esclusione dell’associato avvenga non per deliberazione
assembleare, ma a un altro organo: gli accordi tra gli associati non potranno, tuttavia, prevedere
che l’esclusione sia demandata al potere discrezionale e insindacabile di un organo associativo,
senza potere di impugnativa: ciò rimetterebbe all’altrui arbitrio il diritto al socio di permanere nella
associazione. Una clausola di esclusione dell’associato che violasse tale diritto dovrebbe ritenersi
nulla.
L’associazione non riconosciuta ha un suo fondo comune, che è distinto dal patrimonio dei
singoli associati: essi, pertanto, non possono chiedere una quota-parte al momento della
recessione, né chiederne la divisione.
Non viene utilizzato il termine “patrimonio”, poiché nel codice del 1942 le associazioni non
riconosciute non erano considerate come soggetti di diritto. Il fatto che venisse utilizzato il
termine fondo “comune”, implica che dal 1942 al 1975 le associazioni non riconosciute fossero
considerate non come soggetti, ma come una sorta di comunità).
Anche per quanto riguarda l’associazione non riconosciuta sono venuti meno tutti gli impedimenti
circa gli acquisti immobiliari, o acquisti mortis causa o a titolo gratuito: oggi, l’associazione
non riconosciuto può e ettuare liberamente qualsiasi tipo di acquisto.
Da un lato, la distinzione tra fondo comune e patrimonio dei singoli associati comporta che per le
obbligazioni del singolo associato non risponde l’associazione, così per le obbligazioni
dell’associazione non risponde il singolo associato: dunque, mai l’associato in quanto tale rischia
il suo patrimonio per debiti dell’associazione.
D’altro canto, però, l’ART 38 a erma che:”Per le obbligazioni contrattuali dell’associazione non
riconosciuta rispondono solidalmente e personalmente anche coloro che hanno agito in nome e
per conto dell’associazione”, oltre che il fondo comune, quand’anche essi non rivestano cariche
sociali o non siano membri della stessa es. bolletta non pagata; in nome e per conto = colui che
ha sottoscritto il contratto, in rappresentanza dell’associazione non riconosciuta, non per forza il
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presidente; solidalmente = l’obbligazione, che è a carico sia dell’ente sia di colui che ha agito in
nome o per conto dell’associazione, è un obbligazione a carattere solidale: ciò signi ca che il
creditore ha più di un debitore davanti a sé (in questo caso due: associazione + colui che ha agito
in rappresentanza) e può chiedere il pagamento indistintamente ad uno dei due (e, normalmente,
andrà da colui che ha un deep pocket party). Vi è poi anche una regola di solidarietà passiva, che
a erma che colui che risarcisca l’intero ammontare dell’obbligazione, abbia poi diritto di chiedere
sua quota al condebitore; personalmente = le persone siche che hanno agito in nome o per
conto dell’ente rispondono con il proprio patrimonio > patrimonio: (ART 2740 cc) insieme dei beni
presenti o futuri cui sia titolare un soggetto—> autonomia patrimoniale imperfetta.
In tal caso, il creditore può direttamente rivolgersi a colui che ha agito in nome e per conto
dell’associazione: questa costituirebbe una sorta di garanzia ex lege. Infatti, nonostante
l’associazione non riconosciuta non goda di personalità giuridica, è comunque dotata di
soggettività giuridica ed è pertanto idonea ad essere centro unitario di imputazione di atti
giuridicamente rilevanti.
Per quanto concerne i debiti dell’associazione a fondo non negoziale (es. debiti tributari) si
ritiene che rispondano 1) fondo comune, 2) i soggetti che, in forza del ruolo rivestito, abbiano
diretto la gestione associativa del periodo in considerazione.
Una deroga riguardante il regime della responsabilità per le obbligazioni delle associazioni non
riconosciute si applica ai movimenti e ai partiti politici partecipanti ad elezioni al Parlamento
nazionale: colui che sia istituzionalmente investito di cariche amministrative è infatti esonerato
dalla responsabilità solidale per i debiti associativi, qualora non abbia agito per dolo o colpa grave
(Cassazione, 1 aprile 2014, n° 7521).
I movimenti e i partiti politici, inoltre, dopo che che fu abolito il nanziamento pubblico a loro
favore, possono accedere a taluni bene ci, es 1) nanziamento privato volontario; 2) destinazione
volontaria del 2% dell’imposta sul reddito delle persone siche, a condizione che si iscrivano al
registro nazionale dei partiti politici, conservato presso la Camera dei deputati. Condizione
per l’iscrizione a tale registro è che il partito:
1) Si doti di uno statuto, redatto in forma di atto pubblico
2) Si assoggetti a una serie di controlli (non particolarmente pregnanti) volti a garantire la
trasparenza
Laddove non richiedano l’iscrizione al registro, i partiti non potranno godere dei bene ci sopra
citati, ma gioveranno di una più ampia autonomia organizzativa e di una quasi totale assenza dei
controlli del codice civile.
FONDAZIONE
L’atto di fondazione, oltre alla manifestazione della volontà del fondatore di dare vita ad
un’organizzazione mirante al perseguimento di una nalità non economica, contiene:
1) Denominazione dell’ente
2) Scopo, patrimonio, sede
3) Norme sull’ordinamento e l’amministrazione
4) Criteri e modalità di erogazione delle rendite
Analogamente a quanto avviene per le associazioni, tali informazioni possono essere contenute in
un documento separato dall’atto di fondazione, denominato statuto.
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La fondazione è dotata di un patrimonio, destinato a consentire la realizzazione delle proprie
nalità. Il fondatore, o anche terzi, devono dunque spogliarsi gratuitamente e in modo irrevocabile
della proprietà di alcuni beni a favore della fondazione, con il vincolo di destinazione degli stessi al
perseguimento dello scopo, attraverso l’atto di dotazione.
Si discute se lo scopo della fondazione debba essere, oltre che non economico, anche di
pubblica utilità. In senso negativo, si ammetterebbe dunque l’esistenza di fondazioni di famiglia,
destinate dunque al vantaggio di una o più famiglie determinate.
Lo scopo, una volta che abbia ottenuto il riconoscimento, non può essere modi cato né dal
fondatore, né dall’organo amministrativo: per questo motivo, vi è il rischio di una rapida
obsolescenza. Per questo motivo, infatti, negli ultimi tempi si è assistito alla proliferazione di
fondazioni il cui scopo è indicato con termini ampi e generici: in questi casi, competerà dunque
all’organo di gestione scegliere, volta per volta, le attività da svolgere concretamente e gli interessi
da perseguire.
Per il raggiungimento dello scopo, la fondazione svolge delle attività: originariamente, queste si
limitavano alla gestione del patrimonio, al ne di devolverne le rendite -> fondazioni di
erogazione.
Ora, invece, è ammesso che le fondazioni svolgano anche attività di impresa, al ne di
• Ricavarne utili da destinare allo scopo non lucrativo (es. produzione e vendita di libri di arte per
nanziare la propria collezione);
• Realizzare immediatamente il proprio scopo istituzionale (es. organizzazione di spettacoli a
pagamento, per la di usione della letteratura).
La fondazione ha un suo patrimonio, che è distinto rispetto a quello del fondatore. Il patrimonio
della fondazione è costituito dai cespiti oggetto della dotazione, donazioni, lasciti, contributi
pubblici, … . Anche per le fondazioni sono ormai caduti i limiti legati all’acquisto di beni
immobiliari, acquisti mortis causa e a titolo gratuito (ART 17 cc)
Delle obbligazioni della fondazione risponde solo quest’ultima: essa infatti gode di autonomia
patrimoniale perfetta.
Fino a tempi recenti, la fondazione ha avuto importanza marginale nella nostra realtà socio-
economica, in quanto era strumento utilizzato da soggetti con non trascurabili disponibilità
economiche; ora però il panorama è mutato e sono state create delle fondazioni, il cui ne è
incentivare la collaborazione tra settore pubblico e privato, denominate fondazioni di diritto
speciale:
1) A fronte della crisi del welfare state, però, è rinata la possibilità di cittadini ed imprese a
destinare delle risorse nanziarie ai ni dell’utilità sociale, senza la mediazione del potere
politico, ha trovato nella fondazione uno strumento e ciente (es. Fondazione Istituto
Nazionale dei Tumori).
2) La legge nell’ambito del fenomeno delle privatizzazioni ha imposto di trasformare in
fondazioni di diritto privato: a) di singoli enti pubblici; b) intere categorie di enti pubblici (es.
enti lirici e istituzioni concertistiche assimilate in fondazioni lirico-sinfoniche).
3) La legge preveda che possano assumere vesti di fondazione anche i fondi pensione e le
casse di previdenza ed assistenza di liberi professionisti le ex istituzioni pubbliche di
assistenza e bene cenza.
4) Le università statali costituiscono, singolarmente o in forma associata, fondazioni di diritto
privato al ne di realizzare l’acquisizione di beni e servizi alle migliori condizioni di mercato e al
ne dello svolgimento delle attività strumentali o di supporto alla ricerca. Sono anche
consentite le trasformazioni delle università pubbliche in fondazioni di diritto privato, in base
all’ART 16 DL (decreto legge).
Il patrimonio del comitato è, di regola, costituito dai fondi pubblicamente raccolti: su tali fondi
grava un vincolo di destinazione allo scopo programmato (= fondazione): solo l’autorità
governativa è legittimata, qualora i fondi raccolti fossero insu cienti alla realizzazione dello
scopo, a dare ai fondi una diversa destinazione, sempre che non sia diversamente stabilito dal
programma.
La distrazione dei fondi raccolti dalla destinazione del programma comporta la responsabilità dei
promotori e degli organizzatori nei confronti: 1) del comitato, 2) degli oblatori, 3) dei terzi designati
come bene ciari (ART 40)
Lo scopo del comitato deve essere di pubblico interesse o di tipo altruistico; non è invece
necessario che vi sia una durata di tempo limitata, anche se in concreto è abbastanza frequente
(es. comitati sorti per far fronte alle esigenze delle vittime in seguito ad una calamità naturale).
Ai sensi della L 20 maggio 1985, personalità giuridica è attribuita agli enti ecclesiastici
civilmente riconosciuti appartenenti alla Chiesa cattolica (diocesi, parrocchie, ..), per i quali è
prevista l’iscrizione nel registro delle persone giuridiche.
Peraltro, la dottrina si interroga se detti enti abbiano:
1) natura privatistica
2) o costituiscano una sorta di tertium genus, non riconducibile né ad enti privati, né ad enti
pubblici.
Discorso analogo può ripetersi per enti facenti a capo ad altre confessioni religiose (ART 8
Cost)
Poiché la legge annovera tra gli enti privati, accanto alle associazioni e alle fondazioni, anche altri
enti di carattere privato, l’opinione prevalente sembra ammettere la possibilità della costituzione di
enti caratterizzati dalla combinazione di enti tipici (associazione e fondazione) o anche enti atipici.
Mentre la dottrina si interroga sui possibili limiti di operazione dell’autonomia privata, la prassi si
consegna sempre più frequentemente alla fondazione di partecipazione: si tratta di una
fondazione in cui, a determinati soggetti che contribuiscano i modo continuativo alla realizzazione
degli scopi con versamenti in denaro o prestazione di servizi, è riconosciuta la quali ca di
“partecipante”, che si può perdere per recesso o reclusione.
TERZO SETTORE
La crisi del welfare state, il declino del modello patriarcale ed altri fattori hanno contribuito allo
sviluppo del terzo settore, a partire dagli anni ’70. Il terzo Settore si occupa della realizzazione di
attività di utilità sociale ad opera di enti no pro t (senza ni di lucro) espressione della società
civile.
All’inizio degli anni ’90 si è assistito al proliferare, spesso in modo scoordinato e disorganico, di
interventi normativi volti a promuovere il terzo Settore. La materia è stata recentemente oggetto di
una revisione organica, nel cosiddetto Codice del Terzo Settore varato con il D.Lgs luglio 2017.
Qui viene innanzitutto fornita una de nizione di ente del Terzo Settore, per tale dovendosi
intendere un ente
1) a carattere privato che,
2) senza scopo di lucro,
3) persegue delle nalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale
4) mediante lo svolgimento in via esclusiva o principale di attività di interesse generale
5) è iscritto nel registro unico nazionale del terzo settore, che è istituito presso il Ministero del
lavoro.
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La quali ca di ETS (Ente Terzo Settore) è espressamente preclusa alle 1) fondazioni bancarie, 2)
alle formazioni di associazioni politiche, 3) ai sindacati, alle associazioni professionali e di
rappresentazione di categorie economiche, 4) alle associazioni di datori di lavoro.
Agli ETS è di regola consentito lo svolgimento di attività di impresa, sia in via esclusiva o
principale -> attraverso quest’attività, raggiunge gli obiettivi istituzionali e sono soggetti all’obbligo
d’iscrizione del registro nazionale del terzo settore e in quello delle imprese, sia in via secondaria
e strumentale -> esercizio di attività di impresa nalizzato a supportare l’attività di interesse
principale.
Qualora gli ETS esercitino attività di impresa, perseguendo il lucro oggettivo, resta comunque
precluso loro il lucro soggettivo: è infatti vietata loro la distribuzione, anche indiretta, di utili ed
avanzi di gestione, fondi e riserve 1) sia nel corso della vita dell’ente, 2) sia in ipotesi di
scioglimento individuale, 3) sia nel caso di estinzione o scioglimento dell’ETS.
Gli ETS devono tenere il bilancio di esercizi e devono depositarlo presso il registro unico
nazionale del terzo settore.
Se esercitano la loro attività in modo esclusivo o principale in forma di impresa commerciale, essi
devono tenere le stesse scritture contabili che il codice civile impone alle imprese
commerciali e redigere il bilancio di esercizio, depositandolo presso il registro delle imprese
secondo le modalità e i contenuti previsti per le società di capitali.
Essendo loro precluso lo scopo di lucro, essi assumono le forme giuridiche contemplate
all’interno del libro I del codice civile, ossia: 1) associazione, 2) fondazione, 3) altri enti a carattere
privato.
Peraltro, la disciplina dettata dal codice civile trova applicazione agli ETS costituiti in forma di
associazione o fondazione, nel caso in cui non ci sia deroga dal codice del Terzo Settore: questo,
infatti, prevede che gli ETS costituiti in forma di associazione riconosciuta o di fondazione
acquistano personalità giuridica mediante l’iscrizione al registro unico nazionale del terzo
settore, previo controllo di legittimità del relativo atto costitutivo ad opera del notaio;
inoltre, essi possono acquistare idoneità giuridica solo qualora il loro patrimonio sia superiore a
15’000 euro, se associazioni, e a 30’000 euro, se fondazioni.
Per gli ETS costituiti in veste di associazione, il Codice del Terzo Settore prevede che siano
costituiti da:
1) Assemblea: a ciascun socio compete inderogabilmente un voto
2) Organo amministrativo: nominato dall’assemblea, ai cui componenti trovano competenza in
termini di con itto di interessi, di responsabilità, di controllo giudiziale
3) Organo di controllo: deputato a vigilare sull’osservanza della legge, dello statuto, dei principi
di corretta amministrazione, dell’adeguatezza dell’assetto organizzativo amministrativo e
contabile ed esercitare, eventualmente, la revisione leggibile dei conti.
Accanto alla gura generale, sono state tratteggiate delle gure tipiche di ETS:
1) Organizzazioni di volontariato: possono assumere solo la forma giuridica di associazione
riconosciuta o non, svolgono un’attività di interesse generale prevalentemente a favore di terzi
estranei all’associazione. Si avvalgono principalmente delle attività di volontariato degli
associati o delle persone aderenti agli enti associati.
2) Associazioni di promozione sociale: possono costituirsi solo in veste di associazione,
riconosciuta o non. Svolgono delle attività di interesse generale, in favore dei consociati, di
loro familiari o di terzi, avvalendosi prevalentemente all’attività dei loro consociati o delle
perone aderenti agli enti associati.
3) Enti lantropici: possono costituirsi solo in forma di associazione riconosciuta o fondazione,
svolgono attività di erogazione di denaro, beni o servizi anche di investimento a sostegno di
categorie di persone svantaggiate
4) Imprese sociali: possono essere società lucrative o mutualistiche previste dal codice e
disciplinate del libro V. Sono caratterizzate dal fatto di esercitare in via stabile e principale
un’attività di impresa nei settori di attività indicati.
5) Cooperative sociali: possono assumere solo ed esclusivamente la veste giuridica della società
cooperativa (a scopo mutualistico), acquistando di diritto la quali ca di imprese sociali e
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operano nel settore dei servizi socio-sanitari ed educative e nelle attività di inserimento
lavorativo delle persone svantaggiate.
6) Reti associative: possono costituirsi solo in forma di associazione riconosciuta o non e
svolgono principalmente attività di coordinamento, tutela, rappresentanza, promozione o
supporto degli enti del terzo settore loro associati.
7) Società di mutuo soccorso: possono assumere la veste di società lucrativa di capitali,
sebbene non possano svolgere attività di impresa: essi svolgono attività di erogazione di
contributi, sussidi e servizi in favore dei soci e dei loro famigliari conviventi.
Il codice del terzo settore predispone una serie di misure di promozione e sostegno a favore degli
ETS.
La riforma del Titolo V della Costituzione ha enunciato “l’autonoma iniziativa dei cittadini singoli
ed associati per lo svolgimento di attività di interesse generale sulla base del principio di
sussidiarietà (ART 118 Cost): tale principio consiste nel fatto che il potere pubblico è legittimato
ad intervenite direttamente nel settore solo quando nessun privato sia disponibile ad operare o il
livello dei servizi o erti dal privato sia inferiore al minimo essenziale -> carattere residuale
dell’intervento pubblico.
I diritti di personalità competano anche agli enti, non importa se dotati o meno di personalità
giuridica.
Si discute se ai soggetti diversi dalla persona sica competa il diritto all’immagine: la risposta è
negativa, se si ritiene che tale diritto abbia ad oggetto solo le sembianze della persona sica; è
però positiva, se si considera che esso possa avere come oggetto qualunque elemento visibile
(es. stemma, logo, emblema, …).
La cosa è una parte di materia che sia fonte di utilità e oggetto di appropriazione.
Non ogni cosa è un bene, infatti non sono beni:
1) Le cose da cui non si può trarre vantaggio alcuno (es. stelle)
2) Le res communes omnium, ossia le cose di cui tutti possono usufruire, senza impedirne una
pari fruizione da parte degli altri consociati (es. luce del sole)
Il bene sono le cose che possono formare oggetto di diritto (ART 810 cc): quelle cioè che
sono suscettibili ad appropriazione e di utilizzo e che dunque possono avere un valore. Essi sono
una species all’interno del genus delle cose. Tale nozione è ripresa anche nell’ART 2082 cc, ove
l’attività di impresa viene riassunta nella classica forma della produzione o scambio di beni o di
servizi.
In senso giuridico, il bene non è tanto la res come tale, quanto il diritto sulla res: è proprio
questo, infatti, ad avere un valore in funzione della sua negoziabilità (tant’è che sulla medesima
res possono concorrere più diritti: es diritto di proprietà, usufrutto, ipoteca che concorrono sullo
stesso fondo). È lo stesso legislatore ad usare “bene” come sinonimo di “diritto”, ad es
ART 2740 cc:”Il debitore risponde all’adempimento dell’obbligazione con tutti i suoi beni presenti
o futuri”. Qui, per di più, il termine bene indica tutti i diritti patrimoniali e non soltanto quelli sulle
cose: è proprio questa l’accezione in cui bene viene maggiormente impiegato all’interno del
codice. Dunque, il termine bene designa un genus ampio, che comprende oltre ai diritti sulle res
anche altri diritti (es. di credito).
Le cose, in quanto corporee ed idonee ad essere percepite con i sensi o con strumenti materiali,
costituiscono i beni materiali. Il legislatore vi comprende anche le energie naturali (es. l’energia
elettrica).
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Diversa è l’analisi dei beni immateriali. Tali vengono considerati:
• Diritti, quando oggetto di negoziazione (es. ART 1260 cc, il credito che può essere oggetto di
cessione, anche a titolo oneroso)
• Strumenti nanziari, destinati alla negoziazione sui mercati regolamentati per i quali DPR art 4
e 11 30 dicembre 2003 impone la dematerializzazione (= l’emissione e la circolazione
avvengano tramite mere scritture contabili e non tramite un sopporto cartaceo, che è una res)
• Dati personali
• Contenuto delle banche-dati, ove non diversamente tutelato (es. diritto d’autore) risulta
protetto (qualora per la sua costituzione siano stati e ettuati investimenti rilevati di mezzo
nanziari, di tempo o lavoro) attraverso: 1) l’attribuzione al suo titolare del diritto di opporsi
all’estrazione o al reimpiego della totalità o di una parte sostanziale del contenuto; 2)
imposizione al legittimo utilizzatore del divieto di eseguire operazioni a) contrastanti con la
normale gestione della banca-dati; b) che arrechino un pregiudizio al costitutore della banca
• Opere di ingegno (es. opere letterarie, pittoriche, …) che costituiscano una creazione
intellettuale dell’autore. Peraltro, soprattuto per le arti gurative, le opere di ingegno vengono a
costituirsi attraverso il corpus mechanicum (un sostrato materiale indispensabile). Si pongono
dunque i problemi:
- Rapporto del diritto di autore sul risultato della sua attività creativa: il diritto di autore spetta
sempre e comunque all’autore. Pertanto, qualora l’oggetto dell’attività creativa venga
venduta, egli non sarà più il proprietario della tela, 1) ma ne avrà la paternità, così come il 2)
diritto di opporsi a qualunque danno all’opera stessa, che possa essere pregiudizio al suo
onore e alla sua reputazione (ART 2577 cc)
- Diritto reale sull’oggetto che costituisce il supporto sico all’idea: il proprietario della res può
disporre del bene in base al suo diritto di proprietà
• La ditta, l’insegna, il marchio, le invenzioni e altri possibili oggetti di proprietà industriale
• Know-how, patrimonio di conoscenze per attuare un processo produttivo
• Testata giornalistica
• Radiofrequenze
• …
BENI MOBILI ED IMMOBILI (ART 812 cc)
Le due categorie sono sottoposte a un regime giuridico diverso (es. acquisto in virtù del
possesso, ART 1153, 1158)
BENI REGISTRATI
Talune vicende (es. trasferimento di proprietà) sono oggetto di iscrizione nei registri pubblici, che
chiunque può consultare (ART 2673 cc). I beni che vengono registrati sono detti beni registrati.
PRODOTTI FINANZIARI
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I beni designati come prodotti nanziari sono stati individuati al ne del loro assoggettamento alla
disciplina per la tutela degli investitori e il buon funzionamento dei mercati di capitali.
Per prodotti nanziari si intendono tutte le forme di investimento di natura nanziaria (esclusi i
depositi bancari e postali).
Tra i prodotti nanziari, si trovano gli strumenti nanziari il cui tratto comune è l’idoneità a
formare oggetto di negoziazione sul mercato di capitali (ovvero azioni, obbligazioni ed altri
titoli di debito emessi dalla società per capitali, buoni tesoro, quote di organismi di investimento
collettivo).
Le legge impone di predisporre un prospetto informativo a chiunque voglia e ettuare un’o erta
al pubblico di prodotti nanziari. Il prospetto informativo, steso in forma analizzabile e
comprensibile, deve contenere le informazioni necessarie a nché gli investitori possano pervenire
a un fondato giudizio in merito alla situazione patrimoniale- nanziaria e sui risultati economici. Il
prospetto informativo è sottoposto al controllo della Consob e dev’essere reso conoscibile
attraverso la sua pubblicazione.
A maggior tutela del risparmiatore, la legge riserva l’esercizio professionale nei confronti del
pubblico dei “servizi e delle attività di investimento” a banche e imprese di investimento
autorizzate.
La di erenza tra fungibilità ed infungibilità dipende innanzitutto dalla natura dei beni.
Essa può anche derivare dalla volontà delle parti: le parti possono infatti attribuire un valore
infungibile ad oggetti che comunemente sono considerati fungibili (es. voglio una certa copia del
libro perché la voglio donare una persona cara).
Inoltre, un broccardo avverte: genus numquam perit, che signi ca che può andar perduta una
certa quantità di un dato bene, ma non l’intero genere (può andar perduta la tanica di vino che
dovevo rendere, non mi libero dall’obbligo di consegnare il vino al mio creditore, ma
semplicemente devo procurarmene dell’altro).
Anche la di erenza tra beni consumabili e beni inconsumabili ha rilevanza a livello di regime
giuridico:
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1) Usufrutto (= ART 996 cc, diritto reale con il quale si attribuisce il godimento di uno o più beni
a una persona diversa del proprietario, con l’obbligo restituire lo stesso o gli stessi e di
rispettarne la destinazione economica: ius utenti fruendo, salva rerum substantia) -> beni
inconsumabili + deteriorabili (l’usufruttuario è tenuto a restituire i beni deteriorabili nello stato
in cui si trovano)
2) Quasi-usufrutto (ART 995 cc, Il quasi-usufruttuario ha diritto di servirsi dei beni e deve
restituirne il valore al termine dell’usufrutto) -> beni consumabili.
Frutti naturali: sono prodotti direttamente dall’altro bene, che vi concorra o meno l’opera
dell’uomo (es. prodotti agricoli).
La produzione deve avere carattere periodico e non incidere né sulla sostanza né sulla
destinazione economica della cosa madre (es. il legname che deriva dal taglio di un pioppeto).
Finche non avviene la separazione dal bene che li produce, i frutti naturali sono pendenti: ciò
signi ca che sono parte della cosa fruttifera (= la cosa madre). Essi sono considerati beni futuri e
possono essere considerati oggetto di rapporti obbligatori.
Solo con la separazione dalla cosa fruttifera essi acquistano una loro distinta individualità,
divenendo frutti separati e divengono oggetto autonomo del diritto di proprietà.
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Se le spese della produzione e/o raccolta dei frutti sono state sostenute da persona diversa
rispetto al proprietario, quest’ultimo deve e ettuare un rimborso, qualora le spese non superino il
valore dei frutti: in caso contrario, il rimborso spetta no a tale valore (ART 821 cc) -> fructus non
intelleguntur nisi deductis impensis.
Frutti civili: si ritraggono dalla cosa come corrispettivo del godimento che altri ne abbia
(es. se io concedo l’appartamento in locazione, mi viene dato il canone di locazione).
Ricavo dunque dalla cosa un quid che non è naturalmente prodotto da essa, ma sostituisce le
utilità che avrei ricavato dalla cosa. Anche questi, come i frutti naturali, debbono presentare il
requisito della periodicità. Essi si acquisiscono giorno per giorno, in funzione della durata del
diritto (il canone di locazione va diviso tra alienante e acquirente in proporzione della durata dei
rispettivi diritti).
COMBINAZIONE DI BENI
PERTINENZE
Nella cosa composta, gli elementi che la costituiscono diventano parti di un tutto e senza essi il
tutto non può sussistere.
Se, invece, una cosa è posta a servizio ed ornamento di un’altra, senza costituirne parte
integrante e senza essere indispensabile per la sua esistenza, si parla di pertinenza (ART 817 cc).
Per la costituzione del rapporto pertinenziale, devono concorrere:
• Elemento oggettivo: il rapporto di servizio o ornamento tra la cosa accessoria e quella
principale
• Elemento soggettivo: la volontà di e ettuare la destinazione di una cosa a servizio od
ornamento di un’altra.
La destinazione di una cosa a servizio ed ornamento di un’altra fa sì che l’una cosa abbia
carattere accessorio rispetto all’altra, che assume una posizione principale. Se manca il vincolo
di accessorietà, non vi è gura di pertinenza.
Il vicolo che sussiste fra due cose dev’essere durevole, ossia non occasionale.
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Il vincolo di pertinenza può essere posto in essere solo da colui che è il proprietario della cosa
principale, cioè da chi ha un diritto reale su di essa.
La giurisprudenza enuncia che per potersi veri care un vincolo di pertinenza, è necessario che la
1) cosa accessoria appartenga al proprietario della cosa principale o che il 2) proprietario
abbia la disponibilità, anche semplicemente in virtù di un rapporto obbligatorio.
In ogni caso, il vincolo che si crea tra la cosa principale e quella accessoria non pregiudica i
diritti che terzi possano esercitare sulla cosa accessoria: questi possono infatti rivendicare la
propria cosa, sebbene posta al servizio di un’altra (ART 819 cc)
Tuttavia, il vincolo pertinenziale può creare a terzi la convinzione che le pertinenze appartengano
al proprietario della cosa principale. La legge tutela perciò, entro certi limiti, la buona fede di
terzi:
• Costituzione della pertinenza: i terzi, proprietari delle pertinenze, possono rivendicarle contro
il proprietario della cosa principale: se, tuttavia, costui ha alienato la cosa principale senza
esclusione della pertinenza, l’ART 819 cc protegge i terzi acquirenti, sempre che ignorassero
che la pertinenza non appartenesse al proprietario della cosa principale.
3) Se la cosa è un bene immobile o mobile registrato: ai terzi in buona fede non si può
opporre resistenza di diritti altrui sulle pertinenze
4) Se la cosa è un bene mobile non registrato: il terzo acquirente è protetto in base al
principio “possesso vale titolo”, ART 1153
• Cessazione della pertinenza (ART 818, comma 3): la cessazione della qualità di pertinenza
non è opponibile ai terzi che abbiano anteriormente acquistato diritti sulla cosa principale (es. la
cosa principale viene venduta a Tizio senza esclusione di pertinenze e queste vengono
successivamente vendute e Caio, la seconda vendita non può essere opposta a Tizio).
Di regola, le pertinenze seguono lo stesso destino della cosa principale, a meno che non sia
espressamente disposto (ART 818 cc)
-> es. se dò un bene in locazione, l’atto ha oggetto anche le pertinenze, pur se di queste non ne si
faccia cenno e sempre che le parti non esprimano una diversa volontà.
Sono ammissibili contratti che riguardino le sole pertinenze (es. vendita o comodato di una
so tta).
L’ART 816 cc de nisce “universalità” la pluralità di cose mobili che 1) appartengono alla
stessa persona, 2) hanno destinazione unitaria (es. i libri di una biblioteca).
I beni che costituiscono l’universalità (ART 816 cc) possono talvolta essere considerati
separatamente, a volte come un tutt’uno. Ciò dipende dalla volontà delle parti (es. posso
scegliere se vendere un libro o l’intera biblioteca) ed assume particolare importanza l’usufrutto
(es. se l’usufrutto è stabilito su un gregge, gli animali che nascono non sono considerati come
frutti e non appartengono all’usufruttuario, come invece avverrebbe se l’usufrutto fosse costituito
su ciascun animale).
L’ordinamento giuridico stabilisce per l’universitas un regime diverso rispetto a quello per le cose
mobili:
• es. il principio “possesso vale titolo” non si applica all’universalità di immobili (ART 1156
cc): così, se acquisto un’universalità di mobili da chi non ne è il proprietario, non ne divento
subito il proprietario per e etto della trasmissione del possesso come avviene per le cose
mobili, ma occorre che io abbia il possesso dell’universalità per 10 anni -> usucapione ART
1160 cc
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• es. il possesso dell’universalità di mobili può essere tutelato con la manutenzione (ART 1170
cc), che non è invece concessa per le cose mobili
Il codice non riconosce che la gura generica dell’universalità di mobili (ART 816 cc).
La dottrina, pertanto, distingue tra:
• Universalità di fatto (universitas facti o universitas rerum): più beni immobili unitariamente
considerati
• Universalità di diritto (universitas iuris): costituita di più beni (o rapporti giuridici) la cui
riduzione ad unità è opera dalla legge
Vi è però da dubitare della validità teorica, nonché dell’utilità pratica, della riconduzione a
universalità di fatto e di diritto.
AZIENDA
L’ART 2555 cc de nisce l’azienda come “un complesso di beni organizzati dall’imprenditore per
l’esercizio dell’impresa,” ossia per la produzione di beni o di servizi o per lo scambio di beni o
servizi.
L’azienda è dunque costituito da un insieme di beni collegati tra loro da un nesso di dipendenza
reciproca, per servire al ne produttivo comune.
Tra gli elementi che caratterizzano l’azienda, ha grane importanza l’avviamento, che indica la
capacità di pro tto dell’azienda. Disputata è la natura dell’avviamento: alcuni lo identi cano con
la clientela (che è piuttosto l’e etto dell’avviamento); altri lo considerano come un bene
immateriale in qualità di prodotto dell’ingegno (successo dell’impresa deriva dall’intraprendenza e
dall’iniziativa dell’imprenditore); altri ancora, lo considerano come un qualità dell’azienda.
Secondo la Cassazione, l’avviamento è una qualità immateriale dell’azienda, che può anche
mancare (es. l’azienda di nuova formazione, non ancora entrata in attività).
La sede è dove si svolge l’attività id impresa è tutelata dalla L 27 luglio 1978 “Disciplina delle
locazioni di immobili urbani”: tale disciplina ha previsto che, qualora venga a cessare la locazione
dell’immobile (purché non a seguito di inadempienza, disdetta o recesso da parte dello stesso
conduttore) essa abbia diritto a un indennizzo (= indennità per la perdita di avviamento).
PATRIMONIO
L’ART 2740 cc enuncia che:”Il debitore risponde delle obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e
futuri”: ogni soggetto ha un patrimonio ed un solo patrimonio, con il quale risponde delle proprie
obbligazioni.
Di massima, non è concesso al singolo di staccare alcuni beni o dei rapporti giuridici dal suo
patrimonio per riservarli ad alcuni creditori: ciò può avvenire solamente secondo i casi previsti
dalla legge ART 2740 comma 2:”Limitazioni della responsabilità sono ammesse solo nei casi
previsti dalla legge”).
Peraltro, specie recentemente, sono andate moltiplicandosi le ipotesi in cui fosse concesso dalla
legge la separazione di taluni cespiti o categorie di cespiti dal resto del patrimonio del medesimo
soggetto. Su detti cespiti, il patrimonio separato, possono agire non già tutti creditori, ma
solamente alcuni di essi (es. il patrimonio di colui che ha accettato l’eredità con bene cio di
inventario, sul quale non possono far valere le proprie ragioni i creditori del defunto e i legatari,
ART 490 cc).
Si distingue dal patrimonio separato (= fenomeno del distacco di una parte del patrimonio che
continua ad appartenere allo stesso soggetto) il patrimonio autonomo (= fenomeno del distacco
del patrimonio, che viene attribuito a un nuovo soggetto, mediante la creazione di una persona
giuridica o anche di un ente, anche se sprovvisto di personalità.
I beni demaniali sono assoggettati a un regime particolare: essi, infatti, sono soggetti:
1) Incommerciabilità: non possono formare oggetto di negozi di diritto privato ART 823 cc
2) Non possono essere oggetto di possesso (ART 1145)
3) Non possono essere acquistati per usucapione da privati
4) Non sono assoggettabili ad esecuzione forzata
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5) Non possono essere espropriati per utilità pubblica
A tutela dei beni demaniali, la P.A. può ricorrere a rimedi giurisdizionali che la giurisprudenza rileva
a tutela della proprietà o del possesso, ma anche procedere con l’autotutela, ART 823 cc (in
via amministrativa: sanzioni pecuniarie/esercitando preti di polizia demaniale, es ordini di
sgombero).
I beni demaniali appartenente a un ente pubblico, anche non patrimoniale, si de niscono beni
patrimoniali, che si distinguono in:
• Patrimonio indisponibile (immobili o mobili), ART 824 cc: es. foreste, miniere, … che non
possono essere sottratti alle rispettive destinazioni, se non con le modalità previste dal diritto
pubblico. Essi, dunque, non sono oggetto di usucapione e, sebbene possano formare oggetto
di negozi diritto privato, sono comunque gravati da un vincolo di destinazione all’uso pubblico
• Patrimonio disponibile, che non sono destinati immediatamente al perseguimento di ni
pubblici e sono soggetti, salvo deroghe, al codice civile (es. sono usucupabili).
Il principio costituzionale della tutela della personalità umana anche nell’ambiente in cui essa si
svolge (ART 2, 9, 42 Cost) impone una peculiare considerazione non solo dei poteri pubblici, ma
anche per i beni comuni , ossia beni che indipendentemente dall’essere di proprietà privata o
pubblica risultano funzionali al perseguimento e alla realizzazione di interessi collettivi, per i quali
viene assicurato un uso diretto della collettività stessa, es. strade vicinali: di proprietà privata, ma
soggette al pubblico transito.
Questi si di erenziano dai beni collettivi, ovvero 1) le terre di originaria proprietà collettiva della
generalità degli abitanti, o 2) assegnate in proprietà collettiva agli abitanti di un comune o di una
frazione, o 3) proprietà di soggetti pubblici o privati, sulle quali i residenti del comune esercitano
usi civici non ancora liquidati, 4) corpi idrici il cui regime giuridico è caratterizzato dalla:
1) Inalienabilità
2) Indivisibilità
3) Perpetua destinazione agro-pastorale
4) Inusucubabilità
5) A damento alla relativa amministrazione di enti esponenziali della collettività titolare
Ai beni degli enti ecclesiastici trovano applicazione le norme del codice civile, ove non
diversamente previsto dalle leggi speciali.
Per quanto riguarda il regime giuridico delle Chiese destinate all’esercizio pubblico del culto
cattolico, va ricordato che esse possono appartenere anche a privati e dunque essere tutelate
dalla disciplina del diritto privato. Ciononostante, non possono essere sottratte alla loro
destinazione e culto, no al momento della loro sconsacrazione, che avviene secondo le regole
del diritto canonico (ART 831): ciò importa una limitazione del diritto di proprietà spettante al
loro titolare.
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IL FATTO, L’ATTO E IL NEGOZIO GIURIDICO
FATTI GIURIDICI
Per fatto giuridico si intende qualsiasi avvenimento cui l’ordinamento ricolleghi conseguenze
giuridiche (con o senza l’intervento della comunità umana) -> es. ritrovamento del tesoro (ART
932): dalla sua invenzione ci sono delle conseguenze giuridiche
I fatti si distinguono in:
• Fatti materiali: qualora si veri chi un mutamento delle cose esistenti in rerum natura (nel
mondo sico o sensibile: es. abbattimento di un albero, distruzione di un documento)
• Fatti interni (o psicologici) e omissioni
Si parla di fatti giuridici in senso stretto, quando determinate conseguenze giuridiche sono
poste in relazione ad un certo evento, senza che assuma rilievo se a causarlo sia intervenuto o
meno l’uomo (es. morte di una persona, che provoca l’apertura della successione mortis causa).
Si parla, invece, di atti giuridici quando l’evento causativo di conseguenze giuridiche consiste in
un’azione umana (es. l’occupazione di una res nullius).
Si parla, invece, di atti giuridici quando l’evento causativo di conseguenze giuridiche consiste in
un’azione umana (es. l’occupazione di una res nullius). Dunque, l’atto giuridico presuppone la
presenza della volontà del soggetto agente; le conseguenze giuridiche dell’operato di quell’atto si
veri cano indipendentemente e autonomamente dalla direzione volitiva dell’atto.
NEGOZIO GIURIDICO
La gura del negozio giuridico è stata elaborata dalla dottrina tedesca nel XIX secolo (in
particolare, dalla scuola pandettistica), mediante l’astrazione dai più frequenti tipi di atti: contratto,
testamento, matrimonio. In tutti questi casi, la volontà manifestata tramite delle dichiarazioni
(unilaterali, bilaterali, plurilaterali) produce degli e etti giuridici, creando modi cando od
estinguendo delle situazioni giuridiche. La regola dettata da volontà privata ha dunque “forza
di legge tra le parti”, come enunciato nell’ART 1372.
Il negozio giuridico è dunque una dichiarazione di volontà, con la quale viene enunciato l’intento
empirico (= e etti perseguiti) ed alla quale l’ordinamento - se la nalità dell’atto è meritevole di
tutela e se esso risponde ai requisiti ssati dalla legge per le singole gure negoziali - ricollega
e etti giuridici conformi al risultato voluto dal dichiarante. Assume importanza il contenuto
volitivo del soggetto, che dev’essere volto a produrre fatti giuridicamente rilevanti.
Dunque, la dichiarazione di volontà del negozio giuridico mira a produrre quella determinata
conseguenza (es. di da ad adempiere !!!: una delle due parti è inadempiente al contratto; l’altra
parte può: 1) risolvere il contratto = terminarlo; 2) scrivere una di da, dicendo “hai tot giorni per
adempiere all’obbligazione, sennò riterrò risolto il contratto” -> gli e etti che il soggetto agente
vuole si veri cano, se menzionati espressamente pena la perdita di e cacia.
Il fenomeno negoziale risponde all’esigenza di creare una sfera di autonomia, entro la quale i
privati possano decidere in che modo regolare i propri interessi, ottenendo dalla legge che gli atti
posti in essere siano vincolanti ed impegnativi: ciò comporta il potere dei privati di creare una
regola giuridica dei loro rapporti, nei limiti e con le forme prescritte dalla legge e con e cacia
circoscritta alle parti del negozio.
Il nostro Codice non dedica un’apposita disciplina al negozio giuridico: in esso sono regolate
alcune speci che gure negoziali (es. contratto: ARTT 1321-1469 cc, ma anche matrimonio e
testamento), ma non il negozio in generale.
Peraltro, al contratto il Codice Civile dedica una disciplina articolata, che si estende all’intero titolo
II del Libro IV.
Il contratto è un negozio giuridico, come a erma l’ART 1321 cc:”Il contratto è l’accordo di due o
più parti per costituire, modi care o estinguere un rapporto giuridico patrimoniale”. Il matrimonio,
invece, è un negozio giuridico bilaterale, ma non nasce come contratto (in quanto è di natura non-
patrimoniale).
L’ART 1324 cc dispone che:”Salvo diverse disposizioni di legge, le norme che regolano i contratti
si osservano, in quanto compatibili, per gli atti unilaterali tra vivi aventi contenuti patrimoniali”. Ciò
rende la disciplina relativa al contratto applicabile a tutti gli altri negozi giuridici inter vivos,
costituendo il paradigma della disciplina dei fenomeni negoziali.
Tale disciplina è però circoscritta ai negozi dal contenuto di natura patrimoniale: i negozi aventi
carattere non-patrimoniale presentano pro li eterogenei rispetto alla disciplina del contratto.
Dunque, la possibilità di far riferimento al contratto dev’essere considerata in relazione a ciascun
negozio giuridico che viene preso in esame e non applicato a tutti i negozi giuridici
indistintamente.
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CLASSIFICAZIONE DEI NEGOZI GIURIDICI
Negozio unilaterale:
Se il negozio giuridico è perfezionato da una sola parte esso è detto negozio unilaterale. Non si
deve però confondere la nozione di parte con quella di individuo: infatti, per parte si intende
“centro di interessi”. Si può dunque avere una parte composta da una pluralità di persone e in
tal caso si parla di parte soggettivamente complessa.
Negozio plurilaterale:
Il negozio plurilaterale presuppone la partecipazione di almeno tre parti, ciascuna delle quali si
rende portatrice di una posizione di interesse (es. contratto associativo, divisione di una
comunione).
Negozio bilaterale:
Il negozio bilaterale presuppone la partecipazione di due parti. Ammesso è il negozio bilaterale
che abbia struttura plurisoggettiva: ciò signi ca che una parte è composta da più soggetti (es.
due coniugi acquistano la casa -> contratto bilaterale: la parte acquirente è costituita dai due
coniugi).
La legge presume la gratuità (es. deposito, ART 1767) o l’onerosità (es. mutuo, ART 1805) del
negozio.
Taluni contratti sono essenzialmente gratuiti, come la donazione (ART 769).
Di regola, l’acquirente a titolo gratuito è protetto meno intensamente di quello a titolo oneroso (es.
il venditore è tenuto a garantire che la cosa venduta sia immune da vizi, ART 1490-1496); il
donante, invece, se non è in dolo, non risponde dei vizi della cosa donata (ART 768).
La gratuità non coincide con la liberalità: la liberalità, infatti, rappresenta la causa della
donazione. La gratuità, invece, è una categoria più ampia rispetto alla liberalità, in quanto
comprende tutti i casi di attribuzioni patrimoniali o prestazioni a fronte della quali non si ponga
una speci ca controprestazione da parte del destinatario, che però possono essere sorrette
dall’intento liberale de disponente (es. l’imprenditore organizza un servizio gratuito di trasporto dei
dipendenti alla sede di lavoro).
Vi è anche al gura del negozio misto di gratuità ed onerosità, de nito dal broccardo “negotium
mixtum cum donatione”.
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RINUNZIA
Non è escluso che altri possano trarre vantaggio dalla rinunzia, ma esso può derivare solamente
occasionalmente e indirettamente dalla perdita del diritto (es, la rinunzia all’usufrutto, comporta
che il potere di godere della cosa torna al proprietario: tale conseguenza è però indiretta, poiché
in sé produce solamente l’estinzione del diritto di usufrutto).
Vige dunque il principio di elasticità del dominio, in base al quale la proprietà, prima compressa,
riprende automaticamente la sua espansione originaria, non appena il diritto che la comprimeva
viene meno). La rinuncia, dunque, non deve farsi con la forma di atto pubblico prevista per la
donazione.
S’intende che non ricorra la gura della rinunzia se la dismissione del diritto è fatta attraverso un
corrispettivo; in tale ipotesi, manca la gura dell’unilateralità che caratterizza la rinunzia (es. ART
478, la rinunzia dell’eredità verso corrispettivo determina l’accettazione della stessa).
DICHIARAZIONE
Altra questione attiene alla rilevanza del silenzio della PA di fronte a speci che istanze del
privato; in tal caso, le conseguenze sono regolate dalle norme di settore, che attribuiscono e etti
determinati all’inerzia dell’Autorità.
FORMA
Di regola, l’ordinamento non impone rigidi formalismi nell’esternamento della volizione del
soggetto, al ne di riconoscere gli e etti giuridici degli atti dei privati. Vige dunque il principio della
libertà della forma.
Nel caso del contratto, non esiste un regime normante generale ed uniforme, ma varia in
relazione:
• All’oggetto del contratto (es. per gli atti relativi ai diritti reali su beni immobili è richiesta una
forma scritta)
• Al tipo di contratto (es. il contratto di donazione, se abbia oggetto non di modico valore,
dev’essere perfezionato mediante un atto pubblico e in presenza di due testimoni)
• Ai connotati di una categoria di contratti (es. i contratti relativi alle operati e ai servizi delle
banche).
In tali casi, de niti come “a forma vincolata”, si dice che la forma è richiesta:
1) Ad substantiam: l’atto compiuto in forma diversa da quella legale è nullo.
2) Ad probationem: il requisito di forma è richiesto solo a ni processuali, in quanto l’atto (in
caso di divergenza tra le parti circa la sua e ettiva stipulazione) può essere provato solo
mediante l’esibizione in giudizio del relativo documento
Può talvolta accadere che il requisito di forma non sia imposto dal legislatore, bensì sia posto da
privati: in tal caso, si parla di formalismo convenzionale, come stabilito dall’ART 1352 cc.
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BOLLO E REGISTRAZIONE
Per molti negozi, lo Stato impone la bollatura degli atti a ni scali: acquistando le
marche da bollo, infatti, le parti versano al’Erario l’importo dei valori acquistati. L’inosservanza
della bollatura non porta all’invalidità del negozio, ma solamente ad una sanzione pecuniaria.
Solo la cambiale e l’assegno bancario, se non bollati, pur essendo validi non hanno e cacia a
titolo esecutivo.
La registrazione, che consiste nel deposito del documento presso l’u cio del registro,
ha scopo scali: le parti, infatti, devono pagare un’imposta, di regola proporzionale al valore
economico dell’a are risultante dal negozio sottoposto a registrazione. Essa costituisce inoltre lo
strumento che rende “certa” la data di una scrittura privata di fronte a terzi (ART 2704).
Le vicende giuridiche non interessano solo le parti che ne sono direttamente coinvolte, ma anche
terzi. Per questo motivo, la legge impone che gli atti vengano iscritti nei registri tenuti dalla
Pubblica Amministrazione.
Il tempo è preso in considerazione dall’ordinamento giuridico sotto vari aspetti: spesso, le attività
giuridiche si devono compiere entro certi periodi di tempo determinati. L’in uenza del tempo sulle
vicende giuridiche è regolata dal libro VI del Codice Civile ed è una normativa di ordine pubblico,
poiché regolano il tra co temporale dei diritti. Di qui, la necessità di determinare come i termini
debbano essere calcolati.
Il decorso del tempo può dar luogo all’acquisto o all’estinzione di un diritto soggettivo.
Se il decorso del tempo serve a far acquistare un diritto soggettivo, si parla di usucapione (!!!) o,
a dir si voglia, della prescrizione acquisitiva.
Se il decorso del tempo implica l’estinzione di un diritto soggettivo, si parla di prescrizione
estintiva e di decadenza.
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La prescrizione estintiva produce l’estinzione di un diritto soggettivo, per inerzia del titolare del
diritto stesso, che non lo esercita (ART 2934 cc) o non ne usa per un arco di tempo determinato
dalla legge. -> il diritto muore
La ragione per cui l’ordinamento giuridico riconnette all’inerzia del titolare, protratta nel tempo,
l’estinzione del diritto soggettivo è l’esigenza di certezza dei rapporti giuridici. Infatti, sarebbe
di cile dimostrare la nascita o l’estinzione di un diritto soggettivo quando sia decorso un notevole
lasso di tempo: il diritto è metronomo.
Essendo l’operatività della prescrizione stabilita a tutela dell’interesse generale, le norme che
regolano l’estinzione del diritto per prescrizione e il tempo necessario perché ciò si veri chi sono
inderogabili (ART 2936).
Di conseguenza, le parti:
1) Non possono rinunciare preventivamente alla prescrizione (ART 2937 cc)
2) Non possono né prolungarne né abbreviarne i termini previsti dalla legge (ART 2936 cc).
3) Non possono rinunciare neppure in pendenza del termine prescrizionale (= quando il termine
prescrizionale è in corso), ART 2937 cc. Ciò, infatti, produrrebbe l’interruzione della
prescrizione, che però è applicabile solo in alcuni casi determinati dalla legge.
Tale rinuncia, infatti, diverrebbe una clausola di stile, vendendo dunque apposta in tutti i
contratti, al ne di mantenerne l’e cacia. Inoltre, queste norme sono di ordine pubblico e dunque
sono di rango superiore rispetto a quello individuale.
Diversa, invece, è la rinuncia successiva al decorso del termine di prescrizione. Una volta
veri catasi con il decorso del termine previsto, è ormai interesse esclusivo del soggetto che ne
risulta avvantaggiato farla valere o meno.
Il servirsi della prescrizione estintiva non sempre risulta conforme all’etica, apparendo talvolta
come un impium remedium (es. una volta decoroso il termine della prescrizione, io, debitore,
posso decidere se adempiere all’obbligazione o meno). La legge si rimette dunque alla
valutazione dell’interessato. L’ART 2937 cc, infatti, consente la rinuncia successiva alla
prescrizione dopo che questa si sia compiuta. Intervenuta la rinuncia, dev’essere rilevata d’u cio
dal giudice, se risultante negli atti di causa.
Essendo rimesso alla volontà dell’interessato avvalersi o meno della prescrizione già compiuta, il
giudice non può rilevarla d’u cio: la prescrizione dev’essere eccepita dalla parte che vi ha
interesse (ART 2938 cc) -> se una delle due parti non solleva la prescrizione, peggio per lui: il
giudice è solo metronomo. -> non vale il principio iura novit curia: esso vale solo per norme
positive di diritto e non situazioni di fatto, qual’è la prescrizione.
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In base al principio secondo cui i creditori possono esercitare i diritti spettanti al proprio debitore
con un’azione surrogatoria (ART 2900 cc), essi possono sostituirsi all’interessato e far valere la
prescrizione, sebbene la parte vi abbia rinunciato (ART 2939 cc).
Inoltre, il debitore che abbia pagato spontaneamente, non può farsi restituire quanto versato,
senza che si rilevi se sapesse o meno che il debito era prescritto (ART 2940): si veri ca qui
un’ipotesi di obbligazione naturale (ART 2034 cc= non è ammessa la ripetizione di quanto è
stato spontaneamente pagato).
Di regola, tutti i diritti sono soggetti a prescrizione estintiva. Ne sono peraltro esclusi alcuni diritti
come a ermato nell’ART 2934 cc, che prendono il nome di diritti imprescrittibili:
1) Diritti indisponibili: diritti della personalità + derivanti dallo status personali (es. status di
cittadino) + diritti alla potestà genitoriale + diritto alla cittadinanza + …
2) Diritto di proprietà: non è soggetto a prescrizione estintiva (ART 948 cc), perché anche il non
uso è espressione della libertà del proprietario. Inoltre, la prescrizione ha sempre nalità di
soddisfacimento di un interesse: con la prescrizione del diritto di proprietà, però, non verrebbe
tutelato interesse alcuno, facendo divenire la cosa una res nullius. Anche il proprietario,
peraltro, può perdere il suo diritto, qualora un terzo usucapisca la proprietà del bene (ART 948
cc).
3) Disconoscimento della paternità se promossa dal glio + reclamo dello stato di glio +
impugnazione del riconoscimento del glio, nato al di fuori del matrimonio + dichiarazione
giudiziale di maternità o maternità, se promossa dal glio stesso + petizione di eredità + …
4) Diritti facoltativi, che formano il contenuto del diritto soggettivo. Esse si estinguono solo
quando si estingue il diritto soggettivo o il potere di cui sono manifestazione (es. il proprietario
non perde mai la facoltà di chiudere il proprio fondo).
Il fatto che un diritto sia imprescrittibile, signi ca che posso sempre esercitare il diritto (dato che
ce l’ho), ma se esso viene leso, il diritto al risarcimento del danno che ne deriva non è
imprescrittibile: la prescrizione di tale diritto è di 5 anni.
Presupposto della prescrizione estintiva è l’inerzia del titolare del diritto soggettivo.
Il codice a erma che la prescrizione decorre da quando il fatto è posto in essere; nel caso, però,
in cui il soggetto danneggiato non realizzi del danno posto in essere, si veri cano sinistri lungo
latenti (vedi caso emotrasfusi): la Cassazione ha emesso 5 sentenze a sezioni unite in cui a erma
che la prescrizione decorre da quando la persona danneggiata acquisisce la consapevolezza
soggettiva del danno (la consapevolezza soggettiva fa riferimento al danneggiato medio, che
spesso non ha una cultura su ciente. La consapevolezza soggettiva è legata alla percezione
soggettiva, ossia al fatto che tutti siamo diversi).
Come a erma l’ART 2935 cc, la prescrizione comincia dunque dal giorno in cui il diritto avrebbe
potuto essere esercitato: actio nondum nata non praescribitur.
L’impossibilità di esercitare un diritto, cui fa riferimento l’ART 2935, è quella derivante da cause
giuridiche e non da impedimenti soggettivi e ostacoli di mero fatto (es. ignoranza del titolare
dell’esistenza del suo diritto).
SOSPENSIONE
La sospensione è determinata:
1) Da particolari rapporti intercorrenti fra le parti (ART 2941), es. tra tutore ed interdetto o minore
2) Dalla particolare condizione in cui venga a trovarsi il titolare di un diritto (ART 2942), es la
prescrizione rimane sospesa per i minori non emancipati o per gli interdetti, se privi di
rappresentante legale; terremoto in Abruzzo: crollo del Palazzo di Giustizia
Per quanto concerne i crediti retributivi ai prestatori di lavoro, la giurisprudenza ritiene che il
decorso della prescrizione venga sospeso per tutta la durata del rapporto (es. Corte Cost 1971,
l’inerzia del lavoratore ad azionare i propri diritti che potrebbe essere determinata dal timore del
licenziamento).
Le cause di sospensione della prescrizione sono tassative: ciò signi ca che i semplici
impedimenti di fatto non valgono a sospendere il decorso della prescrizione; del resto, quando
l’impedimento assume un carattere generale, intervengono di regola degli interventi legislativi ad
hoc (es. Covid-19).
Con la sospensione, il decorrere del tempo non viene calcolato. Al termine della sospensione
della prescrizione, però, il tempo trascorso non si sterilizza (non si azzera), ma riprende a scorrere,
considerando il tempo antecedente alla sospensione.
INTERRUZIONE (!!!)
L’interruzione ha luogo nei casi indicati dall’ART 2943 cc:
1) Perché il titolare avvia un procedimento volto all’esercizio del proprio diritto; con la
precisazione che, in ipotesi di instaurazione di giudizio, la prescrizione perdura no alla sua
conclusione o al passaggio in giudicato + avvio di una procedura di mediazione nalizzata alla
conciliazione di controversie civili o amministrative + sottoscrizione (o invito alla stipula) di una
convenzione di negoziazione assistita + dalla domanda presentata dalle parti per l’avvio di
una procedura extra-giudiziale
2) Diritti di credito (e non diritti reali): il titolare pone in essere qualsiasi atto stragiudiziale
idoneo a costituire in mora il creditore
3) Riconoscimento tacito: il soggetto passivo e ettua il riconoscimento dell’altrui diritto (es.
Tizio si riconosce mio debitore, promettendo di pagarmi il prima possibile)
Anche le cause di interruzione della prescrizione sono tassative, cioè sono solo quelle
espressamente indicate dal legislatore.
L’interruzione o la sospensione possono essere rilevate d’u cio dal giudice, sulla base di prove
ritualmente acquisite dagli atti, senza la necessità della domanda posta da una delle parti.????
Con l’interruzione della prescrizione, il tempo che decorre si azzera e conservo il diritto in modo
integro.
Se il titolare di un diritto abbia proposto azione anche nel termine di prescrizione breve e sia
intervenuta sentenza di condanna passata in giudicato, l’actio iudicati (azione diretta
all’esecuzione del giudicato) è soggetta al termine di 10 anni, previsto nella prescrizione ordinaria:
al rapporto giuridico originario, infatti, si sostituisce il diritto che nasce dalla sentenza e,
secondo il legislatore, non valgono le ragioni che giusti cano un periodo prescrizionale più breve.
Le prescrizioni presuntive si distaccano dalla prescrizione estintiva (= vicenda estintiva del diritto,
che consegue dal mancato esercizio dello stesso per un determinato periodo di tempo).
Le prescrizioni presuntive si fondano sulla presunzione che un determinato credito sia stato
pagato o che si sia comunque estinto per e etto di qualche altra causa: dunque la legge
semplicemente presume che si sia veri cata una causa estintiva del diritto (e non determina
la sua estinzione, come la presunzione estintiva). Le prescrizioni presuntive non appartengono al
diritto sostanziale, bensì a quello processuale: siamo dunque al con ne con la procedura civile.
La giurisprudenza ritiene infatti che la parte che voglia sollevare in giudizio l’eccezione di
prescrizione, ha l’onere di puntualizzare se intende avvalersi di quella estintiva o di quella
presuntiva.
L’istituto della prescrizione presuntiva si basa sul fatto che esistono rapporti di vita quotidiana
nei quali l’estinzione del debito avviene, di regola, contestualmente all’esecuzione della
prestazione e il debitore non ha sempre cura di richiedere, e soprattutto conservare, una
quietanza (es. ricevuta), che gli garantisca a distanza di tempo di aver provveduto ad adempiere
all’obbligazione.
La legge, trascorso un breve periodo, presume che il debito relativo alle rispettive prestazioni sia
stato estinto: esso non per forza si estingue, ma si presume che sia stato estinto. La presunzione
fornisce perciò un mezzo di prova indiretto, che collega delle conseguenze a dei fatti noti. Il
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debitore, dunque, se ri utasse l’adempimento che gli è richiesto una volta maturata la
prescrizione presuntiva, è esonerato dall’onere di fornire la prova dell’adempimento
dell’obbligazione, che invece spetta al creditore: sarà perciò il creditore a dover dimostrare che
la prestazione non è stata eseguita (= il debitore non ha sanato il debito), non il contrario.
Tuttavia, contro la presunzione di estinzione non è ammesso qualunque mezzo di prova, ma sono
alcuni soltanto:
1) Ottenendo dal debitore l’ammissione che l’obbligazione non è stata adempiuta (confessione)
2) Deferendo alla parte debitrice con giuramento decisorio (ART 2736 cc), ossia invitandola a
confermare sotto giuramento che l’obbligazione è stata estinta -> il debitore, che non ha
l’onere della prova, ha il vantaggio che il giudice può rigettare la domanda se il creditore non
ha prove su cienti. Per questo il creditore può deferire al debitore il giuramento decisorio,
rischiando però che l’altra parte neghi, con una possibile complicazione in termini di
coinvolgimento penale.
Il legislatore presume non già che il debitore abbia pagato il debito, bensì che l’obbligazione si sia
estinta, per e etto di uno qualsiasi tra i modi di estinzione del debito previste dalla legge (es. la
presunzione opera anche se il debitore a erma che non ha pagato, ma che comunque il debito gli
è stato rimesso).
La prescrizione presuntiva, invece, non può operare con colui che ha ammesso in giudizio che
l’obbligazione non è stata estinta (es. il debitore che sostiene che non vi era alcuna obbligazione,
sta implicitamente mettendo di non aver pagato).
La prescrizioni presuntive non operano dove in contratto sia stato stipulato in forma scritta:
essa ha infatti ragione unicamente nei rapporti che si svolgono senza formalità, ove il pagamento
suole avvenire senza dilazione (= proroga, rinvio).
Del pari, essa non può essere invocata nei confronti dell’amministrazione dello Stato, in
considerazione del fatto che trovano applicazione regole di contabilità pubblica, che impongono
che i pagamenti vengono e ettuati mediante appositi mandati.
DECADENZA
Alla base della decadenza sta la ssazione, da parte del legislatore, di un termine perentorio entro
il quale il titolare di un diritto debba compiere una determinata attività, in difetto della quale
l’esercizio del diritto gli è precluso (es. l’impugnazione dev’essere proposta entro breve termine,
trascorso il quale l’impugnazione decade. Si decade, cioè, dal diritto di proporre impugnativa).
La decadenza produce l’estinzione del diritto in virtù del fatto oggettivo del decorso del
tempo (mentre nella prescrizione il fondamento è l’inerzia del titolare): la decadenza implica quindi
l’onere di esercitare il diritto entro il tempo prescritto.
La decadenza può essere impedita solo mediante il compimento dell’atto previsto e con
l’esercizio del diritto viene meno la ragione d’essere della decadenza: l’onere cui era condizionato
l’esercizio del diritto è ormai soddisfatto.
Nel caso della decadenza, non c’è spazio logico a nché possano intercorrere interruzione o
sospensione della prescrizione.
La disciplina dell’impedimento alla decadenza è meno rigorosa, poiché è attribuito valore anche al
riconoscimento del diritto proveniente dalla persona contro cui si deve far valere il diritto
soggetto a decadenza (ART 2966 cc).
La possibilità di stabilire le decadenza presuppone che si veri chi in tema di diritti disponibili.
In ogni caso, per evitare la sopra azione di una delle due parti dall’altra, è posto un limite alla
libertà contrattuale: è infatti necessario che il termine stabilito non renda eccessivamente di cile
l’esercizio del diritto.
Se il diritto soggettivo non viene spontaneamente rispettato, solo in casi eccezionali il legislatore
consente l’applicazione di alcune forme di autotutela.
Tuttavia, l’autotutela può essere posta in essere solo nei casi previsti dalla legge, poiché altrimenti
il privato che si facesse giustizia da sé incorrerebbe nel reato di esercizio arbitrario delle
proprie ragioni, ne cives ad arma ruant.
Alcuni esempi di autotutela sono:
• Diritto di ritenzione
• Difesa del possesso nché la turbativa è in atto
• Facoltà del contraente di recedere dal contratto, trattenendo la caparra con rmatoria ricevuta,
in caso di inadempimento dell’altra parte
• Facoltà del contraente di risolvere il contratto in forma di clausola risolutiva espressa
• Facoltà del contraente di intimare la di da ad adempiere
• Facoltà del contraente di sospendere l’esecuzione della prestazione dovuta
• Facoltà dell’acquirente di sospendere il pagamento del prezzo, in caso di pericolo di rivendica
• Legittima difesa
• Facoltà riconosciuta al creditore pignoratizio di far vendere al pubblico incanto la cosa ricevuta
in pegno
• Facoltà del venditore di procedere con la compera in danno, facendo vendere senza ritardo le
cose mobili compravendute, per conto e a spese dell’acquirente che non abbia pagato il prezzo
Poiché non è possibile farsi giustizia da sé, lo stato ha riconosciuto il diritto di rivolgersi agli organi
all’uopo costituiti per ottenere giustizia, attraverso l’azione, ossia l’esplicazione del diritto di agire
in giudizio.
Chi esercita l’azione è chiamato attore, mentre chi è chiamato in giudizio dall’attore prende il
nome di convenuto.
Il diritto di agire in giudizio spetta inviolabilmente a tutti i consociati (ART 24 Cost), non potendo
dunque essere soppresso né limitato nei confronti di alcuno. La Costituzione prevede altresì che
siano forniti ai consociati i mezzi idonei per difendersi adeguatamente dinnanzi a qualsiasi
giudice.
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Ai ni di una buona conoscenza del diritto sostanziale, bisogna ricordare che esistono vari tipi di
azione e correlativamente di processo civile.
Se a fronte di una sentenza di condanna, il soggetto perdente non ottemperi quanto disposto dal
giudice, si potrà dunque instaurare il processo di esecuzione, che consiste nel realizzare
coattivamente quanto stabilito dal giudice nella sentenza costitutiva.
Per impedire che nel corso del processo di cognizione la controparte possa frustrare gli e etti
della sentenza che prevede essere a lui sfavorevoli, la parte potrà avvalersi del processo
cautelare.
Generalmente, la nalità del processo cautelare risiede nella volontà della conservazione lo stato
di fatto esistente, per rendere possibile l’esecuzione dell’emananda sentenza.
-> es. sequestro conservativo, qualora Tizio tema che Caio possa sottrarre od occultare la casa,
prevedendo che Tizio vorrà poi esercitare un’azione esecutiva.
COSA GIUDICATA
Per meglio assicurare la conformità della sentenza a giustizia, è stato stabilito che fosse possibile
promuovere il riesame della lite.
Tuttavia, ciò può operare entro alcuni limiti: infatti, con il veri carsi di alcune condizioni, il
comando ottenuto con la sentenza non potrà più essere modi cato da alcun giudice, costituendo
esso res iudicata -> ad eventuali ulteriori tentativi di impugnativa della parte perdete, le si potrà
eccepire il passaggio in giudicato della sentenza, ossia la cosa giudicata.
L’e cacia del giudicato concerne innanzitutto il processo: infatti, la cosa giudicata formale
implica che non è più soggetta a mezzi di impugnazione.
L’e cacia del giudicato assume rilevanza anche a livello sostanziale, in quanto né è possibile
impugnare nuovamente la sentenza, né questa può essere oggetto di riesame o discussione fra
me e l’altra parte, neppure in futuri processi: ciò nella considerazione che res iudicata pro
veritate habendo.
Dunque, l’accertamento contenuto nella sentenza passata in giudicato ha e cacia 1) fra le parti +
2) fra gli eredi + 3) fra gli aventi causa.
Dunque, la cosa giudicata in senso sostanziale consiste nella de nitività dell’accertamento, anche
al di fuori del processo nella quale esso è stato pronunciato.
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PROCESSO ESECUTIVO
Se un determinato diritto non viene spontaneamente rispettato, il suo titolare dopo essersi munito
di titolo esecutivo (es. una sentenza avente e cacia esecutiva), potrà avviare il procedimento
esecutivo.
Peraltro, solo in alcuni casi detto procedimento garantisce all’interessato l’esecuzione forzata in
forma speci ca, ossia proprio il risultato cui quest’ultimo aveva diritto.
Ciò accade in alcune ipotesi:
• Obbligo avente per oggetto la consegna o il rilascio di una cosa determinata
• Obbligo avente ad oggetto un facere fungibile
• Obbligo avente ad oggetto un particolare facere (infungibile) consistente nella conclusione del
contratto
• Obbligo avente per oggetto un non facere
Nel caso dell’obbligo avente per oggetto la consegna o il rilascio di una cosa
determinata mobile od immobile, bisogna ricordare che il soggetto che esperisce richiede
l’esecuzione forzata in forma speci ca sarà immesso nella materiale disponibilità del bene grazie
all’intervento dell’u ciale giudiziario -> es. obbligo del meccanico di restituirmi la vettura, a
seguito della riparazione.
Se, invece, l’obbligo consiste nella consegna o nel rilascio di una cosa generica, l’avente diritto
potrà ottenere solo il risarcimento del danno, non essendo individuabile il bene di sua
competenza.
Nel caso dell’obbligo avente per oggetto un facere fungibile (es. obbligo dell’appaltatore
di ultimare l’edi cio), l’avente diritto potrà ottenere soltanto che la prestazione sia eseguita da
altri, pur a spese dell’obbligato.
Se, invece, si tratti di un’esecuzione infungibile, si potrà ottenere solo il risarcimento del danno
(es. l’obbligo assunto dal cantante famoso).
Per quanto concerne l’obbligo avente ad oggetto quel particolare facere infungibile della
conclusione di un contratto (es. l’obbligo assunto in forza del contratto preliminare), l’avente
diritto potrà ottenere una sentenza costitutiva con cui siano prodotti gli e etti del contratto
de nitivo non concluso.
La forma di gran lunga più rilevante del procedimento esecutivo è incarnata dall’esecuzione
mediante espropriazione forzata: in questo procedimento, il bene o i beni colpiti dall’esecuzione
vengono di regola venduti ai pubblici incanti e la somma ricavata viene ripartita fra i creditori.
I procedimento di esecuzione forzata ha inizio con il pignoramento, ossia con l’indicazione dei
beni da esecutare.
Gli e etti sostanziali del pignoramento sono che gli atti di alienazione dei beni da pignorare
eventualmente svolta non pregiudica il creditore pignorante e i creditori che intervengono
nell’esecuzione.
Si atta ine cacia non deriva dall’incapacità del debitore e neppure dalla perdita della proprietà
dei beni sottoposti a pignoramento: essa deriva dalla destinazione dei beni all’espropriazione.
Tuttavia, detta ine cacia è relativa, poiché può solo essere fatta valere dal creditore pignorante
e dai creditori intervenuti nell’esecuzione.
Naturalmente, la legge tutela anche i terzi che dovessero eventualmente acquistare beni
assoggettati a pignoramento:
• Beni mobili non registrati -> possesso vale titolo, ART 1153 cc
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• Beni immobili o beni immolli registrati -> trascrizione
Bisogna segnalare che non sussiste una correlazione fra sentenza di condanna ed esecuzione
forzata: specie ove il bene garantito sia di carattere non patrimoniale (es. diritti di famiglia) non si
possono attuare le forme di esecuzione forzata.
L’esito di un giudizio può dipendere dalla risoluzione di una questio facti, ossia dal fatto che tutte
le volte in cui si presenti una circostanza rilevante ai ni della decisione di cui le parti forniscono
ricostruzioni contrastanti, il giudice è tenuto a scegliere una di esse.
Nel giudizio civile, peraltro, sono le parti a dover indicare al giudice i mezzi di prova, accreditando
la propria versione dei fatti, secondo il principio dispositivo. Il giudice, infatti, deve giudicare
iuxta alligata et probata partium, ossia sulla base di quanto allegato e provato dalle parti -> non
è il giudice a scoprire la verità, ma sono l’attore (colui che prende l’iniziativa in giudizio) e il
convenuto (colui che è chiamato in giudizio) a farla emergere.
Il giudice deve motivare la propria decisione, formata in iuxta alligata et probata partium (ART
115 cpc), non essendogli consentito trarre elementi di convincimento da fonti di informazione non
ritualmente acquisite in giudizio.
Al giudice è concesso, in deroga al principio dispositivo e a quello contraddittorio, il giudice può
far autonomamente ricorso ai fatti notori, ovvero fatti di comune esperienza della collettività tutta
(ART 115 cpc).
Un problema di prova si pone solo in merito a fatti oggetto di speci ca contestazione tra le
parti (e non quelli relativi ai quali non sorgono divergenze di prospettazione, ART 115 cpc). Grava
infatti sul convenuto l’onere di prendere posizione in modo chiaro ed analitico sui fatti, senza che
ne occorra la prova (se il convenuto non sollevi contestazione alcuna o si sia limitata ad una
contestazione generica e non chiara). Tale onere che grava sul convenuto suppone che sia assolta
dall’attore l’allegazione puntuale dei fatti di causa. -> ART 2697 cc
Può accadere che, in riferimento ad un fatto cui le parti abbiano fornito due versioni contrapposte,
le prove raccolte non siano ritenute su cienti o persuasive dal giudice. In tal caso, farà ricorso
alla regola dell’onere della prova (disciplinato nel Libro V del Codice Civile), enunciata dall’ART
2697:”Chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il
fondamento”, Onus probandi incumbit ei qui dicit: allorquando un fatto, rilevante a ni
decisionali, rimane sfornito in causa di prova convincente, il giudice deve cogliere la versione di
esso prospettata dalla parte su cui non grava l’onere della prova. Dunque, il rischio di mancanza,
insu cienza, contraddittorietà della prova è addossato alla pare su cui grava l’onere della prova:
se ciò accade, la domanda verrà respinta.
Il giudice deve basare il proprio convincimento sulla base di tutte le prove acquisite e senza dar
rilievo al fatto che una parte abbia onere della prova, mentre l’altra no.
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Il giudice non dovrà dunque far ricorso alla regola dell’onere della prova, qualora la dimostrazione
di un determinato fatto risulti comunque fornita in causa, secondo il principio di acquisizione
della prova. Da ciò, dunque, emerge il carattere residuale dell’onere della probatorio: esso
dev’essere applicato qualora i soli giudizi di un carattere contestato (non tutti) rimangano sforniti
di prove su cienti.
Problema delicato, diviene stabilire su quale delle parti ricada l’onere della prova: in linea di
principio, può dirsi che l’onere di provare il fatto ricada su colui che invoca proprio quel fatto
a sostegno della sua tesi, secondo il detto unus probandi incumbit ei qui dicit. In questo senso è
da intendersi l’ART 2697:”Chi vuol far valere dei fatti in giudizio, deve provarne il fondamento”,
che accolla 1) a chi vuol far valere un diritto in giudizio l’onere di provare i fatti costitutivi (= fatti
che ne costituiscono il fondamento) e simmetricamente 2) a chi contesta la rilevanza di tali fatti,
l’onere presentare i fatti impeditivi, modi cativi, estintivi (= di provarne l’ine cacia) -> vinci
perché hai provato i fatti/contestato i fatti tramite prova.
Il danno di natura contrattuale (art 1218), sembra più facile da provare rispetto a quello extra-
contrattuale (art 2043), che si basa sulla prova del dolo o della colpa causanti il danno ingiusto:
-> es. responsabilità medica:
Il legislatore ha emanato nel 2017 una legge (L marzo 2017, legge Gelli-Bianchi) che disciplina la
responsabilità medica degli esercenti attività sanitaria: il paziente fa il contratto di spedalità con la
struttura sanitaria (contratto atipico: prestazioni di cura + prestazioni accessorie, come vitto e
alloggio). Fino al 2017, il paziente riusciva a provare 1) contratto di spedalità, 2)la sua condizione
di salute era peggiorata. La struttura sanitaria ha l’onere della prova nel dimostrare che le
condizioni cliniche del paziente sono peggiorare per cause esterne alle cure somministrate =>
diritto al risarcimento -> contratto di spedalità.
Dopo il 2017, la corte si cassazione stabilisce che spetta al paziente l’onere della prova, che deve
dimostrare la colpa della struttura sanitaria nel peggioramento della sua condizione clinica: la
colpa è l’elemento costitutivo della fattispecie della responsabilità. Il paziente ha dunque minori
probabilità di ottenere il risarcimento, anche perché sono molteplici i casi in cui si parla di
causalità incerta al peggioramento dello stato del paziente.
A ciò supplisce la legge stessa, che consente di stabilire se una circostanza debba essere
considerata come fatto costitutivo o come fatto impeditivo (es. ART 1147:” La buona fede è
presunta” -> il legislatore fa ricadere l’onere di dimostrare la malafede su colui che vuole
contestare gli e etti della buona fede.
Quando la legge tace in ordine del carattere costitutivo o impeditivo di una circostanza, il potere
decisionale spetta all’interprete.
A riguardo, la Suprema Corte (ART 24 Cost) fa ricorso al principio della vicinanza della prova:
far gravare il relativo onere alla parte più facilmente in grado di assolverlo.
L’onere della prova può anche de nirsi come il rischio per la mancata prova di un fatto, rimasto
aperto in giudizio. L’ART 2697 enuncia che ove la parte che si trovi nelle migliore condizioni per
fornire la prova non riesca a convincere il giudice, questo dovrà ritenere la circostanza come non
avvenuta (sebbene magari non sia sicuro che quel fatto, in realtà, non sia accaduto).
MEZZI DI PROVA
Per mezzi di prova, si intende qualsiasi elemento idoneo a stabilire quale, tra le contrapposte
versioni di un fatto sostenute dalle due parti della lite, sia la più convincente.
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Oltre a quelle espressamente indicate e disciplinate dal legislatore negli ARTT 2699-2739, le
cosiddette prove tipiche, il giudice può porre a fondamento della propria opinione anche delle
prove atipiche (cioè non espressamente previste dal codice), purché o rano 1) validi elementi di
giudizio e raccolte 2) nel rispetto del principio del contraddittorio. Non possono, peraltro,
costituire fonte di prova elementi acquisiti con modalità tali da ledere le libertà fondamentali
costituzionalmente garantite (es. inviolabilità del domicilio, ART 14 Cost).
Principio fondamentale è il principio del libero apprezzamento da parte del giudice: ART 116
cpc:”Il giudice deve valutare le prove secondo il suo prudente apprezzamento”.
Peraltro, la discrezionalità di tale valutazione è temperata dall’obbligo di motivazione, ovvero
l’obbligo per il giudice di spiegare, in sede decisionale, il motivo per cui alcuni pezzi di prova
siano stati ritenuti più convincenti di altri. È comunque sempre possibile impugnare tali
spiegazioni.
È talvolta lo stesso legislatore a limitare il principio del libero apprezzamento, tramite delle
deroghe, tramite la disposizione che alcune prove forniscono prova legale (es. atto pubblico, ART
2700, confessione ART 2733, giuramento, ART 2738 cc), la cui rilevanza è predeterminata dalla
legge, cosicché il giudice non ha alcuna discrezionalità nel valutarle. Esse fanno piena prova
della verità dei fatti e il giudice è pertanto vincolato, senza poter decidere in contrasto con fatti
che possono considerarsi pienamente provati.
PROVA DOCUMENTALE
Per “documento” si intende ogni cosa idonea a rappresentare un fatto, in modo di consentirne la
presa di conoscenza a distanza di tempo.
Importanza preminente tra i documenti sono l’atto pubblico e la scrittura privata.
L’atto pubblico (!!!!) (ART 2699 cc) è un documento redatto con particolari formalità
stabilite dalla legge da un notaio o da un altro pubblico u ciale autorizzato ad attribuire all’atto la
pubblica fede (es. Prof all’università che assegna un voto = ducia nella sua veridicità).
L’atto pubblico, che oggi può essere redato anche con procedure informatiche, fa piena prova,
ossia fa prova legale di:
1) Provenienza del documento
2) Dichiarazioni delle parti e degli altri fatti
3) Il pubblico u ciale attesta essere avvenuti in sua presenza.
L’atto pubblico fa solo prova del fatto che le dichiarazioni sono state e ettivamente rese come
indicato in atto, e non fa prova di:
1) Veridicità del contenuto
2) Fondatezza dei giudizi eventualmente espressi dal pubblico u ciale
-> fa prova legale dell’estrinseco, ma non dell’intrinseco: non fa prova che il contenuto delle
dichiarazioni rispettino il paradigma della verità.
Dicendo che l’atto pubblico fa piena prova, il legislatore intende dire che il giudice è vincolato a
considerare tali circostanze come vere.
Se una parte, però, intende contrastare deve necessariamente far ricorso alla querela di falso
(ART 221 cpc): tale procedimento, poco applicato, è l’accertamento (in via separata rispetto al
processo) da parte del giudice, che quel documento è oggettivamente falso e che non deve avere
forza probatoria.
Qualora sia mancante qualche formalità essenziale a rendere valido l’atto pubblico, esso assume
la stessa e cacia della scrittura privata con la cosiddetta conversione formale, se sottoscritto
da una o più parti.
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La scrittura privata è qualsiasi documento che risulti sottoscritto da un privato. È
essenziale la sottoscrizione autografa di colui che, con la rma, si assume la paternità del testo
e dunque la responsabilità di quanto in esso dichiarato.
La scrittura privata, non provenendo da un pubblico u ciale, non ha la stessa e cacia probatoria
dell’atto pubblico. Essa, infatti, fa prova soltanto contro chi ha sottoscritto il documento e
non anche a suo favore (Cassazione, 2018) -> non posso far valere in giudizio un documento
scritto da me a mio favore -> contra stipulatorem
Se, invece, la scrittura privata è autenticata o riconosciuta, fa piena prova - no a querela di falso
- ma solo della provenienza delle dichiarazioni di colui che l’ha sottoscritta (ART 2702 cc)
Essa assume valore di prova legale solo nel caso in cui sia invocata contro il sottoscrittore. Se
essa, invece, viene impiegata in un giudizio in cui il sottoscrittore è estraneo, essa assume valore
meramente indiziario (salvo che per quanto riguarda la sua provenienza, se autenticata).
Sempre nei confronti di terzi, può avere rilevanza la data della scrittura privata. Le parti, peraltro,
potrebbero compiere una retrodatazione, accordandosi apponendo una data ttizia, anteriore
all’atto.
Per evitare ciò, la legge stabilisce nell’ART 2704 cc che la data per la scrittura privata è - per i
terzi - la cosiddetta data certa:
1) Se si tratta di scrittura privata autenticata -> data dell’autenticazione
2) Se si tratta di scrittura privata non autenticata -> 1) la data della sua registrazione presso i
pubblici u ci (es. contratto di locazione) o, 2) la data di un evento che ne stabilisca in modo
incontestabile la sua anteriorità (es. il giorno della morte di colui che risulta averla sottoscritta).
Le carte e i registri domestici fanno, nei limiti indicati dall’ART 2707 cc, prova contra
stipulatorem (= scritture private), anche se carenti di sottoscrizione.
“I libri e le scritture contabili delle imprese soggette a registrazione fanno prova contro
l’imprenditore”, ART 2709 cc. La legge pone dunque, a sfavore dell’imprenditore, una presunzione
di veridicità, quand’anche le annotazioni contabili non siano sottoscritte, contro la quale è peraltro
ammessa prova contraria.
Le copie fotostatiche o le copie fotogra che di scritture hanno la stessa e cacia delle
autentiche, se la loro conformità con l’originale è attestata da pubblico u ciale competente o non
espressamente disconosciuta (ART 2719); peraltro, la contestazione deve avvenire in modo chiaro
e circostanziato, de nendo gli elementi di non conformità con l’originale.
Si discute se il fax sia da annoverare tra le riproduzioni meccaniche e dunque sia soggetto
all’applicazione della disciplina delle riproduzioni meccaniche dell’ART 2712 / oppure se sia da
considerare al pari di una copia fotostatica o fotogra ca, e dunque soggetto alla disciplina
dell’ART 2719: esso, comunque, fa piena prova della sua conformità rispetto all’originale, se
colui contro il quale è prodotto non lo contesti.
Al pari di una qualsiasi scrittura privata, fa piena prova, se non disconosciuta dal suo
titolare, della provenienza dal titolare della rma elettronica (ART 20, D,Lgs n° 82/2005). Se,
peraltro, si intende disconoscere un documento sottoscritto con rma digitale, colui che
vuole disconoscere ha l’onere della prova (diversamente dalla scrittura privata).
3) Semplice rma elettronica: quella risultante “dai dati in forma elettronica, acclusi o connessi
per associazione logica ad altri dati elettronici ed utilizzati per rmare”. Sul piano probatorio,
questa è liberamente valutabile in giudizio -> es PIN, password
La testimonianza è la narrazione dei fatti in giudizio svolta da una persona in ordine a fatti
controversi di cui il teste abbia conoscenza.
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Tale persona deve:
1) Non essere parte in causa
2) Non avere in causa un interesse che potrebbe legittimare la partecipazione ad essa
La prova testimoniale può avere come oggetto solo fatti obiettivi e non opinioni personali del
teste.
Essa è peraltro considerata con una certa di denza dal legislatore, 1) per il rischio di teste
interessati o compiacenti; 2) per il rischio di deformazioni inconsapevoli nello sforzo di ricordare e
riferire avvenimenti del passato.
In ogni caso, il giudice deve ammettere la prova testimoniale qualora concorra una delle tre
ipotesi previste dall’ART 2724 cc, quando:
• Vi sia principio di prova scritta (es. ricevuta)
• La parte si sia trovata nell’impossibilità morale o materiale di procurarsi una prova scritta
(es. contrato concluso tra persone legate da stretta parentela)
• La parte abbia perduto il documento senza sua colpa
In ogni caso, il giudice deve ammettere la prova testimoniale qualora concorra una delle tre
ipotesi previste dall’ART 2724 cc
• Vi sia principio di prova scritta
• La parte si sia trovata in impossibilità morale o materiale di procurarsi la prova scritta (es.
contratto concluso tra persone legate da stretta parentela)
• La parte abbia perduto il documento senza sua colpa
In questo caso, la prova dei testimoni è ammissibile solamente qualora la parte abbia perduto
il documento senza sua colpa (ART 2725 cc).
I limiti legali alla prova testimoniale di un contratto operano quando lo stesso venga invocato in
giudizio quale fonte di diritto ed obblighi, ma anche ove esso sia dedotto come semplice fatto
storico in uente sulla decisione.
Tale regola si applica anche per provare l’e ettuazione di un pagamento o la remissione di un
debito (ART 2726 cc).
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L’inammissibilità della prova testimoniale, non derivando da ragioni di ordine pubblico, non può
essere rilevata dall’u cio del giudice, ma tempestivamente eccepita dalla parte interessata.
Sul piano probatorio, le forme scritte possono essere di due tipi: ad substantiam e ad
probationem.
Forma scritta ad probationem (tantum): l’atto compiuto senza l’osservanza della forma
indicata dalla legge non è nullo; l’unica conseguenza è il divieto 1) prova testimoniale; 2) prova
presuntiva (al ne di incentivare le parti a precostituire un documento), sempre che la parte non
provi di aver perduto il documento senza sua colpa. L’inammissibilità della prova testimoniale e di
quella presuntiva non può essere rilavata d’u cio dal giudice, ma dev’essere eccepita dalla parte
interessata.
La mancanza del documento non pregiudica irreparabilmente la possibilità, delle parti, di valersi
dell’atto.
Per la forma ad probationem tantum, sebbene essa si possa essere formata in giudizio, la parte
può chiedere l’interrogatorio formale dell’altra parte / per la forma ad substantiam, alla parte non è
concessa altra prova che la produzione in giudizio del documento.
PRESUNZIONI (!!!!!)
Con presunzione (o prova indiretta), ART 2727 cc si intende qualsiasi congettura con la quale,
essendo già provato un fatto-base o fatto d’inizio, si giunge a considerare altresì provata un’altra
circostanza.
Le presunzioni legali si hanno quando è la stessa legge che attribuisce un fatto valore di prova in
ordine ad un altro fatto, che quindi viene presunto (es. la legge presume che chi ha il possesso di
una cosa altrui sia in buona fede, ART 1147 cc).
Le presunzioni legali possono essere:
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• Iuris et de iure (assolute): laddove non ammettano prova contraria (es. presunzione del
concepimento dopo il matrimonio, ART 232 cc). In tal caso, più che prova indiretta
bisognerebbe parlare di su cienza del fatto-base a produrre l’e etto collegato al fatto-presunto,
che, in realtà, diventa irrilevante, dal momento che non è ammessa la prova che il fatto-presunto
non si sia veri cato, data già la presenza del fatto-base.
• Iuris tantum (relative): laddove ammettano prova contraria. La prova contraria può essere
fornita, di regola, facendo ricorso a qualsiasi mezzo di prova. Talvolta la legge pone limitazioni
riguardo ai mezzi di prova utilizzabili, o all’oggetto della prova contraria.
CONFESSIONE (!!!!!)
La confessione non è un negozio giuridico, sebbene sia richiesto al con dente di avere un
animus con tendi, ossia la consapevolezza e la volontà di riconoscere e dichiarare fatti a sé
sfavorevoli.
La confessione è infatti una dichiarazione di scienza, non occorrendo che il dichiarante ne voglia
altresì gli e etti.
La confessione può essere:
1) Giudiziale: se resa in giudizio -> fa piena prova (prova legale): il giudice deve senz’altro
assumerlo come vero e porlo alla base della propria decisione. La confessione giudiziale può
essere fatta: 1) spontaneamente, 2) mediante interrogatorio formale della parte, cui il giudice
procede su richiesta dell’altra parte
2) Stragiudiziale: se resa fuori dal giudizio -> fa prova legale / se è fatta da un terzo, può
essere apprezzata liberamente dal giudice. A di erenza di quella giudiziale, questa
dev’essere a sua volta dimostrata; può essere provata non per testimoni, quando verta su una
prova testimoniale non ammessa.
La confessione (sia giudiziale che stragiudiziale) può essere revocata, ART 2732 cc (= la sua
e cacia probatoria può essere vinta) se si dimostra che essa è stata determinata:
1) Da errore di fatto
2) Da violenza
Non è infatti su ciente la prova della divergenza tra confessione e fatto realmente accaduto.
Diversa è la confessione scienti camente falsa, che attesta che il fatto non corrisponde al vero,
ma non potrà essere revocata in quanto non causata da errore o da violenza.
La confessione di dice quali cata, quando la parte che riconosce i fatti a sé sfavorevoli aggiunge
alla confessione altri fatti o circostanze, tendenti a in rmare l’e cacia del fatto confessato, o
modi carne od estinguerne gli e etti.
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In questo caso, è necessario distinguere:
1) Se l’altra parte contesta -> apprezzare l’e cacia probatoria della dichiarazione confessoria è
rimessa al giudice (ART 2734), che la degrada da legale ad apprezzabile
2) Se l’altra parte non contesta -> la dichiarazione confessoria fa piena prova nella sua integrità
Per produrre gli e etti cui si è fatto cenno, la confessione deve provenire dal soggetto capace di
disporre del diritto i cui fatti confessati si riferiscono (ART 2731) -> es. per una confessione non
bisogna essere incapaci legali
GIURAMENTO (!!!!!)
Il giuramento è un mezzo di prova legale cui si può ricorrere nel giudizio civile, al ne della
dimostrazione di fatti (ma non di situazioni o rapporti giuridici).
Esistono due tipi di giuramento: il giuramento decisorio e quello suppletorio
Il giuramento decisorio può essere deferito solo ad iniziativa da una delle parti in lite e mai dal
giudice d’u cio (cioè, senza speci ca istanza di parte): la parte in lite può chiedere al giudice, che
si limita a decidere se la circostanza indicata dalla parte abbia carattere decisorio, di invitare la
controparte a confermare tramite giuramento se il fatto oggetto di contestazione si sia veramente
veri cato.
Cosicché, ove si tratti di un’a ermazione mendace, la parte cui il giuramento è deferito 1)
abbandona la tesi, riconoscendo la verità o 2) giurando il falso, commettendo spergiuro
(sanzionabile dal codice penale).
Il giuramento è:
1) De veritate: sia relativo ad un fatto proprio della parte cui è deferito o, comunque, accaduto
sotto la sua diretta percezione
2) De scientia: conoscenza che essa ha di un fatto altrui
La parte alla quale il giuramento è stato deferito può, a sua volta se preferisce, riferire il
giuramento all’avversario, a condizione che il fatto sia oggetto comune ad entrambi (ART 2739).
Il giuramento viene reso in giudizio personalmente dalla parte, in presenza del giudice, che deve
ammonire il giurante in merito a: 1) importanza morale, 2) conseguenze penali, di eventuali
dichiarazioni false rese.
Un tempo, l’ammonizione riguardava l’importanza religiosa e morale dell’atto, ma la Corte
costituzionale con la sentenza n° 334 del 1996 ha dichiarato costituzionalmente illegittimo il
richiamo sia ai valori religiosi, che a quelli etici: il signi cato del giuramento diventa dunque da
etico-religioso a morale-individuale, giungendo così al culmine della laicizzazione del giuramento
decisorio.
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Se la parte si ri uta di giurare o non si presenta, la sua versione del fatto non può essere
considerata vera dal giudice, indipendentemente da qualsiasi altra prova a suo favore.
Se, invece, presta giuramento, il giudice deve considerare vera la sua a ermazione. In tal caso,
non si possono fornire prove contrarie, ma si può solamente denunciare in sede penale cui che
abbia eventualmente giurato il falso. E qualora intervenga una condanna penale, si può richiedere
il risarcimento del danno (cioè la condanna di spergiuro), ma non la revocazione della sentenza
civile che sia stata pronunciata in base al falso giuramento (ART 2738).
Se il delitto di falso giuramento è estinto, spetta al giudice civile accertare se esistano elementi
del delitto di falso giuramento, al ne di condannare lo spergiuro al risarcimento dei danni (ART
2738 cc).
Il pieno valore di prova attribuito per legge al giuramento fa sì che neanche la sua eventuale falsità
possa alterare la decisione che su di esso si è basata, essendo consentita come unica
conseguenza la possibilità di chiedere, successivamente alla conclusione del processo penale, il
risarcimento del danno alla parte che ha giurato il falso, ma non quindi la revocazione della
sentenza sulla base di questo emanata.
Il giuramento suppletorio piò essere deferito non da un’iniziativa di parte, bensì d’u cio,
in forza di un potere discrezionale dello stesso giudice, quando questi si trovi di fronte ad un fatto
rimasto incerto, ma per il quale la parte con l’onere della prova abbia fornito una semi-plena
probatio, ossia elementi abbastanza rilevanti, sebbene non de nitivamente persuasivi.
Il giudice può o rire alla parte su cui grava l’onere probatorio di perfezionare la prova
confermando con un giuramento i fatti già a ermati in precedenza.
Una particolare specie di giuramento suppletorio è il giuramento estimatorio, che può essere
deferito per stabilire il valore di una cosa, quando non sia possibile accertarlo diversamente.
DIRITTI REALI
DIRITTI REALI IN GENERALE E LA PROPRIETA
DIRITTI REALI
L’espressione “diritti reali” non risale al diritto romano (“actiones in rem”), ma venne de nita
successivamente, al ne di raggruppare i diritti su cosa materiale determinata, con lo iura in rem.
Collegate a situazioni di diritto reale sono le obbligazioni propter rem (o obbligazioni reali o
obbligazioni ambulatorie): il soggetto obbligato è individuato in base alla titolarità di un diritto
reale su un determinato bene (es. obbligo di sostenere le spese per la riparazioni e le ricostruzioni
necessarie del muro comune, per la comproprietà, ART 882).
L’obbligazione propter rem è un’obbligazione accessoria alla titolarità del diritto reale.
Si dubita che all’autonomia privata sia consentito creare obbligazioni atipiche (cioè diverse ed
ulteriori rispetto a quelle previste dal codice).
Da non confondere con l’obbligazione reale, è l’onere reale. In forza dell’onere reale, il creditore,
per il pagamento di somme in denaro o altre cose generiche da prestarsi in un determinato
immobile, può soddisfarsi sul bene stesso, chiunque ne diventi proprietario o ne acquisti diritti
reali di godimento o garanzia.
Onere reale è ogni prestazione, che può consistere nel pagare una determinata somma di denaro
ma anche nel dover fare qualche cosa, periodica (annuale, mensile, biennale, ecc.) alla quale un
soggetto è obbligato solo in virtù del fatto di essere nel godimento di un bene.
Si ritiene che l’unica ipotesi di onere fosse costituita dai contributi consortili (ART 864). Altre
ipotesi sono però contemplate nella legislazione speciale.
L’opinione prevalente è che non sarebbe dato ai privati costituire oneri al di fuori di quelli
espressamente menzionati dalla legge. -> tipicità dell’onere reale
LA PROPRIETA
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CONTENUTO DEL DIRITTO
Il diritto di godere e disporre della cosa in modo pieno ed esclusivo riprende il codice
napoleonico del 1804, nonché il codice civile italiano del 1865.
La proprietà attribuisce al titolare:
1) Potere di godimento: potere di trarre dalla cosa le utilità che la stessa è in grado di fornire,
decidendo se, come e quando utilizzarla (direttamente o indirettamente)
2) Potere di disposizione: potere di cedere agli altri, in tutto o in parte, diritti sulla cosa.
L’ART 832 cc precisa poi che il potere di disposizione che compete al proprietario è pieno ed
esclusivo.
Da qui, l’idea che la proprietà sia caratterizzata dai connotati:
• Pienezza: ius utendi et abutendi -> diritto di fare della cosa tutto ciò che vuole, persino di
distruggerla.
• Esclusività: ius excludendi omnes alios -> vietare ogni ingerenza da parte di terzi
Peraltro, lo stesso ART 832 cc, riconosce sì il potere di godere e disporre della cosa in modo
pieno ed esclusivo, ma entro i limiti e in osservanza degli obblighi stabiliti dall’ordinamento
giuridico.
Ormai antistorico risulta la conciliazione tra apparente contrasto tra pienezza del diritto e limiti
imposti al suo agire.
In realtà, la pienezza e l’esclusività sono tipiche ormai solo delle proprietà di beni solo ad uso
strettamente personale.
Quanto agli altri beni, specie quelli utilizzati per attività di impresa o come capitale produttivo di
rendita, l’ordinamento non rimette interamente al proprietario le scelte in ordine al loro utilizzo.
I limiti in riferimento al diritto di proprietà si suddividono in:
• Di interesse privato: rapporti tra vicini (es. immissioni)
• Di interesse pubblico: riguardano lo Stato (es. esproprio)
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Il Codice Civile, infatti, accanto ad alcune disposizioni valide per la proprietà in generale, detta
una disciplina di erenziata per la proprietà, rilevando, per ciascuna categoria di beni, una serie
di previsioni miranti a conciliare l’intese individuale con quello della collettività.
1) Beni di interesse storico ed artistico
2) Proprietà rurale
3) Proprietà edilizia
4) Proprietà fondiaria
In altre parole, il legislatore è legittimato ad intervenire per delineare il contenuto dei poteri che
competono al proprietario, con riferimento alle singole categorie di beni (-> interventi
confermativi dei vari statuti proprietari). Ciò tende sempre al perseguimento di una nalità
sociale, che si ricollega:
1) Realizzazione di uno sfruttamento economicamente e ciente dei beni
2) Più equi rapporti sociali
3) Tutelare valori ed interessi costituzionalmente protetti
La disciplina della proprietà non si esaurisce più nelle sole regole di derivazione nazionale:
es. ART 1 CEDU:”Ogni persona sica o giuridica ha il diritto al rispetto dei propri beni”; Carta dei
diritti fondamentali dell’Unione Europea ART 17 che colora la proprietà nel titolo dedicato alla
libertà.
Ciò porta ad interrogarsi se la normativa sovranazionale agisca in controtendenza rispetto a quella
nazionale, tornando indietro rispetto al percorso svolto dal legislatore italiano durante il secolo
scorso: la proprietà non è da considerarsi nel novero dei diritti fondamentali.
ESPROPRIAZIONE ED INDENNIZZO
L’ART 42 comma 3 Cost dispone che “La proprietà privata può essere, nei casi previsti dalla
legge e salvo indennizzo, espropriata per motivi di interesse generale”.
Tale norma mira a trovare un equilibrio tra interesse del proprietario ed interesse della collettività.
A tal ne, la Costituzione sacri ca il privato, solo in presenza di:
1) Interesse generale
2) Riserva di legge: la legge deve indicare ex ante i casi in cui è possibile l’espropriazione; se
essa viene espropriata senza riserva di legge, si può avviare un contenzioso. Ci sono due tipi
di riserva di legge: 1) assoluta: la disciplina è a data solo la legge; 2) relativa: la disciplina è
a data anche ad altre fonti -> nel caso dell’espropriazione, la riserva di legge è assoluta
3) Indennizzo
A riguardo, si vedano anche l’ART 17 della Carta fondamentale dell’Unione Europea e l’ART 1
della CEDU.
Due punti nodali attorno cui si è sviluppato il dibattito suscitato dalla disciplina costituzionale è:
1) Che cosa si debba intendere per espropriazione?
Senz’altro superata è l’espropriazione traslativa, ossia la concezione in base alla quale si ha
espropriazione esclusivamente con il trasferimento della titolarità di un bene dall’espropriato al
bene ciario dell’espropriazione.
La Corte Costituzionale, infatti, insegna che l’espropriazione ingloba, non potendo essere
imposta se non 1) per riserva di legge e 2) con indennizzo, anche quelle limitazioni che, pur non
determinando per il proprietario la perdita del suo diritto, siano comunque tali da “svuotare di
contenuto il diritto di proprietà”, incidendo sul godimento e sulla disposizione del bene. In
merito, si parla dunque dell’espropriazione larvata o dei limiti espropriativi, come a erma la
Corte Costituzionale nel 1996 (es. servitù / servitù coattiva).
Inoltre, la Corte tende a distinguere:
• Interventi di conformazione dei vari statuti proprietari, concernenti intere categorie di beni:
questi prevedono restrizioni, anche penetranti, ai poteri di godimento e di disposizione. Questi
non rientrano nell’espropriazione, bensì fanno parte della conformazione del contenuto del
diritto di proprietà e dunque non comportano indennizzo.
• Interventi di espropriazione larvata, riguardanti singoli cespiti, restringendo i poteri del
proprietario rispetto a quelli riconosciuti, in generale, agli altri proprietari. Queste rientrano nella
categoria dell’espropriazione e conseguentemente necessitano di indennizzo.
Il DPR 327/2001 “Testo Unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di
espropriazione per pubblica utilità” prevede ora che nella nozione di “espropriazione” rientri:
- Passaggio del diritto di proprietà dall’espropriato al bene ciario dell’espropriazione
- Vincolo sostanzialmente espropriativo, o che il fondo sia gravato da servitù, o che subisca una
permanente diminuzione del suo valore per la perdita / ridotta possibilità dell’esercizio di
proprietà.
Inoltre, nel 1992 il Primo Ministro Amato deliberò in una legge in cui ssava l’indennizzo, sia
pure con molte sfumature diverse, all’incirca sul 40% del valore venale del bene. La Corte
Costituzionale nel 1996 salvò la legge Amato, per evitare di pagare troppo il proprietario.
Tant’è, che il DPR 327/2001 contempla una serie di meccanismi di quanti cazione
dell’indennità di esproprio, miranti a ragguagliarla:
1. Espropriazione traslativa -> valore venale del bene espropriato
2. Vincolo espropriativo / espropriazione parziale -> pregiudizio e ettivamente so erto
dall’espropriato
3. Espropriazione nalizzata ad attuare interventi di riforma economico-sociale -> indennità
ridotta del 25%.
4. Al ne di incentivare la cessione volontaria della proprietà del bene dall’espropriando al
bene ciario -> il corrispettivo della cessione è maggiore rispetto all’indennizzo.
5. La PA realizza un’opera pubblica su un fondo privato occupato illegittimamente, senza 1)
adottato valido provvedimento espropriativo, 2) o provvedimento d’occupazione d’urgenza, 3)
scadenza del termine previsto per l’urgenza. In tali situazioni, la PA è legittimata ad adottare
un provvedimento di acquisizione coattiva, in forza del quale vi è un’acquisizione sanante,
per la quale l’immobile viene acquisito, non retroattivamente, al suo patrimonio indisponibile.
In questo contesto, l’espropriato ottiene:
• Indennizzo per pregiudizio patrimoniale -> valore venale del bene
• Indennizzo per pregiudizio non-patrimoniale -> il 10% del valore venale del bene
L’ART 839 cc postula - a tutela del nostro patrimonio culturale - un particolare regime dominicale
per le cose di proprietà privata, immobili o mobili, che presentano interesse artistico, storico o
etnogra co.
Sulla stessa lunghezza d’onda si muove anche la Costituzione, che enuncia nell’ART 9 comma 2
che la Repubblica tutela il patrimonio storico ed artistico della Nazione.
Il D.Lgs 42/2004 “Codice dei beni culturali e del paesaggio” delinea un peculiare regime del
proprietario per i beni culturali (= cose, mobili od immobili, di interesse storico, artistico,
etnogra co, archeologico, …).
In particolare, al ne di garantire la protezione e la conservazione per i ni di pubblica fruizione,
impone al privato una serie di vincoli:
• Potere di godimento: prevedendo che:
6. I beni non possono essere distrutti, deteriorati, danneggiati, adibiti ad usi non compatibili al
loro carattere storico ed artistico
7. Assoggettando ad autorizzazione all’esecuzione su di essi di opere e lavori di qualunque
genere
8. Garantire la conservazione
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9. Imposta la visita del pubblico per scopi culturali, in talune ipotesi
• Potere di disposizione: prevedendo che:
1. Obbligo di denuncia degli atti che trasferiscono, del tutto o in parte, a qualsiasi titolo, la
proprietà o la detenzione di detti beni
2. Diritto di prelazione dello Stato, della regione o di altri enti pubblici territoriali, in caso di
alienazione a titolo oneroso o di conferimento in società.
È inoltre previsto che i beni culturali possano essere espropriati a ni di pubblica utilità, quando
l’espropriazione migliori le condizioni di tutela del pubblico interesse, ai ni della fruizione
pubblica.
PROPRIETA EDILIZIA
Al proprietario di un’area interessata all’edi cazione, compete lo ius aedi candi, ossia il diritto di
costruire.
L’attività di trasformazione urbanistica o edilizia può essere svolta solo nel rispetto delle previsioni
degli strumenti urbanistici.
Per gli interventi di maggior impatto (ART 10 DPR 380/2001, “Testo unico delle disposizioni
legislative e regolamentari in materie edilizia”) è necessario previo rilascio dall’Autorità
comunale il permesso di costruire, che comporta la corresponsione di un contributo
commisurato 1) all’incidenza degli oneri di urbanizzazione + 2) al costo di costruzione.
Per gli interventi a minor impatto, è su ciente una comunicazione a CILA - Comunicazione Inizio
Lavori Asseverata e a SCIA - Segnalazione Certi cata di Inizio di Attività.
In linea verticale:
La proprietà fondiaria si estenderebbe, secondo il suggestivo broccardo medievale, usque ad
sidera, usque ad inferos.
In realtà, l’ART 840 cc a erma che il proprietario non può opporsi all’attività che terzi svolgano a
una tale profondità del sottosuolo e a una tale altezza soprastante: dunque, la proprietà del
sottosuolo si estende alla parte suscettibile ad utilizzazione secondo un criterio di normalità e ciò
vale in modo analogo anche per il soprassuolo.
Va precisato, però, che la sussistenza dell’interesse del proprietario in merito all’utilizzazione del
sottosuolo o del soprassuolo va valutata anche in riferimento alle possibili e future utilizzazioni,
non solo in riferimento a quelle attuali.
Una limitazione all’estensione della proprietà del soprassuolo o del sottosuolo si ha qualora venga
costituito il diritto alla super cie: così, è ben possibile l’alienazione del sottosuolo e non del
soprassuolo.
In linea orizzontale:
Ciascuna proprietà fondiaria si estende nell’ambito dei propri con ni.
Il proprietario, nell’esercizio del proprio potere di godimento del bene in modo esclusivo, ha il
potere:
• Cintare il proprio fondo in qualsiasi momento
• Impedirne l’accesso a chiunque, salvo:
1. Esercizio della caccia
2. Costruire o riparare il muro od altra opera che si trovi sul con ne o presso di esso
3. Riprendere la propria cosa che vi si trovi accidentalmente o l’animale sfuggito alla custodia
4. Per consuetudine, è consentito talora l’accesso ai fondi altrui (specie in montagna) per
passeggiare o svolgere altre attività
Tradizionalmente, tali regole erano intese a porre dei limiti legali nell’interesse privato: ciò ricadeva
nella concezione, ormai superata, che il diritto del proprietario fosse di godere e disporre in modo
pieno ed esclusivo del bene; in realtà, le norme in discussione sono tese a conformare la
proprietà immobiliare, in modo da assicurare un coordinamento fra i diritti riconosciuti ai singoli
titolari.
ATTI EMULATIVI
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L’ART 833 cc, in materia di atti emulativi, a erma che:”Il proprietario non può fare atti i quali non
abbiano altro scopo che quello di nuocere o recare molestia ad altri”.
Secondo l’opinione prevalente, tale divieto si riferisce all’abuso di diritto soggettivo (vedi art
1206:”Il creditore è in mora quando, senza motivo legittimo, non riceve il pagamento o ertogli”):
posso esercitare il mio diritto, ma sempre rispettando la sfera giuridica altrui. Perché l’atto di
godimento sia vietato, devono concorrere due presupposti:
• Oggettivo, ossia l’assenza di utilità per colui che lo compie
• Soggettivo, ossia la volontà di nuocere o arrecare molestia ad altri: avere perciò animus
aemulandi o nocendi.
-> es. è emulativo l’atto di piantare un albero con l’unico scopo di oscurare la vista al vicino.
Si ritiene che il comportamento omissivo del proprietario non rientri negli atti emulativi,
quand’anche nalizzato a nuocere al vicino (es. non tagliare degli arbusti spontanei che occupino
il fondo del vicino).
A fronte di un atto emulativo, colui che ne è rimasto vittima potrà richiedere: 1) cessazione
dell’attività, 2) l’eventuale ripristino dello stato dei luoghi, 3) risarcimento dei danni.
IMMISSIONI
L’ART 832 cc implica inevitabilmente che il proprietario sia legittimato ad opporsi a qualunque
attività materiali che terzi abbiano da svolgere sul suo fondo, poiché andrebbe contro al suo
diritto di godere del bene in modo esclusivo.
Egli, di regola, non può opporsi alle attività che si svolgano nel fondo del vicino.
È peraltro frequente che, specie in un sistema di produzione industriale, vi siano talvolta delle
immissioni immateriali (es. rumori, fumi, calore). Ci sono anche le immissioni materiali.
In tal caso, è opportuno distinguere:
• Se le immissioni rimangono sotto la soglia della normale tollerabilità, colui che le subisce
deve sopportarle (es. le immissioni sonore non superano il rumore di fondo).
• Se le immissioni superano invece la soglia della normale tollerabilità, ma sono giusti cate
da esigenze di produzione (es. sebbene venga superato il rumore di fondo, l’interesse
collettivo supera dunque quello del singolo). Colui che subisce tali immissioni può richiedere un
indennizzo in denaro per il pregiudizio eventualmente so erto, ma non può farle cessare.
• Se le immissioni superano la soglia della normale tollerabilità, senza peraltro essere
giusti cate da un pubblico interesse (es. le immissioni superano il rumore di fondo). Colui che
subisce tali immissioni ha diritto alla 1) tutela inibitoria, con la cessazione della produzione di
immissioni; ha diritto inoltre alla 2) tutela risarcitoria, sia del danno patrimoniale (es. il valore del
fondo diminuisce in modo drastico) che di quello non-patrimoniale (es. danno biologico:
insonnia, che causa depressione) -> azione reale e persona
L’azione reale, volta 1) accertamento dell’illegittimità; 2) condanna alla loro cessazione: tutela
inibitoria -> proposta nei confronti del proprietario del fondo
L’azione personale volta alla tutela risarcitoria -> proposta contro colui che ha concretamente
provocato il danno / oppure contro il proprietario solo se ha concesso ad altri l’uso dell’immobile,
quando però avrebbe potuto pre gurarsi che tale utilizzazione avrebbe recato danno a terzi.
L’immissione sarà dunque consentita, salvo un indennizzo a favore delle parti danneggiate, se:
1) Non sia riducibile od eliminabile attraverso accorgimenti tecnici non particolarmente onerosi
2) La cessazione dell’attività produttiva causerebbe un grave danno alla collettività
A riguardo, si può a scopo sussidiario e facoltativo anche tener conto del criterio di priorità di un
determinato uso (es. costruisco in adiacenza a un’o cina presente ex ante).
Si è discusso se l’immissione sia tale da arrecare pregiudizio alla salute dei soggetti ivi operanti
o all’integrità dell’ambiente: tradizionalmente, si riteneva che la disciplina delle immissioni era
stata però pensata solo ed esclusivamente per regolare i con itti tra proprietari incompatibili e che
tale disciplina fosse invece a data alle regole della responsabilità extra-contrattuale (ART 2043,
ART 2058). Tuttavia, un orientamento più recente ammette la possibilità di regolare con le norme
riguardanti le immissioni, l’immissione che leda il diritto alla salute o l’ingerirà dell’ambiente.
A lungo l’ART 844 cc è stato utilizzato in supplenza di una disciplina a tutela dell’ambiente, in un
quadro normativo che no al 1976 non aveva neppure il Ministero dell’Ambiente. Vigeva il
principio “chi inquina paga”; in seguito, però, il legislatore comunitario ha messo in mora l’Italia,
poiché non proteggeva l’ambiente in modo adeguato: la missione non è tanto risarcire colui che
so re un danno da inquinamento, bensì incentivare colui che inquina a boni care. Solo nel caso in
cui la noti ca non venga compiuti, si prosegue con il risarcimento.
DISTANZE LEGALI
Al ne di impedire che, tra immobili che si fronteggiano da fondi appartenenti a proprietari diversi,
possano crearsi delle anguste intercapedini, l’ART 873 cc dispone che:”Le costruzioni su fondi
nitimi, se non sono unite od aderenti, devono essere tenute a distanza non minore di 3 metri”.
Le norme codicistiche concernenti le distanze legali sono derogabili mediante accordi tra
privati. Diversamente, invece, accade per le prescrizioni contenute negli strumenti urbanistici
locali, in quanto dettate in tutela di un interesse generale ad un pre gurato modello urbanistico.
Nessuna parte della costruzione, in esclusione degli sporti deve trovarsi a distanza inferiore
rispetto a quella prescritta.
Se l’immobile risulta a distanza inferiore, il vicino può richiedere 1) tutela ripristinatoria = rimozione
dell’opera abusivamente realizzata + 2) tutela risarcitoria = risarcimento del danno
Anche quella volta al rispetto delle distanze è un’azione reale e dunque rivolta contro il
proprietario (e non nei confronti dell’autore materiale): solo il proprietario, infatti, può essere
destinatario dell’ordine di demolizione, che l’azione personale tende a conseguire.
L’ART 873 cc fa salva l’ipotesi in cui gli strumenti urbanistici richiedano una distanza
superiore ai tre metri; in quest’ultimo caso:
1) Se la previsione degli strumenti urbanistici è destinata a regolare proprio le distanze
(richiamata dunque dall’ART 872) -> la sua violazione implica 1) tutela ripristinatoria + 2) tutela
risarcitoria
2) Se la previsione degli strumenti urbanistici è destinata a regolare esclusivamente degli
interessi generali -> la sua violazione implica solo la tutela risarcitoria
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Il Codice contempla una serie di norme (ARTT 874-878 cc) aventi per oggetto i muri che si
trovino sul con ne o su proprietà limitrofe.
Va in particolare segnalata la previsione secondo cui il proprietario con nante ha diritto di
acquisire - mediante sentenza costitutiva - ove l’altro proprietario non vi consenta - la
comproprietà del muro 1) che si trovi sul con ne, 2) che si trovi a distanza inferiore di un
metro e mezzo dal con ne: in tal caso, viene acquisita la comproprietà al solo scopo si
fabbricare un appoggio allo stesso muro.
Chi acquista la comproprietà del muro, deve al con nante un importo pari alla 1) metà del prezzo
del muro + 2) metà del valore del suolo su cui insiste + 3) valore dell’area da occupare con la
nuova costruzione (se il muro non si trova sul con ne)
Nel sistema delineato dal codice, dunque, il con nante che per primo costruisce nisce per
in uenzare le scelte del secondo, secondo il principio di prevenzione (= tale principio comporta
che si debba agire prima che siano causati danni).
Infatti, a colui che edi ca per primo è aperta una triplice alternativa:
1) Costruire rispettando la distanza dal con ne pari ad almeno la metà da quella imposta per
legge (almeno 1.5 m) -> colui che edi ca per secondo, deve costruire ad una distanza tale da
rispettare il prescritto distacco legale dalla costruzione preesistente (almeno 1,5 m)
2) Costruire sul con ne -> colui che edi ca per secondo, può 1) chiedere la comunione forzosa
del muro o 2) realizzare il proprio manufatto in aderenza con esso (0 m)
3) Costruire ad una distanza dal con ne inferiore a quella prescritta (meno di 1,5 m) -> colui
che edi ca per secondo può chiedere la comunione forzosa del muro ed avanzare la propria
costruzione no ad esso, occupando lo spazio intermedio, dopo aver interpellato il
proprietario se preferisca a) estendere il muro a con ne; b) procedere alla demolizione del
muro; c) costruire in aderenza; d) rispettare il distacco legale dalla costruzione del vicino.
Il codice prevede altresì distanze minime dal con ne per pozzi, cisterne, fosse e tubi, nonché
per fabbriche e depositi pericolosi o nocivi.
Distanze minime dal con ne sono previste:
1) In considerazione del pericolo di frane che può derivare per fossi e canali
2) Pregiudizi derivanti dal propagarsi delle radici, dal protendersi dei rami, dall’immissione di
ombra ed umidità, …
Sono anche state introdotte distanze minime per gli apiari.
LUCI E VEDUTE
Il proprietario può sempre aprire vedute nel fondo nitimo, ma - in tutela alla riservatezza di
quest’ultimo - deve rispettare le distanze minime dal con ne indicate.
Il proprietario del fondo contiguo non può chiuderle.
Luci: aperture che consentono il passaggio di aria e luce, non permettendo tuttavia la
vista (inspectio) o, quanto meno, l’a accio (prospectio) sul fondo del vicino: non consente dunque
di inspicere o prospicere in alienum.
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La legge prescrive che la luce abbia determinate caratteristiche (es. sia dotata di inferriate idonea
a garantire la sicurezza del vicino; munita di grata in metallo a maglie strette; …).
Se la luce presenta tali caratteristiche è detta luce regolare. Se la luce non presenta tali
caratteristiche è detta luce irregolare, ma il vicino ha diritto in ogni momento di esigere che essa
sia resa regolare.
Il proprietario ha sempre facoltà di aprire luci nel muro (espressione della sua facoltà
dominicale), tuttavia il vicino può in ogni tempo chiuderle, ma solo se costruisce in aderenza o in
appoggio al muro nel quale le luci risultano aperte.
Diversa disciplina è dettata per i beni culturali, che appartengono allo Stato; al proprietario
dell’immobile dove è avvenuto il ritrovamento e allo scopritore fortuito compete, però, un
premio.
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ACCESSIONE (ART 934 cc):
L’accessione opera in caso di stabile incorporazione di beni di proprietari diversi; in tale
ipotesi, di regola, il proprietario della cosa acquista la proprietà delle cose in essa incorporate.
Un bene è di regola considerato principale rispetto ad un altro di funzione accessoria.
La proprietà si perde:
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• Atto di disposizione posto in essere dal suo titolare, che ne determini il trasferimento a favore
di terzi, che la acquisiscono a titolo derivativo.
• Usucapione di terzi
• Rinuncia da parte del titolare, che voglia disfarsi de nitivamente del bene.
Nel caso in cui la proprietà abbia oggetto un bene mobile, la rinuncia può avvenire anche per
facta concludentia (es per derelictio, abbandonando il bene in discarica). Ciò deve sempre
avvenire nel rispetto della normativa di settore in tema gestione di ri uti: L 152/2006 enuncia
che è vietato l’abbandono e il deposito dei ri uti sia sul suolo e nel suolo, sia nelle acque
super ciali e sotterranee.
A seguito di rinuncia, il bene mobile diviene res derelicta ed è oggetto di occupazione.
Se l’atto di rinuncia riguarda un bene immobile, esso deve rivestire forma scritta ed essere
trascritto nei pubblici registri immobiliari. Il bene immobile, invece, acquisito ex lege dal
patrimonio dello Stato o da quello del proprietario del fondo nitimo o dominante. Si discute se,
per produrre i suoi e etti, la rinuncia alla proprietà debba essere accettata da colui che è
destinato a divenirne il titolare.
A difesa della proprietà sono reperibili le azioni petitorie (che hanno natura reale, poiché fanno
valere un diritto reale). Esse si distinguono da quelle possessorie, che sono a tutela del possesso.
Il legittimato attivamente è il proprietario del bene, senza trovarsi nel possesso della cosa
Il legittimato passivamente è colui che ha la facultas restituendi, avendo il possesso della cosa;
il detentore peraltro può chiedere di essere estromesso dal giudizio, indicando il soggetto in nome
del quale stia detenendo la cosa, con la laudatio auctoris (ART 1586 cc), a nché l’attore
consegua l’azione contro quest’ultimo.
É su ciente che il convenuto possegga o detenga la cosa al momento della domanda
giudiziale: qualora poi non si trovi più in suo possesso o detenzione (avendola ceduta a terzi),
l’azione può legittimamente proseguitare nei suoi confronti, sebbene non potrà avere e etto
restitutorio.
Il convenuto, poiché dolo desiit possidere, dovrà:
• Recuperare la cosa per l’attore a proprie spese / corrispondergliene il valore;
• Risarcire il danno
Il proprietario potrà rivolgersi anche contro il nuovo possessore, al ne di ottenere la restituzione
del bene.
Nella rivendicazione, irrilevante è il titolo del diritto di proprietà: esso è infatti un diritto
autodeterminato e dunque valido di per sé stesso e non anche il base al titolo che ne costituisce
la fonte.
L’attore ha l’onere di dimostrare il suo diritto di proprietà (probatio diabolica): se l’acquisto è a
titolo originario, gli sarà su ciente fornire prova di tale titolo; se, invece, l’acquisto è a titolo
derivativo, sarà necessaria la produzione in giudizio 1) del titolo d’acquisto + 2) titolo d’acquisto
dei recedenti titolari, no ad arrivare a quello originario (cosa estremamente di cile).
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In proposito, soccorrono due istituti:
• Possesso vale titolo (ART 1153 cc): rispetto a beni mobili non registrati, l’attore deve provare il
possesso del bene di cui ora lamenta il godimento, sebbene abbia e ettuato un acquisto a non
domino (acquisto da colui che non ne era il legittimo proprietario), che sia avvenuto in buona
fede e con titolo idoneo al trasferimento della proprietà.
• Usucapione (ART 1158 cc): rispetto ai beni immobili o mobili di cui non si possa dimostrare
l’operatività di “possesso vale titolo”, l’attore deve mostrare che quand’anche avesse e ettuato
un acquisto a non domino, egli avrebbe comunque ottenuto il possesso del bene tramite
usucapione, avendo avuto il possesso del bene in modo continuativo no al maturarsi
dell’usucapione.
Peraltro, l’onere probatorio normalmente gravante su colui che agisce in rivendica può attenuarsi
in relazione alla linea difensiva adottata dal convenuto.
Il convenuto può limitarsi ad a ermare “possideo qui possideo” ed attendere che l’attore provi il
proprio diritto.
L’azione di rivendicazione è imprescrittibile, perché anche il non uso è espressione dell’ampiezza
di poteri che spettano al proprietario. Essa dev’essere rigettata, se il convenuto dimostra di aver
acquistato la proprietà per usucapione (ART 948 cc).
Dall’azione di rivendicazione si distingue l’azione di restituzione, che ha natura personale e
presuppone che l’attore agisca in giudizio vantando: 1) un rapporto contrattuale; 2) la risoluzione
di un rapporto contrattuale; 3) la scadenza d un rapporto contrattuale (mentre l’atra è un’azione
reale, che presuppone la restituzione del bene in quanto l’attore ne è il proprietario). Qui non
occorre la prova del diritto di proprietà, ma basta quella del diritto di restituzione.
Dall’azione di rivendicazione si distingue altresì l’azione di ripetizione, cui è legittimato chi
abbia consegnato ad altri un bene, senza giusti cazione.
AZIONE NEGATORIA
Concessa al proprietario di un bene per ottenere l’accertamento dell’inesistenza dei diritto
reali vantati da terzi sul bene stesso; la condanna è 1) alla rimozione delle opere eventualmente
e ettuate nel compimento di atti corrispondenti all’esercizio dei diritti reali e alla cessazione delle
molestie e delle turbative; 2) risarcimento del danno.
Essendo l’azione negatoria diretta al riconoscimento della libertà del bene dai diritti di terzi (e non
l’accertamento della proprietà di colui che agisce), è su ciente dimostrare un valido titolo
d’acquisto; sarà il convenuto a dover dimostrare l’esistenza del diritto che vanta, se vuole
ottenere il rigetto dell’azione. Ciò è conseguenza, sul piano probatorio, del fatto che il diritto di
proprietà non trova limiti che non siano stabiliti dalla legge o dalla volontà del proprietario:
incombe dunque a chi sostiene l’esistenza di dette limitazioni l’onere di mostrarne l’esistenza.
L’azione negatoria è imprescrittibile; essa dovrà però essere rigettata qualora il convenuto
dimostrasse di aver acquistato i diritti vantati per usucapione.
Le azioni n qui esaminate sono le azioni petitorie, contrapposte alle azioni possessorie.
I diritti reali in re aliena (su cosa altrui) costituiscono una limitazione del diritto di proprietà.
Essi si distinguono in diritti reali di godimento (= che comprimono il potere di godimento che
spetta al proprietario) e diritti reali di garanzia (= che comprimono il potere di disposizione che
spetta al proprietario, in funzione di garanzia di crediti di terzi).
I diritti reali di godimento, che costituiscono un numerus clausus, sono 1) super cie, 2) en teusi,
3) usufrutto, 4) uso, 5) abitazione, 6) servitù prediale.
Diritti di super cie + en teusi + abitazione + servitù -> hanno per oggetto solo beni immobili
Diritti di usufrutto + uso -> hanno ad oggetto anche beni mobili
Ci si interroga se alle parti sia concesso derogare alle regole codicistiche in tema di diritti reali di
godimento. La giurisprudenza è giunta al divieto di costituire diritti in re aliena diversi rispetto a
quelli previsti dal codice e limita la libertà contrattuale in relazione alla struttura del diritto reale e
non al contenuto dello stesso. In quest’ottica, spazi non marginali si aprono all’autonomia privata
nel conformare nel concreto il contenuto dei diritti reali tipizzati dal legislatore (es. concessione ad
aedi candum: si possono integrare al dato normativo delle caratteristiche della costruzione da
realizzare).
SUPERFICIE (!!!!)
Frutto di una deroga al principio di accessione ART 934 cc (= che stabilisce che tutto ciò che è
stabilmente incorporato sopra o sotto il suolo appartiene al proprietario del suolo medesimo),
allorquando il diritto di super cie venga attribuito a un soggetto diverso dal proprietario.
Salva diversa pattuizione, il perimento della della costruzione non estingue il diritto di super cie
(ART 954 cc): questo perché la costruzione è solo un’estrinsecazione del diritto di super cie, ma
non si confonde con esso.
Con l’estinzione della super cie, il diritto del proprietario nudo si estende alla costruzione
eseguita dal super ciario (ART 953 cc).
• Se l’estinzione avviene per scadenza di termine, 1) i diritti reali di godimento si estendono alla
costruzione; 2) i diritti reali eventualmente costituiti dal super ciario si estinguono
• Se l’estinzione avviene per altre cause (prescrizione + rinunzia + confusione), i diritti reali di
godimento costituiti dal proprietario e dal super ciario continuano a gravare separatamente sui
beni oggetto di diritto di ciascuno. ????
Il diritto alla super cie trova amplia applicazione nella vita economica, ad esempio:
- Realizzazione di edi ci condominiali (mentre la proprietà del suolo compete a tutti i condomini
in comunione pro indiviso, la proprietà delle singole unità immobiliari compete, in via esclusiva,
a ciascuno di essi).
- Realizzazione di parcheggi a pagamento al di sotto del suolo pubblico (mentre la proprietà
dell’area compete alla PA, quella dell’edi cando autosilo viene concessa al privato che lo
costruisce per un periodo di tempo determinato).
ENFITEUSI
L’en teusi ebbe notevole sviluppo nel Medioevo; il codice del 1865 la considero con sfavore; il
codice del 1942 cercò di imprimere nuova vita all’istituto, senza che però le sue assertive fossero
realizzate.
L’en teusi attribuisce all’en teuta (= soggetto al cui favore è costituita) lo stesso potere che su un
bene immobile spetta al proprietario, salvo l’obbligo di migliorare il fondo e pagare al nudo
proprietario stesso un canone periodico, in denaro o in una quantità ssa di prodotti naturali.
A di erenza dell’usufruttuario, l’en teuta può anche mutare la destinazione del fondo (es.
modi care il tipo di coltivazione in essere).
Il potere di godimento che, per e etto della costituzione di en teusi, spetta all’en teuta è
denominato dominio utile; al nudo proprietario spetta il dominio indiretto, che in concreto si
riduce a ben poca cosa (es. Diritto di canone).
Dal punto di vista giuridico, molti a ermano che l’en teuta si dovrebbe ritenere il “vero”
proprietario del fondo, mentre il diritto del concedente si con gurerebbe come un diritto reale al
canone.
I modi di acquisto dell’en teusi sono: 1) contratto, di forma necessariamente scritta, ART 1350
cc; 2) testamento; 3) usucapione.
La legge attribuisce:
1) Potere di a rancazione (all’en teuta): l’en teuta acquista la piena proprietà del fondo
mediante il pagamento al concedente di una somma di denaro
2) Potere di devoluzione (al concedente): in caso di inadempimento all’obbligo di non
deteriorare o migliorare il fondo da parte dell’en teuta o pagare il canone, il concedente può
liberare il fondo dal diritto en teutico
USUFRUTTO (!!!)
L’usufrutto è lo ius utendi fruendo salva rerum substantia, ossia il diritto di godere della cosa
altrui con l’obbligo di rispettarne la destinazione economica (ART 981 cc) -> se l’usufrutto ha per
oggetto un giardino, non posso trasformarlo in un frutteto.
L’usufrutto congiuntivo è l’usufrutto attribuito congiuntamente a più soggetti, anche con il diritto
di accrescimento a favore del più longevo dei contitolari (es. usufrutto costituito a favore dei
coniugi Tizio e Caia. Tizio muore. Caia conserva integralmente il diritto di usufrutto).
L’usufrutto successivo è l’usufrutto attribuito a più soggetti in via successiva alla morte
dell’usufruttuario precedente. Esso è espressamente vietato se costituito per testamento (ART
698 cc) o in forza di donazione (ART 795 cc), e dunque valido solo per il primo bene ciario.
