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DIRITTO INTERNAZIONALE

Il diritto internazionale è un insieme peculiare di norme che regola le relazioni internazionali tra gli
Stati che compongono la comunità internazionale. Non si rivolge quindi ai singoli individui. Il
diritto internazionale costituisce anche una delle ottiche attraverso le quali possono essere studiate
alcune tematiche attuali.
Diritto internazionale privato: regola i contratti tra individui.
Diritto internazionale pubblico: viene trattato nel diritto internazionale. Dal secondo dopoguerra
al corpus normativo generico del diritto internazionale si sono aggiunte delle branche che
relazionano il diritto privato.
Per capire cos’è il diritto internazionale dobbiamo prima capire cos’è la società nazionale.
Società nazionale: gruppo di individui che delegano il potere legislativo ad un’autorità (es.
parlamento italiano) che crea delle norme che regolano i rapporti tra individui e che sono soggette a
cambiamenti durante gli anni.
SOCIETA’ INTERNAZIONALE
La società internazionale si basa su:
1. Eguaglianza paritaria tra stati, è il principio alla basa del diritto internazionale
2. (Dal secondo dopoguerra) tendenza all’istituzionalizzazione della società e alla
codificazione del diritto internazionale.
3. Divieto dell’uso della forza nelle relazioni internazionali. Prima della seconda guerra
mondiale, la fora era alla base delle relazioni internazionali.
Società paritaria: gli stati sono uguali tra loro. La società è chiamata ‘’orizzontale’’ e caratterizza il
sistema normativo. Il termine paritaria indica che è composta da entità politiche sullo stesso piano,
uguali, non ci sono quindi istituzioni centralizzate. (Art 2 della Carta delle Nazioni Unite)
EVOLUZIONE DELL’IUS GENTIUM
Ius gentium: Nel diritto romano era il complesso delle norme giuridiche fondate sulla ragione
naturale comune a tutti i popoli che avevano raggiunto un pari grado di sviluppo.
Il concetto di diritto internazionale, come lo indichiamo attualmente, nasce dopo la guerra dei 30
anni in particolar modo con la pace di Westfalia del 1648. Questa, tuttavia, è una data simbolica, il
quanto il processo di sviluppo è stato molto lungo. Indica la sostituzione della forma imperiale con
la forma statale. Termina quindi il sistema feudale con a capo l’imperatore e la chiesa. Il papa perde
il suo potere; la sua autorità viene messa allo stesso livello di quella statale.
Si elabora la dottrina della SOVRANITA’: dal XVI-XVII si stende l’idea dello stato come proprietà
del monarca. Le dottrine filosofiche tentano di spiegare questi cambiamenti attraverso la morale. Vi
è quindi una relazione tra morale e diritto.
Alberico Gentili fu uno dei primi a gettare le basi del diritto internazionale parlando nella sua
trattazione De iure belli del diritto di natura (dottrina del giusnaturalismo che prevede una legge
universale, una legge del diritto di natura che è anteriore a qualsiasi dimostrazione di diritto. Il

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diritto naturale si riviene nell'istinto ancestrale e immutabile che conduce ogni essere umano
all'unità.)
Ugo Grozio fu uno dei primi a gettare le basi del diritto internazionale attraverso l’opera De iure
belli ac pacis relazionata al diritto di guerra. Ha come scopo principale quello di combattere la forza
cercando la stabilità e la certezza nel diritto, presentando la teoria della guerra giusta e affermando
il principio che tutte le nazioni siano legate dal principio del diritto naturale.
Con Grozio e Gentili, il diritto inizia a staccarsi dalla teologia. La dottrina del diritto naturale venne
usata fino alla seconda metà dell’800. Dall’800 al 1900 si parla di positivismo giuridico, secondo
cui l’unico diritto è quello emanato dall’autorità competente, ovvero il legislatore. Ogni atto
legislativo si basa sul diritto all’interno dello stato.
Iniziano a svilupparsi delle dottrine in Europa secondo cui la norma fondamentale si basa sul pacta
sunt servanda, ‘’i patti si devono rispettare’’. Con il termine patti si intende gli accordi tra stati.
La società internazionale fino al XX secolo era una società solo Europea, ciò significa che il diritto
era concepito da e solo per gli stati membri (europei) senza tener in conto delle altre entità politiche,
come ad esempio le colonie che non prendeva parte allo sviluppo delle relazioni internazionali. Di
conseguenza, all’inizio c’erano pochissimi stati che facevano parte della società nazionale (circa
50), ovvero stati dominanti che creano un linguaggio comune basato sulle premesse filosofiche del
positivismo giuridico. Si parlava di società paritaria ma solo per colore che si definivano stati
egualitari. Proprio in risposta a questa tendenza, nasce il diritto internazionale dopo il processo di
decolonizzazione del 1960 (prima di allora il dirit. Inter. era solo per gli stati europei e per i pochi
stati già formati).
Per tanto, le ex colonie non hanno partecipato allo sviluppo del dirit. Int. Attualmente ci sono 140
stati. Vi è stato quindi un moltiplicarsi delle entità che si consideravano attori del dirit. Int. Un altro
principio fondamentale del diritto internazionale è proteggere il consenso di diritto internazionale
tra stati.
Il principio egualitario ha portato ad una serie di conseguenze tra cui il decentramento del potere,
diviso in esecutivo, legislativo e giudiziario che vengono ripartiti a diverse autorità e indipendenti
l’uno dall’altro.
Potere esecutivo: applicare e far rispettare le leggi, Governo.
Potere legislativo: creare nuove leggi, Parlamento.
Potere giudiziario: far rispettare le leggi e punire, Magistratura.
Negli stati internazionali i poteri sono decentrati. Tutti e tre i poteri si fondano sul consenso degli
stati.
Il potere giudiziario è affidato dagli stati ai tribunali internazionali su base consensuale (decidono
gli stati); il potere esecutivo spetta agli stati se esercitarlo o meno.
Il potere legislativo si attua attraverso accordi internazionali ovvero i trattati.
Il trattato (patto o convenzione) esprime la funzione legislativa. E’ una delle fonti principali del
diritto internazionale ed è un accordo tra stati su una determinata questione, una sorta di contratto
tra stati che si vincolano al rispetto di esso. Anche gli stati possono trattare o negoziare e giungere a
un compromesso. Il trattato è dunque il maccanismo più semplice che permette di non violare la
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sovranità degli stati che ha alla base il consenso tra gli stati. Alla base delle norme generali invece
vi è la consuetudine.
Trattato: vincolante solo tra le parti
Consuetudine: fonte che produce norme generali che nascono dal comportamento consueto degli
stati che si ripete negli anni e che valgono per tutti gli stati europei. La consuetudine prescinde dalla
volontà espressa in un preciso momento ma si costruisce attraverso i fatti e i comportamenti degli
stati. Si crea quindi una norma generica, non scritta, rispettata da tutti.
L’accertamento del diritto tra gli stati si basa sulla consuetudine di essi. Non viene imposto uno
specifico meccanismo di risoluzione delle controversie ma occorre una base consensuale. Serve
quindi un organismo giudiziario (corte di giustizia internazionale per le Nazioni Unite) al quale gli
stati decidono di sottostare. La corte di giustizia accerta il diritto un caso specifico e interpreta il
diritto vigente. Tutti gli stati rispettano la decisione della corte.
Per quanto riguarda il potere esecutivo, non esiste una polizia internazionale; vige quindi il
principio di uguaglianza tra gli stati. Non esiste un apparato coercitivo sovranazionale, che ha il
potere di imporre un obbligo a un determinato stato. Gli stati sono vincolati al rispetto del diritto
internazionali per interesse reciproco.

ISTITUZIONALIZZAZIONE E CODIFICAZIONE DEL DIRITTO INTERNAZIONALE


Adesso la società internazionale è molto più complessa rispetto a quella originale così come lo è il
diritto. Negli ultimi anni c’è stato un ritorno all’idea degli stati come basa della società
internazionale (idea che si pensava fosse superata nel tempo). Anche l’Unione Europea non può
considerarsi un ente sovranazionale perché deve sempre avere il consenso degli stati.
Dal secondo dopoguerra si verifica la nascita di alcune istituzioni internazionali come ad esempio
l’ONU nel 1945, fondata dagli stati vincitori della seconda guerra mondiale. Le aspettative erano
quelle di creare un’organizzazione sovranazionale alla quale devolvere il potere della forza, in
particolare al consiglio di sicurezza, organo all’ONU. In realtà il tentativo fallisce perché alcuni
poteri all’interno dell’ONU sono limitati. Il consiglio di sicurezza ad esempio è limitato dal potere
di veto.
Nel 1945 venne adottata la Carta delle Nazioni Unite che rappresenta un momento di compromesso
tale da far aderire gli stati ad una carta comune. Essa però non è una costituzione internazionale ma
un documento fondamentale per lo sviluppo del diritto inter. e delle relazioni internazionali.
Il divieto dell’uso della forza è stato codificato, cioè è stato realizzato un codice o una raccolta di
leggi. Dopo il secondo dopoguerra sono state realizzate una serie di accordi per vietare l’uso della
forza. I trattati codificano sia il diritto già esistente (non scritto ma che comunque viene rispettato)
che un diritto nuovo.
Il diritto internazionale nasce anche per garantire il divieto dell’uso di violenta e della forza; non
esiste comunque un’autorità alla quale è stato delegato questo monopolio.
IL PATTO BRIAND-KELLOGG o patto di Parigi del 1928 aveva come obiettivo quello di rinuncia
alla guerra. Le intenzioni iniziali però non sono state rispettate. Il divieto assoluto viene inserito nel
1945 con la Carta delle nazioni unite. Da allora le controversie devono essere risolte in maniera
pacifica, tranne in alcuni eccezioni es. la legittima difesa
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I SOGGETTI DEL DIRITTO INTERNAZIONALE
Si distinguono 4 categorie di enti che partecipano alle relazioni internazionali:
1. Enti territoriali, cioè gli stati sovrani e gli stati insorti.
2. Enti non territoriali che aspirano a diventarlo, cioè i governi in esilio, i comitati
nazionali all’estero e i movimenti di liberazione nazionale.
3. Enti non territoriali, cioè Santa Sede, ordine di Malta e il comitato internazionale della
Croce Rossa.
4. Enti non territoriali con legami con gli stati, cioè le organizzazioni internazionali.
Gli enti che invece partecipano solo occasionalmente alle relazioni internazionali sono gli individui.
ENTI TERRITORIALI (CATEGORIA 1)
I soggetti principali del diritto internazionale sono gli stati, destinatari delle norme del diritto. Non
esiste una vera e propria definizione di STATO nel diritto internazionale ma si può distinguere lo
stato dal punto di vista internazionale e lo stato secondo il punto di vista interno. Gli elementi
principali che deve avere uno stato per essere tale sono:
1. Territorio
2. Popolazione
3. Sovranità su di essi
4. Capacità di relazionarsi con altri stati (socievolezza)
TERRITORIO: è irrilevante la dimensione di uno stato per determinare la sua sovranità
SOCIEVOLEZZA: capacità di relazionarsi con un altro stato, attraverso tale capacità, lo stato si
identifica come stato civile (poiché in passato esistevano entità identificate come stati incivili, ma
questa distinzione si è persa nel tempo). Solo gli stati civili erano considerati stati a tutti gli effetti.
SOVRANITA’: si distingue la dimensione interna e la dimensione esterna.
DIMENSIONE INTERNA DELLA SOVRANITA’, capacità di governare in modo effettivo un
determinato territorio e la sua popolazione. In questo caso, non è importante la forma di governo
dello stato, ciò che conta è il controllo effettivo. Non importa nemmeno sapere se lo stato si trova in
una situazione di instabilità interna. Sono considerati stai, ad esempio, anche i FAILED STATES.
Alcune rappresentanze politiche di stati possono avere rilevanza giuridica internazionale anche se
non operano un controllo effettivo es. i governi in esilio (seconda categoria di enti). Hanno il potere
di rappresentare temporaneamente uno stato. Es. Saddam Hussein in esilio in UK.
FICTIO IURIS, ovvero la finzione giuridica: applicazione di una norma giuridica a una
fattispecie differente da quella per cui era stata posta, fingendo che si siano verificati i presupposti
di fatto di questa. Es. Se il governo è in esilio, strappato dal territorio, viene applicata una finzione
giuridica che garantisce stabilità al livello internazionale. La fictio iuris però vale solo per un
determinato arco di tempo (fino a che non ritorna il governo) durante il quale preserva la continuità
dello stato che in quel momento non c’è. Un esempio di governo in esilio e di problematica che ne
deriva è la sede diplomatica della Lituania a Roma. I Paesi Baltici facevano parte dell’Unione
Sovietica ma persero l’indipendenza che venne riacquistata negli anni 90 con la caduta dell’URSS.

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Reclamarono la loro sede che durante la II guerra mondiale passò dalla Lituania all’unione
sovietica. La controversia era per chi doveva tenere la sede.
PRINCIPIO DI EFFETTIVITA’
Il diritto internazionale riconosce la realtà di fatto, quindi questo principio è fondamentale per
riconoscere uno stato come tale. Il passare del tempo incide sull’effettiva capacità di rappresentanza
di uno stato.
DIMENSIONE ESTERNA DELLA SOVRANITA’, indipendenza. Lo stato non deve essere
sottoposto al controllo di un ente terzo ma deve essere indipendente rispetto agli altri enti statali.
Pertanto, lo stato ha poteri di governo originali e non conferiti/delegati da altri stati. Non vengono
considerati stati quelli federali come la California. La California, sul piano interno, è considerata
uno stato ma, poiché non è indipendente (è uno stato che dipende da USA) non viene considerato
stato a livello internazionale. La California, come altri stati, possono avere il potere di relazionarsi a
livello internazionale che gli viene conferito dallo stato centrale, al quale deve sottostare.
Riassumendo, solo l’entità originaria (superiore) viene considerata stato a livello internazionale.
Quel che è importante è capire se sono indipendenti o meno. Es. le regioni italiane non agiscono per
conto proprio, anche se hanno un proprio potere, ma agiscono per conto dello stato italiano. Tale
potere viene conferitogli. Sul piano internazionale non serve sapere come vengono gestiti e
suddivisi i poteri o i compiti all’interno dello stato.
STATI PROTETTI: erano entità che esistevano durante il periodo della colonizzazione. Attraverso
l’accordo di protettorato lo stato protettore stipulava trattati per conto dello stato protetto
(ingerenza: l'azione d'intromettersi e di esercitare una qualsiasi influenza (sia interna che
internazionale) in cose che riguardano direttamente altri enti). C’era quindi un deficit di
indipendenza.
Esempio di: stato protettore: Francia colonizzatrice; stato protetto: Tunisia colonizzata.
Oggi il protettorato non è ammissibile nel diritto internazionale moderno poiché è vietata qualsiasi
forma di colonizzazione. Gli stati possono dipendere da un altro stato ad esempio a livello
economico. Es. L’Italia che dipendeva dalla Russia per il gas naturale ma nonostante ciò, l’Italia è
comunque considerata uno stato.
STATI FANTOCCIO: In alcuni casi uno stato si dichiara indipendente ma non lo è a tutti gli effetti,
come ad esempio la repubblica di Salò che dipendeva dallo stato nazista o i ‘’Puppet States’’, gli
Stati fantoccio, stati creati durante la guerra, come Cipro del Nord, dipende (quasi totalmente) dalla
Turchia ma in teoria si è dichiarato indipendente. Cipro del Sud appartiene alla Grecia, fa quindi
parte dell’Unione Europea.
Il principio di effettività è fondamentale per riconoscere uno stato come tale.

