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INTRODUZIONE

I Diritto internazionale > Introduzione > Definizione del diritto


internazionale

Il diritto internazionale può essere definito come il diritto della


comunità degli Stati. Si tratta di un complesso di norme che
nascono dalla cooperazione tra gli Stati e si collocano al di sopra di
ogni stato. Si dice anche che il diritto internazionale regola i
rapporti tra Stati, ma questa definizione è un po' equivoca perché
oggi si assiste alla tendenza al c.d. "internazionalismo", perché il
diritto internazionale disciplina anche molti aspetti commerciali,
sociali ed economici e non è più un semplice "diritto per
diplomatici", ma viene continuamente applicato direttamente dai
giudici interni, nazionali. E' pertanto opportuno distinguere la
definizione formale (nel senso che crea obblighi e diritti per gli
Stati) da quella materiale (nel senso che regola i rapporti
interindividuali, cioè interni alle singole comunità statali).

Oggi si tende anche a distinguere il diritto internazionale pubblico


dal diritto internazionale privato. In realtà bisogna precisare che
non si tratta di due branche dello stesso ordinamento, ma di due
ordinamenti diversi: il diritto internazionale privato è formato da
quelle norme statali che delimitano il diritto privato di uno Stato,
stabilendo quando esso va applicato e quando invece il giudice
nazionale deve applicare le norme del diritto privato straniere. In
Italia la materia è regolata dalla legge 218/95.

FUNZIONI DI PRODUZIONE, ACCERTAMENTO E ATTUAZIONE DEL


DIRITTO INTERNAZIONALE
II Diritto internazionale > Introduzione > Produzione, accertamento
e attuazione del diritto internazionale

Anche nell'ordinamento internazionale troviamo tre funzioni: 1. la


funzione normativa 2. la funzione di accertamento del
diritto 3. la funzione di attuazione coattiva delle norme.

1. Per quanto attiene alla funzione normativa, bisogna distinguere


tra diritto internazionale generale e diritto internazionale
particolare, ossia tra le norme che si indirizzano a tutti gli Stati e
quelle che vincolano solo una ristretta cerchia di soggetti. L'articolo
10 della Costituzione italiana fa riferimento alle norme di diritto
internazionali generalmente riconosciute. Queste norme sono
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innanzitutto le consuetudini, che si formano nella comunità
internazionale attraverso l'uso. La caratteristica di questo tipo di
norme è che, a differenza degli ordinamenti interni, è la fonte
primaria ed ha dato luogo ad uno scarso numero di norme.
Possiamo trovare comunque norme strumentali (come quelle che
regolano i requisiti di validità ed efficacia dei trattati) e quelle
materiali (che impongono direttamente obblighi e riconoscono
diritti).

Le tipiche norme del diritto internazionale particolare sono invece i


trattati (o patti, accordi, convenzioni) che vincolano solo gli Stati
contraenti. Il trattato è subordinato alla consuetudine come il
contratto è subordinato alla legge.

Al di sotto dei trattati troviamo un'altra fonte: i procedimenti


previsti da accordi:essi traggono la loro forza dai trattati
internazionali che li prevedono e vincolano solo gli Stati aderenti ai
trattati stessi. In questa categoria rientrano molti atti delle
organizzazioni internazionali, ossia delle varie associazioni fra Stati,
come l'ONU, le tre Comunità Europee etc.
In realtà le organizzazioni internazionali non hanno poteri legislativi
e lo strumento di cui si servono è la raccomandazione, che non è
vincolante, ma ha valore di mera esortazione.

2. Per quanto concerne invece la funzione di accertamento


giudiziario dl diritto internazionale, nell'ambito della comunità
internazionale prevale una funzione arbitrale, che poggia
sull'accordo tra le parti. Ciò che quindi è l'eccezione nel diritto
interno, diventa la regola nell'ordinamento internazionale.

3. Per quanto attiene invece ai mezzi che vengono utilizzati per


assicurare coattivamente l'osservanza delle norme e reprimerne le
violazioni, entriamo nella categoria delle forme dell'autotutela (altra
diversità dal diritto interno).

Il diritto internazionale è vero diritto?


Ci si chiede se il diritto internazionale sia in realtà un vero diritto e
quali argomenti si possano addurre per dimostrare la sua
obbligatorietà.
Una soluzione proposta di tale problema riposa in tre strumenti:
1. il diritto internazionale deve passare attraverso i giudici interni
che devono applicarlo e quindi farlo rispettare;
2. l'articolo 10 della Costituzione italiana impegna al rispetto delle
norme del diritto internazionale generalmente riconosciute;

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3. infine i trattati stipulati dal nostro Paese generalmente sono
oggetto di una legge ordinaria che ne ordina l'applicazione.
Quanto qui esposto è una formulazione in termini moderni della
teoria positivistica di Jellinek, che considerava il diritto
internazionale come il frutto di un'autolimitazione del singolo
Stato, poiché non esistono veri e propri mezzi giuridici per reagire
efficacemente ed imparzialmente alle violazioni delle norme
internazionali. Ciò che bisogna superare è però l'idea dell'arbitrio
del singolo Stato, altrimenti si legittimerebbe la possibilità dello
Stato stesso di sciogliersi liberamente in qualsiasi momento da
qualunque impegno internazionale.

I SOGGETTI DEL DIRITTO INTERNAZIONALE


III Diritto internazionale > Introduzione > I soggetti del diritto
internazionale

Se definiamo il diritto internazionale come il diritto della comunità


degli Stati, bisogna specificare cosa intendiamo per Stato, poiché, a
livello di definizione, possiamo distinguerlo in Stato-comunità o in
Stato-organizzazione. La prima accezione fa riferimento ad un
insieme di individui che si stanzia su una porzione di superficie
terrestre ed è sottoposta a delle regole. La seconda, invece, è
costituita dall'insieme di governanti, cioè degli organi che
esercitano sui singoli associati il potere di imperio.
La qualifica di soggetto del diritto internazionale spetta allo Stato-
organizzazione, allo Stato-apparato. Sono infatti gli organi statali
che partecipano alla formazione delle norme internazionali, sono
loro i destinatari delle norme internazionali materiali e sono sempre
loro che rispondono per eventuali violazioni delle norme
internazionali. Ovviamente, quando parliamo di organi statali
facciamo riferimento a tutti gli organi, sia quelli del potere centrale
che quelli del potere periferico.

Lo Stato-organizzazione deve presentare però dei requisiti per poter


essere considerato tale:
1. il primo è l'effettività del proprio potere su di una comunità
territoriale. Pertanto la qualifica di soggetto internazionale deve
essere negata ai Governi in esilio, le organizzazioni o fronti, o
comitati di liberazione internazionale che abbiano sede in un
territorio straniero, dove hanno costituito una sorta di
organizzazione di governo.
2. il secondo requisito è l'indipendenza o sovranità esterna. In tal

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senso non sono soggetti del diritto internazionale gli Stati federati di
Stati federali (perché, anche se talvolta possono essere autorizzati
dalla Costituzione federale a stipulare accordi con Stati terzi,
devono normalmente avere il consenso del Governo centrale), né le
Confederazioni che è un'unione fra Stati perfettamente indipendenti
e sovrani, creata in genere per scopi di difesa.
Il requisito dell'indipendenza deve essere inteso con cautela: non
coincide con la perfetta possibilità di determinarsi da sé, poiché
l'interdipendenza è oggi una delle caratteristiche sempre più
marcate delle relazioni internazionali (stati satelliti, stati deboli,
stati con truppe straniere...). Bisogna allora intenderlo in senso
formale: è indipendente uno stato il cui ordinamento è originario,
cioè tragga la sua forza giuridica dalla propria Costituzione e non da
quella di un altro Stato.
Quando ricorrono i due requisiti, l'organizzazione di governo
acquista la qualità di soggetto internazionale automaticamente: non
è necessario il riconoscimento. Il riconoscimento, come anche il
non-riconoscimento, è un atto meramente lecito che attengono alla
sfera della politica ma non producono conseguenze giuridiche.
Generalmente infatti il riconoscimento da parte degli Stati
preesistenti serve per giudicare se il nuovo Stato "meriti" o meno la
soggettività per stipulare alleanze o altri rapporti.
Quando si richiedono altri requisiti come quello che il nuovo Stato
non debba costituire una minaccia per la pace e la sicurezza per la
pace, che il suo Governo goda del consenso del popolo e che non
violi i diritti umani, questi non sono necessari ai fini dell'acquisto
della soggettività internazionale, ma servono soltanto per
valutazioni politiche degli altri Stati per valutare se stringere
rapporti d'amicizia.
Sembra risolto anche il problema della soggettività del Governo
insurrezionale: gli insorti non sono soggetti del diritto internazionale
e il Governo c.d. legittimo potrà prendere i provvedimenti che
reputa più opportuni (fatti salvi però i movimenti di liberazione
nazionale). Se tuttavia i ribelli nel corso della guerra civile riescono
a dare vita ad un'organizzazione di governo che controlla
effettivamente una parte del territorio, la personalità non può
negarsi.

Una parte della dottrina parla di una personalità limitata degli


individui, perché ddestinatari di molte norme e convenzioni che
riconoscono loro diritti e poteri di azione. In realtà si contesta anche
la natura dei diritti e degli obblighi internazionali, perché destinatari
delle norme sarebbero sempre e solo gli Stati.

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Piena personalità bisogna poi riconoscere alle organizzazioni
internazionali, ossia alle associazioni tra Stati. La stessa Corte
Internazionale di Giustizia ha affermato: "L'organizzazione
internazionale è un soggetto di diritto internazionale, vincolato, in
quanto tale, da tutti gli obblighi che gli derivano da regole generali
del diritto internazionale, dal suo atto costitutivo e dagli accordi di
cui è parte".

PARTE PRIMA
LA FORMAZIONE DELLE NORME
INTERNAZIONALI
LA CONSUETUDINE
IV Diritto internazionale > La formazione delle norme internazionali
> La consuetudine

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Le norme generali del diritto internazionale che vincolano tutti gli
Stati, sono le consuetudini. Innanzitutto bisogna vedere cosa si
deve intendere per consuetudine: è un comportamento costante e
unifome tenuto dagli Stati, accompagnato dall convinzione
dell'obbligatorietà del comportamento stesso. Due sono quindi gli
elementi costitutivi: la diuturnitas (o meglio la "prassi") e l'opinio
iuris sive necessitatis. Questa impostazione cosiddetta
"dualistica" non ha trovato unanimità di consensi, ma è stata
criticata per aver considerato il secondo elemento come necessario.
In altre parole, per potersi parlare di consuetudine basterebbe
soltanto la prassi costante e uniforme, perché altrimenti si
ammetterebbe anche la consuetudine nata dall'errore (opinio iuris).
Tuttavia la prassi dei Tribunali internazionali e la giurisprudenza
interna sembrano orientati verso l'impostazione dualistica. Inoltre
gli Stati, per evitare che la sola prassi crei diritto, dichiarano che un
comportamento che stanno tenendo è determinato da mere ragioni
di cortesia e non può essere considerato come capace di creare una
norma o addiritture una desuetudine.
Quello che dobbiamo sottolineare è che, almeno al momento della
formazione della consuetudine, un comportamento non è sentito
come giuridicamente vincolante, bensì come socialmente dovuto. E
se mancasse l'elemento della opinio iuris sarebbe impossibile
distinguere una consuetudine produttrice di norme giuridiche da un
atto di mera cortesia, di cerimoniale o da un mero "uso".
L'opinio iuris inoltre permette di distinguere se un comportamento
di uno Stato sia diretto a modificare o abrogare una determinata
consuetudine attraverso la formazione di una desuetudine, dal
comportamento che costituisce invece un illecito internazionale.

Quali organi concorrono alla formazione della norma


consuetudinaria?
Si riconosce che la partecipazione spetta a tutti gli organi statali e
non solo i detentori del potere estero. Possono concorrere pertanto
non solo atti "esterni" degli Stati (trattati, note diplomatiche,
comportamenti in seno ad organi internazionali), ma anche atti
"interni" (leggi, sentenze, atti amministrativi), senza alcun ordine di
priorità. Sicuramente un ruolo decisivo è svolto dalla giurisprudenza
interna, con particolare rigurdo alle corti supreme.

Problema degli Stati nuovi


Poiché le consuetudini creano diritto generale, vincolano tutti gli
Stati, indipendentemente dalla loro partecipazione alla sua
formazione. Questo problema si è posto con particolare riguardo
per gli Stati nuovi che sono nati dal processo di decolonizzazione: il
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diritto consuetudinario esistente si era formato in epoca coloniale e
rispondeva ad esigenze ed interessi del tutto contrastanti da quelli
emergenti (pensiamo ai settori del diritto internazionale economico,
al diritto internazionale marittimo).
La soluzione del problema viene posta nei seguenti termini:
se la contestazione proviene da un singolo Stato ("persistent
objector"), questa è da considerarsi irrilevante. Non occorrerebbe
neanche la prova dell'accettazione della norma consuetudinaria
perché altrimenti si configurerebbe come accordo tacito, negando
la stessa idea di diritto internazionale generale. Inoltre è stato
dimostrato che generalmente il persistent objector non rivendica
l'inopponibilità nei suoi confronti della norma, ma tenta di impedire
la sua formazione o di negare che si sia formata. Se la
contestazione, invece, proviene da un gruppo di Stati non può
essere ignorata: in tal caso non solo non è opponibile ai Paesi che la
contestano, ma non si può neanche considerare come norma
consuetudinaria esistente.

Le consuetudini particolari
Oltre alle norme consuetudinarie generali esistono anche le
consuetudini particolari, ossia quelle regionali o locali. La loro figura
è certamente da ammettersi e la sua applicazione più rilevante è
fornita, più che dalle norme a carattere regionale, dal diritto non
scritto che può formarsi per modificare o abrogare le regole poste
da un determinato trattato: in altre parole, accade che le parti che
stipulano un accordo diano inizio ad una prassi che modifica le
norme a suo tempo pattuite.
Anche questo tipo di consuetudini devono considerarsi un fenomeno
di gruppo. Non costituiscono consuetudini particolari, invece, i casi
di uniformità di contegni tra un certo numero di Stati non legati da
trattato o da vincoli geografici o di altra natura.

Le norme consuetudinarie sono suscettili di interpretazione


analogica?
L'analogia è una forma di interpretazione estensiva, che consiste
nell'applicare una norma ad un caso che essa non prevede, ma i cui
caratteri essenziali siano analoghi a quelli del caso previsto.
Nell'ambito del diritto consuetudinario, il ricorso all'analogia ha
senso solo con riguardo alle fattispecie nuove.

I PRINCIPI GENERALI DI DIRITTO RICONOSCIUTI DALLE NAZIONI


CIVILI

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V Diritto internazionale > La formazione delle norme internazionali
> I principi generali di diritto riconosciuti dalle Nazioni Civili

L'art. 38 dello Statuto della Corte Internazionale di Giustizia anovera


tra le fonti del diritto internazionale i principi generali di diritto
riconosciuti dalle Nazioni civili. Secondo la comune
interpretazione di quest'articolo, detti principi si collocherebbero al
terzo posto dopo le consuetudini e gli accordi e sarebbero
applicabili quando manchino norme pattizie o consuetudinarie
applicabili al caso concreto. Costituirebbero cos', secondo
quest'impostazione, una sorta di analogia iuris, esprimibile con
principi come: ne bis in idem, nemo iudex in re sua, in claris non fit
interpretatio.
In realtà esiste una notevole varietà di opinioni in merito: alcuni
dicono che non si trattano affatto di norme giuridiche internazionali,
altri affermano la natura integratrice, altri ancora li collocano al
vertice della gerarchia delle fonti. Ma poi cosa bisogna intendere
con principi delle "Nazioni civili"?
A nostro avviso, perché possano essere applicati questi principi
devono sussistere due condizioni:
1. devono essere uniformemente applicati nella maggior parte degli
Stati
2. devono essere sentiti come obbligatori.
Così intesi non sarebbero altro che una categoria sui generis di
norme consuetudinarie internazionali. Secondo una simile
impostazione allora non sarebbero principi destinati a colmare
soltanto le lacune del diritto internazionale; il loro rapporto sarebbe
invece il normale rapporto tra norme di pari grado: la norma
posteriore abroga quella anteriore e la norma speciale deroga
quella generale.