Valido si ritiene l’usufrutto successivo improprio (analogia con ART 796 cc), ossia l’usufrutto
con cui l’alienante a titolo oneroso di un bene se ne riserva l’usufrutto, con la previsione che alla
sua morte lo stesso competerà ad un terzo (o a più terzi, ma congiuntamente e non
successivamente).
OGGETTO DELL’USUFRUTTO
Oggetto di usufrutto può essere qualunque specie di bene, eccetto i beni consumabili: questi
ultimi, infatti, se utilizzati perdono la propria individualità e non potrebbero essere restituiti al
proprietario alla cessazione dell’usufrutto.
Se il godimento di beni consumabili viene attribuito a un soggetto diverso dal proprietario non si
ha l’usufrutto, ma il quasi-usufrutto: in tal caso, la proprietà dei beni consumabili passa al
quasi-usufruttuario (dunque, il quasi-usufrutto non è diritto reale su cosa altrui), salvo l’obbligo di
dover restituire il valore dei beni consumabili o altrettanti beni dello stesso genere = tantundem
eiusdem generis (e non gli stessi beni ricevuti). ??si può comunque parlare di nudo proprietario?
Oggetto di usufrutto possono essere beni deteriorabili: in tal caso, l’usufruttuario ha potere di
servirsene secondo l’uso al quale sono destinati (salva rerum substantia). Alla ne dell’usufrutto,
l’usufruttuario è tenuto a restituire i beni nello stato in cui si trovavano (ART 996 cc).
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MODI DI ACQUISTO DELL’USUFRUTTO
Fino a tempi recenti, il modo di acquisto dell’usufrutto più di uso è stato l’usufrutto uxorio, ossia
l’attribuzione ex lege del bene al coniuge superstite in caso di successione mortis causa al
coniuge defunto. La riforma del 1975 ha eliminato tale istituto, contemplando che il coniuge
superstite non avesse più diritto all’usufrutto, ma alla proprietà piena su una quota degli stessi.
DIRITTI DELL’USUFRUTTARIO
All’usufruttuario competono:
• Potere di godimento: che implica
5. Facoltà di trarre dalla cosa tutte le utilità fruibili, salvo l’obbligo di rispettarne la
destinazione economica
6. Possesso della cosa (ART 982 cc): se questo è esercitato da altri, l’usufruttuario può
esperire l’actio confessoria (= reivindicatio), detta anche vindicatio usufructus. Tale azione è
volta ad accertare l’esistenza del diritto di usufrutto e ottenere la condanna del terzo al
rilascio del possesso
7. L’acquisto dei frutti naturali e civili della cosa; all’usufruttuario spettano i frutti naturali
separati durante l’usufrutto; la proprietà dei frutti civili vengono da lui acquistati giorno per
giorno, in ragione della durata del diritto. Tuttavia, l’acquisto dei frutti naturali è attenuato dal
legislatore, rispetto alla categoria più importante di frutti naturali, ossia quelli rustici: la
ripartizione tra proprietario ed usufruttuario ha luogo in proporzione alla durata del rispettivo
diritto nell’anno agrario. Con lo stesso criterio per la ripartizione di frutti, si ripartiscono anche
le spese necessarie per la loro produzione (secondo la regola generale “fructus non
intelleguntur nisi deductis impensis”).
• Potere di disposizione del diritto di usufrutto (ART 980 cc): l’usufruttuario può cedere ad
altri, contro un corrispettivo o gratuitamente, il diritto di usufrutto (non quello di proprietà, che
non gli compete) e può anche cedere l’ipoteca sull’usufrutto stesso. In ogni caso, la cessione
non può danneggiare il nudo proprietario, prolungando la compressione del suo diritto: esso si
estinguerà ugualmente al termine previsto nell’atto di costituzione e, in mancanza, con la morte
dell’usufruttuario originale.
• Potere di disposizione del godimento del bene (ART 999 cc): naturalmente, solo inter vivos
(es. l’usufruttuario può concedere in locazione la cosa che forma oggetto del suo diritto).
In applicazione del principio resoluto iure dantis resolvitur et ius accipientis, le locazioni
concesse dall’usufruttuario dovrebbero estinguersi all’estinguersi dell’usufrutto. Tuttavia, il
legislatore ha acconsentito che le locazioni in corso al momento della cessazione dell’usufrutto
possano proseguire per la durata stabilita, ma a condizione che la locazione e la durata risultino
da atto pubblico o da scrittura privata con data anteriore e, in ogni caso, per non oltre un
quinquennio dalla cessazione dell’usufrutto. Peraltro, se la cessazione dell’usufrutto si veri ca
per la scadenza del termine ssato per la sua durata (che dunque il conduttore era in grado di
conoscere al momento della stipula del contratto di locazione) la locazione dura solo per l’anno
in corso.
• Facoltà di apportare miglioramenti alla cosa e di eseguire addizioni
OBBLIGHI DELL’USUFRUTTUARIO
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Gli obblighi dell’usufruttuario si ricollegano al dovere fondamentale di restituire la cosa al
termine del suo diritto (ART 1001 cc).
Da ciò deriva che egli è tenuto a:
• Usare la diligenza del buon padre di famiglia (ART 1001 cc)
• Non modi care la destinazione (ART 981 cc)
• Fare l’inventario (salvo dispensa) e prestare garanzia (onere), a presidio dell’osservanza degli
obblighi di conservazione e restituzione (ARTT 1002, 1003 cc) ???
La Suprema Corte ritiene che quelle appena ricordate costituiscano vere e proprie obbligazioni
dell’usufruttuario nei confronti del nudo proprietario. In ipotesi di inadempimento, il proprietario
può richiedere all’usufruttuario il risarcimento del danno eventualmente so erto, anche in forma
speci ca (ART 2058 cc).
La ripartizione delle spese inerenti alla produttività della cosa è collegato al principio fructus non
intelleguntur nisi deductis impensis = si considerano frutti quelli che residuano dopo la
sottrazione delle spese: dunque,
- L’usufruttuario è tenuto alle spese e agli oneri relativi alla custodia, all’amministrazione ordinaria
della cosa e alle riparazioni ordinarie.
- Sono, invece, a carico del nudo proprietario le riparazioni straordinarie, quelle cioè che
superano i limiti della conservazione della cosa e delle sue utilità per la durata della vita umana.
ESTINZIONE DELL’USUFRUTTO
USO e ABITAZIONE
L’uso consiste nel servirsi di un bene e, se fruttifero, di raccogliere i frutti limitatamente ai bisogni
propri e della propria famiglia (ART 1021 cc)
L’abitazione consiste nel diritto di abitare una casa limitatamente ai bisogni propri e della propria
famiglia (ART 1022 cc).
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A di erenza dell'usuario (= titolare del diritto d’uso), che potrebbe impiegare l’unità immobiliare di
cui si serve per nalità diverse da quella abitativa, l’habitator non può destinare la casa oggetto
del suo diritto che all’abitazione diretta propria e dei suoi familiari, con conseguente divieto di
utilizzo in modo di erente.
I diritti di uso e di abitazione possono sorgere (= usufrutto), per volontà dell’uomo (contratto +
testamento) e per usucapione.
Tali diritti sono garantiti ex lege: l’ART 540 cc a erma che, in caso di morte di uno dei due
coniugi, all’altro sono riservati i diritti di uso e di abitazione, se di proprietà del defunto o comuni.
Dato il loro carattere personale, uso e abitazione non si possono cedere, né il bene può essere
concesso il locazione o in godimento a terzi. Peraltro, detti divieti possono essere derogati dalle
parti.
Per il resto, ove non diversamente previsto, le disposizioni in tema di usufrutto trovano
applicazione all’uso e all’abitazione, in quanto compatibili.
La servitù prediale consiste nel peso imposto sopra il fondo servente per l’utilitas del fondo
dominante, che appartiene a diverso proprietario.
Essenziale è tale rapporto di servizio tra i due fondi (“predi”, dal latino praedium -> servitù
prediale), per cui il fondo dominante si avvantaggia della limitazione che subisce il fondo servente
(es. servitù di passaggio).
L’utilità può consistere anche nella maggiore comodità od amenità del fondo dominante ART
1028 cc.
-> es. servitus alius non tollendi: per impedire la realizzazione nel fondo vicino di costruzioni che
coprano la vista al mare nel mio fondo dominante.
Da ciò discende che il contenuto del diritto di servitù può essere il più vario, distinguendo le
servitù tipiche, il cui contenuto è regolato dal legislatore, dalle servitù atipiche, che non
appartengono ad alcun modello legale, ma possono tuttavia essere costituite, purché nalizzate
all’utilità del fondo dominante.
L’ART 1028 cc consente anche le servitù industriali, che sono strumentali agli utilizzi produttivi
del fondo dominante (pur diversi dalla sua coltivazione) che ineriscono strutturalmente al fondo
stesso (es. servitù di passaggio per il trasporto delle merci prodotte).
Le servitù aziendali, invece, non costituiscono servitù prediali: esse, infatti, sono strumentali
all’attività imprenditoriale come tale, indipendentemente dal fondo su cui l’attività è esercitata (es.
divieto di concorrenza).
Nulla vieta che le servitù possano essere reciproche, sicché ciascun fondo si troverà ad essere
sia dominante sia servente.
L’utilità può anche essere rivolta ad un edi cio da costruire o ad un fondo da acquistare (ART
1028 cc). Peraltro, la servitù, consistendo in una relazione tra due fondi, non può nascere come
diritto reale se non quando l’edi cio sia costruito od acquistato (e da quel momento decorre il
termine di prescrizione per il non uso della servitù).
Prima della costruzione o dell’acquisto, il rapporto ha natura obbligatoria ed è soggetto a
prescrizione decennale.
Non costituiscono servitù prediali le servitù irregolari o personali, il cui servizio è prestato a
favore di una persona (es. diritto di una persona di passaggio sul fondo altrui per esercitarvi la
pesca).
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La ragione per cui non sono ammesse servitù se non a favore di fondi è il fatto che i diritti reali
costituiscano un numerus clausus, per evitare l’aggravio delle proprietà con pesi che
limiterebbero la produttività dei fondi.
Naturalmente, nulla vieta che il proprietario consenta ad un’altra persona ad es. di passeggiare
nel suo fondo, ma ciò da luogo semplicemente a delle obbligazioni, con e etti limitati al
concedente e ai suoi aventi causa (non darà luogo ad un diritto valido erga omnes).
PRINCIPI GENERALI
COSTITUZIONE
In alcuni casi, la legge si preoccupa del pregiudizio recato da una certa situazione del fondo alla
possibilità di utilizzo dell’immobile ed attribuisce al suo proprietario il diritto potestativo di ottenere
l’imposizione di una servitù su fondo altrui.
In contropartita, colui che subisce tale imposizione, ha diritto ad un’indennità, commisurata al
danno so erto (ART 1032 cc).
Tali servitù si costituiscono con un procedimento preciso: sebbene, infatti, il mio fondo si trovi
nelle condizioni previste dalla legge, non posso senz’altro esercitare la servitù.
La legge attribuisce lo ius ad servitutem habendum, ma per costituirla concretamente,
occorrerà:
1) Contratto, se l’altro proprietario consente a riconoscere la servitù. In questo caso la servitù
dovrà ritenersi coattiva, sebbene sia stata costituita per mezzo di un contratto, nella misura in
cui questo sia un adempimento di un obbligo legale
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2) Sentenza costitutiva da parte del giudice, che fa nascere la servitù e determina l’indennità
dovuta al proprietario del fondo servente: nché il pagamento dell’indennità non sia
adempiuto, il proprietario del fondo servente può opporsi all’esercizio della servitù.
Ciò da un lato per evitare che il singolo si faccia giustizia da sé, e - in garanzia dell’altro
proprietario - veri care se sussistano e ettivamente i requisiti dalla legge previsti in astratto.
La legge prevede, ma solo in talune ipotesi speci che, che l’avente diritto ad una servitù coattiva
possa chiederne la costituzione alla PA, che vi provvederà in forza di atto amministrativo (es.
servitù di passaggio delle tubazioni per l’allacciamento alla rete del gas di utenze domestiche od
aziendali).
Il venir meno dei presupposti che avevano giusti cato la servitù coattiva ne legittima la richiesta di
estinzione (ART 1055 cc), quand’anche la servitù fosse stata costituita convenzionalmente.
Per l’estinzione, occorre una sentenza costitutiva del giudice, emessa su domanda del soggetto
interessato.
SERVITU VOLONTARIE
Il proprietario di un fondo può assicurarsi l’utilità che occorre per il suo migliore sfruttamento
mediante la conclusione di un contratto con il proprietario del fondo su cui si vorrebbe
esercitare la servitù.
Il contratto, riferendosi ad un diritto immobiliare, deve farsi per iscritto (ART 1350 cc) ed è
soggetto a trascrizione, per l’opponibilità ai terzi.
La servitù può essere costituita anche per testamento (ART 1058 cc): l’accettazione di eredità
che importi l’acquisto di una servitù è soggetta a trascrizione.
Per comprendere le modalità con cui opera il modo di acquisto della servitù costituita dalla
destinazione del padre di famiglia, occorre tener presente che, se il proprietario del fondo
costruisce delle opere permanenti sul suo bene, per e etto delle quali una parte del fondo è
asservita ad un’altra parte del medesimo fondo consentendone un miglior utilizzo, non può
sorgere alcuna servitù, poiché nemini res sua servit.
Ma se il fondo cessa di appartenere allo stesso proprietario, il legislatore stabilisce che - sempre
che sussistano i requisiti per l’apparenza di una situazione analoga a quella che darebbe luogo a
servitù e sempre che nulla in contrario sia stabilito nell’atto che origina la separazione in due parti
del fondo - si costituisca uno stato di fatto in cui vi sia una servitù corrispondente allo stato
di fatto preesistente (attivamente, a favore di uno dei due fondi, e passivamente, a favore
dell’altro). Dunque non occorre alcun atto negoziale per la costituzione della servitù, ma solo che
l’atto che provoca divisione tra i due fondi non abbia dichiarazione contraria, che escluderebbe la
nascita della servitù. ???? Perché non diventa stato di diritto??
L’esercizio della servitù è regolato innanzitutto dal titolo e, in difetto, dalla legge, secondo il
principio di graduazione delle fonti regolatrici dell’estensione e dell’esercizio della servitù.
In ogni caso, il diritto alla servitù comprende tutto ciò che è necessario per usarne, tra cui le
adminicula servitutis, ossia facoltà accessorie ma indispensabili per l’esercizio della servitù.
Si chiama modo o modalità d’esercizio di servitù il come la servitù viene esercitata (es. a piedi).
Si discute se possa usucapirsi il modo di servitù: se la servitù non è apparente, non si può
usucapire né il modo né la servitù; se il modo è apparente, la dottrina distingue 1) se il modo è
determinato nel titolo, non si può usucapire un modo diverso, perché solo il diritto è usucapibile;
2) se il modo non è determinato, l’usucapione è ammissibile (perché si consolida anche il diritto di
servitù, che prima non era ben de nito). (????)
L’eventuale dubbio in merito all’estensione e alle modalità d’esercizio devono essere esercitate
civiliter, secondo il principio del minimo mezzo.
Corollario di si atto principio è il divieto, per il proprietario del fondo dominante, di aggravare e,
per quello del fondo servente, di diminuire l’esercizio della servitù.
Poiché uno dei canoni tradizionali in tema di servitù si esprime in servitus in faciendo consistere
nequit, le spese necessarie per l’uso e della conservazione della servitù sono a carico, di regola,
del fondo dominante.
Le servitù si estinguono:
1) Per rinuncia da parte del titolare, fatta per iscritto (ART 1350 cc). Se la rinuncia ha luogo
contro un corrispettivo, occorre un contratto (atto bilaterale). Se la rinuncia ha luogo per
decisione del titolare senza alcuna contropartita, è su ciente un atto unilaterale.
2) Scadenza del termine, se la servitù è a tempo
3) Confusione, quando il proprietario del fondo dominante acquista la proprietà del fondo
servente o viceversa
4) Per prescrizione estintiva ventennale (non uso)
L’interruzione del termine ventennale di prescrizione (ART 1073 cc) è determinata 1) dal
riconoscimento da parte del proprietario del fondo servente + 2) proposizione della domanda
giudiziale.
L’impossibilità di fatto di usare la servitù così come la cessazione della sua utilità non fanno, di
per sé, estinguere la servitù, poiché lo stato dei luoghi potrebbe mutare nuovamente e farla
tornare utile. Si ha, invece, la sospensione della servitù, che si veri ca quando sia decorso il
termine ventennale di prescrizione.
A tutela della servitù è istituita l’azione confessoria, detta anche confessoria servitutis o
vindicatio servitutis. In forza di essa, colui che si a erma titolare chiede una pronuncia giudiziale
di accertamento del suo diritto ed eventualmente anche una pronuncia di condanna 1) alla
cessazione; 2) alla remissione delle cose in ripristino; 3) risarcimento del danno.
Legittimato attivamente è colui che si a erma titolare della servitù; legittimato passivamente è
colui che contesta l’esercizio della servitù.
L’attore in confessoria servitutis (= reivindicatio) deve fornire prova rigorosa dell’esistenza della
servitù e infatti tale azione ha carattere petitorio e il suo accoglimento presuppone
l’accertamento del diritto di servitù.
A tutela del possesso (lo stato di fatto) corrisponde la tutela possessoria di reintegrazione ART
1168 cc e di manutenzione ART 1170 cc.
Un diritto soggettivo può appartenere a più persone, che sono tutte contitolari del medesimo
diritto (che rimane identico a sé stesso, nonostante faccia capo a più soggetti): questo è il
fenomeno della contitolarità.
La contitolarità prende il nome di:
- Comunione pro indiviso o comproprietà, se ha per oggetto il diritto dominicale
- Cosufrutto, se trattasi di contitolarità del diritto di usufrutto
Secondo l’opinione maggiormente accreditata, il diritto di ciascuno dei contitolari riveste l’intero
bene, ossia cade sul cespite nella sua totalità.
A ciascuno dei comproprietari spetta una quota ideale sull’intero bene, che è disponibile (es. Tizio
può vendere la su quota in qualsiasi momento). La quota segna la misura di facoltà, diritti ed
obblighi dei titolari (ART 1101 cc).
Nelle ipotesi in cui non sia diversamente previsto, le quote si presumono iuris tantum uguali.
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Quella n ora delineata è la comunione per quote, che costituisce la gura generale di comunione
prevista dal nostro ordinamento. La dottrina tedesca contempla invece la comunione senza
quote, in cui il bene appartiene unitariamente al gruppo (e non già pro quota ai singoli).
COMUNIONE e SOCIETA
La comunione si distingue dalla società, perché mentre i compartecipi della comunione hanno
come nalità l’esercizio comune del godimento della cosa = “comunione a scopo di godimento”
(ART 2248 cc), i compartecipi della società mirano allo svolgimento di un attività economica.
La distinzione diviene più labile allorquando si tratti di un bene produttivo (es. un’azienda). In tal
caso, occorre distinguere in base all’ambito di applicazione:
- Comunione: 1) i compartecipi non utilizzano il bene; 2) concedono il bene in godimento; 3) si
limitano a raccoglierne i frutti naturali, senza che la loro attività sia quali cabile come
“d’impresa” -> es. Tizio e Caio tagliano periodicamente il bosco naturale che cresce sul fondo
comune
- Società: i compartecipi svolgono attività di impresa
ES -> il padre che gestisce un’impresa agricola morendo la lascia ai tre gli: comunione; se però
continuano l’attività del padre è una società
COSTITUZIONE
Quando i beni comuni pervengono ai contitolari in forza di titoli diversi, si realizzeranno tante
comunioni quanti sono i titoli (es. Tizio e Caio acquistano un immobile; dopo un anno, ricevono in
donazione un terreno dal padre).
DISCIPLINA
La disciplina legale della comunione ordinaria risponde alla logica secondo cui il diritto di
ciascuno dei contitolari, pur investendo il bene nella sua totalità, incontra un limite nel diritto
degli altri compartecipi.
Potere di godimento:
Ciascuno dei contitolari può servirsi della cosa comune, con l’uso collettivo o uso promiscuo, a
condizione però che (a tutela dell’interesse degli altri compartecipi):
- Non ne alteri la destinazione
- Non impedisca agli altri titolari parimenti di utilizzarla
Rispettati tali limiti, l’utilizzo che il singolo fa della cosa comune non deve essere proporzionato
alla quota a ciascuno spettante (es. se gli altri comproprietari non lo utilizzano, anche colui che
possiede una quota minima può fruire del bene in tutta la sua interezza).
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Le parti possono derogare tale regola legale dell’uso promiscuo, concordando una divisione del
godimento del bene comune:
• Nello spazio (es. villetta con due appartamenti: i comproprietari si dividono gli appartamenti)
• Nel tempo (es. i due comproprietari si dividono il bene, a nché uno lo usi nei giorni festivi e
l’altro in quelli feriali)
• Con l’uso indiretto (es. concedere l’appartamento in locazione a terzi)
Al ne di un suo miglior godimento, al singolo contitolare è consentito apportare alla cosa comune
le modi cazioni che ritenga necessarie, sempre nei limiti di evitare l’alterazione della
destinazione del bene o impedimento al diritto degli altri partecipanti al godimento dello stesso.
Ciascuno dei contitolari ha diritto di percepire i frutti della cosa in proporzione alla rispettiva
quota, pur dovendo partecipare in analoga proporzione alle spese (ART 1101 cc).
Potere di disposizione:
Ciascun proprietario può disporre della propria quota (ART 1103 cc), es. alienandola,
costituendola in usufrutto, …
Non può, ovviamente, né disporre della cosa altrui, né dell’intero, poiché non gli competono.
Gli atti di disposizione del bene (es. alienazione della cosa comune) secondo il principio
dell’unanimità richiedono il consenso di tutti i contitolari.
Per quanto riguarda l’amministrazione della cosa comune, ciascuno dei compartecipi ha diritto di
concorrervi ed essere informato delle decisioni da assumere (ART 1105 cc).
Non è però richiesto il consenso di tutti per l’adozione delle relative deliberazioni: esse possono
essere adottate in base al principio di maggioranza.
Così:
- Per gli atti di ordinaria amministrazione -> maggioranza semplice, consenso di tanti titolari
le cui quote rappresentano la metà del valore complessivo della cosa (vietati pregiudizievoli per
la cosa comune)
- Per gli atti di straordinaria amministrazione -> maggioranza quali cata, consenso di tanti
comproprietari le cui quote rappresentino almeno i due terzi del valore complessivo della cosa
comune (vietati se pregiudicano l’interesse di qualche partecipante)
- Per le innovazioni dirette al miglioramento della cosa o a renderne più comodo o redditizio
il godimento -> maggioranza quali cata, consenso di tanti comproprietari, le cui quote
costituiscano i due terzi del valore complessivo (vietate qualora pregiudichino il godimento di
alcuno dei partecipanti o importino una spesa eccessivamente gravosa).
Qualora:
1) Non invengano presi i provvedimenti necessari per l’amministrazione della cosa comune
oppure
2) Decisione adottata non venga eseguita
si può ricorrere all’Autorità Giudiziaria perché emetta provvedimenti opportuni, nominando
anche un amministratore giudiziario (ART 1105 cc).
Se non vengono deliberati interventi necessari ed urgenti alla conservazione della cosa comune, il
singolo può anche provvedervi (dopo aver interpellato gli altri) con il suo diritto al rimborso delle
spese sostenute.
Del pari, si ritiene che il singolo partecipante possa compiere azioni petitorie (a difesa del diritto
comune), azioni possessorie (a difesa della comune situazione possessoria) ed azioni
risarcitorie (per i danni so erti dalla cosa comune).
Con il consenso dei comproprietari le cui quote rappresentano più della metà del valore
complessivo della cosa comune, può essere formato un regolamento per l’ordinaria
amministrazione e il miglior godimento della cosa comune. Può inoltre essere delegata
amministrazione della cosa ad uno o più soggetti (ART 1106 cc).
Secondo il principio communio est mater rixarum, il nostro codice guarda con sfavore
l’indecisione, ritenendo la comunione possibile occasione di scontri.
Da ciò deriva che, come a erma l’ART 1111cc:
- Da un lato, è attribuita la facoltà ai partecipanti di chiedere in qualsiasi momento lo
scioglimento della comunione, anche contro la volontà della maggioranza;
- Dall’altro lato, vieta che il patto di indivisibilità vincoli a rimanere in comunione per più di 10
anni
L’eventuale indivisibilità del bene comune non preclude lo scioglimento della comunione: il bene,
infatti, può essere alienato a terzi.
CONDOMINIO
Il condominio è un edi cio nel quale sono presenti più unità immobiliari di proprietà esclusiva dei
singoli condomini e parti comuni strutturalmente e funzionalmente connesse al complesso delle
prime. Tali si presumono:
- Le parti dell’edi cio necessarie all’uso comune
- Aree destinate a parcheggio e i locali per i servizi in comune
- Opere, installazioni e manufatti destinati all’uso comune
Ciò è stabilito dall’ART 1117-bis cc, che peraltro contiene un’elencazione esempli cativa e non
tassativa.
La disciplina in materia di condominio è stata ampiamente modi cata ricorrendo alla novella con
L 11 dicembre 2012, n°220.
Salvo che sia diversamente previsto dal titolo, le parti comuni si presume che appartengano a
tutti i proprietari in comunione pro quota, in proporzione al valore di ciascuna di dette unità
immobiliari, come a ermato dagli ARTT 1117-1118 cc.
Il singolo condomino:
1) Può far uso promiscuo (= uso delle parti comuni): purché:
• Non compia attività che incidano negativamente sulla loro destinazione d’uso
• Non impedisca agli altri condomini di farne parimenti uso
• Non arrechi pregiudizio alla stabilità, alla sicurezza, al decoro architettonico dell’edi cio
• Non impedisca o limiti l’esercizio dei diritti di un altro condomino sulla sua stessa proprietà
esclusiva
2) Può apportare alle parti comuni modi cazioni funzionali ad un miglior godimento della
propria unità immobiliare, pur sempre nei limiti appena indicati (es. può aprire una porta per
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accedere comodamente alla proprietà individuale, ma non può aprire una porta nel muro
perimetrale per accedere ad un’unità immobiliare non facente parte del condominio)
3) Ha diritto di installare impianti non centralizzati per
• Ricezione radiotelevisiva e l’accesso a qualunque altro mezzo di usso informativo
• Produzione di energia da fonti rinnovabili destinati al servizio di singole unità di condominio
• Arrecando però il minor pregiudizio alle parti comuni e alle unità immobiliari di proprietà
individuale, preservando il decoro architettonico dell’edi cio
4) Deve contribuire alle spese, in misura proporzionale alla propria quota, che sono
necessarie a:
• Conservazione e godimento di parti comuni
• Servizi nell’interesse comune
• Innovazioni deliberate dalla maggioranza
• Se si tratta di cose destinate a servire i condomini in misura diversa, le spese sono ripartite in
proporzione all’uso che ciascuno può farne.
• In applicazione di tale principio, qualora un condominio abbia più scale (ad es. destinate a
servire il condominio parziale = parte del tutto) le spese relative alla manutenzione sono a
carico del gruppo di condomini che ne trae utilità.
• Il condomino può sottrarsi alle spese di gestione, rinunciando all’utilizzo dell’impianto
centralizzato di riscaldamento o condizionamento, sempre che dal suo distacco non derivino
notevoli squilibri agli altri condomini. Il condomine rinunciante a tali servizi resta comunque
tenuto a concorrere al pagamento delle spese per la manutenzione straordinaria del relativo
impianto, della sua conservazione e messa a norma.
• Nel caso in cui il ritardo del pagamento di detti servizi si protragga per almeno sei mesi, al
condomino può essere sospesa la fruizione dei servizi comuni suscettibili a godimento
separato.
5) Non può rinunciare al suo diritto sulle parti comuni, es. al ne di sottrarsi all’obbligo di
contribuire alle spese condominiali
6) Non può disporre delle parti comuni nella loro totalità (es. alienandole) e neppure della
propria quota su di esse (es. il condomine non può cedere a terzi la quota di comproprietà
sulle parti comuni), se non congiuntamente alla porzione immobiliare di proprietà
esclusiva (allo stesso modo, non può disporre della porzione immobiliare di proprietà
esclusiva, senza comprendervi le parti comuni).
7) Non può eseguire opere che rechino danno alle parti comuni, nell’unità immobiliare di
proprietà esclusiva, determinando un pregiudizio in termini di stabilita e sicurezza.
Poiché le parti comuni sono funzionali al miglior sfruttamento e godimento delle unità immobiliari,
ne è per regola sancita l’indivisibilità: per questo la comunione condominiale è necessaria.
Peraltro, se la divisione può farsi senza rendere incomodo l’uso delle singole proprietà individuali,
essa può essere disposta con il consenso di tutti i partecipanti.
ASSEMBLEA
L’assemblea, obbligatoria quando i condomini sono più di 8 (ART 1129 cc), se lo ritiene
opportuno può nominare un revisore (che veri ca la contabilità del condominio) e/o un consiglio
di condominio (composto da almeno tre condomini negli edi ci di almeno dodici unità
immobiliari).
Nell’ipotesi del condominio minimo, qualora i partecipanti al condominio siano due, per la
valida costituzione dell’assemblea è necessaria la partecipazione di ambedue i condomini e, per
la validità delle sue deliberazioni, occorre l’unanimità di entrambi.
Nelle deliberazioni relative alle spese e alle modalità di gestione dei servizi di riscaldamento e
condizionamento d’aria, il diritto di voto all’assemblea compete al conduttore di esso: infatti, è su
quest’ultimo che gravano i relativi oneri (e non dal proprietario dell’appartamento concesso in
locazione).
Nelle deliberazioni assembleari si deve redigere il verbale, da trascriversi nel relativo registro
tenuto dall’amministratore (ART 1136 cc).
Le deliberazioni assunte dall’assemblea sono vincolanti per tutti i partecipanti al condominio (ART
1137 cc).
Peraltro, se risultano contrarie a legge o a regolamento di condominio, tali deliberazioni
possono essere impugnate dai condomini assenti, dissenzienti od astenuti. Il ricorso dev’essere
proposto entro 30 giorni decorrenti dalla data di deliberazione.
Del pari, quand’anche non contrare alla legge o al regolamento di condominio, le deliberazioni
possono essere impugnate dai condomini assenti perché non regolarmente convocati (in caso di
omessa, tardiva o incompleta convocazione degli aventi diritto. Il ricorso deve essere proposto
entro 30 giorni decorrenti dalla data in cui è stato comunicato loro il relativo verbale.
La giurisprudenza insegna che dalle deliberazioni annullabili occorre tener distinte le deliberazioni
nulle. Nulle sono le deliberazioni:
1) Prive degli elementi essenziali
2) Con oggetto impossibile
3) Con oggetto che non rientra nelle competenze assembleari
4) Incidano sui diritti individuali dei condomini sulle cose o servizi comuni
L’azione di nullità può essere esperita da chiunque vi abbia interesse (non solo dai condomini
assenti, astenuti, dissenzienti).
L’amministratore del condominio viene nominato dall’assemblea (ART 1129 cc), ma può essere
revocato in ogni momento dall’assemblea stessa.
I provvedimenti presi dall’amministratore del condominio nell’ambito dei suoi poteri sono
obbligatori; contro tali provvedimenti è ammesso il ricorso all’assemblea.
L’amministratore ha la rappresentanza del condominio: ciò signi ca che può agire e resistere in
giudizio, sia contro i condomini sia contro terzi, sia autonomamente, sia previa autorizzazione
assembleare a seconda che la materia rientri fra le sue competenze.
REGOLAMENTO CONDOMINIALE
Nel caso in cui i condomini siano più di 10, l’assemblea approva, con le maggioranze richieste in
prima convocazione, un regolamento. Tale regolamento deve contenere:
1) Norme circa l’uso delle cose comuni
2) Ripartizione delle spese
3) Tutela del decoro dell’edi cio
4) Amministrazione del condomino
Per le infrazioni al regolamento può essere previsto, a titolo di sanzione, il pagamento di una
somma no a euro 200 e, in caso di recidiva, no a euro 800.
Se non prevista dal titolo, al regolamento dev’essere allegata la Tabella millesimale, che indica il
rapporto proporzionale, espresso in frazione millesimale, fra il valore della singola unità
immobiliare di proprietà esclusiva e quello del intero edi cio, ai ni 1) ripartizione delle spese,
2) computo dei quorum costitutivi.
Per la modi ca alle Tabelle millesimali, è su ciente la maggioranza (ART 1136 cc) quando:
1) Revisione avviene con funzione ricognitiva dei valori e dei criteri stabiliti dalla legge = la
revisione avviene per riparare un precedente errore
2) Per le mutate condizioni di una parte dell’edi cio, risulti alterato più di un quinto il valore
proporzionale dell’unità immobiliare, anche se di un solo condomine.
Negli altri casi, invece, è richiesto il consenso unanime di tutti i condomini.
Posto che la competenza dei condomini è circoscritta 1) all’uso delle parti comuni, 2) ai rapporti
condominiali, né l’assemblea né il regolamento assembleare possono imporre delle limitazioni ai
diritti dei singoli condomini sulle unità immobiliari di rispettiva proprietà, ma solo ad obblighi atti a
garantire il reciproco rispetto delle comuni esigenze.
Nulla impedisce ai condomini, se concordano all’unanimità, di:
1) Porre limitazioni a carico delle rispettive proprietà esclusive, costituendo delle servitù
reciproche, a favore e a carico delle singole unità immobiliari esclusive.
2) Determinino le rispettive quote di condominio in modo di orme da quanto previsto
nell’ART 1118 cc.
3) Impongano ai condomini ulteriori limitazioni, rispetto a quelle previste dalla disciplina legale
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4) Attribuiscano a singoli condomini diritti ed obblighi maggiori rispetto a quelli che loro
spetterebbero ex lege
5) Assegnino parti comuni in proprietà esclusiva ad alcuni condomini
6) Fisici criteri di partizione delle spese di ormi rispetto a quelli previsti ex lege.
In questi casi, gli accordi avranno natura contrattuale e, ove formalizzato da un regolamento
approvato da tutti, questo si dirà contrattuale e dovrà essere redatto per iscritto (ART 1350 cc).
In ogni caso, la forma del regolamento di condominio, così per la sua modi ca, è richiesta la
forma ad substantiam.
SUPER CONDOMINIO
Nell’ipotesi in cui una pluralità di edi ci, costituiti in distinti condomini, siano legati tra loro
dall’esistenza di talune cose/impianti/servizi comuni (es. viale d’accesso) in un rapporto di
accessorietà rispetto a ciascun condomine, si viene a formare il supercondominio.
Ai singoli proprietari, spetta pro quota la proprietà sulle parti comuni e sui relativi oneri.
Discorso analogo deve ripetersi per il condominio orizzontale, per tale intendendosi il
complesso di edi ci autonomi di proprietà individuale, che fruiscano però, per la loro utilizzazione
e per il loro godimento, di aree, strutture, manufatti, …; cos’ come unità individuali (es. villette),
che però abbiano parti comuni.
MULTIPROPRIETA
In alternativa:
1) al multiproprietario viene venduta una quota di comproprietà di una singola unità immobiliare,
inserita in un più vasto complesso condominiale
2) A ciascun multiproprietario viene fatto contestualmente accettare il regolamento della
comunione
Pur continuando a non dettare disciplina alcuna in merito alla comproprietà, il legislatore ha
inserito il Codice del Consumo (D.Lgs 206/2005)., volto a garantire che:
1) chi e ettua un acquisto in multiproprietà sia pienamente edotto dei termini dell’operazione che
va a stipulare
2) Tutelare il consumatore contro possibili scorrettezza del professionista nell’esecuzione del
contratto
POSSESSO
Una cosa è avere il diritto di godere e disporre di un bene, un’altra è concretamente il fatto godere
e disporre di detto bene.
Se è vero che normalmente chi ha il diritto di godere e disporre di un bene sia anche di regola il
proprietario, può tuttavia accadere che il proprietario, in concreto, non sia in grado di esercitare i
poteri che gli sono riconosciuti dalla legge (es. mi rubano la macchina).
Allo stesso modo, può accadere che un soggetto, pur non avendo il diritto di proprietà su un
bene, si comporti come se lo avesse.
Il codice attribuisce rilevanza giuridica alle situazioni di fatto, che si estrinsecano come
situazioni possessorie, ossia attività corrispondenti all’esercizio di diritti reali (ART 1140 cc).
Invero, il factum possessionis assicura di per sé solo al possessore i commoda possessionis,
ossia determinati vantaggi:
- Tutela possessoria
- Acquisto della proprietà per usucapione
- Possesso vale titolo (possideo quia possideo)
Ciò accade indipendentemente dal fatto che il proprietario sia o meno in possesso del bene.
A questo punto, è agevole comprendere la di erenza tra ius possessionis e ius possidendi:
- Ius possessionis: commoda possessionis, ossia l’insieme dei vantaggi che il possesso, di per
sé, genera a favore del possessore
- Ius possidendi: diritto che implica il potere di rivendicare il bene; ciò implica che tale potere
possa essere esercitato da chiunque, quand’anche sine titulo
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Il possesso, dunque, è una situazione di fatto e non un diritto.
Oggetto del possesso sono le cose, cioè in beni materiali, come a ermato dall’ART 1140 cc.
Si ritiene comunemente che non possano essere oggetto di possesso le cose su cui non si possa
acquistare la titolarità, come a ermato dall’ ART 1145 cc:
• Beni demaniali;
• Beni del patrimonio indisponibile dello Stato;
• Beni degli altri enti pubblici.
Detti beni sono peraltro suscettibili a tutela possessoria, nei limiti indicati dall’ART 1145 cc.
POSSESSO E DETENZIONE
Il possesso pieno e la detenzione sono caratterizzati dal medesimo elemento obiettivo: il corpus,
ossia la materiale disponibilità del bene.
Esse si distinguono tra loro in base all’elemento soggettivo: infatti, mentre nella detenzione c’è
l’animus detindendi, nel possesso c’è l’animus possidendi (rem sibi habendi).
Peraltro, da più parti si rileva che i requisiti soggettivi dell’animus possidendi e dell’animus
detinendi non trovano riscontro alcuno nelle previsioni codicistiche.
D’altra parte, ai ni della quali cazione detentoria o possessoria, non è rilevato lo stato
psicologico soggettivo, ma il titolo in forza del quale detta acquisizione si veri ca (es. uno
studente prende un libro a prestito dalla biblioteca universitaria: diventa sempre detentore del
libro stesso).
Invero, ciò che rileva la distinzione fra possesso e detenzione non è già lo stato psicologico che il
soggetto nutre al proprio interno, bensì quello che viene estrinsecato. E, all’esterno, l’animus
manifestato dipende in buona sostanza dal titolo in forza del quale avviene si atta
acquisizione.
Nel dubbio, l’esercizio del potere di fatto su un bene si presume integrare la fattispecie del
possesso: grava su chi nega la fattispecie del possesso l’onere di dimostrare che, nel caso di
specie, ricorre un’ipotesi di semplice detenzione (ART 1141 cc).
A nulla rileva in sé la circostanza per cui il soggetto, che ha cominciato a detenere un determinato
bene (animus detinendi), ma in cuor suo in un secondo momento modi chi l’atteggiamento
psicologico originario, comportandosi con animus possidendi in futuro.
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L’interversio possessionis o inversione del possesso (= il mutamento della detenzione in
possesso) può avvenire solo se la modi cazione dello stato psicologico venga manifestata
all’esterno:
1) In forza di contradictio (= opposizione) dal detentore rivolta al possessore: in forza cioè di un
atto con cui il detentore manifesti inequivocabilmente l’intenzione di continuare, per il futuro, a
tenere la cosa per sé come possessore, e non come detentore (es. se lo studente nega alla
biblioteca di dover restituire il libro)
2) In forza di causa proveniente da un terzo, ossia di un atto con cui l’attuale possessore
attribuisca al detentore il diritto corrispondente la propria posizione possessoria (es. il ladro
che mi vende il bene, dopo avermi concesso la detenzione del bene perché lo esaminassi).
La buona fede in materia di possesso si presume, con una presunzione iuris tantum: grava
su colui che contesta la buona fede del possessore l’onere di provare la sua mala fede.
Per quali care il possesso come “di buona fede” non è necessario che essa perduri per tutta la
durata del possesso, ma è su ciente che essa ci sia stata al momento dell’acquisto, secondo il
principio mala des superveniens non nocet (ART 1147 cc).
La legge attribuisce a ciascuna di queste distinzioni una di erente rilevanza giuridica: la legge
non può infatti trattare allo stesso modo il ladro e colui che possiede il bene perché ne è il
proprietario.
Sin qui si è parlato delle situazioni di fatto coincidenti con il diritto di proprietà: possesso uti
dominus.
Può tuttavia accadere che vi siano situazioni di fatto che corrispondono all’esercizio di diritti reali
minori (es. possesso della servitù: non è detto che colui che utilizza un fondo altrui abbia
e ettivamente il diritto di servitù; possesso dell’usufrutto: non è detto che colui che gode di fondo
altrui, rispettandone la destinazione, abbia e ettivamente diritto di usufrutto).
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Il codice limita la gura del possesso alle situazioni di fatto che corrispondono ai diritti reali (ART
1140 cc).
Sul medesimo bene, come possono gravare più diritti reali, possono coesistere più possessi di
tipo diverso (es. un possesso a titolo di proprietà di Tizio può coesistere a un possesso a titolo di
usufrutto di Caio).
Chi ha il possesso corrispondente all’esercizio di un diritto reale minore può modi care il titolo del
proprio possesso, solo attraverso quei mezzi idonei a consentire l’inversio possessionis (=
inversione del possesso), ossia la trasformazione della detenzione in possesso e cioè per mezzo
di:
• Contradictio = opposizione fatta dal possessore a titolo di diritto reale minore, nei confronti del
possessore a titolo di proprietà.
• Causa proveniente da un terzo (ART 1164 cc).
In ipotesi di compossesso, però, è su ciente che colui che voglia compiere atti di inversio
possessionis, passando dal possesso dall’uti condominus al possesso uti dominus, che goda
del bene con modalità incompatibili con la possibilità di godimento altrui e tali da evidenziare
l’inequivoca volontà di possedere il bene in modo esclusivo.
Essendo il possesso una situazione di fatto, la giurisprudenza ritiene inammissibile che si stipuli
un contratto avente oggetto solo il trasferimento del possesso, disgiunto dal diritto reale che
ne costituisca l’esercizio. Per la trasmissione del possesso, infatti, occorrerebbero: 1) un contratto
viziato, perché il venditore non è proprietario del bene; 2) la traditio.
La perdita del possesso si veri ca per il venir meno del corpus o dell’animus possidendi: se
qualcuno si impossessa del bene, viene meno solo il corpus; se qualcuno cede il bene,
conservandone però la detenzione, si perde solamente l’animus.
Per la perdita del corpus non è su ciente 1) una semplice dimenticanza momentanea del bene;
2) un occasionale distacco sico dalla cosa: occorre invece la sua de nitiva irrecuperabilità da
parte del possessore (es. smarrimento per furto o rapina).
Il possesso degli animali selvatici si perde allorché essi acquisiscano la naturale libertà; il
possesso degli animali mansuefatti si perde qualora essi perdano la consuetudo revertendi.
Il possessore (illegittimo) è di regola tenuto a restituire al proprietario del bene 1) il bene stesso
(se non lo fa spontaneamente, tramite la rivendicazione), 2) i frutti del bene, prodotti dal
momento in cui ha avuto inizio il possesso.
Devo restituire i frutti solo se viene esprima contro di me un’azione di rivendicazione: prima i frutti
sono considerati parte del possesso.
In caso di possesso illegittimo in buona fede, però, il possessore ha diritto di trattenere tutti i
frutti del bene prodotti anteriormente alla proposta della domanda giudiziale da parte del
proprietario; solo i frutti percepiti durante alla lite spettano al proprietario.
Ad evitare che il possessore, sapendo di doverli restituire, trascuri la coltivazione o lasci perire i
frutti (dal giorno della domanda giudiziale no alla restituzione della cosa), il possessore deve
rendere al rivendicante:
1) Frutti percepiti durante la lite;
2) Frutti percipiendi = che avrebbe potuto percepire usando la diligenza del bonus pater
familias (ART 1148 cc).
Il legislatore, sia per i beni immobili che per i beni mobili registrati ha ovviato tale pericolo
mediante l’istituzione dei pubblici registri.
Per i beni mobili non registrati, il legislatore ha dettato la regola del possesso vale titolo (ART
1153 cc).
In forza della regola possesso vale titolo, chi acquista un bene a non domino ne diventa
proprietario, purché concorrano i seguenti presupposti:
1) Che l’acquisto riguardi beni mobili non registrati, ad esclusione dei 1) beni mobili registrati e
delle 2) universalità di beni mobili
2) Che l’acquirente possa vantare un titolo astrattamente idoneo al trasferimento della
proprietà, ossia un contratto atto al trasferimento del diritto dominicale, che non presenti altro
vizio che quello di essere stipulato da chi non è legittimato a disporre del bene -> Mengoni
“titolo astrattamente idoneo”
3) Che l’acquirente abbia acquistato il possesso del bene, oltre all’acquisto dello stesso:
l’acquirente è perciò tutelato se vi sia già stata la traditio a favore di quest’ultimo, altrimenti si
tutela ancora il precedente dominus.
4) Che l’acquirente sia in buona fede al momento della consegna del bene: mala des
superveniens non nocet. Peraltro, a tal ne non basta che 1) l’acquirente ignori che
l’alienante non aveva diritto di disporre della cosa, ma anche 2) che tale ignoranza non
dipenda da sua colpa grave, ossia che l’acquisto non dipenda da circostanza che avrebbero
indotto in sospetto il bonus pater familias (= uomo medio).
Tuttavia, poiché la buona fede è presunta per colui che si trova in possesso della cosa,
l’onere di provare che il possessore sia in mala fede spetta a colui che intenda contestare
l’acquisto.
La buona fede è esclusa se l’acquirente conosce l’illegittima provenienza della cosa (ART
1154 cc); ciò anche quando ritenga erroneamente che colui da cui l’ha acquistata o un
precedente possessore sia diventato nel frattempo proprietario.
La regola del possesso vale titolo costituisce un acquisto a titolo originario.
La proprietà si acquista libera dai diritti altrui sulla cosa, 1) se questi non risultano dal titolo e vi
è la 2) buona fede dell’acquirente (ART 1153, comma 2 cc), considerando che il possesso in
buona fede costituisce il titolo d’acquisto della proprietà -> se acquisto a non domino in buona
fede, 1) divento proprietario del bene; 2) contro di me non può essere fatto valere il diritto
pignoratizio del creditore.
Inoltre, nell’ART 1555 cc regola i casi dei con itto tra i vari acquirenti: se taluno 1) vende il
medesimo bene a più persone; 2) costituisce lo stesso diritto a favore di più persone; 3) cerchi di
trasferire a più persone diritti tra loro incompatibili.
L’ART 1555 cc stabilisce che se taluno aliena uno stesso bene a più persone, quella che ne
detiene il possesso è preferita alle altre per la determinazione della proprietà, anche se il suo
titolo è di data posteriore. In tal caso, la seconda alienazione dovrebbe avere e etti, perché fatta a
non domino: se, però, vi è possesso in buona fede si applica il principio possesso vale titolo.
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Se, ad esempio, Tizio vende un bene a Primus e poi a Secundus: se Secundus ha il possesso
della cosa, egli ne acquisto anche la proprietà e Primus non può rivendicare la proprietà della
cosa, ma può solo chiedere il risarcimento dei danni a Tizio.
I principi relativi al possesso in buona fede non si applicano alle universalità di immobili e ai beni
mobili iscritti in pubblici registri.
Per quanto concerne le universalità di immobili, il legislatore preferisce sollecitare l’attenzione di
chi preferisce acquistare un si atto complesso di beni. Per questo motivo, in questo contesto
trova applicazione il principio nemo plus iuris transferre potest quam ipse habet. In tal caso,
viene dunque tutelato chi vanta un acquisto con data anteriore e non più chi per primo acquista il
possesso in buona fede.
Per quanto concerne i beni mobili iscritti in pubblici registri, trovano applicazione i principi
relativi alla trascrizione, in virtù dei quali viene tutelato chi per primo provvede alla trascrizione
del suo titolo, e non più chi per primo acquista il possesso in buona fede.
La ratio dell’usucapione va ricercata nell’opportunità di favorire chi, nel tempo, utilizza e rende
produttivo il bene (facendo cosa utile sia nel suo interesse, ma anche in quello generale).
L’usucapione agevola altresì la prova del diritto di proprietà: senza l’usucapione, infatti, colui
che si a erma proprietario dovrebbe fornire la probatio diabolica, dando prova di aver acquistato
il bene da un soggetto che e ettivamente ne era proprietario, che lo aveva a sua volta acquistato
dall’e ettivo proprietario, e così via.
I diritti usucapibili possono avere come oggetto tutti i beni corporali, anche se ancora in corso di
costruzione, ad esclusione dei beni demaniali e del patrimonio indisponibile dello Stato.
Si discute, invece, se siano suscettibili ad usucapione anche alcuni beni immateriali.
Peraltro, la legge talvolta prevede l’usucapione abbreviata, ossia termini di usucapione più brevi,
e in particolare:
1) 10 anni per i beni immobili (ART 1159 cc) e 3 anni per quelli mobili registrati (ART 1162 cc),
se oltre ai presupposti n qui enunciati, concorrano anche:
• Il possessore possa vantare un titolo astrattamente idoneo a trasferire una proprietà
(acquisto a non domino)
• Che l’acquirente abbia acquistato il possesso del bene in buona fede
• Che sia stata e ettuata una trascrizione del titolo. Il termine utile per l’usucapione decorre
proprio dalla data della trascrizione
2) 10 anni per le universalità di immobili (ART 1160 cc), allorquando concorrano i seguenti
presupposti:
• Che il possessore possa votare un titolo idoneo all’acquisto del diritto
• Che l’acquirente abbia acquistato il possesso del bene in buona fede
3) 10 anni per i beni mobili non registrati (ART 1161 cc), allorquando l’acquirente abbia
acquistato il possesso in buona fede (se, oltre alla buona fede, il possessore potesse vantare
anche un titolo idoneo all’acquisto del diritto non avrebbe ragione di invocare l’usucapione, in
forza della regola possesso vale titolo)
4) 15 anni per fondi rustici situati in comuni montani ai sensi di legge, oppure per i fondi rustici
che abbiano reddito domenicale iscritto in catasto superiore a lire 350 000 (= 180 euro). Tale
termine si riduce a 5 anni nel caso dell’usucapione speciale per la piccola quantità rurale,
se concorrono i presupposti per la sussistenza di un titolo idoneo e della buona fede e della
trascrizione del titolo. Tale ultimi forma di usucapione non trova applicazione qualora il bene
sia destinato ad insediamenti ed attività diversi da quelli agricoli.
Il titolo di acquisto in forza di usucapione avviene ex lege, nel momento stesso in cui matura il
termine previsto. Peraltro, l’usucapiente potrebbe avere interesse a promuovere un giudizio di
accertamento dell’intervenuta usucapione, che si concluderebbe con una sentenza dichiarativa.
Se è relativa a beni immobili, tale sentenza è soggetta a trascrizione (ART 2651 cc).
Peraltro, il con itto tra un eventuale acquirente a titolo derivativo e un acquirente (a titolo
originario) in forza di usucapione si risolve sempre a favore dell’acquirente in forza di
usucapione.
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Il sistema di pubblicità immobiliare (trascrizione) non risolve tale con itto, ma risolve
unicamente il con itto tra più acquirenti a titolo derivativo dal medesimo dante causa.
Si discute se l’acquisto dell’usucapione debba avere e cacia retroattiva, ossia n dal momento
in cui ha avuto inizio la situazione possessoria che ha portato all’usucapione stessa.
Ovviamente, il possessore può rinunciare all’usucapione già maturata a proprio favore.
In ogni caso, la giurisprudenza ritiene che la rinuncia a far valere l’usucapione non sia la
rinuncia ad un diritto già acquisito: essa, dunque, non deve avere forma scritta, quand’anche
sia relativa a beni immobili.
La nostra Suprema Corte, in forza del diritto di ciascuno di non essere privata della sua proprietà,
impone al giudice nazionale l’impiego di un particolare rigore nell’apprezzamento dei presupposti
per l’acquisto per usucapione della proprietà altrui, occorrendo un attento bilanciamento dei valori
in con itto.
Nella turbativa delle situazioni possessorie, è possibile opporsi in via di autodifesa, contro l’altrui
condotta volta a privarmi del mio possesso od arrecarvi turbativa, nché l’altrui azione illecita è in
atto.
Se invece l’azione si è esaurita, risoltasi nella privazione o nella turbativa, al possessore non
resta che rivolgersi al giudice attraverso le azioni possessorie. Tali azioni sono concesse a chi
esercita una situazione possessoria, a prescindere dal fatto che lo stesso sia altresì titolare del
correlativo diritto.
La categoria delle azioni possessorie si contrappone alla categoria delle azioni petitorie:
queste ultime, infatti, possono essere fatte valere solamente contro chi si a ermi titolare del diritto
di proprietà o di godimento, a prescindere dal fatto che abbia possesso del bene.
Colui che riveste contestualmente sia la qualità di possessore che la qualità di titolare del relativo
diritto reale potrà esperire le azioni possessorie, oppure quale titolare del diritto le azioni
petitorie.
Da notare che, da un lato, le azioni possessorie giovano di un procedimento giudiziale più agile
rispetto a quello delle azioni petitorie. Dall’altro lato, le azioni possessorie fanno gravare un onere
probatorio su chi agisce, meno disagevole di quello che grava per chi agisce in via petitoria.
Peraltro, vige il divieto del cumulo del giudizio petitorio con quello possessorio, ossia il fatto
che il convenuto in giudizio possessorio non può proporre giudizio petitorio, nche il primo non si
sia eseguito e la decisione non si sia conclusa. Tale regola so re deroga nell’ipotesi in cui vi sia il
rischio che la sua applicazione possa derivare un giudizio irreparabile per il convenuto, come
statuito dalla Corte Costituzionale.
La lesione di situazioni possessorie obbliga il suo autore a risarcire il danno che ne sia
derivato al possessore e/o detentore. La relativa azione per ottenere il risarcimento del danno può
essere proposta congiuntamente all’azione possessoria.
Per spoglio, si intende qualsiasi azione che si risolva nella duratura privazione del possesso o
che comprometta in modo apprezzabile l’esercizio del possesso.
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Lo spoglio può essere:
• Totale
• Parziale
Lo spoglio è violento o clandestino, allorquando è posto in essere contro la volontà espressa del
possessore o del detentore.
Si ritiene che l’azione di reintegrazione possa essere esperita quando lo spoglio è accompagnato
da animus spoliandi, ossia dalla coscienza e dalla volontà dello spoliator (= l’autore) di compiere
l’atto materiale con cui si sostanzia lo spoglio stesso, con la consapevolezza di ledere la
posizione del possessore o del detentore (tale elemento soggettivo è insito nello stesso fatto
materiale, fatto salvo per alcune circostanze, ad esempio di abbandono della cosa).
La legittimazione attiva ad esercitare l’azione spetta a qualsiasi possessore, sia esso legittimo
od illegittimo, di buona o di mala fede, corpore et animo o solo animo (ART 1168 cc).
L’azione di reintegrazione è esperibile anche per lo spoliator che abbia mutato la propria
detenzione in possesso.
Legittimato all’azione di spoglio è altresì il detentore, con esclusione del detentore non
quali cato, ossia chi sia tale per ragioni di servizio od ospitalità. In questo contesto, infatti, è
logico che l’azione venga intentata dal possessore, anziché dal possessore precario.
Il detentore quali cato può esperire l’azione di spoglio non solo nei confronti di terzi, ma anche
nei confronti del possessore, sempre che la sua detenzione sia autonoma, cioè acquisita nel
proprio interesse (es. l’inquilino cui il proprietario ha sottratto la disponibilità dell’appartamento
locatogli).
Il detentore quali cato non autonomo può esperire l’azione di spoglio nei confronti di terzi, ma
non del possessore (es. l’amico cui ho a dato un quadro perché lo venda per mio conto non è
legittimato ad esperire l’azione di reintegrazione, nell’eventualità in cui io possessore mi sia
ripreso il quadro).
Da notare che l’azione di reintegrazione può essere esperite contro lo spoliator, quand’anche
questo sia il titolare del diritto e tenti di difendersi opponendo l’eccezione feci, sed iure feci:
anche in questo caso, infatti, lo spoliator deve prima ripristinare la situazione quo ante
abusivamente mutata, ovvero che lo spoliatus ante omnia restituendus, poi potrà agire
giudizialmente per far valere contro il possessore il suo diritto.
Vertendosi in materia di diritti disponibili, il decorso dal termine di partenza dev’essere eccepito
dalla parte interessata, non potendo essere rilevato d’u cio dal giudice.
Nel caso in cui lo spoglio non sia stato né violento né clandestino, chi lo abbia subito può
reagire con l’azione di manutenzione, quando concorrano i presupposti previsti ex lege.
L’AZIONE DI MANUTENZIONE
Anche se adito per la reintegrazione del possesso di cui si denuncia lo spoglio, il giudice può
disporre la semplice cessazione di quella che egli ritengo costituire una semplice molestia, attesto
che la turbativa costituisca un minus rispetto allo spoglio e che nella domanda di reintegrazione si
ritenga implicita anche quella di manutenzione.
La giurisprudenza ritiene che l’azione di manutenzione sia esperibile solo i caso di animus
turbandi, ossia la consapevolezza dell’agente che il proprio agire costituisca una turbativa al
possesso altrui.
La legittimazione attiva (a di erenza dello spoglio) non spetta al detentore e neppure a tutti i
possessori. La legittimazione attiva spetta solamente al possessore:
- Di un immobile
- Di un’universalità di mobili
- Di un diritto reale su un immobile
Questo accade solo a condizione che il 1) possessore possieda da almeno 1 anno in modo
continuativo e non interrotto e che 2) non abbia acquistato il possesso con violenza o
clandestinità.
Le azioni di nuova opera o di danno temuto che il codice de nisce come delle azioni di
nunciazione, possono essere esercitate 1) a tutela del possesso + 2) a tutela della proprietà.
Esse hanno nalità cautelare, in quanto mirano a prevenire un danno o un pregiudizio che può
derivare da una nuove opera o dalla cosa altrui, in attesa che si accerti il diritto alla proibizione.
Legittimato passivo è:
• Titolare del diritto reale, da cui si desume possa derivare la denunciata situazione di pericolo
di danno
• Possessore, ossia colui che ha la disponibilità del bene -> obbligo di custodia o di
manutenzione sussiste in ragione dell’e ettivo potere sico sulla cosa.
Viene esperita nel caso in cui vi siano di un pericolo di danno grave e prossimo derivante da
qualsiasi edi cio albero od altra cosa (non da persona), senza che ricorra l’ipotesi di nuova opera.
Il giudice dispone i provvedimenti giudiziari per ovviare tale pericolo e, nel caso, impone idonea
garanzia per eventuali danni.
DIRITTI DI CREDITO
RAPPORTO OBBLIGATORIO
Con il termine obbligazione si intende il rapporto tra il debitore (soggetto passivo) e il creditore
(soggetto attivo), in forza del quale il primo è tenuto ad una determinata prestazione nei confronti
del secondo.
Gaio riportava anche la de nizione di obbligazione:”Obbligatio est vincolo iuris…”, che però non
è presente dal codice, ma viene desunta dalla storia e dal diritto romano come il rapporto tra
soggetto attivo e passivo, in virtù del quale il secondo deve eseguire una prestazione a favore del
primo.
Per conseguire l’utilità di cui ha diritto, il creditore ha di regola bisogno della cooperazione del
debitore, poiché il creditore viene soddisfatto nel suo interesse dalla condotta del debitore; il
diritto del creditore è quindi un diritto nei confronti del debitore e per questo si dice diritto
relativo o personale.
Se il debitore non esegue neppure di fronte alla condanna all’adempimento, si procede con
l’esecuzione forzata per espropriazione, sempre che il patrimonio del debitore sia capiente
almeno tanto quanto aveva diritto di conseguire con l’adempimento spontaneo.
La medesima coincidenza tra prestazione dovuta e risultato delle procedure esecutive può
realizzarsi con l’esecuzione forzata in forma speci ca (es obbligo di consegnare una cosa
determinata).
Quando non sia possibile l’esecuzione forzata in forma speci ca, il creditore insoddisfatto potrà
solamente richiedere il risarcimento dei danni subito con la sostituzione di un credito pecuniario
suscettibile di esecuzione coattiva alla somma dovuta originariamente.
Le obbligazioni sono disciplinate all’interno del IV libro del codice civile, che comprende gli ARTT
1173-2059 cc.
Secondo l’indicazione contenuta nell’ART 1173 cc: “Le obbligazioni derivano da: contratto, fatto
illecito, ogni altro atto o fatto idonei a produrle in conformità dell’ordinamento giuridico”, le
obbligazioni possono sorgere da varie fattispecie, chiamate fonti:
1) Da un contratto
2) Da fatto illecito
3) Da ogni altro atto o fatto idoneo a produrle in conformità dell’ordinamento giuridico
La classi cazione attualmente accolta dal codice civile corrisponde a quella adottata da Gaio,
che distingueva tra obbligazioni di contratto, di delitto e variae causarum gurae.
Il legislatore del 1942 ha infatti ripudiato la quadripartizione che si ritrovava nelle Istituzioni di
Giustiniano e nel codice del 1865, composta da contratto, delitto, quasi contratto e quasi delitto:
si trattava di un tributo all’esperienza francese, in cui il fatto illecito coincideva con la
responsabilité délictuelle (motivo per cui ora noi abbiamo sostituito “delitto” con “fatto illecito”).
Oggigiorno, si ritiene che né il quasi contratto né il quasi delitto possano esistere: o c’è contratto
o delitto, oppure non c’è, non esiste un tertium genus.
L’ART 1173 cc, che enuncia che: “Le obbligazioni derivano da: contratto, fatto illecito, ogni altro
atto o fatto idonei a produrre in conformità dell’ordinamento giuridico”.
- Atto giuridico: promesse unilaterali, che constano nelle dichiarazioni di volontà di una sola
parte, che creano obbligazioni (es. premio al pubblico -> chi vince, ha un premio)
- Fatto giuridico: ARTT 2028-2041 cc: 1) gestione di a are altrui + 2) ripetizione dell’indebito +
3) azione di ingiusti cato arricchimento.
Accanto alla parola responsabilità, si colloca anche coercibilità: qualora il debitore non esegua
esattamente la prestazione, il creditore può richiedere l’adempimento coercitivo della stessa,
potranno la sua pretesa alle autorità giudiziarie competenti.
Alla nozione di obbligazione civile, si contrappone la nozione di obbligazione naturale (ART 2034
cc). L’obbligazione naturale si ha allorquando un’obbligazione è dovuta in esecuzione di un
dovere morale o sociale; l’ART 2034 cc enuncia:”Non è ammessa la ripetizione di quanto è stato
spontaneamente prestato, in esecuzione di doveri morali e sociali, salvo che la prestazione sia
stata eseguita da un incapace”. La sua disciplina nel codice civile si trova nel gruppo di norme
riguardante la ripetizione dell’indebito (ARTT 2033-2036 cc)
-> ART 2033 cc parla di ripetizione nel caso in cui il debito che ho pagato derivi da contratto nullo
o inesistente -> indebito oggettivo: non c’era il titolo che giusti cava l’adempimento -> diritto alla
ripetizione dell’indebito
La soluti retentio costituisce l’unico e etto dell’obbligazione naturale stessa, sicché essa non
potrà 1) essere oggetto di novazione oggettiva; 2) cessione; 3) trasmissione ereditaria; 4) non
potrà essere resa vincolante mediante assunzione; 5) …
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È necessario distinguere tra due tipi di ipotesi di obbligazione naturale:
- Tipizzate, ossia ipotesi espressamente previste dalla legge:
4) Debito di gioco -> il giocatore ha una posta attiva (= vince 100) e non ha un’obbligazione
nei confronti del giocatore perdente: tra loro esiste solamente un’obbligazione morale e
sociale, ma non giuridicamente vincolante. Se spontaneamente adempiuto, tale debito
determina l’irrepitibilità di quanto è stato pagato.
5) Disposizione duciaria
6) Debito prescritto -> se il titolare di un diritto prescritto va in giudizio per far agire il suo
diritto, ma il convenuto fa notare che il diritto vantato dall’attore è ormai prescritto (la
prescrizione non può essere rilevata d’u cio, ma è il convenuto a doverla noti care).
Ammettendo che il debitore di un debito prescritto paghi, consapevolmente o
inconsapevolmente, non può richiedere la ripetizione dell’indebito (= prestazione eseguita e
non dovuta)
- Non tipizzate: sono i casi disciplinati dall’ART 2034, comma 2, che enuncia:”I doveri indicati
dal comma precedente e ogni altro per cui la legge accorda azione ma esclude la ripetizione di
ciò che è stato spontaneamente pagato, non producono altri e etti”.
Questi casi non sono tipizzati dal legislatore: il compito di determinare se quello considerato sia
un dovere morale o sociale spetta dunque al giudice, secondo equità: es. due sposi convivono
senza essere sposati; si tratta di una common law marriage = famiglia di fatto. Se uno dei due
coniugi di fatto da delle elargizioni in denaro all’altro more uxorio, queste sono irripetibili -> è
una manifestazione del dovere morale e sociale.
La giurisprudenza ritiene costituiscano adempimento di obbligazione naturale:
• Prestazioni gratuite e ettuate a favore del convivente more uxorio
• Pagamento spontaneo di interessi pattuiti oralmente in misura extralegale
• Esecuzione, da parte dell’erede, di una prestazione oggetto di promessa dal decuius ad un
terzo
• Prestazioni e ettuate a favore dei parenti nei cui confronti non sussista l’obbligo alimentare
I soggetti attivo e passivo devono essere determinati (es. compravendita) o determinabili (es.
prometto un premio a colui che mi riporta il cane smarrito).
Talora la titolarità passiva del rapporto obbligatorio si determina in base alla titolarità della
proprietà o di altro diritto reale su un determinato bene: si parla allora di obbligazioni propter
rem o obbligazioni reali. RIVEDERE
L’obbligazione semplice è una rapporto obbligatorio tra un solo debitore e un solo creditore.
È tuttavia possibile che l’obbligazione faccia a capo ad una pluralità di soggetti e in tal caso si
parla di obbligazione plurisoggettiva.
In caso di pluralità di creditori, si ritiene invece che la solidarietà ricorra solo nei casi
espressamente previsti dalla legge o dal titolo. Nel lato attivo, dunque, la regola è della parziarietà
delle obbligazioni.
PRESTAZIONE
La prestazione, come a erma l’ART 1174 cc: “forma l’oggetto dell’obbligazione”. Molto
spesso, la prestazione è la condotta del debitore per la soddisfazione dell’interesse del creditore.
Appare chiaro alla giurisprudenza che i principi di correttezza (ART 1175 cc) + buona fede
oggettiva (ART 1375 cc):
- Servono ad integrare il novero di condotte che, pur non espressamente previste dalla legge,
sono esigibili dal debitore in quanto strumentali alla realizzazione dell’interesse creditorio (es.
l’obbligo dell’avvocato di fornire le necessarie informazioni al cliente anche per consentirgli di
valutare i rischi insiti nell’iniziativa giudiziale)
- Impone alle parti del rapporto obbligatorio di modellare la reciproca condotta in guisa da non
sacri care oltre il necessario gli interessi della controparte (es, in ordine ai limiti in cui al
creditore è consentito richiedere giudizialmente l’adempimento parziale)
- Fa sorgere, accanto all’obbligo del debitore, una serie di obblighi di protezione, a nché la
sfera giuridica dell’altra parte non venga lesa con l’adempimento dell’obbligazione (es. obbligo
del lavoratore ad astenersi da comportamenti extra-lavorativi, che risultino in contrasto con i
doveri connessi al suo inserimento nell’impresa o creino situazioni di con itto con le nalità
della medesima / es. i genitori devono salvaguardare la vita e l’incolumità dei gli minori).
Talora, gli obblighi di protezione sorgono anche nel caso di obbligazioni senza prestazione,
ossia quando manchi un’obbligazione avente per oggetto una prestazione (es. l’obbligo del
mandatario di custodire le cose speditegli da un potenziale mandante).
L’OGGETTO
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L’ART 1174 cc dice che l’oggetto dell’obbligazione è la prestazione dovuta.
Nelle obbligazioni di dare, l’oggetto è il bene dovuto. In tal caso, si distingue tra:
- Obbligazioni generiche o di genere: il debitore è tenuto a consegnare cose non ancora
individuate ed appartenenti ad un determinato genere. L’ART 1178 cc dispone che il debitore è
dovuto a consegnare cose di qualità non inferiore alla media.
- Obbligazioni speci che o di species: il debitore è tenuto a consegnare una cosa determinata
L’obbligazione da generica si trasforma in speci ca quando si perviene all’individuazione delle res,
dopo un accordo tra le parti (es. quelle bottiglie); tale distinzione assume rilevanza in merito agli
e etti dell’impossibilità sopravvenuta della prestazione.
Nelle obbligazioni di fare, l’oggetto è l’opus procurato al creditore con lo svolgimento della
prestazione.
L’obbligazione pecuniaria è l’obbligazione che hanno per oggetto una somma di denaro, ossia
in cui il debitore è tenuto a dare al creditore una somma di denaro.
I debiti pecuniari vanno estinti con il pagamento mediante la moneta avente corso legale nello
Stato al tempo del pagamento (ART 1277, comma 1).
Nel nostro Paese, l’euro ha corso legale dal 1 gennaio 2002 (ARTT 2 e 3 Regolamento CE 3
maggio 1998).
Se il debito in denaro è espresso in moneta estera, il debitore può di regola pagare in moneta
nazionale, al corso del cambio (= al valore di scambio) il giorno della scadenza (ART 1278 cc):
qualora sia stato chiarito con la clausola e ettiva o altra equivalente che il pagamento va fatto
proprio nella moneta pattuita, il debitore è tenuto ad adempiere con la valuta straniera (ART 1279
cc).
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La giurisprudenza ammette ormai paci camente che le obbligazioni possono essere estinte, oltre
1) per dazione di pezzi monetari; anche 2) qualsiasi altro mezzo di pagamento (es. assegno
bancario).
La moneta è caratterizzata dalla sua funzione di pagamento: ciò signi ca che essa non assume
valore di per sé, ma la sua utilità risiede nel fatto che la si può scambiare in cambio di altri beni o
servizi.
Dunque, ciò che conta della moneta non è tanto il suo valore nominale (= valore numerico), bensì
il suo valore reale (= potere d’acquisto).
Poiché il valore reale della moneta è soggetto al deprezzamento monetario (= subisce una
variazione di valore nel tempo, in particolare una diminuzione = in azione), si pone il problema se,
nelle obbligazioni pecuniarie in cui l’obbligazione debba essere eseguita dopo un certo intervallo
di tempo, si debba 1) prestare tanti pezzi monetari quanti erano originariamente previsti oppure 2)
tanti multipli o sottomultipli dell’unità monetaria quanti sono necessari per assicurare al creditore il
medesimo potere d’acquisto previsto in obbligazione n dal momento del sorgere
dell’obbligazione medesima -> bisogna tener conto dell’in azione oppure no?
A tal proposito, viene fatto valere il principio nominalistico, ART 1277 cc (!!!!!), secondo cui la
perdita della capacità d’acquisto della moneta come e etto dell’in azione non ha alcuna rilevanza
giuridica; da ciò consegue che il debitore si libera pagando, alla scadenza, la medesima quantità
di pezzi monetari inizialmente ssati nonostante il tempo passato dalla costituzione del debito
indipendentemente dal fatto che, nel frattempo, il potere d’acquisto del denaro abbia subito delle
alterazioni.
Alla ne di cautelarsi contro le oscillazioni della moneta, le parti possono concordare di ancorare
l’importo pecuniario dovuto a parametri, attraverso apposite clausole di indicizzazione o di
salvaguardia: vengono concordati alcuni criteri con cui si cerca di salvaguardare il potere
d’acquisto della moneta, al ne di sterilizzare gli e etti negativi dell’in azione maturata pro
tempore.
In previsione del carattere siologico delle oscillazioni, la previsione che determinate prestazioni
pecuniarie siano indicizzate è talora dettata dalla legge stessa o deve essere statuita da un
provvedimento giudiziale.
La liquidatio (= liquidazione, grazie alla quale la somma di denaro oggetto dell’obbligazione viene
esattamente quanti cata -> il debito di valore si converte in debito di valuta) va e ettuata,
secondo la giurisprudenza, attraverso una triplice operazione:
1) Aestimatio: quanti cazione in termini monetari del valore che la prestazione oggetto
dell’obbligazione aveva all’epoca in cui è sorta l’obbligazione stessa.
2) Taxatio: rivalutazione di tale importo, all’epoca in cui è sorta l’obbligazione al momento della
liquidazione, attraverso l’applicazione degli indici ISTAT.
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3) Interessi compensativi: eventuale liquidazione dell’ulteriore danno da ritardo dall’epoca in cui
è sorta l’obbligazione al momento della liquidazione nell’ottenimento della prestazione. La
dimostrazione del danno grava sul creditore. Gli interessi compensativi vanno calcolati sulla
somma corrispondente al valore della prestazione via via rivalutata e devono essere liquidati
anche d’u cio.
GLI INTERESSI
Quanto alla loro funzione, gli interessi vengono normalmente distinti in:
• Corrispettivi (tale termine non ricorre nel linguaggio del codice): sono quelli dovuti al creditore
su capitali concessi a mutuo (ART 1815 cc) o comunque lasciati in disponibilità a terzi. Essi
rappresentano una sorta di corrispettivo per il godimento che il debitore ha del denaro del
creditore e, come tali, vengono considerati frutti civili.
• Compensativi: sono quelli dovuti al creditore di obbligazioni di valore (es. il creditore di una
somma di denaro a titolo di risarcimento dei danni). Essi rappresentano una sorta di compenso
per il danno dal creditore so erto per il mancato tempestivo ottenimento della prestazione
dovutagli. La ratio degli interessi compensativi è di non lasciare che il creditore sia privo del
diritto agli interessi nei casi in cui l’illiquidità del credito di valore non consenta la decorrenza
degli interessi corrispettivi (ART 1282 cc -> crediti liquidi ed esigibili -> liquidi: denaro può
essere desunto da un semplice processo aritmetico + esigibili: si può esigere)
• Moratori: sono quelli dovuti dal debitore in mora al creditore di obbligazioni di valuta, anche se
non erano dovuti precedentemente e anche se il creditore non prova di aver so erto alcun
danno. Non vale il principio in illiquidis non t mora: gli interessi moratori possono essere
applicati sia a interessi di valuta, che di valore, rappresentando essi una sorta di risarcimento
per il ritardo con cui il creditore riceve la prestazione dovutagli (ART 1224, comma 1 cc).
Peraltro, al creditore che dimostri di aver subito un danno maggiore rispetto a quello ristorato
con gli interessi moratori, spetta altresì il risarcimento di tale maggior danno (ART 1224, comma
2 cc).
Relativamente ai debiti di valuta gli interessi scaduti non maturano interessi anatocistici: ciò
signi ca che non è prevista la capitalizzazione degli interessi scaduti = gli interessi non
producono interessi (ART 1283 cc). Di massima, sarebbe pure nulla una clausola che dovesse
prevedere la capitalizzazione degli interessi scaduti, salvo che, trattandosi di interessi primari
scaduti da almeno sei mesi, non intervenga:
• Domanda giudiziale, diretta al conseguimento 1) degli interessi anatocistici + 2) del capitale
• Convenzione, posteriore alla scadenza degli interessi primari che li preveda
L’ART 1283 cc nell’escludere che gli interessi scaduti conducano a interessi anatocistici fa
espressamente salvi gli usi contrari; inoltre si parla di anatocismo bancario, nelle operazioni
poste in essere dall’attività bancaria.
La modi cazione del soggetto attivo del rapporto obbligatorio (= creditore) può realizzarsi per
mezzo di un atto inter vivos a titolo particolare, mediante le gure:
• Cessione di credito (ARTT 1260-1267 cc)
• Delegazione attiva, non espressamente disciplinata dal codice, ma di elaborazione dottrinale e
giurisprudenziale
• Pagamento con surrogazione (ARTT 1201-1205 cc)
Di regola, qualunque credito può formare oggetto di cessione (ART 1260, comma 1 cc), secondo
il principio della libera cedibilità dei crediti.
In deroga a si atto principio, la cessione non è però consentita qualora (ART 1260 cc):
1) Il credito abbia carattere strettamente personale (es. crediti alimentari, ART 447 cc
2) Il trasferimento sia vietato per legge (es. è vietata la cessione di crediti litigiosi a favore di
magistrati appartenenti all’u cio giudiziario avanti al quale pensa la relativa controversia, ART
1261 cc)
3) La trasferibilità sia stata convenzionalmente esclusa dalle parti, il patto di non trasferibilità
di natura volontaria o pattizia è opponibile al cessionario, se si prova che egli lo conosceva al
momento della cessione (ART 1260, comma 2). Se si prova che il cessionario ne era a
conoscenza, dunque, il debitore ceduto può eseguire la prestazione a favore del creditore
originario e non del cessionario.
Oggetto di cessione possono essere i crediti futuri, purché a titolo oneroso: non è necessario
richiedere, come in passato, che già esista il rapporto dal quale tali crediti derivano, essendo
su ciente invece che tali crediti siano determinati o determinabili.
Il contratto di cessione si perfezione in forza di un accordo tra cedente e cessionario, per cui
non è necessaria alcuna forma particolare. Non è richiesta l’accettazione del ceduto, che
rimane estraneo a tale rapporto: per il ceduto è infatti indi erente dover pagare al cedente o al
cessionario (ma v ART 1182, comma 3 cc)
La cessione del credito può avvenire 1) per e etto di un autonomo contratto + 2) cessione di
contratto + 3) cessione dell’azienda
Per quanto concerne gli e etti inter partes, il credito del cedente è trasferito al cessionario, in
forza del principio del consenso traslativo (ART 1376 cc).
Fa eccezione l’ipotesi di cessione di crediti futuri: in tal caso, il trasferimento si veri ca al sorgere
del credito.
A nché la cessione abbia e cacia nei confronti del debitore ceduto, occorre che al ceduto la
cessione venga o dal cedente o dal cessionario noti cata o sia da lui accettata (ART 1264,
comma 1 cc): no a quel momento, il debitore potrebbe infatti ritenere di essere obbligato nei
confronti del creditore originario. Dunque, se dopo il perfezionamento dell’accordo di cessione ma
prima della noti ca o dell’accettazione, se il ceduto paga al cedente non è tenuto ad e ettuare
una seconda volta la prestazione a favore del cessionario (salvo che non si provi che era a
conoscenza della cessione, nonostante la mancata noti ca od accettazione), ART 1264, comma
2 cc).
La noti cazione e l’accettazione, purché munite di data certa (ART 2704 cc), servono a renderle
opponibili a terzi (es. se il cedente ha ceduto lo stesso credito prima a Tizio e poi a Caio,
prevarrà la cessione noti cata od accettata con data anteriore, ART 1265 cc).
Benché venga modi cato il soggetto attivo, l’obbligazione rimane inalterata (es. se il credito è
trasferito con privilegi al cessionario), ART 1263 cc
Per tale ragione, il debitore ceduto può opporre al cessionario le medesime eccezioni che avrebbe
potuto opporre al cedente.
Tuttavia, il debitore ceduto non può opporre in compensazione al cessionario un contro-credito
dallo stesso vantato nei confronti del cedente qualora abbia accettato la cessione o si tratti di
credito sorto posteriormente alla cessione (ART 1248 cc); es. non può opporre al cessionario
negozi estintivi o modi cativi del credito ceduti intercorsi con il cedente, se successivi alla noti ca
o all’accettazione.
La cessione del credito non deve confondersi con la cessione del contratto: mentre la cessione
del contratto opera il trasferimento dal cedente al cessionario, con il consenso dell’altro
contraente, dell’intera porzione contrattuale, con tutti i diritti e gli obblighi ad essa relativi; la
cessione del credito (anche se derivante da precedente contratto) ha un e etto più circoscritto:
dei diritti derivanti dal contratto, il cessionario del credito acquista soltanto quei diritti rivolti alla
realizzazione del credito stesso (es. garanzie del credito stesso) e non anche le azioni inerenti al
precedente contratto (es. azione di risoluzione per inadempimento), che continuano a spettare al
cedente anche dopo la cessione del credito.
Peraltro, sia in caso di cessione gratuita sia di cessione onerosa, il cedente con apposito patto
può assumere anche garanzia della solvenza del debitore, ossia la bonitas nominis: in tal caso, si
parla di cessione pro solvendo.
Qualora il debitore ceduto risulti insolvente, scatta la garanzia pro solvendo e il cedente sarà
tenuto a restituire 1) quanto eventualmente ricevuto + 2) interessi + 3) spese di cessione + 4)
risarcimento del danno al cessionario (ART 1267, comma 1 cc). In caso di cessione pro solvendo
a titolo gratuito, verrà applicata la disciplina concernente vizio ed evizione prevista per la
donazione.
Nel caso della cessione solutoria (= la cessione sia stata e ettuata per estinguere un debito del
cedente verso il cessionario) si presume che la cessione avvenga pro solvendo, ossia che la
liberazione del cedente si veri ca solamente quando il cessionario abbia ottenuto il pagamento
dal ceduto.
Si parla di cessione pro soluto quando risulti una diversa volontà delle parti: il cessionario libera
senz’altro il cedente dall’obbligo che quest’ultimo aveva nei suoi confronti, accollandosi l’intero
rischio del debitore ceduto.
La nozione di cessione pro solvendo e cessione pro soluto qui vengono intese nel senso della
liberazione immediata del cedente dalla sua originaria obbligazione e non per indicare la garanzia
della solvenza.
Il factoring è un contratto in forza del quale il factor (= imprenditore specializzato), a fronte del
pagamento di una commissione variabile a seconda dell’entità degli obblighi assunti, si impegna a
fornire all’impresa una vasta gamma di servizi relativi alla gestione dei crediti da tale ultima
impresa vantati nei confronti dei clienti.
Per realizzare tale operazione, la prassi contrattuale fa perno sulla cessione di credito: l’impresa
cede al factor in massa i crediti dalla stessa vantati e/o che la stessa vanterà in futuro. Ciò
consente al factor, che ne diviene titolare:
• Gestione di detti crediti
• Erogazione dell’anticipazione nanziaria eventualmente richiesta dall’impresa client,
destinata ad essere dal factor recuperata attraverso l’incasso dei crediti ceduti, con il
trasferimento dei relativi importi all’impresa cliente nei soli limiti eccedenti l’anticipazione già
e ettuata
Se, poi, l’impresa cliente richiede di essere sollevata dal rischio dell’insolvenza di uno o più
debitori ceduti, sarà su ciente che la cessione a favore del factor venga e ettuata pro soluto: in
tal caso, quand’anche il credito ceduto dovesse risultare irrecuperabile, il factor non potrà
pretendere dall’impresa cliente la restituzione degli anticipi dalla stessa versati.
Diversamente, la cessione avverrà pro solvendo, con la conseguenza che l’impresa dovrà
restituire al factor le anticipazioni relative ai crediti che non si siano potuti incassare.
Seppure con talune varianti, la disciplina L 52/1991 trova applicazione anche alla cessione dei
crediti che l’appaltatore o il concessionario vantano nei confronti dell’Amministrazione
concedente in forza di contratti pubblici aventi ad oggetto l’acquisizione di servizi, forniture, lavori,
opere.
DELEGAZIONE ATTIVA
Il codice si preoccupa solo della delegazione passiva (ART 1268 cc). Si ritiene tuttavia che possa
rientrare nell’autonomia negoziale delle parti dar luogo anche ad una delegazione attiva.
Per e etto della delegazione attiva, il delegato può divenire debitore sia nei confronti del
delegante sia del delegatario, con la delegazione cumulativa.
In alternativa, può divenire debitore solo del delegatario, con la delegazione liberatoria.
A di erenza di quanto avviene per la cessione di credito, in cui l’accordo avviene tra cedente e
cessionario, qui l’accordo vede come parte anche il debitore.
Inoltre, mentre l’e etto della cessione di credito è quello della sostituzione del creditore originario
con un nuovo creditore, l’e etto della delegazione attiva può essere cumulativo: al delegante
non si sostituisce, ma si aggiunge il delegatario.
Il pagamento può anche dar luogo alla surrogazione (= sostituzione) del creditore con altra
persona: in tal caso, l’obbligo non si estingue, ma muta la direzione, poiché all’originario creditore
si sostituisce un altro creditore.
La surrogazione dà dunque luogo alla sostituzione del lato attivo del rapporto obbligatorio.
Mentre la cessione di credito e la delegazione attiva presuppongono che l’adempimento non si sia
ancora veri cato, la surrogazione prevede che l’obbligazione sia adempiuta e che il creditore
sia soddisfatto.
La ratio della surrogazione è agevolare l’adempimento a favore del creditore originario, con
l’attribuzione al terzo (che rende possibile l’adempimento) dei diritti inerenti al rapporto
obbligatorio.
ACCOLLO (!!!!!)
L’accollo consiste in un accordo bilaterale tra il debitore e un terzo, in forza del quale
l’accollante (terzo) assume a proprio carico l’onere di procurare all’accollatario (creditore) il
pagamento di un debito anche futuro dell’accollato (debitore), ART 1273, comma 1 cc = il terzo si
accolla il debito del debitore.
Di fronte ad un accordo di accollo, che interviene tra accollato e accollante (mentre l’accollatario
rimane sempre estraneo) occorre stabilire se si tratti di accollo esterno od interno.
ESPROMISSIONE
Trattandosi di un contratto unilaterale (per il quale derivano obbligazioni solo per il terzo), ART
1333 cc: si ritiene che l’accordo di espromissione si perfezioni nel momento in cui io creditore
viene a conoscenza della volontà del terzo, senza necessità di un suo atto di accettazione (a
di erenza dell’accollo, in cui l’accollo avviene tra terzo e debitore)
Il terzo espromittente subentra nella stessa posizione del debitore originario: non può
dunque opporre al creditore le eccezioni relative ai suoi rapporti con l’espromesso (= alla
delegazione), salvo che le parti abbiano convenuto diversamente, ART 1272, comma 2 cc; in tal
caso, si parla di espromissione titolata. ?????
Da non confondere con l’espromissione, è l’ipotesi in cui il terzo non si limiti a promettere il
pagamento, ma provveda senz’altro all’adempimento del debito altrui, con il cosiddetto
adempimento del terzo.
L’obbligazione del delegato è diversamente regolata a seconda che venga o meno fatto
riferimento a uno o entrambi i rapporti intercorrenti fra le parti.
In caso a ermativo -> delegazione titolata
In caso negativo -> delegazione pura
Infatti, il delegato:
• Qualora abbia promesso di pagare al delegatario quanto egli (delegato) deve al delegante ->
rapporto di provvista -> potrà opporre al delegatario tutte le eccezioni che avrebbe potuto
opporre al delegante (ART 1271, comma 2 cc)
• Qualora abbia promesso di pagare al delegatario quanto questo avrebbe dovuto ricevere dal
delegante -> rapporto di valuta -> potrà opporre al delegatario tutte le eccezioni che a
quest’ultimo avrebbe potuto opporre il delegante (ART 1271, comma 3 cc)
• Qualora abbia promesso di pagare al delegatario quanto questi deve ricevere dal delegante ->
rapporto di valuta + nei limiti di quando da egli, delegato, dovuto al delegante -> rapporto di
provvista -> potrà oppure al delegatario sia le eccezioni che al delegatario avrebbe potuto
opporre il delegante, sia quelle che il delegato avrebbe potuto opporre al delegante
• Qualora abbia promesso di eseguire al delegatario un pagamento, senza far riferimento né al
rapporto di provvista, né a quello di valuta -> delegazione pura -> non potrà opporre al
delegatario le eccezioni che in cino l’uno o l’altro rapporto. Solo in caso di nullità o inesistenza
del rapporto di valuta (nullità di doppia causa), potrà opporre le eccezioni relative al rapporto di
provvista .
In ogni caso, il delegato potrà opporre al delegatario tutte le eccezioni relative ai suoi rapporti con
quest’ultimo (ART 1271, comma 1 cc)
In caso di delegatio solvendi (a di erenza della delegatio promittendi) il creditore non può
rivolgersi al delegato per ottenere l’adempimento della prestazione dovutagli, salvo che
quest’ultimo si sia a ciò obbligato nei confronti del creditore stesso (ART 1269, comma 1 cc): di
regola, dunque, il delegato non si obbliga personalmente verso il delegatario, ma
semplicemente si impegna nei confronti del delegante ad estinguere il suo debito al delegatario
(es. è lo stesso schema dell’assegno bancario: il cliente ordina alla banca di eseguire il
pagamento in favore del portatore dell’assegno).
Il pagamento e ettuato dal delegato al delegatario vale nei rapporti fra delegante e delegatario
come se fosse e ettuato dal delegante stesso, in un rapporto di valuta.
Nei rapporti fra delegante e delegato, vale come e ettuato dal delegato al delegante.
es. se Tizio è debitore di 100 nei confronti di Sempronio (rapporto di valuta) ed è contestualmente
creditore nei confronti della banca (rapporto di provvista), Tizio (delegante) può delegare la banca
(delegata) a pagare per suo conto direttamente Sempronio (delegatario).
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Qualora il delegante ha ordinato al delegato di pagare il delegatario, perché erroneamente
convinto di essere debitore del delegatario, il diritto a pretendere la restituzione dell’indebito
spetta al delegante (e non al delegato, che ha materialmente eseguito la solutio).
ESTINZIONE DELL’OBBLIGAZIONE
Tipico fatto estintivo del rapporto obbligatorio è l’adempimento (ARTT 1176-1217 cc), ossia
l’e ettuazione della prestazione dovuta.
Il legislatore, tuttavia, ha disciplinato alcune ipotesi per cui il rapporto obbligatorio si estingue,
sebbene la prestazione non sia stata adempiuta.
Ciò accade innanzitutto nel caso di morte del debitore (es. ART 1674 cc, nel caso di appalto),
quando si tratti di prestazioni infungibili.
Tale fatto si può anche veri care nelle ipotesi di alcune fattispecie, che il codice designa come
“modi di estinzione delle obbligazioni diversi dall’adempimento”:
1) Compensazione;
2) Confusione
3) Novazione
4) Remissione
5) Impossibilità sopravvenuta
ADEMPIMENTO
L’ESATTO ADEMPIMENTO
Il raggiungimento dell’esatta realizzazione della prestazione dovuta richiede molto spesso cura,
accortezza e cautela da parte del debitore: per questo motivo, il codice nell’ART 1176 cc
stabilisce che nell’adempiere all’obbligazione il debitore deve utilizzare la diligenza del buon
padre di famiglia; ovviamente, il grado di diligenza esigibile con l’adempimento varia a seconda
del tipo di attività dovuta, del tipo di competenza del debitore, … -> attenzione, prudenza,
perizia
Le parti possono convenire aggravamenti o attenuazioni della diligenza richiesta dal legislatore.
Sarebbe però nullo il patto con cui le parti convenissero preventivamente di escludere o limitare
la responsabilità del debitore per inadempienze derivanti da dolo o colpa grave (ART 1229 cc).
Siccome il debitore è tenuto all’adempimento esatto della prestazione, se vuole il creditore può
ri utare l’adempimento parziale, sempre che il ri uto sia in buona fede (ciò accade anche se la
prestazione è divisibile), ART 1181 cc.
Peraltro, in materia di cambiale e di assegno vale la regola esattamente opposta.
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Per molto tempo, la giurisprudenza ha riconosciuto al creditore la facoltà di richiedere, anche
giudizialmente, un adempimento parziale, con riserva di agire successivamente per l’ottenimento
del residuo; la Suprema Corte, però, ha precisato che il richiedere giudizialmente l’adempimento
frazionato di un credito unitario può risultare illegittimo, sia per 1) violazione delle regole di
correttezza e buona fede; 2) relazione al principio costituzionale del giusto processo (?).
Il debitore può adempiere personalmente o per mezzo di dipendenti od ausiliari, del cui
comportamento è comunque responsabile il debitore (ART 1228 cc).
Il solvens non può impugnare l’adempimento eseguito, qualora lo abbia e ettuato 1) in stato di
incapacità; 2) con cose cui non poteva disporre.
Il debitore all’e ettuazione della prestazione dovuta può richiedere che il creditore rilasci la
quietanza (ART 1199 cc): si tratta di una dichiarazione di scienza che viene resa dall’accipiens
al solvens in forma documentale. Tale dichiarazione fa prova documentale precostituita del fatto
che l’accipiens assevera di aver ricevuto la prestazione dal solvens: pertanto, il solvens potrà
avvalersi della quietanza, nel caso in cui il creditore dovesse chiedergli nuovamente la
prestazione.
Essa, avendo una natura assimilabile alla confessione stragiudiziale, fa piena prova
dell’intervenuto adempimento; pertanto, l’accipiens potrà vincerne l’e cacia probatoria solo
dimostrando che il rilascio della quietanza è stato determinato da errore di fatto o violenza (ART
2732 cc).
Peraltro, nell’ipotesi in cui la dichiarazione di ricevuto pagamento, scientemente falsa, sia frutto di
un’intesa fra creditore e debitore volta a creare un’apparenza di solutio nel caso della quietanza
di favore (e non già di una determinazione unilaterale del creditore quietanzante) con la
cosiddetta quietanza di fare o di comodo, la giurisprudenza ammette che la stessa possa essere
impugnata (ART 1414 cc), in quanto espressone di un accordo simulatorio.
Nell’ipotesi in cui l’accipiens dichiari di aver ricevuto la prestazione e di non aver più nulla a
pretendere dal debitore con la quietanza liberatoria, tale a ermazione non è che una semplice
espressione del convincimento soggettivo del suo autore di essere stato soddisfatto nei propri
diritti.
DESTINATARIO DELL’ADEMPIMENTO
Il codice prevede che il destinatario dell’adempimento sia il creditore, cui il debitore deve
eseguire direttamente la prestazione.
Occorre che i creditore abbia la capacità di ricevere a prestazione: si discute se sia necessaria
la capacità legale o naturale, per ovviare il rischio che il debitore sia costretto a pagare una
seconda volta, salvo che provi che comunque l’incapace ha tratto vantaggio dalla prestazione
eseguita (ART 1190 cc).
Talvolta, dunque, il debitore deve eseguire la prestazione non già nelle mani del creditore, ma del
suo rappresentante legale o della persona indicata dalla legge o dal giudice.
Il debitore, se vuole, anziché il creditore, può pagare l’adiectus solutionis causa o indicatario,
ossia un soggetto dal creditore indicato.
Peraltro, in caso di contestazione, grava sul debitore l’onere di dimostrare che il creditore gli
aveva indicato il terzo quale adiectus solutionis causa.
La giurisprudenza ritiene che il debitore sia liberato se paga a soggetto diverso dal creditore, che
appaia suo rappresentante o comunque autorizzato a ricevere il pagamento per conto del
creditore stesso. In questo caso occorre che il solvens che abbia con dato nel principio
dell’apparenza provi: 1) di aver con dato, senza propria colpa, nella situazione apparente; 2) il suo
erroneo convincimento determinato da un comportamento colposo del creditore che abbia fatto
sorgere al debitore in buona fede l’a damento all’adiectus solutionis causa.
Il luogo dell’adempimento è di regola indicato 1) nel titolo costitutivo del rapporto obbligatorio,
oppure 2) determinato dagli usi o dalla natura della prestazione.
Per le ipotesi in cui i principi appena richiamati non dovessero soccorrere, il legislatore detta
alcune regole suppletive, in forza delle quali:
1) L’obbligazione di consegnare una cosa certa e determinata va adempiuto nel luogo in cui la
cosa si trovava quando l’obbligazione è sorta (ART 1182, comma 2 cc)
2) L’obbligazione di pagare una somma di denaro, se liquida, va adempiuta al domicilio del
creditore al tempo della scadenza (ART 1182, comma 3 cc) -> obbligazione portable
3) L’obbligazione di pagare una somma di denaro da parte della P.A. va adempiuta presso la
Tesoreria dell’ente debitore
4) In tutti gli altri casi, l’obbligazione va adempiuta al domicilio che il debitore ha al tempo della
scadenza (ART 1182, comma 4 cc) -> obbligazione quérable
Il termine è spesso indicato, sia in modo espresso sia tacito, nel titolo costitutivo
dell’obbligazione, es. nel contratto di locazione.
Si distinguono tre ipotesi, a seconda della data di ssazione del termine:
• Quando risulti ssato un termine per l’adempimento, esso si presume a favore del debitore (ART
1184 cc): prestazione inesigibile ma eseguibile -> il creditore non può esigere la prestazione
prima della scadenza (ART 1185, comma 1 cc), mentre il debitore può adempiere anche prima
del termine ssato.
• Quando il termine è ssato a favore del creditore (ART 1185, comma 1 cc): prestazione
esigibile ma ineseguibile -> il creditore può pretendere il pagamento anche prima della
scadenza, mentre il debitore non può o rire l’esecuzione della prestazione prima del termine
(es. contratto di deposito)
• Quando il termine è ssato a favore di entrambi: prestazione inesigibile e ineseguibile -> né il
creditore né il debitore possono pretendere l’esecuzione della prestazione prima della scadenza
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Il debitore decade dal termine ssato a proprio favore, con la conseguenza che il creditore può
esigere immediatamente la prestazione o agire in giudizio come se il termine fosse già scaduto.
Ciò accade qualora il debitore 1) abbia diminuito le garanzie che aveva dato; 2) non abbia o erto
le garanzie promesse; 3) sia divenuto insolvente: si tratta di ipotesi che avvengono in una
situazione di dissesto economico, sia pure temporaneo, che renda verosimile l’impossibilità da
parte del debitore di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni. (????)
Per le obbligazioni di pagare una somma di denaro quale corrispettivo di transazioni commerciali,
si prevede che nell’ipotesi in cui il termine di pagamento non sia stabilito da contratto, che
l’adempimento debba di regola avvenire entro 30 giorni a decorrere da eventi speci camente
indicati nella stessa norma. Tale norma prevede anche che sono fatte salve le vigenti disposizioni
del codice civile: si discute dunque se le norme della legge speciale prevalgano sempre su quelle
codicistiche / o se quelle codicistiche prevalgano sulle prime laddove risultino più favorevoli per il
creditore (es. in applicazione del principio quod sine die debetur statim debetur).
I trasferimenti di importi superiori possono essere e ettuati tramite: 1) banche; 2) Poste Italiane;
3) istituti di moneta elettronica ed istituti di pagamento.
In tal caso, il pagamento per contanti a mani dell’intermediario libera automaticamente il solvens
ancor prima della consegna della somma nelle mani del destinatario, essendo su ciente la
comunicazione a quest’ultimo che la somma destinata è stata messa a sua disposizione presso
l’intermediario abilitato.
Le limitazioni all’uso contante hanno nito con il favorire il di ondersi di modalità di adempimento
delle obbligazioni pecuniarie che non facciano ricorso alla materiale traditio di pezzi monetari
-> 1) riduzione dei rischi dati dalla ricreazione sica del denaro, es furti e rapine + 2) porre argine
ai pagamenti in nero.
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I meccanismi di estinzione delle obbligazioni pecuniarie vengono generalmente distinti in due
categorie:
• Mezzi di pagamento sostitutivi: consentono di evitare il materiale trasferimento di denaro tra
debitore e creditore, in sostituzione del quale si fa ricorso ad un documento cartaceo (es.
assegno circolare, assegno bancario) - titoli di credito
• Mezzi di pagamento alternativi: consentono di evitare 1) il materiale trasferimento del denaro
+ 2) consegna dall’uno o dall’altro di qualsiasi documento cartaceo, in luogo dei quali vengono
eseguite, previa autorizzazione da parte della banca, strutturazioni a debito o a credito.
- Boni co: realizza un trasferimento fondi su iniziativa del debitore, che è titolare di un conto
corrente bancario. Questo ordina alla banca di accreditare una determinata somma sul conto
corrente del creditore
- Addebito diretto: diversamente dal boni co, si attiva per iniziativa non già del debitore ma del
creditore; il creditore, previa sottoscrizione da parte del debitore correntista di
un’autorizzazione alla propria banca ad accettare ordini di addebito che dovessero pervenirle
da quel determinato creditore, otterrà l’accredito sul proprio conto corrente delle somme volta
a volta richieste.
- Carta di debito: la cui forma più di usa è il bancomat, che consente al titolare di un conto
corrente 1) di prelevare denaro contante + 2) di eseguire i pagamenti attraverso i POS (Point of
sale) installati presso i commercianti e i professionisti, attraverso i servizi pago bancomat.
- Carta di credito: consente al titolare 1) di prelevare denaro contante + 2) acquistare beni o
servizi senza esborso sico di denaro contante + 3) di erire il pagamento nel tempo: infatti,
l’addebito non avviene immediatamente, ma con il decorso di un lasso di tempo, di regola di
30 giorni nel caso delle carte di credito charge / attraverso un meccanismo di rimborso rateale
con contestuale corresponsione degli interessi per le carte di credito revolving.
Se la prestazione è fungibile, il creditore non può ri utare la prestazione che gli venga
spontaneamente ed unilateralmente o erta da un terzo consapevole di non essere obbligato
personalmente (ART 1180 cc), quand’anche quest’ultimo agisca all’insaputa o senza il consenso
del debitore. Al creditore, infatti, importa solamente ricevere la prestazione (es. pagamento ->
pecunia non olet = il denaro non puzza, è anonimo)
L’eventuale ri uto del creditore di accettare la prestazione o ertagli del terzo potrebbe
determinare la mora accipiendi.
Il creditore può legittimamente ri utare l’adempimento o ertogli dal terzo, se il debitore gli
abbia comunicato la propria opposizione (ART 1180, comma 2 cc), sebbene sia comunque libero
di accettare la prestazione.
La giurisprudenza insegna che 1) l’opposizione da parte del debitore all’adempimento non deve
risultare in contrasto con il generale principio secondo cui il debitore deve comportarsi secondo
buona fede e correttezza (ART 1375 cc) + 2) il ri uto da parte del creditore dell’adempimento del
terzo, pur in presenza di opposizione del debitore non deve essere contrario a buona fede e
correttezza (es. il creditore, dunque, pur in presenza di opposizione da parte del debitore,
potrebbe essere chiamato a rispondere del ri uto della prestazione o ertagli dal terzo, qualora
tale ri uto sia contrario a buona fede e correttezza).
L’adempimento del terzo estingue l’obbligazione con corrispondente liberazione del debitore,
sempre che il terzo sia consapevole di adempiere ad un’obbligazione non propria; diversamente, il
solvens (terzo) potrà agire nei confronti dell’accipiens per la ripetizione dell’indebito.
Normalmente, il terzo che adempie ad un obbligo altrui agisce in accordo con il debitore che
può essere 1) obbligato a restituire al terzo quanto quest’ultimo ha pagato; può anche accadere
che 2) il terzo operi per spirito di liberalità verso il debitore.
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In ogni caso, il terzo a meno che non sia intervenuto per spirito di liberalità, potrà esperire contro il
debitore che si sia avvantaggiato del pagamento e ettuato in sua vece attraverso l’azione di
arricchimento (ART 2041 cc).
Ricevendo la prestazione del terzo, può avvenire la surrogazione per volontà del creditore, per
cui il creditore può surrogare il terzo nei suoi diritti nel confronti del debitore al momento
dell’adempimento (ART 1201 cc): in tal caso, l’adempimento del terzo non comporta l’estinzione
del rapporto obbligatorio, ma la successione del terzo adempiente alla posizione creditoria nei
confronti del debitore.
L’adempimento dell’obbligo altrui non va confuso con la promessa di adempiere l’obbligo altrui
(fatta mediante la delegazione a promettere, l’espromissione e l’accollo).
IMPUTAZIONE DEL PAGAMENTO
Se un soggetto ha più debiti della medesima specie fa un pagamento che non comprenda la
totalità di quanto complessivamente dovuto, può avere importanza stabilire quale, tra i debiti,
venga estinto.
L’ART 1193 comma 1 cc riconosce al debitore la facoltà di dichiarare, quando paga, quale debito
intenda soddisfare.
Peraltro, in ipotesi di pagamento parziale di un’obbligazione pecuniaria di valuta liquida ed
esigibile il solvens non può, senza il consenso del creditore, imputare il pagamento stesso del
capitale, piuttosto che agli interessi e alle spese. Sicché, salvo diverso accordo tra le parti, i
pagamenti parziali vanno imputati prima agli interessi e poi al capitale (ART 1194 cc).
In ogni caso, la facoltà del debitore di indicare a quale debito debba imputarsi il pagamento si
consuma nell’atto del pagamento stesso; una successiva dichiarazione sarebbe giuridicamente
ine cace.
In mancanza di imputazione operata dal solvens, il pagamento deve essere imputato al debito
scaduto; tra i più debiti scaduti, a quello meno garantito; tra i più debiti ugualmente garantiti, al
più oneroso per il debitore; tra i più debiti ugualmente onerosi, al più antico.
Se tali criteri non soccorrono, l’imputazione va fatta proporzionalmente ai vari debiti (ART 1193
cc).
Qualora il debitore abbia accettato senza contestazioni una quietanza nella quale il creditore
abbia dichiarato di imputare il pagamento ricevuto ad un determinato debito, il debitore non può
più pretendere un’imputazione diversa (ART 1195 cc): in tal caso, infatti, la mancata immediata
contestazione da parte del solvens assume valore dei acquiescenza.
In buona sostanza, i criteri legali di imputazione di cui all’ART 1193 cc hanno carattere
suppletivo, essendo destinati ad operare nei contesti in cui né il creditore né il debitore abbiano
e ettuato l’imputazione in sede di quietanza.
La giurisprudenza insegna che, se al creditore che agisce in giudizio per l’adempimento del
proprio credito il debitore opponga e fornisca prova di aver e ettuato un pagamento idoneo ad
estinguerlo, è sul creditore che grava l’onere di dimostrare 1) la sussistenza di più debiti + 2) la
ricorrenza dei presupposti per l’applicazione di uno dei criteri sussidiari di imputazione (ART 1193
cc).
Il pagamento può anche dar luogo alla surrogazione (= sostituzione) del creditore con altra
persona: in tal caso, l’obbligo non si estingue, ma muta la direzione, poiché all’originario creditore
si sostituisce un altro creditore.
La surrogazione dà dunque luogo alla sostituzione del lato attivo del rapporto obbligatorio.
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Mentre la cessione di credito e la delegazione attiva presuppongono che l’adempimento non si sia
ancora veri cato, la surrogazione prevede che l’obbligazione sia adempiuta e che il creditore
sia soddisfatto.
La ratio della surrogazione è agevolare l’adempimento a favore del creditore originario, con
l’attribuzione al terzo (che rende possibile l’adempimento) dei diritti inerenti al rapporto
obbligatorio.
Il creditore, avendo diritto all’esatta esecuzione della prestazione dovuta, può legittimamente
ri utare una prestazione diversa da quella dedotta in obbligazione che dovesse essergli
eventualmente o erta dal debitore; ciò accade anche quando la stessa avesse valore uguale o
superiore rispetto a quella dovutagli, secondo il principio aliud pro alio, invito creditore, solvi
non potest = non si può prestare una cosa al posto di un’altra, contro la volontà del creditore.
Il creditore tuttavia può accettare che il debitore esegua una prestazione diversa rispetto a quella
dovutagli con la cosiddetta datio in solutum (= dazione in pagamento), regolata dall’ART 1197
cc (es. il debitore di una somma di denaro che si trovi in una crisi di liquidità può richiedere che
l’obbligazione venga estinta mediante cessione di merci).
Oggetto di dazione in pagamento può essere, oltre a una prestazione di dare, anche di fare (es.
l’obbligazione di una somma di denaro può essere estinta, previa accettazione del creditore,
mediante l’esecuzione di lavori di manutenzione) e di non fare (es. il creditore di una somma di
denaro può accettare che il debitore estingua la propria obbligazione non facendogli concorrenza
per un anno in piazza).
La distinzione tra dazione in pagamento e obbligazione facoltativa risulta più sfumata: mentre
l’obbligazione facoltativa è tale n dalla nascita, la dazione in pagamento nasce in forza di un
accordo successivo. Inoltre, l’obbligazione facoltativa attribuisce al debitore la facoltà di
scegliere quale prestazione adempiere n dall’inizio.
Una particolare ipotesi di datio in solutum consente agli eredi e ai legatari di proporre allo Stato, in
pagamento totale o parziale dell’imposta sulla successione, la cessione di beni culturali o opere di
autori viventi od eseguite da non più di 50 anni.
Il debitore può, mediante o erta della prestazione, costituire il creditore in mora, con la mora
credendi o mora accipiendi (ARTT 1206-1217 cc), nei casi in cui il creditore 1) ri uti, senza
legittimo motivo, l’adempimento o ertogli dal debitore (ART 1206 cc) + 2) senza legittimo motivo,
trascuri di compiere gli atti preparatori necessari per il ricevimento della prestazione.
In realtà, è incorretto quali carla come mora, poiché il creditore non è mai in ritardo.
Il termine mora del creditore è in realtà impropriamente utilizzato, poiché il creditore non potrebbe
ritenersi in ritardo; si tratta piuttosto di un abuso del diritto, considerando il fatto che il creditore
ri uti una prestazione esatta, quando potrebbe ri utare solamente quella inesatta.
L’o erta assume forme diverse a seconda 1) dell’oggetto dell’obbligazione + 2) del luogo
dell’adempimento:
• Solenne: quando è compiuta da un pubblico u ciale (ART 1208 cc). Le modalità dell’o erta
solenne variano a seconda che si tratti di un’obbligazione che sia un’obbligazione portable
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(= deve essere adempiuta presso il domicilio del creditore) o che si tratti di un’obbligazione per
la quale il creditore si debba attivare per il suo adempimento. Infatti:
- O erta reale: se l’oggetto dell’obbligazione è la 1) consegna di denaro, 2) titoli di credito, 3)
cosa mobili da consegnare al domicilio del creditore -> il publico u ciale si deve recare
presso il domicilio del creditore, portando con sé i beni (in modo che se il creditore
accetta possa essere eseguito l’adempimento), ART 1209 cc
- O erta per intimidazione: se oggetto dell’obbligazione è la 1) consegna di un bene immobile
o 2) la consegna di beni mobili prevista in luogo diverso dal domicilio del creditore o la 3)
prestazione di un facere -> l’o erta si fa intimando il creditore a ricevere la prestazione
entro un determinato tempo e in un determinato luogo o a disporre quanto necessario per
rendere possibile la prestazione. Tale o erta deve essere fatta mediante atto noti cato al
creditore, ART 1209 cc
• Secondo gli usi: quando oggetto dell’obbligazione è una prestazione di facere, ART 1217 cc.
In tal caso, l’o erta deve essere e ettuata con l’osservanza di prassi generalizzate e stabilmente
seguite in un determinato luogo e con riferimento ad un determinato tipo di a ari.
In ogni caso, per essere idonea a costituire in mora il creditore, l’o erta deve comprendere la
totalità della prestazione dovuta (ART 1208 cc).
Tra gli e etti della mora del creditore non vi è l’estinzione dell’obbligazione; se il debitore intenda
liberarsi di essa, deve:
• Se l’obbligazione ha oggetto la consegna di beni mobili, procedere al loro deposito presso il
Palazzo di Giustizia, che dev’essere preceduto dall’o erta della prestazione, che sia formale
o secondo gli usi. In tal caso, il debitore si libera direttamente, senza passare per la mora del
creditore, ART 1210 -1210 cc -> l’obbligazione si estingue se il deposito è accettato dal
creditore o, in difetto, in esito a un giudizio di convalida (= quando il deposito è dichiarato valido
da sentenza passata in giudicato)
• Se l’obbligazione ha oggetto la consegna di beni immobili, procedere alla loro consegna ad
un sequestratario nominato dal tribunale. La legge ritiene che se si fa precedere al sequestro
per l’o erta formale, il debitore costituisce in mora il creditore per poi liberarsi dall’obbligazione
tramite la consegna al sequestratario / per l’o erta secondo gli usi, il debitore si tutela
direttamente tramite l’estinzione della sua obbligazione, ART 1216 cc -> sequestro liberatorio
(= dal momento in cui l’immobile è consegnato al sequestratario), sempre che venga dichiarato
valido con sentenza passata in giudicato, ART 1216 cc
Il codice nulla dispone in ordine alle obbligazioni aventi oggetto un facere (ART 1217 cc): si
ritiene che le stesse si estinguano secondo le regole dettate per l’ipotesi di impossibilità
temporanea della prestazione, ossia nel momento in cui il debitore non può più essere tenuto ad
eseguire la prestazione o il creditore non ha più interesse a conseguirla.
Non vale a costituire in mora il creditore l’o erta non formale dal debitore indirizzata al creditore
al ne di manifestargli la propria volontà di procedere all’esecuzione della prestazione dovuta:
essa, se seria, tempestiva, completa e ri utata dal creditore senza legittimo motivo, vale
semplicemente ad evitare la mora debendi (ART 1220 cc) e più in generale a sottrarre il debitore
da conseguenze negative.
Quando tra due persone intercorrono dei rapporti obbligatori reciproci (= il soggetto creditore in
un rapporto è al tempo stesso debitore di un altro rapporto) i due rapporti, ricorrendo determinate
condizioni, possono estinguersi totalmente o parzialmente senza bisogno di procedere ai rispettivi
adempimenti: ciò avviene mediante compensazione.
CONFUSIONE
Qualora le qualità di creditore e debitore vengano a riunirsi nella stessa persona, l’obbligazione
si estingue per confusione (ART 1253 cc).
In caso di successione ereditaria, tuttavia, non si ha confusione, se l’erede accetta il bene cio
dell’inventario (= vengono tenuti distinti il patrimonio del defunto e quello dell’erede).
Naturalmente, l’estinzione del rapporto per confusione determina anche la liberazione degli
eventuali terzi che abbiano prestato garanzia per il debitore. Perche?
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La confusione ha lo stesso fondamento dell’estinzione per usufrutto o della servitù per confusione
(ARTT 1014 e 1072 cc).
NOVAZIONE
Si distingue tra:
• Novazione soggettiva: si ha allorquando la sostituzione riguarda i soggetti del rapporto
obbligatorio e, più frequentemente, il debitore, che viene liberato; vengono applicate le norme
relative alla delegazione, all’espromissione, all’accollo (ART 1235 cc).
• Novazione oggettiva: si ha allorquando la sostituzione riguarda 1) oggetto = novazione reale,
es. dovevo denaro, ma stabilisco con il creditore che dò arance + 2) titolo = novazione
causale, es. dovevo una somma a titolo di prezzo per la vendita, ma stabiliamo che è per la
locazione
Perché si abbia novazione oggettiva, devono concorrere i seguenti presupposti:
- Presupposto oggettivo: aliquid novi -> l’obbligazione deve presentare una modi cazione
sostanziale della prestazione o del titolo del rapporto obbligatorio. Non basterebbero delle
modi cazioni accessorie dell’obbligazione (es. eliminazione di un termine), ART 1231 cc
- Presupposto soggettivo: animus novandi -> comune ed inequivoca volontà delle parti di
estinguere l’obbligazione originaria, che può risultare anche per facta concludentia (=
tacitamente), purché in modo non equivoco, ART 1230 cc
- Presupposto strutturale: causa novandi -> interesse comune delle parti nell’e etto novativo
Le garanzie che assistono il credito novato si estinguono, se le parti non convengono
espressamente di mantenerle per il nuovo credito (ART 1232 cc).
La novazione soggettiva si distingue dalla modi cazione di soggetti nel rapporto obbligatorio:
mentre nella modi cazione di soggetti nel rapporto obbligatorio si ha la conservazione
dell’obbligazione che mantiene inalterata la propria identità originaria, seppure con una modi ca
del creditore e del debitore la novazione soggettiva prevede l’estinzione dell’obbligazione
originaria e la sostituzione con una nuova.
Inoltre, la novazione oggettiva si distingue anche dalla dazione in pagamento per lo stesso
motivo.
REMISSIONE
Essa produce l’e etto estintivo dell’obbligazione nel momento in cui la dichiarazione del
creditore perviene al debitore, che può dichiarare di non volerne pro ttare, in congruo termine
(ART 1236 cc).
L’ART 1237, comma 1 cc stabilisce una presunzione di remissione: la restituzione volontaria del
titolo (ossia del documento) originale del credito e ettuata dal creditore a favore del debitore, vale
come liberazione dall’obbligazione.
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La remissione del credito può essere desunta anche da una manifestazione tacita di volontà o
da un comportamento concludente, purché tali da manifestare in modo univoco la volontà
abdicata del creditore.
L’estinzione del debito per remissione non può essere rilevata d’u cio del giudice, ma eccepita
dalla parte interessata.
Dalla remissione si deve distinguere il pactum de non petendo: mentre nel pactum de non
petendo il creditore si impegna a non chiedere l’adempimento, nella remissione il debito viene
estinto oggettivamente.
Inoltre, mentre il pactum de non petendo fa conservare le garanzie al creditore e può agire verso
gli altri debitori solidali per intero, nella remissione, operando oggettivamente, fa cadere le
garanzie inerenti al credito e libera tutti gli altri debitori nel caso di obbligazioni solidali.
IMPOSSIBILITA SOPRAVVENUTA
Una cosa è l’impossibilità originaria della prestazione, che impedisce il sorgere del rapporto
obbligatorio; l’impossibilità sopravvenuta al suo nascere, invece, ne determina l’estinzione qualora
dipenda da causa non imputabile al debitore (??), ART 1256, comma 1 cc
Se la prestazione ha per oggetto una cosa determinata e diviene impossibile per causa
imputabile ad un terzo, il debitore non incorre in responsabilità, ma è tenuto a dare al creditore
quanto abbia conseguito al terzo a titolo di risarcimento. Al creditore è altresì concesso far valere
contro il terzo i diritti che spettano al debitore nei confronti del terzo, ART 1259 cc.
INADEMPIMENTO E LA MORA
L’ART 1218 cc recita che “Il debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta è tenuto
al risarcimento del danno, se non prova che l’inadempimento o il ritardo è stato determinato da
impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile”.
La regola è enunciata nell’ART 1218 cc: il debitore risponde sempre delle conseguenze dannose,
salvo che lo stesso dimostri che l’inadempimento è stato determinato da:
• Impossibilità della prestazione
• Derivante da causa a lui non imputabile
In merito sono sorte non poche di coltà interpretative, che hanno sviluppato un intenso dibattito:
l’opinione che sembra oggi prevalere è che l’ART 1218 cc non detta il criterio per l’individuazione
delle cause dell’inadempimento (o, impropriamente, le cause di esonero della responsabilità
contrattuale), ma costituirebbe una mera norma di rinvio a molti altri criteri, rintracciabili
nell’ordinamento.
Il regime della responsabilità contrattuale dunque varierebbe a seconda del tipo di obbligazione
concretamente considerata.
Il principio per cui il debitore risponde per colpa varrebbe, secondo l’opinione prevalente, per le
obbligazioni di mezzi (= ossia, le obbligazioni in cui il debitore è impegnato a svolgere una
determinata attività con diligenza, prudenza e perizia, senza però garantire che tale attività si
traduca in un risultato utile per il creditore).
In tali casi, il problema diviene quello di chiarire quale sia il grado di diligenza richiesto al debitore,
considerando il singolo caso; l’ART 1176, comma 1 statuisce che il debitore deve utilizzare la
diligenza che ci si può ragionevolmente attendere dal buon padre di famiglia (= da una persona
leale, onesta, attenta e coscienziosa) -> il debitore è tenuto responsabile se in colpa
Diversamente dei casi n qui considerati (in cui il debitore è ritenuto responsabile se in colpa), vi
sono alcune ipotesi in cui il debitore risponde anche senza colpa, ossia se nessuna negligenza,
imprudenza o imperizia possa essergli imputata.
In queste ipotesi talora si parla, in contrapposizione di responsabilità per colpa, di responsabilità
oggettiva: per responsabilità oggettiva si intende che la mancanza di colpa dell’obbligato non è
di per sé su ciente a esonerarlo per la responsabilità per inadempimento.
Ciò accade per obbligo:
1. Del vettore: il vettore risponde della perdita e dell’avaria anche se le cose sono andate
distrutte senza sua colpa (es. in un incidente cagionato da terzi). Il vettore può liberarsi dalla
responsabilità dimostrando il caso fortuito, ossia la sopravvenienza di una circostanza
anomala, del tutto estranea alla sfera della sua organizzazione
2. Di altri imprenditori: regole analoghe valgono anche per l’albergatore per deterioramento,
distruzione o sottrazione delle cose portate in albergo; oppure, anche nella responsabilità del
gestore di grandi magazzini per la perdita, il calo o l’avaria delle merci
3. Del debitore di cose generiche: discorso analogo per l’obbligazione di consegnare una certa
quantità di cose generiche (es. vino, petrolio). Si ritiene che il debitore che, anche non in
colpa, risponda dei rischi inerenti all’organizzazione della prestazione, visto che questa rimane
sempre possibile, secondo il principio genus numquam perit. Ovviamente, anche il debitore
di cosa generica non risponde per inadempimenti derivanti dal caso fortuito, ovvero da
sopravvenienze che sfuggono alla sua sfera organizzativa
4. Del debitore di somma di denaro: il debitore di una somma di denaro (che rientra fra le cose
generiche) risponde pur in assenza di una sua condotta colpevole (es. inadempimento dato
dal fallimento di una banca), salvo che l’inadempienza sia determinata da caso fortuito (es.
terremoto), del tutto estranee al rischio tipicamente inerente all’organizzazione di una
prestazione in denaro.
5. Di chi si avvale di ausiliari: il debitore che risponde di fatti dolosi o colposi di terzi di cui si sia
avvalso per l’adempimento dell’obbligazione, fatto regolato dall’ART 1228 cc. Il dominus
risponde del fatto degli ausiliari, anche quando non possa essergli imputata:
- Culpa in eligendo: nella scelta della persona di cui avvalersi
- Culpa in vigilando: nell’impartire istruzioni all’ausiliario o sorvegliare l’attività
Nel nostro ordinamento dunque il debitore è esonerato dalla responsabilità in ipotesi di caso
fortuito (ART 1225 cc), ossia tutte le volte in cui l’adempimento risulti ostacolato da
sopravvenienze che non possono essere prevenute o superate con condotte che siano esigibili
dal debitore stesso.
Nel caso in cui il debitore è in dolo, il risarcimento del danno per caso fortuito è comunque
dovuto.
Dal punto di vista processuale, il creditore che agisca in giudizio per l’adempimento della
prestazione o la risoluzione del contratto e/o risarcimento del danno a fronte dell’inadempimento
del debitore ha l’onere di fornire la prova del suo credito, potendo limitarsi ad allegare
l’inadempimento, ma senza doverne fornire la prova.
Sarà il debitore a dover eventualmente dimostrare di aver esattamente eseguito la prestazione
dovuta.
Diversamente, nel caso di prestazioni negative, sarà il creditore ad aver l’onere della prova del suo
diritto di credito e dell’inadempimento dell’obbligato.
Una volta acquisito che vi è stato inadempimento, grava sul debitore che voglia sottrarsi alla
responsabilità l’onere di fornire la prova di un’eventuale ricorrenza di causa di giusti cazione del
suo inadempimento (ART 1218 cc).
Di contro, è al creditore su cui grava l’onere di fornire la prova del danno cui richiede risarcimento,
sia del nesso fra la condotta inadempiente del debitore e detto danno.
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INADEMPIMENTO ALL’EPOCA DELL’EMERGENZA COVID-19
Innanzitutto, talune misure di contenimento del di ondersi della pandemia possono aver impedito
al debitore di adempiere alla prestazione o di fare pagamenti in denaro.
Se provato il nesso causale di tali misure con l’inadempimento, esse possono ricondursi al
factum principis = impossibilità oggettiva, integrando gli estremi dell’impossibilità della
prestazione non imputabile al debitore, per cui non sarebbe tenuto al risarcimento del danno (ART
1218 cc; ART 1256 cc)
Diverso è il caso in le misure emergenziali abbiano impedito la prestazione che il debitore si era
assicurato per predisporre ed organizzare quella dovuta al creditore (es. acquisto delle materie
prime).
Inoltre, tali misure impedendo o limitando molte attività produttive hanno avuto pesanti ri essi
sulla capacità reddituale e sulla liquidità di molti operatori economici che, non di rado, si sono
trovati in di coltà ad adempiere puntualmente alle proprie obbligazioni pecuniarie.
Il legislatore è intervenuto con una previsione di portata generale ART 3 DL n 6/2020 statuendo
che “il rispetto delle misure di contenimento della pandemia è sempre valutato ai ni
dell’esclusione, ai sensi e per gli e etti degli ART 1218 e 1223 cc, della responsabilità del
debitore”.
Occorre in ne segnalare che le obbligazioni su cui possono ri ettersi le sopravvenienze del Covid
o i provvedimenti adottati per circoscrivere la di usione, trovano fonte in un contratto, specie a
prestazioni corrispettive; da ciò consegue che tali sopravvenienze sono destinate ad incidere non
solo sulle obbligazioni, ma anche sui contratti che le generano.
DANNO RISARCIBILE
Il danno, di cui il creditore insoddisfatto può chiedere il risarcimento (ART 1218 cc), varia a
seconda che si tratti di:
• Inadempimento assoluto: il danno risarcibile è costituito dalle conseguenze negative della
de nitiva inattuazione della prestazione dovuta -> il risarcimento del danno si sostituisce alla
prestazione originaria
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• Inadempimento relativo: il danno risarcibile è costituito dalle conseguenze negative del ritardo
fatto registrare nell’adempimento della prestazione, che deve pur sempre adempiersi -> il
risarcimento del danno si aggiunge alla prestazione originaria
In diritto privato, il danno è il danno-conseguenza, mai un danno evento, che coincide con la
lesione dell’interesse: per questo motivo, è necessario analizzare il nesso di causa. In ogni caso, è
risarcibile solo il danno che sia conseguenza immediata e diretta dell’inadempimento (ART 1223
cc).
Il nesso di causa è:
• Nesso di causa materiale: responsabilità del debitore quando non abbia adempiuto la
prestazione al creditore (ART 1218 cc). Danno = lucrum cessans + damnum emergens
• Nesso di causa giuridico: presupponente il nesso di causa materiale, è il risarcimento del
danno, se il danno è conseguenza diretta ed immediata (infatti, il caso fortuito non viene
risarcito, perché il danno da esso causato non è conseguenza diretta ed immediata
dell’inadempimento).
La giurisprudenza insegna che così come è risarcito il danno patrimoniale, viene anche risarcito
il danno non patrimoniale; quest’ultimo, però, viene risarcito solamente nell’ipotesi in cui
l’inadempimento comporti una lesione dei diritti inviolabili della persona.
Risarcibile è anche il danno conseguente ad inadempimento che, per la sua "scarsa importanza”
(ART 1455 cc) non sarebbe idoneo a legittimare la risoluzione del contratto che ne costituisce la
fonte.
Nell’ipotesi in cui il creditore riesca a fornire la prova di aver e ettivamente subito un danno, ma
non riesca a fornire la dimostrazione del suo preciso ammontare, il legislatore autorizza il giudice
a procedere con la liquidazione (= determinazione della somma di denaro che il debitore
inadempiente dovrà corrispondere al creditore, anche con una valutazione equitativa, ART 1226
cc: questo accade perché è di cile provare l’ammontare del pregiudizio non patrimoniale: l’equità
è dunque l’asse portante del diritto e viene applicata anche in questo contesto (con le Tabelle
Giudiziali, entrate in vigore dagli anni ’80/’90).
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Peraltro, il giudice potrà procedere alla valutazione equitativa del danno anche d’u cio, solo
allorquando sia provato l’an (= l’esistenza) del danno e risulti particolarmente di cile/impossibile
provarne il quantum (= preciso ammontare).
L’ART 1226 cc è richiamato dall’ART 2056 cc, che si riferisce al risarcimento del danneggiato, in
questo caso relativamente alla valutazione equitativa del giudizio, ogni volta che non sia possibile
stabilirne una misura precisa.
La liquidazione del danno deve essere diminuita se, a determinare il danno stesso, vi è un
concorso di colpa del creditore e in ragione dell’entità delle conseguenze di tale condotta (ART
1227 cc): il dovere del creditore, infatti, è di non aggravare il danno = duty to mitigate damages,
utilizzando la diligenza del buon padre di famiglia.
L’onere della prova che a cagionare il danno ha concorso la colpa del creditore grava sul debitore
che pretenda di non risarcire integralmente il danno; peraltro, se provato da atti, il concorso del
creditore nella causazione del danno deve essere rilevato d’u cio dal giudice.
Principi analoghi ricorrono in merito di responsabilità extra-contrattuale (ART 2043 cc), ove il
danneggiante non è tenuto a risarcire per intero il pregiudizio subito dalla vittima in cui questa
abbia concorso colposamente per causare il sinistro (ART 2056, comma 1 cc).
Il creditore ha infatti il dovere di non aggravare il pregiudizio dell’altrui inadempienza: il
risarcimento del danno non è quindi dovuto per i danni che il creditore avrebbe potuto evitare
utilizzando l’ordinaria diligenza (ART 1227, comma 2 cc). La condotta del creditore non dev’essere
passiva ed inerte, ma secondo correttezza e buona fede (ART 1175 cc) egli deve avere una
condotta attiva, volta a limitare le conseguenze dannose per l’inadempimento, sempre che tale
condotta non risulti per lui eccessivamente gravosa.
L’onere di provare la violazione del creditore del dovere di limitare le conseguenze negative
dell’inadempimento grava sul debitore inadempiente.
Relativamente alle obbligazioni pecuniarie di valuta, le regole appena illustrate relative all’entità
del danno da risarcire in caso di inadempimento sono parzialmente derogate dall’ART 1224 cc.
Infatti, dal giorno della mora il debitore inadempiente è tenuto automaticamente a pagare in
aggiunta al capitale anche gli interessi moratori (senza bisogno che il creditore provi di aver
so erto un danno).