ENTI TERRITORIALI: MOVIMENTI INSURREZIONALI


Sono gruppi armati che mirano al rovesciamento del regime o alla secessione si una parte del
territorio dallo stato. Sono entità temporanee che minano alla costruzione di un nuovo stato totale o
al controllo in una parte del territorio. La loro rilevanza dipende dall’ effettività del controllo che
questi enti hanno in un determinato territorio. Sulla base dell’effettività sono considerati stati.

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Hanno un potere limitato infatti non possono cedere il territorio su cui incidono ma possono sancire
accordi. Gli stati terzi non possono intervenire sul conflitto armato (ingerenza interna).
ENTI NON TERRITORIALI: MOVIMENTI DI LIBERAZIONE NAZIONALE (CATEGORIA
2)
Possono avere un controllo o meno su un determinato controllo. Combattono per
l’autodeterminazione di un popolo, uno dei principi fondamentali del diritto internazionale.
Pertanto, la loro rilevanza sul piano internazionale discende dalla loro causa. Es. OLP:
organizzazione per la liberazione della Palestina. A questi enti viene attribuita capacità giuridica,
quindi l’ente può concludere accordi, può partecipare ai lavori delle organizzazioni internazionali.
Le conseguenze sono che il governo non può reprimerli con la forza. Infatti, vige il diritto di
resistenza, cioè il diritto di essere assistiti da stati terzi (poiché la loro azione è giustificata dal
motivo per cui combattono). Questi conflitti infatti vengono considerati conflitti internazionali e
seguono delle norme specifiche del diritto bellico.
ENTI NON TERRITORIALI (CATEGORIA 3)
 Santa Sede
 Ordine di Malta
 Comitato internazionale della Crocce Rossa
SANTA SEDE, ente rappresentativo della chiesa cattolica. Tale ente ha soggettività internazionale.
A differenza della città del Vaticano che rappresenta il dominio della personalità cattolica, la Santa
sede rappresenta la personalità giuridica. Pertanto, può concludere accordi internazionali. Svolge il
ruolo di osservatore, quindi non ha diritto di voto. Sia la città del vaticano che la santa sede
sottostanno al pontefice.
L’ORDINE DI MALTA, nacque nel medioevo e negli anni cambiò la sede fino a giungere a Roma,
dove si trova attualmente. Per qualcuno viene considerata una ONG.
CROCE ROSSA, associazione di diritto privato che nacque nella seconda metà dell’800 a Ginevra,
dove è regolamentato dal consiglio federale svizzero. Il suo scopo è l’assistenza sanitaria in caso di
conflitto. E’ stata tra i promotori del diritto internazionale umanitario, tutelando i soggetti che
prendono parte o meno al conflitto. Anche il comitato della croce rossa svolge lo status di
osservatore nelle Nazioni Unite.

ORGANIZZAZIONI INTERNAZIONALI (CATEGORIA 4)


Le organizzazioni internazionali sono enti non territoriali che hanno dei legami con gli stati. Hanno
acquisito una grande rilevanza dopo la seconda guerra mondiale. I caratteri principali delle
organizzazioni internazionali secondo l’Art.2 Commissione del diritto internazionale sono:
 Devono essere istituite da un trattato o da un altro strumento es. le dichiarazioni politiche
degli stati disciplinato del diritto internazionale. Lo stato è un’entità primaria mentre le
organizzazioni internazionali sono entità derivate.
 Possono includere tra i propri membri altri enti in aggiunta agli stati es. l’Unione Europea fa
parte della FAO
 Devono avere una propria personalità giuridica, cioè devono essere autonome rispetto agli
stati membri dell’organizzazione stessa es. Corte internazionale di giustizia
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 Devono avere poteri di azione e proprie competenze
 Devono essere in grado di esercitare tali poteri

Nel 1949 venne chiesto alla corte internazionale di giustizia se l’ONU dovesse riparare per
l’uccisione di un dipendente. La corte decise di riconoscere all’ONU il potere di riparazione,
riconoscendo a sua volta la personalità giuridica dell’ONU stessa. Questo avvenne perché l’ONU
aveva già poteri rilevanti tanto da avere maggiore personalità rispetto alle altre organizzazioni di
altri stati.
(La corte ha due compiti principali: emettere sentenze per risolvere conflitti ed esprimere pareri,
non obbligatori, tra le parti).
Nel 1980 venne richiesto alla Corte un altro parere riguardante la sede secondaria dell’OMS,
organizzazione mondiale della sanità, in Egitto. Alcuni stati, dopo la rottura con l’Egitto, volevano
spostare da lì la sede. Si chiede il parere della corte che da per scontato che l’OMS abbia personalità
giuridica.
Come riusciamo a capire se un’organizzazione ha personalità giuridica? Ci sono diverse teorie:
1. Si può desumere dal riconoscimento degli stati terzi, non dagli stati parte. Il riconoscimento
ha quindi volontà costitutiva. Il limite però è il principio di effettività secondo cui non si
dovrebbe riconoscere la personalità in base agli stati a in base ai fatti effettivi.
2. Si può desumere direttamente dal trattato istitutivo, quindi dipende dalla volontà degli stati.
Il limite è che si tratta solo di alcuni stati e non tutti. La personalità giuridica è un dato
oggettivo che dovrebbe essere riconosciuto da tutti gli stati e non solo dagli stati parte.
3. Si può desumere dalla capacità di fatto di imporsi come ente autonomo rispetto agli stati che
lo compongono. (questa teoria è espressione del principio di effettività, quindi è quella più
accettata).
Esistono organizzazioni internazionali universali (composti da tutti gli stati) e regionali
(composti solo da membri di una determinata area) es. Consiglio d’Europa
Alla base di queste organizzazioni troviamo:
 L’Assemblea (di tutti gli stati)
 Il Consiglio Esecutivo (composto da alcuni stati)
 Il Segretariato generale (organo individuale)
 Altri organi
Gli stati possono esprimere la propria volontà di far parte di un’organizzazione nel momento in cui
viene istituita (formata) o richiedere di farne parte dopo il momento istitutivo. Nella Carta delle
Nazioni Unite viene spiegato il processo di ammissione di un nuovo stato membro. Così come uno
stato può entrare a far parte dell’organizzazione, può anche essere espulso.
(La carta delle nazioni unite è un accordo istituito dall’organizzazione delle nazioni unite che
comprende tutte le norme del diritto inter. vincolanti per gli stati che lo hanno ratificato)
Nazioni Unite: organizzazione
Corte di giustizia: organo giudiziario delle NU

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Le organizzazioni internazionali hanno le proprie norme di votazione basate sul consenso. Le
delibere dell’Assemblea relative a «questioni importanti» sono adottate a maggioranza di due terzi
dei Membri presenti e votanti, quelle relative ad «altre questioni» a maggioranza semplice

L’INDIVIDUO
E’ un ente partecipante occasionalmente alla vita delle relazioni internazionali. Tradizionalmente
l’individuo non è considerato soggetto del diritto internazionale. Nel passato le norme del diritto
internazionale, obblighi e diritti, erano indirizzate agli stati, mentre gli individui erano solo
beneficiari dell’esercizio del diritto da parte dello stato.
Oggi vi è una visione diversa; in particolar modo due branche del diritto internazionale hanno
promosso i diritti del singolo individuo: diritto internazionale dei diritti umani e il diritto
internazionale penale.
Il primo tutela i diritti degli individui come tali e non come cittadini dello stato. Il secondo gestisce i
crimini internazionali. E’ un insieme di norme che controllano il comportamento dell’individuo in
relazione ai diritti internazionali. Per esempio i crimini di guerra possono essere puniti sia dai
tribunali interni che da quelli internazionali.
Dalla titolarità dei diritti umani, discendono situazioni personali; un individuo, per esempio, può
presentare un reclamo alla corta europea dei diritti dell’uomo.

IL RICONOSCIMENTO DEI NUOVI STATI (rispetto al loro processo di formazione).


Tradizionalmente si tendeva ad affidare tale riconoscimento agli stati terzi. Quindi avevano il
compito di riconoscere l’identità di un nuovo stato per far si che si esprimesse la sua sovranità.
Dipendeva quindi se il nuovo stato difettava o meno del carattere dell’indipendenza.
FORME DI RICONOSCIMENTO: de iure e de facto.
DE IURE: riconoscimento pieno della nuova entità politica come stato, da qui si instaurano
relazioni internazionali normali
DE FACTO: riconoscimento ridotto, lo stato terzo teme che la situazione sia solo temporanea e che
lo stato non si consolidi nel tempo, da qui si instaurano relazioni diplomatiche ridotte.
Il riconoscimento si può esprimere attraverso lettere da parte del capo dello stato, da note formali o
dal riconoscimento implicito.
EFFETTI DEL RICONOSCIMENTO
1. COSTITUTIVO: la qualifica di un nuovo stato come personalità giuridica dipende da uno
stato terzo. Ma, secondo il principio di uguaglianza, uno stato terzo non può effettivamente
riconoscere l’entità di uno stato. Questa tesi quindi è ormai superata (fino alla seconda metà
del XX)
2. DICHIARATIVO: è un atto politico. Uno stato dichiara di voler instaurare dei rapporti con
una nuova entità. Ciò ha un effetto politico e facilita l’esercizio effettivo dei poteri di
governo

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Atto politico: il riconoscimento può essere usato come atto di pressione o di subordinazione a
ulteriori condizioni. Non ci sono conseguenze politiche, l’unica è che una volta riconosciuto
come stato, non potrà essere negato. Es. lo smembramento dell’ex Jugoslavia del 91/92. Gli stati
smembrati vennero riconosciuti come nuove entità e sottoposti al rispetto delle norme dei diritti
umani e a condizioni che non sono fondamentali nel diritto internazionale per riconoscere uno
stato come tale (per es. nessuno dice che uno stato deve avere un sistema democratico per essere
riconosciuto come tale).
RICONOSCIMENTO DI NUOVI GOVERNI (lo stato già esiste, cambia solo il governo). I
governi, al contrario degli stati, non sono soggetti del diritto internazionale. A volte all’interno di
uno stato possono esserci cambiamenti di regime e in tali cambiamenti, lo stato non perde la propria
personalità giuridica, non si estingue es. del governo talebano che si instaura in Afghanistan nel
2021. Infatti, la personalità giuridica a livello internazionale non dipende dalle situazioni interne. Il
riconoscimento ha una mera valenza politica: si esprime la volontà di relazionarsi con esso.
L’istituzione di un nuovo governo, a seguito di una rivoluzione interna, quindi non elimina le
relazioni preesistenti con altri stati. Le modifiche interne non incidono sulle relazioni internazionali
o sulla personalità giuridica.

LE FONTI DEL DIRITTO INTERNAZIONALE


Le fonti del diritto internazionale sono espresse nell’Art. 38 par. 1 dello Statuto della Corte
internazionale di giustizia, ovvero un insieme di norme che indicano quali regole la Corte vede
seguire per far cessare le controversie tra stati.
a) Le convenzioni internazionali, sia generali che particolari, che stabiliscono le norme
espressamente riconosciute dagli Stati in lite;
b) Le consuetudini internazionali, come prova di una pratica generale accettata come diritto;
c) I principi generali di diritto riconosciuti dalle nazioni civili;

A, B, e C sono fonti del diritto internazionale.