Bisogna sottolineare che la contrarietà di una legge ordinaria


italiana al diritto internazionale generale comporta l'illegittimità
costituzionale della legge stessa, per violazione dell'articolo 10: tale
illegittimità potrà dichiararsi anche in caso di contrarietà ad un
principio generale di diritto riconosciuto dalle Nazioni civili.

ALTRE PRESUNTE NORME GENERALI NON SCRITTE: I PRINCIPI


VI Diritto internazionale > La formazione delle norme internazionali
> Altre presunte norme generali non scritte: i principi

Una parte della dottrina pone al di sopra delle norme


consuetudinarie un'altra categorie di norme generali non scritte: i
principi. Si è così sostenuta l'esistenza di una serie di principi

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"costituzionali" dell'ordinamento internazionale. Secondo il Quadri,
vigoroso sostenitore di questa teoria, i principi costituirebbero le
norme primarie del diritto internazionale, in quanto "espressione
immediata e diretta della volontà del corpo sociale". Tra questi
principi esisterebbero quelli formali, che si limitano a istituire
ulteriori fonti di norme internazionali, e quelli materiali, che
disciplinerebbero direttamente i rapporti tra gli Stati. I principi
formali sarebbero consuetudo est servanda e pacta sunt servanda. I
principi materiali potrebbero avere qualsiasi contenuto a secondo
della materia che si disciplina.
Questa impostazione non è accettabile. Non si possono ricostruire
principi materiali indipendentemente dall'uso e ricostruirli fino alle
estreme conseguenze, perché si aprirebbe la strada all'abuso.
Inoltre l'interprete interno, dovendo stabilire quali norme
internazionali generali siano da applicare in Italia ex art.10 Cost., si
dovrebbe chiedere di volta in volta se non vi siano "imposizioni" in
una determinata materia da parte delle forze dominanti nella
comunità internazionale.

Può essere considerata l'equità come fonte di norme


internazionali?
L'equità può essere considerata come il comune sentimento del
giusto e dell'ingiusto. Si ritiene che a parte la c.d. equità secundum
o infra legem, ossia la possibilità di utilizzare l'equità soltanto come
ausilio interpretativo e a parte quando un tribunale internazionale
sia espressamente autorizzato a giudicare ex aequo et bono, la
risposta deve essere negativa. Ovviamente sarà da escludere
l'equità contra legem, contraria cioè a norme consuetudinarie o
pattizie, oltre che quella praeter legem, diretta a colmare le lacune
del diritto internazionale.

IL VALORE DEGLI ACCORDI DI CODIFICAZIONE


VII Diritto internazionale > La formazione delle norme internazionali
> Il valore degli accordi di codificazione

Bisogna esminare il problema se esistano o meno norme


internazionali generali scritte. E questo problema si pone
innanzitutto per le codificazioni promosse dalle Nazioni Unite.
L'opera di codificazione è nata con le Nazioni Unite e siccome nella
comunità internazionale manca un'autorità con poteri legislativi, il
Trattato è l'unico strumento per la trasformazione del diritto non
scritto in diritto scritto.
L'articolo 13 della Carta delle Nazioni Unite prevede che
l'Assemblea generale intraprenda degli studi e faccia
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raccomandazioni per incoraggiare lo sviluppo del diritto
internazionale e la sua codificazione. A tali fini l'Assemblea ha
creato un'apposita Commissione incaricata di provvedere alla
preparazione di testi di codificazione delle norme consuetudinarie
relative a deterinate materie, procedendo a studi, raccogliendo dati
e predisponendo in tal modo progetti di convenzioni multilaterali
internazionali che vengano poi adottati e aperti alla ratifica e
all'adesione da parte degli Stati stessi.

Il primo problema che si pone è se, vista la codificazione e la


ratifica, vincolano soltanto gli Stati contraenti o anche gli Stati terzi?
Bisogna andare molto cauti nel considerare gli accordi di
codificazione come corrispondenti al diritto consuetudinario
generale e soprattutto nell'estenderli ai Paesi non contraenti.
Innanzitutto non si può riporre un'illimitata fiducia nei lavori della
Commissione di diritto internazionale delle Nazioni Unite, perché
spesso ci può essere l'influenza dell'interprete o anche di chi è
chiamato a far parte della Commissione stessa. Inoltre gli Stati
fanno quello che si fa sempre in sede di conclusione delle trattative
per la conclusione degli accordi internazionali: cercano di far
prevalere i propri interessi, le proprie convinzioni. Infine, l'art. 13
parla di "sviluppo progressivo" ma si rischia di far introdurre norme
che erano abbastanza incerte sul piano del diritto internazionale.

Per queste ragioni, gli accordi di codificazione vanno considerati


come normali accordi internazionali e quindi vincolano i soli Stati
contraenti che li ratificano.

Un grosso problema si creerebbe al verificarsi del fenomeno del c.d.


ricambio delle norme contenute dall'accordo. Ammesso che
l'accordo di codificazione sia coincidente con il diritto internazionale
consuetudinario al momento della sua redazione, è ben possibile
che in epoca successiva il diritto consuetudinario subisca dei
cambiamenti per effetto della mutata pratica degli Stati. Si può
anche verificare anche il fenomeno dell'invecchiamento
dell'accordo di codificazione man mano che gli interessi mutano e i
rapporti si evolvono, come anche dimostrato dal diritto dei trattati.
Che succede allora? Innanzitutto questo fenomeno riconferma la
tesi che a maggior ragione i principi non si possono applicare agli
Stati non contraenti, mentre per gli Stati contraenti sarà necessario
dimostrare che essi abbiano la volontà di derogare all'accordo nella
prassi, altrimenti si applica il diritto consuetudinario contenuto
nell'accordo.

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LE DICHIARAZIONI DI PRINCIPI DELL'ASSEMBLEA DELL'ONU
VIII Diritto internazionale > La formazione delle norme
internazionali > Le dichiarazioni di principi dell'Assemblea dell'ONU

Nel tema del diritto internazionale generale si inquadra anche il


problema del valore delle Dichiarazioni di principi emanate
dall'Assemblea delle Nazioni Unite. Si tratta di dichiarazioni
contenenti una serie di regole che talvolta riguardano i rapporti tra
Stati, ma spesso i rapporti interni alle varie comunità Statali, come i
rapporti dello Stato con i propri sudditi o con gli stranieri.

Bisogna innanzitutto sottolineare che le Dichiarazioni non


costituiscono un'autonoma fonte di norme internazionali generali,
poiché l'Assemblea generale delle Nazioni Unite non ha poteri
legislativi mondiali (tanto che si esprime mediante
raccomandazione, che ha valore di esortazione, non vincolante).
Tuttavia le Dichiarazioni svolgono un ruolo assai importante ai fini
dello sviluppo internazionale e al suo adeguamento alle esigenze di
solidarietà e di interdipendenza. Per quanto riguarda il diritto
consuetudinario, le Dichiarazioni vengono in rilievo, ai fini della sua
formazione, in quanto prassi degli Stati, in quanto somma degli
atteggiamenti degli Stati che le adottano, e non come atti dell'ONU.

Certe dichiarazioni o parti di Dichiarazioni hanno valore di veri e


propri accordi internazionali: sono quelle che non solo enunciano un
principio ma in modo espresso e inequivocabile ne equiparano
l'inosservanza alla violazione della Carta. Tuttavia, poiché
l'Assemblea non ha poteri interpretativi sovrani che vincolerebbero
tutti gli Stati a quell'interpretazione, anche le Dichiarazioni restano
delle mere raccomandazioni, dal punto di vista della Carta. Hanno
però carattere di accordo e come tale vincolano gli Stati che le
abbiano approvate e vanno inquadrate come accordi in forma
semplificata.

I TRATTATI
IX Diritto internazionale > La formazione delle norme internazionali
> I Trattati

Una volta esaurito l'esame del diritto internazionale generale,


possiamo passare a quello del diritto internazionale particolare: i
trattati. La terminologia usata per indicare questa materia è assai
vasta: accordo, trattato, patto, convenzione etc. Si parla di Carta o
Statuto per i trattati istitutivi di organizzazioni internazionali,

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scambio di note per l'accordo risultante dallo scambio di note
diplomatiche etc.

L'accordo internazionale può essere definito come l'unione o


l'incontro della volontà di due o più stati, dirette a regolare una
determinata sfera di rapporti riguardanti questi ultimi. Anche i
trattati possono dar vita sia a norme materiali, cioè a regole che
direttamente disciplinano i rapporti tra destinatari, imponendo
obblighi o attribuendo diritti, sia a norme formali o strumentali, che
si limitano cioè ad istituire fonti per la creazione di ulteriori norme.
A questa categoria appartengono i trattati costitutivi di
organizzazioni internazionali, che oltre a disciplinare direttamente
certi rapporti tra gli Stati membri, demandano agli organi sociali la
produzione di norme ulteriori.

Come nel diritto interno i contratti sono subordinati alla legge, così i
trattati sottostanno alle consuetudini (pacta sunt servanda). Le
Nazioni Unite hanno promosso l'elaborazione della Convenzione di
Vienna del 1969 sul diritto dei trattati, in vigore dal 27.01.1980 e
ratificata anche dall'Italia con legge 112/74.
Secondo quanto la stessa Convenzione stabilisce all'art. 4. il suo
campo di applicazione non tocca le regole meramente riproduttive
delle norme consuetudinarie generali, che, proprio perché generali,
valgono per tutti gli Stati e per tutti i trattati. La Convenzione,
invece, si applica unicamente ai trattati conclusi tra Stati dopo la
sua entrata in vigore per tali Stati. Ma occorre che gli Stati stipulanti
un accordo siano gli stessi della Convenzione o vale anche se alla
conclusione del Trattato partecipano anche Stati terzi?
Generalmente si preferisce questa seconda interpretazione.

Come si arriva alla conclusione di un accordo?


I modi di incontro della volontà degli Stati sono molto liberi nel
diritto internazionale in materia di forma e procedura. L'accordo si
può perfezionare istantaneamente o al termine di complicate
procedure. Generalmente il procedimento formale o solenne
vede la competenza assoluta del Capo di Stato. Il trattato veniva
negoziato degli emissari del Sovrano, definiti "plenipotenziari", in
quanto dotati di "pieni poteri", per la negoziazione. I plenipotenziari
predisponevano il testo dell'accordo e lo sottoscrivevano. Seguiva
poi la ratifica da parte del Sovrano, con cui accertava se i
plenipotenziari si fossero effettivamente attenuti al mandato
ricevuto. Alla fine, per portare la volontà del Sovrano a conoscenza
delle controparti, avveniva lo scambio delle ratifiche. Abbiamo
quindi 4 fasi: negoziazione, firma, ratifica e scambio delle ratifiche.
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La fase di negoziazione è tanto più complessa quanto più numerosi
sono gli Stati che partecipano alla negoziazione stessa.
Il negoziato si conclude con la "firma" da parte dei plenipotenziari,
ma questa non comporta ancora nessun vincolo per gli Stati: ha
solo valore di autenticazione del testo predisposto.
La manifestazione della volontà dello Stato che si impegna si ha con
la ratifica. La competenza a ratificare è disciplinata dal diritto
costituzionale di ogni Stato. L'ordinamento italiano all'art. 87
dispone che il Presidente della Repubblica ratifica i trattati
internazionale, previa, quando occorre, l'autorizzazione delle
Camere. L'art. 80 specifica quali sono le materie per le quali è
prevista l'autorizzazione e deve essere data con legge: trattati che
hanno natura politica, o prevedono regolamenti giudiziari, o
comportano variazioni del teritorio nazionale o oneri alle finanze, o
modificazioni di leggi. Questi due articoli devono essere letti con
l'art. 89 Cost., secondo cui nessun atto del Presidente è valido se
non è controfirmato dal ministro proponente che se ne assume la
responsabilità.
Non sempre le Costituzioni moderne parlano di ratifica. Possiamo
trovare anche i termini come "approvazione", "conclusione" etc.
Alla ratifica inoltre si equipara l'adesione che si ha, nel caso di
trattati multilaterali, quando la manifestazione di volontà diretta a
concludere l'accordo proviene da uno Stato che non ha preso parte
ai negoziati. Ovviamente sarà necessario che il trattato sia "aperto",
ossia che contenga una clausola di adesione.

Alla ratifica segue lo scambio delle ratifiche o il deposito delle


ratifiche. Nel caso di scambio, l'accordo si perfeziona
istantaneamente. Nel caso di deposito, che è la procedura
normalmente seguita per i trattati multilaterali, l'accordo si forma
tra gli Stati depositanti. A volte si può prevedere che il trattato non
entri in vigore finché non si siano raggiunte un certo numero di
ratifiche.

Questa, abbiamo detto, è la procedura solenne. E' possibile però


che gli Stati, godendo di ampia libertà per la formazione degli
accordi, scelgano un'altra forma. La più diffusa è la forma
semplificata, tanto che si parla anche di accordi informali.
L'accordo che si perfeziona con questa procedura entra in vigore
per effetto della sola sottoscrizione del testo da parte dei
plenipotenziari, attribuendo alla firma il valore di piena e definitiva
manifestazione di volontà. Ovviamente lo Stato dovrà attribuire
questo potere ai plenipotenziari, si dovrà specificare questo effetto
della firma e si dovrà esprimere nel corso della negoziazione che si
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intende attribuire questo valore alla firma.
Rientrano nella categoria degli accordi in forma semplificata anche
gli scambi di note diplomatiche. In questa categoria rientrano
tutti gli accordi che, in modo o in un altro, gli organi dello Stato
preposti alle relazioni con gli altri Stati, stipulano senza ricorrere
alla procedura della ratifica, impegnando definitivamente la
responsabilità dello Stato. La competenza a concludere gli accordi
in forma semplificata, al pari della competenza a ratificare, è
regolata dal diritto costituzionale di ciascuno Stato.
Tendenzialmente l'organo è l'Esecutivo.

Cosa succede se l'organo che stipula il trattato era


incompetente?
Tendenzialmente si escludono sia visioni prettamente
internazionalistiche, sia visioni prettamente interne: gli accordi non
sono né sempre validi, né sempre invalidi. Ripudiate tali situazioni
estreme, la Convenzione di Vienna propone una soluzione all'art.
46: il fatto che il consenso di uno Stato ad essere vincolato da un
trattato sia stato espresso in violazione di una regola di competenza
a stipulare del suo diritto interno non può essere invocato da tale
Stato come vizio del suo consenso, a meno che la violazione non sia
manifesta e non concerna una regola del suo diritto interno di
importanza fondamentale; una violazione è manifesta se è
obiettivamente evidente per qualsiasi Stato che si comporti in
materia secondo la prassi abituale e in buona fede. Noi riteniamo
che la violazione di norme interne di importanza fondamentale sia
causa di invalidità del trattato solo quando sull'accordo non si sia
pronunciato uno degli organi cui la Costituzione assegna un potere
decisionale effettivo nel procedimento di stipulazione. La parte in
cui prevede la buona fede, invece, non sembra da seguire perché
risente di una conzione troppo "diplomatica" del diritto
internazionale.