Se interessi convenzionali erano già dovuti in misura superiore al tasso legale già prima della
scadenza, gli interessi moratori sono pari a quelli a suo tempo concordati tra le parti (quand’anche
il relativo accordo nulla prevedesse a riguardo), ART 1224, comma 1 cc.
In ogni caso, gli interessi moratori non possono essere dal giudice liquidati a favore del creditore,
se quest’ultimo non ha formulato un’apposita domanda al riguardo.
Peraltro, le Sezioni Unite della Suprema Corte hanno enunciato il principio secondo cui al
creditore va di regola riconosciuto il risarcimento del maggior danno, in misura presuntivamente
pari alla di erenza tra tasso di rendimento netto dei titoli di Stato di durata non superiore ai 12
mesi / o, se superiore, tra il tasso di in azione - quello degli interessi legali, se inferiore.
Per il debitore permane la possibilità di fornire la prova che il creditore non abbia subito alcun
danno a causa del proprio ritardo o che ne abbia subito uno in misura inferiore al saggio di
interessi legali: in tal caso, nulla sarà dovuto al creditore in aggiunta agli interessi legali. (???????)
Per il creditore, permane anche la possibilità di provare che il danno dallo stesso so erto è stato
invece in misura superiore al rendimento netto dei titoli di Stato.
In ogni caso, anche il maggior danno non può essere liquidato a favore del creditore, se
quest’ultimo non ha formulato una speci ca domanda a riguardo.
La costituzione della mora ex persona vale anche ad interrompere la prescrizione (ART 2943 cc)
Peraltro, nei casi di mora ex re (e non mora ex persona), l’intimidazione per iscritto non è
necessaria (ART 1219 cc) e dunque la mora si ha automaticamente al veri carsi del ritardo
imputabile al debitore quando:
1) L’obbligazione derivi da fatto illecito (ARTT 2043 ss cc + 1219, comma 2 cc)
2) Il debitore dichiari per iscritto di non voler adempiere all’obbligazione (ART 1219, comma 2
cc): sarebbe infatti inutile la richiesta del creditore
3) L’obbligazione è liquida + a termine + portable, nel senso che debba essere eseguita al
domicilio del creditore (ART 1219, comma 2 cc): sarebbe infatti super ua qualsiasi iniziativa
del creditore, quando la sua condotta è circoscritta al compito meramente passivo di ricevere
la prestazione -> dies interpellat pro homine = il termine chiede al posto dell’uomo
4) L’obbligazione nasce da un contratto di subfornitura
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5) L’obbligazione pecuniaria nasce a titolo di corrispettivo da una transazione commerciale
Fatto salvo quanto previsto dall’ART 1219, comma 2 cc, fra i presupposti della mora non ricorre
quello della liquidità del credito (a di erenza di quanto si riteneva in passato): nel nostro
ordinamento non vale dunque in illiquidis non t mora.
La mora debendi può venire considerata solamente in riferimento di obbligazioni positive; nel
caso di obbligazioni negative, infatti, non è neppure possibile parlare di ritardo: basta infatti che il
debitore contravvenga all’obbligo di non facere assunto, perché si veri chi un inadempimento
assoluto.
Il semplice ritardo (che non dà luogo a mora del debitore) se imputabile al debitore produce
comunque conseguenze giuridiche -> il ritardo di per sé non è su ciente a far scattare la mora
del debitore, ma è necessario un atto volitivo per far scattare la mora debendi (atto giuridico, non
negozio giuridico)
A prescindere dalla mora, il creditore insoddisfatto potrebbe richiedere:
1) Risarcimento del danno so erto
2) Risoluzione del contratto
3) Pagamento della penale
4) Pronuncia di sentenza costitutiva
5) Eccezione di inadempimento
6) Diritto di recesso
Mentre nella mora debendi il ritardo dipende dal comportamento del debitore, nella mora credendi
il ritardo dipende dal creditore.
In caso di mora credendi, non scatteranno le conseguenze negative per il debitore, che gli
deriverebbero da inadempimento, ove lo stesso gli fosse addebitabile.
Il debitore in caso di mora credendi:
1) Non dovrà più gli interessi
2) Non dovrà più i frutti della cosa
3) Potrà pretendere il risarcimento dei danni che il comportamento del creditore gli abbia
procurato
4) Rimborso delle eventuali spese sostenute per la custodia e la conservazione della cosa (ART
1207, comma 2 cc)
Inoltre, è a carico del creditore in mora il rischio che la prestazione dovuta divenga impossibile per
causa non imputabile al debitore (ART 1207, comma 1 cc). In tal caso:
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• Il debitore sarà liberato dall’obbligazione (cosa che accade indipendentemente dalla mora del
creditore (ART 1256, comma 1 cc)
• Il creditore, se il credito deriva da un contratto a prestazioni corrispettive, non potrà invocare
l’ART 1256, comma 1 cc e considerarsi liberato dall’obbligo di eseguire la controprestazione
che, invece, dovrà ugualmente adempiere.
Qualora il debitore non adempia alla prestazione, il creditore può promuovere un processo
esecutivo, dopo essersi munito di titolo esecutivo.
Talvolta, il creditore può ottenere l’esecuzione forzata del suo credito in forma speci ca (es. nel
caso dell’obbligo di consegnare una cosa determinata, ecc)
Il caso più frequente è quello del titolo esecutivo che abbia ad oggetto la dazione di una somma
di denaro (sia che essa costituisca l’oggetto della prestazione originariamente dovuta, sia che
rappresenti la liquidazione del risarcimento del danno): il titolo esecutivo attribuisce al creditore il
diritto di promuovere l’espropriazione dei beni del debitore (ART 2910 cc), ossia di farli
vendere giudizialmente (= all’asta) per soddisfarsi sul ricavato.
Assoggettato all’esecuzione è il patrimonio del debitore (ART 2740 cc: “il debitore risponde
dell’adempimento delle obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri”): ciò signi ca che il
creditore può espropriare al debitore tutti i beni di cui il debitore risulti titolare al momento
dell’inizio dell’esecuzione, anche se acquistati successivamente al sorgere dell’obbligazione.
Dunque, si dice che il patrimonio del debitore costituisce una garanzia generica per il creditore,
con l’avvertenza che, se il bene fuoriesce dal patrimonio del debitore, il creditore non ha già diritto
di sottoporlo ad azione esecutiva.
Se, però, in linea di massima ogni soggetto ha un solo patrimonio sul quale possono rifarsi tutti
indistintamente i creditori, può anche accadere che taluni cespiti o categorie di cespiti siano
costituiti in patrimonio separato, pur continuando a far capo al medesimo soggetto, rispetto al
residuo patrimonio del soggetto (es. beni costruiti in fondo patrimoniale).
Sui cespiti a erenti al patrimonio separato possono agire esecutivamente esclusivamente le
categorie di creditori indicate dal legislatore, non già tutti indistintamente i creditori (che possono
agire solamente nel patrimonio residuo del debitore).
Inoltre, il principio dettato dall’ART 2740 cc trova eccezione nel caso dei beni impignorabili,
ossia i beni sottratti all’espropriazione in funzione della loro natura o funzione (es. anello nuziale,
letto, vestiti, biancheria).
Se vi sono più creditori che intervengano tutti tempestivamente nella procedura esecutiva, vi è la
par condicio creditorum, ossia che essi hanno ugual diritto a soddisfarsi sul ricavato della
vendita dei beni del debitore (ART 2741 cc) -> es. sono creditore di 100 e un altro è creditore di
50; dalla vendita dei beni del debitore ricavo solo 135: entrambi subiamo una falcidia del 10% e io
prendo 90 e l’altro creditore prende 45.
Tuttavia, la legge riconosce due deroghe al principio della par condicio creditorum, in
particolare:
• Causa legittima di prelazione;
• Postergazione
1) La causa legittima di prelazione è riconosciuta dalla legge ad alcuni creditori, garantendo loro
il soddisfacimento a preferenza dei creditori chirografari -> es. io, creditore di 100 ho una causa
legittima di prelazione, mentre l’altro che è creditore di 50 non ce l’ha; il ricavato dalla vendita è
35: io ricevo 100 e l’altro 35.
Cause legittime di prelazione sono:
• Privilegio
• Pegno
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• Ipoteca
Una volta che il creditore abbia ottenuto il titolo esecutivo, può avviare nei confronti del proprio
debitore una procedura espropriativa, facendo pignorare uno o più dei suoi beni.
Nella procedura esecutiva attivata possono intervenire anche gli altri creditori del medesimo
debitore, chiedendo di partecipare alla distribuzione del ricavato dalla vendita del bene pignorato,
ovviamente ognuno in proporzione del rispettivo credito / facendo valere le proprie cause
legittime di prelazione.
Il principio generale secondo cui il processo esecutivo è rimesso all’iniziativa del singolo creditore
e colpisce i singoli beni del debitore, è derogato dall’ART 2221 cc per gli imprenditori
commerciali non piccoli, relativamente ai quali si applicano le procedure concorsuali (=
procedure che mirano a dare una soluzione allo stato di crisi di un’impresa, attraverso la
regolamentazione dei rapporti con i creditori), qualora concorrano alcuni presupposti (e non già le
procedure esecutive individuali).
Peraltro, la L 3/2012 ha introdotto anche delle nuove procedure concorsuali accessibili anche a
soggetti non ammessi alle tradizionali procedure concorsuali, introducendo due presupposti per
tale ammissione:
• Presupposto soggettivo: soggetti non ammessi alle tradizionali forme di procedure
concorsuali: imprenditori commerciali che non raggiungano le soglie previste per
l’assoggettabilità a fallimento + start-up innovative + imprenditori agricoli + 4) ….
In ogni caso, non può essere ammesso alle procedure in esame il debitore che vi abbia già fatto
ricorso negli ultimi 5 anni.
La legge 3/2012 ha anche regolato le procedure familiari, per cui i membri di una stessa
famiglia possono avviare un’unica procedura di composizione della crisi da sovraindebitamento,
quando siano conviventi o quando il sovraindebitamento abbia un’origine comune.
• Presupposto oggettivo: il soggetto si trovi in condizioni di sovraindebitamento, per tale
intendendosi quella situazione di perdurante squilibrio tra obbligazioni assunte e il patrimonio
prontamente liquidabile per farvi fronte, tale da determinare al debitore 1) una di coltà ad
adempiere alle proprie obbligazioni o 2) la de nitiva incapacità ad adempiervi.
Il debitore che si trovi in tali condizioni oggettive e soggettive, può proporre alternativamente:
• Accordo di composizione della crisi da sovraindebitamento: il debitore istante deposita
presso il tribunale di residenza:
6. Proposta di ristrutturazione dei propri debiti (= una proposta di pagamento dei creditori in
misura inferiore al dovuto e/o a scadenze dilazionate rispetto a quelle originarie)
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7. Piano volto a garantire il reperimento delle risorse necessarie; la concreta fattibilità del
piano dev’essere attestata da un organismo di composizione della crisi, scelto tra quelli
iscritti in un apposito registro tenuto presso il Ministero della Giustizia.
Qualora i beni e i redditi del debitore non dovessero essere su cienti a garantire la fattibilità
di quanto contemplato nella proposta, questa deve essere sottoscritta anche da uno o più
terzi che consentano anche in garanzia il conferimento di beni o redditi su cienti per
assicurare l’attualità della proposta.
Il contenuto della proposta può essere vario (es. cessione di crediti futuri, …). L’importante è
che 1) ai titolari di crediti impignorabili venga garantito il regolare pagamento + 2) ai creditori
muniti di privilegio, pegno o ipoteca sia assicurato almeno il pagamento in misura non
inferiore a quella realizzabile, avuto riguardo del valore di mercato attribuibile ai beni o ai diritti
sui quali insiste la causa di prelazione, se non può chiaramente essere assicurato il
soddisfacimento integrale.
3. Elenco dei creditori, con indicazione 1) delle somme dovute + 2) di tutti i suoi beni + 3) degli
eventuali atti di disposizione compiuti negli ultimi 5 anni + 4) scritture contabili degli ultimi tre
esercizi + 5) relazione dell’Organismo di composizione della crisi, contenente le indicazioni
richieste dalla L 3/2012.
Il legislatore è intervenuto con il D.Lgs 14/2019 con il Codice della crisi d’impresa e
dell’insolvenza, al ne di dettare una disciplina organica per regolare le situazioni di crisi od
insolvenza del debitore, prescindendo se egli sia un consumatore, un libero professionista o un
imprenditore: la nuova norma è dunque destinata a superare quella del 1942, così come quella del
2012.
Nonostante ciò, la normativa del 2012 appare destinata a rimanere ancora operativa; questo
perché 1) la nuova disciplina entrerà in vigore forse solo dal 1 settembre 2021 + 2) la vecchia
continuerà ad applicarsi alle procedure che a quella data risulteranno pendenti.
PRIVILEGIO (!!!!)
La costituzione del privilegio non richiede né un accordo tra le parti, né particolari forme di
pubblicità (ART 2745 cc): esso nasce per volontà del legislatore.
Da ciò discende che:
• Le norme che prevedono privilegi possono essere oggetto di interpretazione estensiva, ma
non analogica
• Tipicità dei privilegi: le parti non possono creare altri privilegi rispetto a quelli stabiliti dalla
legge
La 1) L 426/1975 + 2) Corte Costituzionale + 3) ART 2751-bis -> hanno accordato maggiore tutela
ai crediti derivanti da rapporti di lavoro subordinato e da altri rapporti ad essi assimilati (es. crediti
per servizi prestati da lavoratori artigiani): il privilegio è infatti concesso dal legislatore per le
categorie di creditori che sono ritenuti più meritevoli di tutela dalla comunità politica.
L’ART 2751-bis statuisce che hanno privilegio generale: 1) crediti dovuti ai prestatori di lavoro
subordinato, 2) retribuzioni ai professionisti e 3) provvigioni derivanti dal rapporti di agenzia
-> struttura gerarchica: ciò signi ca che se alla ne dell’esecuzione la somma ricavata è
su ciente solo per pagare i prestatori di lavoro subordinato, gli altri non riceveranno nulla.
Di regola, il pegno è preferito al privilegio speciale su mobili; il privilegio speciale sugli immobili è
preferito all’ipoteca (ART 2748 cc).
Pegno ed ipoteca sono diritti reali e perciò ne presentano il tipico connotato dell’inerenza:
attribuiscono infatti al creditore il diritto di sequela, relativamente ai beni su cui gravano (= il
potere di esercitare lo ius distrahendi, sebbene in bene sia passato a terzi).
Naturalmente, pegno ed ipoteca appartengono ai diritti reali su cosa altrui, distinguendosi dai
diritti reali di godimento: questi, infatti, non limitano il godimento del proprietario; pegno ed
ipoteca sono, invece, diritti reali di garanzia: essi limitano il potere di disposizione della cosa,
perché l’eventuale acquirente deve tener conto del rischio che un domani detto bene potrebbe
essergli espropriato per soddisfare il credito garantito.
Pegno ed ipoteca si distinguono per la realità dal privilegio generale, che invece non ha carattere
reale.
D’altro canto, pegno ed ipoteca non hanno mai carattere generale, ma gravano su beni
determinati.
Il carattere della realità non manca invece al privilegio speciale: questo si distingue da pegno ed
ipoteca perché mentre il privilegio è stabilito dalla legge in considerazione della causa del credito,
pegno ed ipoteca richiedono invece un proprio titolo costitutivo.
Ciò spiega perché nel pegno e nell’ipoteca ci può essere la gura del terzo datore di pegno o di
ipoteca, mentre il privilegio si costituisce necessariamente su un bene del debitore.
La gura del terzo datore di pegno od ipoteca si distingue dal deiussore: entrambi garantiscono
io debito altrui, ma mentre il deiussore risponde di detto debito con tutti i suoi beni, il terzo
datore garantisce solo con il bene su cui è costituito pegno od ipoteca; inoltre, la deiussione non
implica il diritto di sequela, è tipico invece dei diritti reali di garanzia.
Pegno ed ipoteca danno entrambi luogo a rapporti accessori: ciò signi ca che essi
presuppongono un credito di cui garantiscono l’adempimento, seguendo la sua sorte ed
estinguendosi con la sua estinzione.
Pegno ed ipoteca sono funzionali ad assicurare al creditore il soddisfacimento del proprio credito;
da ciò consegue che, qualora il bene dato in pegno o sottoposto ad ipoteca perisse o si
deteriorasse per causa non imputabile al debitore divenendo insu ciente a garantire il
creditore, quest’ultimo può richiedere (ART 2743 cc):
• Che gli sia prestata idonea garanzia
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• In mancanza di idonea garanzia, può esigere il pagamento immediato
Ciò non è che un’applicazione del principio della decadenza del termine (ART 1186 cc)
Pegno ed ipoteca attribuiscono al debitore il diritto di far vendere il bene cui è assoggettato, ma
pur sempre attraverso l’intervento giudiziale.
A riguardo, l’ART 2744 cc sancisce con previsione inderogabile la nullità del patto
commissorio, con cui le parti convengano che in caso di inadempimento da parte del debitore, la
proprietà del bene sottoposto a pegno od ipoteca sia trasferita automaticamente in favore del
creditore.
Ciò è valido:
• Sia che la stipula sia anteriore, contestuale o successiva rispetto alla costituzione dell’ipoteca o
del pegno
• Sia che il valore della cosa ipotecata od oggetto di pegno sia superiore, uguale od inferiore
all’ammontare del credito garantito.
Allo stesso modo statuisce l’ART 1963 cc che “è nullo qualunque patto, anche posteriore alla
conclusione del contratto, con cui si conviene che la proprietà passi al creditore nel caso di
mancato pagamento del debito”.
La giurisprudenza a erma che l’ART 2744 cc è volto non tanto a colpire una determinata
pattuizione negoziale, ossia il patto commissorio in sé: esso vuole colpire piuttosto un
determinato risultato pratico, sicché la giurisprudenza estende tale divieto a qualsiasi pattuizione/
contratto/pluralità di negozi in sé leciti, volti al perseguimento in concreto del trasferimento della
proprietà di un bene a favore del creditore come conseguenza della mancata estinzione del
debito; nonostante il nomen iuris formali, infatti, le parti potrebbero nascondere altri regolamenti
contrattuali dietro al patto commissorio
Il patto commissorio si riferisce solamente agli accordi anteriori all’adempimento che convegno
che il debitore inadempiente perda inevitabilmente la proprietà del bene.
Il patto commissorio non comprende invece gli accordi anteriori o posteriori
all’inadempimento, in forza dei quali all’obbligato viene consentito estinguere il proprio debito
attraverso la dazione di un determinato bene (es. obbligazione facoltativa o datio in solutum): in
questo contesto, infatti, il trasferimento avviene sempre in conseguenza di una libera scelta del
debitore.
In contrapposizione alla nullità del patto commissorio, è ritenuto invece valido il patto marciano
(!!!!), per tale intendendosi che in ipotesi di inadempimento di un’obbligazione garantita, il bene
viene trasferito in proprietà del creditore insoddisfatto, ma a un valore stabilito da un terzo al
momento di detto trasferimento; con la conseguenza che il creditore è tenuto a versare al debitore
l’eventuale di erenza tra il valore del bene trasferito e l’ammontare del credito rimasto
inadempiuto.
PEGNO
Il pegno è il diritto sui beni mobili non registrati del debitore o di un terzo, che il creditore acquista
a garanzia del proprio credito, mediante un apposito accordo con il proprietario (ART 2784 cc).
Oggetto di pegno possono essere solo cose determinate: sono dunque escluse 1) cose di
genere + 2) cose future
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Possono essere concessi a titolo di pegno 1) beni mobili, 2) crediti, 3) universalità di mobili 4) altri
diritti reali mobiliari (in particolare, l’usufrutto), 5) beni immateriali diversi dai crediti (es. Diritto
d’autore, marchi).
Il pegno può essere costituito a garanzia di qualsiasi credito, anche condizionato o futuro (ART
2852 cc, sebbene sia dettato per l’ipoteca, ha un’applicazione analogica anche al pegno).
Il credito garantito da pegno deve essere però determinato o determinabile.
Per questo motivo l’ART 2787 cc predica la nullità del pegno omnibus, ossia il pegno con cui si
vorrebbe estendere la garanzia pignoratizia a tutti quei crediti, anche se futuri od eventuali, che
diversero intercorrere tra le medesime parti.
Non possono essere costituiti in pegno né 1) beni di cui non è ammessa l’espropriazione (es. beni
impignorabili, beni demaniali) né 2) crediti incedibili per legge (es. crediti alimentari).
Vietato è invece il suppegno, ossia il pegno che abbia per oggetto il bene ricevuto in pegno
(ART 2792 cc), dal momento che il creditore pignoratizio non può né usare né disporre la cosa
concedendone ad altri il godimento, senza il consenso del costituente.
COSTITUZIONE
Il negozio costitutivo del pegno, considerando esclusivamente i rapporti inter partes, potrebbe
anche essere verbale.
In ogni caso, il pegno su beni suscettibili di possesso si perfeziona con la consegna della cosa
al creditore o a un terzo designato dalle parti: quello costitutivo di pegno è dunque un contratto
reale (ART 2786 cc).
Peraltro, perché il pegno possa essere opponibile ai terzi, così da consentire al creditore di
esercitare lo ius prelationis, occorre che:
• La volontà di costituire pegno risulti da atto scritto, quando il credito garantito eccede la somma
di 2,58 euro (praticamente sempre)
• La relativa scrittura abbia data certa
• Nella scrittura risultino indicati: 1) credito garantito nel suo ammontare, 2) il bene costituito in
pegno.
Il pegno sui crediti va tenuto distinto dalla cessione dei crediti in garanzia, poiché mentre in
questi vi è il passaggio di titolarità dei crediti, nel caso del pegno, esso rimane di titolarità del
concedente.
Se il pegno ha ad oggetto diritti diversi dai crediti, il pegno si costituisce per le forme
richieste per il trasferimento dei diritti stesso (es. se per oggetto il pegno ha titoli di crediti, la
relativa costituzione richiede le forme previste per ciascun titolo).
Qualora in forza di più atti successivi il diritto di pegno sul medesimo cespite sia concesso a
creditori diversi, il relativo con itto viene risolto a favore di chi per primo ne consegua il
possesso e, in ipotesi di pegno su crediti, a favore di colui che per primo abbia noti cato la
costituzione del pegno al terzo debitore.
EFFETTI
È garantito il diritto di sequela, ossia il fatto che il creditore pignoratizio può far valere il suo
diritto anche se il bene sottoposto a pegno è stato alienato o su di esso siano stati costituiti diritti
a favore di terzi.
Del pari, vi è anche il diritto di prelazione, per il quale il creditore pignoratizio ha diritto di essere
soddisfatto sul ricavato della vendita della cosa sottoposta a pegno, con preferenza rispetto agli
altri creditori.
La tradizionale struttura del pegno basata sullo spossessamento è scarsamente funzionale alle
esigenze di nanziamento d’impresa: quest’ultima non può certo spossessarsi per ottenere un
credito.
Il contratto costitutivo di pegno non possessorio deve risultare da un atto scritto, pena la
nullità; nell’atto scritto dev’essere indicato: 1) il creditore, 2) il debitore e dell’eventuale terzo
concedente il pegno, 3) descrizione del bene dato in garanzia, 4) indicazione dell’importo
massimo garantito.
Peraltro, la sua opponibilità ai terzi è condizionata dall’iscrizione nel registro di pegni non
possessori, da attivarsi presso l’Agenzia delle Entrate: in virtù di tale iscrizione e a partire dal
momento della sua e ettuazione, la garanzia prende grado ed è opponibile a terzi.
Tuttavia, il pegno non possessorio non ha ancora trovato applicazione nel nostro
ordinamento, poiché il decreto attuativo del registro dei pegni non possessori non è ancora stato
emanato (ma sarebbe dovuto intervenire nel 2016).
PEGNO IRREGOLARE
Talora, a garanzia di un credito eventuale (es. a garanzia del risarcimento dei danni) vengono
consegnate al creditore delle cose fungibili (es. somma di denaro), che prendono il nome di
cauzione o deposito cauzionale.
Quest’ultimo ne acquista la disponibilità (es. può spendere i pezzi monetari).
In caso di adempimento da parte del debitore, la controparte non deve restituire l’idem corpus,
ma il tantundem eiusdem generis et qualitatis.
In caso di inadempimento, invece, il creditore insoddisfatto deve restituire res eiusdem generis
et qualitatis in misura pari all’eventuale eccedenza tra il valore delle cose consegnategli alla
scadenza del credito e l’importo dovuto; per il resto, i crediti reciproci dovranno ritenersi
compensati.
Tale gura viene anche chiamata pegno irregolare (ART 1851 cc): non si tratta di pegno in senso
tecnico e perciò non troverà applicazione la disciplina al pegno inerente.
Il pegno irregolare, prevede che le somme di denaro e/o i titoli consegnati al creditore diventano di
proprietà di quest’ultimo, che può conseguentemente disporne.
IPOTECA
L’ipoteca è un diritto reale di garanzia che attribuisce al creditore (ART 2808 cc):
• Ius distrahendi: potere di espropriare il bene su cui l’ipoteca è costituita
• Ius prelationis: diritto ad essere soddisfatto con il ricavato della vendita giudiziale con
preferenza
• Ius sequeli: diritto di espropriare il bene anche se alienato a terzi
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Sappiamo altresì che, come il pegno, l’ipoteca presenta:
1. Accessorietà: l’ipoteca esiste in funzione del credito da garantire -> estinzione del credito =
estinzione dell’ipoteca + trasferimento del credito = trasferimento dell’ipoteca
2. Specialità: non può cadere se non su beni determinati (ART 2809, comma 1 cc): non sono
dunque ammesse ipoteche generali. Inoltre, per la validità del vincolo ipotecario, sono
necessarie:
- Indicazione del credito garantito: la legge non consente al creditore di giovarsi dell’ipoteca
per un credito diverso da quello garantito
- Speci cazione della somma per la quale l’ipoteca è iscritta e che segna il limite della
garanzia ipotecaria: ciò al ne di consentire a terzi di conoscere l’entità del vincolo che grava
sul bene e permettere al debitore di ottenere nuovi prestiti ipotecari
3. Indivisibilità: ipoteca grava per intero sopra i beni vincolati (ART 2809, comma 2 cc). Ciò
implica che se a garanzia di un solo credito sono ipotecati più beni il creditore può far
espropriare a sua scelta uno qualsiasi di essi e soddisfarvi l’intero credito.
Inoltre, l’ipoteca continua a sussistere no all’estinzione del credito e perciò anche in caso di
adempimento parziario.
Proprio per la gravità del vincolo che discende da ipoteca, carattere precipuo dell’ipoteca è la sua
pubblicità (se fossero consentite ipoteche occulte, chiunque si asterrebbe dall’acquisto di un
immobile o da concedere un credito).
La pubblicità dell’ipoteca ha carattere costitutivo: il diritto d’ipoteca si costituisce mediante
l’iscrizione nei pubblici registri immobiliari (ART 2808 cc)
OGGETTO DELL’IPOTECA
Oggetto dell’ipoteca possono essere 1) immobili con le loro pertinenze; 2) mobili registrati (=
natanti, aeromobili, autoveicoli), 3) rendite dello Stato (ART 2810 cc)
Peraltro, l’ipoteca riguardante i mobili registrati e i titoli di Stato sono regolate da norme del
settore (ipoteca navale, ipoteca aeronautica, ipoteca automobilistica, …), di erente dalla
disciplina indicata nel codice civile.
Noi ci occuperemo dell’ipoteca immobiliare.
L’ipoteca immobiliare deve avere ad oggetto beni in commercio (ART 2810 cc): sono dunque
esclusi 1) beni demaniali, 2) beni del patrimonio indisponibile dello Stato.
L’ipoteca su cosa futura può essere validamente iscritta solo quando il bene è venuto ad
esistenza (ART 2823 cc): prima di quel momento, l’ipoteca ha solamente e cacia obbligatoria.
Ciò signi ca che il concedente ha l’obbligo di fare in modo che la cosa venga ad esistenza,
perché l’ipoteca possa essere iscritta.
Possono formare oggetto di ipoteca: 1) diritto di proprietà immobiliare, 2) diritto di usufrutto sui
beni immobili, 3) diritto di super cie, 4) la nuda proprietà sui beni immobili, 5) diritto dell’en teuta,
6) diritto del concedente.
Non possono formare oggetto di ipoteca: 1) le servitù, che non possono essere oggetto di
espropriazione separatamente dal fondo dominante, 2) diritto di abitazione e di uso, cui non è
ammessa la circolazione.
Qual’è la sorte dell’ipoteca se il diritto reale di godimento su cui essa grava si estingue?
1. Ipoteca costituita sull’usufrutto -> la garanzia si estingue con il cessare dell’usufrutto stesso
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2. Ipoteca costituita sulla nuda proprietà -> principio dell’elasticità del dominio: vi è la
consolidazione (= l’acquisto della proprietà piena a favore di chi ha concesso l’ipoteca) e
l’ipoteca si estende alla proprietà piena.
3. Ipoteca costituita sul diritto dell’en teuta e del super ciario -> disciplina più complessa
4. Ipoteca costituita su una quota di un bene indiviso -> disciplina più complessa
IPOTECA LEGALE
In alcune ipotesi, la legge attribuisce la creditore il diritto di ottenere l’iscrizione ipotecaria anche
senza o contro il consenso del debitore, a cura del responsabile del competente u cio presso
l’Agenzia delle Entrate, su determinati beni del debitore medesimo (ART 2834 cc).
IPOTECA GIUDIZIALE
Tuttavia, il legislatore gli concede tale diritto quando abbia ottenuto un provvedimento giudiziale,
anche non passato in giudicato ed anche se lo stesso non sia ancora esecutivo, che condanni
il debitore 1) a pagarli una somma di denaro o 2) all’adempimento di un’altra obbligazione o 3) al
risarcimento dei danni.
In tali casi, il creditore, presentando al responsabile del competente U cio Agenzia delle Entrate
copia autentica del provvedimento giudiziale, ha diritto di ottenere l’ipoteca giudiziale su un
qualsiasi bene immobile appartenente al debitore.
Il creditore ha diritto all’iscrizione dell’ipoteca giudiziale anche se la condanna del debitore risulti
da:
1. Un provvedimento giudiziale diverso da sentenza
2. Loro arbitrale reso esecutivo
3. Sentenza straniera
4. Verbale di conciliazione intervenuta, in esito ad un procedimento di mediazione di una
controversia civile o commerciale
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5. Verbale reso esecutivo con decreto del giudice, di conciliazione avvenuta in esito ad un
procedimento di consulenza tecnica preventiva
6. Verbale di accordo raggiunto in esito ad una procedimento di negoziazione assistita
7. Accordo transattivo autorizzato dal giudice.
Spetta al creditore scegliere discrezionalmente quali e quanti beni del debitore ad assoggettare
ad iscrizione ipotecaria (ART 2828 cc).
Nell’ipotesi in cui l’iscrizione dovesse essere e ettuata su beni il cui valore complessivo ecceda di
un terzo l’importo dei crediti iscritti, oltre accessorio al debitore è concessa la riduzione
dell’ipoteca che porta al restringimento dell’ipoteca ad una parte soltanto di detti beni (anche in
sede giudiziaria, se necessario).
La giurisprudenza è giunta a ritenere che la condotta del creditore, qualora non abbia osservato la
normale diligenza, integri gli estremi dell’abuso del diritto, il creditore è tenuto a risarcire i danni
so erti dal debitore.
IPOTECA VOLONTARIA
L’ipoteca volontaria può essere iscritta in forza di un contratto o una dichiarazione unilaterale
di volontà del concedente -> atto di concessione
Tuttavia, si esclude il testamento, per non dar modo al debitore di non alterare la situazione dei
propri creditori con riferimento all’epoca in cui cesserà di vivere, accordando preferenza ad uno,
in danno di altri; la legge infatti tende a garantire la par condicio dei creditori del defunto (2821 cc)
Legittimato alla concessione dell’ipoteca è il titolare del diritto reale destinato ad essere gravato
dall’ipoteca stessa.
In ipotesi di comunione, il singolo contitolare può ipotecare la propria quota; per ipotecare l’intero
bene, è necessario il consenso di tutti i contitolari.
L’ipoteca su cosa altrui ha e cacia obbligatoria: chi l’ha concessa è tenuto a procurare al
creditore l’acquisto dell’ipoteca e dunque è tenuto ad acquistare la cosa. L’iscrizione può essere
validamente e ettuata solo quando il bene sia entrato nel patrimonio del costituente.
Analogo regime si applica all’ipoteca su cosa futura; anche qui, l’ipoteca può essere
validamente iscritta quando la cosa è venuta ad esistenza.
PUBBLICITA’ IPOTECARIA
Se due o più persone si presentano contemporaneamente presso l’U cio Agenzia delle
Entrate a chiedere l’iscrizione contro la stessa persone e sul medesimo bene, le iscrizioni sono
eseguite sotto lo stesso numero d’ordine e i creditori concorrono in proporzione dell’importo dei
rispettivi crediti.
È permesso lo scambio di grado tra i creditori ipotecari, purché esso non leda i creditori aventi
grado successivo
-> es. se su un immobile gravano tre ipoteche, una a favore di Tizio per 100, una di Caio per 200 e
l’altra di Sempronio per 300, Tizio può scambiare il proprio grado con Caio (= postergazione di
grado = un creditore prende il posto di quello immediatamente precedente) ed anche con
Sempronio (= permuta di grado = due creditori, anche non vicini, scambiano il loro grado): nel
caso della permuta di grado, Sempronio potrà far valere l’ipoteca di primo grado per l’importo di
100.
La postergazione e la permuta di grado sono assoggettate alla pubblicità dell’annotazione a
margine della relativa iscrizione ipotecaria (ART 2843 cc).
La surrogazione nel grado ipotecario può avvenire anche in forza di legge nel caso della
surrogazione del creditore perdente (ART 2856 cc) -> es. il debitore ha due immobili, A e B: su
A grava l’ipoteca di Tizio per 100 (2016) e una di Sempronio per 50 (2018); sull’immobile B
gravano un’ipoteca di Tizio per 100 (2016) e una di Caio per 50 (2017). Se Tizio fa espropriare
l’immobile B che viene venduto per 100, Caio resta insoddisfatto, sebbene abbia un’ipoteca
scritta anteriormente (2017) a quella di Sempronio del 2018 -> Caio può surrogarsi nell’ipoteca
che Tizio aveva sull’immobile A e se Sempronio resta insoddisfatto, non può dolersene.
Per far valere la surrogazione, il creditore perdente deve far eseguire l’annotazione a margine
dell’ipoteca del creditore soddisfatto (ART 2857 cc).
Pubblicità costitutiva signi ca che senza di essa non nasce l’ipoteca; la pubblicità non va però a
sanare i vizi cui fosse eventualmente a etto l’atto di concessione d’ipoteca. Quindi, se il negozio
costitutivo o di titolo di concessione è nullo od annullabile, nulla od annullabile sarà anche
l’iscrizione.
Peraltro, il negozio annullabile può essere convalidato e la convalida ha e etto retroattivo: ciò
signi ca che l’iscrizione d’ipoteca rimane convalidata se il titolo viene convalidato.
L’iscrizione dell’ipoteca legale è eseguita d’u cio dal conservatore che trascrive l’anno di
alienazione o di divisione (ART 2834 cc).
Nell’ipotesi di ipoteca giudiziale ed ipoteca volontaria, invece, si esegue su istanza
dell’interessato.
Si ritiene che anche l’annotazione che si esegue a margine dell’iscrizione abbia e cacia
costitutiva: la trasmissione dell’ipoteca o il vincolo relativo al credito ipotecato non hanno e etto
nché non sia eseguita l’annotazione.
Oggetto di annotazione è anche la riduzione d’ipoteca, che ha luogo quando il valore del bene
risulta eccessivo rispetto al credito garantito.
L’iscrizione dell’ipoteca conserva il suo e etto per 20 anni dalla data in cui è stata e ettuata
(ART 2847 cc): in termine è correlato alla data di prescrizione estintiva dei diritti reali su cosa
altrui.
Decorso il 20ennio senza che si sia provveduto alla rinnovazione, l’ipoteca si può nuovamente
iscrivere, sempre che il titolo all’iscrizione conservi la propria e cacia; l’ipoteca prende grado
dalla nuova iscrizione.
Da ciò consegue che:
- Se nel frattempo un altro creditore ha scritto altra ipoteca, sarà preferito a colui che non da
curato a tempo debito la rinnovazione (ART 2848 cc)
- Se il bene viene acquistato da un terzo che ha trascritto il suo titolo, anche prima del
decorso di un ventennio, non si potrà e ettuare alcuna iscrizione 1) né a carico del terzo
acquirente (del tutto estraneo all’iscrizione ipotecaria), 2) né a carico del suo dante causa (che
non ha più diritti immobiliari sul bene)
Il mancato rinnovo dell’ipoteca nel termine 20ennale non impedisce al creditore di far
espropriare il bene su cui era stata iscritta l’ipoteca stessa se il debitore tutt’ora ne risulta
proprietario; l’e etto del mancato rinnovo dell’ipoteca è privarlo della causa di prelazione.
Se, nel frattempo, il bene è stato da debitore alienato a terzi o è sempre stato di proprietà di un
terzo datore di ipoteca, il creditore perderà anche il dritto di farlo espropriare.
CANCELLAZIONE
L’assenso alla cancellazione costituisce un atto dovuto per il creditore, qualora l’obbligazione
garantita si sia totalmente estinta; diversamente, il creditore dovrà risarcire i danni che il
proprietario dell’immobile avesse eventualmente avuto a patire per essere stata impedita la
tempestiva cancellazione dell’ipoteca.
La cancellazione viene eseguita mediante annotazione a margine della relativa iscrizione (ART
2886 cc).
Il creditore ipotecario in caso di inadempimento del debitore gode dello ius distrahendi (= di
attivare l’ordinaria procedura esecutiva immobiliare, ART 2910 cc), con la sola variante di essere
preferito agli altri creditori, secondo il grado della propria ipoteca, con lo ius prelationis.
Lo ius prelationis che compete al creditore ipotecario però cede di fronte a quello spettante al
creditore assistito da privilegio speciale immobiliare.
Nell’ipotesi un medesimo credito risulti assistito da ipoteca iscritta su più beni, la scelta di
quanti o tali espropriare spetta al creditore; peraltro, il creditore ipotecario non può sottoporre a
procedura esecutiva anche i beni del debitore non ipotecati, senza aver prima sottoposto a
pignoramento quelli ipotecati. Si discute se detta regola analoga valga anche con riferimenti ai
beni mobili.
Di contro, si ritiene che qualora l’ipoteca gravi sul bene del terzo datore di ipoteca e non già del
debitore, il creditore ipotecario non abbia l’onere di sottoporre ad esecuzione i beni ipotecati
prima di pignorare i beni del debitore.
In deroga alle norme codicistiche è stato varato il DL 203/1995 in riferimento al prestito vitalizio
ipotecario.
Data la natura del diritto reale, il bene ipotecato gode di ius sequeli, secondo il principio res
transit cum onere suo.
Il terzo acquirente non è obbligato personalmente con tutti i suoi beni verso i creditori che
abbiano iscritto l’ipoteca sull’immobile che egli abbia acquistato, ma questi possono far
espropriare solamente il bene ipotecato, pur dopo il suo trasferimento.
Il terzo acquirente non ha nemmeno dato vita all’ipoteca, come invece fa il terzo datore: la legge
ritiene dunque che il terzo acquirente del bene ipotecato sia meritevole di tutela, pur tenendo
salvi i diritti del creditore.
L’acquirente del bene ipotecato può infatti evitare l’espropriazione (che gli recherebbe noia e
fastidio, oltre che apparire disdicevole al suo buon nome); egli può pertanto esercitare, a sua
scelta, una delle seguenti facoltà (ART 2858 cc):
• Pagare i crediti a garanzia dei quali è iscritta l’ipoteca
• Rilasciare i beni ipotecati, in modo che l’espropriazione avvenga contro un amministratore dei
beni nominato dal tribunale, anziché contro di lui
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• Procedere con la purgazione delle ipoteche, liberando l’immobile dalle ipoteche: il terzo o re il
bene ai creditori al prezzo stipulato per l’acquisto o, se si tratta di beni pervenutigli a titolo
gratuito, il valore da lui stesso dichiarato
Qualunque di queste tre alternative il terzo scelga, egli ha il diritto di regresso nei confronti del
debitore: ciò signi ca che il debitore dovrà rimborsargli quanto il terzo abbia pagato.
Il terzo gode inoltre del diritto di surrogazione nelle ipoteche eventualmente iscritte (ART 2866
cc): ciò signi ca che il terzo viene surrogato al creditore soddisfatto nelle altre ipoteche
eventualmente iscritte su altri beni del debitore (surrogazione legale, ART 1201 cc), in virtù del suo
diritto di regresso.
Il terzo datore di ipoteca non può avvalersi delle facoltà di rilascio dei beni ipotecati e di
purgazione dell’ipoteca, che la legge concede invece al terzo acquirente del bene ipotecato.
Al terzo datore di ipoteca non è neppure concesso il bene cium excussionis, qualora non sia
stato convenuto diversamente: egli, dunque, non può invitare il creditore a far esportare prima i
beni del debitore e poi quello ipotecato (ART 2868 cc)
Se paga i crediti garantiti o subisce l’espropriazione, il terzo datore di ipoteca gode dell’azione di
regresso nei confronti del debitore: ciò signi ca che può rivolgersi al debitore al ne di farsi
rimborsare (ART 2871 cc)
Il terzo datore di ipoteca può anche esercitare il subingresso nelle ipoteche eventualmente
iscritte a favore del creditore soddisfatto a garanzia del debito estinto, su altri beni del debitore
(ART 2871 cc)
ESTINZIONE DELL’IPOTECA
Ipotesi molto particolare è la prescrizione dell’ipoteca (da non confondere con la prescrizione
del credito garantito, che comporta l’estinzione dell’ipoteca, determinando l’estinzione di detto
credito).
Di regola, l’ipoteca non è soggetta a prescrizione, in quanto autonomo diritto reale su cosa
altrui.
Peraltro, a tutela del terzo acquirente, il legislatore prevede nell’ART 2880 cc che qualora detto
bene sia alienato da colui che ha concesso l’ipoteca, quest’ultima si estingua per prescrizione
“con il decorso di 20 anni dalla data della trascrizione del titolo d’acquisto” del terzo. In tal caso,
si veri ca l’estinzione del diritto reale di garanzia in via autonoma rispetto al credito garantito:
infatti, per e etto del trasferimento del bene ipotecato, vi è una scissione tra:
- Diritto di credito: che resta in capo al creditore nei confronti del debitore originario
- Garanzia reale: che il creditore ha diritto di azionare nei confronti del terzo acquirente, ma solo
nei 20 anni successivi alla trascrizione.
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MEZZI DI CONSERVAZIONE DELLA GARANZIA PATRIMONIALE
Il patrimonio del debitore costituisce una sorta di garanzia generica per il creditore.
Per impedire che il patrimonio del debitore possa subire diminuzioni che incidano su tale garanzia,
a seguito di condotte commissive od omissive del debitore, la legge riconosce taluni rimedi volti
ad assicurarne la conservazione:
• Azione surrogatoria (ART 2900 cc)
• Azione revocatoria (ARTT 2901-2904 cc)
• Sequestro conservativo (ARTT 2905-2906 cc)
In linea di principio, i creditori non hanno diritto a sindacare o controllare il modo in cui il debitore
amministra il proprio patrimonio, né tantomeno possono a lui sostituirsi nell’esercizio dei doveri e
dei diritti che gli competono.
Peraltro, nell’ipotesi in cui il debitore abbia a determinare un pregiudizio per i suoi creditori,
trascurando con la propria inerzia di compiere gli atti necessari per non pregiudicare i propri diritti
(es. omettendo di riscuotere un credito), la legge consente ai suoi creditori di surrogarsi (=
sostituirsi), procedendo con l’azione surrogatoria (ART 2900 cc).
Tale legittimazione nell’esercizio dei diritti altrui ha comunque carattere eccezionale, con la
conseguenza che sussiste se concorrono alcuni presupposti:
1. Esistenza di un credito del creditore surrogante nei confronti del debitore surrogato. Tale
credito può anche essere illiquido, non ancora esigibile, condizionato o contestato.
2. Inerzia del debitore surrogato nel tutelare i propri diritti nei confronti di terzi, non essendo
peraltro su ciente che egli li eserciti con modalità discutibili o inidonee o ine cienti o
ine caci
3. Pregiudizio che deriva al creditore surrogante a seguito della condotta del debole surrogato. Il
pregiudizio può consistere alternativamente:
- Rischio che il patrimonio del debitore diventi insu ciente o che tale insu cienza venga ad
aggravarsi (es. il debitore che trascuri di attivarsi per impedire l’usucapione)
- Rischio di una concreta compromissione delle prospettive di successo di un’eventuale azione
esecutiva sul patrimonio del debitore (es. il debitore che disponga di un cospicuo patrimonio
in un paradiso scale trascuri di attivarsi per il recupero di un credito che costituisce l’unico
suo cespite nel territorio italiano)
- Rischio che non venga e ettuata la prestazione speci catamente dovuta al creditore
surrogante (es. venditore di cosa altrui che trascuri di agire nei confronti dell’attuale
proprietario del bene, con cui aveva stipulato un contratto preliminare per l’acquisto del bene
stesso)
4. Patrimonialità del diritto che il debitore surrogato trascura di esercitare, poiché il creditore
non ha alcun interesse nell’esercitare diritti o poteri di natura diversa (es. richiedere la
separazione tra coniugi).
Peraltro, se pure dall’esercizio di tali diritti o poteri potrebbe indirettamente derivare un
vantaggio patrimoniale per il debitore, non per questo sarebbe consentita l’azione
surrogatoria, perché la valutazione dell’opportunità dell’esercizio dei diritti personali è
comunque rimessa esclusivamente al loro titolare (es. il debitore che disconosca la paternità e
perciò non è più tenuto al mantenimento del glio)
5. Carattere non strettamente personale del diritto patrimoniale che il debitore trascuri di
esercitare: dunque, non possono essere tutelati in via surrogatoria i diritti che, pur avendo
natura patrimoniale, non possano essere esercitati se non dal loro titolare (es. pagamento
degli alimenti)
In ogni caso, il debitore surrogato conserva, anche dopo la surrogazione da parte del creditore,
la legittimazione ad esercitare in proprio i suoi diritti e poteri e anche di disporne.
La legittimazione all’esercizio dei diritti del debitore eccezionalmente concessa al creditore non
può essere esercitata a vantaggio del singolo che agisce in surrogatoria (es. il creditore
surrogante non può trattenere per sé la prestazione del terzo): gli e etti dell’atto compiuto in
luogo del debitore andranno a vantaggio del patrimonio del debitore e, quindi, di tutti i suoi
creditori (e non solo di colui che ha agito in via surrogatoria).
La prescrizione dell’azione surrogatoria si modella per relationem, ossia sul diritto di credito che
il creditore abbia nei confronti dei suoi debitori.
Oltre che per inerzia, il debitore può peggiorare la situazione dei suoi creditori ponendo in essere
atti che rendano più di cile il disfacimento dei diritti di questi ultimi.
Naturalmente, non si può impedire che il debitore compia atti che modi chino la consistenza del
suo patrimonio (es. vendere un auto usata), specie se tali atti rientrino nella sua normale attività.
Peraltro, qualora il debitore dovesse compiere atti che modi cano la consistenza del suo
patrimonio, sia 1) dal punto vista qualitativo (es. vendendo un immobile a fronte di corrispettivo),
sia 2) dal punto di vista quantitativo (es. donando un appartamento al glio).
Tali atti di modi cazione della consistenza del patrimonio del debitore renderebbero incerta o
di coltosa la realizzazione coattiva dei diritti del creditore; a quest’ultimo è concesso il rimedio
dell’azione revocatoria, detta anche azione pauliana (ART 2091 cc).
A tal proposito, l’ART 2901 cc precisa che la prestazione di garanzie (pegno, ipoteca) si considera
a titolo oneroso se è contestuale al credito garantito, ossia se la garanzia è concessa con lo
stesso negozio con cui sorge il credito, come una sorta di corrispettivo del credito.
Se, invece, la garanzia sorge posteriormente al credito, con atto autonomo, si deve ritenere l’atto
a titolo gratuito. ???
L’onere di fornire la prova della scientia fraudis e del consilium fraudis (del debitore o, se atto
a titolo oneroso, anche del terzo) spetta a colui che agisce in revocatoria, anche a mezzo di
presunzioni.
Chi agisce in revocatoria non deve solo chiamare in giudizio il proprio debitore, ma anche il terzo.
La sentenza, di natura costitutiva, che accoglie l’azione revocatoria non elimina l’atto
impugnato, benché esso sia dichiarati revocato: la sentenza consente semplicemente al
creditore che l’abbia esperita con successo di promuovere le stesse azioni conservative ed
esecutive nei confronti dei terzi aventi causa sui beni oggetto dell’atto impugnato che avrebbe
potuto porre in essere se l’atto revocato non fosse stato posto in essere.
L’azione revocatoria non ha, dunque, e etto restitutorio: il bene non ritorna nel patrimonio del
debitore.
L’azione revocatoria rende ine cace l’atto impugnato, ma solamente nei confronti del
creditore che ha agito, che potrà promuovere sul bene oggetto di revocatoria azioni
conservative od esecutive, come se il bene stesso non fosse mai uscito dal patrimonio del
debitore.
Dell’esperimento dell’azione revocatoria non potrebbero trarre giovamento 1) né il debitore (es.
se volesse liberarsi di un atto che a posteriori reputi non conveniente), 2) né gli altri creditori (es.
che volessero far valere le loro ragioni creditorie sul bene), 3) né il terzo (es. che volesse
svincolarsi dagli e etti dell’atto oggetto di revocatoria).
Cosa accade in ipotesi in cui chi ha acquistato dal debitore abbia a sua volta disposto a
favore di subacquirenti del bene oggetto di azione revocatoria?
La legge:
• Non accorda alcuna protezione all’acquisto a titolo gratuito, perché ritiene più giusto evitare
il pregiudizio del creditore
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• Qualora l’acquisto sia a titolo oneroso, creditore e terzo vogliono entrambi evitare un
pregiudizio. Nell’interesse della circolazione dei beni, la legge protegge i terzi che in buona fede
hanno fatto a damento sull’e cacia del precedente contratto -> es. se A aliena
fraudolentemente a B, che a sua volta aliena a C, l’e cacia dell’azione revocatoria si estende
solo ad A e a B e:
- Estende i suoi e etti al terzo C, se l’acquisto di questo è a titolo gratuito / se l’acquisto a
titolo oneroso di C è avvenuto in mala fede
- Non pregiudica il diritto del terzo C, qualora abbia acquistato a titolo oneroso e in buona
fede; resta comunque salvo il diritto del creditore di ricevere da B il corrispettivo che C ha
versato a B
Nell’interesse della certezza dei diritti, il legislatore ha stabilito che la prescrizione degli atti
suscettibili di revoca fosse di 5 anni dalla data dell’atto (e, dunque, più breve di quella ordinaria),
ART 2903 cc / oppure, qualora l’atto sia soggetto a pubblicità, dalla data cui la relativa formalità
è stata eseguita
La scarsa e cienza dell’azione revocatoria ha indotto il legislatore ad introdurre nel codice l’ART
2929-bis: questo, in presenza di alcuni presupposti, ammette il creditore ad iniziare azione
esecutiva su un bene già facente parte del patrimonio del debitore e di cui il debitore abbia
disposto a favore di terzi successivamente al sorgere del suo debito, senza dover
necessariamente passare per l’azione revocatoria.
Il creditore deve avviare la procedura esecutiva mediante pignoramento entro 1 anno dalla data
in cui tale atto pregiudizievole sia stato trascritto (ART 2929-bis).
Al debitore e al terzo spetta la facoltà di contestare la sussistenza del eventus damni e/o della
scientia fraudis del debitore, in sede di opposizione all’esecuzione.
Nell’ipotesi in cui il terzo acquirente abbia disposto il bene a favore di subacquirenti, il creditore
può esercitare l’azione esecutiva anche contro questi, se il suo acquisto è avvenuto a titolo
gratuito.
Il sequestro conservativo è una misura preventiva cautelare che il creditore può richiedere al
giudice, quando ha fondato timore di perdere le garanzie al proprio credito (es. ritiene che il
debitore stia per alienare quell’immobile che costituisce l’unico cespite del valore esistente nel
patrimonio).
Il giudice può attrezzare il sequestro conservativo di beni del debitore, qualora concorrano
determinati presupposti:
• Fumus boni iuris = apparenza di buon diritto: elementi che consentano di ritenere sussistente e
fondato il timore di inadempimento cui la parte ricorrente si dichiara titolare
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• Periculum in mora: il rischio che, nel lasso di tempo occorrente al creditore di far valere le
proprie ragioni, il debitore depauperi il suo patrimonio, tali da compromettere le prospettive di
esecuzione di esso
L’esecuzione del sequestro autorizzato dal giudice su uno o più beni hanno e etti per qualche
verso analoghi a quelli dell’azione revocatoria: in particolare, gli atti dispositivi cui il debitore
dovesse fare eventualmente oggetto il bene sequestrato perdono d’e cacia nei confronti del
creditore sequestrante.
DIRITTO DI RITENZIONE
In alcuni casi è concesso al creditore il diritto di ritenzione, ossia il dritto di ri utare la consegna
di una cosa di proprietà del debitore, n quando quest’ultimo non abbia adempiuto
all’obbligazione connessa con la cosa stessa.
È il diritto previsto a favore del creditore di trattenere presso di sé una cosa che dovrebbe
restituire al proprietario, no a che questi, che è suo debitore, non adempia la prestazione. In
tal modo, il debitore è indotto ad eseguire quanto dovuto se vuole tornare in possesso del bene.
-> es. il possessore in buona fede ha diritto di ritenere la cosa no a quando non gli sia stata
corrisposta l’indennità dovuta per miglioramenti, riparazioni ed addizioni realizzate sulla cosa
medesima.
-> es. Il conduttore di immobile locato ad uso non abitativo ha diritto di ritenzioni sulla cosa
concessagli in locazione no a quando non gli venga corrisposta l’indennità per la perdita di
avviamento.
Ovviamente, non si tratta di un mezzo di conservazione della garanzia generica che il creditore
vanta sul complessivo patrimonio del debitore, ma piuttosto di un’autotutela.
Poiché l’ordinamento stabilisce che non ci si può far giustizia da sé, il diritto di ritenzione è
applicabile solamente nei casi espressamente previsti (es. ARTT
748-1006-1011-1502-2235-2803 cc, …): in tali casi, il legislatore ha ritenuto di derivare tale
principio generale, perché il creditore avesse bisogno di una tutela più forte.
Conseguentemente, le disposizioni relative al diritto di ritenzione non sono suscettibili ad
applicazione analogica.
CONTRATTI IN GENERALE
CONTRATTO
Il contratto è un istituto centrale dell’interno del diritto privato e la gura più importante del
negozio giuridico.
L’ART 1321 cc statuisce che:”Il contratto è l’accordo di due o più parti per costituire,
regolare od estinguere tra loro un rapporto giuridico patrimoniale”.
L’essenza del contratto è dunque un accordo, ossia l’incontro della volontà di due soggetti, volto
a produrre un e etto giuridico.
Attraverso il contratto, i privati operano sul mercato, dove possono scambiare beni e servizi: il
contratto è dunque lo strumento fondamentale del sistema economico, in quanto veicolo di
scambi.
In termini giuridici, il contratto è lo strumento per realizzare determinati interessi delle parti,
attraverso la produzione di appositi e etti giuridici.
Gli e etti giuridici prodotti dal contratto possono riguardare 1) diritti reali, 2) rapporti obbligatori.
Proprio in virtù della pluralità dei potenziali impieghi del contratto si può comprendere che esso è
l’esplicazione dell’autonomia tra le parti (autos-nomos, per l’appunto).
È chiaro dunque il motivo per cui il contratto occupa un ruolo cardine nel diritto dei privati, in
quanto modalità di espressione della libertà dei singoli di gestire i proprio interessi.
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La libertà legata al potere contrattuale delle parti, però, non è illimitata: il contratto, infatti, deve
produrre e etti giuridicamente rilevanti, presentando 1) presupposti contemplati
nell’ordinamento per la validità del contratto, 2) l’accordo che produca e etti obbligatori in senso
tecnico.
Il codice civile italiano non detta una disciplina speci ca per il negozio giuridico, ma dedica
numerose norme ai contratti in generale (ARTT 1321-1469 cc).
Il carattere paradigmatico della disciplina relativa al contratto è confermato dall’ART 1324 cc,
che enuncia:”Salvo diverse disposizioni, le norme che regolano i contratti si osservano, in quanto
compatibili, per gli atti unilaterali tra vivi aventi contenuto patrimoniale”.
Appare dunque chiaro che:
• Atti unilaterali inter vivos a contenuto patrimoniale: non è necessaria l’applicazione
analogica, ma viene applicata la normativa del contratto direttamente
• Atti mortis causa o inerenti a rapporti personali: applicazione della disciplina contrattuale,
qualora si rilevi una lacuna nella disciplina inerente a tale atto e vi siano i presupposti per
l’analogia
La giurisprudenza ha inoltre precisato che, se a venir meno sono gli atti non negoziali (= atto
giuridico in senso stretto), questo non debba considerarsi nell’ambito applicativo dell’ART 1324
cc.
Il codice civile o re una descrizione dell’autonomia contrattuale nell’ART 1322 cc, rubricato
appunto “Autonomia contrattuale”:
• Comma 1: le parti possono liberamente determinare il contenuto del contratto, ossia le clausole
che regolano il loro rapporto, mantenendosi ovviamente nei limiti imposti dalla legge.
• Comma 2: le parti possono adottare sia i tipi previsti dal codice (contratti tipici, disciplinati dal
Titolo III del Libro IV, dedicato ai “singoli contratti”, mentre il Libro II del Libro IV è dedicato ai
“contratti in generale”), sia tipi non espressamente previsti dal codice (contratti innominati o
atipici).
Spesso accade che i contratti atipici raggiungano una grande di usione a livello pratico, tanto
da venir de niti “socialmente tipici”
In qualche caso, i contratti innominati sono a seguito divenuti oggetto di una disciplina legale
(es. franchising)
I contratti atipici sono validi ed e caci, purché siano determinati a realizzare interessi meritevoli
di tutela all’interno del nostro ordinamento.
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È facile comprendere, dunque, che l’autonomia contrattuale non si estende solamente nella
de nizione del contenuto di un contratto tipico, ma si estende no alla creazione di modelli non
previsti dal legislatore; in tali ipotesi, può risultare di cile quali regole applicare a tali gure, che
vanno disciplinate utilizzando 1) le norme contenute nel Titolo II del Libro IV inerenti ai “contratti in
generale” + 2) estensivamente od analogicamente, la disciplina dettata dal Titolo III del Libro IV
inerente i “Singoli contratti”
Negli ultimi decenni sono state avviate numerose iniziative volte ad elaborare principi e criteri
uniformi di disciplina del contratto di rilievo sovranazionale (es. Principi del diritto europeo dei
contratti / Principi Acquis -> quest’ultimo rappresenta un’elaborazione compiuta da commissioni
internazionali di giuristi al ne di operare una sintesi dei criteri generali vigente nell’ambiente
giuridico europeo).
L’ART 1325 cc enuncia i requisiti del contratto, ossia connotati che devono essere presenti
a nché una manifestazione di volontà delle parti si possa quali care come contratto.
Gli elementi essenziali del contratto sono:
1. Accordo delle parti
2. Causa
3. Oggetto
4. Forma, quando è richiesta ad substantiam actus (= per la validità del contratto)
Segue poi la disciplina attinente ai singoli elementi: 1) principi che regolano il perfezionamento del
contratto, 2) caratteristiche cui deve corrispondere la causa del contratto, 3) caratteristiche
dell’oggetto del contratto e 4) la forma del contratto
Chiaramente, è agevole stabilire quando l’accordo si sia perfezionato quando il consenso delle
parti si manifesti in un unico luogo e tempo; più complicato è invece stabilire ciò se le trattative si
svolgono in tempi successivi o tra persone lontane, che comunicano tra loro tramite nunci.
Nel procedimento di formazione del contratto, due sono gli atti fondamentali:
• Proposta, con cui il procedimento inizia
• Accettazione, con cui il procedimento si conclude
L’accertamento del momento e del luogo d’incontro delle volontà dei contraenti diviene
problematico nel caso di contratto inter absentes (= se le parti comunicano a distanza),
scambiandosi missive: basta che la volontà di accettare sia stata dichiarata oppure occorre che
sia stata trasmessa all’altra parte? È su ciente che la lettera sia stata ricevuta dal proponente
oppure occorre che egli l’abbia anche letta?
Si possono regolare in astratto vari criteri secondo cui è possibile regolare l’e cacia di una
manifestazione di volontà:
1. Principio della dichiarazione: la manifestazione di volontà è e cace non appena espressa
2. Principio della spedizione: la manifestazione di volontà è e cace non appena inviata all’altra
parte
3. Principio della ricezione: la manifestazione di volontà è e cace quando l’altra parte la riceve
4. Principio della cognizione: la manifestazione di volontà è e cace quando il destinatario ne
viene a conoscenza
Tuttavia, il principio della cognizione può avere un inconveniente: essa potrebbe o rire al
proponente, qualora il contratto non gli convenga più, di opporre che egli non ha letto la lettera o
che ne ha avuto conoscenza una volta che fosse scaduto il termine indicato; per questo motivo,
l’ART 1335 cc stabilisce una presunzione generale valida per tutti i negozi recettizi, secondo
cui la proposta e l’accettazione si reputa conosciuta da una persona determinata nel momento in
cui tale dichiarazione non sia giunta all’indirizzo del destinatario; pertanto, per dimostrare che il
contratto si è perfezionato, è su ciente dimostrare che la dichiarazione di accettazione è
pervenuta al domicilio del proponente. Graverà sul proponente stesso l’onere di dimostrare che si
sia trovato nell’impossibilità di ricevere la notizia, senza colpa sua o dei suoi dipendenti.
Oltre alla modalità di proposta ed accettazione, il contratto si può concludere anche in modi
di erenti: in ossequi al principio di autonomia privata, le parti possono preveder delle deroghe agli
ARTT 1326 e 1335 cc, stabilendo con apposita clausola negoziale che il contratto si concluda in
un diverso momento e a condizioni diverse rispetto a quelle generali.
1) Perfezionamento mediante esecuzione: i contratti si possono concludere infatti anche
senza formale accettazione, dando esecuzione ad un ordine ricevuto dal proponente; l’ART
1327 cc a erma che in tal caso l’accordo può ritenersi perfezionato “nel tempo e nel luogo
in cui abbia avuto inizio l’esecuzione”, a condizione che l’attività posta in essere dall’oblato
(=destinatario della proposta) non sia preparatoria di un futuro adempimento.
Questa modalità di perfezionamento è operante solo in speci che condizioni: il proponente
deve aver infatti richiesto che il contratto di eseguisse senza una preventiva risposta o che ciò
sia conforme agli usi. L’accettante deve dare prontamente avviso dell’iniziata esecuzione
all’altra parte, perché il proponente sia messo a corrente della avvenuta conclusione del
contratto (altrimenti, il silenzio del destinatario potrebbe far supporre al proponente che la
proposta sia stata ri utata)
2) Contratto con obbligazioni del solo proponente: siccome in tal caso è ragionevole che il
destinatario accetti la proposta, la legge non ritiene necessaria un’esplicita accettazione della
proposta. Però, anche un contratto che preveda l’attribuzione di soli diritto all’oblato non può
avere e etto contro la volontà di quest’ultimo, trattandosi di un negozio bilaterale.
Il codice civile stabilisce nell’ART 1333 cc:
- La proposta per cui derivino obbligazioni solamente per il proponente è ex lege
irrevocabile, dal momento in cui giunge a conoscenza del destinatario
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- Per la perfezione del contratto è su ciente il contegno omissivo del destinatario, il quale
non respinga la proposta medesima, nel congruo termine richiesto dalla natura dell’a are o
dagli usi.
Dunque, il luogo e il tempo del di perfezionamento del contratto si individuano rispettivamente
presso il domicilio dell’oblato e con il consumarsi del tempo utile per il ri uto.
L’ambito di applicazione di tale regola coincide con l’applicazione di quella inerente i contratti
a titolo gratuito; è discusso se ciò possa valere anche per i contratti reali e per contratti che
devono rivestire una data forma ad substantiam.
Una diversa regola è stabilita per la donazione, per cui occorre sempre l’accettazione e, se
questa non è contestuale alla proposta di donazione, è necessario che sia noti cata al
donante.
La proposta e l’accettazione possono essere ritirate e private di ogni e etto mediante un atto
uguale e contrario che si chiama revoca (ART 1328 cc), poiché il negozio non si è ancora
formato.
L’ART 1328 cc tratta in modo distinto la revoca della proposta e la revoca dell’accettazione:
• Comma 1 -> revoca della proposta: “la proposta può essere revocata nché il contratto non
sia concluso”.
La revoca della proposta è considerata come un atto non recettizio: dunque, essa impedisce la
conclusione del contratto purché sia stata emessa prima che il proponente abbia avuto
conoscenza dell’accettazione della controparte; in ogni caso, non è necessario che la revoca
giunga altresì a conoscenza dell’accettante prima che egli stesso accetti.
• Comma 2 -> revoca dell’accettazione: la revoca all’accettazione ha e etto se giunge
all’indirizzo del proponente prima che vi giunga l’accettazione
Occorre precisare che un diverso orientamento di pensiero è stato accolto dalla Corte di
Cassazione, che quali ca come atti recettizi sia la revoca sia l’accettazione della proposta:
dunque, anche la revoca della proposta è idonea ad impedire la conclusione del contratto
solamente se giunge a conoscenza dell’accettante prima che costui accetti e dunque vi sia la
conclusione del contratto (non è più, dunque, su ciente l’emissione anteriore a quel momento)
Peraltro, una recente decisione della Corte di cassazione ha ribadito l’indirizzo tradizionale,
secondo cui la revoca della proposta si perfeziona quando sia spedita all’indirizzo dell’accettante,
prima che l’accettazione sia giunta a conoscenza del proponente.
La disciplina della revoca della proposta espone l’accettante al rischio che egli intraprenda in
buona fede l’esecuzione del contratto, facendo a damento sulla conclusione dell’a are (es.
acquistando le materie prime): in tal caso, il proponente che abbia tempestivamente revocato la
proposta non è vincolato dal contratto, ovviamente, ma è comunque tenuto a indennizzare
l’accettante alle spese e alle perdite subite.
Il proponente per dare alla controparte lo spatium deliberandi (= tempo necessario per svolgere
un’indagine utile per valutare la convenienza della proposta) senza timore che nel frattempo
questa sia revocata, può dichiarare che la proposta sia irrevocabile (ART 1329 cc): in tal caso si
parla di proposta ferma ed un’eventuale revoca sarebbe ine cace.
Il codice esige che la proposta irrevocabile sia accompagnata dall’indicazione del periodo di
irrevocabilità, non essendo acetaboli impegni a carattere perpetuo.
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È discusso quale sia la conseguenza della mancata indicazione del termine; la Cassazione
a erma che in tal caso la proposta difetta del presupposto essenziale per l’irrevocabilità. La
proposta è dunque valida ed e cace, secondo la generale regola dell’ART 1328 cc.
OFFERTA AL PUBBLICO
Un particolare tipo di proposta è l’o erta al pubblico (ART 1336 cc), che vale come proposta
contrattuale, benché sia indirizzata a destinatari indeterminati.
Tale proposta permette che l’accettazione del contratto avvenga solamente per e etto della sola
dichiarazione di accettazione di colui che sia interessato perfezionare il contratto oggetto della
proposta.
L’o erta deve contenere gli estremi del contratto, cui la conclusione è diretta, purché non
risulti diversamente dalle circostanze e dagli usi.
L’o erta al publico non è un generico invito a trattare (es, inserzioni pubblicitarie: si intende
rintracciare i possibili interessati, per avviare la trattativa), né va confuso con la promessa al
pubblico (non è diretta a perfezionare accordi contrattuali).
Controverso è se l’esposizione delle merci in vetrina costituisca una vera e propria proposta al
pubblico o un invito a trattare; certamente sono o erte al pubblico quelle a prelievo diretto (es.
Nei supermercati)
L’o erta al pubblico è revocabile, come ogni altra proposta contrattuale. Mentre la proposta con
destinatario determinato può essere revocata qualora la revoca sia portata a conoscenza di
quest’ultimo, la revoca dell’o erta al pubblico è e cace anche nei confronti di chi non abbia
avuto conoscenza della revoca, dopo essere venuto a conoscenza dell’o erta (ART 1336 cc)
Disciplina particolare trova l’o erta al pubblico di strumenti nanziari, che possono essere
attuate sotto il controllo della CONSOB (commissione nazionale per le società e la borsa).
Talora un regolamento contrattuale può essere aperto all’adesione di altre parti, come accade
nelle organizzazioni associative e che quindi presentano una struttura aperta ed orientata a
ricevere l’adesione di altri soggetti.
Non tutti i contratti plurilaterali sono però a struttura aperta: ad es, la società lucrativa è a struttura
chiusa.
Nei contratti aperti all’adesione di terzi, solitamente è il contratto stesso a disciplinare le modalità
di manifestazione della volontà di aderire; qualora il contratto nulla disponga, l’ART 1332 cc detta
in via suppletiva che l’adesione deve essere diretta 1) all’organo eventualmente costituito per dare
attuazione al contratto oppure 2) ai contraenti originari (e non quelli che abbiano successivamente
aderito).
Per giungere alla stipulazione del contratto, spesso è necessario un periodo di trattative, al ne
di:
• Negoziare il contenuto degli accordi in formazione
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• Svolgere quegli eventuali accertamenti tecnici e legali, utili a una delle parti per valutare la
convenienza dell’a are
Durante le trattative, ovviamente, le parti sono libere di decidere se concludere o meno tale
contratto, ma devono pur sempre comportarsi secondo buona fede (ART 1337 cc). Si tratta di un
preciso dovere giuridico che sorge in capo alle parti, che, qualora violassero detto dovere,
incorrerebbero nella responsabilità precontrattuale o culpa in contrahendo.
Le condotte che possono dar luogo alla responsabilità precontrattuale sono varie:
1. Abbandono ingiusti cato della trattativa: qualora le trattative avessero raggiunto un punto
da determinare un ragionevole a damento circa la conclusione del contratto, le interrompa
senza un giusti cato motivo: la parte che si è ritirata con ingiusti cato motivo deve risarcire i
danni all’altra parte conseguenti alla frustrazione dell’a damento (es. le spese che
quest’ultima fosse stata indotta a sostenere, nell’a damento della conclusione del contratto)
2. Mancata informazione sulle cause di invalidità del contratto: una parte deve informare
l’altra dell’esistenza delle eventuali cause di nullità del contratto, che sarebbero potute essere
conosciute dalla stessa con la normale diligenza (ART 1338 cc).
Tra le cause di invalidità rientrano: 1) nullità, 2) annullabilità, 3) ine cacia; la giurisprudenza ha
però negato la responsabilità precontrattuale nel caso in cui l’invalidità dipenda da una
disposizione di legge che sarebbe dovuta essere conosciuta da ambedue le parti (es. le forme
ad substantiam)
3. In uenza illecita sulla determinazione negoziale della controparte: in caso di dolo
contrattuale (= se un soggetto induce un altro a stipulare un contratto tremolo in inganno) o
minacciandolo o appro tti di un errore in cui sia incorsa l’altra parte per trarne pro tti il
contratto è annullabile per un vizio della volontà.
Il responsabile per tali comportamenti è tenuto a risarcire il danno all’altra parte, anche
qualora non venga contestualmente richiesto l’annullamento del contratto
4. Induzione della controparte alla stipulazione di un contratto pregiudizievole: può
accadere che la responsabilità precontrattuale conviva con un contratto valido ed e cace.
Ciò accade in ipotesi di dolo accidentale (= una parte abbia sì tratto in inganno l’altro, ma
tale inganno ha determinato che la parte ingannata sia stata indotta ad accettare condizioni
diverse rispetto a quelle che avrebbe accettato se non fosse stata ingannata, e non tale da
determinare la volontà di quest’ultima di contrarre del tutto). In ipotesi di dolo accidentale, il
contratto non può essere annullato, ma la parte responsabile dell’inganno deve risarcire il
contraente ingannato.
Ciò si veri ca anche nella fattispecie in cui un contraente ometta di comunicare
un’informazione doverosa, secondo un criterio di correttezza e buona fede, la cui
comunicazione all’altra parte avrebbe verosimilmente condotto ad una diversa con gurazione
dello scambio contrattuale (l’obbligo legale di informazione sussiste per gli intermediari
nanziari, che devono obbedire ad obblighi di informazione emanati dalla legge e dai
regolamenti della CONSOB). Secondo la giurisprudenza, tale contratto rimane valido ma
l’intermediario deve risarcire il danno avuto dall’investitore. Il titolo della responsabilità può
però variare:
- Nel caso in cui la violazione avviene nel momento dell’esecuzione di un contratto di
prestazione di servizi nanziari, la responsabilità è contrattuale (perché nasce da obblighi di
informazione e diligenza, tipici appunto del contratto);
- Nel caso in cui la violazione all’obbligo d’informazione sia anteriore alla stipulazione del
contatto, allora la responsabilità è di tipo precontrattuale
Una parte consistente della dottrina ha sottolineato però che la responsabilità in esame si
tratti di responsabilità per inadempimento di un’obbligazione avente fonte legale e dunque
soggetta alla disciplina dell’ART 1218 cc.
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Esiste dunque un obbligo giuridico, che ha fonte gli ARTT 1337-1338 cc, per cui ciascuna delle
parti coinvolte in una trattativa ha l’obbligo di comportarsi secondo buona fede e correttezza.
La Suprema Corte ha dunque rilevato che la prescrizione all’azione di risarcimento del danno
matura in 10 anni, e non in quello di 5 anni applicabile per il risarcimento del danno da fatto
illecito.
Occorre precisare che il danno si atteggia in modo diverso nel caso in cui la mala fede abbia
condotto alla stipulazione di un contratto conveniente per una delle parti: in tal caso,
considerando che il danno non può mai essere misurato considerando l’interesse positivo, si
ritiene che non debba neppure essere limitato all’interesse negativo in senso stretto: esso deve
infatti esser ragguagliato al maggiore aggravio economico o al minor vantaggio determinato
dal comportamento sleale di una delle parti (ART 1400 cc).
Il procedimento della conclusione del contratto per mezzo di trattativa si dimostra problematico
nel caso in cui si tratti di contratti di massa (= contratti che un’impresa conclude con un gran
numero di persone): in questo contesto, vengono predisposti dei moduli o formulari contrattuali,
nei quali vengono inserite clausole uniformi e standardizzato.
Si può dunque parlare di “condizioni generali di contratto”, come recita la rubrica dell’ART 1341
cc, detti anche “contratti standard”, il cui articolato regolamentare è frutto del fatto che il cliente
di regola non può negoziare, ma può solo aderire al contratto (di qui, contratti per adesione).
Già nel testo originario del codice civile era prevista un’apposita disciplina, dettata dalla
consapevolezza della crescente di usione dei contratti standard. Questo tipo di contratto rende
necessario disporre delle cautele per il consumatore che si trova in una posizione di debolezza
rispetto al venditore, poiché è un Take it or leave it contract, ossia un contratto di adesione.
Tale tutela ha però carattere formale, apparendo bene presto insu ciente.
Infatti, nell’intento di dare uniformità alle svariate forme di protezione dei consumatori adottate dai
singoli Stati, la Comunità Europea ha emanato un’apposita direttiva nel 1993: in attuazione di
questa direttiva, è stato inserito nel IV Libro attraverso il novellamento l’apposito Capo XIV-bis,
rubricato “Dei contratti del consumatore”.
Le norme introdotte in detta novella sono poi con uite nei Codice del Consumo (ARTT 33 ss),
che costituisce lo strumento normativo unitario, attraverso cui il legislatore ha raccolto ed ordinato
gli interventi normativi a tutela del consumatore.
Tale disciplina non limita non limita la tutela dell’aderente ad un onere di forma, con l’apposizione
della doppia sottoscrizione, ma sancisce la nullità delle clausole vessatorie, in ragione del loro
contenuto sostanziale.
La nuova normativa del codice del consumo non ha abrogato quella degli ARTT 1341-1342 cc,
che è invece rimasta completamente in vigore: infatti essi hanno ambiti di applicazione di erenti.
L’ambito di operatività della nuova disciplina infatti:
- Da un lato, si estende a qualsiasi contratto abusivo, e non limitatamente ai casi di condizioni
generali predisposte da uno dei contraenti
- Dall’altro, è circoscritto ai contratti tra contraenti riconducibili alle gure di consumatore e
professionista
Dunque, nei rapporti tra imprenditori, vi sarà l’applicazione degli ARTT 1341-1342 cc, e non del
codice di consumo.
Il DL 1/2012 ha esteso alle microimprese le tutele rappresentate a favore del consumatore contro
le pratiche commerciali scorrette; tale estensione, però, non abbraccia la tutela contro le clausole
abusive , che rimane limitata ai consumatori (ARTT 33 ss cod cons)
PROBLEMA IN GENERALE
La volontà contrattuale può infatti formarsi in maniera anormale, per l’in uenza di elementi
perturbatori, che abbiano incotto il soggetto a porre in essere un atto che altrimenti non avrebbe
compiuto; i vizi della volontà sono 1) errore; 2) dolo; 3) violenza (ART 1427 cc).
Può accadere che la dichiarazione non risulti conforme all’intento negoziale del dichiarante per
viarie ragioni (es. voglio vendere una merce a 100 euro/kg, ma per errore scrivo 10 euro/kg).
In tal caso, si potrebbe pensare che una dichiarazione cui non corrisponda l’interna volontà è
priva della sua stessa essenza, dovendo logicamente conseguire la nullità di tale negozio.
Tuttavia, però, tale risultato non corrisponde alle nalità sociali che si prepone l’ordinamento, che
sì deve occuparsi di colui che emette la dichiarazione, ma anche di colui cui la dichiarazione è
rivolta, ponendo il proprio a damento su di essa per regolare il proprio comportamento (es. il
compratore cui la lettera erronea è rivolta può rendersi conto dell’errore, o ri utare le altre
proposte, ritenendo 10 un prezzo molto conveniente).
La dichiarazione può essere intenzionalmente diversa dalla reale volontà del soggetto: ciò avviene
nel caso della riserva mentale, nel caso della simulazioni.
Di regola però non possiamo indagare l’altrui interno volere, dovendoci limitare a prestar fede alle
dichiarazioni.
Occorre dunque che la parte cui la dichiarazione è diretta sia in buona fede e consideri la
dichiarazione utilizzando l’ordinaria diligenza.
Vengono dunque ripudiate: 1) la teoria della volontà, che porta a ritenere invalido qualsiasi atto
espressivo viziato, 2) la teoria della dichiarazione, che ritiene su ciente a dar vita al negozio la
sola estrazione della dichiarazione, volendo proteggere il terzo e 3) il criterio della
responsabilità, per cui il dichiarante è senz’altro obbligato, se la divergenza è intenzionale o a lui
complessamente imputabile.
L’ordinamento elabora dunque la teoria dell’a damento, con cui cerca di trovare un punto di
equilibrio tra tutela del dichiarante e quella del destinatario. Secondo questa teoria, se la
dichiarazione diverge dall’interno volere o se il volere non si è correttamente formato, deve essere
protetto l’a damento a terzi.
Tale teoria entra in gioco in varie fattispecie e il legislatore si preoccupa di stabilire di volta in volta
i presupposti dell’esistenza di un a damento tutelabile.
La teoria dell’a damento vale per i negozi patrimoniali inter vivos a titolo oneroso, ma non nei
negozi nei quali occorre avere particolare riguardo alla volontà del dichiarante: 1) per quelli mortis
causa, 2) di diritto personale e familiare, 3) per quelli patrimoniali a titolo gratuito.
ERRORE
L’errore consiste in una falsa conoscenza della realtà, cui è equiparata l’ignoranza.
Sotto il vigore del codice abrogato, aveva grande importanza la distinzione tra:
• Errore ostativo: è l’errore che cade sulla dichiarazione (= lapsus calami: volevo scrivere 1000 e
ho scritto 100) o sulla trasmissione della dichiarazione (= la dichiarazione, correttamente
espressa dalla parte interessata, è stata inesattamente trasmessa dal nuncius che era a ciò
incaricato), ART 1433 cc. Esso, dunque, presuppone che la volontà del dichiarante non sia
viziata (= si sia correttamente formata), ma che poi sia stata inesattamente espressa -> prima
nullità del negozio -> ora annullabilità del negozio, perché è un errore che “osta” alla
formazione del negozio, non essendo la dichiarazione conforme alla volontà del dichiarante.
• Errore vizio: è l’errore per cui il soggetto ha malamente accertato e valutato le circostanze del
negozio, cosicché la volontà espressa nella dichiarazione negoziale risulti viziata ->
annullabilità del negozio.
In ogni caso, nel codice vigente, l’ART 1433 cc si preoccupa maggiormente della gravità della
conseguenza che riteneva che l’errore ostativo producesse la nullità del contratto. Il codice del
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1942, dunque, equipara gli e etti dell’errore ostativo a quelli dell’errore-vizio: entrambi, dunque,
determinano l’annullabilità del contratto.
L’errore come vizio della volontà in cia il corretto procedimento formativo della decisione.
Il legislatore vuole:
- Da un lato, o rire un rimedio alla parte la cui determinazione è stata viziata da errore (=
dichiarazione falsa o mancata conoscenza di alcuni elementi)
- Dall’altro, assicurare la serietà delle dichiarazioni negoziali sulla quale l’altro contraente ha
posto il suo a damento
Il contratto viziato è annullabile, a condizione che l’errore sia (ART 1428 cc):
1. Essenziale: consistenza oggettiva dell’errore, nel quale è incorso il contraente
2. Riconoscibile dall’altro contraente: tutela all’errante, se ciò non contrasti la tutela della
buona fede e l’a damento della controparte
Tale regola si applica ai contratti, ma anche agli atti unilaterali tra vivi a contenuto
patrimoniale recettizi (ART 1432 cc); dunque, non a testamento, né a matrimonio.
Peraltro, l’azione di annullamento non può essere proposta se l’altra parte o ra di eseguire il
contratto in modo conforme a quanto l’altro contraente riteneva erroneamente di aver pattuito,
prima che alla parte in errore possa derivarne un pregiudizio.
ESSENZIALITA DELL’ERRORE
L’essenzialità si distingue dal carattere determinante dell’errore, che attiene all’in uenza che
l’errore ha avuto sulla decisione della parte concludente il contratto.
L’ART 1429 cc enumera infatti i casi in cui l’errore è essenziale e dunque giuridicamente rilevante.
Ma, solamente in alcuni casi la legge esige uno speci co accertamento concreto del ruolo
determinante dell’errore (errore determinante); in altre ipotesi, invece, non si richiede un
accertamento del ruolo determinante dell’errore, perché il tipo di errore in cui la parte è caduta
determina di per sé l’annullamento del contratto, senza necessità che sia svolta alcuna analisi
circa il peso che l’errore abbia avuto nell’indirizzare la decisione del dichiarante (errore essenziale).
Non ha invece carattere di essenzialità l’errore che ricade sui motivi che inducono il soggetto a
concludere un negozio (es. concludo un contratto di una compravendita di un immobile perché
sono convinto che mi trasferiranno a Bari); eccezionalmente, esso ha validità 1) nel testamento, 2)
nella donazione, quando esso risulti da atto.
RICONOSCIBILITA DELL’ERRORE
Perché l’errore essenziale produca l’annullabilità del negozio, è necessario l’ulteriore requisito
della riconoscibilità dell’errore da parte dell’altro contraente.
L’errore si considera riconoscibile quando la controparte avrebbe potuto accorgersene,
usando la normale diligenza (ART 1431 cc).
La legge non bada al fatto che in concreto un contrente abbia o meno capito che l’altra parte era
caduta in errore, ma alla possibilità astratta di riconoscerlo, comportandosi come una persona di
media diligenza.
Si tratta di una quaestio facti: l’indagine circa la riconoscibilità dell’errore va fatta caso per caso.
Nel caso di errore bilaterale o comune (!!!) (= ossia se entrambe le parti siano incorse nello
stesso errore), la giurisprudenza ritiene che non sia applicabile il principio dell’a damento, poiché
ciascuno dei contraenti ha dato luogo all’invalidità del contratto, indipendentemente dal
comportamento dell’altro.
Si disputa inoltre se sia richiesto che l’errore non dipenda da colpa del dichiarante (oltre ai
requisiti di essenzialità e riconoscibilità); tale requisito si riteneva necessario nella dottrina
formatasi sotto il codice vigente no al 1865 e si fondava sulla teoria della responsabilità.
Il nuovo codice però attribuisce rilevanza, più che alla teoria della responsabilità, a quella
dell’a damento: dunque, non è necessario che l’errore non dipenda da colpa dell’errante.
DOLO
Un negozio è annullabile se sia stato posto in essere in conseguenza di raggiri perpetrati ai danni
del suo autore.
Il dolo come vizio del consenso (detto anche dolo-inganno, per di erenziarlo dal dolo, quale
elemento soggettivo dell’illecito) è disciplinato dal codice dagli ARTT 1439-1440 cc.
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1) Il dolo determinante o dolo causam dans è il vizio del consenso che ha determinato
che la vittima stipulasse un contratto, che non avrebbe concluso se non fosse stata ingannata.
Per quanto riguarda il comportamento ingannevole, è su ciente una qualsiasi manovra o mezzo
fraudolento, impiegato per far cadere in errore il deceptus (= il contraente raggirato).
Si discute, peraltro, se siano su cienti una menzogna, una reticenza o basti anche il silenzio.
Per una menzogna (= dichiarazione inveritiera, non accompagnata da arti ci o raggiri), si ritiene
che il negozio non sia annullabile nel caso in cui il destinatario della dichiarazione sarebbe stato
in grado di conoscere la verità, utilizzando la normale diligenza.
2) Il dolo incidente o dolo incidens è il vizio del consenso che si limita ad incidere. In
questo caso, la vittima del raggiro non ha stipulato il contratto per via dell’inganno, ma avrebbe
concluso il contratto anche se non fosse stata indotta in errore: l’inganno ha però giocato un ruolo
decisivo nel regolamento negoziale, poiché se non fosse stata indotta in errore, la parte avrebbe
stipulato il contratto con condizioni diverse.
L’ART 1440 cc stabilisce che il contratto non è annullabile, proprio perché il comportamento
fraudolento del raggirante non è stato determinante nella conclusione del contratto (che si
sarebbe infatti concluso anche in assenza di inganno); la vittima ha comunque il diritto ad ottenere
il risarcimento del danno conseguente al raggiro (danno che di regole verrà determinato in
riferimento allo squilibrio o all’iniquità delle condizioni contrattuali).
Oggi la legge mira a reprimere qualsiasi forma di atteggiamento ingannatori, soprattutto se rivolto
al pubblico dei consumatori, nell’ottica della leale collaborazione tra le parti per soddisfare i
rispettivi interessi.
L’esigenza di tutela si fa più intensa nel caso in cui il consumatore si trovi in una posizione di
debolezza rispetto all’altro contraente, in quanto privo di potere contrattuale e di conoscenze
tecniche adeguate. Dunque, il Codice del consumo reca una serie di disposizioni volte a
proscrivere le attività commerciali scorrette, tra cui le condotte ingannevoli.
Tale tendenza normativa consente anche di leggere in una diversa luce anche la reticenza per
dolo omissivo (= tacere circostanze che avrebbero potuto indurre la controparte a rinunciare alla
stipulazione dell’atto). Si ritiene che tale silenzio di una delle due parti nei danni dell’altra possa
integrare la gura di dolo e rendere dunque annullabile l’atto in cui la buona fede imponesse di
fornire a una parte qualche speci ca informazione. Tale tema è molto delicato:
- Da un lato, ognuno ha il dovere di informarsi ed agire con diligenza, non potendo pretendere di
invocare la propria negligenza o super cialità per liberarsi da un obbligo assunto
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- Dall’altro, la condotta della consapevole dell’ignoranza dell’altro contraente, di taluni fatti
speci ci e rilevanti, appro ttando di tale carenza di informazione, può ritenersi ingannevole.
-> es. uno speci co obbligo di informazione precontrattuale sanziona dunque l’assicurato che sia
reticente nei confronti dell’assicurante, non rappresentandogli correttamente le circostanze utili
alla valutazione l’entità del rischio assicurato, ARTT 1892-1893 cc
-> es. il codice del consumatore sanziona le omissioni ingannevoli a danno del consumatore
-> es. nell’attività medica è sanzionata la mancanza di consenso informato del paziente al
trattamento sanitario.
Nella valorizzazione dei valori di solidarietà buona fede, l’evoluzione normativa impone un
comportamento trasparente e corretto delle parti. Per questo motivo, il codice del 1942
ripudia la dottrina della dottrina più antica, consistente nella distinzione tra:
• Dolus malus: comportamenti fraudolenti
• Dolus bonus: irrilevante, in quando limitato a bonaria esaltazione della propria merce.
Traccia del dolus bonus si ritrova nell’art 22 del Codice del Consumatore, che tollera “la pratica
pubblicitaria comune e legittima, consistente in dichiarazioni esagerate o dichiarazioni che non
sono destinate ad essere prese alla lettera”
Dal punto di vista civilistico, non è rilevante se il comportamento del responsabile del dolo
concreti gli estremi della tru a; in caso a ermativo, interverranno sanzioni penali, ma secondo la
soluzione dominante il contratto non è ritenuto nullo per illecita, ma rimane annullabile e dunque
assoggettato alla relativa disciplina.
VIOLENZA
Essa si di erenzia dalla violenza sica o vis assoluta, che consiste in un evento di
scuola e si veri ca quando manca del tutto la volontà di emettere la dichiarazione e l’atto sico in
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cui consiste la manifestazione della volontà è il risultato di un comportamento materiale di un
terzo.
Nell’ipotesi di violenza sica la volontà della parte è del tutto mancante e il negozio è
radicalmente nullo.
-> es. la persona che, portando materialmente la mano di un’altra, che invano tenta di resistere
alla coazione, le fa rmare una dichiarazione pregiudizievole.
La violenza si distingue dal timore reverenziale o metus reverentialis, che consiste nell’intenso
rispetto che si nutre verso una persona autorevole: in tal caso, non è presente violenza alcuna.
Dunque, se la dichiarazione è emessa per non riuscire sgradito alla persona stimata, il negozio
non è annullabile (ART 1437 cc).
Figura diversa dalla violenza è anche il timore di eccezionale gravità o metus ab estrinseco,
che rende impugnabile il matrimonio (ART 122 cc).
Se per e etto dello stato di pericolo la persona ha accettato delle condizioni inique nel negozio,
tale atto è rescindibile, ma non annullabile (ART 1447 cc).
Lo stato di pericolo in uisce sulla volontà del soggetto, ma la legge non lo considera come vizio
di volontà, bensì come un’ingiusta lesione di una delle parti, nell’ottica del disequilibrio
contrattuale, non tollerato dall’ordinamento giuridico.
La violenza ricorre quando la minaccia sia diretta allo scopo di indurre la vittima a perfezionare il
negozio che si intende farle concludere (e che dunque risulta annullabile).
A di erenza del dolo (rilevante solo se proviene dall’altro contraente o gli sia noto), la violenza
produce l’annullabilità del negozio anche se esercitata da un terzo (ART 1434 cc); ciò accade
per no se l’altro contraente sia ignaro della violenza.
Tale di erenza si giusti ca con il fatto che la violenza è vista come una gura di maggiore
antigiuridicità rispetto al dolo; infatti, il reato di estorsione è punito più gravemente della tru a.
Per quanto riguarda il contratto, la forma è annoverata tra i suoi requisiti soltanto nell’ipotesi in
cui essa sia richiesta dalla legge, a pena di nullità (ART 1325 cc); occorre però ricordare che la
conclusione di un contratto superiore a 2,58 euro non può di regola esser provata tramite
testimoni, ma è richiesto al giudice di valutare se ammettere tale mezzo di prova, in
considerazione della qualità delle parti.
La regola è dunque di libertà delle forme, a meno che la legge non imponga diversamente: nel
caso in cui la legge disponga un requisito di forma, se la volontà contrattuale viene espressa in
modalità diverse rispetto a quella prevista, il contratto dovrà considerarsi nullo.
Il requisito di forma minimo richiesto dalla legge è la manifestazione espressa della volontà,
escludendo dunque la rilevanza di un comportamento concludente (es. deiussione).
Più di frequente, la legge impone forma scritta (es. contratti aventi per oggetto diritti reali
immobiliari), al ne di rendere maggiormente certa l’espressione di volontà o imporre alle parti
un’adeguata ponderazione dell’atto (nella donazione la legge impone la forma scritta ad
substantiam, poiché la donazione comporta un impoverimento del disponente).
Nella legislazione recente si sono sviluppate alcune forme di protezione, poste a tutela delle
parti, con lo scopo di richiamare l’attenzione del contraente sul contratto che va stipulando (es.
clausole vessatorie, contenute nei contratti standard: il codice prevede che esse siano
espressamente approvate per iscritto, ART 1341 cc).
Nel caso di atti destinati a dare origine ad un nuovo soggetto giuridico, la legge non si
accontenta di una semplice scrittura privata, ma esige l’atto pubblico.
La forma è talora richiesta a tutela dei terzi: in questo caso, è ra orzata dalla necessità della data
certa (es. il creditore di pegno può porre il suo diritto di prelazione a terzi soltanto se il suo diritto
risulta da atto scritto avente data certa, ART 2787 cc).
Il requisito di forma si propaga anche per i contratti preparatori, strumentali o risolutori: così,
quando per i contratti principali è richiesta forma scritta, sarà richiesta la medesima forma anche
per il relativo preliminare (ART 1351 cc).
Quando la legge richiede forma scritta, questa è soddisfatta sia nel caso in cui le parti
sottoscrivano uno stesso documento, sia che si scambino due esemplari del medesimo
documento, ciascuno sottoscritto da una di esse, o si scambino due distinte dichiarazioni scritte:
ciò che conta non è l’identità del testo materiale dei documenti che le parti si scambiano, bensì il
signi cato delle loro dichiarazioni, che manifestino di volere un identico regolamento di
interesse (es. una parte scrive:”Ti propongo che ti vendo il bene X a 100” e l’altra risponde
“Accetto”).
Quando la legge impone un requisito di forma, la volontà delle parti deve essere rivestita dalla
forma richiesta: dunque, un successivo atto scritto di accertamento della stipulazione verbale di
un contratto a forma vincolata non ne sana la nullità.
La Cassazione ha a rontato un simile caso nella prassi, in particolare in materia di contratto
riguardante la prestazione di servizi di investimento (per cui è richiesta forma scritta, pena la
nullità), sia sottoscritto solo dal cliente e non dall’intermediario nanziario, il cui consenso si può
desumere attraverso un comportamento concludente: la Cassazione ritiene che ciò sia su ciente.
La legislazione emergenziale emanata in relazione alla pandemia da Covid-19 consente il
perfezionamento dei contratti a distanza con la sola sottoscrizione dell’intermediario.
Anche il telegramma può soddisfare il requisito della forma scritta, alle condizioni previste dalla
legge.
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Le nuove tecnologie di trasmissione di comunicazioni hanno ovviamente posto dei problemi in
tema di formalismo negoziale, considerando la rilevanza del documento informatico e di altre
nuove tecnologie.
Alcuni dei problemi sono posti da, in passato il telefax, ed oggigiorno la comunicazione
telematica:
- Telefax: l’originale del documento rimane al dichiarante, mentre il destinatario riceve una copia
fotostatica
- Comunicazione telematica (es. posta elettronica): trasmissione di dati mediante impulsi
elettronici, che consentono di visualizzare un testo al terminale del destinatario
Il principale problema attiene alla riferibilità del testo ad un determinato soggetto (infatti, la
paternità della scrittura privata dipende dalla sottoscrizione autografa da parte del soggetto).
I mezzi di comunicazione così descritti non sono idonei a perfezionare contratti per cui la legge
richieda una forma scritta, essendo a tal ne necessaria la sottoscrizione autografa del
dichiarante: il destinatario, infatti, riceve una copia del documento, poiché non risponde ad un
requisito imposto dalla legge. Tali mezzi di comunicazione possono però valere quali modalità di
espressione non formale della volontà, al pari di una dichiarazione verbale.
Sempre più spesso, le leggi speciali introducono regole di equiparazione delle modalità di
comunicazione telematica alle scritture (es. 1. subfornitura: sono forme di consenso sia il telefax
sia altra modalità telematica; 2. patto di compromesso: la forma scritta si intende rispettata anche
quando la volontà delle parti sia espressa per telescrivente, telegrafo, messaggio telematico.
Ciò conferma che la rilevanza di tali forme di trasmissione di tali dichiarazioni come le scritture
negoziali è di regola subordinata ad un’espressa disposizione normativa e al rispetto di speci che
norme volte ad assicurare la provenienza della dichiarazione.
Questo, però, non signi ca che al di fuori delle leggi speciali le comunicazioni via telefax o
messaggio telematico siano irrilevanti, poiché sono comunque potenzialmente idonee a
concludere un contratto non formale; il problema rimane allora la prova della dichiarazione,
qualora la parte contro la quale la dichiarazione è trasmessa:
• Se conferma la paternità del messaggio -> la stessa sarà da ritenere pienamente e cace;
• Se nega -> spetta all’altra parte la prova dell’avvenuto invio/ricevimento del messaggio.
Con il D.Lgs 70/2003 è stata adottata una disciplina organica riguardante il commercio
elettronico, che stabilisce che “Le norme sulla conclusione dei contratti si applicano anche nei
casi in cui il destinatario di un bene o di un servizio della società dell’informazione inoltri il proprio
ordine per via telematica”. Tali norme, però, non si applicano ai contratti relativi i diritti reali
immobiliari.
L’evoluzione della tecnologia impone peraltro costanti adeguamenti normativi
Nel Codice dell’Amministrazione digitale (D.Lgs 82/2005, art 21), i documenti formati con tali
modalità valgono a soddisfare il requisito di forma di cui all’ART 1350 cc (riguardante gli atti che
devono farsi per iscritto).
Il documento informatico sottoscritto con rma elettronica avanzata, quali cata o digitale (o
comunque formato nel rispetto di regole tecniche che garantiscano l’identi cabilità dell’autore, la
sua integrità e l’immodi cabilità del documento) ha l’e cacia prevista per la scrittura privata (ART
2702 cc).
La legge speci ca che l’utilizzo del dispositivo di rma elettronica quali cata o digitale si presume
riconducibile al titolare, salvo che questi dia prova contraria.
Più ambigua è l’art 20 del Codice dell’amministrazione digitale, che dispone che, salvo i casi
appena considerati, l’idoneità del documento informatico a soddisfare il requisito della forma è
valutata dal giudice: si tratta di una regola che introduce margini di discrezionalità molto elevati, in
una materia che però dovrebbe essere ispirata alla massima univocità e certezza. ???
Il Decreto Sempli cazioni (D.L 135/2018), che regola gli smart contracts, tema che eccede
quello della forma contrattuale, toccando quello del consenso.
Gli smart contracts sono infatti programmi basati su registri distribuiti (blockchain), in forza dei
quali determinato e etti contrattuali si producono al veri carsi di determinato condizioni, rilevate
dal programma, vincolando automaticamente due o più parti sulla base degli e etti prede niti
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dalle stesse. Gli smart contract soddisfano il requisito della forma scritta previa identi cazione
informatica delle parti interessate, con un processo delineato dall’Agenzia per l’Italia digitale. ???
FORME CONVENZIONALI
L’ART 1352 cc ammette che le parti, con apposito accordo scritto, possano pattuire di adottare
una determinata forma per la conclusione di un contratto (es. possono pattuire che un contratto
dovrà essere concluso per iscritto, per evitare futuri equivoci o contestazioni), al ne di assicurare
maggiore certezza alle loro pattuizioni.
In tal caso, la legge presume che la forma si sia stata convenuta ad substantiam, ossia come
condizione di validità dei futuri accordi, a meno che non si dimostri che essa sia stata pattuita per
altri scopi, come la prova.
Peraltro, la giurisprudenza ammette che le parti possano rinunciare tacitamente al patto sulla
forma, quando abbiano tenuto un comportamento ad esso contrastante (es. rinnovo del contratto
di a tto: dopo la scadenza del termine, si è data regolare esecuzione, senza la stipulazione di un
atto scritto).
Un altro esempio di forma negoziale risultante dalla volontà delle parti è quando il proponente
richiede che l’accettazione avvenga in una determinata forma (ART 1326 cc): se tale forma
non è rispettata, l’accettazione non è e cace.
RAPPRESENTANZA
Può accadere che la volontà contrattuale sia espressa non dal dominus dell’a are (= il diretto
interessato), ma da un terzo appositamente incaricato.
Se infatti l’attività giuridica dovesse essere compiuta solamente dal diretto interessato, ne
sortirebbe un intralcio alle relazioni giuridiche (es. per stipulare un contratto di acquisto di una
merce in un paese lontano, mi ci dovrei recare appositamente).
Il rappresentante è colui che rende, con la propria presenza, presente all’atto l’interessato, ma gli
e etti giuridici dell’atto si veri cano nella sfera della persona sica o dell’ente rappresentato.
La gura del rappresentante di erisce da quella del nuncius: mentre il nuncius trasmette la
dichiarazione altrui, come un mero portavoce, non manifestando una volontà negoziale propria,
ma limitandosi a riferire la volontà altrui, il rappresentante è chiamato a decidere con
discrezionalità.
Tant’è vero che pure un bambino o un incapace potrebbero fare da nuncius, ma non da
rappresentante.
Perché si abbia rappresentanza diretta occorre che una persona agisca nell’interesse e in
nome dell’altra. Ciò signi ca che il rappresentante debba dichiarare che non compie l’atto per sé,
ma deve spendere il nome dell’interessato attraverso la contemplatio domini, ossia la
menzione del dominus dell’a are.
Se una persona agisce nell’interesse altrui, ma non dichiara di agire nel nome altrui si parla di
rappresentanza indiretta.
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Mentre nel caso della rappresentanza diretta gli e etti giuridici si producevano direttamente nella
sfera dell’interessato, nella rappresentanza indiretta colui che emette la dichiarazione acquista i
diritti e diventa soggetto agli obblighi nascenti dal negozio ed occorrerà un altro negozio per
trasmettere detti e etti all’interessato: dunque, la rappresentanza indiretta richiede due negozi
a nché gli e etti giuridici si producano nella sfera giuridica del dominus. Il compimento di un
ulteriore negozio per trasferire i diritti e gli obblighi in capo all’interessato è oggetto di
un’obbligazione del rappresentante indiretto.
Non in tutti negozi è ammessa la rappresentanza: essa è esclusa nei negozi che, per loro natura,
si vogliono riservare alla persona interessata. Questi negozi sono quelli di: 1) diritti familiari,
2) testamento. È ammessa, con rigorose limitazioni, nella donazione. (ARTT 777-778 cc)
Nel matrimonio, non ricorre la gura del rappresentante, ma quella del nuncius, che si limita a
manifestare la volontà altrui, senza alcun potere discrezionale.
Una persona, per agire validamente ed e cacemente nel nome altrui, deve averne il potere,
poiché nessuno per regola generale ha diritto di impegnare un terzo o disporre dei diritti altrui.
Diversa dalle nozioni di rappresentanza legale e di organo della persona giuridica è quella di
u cio privato: esso consiste nel potere di svolgere un’attività nell’interesse altrui e con e etti
diretti nella sfera giuridica del soggetto sostituito, in adempimento di una funzione prevista dalla
legge (es. esecutore testamentario)
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Essa è da contestualizzassi nell’ambito della rappresentanza volontaria.
Il negozio con il quale una persona conferisce ad un’altra il potere di rappresentarla prende il
nome di procura (nel linguaggio comune, impropriamente detta delega). Perciò, il rappresentante
volontario si chiama procuratore.
Bisogna peraltro tener presente che nel potere di rappresentanza vi sono due aspetti da non
confondere: procura e mandato.
• Rapporti interni: detti anche rapporti di gestione, riguardanti rappresentante e rappresentato:
se io incarico una persona a compiere un atto in mia vece, questa può farlo per amicizia, dietro
compenso, perché mio socio, da contratto, da mandato
• Lato esterno: la procura riguarda i lato esterno. Essa, infatti, serva a rendere noto a terzi che il
rappresentante è da me autorizzato a trattare con loro in mio nome.
Dunque, la procura consiste in un negozio unilaterale recettizio, per la cui e cacia non
occorre il consenso del procuratore, essendo su ciente che ne sia venuto a conoscenza.
Dunque, la procura ha il potere di attribuire al rappresentante o procuratore il potere di complire
atti giuridici in nome dell’interessato: questo rapporto si proietta verso l’esterno.
È necessario evitare ogni confusione tra procura e mandato: il mandato è un contratto che
disciplina i rapporti tra mandante (soggetto interessato in un certo a are) e mandatario (colui che
si impegna a compiere determinati atti giuridici nell’interesse del mandante) e disciplina i loro
obblighi reciproci.
Occorre poi precisare che il mandato stesso può essere accompagnato o meno da una procura e
dunque può essere con o senza rappresentanza, dando luogo ad una rappresentanza diretta od
indiretta. La procura, invece, può derivare dall’esecuzione di un negozio diverso dal mandato.
Come ogni dichiarazione di volontà, la procura può essere espressa o tacita (es. per facta
concludentia: l’avvocato che intima in nome in un cliente la di da ad un terzo).
Appunto perché il terzo contraente ha interesse nel conoscere se colui che si dichiara
rappresentante ha e ettivamente il potere che a erma essergli stato conferito, il contraente ha
diritto di esigere dal terzo la giusti cazione dei suoi poteri e, se la procura è conferita mediante
atto scritto, una sua copia (ART 1393 cc). Inoltre, il rappresentante è tenuto a restituire il
documento attestante i suoi poteri quando questi siano cessati (ART 1397 cc).
Poiché la procura è conferita nell’interesse del rappresentato, questi può modi care l’oggetto o i
limiti e può togliere al rappresentante il potere che gli aveva conferito, attraverso la revoca della
procura; anche la revoca è un negozio unilaterale. Tuttavia, non è revocabile la procura conferita
anche nell’interesse di terzi o nel caso del procurator in rem propriam (= dello stesso procuratore).
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La procura cessa di regola con la morte del rappresentante o del rappresentato; il
rappresentante non può sostituire a lui un’altra persona, salvo che non sia stato a ciò
espressamente autorizzato.
La nomina di un nuovo rappresentante implica la revoca della procura, sia che ciò avvenga per
lo stesso a are o per il compimento di esso da parte del rappresentato, purché siano comunicati
al rappresentante (ART 1724 cc).
La revoca e le modi cazioni della procura devono di regola essere portate a terzi con mezzi
idonei (altrimenti essi, facendo riferimento alla procura già rilasciata, potrebbero essere indotti a
ritenere valida la procura revocata o che la procura conservi quell’ampiezza che aveva prima delle
modi cazioni apportatele).
Per proteggere tale a damento, il legislatore ha stabilito che il negozio concluso dal
rappresentante resta vincolante per il rappresentato, se non si è provveduto a portare a
conoscenza del terzo la revoca o la modi cazione (ART 1396 cc).
Per sfuggire a tale conseguenza, l’interessato che non abbia provveduto a comunicare ciò al terzo
ha l’onere di provare che il terzo era a conoscenza della revoca o della modi cazione della
procura per altra fonte al momento della conclusione del contratto.
Qualora rimanga vincolato agli atti compiuti abusivamente dal rappresentante, il rappresentato
potrà comunque agire contro il rappresentante con il risarcimento dei danni.
Il negozio concluso dal rappresentante in nome del rappresentato sorge per volontà del
rappresentante, che determina concretamente l’oggetto e le condizioni e termini del contratto,
valutatane la convenienza, sia pure in base alle istruzioni ricevute e dai limiti ssati dal
rappresentato.
Inoltre, può accadere che alcune cause che perturbano la formazione della volontà, rendendola
viziata, determinino l’annullabilità del negozio.
Inoltre, si è osservato che in alcuni casi assume rilevanza lo stato soggettivo della persona, la sua
situazione psicologica, così come la sua buona o mala fede (ART 1153 cc).
In tali casi, il negozio rappresentativo sorge dalla volontà del rappresentante e dunque è alla
persona del rappresentante cui si deve aver riguardo (ART 1390-1391 cc).
Il negozio concluso dal rappresentante sarà annullabile se egli versava in errore o sia stato
vittima di dolo o violenza.
Si fa eccezione nei casi in cui l’anomalia della volontà o lo stato soggettivo rilevante si riferiscano
ad un elemento indicato dalla persona del rappresentato cioè incidano sulle istruzioni da lui date
(es. Tizio è rappresentato da Caio. Tizio è convinto che quel quadro sia di un famoso autore, ma è
in errore: l’errore può comunque essere dedotto come causa di annullamento del contratto,
sebbene derivi da un errore del rappresentato e non del rappresentante)
Allo stesso modo, si ha riguardo alla buona fede o mala fede del rappresentante se essa
assuma rilevanza, salva l’ipotesi in cui ciò derivi da elementi predeterminati dal rappresentato.
In ogni caso, la mala fede del rappresentato inquina il negozio, sebbene riguardi la sfera lasciata
alla discrezionalità del rappresentante.
La mala fede non riceve mai protezione nell’ordinamento giuridico: il rappresentato non può
giovarsi dello stato di ignoranza del rappresentante, quando egli sapeva di ledere l’altrui diritto nel
caso di fraus omnia corrumpit = contratto in frode al terzo (es. il rappresentante non sa che sta
acquistando una cosa che non apparteneva al venditore).
Se il rappresentante è portatore di interessi propri o di terzi che siano in contrasto con quelli del
rappresentato, si ha un con itto di interessi tra rappresentante e rappresentato, per tale da
intendersi una situazione di incompatibilità tra gli interessi del rappresentante e quelli del
rappresentato: dunque, la realizzazione degli interessi dell’uno comportano il sacri co dell’altro.
L’atto posto in essere dal rappresentante in con itto di interessi è viziato, indipendentemente dal
fatto che il rappresentato sia stato danneggiato: è su ciente l’incompatibilità dei due interessi,
per determinare l’incompatibilità del ruolo del rappresentante.
Nel caso di atto posto in essere dal rappresentante, il negozio è annullabile su domanda del
rappresentato.
Per la tutela del terzo in buona fede, però, si è stabilito che tale negozio fosse annullabile
solamente nel caso in cui il con itto era conosciuto o conoscibile dal terzo con l’applicazione
dell’ordinaria diligenza (ART 1394 cc)
Se il con itto di interessi si veri ca nella rappresentanza legale, si può ricorrere alla nomina di un
curatore speciale o di un protutore.
Il con itto di interessi è irrilevante qualora il dominus abbia egualmente autorizzato il
rappresentante a compiere tale negozio.
Rientra nello schema del con itto di interessi il contratto con sé stesso: esso ricorre quando un
soggetto svolge contemporaneamente il ruolo tra due parti (es. un procuratore che rappresenti al
tempo stesso sia il venditore, che il compratore / un rappresentante del venditore che acquista
per sé la merce che il venditore intenda alienare).
Il contratto con sé stesso è, di regola, annullabile: esso è valido solo quando 1) il rappresentato
abbia autorizzato il rappresentante espressamente alla conclusione del contratto, oppure quando
2) il contenuto del contratto è stato preventivamente determinato dal rappresentato, in guisa da
escludere la possibilità di con itto (ART 1395 cc). L’autorizzazione non è idonea quando è
generica e non contenga alcuna indicazione relativa al prezzo.
-> es. il commesso del negozio può acquistare merci nell’azienda cui è addetto, corrispondendo il
prezzo stabilito per la vendita al pubblico.
Può accadere che lo svolgimento dell’attività negoziale in nome altrui non sia preceduto dal
conferimento del potere di rappresentanza da parte dell’interessato (es. acquisto un berretto
per il mio amico, facendo presente al venditore che lo sto comprando in nome di un amico).
È chiaro che a nessuno è di regola consentito incidere nella sfera giuridica altrui senza averne il
potere.
Dunque, il negozio compiuto in difetto di potere o in eccesso di potere non produce alcun e etto
nella sfera giuridica dell’interessato, potendosi ritenere ine cace; la Cassazione ha recentemente
a ermato che il difetto di potere rappresentativo è un elemento costitutivo della pretesa azionata
in giudizio dall’altro contraente -> tale carenza può essere rilevata d’u cio dal giudice, anche se
non eccepita dalla parte interessata).
Tale negozio non potrebbe dirsi:
- Nullo: la nullità postula un vizio intrinseco dell’atto e opera in maniera de nitiva: secondo l’ART
1399 cc, però, l’interessato può rati care il negozio stipulato dal falsus procurator con e etti
retroattivi.
- Annullabile: l’annullabilità richiederebbe che il negozio prima della rati ca producesse e etti
per l’interessato, cosa che però non accade.
Si è pertanto deciso che l’azione per accertare l’ine cacia è imprescrittibile e non soggiace ai
termini dell’azione di annullamento.
Il rappresentato può procedere con la rati ca, ossia approvare ciò che è stato fatto in suo nome
dal falsus procurator attraverso una dichiarazione di volontà.
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Secondo l’opinione tradizionale, ratihabitio mandato comparatur = la rati ca è equiparabile ad
una procura successiva: esso è dunque un negozio unilaterale con cui l’interessato fa propri gli
atti conclusi in suo nome.
Di conseguenza, l’ART 1399 cc a erma che la rati ca deve rivestire la forma prescritta dalla
legge per la conclusione di quel determinato negozio (es. se si riferisce ad una vendita
immobiliare, deve essere fatta per iscritto).
Se non viene in evidenza un contratto formale, essa può anche essere tacita (es. il rappresentato
esegue il contratto stipulato in suo nome dal falsus procurator).
La rati ca ha e etto retroattivo: dunque, il negozio si considera e cace ab initio, come se fosse
stato posto in essere da persona fornita di procura.
La retroattività della rati ca, peraltro, non può pregiudicare i diritti acquistati da terzi, come
a erma l’ART 1399 cc -> es. Tizio vende un immobile a Caio e poi viene a sapere che Mevio,
quali candosi come suo rappresentante senza potere, aveva nel frattempo alienato lo stesso
immobile a Sempronio a migliori condizioni: in questo caso, Mevio non può toccare la validità
della vendita a Caio che Tizio ha già compiuto.
L’ART 1399 comma 4 prevede che un terzo contraente possa invitare l’interessato a chiarire
de nitivamente se intenda o meno rati care il negozio stipulato dal falsus procurator,
assegnandogli un termine entro il quale dovrà pronunziarsi, al ne di non restare troppo a lungo
nell’incertezza se il contratto stipulato sarà da ritenersi e cace o meno. Scaduto detto termine, il
legislatore equipara tale silenzio ad un ri uto della rati ca.
L’ART 1399 stabilisce che nelle more della rati ca, il terzo e il falsus procurator possono
accordarsi per sciogliere il contratto; il terzo, però, non può recedere unilateralmente al contratto,
pur ignaro della mancanza del potere rappresentativo del falsus procurator.
Se l’interessato non rati ca il negozio, l’atto è ine cace, ossia non produce e etti:
- Né nei confronti del dominus: perché non aveva concesso il potere di stipulare un atto in suo
nome
- Nè del falsus procurator: il terzo non intendeva stipulare un contratto con quest’ultimo, ma con
lo pseudo-rappresentato.
Se il contratto rimane ine cace, mancando la rati ca del dominus, il terzo ha diritto di richiedere
il risarcimento dei danni al falsus procurator; l’ART 1398 cc subordina però tale diritto alla
condizione che il terzo abbia con dato senza sua colpa nella validità del contratto:
- Se sapeva o avrebbe potuto accorgersi con l’ordinaria diligenza che il falsus procurator era uno
pseudo-rappresentante -> non ha diritto al risarcimento dei danni
- Se non sapeva o non si sarebbe potuto accorgere con l’ordinaria diligenza che il falsus
procurator era uno pseudo-rappresentante -> ha diritto al risarcimento dei danni.
Peraltro, l’ART 1398 cc limita il risarcimento solo all’interesse negativo: ciò signi ca che il terzo
non potrà pretendere dal falsus procurator tutto ciò che avrebbe potuto ricavare dall’a are.
Il terzo potrà richiedere:
1. Rimborso delle spese sostenute
2. Risarcimento per aver perso eventuali occasioni di stipulare con altri il contratto
3. Risarcimento per l’attività sprecata nella trattativa, perché avrebbe potuto essere impiegata
per il perseguimento di ni più redditizi
Si parla di rappresentanza apparente nel caso in cui un soggetto agisca come rappresentante di
un altro soggetto, senza aver avuto una formale investitura: il rappresentato, però, ha concorso a
creare la situazione di apparente potere rappresentativo, in modo da generare a terzi l’incolpevole
a damento nella situazione apparente (es. tollerando l’esercizio del potere rappresentativo da
parte del falsus procurator).
In tal caso, il contratto stipulato è ine cace nei confronti del rappresentato.
Non sempre lo svolgimento di attività giuridica nell’interesse di altri senza il potere rappresentativo
costituisce un atto socialmente riprovevole, ma in talune circostanze può addirittura essere di
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utilità sociale (es. evitare che il proprietario subisca un danno, nché è all’estero per un lungo
periodo / persona in transitorio stato di incapacità naturale / lesioni riportate da un incidente
stradale).
Secondo la Cassazione, l’absentia domini non va intesa come un’assoluta impossibilità del
titolare a curare i propri interessi: tale istituto è pertanto ritenuto applicabile ogni qualvolta il
gestore operi spontaneamente e senza opposizione o divieto del titolare.
L’ART 2028 cc a erma che se taluno assuma la gestione degli a ari altrui spontaneamente (cioè,
in assenza di un rapporto giuridico in forza del quale sia tenuto a curare l’interesse altrui) dispone
che il gestore deve continuare e condurre a termine la gestione, no a quando l’interessato non
sia in grado di riprendere il governo dei propri interessi.
Il gestore è sottoposto alle norme di mandato ed alle relative obbligazioni e responsabilità in caso
di mala gestio; il giudice può però moderare il risarcimento dovuto, in considerazione delle
circostanze che hanno indotto il gestore ad intraprendere la gestione.
Inoltre, l’ART 2031 cc stabilisce che qualora la gestione sia stata utiliter coeptum (= utilmente
iniziata), l’interessato deve adempiere alle obbligazioni che il gestore ha assunto in nome di lui e
deve mantenerlo indenne alle obbligazioni che il gestore abbia assunto in nome proprio.
Non si deve dunque guardare all’utiliter gestum (= esito nale, considerando se il dominus abbia
tratto vantaggio): occorre invece tener conto dell’utiliter coeptum, ossia dell’utilità iniziale e vedere
se tale a are era necessario od utile, in base alla diligenza del dominus.
La gestione degli a ari altrui può anche avere come oggetto le alienazioni di altri beni.
Nel momento della conclusione di un contratto, la parte può riservarsi la facoltà di nominare la
persona nella cui sfera giuridica il negozio deve produrre e etti (ART 1401 cc). Dunque, si
pronuncia la dichiarazione di nomina, o electio amici o dichiarazione di comando:”Acquisto
l’immobile, ma agisco per una persona che mi riservo di nominare quale acquirente”.
Con la dichiarazione di nomina si producono gli stessi e etti che si darebbero prodotti se fosse
stata conferita procura anteriormente alla stipulazione del contratto, cioè come se fosse fatta n
dal principio con la persona indicata (ARTT 1402-1403-1404 cc).
L’electio amici è e cace nei confronti del soggetto nominato se:
• Accompagnata da dichiarazione di accettazione da parte della persona indicata
• Esiste una procura conferita alla persona nominata anteriormente alla stipulazione del contratto
Se manca una valida dichiarazione di nomina, il negozio stipulato produce e etti solamente per
colui che ha emesso l’electio amici, che si era riservato di fare la dichiarazione di comando, senza
poi e ettivamente compierla (ART 1405 cc).
Tale regola diverge dunque da quella esaminata per il falsus procurator: infatti, un’electio amici
non conforme al contenuto del contratto (= che contenga modi che o variazioni allo stesso) resta
improduttiva di e etti.
Le parti possono convenire che la dichiarazione di nomina possa essere e ettua entro un termine
maggiore rispetto ai 3 giorni previsti dalla legge, purché si tratti di un tempo determinato.
Peraltro, a ni scali, se la nomina viene e ettuata oltre il terzo giorno si considera come se lo
stipulante avesse acquistato in proprio e poi alienato al terzo, con un doppio passaggio di
proprietà e i relativi oneri.
La funzione pratica di tale istituto è che il contraente non voglia apparire al momento della
conclusione del contratto per suoi motivi personali (es. l’imprenditore che voglia acquistare
un’azienda concorrente teme che se gurasse lui come acquirente gli verrebbe applicato un
prezzo più elevato).
Disputata è la natura del contratto per persona da nominare; secondo un’opinione essa è una
rappresentanza eventuale in incertam personam o rappresentanza innominata:
- In incertam personam o innominata: il terzo dichiara di agire in nome altrui, senza rivelare la
persona per cui agisce.
- Eventuale: se la nomina non viene e ettuata tempestivamente o se manca la procura anteriore
alla conclusione del contratto o manca l’accettazione contemporanea alla dichiarazione di
nomina, il fenomeno rappresentativo non si produce (ART 1405 cc)
La dichiarazione di nomina e l’accettazione (che ha la stessa natura della rati ca, poiché
supplisce alla mancanza della procura anteriore al contratto) sono negozi unilaterali; essi
servono ad integrare il contratto, identi cando la persona nei cui confronti esso deve produrre i
suoi e etti: dunque, tali dati devono rivestire la stessa forma che le parti hanno usato per il
contratto
Si dice preliminare il contratto con cui le parti si impegnano a stipulare un successivo contratto
de nitivo, del quale deve già essere determinato il preliminare contenuto essenziale.
Nella pratica, il contratto preliminare viene anche de nito “compromesso” in maniera impropria:
infatti, il compromesso è la convenzione con la quale le parti decidono di a dare la soluzione di
una controversia ad uno o più arbitri.
Bisogna tener ben distinti contratto preliminare e contratto de nitivo, di cui le parti si
impegnano a porre in essere una successiva documentazione formale.
-> es. in campo immobiliare: le parti si accordano con una scrittura privata per la compra-vendita
di un immobile, impegnandosi a sottoscrivere il relativo rogito notarile, necessario ai ni della
trascrizione -> questo è un patto de nito, non un pactum de contrahendo, perché produce subito
tutti i suoi e etti, mentre l’obbligo di porre in essere il corrispondente atto pubblico riguarda
solamente la rinnovazione dell’atto in una certa forma.
Nella pratica, tuttavia, può risultare di coltoso stabilire se le parti abbiano inteso stipulare un
contratto preliminare o de nitivo: si tratta di una quaestio voluntatis (= un problema di
interpretazione del contratto): occorre dunque aver riguardo nell’e ettiva intenzione delle parti, a
seconda che sia volta a rinviare ad un futuro negozio gli e etti programmati o a realizzarli subito.
Allo stesso modo, è necessario non confondere il contratto preliminare con la minuta o
puntuazione del contratto, ossia delle semplici dichiarazioni preparatorie, con le quali le parti si
hanno atto di aver raggiunto un’intesa di massima su taluni punti del programma contrattuale,
riservandosi di comperarne il contenuto ancora in via di formazione.
Tali attestazioni non esprimono una volontà attuale delle parti di impegnarsi, non producendo
dunque alcun vincolo contrattuale; la minuta o puntuazione di contratto può però assumere
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rilevanza al ne di stabilire eventuali responsabilità in caso di successivo fallimento delle trattative,
dando prova dello stato di avanzamento cui le trattative erano giunte.
Il preliminare deve già precisare in modo su ciente il contenuto del contratto de nitivo, altrimenti
sarebbe invalido per inesattezza. Ciò signi ca che, salve le modi che od aggiunte consensuali,
la conclusione del contratto non deve richiedere alcuna ulteriore discussione.
Tale requisito è a ermato per ragioni logico-giuridiche, ma non è posto esplicitamente in alcuna
norma. Il codice civile, infatti, non de nisce la struttura del contratto preliminare; nel testo del
1942, invece, ne trattava in due sole norme: 1) ART 1351 cc, relativo ai requisiti di forma; 2) ART
2932 cc, relativo alla tutela in forma speci ca dei diritti delle parti del preliminare).
In tema di preliminare di vendita immobiliare, la Cassazione ha precisato che il requisito della
determinatezza non richiede la speci cazione dei dati catastali, poiché l’identi cazione del bene
può risultare anche da altri dati.
Gli ARTT 1350-1351 cc disciplinano che la forma del contratto preliminare deve essere la
stessa del contatto de nitivo (es. per la compravendita, anche il rispettivo contratto preliminare
deve avere la forma ad substantiam).
Si discute in merito all’ammissibilità della gura del contratto preliminare rispetto ai contratti
reali, che si perfezionano con la consegna della cosa, secondo il principio re per citur obligatio
(= l’obbligazione si perfeziona con la cosa) e nei quali l’obbligazione tipica consiste nella
restituzione della res consegnata (es. deposito o comodato).
Parte della dottrina ritiene che la contrattazione preliminare sia ammissibile anche per il contratto
reale.
Sicuramente, però, è contemplato il caso della promessa di mutuo (ART 1822 cc)
Per ovviare tali inconvenienti, con il D.L 669/1996 è prevista la possibilità della trascrizione dei
contratti preliminari immobiliari, grazie all’introduzione nel codice civile dell’ART 2645-bis cc.
Mediante la trascrizione del contratto preliminare, che deve essere a tal scopo stipulato nella
forma di 1) atto pubblico o 2) scrittura privata autenticata, gli e etti acquisitivi, derivanti dal
contratto de nitivo o da sentenza costitutiva pronunciata ai sensi dell’ART 2932 cc, sono
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opponibili a tutti coloro che abbiano acquistato diritti sul bene in forza di atti trascritti
successivamente alla trascrizione preliminare.
In tal modo, l’aspettativa del promissario acquirente riceve una tutela reale o erga omnes.
La novella relativa alla trascrizione dei preliminari è intervenuta per colmare una lacuna in tutela
alla contrattazione immobiliare. Esigenze impellenti si ponevano rispetto alla situazione degli
acquisti in piante, ossia dei promissari acquirenti di unità immobiliari facenti parte di stabili in
corso di costruzione o non ancora ultimati.
Talvolta accadeva che in caso di fallimento del produttore, non solo i contratti preliminari, ma
per no gli anticipi o l’intero prezzo versato risultavano inopponibili al fallimento (non avendo e etti
reali, ma solo obbligatori), costituendo crediti chirografari.
Un primo intervento di tutela fu attuato dall’ART 2645-bis cc: esso statuiva che la trascrizione del
preliminare è ammessa per gli edi ci da costruire o in corso di costruzione, purché siano indicati
1) la super cie utile della porzione di edi cio + 2) la quota di diritto spettante al promissario
acquirente, relativa all’intero costruendo edi cio espressa in millesimi.
Tale misura protegge l’interesse dell’acquirente, che prevale rispetto a terzi nell’a ermare i propri
diritti sulla res, ma non tutela che in caso di fallimento l’immobile in natura ancora non esiste,
ma vi è solo un fabbricato non completato (a fronte del quale l’acquirente ha versato degli
anticipi).
La tutela successivamente introdotta dai D.Lgs 122/2005 (che operano soltanto quando
l’acquirente sia una persona sica) e D.Lgs 14/2019 si applica 1) ai contratti preliminari relativi
ad immobili in corso di edi cazione, 2) nel caso di compravendita, 3) in qualsiasi altro contratto
compreso quello di leasing, che abbia o possa avere per e etto l’acquisto o il trasferimento non
immediato della proprietà o di altro diritto reale su un immobile da costruire (= il fabbricato per cui
sia stato richiesto il permesso di costruire).
Le nuove disposizioni:
1. Disciplinano in modo analitico il contenuto del contratto preliminare e di ogni altro contratto
riguardante edi ci da costruire. Tale contratto deve contenere: 1) descrizione dell’immobile, 2)
caratteristiche dell’edi cio erigendo, 3) termini massimi di esecuzione della costruzione, 4)
prezzo, 5) modalità di pagamento, 6) estremi del permesso di costruire.
2. Garanzia apprestata a favore di acquirenti: il costruttore è obbligato a fornire, a pena nullità
del contratto che può essere fatta valere unicamente dall’acquirente:
- Fideiussione: rilasciata da una banca o da una compagnia di assicurazione, a garanzia della
restituzione degli importi pagati dagli acquirenti (es. in caso di crisi del costruttore,
l’acquirente può pretendere il pagamento dell’importo di cui alla deiussione, al ne di
recuperare le anticipazioni versate)
- Diritto di prelazione nell’acquisto dell’unità immobiliare
- Polizza assicurativa a copertura dei danni all’immobile, che il costruttore deve stipulare e
consegnare al compratore all’atto della vendita
3. Fondo di Garanzia: il suo scopo è di assicurare un indennizzo agli acquirenti che abbiano
subito delle perdite a causa di fallimento o di crisi di costruttori avvenute anteriormente
all’entrata in vigore del decreto
OPZIONE
Come nella proposta irrevocabile, dall’opzione deriva il diritto del bene ciario o opzionario di
perfezionare il contratto con la sua sola dichiarazione di accettazione, mentre l’altra parte resta
vincolata e non può più interferire.
Il vincolo derivante dall’opzione è e cace no alla data del termine ssata dalle parti, o in
mancanza stabilito dal giudice.
A fronte della concessione dell’opzione può essere pattuito un corrispettivo. È discusso se sia
valida l’opzione gratuita:
- Parte della dottrina lo nega, perché il sacri cio di colui che concede l’opzione sarebbe privo di
causa
- Parte della dottrina ne sostiene la validità, poiché l’ART 1331 cc non prevede il pagamento di un
corrispettivo
L’opzione non va confusa con il contratto preliminare, perché mentre dal contratto preliminare
deriva l’obbligo reciproco di stipulare un contratto de nitivo, l’esercizio da parte del bene ciario
del diritto di azione determina l’immediato perfezionamento del contratto, del quale si
producono tutti gli e etti.
L’opzione si distingue anche dal patto di prelazione, con cui una parte si impegna a preferire il
bene ciario del patto a parità di condizioni, qualora dovesse decidersi a stipulare un futuro
contratto.