d) Giurisprudenza e dottrina, mezzi sussidiari del diritto internazionale.
Da queste fonti si nota che la norma è antica perché innanzitutto parla di nazioni civili (concetto
ormai superato), inoltre non troviamo tutte le possibili fonti del diritto internazionale come ad
esempio quelle prodotte dalle organizzazioni internazionali.
I trattati vengono applicati solo agli stati parte del trattato, quindi sono fonti particolari, mentre le
consuetudini sono fonti generali del diritto internazionale.
Norme di carattere generale: applicate a tutti gli stati (Le consuetudini e i principi)
Norme di carattere particolare: applicate solo agli stati parte (Le convenzioni)
CRITERI DI SOLUZIONE DEI CONFLITTI TRA NORME, cosa si può fare quando due norme ci
dicono due cose diverse. Nel diritto interno solitamente si usa il criterio gerarchico. La costituzione
sta in alto, il resto delle norme è sottostante. Mentre nel diritto internazionale ci sono diversi tipi di
criteri:
1. CRITERIO TEMPORALE: Il trattato successivo prevale su quello precedente. Criterio che
si applica su norme provenienti dalle stesse fonti;
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2. CRITERIO DI SPECIALITA’: Il trattato è considerato fonte speciale quindi prevale sulla
consuetudine (considerata fonte generale). Criterio che si applica su norme discendenti da
fonti diverse. Non è un criterio assoluto, quindi non si può applicare sempre. Es. se due stati
sottoscrivono un trattato e in un futuro momento decidono di sottostare/conformarsi a una
consuetudine (solitamente in modo tacito), prevale la consuetudine sul trattato (secondo
anche il principio di effettività).
3. CRITERIO GERARCHICO: nel diritto internazionale classico non esiste una gerarchia.
Tuttavia negli ultimi decenni, gli stati hanno riconosciuto l’ius cogens, un insieme di norme
di valori condivisi, fondamentali e inderogabili es. il divieto di aggressione o di genocidio.
(sono valori sottintesi della comunità internazionale).
CONSUETUDINI Art. 38 par.1 (b) indicata come fonte del diritto internazionale <<che attesta una
prassi generale accettata come diritto>>. E’ quindi difficile identificare quali sono le consuetudini
(essendo una fonte). Le consuetudini si basano su due elementi fondamentali:
1. Prassi generale. Con il termine prassi si fa riferimento al comportamento generale degli stati
ripetuto nel tempo in modo uniforme. Con il termine generalità si fa riferimento alla
maggioranza di stati che hanno contribuito alla sua nascita (elemento oggettivo).
La prassi generale però non è sufficiente, è necessario che essa venga accettata come diritto.
2. Prassi accettata come diritto degli stati; nell’assumere un determinato comportamento gli
stati devono anche accettarlo come obbligo giuridico (elemento soggettivo). Gli stati devono
essere convinti che quella prassi sia giusta così da essere voluta dal diritto. Opinio juris: è il
convincimento spontaneo di un soggetto, che abbia o meno contribuito all'adozione
della norma, che la condotta o i principi stabiliti nella stessa siano giuridicamente
obbligatori in quanto "giusti" o "secondo diritto".
Questi due elementi vengono rilevati da un documento redatto dalla commissione del diritto
internazionale (organo delle Nazioni Unite) ed è relativo alla codificazione del tema del diritto inter.
consuetudinario, che codifica le norme come consuetudini.
Conclusione 1: come definire l’esistenza del contenuto delle norme di diritto internazionale
Conclusione 2: i due elementi fondamentali
Conclusione 3: si richiede la prova dei due elementi costitutivi, accertati separatamente. L’uno non
può prescindere dall’altro per poter considerare una prassi consuetudine (abbiamo quindi bisogno di
entrambi gli elementi)
Conclusione 5: la prassi dello stato consiste nella condotta dello stato, attraverso l’operato dei suoi
organi nell’esercizio delle loro funzioni. I comportamenti dello stato devono essere considerati in
modo uniforme riguardo a tutti gli organi
Conclusione 7: (come accertare la prassi dello stato) Nel caso in cui le condotte all’interno dello
stato non sono uniformi, non si conferisce molta rilevanza ai comportamenti dello stato (nel
processo di riconoscimento di una prassi come consuetudine)
Conclusione 6: La prassi può prendere varie forme, sia fisiche che atti verbali, incluso l’inazione (in
alcuni stati). Lo stato può mostrare quindi la sua posizione sia attraverso atti fisici che verbali,
anche se gli atti fisici hanno più importanza.
Nel diritto internazionale vige l’immunità giurisdizionale civile di uno stato, ciò uno stato non può
giudicare un altro. Es le donne di conforto del Giappone durante la seconda guerra mondiale è stata
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un’eccezione in quanto è stata violata una norma dell’ius cogens. Il tribunale di Seul, quando
doveva giudicare tale processo, non applicò l’immunità per l’esistenza di tale eccezione. Pochi mesi
dopo, un’altra sezione del tribunale di Seul diede una soluzione opposta, chiudendo la causa e
facendo valere il principio di immunità. In questi casi, quando due sentenza sono divergenti, in
termini generali è difficile dire che sta emergendo la prassi per tanto viene ridotta la valenza di
condotta di quello stato.
Conclusione 8: la prassi deve essere generale, diffusa, rappresentativa e uniforme. Non c’è un
minimo o un massimo di durata di consuetudine (non esistono consuetudini istantanee) e non è
necessario che tutti gli stati si comportino secondo la prassi (basta la maggioranza).
L’opinio juris è necessaria perché esistono ipotesi di stati che attuano per mera cortesia.
FORME DELL’OPINIO JURIS:
 Public statements on behalf of States;
 Official publications;
 Government legal opinions;
 Diplomatic correspondence;
 Decisions of national courts;
 Treaty provisions;
 Conduct in connection with resolutions adopted by an international organization
Ci sono due casi in cui esisteva già una consuetudine e uno stato ha promosso una nuova
consuetudine:
1. USA volevano promuovere le piattaforme continentali. Truman affermò che le risorse
naturali del fondo e del sottofondo marino sottostanti l’alto mare adiacente alle coste
dovevano ritenersi come appartenenti agli Stati Uniti e soggetti alla loro giurisdizione e
controllo (esercitare la proprietà sulle acque del mare vicino la propria costa).
Pretesa basata su scopi politici divenne norma che va a sostituire quella preesistente.
Inizialmente questa volontà era la pretesa di uno stato. Negli anni, altri stati hanno mostrato
la stessa volontà, aderendo attraverso delle dichiarazioni o dei comportamenti, e volendo
inserire questa pretesa nel diritto consuetudinario. Così da pretesa divenne norma pattizia.
2. Intervento umanitario come eccezione al divieto dell’uso di forza. Caso della NATO e del
Kosovo negli anni 90. La NATO ha giustificato il proprio intervento militare contro la
Serbia. Questo intervento pero, a differenza del caso degli USA, non può essere considerato
come norma emergente/in via di formazione, perché gli stati hanno giustificato l’intervento
della NATO in modo non uniforme.

AMBITO DI APPLICAZIONE
La consuetudine, fonte di diritto generale (insieme ai principi generali), si applica solitamente a tutti
gli stati ma possono esistere tre eccezioni:
1. L’OBIETTORE PERSISTENTE, cioè lo stato che contesta una consuetudine e si oppone
ad essa in maniera persistente. Questa eccezione però non è stata accolta da tutti.
Conclusione 15: L’esistenza di uno stato che si oppone a una determinata consuetudine,
comporta che quella consuetudine non può essere applicata contro quello stato.

11
Es. sentenza della Corte internazionale di Giustizia del 1951. UK vs Norvegia.
I pescherecci inglese si recavano spesso nei Fiordi Norvegesi in quanto molto pescosi. La
Norvegia afferma la propria autorità su quella parte di mare e vieta all’UK di pescare in
quelle zone. L’UK agisce per tutelare i propri pescherecci, contestando, davanti alla corte, il
metodo usato dalla Norvegia per reclamare la zona di mare ovvero il metodo delle linee
rette. Secondo UK, non esisteva una norma che riconosceva tale diritto alla Norvegia e che
non poteva essere applicata nei casi in cui le baie norvegesi avessero un’ampiezza superiore
a 10 miglia (solitamente la distanza tra le baie è sempre superiore). Secondo la Norvegia
però la norma dei 10 miglia non esisteva e anche se fosse esistita, non poteva applicarsi
perché la Norvegia si era sempre opposta ad essa. In questo caso quindi, la Norvegia è
l’obiettore persistente. La Corte statuisce che quindi che la regola delle 10 miglia non esiste
effettivamente e anche se fosse esistita, sarebbe stata inopponibile per la Norvegia che si era
sempre opposta ad essa. La regola delle linee rette invece era già stata adottata da altri Paesi
e quindi riconosciuta.
In ogni caso, non esiste una consuetudine a supporto della tesi dell’obiettore persistente: non
è l’obiettore persistente che si oppone alla regola e in modo automatico questa decade, ma è
il connubio tra l’opposizione persistente di uno stato e l’accettazione degli altri stati della
sua inapplicabilità. In ogni caso, la norma relativa all’obiettore persistente non si applica alle
norme ius cogens (norme di natura consuetudinaria a carattere cogente, che sono
inderogabili) e. norma del divieto di regime fondato su discriminazione raziale.
2. CONSUETUDINI REGIONALI, sono norme consuetudinarie che si formano solo tra stati
appartenenti ad una stessa area geografica o geo-politica.
Es. il diritto di asilo è tra le norme già riconosciute. Nel 1950 alcuni oppositori del regime
peruviano organizzarono una ribellione armata che venne poi soffocata. Il gruppo viene
dissolto e gli oppositori politici vennero perseguitati, tra cui il più importante Haya De la
Torre che decise di rifugiarsi a Line, presso l’ambasciata Colombiana (appartenente alla
Colombia). Secondo la Colombia, esisteva una consuetudine del regime peruviano, norma
del diritto americano, che imponeva di lasciar passare Haya, in quanto rifugiato politico e
arrivare in Colombia, passando attraverso l’ambasciata colombiana e quindi attraverso il
territorio peruviano. Secondo la Colombia, il Perù violò tale norma del diritto di asilo poiché
si rifiutava di far passare Haya. A sua volta, il Perù sostenne che non esisteva tale
consuetudine. La corte riconosce la possibilità dell’esistenza di consuetudini regionali ma in
questo caso, poiché il Perù ha contestato l’esistenza della consuetudine, la stessa
consuetudine non venne applicata allo stato che si oppose.
Le consuetudini generali, una volta formate non si possono obiettare; nel caso delle
consuetudini dello stato, esse si impongono solo se lo stato le accetta. Lo stesso vale con
riferimento alle consuetudini bilaterali, chiamate anche locali.
3. CONSUETUDINI BILATERALI (LOCALI)
Nel 1960 la Corte riconosce l’esistenza delle consuetudini bilaterali, che valgono per due
stati. Es. Portogallo va India. Il Portogallo possedeva due città in India, come dominio
coloniale, e aveva sempre avuto la possibilità di accedervi attraverso il territorio indiano.
Affermava davanti la corte il suo diritto di poter passare. Secondo la corte esisteva tale
consuetudine formata tra India e Portogallo ma anche in questo caso, entrambi gli stati
devono accettarne l’esistenza.
Il consenso di due stati, implicito o esplicito, è essenziale per la formazione della
consuetudine della stessa (si parla quasi di un accordo tacito tra le parti). Nella consuetudine

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generale la rilevanza della norma è data dalla prassi generale, ma nel caso delle consuetudini
regionali o bilaterali, la rilevanza della norma si basa sulla singola accettazione della norma.
TRATTATO è una delle fonti del diritto internazionale a carattere particolare che si applica solo tra
gli statu che lo ratificano. E’ fondamentale per il consenso nel vincolarsi con uno stato, seguire
quindi degli obblighi e dei diritti.
Il trattato dei trattati si trova nella Convenzione di Vienna del 1969 che racchiude tutte le norme di
diritto pattizio legate ai trattati.
 è irrilevante la sua denominazione (può avere vari nomi);
 è fondamentale la volontà delle parti;
 la forma è di solito scritta ma potrebbe essere anche orale anche se è molto più difficile
capire se le parti vogliono effettivamente vincolarsi quindi meglio scritto.;
 deve essere disciplinato dal diritto internazionale.
A partire dalla seconda metà del XX secolo vi è una tendenza alla codificazione cioè a mettere per
iscritto le norme di natura consuetudinaria. La codificazione è svolta soprattutto dall’Assemblea
Generale delle Nazioni Unite, che ha lo scopo di promuovere la cooperazione internazionale nel
campo politico e incoraggiare lo sviluppo del diritto internazionale e la sua codificazione. Questo
compito è stato poi delegato alla commissione del diritto internazionale.
IL PROCESSO DI CODIFICAZIONE: l’Assemblea, su proposta della commissione, chiede di
lavorare su un tema preciso, segue poi l’accettazione dell’Assemblea. La commissione nomina poi
un membro interno che diventa il relatore speciale che ogni anno redige ricerche, presenta proposte.
Ci sono quindi varie alternative:
La prima è che la conferenza discute il testo, apporta delle modifiche e poi lo approva come una
vera e propria convenzione, diventando quindi trattato. Chi accetta è vincolato ad esso.
Un’altra alternativa è che l’assemblea riceve il testo e decide di incorporarlo in una risoluzione che
diventa convenzione aperta alla ratifica. Gli stati possono quindi decidere o meno se ratificare la
convenzione, però senza poterla modificare.
La terza alternativa è che il testo il testo viene incorporato a una raccomandazione, cioè un atto
vincolato, e l’assemblea chiede di prendere in considerazione il testo.
Il rischio della prima alternativa è che, durante l’assemblea, si arrivi ad avere un testo con troppe
modifiche apportate, diverso quindi da quello redatto in partenza. Il lavoro quindi perse significato.
Lo stesso vale per la seconda alternativa: il rischio è che nessuno ratifichi la convenzione. A volte
una convenzione entra in vigore solo se viene accolta da un numero definito di stati.
La terza alternativa sembra essere quella che ha più autorevolezza ma non è così. Dagli anni 2000,
l’assemblea generale, tende di più alla seconda alternativa e soprattutto alla terza.

PRINCIPI GENERALI RICONOSCIUTI DALLE NAZIONI CIVILI, incluso nell’ART. 38, par. 1,
lett. C dello statuto della Corte Internazionale di giustizia.

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Questi discendono dagli ordinamenti interni, non nascono dal diritto internazionale perché sono
principi condivisi da quasi tutti gli ordinamenti interni. Hanno funzione integrativa, sono usati nei
tribunali internazionali quando si devono risolvere delle controversie e si necessitano e di principi
non presenti tra gli ordinamenti generali.
Es. principio di terzietà del giudice
I principi generali di diritto internazionale sono diversi dai principi generali interni riconosciuti
dalle nazioni civili, perché essi discendono dagli ordinamenti internazionali.

MEZZI SUSSIDIARI:
1. GIURISPRUDENZA, ovvero le sentenze dei tribunali interni e internazionali qualora
applicano regole di diritto internazionale
2. DOTTRINA, ovvero l’espressione degli internazionalisti più importanti dei diversi sistemi
giuridici. Secondo la dottrina, i risultati delle controversie valgono solo per le parti.
Giurisprudenza e dottrina non sono fonti ma mezzi sussidiari che ricostruiscono norme già
esistenti del diritto internazionale. La giurisprudenza ha una rilevanza maggiore rispetto la
dottrina.
Ci sono poi altre fonti, come le norme imperative (ius cogens), cioè norme di rango superiore che
si sono formate recentemente. Troviamo la definizione nell’Art. 53 della Convenzione di Vienna.
Le ius cogens hanno portata generale, valgono quindi per tutti gli stati. Sono di natura
consuetudinaria, quindi nascono solitamente come consuetudine generali a cui si applica una
rilevanza maggiore perché tutelano i beni fondamentali del diritto inter.
Es. il divieto di forza nelle relazioni internazionali, il cui nucleo fondamentale è il divieto di
aggressione, divenuto in seguito norma ius cogens. C’è una opinio iuris più forte quindi gli stati
sono convinti che la norma sia giusta e sono convinti della sua inderogabilità. E’ un tipo di norma
che non può essere derogata da un’altra norma che non abbia la stessa importanza, lo stesso
carattere.
Es. divieto di apartheid

SOFT LAW. Si intende un nucleo di norme non vincolanti che dichiarano dei diritti, di natura
recente. Discendono da atti delle organizzazioni internazionali ma possono contribuire alla
formazione di norme vincolanti. Le norme di natura soft law sono recenti perché sono legate alla
nascita di nuovi soggetti del diritto internazionale.
 Espressione di opinio iuris degli stati;
 Base per obblighi e diritti includi in un trattato.

HARD LAW. In contrasto con il soft law, il hard law conferisce agli Stati e agli attori
internazionali effettive responsabilità vincolanti nonché diritti. La violazione di un documento di
Hard law comporta responsabilità da parte dello stato. Il Paris Agreement è un esempio di hard law
(è un’eccezione).
Come capiamo se un documento è vincolante (hard law)?
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1. Dalla denominazione. Fanno parte della soft law le raccomandazioni, le dichiarazioni o i
codici di condotta; mentre nell’hard law fanno parte i trattati, le convenzioni e i patti.
2. Dai termini usati nel testo, in questo modo si capisce se nel testo stesso risulta o meno la
volontà delle parti di vincolarsi. Possiamo anche vedere se nel testo vengono espressi dei
meccanismi per il rispetto del testo stesso.
3. Es international covenant of political and civil rights è un testo giuridicamente vincolante
che pone obblighi e diritti alle parti che si vincolano ad esso.
4. Da chi è stato prodotto il testo. L’Assemblea Generale può emettere solo patti NON
giuridicamente vincolanti, quindi può solo discutere una questione e fare delle
raccomandazioni.
L’organismo valuta il rispetto del patto, prendendo in considerazione i rapporti realizzati dalle
singole parti. Anche un singolo individuo può fare un reclamo a livello internazionale al
quest’organo.
Le dichiarazioni ad esempio sono più programmati, non specificano diritti ed obblighi ma
presentano delle norme generiche sui diritti. Es. Dichiarazione universale dei diritti umani. Non vi è
nessun vincolo nel rispettarla in questo è solo una dichiarazione di soft law.