Accordi stipulati dalle organizzazioni internazionali


Nella prassi contemporanea è anche molto diffuso il fenomeno degli
accordi stipulati dalle organizzazioni internazionali, sia fra loro, sia
con Stati terzi. Probabilmente il potere di concludere trattati è da
considerare la manifestazione più saliente della personalità
giuridica internazionale delle organizzazioni. Il Trattato istitutivo
dell'organizzazione stessa deve disciplinare quali sono gli organi
competenti a stipulare e quale sia la competenza per materie. Una
violazione grave delle norme statutarie sulla competenza a
stipulare può comportare l'invalidità dell'accordo. Poiché, però, le
norme contenute nel Trattato istitutivo sono modificabili dalla
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consuetudine, la competenza a stipulare può anche risultare da
regole consolidatesi nella prassi dell'organizzazione, purché si tratti
di prassi certa, ossia seguita dagli organi e accettata dagli Stati
membri e sempre che non ci sia un organo giudiziario incaricato di
vegliare sul rispetto del trattato.

INEFFICACIA DEI TRATTATI NEI CONFRONTI DEI TERZI E


INCOMPATIBILITA'

X Diritto internazionale > La formazione delle norme internazionali


> Inefficacia dei Trattati nei confronti di terzi e incompatibilità

Inefficacia dei Trattati nei confronti di Stati terzi

La caratteristica del diritto pattizio è che fa legge tra le parti e solo


tra le parti. Se il trattato contiene una clausola di adesione, cioè è
aperto, altri Stati, che non hanno partecipato ai negoziati, vi
possono comunque aderire a pieno titolo mediante una loro
dichiarazione di volontà. In tal modo la posizione degli Stati aderenti
non differirà giuridicamente da quella degli Stati originari, se non
per il esmplice fato che non hanno partecipato alla formazione
dell'accordo.
Può verificarsi, però, che la clausola di adesione manchi e che la
convenzione crei diritti in suo favore o obblighi a suo carico. Anche
in questo caso sarà necessario dimostrare che gli obblighi e i diritti
siano in qualche modo accettati dallo Stato: cioè che il trattato
contenga in qualche modo un'offerta e dallo Stato terzo provenga
un'accettazione, il che determinerà quell'incontro di volontà che è
caratteristico dell'accordo. Fuori da questi casi non potrà che
applicarsi il principio di inefficacia dei trattati nei confronti degli
Stati terzi, non contraenti.

Le parti possono anche impegnarsi in un contratto a favore di Stati


terzi, che quindi risulti vantaggioso per questi Stati non contraenti.
Ma tali vantaggi, finché non si trasformano in diritti attraverso la
partecipazione del terzo all'accordo in uno dei modi indicati,
possono essere sempre revocati dalle parti contraenti. Le parti

15
contraenti se vogliono negare al terzo i vantaggi pattuiti non hanno
bisogno di stipulare un successivo trattato, ma possono negarli in
determinati casi e riconoscerli in altri.

L'art. 34 della Convenzione di Vienna sancisce, come regola


generale, che un trattato non crea obblighi o diritti per un terzo
Stato senza il suo consenso. La stessa regola vale per un obbligo.
Ma mentre il consenso nel primo caso si presume fino a prova
contraria, nel secondo caso deve essere maniestato. Nel caso in cui
i contraenti creino dei vantaggi per lo Stato terzo, possono revocare
quando vogliono il "diritto" accettato dal terzo, a meno che non ne
abbiano previamente stabilita in qualche modo l'irrevocabilità.

Incompatibilità tra norme internazionali


Ovviamente un trattato può essere modificato o abrogato da un
trattato successivo fra gli stessi contraenti, cosa succede se i
contraenti dell'uno e dell'altro trattato coincidono solo in parte?
Si cerca di trovare la soluzione nei principi di successione dei
trattati nel tempo e quello dell'inefficacia dei trattati nei confronti di
terzi: fra gli stati contraenti di entrambi i trattati, prevale l'accordo
successivo; nei confronti degli Stati che siano parti di uno solo dei
trattati, restano invece integri, nonostante l'incompatibilità, tutti gli
obblighi che da ciascuno di essi derivano. Lo Stato contraente di
entrambi si troverà, in poche parole, a dover scegliere a quali
impegni tenere fede e rispondere di inadempimento per degli altri.
La Convenzione di Vienna è orientata in tal senso, ma all'art. 41
precisa che due o più parti di un trattato non possono concludere
un accordo mirante a modificarlo, sia pure nei loro rapporti
reciproci, quando la modifica è vietata dal trattato multilaterale,
oppure pregiudica la posizione delle altre parti contraenti oppure è
incompatibile con la realizzazione dell'oggetto e dello scopo del
trattato nel suo insieme. L'espressione "non possono" è molto
ambigua, ma si ritiene che non figuri una causa di invalidità
dell'accordo (perché la disposizione non si colloca nell'ambito delle
cause di invalidità), ma illiceità e responsabilità internazionale.

E NEI TRATTATI

XI Diritto internazionale > La formazione delle norme internazionali


> Le riserve nei trattati

16
La riserva indica la volontà dello Stato di non accettare certe
clausole del trattato o di accettarle con alcune modifiche, oppure
secondo una determinata interpretazione (c.d. riserva
interpretativa). Così facendo tra lo Stato autore della riserva e gli
altri Stati contraenti, l'accordo si forma solo per la parte non
investita dalla riserva, mentre il trattato resta integralmente
applicabile agli altri Stati.
Ovviamente la riserva ha senso per i soli trattati multilaterali,
soprattutto quello stipulati da un numero rilevante di Stati. Nei
trattati bilaterali, lo Stato che non vuole assumere certi impegni
deve solo proporre alla controparte di non includerli nel testo.
L'istituto della riserva,allora, serve a facilitare la larga
partecipazione degli Stati ai trattati multilaterali.

Secondo il diritto internazionale tradizionale, la possibilità di


apporre riserve doveva essere tassativamente concordata nella
fase di negoziazione e quindi doveva figurare nel testo del trattato
predisposto dai plenipotenziari. In mancanza, lo Stato non aveva
altra alternativa se non quella di ratificare il trattato. Due erano i
modi per i quali era possibile apporre riserve: o i signoli Stati
dichiaravano al momento della negoziazione di non voler accettare
alcune clausole, oppure il testo prevedeva genericamente la facoltà
di apporre riserve al momento della ratifica o dell'adesione, e in tal
sede ogni Stato valutava se avvalersi o meno di tale facoltà. In
quest'ultimo caso era comunque necessario che il testo specificasse
quali clausole potevano essere oggetto di riserva.

Oggi invece si assiste ad un'evoluzione. Un parere del 1951 della


Corte Internazionale di Giustizia affermò che una riserva può essere
anche formulata all'atto della ratifica, anche se la relativa facoltà
non è espressamente prevista nel testo del trattato purché essa sia
compatibile con l'oggetto e lo scopo del trattato; purché, in altre
parole, essa non riguardi clausole fondamentali e caratterizzanti
l'intero trattato, altrimenti non si configurerebbe neanche l'accordo.

Il parere della Corte ha influenzato la redazione del testo della


Convenzione di Vienna, nella quale è codificato il principio che una
riserva può essere sempre formulata purché non sia espressamente
esclusa dal testo del trattato e purché non sia incompatibile con lo
scopo e l'oggetto del trattato medesimo. Se la riserva non è
prevista dal testo del trattato e nessuno la contesta entro dodici
mesi dalla notifica della riserva stessa alle altri parti contraenti,
essa si intende accettata.

17
Dopo la Convenzione, la prassi internazionale ha non solo
confermato quanto disposto, ma ha anche portato innovazioni,
riconoscendo, ad esempio, la possibilità che uno Stato formuli le
riserve in un momento successivo rispetto a quello in cui aveva
ratificato il trattato, purché nessuna delle altre parti contraenti
sollevi obiezioni contro il ritardo. La tendenza più innovatrice si
ricava dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti umani: se
lo Stato formula una riserva inammissibile (perché espresamente
esclusa dal testo o perché contraria all'oggetto o allo scopo del
trattato), tale inammissibilità non comporta l'estraneità dello Stato
stesso rispetto al trattato, ma l'invalidità della sola riserva che si
avrà per non apposta. Bisogna però osservare che la giurisprudenza
della Corte europea riguarda solo la Convenzione europea dei diritti
umani e ogni estensione ad altri tipi di trattati è prematura.

Quando alla formazione della volontà dello Stato concorrono più


organi, può darsi che l'apposizione di una riserva sia decisa da uno,
ma non dagli altri. Cosa succede se il Governo non tiene conto di
una riserva decisa dal Parlamento o formula una riserva che il
Parlamento non ha voluto? Casi del genere si sono anche verificati
in Italia e le opinioni dottrinali in merito sono svariate. Alcuni
ritengono che il Governo possa apporre riserve, in quanto gestore
dei rapporti internazionali, mentre la tesi opposta, muovendo da
posizioni più garantiste e dalla necesstà della collaborazione tra i
due organi, sostiene che il governo non possa apporre riserve non
volute dal Parlamento.
A nostro avviso la questione si risolve tenendo conto due principi
costituzionali cardine: la formazione e manifestazione della volontà
dello Stato e la responsabilità del Governo dall'altra. Sotto il primo
profilo una riserva è valida sia che venga formulata solo dal
Parlamento, sia solo e autonomamente dal Governo. Tuttavia se il
Governo decide di discostarsi in tema di riserve da quanto
deliberato in Parlamento, rischierebbe il ricorso dell'organo
legislativo ai meccanismi della messa in gioco della responsabilità
governativa. Siccome per il diritto internazionale è irrilevante la
responsabilità del Governo, ma si preoccupa della formazione della
volontà dello Stato, la riserva resta comunque valida, tranne nel
caso in cui la riserva fosse contenuta nella legge di autorizzazione e
di cui il Governo non tenga conto in cui si verificherebbe una
violazione grave del diritto interno e dovrà ritenersi che lo Stato non
resti impeganto per detta parte se e finché il Parlamento non
revochi espressamente o implicitamente la riserva.

18
L'INTERPRETAZIONE DEI TRATTATI
XII Diritto internazionale > La formazione delle norme internazionali
> L'interpretazione dei trattati

Oggi si tende ad abbandonare il metodo c.d. subiettivistico, in base


al quale si renderebbe in ogni caso necessaria la ricerca della
volontà effettiva delle parti come contrapposta alla volontà
dichiarata. Si deve attribuire al trattato il senso che è fatto palese
dal suo testo, che risulta dai rapporti di connessione logica tra le
varie parti del testo. In questo senso i lavori preparatori assumono
un ruolo importante di sussidio, potendosi ad essi ricorrere in
presenza di un testo ambiguo e lacunoso.
La Convenzione di Vienna si pronuncia a favore del metodo
obiettivistico, pronunciandosi sull'interpretazione agli artt. 31-33. Il
trattato deve essere interpretato in buona fede, secondo il
significato ordinario da attribuirsi ai termini del trattato nel loro
contesto e alla luce dell'oggetto e dello scopo del trattato stesso. I
lavori preparatori sono unn mezzo supplementare di integrazione,
da usare quando il testo è particolarmente oscuro o porta ad un
risultato assurdo e irragionevole.
Valgono per l'interpretazione dei trattati anche le regole che la
teoria generale ha elaborato per l'interpretazione delle norme
giuridiche. Ci riferiamo alle regole sull'interpretazione restrittiva o
estensiva, come quella che tra i diversi significati occorre scegliere
quello più favorevole alla parte più onerata o al contraente più
debole.
L'inteprete può ricorrere ad un'interpretazione estensiva o anche
all'analogia.
La Convenzione di Vienna non avalla interpretazioni
unilateralistiche dei trattati. Si deve pertanto escludere che una
norma contenuta in un accordo internazionale, a meno che
ovviamente non disponga essa stessa in tal senso, possa assumere
significati differenti a seconda dello Stato contraente al quale, o
all'interno del quale, debba applicarsi.
Due regole sono significative: una è quella dell'art. 33 che, nel caso
di testi non concordanti redatti in più lingue ufficiali, impone
un'interpretazione che comunque concili tutti i testi. L'altra è quella
dell'art. 31 che è la regola favorevole al metodo obiettivistico. Non
si applicano però le norme interpretative del diritto interno agli
Stati.
19
LA SUCCESSIONE DEGLI STATI NEI TRATTATI
XIII Diritto internazionale > La formazione delle norme
internazionali > La successione degli Stati nei trattati

Il problema della successione nei trattati si pone quando uno Stato


si sostituisce ad un altro nel governo di un territorio. E' o non è
vincolato dai trattati stipulati dal suo predecessore e in vigore in
quel territorio?
La sostituzione può avvenire per la cause e nei modi più svariati:
per effetto di cessione o conquista, sotto la sovranità dello Stato
esistente oppure si costituisce uno Stato nuovo e indipendente.
Alla successione degli Stati nei trattati è dedicata una Convenzione
di codificazione, predisposta dalla Commissione di diritto
internazionale delle Nazioni Unite e firmata a Vienna nel 1978.

Un principio pacifico per la dottrina e la prassi in materia di


successione, enunciato anche dalla Convenzione, è quello per cui lo
Stato che in qualsiasi modo si sostituisce ad un altro nel governo di
una comunità territoriale è vincolato dai trattati o dalle clausole di
un trattato localizzabile, cioè che riguardano l'uso di determinate
parti di territorio, conclusi dal predecessore. In questa categoria
rientrano i trattati che istituiscono servitù attive o passive nei
confronti degli Stati vicini, la concessione in affitto di parti del
territorio, i trattati che prevedono la lebera navigazione dei fiumi e
simili.
La successione nei trattati localizzabili incontra un limite che è
comune a tutte le altre ipotesi in cui il diritto internazionale
ammette la trasmissione dei diritti e degli obblighi pattizi. Tale
limite consiste nelle non trasmissibilità degli accordi che abbiano un
prevalente carattere politico, che siano cioè strettamente legati al
regime vigente prima del cambiamento di sovranità.

Passiamo ora ai trattati non localizzabili, che sono la maggior


parte. Per questo tipo di accordi la prassi risulta assai confusa
anche perché sempre più spesso la successione nei trattati del
predecessore è regolata mediante accordi tra lo Stato subentrante
e le altre parti contraenti dei precedenti trattati. La regola
fondamentale da assumere come punto di partenza per i trattati
non localizzabili è quella della c.d. tabula rasa: lo Stato che
subentra nel governo di un territorio non è, in linea di principio,
salve eccezioni, vincolato dagli accordi conclusi dal suo
predecessore. La prassi depone in tal senso.

20
La Convenzione distingue la situazione degli Stati sorti dalla
decolonizzazione dalla situazione di ogni altro Stato che subentri nel
governo di un territorio. Mentre per la prima assume come regola
fondamentale quella della tabula rasa, per la seconda sceglie la
regola opposta della continuità dei trattati. Un simile trattamento
differenziato non trova però corrispondenza nel diritto
consuetudinario.