PRELAZIONE
A tale scopo, il soggetto vincolato dalla prelazione deve procedere con la denunciatio, ossia
comunicare al prelazionario (soggetto attivo) le condizioni pattuite con il terzo.
L’ART 1346 cc stabilisce che l’oggetto del contratto deve essere possibile, lecito, determinato
o determinabile; questa norma non contiene una de nizione di oggetto del contratto, che
dunque si presta a varie letture:
- Oggetto sono le prestazioni dedotte in contratto come dovute dalle parti
- Oggetto è il bene dovuto in una prestazione di dare (es. le norme sulla vendita che fanno
riferimento alla res come oggetto del contratto)
Le parti possono anche decidere che l’oggetto della prestazione sia determinato da un terzo
(es. che stabilisca il prezzo della cosa).
Il terzo prende il nome di arbitratore e la sua attività è l’arbitraggio (da non confondere con
l’arbitro, che è un privato cui le parti in lite possono a dare la risoluzione di una controversia tra
loro sorta).
L’ART 1349 cc, regola le determinazione dell’oggetto deferita ad un terzo, distinguendo due
ipotesi:
• Il terzo deve procedere con l’arbitrium boni viri (= equo apprezzamento): 1) qualora la
determinazione dell’arbitratore sia iniqua od erronea o 2) l’arbitratore non provveda alla
determinazione a datagli -> le parti possono rivolgersi al giudice che provveda a detta
determinazione
• Il terzo deve procedere con il mero arbitrio: le parti gli lasciano dunque carta bianca. In tal
caso,1) non potranno impugnarne la determinazione se non nel caso in cui si riesca a provare la
sua mala fede (es. se si è fatto corrompere) o 2) qualora l’arbitratore non provveda alla
determinazione o la stessa venga impugnata -> le parti non potranno domandare che sia il
giudice a provvedere alla determinazione: le parti avevano infatti riposto la loro ducia
nell’arbitratore, la cui attività non può essere surrogata. Dunque, le parti potranno solamente
sostituirlo con un’altra persona, che provveda alla determinazione dell’oggetto, pena la nullità
del contratto
Elemento essenziale di ogni negozio giuridico è la sua causa. Tale termine, però, viene adoperato
con più signi cati diversi:
- Causa dell’obbligazione: l’obbligazione però è un rapporto giuridico, non un negozio giuridico.
“Causa” in questo contesto indica il titolo, ossia la fonte dell’obbligazione (es. il privilegio è
accordato dalla legge in considerazione della causa del credito, ART 2745 cc)
- Attribuzione patrimoniale: il ne è determinare se lo spostamento di ricchezza sia giusti cato
(es. se pago ritenendo erroneamente di essere debitore, la prestazione è sine iusta causa e
dunque ho diritto alla ripetizione dell’indebito)
Riferendosi al negozio giuridico, la causa assume importanza in riferimento per i negozi nei quali
l’autonomia dei privati può in uire sul contenuto, e dunque sugli e etti, del negozio: la causa non
ha dunque importanza nei negozi in cui il privato possa scegliere se compiere o meno l’atto (es.
matrimonio)
Quando il contenuto del contratto dipende dalla libera scelta fra le parti (es. contratto, ART
1322 cc), invece, è necessario che gli e etti perseguiti siamo giusti cati dal punto di vista
giuridico.
La causa, annoverata espressamente tra i requisiti essenziali del contratto nell’ART 1325 cc, si
riferisce alla causa lecita (cfr ART 1343 cc): essa è la necessità che sia i singoli e etti perseguiti
sia la loro combinazione nell’ambito del complessivo regolamento che le parti hanno voluto
dettare siano leciti e meritevoli di protezione giuridica.
-> es. è sine causa la promessa di trasferire la proprietà di un bene se non è convenuto un
corrispettivo (a meno che non si tratti di donazione)
-> es. è sine causa la generica promessa di mantenere un parente povero (anche se
l’adempimento non consente ripetizione, quando siano integrati gli estremi dell’obbligazione
naturale).
Dunque, non sempre un risultato può realizzarsi perché promesso: l’ordinamento, per considerare
l’e cacia del volere delle parti, sottopone l’atto di autonomia ad un controllo circa il suo
fondamento razionale e giuridico; se il risultato cui l’atto tende è illecito o futile, il contratto è
ritenuto non meritevole di tutela giuridica e dunque le promesse delle parti non avranno e cacia e
le parti non potranno agire in giudizio per farle valere.
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Tradizionalmente, sebbene oggi sia una formula discussa, si associava la causa alla funzione
obiettiva del contratto, ossia all’operazione economica che lo strumento negoziale è volto a
realizzare.
1) Nei contratti sinallagmatici, la causa consiste nello scambio tra due prestazioni,
cosicché il sacri cio di una delle parti è giusti cato da quello dell’altra parte.
2) Per i contratti tipici, l’esistenza e la liceità di una causa (= giusti cazione di quel tipo o
modello di accordo) che rende tale contratto meritevole di tutela giuridica è già valutata
positivamente dalla legge.
Resta comunque da valutare se, in concreto, un certo contratto sia meritevole di approvazione
-> es. contratto di assicurazione contro l’incendio di una cosa: scambio tra prestazione pecuniaria
dell’assicurato con l’assunzione del rischio da parte dell’assicuratore, che dovrà pagare un
indennizzo all’assicurato -> ciò giusti ca lo schema contrattuale
MA se un soggetto stipula un contratto di assicurazione dopo che la cosa è andata bruciata e
pretende il pagamento dell’indennizzo: il contratto, però, è nullo -> difetta la causa, essendo
mancante la giusti cazione giuridica dell’assicurazione per un danno già veri catosi.
Dunque, anche per i contrati tipici, può porsi un problema di controllo dell’esistenza e della liceità
della causa, in relazione ai singoli casi concreti.
4) In ipotesi di contratti collegati, le parti stipulano negozi tra loro distinti che conservano
ciascuno una causa autonoma, ma che sono preordinati dalle parti per la realizzazione di un
disegno unitario condiviso: in tal caso, se gli e etti di uno dei due contratti non si possono
produrre (es. per accertata invalidità, o per il veri carsi di cause idonee alla sua risoluzione), anche
quelli dell’altro vengono meno, poiché è frustrata la nalità complessivamente perseguita.
Il collegamento tra negozi diversi può essere 1) esplicitato da speci che disposizioni contrattuali
apposte dalla parti, oppure 2) desunto dall’obbiettiva relazione funzionale tra i due contratti
(sebbene questa sia un’operazione interpretativa delicata ed incerta)
Una particolare ipotesi di collegamento è il subcontratto, in cui colui che ha stipulato un
contratto ne stipula un altro con un terzo, che contiene un regolamento di interessi idoneo a
quello del contratto principale e che è funzionalmente dipendente da quest’ultimo (es.
subappalto, sublocazione).
Appunto perché il subcontratto dipende da quello principale, al venir meno di quest’ultimo, viene
necessariamente meno anche il subcontratto.
NEGOZI ASTRATTI
Ogni negozio deve avere una causa, perché ogni negozio deve rispondere ad uno scopo
socialmente apprezzabile.
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Ciò non esclude che alcuni negozi possano produrre gli e etti prescindendo dalla causa, che
resta per così dire accantonata. Tali negozi sono detti astratti (contrapposti a quelli causali).
1) Per quanto si disputi se la cambiale sia un negozio astratto, essa serve a dare un’idea di tale
tipo di negozio: se acquisto un bene a credito e rmo delle cambiali, che sono poi girate ad un
terzo, io non posso sottrarmi al pagamento se il terzo è in buona fede, qualora io eccepisca che
non esiste causa di promessa di pagamento nella cambiale perché il bene non mi è poi stato
e ettivamente consegnato.
In tal caso, dovrò pagare al terzo l’importo dovuto ed agire verso il venditore inadempiente per
ottenere la restituzione di quanto ho dovuto versare: la causa della promessa contenuta nel titolo
riveste, dunque, una certa rilevanza, considerando la promessa astratta contenuta nella
cambiale.
Per questo motivo, l’ordinamento riconosce i negozi astratti, che servono a facilitare la
circolazione di diritti (es. nel caso della cambiale, di diritti di credito).
2) Un altro caso di astrazione si rintraccia nella delegazione pura, in cui il delegato che si è
obbligato nei confronti del delegatario non può sollevare eccezioni relative ai rapporti di valuta e di
provvista (tranne il caso di nullità, ART 1271 cc) e dunque, per sottrarsi all’obbligo di pagamento,
non può eccepire l’insussistenza della causa.
In ogni caso, nel nostro ordinamento le gure di negozi astratti possono produrre soltanto e etti
obbligatori: non si ammette che una dichiarazione astratta possa determinare il trasferimento di
un diritto reale, che necessita sempre di un’adeguata giusti cazione giuridica.
Può darsi che la causa manchi originariamente solo in parte, nel caso del difetto genetico
parziale della causa: ciò può accadere nel caso di contratti a prestazioni corrispettive, laddove in
concreto una delle prestazioni manchi del tutto o sussista uno squilibrio tra le due prestazioni.
Peraltro, la legge attribuisce rilevanza a tale squilibrio solamente se esso assuma proporzioni
inique o notevoli e sia frutto di un perturbamento della volontà di una delle parti (es. stato di
pericolo o di bisogno, nel qual caso il rimedio è la rescissione, non la nullità del contratto).
In tutti questi casi, il contratto non è nullo, ma la parte può agire per la risoluzione, sciogliendosi
dal vincolo (nel caso della risoluzione per inadempimento, ART 1453 cc; per impossibilità
sopravvenuta, ART 1463 cc; per eccessiva onerosità, ART 1467 cc).
L’ordinamento giuridico non riconosce e non tutela l’autonomia privata, quando essa sia diretta a
scopi contrari alla legge e alle concezioni morali comunemente accolte.
La causa è illecita quando è contraria 1) alle norme imperative (contratto illegale), 2) all’ordine
pubblico, 3) al buon costume (contratto immorale), come statuito dall’ART 1343 cc: illecita
della causa produce la nullità del negozio, ART 1418 cc.
La nozione di contratto immorale non comprende solamente i negozi contrari alle regole del
pudore sessuale e della decenza, ma più in generale i principi etici che costituiscono la morale
sociale, poiché la generalità delle persone ad essi uniforma il proprio comportamento, basato
sulla correttezza, sulla buona fede e sui valori di un determinato ambiente e di una determinata
epoca.
L’importanza della distinzione tra contratto illegale e contratto immorale è resa manifesta dalla
ripetizione dell’indebito (ART 2033 cc):
• Contratto illegale, è ammessa la ripetizione dell’indebito. L’ART 2035 parla solamente di
o esa “al buon costume” e non anche a norme imperative o all’ordine pubblico: dunque,
l’irreperibilità non si applica al negozio illegale. In ogni caso, il giudice può valutare se un
contratto che sia contrario a una norma imperativa non lo sia, nel concreto, anche la buon
costume.
• Contratto immorale, bisogna distinguere due ipotesi:
- Immoralità unilaterale: è ammessa la ripetizione dell’indebito, es. nel caso di un
pagamento di un riscatto per liberare una persona sequestrata, l’immoralità è solo
dell’accipiens (il sequestratore), mentre chi ha pagato ha diritto alla restituzione
- Immoralità bilaterale: non è ammessa la ripetizione dell’indebito (ART 2035 cc), es. colui
che corrompa un pubblico funzionario versandogli una somma di denaro; in pari causa
turpitudinis melior est condicio possidentis; nemo auditur propriam turpitudinem alligans = non
si vuole dare ascolto a colui che deve confessare la propria turpitudine per ottenere la
restituzione.
Il contratto illecito non è suscettibile a conversione (ART 1424 cc) o di sanatoria, nei casi
eccezionali ove questa è consentita.
Non è sempre agevole distinguere l’illiceità della causa dall’illiceità dell’oggetto: peraltro, la
conseguenza è pur sempre la nullità del contratto.
In ogni caso, la di erenza si coglie considerando che il giudizio della causa implica la una
valutazione complessiva allo scambio, mentre quello sull’oggetto si rivolge alle singole
prestazioni: è dunque illecito il contratto quando la prestazione consista in una condotta contra
legem o immorale, mentre è illecita la causa quando è riprovato fare oggetto di scambio una certa
condotta
-> es. è lecito votare, ma è illecito promettere denaro per indirizzare il voto di una persona a
favore di un certo candidato.
MOTIVI
Il motivo che spinge un soggetto a porre in essere un negozio giuridico è la nalità da lui
perseguita.
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-> es. nella compravendita un acquirente può comprare, perché si propone di rivendere il bene
con un pro tto o perché intenda utilizzarlo personalmente o perché ne ha bisogno nella propria
azienda, …
Il motivo in funzione del quale una parte si pone di porre in essere un contratto di regola non è
comunicato all’altra parte o, anche se comunicato, le risulta indi erente.
Di qui, il principio per cui di regola i motivi sono giuridicamente irrilevanti, qualunque sia
l’importanza che rivestono per il singolo (es. compro casa a Roma, perché penso che verrò
trasferito lì, ma il trasferimento non avviene: per il venditore i miei motivi restano irrilevanti).
Da ciò consegue che l’errore sul motivo non può quali carsi come essenziale e non rende
annullabile il contratto; allo stesso modo, se mutano le condizioni di fatto che avevano suscitato il
mio interesse nella stipulazione del contratto, ciò non incide sulla validità e sull’e cacia di
quest’ultimo.
Il contratto in frode si distingue dal contratto contrario alla legge: contra legem facit qui id facit
quod lex prohibet; in fraudem vero qui salvis legis verbis sententiam eius circumvenit = agisce
contro la legge, colui che compie ciò che la legge proibisce; in frode la legge agisce colui che,
fatte salve le parole, aggira la sostanza della legge.
Infatti, mentre con il contratto contrario alla legge, le parti mirano direttamente ad un risultato
vietato, con il contratto in frode di legge le parti mirano mediante qualche accorgimento (es.
l’inserzione di apposite clausole) ad ottenere un risultato equivalente a quello vietato dalla
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norma imperativa: spesso è infatti necessaria una sequenza di atti, tra loro teologicamente
coordinati.
La frode di legge costituisce un vizio di causa, che si concreta con l’abuso della funzione tipica
del contratto: infatti, esso viene impiegato per perseguire con un ne che contrasta con la
funzione sociale (causa) che gli è propria.
La frode di legge si distingue anche dalla frode ai creditori, che è diretta a danneggiare
speci catamente costoro e che viene colpita con l’azione revocatoria (es. il debitore si spoglia dei
propri beni, risultando nulla tenente)
La frode di legge si distingue anche dalla frode al sco, che non dà luogo alla nullità del
negozio, ma vengono applicate le sanzioni stabilite dalle leggi tributarie.
Tuttavia, un recente orientamento della Corte di Cassazione tende a sanzionare con la nullità i
contratti posti in essere con l’intento di eludere na disposizione tributaria, ai sensi dell’ART 1344
cc.
Il negozio in frode di legge si distingue anche dal negozio simulato: la simulazione consiste nel
compiere una dichiarazione negoziale senza volerne gli e etti o volendo e etti diversi rispetto a
quelli enunciati nella dichiarazione; invece, nel negozio in frode di legge, la dichiarazione
negoziale è e ettivamente voluta come tale, così come ne sono voluti gli e etti giuridici, ma
l’operazione congegnata dalle parti tende ad una nalità antigiuridica.
Ferma tale distinzione concettuale, può accadere che vi sia una simulazione fraudolenta (= una
simulazione venga messa in atto per eludere norme imperative di legge): ciò conduce alla nullità
sia del negozio simulato, sia di quello dissimulato (es. stipulo una vendita, in modo da attuare in
modo mascherato una donazione a un pubblico funzionario, che è vietata dalla legge).
Come l’interpretazione della legge tende a ricercare e precisare il signi cato da attribuire ad un
testo legislativo, allo stesso modo l’interpretazione del negozio deve condurre a determinare un
signi cato giuridicamente rilevante ad una dichiarazione giudiziale.
Pertanto, l’interpretazione del contratto non va intesa come diretta alla ricostruzione storica della
concreta e contingente della volontà che ciascuna delle parti ha voluto manifestare nell’atto e
neppure come diretta all’accertamento del signi cato che ciascuna delle parti attribuiva all’atto:
l’interpretazione del contratto è più che altro volta all’individuazione degli e etti prodotti dal
negozio.
Queste norme, che sono dettate per il contratto, sono applicabili a qualunque negozio giuridico, ai
sensi dell’ART 1324 cc.
Si tratta di norme giuridiche, dunque la loro violazione da parte dell’interprete può essere dedotta
come motivo di ricorso per cassazione attraverso la sentenza che ne abbia fatta erronea
applicazione.
Il punto di riferimento dell’attività dell’interprete deve essere il testo, senza che però si limiti
all’interpretazione letterale, ma deve estendere la propria analisi per ricercare il signi cato
complessivo del negozio, utilizzando le clausole le une per mezzo delle altre, al ne di
comprendere la comune intenzione delle parti e il risultato che queste intendessero perseguire.
Il codice precisa che quando le parti adoperino espressioni di carattere generale, la loro
rilevanza va intesa esclusivamente agli speci ci oggetti cui si riferisce la loro comune volontà,
ossia quelli sui quali le parti si sono proposte di contrattare.
Allo stesso modo, qualora le parti abbiano adottato degli esempi a ni esplicativi, i casi non
menzionati potranno essere inglobati all’interno del patto tra le parti.
In materia di contratti e di atti unilaterali tra vivi aventi contenuto patrimoniale, ha rilievo la teoria
dell’a damento: è necessario infatti tenere conto non solo del signi cato che colui dal quale la
dichiarazione proviene ha attribuito alle parole usate, ma anche quello che può ragionevolmente
dare ad esse chi la riceve.
Si applica anche il principio della conservazione del negozio, per cui il negozio deve
interpretarsi secondo il senso in cui esso possa avere qualche e etto, piuttosto che nel senso in
cui esso sia improduttivo di e etti.
In ne, bisogna ricordare che l’ART 1371 cc stabilisce che il negozio deve essere inteso:
- Se a titolo gratuito -> nel senso meno gravoso per l’obbligato
- Se a titolo oneroso -> nel senso che esso realizzi un equo temperamento degli interessi delle
parti
Finché il contratto non è perfezionato, le parti conservano la loro libertà di addivenire o meno alla
stipulazione.
Dal momento in cui l’accordo si perfeziona, invece, esse sono obbligate ad osservarlo, in
considerazione dell’ART 1372 cc per cui “Il contratto ha forza di legge tra le parti”.
Le parti sono libere di sciogliere o modi care un contratto, con un atto di mutuo consenso (ART
1372 cc).
La giurisprudenza ritiene che negli atti solenni il mutuo consenso sia espressa nella stessa
forma del contratto che si intende sciogliere.
Nel caso però in cui l’adozione della forma scritta sia volontaria o richiesta dalla legge ad
probationem, la forma del negozio risolutorio è libera, essendo su ciente un comportamento
tacito concludente.
Lo scioglimento del contratto determinato per mutuo dissenso di un contratto ad e etti reali
comporta la rimozione retroattiva degli e etti del contratto oggetto di risoluzione convenzionale.
Il recesso unilaterale ossia lo ius poenitendi di liberarsi unilateralmente degli obblighi assunti
con il contratto, è ammissibile solo quando speci catamente attribuito 1) dalla legge (ART 1372
cc) o da un 2) apposito patto nel caso del recesso convenzionale.
La facoltà di servirsi del recesso convenzionale deve essere esercitata prima che abbia inizio
l’esecuzione del contratto pattuito (ART 1373 cc): spesso il diritto di recesso viene pattuito a
favore di una delle due parti a fronte di un corrispettivo, rappresentato da una caparra
penitenziale (= somma di denaro che può essere consegnata al partire dal momento della
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conclusione del contratto; es. contratto di viaggio con un’agenzia: rinuncio al viaggio perdendo la
caparra) o da una multa penitenziale (che il recedente è tenuto a consegnare: in tal caso, il
contratto si scioglie quando la multa viene pagata).
La Corte di Cassazione ha a ermato che anche in caso di pattuizione espressa della facoltà di
una delle parti di recedere, questa non può essere esercitata in modo abusivo, recando all’altra
parte uno sproporzionato pregiudizio: se così accade, il giudice può 1) negare l’e cacia del diritto
di recesso o ritenere sussistente un 2) diritto di risarcimento dei danni a favore dell’altra parte.
Talvolta è la stessa legge che attribuisce a una delle parti il diritto di recedere al contratto,
soprattutto nei contratti di durata è normale che ciascuna delle parti possa liberamente
recedere, qualora si tratti di contratti a tempo indeterminato (= non sia indicata la durata del
rapporto), salvo eventualmente l’onere di fare all’altra parte un congruo preavviso.
In certi contratti, la legge attribuisce il diritto di recedere a una sola delle parti (es. committente
dell’appalto), mentre altre volte subordina il diritto di recedere ad una giusta causa.
La disciplina protettiva del consumatore prevede che vi siano delle deroghe alla vincolatività del
contratto: in talune ipotesi è consentito il recesso di pentimento, ossia la possibilità del
consumatore di sciogliersi unilateralmente dal contratto, riconsegnando il bene acquistato,
qualora le modalità di conclusione del contratto gli abbiano impedito una valutazione
adeguatamente ponderata (es. contratti a distanza, ossia stipulati con qualsiasi mezzo di
comunicazione che escluda la compresenza dei contraenti).
In linea di principio, gli e etti del contratto corrispondono con il contenuto degli accordi tra le
parti, in considerazione della loro autonomia negoziale.
Peraltro, per stabilire quali e etti un negozio è idoneo a produrre occorre interpretarlo, procedere
con la sua quali cazione e con la sua integrazione.
Il contratto, oltre agli 1) e etti enunciati dalle parti, produce anche quelli 2) disposti
dalla legge, dagli 3) usi e dall’4) equità, come stabilito dall’ART 1374 cc, con l’integrazione degli
e etti del contratto. Tale procedimento assume rilevanza in particolare per disciplinare le lacune
della disciplina giudiziale, che possono essere colmate da norme dispositive.
La legge, però, non interviene solamente con funzione integratrice, ma anche con funzione
imperativa, che annulla ogni contraria pattuizione tra privati.
Al ne di limitare qualsiasi comportamento eteronomo in relazione agli atti negoziali dei privati il
legislatore provvede a stabilire dei codici di autodisciplina, che gli operatori osservano nella loro
peculiare attività; la giurisprudenza riconosce la valenza cogente di detti codici, comparandoli alle
fonti normative.
La legge può imporre ai privati clausole o prezzi che si sostituiscono a quelli pattuiti dai
contraenti, come a ermato dall’ART 1339 cc.
Un tempo la ssazione autoritaria dei calmieri era assai più di usa, ma oggigiorno si tende a
liberalizzare i prezzi e le tari e, sotto l’in uenza dei principi comunitari.
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La violazione di una norma che ssi il corrispettivo massimo attribuisce il diritto alla restituzione di
quanto pagato in eccesso, non producendo la nullità del contratto.
La norma che ssa una durata minima del contratto implica la protrazione della durata del
contratto no al termine stabilito dalla legge, anche se eventualmente pattuito con un limite
inferiore (L 431/1998).
In tema di esecuzione di contratto, va ricordato che è fondamentale il rispetto della buona fede
(ART 1375 cc): il debitore, ad esempio, deve ottemperare non solo quanto previsto dal
regolamento negoziale, ma anche gli obblighi di protezione che si evincono dalle disposizioni
dell’ordinamento e, soprattutto, dalla Costituzione.
In materia di contratti traslativi, assumo rilevanza gli ARTT 1376-1378 cc, che ssano il
momento in cui ha luogo il passaggio della proprietà, con tutte le conseguenze che ne derivano:
1) acquisto della signoria erga omnes sul bene; 2) assunzione del rischio dell’interitus rei (=
perimento fortuito della cosa) in capo all’acquirente; 3) in generale di ogni prerogativa, onere o
responsabilità connessi alla situazione proprietaria.
Assume rilevanza fondamentale l’ART 1376 cc: esso stabilisce che se il contratto avente per
oggetto una cosa determinata, la proprietà si acquisisce per mezzo del consenso traslativo.
Perché l’e etto reale si produca, occorre solamente che la parti abbiano sottoscritto il contratto:
- Bene immobile, in forma scritta
- Bene mobile, accordo anche verbale
Non è necessaria la traditio per il passaggio di proprietà: la consegna del bene, casomai,
costituisce il contenuto di un’obbligazione per l’alienante, consistente nella consegna del bene già
di proprietà dell’acquirente (ART 1476 cc).
Oggi la traditio è necessaria solo per i contratti di:
1. Deposito
2. Comodato
3. Pegno
4. Mutuo
Il principio del consenso traslativo si distacca da quello previsto dal diritto romano: traditionibus
et usucapionibus, non nudis pactis dominia rerum transferuntur = la proprietà sulle cose si
trasferisce in base a traditio e usucapione, non in base a meri accordi obbligatori.
Il principio proprio del nostro codice è detto principio del consenso traslativo ed è stato recepito
dal Code Napoleon.
Nel caso in cui si tratti di cose determinate nel solo genus, la proprietà si trasmette con
l’individuazione delle cose materiali, come dispone l’ART 1378 cc, che può avvenire 1) mediante
accordo tra le parti o 2) attraverso le modalità stabilite. Infatti, solo nel momento
dell’individuazione delle cose materiali vi è l’identi cazione della res oggetto di trasferimento dal
patrimonio dell’alienante a quello dell’acquirente; prima vi era soltanto un’obbligazione
dell’alienante di compiere l’identi cazione o l’individuazione della res.
Dunque, il contratto avente per oggetto cose determinate nel genus è ad e etti obbligatori e non
reali.
A nché si abbia l’individuazione, occorre:
• Separazione materiale, in modo che le cose trasmesse non si confondano con l’altra merce
del venditore
• Le cose trasmesse non possano più essere sostituite con altre -> la legge stabilisce che
quando le cose devono essere trasportate da un luogo ad un altro, l’individuazione avviene
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mediante la consegna al vettore o allo spedizioniere (ART 1378 cc), in quanto tale consegna
vale ad impedire la sostituzione della merce oggetto di trasferimento dalla restante.
Quando l’oggetto del trasferimento è una determinata massa di cose, nel caso della vendita in
massa o per aversionem, non vi è bisogno dell’individuazione, ovviamente (es. ti vendo tutta la
mia cantina; ti vendo tutta la sto a che mi è rimasta): dunque, il trasferimento della proprietà
avviene per il principio del consenso traslativo.
In tal caso, non assumono rilevanza la determinazione del prezzo, alla pesatura, ecc: infatti queste
operazioni non consistono nell’individuazione della cosa, ma alla determinazione quantitativa del
prezzo dovuto, mediante un’operazione aritmetica.
Se una persona concede lo stesso diritto prima ad A e poi a B con un successivo contratto, quale
dei due è preferito?
A rigor di logica, si applica il principio potior in tempore potior in iure: prevale colui cui il diritto è
stato concesso per primo, poiché nemo plus iuris transferre potest quam ipse habet.
Questo principio, però, trova numerose eccezioni: è infatti necessario 1) tutelare la buona fede e
l’a damento; 2) favorire la circolazione dei beni; 3) agevolare chi si trova già in possesso o in
detenzione della cosa, secondo il principio beati possidentes: in pari causa melior est condicio
possidentis.
In ogni caso, il contraente il cui diritto viene sacri cato ha diritto al risarcimento dei danni verso
l’altra parte, che ha violato il contratto con l’attribuzione dello stesso diritto ad altri.
In caso di inadempimento, il creditore ha diritto di essere risarcito dei danni subiti, con l’onere di
provare il danno che assume essergli stato provato, cosa che richiede molto tempo e spese.
Dunque, le parti possono concordare ex ante quanto il debitore dovrà pagare qualora dovesse
rendersi inadempiente a titolo di penale, senza che il creditore debba provare di aver subito
e ettivamente un danno in misura corrispondente: per questo motivo si dice che la clausola
penale contiene una liquidazione convenzionale anticipata del danno, eliminando al creditore
l’onere di provare il danno subito.
Pertanto, il debitore sarà sollecitato a non rendersi inadempiente, in virtù della funzione
ra orzativa del vincolo obbligatorio proprio della clausola penale.
Peraltro, la legge precisa l’e etto limitativo della penale, nel senso che il creditore non può
pretendere a titolo di risarcimento più di quanto è stabilito dalla clausola penale (ART 1382 cc).
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La parti, però, sono libere di prevedere espressamente che il creditore possa esigere anche il
risarcimento di un eventuale maggiore danno, oltre alla penale, purché dia prova che il danno
e ettivamente subito non è coperto dalla penale.
La giurisprudenza ritiene valida ed e cace la clausola che concede alle parti il potere di graduare
la penale in relazione alla gravità dell’inadempimento, a condizione che siano stabili un
importo minimo ed uno massimo.
Correlativamente, il giudice può e ettuare una riduzione della penale, in base ad una valutazione
equitativa, in due casi:
1) Se la penale risulti manifestamente eccessiva, “avuto riguardo dell’interesse che il creditore
aveva all’adempimento”, non solo al momento della stipulazione della clausola, ma anche
all’esecuzione del contratto
2) Il debitore abbia eseguito almeno una parte della prestazione dovuta
La giurisprudenza ha anche a ermato che è possibile che tale riduzione venga rilevata d’u cio
dal giudice, anche se la parte tenuta a pagarla non ne abbia fatto speci ca richiesta; tale
riduzione può anche essere richiesta in grado d’appello.
La caparra con rmatoria (ART 1385 cc) è la più frequente: consiste nel consegnare
all’altra parte una somma di denaro o cose fungibili al momento della conclusione dell’accordo, al
ne di dimostrare la serietà con cui il contratto viene stipulato.
Eseguito il contratto, la caparra deve essere 1) restituita, oppure 2) imputata al prezzo, a titolo di
acconto.
Qualora la parte che ha dato la caparra si rendesse inadempiente dagli obblighi assunti, l’altra
parte può recedere al contratto per autotutelarsi, trattenendo la caparra a titolo di risarcimento del
danno subito.
Qualora la parte che ha ricevuto la caparra fosse inadempiente, la controparte può scegliere
se recedere al contratto; in caso di recesso, può pretendere il doppio di quanto aveva versato a
titolo di caparra (ART 1385 cc).
Il meccanismo operativo della caparra pone problemi più articolati in merito alle azioni di
esecuzione del contratto, di risoluzione e di risarcimento del danno (ART 1453 cc).
Il contraente che ritenga di aver subito un danno dall’ammontare superiore rispetto a quello
stabilito come caparra può proporre una domanda giudiziale di 1) risoluzione del contratto (ART
1453 cc) e 2) il risarcimento del danno, dando prova del danno subito.
Egli, però, non potrebbe incamerare la caparra con rmatoria, ma potrebbe solamente
trattenerla a titolo di garanzia del diritto al risarcimento, che però dovrà essere accertato e
quanti cato dal giudice.
Inoltre, non potrà mutare la propria domanda nel corso del giudizio (alternativamente, di
recesso e ritenzione della caparra, di risoluzione e risarcimento del danno).
Inoltre, la parte che abbia ricevuto la caparra può agire per l’accertamento dell’avvenuta
risoluzione stragiudiziale del proprio diritto di incamerare la caparra.
Inoltre, qualora la parte abbia proposto l’esecuzione del contratto (non la risoluzione, quindi)
può esercitare nel corso del processo il recesso del contratto ed incamerare la caparra.
La giurisprudenza della Corte di cassazione aveva più volte a ermato che alla caparra non si
applicava la valutazione equitativa prevista per la penale manifestamente eccessiva; la Corte
costituzionale ha però ritenuto questa questione infondata e dunque inammissibile, osservato
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anche però che non mancano gli strumenti di reazioni contro eventuali pattuizioni abusive
concernenti la caparra: il giudice, infatti, potrebbe comunque rilevarne la nullità totale o
parziale d’u cio.
Gli e etti del contratto sono limitati alle parti, secondo il principio res inter alios acta tertium
neque nocet neque prodest, ART 1372 cc.
1) Da ciò consegue che la promessa del fatto del terzo o promessa dell’obbligazione
del terzo non vincola il terzo, se il terzo non vi aderisce: pertanto, dovrò indennizzare colui a
cui ho fatto la promessa, anche se io mi sia diligentemente adoperato per convincere il terzo, ART
1381 cc.
2) Allo stesso modo, la vendita di cosa altrui non può avere e etti dispositivi di ciò che si
trova nell’altrui patrimonio, ma è pur sempre giuridicamente vincolante: essa infatti obbliga colui
che ha posto in essere la vendita a procurare al compratore l’acquisto della proprietà.
3) Sempre in virtù del principio della relatività degli e etti del contratto, nel caso del
pactum de non alienando (= divieto di alienazione del contenuto di un contratto) si parla di
e cacia obbligatoria del divieto di alienare: esso infatti ha e etti soltanto fra le parti; questo,
perciò, non pregiudica terzi, che acquisteranno validamente.
Anche tra le parti questo divieto deve essere contenuto entro determinati limiti di tempo, cui
risponda un apprezzabile interesse di una delle parti: se questo non è ssato o se è eccessivo, il
contratto è nullo, ART 1379 cc.
4) Inoltre, al relatività degli e etti del contratto non esclude una possibile responsabilità
del terzo per induzione ad inadempimento, di natura extracontrattuale (es. io sono vincolata da
un contratto con Mario e Sabrina mi induce a non eseguire la prestazione: Sabrina incorrerà in
una responsabilità extra-contrattuale, così come me).
Perché si abbia un contratto a favore di terzi, è indispensabile che le parti abbiano pattuito
speci catamente l’attribuzione al terzo della titolarità del diritto di pretendere egli stesso
dall’obbligato (promittente) l’esecuzione della prestazione promessa con lo stipulante, non un
generico vantaggio a bene cio di un terzo.
Il terzo, dunque, potrà agire in giudizio contro l’obbligato, indipendentemente dal
comportamento dello stipulante.
A nché la stipulazione sia valida, occorre che il terzo sia precisamente designato o che, per lo
meno, sia indicato il criterio con cui procedere alla designazione.
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L’ART 1411 cc sancisce che “é valida la stipulazione a favore di un terzo, qualora lo stipulante vi
abbia interesse”: dunque, tali contratti non sono limitati alle forme tipiche, ma possono essere
pattuiti da un privato ogni qualvolta che sia riconoscibile un interesse giuridicamente rilevante
dello stipulante, con le forme atipiche.
Figura frequente del contratto a favore di terzi è ad esempio il contratto di assicurazione sulla
vita a favore di terzi (ART 1290 cc), l’accollo (ART 1273 cc), …
Il contratto a favore di terzi non va confuso con il contratto di rappresentanza: infatti, mentre nel
contratto di rappresentanza tutti gli e etti ricadono sul rappresentato, nel caso del contratto a
favore di terzi lo stipulante agisce nel nome proprio e nei propri interessi, rimanendo titolare di tutti
i diritti e doveri nascenti dal contratto, che è fonte per il terzo solamente dei diritti previsti a suo
favore.
Ci si è chiesti se il contratto a favore di un terzo possa essere applicato anche per realizzare un
e etto traslativo di un contratto a favore del terzo: il dubbio sorge per il fatto che i diritti reali
comportano oneri ed obblighi a carico dei rispettivi titolari -> quali a carico del terzo?
La giurisprudenza si è espressa in senso positivo nell’ipotesi di contratto di opzione:
l’accettazione dell’opzionario (il terzo bene ciario) è indispensabile perché si produca l’e etto
nale del contratto.
Se può essere con gurato un contratto reale a favore del terzo, esso è anche assoggettato a
trascrizione.
Può accadere che una delle parti abbia interesse a trasferire ad altri la propria posizione
contrattuale.
Il consenso alla cessione da parte del contraente ceduto può essere dato:
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• Atto unilaterale separato dal contratto di cessione
• Rilasciato in via preventiva (ART 1407): in tal caso la cessione del contratto diventa e cace
con la noti cazione al ceduto dell’accordo di cessione tra cedente e cessionario.
Per e etto della cessione, il cedente è liberato dalle sue obbligazioni verso il contraente ceduto
e non è neppure responsabile verso quest’ultimo dell’eventuale inadempimento contrattuale del
cessionario (ART 1408 cc).
Se il ceduto vuole evitare questa conseguenza, deve dichiarare espressamente che con la
cessione non intende liberare il cedente: in tal caso, qualora il cessionario è inadempiente,
risponde il cedente in proprio.
Allo stesso modo, il cedente non è responsabile verso il cessionario, qualora il ceduto non
adempia agli obblighi derivanti dal contratto (es. il committente ceduto non paga al cessionario il
corrispettivo dell’appalto).
Tuttavia, il cedente può garantire al cessionario l’adempimento del contratto da parte del ceduto e
in tal caso risponde in solido con il ceduto (come il deiussore).
In ogni caso, il cedente è tenuto a garantire al cessionario il nomen rerum, ossia la validità del
contratto (come nella cessione dei crediti), ART 1410 cc
Occorre distinguere la cessione del contratto dal subcontratto: infatti, mentre il subcontratto
prevede che i rapporti tra i contraenti originari continuino a sussistere, ma accanto ad essi si
creino dei nuovi rapporti tra uno dei contraenti originari e un terzo, la cessione del contratto
determina la sostituzione di un soggetto ad uno dei contraenti originari e tutti i rapporti
contrattuali restano invariati, salva la modi ca di uno dei titolari.
NOZIONI GENERALI
ELEMENTI ACCIDENTALI
Condizione e modo possono servire ad attribuire rilevanza giuridica ai motivi, che non trovano
considerazione nell’ambito della struttura tipica del contratto.
• Condizione: la parte è disponibile ad un certo assetto, solo subordinatamente alla veri cazione
di un altro evento: dunque, invece di mantenere quell’evento come un suo motivo, lo eleva a
circostanza decisiva per il prodursi degli e etti del negozio
• Modo: colui che è disponibile a compiere un atto di liberalità nel caso in cui possa attuarsi pure
un ulteriore intento, può imporne la realizzazione al bene ciario della liberalità
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CONDIZIONE
L’ART 1353 cc a erma che la condizione è un avvenimento futuro ed incerto, dal quale le parti
fanno dipendere:
• O la produzione degli e etti del negozio -> condizione sospensiva (es. compro il fondo subito,
sotto la condizione che entro un anno mi venga rilasciato il provvedimento per costruire)
• O l’eliminazione degli e etti che il negozio ha già prodotto -> condizione risolutiva
Stabilire se, nel caso concreto, si tratta di una condizione sospensiva o risolutiva è rilasciato
all’interpretazione della volontà delle parti.
L’espressione della condizione viene adoperata sia per indicare la clausola condizionale, sia
l’evento dedotto in condizione, dal quale le parti fanno dipendere la produzione o la risoluzione
degli e etti del negozio.
Non tutti i negozi giuridico tollerano l’apposizione della condizione: questi sono detti actus
legitimi, es. il matrimonio.
Qualora, nonostante il divieto, venga ugualmente apposta la condizione possono veri carsi vari
e etti:
- Talora, la condizione si ha per non apposta (es. nel matrimonio)
- Talora, la condizione comporta la nullità dell’atto (es. nell’accettazione dell’eredità)
Dalla conditio facti, ossia la condizione così come è stata de nita, si distingue la conditio iuris:
• Conditio facti: dipende dalla volontà delle parti
• Conditio iuris: non si tratta di una vera e propria condizione, dunque non è disciplinata con le
regole relative alla conditio facti. Si tratta di una condizione stabilita dalla legge, sulla quale la
volontà delle parti non ha potere di in uire.
Delicato è il pro lo della liceità delle condizioni che in uiscono sulle libertà individuali; la
giurisprudenza non ritiene illecita qualsiasi condizione che in uisca sulla libertà individuali, purché
non miri a sopprimerla o comprimerla in modo non compatibile con la tutela
dell’autodeterminazione della persona.
-> es. l’esistenza di salvaguardare le libertà in materia matrimoniale, ha condotto ad una
progressiva restrizione dell’ammissibilità delle conditio testamentarie, un tempo assai di use.
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Il codice, circa le conseguenze dell’illiceità, non adotta una soluzione uniforme per tutti i negozi:
• Negozi inter vivos (ART 1354 cc): la condizione illecita vitiatur et vitiat, ossia lo rende nullo
• Negozi mortis causa (ART 634 cc): la condizione illecita vitiatur sed non vitiat e cioè si
considera non apposta -> il negozio è nullo solo se ha avuto e cacia determinante rispetto alla
volizione del testatore
La ragione di tale distinzione risiede nel fatto che si cerca di attribuire il favor testamenti, ossia la
maggior e cacia possibile alla volontà del testatore.
Per questo motivo, la condizione illecita apposta al testamento rende nullo il negozio se questa ha
da sola avuto e cacia determinante rispetto alla volizione del testatore.
La condizione impossibile è quella che consiste in un avvenimento irrealizzabile, sia dal punto di
vista naturale (es. si caelum digito tatigeris = se toccherai il cielo con un dito) sia giuridico (es
sposerai tua sorella).
Essa è disciplinata in maniera diversa, a seconda del negozio considerato:
• Nel testamento: i considera non apposta (ART 634 cc) -> preservare l’e cacia del favor
testamenti
• Nei contratti: occorre distinguere (ASRT 1354 cc):
- Se sospensiva, rende nullo il negozio -> l’irrealizzabilità della condizione impedisce al
negozio di produrre i suoi e etti
- Se risolutiva, si ha come non apposta -> non potendo veri carsi l’avvenimento, gli e etti che
il negozio ha già prodotto non potranno essere rimossi
Durante la pendenza, una parte esercita il diritto, mentre l’altra parte ha l’aspettativa di divenirne il
titolare, se la condizione si veri cherà. A questo proposito, la dottrina parla di e etti anticipati o
prodromi o preliminari della fattispecie.
A tutela di questa situazione, la legge riconosce alla parte la facoltà di compiere atti
conservativi, ART 1356 cc (es. sequestro conservativo del bene di cui diverrà proprietario, ART
2905 cc).
Analogamente, l’altra parte deve comportarsi secondo buona fede per conservare integre le
ragioni del titolare dell’aspettativa (ART 1358 cc): in particolare, la giurisprudenza ritiene che in
pendenza della condizione sospensiva, il contratto a prestazioni corrispettive vincoli i contraenti al
puntuale ed esatto adempimento delle obbligazioni rispettivamente assunte, comprese quella
strumentali rispetto al veri carsi della condizione. L’ART 1358 cc vede comprese anche le
condizioni miste.
La legge ammette la nzione di avveramento, disciplinata nell’ART 1359 cc: la condizione deve
considerarsi come avverata se colui che aveva interesse contrario all’avveramento ne aveva
impedito il veri carsi.
A tal ne, occorre che il fatto impeditivo dipenda da una condotta dolosa o colposa di colui che
aveva interesse opposto all’avveramento della condizione, o quanto meno sia intervenuta una
condotta omissiva cosciente e volontaria, contraria ai principi di correttezza e buona fede.
Si ritiene, peraltro, che la norma non vada applicata nel caso in cui la condizione sia nell’interesse
di entrambe le parti.
Il periodo di incertezza derivante dalla situazione di pendenza della condizione può essere
temporalmente delimitato dalle parti, qualora esse decidano di apporre un termine, oltre il quale
la condizione deve considerarsi de nitivamente mancata.
Si ammette che la condizione possa essere unilaterale, benché la legge non ammetta ciò
espressamente: ciò signi ca che la condizione può sussistere nell’interesse di una sola parte (es.
compro il terreno, se mi viene rilasciato il permesso di costruire).
In tal caso, la parte nel cui interesse la condizione è prevista può rinunciare ad invocarne gli
e etti, in modo che le conseguenza del suo avveramento o mancato avveramento rimangono
nella disponibilità della parte stessa.
Chiaramente, una condizione può essere unilaterale quando ciò 1) sia esplicitamente previsto dal
contratto o quando 2) l’interpretazione del contratto conduca univocamente ad una condizione di
questo tipo.
È discusso se possa essere dedotto in condizione l’adempimento delle prestazioni contrattuali
(la Cassazione si è più volta pronunciata positivamente in merito a condizione di adempimento
posta ad un contratto di transazione). Evidentemente, è necessario distinguere la condizione
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sospensiva da quella risolutiva dell’inadempimento, poiché in quest’ultimo caso sarebbe
vani cata la disciplina del contratto.
IL TERMINE
Il termine consiste in un avvenimento futuro e certo, dal quale (nel caso del termine iniziale) o
no al quale (nel caso del termine nale) devono prodursi gli e etti del negozio.
Il termine di erisce dalla condizione proprio per il carattere di certezza del veri carsi dell’evento.
Le altre due ipotesi, anche se le parti spesso le hanno impropriamente utilizzate per designare il
termine, si riferivano in realtà alla condizione:
• Dies incertus an et certus quando = quando compirò 50 anni, sebbene non sia certo che vi
arrivi
• Dies incertus an et quando = quando prenderò la laurea, se la prenderò
Come vi sono negozi che non tollerano l’apposizione di una condizione, così ve ne sono che non
ammettono l’apposizione di un termine e anch’essi prendono il nome di acti legitimi, es. il
matrimonio, l’accettazione di eredità, …
Dal carattere di certezza insito nel termine deriva che il termine iniziale di erisce gli e etti del
negozio ad un momento successivo.
Il termine potestativo è valido (a di erenza della condizione potestativa), secondo il principio
cum voluero o cum potuero; spetterà al giudice ssare il termine, secondo le circostanze (ART
1183 cc).
Anche in relazione al termine si distinguono due momenti:
• Pendenza: tempo nel quale la data non sia giunta o l’avvenimento certo non si sia veri cato.
Durante la pendenza, il diritto non può essere esercitato, perché il termine ha appunto lo
scopo di di erirne l’esercizio (ART 1185 cc).
Se, però, l’altra parte adempie all’obbligazione, essa non può chiedere la restituzione di ciò che
deve successivamente dare e dunque non può ripetere la prestazione; tuttavia, i romani
dicevano plus dat qui cito dat = una cosa è ricevere il denaro oggi, una cosa è riceverla fra un
anno.
Dunque, il debitore se ignorava l’esistenza del termine può richiedere di essere rimborsato del
vantaggio che ha ricevuto l’altra parte per aver ottenuto prima la prestazione
• Scadenza: al sopraggiungere del termine iniziale si veri cano gli e etti che negozio che,
ovviamente, non retroagiscono (infatti, sta nel senso proprio del termine d’e cacia la volontà
nel volere procrastinare gli e etti del negozio al momento del termine di scadenza).
• Al sopraggiungere del termine nale, cessano gli e etti del contratto, anche in questo caso
non retroattivamente (es. il conduttore non ha più diritto di occupare l’immobile e deve lasciarlo).
MODO
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Il modo (da modus, misura, limitazione) od onere (=peso) è una clausola accessoria che si
appone ad una liberalità (es. donazione) allo scopo di limitarla, imponendo un determinato
dovere di condotta o di astensione a carico del bene ciario.
Dunque, è necessario distinguere l’onere come sinonimo di modo dall’onere come
comportamento che la parte deve tenere per conseguire un e etto giuridico.
Il modo si distingue dalla semplice raccomandazione o dal desiderio, perché queste ultime
possono far sorgere solo un dovere morale di attenersi alla volontà del disponente in capo al
bene ciario. Dall’interpretazione della dichiarazione negoziale si evincerà se il donante aveva
intenzione di porre un obbligo giuridico o di fare una semplice esortazione o preghiera al
bene ciario.
Il modo si distingue anche dalla condizione sospensiva, poiché questa non produce un obbligo
in capo alla persona e, d’altro canto, il modo non sospende l’e cacia del negozio.
-> es. ti dono un milione di euro se costruisci un ospizio -> condizione sospensiva: anche dopo
aver accettato la donazione sarai libero di costruire o meno l’ospizio, ma se non lo farai non avrai i
soldi
-> es. ti dono un milione di euro con l’obbligo di costruire un ospizio -> modo: se accetti,
riceverai subito i soldi, sarai obbligato a costruire l’ospizio
Inoltre, nel caso del negozio modale, poiché il modus costituisce la fonte di un’obbligazione,
occorre stabilire se la sua mancata esecuzione dipenda da inadempimento imputabile all’operato.
Invece, qualora si tratti di condizione risolutiva, interessa solamente se il fatto si sia veri cato o
meno, indipendentemente da una valutazione del comportamento delle parti.
L’onere impossibile o illecito sia che si tratti di liberalità inter vivos sia mortis causa, vitiatur sed
non vitiat, ossia si ha per non apposto a meno che esso non risulti essere stato il solo motivo
determinante (ARTT 647-794 cc).
La risoluzione del negozio ha luogo, di regola, quando il modo ha assunto un tale rilievo nella
volizione del testatore o del donante, che la risoluzione stessa è prevista dall’atto come
conseguenza dell’inadempimento dell’obbligo.
Se poi il modus è apposto ad un testamento, a ora la tendenza legislativa di attribuire risalto
alla volontà del testatore; la risoluzione può essere pronunciata dal giudice se risulta che
l’adempimento dell’onere ha costituito il solo motivo determinante della disposizione (ART 648
cc).
Classico problema nella teoria del negozio giuridico è la dichiarazione esteriorizzata, cui non
corrisponde alcuna volontà e ettiva del dichiarante, orientata alla produzione di e etti conformi a
quelli della dichiarazione.
Tale fattispecie è regolata sulla base della protezione dell’a damento dei destinatari della
dichiarazione.
1) Considerando, però, le dichiarazioni docendi causa non hanno valore (es. quelle fatte
dall’insegnante mentre spiega la cambiale a titolo di esempio, quelle inserite nella trama di un lm,
…): ciò perché non solo 1) non corrispondono alla volontà del soggetto di assumere impegni o
dar luogo ad e etti giuridici, ma anche perché 2) non possono nemmeno suscitare un a damento
in chi le percepisce.
In rapporto alla relazione fra dichiarazione e scherzo, è necessario distinguere due ipotesi:
• Dichiarazione nello scherzo: fatte in condizioni tali per cui risulti evidente che ciascuno
intenda agire nello scherzo -> negozio nullo
• Dichiarazione per scherzo: fatte con intenzione non seria, senza che però ciò risulti all’altra
parte -> negozio valido
La riserva mentale consiste nel dichiarare intenzionalmente cosa diversa da ciò che si
vuole e ettivamente, senza alcuna intesa con l’altra parte; siccome chi riceve la dichiarazione non
è tenuto ad indagare sulle reali intenzioni del dichiarante, il negozio compiuto con riserva mentale
è vincolante, essendo la riserva mentale irrilevante.
Anche la vis absoluta (= violenza sica) in sede di perfezionamento del negozio comporta
la nullità dell’apparente contratto.
SIMULAZIONE
Gli ARTT 1414 ss cc sono dedicati alla gura della simulazione di cui il legislatore non fornisce
de nizione alcuna, lasciata invece all’elaborazione della dottrina.
Ciò che caratterizza la simulazione è l’accordo simulatorio, ossia l’intesa fra i simulanti destinata
a restare riservata che il contratto simulato è puramente ttizio e dunque inidoneo a produrre gli
e etti cui appare preordinato.
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Da ciò consegue che la situazione giuridica che sorge in seguito al perfezionamento del contratto
è solo apparente; la situazione giuridica reale è quella anteriore all’atto, salvo che accanto
all’atto simulato non risulti anche un altro atto dissimulato.
L’accordo simulatorio consiste dunque in una nzione concordata fra le parti.
La causa simulandi può essere varia: generalmente, il contratto simulato è posto in essere per
ragioni spesso illecite e lesive di terzi (es. sco o creditori), ma talvolta l’intento non è
giuridicamente fraudolento ed è basato sulla riservatezza (es. dono a un parente povero una casa,
ngendo di avergliela venduta).
Un contratto si dice simulato quando le parti, pur avendo u cialmente fatto mostra di volerlo, in
realtà ne hanno escluso l’e cacia giuridica.
La simulazione assoluta delinea la situazione in cui le parti, con i loro accordi interni, si
limitano ad escludere la rilevanza tra loro del contratto apparentemente stipulato, cosicché la
situazione giuridica precedente al contratto rimanga immutata.
La simulazione relativa si veri ca qualora le parti concordino che nei loro rapporti interni
non abbia e etto l’atto simulato, bensì assuma rilevanza l’atto dissimulato (che è celato sotto
l’ombrello di quello simulato).
In questo caso, le parti non vogliono lasciare immutata la situazione giuridica preesistente, ma
vogliono che si producano gli e etti giuridici previsti dall’atto dissimulato.
La simulazione relativa può investire:
• Tipo contrattuale: volta a celare, dietro a un contratto apparente, un contratto vero,
corrispondente ad un diverso schema negoziale.
-> es. Primus vuole trasferire a Secundus la proprietà di un cespite a titolo gratuito, sebbene dal
contratto risulti che il trasferimento avviene con corrispettivo -> il contratto simulato è la
vendita, quello dissimulato è la donazione
• Oggetto: esempio molto frequente, sopratutto in passato, è quello della dichiarazione nell’atto
u ciale di un prezzo inferiore rispetto a quello pattuito e pagato dal compratore, al ne di
versare un’imposta minore.
• Soggetto: volta a dar luogo una falsa rappresentazione dei soggetti dell’atto; in tal caso, si parla
di interposizione ttizia di persona.
-> es. il contratto viene stipulato tra Tizio e Caio, che però sono d’accordo con Sempronio che
in realtà gli e etti del contratto si veri cheranno su quest’ultimo; ciò accade quando ad esempio
Sempronio voglia nascondere al sco o ai suoi creditori di essere acquirente di un immobile, si
mette d’accordo con il venditore Tizio, a nché nell’atto d’acquisto risulti Caio l’acquirente, ma
sarà Sempronio ad impegnarsi a pagare il prezzo e a vedersi ricadere su di lui gli e etti del
contratto.
L’interposizione ttizia si distingue dall’interposizione reale.
L’interposizione reale si veri ca infatti quando un soggetto, non volendo palesarsi quale
dominus in un certo a are, incarica un altro di trattare e concludere a suo nome il contratto.
In questo caso, però, l’alienazione non è simulata, ma è realmente voluta per come viene
dichiarato dalle parti e gli e etti dell’atto si veri cano regolamenti in capo all’acquirente.
Tale fattispecie si inquadra nella gura della rappresentanza indiretta: l’alienazione tra Tizio e
Caio è e ettivamente voluta e vi è inoltre un altro negozio fra Caio e Sempronio (mandato senza
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rappresentanza) in forza del quale Caio acquista per conto di Sempronio ma in nome proprio,
ritrasferendo così poi a quest’ultimo il bene acquistato.
Gli e etti della simulazione sono diversi, a seconda che si consideri la situazione tra le parti o
rispetto a terzi.
Per quanto concerne la situazione tra le parti, occorre distinguere il caso della simulazione
assoluta e quella della simulazione relativa.
La simulazione relativa è tale perché esiste uno speci co accordo, nel quale le parti
hanno stipulato un contratto ostensibile che nge da copertura dell’operazione e ettivamente
progettata dalla parti: da ciò consegue che il contratto simulato non può produrre e etti tra le
parti, poiché le parti non ne vogliono realmente gli e etti.
Può invece avere e etto il contratto dissimulato.
Infatti, in forza dell’antico principio secondo cui plus valet quod agitur quam quod concipitur =
vale di più ciò che si compie che ciò che è ttiziamente voluto, l’ART 1414 cc stabilisce che “se le
parti hanno voluto concludere un contratto diverso da quello apparente, ha e etto tra esse il
contratto dissimulato”.
La legge però subordina la sua validità ai presupposti d’e cacia del contratto, richiedendo che
“sussistano i requisiti di forma e sostanza richiesti dalla legge”.
-> es. se una vendita dissimula uno scambio non tra un prezzo e una res, bensì tra un favore
illecito da parte del funzionario e il trasferimento del bene a carico del corruttore, non è solo
ine cace la vendita, ma è anche nullo il contratto dissimulato, e ettivamente voluto ma illecito.
La Cassazione ha recentemente stabilito che nel caso di interposizione ttizia dell’acquirente,
il venditore non deve essere necessariamente coinvolto nel giudizio promosso dall’anteponente
verso l’interposto, qualora il 1) contratto sia stato integralmente eseguito nei confronti del
venditore e 2) non sia di suo interesse la partecipazione al processo.
Occorre che siano soddisfatti i requisiti di forma per la validità dell’atto dissimulato.
-> es. il contratto della vendita di un immobile deve essere stipulato per iscritto (ART 1350 cc),
anche se quel patto è destinato a rimanere riservato.
Se una vendita immobiliare per il prezzo di 100 dissimula un reale prezzo di 200, quest’ultima
pattuizione è valida se viene rispettato il requisito di forma del contratto.
Pertanto, se il compratore ri utasse di pagare una parte di prezzo ulteriore rispetto a quella
dichiarata nell’atto reso pubblico, il venditore potrebbe agire in giudizio in base all’atto
dissimulato, esibendo il relativo documento: in tal caso, si vedrebbe riconosciuto dal giudice il
pagamento dell’intero prezzo, mentre il disco potrà procedere con il recupero dell’imposta dovuta
e le relative sanzioni.
Più complicata si presenta la situazione della rilevanza della simulazione verso terzi; è necessario
distinguere fra:
• Terzi interessati a dedurre la simulazione
• Terzi che abbiano acquistato diritti dal titolare apparente
Nel caso dei terzi interessati a dedurre la simulazione, per l’ART 1415 cc i terzi estranei
al contratto simulato possono farne accertare l’e cacia, qualora ne siano pregiudicati.
Costoro, in altre parole, sono interessati a far valere la realtà sull’apparenza creata dalla
simulazione e, a tal ne, sono legittimati ad agire in giudizio.
-> es. il creditore di Tizio, che è il simulato alienante, può far dichiarare la simulazione e dunque
l’ine cacia della nta vendita, allo scopo di aggredire il bene del debitore che è solo
apparentemente uscito dal patrimonio di quest’ultimo.
Nel caso dei terzi che abbiano acquistato diritti dal titolare apparente, la disciplina
deriva dalla considerazione di due principi contrapposti.
- Da una parte, infatti, nemo plus iuris transferre potest quam ipse haberet e per di più la
vendita simulata è priva di e etti giuridici, non potendo produrre e etti neppure il successivo
sto di disposizione del titolare apparente.
- D’altra parte, però, si vuole procedere con la tutela all’a damento.
Dunque, il terzo che sia in buona fede, cioè sia l’altro contraente che il suo dante causa ad aver
acquistato il bene in forza di un atto simulato, la simulazione non può più essere opposta e l’atto
con cui sono stati acquistati i diritti produrrà i suoi e etti, benché posto in essere dal titolare
apparente e non dal vero dominus.
Dunque, l’ART 1415 cc dispone che la simulazione non può essere opposta dalle parti contraenti
né dagli aventi causa o dai creditori del simulato alienante ai terzi che in buona fede hanno
acquisito i diritti del titolare apparente.
->es. se Primus stipula un contratto simulato di vendita con Secundus e costui, sebbene sia solo
il titolare apparente, abusi della formale intestazione a suo favore, rivendendo il bene a Tertius:
Primus non può opporre a Tertius di essere rimasto il vero proprietario del bene; egli potrà solo
farsi risarcire il danno subito, se il patrimonio di Secundus è abbastanza capiente per tale rivalsa
che, diversamente, non potrà essere eccepita.
Per quanto concerne l’onere della prova della buona fede, si applica il principio statuito dall’ART
1147 cc: la buona fede è presunta.
Dunque, spetta a chi vuole opporre la simulazione fornire la prova che il terzo acquirente era il
mala fede.
L’ART 1147 cc enuncia anche che è su ciente che vi sia stata buona fede al momento
dell’acquisto e mala des superveniens non nocet = la conoscenza della mala fede in seguito
all’acquisto non ha rilevanza.
Tale tutela spetta anche a chi ha fatto un acquisto a titolo gratuito, poiché l’ART 1415 cc non
pone limitazione alcuna a riguardo.
Sul problema dell’opponibilità della simulazione ai terzi incidono gli e etti della pubblicità, nei
casi in cui il bene oggetto di contratto simulato sia un bene immobile e dunque soggetto a
trascrizione (ARTT 1415 cc e 2652 cc).
Dal giorno in cui la domanda è trascritta ai pubblici registri immobiliari, i terzi sono messi in grado
di conoscere la pendenza e, dunque, la sentenza dichiara che la simulazione è opponibile nei
confronti di tutti coloro che abbiano acquistato diritti in forza di atti trascritti successivamente.
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EFFETTI DELLA SIMULAZIONE NEI CONFRONTI DEI CREDITORI
Anche rispetto ai creditori delle parti si veri cano aspetti analoghi rispetto a quelle considerate nei
confronti dei terzi aventi causa dal simulato acquirente.
In generale:
• I creditori dell’apparente alienante hanno interesse a far valere la simulazione, poiché ne
vengono ad essere pregiudicati: essi, infatti, non possono agire sui beni dei quali il loro
debitore si è solo apparentemente spogliato -> possono far accertare la simulazione che
pregiudica i loro diritti e agire sui beni dei quali il loro debitore si è solo apparentemente
spogliato
• I creditori dell’apparente acquirente hanno l’interesse a non far valere la simulazione, poiché
la simulazione consente loro di espropriare beni che sono ttiziamente entrati nel patrimonio del
debitore -> possono stabilire quando e a quali condizioni la simulazione sia loro opponibile
dal simulato alienante o dai suoi creditori.
La simulazione non è opponibile al creditore del simulato acquirente che abbia già
compiuto atti di esecuzione sui beni oggetto dell’acquisto simulato in buona fede (ART 1416 cc).
Dunque, il simulato alienante soccombe rispetto al diritti acquistato su quei beni dai creditori del
simulato acquirente, poiché con il pignoramento i beni che siano colpiti restano speci catamente
vincolati dalla garanzia del creditore pignorante.
La simulazione è opponibile ai creditori chirografari, cioè i creditori non muniti di garanzia reale,
che non hanno ancora avviato un procedimento esecutivo sui beni simulatamente acquistati dal
loro debitore.
Il creditore chirografario, infatti, non ha acquistato alcun dritto su speci ci beni del debitore: ha
solamente il generico diritto di richiedere l’espropriazione dei cespiti che facciano e ettivamente
parte del patrimonio del debitore.
Da ciò consegue che colui che ha alienato i beni simulatamente potrà agire per l’accertamento
della simulazione e l’ine cacia del trasferimento sarà opponibile ai creditori chirografari
dell’acquirente apparente (sempre che essi non abbiano già posto a pignoramento il bene oggetto
del simulato acquisto).
Il con itto tra i creditori chirografari delle due parti del negozio simulare viene così risolto.
La legge preferisce i creditori chirografari del simulato alienante solamente se il loro credito è
anteriore all’atto simulato (ART 1416 cc): secondo il principio della tutela dell’a damento, essi
fecero a damento pure sui beni che sono simulatamente usciti dal patrimonio del debitore.
Se, invece, il loro credito è posteriore all’atto, essi non sono così tutelati, perché al momento
del sorgere del loro credito essi non potevano fare a damento sui beni che già erano usciti dal
patrimonio dell’alienante simulato.
Quando ad agire per l’accertamento della simulazione sia una delle parti contraenti,
poiché il patto simulatorio deve necessariamente essere anteriore o coevo alla formazione del
documento che consacra il contratto apparente, quando la prova abbia per oggetto patti aggiunti
o contrari al contenuto di un documento, si deve far riferimento alle norme che vietano:
• Prova testimoniale
• Presunzioni
Pertanto, colui che alleghi che un contratto da lui stipulato è simulato 1) dovrà produrre la
controdichiarazione scritta, detta anche contro scrittura (Code Napoleon: contre-lettres) o
comunque 2) uno scritto nel quale la parte convenuta in giudizio dia atto della simulazione,
oppure 3) dar prova in sede di interrogatorio formale, volto a sollecitare la confessione o il
giuramento decisorio.
Potrà avvalersi della prova testimoniale nei soli casi previsti dall’ART 2724 cc.
Le parti del contratto simulato possono invece dare prova della simulazione con ogni mezzo,
nel caso in cui vogliano far valere l’illiceità del contratto dissimulato (ART 1417 cc): in tal caso, la
legge mette a disposizione di ogni mezzo di prova per far emergere un’operazione occulta,
sanzionandola con la nullità.
I terzi, invece, godono di ampia libertà di prova e possono ricorrere anche a testimoni e,
soprattutto, a presunzioni.
Le presunzioni sono i mezzi di prova maggiormente impiegati da terzi, che sottoporranno al
giudice gli elemento di fatto da cui sia possibile evincere la simulazione del contratto (es. nel caso
di una vendita immobiliare, se la vendita avviene tra genitore e glio e l’alienante continua a
risiedere in quell’immobile venduto, ciò potrà nel complesso convincere il giudice che la vendita è
simulata).
Occorre precisare che gli eredi delle parti simulanti subentrano nella posizione dei rispettivi
danti causa, subendo gli stessi limiti di prova previsti per le parti, con un’eccezione: i legittimari
che agiscono per la reintegrazione della quota di riserva fanno valere un diritto loro personale e
quindi sono considerati terzi, legittimata utilizzare ogni mezzo di prova.
In tal caso, il termine decennale di prescrizione dell’azione di simulazione decorre dal momento
dell’apertura della successione.
Innanzitutto, occorre tener presente la di erenza fra simulazione e frode alla legge o ai
creditori.
Mentre nel negozio simulato gli e etti non sono voluti dalle parti, negli atti in frode gli e etti sono
voluti, sia pure con un intento di frode.
Con la simulazione non deve essere confusa l’intestazione di un bene a nome altrui. Tale
gura ricorre ogni qualvolta in cui un bene viene intestato (non simulatamente) ad un soggetto,
sebbene i mezzi per il suo acquisto siano stati forniti ad un soggetto diverso
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Ciò può accadere in varie fattispecie, es. mandato senza rappresentanza, donazione indiretta,
ecc: i singoli casi vanno disciplinati a seconda degli accordi delle parti e delle nalità da loro
perseguite.
Dal 1 gennaio 1992 è entrata in vigore la Convenzione internazionale relativa alla legge
regolatrice dei trust ed al loro riconoscimento, rmata a L’Aja nel 1985.
Il trust è un istituto sorto nel diritto anglosassone, in forza del quale il settlor = soggetto che
costituisce il trust (la cui costituzione può avvenire sia con un atto unilaterale inter vivos, sia
mortis causa) pone i beni “sotto il controllo” del trustee, a nché quest’ultimo amministri, gestisca
o disponga dei beni conferiti nel trust secondo le istruzioni impartite dal costituente.
La peculiarità dell’istituto consiste nel fatto che i beni del trust, benché siano intestati in nome del
trustee, non fanno parte del patrimonio di quest’ultimo e costituiscono una massa distinta: da ciò
discende che i creditori del settlor non possono pignorare o sequestrati i beni del trust, perché
sono una sorta di patrimonio separato.
PROBLEMA GENERALE
INVALIDITÀ ED INEFFICACIA
L’ordinamento giuridico attribuisce alle dichiarazioni valore di e cacia giuridica, quando rientrino
nei limiti e risponda ai requisiti stabiliti dall’ordinamento.
NULLITA
Il negozio nullo non è solo invalido, ma altresì ine cace, ovvero radicalmente inidoneo per la sua
nullità a produrre gli e etti cui il contratto è orientato, secondo il principio quod nullum est
nullum producit e ectum.
Il codice civile spesso quali ca un atto come nullo, senza speci care cosa comporti tale
quali cazione.
-> es. nullità del matrimonio del coniuge di chi sia stato dichiarato morto presunto, ART 68 cc
-> es. nullità della divisione ereditaria fatta dal testatore dimenticando qualcuno degli eredi istituiti
o legittimari, ART 778 cc
Un atto si dice nullo quando va valutato come inidoneo a produrre gli e etti tipici, ossia gli
e etti cui era preordinato, a prescindere dalla causa di nullità (= vizio): non è però detto che non
possa produrre altri e etti.
Nella legislazione speciale si va di ondendo la nullità di protezione: il contratto viene quali cato
nullo ai ni della tutela delle parti, non già per ragioni di interesse generale o per contrarietà
all’ordine publico.
Caratteristica della nullità di protezione è la deducibilità soltanto ad opera della parte a tutela della
quale la nullità è comminata; il contraente debole, tuttavia, non potrà invocare la nullità se in
concreto l’interesse tutelato non risulti leso o minacciato.
Tale strumento è frequentemente impiegato nei contratti del consumatore e in quelli tra imprese
-> es. clausole vessatorie sono nulle, poiché apposte in danno al consumatore, ART 36 cod
cons.
-> es. subfornitura: nullità dei patti per mezzo dei quali il contraente più forte realizza un abuso di
dipendenza economica, a danno dell’altro.
Dunque, nei casi in cui le singole clausole invalide non in ciano il negozio, il legislatore ha previsto
la sostituzione automatica delle clausole invalide con clausole imposte dalla legge (ART 1339
cc).
-> es. i prezzi stabiliti da norme imperative si sostituiscono automaticamente a quelli previsti
pattiziamente, se contrastanti con le norme imperative.
-> es. la vendita al mercato nero (= vendita di un bene ad un prezzo superiore rispetto a quello
u ciale non è nulla, ma si intende fatta al calmiere (= prezzo di imperio), con conseguente diritto
del compratore di pretendere la merce al prezzo u ciale.
AZIONE DI NULLITÀ
Il negozio nullo non produce alcun e etto giuridico; questo, però, non signi ca che esso non
possa essere materialmente eseguito.
Come un atto e cace può non essere materialmente seguito, così anche l’atto non e cace può
essere in toto o in parte eseguito.
-> es. certamente nullo è il contratto con cui il sicario si impegnai uccidere una persona contro un
compenso in denaro, ma ciò non esclude che tale contratto non vengo eseguito ugualmente.
Naturalmente, ciascuna delle parti ha diritto alla restituzione della prestazione eseguita in
attuazione di un contratto nullo, a meno che non si tratti di prestazioni immorali (ART 2035 cc).
Il contratto nullo non può produrre gli e etti per realizzare ciò per cui era stato posto in essere.
La legge tuttavia ammette la conversione, grazie alla quale talvolta si può attuare un fenomeno di
trasformazione o di limitazione di quanto pattuito e che l’atto di autonomia può produrre alcuni
e etti.
In concreto, è il giudice a rendere operante la conversione: essa si produce in forza di legge, non
di una rinnovata manifestazione di un consenso negoziale fra le parti.
Peraltro, poiché il giudice deve rispettare il fondamentale principio ne eat iudex extra petita
partium, occorre che la parte interessata alla conversione solleciti una pronuncia in tal senso.
-> es. sia insorta tra le parti una controversia, in modo che l’una parte pretenda l’esecuzione del
contratto, mentre l’altra ne a ermi la nullità. La parte intenzionata a dare comunque una qualche
attuazione all’operazione, potrebbe domandare al giudice che qualora quali casse come nullo il
contratto, emetta la sentenza che faccia produrre all’atto concertazione perfezionato gli e etti di
un contratto di diverso tip, del quale suscitano i requisiti di sostanza e di forma.
-> es. l’atto costitutivo della servitù prediale sorto verbalmente: violando esso l’ART 1350 cc, esso
è da considerarsi nullo, in quanto inidoneo alla costituzione di un diritto reale; tuttavia, una parte
può domandare che essa assuma e cacia meramente obbligatoria (dunque, che tale obbligo non
si trasferisca inc amo ai successivi proprietari del fondo servente) -> da actio in rem viene
costituita un’actio in personam.
A questo tipo di conversione, che esige un’indagine sulla volontà delle parti, si contrappone la
conversione formale, che invece opera automaticamente.
-> documento formato senza la formalità prescritta: esso vale come scrittura privata, se
sottoscritto dalle parti, perché possa considerarsi un atto pubblico.
-> es. testamento segreto: che manchi di qualche requisito duo proprio, ha e etto come il
testamento olografo.
Diversa dalla conversione è la rinnovazione: nel caso della rinnovazione, le parti pongono in
essere un nuovo negozio, privo del vizio che dava luogo alla nullità del precedente.
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Nel caso della conversione, invece, non vi è una nuova manifestazione di volontà da parte delle
parti: è l’ordinamento giuridico che attribuisce al tipo di negozio svolto dalle parti ma nullo come
tale la capacità di produce e etti di un negozio giuridico diverso.
Se il negozio nullo sia stato eseguito, si può pretendere la restituzione delle prestazione seguite,
secondo la disciplina di ripetizione dell’indebito (ART 2033 cc).
Occorre altresì rammentare che l’azione di nullità è imprescrittibile, ma restano salvi gli e etti:
1) Usucapione
2) Prescrizione dell’azione di ripetizione
Per poter ottenere la restituzione della res, dovrà agire prima che sia maturata l’usucapione a
favore dell’acquirente colui che abbia venduto un bene in forza di contratto nullo ed abbia
consegnato la cosa venduta.
Analogamente colui he abbia eseguito una prestazione (es. pagato una somma di denaro)
ANNULLABILITA
L’annullabilità costituisce un’anomalia di minore gravità rispetto alla nullità: in genere, essa deriva
dall’inosservanza delle regole, pur dettate nell’interesse generale, mirano a proteggere in
particolare uno dei soggetti coinvolti.
Le cause generali dell’annullabilità previste dal codice civile sono (ART 1425 ss cc):
• Incapacità legale o naturale del contraente, ART 1425 cc:
- Incapacità legale: causa di annullamento del contratto, con la sola esclusione del minore che
abbia posto in essere raggiri per occultare la propria minore età (ART 1426 cc): in tal caso, il
contratto è valido per tutelare l’altro contraente.
- Incapacità naturale: non basta lo 1) stato di alterazione del soggetto incapace, ma anche la
2) mala fede dell’altro contraente per determinare l’invalidità del contratto.
• Vizi della volontà: errore, violenza, dolo (ART 1427 cc). Il negozio è annullabile perché a etto da
un vizio nel processo volitivo e produce l’e cacia precaria od interinale (= dunque tutti gli e etti
cui era diretto, che possono venire meno se viene accolta la proposta di annullamento).
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L’annullabilità del negozio presenta i seguenti caratteri:
1. Azione costitutiva: l’azione di annullamento, infatti, non si limita ad accertare la situazione
giuridica precedente, ma mira a modi carla: il negozio aveva prodotto i suoi e etti, che la
sentenza di annullamento elimina.
2. Relatività dell’azione di annullamento: la legittimazione alla richiesta dell’annullamento
spetta alla parte nel cui interesse l’invalidità è prevista dalla legge, salvo diversa disposizione
di legge. Dunque, la rimozione degli e etti del negozio è fatta difendere dall’iniziativa della
persona che la legge intende tutelare. Possono talora aversi delle gure di annullabilità
assoluta, come il matrimonio.
3. Non può essere rilevata d’u cio, ma deve essere impugnato dalla parte interessata.
4. Soggetta a prescrizione: termini diversi sono stabiliti per le diverse fattispecie (es.
decadenza di 3 mesi per l’assicuratore dal diritto di agire per l’annullamento di un contratto in
caso di mendacia o reticenza dell’assicurato).
La prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui è cessata la causa che ha dato luogo al
vizio: contra non valentem agere non currit praescriptio
-> es. dal giorno del compimento della maggiore età del minore decorrono i 5 anni, per un
negozio posto in essere da un minore
-> es. la prescrizione inizia a decorrere dal giorno Ion cui si è scoperto l’errore o il dolo, per i
negozi viziati da errore o da dolo
Negli altri casi, la prescrizione comincia a decorrere da quando il negozio è stato concluso.
Ovviamente, se la domanda giudiziale di annullamento viene proposta dopo che è stato
stipulato il contratto, l’attore ha l’onere di provare che la scoperta dell’errore o del raggiro o la
cessazione delle minacce si sono veri cate entro e non oltre quel quinquennio.
5. L’eccezione può essere sollevata in ogni tempo dalla parte convenuta in giudizio per
l’esecuzione del contratto: quae temporalia ad agendum perpetua ad excipiendum. Se così
non fosse, infatti, la parte non legittimata a far valere l’invalidità potrebbe attendere la
prescrizione di 5 anni dell’azione di annullamento senza far valere l’atto viziato e poi
pretendere il suo adempimento.
È evidente che l’imprescrittibilità dell’eccezione risulta concretamente utile alla parte
legittimata a rilevare l’annullabilità soltanto se il contratto non sia da essa eseguito: se Tizio,
caduto in errore, abbia eseguito il contratto, egli ha solo diritto alla ripetizione di quanto abbia
pagato.
5. L’annullabilità è sanabile, attraverso la convalida del negozio
EFFETTI DELL’ANNULLAMENTO
Tuttavia, se il negozio è annullato per incapacità di uno dei contraenti, l’incapace è tenuto a
restituire la prestazione ricevuta solo nei limiti in cui essa è stata rivolta a suo vantaggio (ART
1443 cc)
L’e cacia dell’annullamento nei confronti di terzi è regolata dall’ART 1445 cc.
In linea generale, i diritti acquistati da terzi dipendenti da un contratto annullato (subacquirenti),
sono fatti salvi a condizione che l’acquisto sia a titolo oneroso e sussista la buona fede: la ratio
è di tutelare chi ha fatto a damento sulla validità del contratto, ha sostenuto in buona fede un
sacri cio economico.
Se però l’annullamento dipende da incapacità di una delle due parti, viene anche qui applicato il
principio dell’e cacia retroattiva: ciò per l’esigenza di un’accentuata tutela dell’incapace e della
potenziale conoscibilità del vizio da parte del terzo.
Inoltre, occorre tenere presente la rilevanza della trascrizione nei diritti reali immobiliari: in
generale, la trascrizione della domanda di annullamento rende 1) opponibile la relativa sentenza a
tutti coloro che abbiano acquistato diritti in base ad atti trascritti successivamente.
(indipendentemente dall’onerosità e dalla buona o mala fede).
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La disciplina della trascrizione 2) pone un’eccezione alla regola dell’e cacia erga omnes
dell’annullamento dipendente da incapacità legale: se la domanda è trascritta dopo il decorso di
5 anni dalla trascrizione dell’atto impugnato, la sentenza di annullamento non incide sui diritti
acquistati a qualunque titolo dai terzi in buona fede.
Inoltre, la parte che con la propria condotta abbia determinato la causa all’invalidità del contratto
potrà essere responsabile verso l’altra parte ai sensi dell’ART 1338 cc.
CONVALIDA
Il negozio annullabile può essere sanato con la convalida, ART 1444 cc.
La convalida è un negozio con il quale la parte legittimata a proporre l’azione di annullamento si
preclude la possibilità di far valere il vizio.
La convalida non va confusa con la rati ca, con cui l’interessato fa proprio il negozio compiuto
da rappresentante.
La ratio della convalida consiste nella disponibilità del potere di impugnare il contratto:
pertanto, nell’ipotesi di annullabilità assoluta, in cui la legittimazione alla relativa azione è
attribuita a chiunque ne abbia interesse, la convalida non è possibile: essa è infatti nalizzata a
tutelare interessi che trascendono quelli individuali dei contraenti.
Di regola, il legislatore non si preoccupa dell’equilibrio dello scambio: sono le parti a de nire i
termini economici dell’operazione e a valutare la convenienza dell’a are (ART 1322 cc).
Tuttavia, la legge appresta delle tutele di tipo estrinseco e procedimentale:
• Annullamento del contratto: quando la parte sia stata incapace di autodeterminarsi o la sua
volontà sia stata viziata
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• Rescissione del contratto: tutela la parte da cui decisione di stipulare un certo contratto sia
stata condizionata da particolari condizioni che l’hanno indotta ad accettare un contratto a lei
pregiudizievole
Nella stragrande maggioranza dei casi, dunque, un’opera viene prestata a favore di chi ha chiesto
il soccorso ed è giusto che sia ricompensata; dunque, l’ART 1447 comma 2 cc attribuisce al
giudice il potere di assegnare, secondo le circostanze, un equo compenso al soccorritore.
Il codice ha voluto o rire rimedio ai contratti sinallagmatici in cui vi sia una sproporzione abnorme
fra le due prestazioni, provvedendo ad un’azione a carattere generale, esperibile rispetto a
qualunque tipo di contratto.
La nuova disciplina di usura prevede che sia illecita l’usura reale, che si manifesta in ogni
pattuizione volta a far conseguire dei vantaggi usurari ad una delle parti, anche quindi in forma
diversa dalla pattuizione di interessi pecuniari.
Tali pattuizioni hanno diviso la dottrina:
- Il contratto viziato da appro ttamento usurario è da ritenere nullo in quanto illecito
- La disciplina della rescissione ultra dimidium mantenga uno spazio di operatività nei casi in cui
la sproporzione del contratto non integri gli estremi del reato di usura: ai ni della rescissione
è dunque su ciente la consapevolezza di trarre una sproporzionata utilità economica, mentre
nel reato di usura vi è un comportamento diretto ad operare sulla determinazione della volontà
del contraente bisognoso.
La risoluzione del contratto, ossia lo scioglimento del vincolo contrattuale e la cessazione degli
e etti da esso derivanti è prevista per anomalie funzionali, che impediscono la concreta
attuazione del regolamento di interessi disciplinato dal contratto.
Ciò accade in particolare:
1) Per inadempimento (ART 1453 cc)
2) Per impossibilità sopravvenuta (ART 1463 cc)
3) Per eccessiva onerosità (ART 1467 cc)
Per tutelarsi dall’inadempimento dell’altra parte, la parte adempiente può dunque procedere in
due modi:
• Chiedere la manutenzione del contratto e dunque la condanna di inadempimento, insistendo
dunque per l’adempimento degli accordi
• Agire per la risoluzione del contratto, per e etto della quale il contratto viene sciolto con e etti
retroattivi, ART 1453 cc.
In entrambi i casi il contraente che abbia adempiuto ha diritto di pretendere il risarcimento dei
danni subiti, ma vanno però calcolati in modo diverso nelle due ipotesi:
• Manutenzione -> risarcimento per inadempimento relativo: l’adempimento della controparte è
ancora possibile e si tratta di un ritardo. La parte adempiente potrà richiedere alla controparte il
1) risarcimento dei danni + 2) la prestazione originariamente spettategli, tenendosi pronto a
fornire la controprestazione.
La giurisprudenza ritiene che l’azione di adempimento interrompa anche la prescrizione relativa
all’azione di risoluzione e di risarcimento.
• Risoluzione -> risarcimento per inadempimento totale: il risarcimento si sostituisce alla
prestazione originariamente dovuta; esso dunque è commisurato al pregiudizio per non aver
ricevuto la prestazione e non al semplice danno da ritardo.
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È necessario distinguere due ipotesi:
- Se la parte non ha ancora fornito la controprestazione, non dovrà più adempierla.
- Se la parte ha già eseguito la controprestazione, ne potrà richiedere la restituzione
La risoluzione consente dunque al contraente di sciogliersi da un vincolo contrattuale che non ha
funzionato.
È da notare che, qualora venga proposta l’azione di manutenzione, può poi essere proposta la
risoluzione del contratto.
Viceversa, una volta richiesta la risoluzione del contratto non è più possibile chiedere l’azione di
manutenzione, secondo il principio electa una via non datur recursus ad alteram.
L’ART 1453 cc pone questo principio quando la parte che chiede la risoluzione implicitamente
dichiara di non aver più interesse nell’attuazione del contratto, cosicché l’altro contraente
potrebbe ritenersi dispensato dall’onere di predisporre quando dovrebbe per l’esecuzione della
prestazione: ciò potrebbe comportargli un pregiudizio, qualora dovesse far fronte ad una nuova
richiesta di esecuzione del contratto.
La legge stabilisce che a partire dalla data della domanda di risoluzione, l’inadempiente non può
più rimediare alla precedente violazione del contratto con una tardiva esecuzione della
prestazione da lui dovuta: l’altra parte sarebbe infatti legittimata a ri utare la prestazione o erta
dopo la presentazione della domanda di risoluzione al giudice.
Benché la legge faccia esclusivo riferimento all’ART 1453 cc alla proposizione della domanda,
secondo la giurisprudenza il contraente può ri utare la prestazione tardivamente o ertagli anche
se non abbia ancora introdotto un procedimento giudiziario per la risoluzione del contratto: è
su ciente, infatti, che l’inadempimento abbia raggiunto una gravità tale da giusti care la
risoluzione del contratto.
Le ragioni pratiche che possono indurre un contraente alla richiesta dell’azione di risoluzione del
contratto sono:
• Se la parte non inadempiente non ha ancora eseguito la prestazione: 1) s ducia della
capacità o della volontà dell’altro contraente di dare esecuzione al contratto; 2) bisogno di
procurarsi altrove la prestazione, liberandosi anche dall’obbligo di eseguire la controprestazione
nel caso di adempimento tardivo; 3) desiderio di sciogliersi da un a are che ormai non si ritiene
più conveniente
• Se la parte non inadempiente abbia già e ettuato la prestazione: preoccupazione di perdere
anche la prestazione già eseguita senza ottenere la controprestazione, con interesse a
recuperare in natura quanto è già stato versato dalla controparte
Per ottenere la risoluzione occorre proporre una domanda giudiziale e, in caso di contestazione,
spetterà al giudice 1) accertare se veramente vi sia stato inadempimento del contratto e 2) se ne
sia responsabile il convenuto. -> risoluzione ore iudicis = attraverso una sentenza
La sentenza è di natura costitutiva, poiché determina un e etto giuridico particolare:
• Scioglimento del vincolo che il contratto aveva prodotto
• Liberazione dai conseguenti obblighi
• Rimozione degli eventuali e etti traslativi prodotti
Per risolvere il contratto, il giudice deve accertare che l’inadempimento non abbia scarsa
importanza, ciò al ne:
1. Veri care che l’inadempimento abbia inciso in misura apprezzabile nell’economia complessiva
del rapporto obbligatorio
2. Tenere in considerazione degli eventuali elementi di carattere soggettivo consistenti nel
comportamento di entrambe le parti, che possano attenuare il giudizio di gravità
La risoluzione ha e etto retroattivo (ART 1458 cc): essa dunque non produce e etti per
l’avvenire e sono anche rimossi gli e etti traslativi obbligatori già prodottisi, sicché le prestazioni
già eseguite devono essere restituite.
Tuttavia, la retroattività non opera quando si tratti di contratti ad esecuzione continuata o
periodica, relativamente alle prestazioni già eseguite.
Nel caso di risoluzione del contratto, l’alienante ha diritto alla restituzione della res; peraltro,
poiché la legge speci ca che la regola della retroattività opera esclusivamente tra le parti, sono
salvi i diritti eventualmente acquistati a terzi (es. se il compratore prima della risoluzione della
compravendita abbia già venduto o dato in pegno a terzi).
Se la domanda di risoluzione è stata trascritta, la sentenza che accoglie quella domanda è
opponibile a terzi che abbiano acquistato diritti sull’immobile oggetto del contratto risolto a
seguito della trascrizione (ART 1458 cc).
RISOLUZIONE DI DIRITTO
La risoluzione del contratto può avvenire anche ipso iure (= di diritto), oltre che ore iudicis, ossia
per e etto di una sentenza del giudice.
Ciò accade in tre casi:
1) Clausola risolutiva espressa (ART 1456 cc): è la clausola contrattuale con la quale le
parti prevedono espressamente che il contratto dovrà considerarsi automaticamente risolto,
qualora una o più determinate obbligazioni che siano state indicate espressamente non negano
adempiute; a questo proposto, non avrebbe dunque valore una clausola che prevedesse
genericamente in caso di “inadempimento del contratto”.
Quando in un contratto gura una clausola risolutiva espressa, la risoluzione si veri ca quando la
parte non inadempiente abbia deciso di esercitare il suo diritto potestativo e comunichi all’altra
parte che intende avvalersene. Si tratta dunque di una dichiarazione e che produce lo
scioglimento del contratto.
A partire dal momento in cui viene manifestata detta dichiarazione, un’o erta di adempimento
tardivo può essere legittimamente ri utata dal contraente che voglia procede con la risoluzione;
se, invece, il creditore avesse mostrato tolleranza nei confronti del debitori rendendo la clausola
risolutiva momentaneamente inoperante, essa tornerebbe ad essere e cace con una nuova
manifestazione di volontà da parte del primo.
È chiara l’importanza rivestita da tale clausola:
• La parte tenuta ad eseguire la prestazione oggetto di clausola risolutiva è spinta a non rendersi
inadempiente: per solvere il contratto, infatti, la controparte può agire ipso iure, senza dover
porre una domanda giudiziale.
• La clausola risolutiva espressa supera la necessità di una valutazione giudiziale della gravità
dell’inadempimento, che è stato determinato dalle parti ex ante.
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Anche in una clausola risolutiva potrà essere inevitabile l’intervento del giudice qualora tra le parti
sorga una lite (es. sull’e ettiva sussistenza dell’inadempimento): in questo caso la sentenza avrà
natura dichiarativa, poiché la risoluzione è già l’e etto della dichiarazione del contraente e il
giudice con la sua decisione si limita ad accertare che la risoluzione si sia veri cata; nel caso della
risoluzione ore iudicis la sentenza aveva invece natura costitutiva.
La giurisprudenza ha avuto modo di precisare che la clausola risolutiva espressa non è tra le
clausole vessatorie dell’ART 1341 cc.
2) Di da ad adempiere (ART 1454 cc): una dichiarazione scritta, con la quale si intima
l’altro contraente di provvedere all’adempimento entro un termine che non può essere inferiore a
15 giorni, decorso il quale il contratto si intenda senz’altro risolto, se non si sia adempiuto.
3) Termine essenziale (ART 1457 cc): il termine si dice essenziale quando la prestazione
diventa inutile per il creditore se non venga eseguita entro il termine stabilito: il tempo
dell’adempimento penetra dunque nell’essenza stessa della prestazione (es. il sarto che deve
consegnare l’abito da sposa per il giorno del matrimonio).
L’essenzialità del termine si dice 1) oggettiva: quando deriva dalla natura stessa della prestazione
che può essere utile per il creditore solo quando venga eseguita nei modi e tempi pattuiti; 2)
soggettiva: dalle pattuizioni contrattuali risulti espressamente od implicitamente escluso
l’interesse del creditore all’esecuzione della prestazione oltre il termine indicato (non valgono a
tendere essenziale il termine le clausole di stile, es. “entro e non oltre”)
In caso di inadempimento, se riguarda da contratto a prestazioni corrispettive, determina la
risoluzione ipso iure del contratto, senza bisogno di dichiarazione alcuna dalla parte non
inadempiente.
Tuttavia, se questa è disposta a mantenere in vita il contratto, deve dare notizia all’altra parte della
sua decisione entro 3 giorni dalla scadenza del termine rimasto inosservato.
ECCEZIONE DI INADEMPIMENTO
Nei contratti a prestazioni corrispettive, la legge o re rimedi che tutelano la parte adempiente, pur
non eliminando il contratto alla radice.
Chiaramente, se viene prestata idonea garanzia cessa il pericolo che la prestazione non sia
conseguita e la sospensione non ha alcuna giusti cazione.
La previsione o re un mezzo di tutela alla parte che sia tenuta ad adempiere prima dell’altra e
che dunque non potrebbe giovarsi dell’eccezione di inadempimento.
Si tratta però di una tutela più di cile da attuare, poiché chi si voglia avvalere del 1461 cc deve
dare la di cile prova di un peggioramento delle condizioni economiche dell’altra parte rispetto al
momento in cui il contratto venne stipulato; chi voglia invocare l’ART 1460 cc deve allegare il
mancato contestuale o anteriore inadempimento.
La dinamica della corrispettività importa che una delle parti possa ri utarsi di adempiere alla
propria prestazione, se l’altra non adempie quella da essa dovuta o se vi è fondato timore che si
renda inadempiente.
Questo principio è stabilito nell’interesse delle parti che, perciò, possono rinunciarvi.
Una delle parti può assicurarsi, mediante la clausola solve et repete, una particolare protezione
ai ni dell’adempimento della prestazione da essa dovuta.
Infatti, si può stabilire che una delle parti non possa opporre eccezioni al ne di evitare o tardare
l’adempimento: prima paghi e poi agisca in giudizio per ottenere la ripetizione di quanto
pagato, per ottenere la ripetizione totale o parziale di ciò che ha pagato.
-> es. nei contratti di locazione, di regola è previsto che l’inquilino non possa tardare il pagamento
della pigione, non potendo eccepire ad es al locatore di non aver fatto le riparazioni dovute.
La ratio della clausola solve et repete è di ra orzare il vincolo contrattuale, assicurando una
maggior tutela del credito ad una delle parti,.
Peraltro, il legislatore stabilisce nell’ART 1462 cc alcuni limiti d’e cacia per la clausola solve et
repete:
• Non ha e etto per le eccezioni di 1) nullità, 2 annullabilità, 3) rescissione del contratto
(poiché mettono in dubbio l’e cacia dell’intero negozio e quindi della clausola medesima:
possono dunque sempre essere sollevate)
• Il giudice può sospendere la condanna all’adempimento della prestazione se riconosce che
sussistono gravi motivi (se vi è già una prova piena o semipiena su una possibile pronta
indagine sull’eccezione)
Peraltro, tale clausola è quali cata come vessatoria nell’ART 1341 cc e per quanto riguarda i
contratti con il consumatore, ai sensi dell’ART 33 cod cons.
Se la proprietà della res è passata all’acquirente, res perit domino: egli dunque è tenuto alla
corresponsione della controprestazione stabilita: l’alienante ha compiuto la sua prestazione e il
perimento della cosa ha avuto e etti negativi nella sfera giuridica dell’acquirente che ormai è il
proprietario.
Il venditore è chiaramente obbligato a consegnare il bene venduto (ART 1476 cc) e risponde
dell’inadempimento di tale obbligazione.
Qualora, però, il vettore per propria negligenza smarrisce, lascia perire o non impedisce il furto
della cosa, risponde per inadempimento dell’obbligazione di consegna.
Se, invece, dopo il trasferimento della proprietà ma prima della traditio la cosa va distrutta
per caso fortuito, res perit domino e dunque non solo l’alienante non è responsabile di tale
perdita, ma il venditore ha anche il diritto del pagamento del prezzo da parte del compratore.
Il criterio di ripartizione del rischio si applica anche nel caso in cui l’e etto traslativo o
costitutivo del negozio riferentesi a cosa determinata sia sottosto a termine: qui la giusti cazione
è data dalla considerazione che l’alienante ha prestato tutta la cooperazione che da parte sua era
necessaria per il veri carsi dell’e etto traslativo, con la manifestazione del suo consenso.
In deroga al principio della retroattività della condizione, il rischio relativo al perimento della cosa
in pendenza della condizione sospensiva è addossato all’alienante.
Nei contratti plurilaterali, l’impossibilità della prestazione dovuta ad uno dei contraenti comporta
lo scioglimento del contratto soltanto relativamente a quest’ultimo, mentre rimane e cace tra le
altre parti, a meno che la prestazione divenuta impossibile non avesse carattere essenziale per
l’intera economia del contratto.
Quando tra il momento della stipulazione del contratto e quello della sua esecuzione intercorre un
certo lasso di tempo nei contratti ad esecuzione 1) di erita, 2) continuata, 3) periodica, può
accadere che si veri chino eventi tali da modi care l’originaria valutazione dell’una o dell’altra
parte circa la convenienza economica dell’operazione programmata.
Se, però, ciascuna delle parti potesse invocare i fatti sopravvenuti per liberarsi dai vincoli
contrattuali risulterebbe pregiudicata la certezza dei rapporti negoziali e la regolarità dei tra ci.
La risoluzione del contratto non può essere concessa quando l’onerosità sopravvenuta non
supera l’alea normale che ogni operazione protratta nel tempo presenta.
-> es. è normale che il commerciante che deve consegnare un mese tra qualche mese veda
oscillare il prezzo del suo bene, dunque tali oscillazioni saranno irrilevanti giudizialmente, a meno
che tali oscillazioni non superino il limite ragionevolmente prevedibile.
La riduzione per eccessiva onerosità non si applica ai patti aleatori, poiché in essi sia l’an sia il
quantum sono incerti, sicché le parti si sottopongono al rischio di futuri accadimenti
-> es. l’assicurazione non sa se l’assicuratore dovrà mai pagare o meno un indennizzo).
Analogamente alla rescissione del contratto, la parte contro cui è domandata la risoluzione può
procedere con l’o erta a riduzione ad equità, ossia evitare la risoluzione del contratto o rendo
di modi care equamente le condizioni del contratto, no a ricondurre il rapporto tra le prestazioni
entro i limiti dell’alea normale del contratto; in questo caso, si veri ca la revisione del contratto e
non la risoluzione dello stesso.
Nei contratti in cui una sola parte ha assunto delle obbligazioni, l’eccessiva onerosità non dà
luogo alla risoluzione del contratto, ma solo alla rivedibilità: dunque, la parte obbligata può
chiedere una 1) riduzione della sua prestazione o 2) una modi cazione delle modalità di
esecuzione, riconducendo il contratto ad equità.
Il rimedio della risoluzione per eccessiva onerosità presenta alcuni limiti operativi signi cativi:
infatti, esso ha una parte esclusivamente demolitoria del contratto, poiché la possibilità di
recuperarne gli e etti è rimessa alla scelta della parte convenuta, a cui vantaggio va la
sproporzione sopravvenuta, che è libera di decidere se formulare o meno o erta di riduzione ad
equità.
Tale assetto appare insoddisfacente, dunque da più parti si teorizza un obbligo giuridico a
rinegoziare il contratto in buona fede, per rivederne l’assetto e ripristinare l’equilibrio dello
scambio; valore, con le clausole di hardship, è il contratto a prevedere tale obbligo.
La dottrina è dunque spinta a prospettare un obbligo legale di rinegoziare il contratto alterato
dalle sopravvenienze, individuandone il fondamento 1) di equità integrativa + 2) degli obblighi di
buona fede (ART 1375).
La giurisprudenza si è mostrata maggiormente esitante a riguardo, presentando però interessanti
aperture a ritardo a seguito della pandemia Covid-19: infatti, già prima della pandemia era stato
disegnato un disegno di legge volto a porre l’obbligo legale alla rinegoziazione.
Dunque, il tema è ancora aperto.
PRESUPPOSIZIONE
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La gura della presupposizione non è prevista dalla legge, ma costituisce uno strumento
elaborato dalla dottrina e recepito dalla prassi giurisprudenziale, seppure con cautela.
Il problema si pone quando la situazione presupposta muta o l’evento non si veri ca:
l’assenza di una speci ca disciplina giuridica di tale eventualità pone il problema di stabilire ciò
che possa assumere rilevanza.
Dottrina e giurisprudenza sono a riguardo incerte:
- Da un lato, vige il principio dell’irrilevanza dei motivi non dichiarati e della mancanza di
qualsiasi norma di legge che attribuisca importanza alla presupposizione
- Dall’altro, il rispetto della buona fede esige di accordare tutela alla parte il cui consenso era
strettamente condizionato
La giurisprudenza, infatti, prevale con l’orientamento favorevole a concedere tutela alla parte
che ha visto vani cati i presupposti dell’accordo, sempre sulla base di obiettivi riscontri che la
parte non adduca motivazioni soggettive per liberarsi dal vincolo contrattuale.
La giurisprudenza ha già delineato i caratteri della gura della presupposizione, così come la sua
ricognizione nel concreto, poiché tale operazione attiene ad una mera quaestio facti.
Il problema più delicato consiste peraltro nell’individuazione dello speci co rimedio giuridico
utilizzabile nel caso in cui il presupposto negoziale venga meno.
Le proposte formulate sono varie:
1. Il contratto diviene ine cace, ricalcando il modello di contratto condizionato, riferendosi alla
nozione di causa in concreto del contratto
2. Risoluzione per eccessiva onerosità
3. Risoluzione per impossibilità sopravvenuta
4. Diritto di recedere al contratto, come a erma una recente sentenza della Corte di
Cassazione
5. Caducazione del regolamento negoziale, facendo riferimento all’ART 1467 cc, utilizzando
tale articolo come strumento di controllo delle sopravvenienze
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Trattandosi di un istituto di fonte giurisprudenziale e non cristallizzato in una norma, esso è
esposto a mutare di indirizzi e non ha ancora ricevuto una sistemazione de nitiva.
SINGOLI CONTRATTI
I contratti del consumatore non costituiscono un autonomo tipo contrattuale, cioè non realizzano
un autonomo modello di operazione economica (es. vendita).
Tuttavia, la legislazione ha fatto emergere negli ultimi decenni una disciplina in generale
applicabile ai contratti stipulati dai consumatori, qualunque ne sia il tipo.
La tutela legale del consumatore eccede il regime dell’attività contrattuale del consumatore stesso
(es. la disciplina del venditore che mette in vendita prodotti difettosi).
Inoltre, la disciplina di settore ha introdotto appositi strumenti di tutela giurisdizionale in favore dei
consumatori: alla luce di tutto ciò, appare dunque appropriato parlare di diritto del consumatore,
sebbene si tratti ancora di una disciplina disorganica, anche a causa della sua incessante
evoluzione e nonostante i tentativi di riordino, il più signi cativo dei quali è stato il D.Lgs
settembre 2005 con il Codice del consumo.
Tale distinzione sussistette no all’entrata in vigore del Codice Civile del 1942, nella divisione tra
il Codice Civile del 1865 e il Codice del Commercio.
A ciò scaturirono due sistemi paralleli (es. la vendita commerciale era diversa dalla vendita civile; i
rapporti obbligatori nascenti da commercio prevedevano una tutela del debitorie più intesa,
mentre in quelli civili non sussisteva il favor debitoris).
L’uni cazione del diritto privato in un solo codice ha permesso il superamento di tale
divaricazione.
Nel Code Napoleon, il contratto assolveva un’importante funzione nell’ambito sociale, in quanto
esplicazione dell’autonomia contrattuale dei privati e mezzo di scambi basato sulla parità formale
delle parti.
Negli anni successivi alla seconda guerra mondiale, tuttavia, sopraggiunse la consapevolezza che
la di usione dei nuovi scambi di massa poneva nuovi problemi: infatti, la parità formale molto
spesso non corrispondeva ad una parità sostanziale dei contraenti.
Difatti, sebbene l’ART 1322 cc stabilisce che le parti hanno potere di determinare liberamente il
contenuto del contratto, in realtà la parità delle parti dei contraenti è solo apparente, ad esempio
perché 1) una ha una preponderante forza economica; 2) una dispone di conoscenze tecniche e
giuridiche superiori all’altra; 3) una può mettere in atto e caci mezzi di persuasione per indurre
l’altra al negoziato (es. pubblicità commerciale).
Il codice civile ha apprestato una prima forma di tutela per mezzo delle disposizioni ARTT
1341-1342 cc: tale strumento si rivelò poi poco e cace, poiché si limita a prescrivere un
requisito formale.
-> es. l’esistenza di approvazione speci ca per iscritto delle clausole vessatorie
Dunque, si sono succeduti i primi interventi legislativi volti a ra orzare tale tutela; il materiale
normativo accumulatori negli anni oggi è organizzato in un Testo Unico, il Codice del Consumo.
Esso costituisce il preso normativo oggi più importante, sebbene non esaurisca il diritto dei
consumatori.
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Nell’ART 2 cod cons, il codice del consumo enumera i dirti fondamentali del consumatore, ossia il
diritto:
1. Alla salute
2. Alla sicurezza e alla qualità dei prodotti
3. Ad un’adeguata informazione e corretta pubblicità
4. Al fatto che le pratiche commerciali siano eseguite secondo buona fede, correttezza e lealtà
5. All’educazione al consumo
6. Correttezza, trasparenza, equità
7. Promozione dell’associazionismo nei rapporti contrattuali
8. Erogazione di servizi pubblici secondo gli standard di qualità ed e cienza
La disciplina in esame si applica a presupposti di ordine soggettivo, correlati alle qualità delle
parti.
In particolare, una deve essere una di esse è il consumatore, mentre l’altra il professionista: la
disciplina in oggetto non si applica ai contratti in cui entrambe le parti siano professionisti o
nessuna delle due lo sia.
Un certo individuo può essere professionista o consumatore, a seconda del contesto in cui viene
posta in essere l’operazione professionistica od imprenditoriale: la Suprema Corte ha infatti
a ermato che la disciplina del consumatore può essere applicata a tutte le persone siche che
perfezionino un contratto volto a soddisfare le esigenze della vita quotidiana estranee all’esercizio
della propria attività.
Oggetto di tutela del consumatore è il contenuto del contatto, il particolare per le clausole
vessatorie che il professionista è in grado di imporre al consumatore, nell’attività di contrattazione
standardizzata.
Tale disciplina è da contestualizzarsi all’interno del processo evolutivo che ha portato a sostituire
una tutela solo formale ad una tutela sostanziale del consumatore, imperniata su una
comminatoria di invalidità della clausola concretante un abuso ai danni del consumatore.
Nel codice l’ART 1469-bis opera un coordinamento signi cativo sul piano sistematico, che
stabilisce che le norme del codice civile sul contratto in generale “si applicano anche ai contratti
del consumatore, dove non siano derogate dal codice del consumo o da altre disposizioni più
favorevoli per il consumatore”.
La legge pone un’enunciazione di ordina generale nell’ART 33 cod cons “si considerano clausole
vessatorie le clausole che, malgrado la buona fede, determinano a carico del consumatore
un signi cativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti da contratto”.
La disposizione fa riferimento a:
• Buona fede: è sorto il dubbio se si intenda:
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- In senso soggettivo: inconsapevolezza di ledere l’altrui diritto -> le clausole sono quali cate
come vessatorie anche se il disponente era in buona fede, ossia non aveva intenzione di
comprimere i diritti dell’altra parte
- In senso oggettivo: dovere di correttezza e lealtà -> sono abusive le clausole che, in
contrasto con il principio di buona fede, concretano un abuso in danno dell’altra parte.
Senz’altro, è da condividere quest’ultima lettura, più aderente all’origine e alla ratio del testo
normativo.
• Il carattere vessatorio attiene il regolamento contrattuale e non alle condizioni economiche
dello scambio; la legge non reprime uno squilibrio del valore delle prestazioni, ma la grave
disparità dei diritti e degli obblighi delle parti.
Infatti, l’ART 34 cod cons stabilisce che possono considerarsi vessatorie le clausole che
attengono:
- Alla determinazione dell’oggetto del contratto
- All’adeguatezza del corrispettivo di beni o servizi
- Purché tali elementi siano individuati in maniera chiara e comprensibile
Non possono considerarsi vessatorie le clausole che riproducono disposizioni di legge.
La legge procede poi con una distinzione all’interno delle clausole vessatorie:
• Quelle che la legge presume che abbiano carattere vessatorio: costituiscono il numero maggiore
di clausole vessatorie e “si presumono vessatorie, no a prova contraria” tutte le clausole
poste in un lungo elenco posto all’ART 33, comma 2 cod cons.
Queste non sono necessariamente vessatorie, perché è lasciata al professionista la possibilità di
provare che queste clausole non erano state imposte unilateralmente, perché avevano formato
oggetto di trattativa individuale, ossia uno speci co negoziato tra consumatore e professionista.
Per vincere la presunzione di vessatorietà di una clausola:
- Il professionista ha l’onere di provare un e ettivo negoziato sulla clausola (non abiterebbe
al professionista aggiungere al formulario una generica dichiarazione con la quale l’aderente
dichiarasse di aver negoziato una o più clausole vessatorie.
- Dimostrando che nel caso speci co valutando singolarmente la clausola nel contesto
complessivo delle previsioni negoziali essa non determini nel concreto un e ettivo squilibrio
dei diritti e degli obblighi , tenendo conto 1) della natura del bene o del servizio; 2) delle
circostanze; 3) delle altre clausole.
É stabilita una deroga per i contratti relativi 1) alla prestazione di servizi nanziari; 2) aventi
oggetto prodotti o servizi aventi un prezzo collegato all’indice di borsa
• Quelle che sono sempre ritenute vessatorie, senza la possibilità di prova contraria.
Si tratta delle clausole enumerate dall’ART 36 cod cons: esse sono sempre invalide, anche se
siano state oggetto di una speci ca trattativa e per questo il relativo elenco è de nito black
List.
-> es. le clausole che limitano la responsabilità del professionista nel caso di morte/danno della
persona del consumatore
-> es. le clausole che limitano le azioni del consumatore in caso di inadempimento
-> es. le clausole che tendono a rendere e caci nei confronti del consumatore delle clausole
che non erano da lui conosciute prima della conclusione del contratto.
È imposto l’obbligo di trasparenza: se le clausole vessatorie sono redatte per iscritto, esse
devono essere redatte in modo chiaro e comprensibile
Inoltre, è posta una regola ermeneutica: in caso di clausola vessatoria di dubbia interpretazione,
prevale l’interpretazione contra stipulatorem.
Le clausole vessatorie sono nulle ai sensi dell’ART 36 cod cons: si parla di nullità di protezione,
con gurabile come la nullità delle clausole.
È importante rimarcare che non è il contratto ad essere a etto da nullità: infatti, se così non fosse,
il professionista potrebbe sostenere la propagazione della nullità all’intero contratto con l’e etto
paradossale di vani care in toto la protezione del consumatore.
Il carattere protettivo della nullità emerge nella legge che enuncia che “la nullità opera soltanto a
vantaggio del consumatore e può essere rilevata d’u cio dal giudice”.
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Inoltre, il legislatore ha inteso eludere il rischio che i professionisti, con apposita clausola,
sottoponessero il contratto ad una legge straniera: l’ART 36 cod cons sancisce la nullità di ogni
clausola che, prevedendo l’applicabilità di una legge extra-comunitaria ad un contratto che
presenti un collegamento più stretto con uno stato dell’UE, abbia l’e etto di privare il
consumatore della tutela disposta a suo favore.
Il titolo terzo del libro quarto del codice contiene la disciplina dei contratti nominati o tipici che
sono espressamente regolati dal legislatore, per la loro maggiore frequenza ed importanza.
Non tutti i contratti sono però compresi in questo titolo:
- Accordi di contenuto patrimoniale connessi con rapporti di diritto familiare -> libro I, diritto di
famiglia
- Donazione, per il suo carattere di liberalità -> libro II, testamento
- Contratti di lavoro -> libro V, impresa
L’insieme pur esteso dei contratti tipici contemplati dal codice civile non esaurisce la categoria dei
contratti nominati: sono infatti numerose le leggi che disciplinano speci ca contratti sconosciuti al
codice (es. a liazione commerciale). Sono ancora già numerose le norme che regolano speci ci
contratti, menzionati nel codice civile in via generale, dettando norma applicabili a speci che
fattispecie (es. locazione nei centri urbani).
La libertà contrattuale delle parti rende potenzialmente illimitata la categoria dei contratti atipici
Considerando anche le nalità economiche per cui tali contratti sono pensati, essi possono
essere classi cati in:
• Contratti di scambio: divisibili in:
- Compravendita
- Do ut des
- Do un facias
• Contratti di cooperazione all’altrui attività giuridica
• Contratti bancari
• Contratti aleatori
• Contratti diretti a costituire una garanzia
• Contratti diretti a dirimere una controversia
COMPRAVENDITA
La vendita è un contratto di grande rilevanza sociale, che può essere posta in essere da:
• Produttore, che può collocare sul mercato la propria produzione presso i consumatori o
rivenditori (commercianti)
• Intermediario nella circolazione dei beni, che può a sua volta esercitare:
- Vendita al dettaglio o al minuto: esercita il commercio nei confronti del pubblico
- Vendita all’ingrosso: esercita il commercio nei confronti di altri operatori
• Venditore non professionale, che aliena un determinato cespite con carattere di occasionalità
e di soliti con riguardo a beni già usato (es. vendita di un appartamento)
Anche le connotazioni soggettive delle parti possono in uire su alcuni aspetti del trattamento
giuridico dell’operazione economica.
La compravendita, come a erma l’ART 1470 cc, è il “contratto che ha per oggetto il trasferimento
della proprietà della cosa o il trasferimento di un altro diritto” (es. diritto di credito, diritto reale,
ecc) verso il corrispettivo di un prezzo.
Il prezzo è elemento essenziale della compravendita e consiste in un corrispettivo in denaro: il
fatto che il corrispettivo sia in denaro, infatti, distingue la compravendita dalla permuta (ART 1552
cc).
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Il prezzo dev’essere determinato o determinabile, altrimenti il contratto è nullo; peraltro, il
codice delinea appositi criteri di determinazione del prezzo negli ARTT 1473-1474 cc, in difetto di
apposita previsione delle parti.
La vendita può avere ad oggetto anche realtà complesse (es. eredità, azienda, …)
La vendita ad e etti reali produce il trasferimento della proprietà della cosa o del dritto
compravenduto in virtù del principio consensualistico, regolato dall’ART 1376 cc, quando il
contratto si riferisca a una cosa determinata.
L’acquirente spesso è esposto al rischio che tra la data del perfezionamento della compravendita
e quella della sua trascrizione, venga iscritto o trascritto un gravame idoneo a pregiudicare
l’acquisto del compratore.
Al ne di proteggere l’acquirente da detto rischio, il legislatore ha previsto che il notaio incaricato
della stipula è tenuto al deposito del prezzo su apposito conto vincolato, qualora sia richiesto
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da almeno una delle due parti. Il notaio provvederà a svincolare la somma dell’avente diritto solo
una volta eseguite trascrizione dell’atto e registrazione, veri cata anche l’assenza di gravami
pregiudizievoli. Il conto corrente su cui il notaio tratterrà la somma versata costituisce patrimonio
separato e dunque è impignorabile ed escluso dalla sua successione.
Funzione fondamentale della vendita consiste nel trasferire la titolarità del diritto trasferito in capo
al compratore, con la successiva libera disponibilità del bene venduto.
La legge attribuisce dunque una tutela a favore del compratore, nel caso in cui venga privato del
godimento del bene acquistato o ne subisca una limitazione, per e etto che i diritti che terzi
facciano valere sulla res.
A riguardo, è bene distinguere le tre ipotesi di evizione totale, evizione parziale e la cosa gravata
da oneri e diritti di terzi:
Evizione totale: evizione deriva dal latino evincere -> evincere est aliquid vincendo
auferre = evincere è portare via vincendo, alludendo alla situazione del compratore che sia
rimasto soccombente in giudizio contro un terzo, che abbia 1) rivendicato la proprietà di un bene.
Costituiscono evizione anche 2) l’espropriazione forzata, 3) l’espropriazione per causa di pubblica
utilità, 4) ordine di distruzione della cosa, …
Il compratore convenuto in giudizio da un terzo che vanti dei diritti sul bene è tenuto alla
denuncia della lite al venditore (= chiama in causa il venditore), in modo che quest’ultimo possa
essere in grado di fornire le prove riguardanti l’infondatezza dell’azione intentata dal terzo.
Il compratore che non denunci la lite al venditore, perde la garanzia se rimane soccombente di
fronte al terzo, qualora il venditore dimostri che se fosse stato chiamato in giudizio avrebbe potuto
addurre ragioni su cienti per respingere la domanda del terzo, ART 1485 cc.
Il compratore che abbia ragione di temere che la cosa possa essere rivendicata da terzi può
sospendere il pagamento del prezzo, a meno che il pericolo non gli fosse già noto al momento
della vendita.
Se il compratore subisce l’evizione, quando però ignorava l’altruità della cosa al momento della
conclusione del contratto, può richiedere al venditore:
1. Risarcimento del danno
2. Restituzione del prezzo, quand’anche il valore della cosa sia diminuita od essa si sia
deteriorata; se la diminuzione del valore o il deterioramento derivano da un fatto del
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compratore, dall’ammontare spettante a quest’ultimo si deve detrarre l’utile che abbia
ricavato.
3. Rimborso delle spese fatte per il contratto (es. imposte, compenso)
4. Rimborso delle spese necessarie od utili fatte per la cosa
5. Rimborso delle spese voluttuarie, se il venditore era il mala fede
La garanzia per evizione costituisce un e etto naturale del negozio: essa opera dunque senza la
necessità di una speci ca pattuizione.
Siccome la garanzia è predisposta nell’interesse del compratore, questi può rinunziarvi o
contentarsi di una garanzia minore, così come le parti possono stabilire che derivino e etti più
gravi; in ogni caso, il venditore risponde dell’evizione che dipenda da fatto suo proprio, ed è nullo
ogni patto contrario.
Il patto di esclusione della garanzia comporta che il compratore evitto non possa domandare
il risarcimento del danno, ma possa domandare:
• Restituzione del prezzo
• Rimborso delle spese
L’esclusione della garanzia può anche essere più radicale, quando la vendita sia convenuta delle
parti a “rischio e pericolo del compratore”, ART 1488 cc: in questo caso, oltre a 1) non aver
diritto al risarcimento del danno, non ha neppure diritto 2) alla restituzione del prezzo e al 3)
pagamento delle spese.
Evizione parziale: nel caso in cui l’evizione è soltanto parziale (ART 1484 cc), il
compratore ha diritto alla:
• Risoluzione del contratto, qualora debba ritenersi che non avrebbe acquistato la cosa senza la
parte per la quale ha subito evizione (ART 1480 cc). Altrimenti, ha diritto:
• Riduzione del prezzo + risarcimento dei danni, se ignorava l’altruità della cosa
Cosa gravata da oneri o diritti di godimento di terzi: presupponendo che detti diritti
limitano il godimento della cosa all’acquirente, il compratore può domandare:
• Risoluzione del contratto, qualora debba ritenersi che egli non avrebbe acquistato la cosa se ne
fosse stato a conoscenza. Altrimenti, ha diritto:
• Riduzione del prezzo + risarcimento dei danni
I vizi di una cosa sono le alterazioni di un bene, dovute alla sua produzione o alla sua
conservazione. Se il bene venduto presenta vizi non irrilevanti, al compratore spetta ex lege una
speciale tutela, denominata garanzia per vizi (ART 1490 cc).
Il compratore non ha diritto di contestare qualsiasi difetto della cosa comprata, per no il minimo;
egli, infatti, è tenuto a garanzia quando i vizi siano tali da rendere il bene inidoneo all’uso a cui è
destinato o a diminuire in modo apprezzabile il valore.
La garanzia non è dovuta se al momento del contratto il 1) compratore conosceva i vizi della
cosa o se, in caso di res contratta a vista, si trattava di vizi facilmente riconoscibili, per tali da
intendersi i 2) vizi riconoscibili ictu oculi e senza particolare sforzo di diligenza; ciò ovviamente si
applica nel caso in cui il venditore abbia dichiarato che la cose era esente da vizi.
Il compratore che voglia far valere la garanzia ha l’onere di denunciare l’esistenza dei vizi entro
8 giorni, che decorrono:
• Dalla consegna -> vizi apparenti: il vizio è apparente se percepibile con un esame diretto della
cosa, condotto con criteri di ordinaria diligenza
• Dalla scoperta -> vizi occulti
Il termine in questione è il termine di decadenza.
La denuncia non è però necessaria qualora il venditore abbia riconosciuto l’esistenza del vizio o
lo ha occultato (ART 1495 cc). Inoltre, l’impegno assunto dal venditore di riparare il bene implica
il riconoscimento del vizio da cui esso è a etto, impedendo la decadenza, comminata dall’ART
1495 cc.
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Ove ricorrano i requisiti indicati il compratore ha diritto di richiederei a sua scelta:
• Actio redhibitoria = 1) risoluzione del contratto + 2) restituzione del bene + 3) restituzione del
prezzo pagato o liberazione dell’obbligo di pagare + 4) risarcimento del danno
• Actio quanti minoris o aestimatoria = 1) riduzione del prezzo + 2) risarcimento del danno
La scelta fra le due azioni è rimessa al compratore, salvo che gli usi escludano la risoluzione
della vendita per determinati vizi.
La scelta del compratore, in ogni caso, diviene irrevocabile con la proposizione della domanda
giudiziale, ART 1492 cc.
La giurisprudenza ha precisato che qualora il venditore si occupi di eliminare i vizi della cosa,
l’impegno non comporta novazione oggettiva: pertanto, qualora il venditore non proceda
all’eliminazione del vizio, il compratore può esperire le ordinarie azioni di garanzia.
La risoluzione della vendita implica la restituzione della cosa.
La legge precisa che, se la cosa consegnata è perita in conseguenza dei vizi (es. bestiame a etto
da malattia), il compratore ha comunque diritto alla risoluzione del contratto.
Se, invece, la cosa è perita 1) per caso fortuito, 2) per colpa del compratore, 3) è stata dal
compratore alienata, è esperibile solamente l’azione di diminuzione del prezzo.
Qualora la cosa venduta non abbia 1) le qualità promesse, ossia quelle speci catamente
garantite, 2) le qualità essenziali, per l’uso cui il bene è destinato -> il compratore ha diritto di
ottenere la risoluzione del contratto secondo le regole generali.
Tuttavia, si applicano speciali decadenze e prescrizioni stabilite in tema di garanzia per vizi: infatti,
l’acquirente ha l’onere di dimostrare la sussistenza del difetto entro 8 giorni e l’azione che gli
compete è soggetta a prescrizione di 1 anno a partire dalla consegna della cosa.
L’azione del compratore è soggetta ad un termine di prescrizione di 1 anno, che decorre dal
momento della consegna. Tale termine può essere interrotto da:
• Domanda giudiziale
• Atto di costituzione in mora nelle forme di cui all’ART 1219 cc.
L’interruzione di una forma stragiudiziale determina una decorrenza di un nuovo termine annuale
di prescrizione.
La garanzia dovuta per legge può essere variamente disciplinata in via convenzionale, vale a
dire mediante speci ci patti inseriti nel contratto (es. in caso di venite immobiliari) o diminuita ed
esclusa, con però conseguente invalidità nel caso in cui il venditore in mala fede abbia taciuto i
vizi della cosa di cui fosse a conoscenza.
In tema dell’onere della prova, la Corte di Cassazione aveva originariamente a ermato che fosse
su ciente che il compratore denunci la presenza di vizi o difetti, mentre è a carico del venditore
l’onere di dimostrare anche attraverso presunzioni di aver consegnato una cosa conforme alle
caratteristiche attese dall’acquirente.
Questa teoria costituisce una trasposizione in ambito del contratto di compravendita dei principi
previsti per l’inadempimento.
Più di recente, superando il principio precedentemente espresso, la Suprema Corte ha ritenuto
che il compratore che eserciti le azioni di risoluzione del contratto o di riduzione del prezzo è
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gravato dell’onere della prova di provare l’esistenza dei vizi lamentati, trattandosi di un
elemento costitutivo della pretesa fatta valere.
Dalla garanzia per vizi occulti si distingue la consegna aliud pro alio, da intendersi con la
consegna di una cosa diversa rispetto a quello previsto come oggetto del contratto (es. consegno
aceto al posto del vino).
La giurisprudenza fa frequente ricorso a questa quali cazione nel caso di vendita di un immobile
destinato ad abitazione, che sia privo delle caratteristiche necessarie per ottenere il certi cato
abitativo: in tal caso, il compratore ha diritto di esperire l’azione di risoluzione del contratto, ART
1453 cc, che, non applicandosi la norma speciale di cui all’ART 1497 cc, non è soggetta 1) né a
decadenza, 2) né al breve termine di prescrizione
L’obbligazione principale del compratore consiste nel pagare il prezzo pattuito, ART 1498 cc, 1)
entro il termine e nel luogo stabiliti dal contratto, oppure 2) al momento e nel luogo della
consegna.
Se è pattuito che il prezzo non si paghi all’atto della consegna, il pagamento deve avvenire al
domicilio del venditore.
La legge prevede apposite regole integrative, nel caso in cui le parti nulla abbiano pattuito per
determinare il prezzo o ssare i criteri per la sua determinazione.
Se il contratto ha per oggetto cose che il venditore vende abitualmente, si presume che le parti
abbiano voluto al prezzo solitamente applicato dal venditore, qualora nulla abbiano pattuito.
Allo stesso modo, se si tratta di cose aventi prezzo di borsa o per cui esistono dei listini
mercuriali, si presume che le parti abbiano voluto far riferimento a quanto risulta da detti
parametri di riferimento.
Se le parti hanno inteso riferirsi al giusto prezzo, si applicano:
• Criteri integrativi appena illustrati
• Quando non ne ricorrono i presupposti, il prezzo è determinato da un terzo nominato dal
presidente del tribunale del luogo in cui il contratto è stato stipulato
Secondo i principi generali, le parti possono demandare ad un terzo la determinazione del prezzo,
ART 1473 cc.
Sarebbe invece nulla la vendita in cui il prezzo non sia stato né espressamente, né implicitamente
determinato e non risulti nemmeno determinabile, per mancanza di elemento essenziale.
Inoltre, è bene ricordare che il compratore è tenuto a corrispondere gli interessi sul prezzo anche
prima che il pagamento sia esigibile, se la cosa gli è stata preventivamente consegnata ed è
produttiva di frutti o di altri proventi, ART 1499 cc.
La vendita produce i suoi e etti, ma questi vengono eliminati se il venditore dichiara di voler
riscattare la cosa venduta e 1) restituisce il prezzo e le 2) spese sostenute per la vendita.
A tutela del venditore, è stabilito che il patto con cui quest’ultimo si impegni a restituire un prezzo
superiore a quello incassato è nullo per l’eccedenza, al ne di evitare che venga celata una
pattuizione di tipo usurario.
Tale condizione, se si veri ca, ha e etto retroattivo (retroattività reale, ART 1360 cc); dunque,
salva l’applicazione dei principi sulla trascrizione, il riscatto ha e etto anche sui subacquirenti, che
sono tenuti a rilasciare la cosa.
L’esercizio del diritto di riscatto è sottoposto ad un breve termine di decadenza (ART 1501 cc):
• 2 anni per beni mobili
• 5 anni per beni immobili
Tale termine è improrogabile ed inderogabile.
Il patto di riscatto si distingue dal patto di retrovendita (pactum de retrovertendo), che ha e etti
obbligatori: esso obbliga infatti il compratore alla stipulazione di un nuovo contratto di vendita.
Il patto di ricatto si distingue anche dalla in diem addictio, che è la clausola con la quale si
stabilisce che la vendita fatta resta caduca se entro un certo termine il venditore trova da vendere
la cosa ad un altro acquirente a condizioni migliori.
Dall’interpretazione della volontà delle parti, risulterà se il patto da luogo ad una condizione
sospensiva o risolutiva.
La vendita di cose mobili è il caso più frequente di compravendita nella prassi ed è disciplinato
dagli ARTT 1510-1522 cc.
La legge si preoccupa di speci care quale sia il luogo di consegna della merce, che è il luogo in
cui si trovava all’atto della conclusione del contratto, ossia il domicilio del venditore o la sede
dell’impresa venditrice, salvo che le parti pattuiscano diversamente, ART 1510 cc
Nel dicembre 1988 è stata varata in Italia la “Convenzione di Vienna sui contratti di vendita
internazionale di beni mobili”, che disciplina in modo uniforme i casi in cui vi siano compravendite
di merci tra le parti le cui sedi di a ari si trovino in Stati di erenti.
La disciplina di vendita si è nel tempo arricchita nella considerazione di norme dedicate alla
vendita di beni mobili di consumo, poste dal D.Lgs 2 febbraio 2002, in attuazione di una direttiva
della CE, che aveva novellato il codice civile introducendo gli ARTT 1519-bis-1519-nonies. Tali
norme sono poi con uite nel Codice del consumo.
Questa disciplina ha introdotto il difetto di conformità, che si sostituisce alla garanzia per vizi e
difetti di qualità della cosa.
Il venditore professionista ha l’obbligo di consegnare al compratore consumatore un bene
conforme con quello stabilito nel contratto. Il requisito di conformità si presume sussistente
quando il bene è:
• Idoneo all’uso cui è destinato di regola o all’uso abituale che l’acquirente intendeva farne,
purché ciò sia noto al venditore o da lui implicitamente accettato
• Corrispondente alla descrizione fatta dal venditore o al bene che il venditore ha presentato al
consumatore come campione o modello
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• Dotato delle qualità o delle prestazioni abituali di un bene dello stesso tipo o che il
compratore poteva ragionevolmente attendersi, anche sulla base della pubblicità commerciale
del venditore.
La garanzia non opera quando il compratore era a conoscenza del difetto o poteva conoscerlo,
con l’impiego dell’ordinaria diligenza.
Tale obbligo del venditore è presidiato da una pluralità di rimedi, che il consumatore può
azionare alternativamente:
• Riparazione o sostituzione del bene, da e ettuarsi entro un congruo termine dalla richiesta e
non devono recare notevoli inconvenienti al consumatore, considerando lo scopo per cui il bene
è stato acquistato. Il venditore non è tenuto a compiere interventi che comportino per lui spese
irragionevoli.
Dunque, il legislatore comunitario lo ha posto come strumento preferenziale di tutela in forma
speci ca, favorendo la conservazione degli e etti dello scambio (a di erenza di quanto
prevedeva la disciplina codicistica della garanzia per vizi, che contempla l’actio redhibitoria e
l’actio quanti minoris)
• Risoluzione o riduzione del prezzo: i rimedi di tipo restitutorio possono essere attivi solo in via
subordinata alla riparazione o alla sostituzione; pertanto, il compratore non è del tutto libero di
scegliere di rimuovere gli e etti del contratto e farsi restituire il denaro: se il venditore o re la
sostituzione della res con un’altra priva di difetti, il compratore non più ri utarla pretendendo al
restituzione del prezzo.
Può richiedere la risoluzione del contratto o alla riduzione del prezzo se:
- Riparazione o sostituzione risultino impossibili od eccessivamente onerose
- Se il venditore non abbia provveduto alla riparazione o alla sostituzione entro termine congruo
- Se la riparazione o sostituzione precedentemente e ettuata abbiano arrecato notevoli
inconvenienti al consumatore
Sussiste a carico del compratore l’onere di denunciare il difetto entro 2 mesi dalla scoperta
del difetto del bene di consumo, a pena di decadenza (a di erenza di quanto avveniva nella
disciplina generale della vendita, in cui il termine di decadenza è di 8 giorni).
Per sollevare il consumatore da di cili oneri probatori, il legislatore ha stabilito che i difetti di
conformità che si manifestano entro 6 mesi dalla consegna si presumono esistenti dalla
data di consegna; la denuncia non è necessaria se il venditore 1) ha dolosamente occultato il
difetto di conformità o 2) lo ha riconosciuto.
Il termine di prescrizione dell’azione è di 26 mesi, più lungo di quello di garanzia per vizi (di 1
anno). L’eccezione è imprescrittibile, purché il vizio sia stato tempestivamente denunciato.