CAP 9. DIRITTO DEI TRATTATI


Tra i trattati troviamo anche i documenti bilaterali che definiscono i rapporti tra due stati. Il diritto
dei trattati è trattato nella Convenzione di Vienna. Esso introduce i caratteri fondamentali di un
trattato: identifica il procedimento di formazione, gli effetti, la validità, i modi di estinzione, i criteri
di interpretazione e come i trattati possono essere modificati e molto altro.
Il trattato può concludersi con due procedimenti:
1. Procedimento di forma semplificata, che al giorno d’oggi viene usato meno e che
attribuiva un’importanza esclusiva al rappresentante dello stato, cioè un organo del potere
esecutivo. Tale procedimento si basa su: negoziati, adozione del testo, firma.
La necessità di attribuire al potere legislativo maggiore rilevanza, fa si che si usi di più il:
2. Procedimento di forma solenne, vede un passaggio al parlamento prima della conclusione;
consiste in: negoziati, adozione del testo, parafatura, firma, ratifica e infine la notifica.
Nella prima fase (negoziati) si svolgono vari incontri in cui i rappresentanti abilitati degli stati
tentano di negoziare su un testo che sarà poi vincolante per le parti. Nel caso di negoziati
multilaterali, i negoziati avvengono attraverso le conferenze. Nella seconda fase (adozione del
testo) viene adottato il testo che contiene l’argomento discusso dalle parti. Nel caso dei
negoziati multilaterali si giunge a tale fase attraverso il consenso di tutti gli stati o attraverso una
votazione (in conferenza) con la maggioranza internazionale dei due terzi dei partecipanti, salvo
le parti non abbiano deciso diversamente. Nel caso di negoziati bilaterali, si giunge all’adozione
del testo in maniera d’accordo su base del consenso comune.
Il procedimento di forma semplificata si conclude con la firma delle parti, che è quindi
manifestazione del consenso dato dagli stati che si vincolano al trattato.
Nel procedimento di forma solenne, la firma è solo la terza fase del processo, quindi è un
passaggio intermedio. Indica la manifestazione all’autenticità del rappresentante di stato ma non

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indica la volontà definitiva di vincolarsi. Nella forma solenne ciò che definisce la volontà di
vincolarsi è la ratifica.
Nell’Art. 18 della Convenzione di Vienna, si afferma che questa firma può avere diversi effetti
nel procedimento in forma solenne. Uno stato deve astenersi dal privare un trattato del suo
oggetto di scopo quando:
a. Ha firmato il trattato con riserva di ratifica o accettazione finché non ha manifestato la
propria intenzione di NON divenire parte del trattato (fase tra la firma e la ratifica: se lo
stato non arriva alla ratifica, il vincolo non c’è);
b. Ha espresso il proprio consenso, ha ratificato il testo ma il trattato non è ancora entrato in
vigore (fase tra la ratifica e l’entrata in vigore).
Nell’Art. 12 si affermano le modalità attraverso cui uno stato si vincola con la firma del trattato.
a. Quando il trattato prevede che la firma abbia tale effetto
b. Quando dai negoziati si conviene che la firma ha tale effetto.
c. Quando si deduce la volontà dello stato secondo cui la firma ha quell’effetto.
Nell’Art. 14 si afferma che l’espressione del consenso dello stato non discende dalla firma ma
dalla ratifica.
a. Quando il trattato prevede che la ratifica abbia quell’effetto.
b. Quando dai negoziati si conviene che la ratifica abbia quell’effetto.
c. Quando il rappresentante firma il trattato con riserva o ratifica.
d.
Nella penultima fase (ratifica) ogni stato definisce come ratificare un trattato e ciò non importa al
diritto internazionale, l’importante è la volontà di vincolarsi.
Secondo la costituzione della repubblica italiana all’Art.80, le camere autorizzano la ratifica
attraverso il procedimento di forma solenne nei casi in cui: i negoziati sono di natura politica,
prevedono cambiamenti territoriali, prevedono regolamenti giudiziari, prevedono la modifica di
leggi.
Quindi un singolo rappresentante del governo non può accettare un trattato senza che questo non
venga fatto passare per le camere prima.
L’ultima fase (notifica) si basa su:
 Uno scambio di notifiche nel caso di accordi bilaterali;
 Un deposito di ratifiche nel caso di accordi multilaterali. La lettera di ratifica viene
solitamente depositata presso il Segretariato generale delle Nazioni Unite. La notifica è
quindi l’atto che permette l’entrata in vigore del trattato. Negli accordi multilaterali, si può
subordinare l’entrata in vigore di un trattato con il raggiungimento di un numero specifiche
di ratifiche depositate.
REGISTRAZIONE DEL TRATTATO, è un’eventuale fase, non prevista dalla Convenzione di
Vienna ma prevista dalla Carte internazionale delle Nazioni Unite. Ogni trattato deve essere
registrato il prima possibile presso il segretariato generale e pubblicato da esso stesso. Gli stati che
non registrano il trattato seguendo una determinata procedura non possono invocare tale trattato
dinnanzi gli organi del NU. Che il trattato sia registrato o meno, entra in vigore in ogni caso. Nel
caso in cui un trattato viola un trattato, se esso non è registrato, un altro stato non può invocarlo.
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CAPACITA’ DI CONCLUDERE UN TRATTATO. Partendo dal presupposto che tutti gli stati
hanno capacità di concludere un trattato, al giorno d’oggi i soggetti che hanno tali capacità vengono
definiti plenipotenziari e si dividono in due tipi: soggetti che devono dimostrare di possedere tali
poteri e i soggetti per cui vi è una presunzione di tali capacità in virtù delle loro funzioni:
a. Capi dello stato, di governo e ministri degli affari esteri;
b. Capi di missioni diplomatiche;
c. Rappresentanti accreditati degli stati presso conferenze internazionali.

LE RISERVE AI TRATTATI (Art.2 par.1 della Convenzione di Vienna)


Sono dichiarazioni unilaterali attraverso le quali si accetta, si approva o vi si aderisce a un trattato
mediante le quali uno stato mira a escludere o modificare l’effetto giuridico di alcune disposizioni
del trattato riguardo la loro applicazione. Lo stato quindi si vincola al trattato salvo alcuni articoli
che vengono esclusi o modificati.
Con le riserve ai trattati si passa dal principio di integrità al principio di flessibilità. Inizialmente il
trattato doveva essere accettato nella sua pienezza o non accettato totalmente e per tanto non erano
permesse riserve. Vi è poi un’esigenza universale per far si che un maggior numero di stati si
accordi e si vincoli al trattato. Troviamo le riserve solo nei trattai multilaterali.
E’ possibile punire i responsabili dei crimini internazionali?
DIRITTO INTERNAZIONALE PENALE: è una branca del diritto internazionale che comprende
un corpus di norme che hanno tre finalità:
1. Sanzionare i crimini internazionali.
2. Obbligo di persecuzione e punizione da parte degli stati:
3. Svolgimento di procedimenti internazionali penali. Identifica norme procedurali (come si
svolgono i procedimenti)

A differenza del diritto interno in cui c’è solo uno stato, nel diritto internazionale non c’è una sola
autorità, quindi il percorso di formazione del diritto penale è più frammentato e recente.
Una delle prime condotte che fu definita come crimine di pirateria che voleva la proprietà privata.
Dal XIX secolo vengono riconosciuti altri crimini come ad esempio il crimine di guerra che
venivano perseguiti dagli stati. Dopo una guerra contro uno stato, potevano essere puniti i
prigionieri che avevano violato le norme di guerra. Dal II dopoguerra, viene istituito il tribunale
militare internazionale di Norimberga e il tribunale militare di Tokyo per punire i criminali di
guerra.
La prima novità è che a giudicare i criminali di guerra erano i tribunali sovranazionali. La seconda
novità è che vengono introdotte nuove categorie di guerra es. i crimini contro la pace e l’umanità.
La convenzione di Ginevra, nel II dopoguerra, viene introdotto il crimine del genocidio.
Nel 1949, le 4 convenzioni di Ginevra introducono altri crimini di guerra.
Negli anni 90: vengono istituiti due tribunali internazionali penali, ormai estinti, chiamati ad hoc,
che perseguivano e condannavano i crimini durante due conflitti specifici: quello dell’ex Jugoslavia
17
con sede all’Aja, 1991 e quello del Ruanda con sede in Tanzania, 1994. Vennero istituiti con due
risoluzioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Uno dei caratteri fondamentali dei due
tribunali è la temporaneità, poiché sono esistiti solo fino all’esaurimento delle loro funzioni. Il
secondo carattere è che nascono a seguito del conflitto, una volta che i crimini erano già stati
commessi, ciò pone dubbi sulla loro legittimità.
La loro giurisdizione era circoscritta sia temporaneamente, ciò con riferimento a fatti avvenuti in un
determinato periodo, che geograficamente, fatti avvenuti in una determinata area geografica. La
loro giurisprudenza è stata fondamentale per lo sviluppo del diritto internazionale penale.
Nel 1998: ADOZIONE DELLO STATUTO DI ROMA della Corte Penale Internazionale. Viene
introdotto per la prima volta un tribunale con giurisdizione a carattere permanente, non più
temporaneo come i precedenti e istituito prima dei conflitti.
Alla base della giurisdizione della corte vi è il consenso degli stati, cioè si estende a chi ratifica lo
statuto. Un esempio di stato che non ha ratificato lo statuto di Roma è USA.
Il diritto internazionale penale introduce per la prima volta il principio della responsabilità
dell’individuo a livello internazionale, in quanto all’inizio il diritto era solo riferito agli stati. Il
diritto internazionale penale insieme al diritto umanitario mette in discussione la convinzione che il
diritto spetti solo agli stati. Prima di allora, i crimini internazionali erano eventualmente puniti dai
tribunali interni.
CRIMINI PER CUI UN SOGGETTO PUO’ ESSERE PUNITO A LIVELLO
INTERNAZIONALE:
a. Crimini di guerra. Gravi violazioni di norme consuetudinarie o pattizie del diritto
internazionale commesse durante un conflitto armato (Art.8 dello statuto di Roma). Adesso
questo viene definito diritto umanitario.
b. Crimini contro l’umanità. Vengono commessi entro una prassi estesa e sistematica. Non
sono quindi singoli episodi e possono essere commessi sia in tempo di guerra che in tempo
di pace. Sono crimini efferati (crudeli).
c. Genocidio. Introdotto come concetto nel II dopoguerra in un documento della convenzione
di Ginevra del 48. Considerato come un atto commesso nell’intento del dolo, cioè che c’è
l’intenzione di commetterlo. Corrisponde all’uccisione di un gruppo nazionale, etnico,
religioso o razziale in quanto tale (intenzione di sterminio di un gruppo specifico).
d. Crimine di aggressione. (Art. 8 bis, introdotto quindi in un momento successivo, nel 2010,
dopo gli emandamenti di Campara. Pianificazione, inizio, persecuzione di una persona in
grado di esercitare il controllo di uno stato in violazione della corte delle Nazioni Unite
(crimine di leadership). Coincide anche con l’uso della forza armata di uno stato contro la
sovranità e integrità nazionale o indipendenza politica di un altro stato.
Successivamente è stata introdotta la responsabilità del singolo, e non solo dello stato, nel
commettere un crimine.
Gli elementi rilevanti della corte penale internazionale (entrata in attività nel 2002):
1. La corte non ha giurisdizione universale. La giurisdizione si applica solo per gli stati che
hanno ratificato lo statuto di Roma o ai soggetti che commettono dei crimini anche nel
territorio degli stati che aderiscono.

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2. Vige il principio di complementarietà, cioè che la corte è complementare alla giurisdizione
nazionale. Entrambe devono attivare la propria giurisdizione per perseguire un soggetto che
ha commesso un crimine internazionale. Se lo stato non può o non vuole attivare la
giurisdizione per perseguire il crimine, interviene la Corte. La giurisdizione della corte si
attiva se:
a. Lo stato ha ratificato lo statuto di Roma;
b. Attraverso dichiarazioni ad hoc che lo stato invia alla corte.
Se il caso è sottoposto alla corte da parte del consiglio di sicurezza delle NU, si attiva la
giurisdizione, anche se il cittadino è di un altro stato. Per avere il consenso dell’attivazione
del consiglio di sicurezza è necessario raggiungere la maggioranza e comprendere il
consenso dei cinque stati vincitori della II Guerra Mondiali.

DUE MODALITA’ PER PERSEGUIRE I CRIMINI INTERNAZIONALI:


a. Attivando procedimenti giudiziari nazionali
b. Attraverso procedimenti giudiziari dinnanzi la corta penale internazionale.

GIURISDIZIONE DELL’UCRAINA
IL diritto penale ucraino prevede: taluni crimini di guerra, crimini contro la pace, crimine di
genocidio; non prevede invece crimini contro l’umanità. Tuttavia vi è una norma che prevede di
perseguire crimini internazionali non scritti nel codice penale dell’Ucraina ma che si ritrovano
all’interno dei trattati internazionali ratificati dall’Ucraina.
Criteri per giudicare un crimine internazionale:
a. Criterio territoriale, che avviene all’interno del territorio, sia da un cittadino ucraino che di
un’altra nazione
b. Criterio nazionale passivo, si applica ai componenti della leadership russa rimasti a Mosca
per pianificare e dirigere l’aggressione in Ucraina (es Putin).
GIURISDIZIONE DELLA RUSSIA
Il diritto penale russo prevede alcuni crimini di guerra, crimini contro la pace, crimine di genocidio
e nessun crimine contro l’umanità.
Criteri per giudicare un criminale internazionale:
a. Si potrebbe attivare il criterio nazionale;
b. Criterio di appartenenza organica, ovvero incriminare i leader russi che hanno pianificato
l’aggressione;
c. Criterio nazionale passivo, ma è improbabile (almeno per il momento) che i tribunali russi
sottopongano a giudizio i responsabili dell’aggressione.
GIURISDIZIONE DI UN TERZO STATO

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Si potrebbe attivare il criterio di giurisdizione universale assoluta o relativa. Secondo tale criterio la
Svezia ha già sottoposto a giudizio alcuni soggetti responsabili di crimini internazionali (anche se
non erano cittadini svedesi).
GIURISDIZIONE INTERNAZIONALE (che riguarda la corte penale internazionale).
Nessuna delle sue parti ha ratificato lo Statuto di Roma ma l’Ucraina ha inviato due dichiarazioni ad
hoc. Il procuratore ha già avviato delle indagini, chiedendo agli stati parte dello statuto, relative ai
crimini. Si attiva quindi il principio di complementarietà. La corte però non può svolgere il processo
in contumacia, cioè in assenza dell’imputato. Secondo l’art. 8 bis, il tribunale della corte non ha
competenze sul crimine di aggressione per mancanza di accettazione delle due parti alla ratifica
dello statuto.