A questo punto possiamo esaminare le singole ipotesi di


mutamento di sovranità assumendo come punto di partenza la
regola della tabula rasa.
1. Il principio della tabula rasa si applica anzitutto nell'ipotesi del
distacco di una parte del territorio di uno Stato. Può darsi che
la parte di territorio distaccatasi si aggiunga al territorio di un altro
Stato preesistente. In tal caso gli accordi vigenti nello Stato che
subisce il distacco cessano di avere vigore con riguardo al territorio
distaccatosi e si estendono invece automaticamente gli accordi
vigenti nello stato che acquista il territorio.
2. Può darsi invece che sulla parte distaccatasi si formino uno o più
Stati nuovi (secessione). Anche in questo caso gli accordi vigenti
nello Stato che subisce il distacco cessano di avere vigore con
riguardo al territorio che acquista l'indipendenza. La prassi relativa
agli Stati sorti dalla decolonizzazione ha suggellato tale tendenza.
L'applicazione del principio della tabula rasa agli Stati nuovi
formatisi per distacco è integrale per quanto riguarda i trattati
bilaterali conclusi dal predecessore e vigenti nel territorio
distaccatosi. Tali trattati potranno continuare a vivere solo se
rinnovati attraverso un apposito accordo con la controparte. La
stessa cosa vale per i trattati multilaterali chiusi, ossia dei trattati
che non prevedono la partecipazione, mediante adesione, di Stati
diversi da quelli originari: anche in questa ipotesi sarà necessario
un nuovo accordo con tutte le controparti. Per i trattati multilaterali
aperti, il principio della tabula rasa subisce un temperamento. Lo
Stato di nuova formazione può, anziché aderire, procedere alla c.d.
notificazione di successione: con tale atto la sua partecipazione
retroagisce al momento dell'acquisto dell'indipendenza. In altre
parole, mentre l'adesione ha effetto ex nunc, la notificazione di
successione ha carattere retroattivo.
3. Affine all'ipotesi della secessione è il caso dello
smembramento. Mentre la secessione non implica l'estinzione
dello Stato che la subisce, la caratteristica dello smembramento sta
proprio nel fatto che uno Stato si estingue e sul suo territorio si
formano due o più Stati nuovi. L'unico criterio idoneo a distinguere

21
le due ipotesi è quello della continuità o meno dell'organizzazione di
governo preesistente: l'ipotesi dello smembramento è da
ammettere quando nessuno degli Stati residui abbia la stessa
organizzazione di governo, lo stesso regime. Ai fini della
successione nei trattati, lo smembramento deve essere assimilato
al distacco. Si applica il principio della tabula rasa, temperato però
dalla regola che per i trattati multilaterali aperti prevede la facoltà
di procedere ad una notificazione di successione.
4. Oposte in un certo senso al distacco e allo smembramento sono
l'incorporazione e la fusione. La prima si ha quando uno Stato,
estinguendosi, passa a far parte di un altro Stato; la seconda
quando due o più Stati si estinguono tutti e danno vita ad uno Stato
nuovo. La distinzione è molto sottile e bisogna pertanto riferirsi
all'organizzazione di governo che risulta dall'unificazione.
All'incorporazione si applica la regola della mobilità delle frontiere
dei trattati. I trattati dello Stato che si estingue cessano di avere
vigore, mentre al territorio incorporato si estendono i trattati dello
Stato incorporante. Per i trattati dello Stato incorporato vale, ancora
una volta, il principio della tabula rasa. Lo stesso principio regola i
casi di fusione: lo Stato sorto dalla fusione, sempre che sia
effettivamente stato nuovo e che non presenti condizioni di
continuità per quanto riguarda l'organizzazione di governo, nasce
libero da impegni pattizi.
5. Un'eccezione al principio della tabula rasa sia nell'ipotesi di
incorporazione che di fusione, deve ammettersi quando le comunità
statali incorporate o fuse, pur estinguendosi come soggetti
internazionali, conservino un notevole grado di autonomia
nell'ambito dello Stato incorporante o nuovo, quando si instauri un
vincolo di tipo federale. In tal caso la prassi si è orientata nel senso
della continuità degli accordi.
6. Un problema di successione nei trattati si pone anche nel caso si
verifichi un mutamento di governo nell'ambito di una comunità
statale, senza che il territorio subisca ampliamenti o diminuzioni.
Quando il mutamento avviene per vie extralegali e si instaura un
regime radicalmente diverso, si deve ritenere che muti la persona
di diritto internazionale (proprio perché lo Stato soggetto di diritto
internazionale si identifica con l'apparato di governo). Opera anche
qui il principio della tabula rasa o si ha una successione del nuovo
Governo nei diritti e negli obblighi del predecessore? La prassi
sembra orientata in questo secondo senso, eccezion fatta per i
trattati incompatibili con il nuovo regime.

Successione nei debiti contratti mediante accordo

22
internazionale
Il principio generale è quello della tabula rasa salvo i debiti
localizzabili. Secondo la prassi più recente (smembramento
dell'URSS e della Cecoslovacchia) il debito deve essere equamente
ripartito tra gli Stati sorti dallo smembramento e tra questi Stati ed i
soggetti creditori.

CAUSE DI INVALIDITA' E DI ESTINZIONE DEI TRATTATI


XIV Diritto internazionale > La formazione delle norme
internazionali > Cause di invalidità e di estinzione dei trattati

e cause di invalidità ed estinzione dei trattati sono molto simili a


quelle previste dal diritto dei contratti, ma la categoria è allargata
dalle cause tipiche del diritto internazionale. La disciplina è
contenuta da norme ad hoc e dalle consuetudini che costituiscono i
principi generali di diritto.

Cause di invalidità
1. errore essenziale, previsto dall'art. 48 della Convenzione di
Vienna, è un fatto, una situazione che lo Stato supponeva esistente
al momento in cui è stato concluso il trattato e che costituiva una
base essenziale del consenso di questo Stato.
2. dolo, previsto all'art. 49, comprende anche l'ipotesi della
corruzione dell'organo stipulante (art. 50).
3. violenza, che può essere fisica o morale, prevista all'art. 51.

Cause di estinzione
Il trattato si estingue per una delle seguenti ipotesi:
1. condizione risolutiva
2. termine finale
3. denuncia
4. recesso
5. inadempimento di controparte
6. sopravvenuta impossibilità di esecuzione
7. abrogazione ( totale o parziale, espressa o per incompatibilità)
mediante accordo successivo tra le parti

23
Tra le cause di invalidità rientra anche la violenza esercitata
sullo Stato nel suo complesso. L'art. 52 infatti dispone che è
nullo qualsiasi trattato la cui conclusione sia stata ottenuta con la
minaccia o l'uso della forza in violazione dei principi della Carta
delle Nazioni Unite. Si evince facilmente che viene bandito l'uso
della forza, ma si ritiene che si tratti della forza armata, perché
nella prassi non ci sono elementi che facciano ricomprendere
pressioni di altro genere (come le pressioni politiche ed economiche
ancorché illecite che ci sono spesso).
La violenza sullo Stato è da configurare come causa d'invalidità dei
trattati entro limiti ristretti. Il problema dei trattati ineguali non si
risolve sul piano della validità. Si interpretano in modo equo i
trattati in cui la parte non ha un ampio margine di potere
contrattuale, e in modo restrittivo le clausole particolarmente
favorevoli agli Stati più forti.

Clausolo rebus sic stantibus


Il trattato si estingue in tutto o in parte se mutano le circostanze
esistenti al momento della stipulazione, purché si tratti di
circostanze essenziali, senza cui i contraenti non avrebbero
trattato. Per l'antica dottrina è una condizione risolutiva tacita,
perché venivano meno le circostanze a cui si subordinava l'efficacia
del trattato. Se è espressa, non si creano problemi perché si
configura come condizione stabilita dalle parti. Se, invece, non è
espressa, la situazione è più delicata: si riconosce tuttavia che il
trattato si estingua solo se le circostanze mutate costituivano la
"base essenziale del consenso dele parti" (art. 62 Convenzione di
Vienna). Questo principio sembra essere la negazione della
consuetudine secondo cui pacta sunt servanda.

Guerra
Ci si chiede se la guerra sia causa di estinzione o sospensione dei
trattati. La regola classica era orientata nel primo senso. La prassi
moderna, invece, propone molte eccezioni e temperamenti: si nega
l'effetto estintivo della guerra per i trattati multilaterali, ma la
giurisprudenza tende a considerare estinte quelle convenzioni
incompatibili con lo stato di guerra. tuttavia bisogna verificare di
volta in volta se la guerra abbia determinato un mutamento
radicale delle circostanze esistenti al momento del trattato (rebus
sic stantibus).

Mezzi per far valere l'estinzione o invalidità


Una volta che si è verificata la causa di estinzione o di invalidità,
questa opera automaticamente o è necessario un atto formale di
24
denuncia? Il problema è molto controverso in dottrina:
1. certe cause (termine finale, abrogazione da parte di un accordo
successivo etc.) operano automaticamente.
2. altre cause di invalidità e di estinzione (che sono la maggior
parte, come i vizi della volontà o il mutamento sopravvenuto delle
circostanze) operano in modo automatico secondo alcuni, dopo un
formale atto di denuncia notificato agli Stati contraenti secondo
altri, resta in vigore finché non si accerta in modo imparziale la
causa di invalidità o estinzione secondo altri ancora.
Tendenzialmente si esclude l'automaticità quando la causa
invalidante o estintiva consista in fatti difficili da provare o di dubbia
interpretazione.

Denuncia
Lo scopo della denuncia consiste nella manifestazione della volontà
di uno Stato di sciogliersi una volta per tutte dal vincolo
contrattuale. La denuncia produce la cessazione del vincolo? La
denuncia vincola alla disapplicazione, ma deve provenire dagli
organi competenti a manifestare la volontà dello Stato sul piano dei
rapporti internazionali. A tali fini, bisognerà guardare la Costituzione
dei singoli Stati: in generale è l'Esecutivo, ma esistono anche forme
di collaborazioni tra Parlamento e Governo.
Gli altri Stati contraenti non sono vincolati dalla denuncia dello
Stato. In caso di disaccordo sull'effettiva insorgenza della causa di
invalidità o estinzione, il trattato entra in una fase di incertezza sul
piano del diritto internazionale.

Procedura prevista dalla Convenzione di Vienna per far


valere l'invalidità e l'estinzione (artt. 65-68)
1. Notifica scritta della pretesa dello Stato agli altri paesi contraenti
2. Se, trascorso un periodo non inferiore a tre mesi salvi i casi di
urgenza, non vengono presentate obiezioni, lo Stato può
definitivamente dichiarare che il Trattato è invalido o estinto, con
atto comunicato alle altre parti, sottoscritto dal Capo dello Stato o
dal Capo del Governo o dal Ministro degli Esteri, o comunque da
una persona munita di pieni poteri in tal senso
3. se invece vengono presentate obiezioni, si cerca una soluzione
della controversia con mezzi pacifici. La soluzione deve pervenire
entro 12 mesi
4. se passano i 12 mesi inutilmente, si mette in moto una
procedura conciliativa che fa capo ad una commissione formata
nell'ambito delle Nazioni Unite che sfocia in una decisione non
obbligatoria, ma esortativa. La pretesa all'invalidità o estinzione

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resta paralizzata in perpetuo. I giudici interni non sono mai vincolati
e costretti alla paralisi.

LE FONTI PREVISTE DA ACCORDI: LE NAZIONI UNITE


XV Diritto internazionale > La formazione delle norme internazionali
> Le fonti previste da accordi: le Nazioni Unite

I Trattati non contengono solo regole materiali, ma anche regole


strumentali o formali, che istituiscono cioè ulteriori procedimenti o
fonti di produzione di norme. Generalmente il compito delle
organizzazioni internazionali non è quello di emanare norme, ma di
facilitare la collaborazione tra Stati membri, mediante
raccomandazioni, cioè atti che hanno scarso valore giuridico
perché non sono vincolanti, ma hanno solo valore di esortazione.
Le risoluzioni delle organizzazioni internazionali possono essere, a
seconda dei loro Statuti, prese a maggioranza o maggioranza
qualificata, ma spesso è richiesta l'unanimità. Recentemente si è
affermata la pratica del consensus, che consente nell'approvare
una risoluzione senza una votazione formale, ma con una
dichiarazione (non contestata, ma concertata) dal Presidente
dell'organo che attesta l'accordo tra i membri.

L'ORGANIZZAZIONE DELLE NAZIONI UNITE


Fondata dopo la seconda guerra mondiale al posto della Società
delle Nazioni, la Conferenza di San Francisco ne elaborò la carta nel
1945. La Svizzera non ne fa parte. L'art. 7 della sua carta disciplina i
suoi organi principali:
1. Assemblea generale: ha quasi tutte le competenze (tende a
coincidere con la stessa organizzazione), ma non ha alcun potere
vincolante; sono rappresentati tutti gli Stati e tutti hanno pari diritto
di voto.
2. Consigli di sicurezza: composto da 15 membri, di cui 5 a titolo
permanente [USA, Russia, Francia, Gran Bretagna e Cina] che
godono anche del diritto di veto. Si occupa di questioni attinenti al
mantenimento della pace e della sicurezza internazionale.
3. Consiglio economico e sociale: i suoi membri vengono eletti
dall'Assemblea generale per tre anni ed insieme al
4. Consiglio di amministrazione fiduciaria è subordinato
all'Assemblea generale, di cui deve seguire le direttive.
5. Corte internazionale di giustizia: formata da 15 giudici, ha la

26
funzione di dirimere le controversie tra Stati, ma ha anche una
funzione consultiva (pur essendo i pareri dei giudici né obbligatori,
né vinvolanti su qualsiasi questione giuridica).
6. Segretariato nominato dall'Assemblea generale su proposta del
consiglio di sicurezza, è l'organo esecutivo.

Le materie di competenza sono vastissime, tanto che è più facile


sottolineare che esulano dalla sfera di competenza
dell'organizzazione le questioni interne di uno Stato. Le aree che le
spettano possono essere raggruppate in tre categorie:
1. mantenimento della pace
2. sviluppo delle relazioni amichevoli tra Stati fondatori sul principio
di eguaglianza dei diritti e autodeterminazione dei popoli
3. collaborazione in campo economico, sociale, culturale e
umanitario.

La sua attività principale consiste nell'emanazione di


raccomandazioni e nella predisposizione di progetti di convenzione
(soprattutto per l'Assemblea generale che non è organo legislativo,
ma foro di discussione). L'organizzazione è dotata, in rari casi,
anche di poteri vincolanti nei confronti degli Stati membri. Secondo
l'art. 17 della Carta, l'Assemblea generale ha il potere di ripartire tra
gli Stati membri:
1. le spese dell'organizzazione (con una decisione presa a
maggioranza di 2/3)
2. può esprimere una decisione vincolante sulle modalità e termini
per la conessione dell'indipendenza ai territori sotto dominio
coloniale.

Decisioni vincolanti del consiglio di sicurezza


Sono prevista da talune disposizioni rispetto alla minaccia alla
pace,alle violazioni della pace e agli atti di aggressione. Gli artt. 41
e 42 distinguono le misure implicanti e quelle non implicanti l'uso
della forza. Il Consiglio può intraprendere azioni di tipo bellico
contro uno stato. L' art. 41 dispone che il Consiglio di sicurezza
decide quali misure non implicanti l'uso della forza armata debbono
essere adottate dagli Stati membri contro uno Stato che minacci o
abbia violato la pace e indica siffatte misure a titolo esemplificativo,
l'interruzione totale o parziale delle relazioni economiche e delle
comunicazioni ferroviarie, marittime, aeree, postali, telegrafiche,
radio e altre e la rottura delle relazioni diplomatiche.

27
ISTITUZIONI SPECIALIZZATE DELLE NAZIONI UNITE

XVI Diritto internazionale > La formazione delle norme


internazionali > Le istituzioni specializzate delle Nazioni Unite

In campo economico e sociale troviamo tutta una serie di


organizzazioni internazionali sia a carattere universale sia a
carattere regionale. Alcune si chiamano istituti specializzati (o
istituzioni specializzate) delle Nazioni Unite perché ad esse
subordinate e da esse controllate.
Il collegamento tra le istituzioni specializzate e le Nazioni Unite
nasce da un accordo che, dal lato dell'ONU, è negoziato dal
Consiglio economico e sociale e approvato dall'Assemble generale.
Il contenuto si ricollega ad uno schema tipico che prevede:
1.scambio di rappresentanti
2.osservatori
3.documenti
4.consultazioni in caso di necessità
5.coordinamento dei rispettivi servizi tecnici
6.impegno dell'istituto specializzato a prendere almeno in esame le
raccomandazionidell'ONU.
Un'altra caratteristia è l'applicabilità delle norme della carta che si
occupano degli Istituti e che li sottopongono, entro certi limiti, al
potere di coordinamento e controllo dell'ONU, tanto che l'art. 58
abilita l'Assemblea e il Consiglio economico e sociale ad emanare
raccomandazioni al fine di coordinare i programmi e le attività degli
Istituti specializzati. Anche gli Istituti specializzati emanano di solito
raccomandazioni, oppure predispongono Progetti di Convenzione. In
alcuni casi emanano, a maggioranza, decisioni vincolanti per gli
Stati membri o decisioni che diventano vincolanti se entro un certo
periodo gli Stati non provvedono a ripudiarle.
Queste decisioni sono inquadrate tra le fonti previste da accordo,
cioè dall'accordo istitutivo della relativa organizzazione.