È sempre possibile che alla tutela minima inderogabile assicurata per legge (es. nullità di ogni
patto limitativo della garanzia, secondo il modello delle nullità di protezione), le parti possono
aggiungere una garanzia convenzionale; sono fatti salvi i diritti attribuiti al consumatore da altre
norme dell’ordinamento e rinvia alle norme del codice civile, per quanto non sia disposto dalla
legge speciale.
La disciplina n qui esaminata trova applicazione non solo nei 1) contratti di vendita, ma anche di
2) permuta, di 3) appalto d’opera e di tutti gli 4) altri contratti che siano nalizzati alla fornitura di
beni di consumo.
Si presume che qualsiasi difetto in relazione alla conformità del bene che si manifesti entro 1
anno dalla consegna del bene fosse già presente al momento della consegna del bene; viene
fatta salva la facoltà degli Stati menti di prolungare il periodo di e cacia della presunzione no a 2
anni + prevedere che il consumatore debba denunciare il difetto entro un certo termine dalla sua
manifestazione.
Il D.Lgs del 21 febbraio 2014, in ordine con quanto disposto dalla direttiva della CE, ha introdotto
delle disposizioni riguardanti la vendita del consumatore; queste norme si applicano
esclusivamente al tipo di vendita, a prescindere dal contratto cui tale vendita derivi.
Passaggio del rischio: nei contratti che pongono a carico del professionista l’obbligo di
provvedere alla spedizione dei beni, il rischio della perdita per causa non imputabile al venditore è
trasferito al consumatore, solo nel momento in cui quest’ultimo o un terzo da questo designato
entri in possesso dei beni (deroga all’ART 1465 cc).
Tuttavia, il rischio si trasferisce al consumatore al momento della consegna del bene al vettore
quando quest’ultimo sia stato scelto dal consumatore e tale scelta non sia stata proposta dal
professionista.
Nella vendita a rate o vendita con patto di riservato dominio, le parti stabiliscono che il prezzo
venga pagato frazionatamene entro un certo tempo e che l’acquirente acquisisca la proprietà solo
quando paghi l’ultima rata o frazione del prezzo medesimo (ART 1523 cc). L’e etto reale della
vendita è perciò sottoposto a condizione sospensiva del pagamento del prezzo, secondo il
principio donec praetium solvetur = nché il prezzo non sarà pagato
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Gli altri e etti della vendita, come la consegna della cosa, l’uso e il godimento della stessa, così
come il rischio del perimento del bene, si veri cano già al momento della conclusione del
contratto.
Chi compra a rate non può alienare ad un terzo n quando non ne abbia acquistato la proprietà;
l’alienazione integrerebbe infatti gli estremi del delitto di appropriazione indebita. Tuttavia, se
una tale alienazione viene e ettuata, il terzo acquirente ne acquista la proprietà se si tratta di cose
mobili e se egli ne abbia ricevuto il possesso in buona fede (ART 1153 cc).
Per l’opponibilità della riserva di proprietà ai creditori del compratore che intendessero
espropriare la cosa acquistata a rate, occorre che il relativo patto risulti da patto scritto avente
data certa, ART 1524 cc.
Una particolare forma di pubblicità è istituita per le vendite di macchinari, il cui relativo prezzo
sia superiore ai 15,49 euro: la riserva di proprietà deve essere trascritta in un apposito registro
tenuto nella cancelleria del tribunale e che la macchina si trovi ancora nel luogo in cui la
trascrizione è stata eseguita, al momento dell’acquisto da parte del terzo: la determinatio loci si
spiega perché non è possibile che il terzo acquirente consulti tutti i registri d’Italia; la riserva è
opponibile solo a chi ha e ettuato l’acquisto in un certo luogo ed avrebbe dovuto veri care il
registro del relativo tribunale -> ciò diminuisce l’e cacia della tutela del venditore che si sia
riservato il dominio.
La legge ha inoltre voluto tutelare il compratore contro patti vessatori, stabilendo che:
• Il mancato pagamento di una sola rata dà luogo alla risoluzione del contratto se questa
superava l’ottava parte del prezzo e che l’eventuale patto contrario è nullo
• Se il contratto è risolto per inadempimento del compratore, questi ha diritto alla
restituzione delle rate pagate, salvo il diritto del venditore di un 1) equo compenso per l’uso
della cosa + 2) risarcimento del danno. Inoltre, qualora le parti abbiano pattuito che le rate
pagate prima della risoluzione del contratto rimangano al venditore, in qualità di intensità (per
l’uso e il deprezzamento della cosa), il giudice può stabilire che tale indennità sia diminuita.
Sul piano economico, la vendita della proprietà è una vendita a credito, garantita dalla
proprietà del bene:
- il venditore concede infatti il bene cio nanziario di pagare in modo dilazionato al compratore,
- ma la riserva di proprietà assolve anche una funzione empirica di garanzia reale a favore del
venditore.
Per questa ragione, si deve avere attenzione anche ai crediti di consumo: i venditori di beni e
servizi possono concludere contratti di credito nella sola dilazione del prezzo, senza il pagamento
di interessi e di altri oneri (no interessi sul prezzo dilazionato).
Per questo motivo nella prassi è sempre più di usa la stipulazione di contratti di credito
collegati a quello di subfornitura, in cui il soggetto nanziatore, che svolge detta attività a titolo
professionale, eroga la somma necessaria al pagamento del prezzo che il venditore dunque
incassa immediatamente, e poi ne ottiene la restituzione dall’acquirente- nanziato, con i relativi
interessi.
VENDITA IMMOBILIARE
La vendita di immobili deve farsi per iscritto (ART 1350 cc) ed è soggetta a trascrizione (ART
2643 cc).
La legge del 1985, con uita poi nel TU in materia edilizia, stabiliva che gli atti inter vivos aventi
per oggetto diritti reali, esclusi quelli di costituzione, modi cazione od eliminazione di diritti reali di
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garanzia o di servitù, riguardante edi ci la cui costruzione sia cominciata dopo l’entrata in vigore
della legge del 1985, sono nulli, se non risultino in essi indicati: 1) gli estremi del permesso di
costruire o 2) l’eventuale sanatoria rilasciata.
La Suprema Corte ha chiarito che il contratto è valido a prescindere dalla conformità o di ormità
della costruzione realizzata rispetto al titolo menzionato in atto, se l’alienante abbia indicato gli
estremi del titolo urbanistico. Ove la dichiarazione di vendita non sia veritiera, il dichiarante
incorre a rispondere penalmente di falso ideologico.
Peraltro, il rigore della sanzione di nullità è temperata qualora le parti siano incorse in una mera
dimenticanza od errore: se infatti la mancanza d’indicazione degli estremi in atto non sia dipesa
dall’insussistenza del permesso di costruire, questi possono essere confermati da atto
successivo, anche da una sola delle parti.
Inoltre, gli atti traslativi relativi agli immobili urbani devono contenere la dichiarazione della 1)
conformità ai dati catastali e delle 2) planimetrie allo stato di fatto, tramite una dichiarazione resa
in atti dagli intestatari, pena nullità.
È stata inoltre ammessa la facoltà di conformità ad atti nulli per omessa dichiarazione di
conformità catastale per le parti rmatarie: infatti, se la dichiarazione di conformità delle
planimetrie depositate in catasto o della dichiarazione della conformità allo stato di fatto dei dati
catastali e delle planimetrie non siano dipese dall’inesistenza delle planimetrie, l’atto può essere
confermato anche da una sola delle parti, mediante atto successivo, redatto nella stessa forma
del precedente, che contenga gli elementi che siano stati omessi.
LOCAZIONE ED AFFITTO
La locazione è il contratto con cui il locatore o concedente si obbliga a far utilizzare all’inquilino o
conduttore o concessionario o a ttuario una cosa per un certo tempo, in cambio di un
corrispettivo (ART 1571 cc).
Il codice civile dedica un’ampia disciplina alla locazione negli ARTT 1571 ss cc; vista la notevole
importanza economica e sociale rivestita da questo istituto, il legislatore ritiene opportuno di
intervenire ripetutamente negli anni attraverso:
• Leggi vincolistiche, volte a calmierare il mercato:
- Prorogando ex lege la durata dei contratti in corso
- Sospendendo le procedure esecutive di rilascio per nita locazione, talvolta con provvedimenti
di natura generale, altre volte a tutela delle fasce sociali “deboli”
- Bloccando gli aumenti dei canoni inizialmente ssati dalle parti
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• Misure volte ad incentivare la locazione, al ne di accrescere l’o erta di immobili
- Agevolazioni scali a favore dei locatori
Le norme del codice civile conservano il valore di generale applicazioni, quando non sia disposto
diversamente dalle leggi speciali.
4) L’alienazione del bene locato non determina lo scioglimento del contratto (emptio
non tollit locatum), purché la locazione abbia data certa ed anteriore al trasferimento.
La Corte di cassazione ha stabilito che nel caso di locazione a terzi di un bene comune da parte
di un solo dei comproprietari, trovano applicazione le regole di gestione d’a ari; pertanto, nel
caso di gestione non rappresentativa (= il comproprietario locatore ha agito in proprio, senza
spendere il nome dell’altro proprietario), il condomino rimasto estraneo all’atto può rati care
l’operato del gestore ed esigere dal conduttore il pagamento pro quota del canone.
Le norme dottate in via generale concernenti l’a tto, che costituisce una species nel genus della
locazione, introducono delle variazioni rispetto alla disciplina delle locazioni.
Infatti, per a tto si intende la locazione di una res produttiva mobile od immobile: l’a ttuario
deve curarne la gestione, in conformità della sua destinazione economica e gli spettano i frutti e le
altre utilità della cosa.
Il locatore può richiedere la risoluzione del contratto se l’a ttuario:
• Non osserva stabilmente le regole della buona tecnica
• Muta la destinazione economica della cosa
L’a ttuario può anche prendere le iniziative atte a produrre un aumento di reddito della cosa,
purché non comportino obblighi per i locatore.
Nel 1978 è stata emanata una legge che si proponeva di a rontare i descritti problemi attraverso
una riforma organica del settore.
La legge distingueva pertanto:
• Immobili adibiti ad uso di abitazione
• Immobili adibiti ad uso diverso da quello di abitazione
Per gli immobili adibiti ad uso di abitazione veniva stabilita una durata minima
obbligatoria di 4 anni, di regola rinnovabili per eguale periodo e la costituzione dell’equo canone
(= calibrazione del corrispettivo), ancorando la sua determinazione a dei parametri legali pre ssati.
Tuttavia, la riforma non valse a superare la crisi immobiliare di mercato; dunque, fu emanata una
legge successiva nel 1992 che integra, senza abrogarla, la legge del 1978. Attraverso la legge del
1992, si consentì la stipulazione di patti di deroga rispetto all’equo canone; tuttavia, però, la
spinta di liberalizzazione non si è attenuata, giungendo dunque alla stipulazione di una nuova
legge nel 1998, anch’essa con funzione integrativa, e non sostitutiva, di quella del 1978.
Nel caso dei contratti tipo, invece, si può parlare anche di canoni a carattere concertato: le
parti aderiscono ad un contratto tipo le cui condizioni sono ssate mediante accordi stipulati in
sede locale fra le principali organizzazioni della proprietà edilizia e le principali organizzazioni dei
conduttori, sulla base di indicazioni fornite da una convenzione nazionale, promossa a cura del
Ministero dei lavori pubblici, cui spetta indicare i criteri generali per la determinazione del
corrispettivo.
Per questo tipo di contratti la durata non può essere inferiore a 3 anni, con proroga di diritto di
altri 2 anni, ove alla scadenza le parti non si accordino in ordine al rinnovo del contratto.
Sono previste regole particolari per contratti destinati a soddisfare 1) esigenze di natura transitoria
+ 2) esigenze di studio -> è concessa la facoltà di stipulare contratti tipo per gli studenti
universitari.
Si delinea una notevole frammentazione delle discipline applicabili, poiché le norme precedenti
continuano ad essere applicabili a tutti i contratti in corso e ai rispettivi rinnovi.
Tutt’ora valgono alcune disposizioni poste dalla legge del 1978 ed in particolare:
1. Il divieto per il conduttore di cedere il contratto o di duplicare il bene
2. Il diritto del conduttore di recedere prima della scadenza per gravi motivi, dando un
preavviso di 6 mesi
3. La risoluzione del contratto, conseguente ad un ritardo di pagamento di oltre 20 giorni nel
pagamento del canone
4. Il diritto del coniuge, degli eredi, dei parenti, degli a ni, del convivente more uxorio e del
partner unito civilmente di subentrare nel rapporto in caso di morte del conduttore
5. Facoltà del conduttore moroso di sanare la morosità, evitando lo sfratto, pagando anche in
sede giudiziale quanto da lui dovuto
Anche dopo il 1998, il problema dell’accesso alla casa di abitazione è rimasto un tema di
grande delicatezza sociale; si sono pertanto succeduti continui interventi normativi volti ad
introdurre 1) moratorie e sospensioni dei provvedimenti di rilascio degli immobili + 2) provvidenze
a sostegno delle fasce sociali più deboli + 3) incentivazioni scali volte a stimolare il mercato delle
locazioni
Per le locazioni di immobili adibiti ad uso diverso da quello abitativo, è rimasta ferma la
disciplina dettata nel 1978.
2) Il conduttore può recedere dal contratto anche prima della scadenza, se 1) ricorrono
gravi motivi + 2) il locatore gli abbia concesso contrattualmente tale facoltà
3) Il contratto si rinnova tacitamente, alla sua scadenza, per un ulteriore eguale periodo,
salvo tempestiva disdetta, che il locatore può intimare solo per i motivi tassativamente elencati.
È stato peraltro precisato che la rinnovazione tacita del contratto alla prima scadenza
contrattuale, per il mancato esercizio del locatore della facoltà di diniego, costituisce un e etto
automatico che dunque non necessita una speci ca dichiarazione negoziale -> in caso di
pignoramento dell’immobile per fallimento del locatore, tale rinnovazione non necessita
l’autorizzazione del giudice.
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Il conduttore può sia sublocare l’immobile, sia cedere il contratto in locazione a terzi, purché
venga ceduta o locata anche l’azienda.
4) Il canone iniziale di locazione può essere liberamente determinato dalle parti, ma per
gli anni successivi gli aumenti sono sottratti alla disponibilità delle parti e sono consentiti dalla
legge con frequenza annuale del 75% della variazione degli indici dei prezzi al consumo; dopo
l’approvazione di una legge del 2009, stato reso possibile anche un adeguamento al 100%, nel
caso in cui il contratto abbia durata superiore a quella minima di legge
5) In caso di cessazione del rapporto che non sia dovuta a risoluzione per inadempimento
del conduttore o a suo recesso, a quest’ultimo è dovuta l’indennità per la perdita dell’avviamento
commerciale
6) Nel caso in cui il locatore intenda vendere l’immobile locato, il conduttore ha diritto di
prelazione per l’acquisto.
7) È nulla ogni pattuizione volta a limitare la durata legale del contratto o ad attribuire al
locatore un canone maggiore rispetto a quello risultante dall’applicazione della legge del 1978, o
comunque ad attribuitogli un altro vantaggio contrastante con le disposizioni di legge.
Un tempo, si riteneva che il locatore non potesse rinunciare ex ante all’indennità di avviamento
allo stesso spettante; tuttavia, la Suprema Corte ha ampliato le maglie dell’autonomia negoziale,
dichiarando che fosse invece possibile rinunciare ex ante all’indennità di avviamento, qualora
detta rinuncia trovi una giusti cazione sinallagmatica in una riduzione del canone di locazione
Per le locazioni ad uso diverso da quello abitativo, la Suprema Corte ha inoltre stabilito che la
clausola di un contratto di locazione che attribuisca al conduttore l’obbligo di farsi carico di ogni
tassa, imposta od onere relativo ai beni locati dal contratto non è a etta da nullità per contrasto
con l’ART 53 Cost, che è invece con gurabile quando l’imposta non venga corrisposta dal
percettore del reddito, ma da un soggetto diverso.
La pandemia da Covid-19 ha avuto rilavanti impatti sulla locazione; tale circostanza, dunque, ha
portato il legislatore a prevedere alcune misure di contenimento sugli squilibrio contrattuali che
erano andati formandosi (es. per il conduttore di un immobile commerciale risultava molto
gravioso l’obbligo di vernare integralmente il canone pattuito).
La legge del febbraio 2020 ha dunque previsto che il rispetto delle misure di contenimento
dev’essere valutato al ne di escludere la responsabilità del debitore per inadempimento,
riconoscendo dunque a favore del conduttore:
- Un credito di imposta per i canoni pagati nell’ambito di contratti di locazione di immobili ad
uso non abitativo e di a tto d’azienda
- Sospensione ex lege del canone di locazione per talune speci che attività costrette alla
chiusura
La disciplina del 1978 ammette per i soli contratti di locazione ad uso non abitativo per cui sia
pattuito un canone annuo superiore ai 250 000 euro che siano determinati termini e condizioni
in deroga da quanto disposto nella disciplina in esame.
Tale previsione è stata introdotta per superare il rigido sistema di tutela del conduttore che, nel
caso di gradi locazioni commerciali, in cui i conduttori sono società dotate di grande forza
negoziale, non trova giusti cazione.
Per questo motivo, è concesso alle parti 1) di derogare alla previsione sulla durata predeterminata
del contratto + 2) di prevedere un’indicizzazione anche superiore al 75% + 3) di derogare al diritto
del conduttore di pretendere l’indennità per la perdita di avviamento commerciale + 4) di derogare
il diritto di prelazione legale spettante al conduttore in caso di vendita dell’immobile.
Il leasing, o locazione nanziaria, è uno schema contrattuale con molteplici varianti che ci deriva
dall’esperienza anglosassone e che è rimasto a lungo privo di un’apposita disciplina, no
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all’entrata in vigore di una legge nel 2017, che ha normato la gura del leasing nanziario: il
modello è così divenuto tipico.
Peraltro, già prima dell’intervento di tale legge il contratto era considerato socialmente tipico, vista
la sua grande di usione che aveva portato al suo consolidarsi nella prassi giurisprudenziale.
Dal contratto di leasing va tenuto distinto e separato il contratto di compravendita, così come
quello di appalto: in quest’ultimo caso, infatti, è l’utilizzatore stesso a scegliere il bene e ad
individuare il venditore/fornitore e a concordare con quest’ultimo il contenuto del contratto; è
evidente che nei contratti di compravendita o di appalto il concedente si limita ad intervenire solo
nel momento della formale stipulazione del contratto e del pagamento del prezzo.
L’utilizzatore, a sua volta, si obbliga a pagare al concedente il canone per tutto il tempo
concordato, assumendo ogni rischio di perimento o cattivo funzionamento del bene.
È evidente che nella gura esaminata concorrono gli elementi 1) della locazione, 2) della vendita e
3) del mutuo. Di qui la di coltà di stabilire quale disciplina debba essere applicata a questa
fattispecie.
L’esperienza maturata prima dell’introduzione della legge del 2017 ha consentito di isolare diverse
tipologie di leasing:
• Leasing operativo: il locatore è il produttore del bene. Il contratto è bilaterale ed intercorre tra
operatore ed utilizzatore (cosa che sembrerebbe contraria alla disciplina del 2017, perché
prevede espressamente l’intervento del terzo fornitore nel contratto di leasing)
• Leasing nanziario: il locatore è un nanziatore, che acquista il bene per conto
dell’utilizzatore. Il contratto è trilaterale, tra produttore utilizzatore e nanziatore.
Uno dei principali problemi di disciplina, prima di questo intervento normativo, riguardava le
conseguenze del mancato pagamento dei canoni da parte dell’utilizzatore: ci si chiedeva se si
dovesse applicare la disciplina relativa alla vendita a rate o quella ordinaria di risoluzione.
A tal ne, la giurisprudenza aveva elaborato la distinzione fra:
• Leasing di godimento: è prevalente l’interesse dell’utilizzatore semplicemente all’uso del bene
in un certo periodo. Tale gura ricorre generalmente quando il contratto ha ad oggetto un bene
a rapida obsolescenza e dunque l’interesse dell’utilizzatore verso il bene si esaurisce
solitamente con il consumarsi del periodo contrattualmente stabilito per il godimento. In tal
caso, è evidente che l’utilizzatore non ha alcun interesse ad acquistare il bene alla ne del
rapporto di leasing -> contratto assimilabile alla locazione -> prima dell’intervento della
disciplina del 2017, la Cassazione aveva deciso che si doveva applicare 1) la risoluzione del
contratto per inadempimento dell’utilizzatore, e pertanto l’utilizzatore 2) non ha dritto alla
restituzione dei canoni pagati duranti la vigenza del contratto, perché compensavano l’utilizzo
della cosa
• Leasing traslativo: è prevalente l’acquisto della proprietà del bene al termine del periodo di
utilizzazione. Il tal caso, il bene oggetto del contratto conserva la sua utilità e il suo valore
economico anche alla data della cessazione del contratto. Da ciò consegue che solitamente
l’utilizzatore ha interesse ad esercitare l’azione acquistando il bene, poiché altrimenti gliene
deriverebbe una perdita economica (es. Autoveicoli) -> contratto assimilabile alla vendita ->
salvo che non ricorrano ipotesi normate dalla legge del 2017, in caso di risoluzione per
inadempimento dell’utilizzatore, il concedente 1) deve restituire i canoni percepiti durante
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l’esecuzione del contratto, ma ha 2) diritto ad un equo compenso per l’uso della cosa da
parte dell’utilizzatore + 3) risarcimento dei danni.
Occorrerà comprendere se gli approdi raggiunti dalla giurisprudenza prima del 2017 saranno
ancora applicabili ai casi non espressamente normati da detta norma.
In ogni caso, le Sezioni Unite della Corte di cassazione hanno confermato la natura non
retroattiva della legge del 2017: dunque, questa trova applicazioni ai soli contratti che siano
risultati inadempiuti successivamente alla sua entrata in vigore; per i contratti rispetto ai quali
l’inadempimento si sia veri cato in data anteriore dell’entrata in vigore della legge, rimane valida la
distinzione fra leasing di godimento e leasing traslativo.
La legge del 2017 disciplina diversamente il grave inadempimento, a seconda che si tratti di
leasing immobiliare o nanziario:
• Leasing immobiliare -> il mancato pagamento di almeno 6 canoni mensili o 2 canoni
trimestrali, anche se non consecutivi
• Leasing nanziario -> il mancato pagamento di 4 canoni mensili anche non consecutivi.
In caso di risoluzione del contratto per inadempimento da parte dell’utilizzatore per omesso
pagamento dei canoni:
• Il concedente ha diritto alla restituzione del bene
• Il concedente è però tenuto a corrispondere all’utilizzatore quanto ricavato dalla vendita del
bene, dedotta in somma corrispondente all’ammontare di:
- Canoni scaduti e non pagati
- Canoni a scadere
- Prezzo pattuito con l’esercizio dell’opzione nale
- Le spese anticipate per il recupero del bene
- La stima
- La sua conservazione nel tempo necessario alla vendita
Quando il valore realizzato con la vendita o con altra allocazione del bene sia inferiore di quanto
dovuto dall’utilizzatore al concedente, il concedente mantiene il diritto di credito per la
di erenza.
Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno a rontato la dibattuta questione relativa ai vizi
della res oggetto di leasing e alla legittimazione attiva dell’utilizzatore del bene ad agire
direttamente nei confronti del fornitore.
Infatti:
- Da una parte, il contratto di acquisto intercorre fra fornitore e concedente; dunque, rispetto al
concedente, l’utilizzatore non dovrebbe vantare alcun diritto
- Dall’altra, nel caso in cui nel contratto di leasing manchi una previsione che trasferisca
all’utilizzatore le prerogative contrattuali del concedente, l’utilizzatore potrebbe rimanere
privo di tutela in caso di inerzia del concedente.
La Suprema Corte ha dunque distinto due ipotesi, a seconda del momento di emersione dei vizi,
che rendano la cosa oggetto di vizio inidonea all’uso:
• Se i vizi sono emersi prima della consegna -> in forza del principio di buona fede, il
concedente che sia stato informato della mancata consegna all’utilizzatore ha il dovere di: 1)
sospendere il pagamento del prezzo + 2) agire per la risoluzione del contratto oppure per la
riduzione del prezzo + 3) risarcimento dei danni + 4) restituzione della somma corrispondente ai
canoni già eventualmente versati.
• Se i vizi siano emersi dopo la consegna -> perché nascosti o taciuti dal fornitore in mala
fede, l’utilizzatore ha azione diretta verso il fornitore per 1) eliminazione dei vizi oppure 2)
sostituzione della cosa + 3) risarcimento dei danni + 4) restituzione della somma corrispondente
ai canoni già eventualmente versati; il concedente, dal canto suo, una volta informato deve 1)
sospendere il pagamento del prezzo + 2) agire per la risoluzione del contratto oppure per la
riduzione del prezzo (= ha i medesimi doveri del precedente caso).
Nel 2014 è stato varato un decreto legislativo “Sblocca Italia”, che contiene la disciplina dei
contratti di godimento in funzione della successiva alienazione di immobili.
Tale operazione consente alle parti di regolare un rapporto di locazione del bene, con attribuzione
al conduttore del dritto di acquistare l’immobile, vedendosi riconosciuto una parte dei canoni
versati nel corso del contratto, a pagamento parziale del prezzo.
L’esigenza di un tipo contrattuale nuovo ed autonomo, pur in presenza di strumenti come la
locazione o la vendita con riserva di proprietà o l’opzione di acquisto, era già empiricamente
manifestata:
• Dalla constatazione del disfavore degli operatori verso operazioni che implicassero
l’applicazione della disciplina vincolistica alla locazione
• Dalla preoccupazione del rischio che nel corso del contratto, il proprietario locatore potesse
subire pignoramento dell’immobile locato, vani cando così l’aspettativa d’acquisto del
conduttore.
La nuova disciplina riguarda i contratti diversi da leasing che prevedono l’immediato concessione
del godimento di un bene immobile, con il diritto del conduttore di acquistarlo entro un termine
imputando al corrispettivo del trasferimento una certa parte del canone, previamente indicata dal
contratto.
Se il conduttore non esercita il diritti di acquistare la proprietà, il concedente deve restituire
una parte del corrispettivo incassato: infatti, le prestazioni periodiche eseguite dal conduttore
compensano:
• Il godimento del bene
• L’acquisto della proprietà -> se l’acquisto non segue, una parte delle somme incassate deve
essere restituita
Il contratto può essere trascritto, come a erma l’ART 2645-bis, secondo le modalità di
trascrizione del contratto preliminare immobiliare. Da ciò consegue che la trascrizione
d’acquisto da parte del conduttore prevale sulle trascrizioni di atti di acquisto del dritto a favore di
terzi, del medesimo bene, avvenute successivamente alla trascrizione del contratto rent to buy.
In questo modo, dunque, il conduttore è posto al riparo dal pericolo che il concedente, durante
l’esecuzione del contratto, possa 1) alienare il bene a terzi o 2) subire un pignoramento. Peraltro,
l’e cacia della trascrizione rent to buy è limitata nel tempo, poiché la trascrizione dell’acquisto
deve avvenire entro 10 anni.
L’esercizio del diritto di acquistare non determina l’immediato trasferimento della proprietà
dell’acquirente: la legge stabilisce che si applichi l’ART 2932 cc e dunque deve intervenire una
sentenza costitutiva che trasferisca la proprietà all’acquirente.
Inoltre, la nuova disciplina contiene un’apposita tutela a favore del conduttore per il fallimento
del concedente, stabilendo che il contratto prosegue (mentre di regola il concedente fallimentare
può sciogliersi dai contratti stipulati dal fallito).
APPALTO
Gli appalti pubblici sono caratterizzati dalla scelta dell’appaltatore attraverso delle
apposite procedure di selezione del contraente, per evitare comportamenti preferenziali e per
l’ottenimento delle migliori condizioni contrattuali.
Sotto l’in uenza del diritto comunitario che apre il mercato europeo degli appalti pubblici alla
concorrenza delle imprese di tutti gli Stati Membri, l’applicazione di tali procedure non è più
ristretta ai casi in cui 1) il committente sia una pubblica amministrazione o un ente pubblico, ma si
estende anche ai casi in cui 2) l’aggiudicazione di appalto dipenda da un organismo di diritto
pubblico (nozione più ampia, in quanto può comprendere ad esempio delle società di diritto
privato a prevalente partecipazione pubblica).
Gli appalti privati sono gli appalti in cui il contratto è oggetto di libera stipulazione fra le
parti.
L’appalto si distingue dalla vendita, poiché l’appalto ha come oggetto un facere, mentre la
vendita ha come oggetto un dare. Talora detta distinzione non è agevole, specie pensando alla
vendita di cosa futura:
- Vendita di cosa futura -> il produttore si impegna a realizzare un oggetto in conformità ad un
tipo o a un modello di propria fabbricazione.
- Appalto di cosa futura -> il prodotto rappresenta un quid novi rispetto alla normale serie
produttiva.
Nel singolo caso, bisognerà dare rilievo alla volontà delle parti e alla natura obiettiva
dell’operazione economica.
-> es. alienazione in pianta di edi ci in via di costruzione = vendita di cosa futura -> il costruttore
ha già intrapreso la realizzazione del fabbricato per poi metterlo sul mercato; anche se si impegni
a realizzare alcuni dettagli per determinati appartamenti, non viene meno la natura di vendita del
contratto.
-> es. una persona acquista un terreno, fa redigere un progetto di una villa da un architetto e ne
commissiona l’edi cazione ad un costruttore = appalto
-> es. acquisto un’autovettura nuova scegliendo talune caratteristiche tra le varie possibilità =
vendita -> il produttore fa assemblare in un certo modo elementi che sono già parte della sua
produzione.
La quali cazione del contratto come vendita, permuta o appalto è essenziale ai ni della disciplina
dello stesso, poiché la normativa che ne consegue è profondamente diversa.
Se, per e etto di circostanze imprevedibili, si siano veri cati delle diminuzioni o degli aumenti dei
costi dei materiali o della mano d’opera, tali da determinare una variazione superiore al decimo
prezzo complessivo convenuto, le parti hanno dritto di richiedere una revisione del prezzo, ma
solo nella misura che eccede il decimo.
Non è raro l’inserimento nel contratto di appalto privato delle clausole di revisione dei prezzi; nel
caso degli appalti pubblici, le regolazioni del prezzo sono normate in modo molto restrittivo.
Quando l’appalto riguarda edi ci o cose immobili destinate a lunga durata, qualora per vizi del
suolo o difetti di costruzione questa vada in rovina in tutto o in parte o comunque se siano
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presenti pericoli di rovina o altri gravi difetti, la responsabilità dell’appaltatore dura 10 anni dal
compimento dell’opera, purché sia fatta denunzia entro 1 anno dalla scoperta (ART 1669 cc).
L’ART 1669 cc è ritenuto applicabile anche alle opere di ristrutturazione edilizia e, in genere, agli
interventi manutentori o modi cativi di lunga durata su immobili preesistenti; tale azione è
esperibile anche in caso di difetti che incidano su elementi secondari ed accessori, che però
siano idonei a compromettere le funzionalità dell’immobile.
È ormai paci co in giurisprudenza che il venir meno dei presupposti per far valere la
responsabilità contrattuale (ART 1218 cc) dell’appaltatore non impedisce al proprietario di agire
nei suoi confronti, ai sensi dell’ART 2043 cc: tale illecito, infatti, è sempre riconducibile ad una
violazione di regole primarie volte a garantire l’interesse di carattere generale alla sicurezza
dell’attività edi catoria.
È altrettanto paci co che, esperendo l’azione aquiliana, non opera il regime speciale della
presunzione della responsabilità del costruttore, dovendo provare l’attore tutti gli elemento
richiesti dall’ART 2043 cc.
Merita di essere segnalata la sanzione di nullità del contratto per nalità politiche, ossia volta ad
orientare gli appaltatori al perseguimento di attività volute dal legislatore.
In particolare, è stabilita la pena di nullità qualora i costi delle misure adottare per eliminare o
ridurre al minimo i rischi in materia di salute o sicurezza non siano espressamente indicati.
Secondo la giurisprudenza, una corresponsabilità del committente per danni patiti da terzi
nell’esecuzione del contratto di appalto sussiste:
- L’opera sia stata a data a impresa manifestamente inidonea
- La condotta che ha causato il danno sia stata imposta all’appaltatore dal committente stesso,
con direttive precise e non derogabili
CONTRATTO D’OPERA
Nelle di erenti tipologie contrattuali, nel contratto d’opera e nell’appalto, si rispecchia una
di erenza nella condizione soggettiva del fornitore della prestazione, ossia la sua riconducibili o
meno alla gura dell’imprenditore, con assoggettamento alla relativa disciplina.
Il contratto d’opera si distingue dalla vendita: l’ART 2223 cc a erma che si applicano le norme
del contratto d’opera anche quando la materia sia fornita dal prestatore d’opera (es. vernice per
imbiancare la stanza, sto a per il vestito) / salvo che le parti non abbiano dato prevalente
considerazione per la materia, nel qual caso si applicano le norme relative alla vendita.
L’opera deve essere eseguita a regola d’arte, ART 2224 cc: se il prestatore d’opera non si
attiene a detto criterio, il committente può assegnargli un termine per adeguarsi, decorso il quale
il committente può recedere dal contratto
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La responsabilità per le di ormità o i vizi dell’opera sono regolate da un rinvio alle norme in tema
di appalto, con una signi cativa di erenza riguardante i termini per l’esercizio delle azioni a tutela
del committente. Infatti, il committente deve denunciare le di ormità e i vizi occulti entro 8 giorni
dalla scoperta; inoltre, l’azione verso il prestatore d’opera si prescrive entro 1 anno dalla
consegna.
L’accettazione dell’opera da parte del committente libera senz’altro il prestatore da
responsabilità per di ormità o vizi, purché si tratti di vizi noti o facilmente riconoscibili, a meno
che non fossero stati dolosamente occultati.
L’ART 2225 cc stabilisce che il corrispettivo, se non è determinato dalle parti o stabilito da
tari e, è stabilito dal giudice, in relazione al risultato ottenuto e al lavoro normalmente necessario
per il suo ottenimento.
Il committente può recedere dal contratto, anche se ne sia già iniziata l’esecuzione,
indennizzando il prestatore d’opera 1) per le spese + 2) per il lavoro eseguito + 3) per il mancato
guadagno.
Se poi la prestazione diviene impossibile per causa non imputabile a nessuna delle due parti,
il prestatore d’opera ha diritto al compenso per il lavoro prestato, in relazione all’utilità della parte
di opera realizzata.
Il codice civile regola, senza de nire, le professioni intellettuali negli ARTT 2229 ss cc, dette
anche professioni od arti liberali, poiché nella società romana venivano svolte da uomini liberi,
mente l’attività lavorativa manuale era demandata agli schiavi.
La professione intellettuale si connota per il fatto di richiedere particolari conoscenze,
indispensabili ai ni dell’erogazione della prestazione richiesta.
Tradizionalmente, il compenso dei professionisti iscritti a ordini o collegi era regolato da tari e.
Queste furono poi abrogate, stabilendo che il compenso dovesse essere convenuto dalle parti,
con l’obbligo del professionista di comunicare in forma scritta a colui che conferisce l’incarico
professionale la prevedibile misura del costo della prestazione.
La riforma era volta a favorire la concorrenza ed aveva consentito ai clienti dotati di maggiore
forza contrattuale di imporre ai professionisti anche condizioni inique.
Così, un D.Lgs dicembre 2017 è intervenuto stabilendo:
- Che fosse vietata l’imposizione da parte dei grandi clienti di clausole vessatorie, la cui nullità
opera solamente a favore del professionista
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- Il compenso del professionista si debba limitare ad un equo compenso (= giusto standard),
agganciato ai parametri ssati dagli organismi di categoria e, in mancanza, a criteri da stabilirsi
in appositi decreti ministeriali.
SUBFORNITURA
Con la L giugno 1998 Disciplina della subfornitura nelle attività produttive è stata introdotta una
normativa a carattere eccezionale, che deroga numerosi principi relativi alla pare generale delle
obbligazioni e dei contratti (dunque, si deve procedere con grande cautela ad una loro
applicazione analogica).
CONTRATTO DI TRASPORTO
Il contratto di trasporto rientra nella locatio operis, come quello di appalto: esso, tuttavia,
di erisce dal contratto di appalto per la natura del risultato che ne forma l’oggetto.
Con il contratto di trasporto il vettore si obbliga verso un corrispettivo a trasferire persone o cose
da un luogo ad un altro (ART 1678 cc).
Dal punto di vista dell’oggetto, è possibile distinguere il trasporto di persone e quello di cose.
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Ci sono varie tipologie di trasporto:
- Trasporto terrestre ARTT 1678-1702 cc
- Trasporto per aria (codice civile + codice della navigazione)
- Trasporto per acqua (codice civile + codice della navigazione)
I servizi di linea costituiscono un servizio pubblico che viene esercitato tramite una concessione
amministrativa.
Per evitare abusi ed assicurare il servizio della generalità del servizio pubblico, sono stabiliti due
obblighi a carico delle imprese concessionarie:
• Contrarre con chiunque ne faccia richiesta: l’impresa è obbligata a fornire le proprie
prestazioni al pubblico, mentre solitamente ciascuno è libero di contrarre o no
• Osservare la parità di trattamento
Da ciò deriva la responsabilità del vettore 1) per i sinistri che colpiscono il viaggiatore durante il
viaggio + 2) per la perdita od avaria dei bagagli => carattere contrattuale: dunque, non spetta al
passeggero provare la colpa del vettore, ma spetta al vettore l’onere della prova liberatoria da
detta responsabilità, che è presunta.
Il vettore, nel contratto di trasporto di persone, ha l’onere di fornire la prova che egli ha adottato
tutte le cautele necessarie per evitare il danno.
Il viaggiatore, dunque, deve solamente dimostrare: 1) l’esistenza del contratto + 2) danno
subito + 3) nesso di causalità; non dovrà invece dimostrare che il danno è conseguenza di una
manovra imprudente e scorretta del vettore.
Tuttavia, in caso di circolazione in un veicolo che palesi condizioni di insicurezza, ove il
trasportato accetti il rischio della circolazione concorrerà colposamente egli stesso al danno, con
conseguente riduzione del danno liquidabile.
Nel caso in cui il vettore aereo a di ad altro soggetto le operazioni di handling (= carico e
scarico e deposito di beni oggetto del trasporto), tale attività rientra nell’attività complessiva che
forma oggetto del contratto di trasporto. Da ciò consegue che:
1) L’operatore di handling assume la quali ca di ausiliario del vettore
2) In caso di perdita od avaria delle se trasportate, l’avente diritto (mittente o destinatario)
proprietario può agire contrattualmente nei confronti del vettore, responsabile del fatto
colposo del proprio ausiliario.
3) L’operatore di handling risponde della perdita o del danneggiamento in solido con il vettore, a
titolo extra-contrattuale, in quanto autore di un comportamento dannoso ai sensi del 2043 cc.
L’esigenza di un’e cace tutela di incolumità personale e l’indisponibilità dei relativi diritti hanno
consigliato al legislatore una deroga al regime generale in tema di clausole di esonero dalla
responsabilità:
- È consentito l’esonero da responsabilità 1) per colpa lieve 2) per il fatto degli ausiliari, che
non costituisca violazione di norme derivanti da violazione dell’ordine pubblico (ART 1229 cc)
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- Nulle le clausole che esonerano o limitano la responsabilità del vettore per sinistri che
colpiscano il viaggiatore, ART 1681 cc.
Nel trasporto di cose, colui che le a da al trasporto si chiama mittente, mentre colui cui
devono essere consegnate si chiama destinatario: dal momento in cui il destinatario richiede al
vettore la consegna della merce, il mittente perde la facoltà di sospendere il trasporto o chiedere
la sostituzione delle cose o di ordinare la consegna ad una persona diversa.
La prova del contratto è fornita dalla lettera di vettura, che di regola viene compilata dal
mittente e consegnata al vettore, che ne detiene un duplicato.
Se tale duplicato viene lasciato con la clausola dell’ordine, esso costituisce un titolo di credito.
Funzione analoga esercitano 1) traporto marittimo, 2) polizza assicurativa, 3) polizza di carico, 4)
ordini, 5) buoni di consegna.
Nel traporto di cose, queste sono a date al vettore che è tenuto alla custodia. Ciò dà luogo alla
responsabilità de excepto, perché nasce dalla ricezione della cosa: il vettore ha l’onere di fornire
la prova positiva che il danno è dipeso da fatto speci camente individuato, estraneo alla sfera
imputabile al vettore (es. fulmine), ART 1693 cc; di regola, invece, per escludere la responsabilità
del debitore basta la prova negativa che il danno non è derivato da fatto proprio o dei propri
dipendenti.
IL MANDATO
Il mandato è il contratto con cui il mandatario si obbliga a compiere uno o più atti giuridici per
conto del mandante, ART 1703 cc.
Il mandato rientra nella categoria locatio operis, ma si caratterizza per l’attività del mandante, che
consiste nel compimento di atti giuridici: ciò distingue il mandato dal contratto d’opera e dal
contratto di lavoro, in cui la prestazione consiste nel svolere un’attività manuale od intellettuale.
Mandato con rappresentanza: al mandatario è conferita una procura e gli e etti giuridici
degli atti prodotti dal mandatario si veri cano direttamente in capo al mandante (ART 1704 cc) ->
è evidente la di erenza fra procura e mandato:
• Procura -> atto unilaterale con cui il dominus conferisce il potere di rappresentarlo di fronte a
terzi.
• Mandato -> contratto con cui mandante e mandatario disciplinano i loro rapporti interni
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Mandato senza rappresentanza (o con rappresentanza indiretta): il mandatario agisce
in nome proprio e manca la contemplatio domini: acquista i diritti ed assume gli obblighi derivanti
dal negozio. Pertanto, l’ART 1705 cc a erma che i terzi non hanno alcun rapporto con il mandante
e non possono far valere contro di lui alcuna pretesa.
Il mandatario ha poi l’obbligo di trasferire detti e etti giuridici i capo al mandante.
Ciò merita alcuni approfondimenti nel caso in cui oggetto del mandato sia il compimento di un
acquisto per conto del mandante.
L’opinione tradizionale riteneva che il mandato senza rappresentanza (ma anche quello con
rappresentanza) che avessero per oggetto l’acquisto di beni immobili dovessero essere stipulati
per iscritto, per le stesse ragioni per cui è richiesta la forma scritta ad substantiam per il
preliminare di vendita.
Recentemente, però, la Suprema Corte e, da ultimo, anche le Sezioni Unite della Corte di
Cassazione hanno fatto leva sul principio delle libertà delle forma negoziali, stabilendo che
anche in caso di mandato verbale possa essere esperita l’azione ex ART 2932 cc, per
l’esecuzione in forma speci ca dell’obbligo del mandatario di trasferire al mandante il bene
acquistato: in tal caso, va precisato che il mandatario aveva riconosciuto per iscritto di aver
compiuto quell’atto nell’interesse del mandante e che si era impegnato a trasferirgli la proprietà:
difettava dunque un mandato scritto. -> si applica sentenza costitutiva o art 2932 cc????
Bisogna rilevare che l’azione di rivendicazione, concepita come un’azione petitoria, ha delle
rilevanti ripercussioni sul piano giuridico: in virtù di tale azione, infatti, il mandante acquista la
proprietà nel momento in cui il mandatario conclude l’acquisto, senza la necessità di un
ulteriore trasferimento.
Invece, per quanto riguarda i beni immobili o i beni mobili registrati, il mandante non è titolare di
un’azione reale, ma ha solo un credito nei confronti del mandatario, essendo costui obbligato a
trasferirgli la proprietà con un ulteriore negozio.
Questa di erenza si spiega per il fatto che il legislatore ha tenuto presente il diverso regime di
circolazione dei beni:
• Trasferimento degli immobili -> forma scritta ad substantiam ed è soggetto a pubblicità,
per la tutela di terzi (trascrizione): da ciò consegue che la proprietà deve essere attribuita al
mandante con un nuovo atto scritto di trasferimento da trascrivere.
• Acquisto di beni mobili -> immediato; occorreva solo proteggere la buona fede di terzi
subacquirenti e per questo è su ciente la regola possesso vale titolo (ART 1153 cc)
Considerando ancora che nel mandato senza rappresentanza l’acquisto si veri ca in capo al
mandatario, l’ART 1707 cc ha voluto tutelare il diritto del mandante, nel caso in cui i creditori
del mandatario volessero agire sui beni oggetto del mandato. Il legislatore ha voluto dunque
rendere i beni impignorabili nel mandato senza rappresentanza.
Per evitare di aprire la strada a facili frodi in danno dei creditori, però, si esige che l’anteriorità del
mandato rispetto al pignoramento risulti in modo sicuro:
• Beni immobili -> trascrizione o proposta della domanda giudiziale volta all’ottenimento del bene
• Beni mobili -> data certa
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Per quanto concerne i crediti nascenti dal negozio posto in essere dal mandatario, il mandante
può applicare l’azione surrogatoria (ART 2900 cc), esercitando i diritti nascenti dal rapporto
obbligatorio, sostituendosi al mandatario.
Rispetto all’azione surrogatoria vera e propria, però, vi è una di erenza: infatti, mentre nell’azione
surrogatoria vera e propria il creditore può esercitare i diritti che spetterebbero al debitore se
costui è inadempiente, in questo caso egli può sempre esercitare i diritti di credito derivanti
dall’esecuzione del mandato.
La giurisprudenza ha precisato che tale legittimazione è ristretta al solo esercizio di crediti
acquistati in nome proprio del mandatario; pertanto, al mandante è precluso l’esercizio delle
ulteriori azioni derivanti dal mandato (es. annullamento, risoluzione), che spettano solo al
mandatario; in ogni caso, al mandante è riconosciuta la legittimazione di proporre l’azione di
nullità del contratto.
Per quanto concerne gli obblighi derivanti dall’esecuzione del mandato occorre tenere presente la
tutela del terzo che ha contratto con il mandatario, facendo a damento sulla sua solvibilità.
Dunque, il mandatario non può sottrarsi alle obbligazioni assunte in nome proprio verso il terzo,
se questi non acconsenta.
Chiaramente, al mandatario spetta il diritto di essere tenuto 1) indenne da tutti gli esborsi + 2)
oneri + 3) perdite che dovesse subire in conseguenza del mandato.
Il mandato si dice:
• Collettivo: se è conferito allo stesso mandatario da più mandanti, con un unico atto e con un
interesse comune -> può essere revocato solo da tutti i mandanti, salvo che non ricorra una
giusta causa, ART 1726 cc
• Congiuntivo: se è conferito a più mandatari, perché attengano congiuntamente al medesimo
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Il mandato si presume oneroso (ART 1709 cc) e dunque si presume che sia dovuto in
compenso a favore del mandatario, spetterà al mandante provare che il mandato era a titolo
gratuito.
Il mandante può, a propria discrezione, revocare il mandato (ART 1723 cc); la revoca può essere
sia espressa sia tacita (es. compimento dell’a are dal mandante, nomina di un altro mandatario,
ecc).
Se il mandato è conferito nell’interesse del mandatario (mandato in rem propriam) o a favore di un
terzo, la revoca è ammessa solo per giusta causa (ART 1723 cc)
Per la verità, un interesse del mandatario sussiste sempre nel mandato a titolo oneroso; in questo
caso, la revoca prima del compimento dell’a are o prima della scadenza del termine è ammessa,
ma obbliga il mandante al risarcimento del danno, salvo che sussista una giusta causa.
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Se poi il mandato è a tempo indeterminato, la revoca non dà luogo al risarcimento, se vi è una
giusta causa o se dichiarato con congruo preavviso.
Non basta dunque solo il diritto al compenso a rendere il mandato irrevocabile (si ricordi ART
1709 cc: il mandato si presume oneroso), ma occorre l’esecuzione del mandato, per e etto di
un’obbligazione assunta dal mandante: deve essere assicurato al mandatario un vantaggio
diverso rispetto alla remunerazione.
Il mandato si estingue anche per rinunzia del mandatario, salvo l’obbligo di corrispondere i
danni, se la rinunzia non avviene per giusta causa, e se mandato a tempo indeterminato, se non
è receduta da giusto preavviso.
CONTRATTO DI AGENZIA
L’agente fa spesso ricorso alla gura dell’agenzia, volta a predisporre la rete distributiva, per
proporre i prodotti verso la potenziale clientela dell’imprenditore.
Con il contratto di agenzia, l’imprenditore preponente a da ad un agente con carattere di
stabilità l’incarico di promuovere nella zona territoriale assegnatagli il procacciamento di contratti
con terzi (ART 1742 cc).
L’agente non stipula lui stesso i contratti con i terzi, ma si limita a trasmettere gli ordini che
raccoglie nella sua zona e che il preponente è libero di accettare o meno.
All’agente può anche essere conferito un potere di rappresentanza, che però non è elemento
essenziale del contratto di agenzia: tipica dell’agenzia, invece, è l’attività di procacciamento
della clientela.
La disciplina codicistica è stata nel tempo modi cata ed integrata, per dare attuazione a delle
direttive comunitarie.
Inoltre, alla disciplina del rapporto fra agente e preponente concorrono appositi accordi economici
collettivi.
Il contratto di agenzia deve essere provato per iscritto (ART 1742 cc) -> forma ad probationem
La retribuzione dell’agente è di regola costituita da una provvigione sugli a ari conclusi per suo
tramite (ART 1748 cc).
Il diritto alla provvigione non è condizionato sull’esecuzione dell’a are procacciato dall’agente,
che può essere chiamato a restituire la provvigione da lui riscossa solo nel caso in cui sia certo
che il contratto cui la provvigione si riferisce non sarà concluso per cause non imputabili al
preponente. È nullo qualsiasi patto sfavorevole all’agente.
L’ART 1746 cc, modi cato dalla legge del 1999, vieta la pattuizione dello star per credere o
qualsiasi patto che ponga a capo all’agente qualsiasi responsabilità per l’inadempimento del
terzo contraente: la norma consente eccezionalmente alle parti di pattuire volta per volta per i
singoli a ari che l’agente presti un’apposita garanzia, concernente la regolare esecuzione del
contratto da parte del terzo. Tale garanzia deve comunque essere contenuta nei limiti della
provvigione dell’agente e dinnanzi alla stessa deve essere previsto un corrispettivo.
L’agente sostiene in proprio tutte le spese inerenti la propria organizzazione e sopporta il rischio
economico dell’attività che svolge (ART 1748 cc), sebbene sia comunque di usa la prassi che il
preponente gli accordi dei contributi di fronte a talune spese.
Dunque, l’agente deve a sua volta essere considerato un imprenditore: non a caso, infatti,
spesso l’attività di agenzia è svolta da società, oltre che da persone siche.
Per l’agenzia vale un diritto di esclusiva reciproco (ART 1743 cc): l’agente non può stipulare
contratti di agenzia con dei concorrenti del preponente, così come il preponente non può
nominare altri agenti nella zona assegnata.
Inoltre, il preponente deve corrispondere all’agente la provvigione degli a ari che egli concluda
autonomamente, senza l’intervento dell’agente, purché siano svolti nella zona all’agente
assegnata.
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La violazione dell’esclusività dà luogo ad una responsabilità contrattuale.
Nonostante il tenore letterale della norma, giurisprudenza e dottrina ritengono che l’esclusività sia
derogabile, ossia che si tratti di un elemento naturale del contratto.
Il D.Lgs 2006 vieta alle compagnie assicurative di stipulare con gli agenti delle clausole di
distribuzione esclusiva delle polizze assicurative concernenti la circolazione di autoveicoli.
Il contratto di agenzia può essere stipulato a tempo determinato o a tempo indeterminato (ART
1750 cc).
Alla cessazione del rapporto, l’agente può avere diritto ad un’equa indennità, alle condizioni e
nella misura ssate dall’ART 1751 cc. L’indennità si giusti ca allorquando l’attività dell’agente
abbia 1) procurato nuovi clienti al preponente o 2) abbia incrementato gli a ari preesistenti e il
preponente possa continuare a giovarsi di quella clientela.
L’indennità non spetta in caso di:
• Risoluzione del contratto per inadempimento
• Recesso dell’agente
• Cessione ad un terzo dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto di agenzia
L’eventuale patto che limiti la concorrenza da parte dell’agente nei confronti del preponente per
il periodo successivo alla cessazione del rapporto: 1) deve farsi per iscritto + 2) non può eccedere
i 2 anni + 3) deve riguardare la medesima zona, clientela e genere di beni.
A fronte di tale limitazione, l’agente ha diritto ad un’indennità di natura non provvigionale,
stabilita sulla base dell’ART 1751-bis cc.
La legge del 1985 aveva previsto che gli agenti dovessero iscriversi obbligatoriamente ad un
ruolo istituito presso ciascuna camera di commercio e la giurisprudenza ne aveva dedotto che chi
non fosse iscritto a tale ruolo non potesse stipulare il contratto di agenzia, sicché il contratto
eventualmente stipulato sarebbe 1) risultato nullo + 2) l’agente non avrebbe avuto diritto alle
provvigioni.
Con una sentenza del 1998, la Corte di Giustizia Europea ha stabilito che la mancata iscrizione
all’albo può dar luogo a delle sanzioni amministrative e non all’invalidità del contratto: la norma
verrebbe infatti in con itto con il principio di libertà e di concorrenza.
La norma del 1985 è stata dunque ritenuto suscettibile a disapplicazione da parte dei giudici
nazionali; il ruolo degli agenti è stato de nitivamente soppresso nel 2010, pur essendo ancora
richiesti i requisiti di professionalità.
L’agenzia non va confusa con altre gure, che pur possono presentare degli elementi di
somiglianza:
• Dalla mediazione: per il fatto che:
- Il mediatore ha una posizione indipendente e non può essere legato a nessuna delle parti con
rapporti di collaborazione, mentre l’agente ha stabilito uno stabile rapporto di
collaborazione con il proponente
- Il mediatore pone in relazione due o più parti in modo occasionale, mentre l’agenzia presenta
come carattere essenziale la stabilità del rapporto -> le agenzie immobiliari non sono
agenzia, ma sono mediatori, proprio in virtù dell’occasionalità in cui operano
• Dal lavoratore subordinato: l’agente gode di autonomia e non è soggetto agli ordini del
preponente
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• Dal mandatario: l’agente non stipula contratti, ma si limita a favorirne la stipulazione; quando
vi sia l’agente con rappresentanza, al rapporto d’agenzia si a anca un mandato, che però non e
rappresenta il carattere essenziale.
MEDIAZIONE
Carattere fondamentale della mediazione (ART 1754 cc) è l’intervento del mediatore o sensale (=
una persona estranea alle parti), che mette le parti in relazione tra loro per provocare o da
agevolare la conclusione dell’a are, senza però essere legato a nessuna di esse da rapporti di
collaborazione o dipendenza.
In base al codice civile, chiunque poteva svolgere l’attività di mediatore, sia occasionalmente sia
professionalmente.
Tuttavia, con una legge del 1989 il legislatore ha istituito un apposito ruolo, al quale i mediatori
dovevano iscriversi per lo svolgimento dell’attività di mediazione sia occasionalmente sia
professionalmente.
In seguito, con il decreto legislativo del 2010, la formalità dell’iscrizione è stata sostituita con
l’iscrizione preso il registro delle imprese.
Peraltro, secondo la Cassazione, così facendo è stata modi cata l’attività di espletamento
dell’onere d’iscrizione e pertanto vige ancora la regola che solo il mediatore iscritto ha diritto alla
provvigione.
Anche le società di mediazione devono essere iscritte al ruolo, nel quale deve iscriversi pure il
rappresentante legale della società e quanti svolgono attività di mediazione per conto di questa.
Peraltro, la legge in questione, non si applica a: 1) agenti di cambio + 2) mediatori marittimi +
3) intermediari di servizi turistici + 4) brokers o intermediari di servizi assicurativi + 5) intermediari
nanziari.
Il mediatore ha diritto alla provvigione da entrambe le parti, anche se abbia agito per incarico
di una sola di esse; tuttavia, le parti possono pattuire che la provvigione resti a carico di uno solo
dei contraenti.
La provvigione spetta al mediatore solamente se l’a are è concluso “per e etto del suo
intervento”, ART 1755 cc, vale a dire se vi sia un nesso di causalità fra l’attività del mediatore e
la conclusione dell’a are. Tale nesso, però, è da concepirsi con molta larghezza: è infatti
su ciente che il mediatore abbia segnalato un potenziale cliente all’interessato o che abbia
facilitato il raggiungimento dell’accordo e non occorre che egli sia intervenuto in tutte le fasi della
trattativa.
In ogni caso, va escluso il diritto alla provvigione quando le parti non abbiano ancora concluso un
a are in senso economico-giuridico (es. se è intervenuta una trattativa che rinvia la conclusione
dell’a are ad un accordo futuro).
La misura della provvigione, se non è 1) ssata pattiziamente, può essere 2) desunta da tari e
professionali o dagli usi oppure 3) determinata dal giudice in via equitativa.
Il mediatore è libero di adoperarsi o meno per favorire la stipulazione dell’a are: infatti, il suo
interesse a farlo non è giuridico, ma empirico, in quanto è solamente legato al lucro).
Qualora egli però accetti uno speci co incarico è tenuto a svolgerlo con diligenza (ART 1756 cc);
in ogni caso, è obbligato a 1) comportarsi secondo correttezza e buona fede, nei confronti di
entrambe le parti, rispetto alle quali continua a conservare autonomia ed indipendenza e alle quali
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è tenuto 2) a comunicare le circostanze a lui note, relative alla valutazione e alla sicurezza
dell’a are.
Inoltre, se il mediatore non ha reso noto ad una delle parti il nome dell’altra, risponde in
proprio dell’esecuzione del contratto (ART 1762 cc).
Salvo patti od usi contrari, il mediatore ha diritto al rimborso delle eventuali spese sostenute, ove
l’a are non venga concluso, solo qualora il mediatore abbia agito su speci co incarico delle parti
e nei confronti di questa (ART 1756 cc).
DEPOSITO
Il deposito è un contratto con il quale il depositario riceve dal depositante una cosa mobile con
l’obbligo di custodirla e di restituirla in natura (ART 1766 cc).
Il deposito si presume gratuito, con una presunzione iuris tantum. Spesso, del resto, la
prestazione di deposito è accessoria rispetto ad un’altra, avente carattere principale (es.
guardaroba di un ristorante).
Nella custodia, il depositario deve utilizzare la diligenza del buon padre di famiglia ed è liberato
dall’obbligo di restituire solo nel caso in cui la cosa gli venga sottratta per causa a lui non
imputabile (ART 1780 cc): come nel mandato gratuito, nel deposito gratuito la responsabilità per
colpa è valutata con minor rigore.
Essendo il deposito di regola concluso nell’interesse del depositante, il depositario deve restituire
la cosa quando il depositante gliela richiede (ART 1771 cc); d’altro canto, però, il depositario può
domandare in qualunque tempo si essere liberato dall’obbligo della custodia, che potrebbe
diventare gravoso (ART 1771 cc) -> in entrambi i casi, è salva l’ipotesi in cui sia convenuto un
termine a favore dell’altra parte.
La giurisprudenza ha escluso che si determinasse un contratto di deposito e la conseguente
responsabilità ex recepto, nell’ipotesi di aree di sosta a pagamento istituite dai Comuni, qualora
l’avviso “parcheggio incustodito” sia esposto in modo da essere visibile prima della conclusione
del contratto di posteggio.
Il deposito può essere e ettuato da chiunque abbia il possesso o la detenzione della cosa,
indipendentemente che ne sia o meno il proprietario.
Dal contratto di deposito nasce l’obbligo in capo al depositario di restituire la cosa a chi l’ha
depositata; dunque, il depositario non può pretendere che il depositante provi di essere
proprietario della cosa.
Se il depositario viene citato in giudizio da un terzo che rivendica la cosa depositata, il depositario
deve denunziare la lite al depositante (ART 1777 cc).
Se il depositario scopre che la cosa consegnatagli proviene da un reato e gli è nota la persona del
derubato, deve denunciare il deposito fatto verso di sé (ART 1778 cc).
L’obbligo di custodia si ritrova anche nel deposito di albergo o in locali assimilati, così come in
stabilimenti balneari e palestre.
La materia del deposito in albergo è disciplinata dagli ARTT 1783 ss cc; in forza di tali
disposizioni, occorre distinguere:
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• Cose a date in custodia all’albergatore -> l’albergatore è illimitatamente responsabile del
deterioramento, distruzione o attrazione della cosa, salvo che non ricorra un’ipotesi di forza
maggiore.
• Cose portate in albergo, ma non a date alla custodia dell’albergatore -> la responsabilità
dell’albergatore non può superare, al massimo, l’equivalente di cento volte il prezzo di locazione
dell’alloggio per giornata, a meno che il danno non derivi da colpa sua o dei suoi ausiliari.
• Cose a date in custodia all’albergo o fuori dall’albergo, ma nelle operazioni precedenti o
successive all’esecuzione del contratto
Sono nulli i patti di preventiva limitazione alla responsabilità dell’albergatore.
Altra gura peculiare è il sequestro convenzionale (ART 1798 cc); esso ricorre quando vi sia una
controversia tra le parti circa la proprietà e il possesso della cosa. Esse dunque convengono di
a dare il bene ad un terzo, no a quando la lite non si sarà risolta, a nché la custodisca e poi la
restituisca.
Tale istituto è di scarsa applicazione, perché di cilmente le parti in lite faranno un accordo di
questo tipo.
Pertanto, per chi teme che l’oggetto conteso possa essere reso irreperibilmente o danneggiato,
ricorre solitamente al sequestro giudiziario, al ne di ottenere la nomina di un custode da parte
del giudice.
DEPOSITO IRREGOLARE
Il deposito irregolare ha per oggetto una quantità di denaro o di cose fungibili (es. grano), delle
quali viene concessa al depositario la facoltà di servirsi.
Il depositario acquista dunque la proprietà delle cose e dovrà restituire non idem corpus, ma
tantundem eiusdem generis et qualitatis.
Il depositario non ha neppure alcun obbligo di custodia della res a lui consegnata, essendo
obbligato solamente alla restituzione dell’equivalente.
Tale rapporto è regolato dalle norme concernenti il mutuo.
-> es. deposito del denaro presso una banca: la banca potrà disporre dei biglietti versati, per
concedere prestiti ad altri clienti; sarà poi vincolata alla restituzione della stessa somma ricevuta
(e gli interessi pattuiti).
Figura caratteristica è il deposito nei magazzini generali o nei magazzini franchi (ARTT 1787-1797
cc).
I magazzini generali sono locali in cui i commercianti possono depositare le merci; l’impresa che li
gestisce provvede alla custodia e alla conservazione delle merci, verso compenso.
Questo tipo di deposito agevola la circolazione della proprietà della merce depositata: infatti, su
richiesta del depositante vengono rilasciati le fedi di deposito o note di pegno o warrant, ossia
titoli che rappresentano le merci.
Il portatore di detti documento è legittimato 1) a chiedere la consegna delle merci + 2) ad
esercitare tutti gli inerenti diritti (es. risarcimento del danno, in caso in cui la merce sia andata
distrutta per un incendio).
COMODATO (!!!!!!)
Il comodato (ART 1803 cc), dal latino commodo datum, è il contratto con il quale il comodante
consegna al comodatario una cosa mobile od immobile, a nché questa se ne serva per un
tempo e per un uso determinati, con l’obbligo di restituire la stessa cosa ricevuta, ma senza
essere tenuta a pagare alcun corrispettivo.
Tale distinzione implica una una di erenza per quanto concerne l’oggetto del comodato.
Oggetto del comodato, infatti, possono essere:
• Cose inconsumabili
• Cose consumabili: solo nel caso del comodato ad obstentationem, ossia il caso in cui si
utilizzino per una destinazione anomala rispetto a quella che sarebbe loro propria, che non ne
implichi la distruzione (es. uso delle arance per una rappresentazione scenica, ma gli attori non
mangeranno le arance, che resteranno intatte).
Il comodato è un contratto essenzialmente gratuito, come statuito dall’ART 1803 cc: se per
l’uso della cosa fosse stabilito un corrispettivo si ricadrebbe sotto lo schema del contratto di
locazione (es. prendo una macchina a noleggio = locazione; un mio amico mi presta la sua
macchina = comodato).
Peraltro, il requisito essenziale della gratuità del comodato non viene meno nel caso del
comodato cum onere, ovvero se sono poste a carico del comodatario prestazioni accessorie
(es. obbligo di pagamento degli oneri inerenti del bene concesso in comodato), purché non siano
tali da assumere il carattere di un vero e proprio corrispettivo e rimangano nell’ambito di mere
prestazioni modali.
Il comodato si dice essere un contratto bilaterale imperfetto: infatti, da esso di regola nascono
obbligazioni a carico solo del comodatario, che deve infatti restituire la cosa; il sorgere di
un’obbligazione a carico del comodante, invece, è solo eventuale (es. il comodante è tenuto a
risarcire i danni qualora, conoscendo i vizi della cosa, non li abbia manifestati al comodatario).
Caratteristica del comodato è la sua temporaneità. Infatti, il limite del comodato può risultare da:
- Termine nale ssato dalle parti o implicitamente dall’uso speci co per il quale la cosa è
concessa in prestito
- Se non è stabilito un termine, il comodatario è tenuto a restituire la cosa non appena il
comodante la richieda -> comodato precario, ART 1810 cc
Può accadere che un terzo conceda un appartamento in comodato ad una coppia di coniugi
a scopo abitativo (generalmente, uno dei genitori), senza ssare un termine nale.
Nel caso in cui vi sia una crisi di coppia e di assegnazione dell’appartamento ad uno dei due
coniugi (il convivente con la prole), può il comodante chiedere la restituzione ad nutum
dell’appartamento, in applicazione delle regole del comodato precario?
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La giurisprudenza ha ritenuto che il comodato prosegue con l’originaria nalità e che dunque il
comodante è tenuto a consentire la prosecuzione del godimento del bene e dell’uso
previsto dal contratto (= sovvenire al bisogno abitativo della famiglia).
Tale bisogno deve essere e ettivo e persistente e a condizione che le sopravvenute vicende
legate ai soggetti coinvolti nel rapporto non facciano ritenere che sia intervenuta una
scomposizione del nucleo familiare con la costituzione di uno nuovo.
Resta salvo il diritto del comodante di chiedere la restituzione per la sopravvenienza di un
urgente ed impreveduto bisogno (ART 1809 cc): tale concetto fa riferimento alle impellenti
esigenze personali e non alla diversa opportunità di impiego del bene.
Tale principio è applicabile anche in caso di coppia convivente non coniugata. -> Cassazione
2004
MUTUO
Il mutuo, detto anche prestito di consumo, è il contratto con cui il mutuante assegna al mutuatario
una determinata quantità di denaro o di altre cose fungibili, e l’altra si obbliga a restituire il
tantundem eius generis et qualitatis (ART 1813 cc).
La di erenza tra mutuo e comodato risiede nel fatto che il mutuo, a di erenza del comodato, ha
per oggetto cose fungibili e consumabili, delle quali la proprietà passa al mutuatario.
Il mutuo si di erenzia anche dal deposito irregolare, ma tale di erenza è meno agevole, poiché
sia nel mutuo che nel deposito irregolare la proprietà si trasferisce all’accipiens (depositario).
L’elemento distintivo tra questi due contratti viene dunque ad identi carsi con la loro funzione:
mentre le funzione del deposito irregolare è quella di custodia (come il deposito in generale) e non
sono interessato a riavere gli stessi mezzi monetari ma mi basta la riconsegna del tantundem, il
mutuo invece soddisfa il bisogno del mutuatario di disporre temporaneamente di una somma.
Il mutuo si distingue anche dal quasi usufrutto: il quasi usufrutto è l’usufrutto che ha per
oggetto cose consumabili che passano in proprietà all’usufruttuario, in virtù del fatto che mentre il
quasi usufrutto è l’e etto di un contratto consensuale: la proprietà e dunque l’obbligo di
restituzione del tantundem eiusdem generis passa per e etto del consenso traslativo (ART 1376
cc) o nell’individuazione, ove occorra; il mutuo, invece, è un contratto reale e re per citur.
Il mutuo si presume oneroso, salva diversa volontà delle parti (ART 1815 cc): il mutuatario deve
infatti corrispondere gli interessi al mutuante. Per questo motivo, il mutuo oneroso è anche detto
feneratizio (da fenus, interesse).
Se le parti non hanno pattuito il tasso di interesse dovuto (ricordando che il tasso convenzionale,
se maggiore di quello legale, va pattuito per iscritto), si applica il tasso legale.
Nel caso in cui fossero stati convenuti interessi usurari, l’ART 1815 cc stabiliva la nullità della
convenzione usuraria, limitando l’obbligazione degli interessi a quelli corrispondenti al tasso
legale.
Tuttavia, con la L marzo 1996, fu stabilito che ove pattuiti interessi usurari la clausus sarebbe
stata nulla e nessun interesse era dovuto.
Si è a lungo discusso se la L marzo 1996 fosse applicabile anche ai mutui in corso al momento
dell’entrata in vigore della legge, ossia in relazione a fattispecie in cui la pattuizione contrattuale
oltre la soglia sia anteriore all’entrata in vigenza della legge, ma la sua esecuzione sia alla legge
successiva.
Così, fu dettata una norma d’interpretazione autentica della L marzo 1996, escludendo la
con gurabilità dell’usurarietà sopravvenuta: dunque, è stato chiarito che la nuova normativa
poteva investire solo gli e etti del contratto non ancora prodottisi e non la pattuizione contrattuale
anteriore all’entrata in vigore della legge.
Sul tema dell’usura si sono inoltre pronunciate le Sezioni Unite della Corte di Cassazione che
l’usurarietà sopravvenuta è contraria al dovere di buona fede e determina che non siano dovuti
interessi.
Inoltre, sempre riguardo alla L del 1996, le Sezioni Unite della Corte di cassazione hanno
a ermato che la disciplina in tema di interessi usurari si applica anche agli interessi moratori, in
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quanto tale legge sanziona ogni pattuizione di prestazioni usurarie; in caso di usurarietà di
interessi moratori, però, si applica l’ART 1815 cc, sicché non sono dovuti interessi moratori, sotto
la vigenza anche dell’ART 1224 cc, che determina la conseguente demenza degli interessi nella
misura dei corrispettivi lecitamente convenuti.
È stata anche stabilita una forma di tutela delle vittima di usurarietà, permettendo loro di
ottenere una somma di denaro a titolo di ristoro per il danno patrimoniale so erto.
Elemento di notevole rilevanza in materia di mutuo è il termine, ssato dall’ART 1816 cc: esso si
presume stipulato a favore di entrambe le parti. Infatti, anche il mutuante ha interesse a non
ricevere immediatamente la prestazione, poiché lucra gli interessi.
Per questo motivo, le banche pretendono che il mutuatario che estingua anticipatamente il mutuo
sia tenuto a pagare un certo importo.
Regole particolari inerenti all’estinzione anticipata sono dettate per le persone siche, che
stipulino contratti di mutuo nalizzati all’acquisto o alla ristrutturazione di immobili o allo
svolgimento di un’attività economica: in tal caso, è nulla qualsiasi clausola che preveda oneri o
penali a carico del mutuatario (nullità parziale, perché il contratto per il resto rimane valido).
Ulteriori disposizioni speciali sono poi con uite nel TUB, per consentire a coloro che abbiano
contratto debiti con la banca la portabilità del mutuo, ovvero di rivolgersi con più facilità ad altri
nanziatori, che o rano loro condizioni migliori: si tratta della surrogazione per volontà del
debitore.
Il TUB inoltre stabilisce che 1) la surrogazione non è preclusa dalla previsione di un termine per il
mutuante; 2) il trasferimento del rapporto in capo del nanziatore subentrante avviene senza il
pagamento di penali, oneri e costi di qualsiasi natura, essendo nullo ogni patto contrario; 3) il
mutuante originario è tenuto a pagare una penale al mutuatario nel caso in cui la surrogazione non
si perfezioni entro 30 giorni lavorativi dalla richiesta d’avvio della relativa procedura.
Se il mutuo è gratuito, il termine è previsto a favore del mutuatario.
Se le parti non hanno pattuito un termine o hanno stabilito che il mutuatario “paghi solo
quando potrà”, il termine è stabilito dal giudice.
Inoltre, se il mutuatario non paga anche una sola rata del mutuo se sia prevista la restituzione
fatela, e il mutuatario può chiedere l’immediata restituzione dell’intero.
Analogamente, se il mutuatario non paga gli interessi, il mutuante può richiedere 1) la risoluzione
del contratto + 2) l’immediata restituzione del capitale.
CONTRATTI ALEATORI
RENDITA
Con l’espressione rendita si intende una prestazione periodica avente per oggetto denaro o
una certa quantità di cose fungibili.
Una rendita può essere costituita a fronte di:
- Trasferimento della proprietà di un bene
- Cessione di capitale
- Titolo di liberalità
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-> es. ti alieno un immobile e tu invece di pagare direttamente una somma di denaro a titolo il
prezzo, darai una certa somma annua a me o ai miei eredi.
-> es. dono a te un immobile o una somma con l’onere o modo di corrispondere annualmente a
una certa quantità di prodotti alimentari a favore di un’istituzione di bene cienza.
RENDITA PERPETUA
Con il contratto di rendita perpetua, una parte conferisce all’altra (e da questa ai suoi eredi) il
diritti di esigere in perpetuo una prestazione periodica quale corrispettivo (ART 1861 cc):
• Dell’alienazione di un immobile
• Della cessione di capitale
• Come onere (modo) di alienazione gratuita di un immobile
• Come onere (modo) della cessione gratuita di capitale
A seconda di come la cessione dell’immobile o del credito avvengano, sono applicate due diverse
discipline (ART 1862 cc):
- A titolo oneroso: regole sulla vendita
- A titolo gratuito: regole sulla donazione
Un’obbligazione che non dovrebbe mai nire non è mista positivamente dal legislatore: al debitore
è dunque attribuita la facoltà (di natura potestativa) di compiere il riscatto (ART 1866 cc),
sciogliendosi dal vincolo mediante una dichiarazione unilaterale di volontà, seguita dal pagamento
della somma che risulta dalla capitalizzazione della rendita annua, sulla base dell’interesse legale.
Il riscatto è forzoso nei casi previsti dall’ART 1867 cc, ossia se il debitore 1) è in mora + 2) non
ha dato le garanzie promesse + 3) per e etto di alienazioni o divisioni, il fondo che garantisce la
rendita risulta diviso fra più di 3 persone.
Le norme sul riscatto si applicano a tutte le prestazioni perpetue costituite a qualsiasi titolo,
anche per atto di ultima volontà.
RENDITA VITALIZIA
Di discosta dallo schema tipico della rendita vitalizia il vitalizio alimentare o contratto di
mantenimento, in virtù del quale una parte si obbliga ad alienare un immobile o all’attribuzione di
altri beni od utilità, a fornire all’altra vitto ed alloggio ed assistenza, per tutta la durata della vita ed
in correlazione ai suoi bisogni.
Tale contratto è caratterizzato infatti da un’alea più intensa:
- Da una parte, connessa alla durata della vita del bene ciario
- Dall’altra, alla variabilità della prestazione a carico del vitaliziante, che dipende dalle mutevoli
esigenze del vitaliziato.
Per il suo carattere atipico, è ammessa nel contratto di mantenimento la risoluzione per
inadempimento.
ASSICURAZIONI
L’assicurazione (ART 1882 cc) è il contratto per il quale l’assicuratore, verso il pagamento del
premio, si obbliga a rivalere l’assicurato entro i limiti convenuti:
- Del danno ad esso prodotto da sinistro, es. incendio -> assicurazione contro i danni
- A pagare il capitale o una rendita al veri carsi di un evento della vita umana ->
assicurazione sulla vita
- Risarcire a terzi il danno che dovrebbe essere risarcito dall’assicurato -> assicurazione
contro la responsabilità civile
Per e etto del contratto di assicurazione, il proprietario riceverà una somma a titolo
d’indennizzo a fronte ad esempio della distruzione dell’immobile.
Dunque, il rischio viene trasferito dalla sfera dell’assicurato a quella dell’assicuratore: tuttavia,
l’assicuratore può far fronte a detto rischio, per via del calcolo delle probabilità che gli consente di
ripartire sull’ammontare complessivo dei premi incassati dagli assicurati, esposti al medesimo
rischio, l’onere dei sinistri che si realizzano, cercando anche di ricavare un lucro.
Appunto perché diretta al trasferimento del rischio da una parte dell’altra, il contratto di
assicurazione si con gura come un contratto aleatorio, di cui l’alea è l’elemento essenziale:
- Per l’insussistenza dell’alea -> contratto nullo
- Per cessazione dell’alea -> scioglimento del contratto
- Inesatta conoscenza dell’alea da parte dell’assicuratore -> 1) annullamento o 2) risoluzione o
3) retti ca
Spesso, peraltro, l’assicuratore non può procurarsi le notizie necessarie per la stima del rischio e
deve rimettersi alla lealtà dell’altro contraente (es. questo soltanto può dirgli se sia a etto da
malattie).
Pertanto, il legislatore ha accordato una particolare protezione all’assicuratore, ampliando la
tutela che discende dall’applicazione dei principi comuni sull’errore e sul dolo (ART 1892-1893
cc), pur evitando che la minima inesattezza involontaria arrechi un pregiudizio all’assicurato.
Infatti, le risposte inesatte o reticenti danno luogo all’annullabilità del contratto soltanto
nell’ipotesi di dolo o colpa grave dell’assicurato; qualora l’inesattezza non dipenda da dolo o
culpa gravis, l’assicuratore ha la facoltà 1) di recedere al contratto e 2) alla retti ca del
contratto = l’indennità è ridotta in proporzione all’e ettiva entità del rischio, nel caso in cui il
sinistro si veri chi prima della dichiarazione di recesso o della conoscenza dell’inesattezza o della
reticenza da parte dell’assicurato.
Per impedire che l’assicuratore possa continuare a riscuotere premi, pur avendo conosciuto
l’entità del rischio, per poi addurre l’inesattezza delle dichiarazioni solo al momento del sinistro, è
stabilito un breve temine di decadenza 1) per la proposizione di azione di annullamento e 2) per
l’esercizio della facoltà di recesso, che decorre dalla conoscenza dell’inesattezza o della
reticenza.
Questi principi possono essere derogati solo mediante clausole di incontestabilità, ossia
clausole più favorevoli per l’assicurato: per e etto delle clausole di incontestabilità dopo un certo
tempo, generalmente di 6 mesi o di 1 anno, il contratto non può più essere impugnato
dall’assicuratore.
Alle assicurazioni contro i danni si applica il principio indennitario, per e etto del quale
l’indennizzo dovuto dall’assicuratore non può mai superare il danno so erto dall’assicurato:
l’assicurazione è regolata dal legislatore come atto di previdenza e dunque come mezzo di
conservazione del patrimonio, non potendo dunque diventare fonte di arricchimento o
speculazione.
Le Sezioni Unite della Corte di cassazione hanno a ermato che se un soggetto subisca un
danno e riceva l’indennizzo, il danneggiato non può pretendere dal terzo responsabile e
dall’assicuratore una compensatio lucri cum damno, ossia degli indennizzi che superino il totale
dei danni subito dal suo patrimonio.
Inoltre, l’assicuratore che ha pagato l’indennità può agire per surrogazione legale contro i
danneggianti, ossia esercitare le azioni che spetterebbero all’assicurato contro i terzi responsabili
del danno arrecato alla cosa, ART 1916 cc.
Inoltre, appunto perché l’assicurazione contro i danni costituisce un atto di previdenza, diretto a
riparare una perdita potenziale, è essenziale la sussistenza di un interesse dell’assicurato al
risarcimento del danno: dunque, non è possibile assicurarsi per danni ad un bene altrui, la cui
perdita o il cui deterioramento è indi erente per il nostro patrimonio.
In caso di carenza di interesse, il contratto è nullo (ART 1904 cc).
Il Codice delle Assicurazioni sancisce altresì la nullità delle assicurazioni che abbiano per oggetto
il trasferimento del rischio di pagamento di sanzioni amministrative o il riscatto per il sequestro
di una persona -> contratti contrari all’ordine pubblico.
Si tratta di una forma di assicurazione molto di usa, anche per la crescente tendenza delle
persone a cautelarsi contro le conseguenze della responsabilità
- Di un proprio fatto colposo: è possibile assicurarsi sia contro la responsabilità aquiliana, sia
contro quella contrattuale.
- Un fatto di terzi per il quale si debba rispondere (es. il datore di lavoro assicura il rischio di
dover rispondere degli illeciti dei propri dipendenti).
Una particolare clausola è detta claims made e può ricorrere in determinati contratto. Essa
consiste nel prevedere che l’assicuratore terrà indenne l’assicurato dalle pretese risarcitorie di
terzi pervenute durante il tempo di vigenza del contratto di assicurazione. Dunque:
- Da un lato, l’assicurazione opera anche se un fatto dannoso sia stato commesso prima della
conclusione del contratto
- Dall’altro, non copre i danni conseguenti a fatti commessi durante la vigenza del contratto, ma
rispetto ai quali la pretesa del danneggiato sia emersa successivamente -> nella prassi è
possibile l’applicazione delle clausole di ultrattività per la copertura di un certo periodo
A causa della descritta sfasatura temporale, si è dubitato della validità della clausola, poiché
appariva in contrasto con l’ART 1917 cc, per la quale norma l’assicurazione copre i danni
accaduti durante la vigenza dell’assicurazione.
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Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno stabilito che l’assicurazione di responsabilità
civli con la clausola claims made, appartiene al tipo legale dell’assicurazione contro i danni,
poiché il meccanismo di operatività della copertura non altera la causa negoziale e la funzione
assicurativa del contratto, essendo ammissibile una deroga convenzionale all’ART 1917 cc
(semmai l’assicurato potrà invocare altre forme di tutela, es. se ha ricevuto un’inadeguata
informazione precontrattuale).
Possono essere nulle le clausole claims made quando rendano eccessivamente di cile
l’esercizio del diritto assicurato, per la loro conformazione
-> es. impongono uno stretto limite temporale dalla cessazione del contratto per denunciare il
sinistro.
L’assicurazione della responsabilità civile è un atto di cautela per chi decide di assicurarsi, 1)
ponendo in salvo il proprio patrimonio da future eventuali responsabilità ed 2) indirettamente
vantaggioso per il danneggiato.
-> es. se il danneggiante fosse nullatenente, il danneggiato non troverebbe il patrimonio su cui
rifarsi delle proprie ragioni.
Per questo motivo, la legge impone sempre più spesso l’obbligo di assicurarsi a coloro che
svolgono attività suscettibili alla lesione di terzi.
-> es. circolazione di veicoli a motore e natanti
La giurisprudenza ha chiarito che con circolazione si intende anche qualunque operazione svolta
a veicolo fermo (es. apertura delle portiere verso la carreggiata).
Le legge infatti stabilisce che nessun veicolo a motore può essere posto in circolazione senza che
sia stato stipulato il contratto di assicurazione che garantisca il risarcimento dei danni che il
veicolo dovesse eventualmente causare a terzi.
La violazione di questa regola è penalmente sanzionata.
La legge speciale consente al danneggiato di rivolgersi per il risarcimento dei danni subiti
direttamente contro l’assicuratore.
Di regola, però, non è così: il danneggiato può far valere le sue ragioni solo contro il
danneggiante; se questo è assicurato, ha la facoltà di chiamare in causa l’assicurazione.
Inoltre, recenti interventi normativi hanno cercato di snellire e rendere più rapide le procedure di
risarcimento dei danni conseguenti a sinistri stradali, soprattutto quando si siano arrecati danni
alle cose e non alle persone:
- In presenza di particolari condizioni, l’assicuratore ha l’obbligo di formulare una proposta di
risarcimento del danno entro 60 giorni dalla richiesta.
- È inoltre stata introdotta il risarcimento diretto, in forza del quale il danneggiato rivolge la
richiesta di risarcimento al proprio assicuratore (anziché a colui che assicura il danneggiante),
che è obbligato a provvedere alla liquidazione dei danni per contro dell’impresa di
assicurazione, ferma la successiva regolazione dei rapporti fra le imprese medesime.
- Costituzione del fondo di garanzia, per il risarcimento del danno provocato da un veicolo o
natante non identi cato o non coperto da assicurazione
Alla categoria di assicurazione sulla vita appartengono tutte le forme in cui la prestazione
dell’assicuratore dipende dalla durata della vita umana.
Molte sono le tipologie di assicurazione sulla vita :
1) Assicurazione in caso di morte
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2) Assicurazione in caso di vita -> l’assicuratore si impegna a pagare un capitale o una
rendita all’assicurato a partire dal raggiungimento di una determinata età
3) Si parla anche si assicurazioni miste, per e etto delle quali il capitale assicurato viene
attribuito in caso di morte prima di una certa età alle persone designate; se, invece, la persona
assicurata raggiunge l’età stabilità, il capitale stesso è a lei dovuto.
5) L’assicurazione può anche essere contratta sulla vita di un terzo (es. coniuge). Per
evitare che tale forma di assicurazione incrementi gli omicidi, è necessario il consenso del terzo
sulla cui vita l’assicurazione è contratta (ART 1919 cc).
RIASSICURAZIONE
La riassicurazione è il contratto con cui l’assicuratore assicura presso un’altra impresa i rischi
che ha assunto (ART 1928 cc).
Esso non costituisce una forma di cessione del contratto, poiché in questo caso non sono creati
rapporti fra l’assicurato e il riassicuratore (ART 1929 cc).
GIUOCO E SCOMMESSA
La disciplina descritta si applica a tutti i debiti che, pur nascendo da negozi diversi rispetto al
contratto di gioco, sono contratti tra i giocatori o da un giocatore con il gestore della casa da
gioco 1) o per iniziare 2) o proseguire il gioco.
Per ravvisare un tale collegamento, secondo la giurisprudenza occorre che la messa a
disposizione di denaro sia strettamente funzionale alla partecipazione al gioco e che sussista
un diretto interesse del mutuante (es. casa da gioco) a favorire la partecipazione del gioco al
mutuatario.
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Viceversa, il mutuo concesso da un terzo estraneo al gioco non è esposto al regime
dell’inesigibilità del credito, anche se il mutuante sia consapevole dell’intento del mutuatario di
utilizzare la somma per gioco.
In realtà, nei negozi autorizzati, l’organizzatore del gioco si tutela dalla carenza d’azione
esigendo il pagamento anteriormente al gioco stesso, il che induce taluno a quali care detto
contratto come reale.
Tali regole si applicano anche al gioco esercitato da case di gioco autorizzate da taluni comuni
(es. Venezia), poiché secondo l’interpretazione prevalente l’autorizzazione della quale godono
toglie il valore alle sanzioni penali stabilite per il gioco d’azzardo, non incidendo sul regime
privatistico del gioco.
Il contratto con cui si costituisce una garanzia a favore del creditore, ossia garanzia personale
di un terzo, prende il nome di deiussione.
Il termine deiussione deriva dalla frase latina che era impiegata per la sua costituzione:”idem
de tua essere iubes?”.
Il deiussore (o mallevadore o garante) è colui che si obbliga personalmente verso il creditore e
garantisce l’adempimento di un’obbligazione altrui (ART 1936 cc)
Tale garanzia è personale, perché il creditore può soddisfarsi sul patrimonio di una persona
diversa del debitore e ciò non dà luogo ad un diritto reale.
Il deiussione risponde con tutti i suoi beni (ART 2740 cc), laddove il terzo datore di pegno ed
ipoteca invece rispondono solamente sul bene ipotecato o posto sotto pegno.
La deiussione, però, non attribuisce lo ius sequeli: se, dunque, il garante si spoglia dei suoi
beni, il creditore non può rivolgersi contro il terzo acquirente, ma eventualmente potrà esperire
un’azione revocatoria, ART 2901 cc.
Il rapporto di deiussione si stringe fra creditore e deiussore anche se, come accade di
frequente, esso è preceduto da un’intesa fra debitore e deiussore; tuttavia, ciò non è essenziale.
La deiussione può essere anche spontaneo e può avvenire anche se il debitore non ne sia a
conoscenza (ART 1936 cc). Infatti, la deiussione è un rapporto bilaterale fra creditore e
deiussore.
Peraltro, poiché si tratta di un contratto che comporta obbligazioni a carico di una sola parte,
esso si perfeziona senza il bisogno di accettazione da parte del creditore garantito, ai sensi
dell’ART 1333 cc.
La deiussione ha natura accessoria, così come accade per i rapporti di garanzia reale.
Da questo carattere di accessorietà discende che la deiussione 1) non è valida se non è valida
l’obbligazione principale, 2) non può eccedere ciò che è dovuto al creditore, 3) né può essere
prestata in duriorem causam (= a condizioni più onerose), ART 1941 cc.
Il deiussore può opporre al creditore tutte le eccezioni che poteva opporgli il debitore principale,
salvo quella derivante da incapacità (ART 1945 cc).
Data la gravità delle conseguenze cui la deiussione dà luogo, ne deriva che la deiussione non
può essere assunta per facta concludentia, ma è necessaria l’espressione di volontà da parte
del deiussore (ART 1937 cc).
In virtù del principio generale che stabilisce la solidarietà tra debitori (ART 1294 cc), la
deiussione prevede che il deiussore è obbligato in solido con il debitore principale.
Si può peraltro convenire che sia stabilito il bene cium excussionis (ART 1944): in tal caso, il
deiussore convenuto in giudizio potrà eccepire che il creditore prima deve sottoporre ad
esecuzione i beni del debitore principale e, solo in un momento successivo, potrà agire nei
confronti del deiussore, che sarà tenuto alla prestazione totale o residua.
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In caso di pluralità di deiussori, può anche essere stabilito il bene cium divisionis: il debito si
divide in tante parti quanti sono i deiussori e ogni deiussore può esigere che il creditore gli
chieda solo la sua parte.
Il deiussore che ha pagato il debito è surrogato nei diritti che il creditore aveva contro il
debitore, con il bene cium cedendarum actionum: egli, dunque, può valersi contro il debitore o
eventuali condebitori di tutti i mezzi di garanzia che erano a disposizione del creditore.
Se la surrogazione diviene impossibile per fatto del creditore, la fideiussione si estingue (ART
1955 cc).
Oltre a tale surrogazione, il deiussore ha l’azione di regresso contro il debitore, anche se questi
fosse ignaro della prestata deiussione: con essa, può farsi rimborsare quanto abbia versato per il
debitore principale.
Il deiussore rimane obbligato anche dopo la scadenza dell’obbligazione principale, purché il
creditore abbia proposto entro 6 mesi le azioni contro il debitore e le abbia coltivate (ART 1957
cc).
Si può prestare deiussione per l’obbligazione assunta da un incapace (ART 1939 cc); tuttavia,
il deiussione che abbia pagato, ha regresso nei confronti dell’incapace limitatamente a ciò che
sia andato a suo vantaggio.
Il mandato di credito o mandatum de pecunia credendo (ART 1958 cc) è il contratto con cui
una persona A si obbliga verso una persona B a far credito (fornire la prestazione) a C: la persona
B che ha richiesto all’altra A di far credito risponde come deiussione di un debito futuro, ossia
quello che sarà assunto da C -> nulla a che vedere con il mandato
La deiussione omnibus è l’impegno assunto da un soggetto (privato, società, banca) verso una
banca con cui si garantisce l’adempimento di tutti i debiti, compresi quelli che potranno sorgere
successivamente al rilascio della deiussione che un terzo risulterà avere con la banca al
momento 1) della scadenza pattuita oppure 2) quando la banca vorrà recedere al contratto e
deciderà di domandare il saldo dei propri crediti.
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Qualora il debitore principale non sia in grado di provvedere all’estinzione dei propri debiti, la
banca potrà rivolgersi al deiussore omnibus, il quale non potrà opporsi dicendo di non essere a
conoscenza dell’entità dei debiti garantiti.
Con tale forma, si evita di dover richiedere una garanzia ogni qualvolta che l’obbligato principale
ponga in essere una nuova operazione; peraltro, il deiussore corre il rischio di ignorare quanto
si stia espandendo il totale dei debiti del soggetto, al favore del quale egli ha rilasciato la
garanzia omnibus.
Sono dunque avanzati dubbi circa la validità della deiussione omnibus, in virtù del difetto della
determinatezza dell’oggetto, che ne avrebbe fatto discendere la nullità.
Questi dubbi sono stati superati dalla Corte di cassazione, che ha stabilito che i debiti garantiti
sono comunque determinabili per relationem, poiché il garante al momento dell’assunzione di
detto impegno sa che è tenuto a rimborsare alla banca tutti i debiti che un soggetto avesse
accumulare nei confronti di questa.
Peraltro, l’assunzione di tale impegno espone il deiussore ad un elevato rischio; per questo
motivo è stata varata la L 154/1992 che ha modi cato il testo dell’ART 1938 cc, in modo da
subordinare la validità della deiussione omnibus alla condizione che nella garanzia sia indicato
l’importo massimo, oltre il quale il deiussore non è tenuto.
Secondo la giurisprudenza, la norma in esame esprime un principio generale che opera per tutte
le garanzie personali, fra cui quelle atipiche, come il patronage.
Nella pratica del commercio internazionale, di usa è la garanzia a prima richiesta o garanzia
autonoma.
La parte che nell’ambito del contratto si trova ad essere titolare di crediti pecuniari, ha l’esigenza
di avere la sicurezza di incassare prontamente il proprio credito e dunque di tutelarsi contro i
rischi:
- Debitore ri uti il pagamento, sollevando delle eccezioni
- Debitore divenga insolvente
Per far fronte a questo rischio, la prassi ha elaborato uno strumento di garanzia molto e cace.
Difatti, il garante (di regola, una banca o una compagnia di assicurazione o, più in generale, un
soggetto altamente solvibile) opera su ordine del debitore principale e si impegna a versare al
bene ciario l’importo stabilito, alla condizione che costui gliene faccia richiesta, ritenendo di
avervi diritto in forza dei rapporti con la controparte contrattuale, essendo pattuito che il garante
rinuncia formalmente e preventivamente ad opporgli qualsiasi eccezione.
Da ciò deriva l’elemento caratterizzante della garanzia a prima richiesta, ossia l’autonomia
dell’obbligazione assunta dal garante, che ne determina anche la principale di erenza dalla
deiussione, che è invece caratterizzata dall’accessorietà.
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Il deiussore è tenuto a pagare ciò che deve al debitore principale, cosicché può opporre al
debitore tutte le eccezioni che potrebbe porre il soggetto nel cui favore la deiussione è rilasciata.
Da ciò consegue che la garanzia è autonoma poiché crea un’obbligazione del garante che è
svincolata ed indipendente dal rapporto fra ordinante e bene ciario, che non è esposto al
rischio che il garante possa sollevare eccezioni.
Naturalmente, il garante quando versa l’importo al bene ciario si rivale poi nei confronti del suo
mandante; qualora il mandante si accorga che il pagamento non era dovuto, avrà azione di
ripetizione nei confronti del creditore che abbia escusso (preteso il pagamento) della garanzia,
senza averne diritto.
Lo schema della garanzia autonoma si a erma nella pratica degli a ari quale e ciente mezzo di
protezione del credito.
Tuttavia, per le sue caratteristiche, lascia spesso spazio al rischio che il bene ciario ne abusi e
pretenda il pagamento, benché non ricorrano le condizioni che lo legittimerebbero. In tale ipotesi,
si ammette che l’ordinante possa ottenere dal giudice un ordine di sospensione del pagamento,
evitando così il rischi che il garante proceda senz’altro al pagamento.
Perché ciò accada, occorre che l’ordinante fornisca delle prove evidenti del fatto che il
bene ciario della garanzia sta abusando per ottenere un pagamento che non gli spetta: questa è
un applicazione dell’exceptio doli generalis, per cui è sempre possibile opporre eccezioni
fondate sul comportamento scorretto dell’altra parte, ossia connotato da dolo e mala fede.
Se non riuscirà a fornire dette prove, egli potrà solo agire successivamente contro il credito che
abbia indebitamente conseguito l’importo versatogli dal garante.
ANTICRESI
L’anticresi è un contratto che era di uso nell’Italia Meridionale, in cui era chiamato godere a
godere. Esso deriva dal greco anti + craomai.
Il divieto del patto commissorio si estende per analogia anche all’anticresi (ART 1963 cc).
TRANSAZIONE
La transazione è il contratto con cui le parti, facendosi delle reciproche concessioni, pongono ne
ad una lite già cominciata o prevengono una lite che può sorgere fra loro (ART 1965 cc).
-> es. l’appaltatore pretende 100 in applicazione di una clausola del contratto, il committente
ritiene che non ci siano i presupposti per l’applicabilità della clausola: le parti transigono la lite
accordandosi per un pagamento di 50.
Senza il reciproco sacri cio non vi è transazione, ma una rinuncia. La corrispettività della
transazione deriva dalla reciprocità delle concessioni è assicurata dall’ART 1965 cc.
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Con le reciproche concessioni le parti possono incidere 1) sui rapporti oggetto della
contestazione 2) creare, modi care od estinguere rapporti diversi da quello che ha formato
oggetto della contestazione.
-> es. Tizio dice che la merce fornita è difettosa, per cui la lite viene transatta con una fornitura
suppletiva gratuita.
Di fronte al rischio di perdere la lite, entrambi gli interessati preferiscono pervenire, con dei
reciproci sacri ci, ad un regolamento contrattuale che rende inammissibile e irrilevante
l’accertamento di chi avesse ragione o torto e quale fosse la situazione giuridica iniziale, ormai
superata dal contratto concluso, che si pone come fonte esclusiva della nuova disciplina.
Emerge anche il carattere novativo della transazione, in quanto se le prestazioni previste dal
contratto di transazione non vengono adempiute, la transazione non può essere risolta per
inadempimento, tornando a far valere le pretese originarie.
La transazione non può riguardare diritti indisponibili (es. non si può transigere la paternità di
un glio) e deve essere stipulata da chi abbia la capacità di disporre dei propri diritti (es. la
transazione per un minore deve essere autorizzata dal giudice tutelare).
Per ragioni analoghe, è nulla la transazione relativa ad un contratto illecito, ossia un contratto
nullo per illiceità della causa o del motivo comune. È stato osservato come la nullità della
transazione su titolo nullo non consegua alla nullità delle singole clausole del contratto base, se di
esse risulti l’essenzialità rispetto al contratto.
La transazione relativa a rapporti derivanti da contratto nullo ma non illecito è annullabile solo
per iniziativa della parte che ignorava la causa di nullità.
La transazione non può di regola essere impugnata dalla parte che si convinca che avrebbe
potuto a rontare vittoriosamente un giudizio sulla lite, invece di accettare di comporla: l’ART 1969
cc stabilisce che non si può impugnare la transazione invocando un errore di diritto relativo
alle questioni che sono state oggetto di controversi fra le parti.
Tuttavia, se una delle parti era consapevole 1) di aver torto 2) che la lite da parte sua era temeraria
l’altra parte può chiedere l’annullamento della transazione (ART 1971 cc).
Inoltre, si può chiedere l’annullamento anche se 1) essa sia stata stipulata con dei documenti che
in seguito si sono levati falsi o 2) se si venga a conoscenza di documenti ignoti al tempo in cui la
stipulazione è stata conclusa.
La natura della transazione non ammette l’impugnabilità per causa di lesione: ciò, infatti,
richiederebbe un accertamento della situazione giuridica contestata, cosa che però la transazione
vuole evitare.
La dottrina prevalente considera la cessione come un mandato in rem propriam, ossia come un
mandato concluso anche nell’interesse dei mandatari.
Salvo patto contrario, la cessione si intende fatta pro solvendo: il debitore è dunque liberato
verso i creditori solo dal giorno in cui essi ricevono la parte loro spettante sul ricavato della
liquidazione e nei limiti di quanto abbiano ricevuto.
Per e etto della cessione, il debitore:
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• Perde la disponibilità dei beni ceduti
• Ha diritto di esercitare il controllo sulla gestione
• Ha diritto di ottenere l’eventuale residuo della liquidazione
Con il 1) pagamento del capitale, degli 2) interessi e delle 3) spese, viene meno la ragione
d’essere della cessione e pertanto è attribuito al debitore di recedere al contratto, o rendo tale
pagamento.
La promessa unilaterale avente per oggetto un determinato comportamento futuro del promittente
è su ciente per far sorgere uno iuris vinculum, azionabile in giudizio a carico del promittente?
-> es. prometto di darti 100 il 1 dicembre
Viceversa, tradizionalmente si è sempre considerata insu ciente a generare uno iuris vinculum
una semplice promessa unilaterale, poiché nudum pactum obligationem non parit.
-> es. il deputato delle liste di un partito promette di versare a favore du quest’ultimo una quota
del suo stipendio
Resta ovviamente sempre possibile l’adempimento spontaneo ad una promessa, quand’anche
giuridicamente non vincolante.
Il nostro ordinamento, in linea di massima, esclude una promessa unilaterali che produca e etti
obbligatori, salvo nei casi ammessi dalla legge, ART 1987 cc.
Da ciò consegue che, mentre i contratti sono vincolanti sia quando i suoi schemi corrispondano
alle forma tipiche (ART 1322 cc), sia quando questi ricalchino delle forme atipiche, nel caso della
promessa unilaterale a nché questa sia vincolante può solo rivestire le forme tipizzate dal
legislatore.
Ove non rientrino nei casi ammessi dalla legge, le promesse unilaterali potranno far sorgere
un’obbligazione naturale, ma non saranno vincolanti.
Si distinguono:
• Promessa unilaterale (ART 1987 cc) -> promessa de futuro: il promittente intende assumere
un debito prima inesistente.
• Promessa di pagamento (ART 1988 cc) -> promessa de praeterito: manifestare la
consapevolezza di dover adempiere un debito che ritiene già esistente.
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Il codice accomuna con la medesima disciplina la promessa di pagamento (es. ti restituisco il 1
dicembre ciò che ti devo) e la ricognizione di debito (es. riconosco di doverti 100 entro il 1
dicembre).
Sarà dunque l’autore della promessa a dover fornire la prova contraria, ossia che il debito
promesso 1) non è mai esistito, 2) si è estinto. La prova contraria può essere fornita facendo
ricorso a qualsiasi mezzo ammesso dall’ordinamento.
Ove intenda vincere l’e etto di relevatio ab onere probandi, l’autore dovrebbe fornire prova
negativa dell’attuale inesistenza di un qualsiasi suo debito nei confronti del destinatario: detta
prova però è molto di cile da fornire.
Pertanto, l’ordinamento stabilisce che per alleggerire si atto onere probatorio, il destinatario della
dichiarazione deve allegare, ma senza fornirne la prova, la causa debendi: egli dovrà dunque
provare non tanto l’attuale inesistenza di un suo qualsiasi debito, ma l’attuale inesistenza del
debito o tipo di debito indicato dal creditore.
L’autore ha l’onere più circoscritto di fornire la prova dell’attuale inesistenza tra le parti solo dei
rapporti conducibili al tipo menzionato nella dichiarazione, o comunque la prova dell’invalidità o
dell’estinzione del rapporto ascrivibile ad un determinato tipo cui aveva inteso fare la propria
dichiarazione.
Nel caso in cui la dichiarazione titolata enunci 1) causa debendi 2) fatto costitutivo del debito
oggetto di asseverazione o che si intende adempiere, la ricognizione di debito e la promessa di
pagamento sono accompagnate dalla confessione del fatto costituivo del debito, la cui
e cacia probatoria potrà essere vinta dimostrando quanto previsto dall’ART 2732 cc, ossia
dimostrando l’errore di fatto o la violenza che ha determinato al dichiarazione.
-> es. sono tuo debitore di 100 in restituzione della egual somma che mi hai consegnato a titolo di
mutuo il 2 febbraio.
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La ricognizione di debito si distingue dalla confessione.
Si discute se, facendo il codice solo riferimento alla ricognizione di debito, la disciplina dettata
dall’ART 1988 cc trovi applicazione anche alle dichiarazioni cognitive di diritti reali, sebbene la
giurisprudenza sia orientata in senso negativo.
-> es. conosco che hai una servitù di passaggio sul mio fondo.
PROMESSA AL PUBBLICO
Ipotesi tipica della promessa unilaterale vincolante è la promessa al pubblico (ART 1989 cc):
essa consiste nel rivolgersi al pubblico, a favore di chi si trovi o venga a trovarsi in una
determinata situazione o a favore di chi abbia computo o abbia da compiere una determinata
azione.
-> es. prometto una ricompensa al primo acquirente del nuovo prodotto
-> es. prometto una mancia a chi ritrovi il cane smarrito
In quanto atto unilaterale, la promessa acquista e cacia non appena resa pubblica attraverso i
vari mezzi di pubblicità (es. manifesti, internet, …).
Chiara è la distinzione fra promessa la pubblico ed o erta la pubblico (ART 1336 cc):
• O erta al pubblico: proposta di contratto, che per divenire vincolante richiede l’accettazione
da parte dell’oblato. Essa è revocabile nché l’accettazione dell’oblato non sia portata a
conoscenza del proponente -> es. bando di concorso per l’assunzione di lavoratori dipendenti
• Promessa al pubblico: vincolante di per sé, indipendentemente da qualsiasi accettazione. Essa
è revocabile per giusta causa e purché la revoca sia resa pubblica nella stessa forma della
promessa. In ogni caso, la revoca non può avere e etto se la situazione prevista nella promessa
si è già veri cata o se l’azione è già stata compiuta
Se alla promessa non è apposto un termine o questo non risulta dalla natura o dallo scopo della
medesima, il vincolo del promittente cessa qualora entro l’anno dalla promessa non sia stato
comunicato l’avveramento della situazione o il compimento dell’azione.
TITOLI DI CREDITO
Si ammette la previsione anche di titoli atipici, che dunque non formano oggetto di speci che
previsioni normative.
Nei titoli di credito, il documento o chartula costituisce 1) prova del rapporto 2) necessario a
far valere il diritto documentato dal titolo.
Dunque, il debitore non può pagare validamente a chi non esibisca il titolo e il portatore o
possessore del titolo ha diritto alla prestazione nel titolo indicata, purché sia legittimato nelle
forme prescritte dalla legge.
Conseguentemente, può essere legittimato a pretendere il pagamento anche chi non sia titolare
del diritto: l’ART 1992 cc a erma infatti che il debitore senza dolo o colpa grave adempie alla
prestazione nei confronti del possessore ed è liberato anche se questi non sia titolare del diritto.
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Per comprendere l’importante funzione nella circolazione dei beni dei titoli di credito, è importante
ricordare il fenomeno della cessione dei crediti per cui il cessionario era esposto ai numerosi
rischi, soprattutto relativi all’opponibilità delle numerose eccezioni che il ceduto avrebbe potuto
opporre al cedente.
Viceversa, con i titoli di credito, staccando il rapporto cartolare, ossia quello che sta a
fondamento del titolo, non si rendono opponibili al terzo acquirente le eccezioni personali che il
debitore avrebbe potuto opporre al primo prenditore. Dunque, il titolo di credito è caratterizzato
dall’autonomia del diritto che circola in esso incorporato.
La circolazione del diritto consente di applicare ai diritti in esso incorporati le regole proprie alla
circolazione di beni mobili: come accade per via del possesso vale titolo (ART 1153 cc), anche
in questo caso l’acquirente in buona fede di un titolo di credito, purché lo abbia acquistato in
conformità delle norme che ne disciplinano la circolazione, non è opponibile il difetto di titolarità
del suo dante causa.
Il requisito del possesso vale titolo è in ogni caso indispensabile per l’esercizio del diritto in esso
contenuto.
Talora, però, sono richiesti anche altri requisiti.
Sotto questo pro lo i titoli di credito si distinguono in: 1) titoli al portatore, 2) titoli all’ordine 3) titoli
nominativi
I titoli al portatore (es. titoli del debito pubblico) sono titolo per il cui trasferimento è
su ciente la traditio. Dunque, per essere legittimato all’esercizio del diritto nascente dal titolo, è
su ciente esibire il titolo al debitore (ART 2003 cc).
Il legislatore ha escluso la possibilità di emettere titoli al portatore contenenti l’obbligazione di
pagare una somma di denaro al di fuori dei casi consentiti dalla legge: ciò per evitare che tali titoli
possano usurpare la funzione della carta-moneta, sebbene sia consentita l’emissione di titoli di
credito atipici.
I titoli all’ordine (es. cambiale) sono titoli per il cui trasferimento è richiesta 1) traditio + 2)
girata. Il titolo nella sua formulazione originaria è intestato ad un determinato soggetto; la girata
consiste nell’ordine che l’intestatario dà al debitore di eseguire la prestazione a favore di un
determinato soggetto.
La girata può essere:
• Piena: se contiene l’indicazione del giratario, ossia la persona a favore della quale era è girata
• In bianco: consiste solamente nella rma
Il giratario può a sua volta trasferire il titolo ad altra persona con una nuova girata.
Il titolo all’ordine è quello per cui la legittimazione si trasferisce mediante girata: legittimato
all’esercizio del diritto incorporato nel titolo è colui che 1) ha il possesso del titolo 2) può indicare
a proprio favore una serie continua di girate.
Si ha una serie continua di girate quando la prima girata è formata dall’intestatario ed ognuna
delle successive è rmata dalla persona che nella precedente è indicata come giratario. Se una
girata è in bianco, qualunque persona può apparire come girante successivo.
I titoli nominativi (es. la maggior parte dei titoli azionari) sono intestati ad un certo
soggetto. L’intestazione è peraltro contenuta 1) sul titolo e 2) sul registro dell’emittente.
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La circolazione del titolo avviene mediante, alternativamente:
• Annotazione del nome dell’acquirente 1) sul titolo e 2) nel registro dell’emittente
• Rilascio di un nuovo titolo
Queste operazioni nella pratica si chiamano transfert.
Il titolo nominativo può essere trasferito anche mediante girata, ma questa deve essere piena ed
autenticata: essa ha e cacia solo inter partes. Nei confronti dell’emittente occorre pur sempre
che sia fatta annotazione del trasferimento anche nel registro.
Per i titoli di massa, ossia quei titoli emessi in serie e non per operazioni individuali, la crescente
rapidità di circolazione mobiliare pone dei problemi relativi: 1) maneggio di documenti di rilevante
valore + 2) soggetti a rischio di furti …
Da qui vi è l’esigenza di sostituire ai normali meccanismi di trasferimento cartolare, che sono
basati sulla consegna dei certi cati e sul loro utilizzo, dei trasferimenti scritturali, che operano
mediante l’apposizione di forme ed annotazioni.
I diritti incorporati nei titoli di credito possono consistere, nel caso di titoli di credito in senso
stretto, in crediti pecuniari.
Possono peraltro consistere anche in altri diritti.
In tal caso, il codice parla di titoli rappresentativi (ART 1996 cc), che incorporano il diritto alla
consegna delle merci in esso speci cate (es. fede di deposito, rilasciata nei magazzini generali).
Questi titoli attribuiscono al possessore non solo 1) il diritto ad ottenere la consegna delle merci,
ma anche 2) il potere di disporne, mediante il trasferimento del titolo. Dunque, in essi è
incorporato:
• Diritto di credito alla consegna -> diritto di consegna
• Diritto reale sulla consegna della merce -> diritto di disporre della merce
L’autonomia serve a tutelare l’a damento del terzo cui il diritto venga trasferito. Infatti,
colui cui viene trasferito un titolo di credito acquista un diritto nuovo, originario ed autonomo
rispetto a quello del precedente titolare: il debitore non gli può opporre le eccezioni personali che
avrebbe potuto opporre a quest’ultimo.
-> es. il compratore rilascia una cambiale in relazione al debito del prezzo e questa viene girata:
egli non può opporre al terzo giratario l’eccezione di mancata consegna della merce. Egli potrà
solamente pagare il prezzo al giratario e richiedere la restituzione di quanto pagato al venditore.
Ciò non accadeva per la cessione di credito, in cui il cessionario subentra nei diritti del cedente e
perciò il debitore gli può opporre tutte le eccezioni che avrebbe potuto opporre al cedente, come
l’exceptio inadimpleti contractus.
L’ART 1193 cc enuncia le eccezioni che il debitore può opporre al possessore del titolo.
Tali eccezioni si distinguono in:
• Eccezioni reali o assolute, che si possono opporre a qualunque possessore
5. Eccezioni di forma: la legge esige requisiti di forma perché il documento possa
considerarsi un titolo di credito (es. la cambiale deve contenere la denominazione
“cambiale”). Se mancano detti requisiti formali, il documento non ha natura di titolo di
credito e la relativa eccezione può essere opposta da chiunque
6. Eccezioni fondate sul contesto del titolo > letteralità
7. Eccezioni di 1) falsità della rma, che esclude che colui che appare come debitore abbia
sottoscritto il documento + 2) di difetto di capacità, che rende invalida l’obbligazione
dell’incapace + 3) di rappresentanza, per cui l’obbligazione non è riferibile al preteso
rappresentato.
8. Eccezioni di mancanza di condizioni necessarie per l’esercizio dell’azione (es. il titolo
non è stato esibito)
• Eccezioni personali o relative, che si possono opporre solo ad un possessore determinato.
Esse derivano da rapporti extra-cartolari e sono opponibili solamente a colui con cui si è
svolto il rapporto (es. illiceità del rapporto in base al quale il titolo è stato emesso;
compensazione di un credito che il debitore vanta nei confronti del possessore).
Queste sono opponibili anche ad un possessore successivo nel solo caso dell’exceptio doli
generalis: in tal caso, infatti, il possessore medesimo ha agito intenzionalmente a danno del
debitore, mancando del tutto la buona fede, in una condotta che anzi sfocia nel dolo.
-> es. al primo prenditore della cambiale, Tizio può opporre l’illiceità della causa; dunque, per
impedire che gli venga opposta questa eccezione, Tizio gira la cambiale a Sempronio, con il
quale è d’accordo.
La gestione di a ari nasce dunque dal negotiorum gesto = facere del gestore, che si esplica nel
compimento di atti giuridici o materiali obiettivamente utili al dominus.
Poiché la gestione di a ari altrui implica il sorgere delle obbligazioni in capo al dominus dell’a are,
il gestor deve sempre essere capace d’agire (ART 2029 cc).
Se la gestione viene posta in essere da un soggetto che credeva di gestire un a are proprio,
mancando dunque l’animus aliena negotia gerendi, il dominus può comunque rati care la
gestione; dalla rati ca discendono gli e etti che sarebbero derivati da un mandato (ART 2032 cc).
Del pari, non ha diritto di richiedere la restituzione di una prestazione che costituisce un’o esa al
buon costume (ART 2035 cc), poiché in pari causa turpitudinis melior est condicio
possidentes.
Con una prestazione contraria al buon costume non si intendono solamente le prestazioni lesive
della morale del pudore sessuale, ma più in generale con iggenti con l’insieme dei principi e le
esigenze etiche che costituiscono la morale sociale di un determinato ambiente ed un certo
momento storico, basato sui principi di correttezza.
La giurisprudenza ritiene che dia luogo alla ripetizione dell’indebito non solo 1) il pagamento ab
origine indebito, ma anche 2) quello che tale sia divenuto solo successivamente (es. a seguito di
annullamento o risoluzione del contratto, o addirittura a seguito della declaratoria di
incostituzionalità.
L’attore sulla ripetizione ha l’onere della prova 1) dell’avvenuto pagamento 2) della mancanza di
causa che lo giusti chi.
L’indebito soggettivo ex latere solventis, che si ha nell’ipotesi in cui chi non è debitore,
credendosi erroneamente tale, paga al creditore, quando in realtà il pagamento è dovuto da un
terzo.
In tal caso, si ha indebito solamente se colui che paga è in errore: proprio per questo l’indebito
soggettivo si di erenzia dall’adempimento del terzo, che si basa sulla consapevolezza di
adempiere ad un’obbligazione altrui.
Nel caso di indebito soggettivo, la legge si è anche preoccupata di delineare la condizione del
creditore che in buona fede si sia privato del titolo o della garanzia del credito (ART 2036 cc):
in tal caso, per il solvens non è ammessa la ripetizione dell’indebito verso l’accipiens; egli potrà
rivolgersi all’e ettivo debitore.
La ripetizione non comprende solamente 1) ciò che si è pagato, ma anche 2) frutti e 3) interessi,
che sono dovuti dal giorno della domanda giudiziale o stragiudiziale, se chi li ha ricevuti era in
buona fede in senso soggettivo, ossia era ignaro di ledere l’altrui diritto.
La buona fede dell’accipiens si presume: spetterà dunque al solvens che richiede la
corresponsione degli interessi dal giorno del pagamento (e non della domanda) dimostrare la mala
fede dell’accipiens nella ricezione del pagamento.
Se chi ha ricevuto il pagamento è un incapace, la legge stabilisce che la ripetizione è dovuta solo
nei limiti nell’arricchimento, ossia di ciò che è stato rivolto a suo vantaggio (ART 2039 cc).
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L’azione di ripetizione dell’indebito è un’azione personale: se l’accipiens che ha ricevuto il
pagamento dell’indebito ha poi alienato la res, il solvens non può pretendere la restituzione da
parte dell’acquirente, ma può:
• Chiedergli il corrispettivo, se ancora dovuto
• Un indennizzo nei limiti dell’arricchimento conseguito, se l’alienazione è a titolo gratuito
L’ordinamento giuridico non può consentire che un soggetto riceva un vantaggio da un danno
arrecato ad altri, senza che vi sia una causa che giusti chi lo spostamento patrimoniale dall’uno
all’altro soggetto.
Il codice prevede una serie di ipotesi tipiche, in cui viene espressa l’applicazione di tale principio.
-> es. obblighi di compensazione a favore di chi subisca un pregiudizio per l’operare del principio
di accessione.
Le legge ha tuttavia stabilito in via generale di poter esperire l’azione di ingiusti cato
arricchimento (ART 2041 cc), applicabile anche nelle ipotesi atipiche, ossia quelle non
espressamente previste dal legislatore.
Essa ha peraltro carattere sussidiario e va dunque applicata nel momento in cui il soggetto non
abbia altra azione da esperire per rimuovere il pregiudizio.
Peraltro, tale obbligo incontra un doppio limite, che discende dalla funzione di riequilibrio dei due
patrimoni tipica dell’azione di arricchimento: non può superare né l’entità dell’arricchimento né
quella della diminuzione
-> es. nei casi di accessione, viene adottato il criterio della minor somma tra lo speso ed il
migliorato (ART 936 cc).
Ai ni della quanti cazione dell’indennizzo dovuto a chi abbia svolto una prestazione di un facere
in assenza di un valido contratto occorre tener conto del solo detrimentum concretamente
so erto dall’impoverito, con esclusione ad esempio del pro tto che questi avrebbe ottenuto, se
fosse stata e ettivamente resa esecuzione di un valido contratto. Dunque, non è rilevante quanto
l’esecutore impoverito avrebbe ottenuto se fosse sussistito un valido contratto.
RESPONSABILITA EXTRA-CONTRATTUALE
Risposta all’interrogativo perviene dall’ART 2043 cc, che a erma che:”Qualunque fatto doloso o
colposo che cagiona ad altri danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il
danno”.
Detta norma, letta congiuntamente all’ART 2046 cc, fa dedurre che il danneggiante sia obbligato
a risarcire il pregiudizio dallo stesso cagionato al danneggiato, quando concorrano i seguenti
presupposti:
1. Fatto
2. Illiceità del fatto
3. Imputabilità del fatto al danneggiante
4. Dolo o colpa del danneggiante
5. Danno-evento = nesso causale fra fatto ed evento dannoso
6. Danno-conseguenza = danno
Al concorrere di detti presupposti, la responsabilità che grava sul danneggiante viene de nita:
• Responsabilità extra-contrattuale, in contrapposizione con la responsabilità contrattuale che
consegue l’inadempimento di una prestazione
• Responsabilità aquiliana, dalla Lex Aquilia de damno, che nel III a.C. venne a disciplinare
un’area del diritto pressoché coincidente con quella della responsabilità extra-contrattuale
• Responsabilità civile, contrapposta con la responsabilità penale
FATTO
Nel caso della condotta omissiva, non viene rilevata una qualunque condotta omissiva che sia
risultata determinante nel non impedire l’evento dannoso.
-> es. colui che vede fuoriuscire del fumo dall’appartamento del vicino e non chiami
tempestivamente i pompieri, contribuendo con il di ondersi dell’incendio
L’evento produttivo di danno può anche consistere in un fatto materiale (es. lo smottamento del
terreno, che travolge un’abitazione e i suoi abitanti), che talora la legge imputa ad un soggetto:
- O perché quest’ultimo è gravato dall’obbligo di evitarlo -> es. crollo del cornicione per un
difetto di manutenzione imputabile al proprietario
- O perché si considera il particolare legame intercorrente fra fatto e soggetto -> es. il crollo
del cornicione conseguente ad un vizio di costruzione, rischio che l’ART 2053 cc addossa al
proprietario.
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ILLICEITÀ DEL FATTO (!!!!)
A quest’ultimo proposito va evidenziato che gli illeciti penali sono tipici, nel senso che vanno
de niti in modo puntuale dalla legge, secondo il principio di legalità:
- Art 1 cp: “Nessuno può essere punito per un fatto che non sia espressamente preveduto come
un reato dalla legge”
- Art 25 Cost: “Nessuno può essere punito se non in forza di legge”
Non altrettanto può dirsi in riferimento agli illeciti civili, relativamente ai quali viene invece
applicato l’opposto principio dell’atipicità.
Infatti l’ART 2043 cc stabilisce che oltre alle ipotesi in cui la risarcibilità del danno è prevista dalla
legge, “qualunque fatto doloso o colposo che cagioni ad altri danno ingiusto, obbliga colui che ha
commesso il fatto a risarcire il danno”: questa è dunque una clausola generale, che va applicata
ogniqualvolta un danno è quali cabile come “ingiusto”.
Non vengono però esplicitati:
- Né quali danni siano ingiusti
- Né quali criteri debbano essere applicati per la de nizione di danno ingiusto
Certamente però perché un danno sia ingiusto non basta che vi sia una lesione di interessi
altrui.
-> es. le aspettative di carriera andate deluse per la promozione di concorrenti che ambiscono al
medesimo posto di lavoro.
All’interno della lesione di interessi, è dunque necessario identi care le lesioni che costituiscono il
danno ingiusto con gli atti che le cagionano che siano atti illeciti e con quelli determinati da una
condotta antigiuridica.
A riguardo, va segnalato il fatto che la nostra giurisprudenza ha progressivamente ampliato la
nozione di ingiustizia del danno, ampliando l’ambito di operatività della risarcibilità dello stesso.
Nei primi anni di applicazione del codice vigente, infatti, di usa era la tesi che quali cava:
• Danno contra ius = il violazione del diritto soggettivo del danneggiato, suscettibile al
risarcimento dei danni
• Danno non iure = in violazione non di un diritto che compete al danneggiato
Contra ius si è per lungo tempo reputata solo la lesione di diritti soggettivi, ossia quei diritti
validi erga omnes, tra cui erano annoverati:
1. Diritti della persona -> es. uccisione del consociato
2. Diritti reali -> es. danneggiamento di un bene altrui
3. Diritti inerenti allo status della persona, sebbene non sia un diritto assoluto -> es. a seguito
dell’uccisione dell’obbligato, il danneggiante è obbligato al mantenimento del coniuge e dei
gli
1) A lungo la giurisprudenza ha invece negato la risarcibilità dei diritti di credito, in quanto diritti
relativi e dunque si penava che fossero tutelabili solo nei confronti del debitore e non del terzo in
genere.
Con una sentenza della Cassazione del 1971, però, le corti hanno cominciato ad a ermare il 1)
diritto del creditore di essere risarcito dal terzo che abbia cagionato l’estinzione del suo diritto di
credito (era infatti accaduto che un giocatore della Torino calcio fosse morto in un sinistro
stradale: dunque, il club calcistico ha visto svanire il proprio diritto di credito alle prestazioni
sportive dell’atleta), così come 2) dal terzo che abbia cagionato un’impossibilità temporanea nella
prestazione del debitore (es. il datore di lavoro che non possa fruire della prestazione del suo
dipendente, perché ferito in un incidente stradale cagionato da un terzo).
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Dunque, si può chiaramente osservare che quella del creditore è una situazione giuridica
soggettiva protetta dall’ordinamento, sebbene non integri gli estremi del diritto assoluto.
Sulla scorta di si atta promessa, è oggi paci camente riconosciuta la risarcibilità del danno, ad
esempio:
• Per induzione all’inadempimento -> derivante dalla condotta del terzo che determini il
debitore a non adempiere
• Per complicità nell’altrui inadempimento -> chi acquista un bene essendo a conoscenza del
diritto di prelazione spettante ad un terzo
• Lesione, ad opera del terzo, ad una corretta esecuzione del rapporto contrattuale -> il
sub-appaltatore, che rendendosi inadempiente nei confronti dell’appaltatore, cagiona anche un
pregiudizio al committente, che non vede l’opera esattamente eseguita
• Trascrizione debitamente e ettuata, a danno del primo acquirente
Dunque, ormai le nostre Corti sembrano orientate alla quali cazione di danno ingiusto, non solo a
riguardo della lesione di un diritto soggettivo assoluto, ma anche più largamente quando un
danno si traduce con la lesione di un interesse che è comunque tutelato dall’ordinamento
giuridico, seppur e non sia protetto come un diritto soggettivo -> danno-evento
Dunque, compito dell’interprete è quello di rintracciare gli indici normativi sparsi nel sistema che
consentano di stabilire se un determinato interesse debba considerarsi giuridicamente tutelato, a
scapito del contrapposto interesse del danneggiante.
Muovendo in quest’ottica, la giurisprudenza a erma l’ingiustizia e dunque la risarcibilità dei danni
seguenti:
1. Turbativa nelle scelte contrattuali -> es. 1) ART 1337-1338 cc: le parti devono comportarsi
secondo buona fede durante le trattative: qualora una delle parti non dia notizia delle cause di
invalidità del contratto, questa dovrà risarcire i danni; 2) alla lettera di patronage debole,
contenente indicazioni non corrette o fuorvianti; 3) alla violazione delle regole che disciplinano
la redazione del prospetto informativo che correda l’o erta di prodotti nanziari; 4) ARTT
1434-1440 cc perturbativa nella formazione decisionale del soggetto, in uenzato da dolo o
violenza, …
2. Ingiusti cata turbativa dell’attività di impresa -> es. di usione di false informazioni inerenti
a prodotti industriali posti sul mercato
3. Lesione dell’interesse del consumatore all’autodeterminazione in ordine alla scelta del
prodotto o del servizio da acquistare -> es. pubblicità ingannevole
4. A damento indebitamente creato in ordine alla solvibilità di un operatore economico, in
conseguenza alla concessione abusiva del credito -> es. una banca sostiene che un’impresa
ormai decotta ed ingeneri sul mercato la falsa opinione che ia un’impresa solvibile
5. Trascrizione di un atto non suscettibile ad esserlo o iscrizione ipotecaria illegittima
6. Violazione di obblighi familiari -> es. all’interesse per lunghi anni manifestato dal padre di
essere manifestato come padre naturale nei confronti del glio
7. Frustrazione dell’interesse del padre naturale di a ermare la propria identità genitoriale,
conseguente all’omessa comunicazione da parte della madre dell’avvenuto concepimento
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8. Stabilire un legame a ettivo con i fratelli, qualora un terzo cagioni la perdita della capacità
procreativi di uno dei genitori
9. Carenza dei dovuti controlli da parte dell’Autorità competente -> omissione, da parte del
Ministero della Salute, di idonee attività di controllo in ordine alla trasfusione di sangue e
all’uso di emoderivati, come stabilito da una sentenza della Cassazione del 2019-2020
10. Lesione di chances professionali -> il mancato recapito di un telegramma con cui un
soggetto viene invitato a presentarsi per essere incluso fra i partecipanti della scuola
sottu ciale della marina militare
CAUSE DI GIUSTIFICAZIONE
Perché un danno possa quali carsi come ingiusto deve essere cagionato o contra ius o non iure.
1) Il danno causato iure o secundum ius non è invece risarcibile, poiché qui iure suo utitur
neminem laedit.
Chiaramente, l’esercizio del diritto ha e cacia se contenuto nei limiti consentiti
-> es. il politico che viene arrestato e di cui viene di usa la notizia dell’arresto da un giornalista; la
di usione dell’altrui onorabilità può ritenersi legittima solo se rientrante nei presupposti di verità
putativa dell’informazione + con contegno espositivo + nell’interesse dell’opinione pubblica.
Del pari, non può ritenersi ingiusto l’adempimento di un dovere imposto da una norma
giuridica o dall’ordine giuridico della pubblica autorità.
-> es. il danno cagionato dal carabiniere che priva un consociato della sua libertà, arrestandolo.
-> es. al danno conseguente alla presentazione di denunzia di reato, rivelatasi infondata od
inesatta.
2) L’ART 2044 cc esclude l’ingiustizia e dunque la risarcibilità del danno arrecato nel caso della
legittima difesa. Infatti, la legge attizza la vittima o il testimone di un’aggressione ad intervenite
per far cessare o sventare l’aggressione, anche cagionando dei danni all’aggressore: l’interesse
dell’aggredito prevale su quello dell’aggressore.
Perché operi la scriminante della legittima difesa, l’ART 52 cp stabilisce che devono concorrere
alcuni presupposti:
1. Illegittima aggressione alla persona o al patrimonio di un consociato -> es. integrità sica
/ borseggio
2. Attualità della situazione di pericolo -> non sarebbe su ciente 1) né un pericolo ormai
esaurito, 2) né un pericolo futuro, relativamente ai quali potrebbe infatti chiedersi l’intervento di
un’Autorità
3. Inevitabilità della situazione di pericolo -> non sarebbe su ciente il pericolo che si potrebbe
sventare attraverso il commodus discessus = con un minimo sacri cio
4. Non imputabilità dell’aggredito nella situazione di pericolo -> non sarebbe scrutinato chi
abbia contribuito ad innescare il duello o la s da
5. Strumentalità dell’o esa che deve essere volta a neutralizzare l’aggressore -> es. non
sarebbe scrutinato colui che spara ad un ladro in fuga
6. Proporzionalità tra difesa ed o esa -> es. non sarebbe scrutinato colui che fucila il
ragazzino che prende le ciliegie dall’altero altrui.
In forza di una Legge del 2019, trova assaggiare spazi la scriminante della legittima difesa
nell’ipotesi in cui la stessa venga esercitata in danno di chi si sia introdotto o trattenuto
nell’altrui abitazione o in altro luogo di privata dimora o di appartenenze di essi, contro la volontà
espressa o tacita di chi ha diritto di escluderlo.