LE RISERVE AI TRATTATI
Vi sono due possibili categorie di riserve dei trattati:
1. RISERVE ACCETTUATIVE, viene ratificato il trattato salvo una determinata
disposizione; uno stato quindi può appore una disposizione che esclude l’accettazione della
stessa.
2. RISERVE MODIFICATIVE O INTERPRETATIVE, viene comunque applicata la
norma, ma lo stato dichiara che quella disposizione deve essere interpretata in modo diverso.
Cioè mina a limitare il novero (numero) degli obblighi derivanti dalla norma.
Interpretazioni estensive: quando una norma attribuisce maggiori diritti a uno stato es. La
convenzione di Ginevra afferma che le navi che svolgono funzioni pubbliche, se in alto mare,
godono dell’immunità. Ai tempi dell’Urss venne imposta una disposizione secondo la quale
quest’immunità facesse riferimento a tutte le navi appartenenti a uno stato (viene quindi estesa la
norma che non si applica solo alle navi sovietiche ma anche alle relazioni con altri stati, anche se
non hanno firmato la convenzione).
I caratteri principali della disciplina delle riserve, discendono dal principio di flessibilità. Ad oggi si
presuppone che un trattato preveda l’ammissione delle riserve. Sono però inammissibili le riserve
che si oppongono all’oggetto e allo scopo del trattato. Se prima la riserva era considerata valida solo
se accettata da tutti gli stati, ad oggi non è necessaria l’accettazione della riserva da parte di tutti gli
stati; ognuno di essi può disciplinarla come preferisce. Gli stati terzi non si esprimono rispetto ad
una riserva, si presume che l’accettino oppure devono apporre una opposizione, cioè una
dichiarazione unilaterale con cui si oppongono alla riserva di un altro stato. Ogni stato ha 12 mesi
per prendere posizione; può decidere di porre obiezione. Esistono due tipi di obiezione:
a. Obiezione sulla singola norma: lo stato dichiara che la norma con riserva è inoperante per le
due parti (solo la norma).
b. Obiezione sull’intero trattato: lo stato dichiara che l’intero trattato è inoperante. Questa
ipotesi deve essere dichiarata espressamente, se non lo fa, si presume l’abbia accettato.

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EFFETTI DELL’OBIEZIONE E DELLA RISERVA
1. Rapporti tra stati non riservanti: lo stato viene accettato integralmente, non viene applicata
nessuna riserva.
2. Rapporti tra stato riservante-stato obiettante: non si applica solo la disposizione del trattato
su cui si apposta la riserva.
3. Rapporti tra stato riservante-stato obiettante che si è opposto all’entrata in vigore del trattato
tra le due parti: il trattato non si applica. Questa situazione deve essere dichiarata, non può
essere presupposta.
4. Rapporto tra stato riservante-stato accettante: il trattato si applica nella misura prevista dalla
riserva.
2 e 4 hanno lo stesso risultato. Il trattato si applica secondo la riserva apposta dallo stato. Il 2 si
centra sull’obiettante, il 4 si centra sull’accettante.

IL DIVIETO DELL’USO DELLA FORZA NELLE RELAZIONI INTERNAZIONALI (Art.2 par.4


della Carta delle Nazioni Unite). Il divieto dell’uso della forza è principio cardine della Carta,
l’unica eccezione che viene fatta è per la legittima difesa (Art.51 della Carta).
Le regole che vietano l’uso della forza, hanno come fine quello di mantenere la pace tra gli stati. Vi
sono due tipi di meccanismi:
1. MECCANISMI DECENTRALIZZATI, regole che regolano l’uso della forza da parte
degli stati
2. MECCANISMI CENTRALIZZATI, regole che istituzionalizzano l’uso della forza.
Il divieto dell’uso della forza è una nuova concezione introdotto con il nuovo ordinamento (o
nuovo ordine mondiale) introdotto nel 1945 con la Carta delle Nazioni Unite, art.2 par. 4).
VECCHIO ORDINE MONDIALE
Uno dei caratteri principali del vecchio ordine mondiale è come avvenivano le relazioni tra i
soggetti. Gli stati erano gli attori principali dell’ordinamento. Nel passato vigeva la convinzione
secondo cui la guerra fosse necessaria per raddrizzare i torti subiti da un altro stato; veniva
considerata mezzo di giustizia per ristabilire l’ordine e quindi era legittima. Vigeva la legge del più
forte.
Nel momento in cui uno stato voleva imporre un proprio diritto o voleva difendersi, poteva ricorrere
alla guerra. Es. indennizzo: se uno stato era debitore nei confronti di un altro stato, il fornitore
poteva muovere guerra. Lo stesso valeva per motivi commerciali.
La guerra sopperiva all’inesistenza di tribunali internazionali che risolvessero le controversie. Da
ciò deriva il diritto di bottino e di conquista nel caso di conflitto. Nel caso di conquista, si
diventava legittimi proprietari della terra e dei beni conquistati.
Sia lo stato che muoveva guerra, che lo stato che si difendeva, esprimevano un proprio diritto e
quindi erano entrambi nel giusto. Gli stati terzi potevano decidere se partecipare o meno al conflitto,
decidendo da quale parte schierarsi ed erano costretti ad accettare l’esito del conflitto, prendevano
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quindi per legge ciò che era accaduto. Nel caso di neutralità, si doveva essere totalmente imparziali
nelle relazioni con entrambi le parti in conflitto. Nel caso di violazioni potevano verificarsi sia
rappresagli che sanzioni economiche legittime contro lo stato che rompeva la neutralità.
Le leggi di guerra vigevano in ipotesi formali e quindi avevano inizio con le dirette dichiarazione di
guerra. Tra le regole di guerra vi era anche la licenza di uccidere.
Nel caso in cui si verificava una violazione durante il conflitto, erano permesse le rappresaglie,
ovvero violazioni legittime che si opponevano alla violazione subita.
Durante un conflitto, spesso gli stati pubblicavano dei manifesti di guerra che avevano funzioni
politiche e di propaganda con lo scopo di convincere i sudditi affinché dessero il loro supporto. Gli
manifesti avevano anche motivi spirituali, poiché in passato morale e diritto erano legati tra loro,
quindi i sovrani, di solito cristiani, cercavano di redimersi.
Diplomazia delle cannoniere: la diplomazia si svolgeva attraverso le minacce dell’uso della forza,
considerato uno dei metodi di guerra.
CENNI STORICI FINO ALLA CARTA DELLE NAZIONI UNITE
 Convenzione dell’Aia, 1899-1907
 Patto della Società delle Nazioni, 1919 che mirava alla costituzione di un’associazione tra
stati. Il patto introduceva limiti procedurali o temporali all’uso della forza; secondo ciò, uno
stato membro della società doveva sottoporre le proprie ragioni di controversia a uno dei
membri della società: il consiglio di società, la corte permanente di giustizia internazionale o
al collegio arbitrale. Lo stato quindi doveva prima attendere la decisione. Lo stato perdente
del conflitto avrebbe potuto muovere guerra ma solo dopo tre mesi dall’annuncio della
decisione degli organi. Si introdusse che: se gli stati contravvenivano al patto dovevano
sopportare le sanzioni (militari o economiche) istituite dal consiglio. Tale patto fu uno dei
primi passi che limitò l’uso della forza anche se comunque ancorato all’idea che i conflitti
dovessero essere risolti con attraverso la guerra.
L’unica eccezione del divieto dell’uso della forza è la legittima difesa.
 Trattato di Parigi o Kellog-Briand, 1928. Kellog, il ministro francese e Briand, segretario
di stato degli Stati Uniti promossero il trattato nello spirito di superare l’uso della guerra
come soluzione ai conflitti. Per la prima volta la guerra viene dichiarata illegale. Vengono
previsti tre articoli:
1. Gli stati si impegnavano a stabilire il divieto dell’uso della forza nelle relazioni
internazionali;
2. Gli stati condannavano la guerra come strumento di risoluzione dei conflitti;
3. Gli stati avevano due obblighi: non muovere guerra contro un altro stato e risolvere
pacificamente i conflitti.
Tale trattato venne considerato come un passo fondamentale per il passaggio dal vecchio al nuovo
ordinamento mondiale, anche se non ha impedito lo svolgersi della seconda guerra mondiale. Tra i
limiti di questo patto vi è, per esempio, che veniva bandita la guerra ma non le rappresaglie. Cosa
avviene se gli stati entrano in conflitto? Come si rimpiazza la guerra? Non si sa.
 Accordo di Londra, 1945,

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 Carta delle Nazioni Unite 1945, i membri devono astenersi nelle relazioni internazionali
dalla minaccia e dall’uso della forza contro l’integrità territoriale, l’indipendenza politica di
qualsiasi altro stato, e in qualunque altra maniera incompatibile con i fini delle Nazioni
Unite.
Forza intesa come forza armata, quindi la coercizione economica non era intesa come forza.
Il nucleo essenziale del divieto dell’uso della forza è il DIVIETO DI AGGRESSIONE, norma ius
cogens, cioè che sottende la protezione di un bene giuridico internazionale, e valida per tutta la
comunità internazionale. Essendo il nucleo essenziale, fa parte del divieto dell’uso della forza ma è
una delle norme più gravi tra quelle che ne fanno parte.
La definizione di aggressione si trova all’interno della risoluzione 3314 dell’anno 1974
dell’Assemblea Generale. Si intende l’uso della forza armata contro la sovranità, integrità
territoriale o indipendenza politica. Si presume che, nel caso in cui uno stato usi la forza per primo,
viola il divieto di aggressione.
Si distinguono varie forme di aggressione:
FORME DI AGGRESSIONE DIRETTE:
a. Attacco o invasione del territorio, occupazione militare temporale o annessione con
l’impiego della forza. (Tutto ciò prima era legittimo).
b. Bombardamento di uno stato o l’impiego di qualsiasi arma.
c. Blocco dii porti e coste
d. Attacco di forza navali, terrestri o aeree.
e. Uso della forza contro le forze armate di uno stato che stanziano all’interno di un territorio
di un altro stato.
FORME DI AGGRESSIONE INDIRETTE:
a. Uno stato terzo permette a un altro stato di utilizzare il proprio territorio per compiere un
atto di aggressione. Es Bielorussia ha fatto passare le forze russe per invadere l’Ucraina.
b. Supporto nel proprio territorio di bande o gruppi che si dedicano ad atti di forza contro un
altro stato. In base agli effetti provocati da tale condotte, l’aggressione può considerarsi di
minore violazione o di grave violazione.
Art. 4 gli atti elencati non sono esaustivi e il Consiglio di Sicurezza, davanti a casi specifici, può
decidere se classificare un atto come atto di aggressione anche se apparentemente sembra non
esserlo.
Art. 6 la risoluzione non incide sugli articoli della Carta delle Nazioni Unite che trattano il divieto
della forza. In ogni caso queste norme non incidono sul potere del consiglio di sicurezza, che può
decidere come classificare gli atti.
Art. 5 nessun motivo di natura politica, economica o militare può essere considerato come una
giustificazione dell’uso della forza.
Una guerra di aggressione costituisce un crimine contro la pace internazionale. Nessuna
acquisizione di territorio che discende da un atto di aggressione può essere considerata lecita. Il
possesso di armi nucleari non è una minaccia; la dissuasione nucleare può costituire invece una
minaccia.

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GRADI DI VIOLAZIONE DEL DIVIETO DELL’USO DELLA FORZA
Vengono specificati dalla corte internazionale di giustizia in due sentenze:
1. Nicaragua vs Usa, 1986. Sentenza dell’attività militare e paramilitare in e contro il
Nicaragua. Nel Nicaragua, a seguito delle elezioni democratiche, si inserisce il partito
sandinista che aveva relazioni con l’Unione Sovietica. Gli stati Uniti finanziano e
addestrano gruppi di ribelli contro il regime sandinista appena instaurato. Ciò, nel diritto
internazionale, viola l’integrità politica dello stato. La corte, deve decidere sulle azioni
militari delle bande supportare dagli USA. Esito: gli Usa violano il divieto dell’uso della
forza. Inizialmente, gli USA per difendersi avevano affermato che l’intervento dei ribelli era
legittima difesa perché il Nicaragua, a sua volta, aveva supportato ribelli marxisti nel
Salvador e nell’Honduras e che avevano richiesto l’intervento degli USA. Il governo del
Nicaragua aveva inviato molto probabilmente delle armi a questi ribelli ma questa condotta
venne considerata come condotta minore rispetto a quella degli USA, quindi non considerata
un atto di aggressione o un attacco armato. Quindi Usa non potevano rispondere con la
legittima difesa. La corte quindi introduce per la prima volta la differenza tra violazioni
gravi e violazioni minori. La legittima difesa viene ammessa solo per le violazioni gravi.
2. Iran vs Usa, 2003. Sentenza sul caso delle piattaforme petrolifere. Negli anni 80 esplode una
guerra tra Iran e Iraq supportato all’epoca dagli Usa poiché tale conflitto minacciava una
zona fondamentale per il commercio internazionale, ovvero il Golfo Persico. Vennero
distrutte delle petrolifere situate in quella zona. Vennero quindi mandate delle navi per
scortare le petroliere. Si verificarono poi due episodi: Una nave incappò in una mina e
esplose; una nave subì danni a causa di granate lanciate da un motoscafo che si avvicinò.
Quindi gli Usa incolparono l’Iran per questi due episodi e bombardarono due piattaforme
petrolifere, facendo scattare una causa. Secondo L’Iran, Usa aveva violato raccordo che
vincolava le due parti; secondo Usa aveva agito per legittima difesa. La corte doveva
valutare le due condotte. Esito: La condotta dell’Iran venne considerata come violazione
minore rispetto Usa del divieto dell’uso della forza. La violazione invece degli Usa era una
grave violazione e quindi non poteva essere giustificata con la legittima difesa. Usa definiti
colpevoli.
Il prodotto definitivo è stato quello collettivo della sentenza ma il giudice Simma ha
espresso un’opinione personale diversa. Secondo Simma veniva ammessa la legittima difesa
individuale per garantire il rispetto del principio di reciprocità, cosa che invece non veniva
ammessa dalla Corte (per evitare l’escalation militare). Sia la corte che Simma non
accettarono la legittima difesa collettiva.
(La corte decide quali interessi devono essere privilegiati, in ogni caso).