FAO ( Food and Agricultural Organization)


Creata nel 1945, tra i suoi organi: Conferenza (composta da un
delegato di ogni Stato membro) che si riunisce ogni due anni in
sessione ordinaria, il Consiglio (composto da 18 membri scelti dalla
Conferenza) e il Direttore generale. L'istituzione ha il compito di
ricerca e informazione alla promozione ed esecuzione di programmi
di assistenza tecnica e aiuti nel campo agricolo e alimentare.

ILO (International Labor Organization)


Creata dopo la prima guerra mondiale, è composta dalla

28
Conferenza generale, formata da 4 delegati per ogni Stato, di cui 2
rappresentano il Governo e 2 rispettivamente i datori di lavoro e i
lavoratori. Le funzioni consistono nell'emanazione di
raccomandazioni e nella predisposizione di progetti di convenzione
multilaterale in materia di lavoro. I progetti di convenzione,
approvati con la maggioranza dei 2/3, vengono comunicati agli Stati
membri che restano liberi di approvarli o meno, ma hanno l'obbligo
di sottoporli entro un certo periodo agli organi competenti per la
ratifica e di fornire notizie al direttore generale sulla sorte da essi
subita.

UNESCO (United Nations Educational Scientific and Cultural


Organization)
Si propone la diffusione della cultura, la promozione dello sviluppo
dei mezzi di educazione all'interno degli Stati membri e l'accesso
all'istruzione. I suoi organi sono: Conferenza generale, Comitato
esecutivo e Segretario.

ICAO (International Civil Aviation Organization)


Si occupa del traffico aereo, dei servizi di comunicazione legati ai
segnali di terra, zone d'atterraggio etc. E' composta da
un'Assemblea, in cui ogni Stato possiede un solo voto e un Consiglio
di 21 membri scelti dall'Assemblea. Le sue disposizioni si chiamano
standards internazionali o pratiche raccomandate.

WHO (World Health Organization)


Organizzazione mondiale della sanità che si preoccupa di adeguare
tutti i popoli al livello più alto possibile di salute.

IMO (International Maritime Organization)


Si occupa di garantire la sicurezza dei traffici marittimi.

ITU (International Telecomunication Union)

WMO (World Metereological Organization)

UPU (Universal Postal Union)

IMF (International Monetary Fund)

IBRD (International Bank for Reconstruction and


Development)

IFC (International Finance Corporation)

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IDA (Internationale Development Association)

Il fondo monetario internazionale e la Banca internazionale per la


Ricostruzione e lo Sviluppo furono creati nel 1994 con gli accordi di
Bretton Woods. E' presente un Consiglio di Governatori che è
l'organo deliberante, ma le sue delibere non vengono prese in base
al principio uno stato/un voto, ma secondo le quote di capitale
sottoscritte e quindi con il peso determinante dei Paesi piuù ricchi e
in particolare degli USA. Si propone la collaborazione monetaria
internazionale, la stabilità dei cambi, l'equilibrio delle bilance dei
pagamenti e della concessione di prestiti a breve termine. La
Banca, invece, concede mutui agli Stati membri per investimenti
produttivi a tasso di interesse variabile (a lungo termine).

IFAD (International Fund for Agricultural Development)


Contribuisce allo sviluppo, sotto forma di aiuti, dell'agricoltura dei
Paesi più poveri con deficit alimentari notevoli.

WIPO (World Intellectual Property Organization)


Si occupa dei problemi relativi alla proprietà intellettuale.

UNIDO (United Nations Industrial Development


Organization)
Dal 1979 è diventato un istituto specializzato a cui competono
funzioni di tipo operative e non normative.

IAEA (International Atomic Energy Agency)


Sovrintende lo sviluppo e la diffusione delle applicazioni pacifiche
dell'energia atomica, ma non è un istituto specializzato.

WTO (World Trade Organization)


Del tutto indipendente dalle Nazioni Unite, vi fanno parte 135 stati.
E' composta da una Conferenza ministeriale, dal Consiglio Generale
e dal Segretariato con a capo un direttore generale. Fornisce un
forum per lo svolgimento dei negoziati relativi alle relazioni
commerciali multilaterali e tendenti alla globalizzazione del
mercato. Tra i più importanti negoziati, ricordiamo il GATT, in tema
di liberalizzazione dei commerci internazionali. In seno a questa
organizzazione vale il principio della clausola della nazione più
favorita, ossia dell'automatica estensione a tutte le parti contraenti
delle concessioni fatte a una di esse, sui dazi doganali e le tasse ed
imposte su importazioni ed esportazioni. Può emanare decisioni
vincolanti a maggioranza di 3/4 della Conferenza ministeriale o del
Consiglio Generale sull'interpretazione delle norme. Ha anche un

30
ruolo fondamentale sulla risoluzione delle controversie nascenti
dagli accordi che ad essa fanno capo.

E COMUNITA' EUROPEE E L'UNIONE EUROPEA

XVII Diritto internazionale > La formazione delle norme


internazionali > Le Comunità europee e l'Unione Europea

CEE, CECA ed EURATOM sono le organizzazioni internazionali più


dotate di poteri decisionali nei confronti degli Stati che ne fanno
parte. Possono emettere atti vincolanti.
Si tratta di tre organizzazioni distinte a cui appartengono 15 Stati.
La CECA fu creata a Parigi nel 1951, CE (CEE) ed EURATOM nel 1957
con i trattati di Roma. Nonostanto siano separate, hanno
organizzazioni comuni.
La loro disciplina di funzionamento e organizzazione è stata in
maniera rilevante modificata da una serie di trattati: l'Atto Unico
Europeo, firmato a Lussemburgo nel 1986 e il Trattato sull'Unione
Europea (Maastricht 1992) che hanno introdotto una forte
integrazione tra gli Stati membri, azioni comuni in ambito di politica
estera e cooperazione degli Stati nel settore della giustizia e degli
affari interni. Significative modifiche sono state inoltre introdotte in
materia di cittadinanza europea, nel rafforzamento del potere del
Parlamento e l'unione monetaria (specie con la creazione della BCE
e della moneta unica).

Delle tre organizzazione sicuramente la CEE è la più importante,


poiché investe tutta la vita economica e sociale degli Stati membri.
Così, mentre la CECA si occupa del mercato comune nel settore
corbosiderurgico e l'EURATOM nel settore dell'energia atomica, la
CEE sovrintende la libera circolazione delle merci, delle persone, dei
servizi e dei capitali. Queste rappresentano le 4 libertà
fondamentali dell'Europa e servono per assicuare la libera
concorrenza.

La maggior parte delle norme del trattato sono ELASTICHE,


GENERICHE E PROGRAMMATICHE

Si discute sulla natura giuridca delle Comunità Europee: si tratta di


vere e proprie organizzazioni internazionale (visto che ci sono
organi con vari poteri) o embrioni di Stati federali (per la prevalenza
del diritto comunitario sul diritto interno)?

31
Organi:
1. COMMISSIONE, composta da individui e non Stati che non
ricevono istruzioni dai governi nazionali di appartenenza. Nella
CECA la Commissione è l'organo decisionale effettivo, emana atti
vincolanti che formano la legislazione comunitaria. Il Consiglio ha
solo poteri consultivi. Nella CEE ed EURATOM vale, invece, il
contrario: è il Consiglio l'organo deliberante, mentre la
Commissione ha solo poteri di iniziative ed esecutivi.

2. CONSIGLIO. E' l'organo che rappresenta i 15 Stati membri e


presieduti a turno per 6 mesi. Di solito ne fanno parte i ministri.
Nella CECA ha funzioni prettamente consultive, nella CEE emana gli
atti più importanti della legislazione comunitaria decidendo,
secondo i casi, a maggiornaza o all'unanimità.

3. PARLAMENTO EUROPEO. Dal 1979 è composto dai


rappresentanti dei popoli degli Stati membri eletti a suffragio
universale diretto. Non è l'organo legislativo della comunità, ma il
Trattato di Maastricht gli ha conferito certi poteri di partecipazioni
alla funzioni legislativa. Svolge una funzione di controllo politico
sulle altre istituzioni, mediante l'esame dei rapporti che gli altri
organi sono tenuti a sottoporgli (tranne la Corte di Giustizia).
Troviamo inoltre procedure di COOPERAZIONE e CODECISIONE. La
prima si applica in materia di trasporti, fondo sociale europeo,
ricerca e sviluppo professionale e l'ultima parola spetta al Consiglio
(se il Consiglio è unanime può anche andare contro il parere del
Parlamento in seconda lettura). La procedura di codecisione si
applica nelle materie di corcolazione delle persone, libertà di
stabilimento e circolazione di sservizi. Il Parlamento può bloccare
l'azione del Consiglio con una decisione adottata a maggioranza
assoluta dai suoi membri.

4. CORTE DEI CONTI. Svolge funzioni di controllo delle entrate e


uscite della Comunità.

5. CORTE DI GIUSTIZIA. Vegli asul rispetto dei Trattati e può


essere anche adita dai cittadini europei.

Da questo quadro, si riesce a capire che in realtà l'organo


legislativo è il Consiglio e che la legislazione comunitaria si
caratterizza per essere generica e programmatica. Tra gli atti
vincolanti possiamo trovare:

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DECISIONI: non hanno portata generale ed astratta, ma concreta.
Può indirizzarsi sia ad uno Stato membro, sia ad un individuo, sia ad
un'impresa che opera nel territorio comunitario. Acquistano
efficacia non con la pubblicazione, ma con la notifica al destinatario.
DIRETTIVE: vincolano lo Stato al risultato da raggiungere,
lasciando la scelta di forma e mezzi nella competenza degli organo
nazionali. La direttiva dovrebbe enunciare principi e criteri generali,
ma oggi è sempre più dettagliata, tanto che la scelta dello Stato si
limita solo alla forma giuridca interna della norma (cioè se scegliere
una legge o un atto amministrativo).
REGOLAMENTI: hanno portata generale obbligatoria in tutti i suoi
elementi ed è direttamente applicabile. Si tratta di norme generali
ed astratte che gli Stati devono applicare.

Come tutte le organizzazioni internazionali, le Comunità Europee


hanno la capacità di concludere accordi internazionali. La
competenza è così ripartita: spetta alla Commissione per i
negoziati; al Consiglio, previa consultazione o, in certi casi, previo
parere conforme del Parlamento, per la manifestazione di volontà
diretta ad impegnarsi. La Corte di Giustizia può dare un parere sulla
compatibilità dell'accordo con le disposizioni del Trattato. Gli
accordi stipulati diventano una categoria di atti comunitari con
efficacia vincolante.
Tra gli accordi troviamo:
1. Convenzioni di Associazione che istituiscono un'associazione
caratterizzata da diritti e obblighi reciproci, azioni in comune e
procedure particolari
2. Accordi comerciali, cioè di politica commerciale comune.
In questi casi la competenza esclusiva è della Comunità e gli Stati
membri non possono stipulare da soli accordi nelle stesse materie.
Negli accordi misti possono partecipare sia la Comunità sia gli Stati
membri. Se uno Stato stipula da solo l'accordo senza autorizzazione
del Consiglio l'accordo resta valido, ma si ha violazione del diritto
comunitario o causa l'invalidità? Il problema è ancora aperto.
La Corte di Giustizia ritiene che esiste un parallelismo tra
competenze interne ed esterne comunitarie: in tutte le materie in
cui la Comunità ha, in base al Trattato, competenza ad emanare atti
di legislazione comunitaria, ha anche implicitamente competenza a
concludere accordi con Stati terzi. Una volta che la competenza sia
stata esercitata all'interno delle Comunità in una determinata
materia, la competenza esterna diventa esclusiva rispetto a quella
degli Stati membri. Ne consegue che gli Stati restano liberi di

33
stipulare accordi internazionali finché la Comunità non abbia
legiferato, ma poi perdono tale libertà.

IL CONSIGLIO D'EUROPA
XVIII Diritto internazionale > La formazione delle norme
internazionali > Il Consiglio d'Europa

Dopo la seconda guerra mondiale furono create due organizzazioni:


l'OECE (Organizzazione Europea per la Cooperazione Economica) e
l'OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo
Economico), e il Consiglio d'Europa (comprendente 40 Stati). Lo
scopo di quest'ultimo è quello di conseguire una più stretta unione
fra i suoi membri per salvaguardare e promuovere gli ideali e i
principi che costituiscono il loro comune patrimonio e di favorire il
loro progresso economico e sociale.

E' composto da:


1. COMITATO DEI MINISTRI, composto dai ministri degli Esteri
2. ASSEMBLEA CONSULTIVA, composta da rappresentanti dei
Parlamenti nazionali
3. SEGRETARIATO (con a capo un segretario generale)

Predispongno testi di convenzione in materie giuridiche (diritto e


procedura penale)

LA CONVENZIONE EUROPEA PER LA SALVAGUARDIA DEI


DIRITTI DELL'UOMO E DELLE LIBERTA' FONDAMENTALI
Fu firmata a Roma nel 1950. Contiene due generi di norme: uno a
carattere sostanziale (in cui è offerto il catalogo dei diritti e delle
libertà fondamentali) e una a carattere procedurale.
E' composta da tanti membri quanti sono gli Stati, con un mandato
di 6 anni.

Fino al 1998 svolgeva funzioni istruttorie e di conciliazione sui


ricorsi che venivano presentati sulla violazione della Convenzione
da parte di uno Stato contraente. I ricorsi erano presentabili da
Stati, individui e gruppi di individui.
Nel 1998 vi fu una riforma: il Comitato dei ministri decide a
maggioranza dei 2/3 se c'è stata violazione e pone un termine entro
34
cui è necessario eliminarla. Questo sicuramente è un intervento di
carattere politico più che giuridico.

GLI ALTRI ORGANI PER LA TUTELA DEI DIRITTI UMANI


XIX Diritto internazionale > La formazione delle norme
internazionali > Gli altri organi per la tutela dei diritti umani

CONVENZIONE AMERICANA DEI DIRITTI DELL'UOMO, firmata a San


José de Costa Rica nel 1969
CARTA AFRICANA del 1986
2 PATTI INTERNAZIONALI: uno sui diritti economici, sociali e
culturali, l'altro sui diritti civili e politici. Il primo patto non ha organi
ad hoc, ma stabilisce che gli Stati contraenti sottopongono rapporti
periodici sulle misure prese in osservanza del patto al Consiglio
Economico e sociale delle Nazioni che può a sua volta trasmetterli
alla Commissione dei diritti umani dell'ONU perché formuli
raccomandazioni di ordine generale o sottoporli all'Assemblea
generale.
Il secondo prevede un comitato per i diritti dell'uomo (18 membri in
carica per 4 anni) che può esminare i reclami presentati contro uno
Stato contraente da altri Stati o da individui. La procedura non
sfocia in atti vincolanti. Riceve, inoltre, anche i rapporti degli Stati
sull'applicazione del Patto nei rispettivi territori.