Nei confronti di tali soggetti è infatti escluso qualsiasi obbligo risarcitorio da parte 1) di chi,
presente nei luoghi sopraindicati, usa un’arma legittimamente detenuta o altro idoneo mezzo al
ne di difendere la proprietà o l’altrui incolumità, o i beni propri ed altrui, quando non vi è
desistenza o vi è pericolo di aggressione 2) di chi compie un atto lesivo in danno a chi si sia
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introdotto in uno dei luoghi sopraindicati con violenza o minaccia o con l’uso di armi od altri mezzi
di coazione sica.
Se poi nelle ipotesi appena indicante il danneggiante eccede rispetto ai limiti dalla legge ssati
per l’esercizio della legittima difesa, ma commette il fatto in stato di grave turbamento derivante
dalla situazione di pericolo o in presenza di circostanze di tempo, di luogo o di persona, anche
con riferimento all’età del danneggiante stesso, tali da ostacolare la pubblica o privata difesa,
questo è obbligato ad indennizzare l’aggressore, valutata dall’equo apprezzamento del giudice,
e non al risarcimento dei danni.
La legittima difesa deve essere esercitata dalla vittima o da un terzo nei confronti dell’aggressore.
Se, invece, l’azione reca un danno ad un terzo si potrà invocare lo stato di necessità, ove ne
ricorrano i presupposti.
3) La legge ritiene non ingiusto e dunque non risarcibile il danno arrecato con il consenso
dell’avente diritto.
Chiaramente il consenso dell’avente diritto ha e cacia solo se abbia per oggetto diritto disponibili
(dunque, saranno risarcibili i danni relativi all’omicidio del consenziente) e se ha la legittimazione e
la capacità di disporne.
-> es. il pregiudizio so erto dal paziente che presta al chirurgo il proprio consenso informato
all’esecuzione di un intervento che gli comporti una menomazione sica.
5) L’ART 2045 cc contempla in ne l’ipotesi di danno arrecato in stato di necessità, ossia l’ipotesi
in cui chi ha compiuto il fatto dannoso vi è stato costretto dalla necessità di salvare sé stesso od
altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona.
-> es. l’automobilista che per evitare lo sconto frontale con un veicolo, va a speronare con
un’autovettura ferma in sosta.
Diversamente da ciò che accade in ipotesi di legittima difesa, in questo caso il danno viene
arrecato ad un terzo innocente e non ad un aggressore. Per questo motivo, mentre in ipotesi di
legittima difesa il danneggiante è esonerato da qualsiasi obbligo riparatorio, in caso di stato di
necessità il danneggiante deve al terzo danneggiato un’indennità, la cui misura è rimessa
all’equo apprezzamento del giudice.
Nel caso in cui il pericolo sia stato creato da un terzo, il danneggiato può proporre 1) azione
risarcitoria nei confronti del terzo + 2) azione d’indennità nei confronti del danneggiante, con
l’unico limite costituito dall’integrale ristoro del danno so erto.
L’autore del danno potrà agire in rivalsa nei confronti del terzo che ha causato la situazione di
pericolo, dopo aver indennizzato il danneggiato.
-> es. il conducente del veicolo A imbocca l’autostrada in contromano e costringe il conducente
B che percorre la strada correttamente a scontrarsi con C, per evitare uno scontro frontale con A.
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1) Esercizio di un diritto + 2) adempimento di un dovere + 3) legittima difesa + 4) consenso
dell’avente diritto + 5) partecipazione ad un’attività pericolosa escludono ingiustizia del danno e
il conseguente risarcimento dello stesso, escludendo così l’antigiuridicità della condotta.
Viene dunque giusti cato un comportamento pregiudizievole e da qui il nome di cause di
giusti cazione o cause di esclusione dell’antigiuridicità.
Quanto allo stato di necessità, si discute se questo costituisce una causa di esclusione di
antigiuridicità dell’atto, oppure sia una semplice esimente di responsabilità per un atto che rimane
comunque illecito.
L’ART 2046 cc a erma che “Non risponde delle conseguenze del fatto dannoso chi non aveva
capacità di intendere o volere quando lo ha commesso”.
Invece la capacità delittuosa (= capacità di rimanere obbligati per il risarcimento del proprio fatto
illecito) dipende solo dalla circostanza che il danneggiante avesse capacità di intendere o volere
nel momento in cui ha commesso il fatto illecito, per tale da intendersi la capacità di comprendere
il disvalore sociale della propria condotta.
Dunque, anche il minore ha la capacità di obbligarsi ex delitto, pur non avendo la capacità di
compiere negozi giuridici: infatti, la percezione della negatività di una determinata condotta non
richiede necessariamente la piena maturità.
Al pari del 1) minore, anche 2) l’interdetto, 3) inabilitato, 4) bene ciario dell’amministrazione di
sostengo rispondono del fatto illecito da essi compiuto, se le loro condizioni sono tali da non
privarli della su ciente capacità di intendere o volere.
In tutti questi casi, la valutazione della capacità delittuose dev’essere fatta in concreto, cioè
valutando caso per caso la capacità del danneggiante.
-> es. presenza di malattie o situazioni a evolitorie delle capacità psichiche.
L’onere di allegare e provare che nel momento in cui è stato commesso un fatto illecito il
danneggiante vernava in uno stato di incapacità di intendere o volere spetta al danneggiante
stesso.
Nel caso delle actiones libera in causa, ovvero le azioni in cui l’incapacità è determinata da dolo
o colpa del danneggiante invece, non lo liberano dalla responsabilità delittuale. Infatti, l’azione
non libera il danneggiante che ha provocato l’evento dannoso, ma deve farsi risalire all’azione che
l’ha preceduta, che è invece la vera causa dell’eviro dannoso.
-> es. il ladro che assuma droghe per trovare il coraggio di rapinare
DOLO E COLPA
L’ART 2043 cc indica fra i presupposti della responsabilità contrattuale il dolo e la colpa.
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Per dolo si intende l’intenzionalità della condotta, nella consapevolezza che una
determinata condotta possa determinare un evento dannoso.
Non è necessario il dolo diretto, ossia il fatto che che il soggetto ponga in essere una
determinato condotta proprio al ne di produrre l’evento dannoso
-> es. il sicario che intende cagionare la morte della vittima designata
È su ciente infatti il dolo eventuale, ossia che l’autore si sia rappresentato al suo veri carsi
come possibile conseguenza della condotta posta in essere e ne abbia accattato il relativo
rischio.
-> es. il rapinatore che spara in direzione del rapinato solo per intimidirlo, ma lo colpisce a morte.
Di regola, il dolo non è essenziale perché l’autore dell’illecito incorre in responsabilità extra-
contrattuale, ma occorre alternativamente il concorso di dolo o colpa -> ART 2043 cc
“qualunque fatto doloso o colposo”.
Diligenza prudenza e perizia si valutano alla luce di un parametro oggettivo, costituito da quanto
è legittimo attendersi secondo la condotta del bonus pater familias, ossia l’uomo coscienzioso
accorto e preparato, tenendo anche conto della professionalità richiesta in talune attività.
Il giudizio implica la valutazione di tutte le circostanze del caso concreto, per accertare se il
danneggiante avrebbe potuto o dovuto agire diversamente.
L’inosservanza di leggi, regolamenti, ordini e discipline implica di per sé una colpa. Peraltro, la
loro osservanza non esclude il mancato rispetto della diligenza, prudenza e perizia richieste.
Di regola è irrilevante il grado della colpa (lievissima, lieve, grave), salvo per il regresso nei
confronti degli altri coobbligati.
È altresì irrilevante se l’evento dannoso sia stato cagionato con colpa o dolo, poiché il danno va
integralmente risarcito, non importa se detto danno fosse prevedibile o meno; ciò si distacca
dalla disciplina dettata per la responsabilità contrattuale in cui la risarcibilità dei danni non
prevedibili al tempo in cui l’obbligazione è sorta si limita punire la condotta dolosa (ART 1225 cc).
Di norma, la prova del dolo o della colpa del danneggiante deve essere fornita dal
danneggiato, in applicazione del generale principio dell’onere della prova. Tale disciplina si
distacca da quella della responsabilità contrattuale per cui invece l’ART 1218 cc addossa al
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debitore l’onere di provare che “l’inadempimento o il ritardo è stato determinato da causa a lui
non imputabile”.
Peraltro, la prova del dolo o della colpa del danneggiante può essere dal danneggiato fornita
anche per mezzo di presunzioni semplici; nei casi in cui il danno poteva essere evitato con una
condotta allineata ai comuni standard di diligenza, il suo solo veri carsi fa presumibilmente
desumere la colpa del danneggiante.
-> es. la caduta del vaso di ori appoggiato sul davanzale farà presumere una mancanza di
prudenza nella sua sistemazione, in difetto di segni contrari.
Si dice che dolo o colpa attengono all’elemento soggettivo dell’illecito civile, perché implicano
una valutazione della condotta del soggetto agente.
Va peraltro segnalato che:
• Dolo, attiene al momento psicologico dell’agire del danneggiante
• Colpa, discende dall’oggettiva inadeguatezza della condotta del danneggiante rispetto agli
standard imposti dall’ordinamento, senza che assuma rilevanza l’elemento psicologico del
soggetto agente.
RESPONSABILITA OGGETTIVA
L’ART 2043 cc parrebbe far intendere che il danno extra-contrattuale è risarcibile solo se il fatto
che lo cagiona è doloso o colposo.
In realtà, è lo steso codice a prevedere che talora anche in assenza di dolo o colpa l’autore
risponde dell’evento dannoso, nel caso della responsabilità oggettiva; questa si contrappone
alla responsabilità soggettiva, che è quella che ha come presupposto il dolo o la colpa.
1) ART 2049 cc -> responsabilità del preponente (datore di lavoro) per i danni cagionati
a terzi dai suoi preposti (lavoratori) nell’esercizio delle incombenze cui gli stessi sono adibiti -> es.
danno cagionato dal lavoratore di un’impresa edile.
In passato, si spiegava detta regola ricorrendo alla colpa presunta, a ermata iuris et de iure:
- Culpa in eligendo: colpa del preponente per non aver ben scelto il preposto
- Culpa in vigilando: colpa per non aver correttamente vigilato sulla sua attività
Oggi, tuttavia, si ritiene che parlare di colpa del preponente costituisce una nzione: infatti, la
legge addossa a quest’ultimo la responsabilità indipendentemente da qualsiasi sua negligenza
nella scelta del preposto o nella sua vigilanza, perché cuius commoda eius et incommoda.
Si tratta dunque di un caso di responsabilità oggettiva, perché fondata su un criterio di
imputazione che prescinde totalmente una valutazione di riprovevolezza della condotta in termini
di dolo o colpa del soggetto che la legge indica come responsabile.
5) L’ART 114 cod cons stabilisce che il produttore è responsabile del danno cagionato da
difetti del suo prodotto. Dunque, al ne di ottenere il risarcimento del danno so erto, il
danneggiato non deve fornire la prova della colpa del produttore.
Di contro, per sottrarsi a responsabilità, il produttore può solo fornire la dimostrazione di una delle
circostanze indicate dall’ART 118 cod cons, relative non tanto alla mancanza di colpa, ma alla
mancanza di nesso causale tra il fatto del produttore e l’evento dannoso. Laddove tale nesso
sussista, il produttore risponde del danno a prescindere che possa essergli imputata qualche
colpa o meno.
Relativamente a tutti questi casi, il legislatore muove dalla constatazione che determinato attività
presentano una loro intrinseca potenzialità dannosa, che non può essere eliminata adottando
ogni ragionevole misura preventiva e cautelare.
È infatti statisticamente documentato che in una migliaia di pezzi che escono dalla catena di
montaggio una percentuale “non o re la sicurezza o erta normalmente dagli altri esemplari della
medesima serie.” Di qui, la scelta di tutelare chi è esposto ai rischi inevitabilmente prodotti dallo
svolgimento di attività pericolose, accollandoli al soggetto che immette detti rischi nella società
attraverso il meccanismo della responsabilità oggettiva.
Oltre all’ipotesi di responsabilità risarcitoria (per cui il danneggiato ha l’onere di provare la colpa
del danneggiante, e questo non può sottrarsi a responsabilità, dimostrando di aver agito secondo
diligenza, prudenza e perizia), il legislatore prevede una serie di ulteriori ipotesi di responsabilità
aggravata del danneggiante, rispetto a quanto previsto dall’ART 2697 cc che vuole che gravi
sul danneggiato la prova di dimostrare la colpa del danneggiante.
In via di prima approssimazione, in alcuni casi si può a ermare che il regime ordinato di
responsabilità civile viene derogato in questo modo:
• Il danneggiante deve fornire la prova liberatoria, per esimersi dalla responsabilità del danno
• La prova liberatoria non si riduce alla sola dimostrazione della mancanza di colpa, ossia che
il danneggiante abbia agito secondo diligenza, prudenza e perizia
1) L’ART 2047 cc prevede che “in caso di danno cagionato da persona incapace di
intendere o di volere, il risarcimento è dovuto da chi è tenuto alla sorveglianza dell’incapace”.
Analogamente, l’ART 2048 cc prevede che:
- Il padre e la madre sono responsabili del danno causato dal glio minore non emancipato e
dalle persone soggette a tutela, che abitano con essi
- I precettori e coloro che insegnano un mestiere od un’arte sono responsabili del danno
cagionato da fatto illecito dei loro allievi e dei loro apprendisti
Dunque, gli ARTT 2047-2048 cc prevedono poi che chi è tenuto alla sorveglianza dell’incapace
devono provare di non aver potuto impedire il fatto.
Chi è tenuto alla sorveglianza deve dimostrare di aver adottato tutte cautele normalmente
appropriate in relazione allo stato e alle condizioni dell’incapace, alle circostanze di tempo, luogo
ed ambiente.
- Ai genitori, si richiede la dimostrazione 1) di aver vigilato sulla condotta del minore in misura
adeguata all’ambiente in cui vive, alle condizioni, … + 2) di averlo educato ed istruito in modo
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consono alle sua condizione i familiari e sociali -> dunque, la responsabilità dei genitori non
viene meno per il potere dannoso del minore sia tenuto in luogo soggetto all’altrui vigilanza.
La possibilità per i genitori di dimostrare di aver impartito al minore un’idonea educazione si
viene poi ad infrangere nel caso di danni di grande gravità, in cui le modalità stesse di
compimento del fatto attestano di per sé l’inadeguatezza dell’educazione impartita.
- A precettori e maestri d’arte le corti richiedono la dimostrazione 1) di non aver potuto
materialmente impedire l’evento per il suo carattere imprevedibile, improvviso e repentino +
2) aver adottato preventivamente tutte le misure organizzative e disciplinari idonee ad
evitare la situazione di pericolo
La di coltà della prova liberatoria nisce, in concreto, con l’avvicinare molto la responsabilità
dei sorveglianti ad una responsabilità oggettiva.
2) L’ART 2050 cc prevede che “chiunque cagiona danno ad altri nello svolgimento di
un’attività pericolosa, per la sua natura o per la natura dei mezzi adoperati, è tenuto al
risarcimento”.
Dunque, l’esercente di detta attività si libera dalla responsabilità del danno dimostrando di 1) aver
adottato tutte le misure idonee ad evitare il danno + 2) prova positiva della causa esterna che
abbia interrotto il nesso causale fra esercente dell’attività pericolosa e danno causato, per tale un
fatto che per la sua imprevedibilità, eccezionalità ed imprevedibilità sfugge completamente alla
sfera di controllo dell’esercente dell’attività pericolosa.
-> es. la caduta di un’aereo su un’azienda di fuochi d’arti cio.
Anche in questo caso, la responsabilità dell’esercente di attività pericolosa si è avvicinata alla
responsabilità oggettiva.
3) L’ART 2051 cc prevede che “ciascuno è responsabile del danno cagionato alle cose
che ha in custodia”, stabilendo inoltre che il custode può liberarsi da responsabilità solo
provando il caso fortuito.
Dunque, la giurisprudenza richiede la dimostrazione di 1) assenza di colpa + 2) caso fortuito.
Il caso fortuito è la causa esterna che per imprevedibilità, eccezionalità ed inevitabilità sia
totalmente esterna alla sfera di controllo del custode, restando comunque a carico di quest’ultimo
il danno da causa ignota.
Le corti ritengono dunque che il caso fortuito che escluda la responsabilità del custode vada
inteso come un elemento interruttivo del nesso causale tra cosa in custodia ed evento dannoso.
Anche in questo cado, dunque, la responsabilità si avvicina molto ad una responsabilità di tipo
sostanzialmente oggettivo.
Il danno della cosa in custodia non va confuso con il danno derivante dall’uso della custodia:
mentre nel primo il danno dipende dalla natura stessa del bene e dalla sua concreta potenzialità
dannosa (es. la neve che si accumula sul tetto), nel secondo promana l’azione umana (es. sasso
scagliato contro la vetrina).
Nell’ART 2051 cc si intende il danno cagionato da qualunque res, che sia allo stato solido o
liquido, mobile od immobile, …
La relativa responsabilità ricade sul custode, per tale da intendersi il soggetto che ha il governo
della cosa, ossia un e ettivo potere di diritto (es. proprietario) o di fatto (es. possessore
illegittimo), che gli consente di vigilarla e di far sì che non produca danno.
-> es. al condomino per ciò che concerne le parti comuni
-> es. al gestore di un tratto autostradale
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4) L’ART 2052 cc statuisce che “il proprietario di un animale o chi se ne serve per un
tempo in cui lo ha in uso è responsabile per i danni cagionati dall’animale, sia che fosse sotto la
custodia, sia che fosse smarrito o fuggito”.
I soggetti possono liberarsi dalla responsabilità per danno cagionato da animali fornendo la prova
1) l’impiego della normale diligenza nella custodia dell’animale + 2) prova del caso fortuito, per
tale da intendersi una causa esterna caratterizzata da imprevedibilità, inevitabilità ed assoluta
eccezionalità, che sfugga alla possibilità di controllo da parte del proprietario dell’animale.
Anche in questo caso, si tratta di una responsabilità oggettiva, a prescindere dal fatto che al
proprietario possano muoversi delle speci che censure in punto di diligenza nella custodia
dell’animale stesso.
La relativa responsabilità ex ART 2052 cc ricade sull’utilizzatore dell’animale, sia che si tratti del
proprietario, sia di un terzo, che abbia un potere e ettivo di governo dell’animale, simile a quello
del proprietario ma autonomo rispetto ad esso. Invero, se continua a far uso dell’animale sia pure
tramite terzo, la responsabilità continua a gravare sul proprietario dell’animale.
-> es. del danno causato dal cavallo impiegato per lezioni di equitazione risponde non l’allievo,
ma il proprietario.
Abbandonando dunque il precedente orientamento, la più recente giurisprudenza ritiene che il
danno ex ART 2052 cc trovi anche applicazione ai danni provocati dalla fauna selvatica
-> es. alla circolazione stradale.
5) L’ART 2053 cc statuisce che “il proprietario di un edi cio o di altra costruzione è
responsabile dei danni cagionati dalla loro rovina”, prevedendo che la rovina non è dovuta a un
difetto di manutenzione o vizio di costruzione.
Se il danno deriva da vizi di costruzione, sul proprietario grava sempre e comunque la
responsabilità oggettiva, per il solo fatto di essere proprietario.
In tutte le altre ipotesi, la prova liberatoria che esonera il proprietario è costituita dalla
dimostrazione positiva della causa di forza maggiore o del fatto del terzo o dello stesso
danneggiato che sfugga a qualsiasi potere di controllo da parte del proprietario, per
imprevedibilità, eccezionalità ed inevitabilità. Grava dunque sul proprietario il rischio che la causa
rimanga ignota.
Dunque, anche in questo caso la responsabilità è oggettiva.
6) L’ART 2054 cc stabilisce che “il conducente di un veicolo senza guida di rotaie è
obbligato a risarcire il danno prodotto a persone e cose a causa della circolazione del veicolo”,
prevedendo che il conducente potesse liberarsi da responsabilità fornendo la prova di aver fatto
il possibile per evitare il danno. In ogni caso, il conducente risponde dei danni provocati dai vizi
di costruzione o dal difetto di manutenzione del veicolo.
Il danno che deriva da vizi di costruzione normalmente è estraneo alla sfera di controllo del
conducente, mentre quelli derivanti da mancanza di manutenzione potrebbero essere a lui non
estranee: tuttavia, il conducente risponde sempre e comunque.
La giurisprudenza ammette che il conducente possa esonerarsi dalla responsabilità dimostrando
la causa esterna di natura improvvisa ed esorbitante dalla normalità
-> es. lui conducente danneggiante ha avuto un malore improvviso.
Anche in tale ipotesi, dunque, la responsabilità del conducente si avvicina alla responsabilità
oggettiva.
La relativa responsabilità grava sul conducente, ossia su colui che è alla guida del veicolo.
In ipotesi di collisione fra veicoli, allorquando risultanze probatorie non consentano di accertare
in quale misura la condotta dei conducenti abbia cagionato l’evento dannoso, occorre in via
sussidiaria la presunzione iuris tantum di eguale concorso: si presume dunque che ognuno dei
conducenti abbia concorso paritariamente alla produzione dell’evento dannoso.
Peraltro, in ipotesi di tamponamento, prevale la presunzione de facto per cui si presume
l’inosservanza della distanza di sicurezza del tamponante.
Se lo scontro reca danno a terzo:
- Conducenti sono solidamente responsabili nei confronti del terzo per intero
- Nei rapporti interni, la responsabilità si divide in quote che si presumono eguali
NESSO DI CAUSALITA
Dal punto di vista naturalistico, dunque, possono ritenersi causa di un determinato evento tutte le
condotte sine qua non del veri carsi dell’evento, ossia senza il cui concorso non si sarebbe
prodotto l’evento causativo del danno -> causalità materiale o di fatto.
Per veri care la sussistenza nel singolo caso concreto del nesso di causalità materiale sarà
dunque necessario indagare se l’evento dannoso si sarebbe veri cato anche senza una
determinata condotta.
Peraltro una tale indagine non è agevole, perché è necessario determinare la causa che ha
proprio fatto veri care un determinato evento.
-> es. il peggioramento delle condizioni cliniche del paziente si sarebbe veri cato ugualmente,
anche senza l’errore tecnico del medico nella diagnosi.
-> es. è proprio il difetto della bombola a determinare il suo scoppio?
Un medesimo evento dannoso può essere cagionato da condotte illecite di più soggetti distinti.
Tali condotte possono essere:
• Consapevolmente coordinate -> es. pestaggio di Tizio, dopo essere caduto in un agguato
tesogli da tre avversari politici
• Autonome e temporalmente distinte, tanto che la condotta di un agente può addirittura
essere ignora agli autori delle altre condotte -> es. la lesione all’onore di Tizio, per una condotta
negligente dell’articolista e per il mancato controllo del direttore.
Inoltre, le condotte che concorrono alla produzione di un illecito possono costituire talune un
illecito contrattuale ed altre un illecito extra-contrattuale.
-> es. incidente stradale causato dal tassista e dal conducente dell’altro veicolo: il tassista dovrà
corrispondere al suo trasportato, che è la vittima dell’incidente, a titolo contrattuale, mentre il
terzo a titolo extra-contrattuale.
Al ne di agevolare la posizione del danneggiato, la legge gli consente di rivolgersi per l’intero
risarcimento a ciascuno dei responsabili, senza dover individuare l’incidenza causale di ognuno di
essi -> i danneggianti rispondono solidalmente
L’ART 2055 cc stabilisce che “se il fatto dannoso è imputabile a più persone, tutte sono
obbligate in solido al risarcimento del danno”
Dunque, il danneggiato viene sollevato da:
- Incomodo di inseguire ogni responsabile pro quota
- Doversi accollare il rischio dell’incapienza patrimoniale di taluno di essi
Il danneggiato potrà dunque scegliere a quale o a quali responsabile rivolgersi, con l’unico limite
di non poter da loro conseguire più dell’entità globale del risarcimento del danno che gli compete.
Una volta risarcito il danneggiato, chi ha e ettuato il relativo esborso potrà esercitare l’azione di
regresso nei confronti degli altri coobbligati, richiedendo a ciascuno il rimborso della quota di
rispettiva competenza, da commisurarsi alla “gravità della rispettiva colpa” e ”all’entità delle
conseguenze che ne sono derivate”.
Nel dubbio, le singole colpe si presumo eguali, con la conseguenza che gli oneri del
risarcimento verranno ripartiti fra le parti in egual misura.
Diverso è il caso in cui il medesimo evento risulti cagionato dal concorso di cause umane e cause
naturali con riferimento a si atta ipotesi, la giurisprudenza insegna che:
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- Il fattore naturale è su ciente a determinare l’evento dannoso, nonostante vi incida la
condotta umana -> la condotta dell’agente non risponde per nulla del danno, non avendo posto
in essere alcun antecedente dotato di nesso causale in concreto.
- Il fattore naturale non possa dar luogo all’evento dannoso senza l’intervento umano ->
l’autore del comportamento imputabile è responsabile per intero di tutte le conseguenze ad
esso scaturenti, poiché il danno non si sarebbe veri cato senza la colpa umana.
Può accadere che a causare l’evento dannoso concorra la condotta dello stesso danneggiato, nel
caso del concorso di colpa del danneggiato.
-> es. il motociclista che abbia omesso di mettere il casco.
In tal caso, si ritrova la disciplina dettata con riferimento alla responsabilità contrattuale nell’ART
1227 cc, cui rinvia l’ART 2056 cc “il risarcimento è diminuito secondo la gravità della colpa” del
danneggiato e secondo “l’entità delle conseguenze che ne sono derivate”.
L’onere della prova del concorso del fatto del danneggiato nella causazione dell’evento dannoso
grava sul danneggiante, secondo il principio dell’ART 2697 cc “Chi vuole far valere in giudizio un
diritto deve mostrarne i fatti che ne sono il fondamento”, poiché si tratta di una circostanza che
esclude o limita la pretesa del danneggiato.
Il concorso del fatto colposo del danneggiato non è da confondere con il concorso del
danneggiato sull’aggravamento del danno:
• Concorso del fatto colposo del danneggiato: il fatto del danneggiato incide sul nesso di
causalità nel veri carsi dell’evento dannoso
• Concorso del danneggiato sull’aggravamento del danno: il fatto del danneggiato incide
sull’entità del danno che ha comunque causa esclusiva nella condotta del danneggiante che
che quest’ultimo è chiamato a risarcire.
Nel caso del concorso del danneggiato sull’aggravamento del danno, è bene ricordare che la
legge impone al danneggiato l’onere di attivarsi, perseguendo di una condotta volta a ridurre il più
possibile il danno che gli viene arrecato.
Il mancato assolvimento di detto onere importa la non risarcibilità del pregiudizio che il
danneggiato avrebbe potuto evitare senza apprezzabile sacri cio e che invece non ha evitato.
-> es. il danno so erto dall’antico tappeto infradiciato dall’acqua proveniente dall’appartamento
del piano superiore, che avrebbe potuto essere evitato se il proprietario del tappeto lo avesse
semplicemente spostato.
L’onere di allegare e provare il danno che il danneggiato avrebbe potuto evitare con
l’ordinaria diligenza grava sul danneggiante.
Di regola, l’obbligo di risarcire il danno grava su chi lo ha cagionato con fatto proprio.
Talora, però, il codice prevede che l’obbligo gravi su determinati soggetti, anche se il pregiudizio è
causato da fatto di altri, a maggior tutela del danneggiato, a causa della sua responsabilità
indiretta.
Vd prova liberatoria
Sia in giurisprudenza sia in dottrina si ritiene che quella in questione non costituisca la
responsabilità per fatto altrui, ma al contrario costituisce una responsabilità per fatto proprio, a
causa dell’inosservanza del dovere di sorveglianza dell’incapace.
2) Danno cagionato a terzi da fatto illecito dei gli minori non emancipati o delle
persone sottoposte a tutela, rispondono rispettivamente i genitori in solido e il tutore (ART 2048
cc).
Genitori e tutori rispondono ex art 2048 cc se i gli minori o gli interdetti siano capaci di volere o
intendere; diversamente, risponderebbero ex ART 2047 cc, come sorveglianti dell’incapace.
La responsabilità dei genitori e del totore si aggiunge a quella del soggetto posto sotto la loro
tutela: essendo il minore e il soggetto posto sotto tutela capaci di volere o intendere, rispondo o
in proprio nei confronti della vittima dell’illecito, cui si aggiunge anche la responsabilità indiretta
dei genitori.
Trattandosi di responsabilità solidale, spetta al danneggiato scegliere a chi rivolgersi per
ottenere il risarcimento del danno.
Vd prova liberatoria
3) Danno cagionato a terzi dal fatto illecito commesso da allievi ed apprendisti nel
tempo in cui sono sotto la loro vigilanza, rispondono i precettori e coloro che insegnano un
mestiere o un’arte (ART 2048 cc).
Anche in questo caso, i precettori e i maestri d’arte rispondono ex ART 2048 cc se gli allievi o gli
apprendisti sono capaci di volere o intendere; diversamente, risponderebbero ex ART 2047 cc.
La locuzione di precettori e maestri d’arte indica tutti coloro cui il minore è a dato ai ni
dell’istruzione, non importa se tecnica, culturale, sportiva, …
La responsabilità di detti soggetti è limitata agli illeciti commessi dagli allievi nel periodo in cui
sono sotto la loro sorveglianza, per tale da intendersi il periodo delle lezioni, della ricreazione,
no alla riconsegna ai genitori.
Anche in questo caso, la responsabilità dei precettori e dei maestri d’arte si aggiunge in via
solidale 1) a quella del minore, che è chiamato a rispondere del fatto proprio se capace di volere
o intendere, e 2) a quella dei genitori, chiamati a rispondere in via indiretta (ART 2048 cc)
dell’illecito dei gli, ove risulti causato dall’inadeguatezza dell’educazione loro impartitagli.
Vd prova liberatoria.
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La L luglio 1980 detta una particolare regola in merito ai danni cagionati a terzi degli alunni
della scuola statale: infatti, in questo caso il danneggiato non potrà rivolgersi al personale
direttivo per per culpa in vigilando, ma dovrà rivolgersi allo Stato ai ni del risarcimento; la
responsabilità potrà essere fatta valere contro gli insegnanti della scuola statale solo se la loro
condotta sia frutto di dolo o colpa grave.
Le antiquate locuzioni domestici o commessi e padroni o committenti non indicano dei rapporti
giuridici tipici, bensì il rapporto di proposizione tra chi è autore dell’illecito e chi è chiamato a
rispondervi in via indiretta. Il rapporto di preposizione si riferisce al rapporto per cui il preponente
si appropria delle attività derivanti dall’attività del preposto -> cuius commoda eius et
incommoda, non importa se a titolo oneroso o gratuito. Il preposto opera non con autonomia
organizzativa e gestionale, bensì sotto il potere di direzione e sorveglianza del preponente.
-> es. fra datore di lavoro e lavoratore subordinato, ma può derivare anche da un soggetto diverso
dal datore di lavoro e il dipendente distaccato rispetto al primo
-> es. fra amministrazione ospedaliera e medici
-> es. fra organizzazione scolastica e personale di cui la stessa si avvale, senza un vincolo di
subordinazione.
Di regola, non si avrà invece rapporto di subordinazione fra committente ed appaltatore, posto
che l’appaltatore opera con autonomia organizzativa e decisionale, salvo che in concreto non si
veri chi un’ingerenza del committente nell’organizzazione e gestione dei lavori.
Peraltro, la giurisprudenza appare sempre più disponibile ad accogliere un rapporto di
preposizione ogni qualvolta che un soggetto incarichi un altro soggetto di svolgere un’attività
per suo conto, determinando i sorgere di una situazione atta ad agevolare o rendere possibile il
fatto illecito e l’evento dannoso.
-> es. Cassazione 2016: a erma la responsabilità ex ART 2049 cc del mittente per danno
cabinato dal dipendente del vettore in occasione della consegna al destinatario della merce,
a datagli dal mittente stesso.
Così facendo, le corti niscono per ampliare notevolmente l’ambito di applicabilità della
responsabilità oggettiva indiretta ex ART 2049 cc, a vantaggio del danneggiato.
Perché il preponente risponda del fatto illecito del preposto, devono concorrere alcuni
presupposti:
• Compimento del preposto di un atto illecito che cagioni ad altri un danno: il preponente è
chiamato a rispondere in via indiretta solo di quei danni cui il preposto deve rispondere in via
diretta. Dunque, se il preposto dovesse essere esonerato da responsabilità, lo sarà anche il
preponente.
• Compimento dell’illecito nell’esercizio delle incombenze cui è adibito: a riguardo, fra
l’esercizio delle incombenze a date al preposto e il suo atto illecito deve incorrere un nesso di
occasionalità = le incombenze devono determinare una situazione tale da agevolare e rendere
possibile l’evento dannoso.
Si avrà un nesso di occasionalità necessaria se:
- Il preposto abbia eseguito esattamente le istruzioni imposte dal preponente
- Il preposto si sia discostato dalle istruzioni del preponente (es. trascurando di adottare le
misure di sicurezza che gli erano state indicate)
- Il preposto abbia agito oltre i limiti delle proprie incombenze (es. partecipando a una rissa per
motivi inerenti all’attività lavorativa)
Essenziale è che la connessione tra esercizio delle incombenze e illecito causato non sia del tutto
anomale e casuale, ma sia in qualche modo legata con la natura dell’incarico a dato.
-> es. responsabilità dell’ASL per gli abusi sessuali commessi a danno di una paziente dal medico
dipendente in occasione dello svolgimento delle attività dallo stesso a datagli.
Il preponente non può fornire la prova liberatoria, non potendo sottrarsi alla responsabilità
dimostrando che nessuna censura può essergli posta in merito alla culpa in vigilando e alla culpa
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in eligendo: la responsabilità gli viene accollata oggettivamente, prescindendo da una valutazione
della sua condotta in termini di colpa, per il solo fatto di avvantaggiarsi dell’attività del preposto.
La responsabilità del preponente si aggiunge a quella del preposto, che ra orza dunque la
posizione del danneggiato.
Tra l’obbligazione del preposto e quella del preponente vi è un vincolo di solidarietà, sicché la
vittima dell’illecito potrà rivolgersi per intero all’uno o all’altro o ad entrambi.
Una volta risarcito il danneggiato, il preponente potrà esperire contro il danneggiato l’azione di
regresso per l’intera somma versata, sempre che non abbia concorso alla determinazione
dell’evento dannoso. Spetterà al preponente valutare l’opportunità di esercitare o meno detta
azione.
6) Danno derivante a terzi da vizi di costruzione dei veicoli senza guida di rotaie
rispondono per responsabilità oggettiva il conducente e il proprietario del veicolo stesso, o il
luogo del proprietario, l’usufruttuario o l’acquirente con patto di riserva di dominio (ART 2054 cc).
In solido con loro, risponde anche il costruttore, conformemente alla disciplina dell’ART 114
cod cons.
Ovviamente, il conducente così come il proprietario che abbia risarcito la vittima dell’evento
dannoso potrà esperire nei confronti del costruttore del veicolo l’azione di regresso.
7) Danno cagionato a terzi dalla circolazione di veicoli senza guide di rotaie risponde
in solido con il conducente (responsabilità oggettiva) il proprietario del veicolo al momento
del sinistro (o in sua vece l’usufruttuario o l’acquirente con patto di riserva di dominio) per
responsabilità per fatto altrui (ART 2054 cc). Ciò a maggior tutela della vittima di incidenti stradali.
In caso di locazione nanziaria, non risponde la società di leasing concedente, ma solo
l’utilizzatore.
Al proprietario è concessa la prova liberatoria, che può avere ad oggetto solamente il fatto che
la circolazione è avvenuta contro la sua volontà. La giurisprudenza non si accontenta:
- Che la circolazione è avvenuta invito domino = senza il suo consenso
- Che la circolazione è avvenuta proibente domino = contro un suo espresso divieto
- Furto del veicolo, ove il proprietario non dimostri che avesse adottato gli accorgimenti idonei
ad evitare l’azione furtiva e la circolazione del veicolo
La prova richiede la dimostrazione che erano state concretamente adottate tutte le misure
idonee per impedire la circolazione del veicolo.
Ovviamente, una volta risarcita la vittima, il proprietario avrà azione di regresso nei confronti del
conducente.
DANNO
Ultimo presupposto del sorgere dell’obbligo risarcitorio è la presenza del danno; se danno non vi
è, non può esserci responsabilità civile con conseguente obbligo risarcitorio.
Diverso, ovviamente, è il discorso in materia penale, in cui è su ciente che il reo abbia agito con
una condotta illecita, sebbene magari non abbia recato alcun danno.
La giurisprudenza fa rientrare nella nozione di danno anche la perdita di una chance, per tale
intendendosi la perdita di un’apprezzabile, concreta e consistente possibilità di conseguire un
determinato bene o risultato favorevole. Per dar luogo a risarcimento, occorre peraltro che la
chance perduta presenti una non marginale probabilità di avverarsi, da desumere da elementi
obiettivi e precisi, non essendo su ciente una mera potenzialità di avveramento.
-> es. il dipendente illegittimamente escluso dalla selezione per l’accesso alla quali ca superiore:
non è detto sapere se egli sarebbe poi e ettivamente stato promosso, ma sicuramente ha
perduto una concreta possibilità di conseguire il risultato utile.
Il medesimo fatto illecito può causare un danno a soggetti diversi: in questi casi si parla
correntemente ma impropriamente di danno ri esso o di danno rimbalzo.
In realtà, si tratta più semplicemente di un medesimo fatto dannoso che lede contestualmente le
situazioni giuridiche di più soggetti e sarebbe più appropriato parlare di illecito o ensivo.
-> es. uccisione del marito, che causa la morte della vittima primaria, ma incide anche sulle
vittime secondarie (moglie e gli), per la perdita del sostegno economico e degli a etti.
Ovviamente, saranno solo risarcibili i danni che sono “conseguenza immediata e diretta” del
fatto illecito (ART 1223 cc, cui rinvia l’ART 2056 cc), ossia quegli eventi che rientrano nella
causalità giuridica.
Il mancato rinvio dell’ART 2056 cc all’ART 1225 cc, comporta che l’illecito extra-contrattuale
obbliga il danneggiante 1) risarcimento del danni prevedibili + 2) risarcimento del danno
imprevedibile. Dunque, chi reca ad altri un danno in via extra-contrattuale, è tenuto a risarcire
tutti i danni che risultino conseguenza immediata e diretta del danno, prevedibili od imprevedibili
che siano.
In riferimento al danno permanente alla persona, l’ART 2057 cc consente che il risarcimento
avvenga attraverso una rendita vitalizia, sebbene tale rimedio sia poco adoperato dalle corti.
Vige il principio dell’integralità del risarcimento, dunque il danno deve essere risarcito
integralmente: ciò signi ca che il danneggiato non potrà ricevere né sei più né di meno di quanto
necessario per integrare la sua situazione rispetto a quella che si sarebbe avuta ove l’illecito non
si fosse veri cato.
Ai ni della quanti cazione della somma dovuta a titolo risarcitorio, si ritiene di procedere con la
compensatio lucri cum damno, ossia che sia necessario detrarre gli e etti positivi
eventualmente derivanti come conseguenza immediata e diretta dal medesimo fatto illecito.
A riguardo, la Cassazione ha a ermato nel 2018 che:
- Da un lato, il danneggiante sia obbligato nei confronti del danneggiato al 1) risarcimento del
danno + 2) equo indennizzo. In tal caso, onde evitare che A) la vittima consegua un
ingiusti cato arricchimento dal risarcimento, ottenendo una somma maggiore rispetto a quella
da ristorarle, e che B) l’autore dell’illecito debba ingiustamente corrisponderle una somma
maggiore rispetto a quella necessaria per reintegrare la sfera del danneggiato, opera la regola
della compensatio: si dovrà dunque detrarre dall’ammontare del risarcimento la posta
indennitaria pur percepita ad altro titolo
-> es. ente pubblico datore di lavoro che a fronte di una malattia di un dipendente causata dalle
lastre d’amianto presenti nel luogo di lavoro deve risarcire il danno so erto + indennizzare
l’infermità del dipendente per causa di servizio.
- Dall’altro, nel caso in cui il danneggiato abbia diritto oltre che al 1) risarcimento dei danni,
anche 2) ad una prestazione nei confronti di un soggetto terzo, obbligato per la legge o per
contratto. In questo caso, al ne di evitare A) un ingiusti cato arricchimento della vittima e B) un
ingiusti cato alleggerimento della prestazione del danneggiante, è stabilito che si opera
mediante compensatio se concorrano due distinti presupposti:
1. La prestazione dovuta dal terzo abbia proprio la funzione di rimuovere le conseguenze
negative prodottesi in capo al danneggiato per e etto dell’illecito
2. L’autore dell’illecito possa essere chiamato a rimborsare il terzo un importo corrispondente a
quello erogato a favore della vittima dell’illecito.
In questo caso, si opera mediante compensatio, sottraendo dall’ammontare del danno subito
dalla vittima dell’illecito l’importo di un’indennità che il danneggiante-assicurato abbia riscosso
dalla compagnia di assicurazione, in conseguenza del medesimo sinistro.
In difetto di anche uno solo dei presupposti, non potrà aversi compensatio.
-> es. dall’ammontare del danno subito dalla vittima dell’illecito deve sottrarsi l’importo della
rendita per inabilità permanente allo stesso corrisposta dall’INAIL a fronte del medesimo
infortunio sul lavoro.
-> es. dal risarcimento del danno a favore del familiare di persona deceduta per colpa altrui non
deve essere dedotto il valore capitale della pensione di reversibilità accordata dall’INPS.
In linea di principio, dunque, non è ammessa una prestazione ultracompensativa, ossia non è
consentito che il danneggiato ottenga (e il danneggiante debba e ettuare) una prestazione
superiore rispetto a quella necessaria alla riparazione del danno so erto.
A questa gura, taluni avvicinano anche quella di recente introduzione per cui il giudice che
pronuncia una sentenza di condanna all’adempimento di obblighi diversi rispetto al risarcimento
in denaro, può ssare ex ante la somma di denaro dovuta dall’obbligato per ogni violazione od
inosservanza successiva od ogni ritardo nell’esecuzione del provvedimento.
Il provvedimento del giudice non è ancorato all’esistenza di un danno-conseguenza
e ettivamente cagionato all’illecito.
La Cassazione nel 2017 ha avuto modo di sottolineare che le prestazioni pecuniarie non
risarcitorie richiedono:
1. Tipicità: in ossequio dell’ART 23 Cost “nessuna prestazione patrimoniale può essere imposta
se non in base alla legge”
2. Principio di prevedibilità: indicazione dei limiti quantitativi della condanne irrogabili
3. Principio di proporzionalità: proporzionalità fra prestazione riparatoria-compensativa e
prestazione punitiva, nonché tra la prestazione punitiva e la condotta censurata.
È dunque escluso che i giudici possano irrogare una prestazione pecuniaria sanzionatoria in
assenza di una chiara previsione normativa che la contempli, essendoci dunque la necessità
dell’intermediazione legislativa.
DANNO PATRIMONIALE
Il danno patrimoniale consiste nell’alterazione negativa della situazione patrimoniale del soggetto
leso, rispetto a quella che si sarebbe avuta in assenza del fatto illecito.
Il danno patrimoniale, come reso evidente dal rinvio all’ART 2056 all’ART 1223 cc, comprende:
• Danno emergente: diminuzione del patrimonio del danneggiato -> es. in conseguenza della
distruzione della res)
• Lucro cessante: guadagno che la vittima dell’illecito avrebbe presumibilmente conseguito, ma
che non ha conseguito a causa dell’illecito so erto -> es. alla perdita della capacità reddituale a
causa di una lesione all’integrità sica
In considerazione delle di coltà insite nella quali cazione del lucro cessante, l’ART 2056 cc
prevede che è valutato dal giudice con equo apprezzamento delle circostanze del caso.
Peraltro, la valutazione equitativa rimessa al giudice riguarda solo il quantum del danno e non
l’an, che deve essere provato dal danneggiato, anche attraverso presunzioni.
Particolarmente delicato si presenta il problema della quanti cazione del danno da lucro cessante
conseguente a perdita de nitiva o temporanea della capacità lavorativa reddituale del
danneggiato.
A tal ne, soccorre oggi l’ART 137 cod assic inerente alla circolazione di autoveicoli e natanti:
esso prevede presuntivamente che in tal caso in reddito si debba determinare sulla base:
• Per il lavoro dipendente: sulla base del reddito di lavoro, maggiorato dai redditi esenti e al
lordo delle detrazioni e delle ritenute di legge, che risulti il più alto negli ultimi 3 anni
• Per il lavoro autonomo: sulla base:
- Del reddito netto che risulti il più elevato tra quelli dichiarati dal danneggiati ai ni dell’imposta
sul reddito delle persone siche degli ultimi 3 anni
- Nei casi previsti dalla legge, dall’apposita certi cazione rilasciata dal datore di lavoro ai sensi
delle norme di legge
In ogni caso, è ammessa la prova contraria, di colui che voglia ottenere la quanti cazione del
risarcimento su basi diverse: egli dovrà pertanto dimostrare se ed in che misura la so erta
riduzione della capacità lavorativa si traduce concretamente in un pregiudizio economico.
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• Persone prive di un reddito di lavoro (es. disoccupati o pensionati): il reddito che occorre
considerare ai ni del risarcimento non può essere inferiore a tre volte l’ammontare annuo della
pensione sociale (oggi, assegno sociale)
Peraltro, il reddito futuro del giovane che ancora non svolta attività lavorativa alcuna, va
determinato sulla base del criterio probabilistico che tenga conto degli studi intrapresi, di quelli
provati a termine, dell’orientamento eventualmente manifestato verso un’attività lavorativa,
presumibili opportunità di lavoro, situazione economica della famiglia, …
“Il danno non patrimoniale deve essere risarcito solo nei casi previsti dalla legge”, ai sensi
dell’ART 2059 cc.
Quanto ai casi determinati dalla legge, la più recente legislazione speciale ha visto una grande
oritura di norme che contemplano espressamente l’ipotesi di riparabilità di danno non
patrimoniale anche in ipotesi in cui non vi sia un illecito penale.
-> es. danni so erti da chi venga leso il proprio diritto di utilizzazione economica del diritto di
autore
-> es. danni conseguenti alle vaccinazioni obbligatorie
-> es. danni conseguenti al mancato rispetto del termine ragionevole per il processo
-> es. danni cagionati dal diniego di giustizia, o posti in essere dolosamente o colposamente dal
magistrato nell’esercizio delle proprie funzioni
-> es. pregiudizio so erto da colui che risulti vittima di discriminazioni sessuali
Seguendo si atta impostazione, la giurisprudenza è giunta con innegabile larghezza a quali care
come costituzionalmente garantiti:
- Diritto alla salute e all’integrità sica, anche se la condotta che ha causato il danno non dovesse
integrare gli estremi del reato
- Diritto a non venir esposti a fattori di rischio per la salute > anno da paura di ammalarsi
- Diritto all’autodeterminazione del paziente in ordine alle decisioni inerenti ai trattamenti sanitari
- Diritto del paziente a non subire ingerenze inutili nella propria sfera psico- sica (es. con un
intervento chirurgico inutile)
- Diritto all’integrità e alla serenità del nucleo familiare, che può essere leso con l’allontanamento
del minore dalla casa familiare, disposto dal sindaco su segnalazione poi rivelatasi infondata
- Diritto alla fedeltà derivante dal vincolo coniugale
- Diritto alla piena espressione della propria identità sessuale
- Diritto alla prole del mantenimento, all’istruzione e all’educazione
- Diritto del convivente more uxorio al legame a ettivo con il partner
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- Diritto alla conservazione dei rapporti con il prossimo congiunto, senza che vegano alterati
dall’illecito altrui
- Diritto al lavoro
- Diritti all’onore e alla reputazione
- Addirittura, il diritto di essere informato dal mediatore immobiliare della reale titolarità del bene
di cui si sta trattando
Mentre la risarcibilità del danno patrimoniale ai sensi dell’ART 2043 cc è connotato dal
carattere della atipicità potendo conseguire la lesione non iure qualsiasi interesse giuridicamente
tutelato, nel caso della risarcibilità del danno non patrimoniale, invece, vi è la tipicità: la
risarcibilità del danno non patrimoniale, infatti, è ammessa solo nei casi previsti dalla legge ai
sensi dell’ART 2059 cc, tra cui bisogna annoverare le lesione non iure di interessi inviabili della
persona costituzionalmente tutelati.
-> es. l’errato taglio di capelli
-> es. il blackout elettrico che impedisce la visione della partita di calcio
Da ciò consegue l’irrisarcibilità di tutti quelli pregiudizi patrimoniale che conseguano da fatti che
non si traducano però nella lesione del diritti della persona costituzionalmente garantiti.
Da ultimo, la giurisprudenza ha escluso la risarcibilità del danno non patrimoniale da perdita di
animale d’a ezione (con molte dissonanze in giurisprudenza).
Quanto alla nozione di danno non patrimoniale, le corti sono giunte alla conclusione che esso non
si limiti al danno morale soggettivo, ma ricomprenda qualsiasi danno da lesione di rilevanza
economica (altrimenti ricadrebbe sulla nozione di danno patrimoniale).
Alla nozione di danno non patrimoniale così intesa, risultano dunque riconducibili le gure di
danno morale e danno biologico, elaborate da dottrina e giurisprudenza.
La Suprema Corte ha comunque rimarcato che il danno morale soggettivo e il danno biologico
non devono intendersi come autonome sottocategorie di danno non patrimoniale, ma
costituiscono una sintesi descrittiva dei molteplici aspetti che può assumere l’unitaria categoria di
danno non patrimoniale.
In ogni caso, il danno non patrimoniale non può mai ritenersi in re ipsa, ma va debitamente
allegato e provato anche con presunzioni o massime di comune esperienza da chi ne invoca il
risarcimento, anche se costituisca una lesione ai diritti inviolabili della persona.
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La giurisprudenza aggiunge peraltro che devono concorrere due presupposti ai ni del
risarcimento del danno non patrimoniale:
• Lesione grave: il danno-evento sia grave
• Danno non sia futile, cioè che il danno-conseguenza non consista in dei danni bagatellari
L’ampliamento della risarcibilità del danno non patrimoniale ha condotto ad estendere la sua
applicazione a:
• Persone siche
• Persone giuridiche
• Enti non personi cati
La giurisprudenza sembra oggi orientata anche a riconoscere il risarcimento anche ai disagi e i
turbamenti so erti dalle persone preposte alla gestione degli enti o ai loro membri.
Quanto al danno non patrimoniale conseguente alla perdita della vita, è necessario distinguere:
1. Danno morale catastrofale o danno morale terminale o danno morale da lucida agonia:
se il decesso sopravviene dopo un certo lasso di tempo rispetto a veri carsi della lesione
all’integrità sica della persona -> diritto al risarcimento del danno morale, nella misura in cui
essa sia in condizioni di lucidità tali da percepire l’ineluttabile avvicinarsi della propria ne
2. Danno biologico terminale: dato dall’invalidità temporanea totale destinata a sfociare nel
decesso -> risarcimento del danno biologico
3. Danno tanatologico: dato dalla risarcibilità del danno, determinato dalla perdita della vita che
consegua immediatamente al veri carsi dell’evento lesivo, concepiti come diritti risarcitori
trasmissibili con la morte, iure hereditatis -> non è previsto il risarcimento da danno biologico
Il danno non patrimoniale risulta di di cile liquidazione, incidendo esso su valori non
direttamente connotati da una natura economica: si tratta infatti di tradurre in termini monetari la
lesione di un interesse per loro natura non suscettibili a misurazione in termini monetari.
A riguardo, soccorre l’ART 1226 cc, cui fa rinvio l’ART 2056 cc, secondo cui una volta raggiunta
anche solo in via presuntiva la prova dell’esistenza del danno non patrimoniale, la relativa
liquidazione è rimessa ad una valutazione equitativa del giudice.
Questa soluzione, se da un lato realizza l’obiettivo della essibilità del giudizio, dall’altra non
assicura l’uniformità di trattamento.
Per questo motivo, il legislatore relativamente ai danni derivanti dalla circolazione di veicoli a
motore e natanti, ha provveduto con la disposizione delle tabelle, peraltro mai emanate.
Queste sono valide in tutto il territorio della Repubblica, in base alle quali si può procedere con
una valutazione in termini monetari delle menomazioni psico- siche dei soggetti lesi, lasciando
tuttavia al giudice il potere di discostarsi dal risultato dell’applicazione delle tabelle, entro i limiti
prede niti, “con equo e motivato apprezzamento delle condizioni soggettive del danneggiato”.
Il medesimo legislatore ha direttamente dettato i criteri per la quanti cazione del risarcimento dei
danni micropermanenti, purché derivanti da sinistri conseguenti alla circolazione dei veicoli a
motore e dei natanti.
Tale regolamentazione è stata anche estesa ai danni di lesioni di lieve entità derivanti dall’esercizio
della professione sanitaria.
A fronte della mancata approvazione della tabella unica e con la conseguente proliferazione nella
prassi giudiziale di tutta una pluralità eterogenea di criteri di quanti cazione del danno non
patrimoniale, la Suprema Corte ha ritenuto di poter indicare:
- Criteri legali di quanti cazione di danni non patrimoniali micropermanenti, solo se questi
sono conseguenza di sinistri stradali o derivano dalla medical malpractice
- In tutte le altre ipotesi di danno non patrimoniale, conseguente a lesioni di d’integrità
psico- sica della persona, che deve liquidarsi “in tutti i casi in cui la fattispecie concreta non
presenti circostanze idonee ad aumentarne o ridurne l’entità”, a nché la relativa
quanti cazione possa ritenersi equa. In tal caso vengono applicati dei criteri indicati nelle
tabelle elaborate dall’Osservatorio di Milano, per la lesione di danno non patrimoniale
derivante da lesione psico- sica. Peraltro, il giudice dovrà discostarsene al ne di dare concreta
attuazione al principio sella personalizzazione del danno non patrimoniale.
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Proseguendo sulla strada dei criteri volti a rendere uniforme e prevedibile la liquidazione del
danno non patrimoniale e a garanzia del principio di eguaglianza, l’Osservatorio milanese ha
progressivamente predisposto Tabelle per la liquidazione di danno non patrimoniale derivante da :
- Perdita o grave lesione del rapporto parentale
- Perdita del bene salute
- Mancato o carente consenso informato in ambito medico
- Danno non patrimoniale terminale
- Danno da lite temeraria
- Danno di di amazione da mezzo stampa e da altre vie di comunicazione
RISARCIMENTO PER EQUIVALENTE E RISARCIMENTO IN FORMA SPECIFICA
Il danno può essere risarcito per equivalente monetario o in forma speci ca.
La scelta fra le alternative è rimessa al danneggiato (ART 2058 cc).
-> es. se la lesione riguarda l’onore o la reputazione, il risarcimento in forma speci ca può essere
la pubblicazione in uno o più giornali della sentenza che accerti l’illecito.
-> es. la lesione che discende da un’iscrizione ipotecaria dal notaio rogante e non l’ha segnalata
all’atto di vendita, il professionista potrebbe richiederne la cancellazione.
-> es. se il danno consiste nell’alterazione, distruzione, nel danneggiamento di un bene il
risarcimento in forma speci ca porrebbe realizzarsi con la dazione di una cosa eguale a quella
distrutta, nell’esecuzione di opere necessarie a ricondurre la cosa al ripristino dello stato, alla
riparazione materiale del bene danneggiato, in modo da restituirlo nella recisa situazione
anteriore.
PRESCRIZIONE
La prescrizione del diritto al risarcimento del danno derivante da illecito extra-contrattuale è più
breve rispetto a quella ordinaria: in genere 5 anni.
Problema delicato è l’indicazione del dies a quo per la decorrenza del termine prescrizionale.
In via di approssimazione, si può dire che la prescrizione inizia a decorrere dal momento in cui la
condotta dell’agente e il danno conseguente si manifestano all’esterno, divenendo
oggettivamente percepibili e riconoscibili (= dolo e colpa), non dal momento in cui l’agente
comode l’illecito e neppure da quello in cui si veri ca il relativo danno.
Occorre poi distinguere fra due diverse ipotesi, ossia il caso di illecito istantaneo e il caso di
illecito permanente.
Da notare che la condotta illecita dell’agente, danno evento dalla stessa cagionato, nesso causale
possono collocarsi in un arco di tempo ampio: in tal caso, si parla di fatto dannoso lungolatente.
La Suprema Corte ritiene che la prescrizione inizi a decorrere dal momento in cui la vittima ha
percepito od avrebbe potuto percepire con l’impiego dell’ordinaria diligenza che il danno so erto
è stato determinato da un determinato comportamento colposo o doloso del terzo; no a quel
momento, l’inattività del danneggiato risulta incolpevole.
-> es. contraggo il virus HIV, con riferimento al quale la percezione dell’aver contratto la malattia
può aversi a distanza di anni dall’avvenuto contagio.
Nel caso di illecito permanente, questo si caratterizza dal fatto che la condotta
dell’agente si protrae nel tempo e la prescrizione del diritto al risarcimento decorre dal giorno
successivo alla manifestazione del danno. Dunque, può essere risarcito il danno che si è prodotto
nei 5 anni anteriori alla data in cui il diritto al risarcimento è fatto valere.
-> es. dispersione di polveri in un corso d’acqua, riversate nel ume per anni.
Se il fatto è considerato un reato dalla legge, e per il reato è stabilita una prescrizione più lunga,
questa viene applicata anche all’azione civile.
Tuttavia, se il reato è estinto per causa diversa dalla prescrizione o è intervenuta sentenza
irrevocabile nel giudizio penale, il diritto al risarcimento del danno si prescrive nei termini di 5 anni
o 2 anni (circolazione veicoli) a decorrere della data di estinzione del reato o dalla data in cui la
sentenza penale è divenuta irrevocabile.
Nell’ambito più generale del contesto normativo “teso alla promozione di livello di vita umana da
realizzare attraverso la salvaguardia ed il miglioramento delle condizioni dell’ambiente
l’utilizzazione accorta delle risorse naturali”, un regime più particolare è quello del Codice
dell’ambiente, che prevede il risarcimento del danno ambientale.
Il danno ambientale consiste in qualsiasi deterioramento signi cativo e misurabile diretto o
indiretto di una risorsa naturale o dell’utilità considerata da quest’ultima, rispetto alle condizioni
ordinarie, ossia rispetto alle condizioni che al momento del danno sarebbero esistite se non fosse
stato veri cato il danno.
Da segnalare subito che il danno ambientale si di erenzia dal danno arrecato al singolo, in
quanto il codice dell’ambiente fa salvo il diritto dei soggetti danneggiati dal fatto produttivo al
danno ambientale, nella loro salute o nei beni di loro proprietà.
Per danno ambientale dunque si intende quello arrecato all’interesse collettivo, ossia
all’ambiente in sé, considerato distintamente die beni che lo compongono.
Coerentemente, l’unico soggetto legittimato ad agire per la riparazione del danno ambientale è il
Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare.
Il codice dell’ambiente, prevede che salvo i casi contemplati dalla legge (es. danno ambientale si
con itto armato, sabotaggi, …) chiunque cagioni un danno ambientale per dolo o colpa è
obbligato al risarcimento in forma speci ca, fornendo dunque le necessarie misure di
riparazione.
Nell’ipotesi in cui dette misure di riparazione fossero del tutto o in parte omesse può essere
richiesto il pagamento di una somma pari ai costi delle attività necessarie per la loro completa
attuazione.
Se il danno ambientale è causato dall’esercizio di una delle attività professionali indicate dallo
stesso Codice dell’ambiente (es. attiguità di gestione di ri uti, trasporto di merci pericolose),
l’obbligo del suo causamento grava su chi lo ha determinato, anche in assenza di dolo o colpa ->
responsabilità oggettiva. Da notare che, qualora vi sia il concorso di più soggetti nella
causazione del danno, ciascuno risponde nei limiti della propria responsabilità personale.
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Peraltro, in alternativa all’azione giudiziale volta al risarcimento del danno ambientale, al Ministro
dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare è concesso un diverso strumento per ottenere
il medesimo risultato.
È infatti previsto che il Ministro possa emettere un’ordinanza immediatamente esecutiva, in
forza della quale ingiunge i responsabili del fatto illecito il ripristino ambientale a titolo di
risarcimento, entro un termine ssato dalla medesima ordinanza.
L’ingiunzione non verrà emessa solo verso il responsabile del fatto, ma anche in solido del
soggetto nel cui e ettivo interesse il comportamento fonte del danno è stato tenuto o comunque
se ne abbia tratto vantaggio, sottraendosi all’obbligo economico di apprestare gli strumenti e le
cautele previsti come obbligatori dalle norme applicabili.
In caso di inottemperanza, il Ministro con una successiva ordinanza ingiungerà il pagamento di
una somma pari ai costi delle attività necessarie per il completo ripristino ambientale.
Per prodotto si intende ogni bene mobile, anche se incorporato in altro bene mobile od immobile
(dunque, anche se per e etto dell’incorporazione ha cessato di essere mobile) compresa
l’elettricità, purché messo in circolazione, ossia consegnato ad un acquirente o ad un’ausiliario di
questi anche in visione o in prova.
Difettoso è il prodotto che non o re la sicurezza che ci si può legittimamente attendere tenuto
conto di tutte le circostanze.
Il difetto può dipendere 1) dall’ideazione o dalla concezione del prodotto, 2) dal processo di
fabbricazione, 3) dalla carenza di informazioni fornite all’utente in ordine all’utilizzo di un prodotto.
Il prodotto, invece, non si considera difettoso se lo stato delle conoscenze scienti che e
tecniche al momento della sua messa in circolazione non permetteva di considerarlo come
difettoso: in tal caso di tratta di rischio di sviluppo.
-> es. il prodotto farmaceutico cui lo sviluppo delle conoscenze tecnico-scienti che mette in
evidenza un e etto collaterale.
Per ottenere il risarcimento del danno, la vittima deve provare: 1) danno so erto + 2) difetto del
prodotto -> difetto del prodotto potrebbe anche essere solo l’insicurezza derivante dall’utilizzo del
prodotto, manifestata nel solo uso cui è destinato + 3) nesso causale tra difetto e danno.
Di detto difetto è chiamato a rispondere il produttore, per tale da intendersi il fabbricante del
prodotto nito o di un suo componente, nonché il produttore della materia prima, l’agricoltore, il
pescatore e il cacciatore.
Se il produttore non è individuato, la responsabilità ricade sul fornitore che abbia distribuito il
prodotto nell’esercizio dell’attività commerciale, salvo che il fornitore non comunichi l’identità e il
domicilio del produttore.
È evidente che la responsabilità del fornitore costituisce un’ipotesi di responsabilità per il fatto
altrui.
Quando il produttore opera al di fuori di Paesi dell’Unione Europea, la responsabilità ricade sul
importatore che abbia introdotto il prodotto nell’Unione.
Come già accennato, il produttore può esonerarsi da responsabilità solo fornendo la prova di:
1. Non aver messo il prodotto in circolazione
2. Il difetto che ha cagionato il danno non esisteva quando aveva messo il prodotto in
circolazione
3. Non ha fabbricato il prodotto per la vendita o qualsiasi altra forma di distribuzione a titolo
oneroso, né nell’esercizio della sua attività professionale
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4. Il difetto è dovuto alla conformità del prodotto ad una norma giuridica imperativa
5. Lo stato delle conoscenze tecniche e scienti che al momento della messa in circolazione del
prodotto non permetteva ancora di considerare il prodotto come difettoso
6. In caso di produzione di un componente o della materia prima, il difetto è interamente dovuto
alla concezione del prodotto in cui è stata incorporata la parte o la materia prima o alla
conformità di questa alle istruzioni date dal produttore che l’ha utilizzata
Essendo una responsabilità che prescinde dalla colpa e dipende dal fatto oggettivo, si può parlare
di responsabilità oggettiva.
In ogni caso, nessun risarcimento è dovuto quando il danneggiante sia stato consapevole del
difetto del prodotto e dal pericolo che ne derivava e, ciononostante, vi si sia volontariamente
esposto.
-> es. fumatore di sigarette
In ogni altro caso, il concorso dell’utilizzatore nella causazione del danno comporta, come
a ermato dall’ART 1227 cc cui si riferisce l’ART 2056 cc, la diminuzione del risarcimento
secondo la gravità della colpa e l’entità delle conseguenze che ne siano derivate.
Se il danno è imputabile a più persone, tutte sono obbligate in solido al risarcimento. Chi ha
risarcito il danno ha diritto di regresso contro gli altri, nella misura determinata dalle 1) dimensioni
del rischio riferibile a ciascuno, 2) della gravità di eventuali colpe e 3) dall’entità delle conseguenze
che ne sono derivate. Nel dubbio, la ripartizione avviene in parti eguali.
La vittima del risarcimento non può però chiedere il risarcimento di qualunque danno abbia
so erto:
• Del danno alla persona, cagionato da morte o dal lesioni personali
• Del danno nella misura eccedente a 387 euro, derivante da cosa diversa rispetto al
prodotto difettoso, sempre che la cosa sia di tipo normalmente destinato all’uso o consumo del
privato.
-> es non è applicabile la disciplina della legge speciale per danni so erti a causa del prodotto
difettosi o di prodotti niti utilizzati dall’imprenditore nell’esercizio della propria attività.
È nullo qualunque patto che escluda o limiti preventivamente la responsabilità del produttore
per danni di prodotti difettosi.
In ogni caso, il diritto al risarcimento deve essere azionato entro 10 anni dal giorno in cui il
produttore o l’importatore nell’Unione Europea ha messo in circolazione il prodotto che ha
cagionato danno.
La disciplina speciale dettata dal codice di consumo in tema di responsabilità per danno da
prodotto difettoso non esclude né limita i diritti attribuiti al danneggiato da altre leggi.
RESPONSABILITA SANITARIA
Pur in assenza di norma civilistiche speci catamente dedicate al tema, a partire dall’ultimo
decennio, la nostra giurisprudenza ha rivisitato le regole inerenti alla responsabilità sanitaria.
La responsabilità sanitaria è la responsabilità di strutture sanitarie, medici, personale
infermieristico per i danni derivanti da episodi di malasanità, con il risultato di dar vita ad un
sottosistema non solo dal sistema generale della responsabilità, ma anche da quello della
responsabilità professionale in genere.
A favore del cittadino rimasto vittima di un trattamento sanitario inappropriato, le corti hanno
cominciato ad a ermare che sarebbe da ricondurre all’ambito della responsabilità contrattuale,
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sia nei confronti del soggetto con cui il paziente ha stipulato un vero e proprio contratto, sia in
forza del contratto sociale, ossia quella di chi un tale contratto non lo abbia mai concluso.
Ciò comportava:
1. Allungamento a 10 anni del termine prescrizionale dell’azione risarcitoria (da 5 anni)
2. Esonero del paziente dell’onere di fornire la prova della condotta dannosa ascritta
all’esercente di professione sanitaria, così come il fatto che la stessa sia al professionista
imputabile a titolo di dolo o colpa
3. Alleggerimento dell’onere della prova del paziente per dimostrare il nesso di casualità tra la
condotta del medico e un’alterazione negativa delle sua condizioni cliniche
4. Ampliare in modo signi cativo il novero delle condotte esigibili da un esercente di professione
sanitaria -> es. consenso informato
5. Innalzare l’asticella della diligenza e della perizia richieste all’operatore sanitario
6. Ridimensionare le possibilità applicative dell’ART 2236 cc, del regime di favore del
professionista, secondo cui questo risponde solo per dolo e colpa grave nella risoluzione di
problemi tecnici di speciale di coltà.
7. Incrementare non marginalmente gli importi liquidati a titolo di risarcimento a favore della
vittima di episodi di malasanità
Per arginare detto fenomeno, è stata emanata L marzo 2017 Gelli-Bianchi, che si basa su questi
principi:
1. Sicurezza delle cure -> tutte le strutture sanitarie e socio-sanitarie devono porre in essere
tutte le attività nalizzate alla prevenzione e alla gestione del rischio connesso con
l’erogazione di prestazioni sanitarie. L’idea di fondo è che l’errore umano è inevitabile
l’incidente spesso si veri ca quando l’azione del singolo non trova argine e rimedio nel
modello organizzativo che ciascuna struttura deve adottare.
2. La struttura, non importa se pubblica o privata, risponde:
- A titolo contrattuale: sia per le condotte proprie, sia quelle dolorose e colpose poste in
essere dagli esercenti sanitari, quand’anche non dipendenti od addirittura scelti dal paziente
che operano al suo interno -> es. carenza della strumentazione necessaria al trattamento
eseguito
- A titolo extra-contrattuale: salvo che non abbiano stipulato con il paziente un contratto di
prestazione d’opera professionale -> spostamento a carico del paziente che intenda agire
nei confronti dell’esercente dell’onere probatorio la condotta dannosa
3. Buone pratiche clinico-assistenziali, ossia nell’erogazione di prestazioni sanitarie con
nalità preventive, palliative, riabilitativa, cui gli esercenti le professioni sanitarie devono
attenersi per attuare le linee guida
4. Nella valutazione dell’importo del risarcimento del danno, il giudice deve tener conto
l’agere del medico, valutando se questo non si sia attenuto alle linee guida. Viene dunque
derogato il generale principio del risarcimento, per cui l’esercente le professioni sanitarie deve
corrispondere il risarcimento integrale del danno so erto.
5. Copertura assicurativa a tutela 1) del danneggiato 2) dell’operatore sanitario, per la
responsabilità civile verso terzi, anche per danni cagionati dal personale presso le stesse a
qualunque titolo operante. Sono anche obbligati a munirsi di copertura assicurativa tutti gli
esercenti di professioni sanitarie, sia che la svolgano all’interno o all’esterno di strutture
pubbliche o private.
6. La vittima di episodio di malasanità ha azione diretta contro la compagnia assicuratrice,
che ha diritto di rivalsa nei confronti dell’assicurato
7. La struttura sanitaria che abbia risarcito il danneggiato per malpractice, ha diritto di rivalsa
nei confronti dell’esercente della professione sanitaria, solo nel caso in cui questo abbia
operato con dolo o colpa grave, nel limite del triplo del maggior valore fra il reddito
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professionale conseguito dall’operatore sanitario nell’anno in cui si colloca la condotta lesiva e
quelli conseguenti degli anni immediatamente precedente e successivo
8. L’azione di rivalsa può essere esprima entro 1 anno dall’avvenuto pagamento,
considerando che può essere esprima dopo aver pagato il risarcimento al danneggiato
9. Al ne della quanti cazione di quanto dovuto, in sede di rivalsa dall’esercente sanitario si
dovrà tener conto “delle situazioni di fatto di particolare di coltà, anche di natura
organizzativa, della struttura sanitaria pubblica, in cui l’esercente la professione sanitaria
ha operato” -> nell’ottica che l’errore umano deve essere contestualizzato in eventuali lacune
o de cienze del sistema sanitario
10. Viene istituito un Fondo di Garanzia, destinato al risarcimento dei danni derivanti da
malpractice, 1) in caso di mancata copertura assicurativa degli stessi o 2) nel caso in cui
l’importo risulti eccedente rispetto si massimali previsti dai relativi contratti
L’obiettivo perseguito dalla L marzo 2017 è, ferma la tutela del paziente, incentivare che la vittima
di un episodio di malpractice agisca nei confronti della struttura socio-sanitaria o contro la
relativa compagnia di assicurazione, piuttosto che contro il singolo operatore sanitario.
La vittima può rivolgersi direttamente all’operatore sanitario nel caso in cui la condotta di questo
sia segnata da dolo o colpa grave.
Tuttavia, il ritardo dell’emanazione di molti decreti attuativi per la L marzo 2017 rischia di
compromettere il successo. Il decreto per attuare l’azione diretta, ad esempio, sarebbe dovuto
essere emanato nel luglio del 2017, ma non è ancora fermo in appello.
-> es. sono in un tram e ho stipulato un contratto di trasporto, che obbliga il vettore di rispondere
dei sinistri causati al viaggiatore. Rimango ferito: per ottenere il risarcimento del danno so erto,
devo privare 1) che mi trovavo sul tram + 2) ferite riportate + 3) nesso causale + 4) esecuzione del
trasporto, allegando la cattiva esecuzione del contratto. Spetterà al vettore dimostrare che
l’evento dannoso non è a lui imputabile.
-> es. se attraverso la strada e vengo investito da un tram devo provare 1) ferite + 2) nesso
causale + 3) illecito dannoso + 4) dolo o colpa
Le di erenze fra i due tipi di responsabilità impongono di risolvere il problema se nel caso
concreto, incorra un’ipotesi di responsabilità contrattuale od extra-contrattuale.
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L’interrogativo è prospettato con particolare riferimento:
1. Obblighi di protezione: responsabilità contrattuale, per la violazione alla prestazione
principale, pervenendo alla conclusione analoga per le obbligazioni senza prestazione (es.
sanitario inadempiente al contratto di assistenza e cura per la procreazione stipulato con la
gestante)
2. Responsabilità precontrattuale: dopo essersi per molto pronunciata a favore della
responsabilità extra-contrattuale (per il fatto che nel momento in cui viene posta in essere una
condotta lesiva ancora non si è perfezionato alcun contratto), da ultimo si è orientata a
ravvisarvi la responsabilità contrattuale, per un contratto sociale quali cato
3. Rapporti di cortesia: natura aquiliana
4. Rapporti contrattuali di fatto: responsabilità contrattuale, ritenendo che fra gli interessati
sorga un rapporto obbligatorio da contratto sociale quali cato -> es. un soggetto (la scuola)
esegue una prestazione (istruzione, sorveglianza), cui a rigore non è contrattualmente
obbligato nei confronti del bene ciario, ma fa comunque sorgere in capo al primo a favore del
secondo dei veri e propri obblighi assimilabili con quelli contrattuali -> il contratto sociale fa
sorgere delle obbligazioni contrattuali in assenza di contratto
Nel caso di dubbio di fondamento dogmatico, ossia nell’ipotesi in cui non sia chiaro a che titolo
venga proposta una domanda di risarcimento, la giurisprudenza considera proposta l’azione di
responsabilità extra-contrattuale.
L’esercizio di un’azione non comporta la rinuncia all’altra, sicché es. dopo il rigetto di
domanda proposta in via extra-contrattuale per intervenuta prescrizione quinquennale, un
soggetto potrà proporre l’azione contrattuale.
Non è però ammesso il mutamento del titolo della domanda risarcitoria, nell’ambito di un
medesimo procedimento.
Ovviamente, il risarcimento in una via fa venir meno la possibilità di richiedere un successivo
risarcimento anche nell’altra, via in quanto il danneggiato non può conseguire un risarcimento
superiore al danno e ettivamente so erto.
RAPPORTI DI FAMIGLIA
TRASFORMAZIONI SOCIALI E DIRITTO DELLA FAMIGLIA
FAMIGLIA E DIRITTO
L’assetto sociale e normativo della famiglia non è universale ed immutabile, ma varia a seconda
della cultura, della morale e del costume.
Bisogna inoltre rilevare che in molti contesti sociali l’assetto familiare è anche in uenzato dalla
religione.
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Il Codice civile non dà una de nizione della famiglia e l’ART 29 Cost riconosce la famiglia come
società naturale: è dunque evidente che:
- Da un lato, vi è la presa d’atto del valore originario e pre-giuridico della famiglia
- Dall’altro, l’impegno di rispettare l’autonomia delle famiglie.
Non bisogna neppure sottovalutare, nel mutamento dell’organizzazione familiare, l’in usso
esercitato dal modello di famiglia che il sistema giuridico presenta alla collettività, si pensi alla
ricaduta sociale che ha avuto l’introduzione del divorzio.
La disciplina dei rapporti familiari dettata nel 1942 appariva improntata sui principi dell’Italia del
dopo guerra, che però erano molto antiquati.
Infatti, nella società di un tempo la famiglia era vista come unità produttiva di beni, sia verso
l’esterno sia verso l’interno, in un’ottica di patriarcato, con al vertice il pater familias.
Con l’industrializzazione e lo spostamento dei luoghi di lavoro all’esterno della famiglia, la famiglia
si è disgregata, contraendosi numericamente alla famiglia nucleare (genitori + gli), con il
temperamento dei poteri del pater familias.
Fondamentale è l’evoluzione giuridica e sociale del ruolo della donna, che passava da soggetto
incapace d’agire senza autorizzazione maritale, ad un soggetto con pari dignità sociale (ART 3
Cost), essendo il matrimonio ordinato sull’eguaglianza morale e giuridica fra i coniugi (ART 29
Cost).
Ciò ha portato la Corte costituzionale a dichiarare illegittime molte norme che contrastavano i
principi costituzionali dell’eguaglianza ed appariva sempre già urgente una riforma del diritto di
famiglia.
Successivamente, la L maggio 1975 “Riforma del diritto della famiglia” mirava a introdurre i valori
costituzionali degli ARTT 29 e 30 Cost nel diritto familiare, superando l’assetto patriarcale della
famiglia:
- Eguaglianza morale e giuridica fra coniugi
- Dovere e diritto di entrambi di educare, istruire e mantenere la prole
- Tutela dei gli nati fuori dal matrimonio
Nel 1987 fu riformata la legge sul divorzio.
La disciplina dell’adozione è stata più volte modi cata, con la L marzo 1983 e con la L marzo
2001.
Sono poi state emanante delle leggi concernenti la procreazione assistita con la L febbraio
2004
È stata disciplinata la liazione con la L dicembre 2012, che ha rimosso ogni di erenza fra gli
legittimi e gli naturali (terminologia oggi superata)
Si sono poi registrati ulteriori interventi in materia di separazione personale e divorzio con il D.L
settembre 2014.
In ne, è stata emanata una disciplina per le unioni civili fra persone dello stesso sesso,
attraverso la L maggio 2016.
Non si può ignorare la spinta esercitata dagli atti dell’Unione Europea. Con il Trattato di Lisbona è
stata dettata una prima base normativa per il diritto europeo della famiglia, collegato con i diritti
fondamentali della persona.
La famiglia di fatto è una famiglia costituita da individui che convivono more uxorio (convivono
come se fossero coniugati), sebbene non siano legati fra loro dal vincolo matrimoniale.
La relazione more uxorio è stata oggetto di numerosi interventi normativi di carattere sistematico,
che hanno disciplinato volta per volta speci ci pro li di rilevanza del rapporto di convivenza.
-> es. accesso alla procreazione medicalmente assistita, consentito anche alle coppie conviventi
-> es. legittimazione del convivente a proporre istanza di nomina di un amministratore di sostegno
per il partner
La riforma della liazione della L dicembre 2012 ha delineato un regime unitario del rapporto fra
genitori e gli e dei conseguenti doveri e diritti, avvicinando il modello della famiglia di fatto a
quello della famiglia di diritto.
Inoltre, la L maggio 2016 è intervenuta nella regolamentazione delle convivenze more uxorio,
approntando un regime di norme più organico per le coppie che intendano sottoporvisi .
Tuttora si esclude una possibilità di generale applicabilità analogica alle coppie conviventi per le
norme speci catamente dettate per le famiglie legittime.
MATRIMONIO CIVILE
La legge disciplina analiticamente il matrimonio, senza però fornirne una de nizione. Tuttavia, il
ne essenziale del matrimonio civile sempre identi cabile nella comunione di vita spirituale e
materiale tra i coniugi e infatti il divorzio ricollega lo scioglimento del vincolo alla cessazione di
tale comunione.
Essendo la comunione spirituale e materiale un fatto che dipende dai coniugi, sul piano del diritto
la legge si atteggia indicandolo come un atto produttivo di determinati e etti giuridici, cui viene
ricollegata la nascita di un rapporto giuridico fra i coniugi, da cui dipendono una serie di diritti
ed obblighi in capo ad entrambi.
Mentre la disciplina matrimoniale è unica per ciò che concerne gli e etti, la celebrazione
dell’atto può avere luogo in varie forme:
• Davanti all’u ciale di stato civile
• Davanti al ministro del culto cattolico, secondo le regole del diritto canonico + trascrizione
dell’atto nei registri dello stato civile -> matrimonio concordatario
• Davanti ad un ministro di culto diverso rispetto a quello cattolico
• Davanti ad un’autorità estera
PROMESSA DI MATRIMONIO
Il matrimonio è preceduto da quello che prende il nome di danzamento: questo periodo viene
considerato ai ni della disciplina della promessa di contrarre matrimonio e della sorte dei doni
che i danzati si sono scambiati in vista del matrimonio.
Il principio fondamentale in materia matrimoniale è liberas nuptias esse placuit, ossia la libertà
delle parti no al momento della celebrazione del matrimonio.
Dunque, la promessa:
• Non obbliga a contrarre matrimonio
• Non obbliga a seguire ciò che si fosse convenuto in caso di inadempimento (es. pagare una
penale)
Tuttavia, la legge non ha trascurato l’ipotesi in cui una delle parti, fondandosi sulla serietà della
promessa dell’altra parte, abbia a rontato le spese o contratto debiti per costituire la nuova
famiglia.
Perciò, se la promessa è 1) fatta per iscritto attraverso atto pubblico o scrittura privata 2) da una
persona di maggiore età o da un minore ammesso a contrarre matrimonio (ART 84 cc), il
promittente è tenuto al risarcimento dei danni (ART 81 cc), qualora senza giusto motivo ricusi di
contrarre le nozze o dia con la propria condotta giusto motivo del ri uto dell’altro.
Il risarcimento dei danni è però limitato alle spese fatte e alle obbligazioni contratte a causa di
quella promessa: non si ammette il risarcimento dei danni 1) né per danno non patrimoniale 2) né
per danno economici ulteriori -> si vuole evitare che il timore di essere esposto al pagamento di
una somma esorbitante agisca sull’animo del promittente, risultando dunque determinante nella
contrazione delle nozze.
Qualora il matrimonio non venga contratto, è possibile richiedere la restituzione delle donazioni
manuali, ossia dei regali d’uso tra danzati, nonché i doni fatti a causa della promessa di
matrimonio, che non costituiscono una semplice manifestazione di a etto.
Dette donazione richiedono la forma dell’atto pubblico e si perfezionano con la traditio.
La restituzione può essere richiesta a prescindere dai motivi della rottura degli sponsali e vi è
tenuto anche il promittente incolpevole.
Estranee alla delineata disciplina sono invece le donazioni obnuziali o donazioni propter
nuptias, ossia le donazioni fatte dai nubendi reciprocamente o anche da un terzo, esplicitamente
in riguardo di un futuro matrimonio: queste richiedono l’atto pubblico e non producono e etti n
quando il matrimonio non si sia celebrato.
L’azione per il risarcimento dei danni e quella per la restituzione dei doni sono soggette al breve
termine di decadenza di 1 anno 1) dal giorno del ri uto di celebrare matrimonio oppure 2) dalla
morte di uno dei promittenti.
CAPACITA ED IMPEDIMENTI
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Per contrarre matrimonio occorre che ciascuno dei nubendi abbia piena capacità di sposarsi e
che non sussistano impedimenti relativi alla coppia, ossia riguardanti all’idoneità dei nubendi a
contrarre nozze fra loro.
Lo straniero che contragga matrimonio in Italia deve presentare il nulla osta al matrimonio,
rilasciato dalle autorità del Paese di appartenenza.
Anche allo straniero vanno applicati gli impedimenti derivati da parentela ed a nità in linea retta, il
divieto di nozze fra fratelli.
Una legge del 2009 aveva disposto che lo straniero che volesse contrarre matrimonio in Italia
dovesse presentare il documento attestante la regolarità del soggiorno in Italia; la Corte
costituzionale ha però ritenuto che ciò fosse illegittimo, poiché tale disposizione era lesiva di un
dirti fondamentale della persona e non giusti cata dall’esigenza di prevenire i matrimoni di
comodo, funzionali a far acquisire al coniuge straniero il diritto di soggiornare nello Stato e la
cittadinanza.
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PUBBLICAZIONE E CELEBRAZIONE
La pubblicazione consiste nell’a ssione di un atto alla porta della casa comunale per almeno 8
giorni, contenente le generalità degli sposi.
La celebrazione non può avvenire prima del quarto giorno dal compimento della pubblicazione.
Essa, essendo una pubblicità notizia, serve a:
• Prevenire richieste di nozze precipitose
• Rendere possibile le eventuali opposizioni di terzi al matrimonio
La pubblicazione può esser omessa per gravi motivi, previa autorizzazione giudiziale.
L’esecuzione della formalità dev’essere richiesta all’U ciale di Stato civile del comune di
residenza dei uno dei due nubendi, dai 1) nubendi stessi o da 2) persona da loro incaricata.
Chi richiede la pubblicazione deve indicare le generalità degli sposi ed eventuali cause impeditive
della celebrazione; spetta all’u ciale di stato civile veri care l’esattezza delle dichiarazioni ed
acquisire i documenti necessari a tal ne.
Se l’u ciale di stato civile si ri uta di procedere con la pubblicazione, è dato 1) ricorso al
tribunale, 2) sentito il pubblico ministero, provvede con il 3) rito della camera del consiglio.
Se manca una delle condizioni richieste per la celebrazione al matrimonio, può essere fatta
opposizione dalle persone indicate ex lege o dal pubblico ministero.
L’opposizione si propone con ricorso al presidente del tribunale del luogo dove è stata eseguita
la pubblicazione. Il presidente convoca le parti e può anche sospendere la celebrazione del
matrimonio no a quando l’opposizione non sia stata rimossa.
Il tribunale, sentite le parti, decide sull’opposizione con decreto motivato.
Inoltre, se l’opposizione viene respinta, l’opponente può essere condannato al risarcimento dei
danni, salvo che egli non sia 1) un ascendente o 2) pubblico ministero.
La celebrazione deve avvenire pubblicamente nella casa comunale, davanti all’U ciale di stato
civile al quale fu fatta richiesta di pubblicazione, con la presenza di due testimoni.
Ciascuna delle parti personalmente dichiara, una dopo l’altra, di volersi sposare e l’u ciale di
stato civile dichiara che essi sono sposati.
Immediatamente dopo la celebrazione, deve essere compilato l’atto di matrimonio, che verrà
iscritto nell’apposito registro di stato civile.
La dichiarazione degli sposi non può essere sottoposta a termini o condizioni, essendo il
patrimonio un actus legitimus.
Se le parti appongono o un termine o una condizione, l’u ciale di stato civile non può procedere
con la celebrazione, pena una sanzione.
Qualora il matrimonio venga ugualmente celebrato, termine e condizioni si daranno per non
apposti, in quanto essi vitiantur sed non vitiant.
È ammessa la celebrazione per procura per i militari in tempo di guerra o quando uno degli
sposi risieda all’estero e concorrano gravi motivi.
Fatta eccezioni per i militari in tempo di guerra cui si applicano delle leggi speciali, la procura
deve essere fatta per atto pubblico e deve contenere il nome dell’altro sposo ed è soggetta
all’e cacia di 180 giorni.
Si ritiene che il procurator nuptias sia un semplice nuncius e non un rappresentante volontario.
Nel caso del matrimonio celebrato dinnanzi ad un apparente u ciale di stato civile, il
matrimonio si considererei comunque valido, sebbene il celebrante sia un funzionario di fatto e
dunque non sia realmente un u ciale di stato civile.
Devono però ricorrere due presupposti:
• Requisito oggettivo: l’esercizio delle funzioni deve avvenire pubblicamente, ossia in un modo
palese a tutti
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• Requisito soggettivo: la buona fede di almeno uno dei due sposi
La natura della celebrazione del matrimonio civile ha dato luogo a varie discussioni.
Secondo l’opinione più accreditata, si tratta di una fattispecie complessa; il matrimonio, infatti, è
un negozio bilaterale, poiché i due sposi dichiarano rispettivamente di volersi prendere in marito
ed in moglie. Tuttavia, esso non ha natura contrattuale, perché non ha contenuto patrimoniale.
Il matrimonio, però, non è concluso solo per e etto delle dichiarazioni dei due coniugi: è
necessaria infatti anche la dichiarazione dell’u ciale di stato civile.
L’opinione più tradizionale riteneva la dichiarazione dell’u ciale di stato civile di valenza
costitutiva, sicché il matrimonio non sarebbe posto in essere se, dopo le dichiarazione dei due
sposi, l’u ciale di stato civile morisse.
Più di recente, però, si è a ermata la tesi per cui la dichiarazione dell’u ciale di stato civile
avesse una valenza dichiarativa, in quanto certi cazione della volontà espressa dagli sposi, che
costituisce l’elemento centrale della celebrazione.
Per aversi matrimonio sia pure invalido è indispensabile che vi sia stata una celebrazione, nel
corso della quale i nubendi abbiano manifestato il loro consenso.
Un (preteso) matrimonio si dice inesistente quando manchino gli elementi minimi della
fattispecie.
In ogni altro caso, qualunque vizio cui il matrimonio sia in ciato deve essere fatto valere con
impugnativa.
La quali cazione in termini di inesistenza rileva perché preclude il prodursi egli e etti che la legge
attribuisce al matrimonio, ancorché valido (es. matrimonio putativo).
Un tradizionale esempio di matrimonio inesistente era il matrimonio tra persone dello stesso
sesso; chiaramente, il quadro è cambiato con la L 76/2016, che ha regolato le unioni civili
omosessuali.
La Corte di Cassazione, già prima dell’entrata in vigore di detta legge, aveva dichiarato che il
matrimonio contratto all’estero da due cittadini italiani dello stesso sesso, sebbene non potesse
essere trascritto, non poteva essere tenuto radicalmente inesistente.
In base alla disciplina oggi vigente, il matrimonio contratto all’estero fra due soggetti dello stesso
sesso viene regolata dalla legge italiana.
Inoltre, la giurisprudenza ha stabilito che un’eventuale controversia avente per oggetto questo
tipo di matrimonio è regolato dalla legislazione ordinaria e non a quella amministrativa,
concernendo detta controversia sullo status dei soggetti, anche laddove la trascrizione di stato
civile sia stata annullato da un provvedimento amministrativo.
La legislazione antecedente al 1975 era ispirata al principio della stabilità del vincolo, che è
venuto meno con la Riforma del 1975, con cui è stato ampliato il novero delle cause di invalidità
del matrimonio.
Occorre precisare che la terminologia utilizzata dal legislatore nella Sezione VI del capo III nel libro
I del codice civile “Della nullità del matrimonio” in tema di invalidità del matrimonio non
rispecchia la rigorosa distinzione fra categorie di nullità e annullamento stabilita in tema di
contratti, facendosi infatti riferimenti sia a cause di nullità sia a cause di invalidità (es. vizi del
consenso, violazioni all’ordine pubblico, difetto di capacità d’agire)
Le raggio di un tale fenomeno sono tre:
1. In uenza del diritto canonico, in cui solo la nullità è concepibile: il sacramento del
matrimonio può essere solo valido o no, non annullabile)
2. In uenza del diritto francese, in cui è concepita la categoria unitaria della nullità
3. Aspetto cronologico: analizzando i lavori preparatori del codice, risulta chiaro che il Libro I è
stato redatto prima del Libro IV, con un’inconsapevolezza della distinzione fra nullità ed
annullabilità, che avrebbe preso piede solo con la stesura del Libro IV
La dottrina ha svolto un’opera di riordino sistematico del quadro delle invalidità del matrimonio,
distinguendo fra le cause di nullità e quelle di annullabilità, sebbene non ci occuperemo di tali
ricostruzioni teoriche.
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È necessario tenere presente che ci sono varie ipotesi di invalidità:
• Invalidità assoluta: le cause di invalidità possono essere fatte valere da chiunque vi abbia
interesse
• Invalidità relativa: le cause di invalidità possono essere fatte valere 1) solo dai coniugi oppure
2) dai coniugi + pubblico ministero
• Invalidità insanabile ed imprescrittibile: le cause di invalidità possono essere fatte valere in
ogni tempo
• Invalidità sanabile: suscettibili a sanatoria
Il vincolo del precedente matrimonio di uno dei due coniugi determina la sua
impugnabilità in qualsiasi momento da chiunque abbia interesse a far valere l’invalidità delle
nuove nozze. Ciò si veri ca quando un soggetto contragga matrimonio sebbene non abbia
ancora annullato o sciolto il vincolo matrimoniale o l’unione civile precedente.
Questa fattispecie può addirittura dar luogo al reato di bigamia (ART 556 cp).
Esso può anche essere impugnato al primo coniuge del bigamo; se per resistere
all’impugnativa si eccepisca l’invalidità del vincolo precedente, si dovrà procedere con la veri ca
della sussistenza di eventuali cause di invalidità di esso. Qualora il primo matrimonio od unione
civile sia dichiarato invalido, il secondo matrimonio sarà considerato del tutto legittimo.
Le nuove nozze, ove siano state contratte prima dello scioglimento del precedente vincolo,
rimangono a ette da nullità assoluta ed insanabile.
Particolare considerazione merita l’ipotesi di assenza (ART 49 cc), per la quale è incerto se
l’assente sia in vita o meno: in tal caso, le nuove nozze contratte non sono impugnabili nché
dura l’assenza.
Se viene dichiarata morte presunta di uno dei due coniugi (ART 58 cc), l’altro può liberamente
contrarre nuovo matrimonio, ma qualora la persona di cui sia stata dichiarata morte presunta
ritorni, le seconde nozze sono colpite da invalidità assoluta e imprescrittibile.
L’interdizione giudiziale di uno dei due coniugi comporta che il matrimonio possa essere
impugnato 1) dal tutore dell’interdetto, 2) dal pubblico ministero 3) da chiunque vi abbia legittimo
interesse.
L’impugnativa può essere posta 1) sia se la sentenza di interdizione fosse già passata in
giudicato, 2) sia nel caso in cui l’interdizione fosse stata pronunciata posteriormente, se si
dimostra che l’in ferinità già esisteva al tempo del matrimonio.
Se l’interdizione viene revocata, la persona che era interdetta può impugnare il matrimonio, ma
il vizio resta sanato qualora vi sia stata coabitazione per 1 anno, una volta che la interdizione era
stata revocata.
Il difetto di età importa che il matrimonio contratto da persona minorenne può essere
impugnato 1) dai coniugi 2) dai genitori dei due coniugi e 3) dal pubblico ministero.
L’azione proposta dal genitore o dal pubblico ministero deve essere respinta qualora il minore
raggiunga la maggiore età o se vi sia stato concepimento/procreazione, accertata in ambedue i
casi la volontà del minore di mantenere il vincolo matrimoniale.
Lo stesso minore non può impugnare le nozze qualora sia trascorso 1 anno dal compimento della
maggiore età.
Il vincolo di parentela, a nità od adozione, la cui invalidità non può essere fatta valere
dopo 1 anno dalla celebrazione, nei casi in cui sia possibile ottenere l’autorizzazione giudiziaria
alle nozze.
In ogni altro caso, il vizio è insanabile e l’impugnative può essere proposta da chiunque vi abbia
interesse.
I vizi del consenso, materia su cui la riforma ha molto inciso, nel tentativo di attribuire
maggiore rilievo all’e ettiva volontà dei due coniugi. Si è rimasti ben lontani dalla disciplina
canonistica, che è imperniata sull’esigenza di dar valore ad un sacramento solo se il consenso
delle parti sia stato libero, pienamente cosciente ed incondizionato. Nel matrimonio civile infatti
prevalgono le esigenze relative alla certezza e alla stabilità di un rapporto di fondamentale
importanza sociale.
I casi nei quali è possibile l’impugnativa del matrimonio per vizi del consenso sono:
• Violenza, quando il consenso del coniuge è stato estorto con minacce, che è da ritenere
rilevante nei casi richiesti dagli ART 1434-1438 cc relativi all’annullabilità dei contratti. L’azione
non può essere proposta se vi sia stata coabitazione per 1 anno dopo che sia cessata la
violenza (prima delle riforma, bastava 1 mese)
• Timore di eccezionale gravità, derivante da cause esterne allo sposo: si tratta dei casi in cui lo
sposo risulti costretto alla celebrazione per elementi perturbativi seri, sebbene diversi dalla vis
illata (minaccia da un terzo) non integrando gli estremi della violenza. Questa causa di invalidità
è ritenuta sanabile, a meno che non vi sia stata coabitazione per 1 anno dopo la cessazione
delle cause che ti hanno determinato il timore
-> es. temo che il partner attenti alla propria vita, in caso di ri uto
-> es. contraggo matrimonio con un cittadino straniero, a nché egli abbia la mobilità di
espatriare dal suo paese in guerra
• Errore, che può riverberarsi in:
- Errore sull’identità della persona dell’altro coniuge
- Errore su qualità personali dell’altro coniuge: solamente se uno dei due coniugi scopra dopo
le nozze tassative circostanze relative al partner, in precedenza ignorate.
-> es. deviazione sessuale
-> es. malattia sica o psichica, tale da impedire lo svolgimento della vita coniugale (es. HIV)
-> es. sentenza di condanna di reclusione non inferiore a 5 anni per delitto non colposo, salvo
che sia intervenuta riabilitazione prima della celebrazione del matrimonio
-> es. stato di gravidanza causato da terzi
-> es. sentenza di condanna a pena non inferiore a 2 anni per prostituzione
Da notare, che anche dopo la riforma, il matrimonio non risulti invalido nel caso in cui vi
siano stati raggiri (dolo) di un coniuge ai danni dell’altro (es. per farsi credere ricco, laureato,
ecc).
Anche l’impugnativa per errore non può essere proposta se vi sia stata coabitazione per 1
anno dopo la scoperta dell’errore.
Il matrimonio può essere impugnato da ciascuno dei coniugi per simulazione, che rincorre
quando questi abbiano contratto le nozze con l’accordo di non adempierne gli obblighi e di non
esercitare i diritti che ne derivano, nel caso in cui essi volessero bene ciare solamente di qualche
conseguenza ricollegata allo status di coniuge.
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-> es. lo straniero che sposa una persona anziana ricoverata in ospizio, così acquisisce la
cittadinanza italiana
La simulazione di erisce dalla riserva mentale perché in questo caso vi è un accordo fra
entrambi i coniugi di porre in essere la celebrazione.
Peraltro, la stessa norma dispone che l’impugnativa non può essere proposta dopo che sia
decorso 1) il termine di decadenza di 1 anno, o dopo che 2) i coniugi abbiano convissuto more
uxorio anche per un lasso di tempo inferiore. Detto rimedio, cui possono valersi solo i coniugi e
non anche terzi, importa il riconoscimento dell’irrilevanza dell’accordo simulatorio una volta
decorso il breve termine di decadenza previsto.
L’azione di impugnazione del matrimonio è sottoposta a particolari regole comuni a tutte le ipotesi
di invalidità.
L’azione di impugnazione è personale ed intrasmissibile agli eredi, che non sono legittimati a
proporla. Gli eredi possono però continuare il giudizio che il loro dante cause avesse
eventualmente intrapreso.
L’azione non può neppure essere promossa dal pubblico ministero dopo la morte di uno dei due
coniugi.
In pendenza del giudizio di impugnazione può essere disposta la separazione dei coniugi. La
separazione in pendenza di giudizio o di annullamento si distingue dalla separazione
personale. Quest’ultima presuppone che la prosecuzione della convivenza sia divenuta
intollerabile o tale da recare pregiudizio all’educazione della prole.
La separazione in pendenza di giudizio, invece, serve ad ovviare il disagio della coabitazione fra
i coniugi mentre è in corso il giudizio di annullamento o nullità: dunque è rimesso al prudente
apprezzamento del giudice disporla. Ciò spiega anche perché il giudice possa ordinare tale
separazione, se ambedue i coniugi o uno di essi sono interdetti o minori.
MATRIMONIO PUTATIVO
In virtù dell’e cacia dichiarativa dell’accertamento della nullità e della e cacia retroattiva della
pronunzia di annullamento, i coniugi dovrebbero considerarsi come se non fossero mai stati uniti
dal vincolo coniugale e gli dovrebbero considerarsi come nati fuori dal matrimonio.
Dunque, l’invalidità del matrimonio dovrebbe applicarsi ex tunc, tamquam non esset = da allora,
come se non fosse mai avvenuto: ciò però avrebbe delle enormi ricadute anche sui gli -> se
venisse applicato ciò che è disposto dal Libro IV, le conseguenze sarebbero inaccettabili.
La legge, però tempera il rigore di detti principi attraverso l’istituzione del matrimonio putativo,
considerando sotto taluni pro li l’e cacia del matrimonio invalido.
Inoltre, se entrambi sono in buona fede, il giudice può disporre che uno versi all’altro un assegno
periodico per un periodo non superiore a 3 anni, se l’altro coniuge non abbia redditi propri e
non sia passato a nuove nozze.
Il regime degli e etti del matrimonio invalido nei confronti dei gli è stato modi cato con il D.Lgs
154/2013, con cui si prevedeva il superamento della distinzione tra gli legittimi e gli naturali;
ora, infatti, è stabilito che “il matrimonio dichiarato nullo ha e etti del matrimonio valido rispetto ai
gli”.
Se in buona fede è solo uno dei due coniugi gli e etti del matrimonio putativo si
veri cano solo a favore suo e dei gli.
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Se entrambi i coniugi sono in mala fede, gli e etti del matrimonio putativo si producono
comunque nei confronti dei gli, salvo che la causa di invalidità non derivi dal fatto che questi
siano gli incestuosi.
Se un glio nasce da incesto, il glio può essere riconosciuto previa autorizzazione del giudice
se ciò sia conforme fagli interessi del glio. Prima della novella cui la L 210/2012 lo stesso limite
valeva anche in caso di nullità del matrimonio per bigamia, ma oggi detto limite è stato superato.
La legge estende le regole sull’e cacia di matrimonio putativo anche nei casi di invalidità
derivante da violenza o da metus (timore), in cui a rigore non si potrebbe parlare di buona fede.
Tuttavia, l’estensione è giusti cata dalla considerazione che la volontà del coniuge non è stata
libera.
La buona fede si presume e deve sussistere al momento del vincolo matrimoniale, nella
concezione che mala des superveniens non nocet.
Non si può ricorrere la gura di matrimonio putativo nel caso in cui il matrimonio sia inesistente o
privo degli e etti dell’ordinamento giuridico, perché, celebrato con rito religioso, non è poi stato
trascritto.
La disciplina del matrimonio come rapporto, ossia degli e etti giuridici che derivano da esso in
capo ai coniugi, si di erenzia dalla disciplina del matrimonium in eri, ossia del matrimonio in
quanto atto.
In particolare, è ammesso che il matrimonio possa essere celebrato dinnanzi ai ministri del culto:
in tale contesto, di particolare rilevanza è il matrimonio concordatario, ossia quello religioso
cattolico che produce e etti sia religiosi sia civili, in base agli accordi fra Stato e Chiesa Cattolica.
Un tempo il matrimonio era considerato come una materia di esclusiva competenza da parte della
Chiesa.
Quando poi il Codice del 1965 introdusse il matrimonio nell’ordinamento giuridico, era necessario
celebrare due volte le nozze, a nché avesse valore sia per lo Stato sia per la Chiesa.
In seguito, con i Patti Lateranensi del 1929, lo Stato italiano accettò che il sacramento del
matrimonio potesse anche riconoscersi gli e etti civli.
Nel 1984 venne sottoscritto a Roma l’Accordo di revisione al Concordato, con cui il matrimonio
concordatario venne confermato e si disciplinò in modo migliore il regime.
È importante precisare che non si tratta di una semplice forma dell’atto di celebrazione diversa
rispetto a quella prevista in via ordinaria dinnanzi all’U ciale di Stato civile: il matrimonio canonico
è infatti retto dalla disciplina canonistica ed è stabilito che riceva anche e etti dallo Stato.
Proprio perché si tratta di un matrimonio canonico, le sentenze di nullità pronunciate dall’autorità
giurisdizionale ecclesiastica in applicazione del diritto canonico possono divenire e caci anche
nello Stato Italiano, attraverso una delibazione da parte della Corte d’Appello.
È bene ricordare che si discute molto sul fatto se i tribunali ecclesiastici hanno conservato una
giurisdizione esclusiva per quanto concerne i matrimoni concordatari o se in materia possa
esserci anche la giurisdizione concorrente dello Stato.
Risulta evidente che il matrimonio concordatario importa delle di erenze di trattamento fra i
cittadini per motivi di religione; la Corte Costituzionale ha stabilito che ciò non con gura una
violazione all’ART 3 Cost per quanto concerne il principio di uguaglianza, in quanto si rinvia ai
Patti Lateranensi per la disciplina dei rapporti fra Stato e Chiesa.
Ciò però non preclude il controllo di legittimità delle leggi statali in esecuzione del regime
concordatario, cui rimane di valutazione rispetto alla conformità dei principi costituzionali.
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MODALITA DI RICONOSCIMENTO DEL MATRIMONIO
Eseguite le pubblicazioni, può avvenire la celebrazione da parte del ministro del culto. A nché un
matrimonio religioso acquisti gli e etti civli, occorre che:
• Il celebrante illustri ai nubendi gli e etti civili + dia loro lettura degli articoli del codice
civile riguardanti i diritti e i doveri dei coniugi (gli stessi di cui dà lettura l’u ciale di stato civile)
• Siano redatti due originali, a cura del celebrante, in cui si possono inserire le dichiarazioni dei
coniugi consentite dalla legge civile (es. scelta del regime patrimoniale)
• Uno degli originali dell’atto del matrimonio deve essere dal parroco trasmesso entro 5 giorni
dalla celebrazione all’u ciale dello stato civile, a nché lo trascrive nei registri dello stato
civile.
Tuttavia, gli e etti civili si producono ex tunc, ossia dal giorno della celebrazione, avendo
dunque la trascrizione e cacia retroattiva.
Vi può essere una trascrizione tardiva, se la trascrizione del matrimonio canonico sia stata
omessa per qualsivoglia causa.
In tal caso, la richiesta di trascrizione deve essere fatta da entrambi i coniugi o anche da uno solo,
se l’altro ne sia a conoscenza e non si opponga.
La necessità del consenso attuale porta ad escludere l’ammissibilità della trascrizione del
matrimonio post mortem, cui il coniuge superstite potrebbe avere interesse ai ni successori. Si
ammette però la validità della trascrizione anche se il coniuge sia deceduto prima che la
trascrizione fosse eseguita, ma ovviamente dopo aver prestato il consenso.
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È peraltro necessario che entrambi i coniugi abbiano conservato lo stato di libero dal momento
della celebrazione a quello della richiesta di trascrizione.
Anche la trascrizione tradiva ha e etto retroattivo: dunque, i gli nati prima della trascrizione
tardiva ma dopo la celebrazione sono gli nati nel matrimonio a tutti gli e etti; sono però fatti salvi
i diritti eventualmente acquisiti da terzi.
Già all’epoca del Concordato si avvertì l’esigenza di regolare la posizione di fedeli di altri culti
religiosi; dunque, con la L giugno 1929, si ammise la validità anche del matrimonio celebrato al
ministro di un altro culto religioso, ammettendo che questo potesse produrre e etti civili.
Anche in tal caso, il matrimonio viene trascritto nei registri dello Stato civile italiano, a nché
sia produttivo di e etti civili e si esclude l’ammissibilità della trascrizione tardiva.
Peraltro, con il passare del tempo sono sorte numerose intese con lo Stato Italiano:
• Confessioni che non hanno stipulato intese con lo Stato Italiano permane il regime matrimoniale
stabilito nel 1929.
• Confessioni che hanno stipulato intese, viene riconosciuta e cacia al matrimonio civile
celebrato secondo le norme religiose, a condizione che l’atto sia trascritto nei registri dello stato
civile
L’ART 29 Cost sancisce che “il matrimonio è ordinato sull’eguaglianza morale e giuridica dei
coniugi”. Al contrario, il testo del 1865 era improntato sulla potestà maritale, identi cando il marito
come “capo della famiglia”.
Si avvertiva dunque la necessità di un intervento normativo organico, che ponesse ne alla
discriminazione fra la posizione del marito e quella della moglie, 1) nei rapporti fra coniugi 2) in
relazione all’esercizio della potestà sui gli.
La riforma del 1975 ha dunque sostituito integralmente gli ARTT 143-148 cc, dedicati ora ai
“diritti e doveri che nascono dal matrimonio”, a ermando inoltre che “marito e moglie acquistano
gli stessi diritti ed assumono gli stessi doveri”:
• ARTT 143-145 cc -> principi fondamentali riguardanti i rapporti fra i coniugi
• ARTT 147-148 cc -> doveri nei confronti della prole, che la riforma del 1975 ha improntato
dell’eguaglianza delle prerogative in capo ai genitori.
La nuove norme in tema di liazione, emanate con la L dicembre 2012, hanno redatto una
disciplina unitaria dei rapporti fra genitori e gli, indipendentemente dal fatto che si tratti di gli
nati nel matrimonio o al di fuori di esso.
Bisogna ricordare che le disposizioni speci catamente contenute nell’ambito della disciplina del
matrimonio sono state in parte svuotate:
• ART 147 cc ancora dispone che “il matrimonio impone ad entrambi i genitori l’obbligo di
mantenere, istruire, educare ed assistere moralmente i gli, nel rispetto delle loro capacità,
inclinazioni naturali ed aspirazioni” / la concreta disciplina di tali doveri è fornita all’ART 315-bis,
valida per qualsiasi relazione genitoriale
• ART 148 cc contenente a disciplina del concorso dei genitori agli oneri economici, relativi al
mantenimento e all’educazione dei gli / la concreta disciplina è contenuta all’ART 316-bis
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Dunque, mentre l’impianto della riforma del 1975 prevedeva una speci ca disciplina della
relazione tra coniugi e i gli della coppia coniugata, oggi è previsto un regime unitario che
prescinde lo status di genitori e gli stessi.
Secondo il principio dell’eguaglianza tra coniugi dell’ART 29 Cost, è stabilito nell’ART 144 cc che
i coniugi debbano concordare l’indirizzo della vita familiare secondo le esigenze di entrambi e
quelle preminenti della famiglia.
Inoltre, si è previsto che qualora i coniugi fossero in disaccordo, essi possano rivolgersi senza
formalità al giudice, a nché questi cerchi di giungere ad una soluzione concordata.
Inoltre, qualora il disaccordo concerna la ssazione della residenza o di altri a ari essenziali, i
coniugi potranno congiuntamente ed espressamente chiedere al giudice di adottare la soluzione
che ritenga più adeguata alle esigenze dell’unità e della vita della famiglia.
Costituisce eccezione alla regola dell’uguaglianza tra i coniugi che è giusti cata dalla norma
costituzionale, la disposizione che favorisce l’identi cazione della famiglia prevedendo l’aggiunta
del cognome maritale a quello della moglie, in ossequio della tradizione.
Peraltro, il cognome del marito non viene riportato nei documenti della donna coniugata, la quale
risulta identi cata dal cognome che le è stato attribuito all’atto di nascita.
Tale materia, comunque, è oggetto di numerosi interventi in materia legislativa.
Per analoghe ragioni, i gli nati all’interno del matrimonio assumevano il cognome paterno.
Una tale regola non era espressamente sancita in una determinata norma, ma 1) rispondeva ad
una consuetudine di origine remota 2) presupposta da un insieme di disposizioni.
Tuttavia, la Corte Costituzionale si è pronunciata a riguardo sancendo incostituzionalità,
derivante dalla disparità di trattamento fra i genitori, non consentendo ai genitori di trasmettere il
cognome materno, anche se di comune accordo.
Per il caso di genitori non coniugati, si poneva un’analoga questione, che determinava che in
mancanza di accordo, i genitori trasmettessero il cognome paterno; infatti, la Corte ha rinviato la
trattazione del caso davanti a sé in un momento successivo.
È stata anche introdotta una normativa a tutela degli orfani per crimini domestici, prevedendo
che la vittima di un omicidio possa chiedere la modi cazione del proprio cognome, se questo
coincide con quello del genitore condannato.
La fedeltà coniugale non integra più gli estremi di un reato e l’adulterio non è più causa
autonoma di separazione per colpa.
È tuttavia da ritenere che l’obbligo della fedeltà è un obbligo giuridico a tutti gli e etti,
nonostante non sia fornito di un’apposita sanzione. Esso infatti rappresenta:
• Presupposto per l’addebito della separazione
• Caratterizzante del modello familiare posto dal legislatore, basato sulla relazione personale tra
coniugi a carattere esclusivo
Costituisce dunque una violazione all’obbligo di fedeltà non soltanto l’intrattenimento di rapporti
sessuali conterai, ma anche i rapporti che per la loro modalità ed intensità risultino incompatibili
con la visione prioritaria del coniuge.
Nella riforma del 1975 è stata introdotta la “Collaborazione nell’interesse della famiglia”,
che tende a sottolineare che:
- Da un lato, il consorzio familiare deve essere risultato di un dialogo continuo
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- Dall’altro, che i coniugi devono essere pronti a sacri care i propri interessi a favore della
famiglia
Tale concetto è infatti ribadito nell’ART 144 cc, in cui si a erma che i coniugi devono concordare
l’indirizzo della vita familiare, avendo presenti le esigenze di entrambi e quelle preminenti della
famiglia stessa.
In ne, per quanto concerne i doveri a contenuto non patrimoniale, dal matrimonio deriva
l’obbligo reciproco di coabitazione, che presuppone la coabitazione fra i coniugi (ART 144 cc).
Peraltro, la riforma del 1975 ha consentito:
- Diverso domicilio dei coniugi, qualora fosse di erente il centro dei rispettivi a ari ed interessi
- Diversa residenza dei coniugi, senza che ciò sia incompatibile con l’osservanza dell’obbligo di
coabitazione
L’interruzione della convivenza non costituisce violazione dei doveri coniugali se dipende da
giusta causa, ossia quando la coabitazione sia diventata intollerabile. Occorre precisare che il
legislatore con giusta causa intende la proposizione di una domanda di separazione o
annullamento o divorzio.
Tuttavia, l’abbandono ingiusti cato della residenza familiare importa delle sanzioni.
Tutti gli obblighi dei coniugi sono a carattere personale ed insuscettibili di coercizione: tuttavia
il giudice in sede di separazione, può addebitare la separazione al coniuge che sia venuto meno
a detti obblighi, perseguendo una condotta contraria rispetto a quella richiesta nel matrimonio.
In giurisprudenza e in dottrina si fa strada all’idea per cui l’inadempimento di tali doveri importi un
obbligo di risarcimento dal coniuge responsabile della violazione, quando siano lesi interessi
come violazione all’integrità personale o alla salute.
Il principio di parità è stato a ermato nella riforma del 1975 anche quanto ai doveri di solidarietà
economica: entrambi i coniugi devono contribuire ai bisogni della famiglia, in relazione alle
proprie sostanze e alla propria capacità di lavoro professionale.
Il codice civile ispirato al principio dell’indissolubilità del matrimonio prevedeva, in caso di dissidi,
la possibilità di provvedere con la cessazione legalmente sanzionata del loro obbligo di
convivere: tale istituto è rimasto nell’ordinamento anche dopo il divorzio, benché da rimedio
de nitivo è stato utilizzato come strumento per giungervi ed ha subito molte modi che con la
Riforma della famiglia del 1975.
L’intero quadro normativo della crisi della coppia è stato radicalmente mutato con l’introduzione
del divorzio nel 1970 e numerose successive riforme riguardanti il divorzio stesso, o hanno
modi cato il sistema normativo per i gli della coppia in crisi o ancora hanno inteso agevolare sul
piano processuale e sostanziale la separazione e il divorzio.
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Da ciò consegue un progressivo indebolimento del vincolo matrimoniale.
La separazione personale di erisce dal divorzio, perché non comporta la cessazione degli
e etti matrimoniali, sicché non si potranno contrarre nuove nozze.
Tuttavia, essa rappresenta un mutamento nel regime del rapporto coniugale, in quanto cessa
l’obbligo di convivenza e gli altri obblighi risultano radicalmente modi cati.
La separazione personale è vista dall’ordinamento come una situazione precaria e transitoria, in
quanto può essere fatta cessare in qualunque momento con un comportamento per facta
concludentia, senza bisogno di alcuna formalità, procedendo con la riconciliazione che si esplica
con la ripresa della convivenza (ART 157 cc).
Il codice si preoccupa solo della separazione legale. Tuttavia, può anche esserci una separazione
di fatto, tale da intendersi un’interruzione della convivenza coniugale non sanzionata da alcun
provvedimento giuridico, ma attuata liberamente.
La separazione di fatto non va confusa con una materiale situazione di temporanea non
coabitazione, che non vada ad incidere sull’a ectio coniugalis.
La separazione di fatto viene attuata sulla base: 1) di un accordo informale fra i coniugi 2) ri uto
unilaterale di uno dei due coniugi di proseguire la vita coniugale.
È bene ricordare, però, che la separazione di fatto non determina particolari conseguenze
giuridiche, dunque ciascuno dei coniugi potrebbe richiedere all’altro in qualunque momento la
ripresa della convivenza.
La separazione legale giudiziale, secondo le vecchie norme, poteva essere ottenuto dal
coniuge solamente nel caso della sussistenza di una colpa, che doveva rientrare nelle cause
tassativamente rientranti nel codice.
Tuttavia, l’ART 151 comma 1 cc consente a ciascun coniuge di richiedere la separazione per il
fatto solo che la prosecuzione della convivenza sia divenuta “intollerabile o da recare grave
pregiudizio all’educazione della prole, indipendentemente dalla volontà di uno dei due coniugi”.
Anzi, la giurisprudenza ha a ermato che è su ciente anche la volontà di uno dei due coniugi di
non voler continuare la convivenza per giusti care tale decisione.
Qualora sia possibile far risalire la responsabilità del fallimento della vita in comune a
comportamenti contrari da quelli derivanti dal matrimonio, il giudice può dichiarare su domanda di
parte nella sentenza “a quale coniuge sia addebitabile la separazione”, il che spiega e etti solo
di ordine patrimoniale e successorio.
I comportamenti contrari ai doveri matrimoniali da parte di un coniuge possono costituire fonte di
risarcimento dei danni a favore dell’altro, qualora vengano aggrediti i diritti inviolabili della
persona.
Qualora uno dei due coniugi non abbia redditi propri adeguati, il giudice può prevedere che venga
versato dall’altro l’assegno di mantenimento, per tale da intendersi un assegno periodico
corrispondente a quanto necessario al suo mantenimento, la cui entità dev’essere determinata
tenendo conto dei redditi di un coniuge e dei bisogni dell’altro (ART 156 cc).
Poiché in caso di separazione l’assegno di mantenimento non ha funzione alimentare, non
soddisfano dunque le esigenze primarie di convivenza, il coniuge tenuto a versare l’assegno di
mantenimento può compensare quanto dovuto con eventuali controcrediti vantati nei confronti
del coniuge cui spetta il versamento.
La Suprema Corte ha ritenuto che la mancata instaurazione della comunione materiale e spirituale
propria al matrimonio, nel caso di un matrimonio e mero, esclude la sussistenza dei
presupposti per la debenza dell’assegno di mantenimento.
L’assegno non può essere attribuito dal coniuge cui sia stata addebitata la responsabilità della
separazione, al quale può solo essere riconosciuto il diritto agli alimenti.
Il coniuge cui sia stata addebitata la responsabilità della separazione vede gravemente limitati
anche i suoi diritti successori nei confronti del patrimonio dell’altro coniuge.
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Anche nel caso in cui gli sia stata addebitata la separazione, al coniuge separato spetta la
pensione di reversibilità. La Suprema Corte ha ritenuto che il coniuge avesse diritto alla pensione
di reversibilità in virtù del solo rapporto di coniugio e non occorre che versi in stato di bisogno.
Il giudice può vietare alla moglie l’uso del cognome del marito, quando ciò sia per lui
pregiudizievole.
Allo stesso modo, il giudice può autorizzare la moglie a non usare il cognome stesso, qualora
possa derivargliene un grave pregiudizio.
Il DL settembre 2014 ha introdotto delle nuove modalità di separazione, divorzio o modi care le
condizioni di questi due istituti.
1) La prima modi ca è data dalla negoziazione assistita, che consiste nella negoziazione in cui
ognuno dei coniugi deve essere assistito da un avvocato diverso. Essa ha per oggetto 1)
separazione, 2) divorzio, 3) modi cazione delle precedenti condizioni di separazione o divorzio.
Bisogna distinguere:
- In mancanza di gli minori, o portatori di handicap, o maggiorenni non autosu cienti
economicamente -> l’accordo deve essere trasmesso al Procuratore della Repubblica verso il
Tribunale competente; se questi non riscontrerà irregolarità alcuna, potrà comunicare agli
avvocati il nullaosta per i successivi adempimenti richiesti
- Nel caso in cui vi siano gli minori, o portatori di handicap, o maggiorenni non
autosu cienti economicamente -> il controllo del Pubblico Ministero sarà volto a veri care la
rispondenza dei patti all’interesse dei gli. Se l’accordo ha esito negativo, verrà negata
l’autorizzazione e nei successivi 5 giorni vengono trasmessi gli atti al presidente del tribunale
per la ssazione dell’udienza di comparizione dei coniugi
Il ruolo degli avvocati è duplice: 1) da una parte, conciliare i coniugi, informandoli della
possibilità di mediazione familiare e del preminente interesse dei gli + 2) dall’altra, entro 10
giorni sono tenuti a trasmettere all’u ciale dello Stato Civile del comune in cui il matrimonio è
stato iscritto trascritto una copia autenticata dell’accordo raggiunto.
2) L’altra modalità è costituita dagli accordi conclusi dinnanzi al sindaco, nella veste
dell’U ciale di stato civile, con l’assistenza solo facoltativa degli avvocati.
L’oggetto degli accordi coincide con quello della negoziazione assistita: separazione, divorzio,
modi cazione delle precedenti condizioni di separazione o divorzio.
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Tuttavia, con questa modalità non si possono convenire trasferimenti patrimoniale (es. assegno di
mantenimento) + è preclusa in presenza di gli minori o portatori di handicap o non autosu cienti
economicamente.
Competente a ricevere l’accordo è:
- U ciale di stato civile del comune di iscrizione dell’atto di matrimonio civile
- U ciale di stato civile del comune di trascrizione dell’atto di matrimonio celebrato con rito
concordatario o altri riti religiosi o all’estero o di residenza di almeno uno dei due coniugi
L’U ciale di stato civile deciderà per la ssazione di una nuova data, da ssare almeno 30 giorni
dopo dalla rma dell’accordo; la conferma della data prestabilita farà decorrere gli e etti della
separazione o del divorzio dalla data della sua prima sottoscrizione.
La mancata comparizione equivarrà ad una mancata conferma dell’accordo.
Gli e etti della separazione cessano in caso di riconciliazione dei coniugi, che non richiede
alcuna forma solenne e può anche avvenire meramente di fatto, oltre che con una dichiarazione
espressa.
Non basta, dunque, un generico rappaci camento e neppure l’instaurazione di regolari
frequentazioni: occorre la ricostruzione di una vera e propria comunione di vita fra i coniugi.
In caso di riconciliazione, la separazione può essere nuovamente pronunciata solo per fatti
posteriori alla riconciliazione stessa.
La riconciliazione comporta la ricostituzione della comunione legale ex lege; di tale evento,
deve esserne fatta pubblicità, per rendere opponibili a terzi gli e etti della ricostituzione della
comunione.
Il codice civile del 1942 concepiva il matrimonio come indissolubile: come tale, esso poteva
sciogliersi solo per la morte di uno dei due coniugi.
Quella tradizionale impostazione è stata poi modi cata dalla L dicembre 1970, con il divorzio.
In realtà, si parla solo di scioglimento del matrimonio civile o, nel caso di matrimonio
concordatario, di scioglimento degli e etti civili del matrimonio concordatario.
Nella legge del 1970 non si fa riferimento alla parola divorzio, che appartiene piuttosto al
linguaggio corrente.
È noto che l’introduzione in Italia del divorzio è stata accompagnata da vivaci polemiche, tali da
provocare un referendum popolare abrogativo, svoltosi nel maggio 1974 che si è concluso con il
rigetto del quesito referendario.
La disciplina del divorzio fu riformata varie volte e più di recente è intervenuta la L maggio 2015
che sanciva il divorzio breve.
Per quanto concerne la morte del coniuge, bisogna ricordare che la condizione del vedovo non
coincide con quella del soggetto non coniugato: infatti, il vedovo ha:
- Diritti successori spettanti al coniuge superstite
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- Diritto alla pensione
- Diritto all’assegno di reversibilità
- Divieto di nuove nozze durante il lutto vedovile
Alla morte sono equiparati gli e etti della morte presunta (ART 58 ss cc), che consente al
coniuge di contrarre legittimamente nuove nozze, tuttavia, qualora il coniuge morto presunto
facesse ritorno o ne venisse accertata l’esistenza, il nuovo matrimonio è invalido. Si applicano,
peraltro, i principi generali di invalidità del matrimonio: dunque, se vi è buona fede da parte di uno
o entrambi i coniugi, valgono le regole stabilite per il matrimonio putativo (ART 128 cc).
Il divorzio si atteggia nel nostro ordinamento come rimedio al fallimento coniugale ed è dunque
possibile quando la comunione spirituale o materiale dei coniugi non può essere mantenuta o
ricostituita. L’accertamento di tale situazione è possibile con la ricorrenza delle cause indicate
dall’ART 3 della L dicembre 1970, con l’applicazione degli e etti giudici che ne conseguono.
In caso di sentenza di retti cazione del sesso da parte di uno dei due coniugi, il D.Lgs
settembre 2011 ha stabilito che la sentenza di retti cazione determinava ipso iure lo scioglimento
del matrimonio e la cessazione degli e etti civili, senza la necessità di ottenere un ulteriore
procedimento a tale scopo.
Queste norme sono però state dichiarate illegittime dalla Corte Costituzionale, poiché ciò non
consente alle parti di mantenere in vita un’altra forma di convivenza.
Oggi la L maggio 2016, nel disciplinare le unioni civili, ha stabilito che consegue l’automatica
instaurazione dell’unione civile fra persone dello stesso sesso, se i coniugi non volessero
sciogliere il matrimonio o di non farne cessare gli e etti civili.
Ricorrendo una delle fattispecie sopraelencate, uno dei coniugi od entrambi congiuntamente
possono chiedere al giudice di pronunciare:
• Scioglimento del matrimonio contratto a norma del codice civile
• Cessazione degli e etti civili del matrimonio concordatario, in caso di matrimonio concordatario.
Bisogna ricordare che il divorzio, in Italia, non può essere giudiziale: non potrebbe essere
deciso da alcuna autorità amministrativa.
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In tutti i casi, il giudice deve esperire il tentativo di conciliazione: se la conciliazione non riesce, il
giudice deve accertare che “la comunione spirituale e materiale dei coniugi non può più essere
mantenuta o ricostituita”.
Con l’introduzione del divorzio, nel nostro ordinamento sono divenute suscettibili di delibazione
(= acquistare e cacia anche in Italia) anche le sentenze straniere di divorzio, che prima erano
ritenute contrarie all’ordine pubblico.
Con la sentenza di divorzio, il Tribunale può disporre l’obbligo per un coniuge di corrispondere
all’altro l’assegno divorzio, qualora questo non abbia mezzi adeguati o non possa procurarseli
per ragioni oggettive.
La misura dell’assegno è determinata discrezionalmente dal giudice, tendo conto di numerosi
fattori:
- Condizioni economiche e sociali dei coniugi
- Contributo personale ed economico dato da ciascuno
- Reddito di entrambi
- Formazione del patrimonio comune e di quello di ciascuno di essi
- Durata del matrimonio
Secondo un iniziale indirizzo della giurisprudenza, l’assegno post-matrimoniale doveva essere
idoneo a consentire al coniuge bene ciario di conservare un tenore di vita analogo di quello
condotto durante il matrimonio.
Parte della dottrina riteneva invece che esso dovesse essere limitato alle risorse necessarie per
assicurare all’ex coniuge un regime di vita decoroso, ma non necessariamente conforme a quello
cui godeva durante la convivenza; tale criterio è stato ritenuto legittimo dalla Corte Costituzionale,
che però ha speci cato che esso è solo uno dei criteri da applicare, dovendo comunque tener
conto di tutti i parametri indicati dalla legge.
Il tema è stato oggetto di un intenso dibattito giurisprudenziale.
Con una sentenza della Cassazione del 2017, si è a ermato che poiché l’assegno aveva natura
assistenziale spetta solamente all’ex coniuge che non abbia i mezzi adeguati per assicurarsi
l’autosu cienza economica e che non possa procurarseli per ragioni oggettive.
Tali due indiretti sono stati oggetto di una sintesi, da parte della Corte di Cassazione nel 2018,
secondo cui occorre tener conto non solo del tenore di vita dei coniugi precedente allo
scioglimento del matrimonio, ma di un criterio composito di:
• Condizioni economico patrimoniali
• Contributo al benessere della famiglia fornito dall’ex coniuge richiedente l’assegno
• Durata del matrimonio
• Potenzialità reddituali future
• Età
In e etti, il contributo fornito alla vita familiare è frutto di decisioni intraprese da entrambi i coniugi
che sono suscettibili ad incidere notevolmente sul pro lo economico-patrimoniale di ciascuno di
essi. Dunque, secondo le Sezioni Unite della Cassazione, l’assegno di divorzio avrà al
contempo natura assistenziale, compensativa e perequativa.
Spesso, la decisione sull’assegno prevede un’istruttoria che potrebbe ritardare la de nizione del
processo: pertanto, è consentito pronunciare immediatamente la sentenza di cessazione degli
e etti cvili del matrimonio e poi procedere con le questioni economiche.
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È anche previsto che una delle parti corrisponda un’unica soluzione, della quale però non può
essere in seguito proposta alcuna modi ca nel contenuto economico, anche in seguito a
sopravvenute esigenze economiche.
Le Sezioni Unite della corte di cassazione discutono se per realizzare un trasferimento
immobiliare 1) possa dirsi idonea la sentenza di divorzio 2) sia necessario che il trasferimento
immobiliare sia accompagnato da un provvedimento giurisdizionale che venga recepito in un atto
notarile perfezionato ad hoc.
L’obbligo di corresponsione dell’assegno cessa se il coniuge bene ciario passa a nuove nozze,
poiché acquista il diritto di assistenza dall’altro coniuge.
La giurisprudenza più recente si è orientata ad a ermare che anche l’instaurazione di una nuova
convivenza ha l’e etto di estinguere ogni rapporto post-matrimoniale conseguente allo
scioglimento del matrimonio, e dunque anche al diritto all’assegno.
Sulla base di questo orientamento, se la convivenza cessasse, l’ex coniuge che si trova
nuovamente in stato di bisogno non può nuovamente domandare il ripristino del trattamento
economico a suo favore.