LEGITTIMA DIFESA, considerata l’unica eccezione al divieto dell’uso della forza e viene
ammessa solo per le violazioni gravi. La corte distingue tra violazioni gravi e minori, considerato la
legittima difesa, per evitare l’escalation del conflitto. Il principio di legittima difesa si basa sul
principio di reciprocità e sull’interesse collettivo di pace internazionale.
La legittima difesa è intesa come diritto naturale cioè un diritto interno agli stati, non viene
conferito dalla corte. Non è un diritto che spetta dunque solo agli stati membri delle Nazioni Unite
ma a tutti.

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Le condizioni necessarie per invocare il diritto alla legittima difesa sono:
a. Attacco armato preventivo. Il problema che si pone è a partire da quale momento si può
attivare la legittima difesa? Si può invocare prima dell’attacco armato? Alcuni stati, come
Usa e Israele ammettano la legittima difesa. In particolare l’allora presidente Bush, pubblicò
dei documenti in cui veniva ammessa nei confronti dei cosiddetti ‘’stati canaglia’’, ovvero
quelli stati che cercano di produrre armi nucleari o che sostengono le associazioni
terroristiche. Usa vs Saddam Hussein, Usa attacca l’Iraq per agire in modo preventivo
poiché Iraq stava costruendo armi nucleari. Israele negli anni 80 bombarda la centrale
nucleare irachena, avvalendosi della legittima difesa.
La maggior parte degli stati però non riconosce la legittima difesa preventiva quindi in
generale non è accettata dal diritto internazionale.
Quali problemi possono considerarsi attacchi armati? Molti delle condotte che costituiscono
aggressione indicati negli articoli della risoluzione 3314 dell’anno 1974 dell’Assemblea
generale.
b. Proporzionalità. La legittima difesa deve essere proporzionata all’attacco armato ricevuto.
Es Conflitto Russia-Georgia, 2008. A seguito delle elezioni elettorali in Georgia, vince un
partito filoccidentale che voleva avvicinarsi alla NATO. Nel nord della Georgia vi è
l’Ossezia, abitata principalmente da russofoni, e secondo l’accordo tra le due parti, è
permesso lo stanziamento di una base di soldati russi in Ossezia. Dopo le lezioni questi
soldati iniziarono a fomentarsi chiedendo la secessione. La Georgia manda l’esercito a
placare la rivolta. La Russia quindi invoca la legittima difesa mandando il proprio esercito
nella Capitale della Georgia, espandendo l’attacco. La risposta russa non era comunque
proporzionata all’attacco e quindi considerata ingiustificata.
c. Immediatezza. L’esercizio di legittima difesa è giustificato solo se la risposta è immediata
rispetto all’attacco. Il requisito di immediatezza deve essere valutato caso per caso. Es. nel
mare tra Cina e Giappone ci sono dei piccoli scogli e delle piccole isole contesti tra i due
paesi perché la sovranità degli stessi comporta la sovranità sulla zona del mare in cui si
trovano e sulla piattaforma continentale (quindi sulle risorse in superficie e nei fondali). In
passato questi scogli appartenevano alla Cina ma all’inizio del secolo scorso sono stati
conquistati dal Giappone. Ad oggi la Cina non può reclamare gli scogli perché è passato
troppo tempo e quindi un suo attacco non sarebbe più legittimo.
Es.2 L’Argentina si riappropria delle isole Falkland che appartenevano al Regno Unito. Il
regno unito le riprese dopo qualche settimana, durante le quali cercò di giungere ad una
negoziazione. In questo caso è considerata legittima difesa.
E’ quindi fondamentale l’arco di tempo entro il quale avviene la risposta. Se la legittima
difesa viene attuata dopo che la situazione si è stabilizzata, allora non è più ammissibile.
d. Termine finale entro cui è possibile esercitare la forza invocando la legittima difesa. Questa
condizione risponde al principio secondo cui è il Consiglio di Sicurezza ad avere il
monopolio dell’uso della forza.
I TRE PILASTRI:
1. Divieto assoluto dell’uso della forza nelle relazioni internazionali, intesa come impostazione
fondamentale del nuovo ordine mondiale.
2. Uso della legittima difesa
3. Monopolio del consiglio di sicurezza. L’uso della forza non è in mano agli stati ma a un
organo delle Nazioni Unite (novità del nuovo ordine mondiale). Anche se gli stati invocano

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la legittima difesa seguendo delle determinate condizioni, è sempre il consiglio di sicurezza
a decidere.
Le misure che escludono il diritto della legittima difesa sono:
a. Misure sanzionatorie non implicanti l’uso della forza (Art. 41 della carta delle NU)
b. Misure sanzionatorie che implicano l’uso della forza (Art. 42 della carta delle NU)
Gli stati possono invocare la legittima difesa finché il consiglio di sicurezza non invoca queste
misure.

La legittima difesa individuale consiste nella legittima difesa esercitata direttamente dallo stato
vittima che subisce l’attacco.
La legittima difesa collettiva consiste nell’esercizio della legittima difesa da parte di uno stato
terza, in supporto dello stato vittima.
Ratio: l’interesse a porre fine all’uso della forza non è solo dello stato vittima ma di tutti gli stati
della comunità internazionale che sono spinti all’uso della forza collettivo per proteggere il divieto
dell’uso della forza. La legittima difesa non è sempre possibile e si devono rispettare delle
condizioni: immediatezza dell’attacco, la gravità dell’attacco e il consenso dello stato vittima.
Uno stato terzo infatti deve aspettare la richiesta di aiuto dello stato vittima, potrebbe usare la scusa
della legittima difesa per muovere conflitto contro lo stato che attacca.
LETTERA DEL 24 FEBBRAIO 2022
E’ una notifica che il rappresentante permanente russo ha inviato al segretariato generale delle
Nazioni Unite ai sensi dell’art.51. All’interno si trova anche una email di Putin nella quale giustifica
il suo attacco all’Ucraina avvalendosi soprattutto del diritto di legittima difesa individuale e a tratti
di quella collettiva. Le sue giustificazioni erano giuridiche, quindi secondo lui, l’attacco faceva
parte dell’ordine mondiale delle nazioni unite. Nell’ultima parte del testo vengono invocate altre tre
giustificazioni per l’uso della legittima difesa:
a. Intervento umanitario;
b. Argomento del tu quoque (giustificazioni che riprendono eventi storici);
c. Autodeterminazione dei popoli
Di conseguenza non si giustifica solo con la legittima difesa, che è l’unica eccezione al divieto
dell’uso della forza secondo la carta delle NU.
Gli stati hanno cercato di ampliare il più possibile il novero delle giustificazioni entro cui si
considera valida la legittima difesa come ad esempio gli attacchi preventivi e gli attacchi di
singoli individui o di gruppi individuali (e quindi non stato).
Un esempio è l’attacco alle torri gemelle da parte di un gruppo di terroristici. USA reagisce usando
la forza contro i talebani (ma ad attaccare le torri è stato un singolo gruppo, non tutti i talebani).
Altro esempio è l’intervento militare Turco nel nord dell’Iraq contro gruppi terroristici Curdi
stanziati nel territorio iracheno.
Nell’art.51 della Carta delle NU, viene espresso il diritto di natura della legittima difesa. Ma è
possibile esercitare la legittima difesa contro un gruppo di individui e non l’intero stato?
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Secondo alcuni paesi è possibile, es. secondo Francia e USA. USA amplia questa sua opinione
perché afferma che è possibile usare la forza (invocando la legittima difesa) contro singoli individui
o gruppi che hanno organizzato un attacco armato in qualsiasi territorio (anche al di fuori del
proprio). Tale tesi però venne negata dalla Corte di giustizia.
1. Controversia Israele vs Palestina, 2004. Si tratta di un muro che difensivo creato per
problemi giuridici e che avrebbe diviso i due paesi. Per Israele, che sosteneva la legittimità
della costruzione, il muro serviva alla legittima difesa contro gli attacchi delle forze armate
palestinesi, che minacciavano la sicurezza internazionale.
Primo parere: la Corte dice che l’art. 51 non può essere invocato in caso di attacchi di
singoli individui o gruppi ma solo per gli stati.
2. Controversia Congo vs Uganda, 2005, caso di attività militare nel Congo. Il Congo dice che
negli anni precedenti l’Uganda aveva stanziato gruppi armati nel Congo che organizzarono
attacchi armati. L’Uganda si difende giustificandosi con il diritto di legittima difesa poiché
dal Congo provenivano gruppi armati che minacciavano la sicurezza del paese.
La corte in questo caso non cita il proprio parere perché l’Uganda non riesce a provare che
gli attacchi provenivano dal Congo.

RISOLUZIONE DELLA CORTE 1368 del 2001


La Corte ammette il diritto degli USA alla legittima difesa rispetto all’attacco alle torri gemelle
contro il gruppo terroristico.

TESI DI AMMISSIBILITA’ DELLA LEGITTIMA DIFESA CONTRO ATTACCHI DI SINGOLI


GRUPPI
La questione non è del tutto risolta, ma si può ammettere in maniera estensiva, che la tesi degli USA
è negata poiché non sostenuta dalla maggior parte di paesi.
Esistono due ipotesi secondo cui la legittima difesa di uno stato terzo è ammessa in relazione
all’attacco di singoli gruppi:
a. Il gruppo terroristico agisce come organo di fatto dello stato. Cioè il gruppo non è un corpo
armato appartenente allo stato in modo formale ma di fatto lo si può considerare come tale
perché i due hanno delle relazioni molto strette es Al-qaeda e il governo afghano dei
talebani. (forti correlazioni tra i due).
b. Lo stato a cui il gruppo terroristico afferisce è incapace a reagire o non reagisce
volontariamente. Lo stato ammette quindi che tale gruppo commette azioni coercitive sul
proprio territorio contro altri stati. In teoria, lo stato dovrebbe garantire che ciò non accada
(ovvero che dei gruppi nel proprio territorio minacciano altri stati).
In alcuni casi lo stato a cui afferisce il gruppo non da il consenso di fermare questi gruppi.
Se invece lo stato da il consenso, allora il problema non si pone. Es. la Francia interviene
militarmente con il consenso del Mali, nel territorio del Mali.

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Gli stati hanno cercato di ampliare il più possibile il novero delle giustificazioni entro cui si
considera valida la legittima difesa come ad esempio gli attacchi preventivi e gli attacchi di
singoli individui o di gruppi individuali (e quindi non stato). Da qui capiamo che gli stati tendono
a trovare delle giustificazioni alle loro azioni militari.

1. RAIDS, ovvero interventi militari in uno stato terzo in tutela dei propri cittadini. In questo
caso non vi è un attacco di uno stato, ma gli stati organizzano degli attacchi armati per
salvare la vita dei propri cittadini, che si trovano in pericolo in un territorio estero.
L’intervento è possibile solo se lo stato da il consenso ad effettuare il RAID.
Es. 1978, un gruppo di giovani iraniani sequestra il personale diplomatico dell’ambasciata
americana a Teheran (capitale dell’Iran). USA tenta per mesi di negoziare ma dato che non
vengono rilasciati, il presidente americano manda degli elicotteri di salvataggio. (In questo
caso non viene invocata la legittima difesa).
Es. 2014, intervento militare russo in Crimea. Questo intervento venne giustificato
invocando la protezione dei cittadini russi minacciati dal governo ucraino. La commissione
di diritto internazionale si è occupata del RAID. Il relatore speciale della Commissione
chiese di trattare il tema ma la commissione non lo fece.
Quindi i RAIDS sono ammissibili?
Una parte della dottrina dice che lo stato che interviene per salvare i cittadini non viola l’art.2 della
Carta perché non mira a danneggiare o a rovesciare uno stato. Questa tesi non è però ammissibile
perché l’art.2 parla di divieto assoluto dell’uso della forza.
Un’altra parte della dottrina afferma che l’uso della forza può essere usato in caso di necessità.
Anche questa tesi però non è ammissibile perché lo stato di necessitò non è invocabile nell’ipotesi
di gravi violazioni del diritto internazionale.
L’ultima parte della dottrina dice che l’intervento è illegittimo perché si pone in essere il RAID
senza il consenso dello stato. Quindi persiste la regola dell’uso della forza per legittima difesa e
quindi solo se lo stato da il consenso, il raid è ammissibile. Quest’ultima è la tesi più condivisa.

2. INTERVENTO UMANITARIO, ovvero l’uso della forza da parte di uno o più stati per
porre fine a gravi violazioni dei diritti umani causati in uno stato terzo.
L’intervento umanitario è ammesso?
Il primo intervento umanitario è stato organizzato dalla NATO nel Kosovo, 1999. Poiché la
minoranza Kosovara era perseguitata da governo serbo, la NATO interviene per proteggere
tale minoranza. La ONU aveva precedentemente provato di far cessare le persecuzioni ma
invano. Quindi la NATO intervenne facendo ritirare le truppe serbe. Le giustificazioni dei
paesi che parteciparono a tale intervento furono varie: intervento umanitario; situazione di
necessità; autorizzazione dell’ONU (copertura). Alcuni stati condannarono tale intervento
come la Russia e la Cina.
In passato, gli stati occidentali erano più propensi nel sostenere l’intervento umanitario, mentre
alcuni stati orientali, tipo Russia, non ammettevano l’uso della forza per altre eccezioni che non
fossero la legittima difesa.

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La dottrina che giustifica l’intervento umanitario è la Responsibility to protect (R2P), secondo cui
lo stato è responsabile della protezione dei propri cittadini e di quelli di altri stati nel caso in cui
questi fossero sottoposti a violazioni dei diritti internazionali o in caso di catastrofi naturali.
Negli ultima anni la dottrina si è divisa. Alcuni stati sostengono che è vero che la Carta non prevede
un intervento umanitario, ma secondo alcuni stati, con l’introduzione di alcuni regimi tipo quello
dei diritti umani, si può ammettere l’intervento di uno stato terzo per porre fine a gravi violazioni di
essi. Questa tesi però è tuttora astratta, gli stati in via di sviluppo non ammettono tali interventi nel
proprio territorio.
In generale c’è una maggiore sensibilità verso i diritti umani a livello internazionale ma tale
tendenza si oppone al principio di sovranità del diritto internazionale. Poiché l’intervento
umanitario può avvenire solo tramite consenso dello stato, si smonta la dottrina della responsibility
to protect, perché subordinata dall’autorizzazione del consiglio di sicurezza.
Altro caso: intervento in Libia. Nella prima risoluzione 1970 del 2011, il Consiglio di Sicurezza
accusa il governo di Gheddafi dopo avere provocato violenze ai cittadini. Gli viene chiesto di
fermarsi, di trovare delle soluzioni ma la risoluzione risulta essere inefficace. Ne viene realizzata
una seconda (risoluzione 1973) del 2011 che autorizza l’intervento armato degli stati per proteggere
la popolazione civile (quindi viene applicata la dottrina per autorizzazione del consiglio).