LE RACCOMANDAZIONI DEGLI ORGANI INTERNAZIONALI


XX Diritto internazionale > La formazione delle norme internazionali
> Le raccomandazioni degli organi internazionali

Le raccomandazioni sono l'atto tipico delle Nazioni Unite. Non sono


vincolanti e per questo non si possono inserire tra le fonti del terzo
tipo e ci si chiede se siano del tutto improduttiva di effetti giuridici.
Si dice che la raccomandazione preveda il c.d. EFFETTO LICEITA':
non commette illecito lo Stato che segue una raccomandazione,
andando contro ad impegni già assunti con accordo o contro il
diritto consuetudinario. Tale effetto è da ammettere solo nei
35
rapporti tra Stati membri e solo con riguardo alle raccomandazioni
legittime (che non fuoriescono dalle competenze proprie degli
organi del trattato). Manca però un organo incaricato di giudicare la
legittimità della raccomandazioni o quelli che l'abbiano approvata
senza riserva. Per gli Stati che hanno votato contro o si siano
astenuti, l'effetto liceità è da escludersi.
Qualcuno dice che l'obbligo di cooperazione previsto dai trattati
istitutivi di organizzazione internazionali fa sì che sia illecito il
comportamento di uno Stato che rifiuti di osservare tutta una serie
di raccomandazioni. Questa impostazione non è da condividere
perché le raccomandazioni non sono vincolanti e la caratteristica
dell'atto consiste proprio nella funzione esortativa.

LA GERARCHIA DELLE FONTI INTERNAZIONALI


XI Diritto internazionale > La formazione delle norme internazionali
> La gerarchia delle fonti internazionali

1. Norme consuetudinarie (compresi i principi generali di diritto


comuni agli ordinamenti)
2. Trattati (obbligatorietà riposta nella consuetudine pacta sunt
servanda)
3. Fonti previste da accordi (gli atti delle organizzazioni
internazionali)

In che rapporto stanno?


La consuetudine è molto flessibile, poiché può essere derogata da
una fonte inferiore, nei limiti in cui la consuetudine lo consente.
Oggi si parla sempre più di un gruppo di norme cogenti (ius
cogens).
L'art. 53 della Convenzione di Vienna sancisce la nullità di qualsiasi
trattato che, al momento della sua conclusione, è in contrasto con
una norma imperativa del diritto internazionale generale. Con
norma imperativa del diritto internazionale generale si intende una
norma accettata e riconosciuta dalla comunità internazionale degli
Stati nel suo insieme, come norma a cui non si può apportare
nessuna deroga e che non può essere modificata se non da una
norma di diritto inernazionale generale dello stesso carattere.
Il trattato quindi non può derogare le norme cogenti del diritto
internazionale.
L'art. 64 stabilisce che se una norma imperativa di diritto
internazionale generale è in contrasto con un trattato, questo
diventa nullo e si estingue.
Ma cos'è il diritto cogente? La Convenzione di Vienna non lo dice, né
la dottrina riesce a trovare un criterio di riferimento. Si fa leva
36
sull'art. 103 della Carta dell'ONU: in caso di contrasti tra gli obblighi
contratti dagli Stati membri delle Nazioni Unite con il presente
Statuto e gli obblighi da esse assunti in base a qualsiasi altro
accordo internazionale prevarranno gli obblighi derivanti dal
presente statuto. Oggi il rispetto della Carta è considerato
fondamentale.P

SPTATAJJLE AL DIRITTO INTERNAZIONALE

PARTE TERZA
L’APPLICAZIONE DELLE NORME INTERNAZIONALI
ALL’INTERNO DELLO STATO

XXXVII Diritto internazionale > L'applicazione delle norme


internazionali all'interno dello Stato > L'adattamento del diritto
statale al diritto internazionale

Quali sono i mezzi di applicazione di una norma internazionale?


1. operatori giuridici e in particolare gli organi statali (per mezzo
delle norme giuridiche)
2. accertamento giudiziario (applicazione diretta della norma da
parte dei giudici)
Non si può dire che il diritto internazionale debba essere applicato a
tutti i costi all'interno dello Stato perché il diritto interno deve poter
difendere certi valori costituzionali, sacrificando, se necessario, il
diritto internazionale. Tuttavia la difesa dei valori interni non deve
avvenire ad ogni costo, perché sono importanti anche valori
internazionalistici (come la collaborazione e la solidarietà
internazionale).
Troviamo irrilevanti le teorie dei monisti (che ritengono che il diritto
statale trova fondamento nel diritto internazionale) e dei dualisti
(che sostengono che l'ordinamento statale è originario ed è netto e
separato da quello della comunità degli Stati) perché ci interessa
sapere come si applicano le norme internazionali e come queste si
coordino con quelle interne.

Si fa tradizionalmente una distinzione tra PROCEDIMENTI ORDINARI


e PROCEDIMENTI SPECIALI di adattamento dei due diritti. Il
37
primoavviene mediante norme (costituzionali, legislative,
amministrative) che si distinguono da quelle statali solo per il
motivo per cui vengono emanate. Le norme internazionali vengono
riformulate all'interno dello Stato. Nei procedimenti speciali, la
norma internazionale non viene riformulata all'interno dello Stato:
gli organi con funzioni normative ordinano l'osservanza della norma
internazionale. Il costituente, il legislatore o l'organo amministrativo
operano con rinvio alla norma internazionale (come del resto
obbliga l'art. 10 Cost.), dando diretta applicazione nello Stato della
norma internazionale. Di solito è infatti con legge che si dà ordine di
esecuzione di un trattato.
Tra i due è preferibile il procedimento speciale: con il procedimento
ordinario ci si trova ad inteerpretare e riformulare con
provvedimento interno la norma. L'interprete si trova di fronte ad
una norma identica a quella statale, tranne che per il motivo che
l'ha ispirata. Applicherà la norma interna e terrà conto di quella
internazionale ispiratrice solo in casi di interpretazione dubbia. Ma
se il diritto internazionale di evolve? Se interviene una desuetudine
o una norma abrogatrice? In casi del genere ci troviamo, quindi, di
fronte a problemi di applicazione ed è per questo che si preferisce il
procedimento speciale. In questi ultimi si ha un semplice rinvio e il
centro dell'applicazione della norma internazionale si sposta
dall'interprete al legislatore. Il giudice potrà commettere errori di
interpretazione della norma internazionale, ma l'errore si
ircoscriverà al caso concreto e non a tutte le fattispecie. Il
procedimento ordinario è però necessario in altri casi: quando la
norma internazionale non è direttamente applicabile ("self-
executing"), ma necessita di un'attività integratrice da parte degli
organi statali. In Gran Bretagna generalmente si usa il
procedimento ordinario e, una volta introdotta, la norma
internazionale coincide con quella nazionale. Gli altri Paesi invece
preferiscono il procedimento speciale.

Norme self-executing e non


La norma non self-executing si può avere in due casi:
1. quando la norma attribuisce facoltà agli Stati
2. quando la norma, pur imponendo obblighi, non riceve esecuzione
perché mancano gli organi predisposti o le procedure indispensabili
per la sua applicazione.
Ci sono casi dubbi di norme self-executing e non self executing, ma
noi crediamo che si ha self-executing quando, in caso di
sospensione o di mancata obbligazione o difficoltà di applicazione
della norma internazionale, si debba ricorrere a procedure di

38
conciliazione o atti o mezzi di risoluzione delle controversie. E'
ancora self-executing quando la norma internazionale contiene una
"clausola di esecuzione" che preveda che gli Stati adotteranno tutte
le misure di ordine legislativo o d'altro genere per dare effetto alle
sue disposizioni. Invece quando nonostante la clausola di
esecuzione, ci sono norme effettivamente non self-executing ed
impegnano lo Stato a prendere i provvedimenti legislativi ed
amministrativi appropriati, si può parlare di non self-executing.
L'adattamento con rinvio comporta difficoltà nell'individuare la sfera
di applicazione a causa della formulazione delle norme (soggetti,
rapporti, enti).
Rango nella gerarchia delle fonti interne:
tende ad essere quello che, nella gerarchia delle fonti, corrisponde
al procedimento (ordinario o speciale) di adattamento: se
all'adattamento provvede il legislatore costituzionale, la norma avrà
rango costituzionale; se è il legislatore ordinario (trattati) avrà
rango di legge ordinaria.

DATTAMENTO AL DIRITTO INTERNAZIONALE CONSUETUDINARIO

XXXVIII Diritto internazionale > L'applicazione delle norme


internazionali all'interno dello Stato > L'adattamento al diritto
internazionale consuetudinario

In Italia l'adattamento avviene a livello costituzionale ex art. 10.


Questa norma prevede un procedimento di adattamento speciale o
con rinvio. Il Costituente ha affermato la sua volontà di
adattamento automatico, completo e continuo. Le norme
internazionali valgono all'interno dello Stato se e finché vigono
nell'ordinamento internazionale.
Il Perassi ha sostenuto la tesi della trasformazione permanente del
diritto internazionale in diritto nazionale. Una legge ordinaria che
viola il diritto internazionale sarebbe costituzionalmente illegittima
per violazione dell'art. 10 Cost.
Problema: posto che hanno rango costituzionale, che rapporto
hanno le norme internazionali con la Costituzione?
In concreto non ci sono molte possibilità di conflitto tra norme
internazionali generali e norme costituzionali perché si ha una
differenza di competenze. La Costituzione regola i rapporti tra lo

39
Stato e i suoi organi; il diritto consuetudinario internazionale regola
i rapporti tra organi, stranieri e Stati stranieri.
Tuttavia è possibile che si verifichino dei conflitti riguardo la
Domestic Jurisdiction: un esempio può essere fornito dalle
immunità giurisdizionali degli agenti diplomatici, degli Stati e delle
organizzazioni internazionali dalla giurisdizione civile. Queste
immunità e la conseguente impossibilità di convenire in giudizio gli
individui o gli enti che ne beneficiano, paralizza o no la tutela
giudiziaria dei diritti ex art. 24 Cost.?
La soluzione al problema si ravvisa nella possibilità dei giudici di
disapplicazione la norma internazionale che violi i principi
fondamentali garantiti dalla Costituzione.

L'ADATTAMENTO DEI TRATTATI E DELLE FONTI DA ESSO DERIVATE


XXXIX Diritto internazionale > L'applicazione delle norme
internazionali all'interno dello Stato > L'adattamento dei trattati e
delle fonti da esso derivate

La Costituzione non prevede alcuna norma sull'adattamento dei


Trattati. Il Quadri, con un'interpretazione un po' forzata, ha tentanto
di farli rientrare nella previsione dell'art. 10, facendo leva sulla
consuetudine "pacta sunt servanda". Il Costituente però si è limitato
a parlare di diritto internazionale generale e non anche del diritto
internazionale particolare: oggi, inoltre, si stipulano fin troppi
trattati e farli assurgere a rango constituzionale significherebbe
facilitare i raggiri e le revisioni delle norme costituzionali senza le
procedure previste dalla Carta fondamentale.
Perché il Trattato entri in vigore, è necessario un ordine di
esecuzione. Generalmente lo si dà con legge ordinaria, ma nulla
vieta che possa essere anche un atto amministrativo. La
giurisprudenza ritiene che se è stato stipulato un trattato, ma
ancora non è interenuto il provvedimento che ne ordini
l'applicazione, non si può pretenderne l'osservanza e poco importa
la responsabilità degli organi nazionali sul piano internazionale per
violazione degli obblighi contratti. Da questa impostazione si
capisce facilmente che neanche la giurisprudenza avalla la tesi che
un trattato abbia qualcosa in più rispetto alla legge sul piano della
gerarchia delle fonti. Se l'ordine di esecuzione viene dato con legge,
il trattato sarà parificato alla legge: si applicheranno le normali
regole di successione delle leggi nel tempo, seppure con alcuni
temperamenti:
1. PRESUNZIONE DI CONFORMITA'delle norme interne al diritto
internazionale: se la legge posteriore è ambigua, deve essere
40
interpretata in modo da consentire allo Stato il rispetto degli
obblighi assunti in precedenza.
2.La legge posteriore prevale se vi è una chiara indicazione della
volontà del legislatore di contravvenire agli impegni internazionali
assunti. Una volta che il trattato abbia acquisito validità formale
nello Stato, è sorretto da una duplice volontà normativa: la volontà
di rispettare gli impegni assunti e la volontà di regolare quella
materia, così come è disciplinata dal trattato. Non sembra perciò
ammissibile un'abrogazione o modifica da parte della norma
posteriore per una semplice ncompatibilità con il trattato. La
volontà di derogare con legge posteriore può essere esplicita o
implicita. In quest'ultimo caso si ritiene che l'oggetto
dell'obbligazione e quello della norma interna debano coincidere
perfettamente: sia per materia, sia per i soggetti destinatari della
regolamentazione.
2. Il trattato si ritiene una norma speciale ratione materiae.
Una volta che la norma internazionale è stata immessa
nell'ordinamento con legge ordinaria, non si discosta da questa per
quanto riguarda il controllo di costituzionalità.

L'ADATTAMENTO AL DIRITTO COMUNITARIO


XL Diritto internazionale > L'applicazione delle norme internazionali
all'interno dello Stato > L'adattamento al diritto comunitario

Ai Trattati istitutivi della Comunità Europea si è data esecuzione con


legge ordinaria. Pertanto non solo hanno acquistato forza giuridica
le norme del Trattato, ma automaticamente acquistano la stessa
forza, via via che vengono emanate, le norme dei regolamenti
comunitari. L'art. 189 del Trattato espressamente prevede che i
regolamenti siano direttamente applicabili in ciascuno degli Stati
membri. Il regolamento è così una fonte normativa non prevista
dalla Costituzione, ma che non comporta una violazione della Carta
fondamentale, per effetto della previsione all'art.11 che ammette
limitazioni alla sovranità nazionale.
La diretta e automatica applicabilità dei regolamenti riguarda la
forza formale dei regolamenti stessi: creano diritti ed obblighi,
indipendentemente da un provvedimento di adattamento ad hoc.
Tuttavia, ocn ciò non si vuol dire che i regolamenti siano self-
executing anche per il loro contenuto, poiché possono esserci
regolamenti incompleti o che, per avere applicazione, hanno
bisogno di essere integrati. Per i regolamenti che lasciano ampi
margini di discrezionalità alle autorità statali è necessaria una legge
di attuazione.
41
Le direttive e le decisioni comunitarie non sono, invece,
direttamente applicabili, ma hanno bisogno di una legge di
adattamento ad hoc (che sia legge ordinaria, decreto legislativo o
decreto legge). In genere questo adattamento è eseguito mediante
procedimento ordinario: è senza rinvio e il provvedimento interno
ne riformula il contenuto. La direttiva pone un obbligo di risultato,
lasciando libertà di mezzi e di forma. Quali effetti costituiscono un
corollario dell'"obbligo di risultato" e quindi si producono subito e
quali sono condizionati a "forme e mezzi" e si producono solo dopo
l'atto ad hoc?
Le direttive creano tre effetti c.d. "diretti".
1. quando il giudice interpreta una norma interna su una materia
disciplinata da una direttiva, tale interpretazione deve avvenire alla
luce della direttiva.
2. se la direttiva riproduce un obbligo di un trattato, la sua
interpretazione è vincolante.
3. se la direttiva comporta un obbligo di risultato senza un atto di
esecuzione necessario, gli individui possono farla valere davanti al
giudice.
Quest'ultimo effetto può essere invocato solo contro lo Stato (c.d.
effetti verticali) e non anche nelle controversie tra individui (c.d.
effetti orizzontali): la direttiva fa nascere degli obblighi a carico
dello Stato e lo Stato risponde del ritardo o dell'inattuazione della
direttiva. Questa tesi viene per lo più accettata, ma è anche
criticata perché frutto di un'intepretazione troppo letterale: il fatto
che a rispondere sia lo Stato, se ad esempio una direttiva crea dei
diritti nei confronti del lavoratore dipendente, il dipendente della
pubblica amministrazione potrà chiamare a rispondere lo Stato per
l'inattuazione, ma il lavoratore privato non potrà dir nulla contro il
suo datore privato. Il risarcimento dei danni può essere dovuto nei
casi di inattuazione di direttive che attribuiscono diritti.