La L febbraio 2006 aveva ridisegnato l’assetto normativo riguardante i gli di coppie separate,
novellando il codice civile, in particolare attraverso la modi ca dell’ART 155 cc e l’introduzione
degli ARTT 155-bis-155-sexsies cc.
Tali norma si applicavano in tutti i casi di dissoluzione genitoriale, nonché nei procedimenti ai gli
di genitori non coniugati.
L’unitarietà della disciplina della L febbraio 2006, è stata rimarcata dalla riforma della liazione (L
219/2012 e D.Lgs 154/2013). Quest’ultimo intervento normativo ha uni cato nel Titolo IX del Libro
I la disciplina dei rapporti fra genitori e gli.
• Il Capo I contiene la disciplina della responsabilità genitoriale e dei diritti e doveri dei gli
• Il Capo II contiene la responsabilità genitoriale a seguito di separazione, scioglimento o
cessazione degli e etti civli, annullamento, nullità del matrimonio o all’esito di procedimento
relativi ai gli anti fuori dal matrimonio.
Il materiale normativo della L febbraio 2006 aveva collocato la normativa negli ARTT 155 ss cc,
che ora è con uito negli ARTT 337-bis ss cc; l’ART 155 cc è rimasto come una norma di rinvio.
Peraltro, la disciplina introdotta nel 2006 non risulta modi cata dalla successiva introduzione della
disciplina della liazione.
Secondo il regime vigente no al 2006, era contemplato l’a damento esclusivo, per il quale il
giudice doveva pronunciare a quale genitore dovessero essere a dati i gli minori, pronunciando
la sentenza di separazione.
Al genitore non a datario spettava il diritto di visitare i gli e di concorrere nelle decisioni di
maggiore rilevanza.
Tuttavia, ciò generava innumerevoli dispute fra coniugi sul diritto alla a damento e sulle modalità
dell’esercizio del diritto di visita del genitore non a datario.
Per questo motivo, oggigiorno la giurisprudenza applica l’a damento congiunto, recepita dalla
legge sul divorzio per e etto della riforma del 1987, che poteva essere applicato se era di
interesse dei gli.
La L febbraio 2006, in linea con la Convenzione internazionale degli interessi del Fanciullo, ha
posto rilievo al principio della bigenitorialità anche nella crisi di coppia, ponendo come regola
fondamentale l’a damento condiviso.
L’ART 337-ter esordisce a ermando che in caso di separazione, i gli hanno diritto di conservare
un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori.
A tale scopo, il giudice deve mirare esclusivamente all’interesse morale e materiale della prole,
nell’emanazione dei provvedimenti relativi alla prole stessa: egli dunque deve considerare
prioritariamente che il glio sia a dato ad entrambi i genitori e poi può disporre l’a damento
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esclusivo (ART 337-quater cc) solo nel caso in cui il rapporto con l’altro genitore sia
pregiudizievole per l’interesse del minore.
Dunque, a damento esclusivo rimane nell’ordinamento ma come fattispecie a carattere
eccezionale, che il giudice deve speci catamente motivare.
Inoltre, l’ART 337-quater cc ha stabilito che ciascun coniuge ha sì diritto di chiedere
l’a damento esclusivo, quando il rapporto con l’altro genitore sia pregiudizievole per lo sviluppo
del glio. Tuttavia, se la domanda risulta frutto della volontà di porre in essere una lite temeraria,
questi sarà tenuto al risarcimento dei danni all’altro genitore.
La ratio della nuova disciplina è dunque non di scegliere il genitore più adatto all’educazione, ma
di consentire un assetto di a damento esclusivo solo quando il rapporto con l’altro genitore sia
pregiudizievole per il glio (es. padre violento).
Naturalmente, il giudice deve anche provvedere alla residenza dei gli; di regola, il giudice
dispone l’a damento dei gli precisando presso quale dei genitori gli stessi sono collocati, ossia
vivono abitualmente.
Dunque, non si può più parlare di diritto di visita, come avviene nel caso dell’a damento
esclusivo, ma il giudice determina i tempi e i modi della presenza dei gli presso ciascun genitore.
Per favorire il raggiungimento di intese fra i genitori, il giudice prende atto degli eventuali accordi
tra i genitori, se non sono contrari agli interessi dei gli.
La responsabilità genitoriale è esercitata da entrambi i genitori (ART 337-ter cc), cui può essere
attribuito il potere di assumere singolarmente le decisioni di minore rilevanza, ma per quelle di
maggiore interesse devono essere concordate da entrambi (es. istruzione, educazione, salute).
In caso di disaccordò, sarà il giudice a provvedere.
Ai ni dell’emanazione di provvedimenti relativi alla prole, i giudice può assumere anche d’u cio i
mezzi di prova che ritiene necessari.
Egli deve procedere con l’audizione del minore se abbia compiuto 12 anni o anche quello di età
inferiore, se dotato di discernimento.
La Suprema Corte ha a ermato che la giurisdizione riguardante l’a damento dei gli e il loro
mantenimento appartiene al giudice del luogo in cui il minore risiede abitualmente.
L’ART 337-septies prevede che qualora la coppia abbia gli maggiorenni non su cientemente
autosu cienti il giudice può disporre il pagamento di un assegno periodico che è versato
direttamente al glio, valutate le circostanze.
La giurisprudenza pone a carico del glio maggiorenne l’onere di provare 1) mancanza di
indipendenza economica + 2) sforzi nel completare la propria preparazione personale + 3) ricerca
di lavoro.
I gli maggiorenni portatori di handicap sono soggetti alla disciplina prevista per i gli minori.
Particolare attenzione richiede la disciplina della casa familiare dettata dall’ART 337-sexties,
nell’ottica di assicurare al glio minore una maggiore stabilità in un momento di cile.
In questa prospettiva, la legge stabilisce che il godimento della casa familiare è stabilito
nell’interesse dei gli, considerato l’eventuale titolo di proprietà.
-> es. l’a damento dei gli è attribuito alla madre, cui è anche attribuito il godimento della casa di
proprietà del marito. In tal caso, il giudice dovrà considerare anche che l’esigenza abitativa della
donna è soddisfatta nell’attribuzione della casa del marito, dunque andrà ad incidere sull’assegno
di mantenimento.
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Il provvedimento di assegnazione è suscettibile a trascrizione (ART 2643 cc), ai ni
dell’opponibilità ai terzi che dovessero acquistare diritti sull’immobile.
La Corte di Cassazione ha fatto applicazione della fattispecie anche alle coppie di fatto,
a ermando che la casa in cui vivono i gli minori viene assegnata alla convivente, anche se non
proprietaria dell’immobile, nell’interesse che i bambini rimangano a vivere con la madre.
La Corte ha anche statuito che l’appartamento non può essere lasciato al terzo acquirente,
quand’anche la trascrizione dell’atto di compravendita sia anteriore al provvedimento giudiziale.
L’ART 337-sexties a erma che qualora uno dei due coniugi cambi residenza o domicilio, l’altro
può chiedere la revisione degli accordi o dei provvedimenti in precedenza adottati, ivi compresi
quelli economici, se il mutamento interferisce con le modalità di a damento.
-> es. il trasferimento del genitore può rendere più ardua la continuità del rapporto fra l’altro
genitore e i gli
La riforma del diritti della famiglia ha inciso sui rapporti patrimoniali tra coniugi durante il
matrimonio.
Prima della Riforma infatti si è voluto equiparare la posizione giuridica dei due coniugi,
introducendo la comunione legale dei beni, applicabile in mancanza di uno speci co accordo fra
i coniugi. Alla comunione legale si propone la nalità di determinare la condivisione degli
incrementi di ricchezza conseguiti dai componenti della coppia durante il matrimonio, nell’ottica di
un principio di solidarietà economica, nella considerazione che all’epoca era solo il marito a
lavorare.
Con l’intervento della Riforma, è stata mantenuta la separazione dei beni, per tale da intendersi il
regime che implica che ciascuno dei coniugi conservi la titolarità esclusiva di tutti i beni da lui
acquistati successivamente al matrimonio.
La L 76/2016 ha stabilito che ciò è applicabile anche alle unioni civili fra persone dello stesso
sesso.
Nel gennaio del 2019 è entrato in vigore il regolamento dell’UE, volto ad armonizzare le norme sul
con itto di leggi nell’ambito dell’UNione, al ne di facilitare il reciproco riconoscimento dei
provvedimenti emanati in tea di regime patrimoniale dei coniugi.
La formulazione delle due norme rileva una certa imprecisione, poiché accomunano le sostanze
che sono una realtà economica con le capacità di lavoro, che sono delle potenzialità.
Il legislatore intendeva dire che:
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- Da un lato, entrambi i coniugi hanno il dovere di attivarsi per porre a frutto le proprie capacità di
lavoro
- Dall’altro, che pure un’attività casalinga, sebbene non produttiva di reddito, comunque
costituisce un modo per costruire la soddisfacimento dei bisogni della famiglia
- Inoltre, il riferimento alle sostanze consente di comprendere che non si deve far riferimento solo
al reddito, ma anche ai cespiti facendo capo ai singoli coniugi
Gli ARTT 143 e 316-bis cc regolano il concorso di ciascun coniuge alle esigenze della famiglia,
senza però chiarire quale sia il tutto cui ciascun coniuge debba contribuire, non chiarendo l’entità
complessiva dei mezzi che i coniugi devono destinare alla famiglia.
A proposito, si sono di erenziate due tesi:
1. I bisogni della famiglia costituiscono un dato obiettivo determinabile a priori, al cui
soddisfacimento i coniugi devono provvedere, liberi di conservare a proprio favore ogni
possibile eccedenza -> le risorse eccedenti il bisogno della famiglia resterebbero nella
discrezionale disponibilità di cui che le ha conseguite
2. Autentica comunione di vita: i bisogni della famiglia sono quelli che i redditi e i beni della
coppia possono comunque soddisfare, cosicché i coniugi avrebbero dovere di porre nei
menate familiari tutti i loro redditi e beni, concordando con l’altro coniuge il relativo impiego.
La di erenza fra le due tesi assume rilevanza in un contesto di crisi di coppia, rilevando che solo
la seconda assicurerebbe la realizzazione del tentativo della riforma, ma ciononostante dottrina e
giurisprudenza accolgono anche la prima tesi.
Nell’ipotesi in cui la coppia non goda dei mezzi necessari per provvedere al mantenimento dei
gli, la legge impone ai loro ascendenti di fornire i mezzi necessari perché possano essere
adempiuti i doveri nei confronti della prole.
Qualora uno dei genitori non contribuisca adeguatamente al soddisfacimento dei bisogni
familiari, il tribunale può imporre che una quota dei redditi del genitore inadempiente venga
versata direttamente all’altro coniuge o a chi provvede al mantenimento dei gli.
L’ART 159 cc stabilisce che “il regime patrimoniale legale, in mancanza di diversa convenzione
stipulata a norma dell’ART 162 cc, è costituito dalla comunione dei beni”.
La nuova disciplina ha trovato applicazione automatica solo per le coppie sposatesi dopo
l’entrata in vigore di detta disciplina.
Per le coppie già unite in matrimonio ha previsto una norma transitoria, prevedendo un periodo di
pendenza di 2 anni a partire dall’entrata in vigore della riforma (poi prorogato no al 15 gennaio
1978). Se durante questo periodo uno qualsiasi dei coniugi con atto unilaterale ricevuto dal notaio
o dall’u ciale di Stato civile del luogo di celebrazione del matrimonio ha dichiarato di non volere il
regime di comunione legale, la coppia è rimasta assoggettata al regime di separazione dei beni.
Qualora nessuno dei due coniugi avesse preso entro il 15 gennaio 1978 iniziativa di tale atto, la
coppia è stata automaticamente assoggetta al regime di comunione legale, compresi gli acquisti
e ettuati a partire dell’entrata in vigore della norma.
I coniugi prima del 15 gennaio 1978 potevano convenire che pure i beni acquistati da loro
individualmente prima della riforma fossero assoggettati al regime della comunione, salvi i diritti
dei terzi.
Per le coppie sposatesi successivamente all’entrata in vigore della riforma, il regime della
separazione dei beni doveva essere convento mediante atto pubblico o risultante dall’atto di
celebrazione del matrimonio.
Mediante atto pubblico, i coniugi possono anche provvedere alla costituzione del fondo
patrimoniale o ad una comunione convenzionale.
Non sussistono altre alternative alla comunione legale dei beni, all’istituzione del fondo
matrimoniale e alla comunione convenzionale.
In particolare, è fatto divieto di:
• Stipulare contratti che tendano alla dote
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• Contribuzione alla sustinenda onera matrimonii, che è colpito da nullità
COMUNIONE LEGALE
Il regime patrimoniale legale dei coniugi è costituito dalla comunione dei beni, in mancanza di
diversa convenzione.
La comunione legale non è una comunione universale, ma ha per oggetto gli acquisti compiuti in
costanza di matrimonio. Tuttavia, non tutti gli acquisti entrano in comunione: alcuni rimangono
personali, ossia di pertinenza esclusiva di un coniuge.
Oggetto della comunione de residuo (ART 177 cc) sono i 1) redditi personali dei coniugi, che
possono essere sia i frutti dei loro beni personali, sia in quanto proventi della loro attività separata.
Questi sono considerati beni della comunione ai soli ni dello scioglimento della stessa.
Siccome i redditi personali o sono consumati (e quindi non ci sono più) o sono investiti e impiegati
per l’acquisto di beni più durevoli (e, in tal caso, gli acquisti rientrano nella comunione): è chiaro
che dunque con redditi si intende risparmi.
Lo stesso principio vale anche per i beni destinati all’esercizio di 2) un’impresa costituita da uno
dei due coniugi e da lui gestita dopo il matrimonio e per gli incrementi ad essa relativi.
Sono invece esclusi dalla comunione e rimangono beni personali (ART 179 cc):
1. Beni di cui il coniuge era già titolare prima del matrimonio
2. Beni dal coniuge acquistati successivamente al matrimonio per e etto di donazione o
successione
3. Beni di uso strettente personale di ciascun coniuge
4. Beni per l’esercizio di una professione del coniuge, tranne quelli destinati alla conduzione di
un’azienda facente parte della comunione
5. Beni ottenuti a titolo di risarcimento del danno + pensione attinente alla perdita parziale o
totale della capacità lavorativa
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6. Beni personali per surrogazione = acquisiti per mezzo del trasferimento di altri beni personali o
con il loro scambio, purché esso sia espressamente dichiarato dall’acquisto
Un’altra grave questione è quella che riguarda la sorte dei crediti dei quali i coniugi diventino
titolari durante il regime della comunione.
La terminologia normativa non aiuta, poiché a de nire l’oggetto della comunione l’ART 177 cc
parla genericamente di acquisti, mentre negli ARTT 178-179 cc si parla di beni.
Non è di cile sostenere che utilizzando il termine beni, il legislatore intenda dire ogni genere di
utilità economica e dunque anche i crediti.
Tuttavia, una tale soluzione potrebbe creare un problema di coordinamento con l’ART 177 cc, a
norma del quale i proventi dell’attività separata entrano in comunione solo de residuo.
Siccome detti proventi spesso assumono la forma di credito (es. stipendio di un lavoratore, che è
un suo credito nei confronti del datore di lavoro), ammettere che ogni e qualsiasi credito del
coniuge in comunione legale invenga oggetto della comunione signi cherebbe elidere parte della
disciplina dell’ART 177 cc.
La giurisprudenza ha a lungo ripetuto che i crediti non possono entrare a far parte della
comunione.
Tuttavia, una sentenza della Cassazione nel 2007 ha annunciato che anche i crediti possono
entrare a far parte della comunione legale.
Così, la Corte di cassazione ha in ne statuito che appartengono alla comunione i crediti
incorporati a documenti (es. obbligazioni, quote), ma non quelli derivanti da contratto (es.
stipendio); essa ha anche indicato il criterio discretivo della suscettibilità dei crediti di acquisire
valore di scambio: se acquisisce valore di scambio, esso cade nella comunione legale,
diversamente ne è escluso.
Un ulteriore tema controverso è quello relativo alla caduta in comunione dei beni acquistati a
titolo originario.
La soluzione prevalente è quella positiva (es. Cassazione, per l’acquisto con l’usucapione).
Nell’ambito di tale problematica, è interessante riferire il caso in cui i coniugi in costanza di
matrimonio costruiscano un immobile sul suolo di proprietà individuale di uno solo di essi: la
giurisprudenza ritiene che sulla base delle regole dell’accessione, la titolarità del bene dovrebbe
cadere nella titolarità esclusiva del coniuge proprietario del terreno, precisando che il coniuge non
proprietario del suo è tutelato sul piano obbligatorio, spettandogli in diritto di credito pari alla
metà del valore della costruzione.
La legge ssa delle apposite regole inerenti alla possibilità dei creditori nel soddisfarsi sui beni
della comunione. I beni comuni rispondono di:
1. Pesi ed oneri gravanti su di essi al momento dell’acquisto (es. ipoteca)
2. Tutti i carichi dell’amministrazione
3. Ogni obbligazione contratta dai coniugi nell’interesse della famiglia, anche se separatamente
contratta
4. Ogni obbligazione contratta congiuntamente dai coniugi
I creditori particolari dei coniugi non possono soddisfarsi sui beni della comunione, se non
quando i beni personali del loro debitore siano incapienti: in tal caso, possono rivalersi sulla
comunione limitatamente al valore della quota del loro debitore (ossia la metà), purché non
vengano in con itto con i creditori della comunione, che sono ad essi sempre preferiti.
Peraltro, i creditori personali possono procedere con l’esecuzione forzata i singoli beni comuni
nella loro interezza, non sulla quota di proprietà indivisa dei beni comuni: al momento della
vendita, al coniuge non debitore verrà attribuita metà del ricavato e sulla restante metà potrà
soddisfarsi il creditore.
I creditori della comunione possono anche agire in via sussidiaria sui beni personali di ciascuno
dei coniugi, nella misura della metà del credito, quando i beni della comunione non siano
su cienti a soddisfare i debiti su di essa gravanti.
Per quando concerne la separazione personale dei coniugi, in passato la giurisprudenza riteneva
che la comunione si sciogliesse solamente con il passaggio in giudicato della sentenza di
separazione: ciò però importava che in uno stato di crisi di coppia, i coniugi fossero costretti a
rimenare in un regime di comunione.
Così la L maggio 2015 sul divorzio breve ha integrato l’ART 191 cc, stabilendo che la comunione
fra i coniugi di scioglie:
• Dal momento in cui il presidente del tribunale autorizza i coniugi a vivere separati
• Dalla data di sottoscrizione del processo verbale di separazione consensuale
Al ne di rendere lo scioglimento della comunione conoscibile a terzi, il nuovo regime legale
prevede che l’ordinanza con la quale i coniugi sono autorizzati a vivere separati debba essere
comunicata all’U ciale di stato civile, a nché la annoti.
Per ciò che riguarda la separazione giudiziale dei beni, può essere pronunciata dal tribunale,
quando ricorra una delle seguenti cause:
1. Interdizione
2. Inabilitazione
3. Cattiva amministrazione della comunione
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4. Disordine negli a ari personali, tali da mettere in pericolo gli interessi dell’altro o la comunione
della famiglia
5. Condotta tenuta da un coniuge, tale da mettere in pericolo gli interessi dell’altro
6. Mancata od insu ciente contribuzione da parte di uno dei coniugi al soddisfacimento dei
bisogni familiari, in relazione all’entità delle sue sostanze e alle sue capacità di lavoro
La norma non menziona tra le cause di scioglimento la nomina di un amministratore di sostegno,
sebbene si possa ritenere che vi rientri.
La sentenza di separazione dei beni retroagisce al giorno in cui sia stata proposta la domanda
e instaura, da quel momento, la separazione dei beni.
Veri catasi una causa di scioglimento della comunione cessa il regime legale di coaquisto:
dunque, gli acquisti individualmente acquistati da ciascun coniuge rimangono di sua proprietà
esclusiva.
Rimane però la contitolarità dei cespiti precedentemente acquistati, occorrendo procedere
alla divisione delle parti comuni in parti eguali, che è un principio inderogabile.
Il legislatore della riforma non detta norme particolari per quanto concerne il procedimento della
divisione della comunione legale e dunque trovano applicazione i principi generali:
• Divisione convenzionale o giudiziale
• Considerare le passività gravanti sui beni comuni
• Dovrà essere compresa una identica quantità di beni mobili, immobili o crediti: gli eventuali
squilibri possono essere compensati con dei conguagli in denaro.
In relazione alle necessità della prole, il giudice potrà costituire a favore di uno dei due coniugi
un usufrutto sui beni dell’altro.
Salva prova contraria, vi è una presunzione della comunione dei beni mobili, ossia che i beni
mobili in possesso dei coniugi non siano di proprietà individuale (ART 195 cc).
COMUNIONE CONVENZIONALE
Non sarebbero peraltro valide la pattuizione volta a modi care il regime della comunione legale
per:
• Derogare il principio dell’eguaglianza delle quote spettanti ai coniugi, almeno limitatamente a
tutti i beni che formano oggetto di comunione
• Derogare il principio dell’amministrazione della comunione che spetta ad entrambi i coniugi
• Ricomprendere nella comunione dei beni quelli 1) di uso strettamente personale, 2) che
servono all’esercizio della professione del coniuge, 3) ottenuti a titolo di risarcimento del danno
o la pensione ottenuta per la perdita totale o parziale della capacità lavorativa
In concreto, pertanto, la stipulazione di un accordo tra coniugi per far vita ad una comunione
convenzionale può soprattutto mirare a 1) ricomprendere alla comunione anche beni personali
(che non siano quelli sopraindicati), 2) far cadere nella comunione tutti i redditi, fra cui i proventi
(che nella comunione legale ricadrebbero in comunione de residuo)
Il fondo patrimoniale è assoggettato ad uno speciale regime per far fronte alle esigenze della
famiglia. Tal istituto ha preso il posto di quello che era denominato come “patrimonio familiare”
nell’originario codice civile.
Il fondo patrimoniale può essere costituito da ciascuno dei coniugi, da entrambi o da un terzo. La
costituzione deve avvenire 1) con atto pubblico o 2) tramite testamento, se costituito da un
terzo.
Possono far parte del fondo solo beni immobili o beni mobili registrati o titoli di credito (ART
167 cc).
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La proprietà dei beni che costituiscono il fondo spetta ad entrambi i coniugi, salva diversa
disposizione nell’atto costitutivo (ART 168 cc)
L’amministrazione del fondo è regolata dalle stesse norme che regolano la comunione legale.
I frutti dei beni del fondo possono essere utilizzati solo per i bisogni della famiglia.
Salva diversa disposizione dell’atto costitutivo, i beni del fondo non possono: 1) essere alienati +
2) concessi in garanzia + 3) vincolati, se non con il consenso di entrambi i coniugi; qualora vi
siano gli minori, deve esserci anche l’autorizzazione del giudice.
La Corte di Cassazione ha ritenuto che deve ritenersi simulato e dunque ine cace il patto con
cui i coniugi abbiano previsto nell’atto costitutivo la possibilità di alienare o concedere in garanzia
i beni del fondo, nonostante la presenza die gli minori, senza l’autorizzazione dell’Autorità
giudiziaria.
È importante rilevare che la legge prevede che i beni del fondo e i relativi frutti non possono
essere sottoposti ad esecuzione forzata “per debiti che il creditore sapeva non essere stati
contratti per scopi estranei ai bisogni della famiglia”.
Ciò ha portato a quali care il fondo come un patrimonio separato o destinato ad uno scopo.
Ai ni dell’opponibilità a terzi, la giurisprudenza a da rilevanza per la sua costituzione solo
all’annotazione dell’atto a margine dell’atto di matrimonio.
Tale norma limitante l’esecuzione dei beni su fondo patrimoniale ha portato ad un abuso del
diritto, utilizzato per sottrarre i cespiti di uno dei due coniugi all’aggressione del creditore.
Per questo motivo, la giurisprudenza ammette che il conferimento di beni al fondo patrimoniale
possa essere sottoposto ad azione revocatoria, se attuato in frode ai creditori.
Tuttavia, decorsi i termini temporali per l’azione revocatoria, i beni costituiti in fondo patrimoniale
non potranno essere compresi nell’attivo del fallimento di uno dei due coniugi.
La Corte di Cassazione ha anche a ermato che la costituzione del fondo patrimoniale per
fronteggiare i bisogni della famiglia rappresenta un atto a titolo gratuito, non integrando
l’adempimento di un dovere giuridico.
Tuttavia, ai ni dell’azione revocatoria, l’atto di costituzione del fondo patrimoniale può anche non
essere quali cato come un atto a titolo gratuito, se si dimostra:
• Situazione oggettiva integrante gli elementi del dovere morale
• Volontà del costituente di adempiere solo a questo dovere attraverso la costituzione del fondo
Peraltro, l’idoneità del fondo patrimoniale a costituire un argine all’azione dei creditori si va
erodendo, considerando che:
1. Il debitore ha l’onere di dimostrare che il creditore era a conoscenza che il il credito è stato
contratto per ragioni estranee ai bisogni della famiglia
2. I bisogni della famiglia non devono intendersi in senso restrittivo, ma ricomprendono le
esigenze volte al pieno mantenimento e all’armonia dello sviluppo della famiglia, nonché al
potenziamento della capacità lavorativa del coniuge che ha contratto il debito
DOTE
Istituto di antica tradizione, la dote era rappresentata da quei beni che la moglie o chi per essa
apportava al marito per sostenere i pesi del matrimonio, mediante un atto solenne.
Essa presupponeva che sul marito ricadesse l’onere di mantenere la moglie.
Introdotto il regime di eguaglianza fra i coniugi nel 1975, l’istituto della dote ha perso ogni
signi cato e la riforma ha stabilito un divieto rigoroso di costituzione della dote (ART 166-bis cc).
Per le doti costituite prima dell’entrata in vigore della riforma continuano ad essere disciplinate
dalle nome anteriori.
Ad esse peraltro continuando ad applicarsi no all’annullamento o allo scioglimento del
matrimonio gli ARTT 177-209 cc nel testo originario, nonostante la loro intervenuta abrogazione.
FILIAZIONE
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La relazione biologica fra genitore e glio diviene rapporto giuridico quando sia accertata secondo
le modalità previste dalla legge. In tal caso, si costituisce in capo al glio lo status di glio, che
porta con sé un insieme di e etti giuridici (es. e etti in ordine successorio).
Per una tradizione secolare, era posta la distinzione fra gli nati tra genitori coniugati e gli
adulterini, ossia nati al di fuori del matrimonio, di cui no al 1975 non era neppure consentito il
riconoscimento.
L’evoluzione morale e sociale del costume ha condotto un progressivo superamento delle
disparità fra gli, iniziato con la L dicembre 2012 e completato con il D.Lgs dicembre 2013.
Infatti il sistema scaturito con la riforma del 1975 conservava la distinzione fra gli legittimi e gli
illegittimi, che venne poi parzialmente superata con la de nizione di glio naturale e glio.
Solo alla persone nate all’interno del matrimonio era riconosciuto lo status familiae, con tutte le
implicazioni che ne discendevano.
La prima grande diversità di trattamento emergeva per ciò che concerne la relazione di
parentela. Infatti, mentre per i gli legittimi questa si estendeva a tutti i parenti dei genitori e
comportava anche l’instaurarsi di rapporti di a nità, per i gli naturali la relazione giuridica era
limitata ad un rapporto bilaterale fra il glio e il genitore che lo aveva riconosciuto.
Ciò comprobava delle rilevanti di erenze, in particolare in ambito successorio: infatti, i gli
naturali erano ex lege successori solamente del loro genitore, senza vantare alcun diritto legale
rispetto alla successione con altri consanguinei, salva una modesta tutela in caso di successione
fra fratelli naturali, frutto interventi della Corte Costituzionale, che peraltro ha sempre sottolineato
il principio dell’inesistenza di un rapporto di parentela naturale.
Sempre in materia successoria, residuava una di erenza di trattamento normativo per le varie
categorie di gli, poiché riconosceva ai gli legittimi la facoltà di soddisfare i denaro o in beni
immobili ereditari la porzione spettante ai gli naturali che non vi si opponessero.
Inoltre, non tutti i gli nati fuori dal matrimonio potevano essere riconosciuti, poiché persistevano
ai sensi dell’ART 251 cc dei limiti di riconoscimento per coloro che risultavano gli di genitori
legati fra loro a un vincolo di parentela:
• In linea retta -> all’in nito
• In linea collaterale -> no al secondo grado
• Vincolo di a nità in linea retta
L’insoddisfazione per il trattamento giuridico riservato ai gli naturali è stato motivo di ripetute
pronunce della Corte Costituzionale, con cui sono state dichiarate illegittime disposizioni risultate
discriminatorie.
Tuttavia, questi interventi non furono risolutivi, poiché vi era la necessità di instaurare un assetto
normativo computo, per il quale era necessaria l’emendazione di una legge ordinaria.
Infatti, la Costituzione non preclude in assoluto la di erenza di regime fra le due gure di liazione:
infatti, nell’ART 30 Cost è stabilito che la “legge assicura ai gli nati fuori dal matrimonio ogni
tutela giuridica e sociale, compatibile con i membri della famiglia legittima” -> il trattamento
di erenziato fra gli naturali e legittimi non poteva ritenersi illegittimo in sé, ma doveva essere
sottoposto ad una valutazione di concreta adeguatezza, implicando un contemperamento della
tutela dei gli nati fuori dal matrimonio e dei membri della famiglia legittima.
Con la L dicembre 2012 il legislatore ha sancito il principio dell’unicità dello stato di glio, che
costituisce il contenuto della prima disposizione del Titolo IX Libro I “Tutti i gli hanno lo stesso
stato giuridico” (ART 315 cc).
Dunque, anche dal punto di vista terminologica, si è a ermato il termine glio e, quando sia
necessaria una speci cazione, si parla di gli nati fuori dal matrimonio e non di gli naturali.
Dunque, la L dicembre 2012 ha modi cato in primis le norme che regolano il rapporto di
parentela, cosicché l’ART 74 cc a erma che il rapporto di parentela è “il vincolo che nasce tra
persone discendenti dallo stesso stipite, sia nate all’interno del matrimonio sia al di fuori di esso,
sia nel caso in cui il glio è adottivo; il vincolo di parentela non sorge nei casi di adozione di
persone di maggiore età”.
La portata della norma è duplice:
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- Legittimazione
- Figli adottivi
Per quanto concerne la legittimazione, bisogna ricordare che l’ART 74 cc del precedente testo
prevedeva che il vincolo di parentela sorgesse solo sul fatto di essere discendenti dello stesso
stipite, cui poi è stata sostituita la formulazione più ampia sopracitata.
Viene dunque meno la ragion d’essere della legittimazione, abrogata in toto dalla stessa legge:
questa consentiva al genitore del glio nato fuori dal matrimonio di riconoscerlo, equiparandolo
nei diritti ai gli nati nel matrimonio.
Peraltro, data l’ampia portata dei principi introdotti, la L dicembre 2012 non ha operato
direttamente tutte le conseguenti modi cazioni del codice civile e di speci che leggi toccate dal
nuovo regime e perciò bisognose di adeguamento.
A tal ne, è stata conferita una delega al Governo, che si impegnò ad emanare uno o più decreti
legislativi con cui si modi cassero le disposizioni vigenti, eliminando ogni residua discriminazione
tra gli lettini, naturali ed adottivi, nel rispetto dell’ART 30 Cost e del principio di unicità dello
status di glio.
La delega è stata esercitata con l’emendazione del D.Lgs dicembre 2013, che ha innovato molte
disposizioni del codice civile e delle leggi speciali.
La descritta equiparazione fra gli legittimi e naturali attiene allo status di glio, ossia alla
condizione giuridica nei rapporto con i genitori e i membri della famiglia.
Rimangono però diverse le regole che governano la costituzione del rapporto di liazione, che
variano a seconda che si tratti di gli nati nel matrimonio o al di fuori di esso.
Perché ad una persona possa attribuire lo status di glio nato nel matrimonio, occorre che sia
stato generato da persona fra loro coniugate e che sia stato concepito ad opera del marito della
madre.
In virtù del principio mater semper certa est, pater numquam, la legge ha disposto due
presunzioni:
• Presunzione di paternità (ART 231 cc): il marito è il padre del glio concepito o nato durante il
matrimonio, salva la possibilità di esperire l’azione di disconoscimento del glio
• Presunzione di concepimento in costanza di matrimonio (ART 232 cc): fondato sulla
normale durata della gestazione, a erma che il glio si ritiene concepito durante il matrimonio se
la nascita avvenga quando siano trascorsi non più di 300 giorni dallo scioglimento, dalla
cessazione degli e etti civili o dall’annullamento del matrimonio
Viceversa, la presunzione di paternità non opera se il glio sia nato una volta decorsi 300 giorni
dalla pronuncia della separazione giudiziale tra coniugi, dall’omologa della separazione
consensuale o dalla data in cui i coniugi sono stati autorizzati dal giudice a vivere separati in
pendenza di giudizio di separazione, di divorzio, di annullamento.
In tal caso, pur restando operante il vincolo coniugale, la cessazione legale della convivenza fa
venir meno il presupposto sostanziale della presunzione di concepimento da parte del marito
separato o della madre.
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Tuttavia, ciascuno dei coniugi o i loro eredi o il glio stesso possono provare che il concepimento
è comunque avvenuto durante il matrimonio.
Sempre in considerazione del periodo di gestazione è ovvio che il glio nato dopo le nozze a
prima che siano trascorsi 180 giorni dalla celebrazione è stato concepito prima delle nozze
stesse.
In tal caso, la legge stabiliva che il glio fosse reputato legittimo (sebbene oggi non si usi più detta
terminologia) e sia i coniugi sia il glio stesso potevano procedere con il disconoscimento della
paternità.
Il sistema della Novella ha rimosso la regola speci ca del concepimento ante nuptias,
attribuendo la paternità al marito della madre ogni qualvolta che il glio sia concepito o nato
durante il matrimonio, anche se non siano trascorsi 180 giorni dalla celebrazione. Anche in
quest’ultima ipotesi, il metodo di disconoscimento sarà quello operato in via generale.
Lo status di glio si prova con l’atto di nascita, iscritto nei registri di stato civile. Ai ni della
redazione dell’atto di nascita, l’U ciale di stato civile raccoglie le dichiarazioni di 1) uno dei
genitori + 2) un loro procuratore speciale + 3) medico + 4) qualunque persona che abbia assistito
al parto, accertando che la nascita sia e ettivamente avvenuta, con l’attestazione di nascita
rilasciata dalla struttura sanitaria.
La legge precisa che chi compie la dichiarazione deve rispettare l’eventuale volontà della madre di
non essere nominata -> parto anonimo
L’atto di nascita indica le generalità dei genitori e, se questi sono tra loro sposati, costituisce il
titolo dello stato di glio nato nel matrimonio.
Tuttavia, se la madre non consente di essere nominata, le presunzioni agli ARTT 231-232 cc non
possono operare, dunque il nato non acquisterà tale qualità giuridica, con la conseguenza che
non opererà la presunzione di paternità in capo al marito della madre.
Anche prima della Novella, la giurisprudenza ammetteva che la madre potesse dichiarare il
glio naturale sebbene lei fosse sposata (se, magari il glio era frutto di una relazione
adulterina), impedendo l’acquisizione di status di glio nato nel matrimonio e l’attribuzione della
paternità al marito della madre, che postula non solo solo il fatto della nascita, ma anche
l’attribuzione dell’atto di nascita del glio come nato nel matrimonio.
Si è ritenuto che tale comportamento fosse lecito, sempre che la dichiarazione della madre fosse
veritiera: peraltro, il glio può sempre reclamare lo status di glio.
In forza dell’ART 232 cc, lo status di glio nato fuori dal matrimonio è escluso se i genitori al
momento del concepimento erano separati e la madre fa constare che il glio è nato oltre i 300
giorni dall’inizio della vita separata tra i genitori.
La Novella detta delle speci che disposizioni che riguardano il reclamo dello stato di glio da
parte di chi sia nato nel matrimonio, ma sia stato iscritto nel registri dello stato civile come nato da
ignoti (ART 239 cc), ad esempio se la madre non ha voluto essere nominata nell’atto.
Lo stato di glio non potrà essere dimostrato, qualora eccezionalmente manchi di atto di nascita
(es. Perché i registri di stato civile sono ansati distrutti).
In tal caso di procede con il possesso di stato, per tale da intendersi “il possesso continui dello
stato di glio”, ART 236 cc prima della Novella, il possesso di stato operava solo nella liazione
legittimata oggi è esteso anche ai gli nati fuori del matrimonio.
Perché vi sia possesso di stato, devono concorrere due presupposti:
• Tractatus: la persona deve sempre essere stata trattata nei rapporti dal genitore come glio, e
come tale istruito educato mantenuto, …
• Fama: deve essere stato costantemente considerato come glio nei rapporti sociali della
famiglia
Nel previgente ART 237 cc vigeva anche l’esigenza del requisito del nomen, ossia il fatto che il
glio avesse dovuto portare il cognome del padre, che oggi però è stato eliminato.
In ne, ove manchino sia l’atto di nascita sia il possesso di stato, la prova dello stato di glio può
darsi con qualunque mezzo (ART 241 cc).
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AZIONE DI DISCONOSCIMENTO DELLA PATERNITÀ DEL FIGLIO NATO NEL MATRIMONIO. LE
AZIONI DI RECLAMO E DI CONTESTAZIONE DELLA PATERNITÀ
Per e etto della presunzione di paternità (ART 232 cc), il glio si considera glio del marito della
madre.
Quest’azione però non è assoluta e può venir meno mediante l’azione di disconoscimento della
paternità.
Secondo il testo originario del 1942, l’azione poteva essere proposta solo dal presunto padre.
La riforma del diritto di famiglia del 1975 aveva concesso la legittimazione ad esperire tale azione
anche alla madre e al glio che avesse raggiunto la maggiore età.
Nella Novella si interviene ulteriormente per la difesa del favor veritatis.
In primo luogo, l’azione di disconoscimento della paternità ora è sempre ammessa. Un tempo,
invece, questa poteva essere esperita solo in quattro casi:
• Nascita entro 180 giorni dalla celebrazione del matrimonio
• Mancanza di coabitazione tra i coniugi
• Impotenza del marito
• Adulterio della moglie od occultamento della gravidanza e della nascita del glio
In secondo luogo, la prova del fatto che il nato non è glio del marito della madre (presunto padre)
può essere data con ogni mezzo, se non sia su ciente escludere la paternità attraverso la sola
dichiarazione della madre.
Nel regime previgente, invece, le prove ematologiche e genetiche potevano essere fornite solo
quando si fosse previamente provato che la moglie avesse commesso adulterio o celato la
gravidanza -> la Corte Costituzionale lo dichiarò illegittimo nel 2006, in quanto era una limitazione
lesiva al diritto di difesa.
Quanto ai termini temporali di decadenza per la proposizione dell’azione, questi sono termini
mobili e variano a seconda di chi esperisca tale azione:
1. Il marito può proporre l’azione:
• Entro 1 anno dalla nascita, se si trovava nel luogo dove la nascita è avvenuta
• Se si trovava lontano:
- Dal giorno del suo ritorno
- Dal giorno in cui ne ha avuto notizia, se: 1) non ne ha avuto subito notizia al suo ritorno + 2)
ignorava la propria impotenza + 3) adulterio della moglie al tempo del concepimento
2. La madre può proporre l’azione:
• Entro 6 mesi dalla nascita
• Dal giorno in cui abbia avuto conoscenza dell’impotenza del marito
3. Il glio maggiorenne, la sua azione è imprescrittibile. Già dai 14 anni, egli può fare istanza al
giudice a nché nomini un curatore speciale / quando il glio ha meno di 14 anni, la nomina
del curatore può essere proposta dall’altro genitore o dal Pubblico Ministero
La Novella contempla uno speciale regime nei casi di incapacità del soggetto legittimato
all’azione; il termine è sospeso per chi si trovi in stato di interdizione o si trovi in uno stato di
infermità di mente
-> l’azione può essere proposta per conto del glio da un curatore speciale nominato su istanza
del pubblico ministero o del tutore o dell’altro genitore
-> per gli altri legittimati all’azione, l’azione può essere proposta dal tutore o da un curatore
speciale.
In caso di morte del soggetto legittimato prima che sia decorso il termine di decadenza, è
prevista una particolare disciplina di trasmissibilità dell’azione: in particolare, in caso di morte
del glio, sono ammessi ad esercitare l’azione in sua vece il coniuge o i discendenti nel termine di
1 anno dalla morte del glio, o dal raggiungimento della maggiore età del discendente che agisce
in giudizio.
Trattandosi di un azione relativa allo status, la sua e cacia sarà erga omnes; nel processo vi è
litisconsorzio necessario per entrambi i genitori del glio.
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La giurisprudenza ha ritenuto essenziale un bilanciamento fra favor veritatis e interesse del
minore, non costituendo il favor veritatis un valore di rilevanza costituzionale ad a ermarsi
comunque; la Corte di cassazione ha escluso di poter attribuire un valore indefettibilmente
eminente alla realtà biologica rispetto a quella legale.
Nel medesimo senso, la Corte Costituzionale ha a ermato che in tutti i casi di possibile
divergenza fra identità genetica ed identità legale, sia necessario contemperare gli interessi
sottesi all’accertamento della verità con le conseguenze che possono derivare sulla vita del
minore da tale accertamento.
In tema di liazione, sono previste altre due azioni di stato: azione di reclamo dello status di glio
e azione di contestazione dello stato di glio.
L’azione di reclamo dello stato di glio viene esperita in caso di: 1) supposizione di
parto (l’atto di nascita viene attribuito a una donna che non ha partorito) + 2) sostituzione di
neonato + 3) da chi sia nato nel matrimonio, ma sia stato iscritto nei registri di stato civile come
nato da ignoti + 4) per reclamare lo status di glio, conforme alla presunzione di paternità, se sia
stato riconosciuto da un altro sedicente genitore in contrasto con tale presunzione + 5) con itto di
presunzioni di paternità.
L’azione spetta al glio ed è imprescrittibile: essa consente all’attore di reclamare uno status
diverso da quello risultante all’atto di nascita.
L’azione di contestazione di stato di glio viene esperita per il fatto che un soggetto, in
virtù dell’atto di nascita o del possesso di stato, può risultare glio di determinati genitori senza
esserlo.
L’azione spetta a chiunque vi abbia interesse ed in primo luogo chi dall’atto di nascita appare
genitore del glio e può agire in giudizio per contestare lo status liationis.
L’azione è imprescrittibile e richiede il litisconsorzio necessario di entrambi i genitori e del
glio.
Anche per tale azione, possono essere impiegati tutti i mezzi di prova.
Lo status giuridico di glio nato fuori dal matrimonio non si costituisce come immediato e etto
dell’atto generativo, essendo necessario he il rapporto liale venga:
• Riconosciuto dal genitore
• Giudizialmente accertato
Il codice civile nel 1942 ammetteva il riconoscimento dei gli naturali a condizione che non si
trattasse di gli adulterini od incestuosi.
Tuttavia, il genitore poteva riconoscere il glio adulterino dopo la morte del coniuge, purché non vi
fossero gli legittimi o legittimati: in tal caso, occorreva un decreto dello Stato.
Il glio incestuoso poteva essere riconosciuto dai genitori qualora almeno uno fra essi fosse n
buona fede.
La riforma del 1975 aveva cancellato il divieto di riconoscimento dei gli adulterini,
mantenendo però fermo il divieto di riconoscere come glio naturale colui che avesse lo status di
glio legittimi di altri.
Per e etto della Novella, tale divieto persiste, ma è stato esteso a tutte le ipotesi in cui il
riconoscimento medesimo sia in contrasto con lo status di glio, anche nato fuori dal
matrimonio (purché riconosciuto o giudizialmente accertato). Si tratta di una conseguenza
dell’uni cazione dello status di glio: il riconoscimento potrebbe diventare ammissibile solo
quando lo status di glio sia stato prima eliminato attraverso un disconoscimento della paternità o
azione di contestazione / Oppure, nel caso di glio nato fuori dal matrimonio, attraverso un’azione
di impugnazione del riconoscimento.
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Per quanto riguarda i gli incestuosi, la riforma del 1975 aveva conservato il divieto del
riconoscimento, salvo per i genitori in buona fede ossia che ignorassero il vincolo di parentela o
a nità; in tale ipotesi, era stata introdotta un’autorizzazione giudiziale del riconoscimento.
Sul punto la L dicembre 2012 ha stabilito che i gli incestuosi possono essere riconosciuto, a
prescindere dal fatto che i genitori fossero in buona fede o in mala fede.
La relazione generativa diventa rilevante per il diritto per e etto del riconoscimento, che è un atto
solenne mediante uno od entrambi i genitori vengono a costituire lo status di glio.
Il riconoscimento può essere fatto nei modi previsti dall’ART 254 cc dalla madre e dal padre,
anche se già uniti in matrimonio con altra persona al tempo del concepimento; il riconoscimento
può avvenire tanto congiuntamente quanto separatamente.
La dichiarazione di riconoscere un glio come proprio deve essere e ettuata ad substantiam: 1)
all’atto di nascita + 2) dichiarazione davanti all’u ciale di stato civile + 3) testamento, che produce
i suoi e etti solo dalla morte del testatore, per no quando il testamento venga revocato.
Il riconoscimento è un actus legitimus, dunque non possono esservi posti termini o condizioni.
Può anche essere riconosciuto un glio premorto, in favore dei suoi discendenti.
Ai sensi dell’ART 250 cc, se la persona riconosciuta ha già compiuto i 14 anni, occorre il suo
assenso a nché il riconoscimento produca e etto.
Se uno dei genitori ha già e ettuato il riconoscimento, l’altro genitore se il glio non ha ancora
compiuto i 14 anni, deve tenere il consenso di colui che ha e ettuato il riconoscimento per
primo.
Qualora questo non dia il proprio consenso, la L dicembre 2012 ha stabilito che il genitore che
voglia riconoscere un glio possa ricorrere dal giudice, che ssa un termine per la noti ca del
ricorso all’altro genitore.
Se questo non si oppone entro 30 giorni dalla noti ca, il giudice decide con sentenza che
tiene luogo del consenso mancante.
In caso di opposizione, il giudice adito assume ogni opportuna informazione e dispone
l’audizione del glio minore che abbia compiuto i 12 anni o anche di età inferiore, se è capace di
discernimento ed adotta i provvedimenti provvisori ed urgenti funzionali ad instaurare la relazione.
Con la sentenza che tiene luogo del consenso mancante, il giudice assume i provvedimenti
opportuni in relazione all’a damento e al mantenimento del minore.
Rimane ferma la disposizione per cui se il riconoscimento è fatto da uno solo dei genitori, il
relativo atto non può contenere indicazioni riguardanti l’altro genitore e qualora siano state
fatte, sono senza e etto.
Tuttavia, viene ribadito il principio per cui il riconoscimento produce i suoi e etti relativamente al
genitore che lo ha fatto e ai suoi parenti.
Ovviamente, il riconoscimento produce i suoi e etti, poiché si presume che chi procede a un
riconoscimento dichiari un fatto e che quindi la persona riconosciuta sia glia di colui che la
riconosce.
Pertanto, un riconoscimento può essere impugnato in qualsiasi momento, qualora il
riconosciuto sostenga che non è stato procreato da colui che sostiene esserne il genitore.
L’impugnazione del riconoscimento per e etto di veridicità può essere intentata:
• Dall’autore del riconoscimento -> sia se abbia scoperto successivamente che il
riconoscimento non corrisponde a verità, sia che ne fosse già a conoscenza
• Da colui che è stato riconosciuto -> per ragioni morali o patrimoniali, in genere
• Da chiunque ne abbia interesse -> gli eredi dell’autore del riconoscimento per escludere il
riconosciuto dalla successione.
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Se colui che è stato riconosciuto è minorenne, il giudice può autorizzare l’impugnazione del
riconoscimento da parte del glio, su istanza del glio stesso se abbia compiuto 14 anni / su
istanza del pubblico ministero o di altro genitore, se non sia giunto al compimento del 14esimo
anno.
Il tribunale per i minorenni può promuovere d’u cio l’impugnazione del riconoscimento per difetto
di veridicità, nominando un curatore speciale per il minore, al ne di evitare che vengano
raggirate le norme sull’adozione, attraverso falsi riconoscimenti.
L’impugnazione per difetto di veridicità può essere accolta solo in quanto sia dia la prova che il
rapporto di liazione non sussiste, attraverso ogni mezzo di prova.
Il riconoscimento può anche essere impugnato se l’autore del riconoscimento vi è stato costretto
con 1) violenza o se lo ha compiuto mentre versava in 2) interdizione giudiziale. In questi casi,
l’azione deve essere accolta anche se il riconoscimento corrisponde a verità, in quanto l’autore
dell’atto non è stato libero di compierlo o non era capace di valutarne le conseguenze.
Non assumono rilevanza errore o violenza: infatti, il riconoscimento:
• O corrisponde a verità -> fermo l’acquisto dello status di glio riconosciuto
• O non corrisponde a verità -> impugnabile per difetto di veridicità
L’ART 30 Cost prevedeva che “la legge detta le norme e i limiti alla ricerca della paternità”,
o rendo copertura costituzionale di leggi che le promuovano.
Secondo questa logica, il codice civile del testo originario ammetteva senza limiti l’azione
giudiziale della maternità, ma quella della paternità era ammessa in alcuni casi tassativi.
La Riforma del 1975 aveva eliminato ogni di erenza, stabilendo che detta azione potesse essere
liberalmente esperita, tranne il caso per cui non è ammesso neppure il riconoscimento: quando si
tratti di persone che risultino glie di altri genitori.
L’ART 278 cc, come introdotto nella riforma del 1975, stabiliva che non potesse essere fatta
analisi di accertamento od ogni altra analisi di ricerca della paternità o della maternità nel caso di
liazione incestuosa, dove il riconoscimento era vietato se sussisteva la mala fede dei genitori.
La Corte Costituzionale aveva stabilito che questa norma fosse illegittima, in quanto lesiva e
discriminatoria in danno dei gli.
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La disciplina del riconoscimento dei gli nati da consanguinei è stata oggetto di grandi modi che
con la Novella.
L’ART 274 cc, introdotto nel 1975, prevedeva un giudizio preliminare in ordine all’ammissibilità
dell’azione, esercitata solo dal tribunale come esito di una valutazione sommaria e connotata da
particolare riservatezza, con la quale si accertassero speci che circostanze tali da giusti care la
detta azione -> ratio: prevenire la proposizione di azioni infondate, ai ni ricattatori o vessatori
della parte convenuta.
La Corte Costituzionale ha dichiarato detta norma illegittima nel 2006, quindi oggi il
procedimento può essere avviato senza ltro preventivo.
La prova della liazione può essere data con ogni mezzo, dunque anche in via indiretta o in virtù
di presunzioni.
Mentre, però, la prova della maternità è agevole (essendo su ciente mostrare l’identità di colui
che si pretende essere glio e di colui che fu partorito dalla domma che si assume esserne le
madre, la prova della paternità è più complessa.
La legge, peraltro, esclude che la prova della paternità possa essere data con la sola
dichiarazione della madre, che constati di aver avuto dei rapporti sessuali con il presunto padre
all’epoca del concepimento.
Tuttavia, l’evoluzione della scienza permette di attribuire la paternità ad un soggetto con un altro
grado di certezza, attraverso delle prove ematologiche.
Se il presunto genitore si ri uta di prestarsi ad indagini ematologiche, il giudice può tratte da detto
ri uto e da altre prove un’indicazione sulla fondatezza della domanda, non potendo essere il
presunto padre a prestarsi a dette indagini.
Come già accennato in apertura, l’azione per ottenere che sia dichiarata giudizialmente la
paternità o la maternità naturale può essere intentata da:
• Figlio
• Dal genitore che esercita la potestà genitoriale, nell’interesse del glio
• Dal tutore, previa autorizzazione del giudice
Se il glio ha già compiuto 14 anni deve prestare il suo consenso, a nché l’azione sia
promossa ed eseguita.
L’azione è imprescrittibile per il glio.
In caso di morte dell’interessato, l’azione può essere proseguita dai suoi discendenti, che
possono anche promuovere l’azione che il glio naturale non abbia intentato in vita, purché entro
2 anni dalla morte di lui.
L’azione deve essere proposta nei confronti del presunto genitore o nei confronti dei suoi
eredi. In mancanza di questi, il giudice provvede alla nomina di un curatore. Chiunque vi abbia
interesse può intervenire in giudizio per desistere alla domanda.
La sentenza dichiara la paternità o la maternità naturale e produce gli stessi e etti del
riconoscimento spontaneo.
Tuttavia, il giudice può anche dettare i provvedimenti che stima utili per garantire il mantenimento,
istruzione e l’educazione del glio, per la tutela degli interessi patrimoniali di lui.
Nella disciplina introdotta nel 1975, non potevano essere riconosciuti i gli nati dai genitori tra i
quali al tempo del concepimento esisteva un rapporto di parentela, anche soltanto naturale:
• In linea retta, all’in nito
• In linea collaterale, no al secondo grado
• Vincolo di a nità in linea retta: tale divieto veniva meno se il matrimonio da cui derivava l’a nità
fosse dichiarati nullo.
Il riconoscimento era consentito solo quando i genitori erano in buona fede al tempo del
concepimento, ossia che ignoravano l’esistenza del vincolo di parentela o di a nità; se uno dei
genitori era in buona fede, solo a lui era consentito il riconoscimento.
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In ogni caso, il riconoscimento doveva essere autorizzato dal giudice, avuto riguardo per
l’interesse del glio.
Ovviamente, suddetto limite sussisteva per:
• Riconoscimento da parte dei genitori naturali
• Accertamento giudiziale del rapporto di liazione
Inoltre, l’ART 278 cc proibiva le indagini sulla paternità o sulla maternità nei casi in cui 1) il
riconoscimento da parte dei genitori era vietato + 2) accertamento giudiziale della liazione
derivante da una relazione incestuosa.
La Corte Costituzionale ha sancito nel 2002 l’illegittimità dell’ART 278 cc, facendo venir meno
l’ostacolo della dichiarazione giudiziale della paternità o della maternità di gli di genitori
consapevoli dell’incesto. Essa, però, non si era pronunciata sulla legittimità dell’ART 251 cc.
La situazione che si era generata era anomala: era ammissibile l’accertamento giudiziale della
liazione naturale anche in caso di incesto, ma restava inibito l’atto di riconoscimento, per la
persistente vigenza del divieto ex ART 251 cc.
Sul punto la L dicembre 2012 ha stabilito una disciplina che prescinde la buona fede o la mala
fede dei genitori che hanno commesso l’incesto, il quale comunque rimane penalmente
sanzionato. La valutazione viene peraltro centrata sull’interesse del glio.
La disciplina vigente stabilisce infatti che il glio nato da un rapporto incestuoso può essere
riconosciuto, previa autorizzazione del giudice, avuto riguardo dell’interesse del glio, per evitare
che allo steso venga arrecato un pregiudizio.
La stessa autorizzazione si prevede per la dichiarazione giudiziale di paternità o di maternità di un
glio nato da consanguinei o a ni in linea retta.
Dunque, non sussistono più ipotesi in cui sia in assoluto inammissibile il riconoscimento di un
glio nato fuori dal matrimonio: la peculiarità con il glio nato da incesto risiede nel fatto che per il
riconoscimento o l’accertamento giudiziale dello status postulano una previa valutazione
giudiziale, che va condotta nella prospettiva dell’interesse del glio.
CONDIZIONE GIURIDICA DEI FIGLI NATI FUORI DAL MATRIMONIO. ESERCIZIO DELLE
FUNZIONI GENITORIALI, IL COGNOME DEL FIGLIO, IL SUO INSERIMENTO NELLA FAMIGLIA
DEL GENITORE
Fino alla Novella, lo status dei gli nati fuori dal matrimonio presentava ancora profonde
divergenze rispetto a quello dei gli legittimi.
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Anche dopo la Riforma del 1975 rimaneva la fondamentale di erenza, per cui mentre il glio
legittimo acquisiva uno status che gli garantiva una relazione giuridica con la coppia dei genitori
ed apparteneva ad una famiglia, il glio illegittimo assumeva lo status solo nei confronti di ciascun
genitore e anche qualora fosse riconosciuto da entrambi instaurava con essi due rapporti giuridici
distinti tra loro.
Ciò implicava delle rilevanti ricadute soprattutto in termini dell’esercizio della potestà genitoriale.
A questo riguardo, la Riforma del 1975 aveva introdotto l’ART 317-bis cc, per cui si disciplinava il
caso in cui uno solo o entrambi avessero riconosciuto il glio, distinguendo ulteriormente in
questa seconda ipotesi se essi fossero conviventi oppure no.
La Novella contempla invece un regime unitario dello status di glio, mantenendo tuttavia alcuni
aspetti peculiari alla disciplina della liazione al di fuori del matrimonio sotto alcuni aspetti.
Primo fra tutti è l’attribuzione del cognome al glio nato fuori dal matrimonio: se il
glio viene riconosciuti contemporaneamente da entrambi i genitori assume il cognome del padre,
altrimenti assume il cognome del genitore che lo ha riconosciuto per primo.
E il riconoscimento da parte del padre è posteriore a quello e ettuato dalla madre, il glio può
scegliere di assumere il cognome paterno aggiungendolo, anteponendolo o sostituendolo a quello
della madre; nel caso in cui il glio sia un minore, tale decisione è a data al giudice (è prevista
l’audizione del maggiore di anni 12).
La Corte Costituzionale nella sentenza del dicembre 2016 ha dichiarato l’incostituzionalità
dell’ART 262 cc, che non consentiva ai genitori anche non coniugati di trasmettere di comune
accordo solo il cognome materno.
Può accadere che il glio non venga riconosciuto da nessuno dei due genitori: in tal caso, il
nome e il cognome vengono attribuiti all’u ciale di stato civile e il successivo riconoscimento da
parte di uno od entrambi i genitori comporta l’assunzione del cognome di questi ultimi.
Ciò, però, può essere lesivo degli interessi della persona, qualora il riconoscimento venga
e ettuato quando il glio è ormai adulto: per questo motivo, la Corte Costituzionale ha dichiarato
illegittimi l’ART 262 cc nella parte in cui diceva che il glio naturale non potesse ottenere dal
giudice il diritto di mantenere il cognome che gli era stato attribuito in precedenza.
Oggi la Novella consente al glio di conservare il cognome che gli è stato attribuito alla nascita,
quando esso è divenuto sogno distintivo della sua personalità.
Inoltre, è necessario analizzare anche il riconoscimento del glio nato fuori dal matrimonio
dall’altro coniuge e l’inserimento nella famiglia del genitore.
Qualora il riconoscimento del glio minorenne sia fatto da persona sposata, occorrerà che il
giudice decide di a dare il minore al genitore e adotta ogni provvedimento volto alla tutela
dell’interesse morale e materiale del glio; egli può essere inserito nella famiglia del genitore, se vi
sia il consenso 1) del coniuge del genitore + 2) degli altri gli conviventi maggiori di anni 16 + 3)
l’altro genitore, se anch’egli ha e ettuato il riconoscimento + 4) autorizzazione del giudice, che
dovrà valutare l’interesse del minore.
In caso di riconoscimento da un genitore coniugato di un glio non riconosciuto dall’altro
genitore, l’U ciale di Stato civile deve informare il tribunale per i minorenni, che disponga
indagini volte a veri care l’autenticità del riconoscimento, per evitare che le norme sull’adozione
vengano raggirate.
Se una persona si sposa dopo che aveva già riconosciuto un glio, questi può essere inserito
nella casa coniugale se lui convive con il genitore o se l’altro coniuge ne conosceva l’esistenza o
concede il suo consenso. In ogni caso, è necessario il consenso anche dell’altro genitore, se
abbia già e ettuato il riconoscimento.
La Novella ha stabilito che in caso di disaccordo tra genitori o mancato consenso di uno, sarà
il giudice a decidere valutato l’interesse dei minori coinvolti.
Il progresso della scienza ha o erto nuovi rimedi all’infertilità e alla sterilità. Tuttavia, si pongono
gravi interrogativi di carattere morale e giuridico.
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Le pratiche di procreazione assistita sono state svolte per lungo tempo in un contesto di vuoto
normativo, sia 1) dell’intervento di procreazione assistita, nelle sua modalità e delle condizioni,
sia 2) per lo status di glio nato in conseguenza di un tale intervento.
Sotto quest’ultimo pro lo una questione particolarmente controversa si presentava nel caso in cui
l’uomo avesse prestato il consenso all’inseminazione arti ciare eterologa della moglie e in seguito
avesse proposto un’azione di disconoscimento del glio, allegando a fondamento di tale
domanda proprio quell’impotentia generandi del marito, che aveva indotto la coppia a ricorrere
alla procreazione arti ciale.
La Corte Costituzionale deduceva dunque l’illegittimità dell’ART 235 cc, in quanto riteneva
irrazionale e contrario ai valori costituzionali di tutela della famiglia e della persona il fatto che non
fosse impedito al marito di disconoscere il glio, dopo aver acconsentito all’inseminazione
arti ciale.
Per questo motivo la Corte Costituzionale ha dichiarato l’ART 235 cc illegittimo, in quanto scritto
in un’epoca in cui simili pratiche procreative non esistevano e non poteva essere applicata al caso
in questione.
Erano era evidenti le perplessità delle interpreti su questa questione, che furono risolte con la L
febbraio 2004, con cui si mette in primo piano la nalità di “assicurare i diritti a tutti i soggetti
coinvolti, compreso il concepito”, cui in questo caso viene conferita la qualità si soggetto. Nel
testo di legge si speci cava che il ricorso alla procreazione assistita era consentito come
strumento volto a favorire la soluzione di problemi derivanti da infertilità e sterilità, in assenza di
altri rimedi.
È espressamente vietata qualsiasi tecnica di surrogazione dei maternità, così come ricorso di
procreazione assistita di tipo eterologo.
Sulla base di questo divieto, si esclude la riconoscibilità del minore concepito mediante tecniche
di procreazione medicalmente assistita da parte di una donna legata in unione civile con quel che
lo aveva partorito, ma senza che vi sia alcun legame biologico con il minore.
La Corte Costituzionale ha dichiarato illegittimo il fatto che le coppie omosessuali femminili non
possano far ricorso a tecniche di ricreazione medicalmente assistita di tipo eterologo, qualora sia
diagnosticata una patologia che è causa di sterilità o infertilità assolute od irreversibili, in quanto
compressione della libertà di autodeterminarsi.
La Corte Europea dei diritti dell’uomo ha a ermato che era messo alle autorità italiane ri utare il
riconoscimento di un bambino nato all’estero attraverso una tecnica di surrogazione di maternità,
dichiarando legittimo l’intento di ria ermare l’esclusivo diritti dello Stato di riconoscere una
relazione genitori- gli solo in presenza di un legame biologico o di un’adozione regolare.
Successivamente, anche le Sezioni Unite della Corte di cassazione hanno a ermato che il
riconoscimento dell’e cacia di un provvedimento straniero con cui sia accertato il rapporto di
liazione derivante da maternità surrogata trova un ostacolo nella L febbraio 2004, in quanto
contrario all’ordine pubblico, posto a tutela dei valori fondamentali della dignità umana e
dell’istituto della adozione -> si potrebbe dar rilievo al rapporto genitoriale attraverso l’adozione.
La volontà di procedere con la procreazione assistita deve essere espressa dalla coppia sulla
base di un consenso informato del medico, per cui è previsto che l’intervento debba svolgersi
almeno 7 giorni dopo l’espressione del consenso.
Il consenso può essere revocato no al momento della fecondazione dell’ovulo.
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Ciò determina un ulteriore problema: avvenuta la fecondazione, si deve escludere che il
trasferimento dell’ovulo fecondato possa avvenire coattivamente, ledendo infatti il diritto
costituzionale di imposizione di trattamenti sanitari.
Per questo motivo, è importante concludere che l’uomo possa revocare il consenso no alla
fecondazione dell’ovulo e che la donna, in caso di revoca successiva ed ine cace da parte
dell’uomo, possa comunque accettare l’innesto.
Viceversa, la tardiva revoca del consenso da parte della donna pone un ostacolo de facto alla
prosecuzione del trattamento sanitario, pur contrario a quanto disposto dalla L febbraio 2004.
Nella L febbraio 2004 è stabilito che il glio assume lo status di glio nato nel matrimonio, ossia
glio riconosciuto: lo status di glio riconosciuto si acquista con la nascita e non in conseguenza
di un atto di riconoscimento da parte di entrambi i genitori.
Viene inibito inoltre qualsiasi ripensamento della coppia: infatti, la madre non può dichiarare la
volontà di non essere nominata nell’atto di nascita; quanto al marito, la legge si precipua di
prevenire dei comportamenti incoerenti, nell’ipotesi in cui egli voglia in seguito disconoscere la
paternità del glio.
Bisogna ricordare che le pratiche di procreazione medicalmente assistita eterologa erano sempre
vietate dalla legge, prima della pronuncia della Corte Costituzionale del 2004: il legislatore però ha
dovuto regolare la fattispecie in cui un tale intervento fosse comunque stato compiuto,
solitamente all’estero: nel caso in cui il partner di sesso maschile voglia invocare il
disconoscimento del glio dopo prestato il consenso all’inseminazione eterologa, sia
espressamente sia per fatti concludenti, non può: 1) e ettuare il disconoscimento di paternità + 2)
invocare il difetto di veridicità del riconoscimento.
Inoltre, il donatore del seme non acquisisce alcuna relazione giuridica parentale con il nato e non
può far valere nei suoi confronti alcun diritto, né essere titolare di obblighi.
La Corte Costituzionale limita l’accesso alla coppie sterili, non precludendola alle coppie fertili
che siano portatrici di malattie genetiche, esperendo un’analisi pre-impianto volta ad accertare
eventuali patologie genetiche dell’embrione.
In seguito, la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità del divieto di eseguire analisi pre-
impianto volte ad accertare la sussistenza di anomalie genetiche dell’embrione, che ora è
addirittura penalmente sanzionato.
La L dicembre 2012 e il D.Lgs dicembre 2013 disciplinano la liazione, centrata ora sul principio
dell’unicità dello status di glio, sopprimendo la distinzione fra glio legittimo e glio naturale e
sostituendo con il termine responsabilità genitoriale la patria potestà.
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L’innovazione enfatizza una modi ca sul piano della disciplina incentrata sulla nuova formazione
del Titolo IX del Libro I, articolato in due capi: “Diritti e doveri del glio” e il secondo Esercizio
della responsabilità genitoriale a seguito di crisi di coppia, con una tendenza all’uni cazione della
disciplina, essendo dettato un regime unico nei casi di dissoluzione della coppia coniugata e di
cessazione della convivenza fuori dal matrimonio.
La potestà genitoriale è un rapporto che stabilisce diritti, poteri e gli obblighi dei genitori, di un
tutore o di un altro rappresentante legale nei confronti della persona e dei beni del minore.
A loro volta, i gli devono rispettare i genitori e devono contribuire al mantenimento della
famiglia in proporzione “alle loro sostanze e al proprio reddito”.
Il glio non può abbandonare la casa no alla maggiore età o no all’emancipazione; qualora si
allontani, i genitori possono richiamarlo, eventualmente ricorrendo al giudice tutelare.
L’ART 316 cc dispone che entrambi i genitori sono titolari della responsabilità genitoriale, che
esercitano di comune accordo.
Essi devono stabilire concordemente la residenza della prole.
In caso di contrasti, purché si tratti di questioni rilevanti -> il genitore può ricorrere al giudice
tutelare che suggerisce le determinazioni più utili per il minore, sentiti 1) genitori + 2) glio.
Se il contrasto permane -> il giudice attribuisce il potere decisionale a quello dei genitori che è più
idoneo a curare l’interesse del glio.
Per l’esercizio della responsabilità genitoriale, deve essersi instaurato un rapporto di liazione
giuridicamente rilevante:
• Se uno solo dei genitori ha riconosciuto il glio -> a lui spetta in via esclusiva la
responsabilità genitoriale
• Se il glio è stato riconosciuto da entrambi i genitori -> la responsabilità genitoriale dovrà
essere esercitata di comune accordo
Se uno dei due genitori è lontano, incapace od impedito, la responsabilità genitoriale è
esercitata solo dall’altro genitore.
In ogni caso, il genitore che non esercita la responsabilità vigila sull’istruzione, sull’educazione e
sulle condizioni di vita del glio.
Il concorso dei rispettivi oneri dei genitori (= i genitori devono adempiere agli obblighi nei
confronti dei gli) “in proporzione delle rispettive sostanze” e ciascuno secondo la propria
capacità di lavoro personale o casalingo.
Se i genitori non hanno su cienti mezzi, sono tenuti gli ascendenti: gli ascendenti non si
sostituiscono alla gura del genitore, ma dovranno fornire al genitore i mezzi perché questi
riescano a provvedere ai bisogni dei gli.
Qualora uno dei genitori non contribuisca adeguatamente al soddisfacimento dei bisogni
familiari, il tribunale può imporre che una quota dei redditi dell’inadempiente sia versata
direttamente all’altro coniuge o a chi provvede il mantenimento dei gli.
Se sorge un con itto di interessi patrimoniali fra i soggetti ad una comune potestà genitoriale
(es. per divisione di un cespite ereditario fra i gli) o tra essi e i genitori (es. i genitori intendono
vendere un cespite di comproprietà dei genitori e dei gli), il giudice tutelare nomina ai gli un
curatore speciale.
Se il con itto sorge fra i gli e uno solo dei genitori -> l’altro genitore ha la rappresentanza dei
gli (norma discutibile, perché presuppone che in caso di con itto il genitore rappresentante sia
imparziale).
Nei casi in cui i genitori non possono o non vogliono compiere atti dell’interesse del glio di
straordinaria amministrazione il giudice può nominare al glio un curatore speciale, su istanza di
1) glio + 2) pubblico ministero + 3) uno dei parenti che vi abbia interesse.
Gli atti eventualmente compiuti senza l’osservanza delle norme sono annullabili, su istanza di
1) glio, 2) genitori, 3) eredi 4) aventi causa.
I genitori non possono in alcun caso acquistare beni o diritti del minore soggetti alla loro
responsabilità genitoriale, pena annullabilità dell’atto.
Ai genitori spetta l’usufrutto legale sui beni del minore; l’usufrutto legale:
• Non può essere alienato
• Non può essere costituito in garanzia
• Non può essere sottoposto ad azione esecutiva da parte dei creditori dei genitori
I frutti dei beni del minore devono essere destinati dai genitori al mantenimento della famiglia e
all’istruzione e all’educazione dei gli.
Per il genitore che sia stato dichiarato decaduto vi può essere reintegrazione nella
responsabilità genitoriale, quando siano cessate le ragioni che hanno portato alla decadenza.
Quando il patrimonio del minore è mal amministrato, il tribunale può stabilire le condizioni a cui
i genitori devono attenersi nell’amministrazione:
• Rimuovere l’amministrazione stessa, sostituendoli con un curatore
• Privarli dell’usufrutto legale, del tutto o in parte
L’ART 316-bis cc, introdotto nel D.Lgs dicembre 2013, stabilisce che il minore ha diritto
all’ascolto nei confronti del giudice, nell’ambito di tutti i procedimenti nei quali devono essere
adottati provvedimenti che lo riguardano.
L’ascolto dev’essere disposto nei riguardi del minore che: 1) abbia compiuto 12 anni + 2) se di età
inferiore, sia dotato di discernimento -> se ne può prescindere con provvedimento motivato, se
sia in contrasto con l’interesse del minore o super uo.
L’ascolto deve avvenire con particolari cautele e con l’ausilio di esperti:
• Genitori
• Difensori delle parti
• Pubblico ministero
La giurisprudenza sottolinea stabilmente che occorre dar rilievo al criterio della residenza abituale
del minore al momento della domanda, intendendone come tale il luogo del concreto e
continuativo svolgimento della vita personale.
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TUTELA DEI MINORI
Se entrambi i genitori sono morti o per altre cause non possono esercitare la responsabilità
genitoriale, si apre la tutela.
Il giudice tutelare nomina d’u cio quale tutore la persona designata dal genitore o (la
designazione può anche essere fatta per testamento), in mancanza di indicazione o per gravi
motivi che si oppongano alla designazione, egli può scegliere il tutore fra gli ascendenti o parenti
prossimi o a ni del minore.
Prima della nomina del tutore, il giudice deve procedere con l’audizione del minore.
Il tutore deve procedere all’inventario dei beni del minore, provvedere alla sua educazione
istruzione e mantenimento e deve investirne i capitali.
Il tutore non può compiere atti di straordinaria amministrazione e di alienazione senza
l’autorizzazione del tribunale.
Quando cessa delle sue funzioni, il tutore deve rendere conto.
Le azioni del minore contro il tutore e le azioni del tutore contro il minore si prescrivono in 5
anni decorrenti dalla cessazione della tutela.
ADOZIONE
Il codice del 1942 prevedeva una sola gura di adozione, diretta a consentire ad una persona che
avesse superato i 50 anni priva di gli gli assumere come glio soggetto di almeno 18 anni più
giovane -> interesse del genitore adottivo.
Successivamente, si è avvertita l’esigenza di utilizzare l’edizione per assicurare una famiglia ai
minori privi di genitori o che non godano di un’adeguata situazione familiare -> interesse del
minore.
L’istituto ora è connotato come lo strumento di realizzazione del diritto del minore ad avere una
famiglia, intesa come luogo dove conseguire ogni opportuna cura ed educazione.
La disciplina dell’adozione dei minori inizialmente era collocata come una novella del codice
civile; oggi si trova in una legge speciale fuori dal codice L maggio 1983, modi cata dalla
L marzo 2001.
Nel Codice civile è stata conservata la gura di adozione tradizionale, sebbene sia scarsamente
utilizzata.
La L maggio 1983 a erma che il minore ha diritto di crescere ed essere educato nell’ambito della
propria famiglia.
Pertanto, l’adozione rappresenta un rimedio eccezionale nella situazioni d’emergenza, nella
considerazione che le condizioni di indigenza della famiglia non possono essere ostacolo nella
realizzazione dei diritti del minore, prevedendo anche che lo Stato e gli enti locali debbano
sostenere i nuclei familiari a rischio, al ne di prevenire situazioni di abbandono.
La riforma della liazione ha ra orzato il descritto principio, con l’introduzione nella legge
sull’adozione dell’ART 79-bis, per cui il giudice è tenuto a segnalare ai Comuni le situazioni di
indigenza dei nuclei familiari, a nché sia o erto il sostegno occorrente per consentire che i gli
minori siano educati nell’ambito della famiglia biologica.
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La L ottobre 2015 ha poi riconosciuto il diritto della continuità a ettiva, introducendo in
quest’ottica una più intensa attenzione al rapporto consolidato fra il minore e la famiglia
a dataria.
L’adozione del minore è consentita a favore dei minori dichiarati in stato di adottabilità, ossia per
i minori che si trovino in stato di abbandono: ciò accade quando il minore sia privo di assistenza
morale e materiale da parte dei genitori o dei parenti tenuti a provvedervi.
La situazione di abbandono sussiste anche se il bambino sia adeguatamente curato, ma ciò
avvenga ad opera di terzi e non dei genitori biologici.
-> es. istituti, parenti non tenuti all’assistenza, …
Non si considera sussistente lo stato di abbandono in presenza di una causa di forza maggiore di
natura transitoria, che impedisca momentaneamente ai genitori di svolgere la normale funzione
educativa.
Perché vi sia abbandono, non occorre la colpa dei genitori.
La competenza a dichiarare lo stato di adottabilità spetta al tribunale dei minorenni che può
procedere 1) d’u cio + 2) ricevuta la segnalazione dello stato di abbandono in cui versi un
minore. In questa fase, è assicurato il diritto di difesa dei genitori.
La dichiarazione di adottabilità può essere pronunciata con una sentenza, quando:
• Genitori e parenti convocati al tribunale non si presentino al tribunale senza giusti cato motivo
• L’audizione dei genitori e dei parenti abbia dimostrato il persistere della situazione di abbandono
• Le prescrizioni eventualmente impartite dai tribunali ai genitori nel corso del procedimento siano
rimaste inadempiute per responsabilità del genitore / la capacità genitoriale dei genitori non sia
recuperabile in tempo ragionevole.
La L ottobre 2015 ha previsto una nuova ipotesi di adottabilità a favore della famiglia a dataria, in
caso di prolungato periodo di a damento del minore.
Contro la sentenza, può essere mossa impugnazione, che può svolgersi per più gradi del giudizio.
L’adozione è consentita, anche in numero plurimo e con atti successivi, solo ai coniugi uniti in
matrimonio da almeno 3 anni, non separati, idonei e capaci di educare, istruire e mantenere
il minore che intendano adottare.
In Italia, dunque non è ammessa la adozione per persona singola né per i conviventi more uxorio,
non separati neppure di fatto.
È ammesso che i genitori o siano sposati da almeno 3 anni o abbiano stabilmente convissuto per
almeno 3 anni, prima di sposarsi.
Nel caso in cui i coniugi si separino durante il procedimento, è stabilito che l’adozione venga
disposta a favore di uno di essi o di entrambi nell’esclusivo interesse del minore.
Le Sezioni Unite della Corte di cassazione hanno stabilito che nel nostro ordinamento si deve
riconoscere anche una sentenza di adozione straniera, che attribuisca ad una coppia
omosessuale lo status genitoriale, purché sia esclusa la preesistenza di un accordo di
surrogazione di maternità.
L’età di entrambi gli adottanti deve superare di almeno 18 anni (non più di 45) quella
dell’adottando.
La Corte costituzionale aveva considerato i limiti d’età così rigorosi come illegittimi, ammettendo
delle deroghe, che infatti sono previste dalla L marzo 2001, per cui l’età dell’adottante può
superare di 10 anni quella dell’adottando:
• Nel caso in cui la mancata adozione potrebbe recare un grave pregiudizio al minore.
• Il limite di età è superato da uno solo degli aspiranti adottanti
• Gli adottanti abbiano almeno un glio minore
• L’adozione riguardi un fratello o una sorella di un minore già adottato dalla stessa coppia
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Dichiarato in stato di adottabilità, il minore viene collocato in a damento pre-adottivo.
Il provvedimento può essere emanato previa audizione del minore, se questo abbia compiuto 12
anni, o anche quello di età inferiore se dotato di discernimento.
Se il minore è maggiore di 14 anni, deve prestare il proprio consenso alla coppia prescelta.
Non può essere disposto l’a damento pre-adottivo di uno solo di più fratelli, se non per gravi
ragioni.
L’a damento pre-adottivo instaura una sorta di adozione provvisoria, che deve durare almeno 1
anno.
La L ottobre 2015 ha stabilito che qualora la famiglia a dataria chieda di adottare il minore, i
tribunale dei minorenni dovrà considerare i legami a ettivi ed il rapporto consolidato fra minore e
la famiglia a ttuaria, nel decidere sull’adozione.
Anche ove il minore torni dalla sua famiglia d’origine o venga a dato ad un’altra famiglia, è in
ogni caso tutelata la continuità delle relazioni socio-a ettive consolidatesi durante il periodo di
a damento.
In caso di esito favorevole della prova, dopo aver sentito 1) tutti gli interessati + 2) minore, il
tribunale pronuncia la sentenza di adozione; in caso di esito negativo, dispone di non far luogo
all’adozione con una sentenza -> in ogni caso, la sentenza è impugnabile.
Con la sentenza di adozione, il minore acquista lo status di glio nato nel matrimonio dagli
adottanti, dei quali assume e trasmette il cognome, mentre cessa ogni rapporto con la famiglia di
origine, salvi i divieti matrimoniali (per evitare l’incesto).
La sentenza di adozione va annotata nei registri degli atti di nascita e la giurisprudenza ha
ritenuto che possa essere annotata anche la sentenza di adozione pronunciata all’estero.
La L marzo 2001 ha regolato il diritto dell’adottato di essere edotto della propri\a condizione:
infatti, i genitori adottivi devono fornire tale informazione al glio, provvedendovi nei modi e nei
termini che essi ritengono più opportuni.
È assicurata la riservatezza nei confronti di terzi, poiché le attestazioni dello stato civile non
devono far riferimento alla vicenda adottiva e i pubblici u ciali possono rilasciare notizie e
documenti a riguardo previa autorizzazione dell’autorità giudiziaria.
Anche le informazioni concernenti l’identità dei genitori biologici possono essere forniti ai
genitori adottivi solamente previa autorizzazione del tribunale per i minorenni e per gravi motivi.
-> es. per ni sanitari: accertamento di malattie ereditarie.
L’adottato può accedere alle informazioni relative alla sua origine e all’identità dei suoi genitori
solamente dopo il compimento di:
• 25 anni
• 18 anni, se sussistano motivi attinenti alla salute psico- sica dell’interessato
Peraltro, il tribunale prima di concedere dette notizie deve valutare che il loro rilascio non rechi
turbamento psico- sico del richiedente.
L’autorizzazione non è richiesta per l’adottato maggiorenne quando entrambi i genitori
biologici sono deceduti o ritenuti irreperibili.
Nel caso di parto anonimo, non era consentito in assoluto l’accesso alle informazioni inerenti
all’identità dei genitori; ovviamente, il tema è arduo, poiché è necessario bilanciare:
- Diritto alla riservatezza della madre
- Tutela al diritto dell’identità personale del glio
La Corte Costituzionale nel 2013 ha dichiarato illegittimo il fatto che il giudice non potesse
interpellare la madre su richiesta del glio, per un’eventuale revoca di tale dichiarazione.
La Corte di Cassazione ha poi stabilito che il giudice su richiesta del glio può interpellare la
madre che nell’atto di nascita non volesse essere nominata, adottando le modalità idonee alla
tutela della riservatezza e della dignità della donna -> preminenza della tutela della riservatezza
della madre, per cui il glio trova un ostacolo insormontabile nel caso in cui la madre dinieghi di
svelare la propria identità.
La giurisprudenza ha anche a ermato che il fatto che i documenti sanitari relativi al parto della
madre che non avesse voluto essere nominata all’atto di nascita fossero accessibili solo dopo 100
anni non è operativo alla morte della madre -> dunque, con la morte della madre il glio potrà
conoscere le proprie origini.
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Talvolta, pur se il minore non sia abbandonato o se l’adozione piena è irrealizzabile vi sono dei
casi di adozione nei casi particolari:
1. Minore orfano -> può essere adottato 1) dai parenti no al sesto grado + 2) persona con cui
abbia avuto un rapporto stabile e duraturo già prima della morte dei genitori anche se non
legati da parentela, con coniugi non separati o anche persona singola.
2. Minore glio del coniuge adottante -> il minore sia già glio di una persona e questa sia
coniugata con persona diversa dall’altro genitore
3. Minore orfano di padre e di madre a etto di handicap -> è persona handicappata colui che
presenta una menomazione sica, psichica o sensoriale, stabilizzata o progressiva, che è
causa di di coltà di apprendimento, di relazione, o di integrazione lavorativa e tale da
determinare un processo di svantaggio sociale o di emarginazione.
4. Minore per cui risulti impossibile l’a damento pre-adottivo
La Cassazione ha a rontato il caso di una donna che voleva adottare la glia della propria partner
(concepita con fecondazione assistita): la Cassazione ha autorizzato l’adozione, perché era
nell’interesse della minore.
È stata anche ritenuta ammissibile l’adozione mite, per tale intendendosi nel caso di semi-
abbandono permanente (= quando i genitori biologici non siano in grado di adempiere agli
obblighi genitoriali, ma mantengano comunque una relazione con il minore). In tal caso, infatti,
non è possibile né l’a damento pre-adottivo, né dichiarare lo stato di abbandono, ma è
comunque possibile addivenire all’adozione.
La L marzo 1983 stabilisce che nei casi particolari, l’adottato non acquista lo stato di glio nei
confronti della famiglia adottiva, ma gli spettano solo i diritti propri del rapporto di liazione (=
diritto al mantenimento, all’educazione e all’istruzione).
Tuttavia, la riforma della liazione ha poi modi cato l’ART 74 cc, stabilendo l’a ermazione del
rapporto di parentela anche per gli adottati, eccettuando solo il caso di adozione di
maggiorenne.
Gli interpreti dibattono se la relazione di parentela si instauri anche nel caso di adozione nei casi
particolari.
Nell’adozione nei casi particolari, non cessano i rapporti con la famiglia d’origine, anche se
comunque è necessario tenere conto dei nuovi rapporti con l’adottante.
L’a damento consiste in un rimedio a carattere temporaneo alla situazione in cui il minore si
venga a trovare privo di un ambiente familiare idoneo ad assicurargli il mantenimento,
l’educazione, l’istruzione e le relazioni a ettive di cui ha bisogno.
In questo caso, non vi è abbandono, che è invece una situazione de nitive ed irrimediabile.
La L marzo 2001 ha dato ampio spazio a questi interventi, che non determinano la de nitiva
interazione del rapporto fra minore e genitori, ma possano ovviare alcune situazioni transitorie
di di coltà, in vista di un futuro ed auspicato reinserimento nella famiglia d’origine.
È stata delineata una nuova ipotesi di a damento di minori in materia di tutela degli orfani di
crimini domestici: se il minore rimane privo di un ambiente familiare idoneo a causa della morte
del genitore, cagionata volontariamente dal partner di lui, il tribunale provvede privilegiando la
continuità delle relazioni a ettive consolidatesi fra il minore stesso e i parenti no al terzo grado.
Il minore che si trovi nella situazione descritta viene a dato ad una famiglia preferibilmente con
gli minori o anche ad una persona singola.
Ove ciò non sia possibile, il minore può anche essere inserito in comunità di tipo familiare o in
un istituto di assistenza, con la precisazione che i minori di età inferiore a 6 anni possono essere
inseriti solo in comunità di tipo familiare.
La procedura che conduce all’a damento varia a seconda che i genitori o il tutore abbiano
prestato o meno il consenso all’a damento:
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• Se hanno prestato consenso -> l’a damento è disposto dal servizio sociale locale, dopo aver
sentito il minore (sempre se maggiore di 12 anni e se infradodicenne considerando se sia dotato
di discernimento) e viene reso esecutivo dal giudice tutelare
• Se non hanno prestato consenso -> è disposto dal tribunale per i minorenni
Il provvedimento di a damento deve essere motivato e deve precisare le modalità di esercizio
dei poteri attribuiti all’a datario e dei rapporti con il minore a dato con i propri genitori e con gli
altri componenti della famiglia d’origine.
Inoltre, occorre indicare il servizio responsabile del programma di assistenza, che deve
presentare relazioni periodiche sull’andamento del programma stesso.
Il provvedimento deve indicare la durata dell’a damento, non superiore a 2 anni e prorogabile
dal tribunale per i minorenni.
L’a damento cessa con il provvedimento della stessa autorità che lo ha disposto, quando:
• Sia venuta meno la sistemazione di temporanea di coltà della famiglia
• La prosecuzione dell’a damento possa recare pregiudizio al minore
L’a damento ha natura temporanea e tende al reinserimento del minore alla sua famiglia di
appartenenza: se sopravvenga una situazione di abbandono, si farà luogo alla procedura di
adottabilità.
L’adozione tradizionale è stata conservata solo nei confronti di persona maggiorenne ed è volta
a dare una discendenza a chi non ha gli.
L’ART 291 cc consentiva, nel testo originario, solo a chi non avesse ascendenti legittimi o
legittimari, ma questa rigida limitazione è stata erosa dalla Corte Costituzionale, che ha dichiarato
illegittima la norma nella parte in cui non consentiva l’edizione di un maggiorenne da parte di chi
avesse gli legittimi o legittimarti maggiorenni e consenzienti all’adozione.
Ciò apriva inoltre un problema relativo ad una di erenza di trattamento rispetto a coloro che
avevano gli naturali, che poteva adottare maggiorenni anche senza il consenso di costoro.
Così, la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità di questa disposizione, che prevedeva che
l’adozione non potesse essere pronunciata in presenza di gli naturali dell’adottante minorenni o,
se maggiorenni, senza il loro consenso
L’uni cazione dello status di glio fu realizzata con il D.Lgs dicembre 2013, stabilendo il
superamento della distinzione fra gli naturali e gli legittimi.
L’esigenza del consenso dei gli dell’adottante era posta per evitare che l’adozione divenisse un
mezzo per eludere le norme in tema di successione.
Può adottare:
• Una persona sola -> se coniugata e non legalmente separata, deve ottenere il consenso del
coniuge; molto spesso accade che l’adottato sia proprio il glio del partner
• Una coppia -> la stessa persona non può può essere adottata da più soggetti che non siano tra
loro coniugati.
L’adottante deve aver compiuto i 35 anni; tuttavia, non è immaginabile che egli abbia un’età
inferiore a 36, essendo necessaria una di erenza fra adottante ed adottando di almeno 18 anni.
Non esiste invece alcun limite massimo d’età né per adottare, né per essere adottato -> es. è
legittima l’adozione di un 60enne da parte di un 80enne.
Per avendo per oggetto una dazione di tipo patrimoniale, l’obbligo degli alimenti presuppone lo
stato di bisogno dell’alimentando.
Il criterio di solidarietà a cui la legge si ispira esclude che l’obbligo alimentare possa venire meno,
anche se lo stato di bisogno dipenda da colpa dell’alimentando, che abbia dissipato i suoi beni.
Peraltro, il diritto fagli alimenti è condizionato dall’obbligo del lavoro e dunque dalla prova di
impossibilità dell’alimentando di provvedere al proprio mantenimento.
Gli alimenti non hanno una durata prestabilito e possono cessare, se 1) cessa lo stato di
bisogno, 2) mutano le condizioni economiche dell’alimentando.
Dato che la solidarietà non deve costituire un incentivo ad una condotta disordinata e riprovevole,
anche tale condotta può in uire sulla riduzione della prestazione dovuta.
Dunque, la sentenza che determina gli alimenti nché non passa in giudicato non osta alla
modi cazione, poiché il giudicato opera rebus sic stantibus.
In base a dette nalità, si giusti ca anche il principio che regola la decorrenza dell’obbligazione
alimentare, che opera solo per il futuro: gli alimenti sono dovuti dal giorno della domanda
giudiziale o della costituzione in mora dell’obbligato.
L’obbligato ha la facoltà:
• Pagare un assegno
• Accogliere e mantenere in casa l’alimentando
La facoltà di scelta non è assoluta, poiché il giudice potrebbe anche stabilire diversamente.
La L 76/2016 ha esteso detta disciplina anche alle unioni civili fra persone dello stesso sesso,
introducendo un obbligo alimentare speciale in caso di cessazione della convivenza.
Vi è una gerarchia fra gli obbligati agli alimenti, in base all’intensità del vincolo che li lega
all’alimentando. L’alimentando deve seguire quest’ordine, oppure dimostrare che si è rivolto
all’obbligato ulteriore perché quello precedente non si trova nelle condizioni economiche tali da
soddisfare l’obbligo stesso.
Nel caso di concorso dei coobbligati di pari grado, ciascuno è tenuto in proporzione alle proprie
condizioni economiche.
Bisogna anche rilevare che il credito degli alimenti è indilazionabile: ciò signi ca che il giudice
può 1) porre l’obbligazione temporaneamente a carico di uno solo degli obbligati o 2) ssare un
assegno provvisorio, in attesa di stabilire il modo o la misura degli alimenti.
L’ordine è indicato nell’ART 433 cc; a proposito, è bene ricordare che l’obbligo degli alimenti fra
coniugi è diverso da quello di mantenimento e bisogna rilevare che tra fratelli e sorelle gli alimenti
sono dovuti nella misura dello stretto necessario.
Per quanto riguarda l’adozione, bisogna ricordare che l’adottante deve gli alimenti al glio
adottivo con precedenza sui genitori di lui.
La mancata prestazione degli alimenti costituisce una causa di revoca della donazione, che la
persona che ora si trova in stato di bisogno abbia precedentemente fatto a quella che ora è
obbligata agli alimenti nei suoi confronti ed è inadempiente.
La L dicembre 2012 stabilisce che il glio non è tenuto agli alimenti al genitore che sia stato
dichiarato decaduto dalla responsabilità genitoriale.
Nel caso della obbligazione volontaria agli alimenti, questa può vedere coinvolti anche soggetti
che siano diversi rispetto a quelli stabiliti dalla legge.
L’obbligazione volontaria degli alimenti non si distingue dagli altri rapporto obbligatori, se non per
il fatto che la misura della prestazione non è determinata: infatti, le parte indicano genericamente
il termine alimenti, senza indicare la misura.
Salva diversa volontà delle parti, la misura degli alimenti viene determinata sulla base del principio
di proporzionalità al bisogno dell’alimentando e alle condizioni economiche dell’alimentare.
La L maggio 2016 ha introdotto la regolamentazione giuridica di: 1) unioni civili tra persone dello
stesso sesso + 2) convivenze more uxorio.
La regolamentazione delle convivenze more uxorio è molto organica, tenendo conto che nel corso
del tempo questo istituto era già di uso ed è stato oggetto di molti interventi normativi e
giurisprudenziali, seppur in modo disordinato.
La regolamentazione giuridica delle coppie omosessuali era già presente negli altri Paesi ed era
sollecitata dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo e dalla Corte Costituzionale.
Nell’impianto di legge, rimane nitida la non riconducibilità delle unioni omosessuali e delle
convivenze more uxorio alla fattispecie del matrimonio, come statuito dalla Corte Costituzionale.
La Corte Europea dei diritti dell’uomo non imponeva l’assoggettamento dell’unione omosessuale
ad un regime identico a quello matrimoniale, ma imponeva la creazione di un matrimonio
egualitario, ossia attraverso istituti ah hoc.
La peculiarità dell’unione civile e la sua alterata rispetto all’istituto del matrimonio emergono già
dal fatto che la legge identi ca le unioni civili come formazione sociale, e per questo tutelata
dall’ART 2 Cost, restando l’ART 29 Cost riferibile esclusivamente al matrimonio.
Tuttavia, la disciplina delle unioni civili è largamente mutuata dalla disciplina del matrimonio:
- Contiene disposizioni che riproducono quelle riguardanti il matrimonio
- Vengono equiparati matrimonio ed unione civile
- Fa rinvio a speci che norme riguardanti il matrimonio
La legge non contiene una de nizione di unione civile, ma ne regola le modalità di instaurazione e
gli e etti.
Essa si costituisce mediante una dichiarazione davanti all’u ciale di stato civile alla presenza
di due testimoni, che viene registrata nell’archivio dello stato civile.
A di erenza del matrimonio:
• Non è necessaria la pubblicazione
• Non è precisato quale sia il contenuto delle dichiarazioni dei partner
• Non è precisato quale sia la dichiarazione dell’u ciale di stato civile.
La costituzione dell’unione è accertata mediante un documento contenente 1) i dati anagra ci
delle parti e dei testimoni + 2) regime patrimoniale scelto + 3) residenza.
Si applicano le disposizioni del codice civile in tema di invalidità del matrimonio per:
• Incapacità naturale
• Errore
• Violenza
• Metus
• Simulazione
• Responsabilità di colui che ha causato l’invalidità o ne fosse a conoscenza, verso l’altra parte in
buona fede
• Matrimonio putativo
Il regime dei termini per proporre l’impugnazione e quello della sanatoria ricalca quello del
matrimonio -> 1 anno di coabitazione
Una regola particolare è disposta per il cognome: le parti scelgono quale dei due cognomi debba
divenire cognome d’uso, ossia il cognome comune che però non comporta modi cazione
anagra ca del cognome originario, al pari di quanto avviene per la moglie che aggiunge al proprio
cognome quello del marito (bisogna ricordare che nel matrimonio la moglie di regola aggiunge il
cognome del marito al proprio.
Anche gli e etti di carattere personali sono peculiari alla disciplina del matrimonio, ma non
integralmente.
• Regime paritario
• Obbligo di coabitazione
• Obbligo di assistenza morale e materiale -> NO obbligo di fedeltà
• I partner devono concordare fra loro l’indirizzo della vita comune e la residenza -> ma NO
intervento giudiziale in caso di disaccordo
Secondo gli interpreti, una grande di erenze rispetto al matrimonio è che con l’unione civile non
vengono a crearsi i vincoli di parentela ed a nità di una delle due parti dell’Unione civile con i
parenti dell’altra parte -> da ciò deriverebbero delle di coltà a livello sistematico: basti pensare
alle norme che impongono limitazioni o divieti al compimento di determinato atti, in forza
dell’esistenza di un vincolo di a nità o parentela.
Inoltre, è necessario ricordare che è stabilito dalla legge che le disposizioni di qualsiasi atto
normativo che fanno riferimento al termine coniuge sei applicano anche alle parti di un’unione
civile -> detta equiparazione non si applica alle norme del codice civile non espressamente
richiamate nella L 76/2016, ma detta equiparazione sussiste per qualsiasi fonte normativa diversa
dal codice civile -> le disposizioni civilistiche in tema di matrimonio si applicano esclusivamente
se ciò sia espressamente previsto.
Nel caso di morte di una delle due parti dell’Unione civile, al superstite spettano i diritti
successori che la legge attribuisce al coniuge del decuius -> 1) successione ab intestato + 2)
quota di riserva
=> viene introdotta una nuova categoria di eredi legittimari.
Quanto alla crisi, alle coppia unita in unione civile non è prevista la separazione personale, ma
solo lo scioglimento, che può avvenire:
• Morte
• Qualsiasi cosa di divorzio, eccetto: 1) mancata consumazione + 2) divorzio conseguente a
separazione personale -> è risaputo che la causa di scioglimento del matrimonio
statisticamente più frequente è la separazione personale (che dopo la riforma sul divorzio breve
deve essere protratta per 6 o 12 mesi)
Nel caso dell’unione civile, il legislatore ha introdotto una modalità di scioglimento fondata sulla
volontà delle parti e su un termine di ri essione: l’unione si scioglie quando le parti abbiano
manifestato anche disgiuntamente (dichiarazione unilaterale) davanti all’u ciale di stato civile la
loro volontà di sciogliere l’unione.
Ai ni delle competenza e del rito processuale sono richiamate le norme sul divorzio; è inoltre
consentito alle parti dell’unione civile di avvalersi delle procedure extragiudiziali, ossia la
negoziazione assistita da avvocati e la procedura amministrativa dinnanzi al Sindaco.
Per gli e etti personali e patrimoniali si fa riferimento alle disposizioni in tema di divorzio.
Come già esaminato, la sentenza di retti cazione dell’attribuzione del sesso di uno dei due
coniugi costituisce causa di scioglimento del matrimonio. Analogamente, tale retti cazione
provoca lo scioglimento dell’unione civile.
Qualora, tuttavia, successivamente alla retti cazione anagra ca i coniugi manifestino la volontà di
non sciogliere il matrimonio, questo si converte automaticamente in unione civile.
Per concludere, il Governo è stato delegato ad adottare uno o già decreti legislativi attuativi, entro
sei messi dall’entrata in vigore della L maggio 2016.
Il D.Lgs gennaio 2017 (n°5,6,7):
- Ha adeguato le disposizioni dell’ordinamento dello stato civile in materia di iscrizioni,
trascrizioni ed annotazioni alla nuova gura delle unioni civili.
- Introdotto del codice penale e di procedura penale l’equiparazione del partner al coniuge, per
ciò che concerne le violazione di obblighi di assistenza familiare
- Riordino delle norme di diritto internazionale privato per la regolamentazione delle unioni civili;
stabilisce che il matrimonio contratto all’estero da un cittadino italiano con una persona dello
stesso sesso produce gli e etti dell’unione civile regolata dalla legge italiana. L’unione civile è
valida, se per la forma è considerata la legge del luogo di costituzione o della legge nazionale
del luogo di provenienza di almeno una delle due parti. I rapporti personali e patrimoniali tra le
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parti sono regolati dalla legge dello Stato davanti alle cui autorità l’unione è stata costituita. A
richiesta delle parti, può essere applicata la legge dello Stato nel quale la vita comune si è
prevalentemente localizzata.
La seconda parte della L maggio 2016 è dedicata alla disciplina delle convivenze.
Tale fenomeno non era sconosciuto al nostro ordinamento, essendo comunque frutto di
un’elaborazione giurisprudenziale e di molteplici interventi normativi successivi, volti:
- Tutelare i conviventi
- Dettare una disciplina uniforme alla coppia coniugata
Ne era scaturito un quadro normativo molto frammentato e per questo la L maggio 2016 ha inteso
introdurre un regime organico al fenomeno delle convivenze e una disciplina legale assai meno
estesa e vincolante rispetto a quella dettata per il matrimonio e per le unioni civili.
Ciò appare come diretta conseguenza dalla scelta delle parti di non assoggettare la loro relazione
interpersonale agli istituti legali.
Sul piano sistematico, la nuova disciplina lascia aperto un problema di fondo sulla applicabilità
della L maggio 2016 alle convivenze che non rispecchiano i caratteri de niti dalla legge: la
soluzione che prevale è quella di ritenere applicabili a queste ultime le regole laborate no ad oggi
per le convivenze more uxorio.
Dunque, coesistono plurime gure di convivenza:
• Quelle assoggettate alla disciplina che si accinge ad esaminare
• Quelle che rimangono estranee a detta disciplina, che godono le tutele in generale no ad oggi
riconosciute ai conviventi
Il problema di fondo posto dalla convivenza attiene alla descrizione della fattispecie e della sua
riconoscibilità, considerando che i conviventi di fatto sono due persone maggiorenni che siano
stabilente unite da legami a ettivi di coppia e di reciproca assistenza, non vincolate da rapporti di
parentela, a nità od adozione, da matrimonio o da unione civile.
Gli interpreti hanno sollevato:
- La perplessità derivante dalla genericità del riferimento a rapporti di parentela od a nità non
speci cati (che dunque potrebbero intendersi quelli che determinano un impedimento anche al
matrimonio).
- Ambiguità della previsione per cui i conviventi non devono essere legati da matrimonio od
unione civile -> non è precisato se il divieto valer solo per coloro che sono coniugati od uniti
civilmente tra loro, o se debba considerarsi per chi è legato da matrimonio o da unione civile
ma separato dal coniuge: in tale ultimo caso sicuramente possono operare le forme di tutela
esistenti prima della L maggio 2016
Sarà dunque necessario attendere l’elaborazione giurisprudenziale per fare chiarezza sul punto.
Accedendo all’interpretazione più aderente al testo, si dovrebbe arrivare a concludere che la
convivenza istaurata in tali circostanze sia soggetta al regime della convivenza more uxorio, ma
non alle regime della L maggio 2016.
Un altro elemento di incertezza è l’accertamento della convivenza, con cui si fa riferimento alla
dichiarazione anagra ca: ciò consente ad una coppia convivente di registrarsi come tale.
Pertanto sorge l’interrogativo se l’applicazione delle nuove regole sulla convivenza esiga la
registrazione anagra ca: le nuove pronunce ammettono solamente che debba sussistere il fatto
materiale della convivenza, anche quando le parti non abbiano provveduto alla registrazione.
Questo peraltro implica una sostanziale imperatività delle norme della nuova legge, che risulta
applicabile anche alle coppie che abbiano omesso di registrarsi come conviventi.
Come elementi idonei a provare la convivenza, vi sono numerose presunzioni:
• Progetto di vita comune
• Esistenza di un conto corrente comune
• Compartecipazione di ciascuno alle spese comuni
• Coabitazione
Il convivente non ha diritti successori ex lege, che spettano solo al coniuge del decuius o a
colui che vi era unito civilmente.
Pertanto, il convivente che vorrà assicurare diritti successori al partner dovrà provvedere con il
testamento, nel rispetto de limiti riservati ai legittimari.
La L 76/2016 assicura al convivente che presti stabilmente attività lavorativa nell’impresa del
partner diritti patrimoniali analoghi a quelli spettanti al coniuge nell’ambito dell’impresa familiare.
Tuttavia, il convivente non ha diritto:
• Nè di concorrere alle decisioni
• Nè di prelazione sull’azione a in caso di trasferimento
Inoltre, il convivente, in caso di morte del convivente causata da illecito altrui, ha diritto al
risarcimento del danno.
Quanto ai rapporti patrimoniali tra conviventi, la nuova disciplina è imperniata sul contratto di
convivenza, stipulato in forma pubblica o scrittura privata da un notaio o da un avvocato, pena di
nullità.
I pubblici u ciali devono attestare la conformità alle norme imperative e all’ordine pubblico del
contatto, il quale viene poi iscritto nell’anagrafe del comune di residenza dei conviventi, ai ni
dell’opponibilità a terzi.
Nel contratto di convivenza non possono essere apposti termini o condizioni e se previsti
vitiantur sed non vitiant -> actus legitimus
Attraverso il contratto di convivenza le parti possono regolare le modalità di contribuzione di
ciascuno ed assoggettarsi alla comunione legale dei beni.
Il contratto è modi cabile consensualmente in qualsiasi momento.
Si ritiene che tale contratto postuli una convivenza registrata; dunque, una coppia convivente che
non abbia eseguito detta formalità, potrà stipulare un contratto per regolare gli interessi comuni,
ma non potrà avere gli e etti speci ci del contratto di convivenza in esame.
Può anche essere risolto consensualmente o per recesso unilaterale, con le stesse forme di
pubblicità previste per la stipulazione.
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In particolare, il recesso deve essere ricevuto od autenticato da un notaio, che deve noti care
copia all’altro contraente.
Lo scioglimento del contratto di convivenza produce anche lo scioglimento della comunione
legale, ove prevista.
Nel caso di recesso unilaterale, qualora la casa familiare sia di proprietà del recedente, la
dichiarazione di recesso deve contenere il termine concesso al convivente per lasciare
l’abitazione, termine non inferiore a 90 giorni.
In caso di cessazione della convivenza di fatto, il giudice stabilisce il diritto di ricevere gli alimenti,
qualora il convivente che debba riceverli versi in stato di bisogno e non sia in grado di provvedere
al proprio mantenimento.
Gli alimenti devono essere assegnati per un periodo proporzionale alla durata della convivenza e
in rapporto alla possibilità dell’alimentando e a quella dell’alimentante.
È dunque evidente che si tratta di un diritto ad una prestazione strettamente alimentare, che si
distacca da: 1) assegno di mantenimento 2) assegno divorzile.
Con il termine successione si designa il fenomeno per cui un soggetto subentra ad un altro nella
titolarità di uno o più rapporti giuridici, attivi o passivi. -> assimilabile alla cessione del credito
In questo caso, ci occuperemo della successione mortis causa.
La successione mortis causa è di derivazione diretta da istituti del diritto romani, sebbene poi
abbia assunto una forma da esso di erente, anche per i mutamenti che sono venuti a veri carsi
con il passare dei secoli:
- La ricchezza non è più riferibile solo alla persona sica -> enti, società, …
- Essendo aumentato il reddito medio, la successione mortis causa non rappresenta solo gli
interessi del popolo più benestante, ma integra gli interessi di una larga fascia di popolazione
- Il contenuto dell’eredità è andato modi candosi: mentre un tempo assumevano rilevanza
prevalentemente gli immobili, attualmente grande rilievo può anche essere rivestito di cespiti
mobiliari
- Contrazione della famiglia antica nella famiglia nucleare, caratterizzata anche da minore
compattezza e dalle “famiglie ricomposte”
- Istituti indipendenti dalla successione nell’eredità del defunto -> es. liquidazione al coniuge
superstite dell’indennità dovuta al lavoratore defunto
La morte dell’individuo determina il sorgere dell’esigenza negativa che un patrimonio non resti
privo di titolare.
Gli interessi che devono essere considerati con la procedura successoria sono numerosi:
• Interesse del decuius, preoccupato della sorte post mortem dei suoi beni
• Interessi dei familiari del decuius, che da lui dipendevano economicamente
• Creditori del decuius
• Stato, cui l’eredità viene devoluta in assenza di successibili, perché non vi sia alcuno chiamato
all’eredità o perché nessuno l’abbia voluta accettare. Tutt’altra questione è però se lo stato
individui i trasferimenti di ricchezza mortis causa come occasione per un prelievo tributario.
Il nostro ordinamento prevede un sistema complesso, nel quale trovano considerazione le varie
esigenze indicate.
Se, però, al decuius sopravvivono stretti congiunti, il legislatore limita la libertà del testatore, in
quanto riserva a favore di costoro una quota di legittima o quota indisponibile:
1. Figli
2. Coniuge
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3. Ascendenti
La quota di legittima è determinata tenendo conto delle donazioni e ettuate in vita dal decuius.
La natura cogente della riserva non opera ritenendo invalide (nulle od annullabili) le eventuali
disposizioni testamentarie lesive delle quote di legittima: i legittimari potranno impugnarle con
l’azione di riduzione.
Per la parte disponibile del suo patrimonio, l’ereditando può provvedere come preferisce, dal
momento che l’ART 42 Cost rimette al legislatore ordinario solo la determinazione dei limiti della
successione legittima e testamentaria.
Nell’ART 42 Cost nulla è disposto in ordine alla tutela quantitativa: nel corso delle varie legislature
sono stati presentati dei progetti per lasciare al decuius un più ampio margine di libertà.
Qualora l’ereditando non abbia provveduto a disporre dei propri beni mediante testamento, la
legge detta i criteri della devoluzione del patrimonio relitto, con la successione legittima.
Il legislatore colloca tra i successibili ex lege:
1. Discendenti
2. Ascendenti
3. Collaterali
4. Altri parenti
5. Stato
La successione legittima è posta al ne 1) di tutelare gli interessi delle persone legate al defunto,
2) in funzione presumibile dell’intensità dei vincoli.
Si ricorre alla successione legittima quando:
• Manca qualsiasi testamento
• Pur essendovi testamento, questo dispone solo legati
• Quando il testamento non esaurisca l’asse ereditario: dunque, per la parte restante, si provvede
con la successione legittima
• Il testatore assegna un terzo del patrimonio ad un soggetto estraneo alla famiglia; ai membri
della famiglia per i restanti due terzi verrà applicata la successione legittima, salvo il rispetto
delle quote di riserva dei legittimari
• Qualora il decuius avesse costituito un soggetto come erede universale e, aperta a successione,
vi fossero dei beni sopravvenuti ed ignorati al momento in cui il testeremo è stato redatto.
Non ha perciò valore il brocardo nemo pro parte testatus pro parte intestatus decedere potest, per
cui non era ammissibile una successione regolata solo in parte da testamento e per il resto da
successione legittima.
EREDITA E LEGATO
Il complesso dei rapporti patrimoniali trasmissibili attivi e passivi facenti capo al decuius al
momento della morte costituisce l’eredità, intesa in senso oggettivo o asse ereditario o massa
ereditaria.
Il patrimonio da intendersi, è l’insieme dei rapporti giuridici attivi e passivi, dei quali il defunto era
titolare, indipendentemente dal valore economico: infatti, è possibile che un patrimonio sia
negativo.
Il compito dell’interprete è semplice quando al chiamato siano attribuiti tutti i beni del testatore o
una quota del complessivo patrimonio ereditario, intesa come frazione dell’intero.
Ovviamente, l’interpretazione della mens testantis pone spesso gravi di coltà, specie quando il
testatore era ignaro delle sottili distinzioni giuridiche relative al titolo della chiamata.
Quando la successione si devolve per legge, in assenza di testamento, il problema non si pone: la
vocazione è con gurata dal legislatore come una chiamata a titolo universale.
Esistono anche talune ipotesi di legato stabilito dalla legge -> es. al coniuge superstite spetta a
titolo di legato il diritto di abitazione nella casa familiare
Nel caso di pluralità di successori ex lege, la chiamata è comunque a titolo universale per
ciascun coerede, poiché egli può succedere indistintamente a tutti i rapporti facenti capo al
decuius, sebbene pro quota.
Ne consegue l’instaurazione di un regime di comunione, che investe tutti gli elementi che
compongono l’asse ereditario e che cessa solo con la divisione.
Per quanto concerne le situazioni giuridiche non patrimoniali, non si veri ca successione,
perché in genere sono intrasmissibili.
Tuttavia, in talune ipotesi la legge contempla espressamente la trasmissibilità della legittimazione
attiva o passiva, in relazione agli interessi non patrimoniali -> es. status liationis.
Nel campo dei rapporti patrimoniali, alcuni rapporti strettamente personali non sono trasmissibili
-> es. usufrutto, diritto alimentare, …
La morte è anche causa dello scioglimento dei contratti basati sull’intuitus personae.
Regole particolari sono i contratti implicanti l’attività personale del debitore (es. contratto
d’appalto, contratto d’opera) o quei contratti volti a soddisfare esigenze primarie per i superstiti
(es. locazione di immobili ad uso abitativo).
Per l’illustrazione della disciplina, occorre fare rinvio alla trattazione delle singole gure
contrattuali.
L’erede subentra nei diritti potestativi spettanti al decuius (es diritto di riscatto, diritto di
impugnazione).
Per quanto riguarda il diritto di accettare una proposta contrattuale, la morte del destinatario
non rende questa senza e etto, a meno che non sono volte alla stipulazione di contratti dominati
dall’intuitus personae.
La morte del proponente non comporta l’ine cacia di proposta irrevocabile o fatta nell’esercizio
di un’impresa.
La morte di una persona determina l’apertura della successione (ART 456 cc)
La legge attribuisce importanza alla determinazione del momento e del luogo in cui si apre la
successione: 1) per stabilire quale sia la normativa da applicare in caso di successioni
transfrontaliere + 2) regolare l’ipotesi di successione di leggi nel tempo, la competenza territoriale
ecc
Ai sensi dell’ART 456 cc, la successione si apre al momento della morte, nel luogo dell’ultimo
domicilio del defunto.
Tale criterio resta valido per le successioni che non presentino alcun rilievo transnazionale.
In virtù del Regolamento del 2012 UE, qualora il soggetto della cui eredità si tratta avesse al
tempo della morte la residenza in uno dei paesi dell’Unione Europea -> la competenza di decidere
dell’intera successione è attribuita agli organi giurisdizionali di quello Stato e la successione sarà
regolata dalle leggi del medesimo Stato.
In ogni caso il decuius non può eludere i principi inderogabili del nostro ordinamento, ad esempio
sottraendo la quota spettante agli eredi legittimari -> es. il trust, benché costituito all’estero,
consente ai legittimari di far valere le proprie ragioni.
Aperta la successione, occorre vedere a chi spettino il patrimonio ereditario e i singoli beni.
In questo caso, si può parlare di vocazione ereditaria, ossia l’indicazione di colui che è chiamato
all’eredità.
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Il nostro codice preferisce parlare di delazione di eredità, ossia o erta di eredità della persona
che a può acquistare, se vuole.
La dottrina:
- Da un lato, considera delazione e vocazione equivalenti
- Dall’altro, si dovrebbero distinguere delazione e vocazione, poiché possono esserci casi di
vocazione senza delazione ossia di chiamata senza un’o erta attuale dell’eredità -> es. il
nascituro sarebbe chiamato, ma non sussisterebbe ancora una delazione, poiché costui potrà
adire all’eredità solo dopo la nascita.
L’ART 457, comma 2 cc stabilisce che non si dà luogo alla successione legittima se non quando
manchi quella testamentaria: dunque, la successione legittima è posta in via suppletoria.
Il codice civile vieta esplicitamente il patto successorio. -> il patto normalmente sta dentro al
contratto (es. clausola). Il patto, però, indica la liberalità: ciò fa venir meno la possibilità
dell’esercizio della libertà del testatore, poiché è condizionata dal patto stipulato con un altro
soggetto. Inoltre, non è possibile revocare il patto, se non con il mutuo dissenso; il testamento
dovrebbe invece essere sempre revocabile, poiché ambulatoria est voluntas testatoris usque
ad supremum exitu vitae.
Tali patti sono vietati per il votum captando mortis (= desiderio della morte altrui) che essi
possono determinare. Infatti:
• Patti istitutivi: vincolando il decuius, gli toglierebbero la libertà di cui dovrebbe disporre
• Patti rinunciativi e dispositivi: il legislatore abbia voluto impedire che il soggetto potesse
disporre con leggerezza di sostanze che ancora non gli appartengono e di cui l’acquisto non
può mai essere sicuro
È vietata anche la donazione mortis causa, in contrasto con il principio fondamentale della
revocabilità delle disposizioni mortis causa.
È invece valida la donazione fatta condizione di premorienza, ossia la condizione sospensiva
“se il donante morirà prima del donatario” -> l’attribuzione patrimoniale dipende da un atto inter
vivos e non mortis causa.
Una signi cativa deroga al divieto di disporre di una successione futura è stata posta nel 2006,
con il patto di famiglia.
Il Regolamento dell’UE del 2012, stabilisce che i patti successori sono regolati dalla legge che
regolerebbe la successione se la persona fosse deceduta al momento della stipulazione del patto:
questo per evitare che una persona possa stipulare un patto successorio che secondo
l’ordinamento sarebbe in quel momento applicabile, venendo poi però travolto da nullità nel caso
in cui la legge vada a mutare.
-> es. il defunto che si è trasferito in Italia dopo aver stipulato un patto successorio in Germania,
dove sono validi, anche se poi il defunto era italiano ed è morto in Italia -> il giudice italiano
applicherà la legge tedesca.
GIACENZA DELL’EREDITA
Con la morte del decuius, colui che è chiamato all’eredità non acquista senz’altro la qualità di
erede, né la titolarità di beni e diritti.
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A nché ciò si veri chi, è necessaria l’accettazione o adizione dell’eredità, ossia una
dichiarazione di volontà.
Gli e etti dell’accettazione hanno e cacia ex tunc, dal momento dell’apertura della successione:
dunque, l’erede dovrà considerarsi come titolare del patrimonio sin dal momento in cui la
successione è stata aperta.
Può darsi che l’erede non accetti subito l’eredità, ma lasci passare degli anni: in questo lasso di
tempo, il patrimonio rimane senza un titolare; la prescrizione del diritto di accettare l’eredità è
di 10 anni, molto criticato ai ni della certezza del diritto.
Per assicurare la fusione del patrimonio ereditario durante quella fase, gli ART 528 ss cc
prevedono l’eredità giacente, che ricorre quando:
• Non sia ancora intervenuta l’accettazione da parte del chiamato
• Il chiamato non si trovi in possesso dei beni
• Sia stato chiamato il curatore d’eredità, su istanza di qualsiasi interessato o anche d’u cio
La nomina del curatore dev’essere motivata dalla concreta esigenza di provvedere ad atti di
gestione del patrimonio ereditario, che non possono essere rinviati in attesa che venga a cessare
la situazione di incertezza.
La nomina di un curatore è indispensabile perché abbia inizio un fenomeno di eredità giacente.
Il curatore non è un rappresentante del chiamato o del defunto erede o dei creditori del decuius
e neppure della stessa eredità elevata a soggetto: si tratta di un amministratore con funzione
prevalentemente conservativa e di poteri dispositivi.
Se non sia stato chiamato un curatore, non si veri ca la giacenza ereditaria; si ha invece una
vacanza dell’eredità, poiché il patrimonio ereditario è privo di dominus.
Sono concessi in tal caso alcuni limitati poteri al chiamato all’eredità: egli può infatti esperire le
1) azioni possessorie, se taluno pone in essere atti di spoglio o turbativa del possesso (> saisine
ereditaria, proviene dalle coutumes francesi ed assicura una difesa possessoria). + 2) atti
conservativi di vigilanza e di amministrazione temporanea.
Suddetti poteri non possono però essere esercitati se è stato nominato un curatore.
CAPACITA DI SUCCEDERE
La peculiarità della disciplina in materia successoria consiste anche per il nascituro concepito
che è capace a succedere, presumendo iuris tantum che egli sia nato entro i 300 giorni dalla
morte della persona cui deve succedere.
Chiaramente, la chiamata è subordinata alla nascita, sebbene però si tratti comunque di una
situazione di pendenza.
Capaci di succedere sono anche i nascituri non concepiti di una determinata persona vivente al
momento dell’apertura della successione.
La chiamata deve essere disposta a favore di tutti i gli nascituri di una certa persona (non
potrebbe farsi, però, solo a favore del primogenito).
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Se alla successione è chiamato un concepito, il periodo di incertezza circa l’attribuzione dei beni
a lui devoluti è breve, perché non può durare più di 300 giorni; in tale periodo l’amministrazione
dei beni spetta al padre e alla madre.
Se invece alla successione sono chiamati ex testamento i nascituri non ancora concepiti, il
periodo di incertezza circa la sorte dei beni loro destinati può durare più a lungo, ossia no a
quando con la morte della persona indicata dal testatore non risulti de nitivamente esclusa la
possibilità che possano nascere dei gli: in tal caso, l’amministrazione dell’eredità è a data a
coloro cui l’eredità o la quota di eredità sarebbe devoluta, qualora i nascituri chiamati alla
successione non dovessero venire ad esistenza, salvo il diritto della persona di tutelare le proprie
aspettative sull’avere dei gli.
Capaci di succedere per testamento sono anche le persone giuridiche che un tempo ( no al
1996) dovevano necessariamente munirsi di un’autorizzazione governativa per poter accettare
l’eredità.
L’autorizzazione non era invece necessaria per le società.
Il codice civile negava la capacità di succedere agli enti non riconosciuti: era ammissibile la
chiamata ex testamento 1) sia di enti già esistenti, 2) sia di enti da costituirsi -> la disposizione
non aveva però e cacia se non veniva fatta istanza per ottenere il riconoscimento entro 1 anno
dal giorno in cui il testamento era eseguibile.
Tale norma è stata abrogata nella L aprile 2000 (Legge Bassanini), che dispone che l’accettazione
dell’eredità può farsi solo con il bene cio dell’inventario.
Oggi, dunque, è stato uniformata la capacità di agire per tutti gli enti che possono conseguire
eredità e legati, senza alcuna autorizzazione.
INDEGNITA
L’indegnità si basa sull’incompatibilità morale del successibile, poiché ripugna alla coscienza
collettiva che chi si è reso colpevole di atti gravemente pregiudizievoli possa succedere al
decuius.
L’indegnità non si trasmette ai gli dell’indegno: non si vuole infatti che i discendenti siano
colpiti da colpe commesse da altri.
La legge impone che all’indegno non spetti né potere di amministrazione + 2) né usufrutto
legale sui beni che siano pervenuti ai suoi gli della successione da cui egli è escluso -> per
evitare che l’indegno tragga anche un vantaggio indiretto dalla successione della persona verso la
quale egli si è reso colpevole.
La sentenza che pronuncia l’indegnità opera ex tunc: l’indegno è considerato come se non fosse
mai stato erede pertanto deve riconsegnare i frutti che abbia percepito dopo l’apertura della
successione.
RAPPRESENTAZIONE (!!!!)
Si dice rappresentazione l’istituto in forza del quale i rappresentanti (= discendenti senza alcuna
distinzione) subentrano al loro ascendente nel diritto di accettare un lascito qualora il
rappresentato (= il chiamato) non possa o non voglia accettare l’eredità o il legato (ART 468 cc).
La rappresentazione può aver luogo solo quando colui che non può o non vuole accettare sia:
• Figlio, anche adottivo
• Fratello o sorella del defunto; prima della L dicembre 2012 con cui è stato esteso il rapporto
di parentela ricomprendendo anche il genitore naturale, tra i soggetti annoverati sono stati
compresi anche fratelli e sorelle nati fuori dal matrimonio, la rappresentazione era possibile solo
quando mancassero fratelli legittimi ma anche parenti no al sesto grado.
In luogo di colui che non può o non vuole accettare, succedono i rappresentanti, ossia i
discendenti che succedono direttamente al decuius, cosicché hanno diritto di partecipare alla
successione anche quando 1) non abbiano accettato l’eredità del loro ascendente o 2) se siano
indegni od incapaci nei suoi confronti.
Peraltro, è stato precisato che gli ascendenti che succedono per rappresentazione devono essere
almeno stati concepiti al momento dell’apertura della successione.
La rappresentazione opera:
• Sia quando la chiamata a favore del rappresentato non possa veri carsi -> es. il fratello de
decuius gli è premorto: per rappresentazione è chiamato alla successione il nipote ex fratre
• Sia quando vi sia stata una prima vocazione, ma questa è caduta -> es. indegnità o rinuncia
Inoltre, l’ART 469 cc precisa che si fa luogo a rappresentazione anche nel caso di unicità di
stirpi: dunque, se il decuius abbia lasciato un unico glio, i discendenti di questo non succedono
iure proprio, ma come rappresentanti.
Ciò ha delle conseguenze per:
• Quota di riserva
• Imputazione delle donazioni fatte al rappresentante
ACCRESCIMENTO (!!!!!!)
Istituto dell’accrescimento comporta che la quota devoluta al chiamato che non abbia potuto o
voluto accettare (es. premorienza, rinuncia) si devolve a favore degli altri bene ciari di una
chiamata congiuntiva, con la conseguenza che la quota a questi spettante si accresce.
Il fondamento dell’istituto sta nella presunta volontà del decuius: se questo ha chiamato più
soggetti a queste identiche, è perché presumibilmente intendeva che le persone designate
bene ciassero del bene in modo eguale -> la parte di ciascuno viene ad essere limitata dalle
quote degli altri: cuncursu partes unt
Se il decuius avesse potuto prevedere la mancanza di uno dei chiamati, avrebbe probabilmente
distribuito il patrimonio tra i superstiti.
Dunque, l’accrescimento non si veri ca quando 1) il decuius ha diversamente disposto, oppure 2)
quando al successibile che non può o non vuole addivenire all’eredità è sostituito da un
rappresentante.
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La vocazione o chiamata testamentaria congiuntiva si veri ca per l'istituzione di erede e se si
tratta di legato.
Istituzione di erede, quando gli eredi siano stati chiamati coniunctio verbis (= con uno
stesso testamento) e il 1) testatore non abbia fatto determinazione di parti oppure, 2) pur
determinandoli, abbia chiamato i coeredi coniunctio re (= in parti uguali) => coniunctio re et
verbis.
Se le parti sono disuguali, è chiaro il motivo per cui non vi è accrescimento: viene a mancarne il
fondamento, dal momento che il testatore avrebbe potuto decidere in modi che è impossibile
presumere, una volta mancata la parte chiamata.
Se si tratta di legato, basta la coniunctio re: deve essere stato legato lo stesso oggetto,
bene o diritto, a più persone.
In mancanza dell’accrescimento, la porzione del legato non attribuita va al pro tto dell’onerato,
ossia di colui a carico del quale era stato posto il legato.
L’accrescimento opera ipso iure, senza il bisogno di una speci ca accettazione dell’attribuzione
ulteriore da parte di colui cui pro tta, perché l’acquisto consegue all’espansione dell’ordinario
diritto all’eredità, già sussistente a capo del subentrante.
Colui che se ne avvantaggia, così come subentra nei diritti, subentra anche negli obblighi cui era
sottoposto l’erede o il legatario.
Nel caso di mancanza di accrescimento, i suddetti obblighi faranno carico agli eredi legittimi.
SOSTITUZIONI
Può darsi che il testatore abbia preveduto l’ipotesi che il chiamato non possa o non voglia
accettare l’eredità o il legato, designando altra persona in sua vece: tale clausola prende il nome
di sostituzione ordinaria o volgare. In tal caso, prevale la volontà del testatore.
Il fedecommesso è guardato con sospetto nel nostro ordinamento, perché determina un ostacolo
alla libera circolazione dei beni, che rendano immobilizzati nelle mani del primo istituto.
Per questo motivo, il codice civile del 1965 lo vietava in ogni caso, per contrastare il latifondo.
Il codice del 1942 ammetteva la sostituzione fedecommissaria, purché fosse contenuta in alcuni
limiti:
• Limiti soggettivi: il primo istituto fosse glio o fratello o sorella del testatore + come sostituti
fossero indicati tutti i gli nati e nascituri o un ente pubblico
• Limiti oggettivi: poteva ricomprendere solo i beni facenti parte della quota disponibile e non
poteva ledere la legittima
Fuori da tali limite la sostituzione era nulla, ma restava valida la chiamata all’istituto, che
acquistava legittimamente i beni attribuitigli.
Con la riforma del diritto di famiglia è stato stabilito che la sostituzione è ammessa a tutela dei
soggetti incapaci.
Infatti, il nuovo testo di norma esclude la validità della sostituzione fedecommissaria in tutti i casi,
con la sola eccezione che sia disposta 1) dai genitori + 2) dagli ascendenti in linea retta + 3) dal
coniuge dell’interdetto o del minore incapace a favore della persona o degli enti che hanno
avuto cura dell’istituto, sotto la vigilanza del tutore.
Il soggetto istituto può godere dei beni ma non può disporne, se non con un’autorizzazione
dell’autorità giudiziaria -> si applicano le norme per l’usufruttuario.
Anche la disposizione con cui si lascia l’usufrutto su un bene a Tizio e alla sua morte a Sempronio
e poi eventualmente a Mevio produrrebbe la conseguenza di privare del bene della sua
destinazione economica -> per la stessa ragione, l’usufrutto non può durare più della vita
dell’usufruttuario e la disposizione vale solo per coloro che all’apertura della successione sono i
primi chiamati a goderne.
Vecchia questione è quella relativa alla validità della clausola si sine liberis decesseris ->
istituisco erede Tizio; se egli morirà senza gli, l’eredità passerà a Sempronio.
La giurisprudenza ha rilevato la di erenza tra detta clausola e il fedecommesso, poiché nella
prima manca la doppia istituzione: vi è infatti la clausola risolutiva e, se la condizione si veri ca,
è come se egli non fosse mai stato chiamato per e etto della retroattività della condizione.
L’eredità si acquista solo mediante l’accettazione della stessa da parte del chiamato.
Tuttavia, il chiamato all’eredità potrebbe non accettarla, perché 1) proveniente da una persona
immorale o perché 2) abbia un interesse economico a non essere esposto all’obbligo di pagare i
debiti del defunto, se l’eredità è passiva.
L’accettazione espressa è un actus legitimus e, come tale, non tollera l’apposizione di condizioni
o termini, che rendono nulla l’intera dichiarazione, poiché vitiantur et vitiant.
In tali ipotesi si è spesso parlato di accettazione presunta ed essendo una presunzione iuris et
de iure, importa che l’acquisto dell’eredità si ricollega ad una fattispecie tipo automaticamente
su ciente a determinare l’e etto previsto.
Rimane tuttavia indispensabile la consapevolezza da parte del chiamato della delazione e
dell’appartenenza dei beni posseduti al compendio ereditario -> una tale modalità di acquisto non
è e cace per minore o incapace, che può acquistare solo con bene co dell’inventario.
Se il chiamato muore senza aver accettato l’eredità, il diritto di accettarla si trasmette ai suoi eredi
-> ius delationis.