Limiti della dottrina:


1. Comprime il principio della sovranità nazionale e il principio di ingerenza (principi
fondamentali del diritto internazionale). Lo stano non può intervenire negli affari interni di
un paese terzo.
2. Si ci può prestare facilmente ad abusi. Infatti, l’intervento umanitario può essere
strumentalizzato da uno stato e usato non solo per salvare i cittadini ma per rovesciarne il
governo.
Al momento la dottrina può essere invocata solo tramite autorizzazione del consiglio.
Conclusioni: ad oggi l’impostazione dell’uso della forza nelle relazioni internazionali è rimasta la
stessa: divieto assoluto dell’uso della forza con eccezione della legittima difesa. Le altre eccezione
proposte dagli stati (raids e intervento umanitario) non sono ammessi.
QUAL E’ IL FUTURO DELL’USO DELLA FORZA?
La prassi degli stati è contraria alla formazione* di una norma consuetudinaria che imponga il
divieto dell’uso della forza nelle relazioni internazionali? In realtà, in generale ci sono delle ricerche
di giustificazione per gli interventi militari che rafforzano la portata normativa del divieto. Alcuni
stati negano tale formazione*.
Ad oggi la maggior parte dei conflitti sono interni (guerre civili) e non tra stati. Infatti ci sono rare
violazioni della norma e una maggiore tendenza alla risoluzione pacifica delle controversie e quindi
una riduzione generale dell’uso della forza. Nel caso di conflitti internazionali, gli stati si avvalgono
di giustificazioni per l’uso della forza presenti nella carta delle NU (es Putin con attacco
all’Ucraina) avvalorando quindi la norma stessa. E’ rilevante la reazione degli stati terzi in quanto
vi è una maggiore tendenza di difendere l’esistenza della norma sul divieto dell’uso della forza.

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Queste motivazioni ci spiegano che il divieto dell’uso della forza nelle relazioni internazionali
continua ad esistere.

IL SISTEMA DI SICUREZZA COLLETTIVA DELLE NAZIONI UNITE


Distinguiamo il sistema decentralizzato, cioè un insieme di norme che regolano l’uso della forza.
Decentrato poiché non c’è un’unica entità a cui viene attribuito tale potere (art. 2 par.4 e art.52 della
carta) e il sistema centralizzato, cioè un insieme di disposizioni raggruppate nella Carta delle NU
che attribuiscono il monopolio dell’uso della forza al consiglio di sicurezza delle NU (art. 23).
CONSIGLIO DI SICUREZZA
Composizione: è composto da 15 membri totali nelle Nazioni unite: 5 membri permanente, ovvero i
vincitori della seconda Guerra Mondiale (Russia, USA, Francia, Cina, Regno Unito). Inoltre ogni
due anni, a rotazione, si eleggono gli altri 10 membri, che devono ricoprire le maggiori aree
geografiche a livello mondiale. Ogni stato è rappresentato da una persona. La composizione del
consiglio di sicurezza rispecchia l’assetto politico della II GM.
Germania e Giappone hanno richiesto di inserire altri 5 membri permanenti (quindi non solo i
vincitori della II GM) per rispecchiare il nuovo assetto geopolitico. L’Italia nel 2000 ha richiesto di
introdurre una nuova categoria, quella dei membri semi-permanente, con rotazioni di ogni 5 anni.
Ad oggi la carta non è stata ancora modificata. Una modifica si pensa verrà effettuata dopo l’attacco
russo nei confronti dell’Ucraina, essendo la Russia uno degli stati permanenti.
Art. 27 della carta parla delle modalità di voto del consiglio: ogni membro ha diritto a un solo voto.
Le decisioni del consiglio di sicurezza su questioni di carattere procedurale vengono prese con il
favore di 9 voti di cui non è previsto il diritto di veto dei 5 membri permanenti. Le decisioni su tutte
le altre questioni, questioni di carattere sostanziale si basano sulla maggioranza a favore ma
devono essere presenti i voti dei 5 membri permanenti, aventi in questo caso diritto di veto.
Cioè causa tre problemi:
Doppio veto: che nasce dalla difficoltà del distinguere le questioni procedurali da quelle sostanziali.
Normalmente prima si vota sulla natura della questione (per capire di che tipo è), con i 5 membri
aventi diritto di veto. Es. ai tempi, l’Unione Sovietica opponeva il veto, quindi la questione si
qualificava come sostanziale e di conseguenza si attribuiva nuovamente ai 5 membri permanenti il
diritto di veto.
Astensione di uno dei 5 membri permanenti: la questione è stata postata davanti la Corte nel
1971 quando il Sudafrica invase la Namibia e il Consiglio di sicurezza adottò una delibera che
dichiarava l’illegittimità della presenza sudafricana nel Namibia. Il Sudafrica si oppone a tale
delibera perché era stata adottata con l’astensione di due membri permanenti. La Corte rifiuta tale
opposizione dicendo che l’astensione dei membri permanenti non è considerata come veto ed è
giuridicamente irrilevante. La risoluzione quindi si applica in ogni caso.
Assenza di un membro permanente: l’assenza non impedisce l’applicazione di una delibera.
Dagli anni 50 in poi (periodo della Guerra fredda), l’Unione Sovietica applicò la politica della sedia
vuota, non presentandosi alle riunioni del consiglio per non applicare le disposizioni ma tale
assenza venne considerata irrilevante.

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I POTERI DEL CONSIGLIO DI SICUREZZA
Il consiglio di sicurezza è l’unico organismo mondiale legittimato all’uso della forza.
1. Poteri conciliativi (cap. 6 dell’articolo 24 della Carta), che riguardano il mantenimento
della pace e della sicurezza internazionale (cioè il fine principale del consiglio di sicurezza)
2. Poteri coercitivi (cap. 7 dell’articolo 39 e seguenti) applicati con la paralisi del consiglio di
sicurezza a causa del veto dei 5 membri permanenti. In questi casi, in cui il consiglio non è
capace o non può eseguire i propri poteri con il fine di assicurare pace e sicurezza, i poteri
del consiglio vengono ceduti all’Assemblea generale, secondo la risoluzione 377A(V) del
1950 chiamata Uniting for Peace. Tale risoluzione viene adottata in casi di emergenza:
quando non si raggiunge la maggioranza dei voti dei cinque membri permanenti e non si
possono risolvere questioni legati alla pace o alla sicurezza. Questa risoluzione è stata
adottata solo 10 volte, la 11esima è stata nel febbraio 2022 (invasione Russia a Ucraina),
con la quale il consiglio di sicurezza ha convocato una sessione straordinaria dell’assemblea
generale per discutere di tale questione procedurale. L’assemblea solitamente deve essere
convocata durante le 24h dalla risoluzione.

Cap. 7 POTERI COERCITIVI


Art. 39 stabilisce quando i poteri coercitivi possono essere attivati per mantenere la pace o
ristabilirla. I presupposti che devono ricorrere sono:
a. Minaccia alla pace;
b. Violazione della pace;
c. Atto di aggressione.
Inizialmente la risoluzione del consiglio non faceva alcuna distinzione nell’applicazione di poteri
conciliativi o coercitivi. Ma negli ultimi anni si e ciò è fondamentale per identificare la natura della
risoluzione stessa. In particolare, qualificare un atto di uno stato come atto di aggressione ha due
effetti:
a. Lo stato vittima può agire in legittima difesa contro lo stato aggressore poiché ne ha il
diritto.
b. I responsabili dell’aggressione possono essere puniti personalmente e penalmente poiché
l’atto di aggressione nel diritto internazionale è un atto di leadership, quindi non vengono
puniti i singoli soldati ma i leader. Attivare un atto di aggressione permette di attivare i
poteri del consiglio di sicurezza.
Cosa si intende per minaccia alla pace?
La minaccia alla pace consiste in gravi violazioni del diritto internazionale. Al consiglio di
sicurezza viene attribuito un ambio margine di discrezionalità poiché non c’è una definizione
esplicita di ‘’minaccia alla pace’’ nella carta delle NU. Ciò porta ad una tendenza ad ancorare la
qualifica di una determinata situazione come minaccia alla pace nel caso in cui viola il diritto
internazionale. A tal proposito venne chiesto un parere riguardo il caso del Kosovo. Nel 2008 il
Kosovo si dichiarò indipendente. A tale dichiarazione si oppose la Serbia. L’assemblea generale
chiese alla corte un parere, la quale doveva capire se tale dichiarazione fosse conforme al diritto
internazionale. La Serbia si oppone dichiarando che questa dichiarazione fosse illegittima perché
fatta senza il consenso dello stato territoriale. Inoltre, la Serbia afferma che altre volte il consiglio di
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sicurezza aveva dichiarato illegittime altre dichiarazioni di sicurezza come nel caso del Cipro del
Nord. La Corte però afferma che in quei casi l’illegittimità era giustificata per la sussistenza di
violenza di alcune norme del diritto internazionale di natura cogente es. Cipro-Turchia, violazione
del divieto dell’uso della forza. Il parere consultativo della Corte conferma che la minaccia alla pace
si ha con atti che violano la pace internazionale.
Una crisi sanitaria può essere considerata una minaccia alla pace internazionale?
Fino agli anni 2000 le crisi sanitarie non venivano considerate come minacce alla pace. In
quell’anno però si diffusero l’HIV e l’AIDS soprattutto in Africa.
Nei primi mesi di diffusione del Covid19, il Consiglio non si espresse. Lo fece per la prima volta
nel marzo 2020 quando dichiarò la pandemia globale. Nella prima risoluzione il Consiglio di
sicurezza afferma che per la prima volta la pandemia può danneggiare la pace mondiale, chiede
quindi una cessazione dei conflitti e delle ostilità e una tregua umanitaria. Nella seconda risoluzione
ci è un richiamo della prima e una richiesta di maggiore cooperazione tra stati. Se la pandemia si
considera minaccia alla pace, si possono applicare i poteri coercitivi del consiglio. In questo caso
però, non sappiamo qual è la natura della risoluzione e quindi non sappiamo quali poteri si possono
applicare. Per tanto, il fatto che il concetto di minaccia alla pace sia indefinito provoca questo tipo
di problema. Il rischio è quello di ampliare troppo l’applicazione dei poteri coercitivi. Infatti, vi è
una tendenza nell’allargare il concetto di minaccia alla pace. Nella dichiarazione congiunta, Russia
e Cina si opposero a tale tendenza (manifestazione che esprime la posizione dei due stati). Secondo
loro, i concetti di pace e sicurezza dovrebbero essere scissi dalle valutazioni ideologiche della
violazione dei diritti umani, riducendo quindi l’ipotesi di minaccia alla pace. Invece, gli stati
occidentali tendono a riconoscere come minaccia alla pace, la violazione dei diritti umani.

MISURE ATTIVABILI DAL CONSIGLIO DI SICUREZZA AI SENSI DELL’ARTICOLO 7


Nel caso in cui si verifica una delle tre ipotesi, possono attivarsi le misure:
1. Misure provvisore dell’art. 40
2. Misure non implicanti l’uso della forza art. 41
3. Misure implicanti l’uso della forza art. 42 ss.
ART.40 invita le parti a usare le misure provvisorie per l’evitare l’aggravarsi una situazione. Non vi
è una lista effettiva di tali misure. Un esempio può essere il cessate il fuoco o gli aiuti umanitari. Il
Consiglio di sicurezza prende in debito conto il mancato ottemperamento a tali misure. In realtà,
nonostante quest’ultima note, le misure sono delle raccomandazioni agli stati e quindi non
vincolanti. Per tanto gli stati non sono obbligati a rispettarle poichè non pongono obblighi in capo
agli stati. Quando si applicano le misure dell’art. 40, significa che non si è giunto a una delle tre
situazioni gravi: minaccia alla pace, violazione della pace e aggressione.
ART.41 comprende le misure non implicanti l’uso della forza armata. Il consiglio di sicurezza può
decidere quali misure possono essere adottate per dare effetto alle proprie decisioni. Un esempio è
l’interruzione parziale o totale delle relazioni economiche o delle comunicazioni ferroviarie,
marittime, aeree, postali, telegrafiche, radio ed altre e la rottura delle relazioni diplomatiche. La lista
però non è esaustiva, infatti può comprendere altre misure non esplicitate come l’embargo
economico. Nel corso della storia sono state adottate svariate misure non esplicitate nell’articolo.
Es. smart santions (misure individuali) ovvero risoluzioni aventi lo scopo di colpire non uno stato