In che rapporto stanno le norme comunitarie con le leggi ordinarie?


La Corte costituzionale ha assunto pareri contrastanti.
Nel 1964 riteneva che i trattati (ricevendo applicazione con legge
ordinaria) sono di pari grado con la legge e pertanto possono essere
abrogati o modificati da leggi successive. Nel 1975 ha ritenuto che
la violazione del diritto comunitario ad opera delle leggi ordinarie
costituisca violazione dell'art. 11 Cost., che stabilirebbe una
prevalenza del diritto comunitario sul diritto interno. Nel 1984,
invece, ha ribadito la prevalenza del diritto comunitario, ma anche
che questo e il diritto interno si devono coordinare secondo le
ripartizioni di competenza volute dal Trattato istitutivo della

42
comunità. Oggi vige il principio della automatica disapplicabilità
della norma interna difforme da parte del giudice ordinazio, senza
bisogno di ricorrere agli altri organi di giustizia costituzionale.

I Trattati e le norme della legislazione comunitaria possono essere


sottoposte al controllo di costituzionalità?
La prtecipazione all'U.E. non comporta una rinuncia ai principi
costituzionali. Se è vero che i trattati e le norme comunitarie
possono essere sottoposte ad un controllo di conformità con la
Costituzione, è anche vero che tale controllo debba essere condotto
cum grano salis, cioè a salvaguardia delle sole norme materiali
della Costituzione, cioè quelle che tutelano i diritti fondamentali dei
cittadini e non di quelle strumentali (che disciplinano la formazione
della legge e l'organizzazione dei poteri dello Stato). L'ordine
interno e quello europeo costituiscono due sistemi separati e
distinti, anche se fra loro coordinati.

L'ADATTAMENTO DEL DIRITTO INTERNAZIONALE E LE COMPETENZE


DELLE REGIONI
XLI Diritto internazionale > L'applicazione delle norme
internazionali all'interno dello Stato > L'adattamento del diritto
internazionale e le competenze delle regioni

Il problema delle regioni sorge quando il diritto internazionale tocca


le materie che la Costituzione riserva alla competenza regionale. Si
ritiene che ad immettere il diritto internazionale nel nostro
ordinamento sia il potere centrale. Tuttavia questo comporta dei
problemi, visto che la Costituzione riserva determinate materie alla
competenza esclusiva delle regioni con conseguente impossibilità di
interferenza da parte dell'ordinamento centrale.
Innanzitutto si può dire che, in linea di principio, se la legge
regionale è in contrasto con una norma del diritto internazionale di
qualsiasi tipo, vincolante per il nostro ordinamento, è
costituzionalmente illegittima. Le regioni, pur essendo dotate di una
sorta di autonomia, non sono soggetti del diritto internazionale,
perché è sempre lo Stato centrale (che ha poteri sovrani) che
decide se assumere o meno obblighi internazionali.

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All'inizio, il legislatore e la Corte Costituzionale sostenevano che
tutto ciò che era del diritto internazionale rientrava nella materia
degli "affari esteri" ed era di competenza esclusiva dello Stato
centrale. Tuttavia nelle materie riservate alla competenza delle
regioni, in caso di inerzia di queste ultime, lo Stato non poteva
sostituirsi, rischiando quindi di essere chiamato a rispondere per
carenze od omissioni non sue. Succesivamente si mutò
orientamento: le regioni venivano "delegate" dal potere centrale a
partecipare all'attuazione e specificazione dei diritto internazionale.
Dopo molteplici critiche, la tesi oggi sostenuta è che la Corte
riconosce la competenza autonoma ed originaria delle Regioni nelle
loro materie di competenza. Lo Stato centrale può sostituirsi non
solo in caso di inerzia, ma anche di urgenza o esigenze di uniformità
sorrette dall'interesse nazionale, oppure quando una sua
disposizione risulti direttamente attuativa della norma comunitaria
e necessaria al proseguimento della finalità attuativa.

L'
LELEIMENTO SOGGETTIVO

PARTE QUARTA
44
LA VIOLAZIONE DELLE NORME INTERNAZIONALI E LE
SUE CONSEGUENZE

XLII Diritto internazionale > La violazione delle norme internazionali


e le sue conseguenze >Il fatto illecito e i suoi elementi costitutivi:
l'elemento soggettivo

Il compimento di un fatto illecito internazionale comporta la


responsabilità degli Stati sul piano internazionale. Nel 1953 la
Commisione di diritto internazionale delle Nazioni Unite ha
presentato un progetto di codificazione che ha visto luce nel 1996.
Nel 1980 fu approvato un Progetto di articoli sulla responsabilità
degli Stati, ma che si limitava a disciplinare l'origine della
responsabilità (ossia gli elementi dell'illecito). Nel 1996 il Progetto
fu completato con l'aggiunta delle conseguenze dell'illecito e con
una parte realativa alla risoluzione delle controversie.
La caratteristica è che si considerano i principi sulla responsabilità
come valevoli in linea di massima per la violazione di qualsiasi
norma internazionale, mentre prima venivano individuati soltanto
alcuni tipi di violazione (ad esempio delle norme sul trattamento
degli stranieri) e i danni arrecati venivano risarciti sulla base della
responsabilità aquiliana.
L'elemento soggettivo è lo Stato come soggetto di diritto
internazionale, ossia lo Stato-organizzazione: il fatto illecito deve
consistere in un comportamento di uno o più organi (azione od
omissione) attribuibile allo Stato e il comportamento deve essere
illecito, antigiuridico. Con Stato-organizzazione intendiamo tutti
coloro che partecipano all'esercizio del potere di governo
nell'ambito di uno Stato. Pertanto non solo l'esecutivo, il legislativo
e il giudiziario, ma anche gli organi territoriali e le altre persone a
cui è attribuibile la potestà di governo. Non è ipotizzabile la
violazione di norme internazionali attraverso la semplice
emanazione di leggi o altre norme di portata astratta.

In dottrina si discute sulla responsabilità dello Stato quando


l'organo commette un'azione internazionalmente illecita
avvalendosi della sua qualità, nell'esercizio delle sue funzioni, ma in
violazione di una norma del diritto interno. Ad esempio è
configurabile la responsabilità dello Stato nel caso di azioni illecite
commesse da organi di polizia che contravvengono agli ordini
ricevuti? Sarebbero attribuibili allo Stato, o risponderebbe il singolo

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poliziotto?
Qualcuno ritiene lo Stato responsabile, qualcun'altro configura la
responsabilità del singolo individuo che l'ha commessa,
qualcun'altro ancora ravvisa la responsabilità dello Stato nella
misura in cui non ha predisposto i mezzi idonei per evitare la
violazione.
Viene concordemente esclusa la responsabilità dello Stato per atti
dei privati che danneggiano individui, organi o Stati stranieri. Non
esiste la responsabilità di gruppo, dell'orami antica dottrina
germanica, ma lo Stato risponderà solo quando non abbia disposto
le misure per prevenire l'illecito altrui.

L'ELEMENTO OGGETTIVO
XLIII Diritto internazionale > La violazione delle norme
internazionali e le sue conseguenze > L'elemento oggettivo

Il secondo elemento del fatto illecito è l'antigiuridicità, cioè


l'elemento oggettivo. Si ha violazione di un obbligo internazionale
quando un fatto di tale Stato non è conforme a ciò che è imposto
dal predetto obbligo.
Il Progetto distingue i crimini e i delitti internazionali e poi fa una
distinzione tra violazioni di obblighi di mezzi e violazioni di obblighi
di risultato. Le prime consistono in un comportamento determinato,
le seconde, lasciano libero lo Stato nella scelta dei mezzi per
raggiungere il risultato previsto. La differenza è importante per
determinare il tempus commissi delicti.

CAUSE CHE ESCLUDONO L'ILLICEITA':


1. CONSENSO DELLO STATO LESO
Come nel diritto penale, non è illecito una violazione commessa con
il consenso dell'avente diritto. Questo non vale però nei casi di
violazione di una norma dello ius cogens. Il consenso dello Stato
deve essere unilaterale, e varrà la disciplina del consenso viziato.
2. AUTOTUTELA
Questa ipotesi è riferibile alla legittima difesa e consiste nel
compimento di azioni dirette a reprimere l'illecito altrui. Sono azioni
in sé illecite, ma che se vengono attivate in risposta ad un illecito
altrui, perdono il carattere dell'antigiuridicità. Tra le forme di
autotutela abbiamo la rappresaglia e la ritorsione, oltre che

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l'autotutela collettiva e individuale.
3. FORZA MAGGIORE E CASO FORTUITO
4. STATO DI NECESSITA'
Consiste nell'aver commesso il fatto per evitare un periocolo grave,
imminente e non volontariamente causato. La dottrina non ha molto
da discutere quando lo stato viene invocato nel caso in cui il
pericolo riguardi la vita dell'individuo-organo. Si ha invece qualche
incertezza quando la necessità si riferisce allo Stato nel suo
complesso e quando c'è di mezzo un interesse statale. La dottrina
però è concorde nel ripudiare la tesi che prevede l'invocabilità di
questa scusante per un diritto di conservazione dello Stato.
Pertanto lo stato di necessità è invocabile solo quando:
-- il fatto era l'unico modo per proteggere un interesse essenziale
contro un pericolo grave e imminente non volontariamente causato,
e
-- il fatto abbia leso gravemente un interesse essenziale dello Stato
nei confronti del quale esisteva l'obbligo.
In ogni caso non può essere invocato:
-- se l'obbligo non deriva da una norma imperativa del diritto
internazionale generale
-- se lo Stato ha contribuito a creare lo stato di necessità.
Il problema è che non è mai stato chiarito cosa debba intendersi
con interesse essenziale o vitale dello Stato.
5. RACCOMANDAZIONI DI ORGANIZZAZIONI INTERNAZIONALI
Queste, abbiamo visto, producono il c.d. effetto liceità e fanno sì
che lo Stato che segue la raccomandazione dell'organizzazione
(ovviamente non viziata) non commette illecito.
6. RISPETTO DEI PRINCIPI COSTITUZIONALI DI UNO STATO
Ad esempio la pena di morte, prevista dalla Costituzione di uno
Stato, non produce illecità internazionale.

GLI ELEMENTI CONTROVERSI: COLPA E DOLO


XLIV Diritto internazionale > La violazione delle norme
internazionali e le sue conseguenze > Gli elementi controversi:
colpa e dolo

Sono tre i tipi di responsabilità che si possono configurare: per

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colpa, dolo e responsabilità oggettiva. Per il dolo, nulla quaestio: si
configura l'intenzione di nuocere e di violare la norma. La
responsabilità per colpa, invece, si verifica quando l'autore
dell'illecito ha commesso il fatto con negligenza, trascurando di
adottare le misure necessarie per prevenire il danno. Ovviamente si
distingue, come nel diritto penale, tra colpa lieve e grave.
La responsabilità oggettiva può essere di due tipi:
1. relativa (strict liability): sorge per effetto del solo compimento
dell'atto illecito, ma l'autore può invocare una causa di
giustificazione consistente in un evento esterno che gli ha impedito
il rispetto della norma. La responsabilità è aggravata e produce uno
spostamento dell'onere della prova dalla vittima dell'illecito al suo
autore.
2. assoluta: questo tipo di responsabilità non ammette cause di
giustificazione. E' prevista per attività particolari o socialmente
dannose e possono essere collegati a sistemi di assicurazione
obbligatoria.

Il dibattito sulla responsabilità è sempre stato molto vario: Grozio


considerava la responsabilità dello Stato (violazione delle norme sul
trattamento degli stranieri e più in particolare sulle offese arrecate
da privati a individui, organi e Stati stranieri) per colpa. Nel XX
secolo, Anzilotti sostiene la natura oggettiva della responsabilità
internazionale. Oggi vige un sistema c.d. "residuale": lo Stato
risponde di qualsiasi violazione del diritto internazionale da parte
dei suoi organi, purché non dimostri l'impossibilità assoluta (cioè
non da lui provocata) di rispettare l'obbligo.
Se esaminiamo la giurisprudenza delle Corti internazionali (Corte
comunitaria e Corte europea dei diritti umani) ci si rende conto che
un'indagine sul dolo o la colpa non è mai stata condotta.

LE CONSE
LLECITO: L'AUTOTUTELA
XLV Diritto internazionale > La violazione delle norme internazionali
e le sue conseguenze > Le conseguenze dell'illecito: l'autotutela

Oggi si ritiene che le conseguenze dell'illecito consistono in una


nuove relazione giuridica tra lo Stato offeso e lo Stato offensore,
discendente da una norma secondaria (diversa da quella primaria,
cioè quella violata). Vi sono pareri discordi in dottrina:
ANZILOTTI ritiene che le conseguenze dell'illecito siano il diritto
dello Stato offeso a pretendere e l'obbligo dello Stato offensore a
fornire un'adeguata riparazione che dovrebbe ripristinare la
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situazione quo ante e risarcire il danno subito.
AGO sostiene che nella norma secondaria rientrano le conseguenze
giuridiche autonome dell'illecito e quindi anche i mezzi di autotutela
(rappresaglie e contromisure). Dal fatto illecito nascerebbe per lo
Stato offeso il diritto di chiedere la riparazione e il diritto di ricorrere
a contromisure coercitive aventi il precipuo ed autonomo scopo di
infliggere una punizione allo Stato offensore.
KELSEN ribadisce l'inutilità di costruire le conseguenze dell'illecito in
termini di diritti/obblighi alla riparazione, ma l'unica conseguenza
immediata è il ricorso alle misure di autotutela e la riparazione
sarebbe solo eventuale e dipenderebbe dalla volontà dello Stato
offeso e offensore di evitare l'uso della coercizione e ricorrere ad un
accordo o all'arbitrato [concezione fortemente imperativistica del
diritto].
Noi crediamo che l'illecito non produca rapporti giuridici. La fase
patologica del diritto internazionale è poco normativa. Le misure di
autotutela sono fondamentalmente dirette a reintegrare l'ordine
giuridico, cioè a far cessare l'illecito e a cancellarne gli effetti. Se lo
Stato offensore ha l'obbligo di porre fine all'illecito e cancellarne gli
effetti, non lo deve fare in base ad un nuovo rapporto o una nuova
norma. L'altra forma di riparazione (risarcimento del danno) è
prevista da un'autonoma norma di diritto internazionale generale.
La normale reazione all'illecito è l'autotutela: farsi giustizia da sé.
Ne consegue una scarsa efficienza e credibilità dei mezzi
internazionali di attuazione del diritto. Il moderno diritto
internazionale impone che l'autotutela non consista nella minaccia
o nell'uso della forza (art. 2 Carta delle Nazioni Unite e previsto
anche dalla consuetudine). L'unica eccezione è la risposta ad un
attacco armato già sferrato (art. 51 della Carta): il diritto naturale di
legittima difesa individuale e collettiva nel caso che abbia luogo un
attacco armato contro un membro delle Nazioni Unite, rispettando il
principio di proporzionalità. Il divieto di uso della forza armata non
ha altre eccezioni: né per proteggere la vita dei propri cittadini
all'estero, né per grosse violazioni dei diritti umani nei confronti dei
propri cittadini. Quando si parla di uso della forza, non rientra la
forza interna nella sovranità territoriale e nella normale potestà di
governo di uno Stato sovrano.