Lo ius delationis si distingue dalla rappresentazione.
• Rappresentazione: il chiamato non può o non vuole accettare l’eredità (es. morto prima
dell’apertura della successine, indegno, rinunzia) -> il rappresentante subentra ope legis nel
luogo e nel grado dell’ascendente
• Ius delationis: il chiamato, pur potendo, non abbia ancora dichiarato se intenda accettare
l’eredità e poi è sopravvenuta la morte -> il chiamato morto senza aver accettato trasferisce ai
suoi eredi il diritto di accettarla, insieme al suo patrimonio => gli eredi possono acquistare lo ius
delationis, solo se accettino l’eredità del trasmittente; la rinunzia all’eredità del trasmittente
implica la rinuncia all’eredità dal medesimo devoluta
L’accettazione si può impugnare per violenza, per dolo, ma non per errore.
Infatti, l’errore potrebbe solamente ricadere su un elemento diverso dall’ammontare passivo
rispetto all’attivo -> tuttavia, il chiamato che non voglia rimanere obbligato ultra vires, può
accettare con il bene cio dell’inventario.
Tuttavia, non può farsi carico all’erede dell’omissione dell’accettazione con bene cio
dell’inventario, se dopo l’accettazione pura o semplice si scopre un testamento la cui esistenza
era ignorata al tempo dell’apertura e che contenga legati che esauriscano o superino il valore
della quota -> l’erede non è tenuto a soddisfare i legati scritti nel testamento oltre il valore
dell’eredità o entro i limiti della quota disponibile, se legittimario.
Per e etto dell’acquisto dell’eredità, l’erede può disporre dei beni ereditati.
Egli può alienare:
- Singoli beni
- Eredità -> vendita di eredità.
Nella vendita di eredità, l’erede continua a rispondere dei debiti ereditari verso i creditori del
defunto -> accollo cumulativo tra erede ed acquirente, in forza del quale l’acquirente è obbligato
in solido con l’erede-venditore a pagare i debiti ereditari.
L’erede non è tenuto alla garanzia per evizione, per il fatto che la vendita avviene in blocco ->
deve garantire solo la qualità di erede.
Data l’importanza dell’atto, è richiesta la forma scritta ad substantiam, anche qualora la vendita
non abbia per oggetto beni immobili.
La facoltà di accettare con il bene cio dell’inventario ha carattere personale. Dunque, i creditori
dell’erede non possono surrogarsi nell’accettazione del bene cio dell’inventario in luogo del
chiamato, sebbene i creditori dell’erede possono essere pregiudicati dall’accettazione pura e
semplice per via del concorso dei creditori del defunto -> azione surrogatoria (ART 2900 cc):
esclusa per compiere atti personali.
La chiamata personale del bene cio dell’inventario non impedisce che l’accettazione con il
bene cio dell’inventario di uno dei chiamati possa giovare anche per gli altri, anche se l’inventario
è compiuto da un chiamato diverso -> il giudice può rilevare d’u cio in favore anche degli altri
l’accettazione che impedisca la pretesa del creditore oltre l’attivo ereditario
Per evitare che gli incapaci e gli enti incorrano in responsabilità per debiti (escluse le società) ->
essi possono accettare solo con il bene cio dell’inventario.
L’opinione prevalente ritiene nulla l’accettazione fatta in forma pura e tacita dell’incapace:
pertanto, l’incapace rimane nella posizione di semplice chiamato no a quando non si provveda
all’accettazione con bene cio dell’inventario, entro il termine di 10 anni.
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Inoltre, i minori e gli incapaci non si vedono decaduti dal bene cio dell’inventario per la mancata
redazione dello stesso in seguito all’accettazione -> la mancata redazione dell’inventario rende
ine cace l’accettazione, che però non consuma il diritto del chiamato, che potrà accettare una
seconda volta.
Inoltre, i minori e gli incapaci non decadono dal bene co se redigono l’inventario entro 1 anno dal
raggiungimento della maggiore età o dalla cessazione dello stato di incapacità.
Devono anche essere osservati i termini temporali stabiliti dalla legge. In tal caso, occorre
distinguere se il chiamato abbia o non abbia il possesso dei beni ereditari.
Accettata l’eredità con il bene cio dell’inventario, il pagamento dei creditori del defunto può
avvenire in uno dei tre modi seguenti:
- Erede paga i creditori qui primi veniunt, ossia a misura che si presentano. Esaurito l’asse
ereditario, i creditori che rimangono insoddisfatti possono rivalersi solo nei confronti dei
legatari, nei limiti del valore del legato. L’erede può iniziare a pagare i creditori solo dopo che
siano trascorsi 3 mesi dall’esecuzione dell’ultima formalità pubblicitaria, entro il quale termine i
creditori possono presentare opposizione
- Liquidazione dei beni ereditari: procedura concursuale, compiuta su assistenza di un notaio.
Concursuale, perché sono chiamati a concorrervi tutti i creditori; i beni vengo alienati e il
ricavato è distribuito tra i creditori considerando le eventuali prelazioni. L’erede che paghi i
debiti ereditari nonostante le opposizioni dei creditori decade dal bene cio dell’inventario, non
rispettando le norme previste per la liquidazione.
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- Rilascio dei beni ereditari a favore dei creditori e dei legatari, tramite la nomina di un curatore.
Con la consegna dei beni al curatore, l’erede è liberato da ogni responsabilità per i debiti
ereditari.
L’istituto della separazione deriva dalla separatio bonorum. Essa si basava sul fatto che venivano
creati due patrimoni distinti, quello dell’erede su cui potevano soddisfarsi i creditori dell’erede e
quello del defunto, su cui concorrevano i creditori del defunto.
Questa però è nettamente diversa rispetto alla separazione odierna:
• Per i creditori: la facoltà concessa ai creditori del decuius assicura soltanto una preferenza
rispetto ai creditori dell’erede nel concorso sui beni ereditari, ma non si creano due masse
distinte di beni -> tale preferenza spetta solo ai creditori e ai legatari separatisti, ossia quelli che
hanno esercitato il diritto di ottenere la separazione
• Per l’erede: la separazione opera solo nell’interesse dei creditori del defunto e non in quello
dell’erede: non si impedisce infatti ai creditori del defunto e ai legatari di soddisfarsi sul
patrimonio dell’erede.
La separazione ha carattere particolare: essa opera solo con riferimento ai singoli beni e non
sull’intera massa del patrimonio ereditario.
Ciò spiega perché il bene cio dell’inventario non dispensi i creditori del defunto dal chiedere la
separazione, se vogliono conservare la preferenza anche nell’ipotesi che l’erede decada dal
bene cio dell’inventario o vi rinunci.
La separazione giova anche nel concorso dei creditori non separatisti del defunto: infatti, i
creditori separatisti hanno diritto di soddisfarsi sull’asse ereditario con preferenza rispetto ai
creditori non separatisti; ciò è concesso solo nel caso in cui la parte del patrimonio separata
sarebbe stata su ciente a soddisfare i creditori e i legatari non separatisti.
Qualora la separazione sia stata esercitata fra i creditori e i legatari, i creditori sono preferiti
rispetto ai legatari.
Il diritto alla separazione deve essere esercitato entro 3 mesi dall’apertura della successione.
Sono prescritte delle forme particolari:
- Beni mobili -> domanda giudiziale
- Beni immobili o beni mobili registrati -> iscrizione del credito o del legato
Le iscrizioni a titolo di separazione richieste dai singoli creditori e legatari separatisti prendono
tutte lo stesso grado e prevalgono sulle iscrizioni o trascrizioni contro l’erede o il legatario, anche
se anteriori.
L’hereditatis petitio può essere invocata contro il possessor pro heres, ossia contro colui che
possiede in tutto o in parte i beni, a ermando di essere erede, sia in buona fede sia in mala fede.
Tuttavia, il possessore può anche usucapire i beni ereditari -> eccezione: ciò non accade se il
chiamato all’eredità si sia trovato nell’impossibilità giuridica di porre in essere gli atti interruttori
del possesso per usucapione (es. glio nato fuori dal matrimonio, che abbia visto riconosciuto il
proprio status dopo l’apertura della successione: prima del suo riconoscimento, non può porre in
essere gli atti interruttori per il possesso altrui).
L’hereditas petitio non assorbe l’azione di annullamento del testamento, che è soggetta ad un
suo termine di prescrizione. Dunque, colui che agisce in hereditas petitio assumendo che l’eredità
deve essere a lui devoluta, in quando erede ex lege, perché il testamento è annullabile deve
proporre l’impugnativa del testamento stesso, altrimenti la prescrizione dell’azione di
annullamento impedisce l’accoglimento della petizione ereditaria.
Se l’azione viene accolta, la riconosciuta qualità di erede non potrà più essere messa in
discussione, poiché semel heres semper heres -> il convenuto deve restituire i beni ereditari,
attraverso le disposizioni che riguardano il giudizio di rivendica: 1) restituzione dei frutti + 2) spese
da lui fatte + 3) miglioramenti
Il legislatore prende in considerazione l’a damento che i terzi abbiano posto nel venditore che
si diceva erede: l’accertamento dell’e ettiva sussistenza della qualità di erede sarebbe molto
di cile, poiché occorrerebbe escludere che il decuius avesse:
• Acquisto ex lege -> fatto testamento o altri gli o parenti
• Acquisto ab intestato -> che non sussista un testamento successivo
Per facilitare la circolazione dei beni, la legge attribuisce particolare valore all’apparenza della
qualità di erede e alla buona fede del terzo acquirente.
Dunque, sono fatti salvi i diritti acquistati per e etto di convenzione con l’erede apparente se:
1. La convenzione sia a titolo oneroso
2. Il terzo sia in buona fede -> deroga all’ART 1147 cc -> la buona fede non si presume, ma
dev’essere provata dal terzo.
Non ha importanza se l’erede apparente abbia o non abbia titolo, così come la sua buona o mala
fede.
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Se l’alienazione ha per oggetto beni immobili o beni mobili registrati, si applicano i principi
della pubblicità immobiliare.
Dunque, l’acquisto del terzo dall’erede apparente è fatto salvo se 1) sia l’acquisto a titolo di
erede da parte dell’erede apparente + 2) sia l’acquisto del terzo -> trascritti anteriormente
rispetto alla trascrizione dell’acquisto da parte del vero erede o del vero legatario o alla
proposizione della domanda giudiziale contro l’erede apparente.
Inoltre, occorre tenere presente che se la domanda volta a contestare il fondamento dell’acquisto
è prescritta dopo 5 anni dall’acquisto stesso, la sentenza che accoglie la domanda non
pregiudica coloro che abbiano acquistato in buona fede diritti dall’erede apparente o legatario,
con un atto trascritto anteriormente alla domanda.
RINUNCIA ALL’EREDITA
La rinuncia all’eredità consiste in una dichiarazione unilaterale non recettizia, con cui il
chiamato all’eredità manifesta la sua volontà di non acquistare l’eredità.
La rinuncia all’eredità deve essere fatta mediante dichiarazione ricevuta da un notaio o dal
cancelliere del tribunale del luogo dove è avvenuta l’apertura della successione.
È inoltre soggetta a pubblicità, mediante l’iscrizione nel registro delle successioni.
È altresì nulla la rinuncia che si riferisca solo ad una parte dell’eredità, per la necessaria unitarietà
della delazione.
Tuttavia, il rinunciante può procedere con la ritenzione di donazioni e legati, trattenendo le
donazioni a lui fatte o domandare l’esecuzione del legato, no alla concorrenza della quota
disponibile disposta a suo favore.
La rinuncia dell’eredità fatta verso corrispettivo o la rinuncia a favore degli altri chiamati
importa accettazione (ART 478 cc)
Chi rinuncia all’eredità è considerato come se non fosse mai stato chiamato -> retroattività della
rinuncia.
Peraltro, si osserva che la rinuncia è revocabile no a quando l’eredità non sia stata accettata dai
chiamati ulteriori, dopo la quale la perdita del diritto di accettazione diviene de nitiva.
I creditori del rinunciante possono essere pregiudicati dalla rinuncia, poiché se l’erede non
avesse rinunciato, il suo patrimonio si sarebbe accresciuto.
Per questo il legislatore dispone che i creditori dell’erede possono farsi autorizzare dal giudice ad
accettare l’eredità in nome del in luogo del rinunciante.
Il rinunciante non assumerà il titolo di erede contro la sua volontà -> l’accettazione è fatta dai
creditori unicamente allo scopo di soddisfarsi sui beni dell’asse ereditario.
Diversa ipotesi è invece il patto con cui tutti i chiamati in un testamento rinuncino
concordemente a far valere il testamento stesso -> si applicheranno le regole della
successione ab intestato.
SUCCESSIONE LEGITTIMA
LE CATEGORIE SUCCESSIBILI
La più recente modi ca rispetto a quanto era disposto nel 1942 è costituita dalla L maggio 2016,
che dispone che alla persona unita civilmente sono attribuiti gli stessi diritti successori spettanti al
coniuge.
Inoltre, con la riforma della liazione della L dicembre 2012 e D.Lgs dicembre 2013, lo status di
glio è stato uni cato ed è stato ride nito il concetto di parentela: è venuta meno la di ormità di
trattamento per i gli nati dentro e fuori al matrimonio.
Dunque, all’interno di ciascuna categoria dell’ART 565 cc non abbia più rilevanza se una liazione
è avvenuta dentro o fuori del matrimonio.
Pertanto, oggi il glio nato fuori dal matrimonio succede non solo 1) al proprio genitore, ma
anche 2) agli ascendenti e ai collaterali / reciprocamente, non solo il genitore, ma anche
ascendenti e collaterali succederanno al glio nato fuori dal matrimonio premorto.
Per risolvere le questioni di diritto intertemporale, è stato stabilito che i diritti successori che
discendono dall’ART 74 cc possono essere fatti valere anche per le successioni apertesi anche
prima dell’entrata in vigore della legge, salvi gli e etti del giudicato formatosi anteriormente e si
prescrivono con la decorrenza dalla stessa data.
Per quanto concerne la successione legittima del coniuge, la riforma del diritto di famiglia
del 1975 ha operato profonde modi cazioni al codice previgente.
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Infatti, il legislatore del 1942 assicurava una quota di usufrutto al superstite, variabile a seconda
che fosse solo o concorresse con altri -> ciò al ne di evitare che i beni venissero trasferiti dal
gruppo familiare del defunto a quello del coniuge superstite (perché l’usufrutto è essenzialmente
temporaneo e non trasmissibile agli eredi).
Secondo la più di usa opinione, il coniuge non poteva considerarsi erede, ma semplice legatario
ex lege.
Con la legge di riforma del 1975, in virtù della parità dei ruoli della coppia coniugale e della
valorizzazione del concorso di entrambi alla costituzione sia del patrimonio comune sia di quelli
individuali, è stato stabilito che il coniuge potesse avere una quota nell’asse ereditario,
conferendogli piena qualità di erede.
Le norme introdotte dalla riforma sono quelle tuttora vigenti.
Oltre alla qualità di erede, al coniuge sono anche riconosciuti ex ART 540 cc il diritto di
abitazione nella casa adibita a resistenza familiare e diritto di uso sui mobili che corredano.
La giurisprudenza ha altresì a ermato che il valore capitale di detti diritti deve essere stralciato
dall’asse ereditario prima di procedere alla divisione, per poi procedere alla divisione fra tutti i
coeredi secondo le quote previste dalla successione legittima -> il valore di suddetti diritti si
aggiunge alla quota ereditaria, come un quid pluris (diversamente dalla successione
necessaria).
Il diritto di abitazione non spetta al coniuge separato, specie quando sia cessata anche la
convivenza.
Per il resto, il coniuge separato mantiene i diritti ereditari, tranne nell’ipotesi in cui gli sia stata
addebitata la separazione -> se gli è stata addebitata la separazione, ha diritto ad un assegno
vitalizio, se al momento dell’apertura della successione godeva degli alimenti. L’assegno è
commisurato 1) alle sostanze, 2) alla qualità e al numero degli eredi legittimi e non deve essere
superiore alla prestazione alimentare precedentemente goduta.
In caso di divorzio, l’ex coniuge non ha titolo per partecipare alla successione.
La L 1970 stabilisce che all’ex coniuge che avesse goduto dell’assegno divorzile può essergli
attribuito dal giudice un assegno periodico a carico dell’eredità se l’altro versi in uno stato di
bisogno, commisurato all’importo dell’assegno dovuto a carico del decuius, in considerazione 1)
delle sostanze, 2) entità del bisogno 3) numero e la qualità degli eredi, 4) dell’eventuale pensione
di reversibilità.
Tra gli altri successibili vi sono i gli, i genitori, i fratelli e le sorelle, i collaterali dal terzo al sesto
grado e lo Stato.
Primariamente, vi sono i gli, cui sono equiparati i gli adottivi, succedono tutti in parti
eguali fra loro ed escludono dalla successione sia gli ascendenti sia i collaterali (ma non il
coniuge, cui è riservata una posizione peculiare)
L’ART 567 cc precisa che i gli adottivi restano estranei alla successione dei parenti
dell’adottante: si ritiene con la riforma del 1983 che ciò sia applicabile solo all’adozione per
maggiorenni ed è discusso se anche all’adozione nei casi particolari.
In caso di premorienza dei gli, a loro succedono per rappresentazione i discendenti, che pure
escludono dalla successione gli altri legittimi, poiché si collocano nella posizione del
rappresentato.
In secondo luogo, ci sono i genitori, i fratelli e le sorelle e gli ascendenti. Questi soggetti
succedono solo se il decuius muoia senza lasciare prole.
Nelle categorie di fratelli e sorelle sono da ricomprendere anche i fratelli e le sorelle nati fuori dal
matrimonio.
Gli ascendenti succedono solamente in assenza dei genitori e gli ascendenti più prossimi
escludono quelli di grado più remoto.
Gli ascendenti concorrono con i fratelli e le sorelle del decuius: in tal caso, se entrambi i genitori
non possono o non vogliono adire alla successione, agli ascendenti si devolve la quota che
sarebbe spettata ad uno dei genitori in assenza dell’altro.
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Successivamente, vi sono i collaterali dal terzo al sesto grado, che hanno diritto di
addivenire alla successione solo quando non ci siano altri successibili e per i quali vale il principio
per cui il più vicino in grado esclude il più remoto.
La successione non ha luogo oltre i parenti entro il sesto grado.
La riforma del 1975 aveva compiuto un importante progresso, pari cando il trattamento di gli
legittimi e naturali rispetto alla successione del genitore.
Era tuttavia fatta salva la facoltà di soddisfare in denaro o in beni immobili ereditari la porzione
spettante ai gli naturali.
Inoltre, ai gli nati fuori dal matrimonio non riconoscibili spetta un assegno vitalizio pari
all’ammontare della rendita della quota di eredità alla quale avrebbero diritto se la liazione fosse
stata dichiarata o riconosciuta. Su loro richiesta, è prevista la capitalizzazione di detto assegno 1)
in denaro o 2) in beni ereditari.
Anche i gli incestuosi possono agire per l’accertamento giudiziale del rapporto di liazione:
dunque, la rilevanza della disposizione in esame parrebbe ridotta solamente al caso in cui i gli
incestuosi non abbiano chiesto l’accertamento del rapporto di liazione e preferiscano agire per
avere solo l’assegno di mantenimento.
Il convivente more uxorio del defunto non è contemplato fra coloro che possono succedere ex
lege, cosa a ermata anche dalla L maggio 2016.
La nalità della successione dello Stato non risiede nella volontà di conseguire arricchimento a
favore dell’Erario, ma di assicurare la gestione dei rapporti giuridici riferibili a persone defunte che
non abbiano lasciato eredi, perché prive di parenti prossimi o perché nessuno dei chiamati abbia
accettato.
L’ordinamento giuridico consente al singolo di disporre dei suoi beni nel periodo post mortem:
tuttavia, non appare accettabile sentire che tutti i beni che decuius siano lasciati o donati ad un
estraneo o ad un familiare, lasciando i familiari senza nulla.
Tuttavia, si vanno di ondendo opinioni che ritengono queste come limitazioni della libertà di
scelta del decuius.
La legge stabilisce perciò che quando vi siano determinate categorie successibili, una parte dei
beni del decuius deve essere a loro attribuita -> viene attribuita la quota di riserva o quota
legittima ai legittimari o riservata ai successori necessari.
I legittimari non devono essere confusi con gli eredi legittimi, ossia coloro ai quali l’eredità viene
devoluta in base alla legge, qualora manchi il testamento.
Il complesso degli istituti che regolano i legittimari è de nita successione necessaria.
Il fondamento di questi principi risiede nel fatto che si vogliono tutelare i vincoli più stretti di
parentela ed hanno carattere inderogabile.
CATEGORIE DI LEGITTIMARI
Legittimari sono:
1. Coniuge / persona unita civilmente
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2. Figli, anche adottivi -> dopo la L dicembre 2012 è venuta meno la preesistente di erenza fra
gli legittimi e gli naturali
3. Ascendenti
La riserva a favore dei gli è detta quota mobile, poiché varia secondo 1) numero dei gli + 2)
l’esistenza o meno del coniuge.
Ciascuno dei legittimari ha chiaramente diritto alla propria quota di riserva, anche se appartenente
ad una categoria comprensiva di più soggetti -> es. due gli
I gli legittimi potevano soddisfare la porzione spettante ai gli nati fuori dal matrimonio 1) in
denaro o 2) in beni immobili -> tale disposizione è stata abrogata con la Novella in tema di
liazione.
La riserva a favore degli ascendenti opera soltanto se il defunto non lascia gli.
Questi diritti sono garantiti anche al coniuge che si sia separato, purché non gli sia stata
addebitata la separazione. Qualora gli sta stata addebitata la separazione, egli ha diritto ad un
assegno vitalizio, se al momento dell’apertura della successione godeva di alimenti a carico del
coniuge deceduto. L’assegno è commisurato in base 1) alle sostanze, 2) alla qualità e al numero
degli eredi legittimi e non può essere di entità superiore rispetto all’assegno degli alimenti di cui
godeva.
I gli nati al di fuori del matrimonio non riconosciuti hanno diritto ad un assegno vitalizio,
come accade per la successione legittima.
QUOTA LEGITTIMA
Quando all’apertura della successione vi sono dei legittimari, il patrimonio ereditario si distingue
idealmente in due parti:
• Patrimonio disponibile: che il decuius era libero di attribuire a chiunque avesse voluto
• Patrimonio indisponibile: della quale non poteva disporre a proprio piacimento, perché
spettante ai legittimari
Il legittimario ha diritto di ottenere la propria quota in natura e il testatore non può porvi alcun
peso od alcuna condizione sulla legittima, in virtù dell’intangibilità della legittima -> altrimenti, il
testatore potrebbe appro ttarne per diminuire la quota della legittima.
Tuttavia, la giurisprudenza ammette che il testatore possa disporre il soddisfacimento della
legittima mediante danaro esistente nell’asse o beni determinati, corrispondenti al valore della
legittima -> dunque l’intangibilità della legittima è da intendersi in senso quantitativo e non
qualitativo: riguarda cioè il valore dei beni, non la specie dei beni.
Il principio secondo cui il testatore non può imporre pesi sulla legittima incontra un temperamento
con la cautela sociniana (> Mariano Scoino, giurista del 1500).
Infatti, qualora Tizio lasci un glio. Tizio, possedendo un patrimonio di 100, abbia legato ad un
estraneo l’usufrutto di un bene con il valore di 70. In tal caso, il glio acquistava un capitale
inferiore da quello che ricaverebbe dalla quota di riserva, che gli spetterebbe a titolo di legittima,
ma come nuda proprietà ottiene una parte maggiore di quella che gli competerebbe.
Per vedere se vi sia lesione di legittima, sarebbe necessario calcolare il valore dell’usufrutto,
facendo però una valutazione aleatoria, in quanto l’usufrutto è commisurato alla durata della vita
dell’usufruttuario.
Dunque, l’ART 550 cc nega l’azione di riduzione al legittimario, consentendogli la scelta:
• Di eseguire la disposizione -> prendendo così la nuda proprietà dell’intero patrimonio, oltre al
reddito che resta dopo aver soddisfatto il legato
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• Di ottenere la proprietà piena della quota di riserva (la metà), abbandonando a favore del
legatario quella disponibile (l’altra metà)
Altro temperamento al limite posto alla facoltà del testatore di disporre dei beni è costituito dal
legato in sostituzione di legittima o vice legitimae, disciplinato dall’ART 551 cc.
Talora, il testatore per evitare il frazionamento del patrimonio attribuisce al legittimario un legato in
somma o in beni ereditari, per un valore uguale o superiore rispetto all’importo della legittima, a
condizione che egli rinunzi ad ogni altra pretesa sull’eredità o con la dichiarazione che il legato è
fatto in sostituzione della legittima.
Anche qui, il legittimario può:
• Rinunciare al legato e chiedere la legittima
• Conseguire il legato, perdendo il diritto di chiedere un supplemento se il valore del legato sia
inferiore rispetto a quello della legittima e non acquista la qualità di erede (dunque, non risponde
dei debiti ereditari)
La norma non si applica se il testatore abbia espressamente attributo al legatario la facoltà di
chiedere un supplemento.
Come ogni altro legato, anche il legato in sostituzione di legittima acquista automaticamente al
momento dell’apertura della successione -> dunque, il legatario che rinuncia al lascito, risponde
di un bene che è già entrato nel suo patrimonio. L’atto di rinuncia deve farsi per iscritto (ART
1350 cc).
Una complessa regola è dettata dall’ART 552 cc, per il caso in cui un legittimario che abbia
ricevuto donazioni o legati voglia rinunciare all’eredità.
Se il legittimario non ha discendenti (dunque non si può operare per rappresentazione), egli può
ricevere i legati e trattenere le donazioni che gli siano state fatte, che vengono imputate alla quota
disponibile -> avendo rinunciato, egli non è più considerato come legittimario, ma come estraneo.
Tuttavia, può accadere che sia necessario ridurre le disposizioni testamentarie sulla donazione,
per reintegrare la legittima spettante agli altri legittimari -> restano salve le disposizioni fatte dal
testatore sulla disponibile che non sarebbero soggette a riduzione se il legittimario accettasse
l’eredità, si riducono le disposizioni a favore di quest’ultimo -> ciò perché, se il legittimario
accettasse, dette disposizioni graverebbero sulla quota di riserva, sicché si vuole evitare che le
disposizioni fatte dal decuius sulla disponibile vengano travolte per la scelta del legittimario a
rinunciare.
Per poter stabilire se il decuius con donazioni eventualmente e ettuate in vita o con le
disposizioni testamentarie abbia leso i diritti eventualmente spettanti a qualcuno dei legittimari,
occorre calcolare l’entità del suo patrimonio all’epoca dell’apertura della successione.
Questa operazione meramente contabile è chiamata riunione ttizia.
Nella riunione ttizia, si calcola il relictum, id quod relictum est, ossia il valore dei beni che
appartenevano al defunto al momento dell’apertura della successione.
Dal relictum si detraggono i debiti, dovendosi determinare la misura dell’e ettivo attivo ereditario.
Al risultato ottenuto si somma il donatum, ossia i beni di cui il decuius abbia eventualmente
disposto in vita a titolo di donazione, secondo il valore che questi avevano al momento
dell’apertura della successione.
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Sull’asse determinato all’esito dei conteggi sopra descritti si calcola la quota disponibile.
Occorre precisare che il computo delle quote di riserva e della loro eventuale lesione si deve fare
riguardo alla situazione esistente al momento dell’apertura della successione -> colui che
abbia acquistato la posizione di legittimario successivamente al compimento di atti dispositivi (es.
il coniuge che sia divenuto tale dopo che il decuius aveva compiuto le donazioni) può chiedere la
riduzione di quegli atti per integrare la propria quota di riserva.
Per stabilire se vi sia stata una lesione di legittima, occorre tenere conto anche dei legati e delle
donazioni fatte al legittimario, salvo che il testatore abbia posto una clausola espressa nella
quale lo dispensava da tale imputazione -> es. se la legittima è 50 e il legittimario ha ricevuto per
donazione 10, potrà chiedere per reintegrare la quota di riserva 40 e non 50.
La legge parte dal presupposto che il testatore gli abbia donato 10 quale anticipo della quota di
riserva: se il testatore ha dispensato il legittimario dall’imputazione o ha dichiarato nella donazione
che i beni donati (pari a 10) vanno in conto della disponibile, il presupposto del legislatore cade di
fronte alla volontà espressa del testatore e il legittimario potrà ugualmente chiedere la quota di
riserva (50).
La giurisprudenza ritiene che l’azione di riduzione possa essere esercitata in via surrogatoria
anche dai creditori personali del legittimario leso o pretermesso.
Se il legittimario agisce contro estranei per la riduzione di donazioni o di legati, la legge stabilisce
l’onere dell’accettazione con bene cio dell’inventario -> ciò presuppone che il legittimario sia
chiamato all’eredità e non vale dunque per il legittimario pretermesso.
Diverso è il caso in cui il legittimario non sia menzionato nel testamento e sia chiamato ex lege a
succedere in altri beni di cui il testatore non aveva disposto.
Avviene spesso che il decuius abbia posto in essere simulatamente un atto a titolo oneroso per
nascondere una donazione.
In tal caso, per agire con la riduzione, occorre prima agire per la dichiarazione della simulazione
relativa: dimostrata la natura gratuita dell’atto, si può proseguire la riduzione.
Bisogna rimarcare che il legittimario che agisce con l’azione di riduzione è considerato come
terzo e perciò può utilizzare ogni mezzo di prova (tra cui presunzioni e testimoni) per dimostrare
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la simulazione; il legittimario infatti non esercita l’azione di accertamento che spetterebbe al
decuius, ma fa valere un suo diritto autonomo quale legittimario, che trova fonte nella legge.
Il codice civile detta una complessa disciplina della riduzione delle attribuzioni a titolo
particolare (donazioni e legati) aventi per oggetto immobili:
• Immobile divisibile: si separa la parte occorrente per integrare la quota di riserva
• Immobile indivisibile: si deve considerare se:
- L’eccedenza supera un quarto della porzione disponibile: il bene si deve lasciare per intero
nell’eredità
- L’eccedenza non supera un quarto della porzione disponibile: il legatario o il donatario
dovrà compensare in denaro i legittimari
- Se il bene ciario è anche legittimario: egli può ritenere tutto l’immobile, purché il valore
dell’immobile non sia superiore alla somma della porzione disponibile e della quota che gli
spetta come legittimario
La domanda di riduzione se ha per oggetto beni immobili o beni mobili registrati è soggetta a
trascrizione.
L’azione di riduzione è soggetta alla prescrizione ordinaria di 10 anni; l’individuazione del dies a
quo è molto dibattuta.
La Corte di cassazione ha stabilito che:
- In caso di disposizioni testamentarie che ledano la legittima -> il termine decorre dalla data di
accettazione di colui che è stato chiamato all’eredità con il testamento che ha determinato la
lesione della riserva
- In caso di donazioni -> il termine decorre dall’apertura della successione
Si deve precisare che allorquando venga pretermesso un glio nato fuori dal matrimonio il cui
status venga riconosciuto dopo l’apertura della successione, il termine di prescrizione decorre dal
momento in cui egli acquista lo status di glio e quindi la qualità di legittimario.
Si esclude che il donatario possa opporre al legittimario di aver maturato un acquisto per
usucapione, non trattandosi l’azione di riduzione di un’azione di rivendicazione (volta a
contestare la titolarità del diritto reale in capo al donatario, che lo ha acquistato in base a titolo
valido ed e cace). L’azione di riduzione è piuttosto volta a far valere sul bene donato i diritti
successori spettanti al legittimario ex lege e che nascono per e etto dell’apertura della
successione.
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Proprio per il fatto che la quota di riserva è mobile, qualora uno o più dei legittimari non
esercitassero l’azione di riduzione potrebbe in astratto andare modi cata la quota spettante ad
altri.
La giurisprudenza ha dunque a ermato che ai ni della determinazione della quota di riserva
spettante ai legittimari, occorre far riferimento alla situazione esistente dal momento dell’apertura
della successione e non a quella che si può venire a determinare di seguito, per e etto del
mancato esperimento, rinuncia o prescrizione dell’azione di riduzione.
Va precisato che questo principio vale solo in ipotesi di rinuncia all’azione di riduzione e non
anche per la rinuncia all’eredità: in quest’ultimo caso, infatti, il rinunciante è considerato come se
non fosse mai stato chiamato all’eredità e costui non può far numero ai ni della determinazione
delle quote ereditarie.
La riducibilità delle disposizioni lesive della legittima ha un’importante ricaduta per la circolazione
dei beni.
L’ART 563 cc prevede che se un bene donato con una disposizione lesiva alla legittimità è stato
alienato a terzi subacquirenti, il legittimario che abbia esperito con successo l’azione di
riduzione debba esecutare i beni del donatario, per ottenere il rimborso del valore del bene.
In tal caso:
- Se il donatario può pagare -> l’acquisto è rispettato
- Se il donatario non può pagare -> il legittimario può rivolgersi contro il terzo subacquirente
per ottenere la restituzione del bene
Tale regime costituisce un ostacolo alla circolazione dei beni, poiché implica una giusti cata
di denza da parte degli acquirenti che si accingono ad acquistare un bene pervenuto al venditore
a titolo di donazione.
Per favorire il tra co giuridico, con le L maggio 2005 e L dicembre 2005 il rigore dell’azione di
restituzione è stato attenuato: è stato infatti posto un limite temporale alla proponibilità
dell’azione nei confronti di terzi aventi causa dal donatario.
Per quanto riguarda gli immobili, si è previsto che l’azione di restituzione potesse essere
esperita non dopo il decorso dei 20 anni dalla trascrizione della donazione oggetto di
riduzione, mentre in precedenza quest’azione poteva essere esperita senza limiti di tempo.
Per ciò che concerne i beni mobili, invece, è stato stabilito che l’azione non può essere proposta
dopo il decorso di 20 anni dalla trascrizione della donazione oggetto di riduzione. La norma fa
salvi gli acquisti dei terzi in buona fede, per cui vale la regola possesso vale titolo (ART 1153 cc).
Peraltro, le leggi del 2005 avendo indebolito lo strumento di tutela dei legittimari, hanno in pari
tempo introdotto un mezzo di salvaguardia per le ragioni di questi ultimi.
Infatti, è consentito al coniuge e ai parenti in linea retta di noti care e trascrivere un atto di
opposizione alla donazione nei confronti del donatario, che sospende il decorso del termine di
20 anni per poter esperire l’azione di riduzione.
La ratio si basa sul fatto che l’azione di riduzione non è proponibile durante la vita del decuius e,
qualora egli vivesse per i 20 anni successivi alla donazione, i suoi legittimari rimarrebbero privi di
tutela.
Per questo motivo, è consentito ai legittimari di arrestare il termine prescrizionale con atto
unilaterale che deve essere reso pubblico con trascrizione nei registri immobiliari, al ne che i terzi
ne risultino avvertiti.
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L’opposizione deve essere rinnovata prima che siano trascorsi 20 anni dalla sua trascrizione,
altrimenti perde d’e cacia.
Il diritto dell’opponente è personale e per questo non potrebbe essere esercitato con un’azione
surrogatoria (ART 2900 cc) da terzi. Esso è anche rinunciabile
Il terzo acquirente nei cui confronti sia proposta l’azione di restituzione ha la facoltà di e ettuare
un pagamento in denaro, versando l’equivalente dei beni, anziché restituirli in natura.
La giurisprudenza ritiene che tale credito sia di valore -> il legittimario deve dunque ottenere una
somma corrispondente al valore che la cosa donata ha assunto al momento della pronunzia
giudiziale, per e etto della svalutazione monetaria.
La L febbraio 2006 ha introdotto il patto di famiglia, per tale da intendersi il patto che consente al
titolare di un’attività economica di dare una destinazione stabile all’impresa a favore dei propri
discendenti, prevenendo un’eventuale disputa successoria che potrebbe condurre ad una
frammentazione dell’impresa o addirittura alla sua crisi per una gestione litigiosa da parte dei
contitolari.
Occorre ricordare che le norme dettate in tema di successioni sono ispirate 1) alla modi cabilità
no alla morte del testatore + 2) indisponibilità dei diritti successori prima dell’apertura della
successione.
Ciò costituiva un ostacolo alla trasmissione delle strutture produttive da una generazione
all’altra, perché il testatore avrebbe potuto donare l’azienda al glio ritenuto più capace di
proseguirne la gestione e soddisfare i diritti degli altri gli mediante delle donazioni compensative:
se, però, l’azienda avesse ecceduto la disponibile sarebbero potute sorgere delle controversie.
Per questo motivo, la L febbraio 2006 ha introdotto uno speci co istituto, volto a favorire la
conservazione dell’integrità delle aziende nei passaggi da una generazione all’altra.
Dunque, il patto di famiglia è un contratto che deve rivestire la forma di atto pubblico, con cui
l’imprenditore trasferisce del tutto o in parte ad uno o più discendenti l’azienda: assegnatari del
complesso produttivo possono essere solamente i discendenti (non estranei, né il coniuge).
La stabilità del trasferimento deriva dalla neutralizzazione delle pretese degli altri legittimari, in
modo che questi non possano rimettere in discussione l’attribuzione dopo la morte del decuius.
Al contratto devono infatti partecipare 1) coniuge/unito civilmente 2) tutti coloro che sarebbero
legittimari -> pena di nullità (anche se alcuni ritengono che il contratto rimanga valido e possa
esperire l’azione di riduzione).
Qualora non vi rinunzino, i partecipanti al patto non assegnatari hanno un credito di liquidazione,
pari al valore delle quote previste, che può anche avvenire in natura.
Può avvenire che con il medesimo contratto oltre ad assegnare l’azienda ad uno o più
discendenti, il disponente operi delle assegnazioni di beni agli altri partecipanti, in funzione
perequativa: in tal caso, i beni ricevuti sono imputati alle quote di legittima loro spettanti.
La legge ammette anche che l’assegnazione di beni ai partecipanti possa venire con un contratto
successivo, che sia espressamente dichiarato collegato al primo e a cui partecipino tutti coloro
che hanno partecipato al primo.
È possibile che si sia un’impugnazione per vizio del consenso, (ARTT 1427 ss cc): la
prescrizione di annullamento si prescrive dopo 1 anno dalla stipula del contratto.
SUCCESSIONE TESTAMENTARIA
TESTAMENTO
Il testamento (ART 587 cc) è l’atto con cui taluno dispone delle proprie sostanze, per il tempo in
cui ha cessato di vivere.
Esso è revocabile no all’ultimo momento di vita del testatore -> ambulatoria est voluntas
testantis usque ad vitae supremum exitum.
Il testatore può sempre revocare il testamento: il principio della revocabilità è inderogabile ->
garantire la volontà di disporre dei propri beni.
Dunque non si può in alcun modo rinunciare alla facoltà di revocare o mutare le disposizioni
testamentarie: è nulla ogni clausola contraria.
Secondo lo stesso principio, sono nulli i patti successori e la donazione mortis causa => il
testamento redatto in esecuzione di un patto successorio è invalido.
Tuttavia, il testamento può anche avere delle disposizioni di contenuto non patrimoniale
-> es. designazione di un tutore
-> es. riconoscimento di un glio -> irrevocabile
Tali disposizioni hanno e cacia se si trovano in un qualsiasi atto che abbia la forma di
testamento, anche se esso non contenga disposizioni di carattere patrimoniale.
Il testamento è un negozio unilaterale non recettizio: infatti, è espressione della volontà del solo
testatore, che non ha bisogno dell’adesione di alcuno e neppure di essere rivolto o portato a
conoscenza di persone determinate.
In virtù del carattere personale, non è previsto il testamento congiuntivo, per tale da intendersi
il testamento fatto da due o più persone nel medesimo atto 1) né a vantaggio di un terzo, 2) né di
disposizione reciproca.
-> es. i due genitori dispongono nello stesso atto a favore dei gli
-> es. i due coniugi nello stesso atto stabiliscono che quello che sopravviverà succederà all’altro
Tale divieto va interpretato in senso restrittivo.
Nulla vieta a due persone di disporre in atti distinti 1) a favore di un terzo, 2) l’uno o favore
dell’altro, a meno che non sia intervenuto un patto successorio.
È dunque nulla la disposizione a titolo universale fatta dal testatore a condizione di essere a sua
volta avvantaggiato nel testamento dell’erede o del legatario.
-> es. di recente la giurisprudenza ha ritenuto nulli due testamenti che di fatto operavano una
designazione reciproca di erede, invocando il divieto di patti successori istitutivi, in modo molto
discutibile.
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Il testamento è un negozio solenne che deve rivestire ad substantiam alcune forme determinate
ex lege.
La capacità di testare o testamentifazione attiva disciplinata ala regola per cui la capacità è la
regola e l’incapacità è l’eccezione. Dunque, i casi di incapacità sono tassativamente elencati e
non è ammissibile il ricorso all’analogia.
Sono incapaci:
• Coloro che non abbiano compiuto la maggiore età
• Interdetti per infermità di mente
• Incapaci naturali -> dato che l’inabilitato può testare, l’incapacità naturale dev’essere tale da
determinare, se fosse permanente, interdizione e non inabilitazione.
Spetta a colui che impugna il testamento dimostrare la dedotta incapacità -> non può essere
rilevata ex o cio dal giudice
Se però il testatore risulta a etto da incapacità totale e permanente, grava su chi voglia
avvalersene l’onere di provare che il testamento è stato redatto in una fase di lucidità.
L’amministrazione di sostegno non comporta di per sé l’incapacità di testare, ma il giudice
tutelare può disporre una limitazione alla capacità di testare o donare del bene ciario.
Il testamento fatto da incapace è annullabile: l’impugnativa può essere proposta da chiunque vi
abbia interesse (annullabilità assoluta) e l’impugnativa si prescrive in 5 anni dall’esecuzione del
testamento.
Il testamento è un negozio unilaterale non recettizio, per il quale non occorre preoccuparsi di
tutelare a damenti altrui, mentre prevale l’esigenza di realizzare l’interesse del testatore.
L’ART 624 cc dispone che sono applicabili anche al testamento le norme sull’impugnabilità dei
negozi giuridici per vizio della volontà (errore, violenza e dolo):
• Captazione (dolo) -> i raggiri sono rilevanti da chiunque essi provengano, occorrendo la
presenza di atti fraudolenti idonei a trarre in inganno il testatore e non una qualsiasi in uenza di
ordine psicologico (a di erenza di quanto avviene nel contratto, in cui i raggiri assumono
rilevanza solo se provenienti dall’altro contraente)
• Errore -> è inapplicabile al testamento il principio per cui la rilevanza dell’errore è subordinata
alla sua riconoscibilità, in virtù dell’unilateralità del negozio -> essenzialità dell’errore nel
testamento
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Mentre nei contratti e nei negozi unilaterali recettizi l’errore sul motivo non in cia l’atto, essendo
questi irrilevanti, nel caso del testamento accade che l’errore sul motivo è causa di
annullamento della disposizione testamentaria, se sussistono due condizioni:
• Risulti da testamento, ossia sia espressamente menzionato (“Nomino Tizio, perché mi ha
salvato la vita”, ma in realtà la vita è stata salvata da Caio)
• Sia il solo che ha determinato il testatore a disporre (non varrebbe “Nomino Tizio perché è
buono, è mio cognato e mi ha salvato la vita”)
Anche il motivo illecito assume rilevanza, rendendo nulla la disposizione testamentaria, quando
sia il solo ad aver determinato il testatore a disporre.
Il legislazione dedica poi un’apposita norma all’erronea identi cazione dell’erede o del
legatario o della cosa che forma oggetto di disposizione -> la disposizione è comunque valida
quando dal contesto del testamento o anche sulla base di fonti extra-testuali sia possibile
ricostruire in modo univoco quale persona il testatore volesse nominare.
L’incapacità di ricevere, ossia di essere istituiti eredi o legatari per testamento, può dipendere:
• Incapacità di succedere
• A tutela della libertà del testatore -> determina incapacità assoluta, per evitare che alcuni
soggetti possano abusare della funzione esercitata (es. tutore, protutore, notaio, testimone,
interprete)
Le incapacità previste per tutore si applicano anche all’amministratore di sostegno.
Sono in ogni caso valide le disposizioni per l’amministratore di sostegno che sia 1) parente entro il
quarto grado o 2) coniuge o 3) stabilmente convivente del bene ciario dell’amministrazione.
La disposizione a favore di una persona che è incapace di ricevere è nulla, senza bisogno della
prova di eventuali indebite pressioni; né coloro che sono destinatarie della disposizione possono
fornire prova contraria.
Il legislatore in applicazione del principio generale relativo alla frode di legge, vuole evitare
l’interposizione di soggetti, a nché coloro che siano incapaci di ricevere possano ugualmente
bene ciare dell’eredità, attraverso una disposizione testamentaria fatta apparentemente verso
persona diversa -> es. lascio il patrimonio all’amico del tuttora, perché lo trasferisca al tutore.
Per questo motivo, la legge presume iuris et de iure l’interposizione, quando la disposizione sia
fatta a favore di congiunti strettissimi dell’incapace ex lege, dichiarandola nulla.
Inoltre, la legge per evitare incertezze e liti, esclude che si possa agire in giudizio per dimostrare
che le disposizioni fatte a favore di una determinata persona siano apparenti e che in realtà sono
a favore di altra persona -> se il testatore ha rimesso la propria ducia testamentaria in una
persona, dandole l’incarico di trasmettere ad un terzo tutti o in parte i beni lasciatigli (es.
all’amante), non potrà fare nulla per ottenere i beni e potrà solo con dare che la persona istituita
esegua spontaneamente la disposizione testamentaria, obbedendo ad un obbligo morale
-> obbligazione naturale (ART 2034 cc), soluti retentio.
Pur intendendo più possibile tutelare la volontà del testatore, il favor testamenti si deve arrestare
nell’ipotesi in cui manchino degli elementi indispensabili per fornire la certezza della
disposizione, a nché quanto da essa risulti coincida con la realtà del testatore: dunque è nulla
qualunque disposizione a favore della persona incerta, ossia indicata in modo tale da non poter
essere determinata.
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Qualora il bene ciario abbia indicato solo nome e cognome (senza la data di nascita) e ciò crei
incertezza per l’identi cazione della persona, la disposizione non è invalida se sia possibile
desumere in modo certo d’entità della persona da elementi extra-testuali.
La legge pone anche dei criteri integrativi legali dinnanzi all’incertezza del bene ciario della
disposizione testamentaria: è il caso della disposizione fatta “a favore dei poveri”, che viene
devoluta ex lege all’ente comunale di assistenza, che si occupa della prestazione di soccorso ai
poveri in genere.
Quanto alle disposizioni condizionali, l’ART 633 cc ammette che le disposizioni testamentarie
(sia a titolo universale, sia a titolo particolare) possano essere sottoposte a condizione sospensiva
o risolutiva.
Gli e etti della condizione operano ex tunc, secondo la regola generale.
In caso di avveramento della condizione:
• Sospensiva: il soggetto si considera erede dall’apertura della successione -> in pendenza,
l’amministrazione spetta all’amministratore
• Risolutiva: si considera come se non fosse mai stato erede ed è tenuto alla restituzione dei
frutti dal giorno di avveramento della condizione -> in pendenza, l’amministrazione spetta
all’erede
L’ART 634 cc detta una disposizione che salvaguarda il principio di conservazione, per cui le
condizioni impossibile od illecite si danno per non apposte, perché vitiantur sed non vitiant,
salvo che risultino espressione dell’unico motivo che ha determinato il testatore a testare.
Tra le condizioni illecite è quella che subordini l’attribuzione alla circostanza che il bene ciario
contragga matrimonio o quella che impedisce le prime nozze o le ulteriori.
È valido il legato diretto ad assicurare un aiuto nanziario per il periodo di celibato o della
vedovanza, senza contenere un divieto dei nozze.
Il termine si considera come non apposto ad una disposizione a titolo universale, perché semel
heres sempre heres.
L’onere o modus è un elemento accidentale che può essere apposto ai negozi gratuiti e consista
nell’imposizione all’erede o al legatario, dell’obbligo di esercitare una determinata prestazione.
Esso dunque condiziona gli e etti dell’atto: l’erede gravato da onere è erede solo perché abbia
accettato l’eredità, indipendentemente all’adempimento dell’onere.
La giurisprudenza ritiene valido il testamento contenente un obbligo modale, concependola il
testatore come una chiamata ex lege dell’obbligato.
Qualsiasi interessato può agire per l’adempimento dell’onere; in caso di inadempimento, la
risoluzione della disposizione testamentaria si veri ca 1) solo se sia stata espressamente
prevista dal testatore o 2) se emerga che l’onere costituisce motivo determinante, ossia la sola
ragione che ha indotto il testatore a compiere la disposizione.
TESTAMENTO OLOGRAFO
Il testamento olografo costituisce la forma più semplice e più riservata all’espressione della
volontà del testatore.
Esso deve essere 1) scritto per intero + 2) datato + 3) sottoscritto di pugno dal testatore
L’autogra a consiste nel fatto che il testamento sia scritto integralmente dalla mano del
testatore, a garanzia dell’autenticità dell’espressione di volontà. Non basterebbe che lo scritto
fosse scritto a macchina o a stampa, anche se con sottoscrizione -> non si sa se il testatore
abbia letto quanto è scritto a macchina o a stampa.
Anche una lettera che contenga i requisiti indicati può valere come testamento -> occorre tuttavia
dimostrare che chi li ha scritti avesse l’e ettiva ed attuale volontà di disporre dei propri beni,
escludendo che si tratti di una semplice manifestazione della volontà di compiere in futuro un
testamento.
È valido anche il testamento olografo formato su fogli in cui il testatore avesse scritto i suoi
appunti per le disposizioni di ultima volontà, se vengono aggiunte espressioni che rilevino la
volontà di imprimere all’atto carattere di testamento (“Voglio che questo sia il mio testamento”).
L’autogra a viene meno nel caso di collaborazione gra ca di un terzo che sorregga o guidi la
mano del testatore, impedito da paralisi -> nullità.
È valida invece la collaborazione intellettuale di un terzo, sempre che l’atto sia ricopiato di
pugno e sottoscritto dal testatore (es. consulenza di un notaio).
Il testamento olografo è una scrittura privata, che dunque fa prova solo contra stipulatorem.
In caso di disconoscimento della sottoscrizione (es. da parte dell’erede legittimo), l’onere della
prova dell’autenticità della scrittura privata incombe su chi intende far valere un diritto per
testamento -> è l’erede legittimo o l’erede testamentario di un precedente testamento, poi
revocato, a dover provare la natura apocrifa del testamento.
La data consiste nell’indicazione del giorno, del mese e dell’anno in cui il testamento è
stato scritto.
Essa può essere apposta al principio o alla ne delle disposizioni, prima o dopo la sottoscrizione.
Se il testamento consta in più fogli, non è richiesto che la data sia apposta su ciascun foglio
separato.
Non è necessaria l’indicazione dell’ora.
La data serve ad accertare che:
• Il testatore era capace il giorno in cui il testamento è stato formato
• Quale sia il testamento posteriore, nel caso di più testamenti successivi
Tuttavia, la data è richiesta anche se nel caso concreto non sia necessario risolvere queste
questioni -> la sua mancanza determina l’annullabilità dell’atto.
Secondo la giurisprudenza, tuttavia, il testamento olografo privo di data non è invalido, se la data
non serve a risolvere una questione per cui essa assuma rilevanza.
Si ammette che la data incompleta possa essere integrata con elementi desunti dalla stessa
scheda.
Qualora la data sia stata apposta da terzi, il testamento è nullo, poiché viene meno l’autogra a
dell’atto.
Se la data risulti cancellata o interlineata, il testamento è annullabile, dovendosi considerare
privo del requisito della data.
Potrebbe accadere che la data sia stata apposta, ma che in realtà l’atto sia stato compiuto in una
data diversa, qualora emergano delle questioni in cui la data assuma rilevanza (es. si sostiene che
il testamento fu scritto in un’epoca in cui il testatore era incapace)
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La falsità della data non produce di per sé l’annullabilità del testamento, qualora essa sia
intenzionalmente anticipata o posticipata dal testatore.
Se la data è erronea od impossibile (es. 31 febbraio) può essere retti cata dal giudice in base
da elementi desumibili dal solo testamento, perché si ritiene che l’errore della data derivi da
distrazione del testatore.
TESTAMENTO PUBBLICO
Per ciò che riguarda la presenza di testimoni, la legge prescrive che siano due.
La funzione dei testimoni è:
1. Garantire che la dichiarazione provenga dal testatore
2. Che il notaio non abbia in uenzato il testatore
3. Che la volontà del testatore sia stata fedelmente prodotta nell’atto
4. Lettura dell’atto al testimone
5. Sottoscrizione
6. Data
7. Menzione dell’osservanza delle formalità enunciate
Dunque, non è possibile rinunciare alla loro presenza.
Se il testatore, oltre che muto o sordomuto, è anche analfabeta occorrono quattro testimoni.
La redazione per iscritto del testamento deve avvenire da parte del notaio; la
scritturazione può essere fatta da un amanuense o da un dattilografo, da uno dei testimoni o
dallo stesso testatore, a guida del notaio.
Il codice non richiede che la riduzione in iscritto sia fatta con la presenza di due testimoni.
Da ciò si desume che il notaio possa predisporre l’atto giusta la volontà manifestatagli
precedentemente, dando poi lettura dell’atto -> non è necessario che il ricevimento delle
dichiarazioni e la confezione della scheda avvengano in un unico momento temporale.
Non basterebbe però la semplice lettura fatta dal notaio, con approvazione da parte del testatore
mediante monosillabi o gesti
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La lettura dell’atto al testatore e ai testimoni ad opera del notaio serve a garantire il
controllo diretto del testatore sulla corrispondenza dell’atto alla volontà.
La sottoscrizione deve essere apposta 1) dal testatore + 2) dai testimoni + 3) dal notaio.
Se il testatore non può sottoscrivere (perché analfabeta, impedito, o può farlo solo con grave
di coltà) deve dichiarare la causa dell’impedimento e il notaio deve menzionare questa
dichiarazione prima della lettura dell’atto.
Se la parte è analfabeta, non è ammesso croce-segno.
La dichiarazione del testatore di non essere in grado di sottoscrivere il documento, ha valore solo
se egli non sappia o non possa sottoscrivere; in caso contrario, la dichiarazione deve essere
interpretata come un ri uto a sottoscrivere e ciò determina l’invalidità del testamento.
La menzione dell’osservanza delle formalità enunciate, richiesta perché l’atto possa far
fede che dette formalità siano state osservate, no a querela di falso.
Se una delle formalità fosse stata adempiuta, ma mancasse la menzione, l’atto sarebbe invalido.
TESTAMENTO SEGRETO
La scheda può non essere autografa, a di erenza dell’olografo: dunque, può essere scritta da
un terzo con mezzi meccanici.
Per questo motivo, il testamento segreto può essere redatto anche da chi non sappia scrivere.
È essenziale che il testatore sappia o possa leggere, altrimenti non può fare il testamento
segreto, ma può solo servirsi del testamento pubblico.
Essa deve essere sottoscritta dal testatore, se sappia scrivere; se il testatore non sa scrivere,
deve essere fatta menzione nell’atto di ricevimento della causa che gli abbai impedito di
sottoscrivere.
Le la scheda è scritta in tutto o in parte con mezzi meccanici, la sottoscrizione deve essere
riprodotta in ciascun mezzo foglio.
Non occorre che sia apposta la data, poiché la data del testamento segreto è quella dell’atto di
ricevimento.
Il testamento segreto può essere ritirato in ogni tempo dalle mani del notaio: il ritiro importa la
revocazione del testamento, a meno che esso non possa valere come olografo.
Anche il testamento olografo può essere conservato da un notaio o da un pubblico archivio, per
essere custodito -> in tal caso, l’intervento del pubblico u ciale si limita al ricevimento del
documento, senza che vengano assolte le formalità del testamento segreto.
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TESTAMENTO INTERNAZIONALE
La L novembre 1990 ha rati cato alla Convenzione di Washington ed individua nei notai i soggetti
autorizzati a ricevere i testamenti internazionali.
Prima di detta legge, era complesso individuare la legge applicabile alla forma di testamento e
dunque valutare se il testamento potesse corrispondere alle prescrizioni della legge applicabile.
Dall’entrata in vigore della L novembre 1990, se il testamento è stato redatto secondo le previsioni
per il testamento internazionale, l’indagine è volta solo ad accertare che lo Stato in cui la legge è
applicabile abbia aderito alla convenzione.
Naturalmente, la convenzione in discorso riguarda solo la forma del testamento, non avendo
incidenza alcuna sui problemi relativi alla capacità del testatore, alla validità delle disposizioni,
ecc.
TESTAMENTI SPECIALI
Le forme talora minuziose dei vari tipi di testamento comportano che in particolari circostanze
non sia possibile o agevole ricorrere al notaio (es. malattie contagiose, calamità naturali,
testamenti dei militari, navi od aeromobili).
Questi testamenti perdono in genere la loro e cacia 3 mesi dopo la cessazione della causa che
ha impedito al testatore di valersi delle forme ordinarie o dopo che il testatore sia venuto a trovarsi
in un luogo in cui è possibile fare testamento nelle forme ordinarie.
I principi generali sull’invalidità del negozio giuridico, analizzati in tema di contratto, subiscono
modi cazioni in vista del favor testamenti, ossia per favorire la conservazione degli e etti del
testamento, che costituisce l’estrema manifestazione della volontà e della personalità individuale.
Per quanto concerne i vizi di forma, bisogna ricordare che la forma richiesta ad substantiam
richiederebbe la nullità insanabile ed imprescrittibile.
Tuttavia, il legislatore ha ritenuto che è opportuno distinguere fra:
• Mancanza di elementi senza i quali non vi è certezza della provenienza del documento
dalla persona cui si vuole attribuirlo (es. difetto di autogra a o di sottoscrizione nel
testamento olografo; difetto della redazione per iscritto da parte del notaio delle dichiarazioni
del testatore) -> nullità assoluta ed imprescrittibile
• Inosservanza delle altre formalità prescritte -> annullabilità assoluta, ossia deducibile da
chiunque ne abbia interesse, soggetta a prescrizione di 5 anni da giorno in cui è stata data
esecuzione al testamento
L’ART 590 cc ammette che vi possa essere una sanatoria del testamento nullo, derogando la
regola per cui la nullità è insanabile, per il rispetto del favor testamenti.
Se, infatti, gli eredi o i successibili legittimi del testatore che avrebbero potuto far valere la nullità,
abbiano prefetto rispettare la volontà del defunto, non è opportuno garantire ad essi la possibilità
di un ripensamento e far dichiarare nullo il negozio.
Dunque, la conferma o l’esecuzione volontaria sana la nullità, purché fatta con la
consapevolezza della nullità. Questa deve provenire da tutti i soggetti legittimati a far valere la
nullità.
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La sanatoria può potenzialmente operare per qualunque causa di nullità, compreso il
testamento nuncupativo (verbale).
Tuttavia, la sanatoria non può operare per le disposizioni illecite, perché l’ordinamento non può
dar valore in nessun caso al negozio contrario all’ordine pubblico o al buon costume.
L’esecuzione volontaria, inoltre, non preclude la possibilità di impugnare il testamento, se se ne
assume addirittura la falsità.
La revocazione espressa può farsi con: 1) atto che abbia gli stessi requisiti formali
richiesti per il testamento, indipendentemente che nell’atto sia solo manifestata la volontà di
revocare il testamento precedente + 2) con un apposito atto notarile, destinato solo alla revoca.
Il ritiro del testamento segreto comporta la revocazione dello stesso, a meno che esso non
possa valere come olografo.
Analogamente, si presume iuris tantum la revoca del legato se il testatore alieni o trasformi
successivamente alla disposizione la cosa che forma oggetto del legato.
In ne, sia per le disposizioni a titolo universale, sia per le disposizioni a titolo particolare fatte al
tempo di chi al momento del testamento non aveva o ignorava di avere gli sono revocate ipso
iure ( glio postumo + adottivo + nato fuori dal matrimonio).
Secondo l’opinione tradizionale, la ratio di questa disposizione è da scorgersi nella tutela dei gli
o discendenti, nella considerazione che il testatore non avrebbe disposto dei propri beni in quel
modo, se avesse saputo di avere o poter avere gli.
Dunque, la revoca non ha luogo nel caso in cui il testatore abbia contemplato nel testamento il
caso dell’esistenza di gli, anche limitandosi a lasciare loro la legittima.
Inoltre, la giurisprudenza ha anche a ermato che la revocazione opera anche quando il decuius
riconosca un glio in sede di testamento, senza volerlo riconoscere in vita e sia intervenuta
post mortem la dichiarazione di paternità.
La revoca di un testamento può essere a sua volta revocata determinando la reviviscenza delle
volontà revocate, a condizione che la revoca della revoca sia fatta in forma espressa.
La revoca della revoca non fa rivivere il primo testamento, solo se si provi la non volontarietà
della cancellazione e distruzione.
-> es. infatti, la cancellazione integrale di un testamento che revochi un testamento precedente, fa
rivivere il primo.
Durante la vita del testatore, evidenti ragioni raccomandano di non divulgare il testamento, che
dunque non può né essere reso pubblico, né prodotto in giudizio.
Morto il testatore, si procede con la pubblicazione del testamento olografo e di quello segreto,
a nché sia possibile la conoscenza del suo contenuto.
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La pubblicazione avviene ad opera di un notaio e può essere richiesta da chiunque ne abbia
interesse.
È fatto l’obbligo a chiunque sia in possesso del testamento olografo di presentarlo al notaio dopo
la morte del testatore, per la pubblicazione.
Chiunque ne abbia interesse, può richiedere la ssazione di un termine per la presentazione
dell’olografo e per l’apertura o la pubblicazione del testamento segreto, facendo ricorso al
tribunale del circondario del luogo dove si è aperta la successione.
La pubblicazione non costituisce un requisito per la validità o per l’e cacia del testamento, ma è
indispensabile se 1) se ne voglia pretendere il rispetto o 2) per produrlo in giudizio.
Il testatore può nominare uno o più esecutori testamentari (ART 700 cc).
Può essere esecutore anche un erede o legatario, cui è richiesta la capacità di obbligarsi ->
capacità d’agire.
L’esecutore ha compito di curare che siano esattamente eseguite le disposizioni di ultima volontà
del decuius.
L’accettazione dell’incarico deve avvenire con dichiarazione fatta nella cancelleria del tribunale
del luogo dove si è aperta la successione.
Di regola, l’esecutore ha il possesso per non oltre 1 anno dei beni ereditari e deve
amministrarli come il bonus pater familias. Egli è legittimato ad esperire le azioni possessorie,
ma non può impugnare atti che abbia compiuto il testatore in vita -> i poteri dell’esecutore si
limitano alla conservazione dei beni relitti.
L’esecutore può alienare i beni qualora sia necessario (es. perché la custodia risulta molto
onerosa), previa autorizzazione del giudice.
Nel caso in cui commetta gravi irregolarità nell’espletamento delle sue funzioni, egli può essere
esonerato dell’autorità giudiziaria, su istanza di qualsiasi interessato.
Al termine del suo u cio, l’esecutore deve rendere conto della gestione e consegnare i beni
all’erede.
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La dottrina ritiene che si tratti di un u cio di diritto privato, ma che il testatore possa stabilire
una retribuzione a carico dell’eredità.
In ogni caso, le spese sostenute sono a carico dell’eredità.
Il testatore può anche attribuire all’esecutore che non sia erede o legatario l’incarico di procedere
alla divisione dell’eredità.
LEGATO
Il legato è una disposizione a titolo particolare che non comprende dunque l’universalità o la
quota di beni del testatore.
L’essenza del legato consiste in un’attribuzione patrimoniale relativa a beni o diritti determinati,
che normalmente porta ad un bene cio economico alla persona designato dal testatore.
Tuttavia, l’attribuzione di un vantaggio economico può mancare in alcuni tipi di legato, come nel
legato di debito.
-> il legato è fatto per soddisfare il creditore di un debito preesistente, che non implica un
incremento del patrimonio del creditore
Inoltre, il legato può essere gravato da un onere, che potrebbe esaurirne completamente il valore.
Il legato è di regola:
• Disposto per testamento
• Derivante dalla legge (es. assegno vitalizio a favore dei gli naturali non riconoscibili)
Si dice onerata la persona che è tenuta alla prestazione oggetto del legato.
Tale persona può essere sia un erede, sia un altro legatario, che prende il nome di sublegato.
La posizione del legato si distingue da quella del bene ciario di un modo od onere, che
anch’esso dà luogo ad una limitazione all’attribuzione a favore dell’erede.
• Legatario: diretto successore del decuius, ancorché a titolo particolare
• Bene ciario di un onere: acquista un diritto nei confronti dell’erede o del legatario, che sono
gravati dall’obbligo di adempiere ad un modus.
Oggetto del legato può essere il diritto di proprietà o anche altro diritto reale su cosa determinata
(-> legato di specie) o di cosa determinate nel solo genere ( -> legato di genere).
È dunque necessario distinguere:
• Legatario di cosa di specie: diviene immediatamente proprietario della cosa determinata
• Legatario di cosa di genere: dà luogo ad un rapporto obbligatorio: il legatario è un creditore
dell’erede, che è obbligato alla prestazione che costituisce oggetto del legato -> avendo
carattere obbligatorio, esso è valido anche se nessuna cosa appartenente al genere considerato
fa parte del patrimonio ereditario: dunque l’onerato sarà tenuto ad acquistare il numero o la
quantità di cose stabilita dal testatore per pagare il legato.
La distinzione fra legato di specie e legato di genere trova le sue radici nel diritto romano:
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• Legato per vindicationem: legato di specie, in cui la proprietà viene trasferita immediatamente
• Legato per danmationem: legato di genere, che attribuisce al legatario un diritto di credito
verso l’erede, che ha la dannato ad eseguire la prestazione.
Nell’ordinamento odierno, tale distinzione si basa sull’oggetto, mentre nel diritto romano
dipendeva dalla formula utilizzata per costituire il legato.
Se il legato è di specie, l’acquisto del legato avviene ipso iure al momento della morte del
testatore -> il legatario deve però domandare alla persona onerata il possesso della cosa
attribuitagli.
Legato di cosa altrui: può incontrarsi nel legato di specie. In quest’ultimo caso, la
proprietà o il diritto reale appartenevano al decuius e produce un automatico e etto reale a favore
del legatario, salvo rinuncia.
Se, però, la cosa appartiene a terzi o allo stesso onerato, bisogna distinguere se:
- Il testatore ignorava che la cosa non era sua -> legato nullo, perché nemo plus iuris
transferre potest quam ipse habet
- Il testatore conosceva che la cosa apparteneva ad altri -> il legato se non può avere e etti
reali, avrà e etti obbligatori. La conoscenza del testatore dell’altruità della cosa induce a
pensare che egli volesse obbligare l’onerato ad acquistare l’oggetto del legato e a trasferirlo al
legatario.
In previsione del fatto che il terzo non voglia alienare la cosa o pretenda un prezzo eccessivo, la
legge consente all’onerato di liberarsi pagando il giusto prezzo -> obbligazione semplice con
facultas solutionis.
Legato di credito: Tizio ha un credito verso Caio e lo lascia in legato a Sempronio. Alla
morte di Tizio si veri ca una successione particolare di credito, analogamente a quanto avviene
per e etto della cessione con atto inter vivos.
Legato alimentare: l’onerato è tenuto alle prestazioni indicate dall’ART 438 cc.
DIVISIONE DELL’EREDITA
Se l’eredità è acquistata da più persone, si forma tra i beni dei coeredi una comunione, che
investe tutti i beni relitti.
Alla comunione si applicano le regole stabilite in generale per la comunione (ARTT 1100 ss cc).
Tuttavia, mentre nella comunione ordinaria ciascun partecipante può liberamente alienare la
propria quota, nella comunione ereditaria i coeredi hanno diritto di prelazione sulla quota che un
altro coerede intenda alienare.
Dunque, il coerede che voglia alienare la propria quota è tenuto a noti care la proposta di
alienazione agli altri coeredi, indicandone il prezzo; entro 2 mesi gli altri coeredi devono decidere
se acquistare la quota o se lasciare che il coerede alienanti la venda a terzi.
Se viene omessa la noti cazione, potrà essere esprima contro il coerede alienante il retratto
successorio, in virtù della ius retractionis, con cui gli altrui coeredi possono riscattare (ottenere
per essi) la quota, sostituendosi all’acquirente nel negozio di alienazione e versando il prezzo
pagato da quest’ultimo.
Attraverso lo ius retractionis è dunque concesso ai coeredi di esercitare il loro diritto potestativo di
procedere all’esecuzione coattiva in forma speci ca del diritto di prelazione violato.
Poiché il retratto successorio può essere esercitato nei confronti di terzi acquirenti, esso ha
e cacia reale.
Il diritto di prelazione opera quando l’oggetto di vendita sia la quota dell’eredità dell’alienante,
intesa come porzione dell’universum ius defuncti: tuttavia, se il coerede aliena la quota indivisa
dell’unico cespite ereditario, si presume l’alienazione della sua quota, e perciò i coeredi possono
esercitare il retratto successorio.
Il retratto può essere esercitato nché non sia sciolta la comunione; se sono state compiute
operazioni divisionali parziali, tali da far residuare singoli beni, in relazione a questi ultimi potrebbe
con gurarsi una comunione ordinaria, rendendo non applicabile il retratto successorio.
DIVISIONE
La comunione cessa con la divisione, per e etto della quale ciascun soggetto ottiene la titolarità
esclusiva sui singoli beni o parti di essi, corrispondente al valore della quota spettante nello
stato di indivisione.
La regola generale per la comunione ereditaria (ART 713 cc) è che ogni coerede può domandare
la divisione, principio derogabile:
• Dalle parti, pattuendo che rimangano in comunione per non più di 10 anni
• Dal testatore che disponga:
- Se ci sono gli minori -> l’eredità resti indivisa no a 1 anno dopo del compimento della
maggiore età dell’ultimo nato
- Se non ci sono gli minori -> l’eredità resti indivisa per 5 anni
Può accadere che l’immediato scioglimento della comunione possa pregiudicare gli interessi di un
coerede: è per questo stabilito il potere al giudice di poter dilazionare per non più di 5 anni lo
scioglimento.
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La pendenza di un giudizio sulla liazione costituisce un impedimento alla divisione (es.
dichiarazione giudiziale sulla genitorialità / disconoscimento / reclamo / …) di colui che sarebbe
chiamato a succedere, se vi è un esito favorevole al giudizio.
Una disposizione particolare è dettata in tema di diritto patrimoniale d’autore, per cui è disposto
che il diritto di utilizzazione dell’opera deve rimanere indiviso fra gli eredi per 3 anni a partire
dalla morte dell’autore, salvo che non sia diversamente disposto.
L’autorità giudiziaria può consentire che la divisione si e ettui anche prima, qualora sussistano dei
gravi motivi.
Inoltre, se uno dei coeredi ha compiuto atti di disposizione della propria quota, sciolta dalla
comunione, gli e etti di tali atti non possono incidere sulle quote degli altri coeredi, ma si
producono direttamente sui beni a lui assegnati.
Se ad uno degli eredi viene assegnato l’unico immobile indivisibile compreso nella comunione
ereditaria, ed all’altro erede è attributo il diritto al conguaglio in denaro, l’acquisto della proprietà
a favore di uno non è subordinato al pagamento del conguaglio: non si tratta di un contratto a
prestazioni corrispettive, dunque non sono applicabili né la risoluzione per inadempimento, né
l’exceptio inadimpleti contractus.
Regole particolari sono costituite in caso di costituzione d’ipoteca da parte di uno dei coeredi
sui beni indivisi:
- L’ipoteca costituita da uno dei partecipanti produce e etto sui beni o sule porzioni di beni che
sono stati a lui assegnati in sede di divisione
- Se il coerede abbia iscritto un’ipoteca su uno speci co bene ereditario e in sede di divisione gli
siano stati assegnati dei beni diversi da quello ipotecato, si veri ca il trasporto d’ipoteca:
l’ipoteca viene trasferita sui beni e ettivamente assegnati ai coeredi, con il grado derivante
dall’originaria trascrizione, purché l’ipoteca sia nuovamente iscritta entro 90 giorni dalla
trascrizione -> deroga al principio della specialità dell’ipoteca.
I creditori iscritti o coloro che hanno acquistato diritti su un immobile facente parte della
comunione in virtù di atti trascritti prima della divisione, devono essere chiamati ad intervenire
nella divisione, perché questa abbia e etto nei loro confronti.
DIVISIONE CONTRATTUALE
Se il contratto di divisione riguarda beni immobili, deve essere fatta la forma scritta ad
substantiam (ART 1350 cc) e il contratto è soggetto a trascrizione.
Se per errore sono stati omessi alcuni beni, si può rimediare con il supplemento di divisione.
Se vi è stato un errore sulla stima dei beni, si può procedere con la rescissione per lesione.
Quest’azione si distingue da quella prevista per i contratti, poiché:
• Escluso il pro lo soggettivo -> non si richiede appro ttamento dello stato di bisogno ->
basta la constatazione oggettiva che la porzione assegnata ad uno dei condividenti non
corrisponde al valore della quota
• Il valore della parte assegnata deve essere inferiore di oltre 1/4 al valore della quota
• La rescissione della divisione per lesione si prescrive in 2 anni (mentre la rescissione per
lesione nel contratto si prescrive in 1 anno)
L’azione di rescissione per lesione può essere applicata ad ogni contratto che abbia per e etto la
cessione della comunione ereditaria.
Il contraente contro cui è esperita l’azione di rescissione per lesione può evitarla dando il
supplemento della porzione ereditaria:
- In danaro -> commisurato al valore dei beni ereditari all’o erta e non al momento della divisione
- In natura
DIVISIONE GIUDIZIALE
Il giudizio di divisione può essere promosso da ciascuno dei coeredi, per ottenere lo scioglimento
della comunione ereditaria.
Ai ni della divisione si procede dapprima alla stima dei beni, poi alla formazione delle porzioni.
Si ricordi che ciascuno dei coeredi ha diritto ad una parte in natura di beni mobili ed immobili
dell’eredità.
Tuttavia non sempre questa norma può essere rigorosamente applicata -> vi sono beni
indivisibili, 1) perché indivisibili per loro natura o 2) perché la divisione non è opportuna
nell’interesse della pubblica economia e dell’igiene -> questi beni possono essere compresi nella
porzione di uno dei coeredi o di più coeredi che siano disposti a continuare rispetto alla
comunione, sono venduti all’incanto e il denaro ricavato è diviso fra i coeredi.
Se le porzioni che vengono formate con i beni in natura non corrispondono esattamente al valore
delle quote ereditarie, chi ha avuto la porzione di valore eccedente è tenuto a pagare agli altri il
conguaglio (= la di erenza in denaro).
A garanzia del conguaglio viene posta un’ipoteca legale su detto bene, detta ipoteca del
condividente, che è iscritta d’u cio al conservatore dei registri immobiliari al momento della
trascrizione dell’atto di divisione.
La stima dei beni per la formazione delle quote nella divisione ereditaria deve farsi con
riferimento al loro stato e al valore venale al tempo della divisione.
Formate le porzioni secondo un progetto predisposto dal giudice o dal notaio delegato dal giudice
al compimento di dette operazioni o di entrambi si procede con:
• Estrazione a sorte all’assegnazione, se le quote sono uguali
• Attribuzione, se le quote sono diseguali
Sotto il codice abrogato era attribuita all’ascendente la facoltà di dividere per atto inter vivos; nel
codice vigente, però, si è esclusa la possibilità di fare una divisio inter vivos.
Ad ogni testatore, oggi, è riconosciuta la facoltà di poter eseguire la divisione nel testamento tra
gli eredi, attraverso la formazione delle porzioni, comprendendo nella divisione anche la parte non
disponibile, impedendo così il costituirsi della comunione ereditaria.
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È nulla la divisione, se il testatore non abbia compreso qualcuno dei legittimari o degli eredi
istituiti:
• Prima di acquisire la qualità di erede esperendo vittoriosamente l’azione di riduzione
• Poi, chiedere la nullità della divisione operata dal testatore
Naturalmente, se il testatore nel fare le divisioni lede la quota legittima, potrà essere esprima
l’azione di riduzione dal coerede leso.
Secondo la dottrina la divisione del testatore non è una vera e propria divisione, poiché la
comunione non sorge neppure ed anzi viene impedita dal testatore.
In sostanza, il testatore non fa che assegnare dei beni determinati: l’indicazione di beni
determinati non fa venir meno il carattere universale della disposizione, se risulta che il testatore
abbia voluto assegnare i beni come quota del patrimonio e non come res individuate. Ciò si
accerta con un’interpretazione del testamento.
I debiti e i pesi ereditari devono essere sopportati da ciascuno dei coeredi, in proporzione della
propria quota di eredità, salvo che il testatore non abbia disposto diversamente.
Questa regola vale:
- Nei rapporti interni -> il coerede che abbia pagato per intero il debito ha diritto di regresso nei
confronti degli altri
- Nei rapporti esterni, di fronte al creditore -> ciascun creditore del decuius non può pretendere
dal singolo coerede più di quanto proporzionalmente è imputabile alla sua quota ereditaria, a
meno che non si tratti di un’obbligazione indivisibile. In caso di insolvenza di uno dei coeredi,
manca il vincolo di solidarietà, dunque l’inadempienza non può essere invocata anche
dinnanzi agli altri, poiché debita hereditaria ipso iure dividuntur.
Peraltro, per i debiti ipotecari così non accade: il creditore può pretendere l’intero su un bene
che gli è stato assegnato in ipoteca, in virtù dello ius sequeli.
Inoltre, sempre nel caso di debiti ipotecari, la quota di debito ipotecario del coerede insolvente
viene ripartita in proporzione a tutti gli altri, sicché il rischio che il creditore rimanga insoddisfatto è
diminuito.
Il coerede che abbia pagato l’intero potrà agire in regresso contro gli altri coeredi, solo nei limiti in
cui ciascuno degli altri è tenuto al pagamento dei debiti ereditari, restando dunque a suo carico
l’eventuale insolvenza di uno dei coeredi.
Se un terzo assume che il decuius non era proprietario di uno o più beni compresi nella porzione
attribuita in eredità, questo è costretto a lasciare i beni richiesti, vendendo però a mancare la
corrispondenza con la quota ereditaria.
Per questo motivo il danno non è subito solo dalla persona in cui era stato assegnato proprio il
bene oggetto dell’evizione, ma viene ripartito tra tutti i coeredi che sono tra loro tenuti alla
garanzia per evizione.
COLLAZIONE (!!!!)
Se il decuius in vita ha fatto delle donazioni in 1) ai gli 2) ai loro discendenti 3) al coniuge la
legge presume che il defunto non abbia voluto alterare il trattamento che egli ha stabilito per
testamento o che è disposto dalla legge in caso di successione ab intestato, ma solo attribuire ai
donatari un anticipo sulla futura successione.
Per questo motivo, i beni donati devono essere compresi o conferiti nella massa attiva del
patrimonio, per essere divisi tra i coeredi in proporzione delle quote spettanti a ciascuno.
La ratio della collazione consiste nel mantenere tra i discendenti e il coniuge o l’unito civilmente la
proporzione stabilita nel testamento o ex lege.
La giurisprudenza richiede che sia instaurata la comunione ereditaria perché possa operare la
collazione.
Tale disciplina ha carattere dispositivo: dunque la collazione non opera, qualora il decuius abbia
disposto la dispensa alla collazione (espressa o tacita), prevedendo diversamente (ART 737 cc)
Non sono soggette a collazione 1) le spese ordinarie fatte dal padre a favore del glio, che
rappresentano l’adempimento di un obbligo e non di una liberalità + 2) le donazioni di modico
valore fatte al coniuge.
È invece soggetto a collazioni ciò che il padre defunto abbia speso per le assegnazioni fatte a
causa del matrimonio o per avviarli nell’esercizio di un’attività.
I frutti delle cose donate e gli interessi delle somme soggette a collazione sono dovuti dal giorno
in cui si è aperta la successione.
Si esclude che debbano essere consegnati anche quelli anteriori alla collazione, poiché si
presume che sarebbero stati ugualmente consumati dal decuius se non avesse fatto la donazione,
dunque ugualmente non sarebbero pervenuti agli eredi.
Per i beni mobili, la collazione si fa solo per imputazione: di regola, il valore è quello che il bene
aveva al tempo dell’apertura della successione.
Un particolare problema si poneva nel caso in cui un genitore in vita aveva pagato del denaro
proprio per il prezzo di un bene immobile acquistato dal glio, attuando una donazione indiretta.
Aperta la successione e con l’esercizio della collazione, ci si domandava se oggetto della
collazione fosse l’immobile o il denaro.
La questione aveva importanti risvolti pratici, dato che:
- Immobile -> il donatario deve imputare alla propria quota il valore del bene all’apertura della
successione
- Denaro -> il donatario è tenuto a portare alla collazione l’importo ricevuto, che è considerato
debito di valuta e dunque esposto agli e etti della svalutazione
La giurisprudenza ha a lungo considerato che oggetto della collazione fosse il denaro;
recentemente, però, si è ritenuto che oggetto della collazione fosse l’immobile.
Infatti, oggetto della collazione sarebbe stato il denaro, se il genitore avesse messo a disposizione
del glio una somma di denaro, a nché acquistasse l’immobile; però, dal momento che il
genitore ha impiegato il denaro per acquistare l’immobile, volendo donare proprio l’immobile e
non il denaro, oggetto della collazione è l’immobile.
DONAZIONI
La donazione è un contratto bilaterale (ART 769 cc): stante la struttura liberale del negozio, è
necessaria infatti l’accettazione del donatario.
L’accettazione non è necessaria solo in ipotesi di donazione obnuziale.
La donazione è trattata nel VI Libro del Codice civile insieme alle successioni, per analogie con il
regime delle successioni testamentarie e perché molto spesso vengono fatte mortis causa.
La donazione è il contratto con cui una parte, per spirito di liberalità, arricchisce l’altra o dispone a
suo favore un diritto o assume un’obbligazione (che comunque è un’obbligazione di dare e non di
facere).
Elementi caratterizzanti del contratto bilaterale di donazione sono 1) liberalità + 2) arricchimento
Lo spirito di liberalità o animus donandi è la causa del contratto, determinata dal fatto
che il donante non intenda ricevere alcun corrispettivo, che non si identi ca con il motivo (es.
dono per vanità o per ingraziarmi l’animo di una persona).
Pertanto, rientra nello schema del contratto di donazione la donazione remuneratoria, che deve
rivestire la forma scritta ad substantiam, ossia la liberalità fatta:
• Per riconoscenza (es. a colui che mi ha salvato da un pericolo)
• In considerazione dei meriti del donatario (es. all’uomo di cultura)
• Per speciale remunerazione (es. come segno di speciale apprezzamento dei servizi resi in
precedenza dal donatario al donante)
Essa dunque implica la considerazione di un qualche pro lo di riconoscenza -> fa lo scheletro
dello spirito di liberalità: esso non è sospetto, c’è una causa diversa dalla liberalità in fondo,
sebbene comunque il pro lo causale donativo sia prevalente. Ai ni della collazione è valido.
La donazione remuneratoria è pur sempre una donazione, non sono invece donazioni:
- Liberalità che si vuole fare in occasione di servizi resi (es. grati che ai dipendenti, regalo al
professionista che abbia prestato la propria opera)
- Liberalità elargite in conformità agli usi (es. regali agli amici per le feste)
L’arricchimento consiste nell’incremento del patrimonio del donatario.
L’arricchimento può realizzarsi
• Disponendo di un diritto (es. trasferendo al donatario il diritto stesso)
• Assumendo un’obbligazione nei confronti del donatario che consista in un dare (es. non
rimango vincolato se mi impegno a restaurare senza corrispettivo un edi cio, perché consiste in
un facere)
La donazione rientra nella categoria dei negozi a titolo gratuito: tuttavia, l’assenza di
corrispettivo non implica per forza l’arricchimento dell’altra parte (elemento essenziale nel
concetto di donazione)
Il codice civile contempla infatti alcuni contratti tipici diversi dalla donazione, che sono o
possono essere a titolo gratuito; queste però non implicano per forza la liberalità, ma
potrebbero trovare giusti cazione in un rapporto di cortesia (es. concedo un libro ad un amico) o
in un rapporto interessato dello stesso autore della prestazione (es. il gestore di un centro
commerciale organizza il trasporto gratuito per i potenziali clienti):
• Comodato, essenzialmente gratuito
• Mutuo
• Mandato
• Deposito
• Trasporto
A queste, se ne aggiungono altre che vengono individuate come gure di un negozio atipico, che
comporta l’esecuzione di attribuzioni o di prestazioni non remunerate, ma neppure giusti cate da
un intento liberale:
• Es. imprenditore che distribuisce gratuitamente i campioni del proprio prodotto
Esistono anche degli atti di liberalità che non integrano la gura della donazione, come la
donazione indiretta: si tratta di una liberalità attuata mediante un negozio diverso rispetto a
quello tipico.
Dunque, si può concludere precisando che la donazione è un negozio tipico a scopo di liberalità,
avente una propria struttura e disciplina determinata.
La donazione:
- Da un verso, non esaurisce i contratti gratuiti
- Dall’altro, non esaurisce neppure la categoria dei negozi inter vivos con scopo di liberalità
DONAZIONE INDIRETTA (!!!!!!)
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Lo scopo liberale di arricchire un’altra persona si può raggiungere mediante via diretta, con la
donazione, ma anche per via indiretta, avvalendosi dei negozi che hanno una causa propria
diversa da quella liberale.
-> es. per aiutare uno studente povero meritevole, gli pago le tasse universitarie: l’atto del
pagamento del debito altrui, la cui causa costaste nell’estinzione del debito, ma che avvantaggia
lo studente, come se gli donassi la somma necessaria per il pagamento delle tasse
-> es. il genitore paga con denaro proprio il prezzo per l’acquisto di un immobile da parte del glio
-> simile adempimento del terzo (ART 1180 cc) o all’accollo.
La donazione indiretta rientra dunque nella gura del negozio indiretto: si ha donazione indiretta
quando le parti per raggiungere l’intento di liberalità utilizzano uno schema negoziale diverso da
quello della donazione.
In caso particolare è quello del negotium mixtum cum donatione: perché si tratti di negotium
mixtum occorre che siano presenti le caratteristiche strutturali e morfologiche di entrambi i negozi
di vendita e di donazione:
- Vi è uno scambio di prestazioni, per cui la causa del corrispettivo tipica della vendita è
rispettata
- L’elemento di liberalità è ravvisabile in relazione alla parte di valore di scambio del bene non
remunerato al prezzo pattuito e pertanto donato all’acquirente
-> es. vendo per 100 ciò che vale 200, nell’intento di avvantaggiare l’acquirente: il prezzo di 100
non sarebbe il massimo ottenibile sul mercato, ma è comunque un corrispettivo. Il restante 100
che non incasso, è la parte donata all’acquirente.
Viceversa, qualora pur dicendo di voler vendere, l’alienante pattuisce con l’acquirente un prezzo
simbolico, si ha la vendita nummo uno. Non ha importanza se il prezzo venga versato o meno,
poiché è simbolico: si tratta di una donazione vera e propria, poiché il negozio difetta del prezzo,
tipico invece della vendita.
Il negotium mixtum cum donatione non ha nulla a che fare con la vendita dissimulante
donazione, perché in questo caso:
- Non vi è alcunché di ttizio
- Non esistono patti occulti o riservati
È bene precisare che nel negotium mixtum cum donatione occorrono due presupposti:
1. Sproporzione fra le due prestazioni
2. La sproporzione è voluta da colui che la subisce e lo scopo è di attuare una liberalità
Se mancasse la volontà di porre in essere in contratto sproporzionato nelle prestazioni con lo
scopo di una liberalità, l’alienante potrebbe agire con l’azione di rescissione per lesione e nei
negozi aleatori potrà redurre la mancanza dell’alea.
Il negotium mixtum cum donatione costituisce uno dei modi con cui si attua l’arricchimento di
altri in via indiretta.
Tuttavia, parte della dottrina ritiene che questo si inquadri tra i negozi misti, poiché la gratuità si
innesta sulla causa onerosa tipica della vendita.
Altri ancora ritengono che questo negozio rappresenti solo un motivo, che non altera l’onerosità
del negozio.
Risulta evidente che se in concreto non si ravvisa una donazione indiretta, il trasferimento in
modo informale di un diritto per spirito di liberalità sarà a etto da nullità.
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-> es. trasferimento degli strumenti nanziari mediante ordine impartito dalla banca del
disponente.
Tuttavia, si tratta pur sempre di una liberalità, volta all’arricchimento altrui e diminuisce il
patrimonio di chi la compie.
Dunque, il legislatore ha esteso a tale istituto alcune regole tipiche della donazione -> ART 809
cc “Norme sulla donazione applicabili ad altri atti di liberalità”.
In particolare, poiché con la donazione si può ledere la quota di legittima, sarà possibile
procedere con la collazione e con la riduzione.
Inoltre, la donazione è sottoposta a revocazione per ingratitudine o sopravvenienza di gli.
REQUISITI DI DISCIPLINA
Un’eccezione è fatta per le donazioni obnuziali, che seguono la regola habilis ad nuptias
habilis ad nuptiarum consequentias: dunque, le donazioni fatte nel contratto di matrimonio dal
minore o dall’inabilitato sono valide, purché fatte con l’assistenza di persone che esercitano la
responsabilità genitoriale o la tutela o la curatela.
Le persone giuridiche sono capaci di fare donazioni, se tale capacità è riconosciuta dal loro
statuto o dall’atto costitutivo e nei limiti del riconoscimento medesimo.
Del pari, sono valide le liberalità e le attribuzioni gratuite fatte da società commerciali a scopo
promozionale o di pubblicità o per consuetudine.
Per le liberalità consistenti in erogazioni di denaro compiute da società commerciali a favore della
tutela e del recupero o del restauro del patrimonio artistico e culturale o il nanziamento di studi o
altre iniziative di valore culturale ed artistico si può parlare di mecenatismo, che è peraltro
incentivato con appositi bene ci scali.
La rappresentanza del donante nella stipulazione dell’atto di donazione è sottoposta a dei limiti
precisi, poiché nell’atto di donazione si tende a dar rilevanza alla volontà del testatore, essendo la
donazione un atto personale. Essa dunque deve essere frutto della volizione esclusiva del
donante medesimo e non può essere rimessa al rappresentante.
È peraltro nullo il mandato a donare, cui voles o quae voles.
Parallelamente a ciò che è disposto per i legati, è consentito rimettere ad un terzo la scelta del
donatario tra determinate persone o l’oggetto fra più cose scelte dal donante: la deroga è
giusti cata dagli stretti limiti cui la facoltà di scelta può operare.
Poiché per la donazione è richiesto l’atto pubblico ad substantiam, anche la relativa procura a
donare deve rivestire la medesima forma.
La disciplina della donazione presenta delle analogie con il testamento, come accade per la
capacità di ricevere donazione.
È ammessa la donazione ai nascituri non concepiti, gli di una persona vivente al tempo della
donazione (come nel testamento).
Capaci di ricevere donazione sono anche le persone giuridiche e gli enti non riconosciuti,
essendo state rimosse le precedenti limitazioni alla piena capacitò ac acquistare per successione
e per donazione. Fino al 1996, infatti, le donazioni fatte a persone giuridiche avevano bisogno
dell’autorizzazione governativa (ART 17 cc, abrogato nel 1996). Inoltre, nell’ART 786 cc gli enti
non potevano accettare donazioni se non facevano istanza entro l’anno della donazione per
richiedere il riconoscimento della personalità giuridica.
A tutela degli incapaci, contro il rischio di abusi, è stabilito che questi non possano donare a
favore del tutore o del protutore.
Sono però valide le disposizioni testamentarie e le donazioni a favore di (ART 411 cc):
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• Amministratore di sostegno, che sia parente entro il quarto grado
• Coniuge
• Stabile convivente
In passato erano concepiti dei limiti alla capacità di ricevere donazione i derivanti da superate
concezioni dei rapporti familiari. Era infatti stabilita la nullità per le donazioni fatte a:
• Figlio naturale non riconoscibile, abrogata nel 1975
• Coniuge, dichiarata illegittima dalla Corte Costituzionale -> si riteneva giusto non turbare il
regime delle relazioni coniugali, che doveva essere basato solo sul reciproco a etto e non su
calcoli utilitaristici
Oggetto della donazione non può essere un bene futuro, salvo che si tratti di frutti pendenti, pena
nullità.
Non può infatti essere consentito che taluno si privi di una cosa che non è ancora venuta ad
esistenza.
La giurisprudenza aveva discusso sul divieto della donazione avente ad oggetto cosa altrui ->
non è normata dal codice -> lacuna.
Infatti, oggetto della donazione di cosa altrui non sarebbe un bene futuro, ma l’obbligazione
assunta dal donante di acquistare la cosa e trasmetterla al donatario -> ratio: prevenire atti
dispositivi compiuti con leggerezza.
Tuttavia, le Sezioni Unite nel 2016 ritengono ammissibile la donazione di cosa altrui, purché
l’altruità della cosa sia nota alle parti e risulti dal titolo, traducendosi in una donazione obbligatoria
di dare.
Se la donazione non è rivestita da forma solenne e il contratto dunque appaia come
immediatamente traslativo, questo risulterà nullo per difetto di causa.
La donazione universale, ossia di tutti i beni presenti, non è vietata: infatti, l’obbligo degli
alimenti a carico del donatario sopperirebbe ad un’eventuale indigenza da parte del donante.
La donazione richiede ad substantiam l’atto pubblico, sia che si tratti di mobili od immobili; è
indispensabile la presenza di due testimoni -> questo rigore formale è stabilito per indurre il
donante a ri ettere dell’atto che compie e che lo spoglia di un diritto senza alcun corrispettivo.
La giurisprudenza richiede ab substantiam l’atto pubblico con la presenza di due testimoni anche
per il negozio risolutivo della donazione.
Se la donazione ha per oggetto cose mobili, nell’atto deve essere contenuta la speci cazione
del loro valore.
La forma solenne non è richiesta per le donazioni aventi per oggetto cose mobili di modico
valore, che si perfezionano con la traditio, come avviene per le donazioni manuali, annoverata
per questo motivo fra i contratti reali.
La modi ca del valore deve essere valutata in rapporto anche alle condizioni economiche del
donante.
La donazione obnuziale è un particolare tipo di donazione, sottoposto a condizione sospensiva
mista. Questa può essere fatta sia tra gli sposi tra loro, sia da terzi a favore di uno od entrambi gli
sposi o dei gli nascituri di questi (es. molto spesso sono i genitori).
In tema di capacità, bisogna ricordare che la donazione obnuziale si perfeziona senza
l’accettazione del donatario, perfezionandosi al momento della celebrazione del matrimonio.
Inoltre, l’annullamento del matrimonio comporta la nullità della donazione, fatti salvi i diritti
eventualmente acquistati da terzi in buona fede nell’arco di tempo fra il matrimonio e il passaggio
in giudicato della sentenza che dichiara l’invalidità del matrimonio.
La donazione può avere la condizione di reversibilità o patto di ritorno (> revertor = ritorno): si
tratta di una condizione risolutiva per la quale i beni ritornano al donante nel caso in cui il
donatario o i suoi discendenti muoiano prima del donante.
La donazione può essere gravata da un onere o modo, al cui adempimento il donatario è tenuto
entro i termini della cosa donata.
La donazione modale deve essere tenuta distinta dal negotium mixtum cum donatione, poiché
in questo caso non vi è il corrispettivo (seppur tenue) del negotium mixtum cum donatione.
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Per l’adempimento del modo possono agire 1) donante, 2) chiunque ne abbia interesse, anche
durante la vita del donante.
La risoluzione della donazione per inadempimento del modo è possibile solo se sia prevista
dall’atto di donazione e può essere domandata dal donante stesso o dai suoi eredi. Anche in tal
caso, la risoluzione potrà essere pronunciata solo all’esito di una valutazione circa la gravità
dell’inadempimento.
L’onere illecito od impossibile si dà per non apposto, a meno che non sia stato determinante ai
ni della donazione.
Le sostituzioni sono consentite nei casi e nei limiti stabiliti per il testamento.
L’inadempimento del donante agli obblighi derivanti dalla donazione è sottoposto ad una
disciplina meno rigorosa rispetto a quella dei contratti, in virtù della gratuità dell’atto: infatti, il
donante risponde solo per dolo o colpa grave.
Nel caso della garanzia per evizione (che nella vendita è un naturale negotii), il donante
risponde solo per dolo o se si tratti di donazioni modali o rimuneratorie.
La responsabilità del donante per vizi della cosa sussiste solo se la responsabilità sia stata
specialmente pattuita o in caso di dolo del donante medesimo.
La disciplina relativa all’invalidità della donazione presenta delle a nità con quella stabilità per il
testamento, divergendo da quella stabilita per gli altri negozi.
L’errore sul motivo rende annullabile la donazione, se il motivo 1) risulti dall’atto e 2) fosse il
solo che ha determinato il donante a compiere la liberalità.
L’illiceità del motivo è rilevante quando il motivo 1) risulti dall’atto (ossia, non è necessario che
sia comune ad entrambe le parti, come avviene per gli altri negozi giuridici) e ha avuto 2) valore
determinante ed esclusivo, come nel testamento.
Anche in tema di donazione, come nel contratto, troviamo la possibilità di sanatoria del negozio
nullo: la conferma espressa o tacita (esecuzione volontaria) della donazione nulla deve aver
luogo dopo la morte del donante ad opera dei suoi eredi o aventi causa.
Analogamente a ciò che si è previsto in materia testamentaria, la giurisprudenza ritiene che possa
essere applicato l’ART 799 cc riguardante la nullità della donazione nel caso in cui gli eredi o gli
aventi causa del donate abbiano sanato la nullità della donazione, volendo poi farla valere in un
momento successivo: 1) quando la liberalità manchi delle forme speciali prescritte, ma anche 2)
quando sia priva di qualsiasi forma, come nel caso della donazione verbale di beni immobili.
La donazione non può sciogliersi se non per le cause ammesse dalla legge.
La legge prevede che la donazione possa essere revocata in presenza di due gravi motivi:
• Ingratitudine del donatario (ART 801 cc)
• Sopravvenienza di gli o discendenti (ART 803 cc)
Ciò avviene non attraverso un successivo contratto, ma tramite l’esercizio del diritto soggettivo
di natura potestativa del donante di revocare.
Bisogna ricordare che nel contratto il contratto ha forza di legge fra le parti e può venir meno per il
mutuo dissenso fra le parti (ART 1372 cc) -> dunque, in tema di donazione, vi è una deroga a
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questo principio: la revocazione è infatti unilaterale del donante. I casi in cui è ammessa la
revocazione devono essere interpretati in modo restrittivo.
Per ciò che concerne l’ingratitudine (ART 801 cc), se il donate avesse preveduto che
l’atto generoso da lui compito avrebbe provocato la non riconoscenza, o addirittura l’ostilità del
donatario, non avrebbe certamente e ettuato la donazione.
L’ART 801 cc fa rientrare fra i comportamenti rientranti nell’ingratitudine:
• Quelli che danno luogo all’indegnità di succedere
• Ingiuria grave: qualsiasi comportamenti che si concreti in un’o esa alla personalità del donante
o lesiva al suo decoro o alla sua immagine, consistendo anche in un solo atto, senza per forza
concretarsi in una condotta reiterata.
- Frasi o ensive o minacciose al donante
- Condotta della moglie che aveva a lungo intrattenuto una condotta extra-coniugale con
modalità irriguardose nei confronti del coniuge
- Indebito ri uto a prestare gli alimenti al donante
Per quanto concerne la sopravvenienza di gli, l’ART 803 cc ammette la revocazione
della donazione per la sopravvenienza di un glio o discendente dal donante.
Qualora si tratti di glio nato fuori dal matrimonio, la revocazione è consentita se si sia provveduto
al suo riconoscimento posteriore alla donazione, a meno che non si provi che il donante era già a
conoscenza dell’esistenza del glio prima dell’atto di liberalità.
Le ragioni che giusti cano la revoca delle donazioni non ricorrono nel caso di:
• Donazioni rimuneratorie, dettate da sentimenti di riconoscenza
• Donazioni obnuziali, e ettuate per il benessere di una nuova famiglia
Nei casi previsti dalla legge, il donante ha il diritto potestativo di agire in giudizio per togliere
e cacia alla donazione, senza che occorra alcuna dichiarazione del donatario.
Si noti che la revocazione del testamento per sopravvenienza dei gli opera ipso iure, mentre nel
caso della donazione è necessaria l’iniziativa del donante.
La revoca della donazione ha luogo per unilaterale iniziativa del donante e deve distinguersi
dall’azione revocatoria (ART 2901 cc).
L’azione revocatoria infatti richiede la frode in danno dei creditori, cui spetta la legittimazione ad
agire.
La revocazione della donazione ha carattere personale, dunque non si può applicare l’azione
surrogatoria (ART 2900 cc).
La sentenza che pronuncia revocazione condanna il donatario alla restituzione dei beni; essa,
peraltro, non pregiudica i terzi che hanno acquistato diritti anteriormente alla domanda, salvi gli
e etti della trascrizione della domanda stessa.
PUBBLICITA IMMOBILIARE
TRASCRIZIONE
La trascrizione è innanzitutto lo strumento con cui si trova la soluzione dei con itti fra più
soggetti acquirenti di diritti reali su determinati beni: il diritto reale acquistato diviene
opponibile ai terzi solo per e etto della trascrizione.
A di erenza di quanto avveniva nel diritto romano o a quanto tuttora avviene in alcuni paesi,
nell’ordinamento giuridico italiano il contratto ha e cacia traslativa della proprietà o dei diritti
reali.
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Se a questo mondo fossero tutti galantuomini, sarebbe su ciente il principio del consenso
traslativo; tuttavia, cosa avviene se A vende un immobile prima a B e poi a C?
A rigor di logica, sarebbe valido il principio prior in tepore potior in iure, ma ciò intralcerebbe
gravemente la circolazione dei diritti.
Per questo motivo, è stato stabilito che per i beni mobili non registrati fosse valido il
conseguimento del possesso in buona fede della res, a nché il possessore in buona fede
acquisisse la proprietà del bene (ART 1153 cc), anche se il suo titolo d’acquisto avesse data
posteriore.
Analogamente, il con itto fra già diritti personali di godimento si risolve a favore del soggetto
che per primo ha conseguito il godimento della res; solo qualora nessuno sia stato posto nel
godimento della res, troverà applicazione il principio prior in tempore potior in iure, facendo la
legge pervadere colui che possa vantare il titolo di acquisto avente data certa anteriore.
È agevole comprendere che non era immaginabile un sistema di pubblicità per la circolazione di
beni mobili, che devono infatti circolare con rapidità e snellezza.
Tuttavia, è stato posto un regime pubblicitario per i beni immobili e per i beni mobili registrati.
In tali casi, il con itto vien risolto sulla base della preferenza dell’anteriorità dell’attuazione della
formalità pubblicitaria: colui che ha fatto per primo trascrivere nei pubblici registri il titolo da cui
trae origine il suo diritto è preferito rispetto a colui che 1) non abbia a atto trascritto o 2) abbia
trascritto (o iscritto, se si tratti di ipoteca) successivamente il proprio titolo d’acquisto.
Dunque, la trascrizione è il presupposto dell’opponibilità a terzi.
Occorre dunque ricostruire la vera portata dell’ART 1376 cc: il contratto ha immediata e cacia
traslativa nei confronti dell’acquirente, che immediatamente diviene proprietario: tuttavia, no a
quando non sia e ettuata la trascrizione, il trasferimento del diritto ha e etti inter partes, non
essendo dunque opponibile ai terzi che abbiano eventualmente acquistato e trascritto in data
anteriore i diritti sulla res, come stabilito dall’ART 2644 cc.
Ai ni della soluzione dei con itti fra plurimi acquirenti, bisogna ricordare che assume rilevanza ai
ni dell’opponibilità ai terzi non la data in cui viene dato il consenso traslativo, ma la data in cui è
e ettuata la trascrizione: l’ART 2644 cc a erma infatti che una volta compiuta la trascrizione
dell’atto non può più avere e etto contro colui che ha trascritto alcuna trascrizione od iscrizione di
diritti acquistati verso il suo autore, anche se l’acquisto risalga a data anteriore.
-> es. un soggetto vende a Primus e poi a Secundus, ma Secundus trascrive per primo l’atto
acquisitivo a suo favore: sarà Secundus a prevalere su Primus.
Si deve anche sottolineare che la legge risolve i con itti tra i vari acquirenti solo sulla base
dell’attuazione della formalità pubblicitaria, senza che assuma alcuna rilevanza la buona fede.
Tuttavia, l’ordinamento giuridico non lascia del tutto privo di tutela il primo acquirente che si vede
sacri cato a vantaggio di altra persona che abbia trascritto tempestivamente il titolo d’acquisto:
infatti, il primo acquirente potrà rivolgersi contro il venditore per ottenere il risarcimento dei
danni.
La giurisprudenza è inoltre giunta ad ammettere che il primo acquirente, che sia risultato
soccombente rispetto a colui che abbia acquistato successivamente ma abbia trascritto per
primo, possa agire con un’azione di risarcimento del danno anche contro il secondo acquirente,
qualora questo abbia operato in mala fede: il legislatore pone questo strumento di tutela per
reprimere eventuali operazioni fraudolente messe in atto dal venditore e dal secondo acquirente.
Tuttavia, la mala fede del secondo acquirente non fa venir meno l‘e cacia giuridica del suo
acquisto, poiché infatti egli rimane proprietario: la sussistenza della mala fede comporta solo la
responsabilità del risarcimento aquiliano.
Tale principio è stato applicato anche in caso di doppia donazione, per cui il secondo donatario
primo trascrivente sia obbligato al risarcimento del danno, qualora sia provi la sua mala fede.
Appunto in virtù del fatto che la trascrizione non è elemento integrante della fattispecie acquisitiva
del diritto, si dice che questa attua una forma di pubblicità dichiarativa, dalla quale dipende solo
l’opponibilità ai terzi.
Sotto questo aspetto, la trascrizione si distingue da altri regimi pubblicitari che sono attuati in
Germania, in Austria e in alcune province italiane che facevano parte dell’impero austro-
ungarico: in questi contesti, il contratto di vendita ha e cacia obbligatoria (non reale) producendo
in capo al venditore l’obbligo di eseguire le formalità pubblicitarie necessarie.
Nel nostro ordinamento, l’iscrizione ipotecaria riveste carattere costitutivo del sorgere
dell’ipoteca.
È bene mettere in evidenza che di per sé la trascrizione non rimuove i vizi di cui sia
eventualmente a etto un determinato negozio: qualora, infatti, il negozio trascritto sia annullabile
o n nullo, annullabile o nulla sarà anche la trascrizione.
Solo in alcuni speci ci casi si può parlare di e cacia sanante della trascrizione, concorrendo
essa a rendere inopponibile ai terzi subacquirenti l’invalidità o l’ine cacia dell’atto, o meglio
rendere inopponibile gli e etti della sentenza che accolga l’impugnazione dell’atto.
I casi principali sono i seguenti:
• Nullità ed annullamento per incapacità legale: l’azione tendente all’accertamento della nullità
è imprescrittibile e il suo accoglimento travolge potenzialmente tutti gli atti dipendenti dal
negozio dichiarato nullo -> l’annullamento per incapacità legale è suscettibile a pregiudicare i
diritti acquisiti da terzi, sebbene la relativa azione sia prescrittibile => se la domanda introduttiva
del giudizio è trascritta dopo 5 anni dalla data di trascrizione dell’atto impugnato, sono fatti salvi
i diritti acquisiti da terzi di buona fede.
• Annullabilità per cause diverse all’incapacità legale: anche se la domanda è trascritta prima
che siano decorsi 5 anni dalla trascrizione dell’acquisto del terzo in buona fede, i diritti del terzo
in buona fede acquisiti a titolo oneroso sono fatti salvi
• Acquisti dell’erede o del legatario apparente: se una domanda giudiziale volta a contestare il
fondamento di un acquisto mortis causa è trascritta oltre 5 anni dopo la trascrizione
dell’acquisto stesso, la sentenza di accoglimento della domanda non pregiudica i diritti acquisiti
da terzi a qualunque titolo da colui che risultava essere erede o legatario. Chiaramente, occorre
che l’atto acquisitivo del terzo sia stato trascritto anteriormente alla trascrizione della domanda.
• Riduzione delle donazioni e delle disposizioni testamentarie lesive della legittima: se
l’azione di riduzione è trascritta dopo 10 anni l’apertura della successione, sono fatti salvi i diritti
acquistati da terzi a titolo oneroso in forza di atto trascritto prima della trascrizione della
domanda.
È evidente che in questi casi e cacia sanante è una formula imprecisa, in quanto i vizi che
intaccano il negozio non sono eliminati, semplicemente non possono essere opposti ai terzi.
Eccezionalmente, in alcuni casi la trascrizione concorre all’e etto costituivo del diritto, nel caso
dell’usucapione abbreviata (10 anni per i beni immobili, 3 anni per i beni mobili registrati).
A nché tale usucapione maturi, occorrono 1) la buona fede e 2) un titolo astrattamente idoneo al
trasferimento della proprietà o di altro diritto reale e 3) la sua trascrizione.
Essa rappresenta semplicemente un onere delle parti, che possono avvalersi della trascrizione
nel loro interesse se vogliono rendere opponibile l’atto a terzi.
Tuttavia questa rappresenta un obbligo per alcuni pubblici u ciali, in particolare per i notai: una
volta che i notai abbiano ricevuto od autenticato l’atto soggetto a trascrizione, hanno l’obbligo di
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curare che questa venga eseguita nel minor tempo possibile ed è tenuto al risarcimento dei danni
in caso di ritardo.
Si suole comunemente dire che l’e cacia della trascrizione quale strumento di pubblicità ha:
- E cacia negativa: gli atti non trascritti si presumono ignoti a terzi e dunque l’atto non
trascritto non spiega la sua e cacia verso terzi
- E cacia positiva: gli atti trascritti si presumono conosciuti e quindi l’atto trascritto è e cace
contro qualunque terzo
Bisogna ricordare che infatti la trascrizione opera a prescindere che vi sia un’e ettiva conoscenza
da parte del soggetto interessato: vi è infatti una presunzione di conoscenza iuris et de iure,
che non ammette prova contraria, producendo essa legale scienza: la legge reputa ciò che è
trascritto noto, a prescindere che lo sia realmente.
NOZIONE DI TERZO
In linea generale, i terzi sono le parti estranee al contratto o ad un rapporto; così, l’ART 1372 cc
a erma che il contratto non produce e etti rispetto ai terzi, poiché tertio neque nocet neque
prodest.
Tuttavia, l’ART 2644 cc inerente agli e etti della trascrizione intende il terzo in un senso più
ristretto, con gurando nella nozione di terzo coloro che abbiano a loro volta acquistato dei diritti
sull’immobile oggetto di un determinato atto di trascrizione, determinando una situazione di
con itto fra diritti incompatibili.
Il sistema italiano dei registri immobiliari si basa su un criterio personale, con partite intestate al
nome del soggetto interessato, senza che abbia rilevanza se un evento ha interessato un certo
bene.
Dunque, all’esame dei registri immobiliari dovranno essere veri cati quali trascrizioni od iscrizioni
risultino e ettivamente contro un determinato soggetto e a favore di un altro.
-> es. Tizio vende un bene contro Caio; l’acquisto è e ettuato a favore di Caio.
Da ciò deriva il fatto che se voglio sapere quali vicende giuridiche abbiano interessato un certo
fondo, devo ricostruire gli atti che lo abbiano riguardato, indagando le persone che ne sono
state parti e dunque partendo dai soggetti e non dai beni. Naturalmente, l’impiego di sistemi
informatici garantisce ricerche assai meno laboriose, ma l’impostazione dei registri rimane sempre
su base personale e non reale.
Carattere reale ha invece il sistema tavolare dei registri fondiari vigente in Italia nelle province
che prima appartenevano all’impero austro-ungarico (Gorizia + Trieste + Trento + Bolzano). Tale
sistema è stato tenuto in vigore in dette province ed è regolato dalla legge Tavolare.
L’intavolazione ha funzione costitutiva, in quanto è necessaria perché l’atto abbia e cacia tra le
parti.
In ragione della valenza costitutiva della pubblicità dei sistemi fondiari sui libri fondiari, sono
imposti rigorosi controlli preventivi alle singole registrazioni, che infatti sono presiedute
dall’autorità giudiziaria.
Viceversa, nell’eseguire le trascrizioni previste dal codice civile il conservatore dei registri
immobiliari, in cui servizi sono svolti oggi dall’Agenzia delle Entrate, non deve operare indagini in
ordine alla validità ed e cacia sostanziale dell’atto che gli viene richiesto di trascrivere, a deve
veri care che il titolo dell’atto cui si richiede la trascrizione rientri fra gli atti per cui è prevista la
trascrizione stessa e che risulti 1) da atto pubblico + 2) scrittura privata con sottoscrizione
autenticata o giudizialmente accertata + 3) da sentenza.
Oggetto di trascrizione sono gli atti che comportano la costituzione, la modi cazione o
l’estinzione di diritti reali su beni immobili.
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Un principio particolarmente rilevante è quello della continuità delle trascrizioni (ART 2650 cc):
è chiaro che una lacuna nella sequenza egli atti pubblicati impedirebbe di ricostruire
completamente le vicende inerenti un determinato bene.
Pertanto, l’opponibilità erga omnes di un determinato atto acquisitivo, modi cativo od estintivo di
un diritto reale su un bene immobile è subordinata alla continuità della trascrizione sugli atti a
monte, con cui il diritto è pervenuto all’ultimo titolare.
Dunque, le successive trascrizioni od iscrizioni non producono e etto se non è stato trascritto
l’atto anteriore di acquisto.
-> es. se Tertius trascrive il suo titolo d’acquisto da Secundus, senza però preoccuparsi di
veri care la validità del titolo d’acquisto precedente di Secundus e Primus, Tertius corre il rischio
che qualunque atto di disposizione compiuto da Primus a favore di Quartus prevalga sull’acquisto
a favore di Tertius, benché iscritto o trascritto successivamente all’acquisto di Tertius.
Risulta dunque evidente che l’e cacia della trascrizione e ettuata da Secundus a Tertius rimane
subordinata alla trascrizione dell’atto di alienazione da Primus a Secundus: quando quest’ultima
sarà e ettuata, si può validamente procedere alla trascrizione dell’acquisto a favore di Tertius.
Peraltro, la trascrizione del trasferimento da Secundus a Tertius produce i suoi e etti dal giorno in
cui fu eseguita e non dalla data in cui viene trascritto l’atto di alienazione fra Primus e Secundus.
-> es. se Tertius provvede alla trascrizione del suo titolo d’acquisto nel giorno x e la trascrizione
dell’acquisto fra Primus e Secundus avviene nel giorno x + 10 => soccombe, se un titolo
d’acquisto di Quartus da Primus è strato trascritto nel giorno x + 5, poiché Quartus non era in
grado di sapere né della vendita di Primus a Secundus né di quella di Secundus a Tertius. Infatti,
Quartus non aveva alcuna ragione di e ettuare una ricerca sotto il nome di Secundus, apparendo
ancora esistente una situazione di titolarità in capo a Primus.
-> es. se l’acquisto tra Primus e Quartus viene e ettuato nel giorno x + 15, Tertius prevale su
Quartus.
Dunque, l’ART 2650 cc a erma che quando l’atto anteriore di acquisto è stato trascritto, le
successive trascrizioni od iscrizioni prendono e etto secondo il loro ordine rispettivo.
Dunque, la trascrizione di un acquisto e ettuata con una lacuna a monte e dunque con un difetto
di continuità ha valore prenotativo, poiché nel momento in cui riprende la continuità l’atto a valle
riprenderà piena e cacia.
Tuttavia, vale sempre quanto a ermato dall’ART 2644 cc: se prima che venga ripristinata la
continuità delle trascrizioni un terzo trascrive il proprio acquisto (Quartus) verranno fatte salve le
sue ragioni.
Gli atti soggetti a trascrizione sono elencati nell’ART 2643 cc: tale elencazione non è
esempli cativa, bensì tassativa: dunque, devono essere trascritti tutti e solo gli atti previsti dalla
legge come suscettibili a trascrizione.
Da ciò consegue che:
- Da un lato, la notizia fornita aliunde, ossia con qualsiasi altro mezzo, del quale sia stata
omessa la trascrizione rimane priva di qualsiasi e etto, ai ni dell’opponibilità a terzi
- Dall’altro, l’eventuale erronea trascrizione di un atto che la legge non prevede come
soggetto a trascrizione non produce gli e etti tipici della pubblicità dichiarativa.
Gli atti soggetti a trascrizione si individuano innanzitutto in relazione ai beni che ne costituiscono
l’oggetto:
• Beni immobili
• Beni mobili registrati
• Trasferimento, modi cazione, estinzione di diritti reali
• Talora, anche atti produttivi di soli e etti obbligatori -> es. locazione ultranovennale o contratto
preliminare. Tuttavia, di regola, un contratto produttivo di soli e etti obbligatori non sarebbe
opponibile erga omnes, quand’anche il relativo atto fosse de facto trascritto.
Si devono trascrivere le accettazioni di eredità, che comportino acquisti di ritriti rientranti tra
quelli elencati nell’ART 2643 cc e gli acquisti di legati aventi oggetto medesimo:
• Accettazione espressa -> sarà trascritto il relativo atto
• Accettazione tacita -> sarà trascritto l’atto dal quale risulti o con cui sia accertata, che potrà
essere 1) atto pubblico, 2) scrittura privata con sottoscrizione autenticata o giudizialmente
accertata, 3) sentenza. Ciò nell’ottica che ovviamente non possono trascriversi i meri
comportamenti materiali.
L’acquisto del legato viene senza necessità di accettazione e dunque si richiede la trascrizione di
un estratto autentico del testamento costituente il legato stesso.
La previsione della trascrizione degli acquisti mortis causa è posta per assicurare la continuità
della trascrizione.
Infatti, agli acquisti mortis causa, non si applica la regola ex ART 2644 cc, poiché in questo caso
gli eventuali con itti tra più pretendenti non possono essere risolti sulla base di detta norma,
essendo decisivo l’accertamento della delazione ereditaria o della disposizione del legato.
Dunque, si dovrà individuare un testamento, decidere sulla sua validità ed individuare il
testamento più recente: in nessun caso verrà alla luce un problema di parità di arti dispositivi
parimenti con iggenti ed e caci.
Dunque, l’erede o il legato non è gravato dall’onere di trascrivere il proprio acquisto per
renderlo opponibile a terzi, salva la rilevanza della trascrizione che attiene agli e etti di un atto
dispositivo, che sia stato compiuto da chi non fosse titolare di detti diritti.
In virtù della continuità delle trascrizioni, anche nel caso di acquisti mortis causa colui che abbia
acquistato dall’erede può rendere opponibile il proprio acquisto a terzi se sia stato trascritto pure
l’acquisto mortis causa del suo autore.
Dunque, la trascrizione dell’acquisto mortis causa non risponde direttamente ad un interesse del
successore, quanto più alla tutela degli interessi degli aventi causa del successore.
Anche le divisioni sono soggette a trascrizione, quando abbiano per oggetto beni immobili.
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Occorre ricordare che hanno diritto ad intervenire nella divisione:
• I contitolari
• I creditori e gli aventi causa, per veri care che la divisione non avvenga in loro danno -> se essi
abbiano noti cato o trascritto un atto di opposizione possono anche impugnare la divisione,
purché l’atto di opposizione sia trascritto prima della trascrizione dell’atto di divisione
contrattuale o della domanda giudiziale di divisione.
Inoltre, i creditori iscritti (ossia titolari d’ipoteca di beni da dividere) e coloro che hanno
acquistato diritti su detti beni in forza di atti anteriormente trascritti, devono essere chiamati a
partecipare alla divisione, a nché questa abbia e etto nei loro confronti.
La trascrizione della divisione deve essere curata anche ai ni della continuità della
trascrizione.
Si è già parlato degli e etti della trascrizione dell’atto di opposizione del coniuge e di potenziali
legittimari del donante e del provvedimento di assegnazione della casa familiare al coniuge, ex
coniuge o convivente, valutato l’interesse dei gli minori.
Con il D.L dicembre 2005, modi cato poi l’anno successivo, è stata introdotta una norma del tutto
inedita che è ancora frutto di elaborazione da parte della dottrina.
La nuova disposizione è rubricata “Trascrizione di atti di destinazione per la realizzazione di
interessi meritevoli di tutela riferibili a persone con disabilità, a pubbliche amministrazioni o ad altri
enti e persone siche” permette di rendere opponibili a terzi atti di destinazione di taluni beni o ai
quali viene impresa una speci ca nalità.
La legge ammette che un soggetto con un atto pubblico possa destinare beni immobili o
mobili registrati alla realizzazione di interessi meritevoli di tutela riferibili a persone con
disabilità, a pubbliche amministrazioni o ad altri enti o persone siche.
Questi beni e i loro frutti possono essere impiegati esclusivamente per la realizzazione del ne di
destinazione e possono costituire oggetto di esecuzione solo per i debiti contratti per tale
scopo, nell’ottica della rilevanza giuridica che viene ad ottenere la nalità impressa dal
disponente dei beni suddetti.
Infatti, nulla vieta che un soggetto possa decidere di disporre dei propri beni a favore di un
familiare disabile, ad esempio (es. il genitore concede l’immobile in locazione ai terzi e con il
ricavato assicuro il mantenimento e le cure del glio disabile) -> ciò però non comporta
l’imposizione di un vincolo reale e neppure la separazione dello stesso dal patrimonio di colui che
ha deciso una tale destinazione. Dunque, ad esempio, se il titolare di detti beni muore, i suoi eredi
ne acquistano la piena titolarità e possono impiegare i beni per nalità diverse rispetto a quelle
perseguire dal decuius, così come i creditori del titolare dei beni possono pignorare detti beni.
I casi in cui è possibile imprimere ai beni determinati una destinazione ad uno scopo con e etti
opponibili a terzi sono di regola tassativamente previsti, ad esempio, nel caso del fondo
patrimoniale.
I beni destinati in forza di detta norma sono obiettivamente vincolati allo scopo e possono
essere impiegati solo per realizzare il ne di destinazione: tale vincolo si impone anche a qualsiasi
eventuale successivo titolare del bene. Inoltre, detti beni non possono essere sottoposti ad
esecuzione, se non per i debiti contratti per il perseguimento dello scopo di destinazione; sono
tuttavia datti salvi i diritti dei creditori che abbiano trascritto il pignoramento anteriormente alla
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trascrizione dell’atto di destinazione. Dunque, l’ipoteca che fosse iscritta su beni destinati per
crediti estranei alla destinazione è priva di e etto.
Si realizza dunque una separazione dei beni, che divengono erga omnes funzionali ad uno
speci co ne e sottratti alla generale garanzia dei creditori. A costoro, infatti, l’atto trascritto
risulta opponibile, così come sarebbe opponibile verso coloro che abbiano acquistato diritti reali
su detti beni.
Le legge pone un’elencazione dei possibili bene ciari dell’atto di destinazione, che però è
articolata in modo da risultare scarsamente comprensibile:
• Persone con disabilità
• O altri enti o persone siche -> in persone siche sono ricompresi tutti i soggetti di diritto:
dunque, queste ultime due categorie tolgono valore alle altre menzionate nell’elencazione
normativa
Inoltre, la norma non descrive la struttura negoziale dotato di una precisa morfologia, ma parla
genericamente di atti di destinazione e a erma che la sua costituzione deve avvenire per
mezzo di atto pubblico.
Rimane dunque in ombra quali concreti atti negoziali possano dare origine a tale vincolo di
destinazione.
Allo stesso modo, risulta di di cile comprensione cogliere il signi cato del riferimento al fatto che
il vincolo di destinazione deve trovare esplicazione in interessi meritevoli di tutela.
Ci si domanda quella sia la portata di detto riferimento:
- Legittimare qualsiasi atto di destinazione, anche atipico, purché preordinato ad un ne
meritevole di protezione giuridica
- La norma riguarderebbe secondo altri solo il pro lo della trascrizione di atti tipici, facendo
dunque riferimento ad altre norme dell’ordinamento, che contemplino e regolino volta per volta
speci ci atti di destinazione
Le prime pronunce giurisprudenziali rivelano un atteggiamento volto a ritenere che la norma va
intesa nel senso che sia trascrivile qualsiasi atto di destinazione, con il solo limite di non
contrarietà al ne perseguito dalla norma imperativa.
Tale vincolo non può durare più di 90 anni o della vita del soggetto bene ciario.
La legge aggiunge che per la realizzazione del ne di destinazione può agire 1) conferente + 2)
qualsiasi interessato, anche durante la vita del conferente.
Molti tra i primi interpreti della norma avevano ravvisato il fondamento positivo della trascrizione
del trust.
Il problema era ovviamente rappresentato dal di cile rapporto con il principio di tassatività degli
atti suscettibili a trascrizione.
La Convenzione dell’Aja prevede che i trust possano essere registrati a nome del trustee, senza
però nulla dire sull’ammissibilità du un trust in cui il costituente, il bene ciario e la collocazione dei
beni conferiti nel trust siano in Italia.
La giurisprudenza si è ormai stabilizzata nel senso dell’ammissibilità della trascrizione di un
atto costitutivo di trust di beni siti in Italia.
Quanto alle modalità attuative, la trascrizione deve venire a nome del trustee, perché il trust è
privo di soggettività giuridica e il conferimento dei beni nel trust non è assoggettato alle imposte
previste per il trasferimento di beni mobili, perché i diritti attribuiti al trustee sono gravati e limitati
dal vincolo di destinazione -> pertanto, un vero trasferimento di ricchezza si veri ca nel momento
in cui i beni sono messi a disposizione del bene ciario nel tempo e nei modi previsti dall’atto
istitutivo del trust.
Un’ulteriore novità è quella per cui è prevista la trascrizione di atti di diritto privato che abbiano
per e etto di costituire dei beni immobili vincolo di uso promiscuo o altri vincoli, a favore dello
Stato o di altri enti pubblici.
La trascrizione è ammissibile solo se tali atti risultino da atto pubblico o da scrittura privata, con
sottoscrizione autenticata o giudizialmente accertata.
Tuttavia, possono sempre essere stipulati contratti preliminari con sottoscrizione non autenticata
ma giudizialmente accertata, per cui è possibile trascrivere l’esecuzione in forma speci ca ai sensi
dell’ART 2932 cc.
Tale forma di tutela non era volta a snaturare 1) né il preliminare, che ha e cacia obbligatoria, né
la trascrizione, che serve a rendere pubblici gli atti ad e etti reali.
Da ciò scende che la trascrizione del contratto preliminare svolge la propria funzione in stretto
collegamento alla trascrizione del contratto de nitivo.
Gli e etti della trascrizione del contrato preliminare sono e etti prenotativi, per tale da intendersi
che la successiva trascrizione del contratto de nitivo prevale sula trascrizioni od iscrizioni
eseguite contro il promittente alienante dopo la trascrizione del contratto preliminare.
Dunque, gli e etti del contratto de nitivo sono opponibili a coloro che abbiano acquistati diritti nei
confronti dell’alienante nel periodo successivo alla trascrizione del preliminare.
Dunque, il preliminare trascritto non produce il trasferimento del dritto reale, ma anticipa
l’opponibilità dello stessi ai terzi n dalla data di trascrizione del preliminare.
Una tale prevalenza però viene accordata nel caso in cui la trascrizione del contratto de nitivo o
della domanda volta all’esecuzione in forma speci ca dell’oggetto del preliminare avvengano
entro 1 anno dalla data convenuta dalle parti per la conclusione del contratto de nitivo e in ogni
caso entro 3 anni dalla trascrizione del preliminare.
In caso di mancata esecuzione del contratto de nitivo, i crediti del promissario acquirente relativi
alla restituzione del prezzo pagato sono hanno privilegio speciale sul bene immobile oggetto
del contratto preliminare, purché la risoluzione del preliminare sia ottenuta o domandata
giudizialmente prima dei 3 anni di e cacia della trascrizione del preliminare.
Le Sezioni Unite hanno precisato che detto privilegio è subordinato ad una pubblicità costitutiva
e non prevale sulla ipoteche iscritte anteriormente alla trascrizione del preliminare.
ANNOTAZIONE
Dunque, l’annotazione postula l’attuazione della formalità principale della trascrizione, con la
funzione di accrescere la conoscibilità dell’atto annotato (es. sono avvertito della pendenza di
una lite).
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Anche in questo contesto trova applicazione il principio della continuità della trascrizione, per
cui la mancata annotazione di una sentenza o di una convenzione determina che non producono
e etto sulle successive trascrizioni o iscrizioni a carico di colui che ha ottenuto la dichiarazione di
nullità o annullamento, la risoluzione o la rescissione o la revoca e la devoluzione.
La trascrizione deve essere richiesta presso l’u cio dei registri immobiliari nella cui
circoscrizione si trova il bene.
È possibile ottenere la trascrizione solo in forza di 1) atto pubblico, 2) scrittura privata con
sottoscrizione autenticata o giudizialmente accertata, 3) sentenza.
Per la trascrizione di una domanda giudiziale, occorre presentare la copia autenticata del
documento che la contiene + relazione dell’avvenuta noti cazione dell’atto alla controparte.
Chi domanda la trascrizione di un atto tra vivi deve presentare al conservatore dei registri
immobiliari:
• Copie del titolo
• Nota in cui devono essere contenute delle indicazioni stabilite dalla legge
Nel corso egli ultimi anni, le modalità pratica di tenuta dei registri immobiliari è stata evoluta,
grazie ad un esteso impiego di strumenti informatici.
La trascrizione relativa ai beni mobili registrati è disciplinata dagli ARTT 2684-2685 cc: tra questi
vi sono 1) atti traslativi o costitutivi della proprietà o dell’usufrutto e 2) rinunzia degli stessi; 3)
transazioni relative a diritti reali; 4) provvedimenti di espropriazione; 5) sentenza; 6) acquisti mortis
causa.
Anche per i beni mobili registrati è sancito il principio della continuità delle trascrizioni ed è
prevista la trascrizione di domande giudiziali, oltre che per gli atti di sequestro e pignoramento.
Quanto alle forme e modalità di esecuzione della trascrizione, si fa rinvio a quanto disposto nel
codice navale e alle leggi speciali; in via sussidiaria, si applicano le norme relative alla trascrizione
degli atti relativi a beni immobili.
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