La fattispecie più importante di autotutela è la rappresaglia o


contromisura. Consiste in un comportamento che in sé sarebbe
illecito, ma che diventa lecito in risposta ad un illecito altrui. Lo
Stato viola, a sua volta, gli obblighi che gravano su di lui.
Ovviamente esistono dei limiti alle contromisure:

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1. PROPORZIONALITA' tra violazione e reazione. Non si deve trattare
di perfetta coincidenza tra le due violazioni, ma mancanza di
sproporzione.
2. RISPETTO DEL DIRITTO COGENTE
Non si può violare il diritto cogente, neanche quando si tratti di
reazione per violazione dello stesso tipo. L'unica eccezione è l'uso
della forza per respingere un attacco armato.
3.RISPETTO DEI PRINCIPI UMANITARI
L'art. 50 del Progetto dispone anche che a titolo di contromisura
non possa essere compromessa in alcun caso l'inviolabilità degli
agenti, locali, archivi e documenti consolari e diplomatici.
4.PREVIO ESAURIMENTO DEI MEZZI PER UNA SOLUZIONE
CONCORDATA DALLA CONTROVERSIA (arbitrato, conciliazione,
negoziato).
La contromisura tende a reintegrare l'ordine giuridico violato. Lo
scopo afflittivo è secondario.

La ritorsione si distingue dalla rappresaglia perché non consiste in


una violazione di norma internazionale, ma in un comportamento
inamichevole (come l'attenzione o la rottura dei rapporti diplomatici
o della colloborazione economica). Non è una forma di autotutela
perché uno Stato potrebbe tenere questo comportamento anche
senza aver subito un illecito. Tuttavia, nella prassi dei rapporti tra
gli Stati, la ritorsione reagisce ad azioni di rilievo puramente politico
e a violazioni di diritto internazionale o ad entrambe
contemporaneamente, perché in genere gli Stati collaborano tra
loro. E' difficile, nella ritorsione, distinguere tra motivazioni politiche
e giuridiche, ma non si può non considerarla una forma di
autotutela quando le secondi sono presenti.

L'autotutela collettiva consiste in un intervento degli Stati che


non hanno subito nessuna lesione in risposta ad una violazione dei
diritti umani, obblighi erga omnes, crimini internazionali per i quali
tutti gli Stati possono considerarsi lesi.
Non si può dire che ciascuno Stato abbia diritto di reagire con
misure di autotutela in caso di violazione in nome dell'interesse
comune. Le norme consuetudinarie prevedono forme di intervento
per Stati terzi in ordine a specifici obblighi internazionali. Si
presuppone una richiesta da parte dello Stato aggredito.
Per le norme consuetudinarie alll'autotutela collettiva si può
ricorrere per negare effetti extraterritoriali agli atti di governo
emanati in un territorio acquiostato con la forza (per il principio di
autodeterminazione dei popoli) e nei casi di aiuti militari ai
movimenti di liberazione.
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Il diritto pattizio tende a limitare piuttosto che estendere l'esercizio
dell'autotutela e prevede la creazione di meccanismi internazionali
di controllo che possono essere messi in moto da ciascuno Stato
contraente ma che comunque difettano di poteri sanzionatori.
Non esistono principi generali che consentano ad uno Stato di
intervanire a tutela di un interesse fondamentale della comunità
internazionale o di un interesse collettivo (solo singole norme
consuetudinarie). E' auspicabile che si consolidi una tendenza verso
l'autotutela collettiva come iniziativa dei singoli Stati che agiscono
in nome della comunità internazionale nel suo complesso, ma che
non sono esenti da atteggiamenti arbitrari.
Uno Stato può obbligarsi con trattato a non ricorrere a misure di
autotutela o a ricorrervi solo a certe condizioni. E' importante
comunque sottolineare che deve essere intesa come extrema ratio.
La WTO subordina l'adozione di contromisure in caso di mancato
rispetto delle decisioni di carattere giurisprudenziale emesse in
seno all'organizzazione, all'autorizzazione dell'organo per la
soluzione delle controversie. L'art. 51 del Progetto dispone che
l'attacco armato come legittima difesa può essere esercitato finché
il Consiglio si sicurezza non abbia preso le misure necessarie per
mantenere la pace e la sicurezza internazionale.

LA RIPARAZIONE
XLVI Diritto internazionale > La violazione delle norme
internazionali e le sue conseguenze > La riparazione

Essa integra innanzitutto l'obbligo della restituzione in forma


specifica: far cessare l'illecito e cancellarne, ove possibile, gli effetti.
Anche la soddisfazione è una forma di riparazione dei danni
morali, dovuta per il solo fatto che l'illecito sia stato commesso e a
prescindere dalla richiesta di risarcimento dei danni patrimoniali.
Tra le diverse forme troviamo la presentazione di scuse, l'omaggio
della bandiera o altri simboli dello Stato leso, versamento di una
somma simbolica. Se questi vengono accettati dallo Stato leso,
viene meno qualsiasi ulteriore conseguenza del fatto illecito e il
ricorso a misure di autotutela.
L'unica forma di riparazione vera e propria è il risarcimento del

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danno prodotto dall'illecito internazionale. Bisogna chiedersi
se scaturisce da qualsiasi violazione delle norme internazionali: per
il danno agli stranieri, l'azione è automatica per il solo fatto di
produzione dell'illecito; per il danno agli Stati, si fa riferimento ai
danneggiamenti dovuti ad un'azione violenta (tranne la guerra)
contro beni, mezzi e organi dello Stato (distruzione di sedi
diplomatiche, aeree...); per i danni alla funzione, si risarciscono i
danni prodotti con la lesione degli individui che ricoprono la
qualifica di organo: bisogna però distinguere tra danni subiti
dall'individuo e danni subiti dall'organizzazione statale (danni alla
funzione). In ogni caso sono risarcibili i danni materiali.

LA RESPONSABILITA' PER FATTI LECITI


XLVII Diritto internazionale > La violazione delle norme
internazionali e le sue conseguenze > La responsabilità per fatti
leciti

Esiste una responsabilità per fatti leciti? Esiste nelle attività


altamente pericolose ed inquinanti.
Qualcuno dice che si tratta di responsabilità oggettiva o senza
illecito, quando è chiamato a rispondere non solo delle attività dei
suoi organi, ma anche degli individui sottoposti al suo controllo.
Si ha responsabilità oggettiva assoluta, anche quando il danno non
si verifica (nel diritto spaziale).
La dottrina crede che sia meglio un sistema di responsabilità civile
ed esistono convenzioni in tal senso che però non riguardano la
responsabilità internazionale, ma di diritto interno.

LA SICUREZZA COLLETTIVA PREVISTA DALLE NAZIONI UNITE


XLVIII Diritto internazionale > La violazione delle norme
internazionali e le sue conseguenze > La sicurezza collettiva
prevista dalle Nazioni Unite

Nei rapporti internazionali è vietato l'uso della forza. Il Consiglio di


sicurezza ha il compito di mantenere la pace e l'ordine tra gli Stati e
può utilizzare la forza ai fini di polizia internazionale. Esso, una volta
che aha accertato la violenza o la minaccia, può decidere le
sanzioni da applicare contro lo Stato (senza però usare la forza),
come l'interruzione delle comunicazioni o delle relazioni
internazionali ed economiche. Prima però deve invitare lo Stato a
prendere le misure provvisorie necessarie a non aggravare la
situazione. Il Consiglio gode di un larghissimo potere discrezionale

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nell'accertare una minaccia o una violazione della pace, anche
perché non è necessario l'uso della violenza bellica per violare la
pace. Nel diritto internazionale esiste una dichiarazione che elenca
le diverse ipotesi di aggressione, ma non incide sulle competenze
del Consiglio. Dopo la caduta del muro di Berlino, sono stati istituiti
altri organi di carattere giurisdizionale ed è aumentata la
discrezionalità del Consiglio.

Misure provvisorie
L'art. 40 prevede che il Consiglio può invitare le parti interessate ad
ottemperare alle misure provvisorie necessarie, ma esse non
devono pregiudicare i diritti o la posizione delle parti interessate. Le
misure hanno natura preventiva (per non aggravare la situazione) e
non vincolante (si tratta pur sempre di un invito).

Le misure non implicanti l'uso della forza


L'art. 41 prevede che il Consiglio può vincolare gli Stati membri
dell'ONU a prendere una serie di misure più blande (l'embargo, ad
esempio) per lo Stato che abbia, secondo il giudizio insindacabile
dell'organo, violato o minacciato la pace.

Le misure implicanti l'uso della forza


L'art. 42 prevede le ipotesi del ricorso alla forza contro uno Stato
colpevole di aggressione, minaccia o violazione della pace
internazionale oppure anche all'interno di uno Stato (guerra civile).
Il Consiglio, infatti, può eseguire azioni di polizia internazionale,
mediante delibere operative, con le quali non esorta, ma agisce
direttamente. Le modalità dell'azione del Consiglio di sicurezza si
formano sulla base di accordi. Gli artt. 43 ss. non hanno mai
ricevuto applicazione dal 1945. Il Consiglio è di solito intervenuto in
crisi internazionali o interne con misure militari. Ha creato le Forze
delle Nazioni Uniti (caschi blu), ma con compiti assai limitati per il
mantenimento della pace, ha aumentato l'uso della forza degli Stati
membri, sia singolarmente, sia nell'ambito delle organizzazioni
regionali.

In ultimo esistono le c.d. pace-keeping operations, la cui


caratteristica è la delega del Consiglio in ordine sia al reperimento,
attraverso accordi con gli Stati, sia al comando delle Forze
internazionali, che hanno compiti molto limitati. E' necessario il
consenso.

LA FUNZIONE GIURISDIZIONALE INTERNAZIONALE

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PARTE QUINTA
L’ACCERTAMENTO DELLE NORME INTERNAZIONALI E
LA SOLUZIONE DELLE CONTROVERSE TRA STATI
XLIX Diritto internazionale > L'accertamento delle norme
internazionali e la soluzione delle controversie tra Stati > La
funzione giurisdizionale internazionale

La funzione giurisdizionale internazionale ha ancora oggi natura


arbitrale, essendo ancorata al principio per cui un giudice
internazionale, comunque costituito, non può mai giudicare se la
sua giurisdizione non è stata preventivamente accettata da tutti gli
Stati parti di una controversia. Ed è proprio questo fatto che fa sì
che si privilegi il momento interno dell'applicazione del diritto
internazionale.
Gli Stati sono liberi di deferire ad un Tribunale internazionale una
qualsiasi controversia che riguardi i loro rapporti: ciò che importa è
che siano d'accordo sulla scelta e accettino come vincolante la sua
decisione.
Il processo internazionale ha quindi sostanzialmente carattere
arbitrale, poiché riposa sulla volontà degli Stati.
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Il punto di partenza dell'evoluzione dell'istituto è l'arbitrato
isolato. Esso si svolgeva solitamente in questo modo: sorta una
controversia tra due o più Stati, si stipulava un accordo (il c.d.
compromesso arbitrale) con il quale si nominava un arbitro (ad
esempio, un Capo di Stato) o un collegio arbitrale, si stabiliva
eventualmente qualche regola procedurale, e ci si obbligava a
rispettarne la sentenza così emessa. L'istituto si è evoluto: per
facilitare l'accordo, alla fine del secolo scorso, si è cominciato a
ricorrere a degli accorgimenti per l'instaurazione del processo: sono
comparsi i c.d. trattati generali di arbitrato (chiamati anche "non
completi" per distinguerli da quelli successivi "completi") e le
clausole compromissorie. Questi obbligavano gli Stati a ricorrere
all'arbitrato per tutte le controversie che sarebbero sorte in futuro
in ordine all'applicazione e all'interpretazione della convenzione tra
gli Stati stessi. Questi, quindi, creano soltanto un obbligo de
contrahendo, cioè l'obbligo di stipulare il compromesso arbitrale.
Nella seconda fase, con la fine della prima guerra mondiale, è stata
creata la Corte Permanente di Giustizia Internazionale all'epoca
delle Società delle Nazioni, e poi, nel 1945, la Corte Internazionale
di Giustizia. Si tratta di un corpo permanente di giudici, eletti
dall'Assemblea generale e dal Consiglio di Sicurezza. Resta
comunque un tribunale arbitrale. In questa fase, compare la figura
della clausola compromissoria "completa" e del "trattato generale di
arbitrato" completo. Questi non si limitano a creare l'obbligo di
stipulare il compromesso, ma prevedono direttamente l'obbligo di
sottoporsi al giudizio di un tribunale internazionale già predisposto.
Bisogna comunque sottolineare che la funzione giurisdizionale
internazionale va sempre cedendo il passo ai mezzi diplomatici.
Inoltre è necessario distinguere i tribunali internazionali (destinati a
risolvere le controversie tra Stati) dai tribunali istituiti all'interno
delle organizzazioni internazionali (che risolvono le controversie di
lavoro tra funzionari e l'organizzazione).
Un cenno meritano anche alcuni organi giurisdizionali settoriali che
presentano caratteristiche proprie: spicca, tra essi, la Corte di
Giustizia delle Comunità Europee (con sede a Lussemburgo), che
però si occupa a) dei ricorsi per violazione del Trattato da parte di
uno Stato membro, b) del controllo di legittimità sugli atti degli
organi comunitari e c) delle questioni c.d. pregiudiziali (esempio,
quando un giudice interno deve chiedere l'interpretazione del
Trattato CE, ha il dovere di sospendere il processo e di chiedere una
pronuncia della Corte al riguardo).
Nel 1988 è stato inoltre istituito il Tribunale di primo grado delle
Comunità europee.

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La Corte europea dei diritti dell'uomo controlla il rispetto della
convenzione europea dei diritti dell'uomo e delle libertà
fondamentali da parte degli Stati contraenti.

I MEZZI DIPLOMATICI DI SOLUZIONE DELLE CONTROVERSIE


INTERNAZIONALI
L Diritto internazionale > L'accertamento delle norme internazionali
e la soluzione delle controversie tra Stati > I mezzi diplomatici di
soluzione delle controversie internazionali

Questi mezzi si distinguono dai mezzi giurisdizionale di soluzione


delle controversie in quanto tendono soltanto a facilitare l'accordo
delle parti: di conseguenza non hanno carattere vincolante per le
parti.
L'accordo può essere innanzitutto facilitato da negoziati diretti tra
le parti medesime, e in genere sono il mezzo più utilizzato.
Si parla poi di buoni uffici o mediazione, quando si verifica
l'internvento di uno Stato terzo, o di un organo supremo di uno
Stato o di un'organizzazione internazionale a titolo personale. La
differenza tra buoni uffici e mediazione è più teorica che pratica: di
solito con i primi ci si limita a indurre le parti della controversia a
megoziare; nella mediazione c'è invece una partecipazione più
attiva del terzo alle trattative.
Molto importante è anche la conciliazione, che si avvicina di più
all'arbitrato. Le commissioni di conciliazione sono di solito composte
da individui e da Stati ed hanno il compito di esaminare tutti gli
aspetti della controversia e formulare una proposta di soluzione che
le parti sono libere di accettare o meno. Le Commissioni di
inchiesta, invece, hanno il compito di accertare il fatto. Il ricorso
alla conciliazione è sempre succedaneo del ricorso all'arbitrato,
soprattutto nei trattati multilaterali. Sempre più spesso è previsto
come obbligatorio il ricorso alla conciliazione, con la conseguente
possibilità per uno degli Stati contraenti di dare unilateralmente
avvio alla procedura conciliativa.Ai mezzi diplomatici vanno
riportate anche le procedure di soluzione non vincolanti che si
svolgono in seno alle organizzazioni internazionali.
La Carta delle Nazioni Unite stabilisce che gli Stati membri hanno
l'obbligo di risolvere le loro controversie con mezzi pacifici.

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Una funzione importante è svolta anche dal Consiglio di Sicurezza,
che dispone di un potere di inchiesta, da eserctare sia
personalmente, sia per mezzo di un organo ad hoc, come ad
esempio un'apposita Commissione. Il Consiglio può anche
sollecitare le parti di una controversia a ricorrere ai mezzi e
procedimenti pacifici. Il Consiglio può rivolgere un invito generico o
indicare uno specifico procedimento.

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