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ma un individuo e gruppi di individui, Vengono introdotte le black lists, in cui ci sono nomi di
individui o gruppi che sono considerati una minaccia per la sicurezza e la pace internazionale,
quindi vengono adottate delle misure contro tali soggetti.
L’art. 41, insieme al 42, vengono attivati in caso di minaccia alla pace o atto di aggressione. Queste,
rispetto all’articolo 40, sono misure vincolanti che impongono l’obbligo agli stati ad adempiere.
Un esempio delle misure dell’art. 41 sono le sanzioni adottate nei confronti dell’Iran dal consiglio
di sicurezza negli anni 2000. Il consiglio voleva dissuadere l’Iran dalla progettazione del
programma militare, chiedendo di trasferire la tecnologia in ambito civile ma non venne ascoltato.
In consiglio allora introdusse le sanzioni. Nel 2015 venne firmato un accordo tra Iran e i membri
permanenti del consiglio, insieme a Germania e Unione Europea sul controllo della progettazione
dei reattori nucleari in Iran. Concedendoli, Iran ottenne la cessazione delle sanzioni.
Dagli anni 90 sono state adottate dal consiglio tre risoluzioni che si discostano dalla lista dell’art.
41 e che hanno causato problemi di legittimità:
1. Istituzione di una commissione per riparare i danni di guerra a seguito dell’occupazione del
Kuwait da parte dell’Iraq. Venne stilata la lista dei danni (che comprendevano anche quelli
causati a privati) nel Kuwait. Venne instaurato un meccanismo giurisdizionale simile al
tribunale per valutare i danni subiti e per essere risarciti dallo stato iracheno.
2. Tribunale internazionale ad hoc per l’ex Jugoslavia. Istituito con la risoluzione 1827 del
1993. Per la prima volta il consiglio di sicurezza istituisce un organo pienamente
giurisdizionale per perseguire i criminali. E’ un tribunale circoscritto geograficamente o
temporaneamente.
3. Tribunale internazionale ad hoc per il Ruanda, istituito con la risoluzione 924 del 1994.
Anche in questo caso viene istituito un organo giurisdizionale per giudicare i crimini
commessi in Ruanda durante il conflitto interno. (Il gruppo etnico Hutu voleva distruggere
la minoranza etnica dei Tutsi, crimine di genocidio).
Sono tre risoluzioni che vanno oltre le finalità del consiglio di sicurezza (ovvero garantire e
proteggere la pace e la sicurezza). L’intento è quello di far valere le conseguenze giuridiche a
seguito dei crimini di guerra internazionali (nei confronti di singoli individui nel caso delle
risoluzioni 2 e 3).
L’art. 41 può essere considerato come il fondamento giuridico di queste misure adottate?
Tale questione viene risolta dinnanzi al tribunale penale internazionale per l’ex Jugoslavia. Durante
il conflitto, etnia bosniaca musulmana fu una delle più colpite tra le etnie, costrette ai campi di
concentramento in Bosnia. La difesa del gerarca che organizzò tali crimini fu quella di non
riconoscere l’autorità del tribunale che era stato istituito sulla base di una risoluzione che non
trovava fondamento giuridico nella carta delle NU. Il tribunale penale internazionale risponde
dichiarando di essere competente nel valutare le proprie azioni. Inoltre, la risoluzione non chiarisce
quale sia il fondamento giuridico. Per il tribunale penale il fondamento è l’art. 41 e poiché non c’è
una lista esaustiva nell’articola, la creazione di tale tribunale può essere inserita nella lista stessa
(interpretazione ampiamente estesa della carta delle NU da parte del consiglio di sicurezza).
Si tratta quindi di adottare delle misure che si basano sulle conseguenze penali nei confronti di
individui che hanno causato crimini internazionali. Se il consiglio ha adottato tali misure, significa
che c’è stato il consenso della maggioranza degli stati membri e che quindi è estata approvata e
giustificata l’attribuzione al consiglio del potere di istituire tale tribunale.
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ART.42 ss (43-47). Si basa su uno dei tre pilastri ovvero il monopolio dell’uso della forza del
consiglio di sicurezza. Solo il consiglio di sicurezza può usare la forza. Inoltre, uno stato può usare
la forza solo fin quando non interviene il consiglio di sicurezza. Il terzo pilastro è considerato uno
delle principali novità del passaggio dal vecchio al nuovo ordine mondiale.
IL CONSIGLIO PUO’ USARE LA FORZA IN DUE IPOTESI:
a. Il consiglio ha già adottato le misure dell’art. 41 che però sono risultate inefficiente, applica
quindi le misure dell’art. 42;
b. Il consiglio ritiene totalmente grave la situazione da applicare direttamente le misure
dell’art. 42
ART.43 Prevedeva che tutti i membri delle Nazioni Unite si impegnavano nel mettere a
disposizione le proprie forze armate, l’assistenza e le facilitazioni necessarie per il mantenimento
della pace e della sicurezza. Ciò venne definito concretamente attraverso degli accordi tra stati e il
consiglio. Lo stato doveva perennemente metterle a disposizione per il consiglio.
Art.47 Tutto ciò che veniva messo a disposizione dagli stati veniva gestito da un comitato di stato
maggiore che venne istituito allora e che decideva come e quando impiegare le forze. Aveva quindi
il compito di dirigerle. Era costituito dai capi di stato dei 5 membri permanenti del consiglio di
sicurezza.
L’art. 43 e 47 mostrano l’idea originaria creata con la nascita della carta delle NU. Ciò però rimase
lettera morta, non venne applicato poiché troppo difficile da realizzare. Il consiglio di sicurezza ha
usato le forze a disposizione in questi anni ma attraverso altre forme e non basandosi sul disegno
iniziale descritto nella carta.
DUE FORME DI APPLICAZIONE DELLA FORZA DA PARTE DEL CONSIGLIO:
1. Operazioni di peace-keeping, condigenti, svolte attraverso i caschi blu
2. Autorizzazioni all’uso della forza.
Nessuna delle due forme è presente nella carta ma sono state sviluppate nella prassi dagli stati.
OPERAZIONI DI PEACE-KEEPING
La prima operazione è stata svolta dalla UNEF nel 1956 e attivata con una risoluzione da parte
dell’Assemblea Generale delle NU e non dal Consiglio. Operazione volta a ripristinare la pace nella
zona palestinese in Israele per evitare il protrarsi del conflitto. Il consiglio di sicurezza era stato
bloccato dal veto e quindi delega il potere all’assemblea generale che attiva questa operazione.
Prima e unica risoluzione attivata dall’assemblea.
La seconda operazione di peace-keeping attivata in Congo dall’ONUC per la crisi congolese a
seguito della decolonizzazione dello stato.

CARATTERI DELLE OPERZIONI DI PEACE-KEEPING


Nell’impostazione originaria si prevedevano dei contingenti militari degli stati membri che vengono
attivati tramite specifici accordi chiamati Stand-by arrangments tra stato e consiglio di sicurezza. E’
una linea di comando centralizzata: il consiglio delega l’operazione al segretario generale che
sceglie un comandante delle truppe che dirigerà i contingenti (questo è stato uno dei caratteri
descritti nella carta che si è applicato), E’ una messa a disposizione temporanea con riferimento a
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specifiche situazioni. L’uso della forza deve essere usato in legittima difesa o per protezione del
proprio mandato. E’ necessario il consenso dello stato per ricevere le truppe nel proprio territorio.
Nella prassi ci sono delle operazioni che si sono discostate da tale modello:
a. Forze di peace-enforcement
b. Azioni di post-conflict peace building (intervento successivo al conflitto volto a mantenere
la pace in termini molto estesi, cioè per istituire un nuovo regime.)
Queste due operazioni si discostano perché conferiscono al contingente maggiori poteri. In questi
due casi non serve il consenso dello stato, l’uso della forza non è limitato alla legittima difesa o alla
protezione del mandato.
Qual è il fondamento giuridico di queste operazioni?
Nella prassi vi è il consenso degli stati a tali poteri di istituire queste operazioni, quindi viene
considerato legittimo. Possiamo trovare il fondamento nell’art. 41 della carta nonostante questo non
parli specificatamente di tali operazioni.

AUTORIZZAZIONI DELL’USO DELLA FORZA


La differenza tra le autorizzazioni e le operazioni di peace-keeping è il grado di coinvolgimento del
consiglio di sicurezza. Nelle autorizzazioni c’è un minore coinvolgimento del consiglio e gli stati
agiscono militarmente in maniera diretta. E’ il consiglio che autorizza gli stati ad agire ma non
seguono gli ordini di un delegato del consiglio (come nel caso delle op. peace-keeping).
L’autorizzazione non è limitata nel tempo e da agli stati maggiori poteri essendo la risoluzione
molto più generica ed estesa. Ciò però crea dei problemi giuridici.
Il primo caso di autorizzazione dell’uso della forza risale al 1950, conflitto in Korea che all’epoca
era colonia del Giappone e che in seguito ottiene l’indipendenza. Dopo l’indipendenza, un gruppo
filomarxista voleva il potere, vennero così creati due stati divisi (Korea del nord, che discendeva dal
gruppo filomarxista e Korea del Sud, che discendeva dal filoccidentale). L’obiettivo era quello di
evitare qualsiasi aggravamento della controversia. Si poté applicare l risoluzione perchè l’Unione
sovietica aveva applicato la politica della sedia vuota.
Il secondo caso avvenne negli anni 90, dopo l’invasione dell’Iraq nel Kuwait. Il consiglio autorizza
l’uso di qualsiasi mezzo necessario per ottenere la pace.
RISOLUZIONE DEL 2011. CRISI LIBICA
Con la risoluzione del 2011 si cercò di limitare il potere di intervento da parte degli stati poiché
spesso l’autorizzazione veniva strumentalizzata. Per esempio, il Libia, all’epoca di Gheddafi. Le
forze occidentali volevano salvare i cittadini civili che avevano subito violenze durante le
soppressioni dei ribelli contro il governo di Gheddafi. Questa era la ragione espressa, ma in realtà
l’obiettivo degli stati occidentali era quello di rovesciare il governo di Gheddafi. L’intervento
limitare andò al di là dell’autorizzazione. Tale abuso di potere incise sugli interventi del consiglio di
sicurezza. Infatti il consiglio decise di non intervenire in alcuni controversie successive, es in Siria
durante la crisi siriana.
PROGETTO DI ARTICOLI SULLA RESPONSABILITA’ DELLO STATO DELLA
COMMISSIONE DEL DIRITTO INTERNAZIONALE

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Con responsabilità si intende un insieme di norme giuridiche che sorgono nel momento in cui uno
stato non rispetta le norme del diritto internazionale. Nel diritto internazionale (che è un
ordinamento orizzontale, in cui vige l’uguaglianza tra stati), ci sono pochi strumenti che
garantiscono l’attuazione del diritto internazionale. Gli stati stessi sono gli attori principali. Solo
dopo il secondo dopoguerra, vengono inseriti alcuni strumenti. Nella maggior parte dei casi, gli stati
decidono di conformarsi al diritto internazionale per questioni di interesse reciproco.
Sono previste delle regole di DI consuetudinario che stabiliscono le conseguenze giuridiche nel
caso di violazione di obblighi internazionali. Negli anni c’è stata una tendenza alla loro
decodificazione, cioè un loro inserimento in documenti scritti. L’organo che si occupa della codifica
delle norme consuetudinarie è l’Assemblea Generale aiutata dalla commissione di diritto
internazionale.
Il progetto di articoli non è una convenzione, cioè un testo giuridicamente vincolante perché i testi
della commissione sono delle proposte e non degli obblighi. E’ stato incorporato in una delle
raccomandazioni delle NU nel 2001. C’erano tre alternative:
I lavori della commissione venivano presentati all’assemblea che decideva se renderli convenzione
aperta alla ratifica degli stati (in questo caso però c’era il rischio che gli stati non ratificassero il
testo).
Un’altra possibilità era che l’assemblea organizzava una conferenza internazionale per far si che il
resto venisse emendato agli stati, cioè permetteva agli stati di modificare il testo per poter arrivare a
un compromesso (in questo caso c’era il rischio che il testo finale fosse troppo diverso da quello
originale).
L’ultima possibilità, e quella più accettata, era quella di mantenere il testo, senza renderlo
convenzione ma adottarlo come progetto di articoli nella risoluzione. L’assemblea generale invitava
quindi gli stati a prendere atto ti tale testo per far si che poi diventasse una convenzione.
Tale testo però non è mai diventato convenzione ma viene considerato come punto di riferimento
della disciplina sulla responsabilità dello stato. E’ un testo autorevole anche se non è una
convenzione perché la Corte internazionale di giustizia adotta alcune norme come norme che
potrebbero diventare pattizie se inserite in una convenzione. Ad oggi tali norme impongono degli
obblighi agli stati (anche se non fanno parte di una convenzione). Di per se il testo non è vincolante
per le parti ma molte delle norme all’interno sono di natura consuetudinaria e quindi a prescindere
impongono obblighi.
Dagli anni 50 al 2001 la commissione ha lavorato sul testo e c’è sempre stato un relatore speciale
ovvero un soggetto che redige una relazione finale, spiegando come procedono i lavori del testo.
Dagli anni 50 si sono susseguiti 4 relatori, tra cui Roberto Ago che introdusse la novità di
distinguere tra regole primarie e regole secondarie.
Le primarie stabiliscono obblighi di condotta sulle parti es. il divieto dell’uso della forza;
Le secondarie ci dicono cosa succede in caso di violazione di una regola primaria. Sono quindi
regole sulla responsabilità che si applicano in ogni caso in cui vengano violate le regole primarie.
La loro autorevolezza discende dal fatto che la corte ha specifica che alcune delle norme presenti
sono di natura consuetudinaria.
Il testo di Ago si basa soprattutto sulle regole secondarie e introduce delle norme generali sulla
responsabilità ma ciò non preclude che ci siano regole speciali.
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STRUTTURA. E’ suddiviso in tre parti:
I PARTE-L’ATTO INTERNAZIONALE ILLECITO DI UNO STATO. Capiamo in che misura
uno stato è responsabile quindi le condizioni che fanno discendere la responsabilità internazionale
di uno stato.
a. Ogni illecito comporta la responsabilità internazionale
b. Gli elementi sulla base dei quali possiamo considerare uno stato responsabile di un illecito
internazionale sono l’elemento soggettivo, l’elemento oggettivo e l’insussistenza di una
delle cause di esclusione
Elemento soggettivo: quando un illecito può essere attribuito a uno stato. Considerando che lo stato
è un’entità astratta, abbiamo due ipotesi secondo cui la colpa viene attribuita allo stato in caso di
illecito:
a. Tutte le condotte commesse in un determinato territorio
b. Tutte le condotte commesse dagli organi di uno stato nell’esercizio delle loro funzioni (Se
un organo dello stato commette un illecito, nell’esercizio delle proprie funzioni, allora la
responsabilità è dello stato).
Es. USA-IRAN, 1978 e gli ostaggi americani nel Teheran dopo le controversie in Iran che
rovesciarono il regime, instaurandone uno nuovo. Lo scià si rifugia negli USA. Il nuovo regime
chiede la estradizione dello scià agli USA ma Usa si rifiuta. Quindi vengono organizzate delle
manifestazioni in Iran anti-statunitensi e un gruppo di studenti islamici durante le manifestazioni
entra nell’ambasciata americana di Teheran, tenendo in ostaggio alcuni diplomatici. Gli USA
provano a liberare gli ostaggi ma gli aerei di salvataggio si schiantano. Il caso viene sottoposto alla
corte di giustizia che distingue due fasi:
1 fase: ricostruzione dell’atto di protesta dei cittadini. La corte afferma che l’atto è organizzato da
privati però la responsabilità è dell’Iran poiché discende dall’omissione dell’attuazione di
protezione e di tutela personale dei diplomatici nel proprio territorio.
2 fase: la corte afferma che è vero che i soggetti erano privati cittadini e che quindi non si potrebbe
dare la colpa allo stato, ma la si può dare se si prendono in considerazione i fatti che susseguono la
presa in ostaggio. Infatti l’Iran ha iniziato ad appoggiare tale presa in ostaggio per far pressione
sugli americani, supportando quindi gli atti dei manifestanti. Lo stato dell’Iran è stato quindi
ritenuto responsabile degli atti esercitati dai privati. In questo modo viene collegata la responsabilità
dell’individuo alla responsabilità dello stato.
Elemento oggettivo: quando costituisce una violazione di un obbligo internazionale di uno stato. Si
tratta di una condotta contraria al diritto internazionale, una violazione di un obbligo di una norma
in vigore al momento in cui lo stato ha commesso la violazione. Con riferimento al diritto
internazionale ciò non è sempre di facile comprensione perché non esistono solo norme di origine
pattizia ma anche normi di origine consuetudinaria e quindi non scritte. Un esempio è il divieto di
genocidio. Adesso c’è una norma scritta che lo vieta, ma non esisteva quando la Germania commise
genocidio nell’attuale Namibia (1904-1908). Infatti, all’epoca l’atto non era qualificabile come
genocidio.
Insussistenza di una delle cause di esclusione: Quando non sussiste una delle circostanze di
esclusione dell’illecito, la condotta non è più considerata antigiuridica. Es la legittima difesa. Lo

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stato usa la forza, che in generale è illecita, però lo fa per legittima difesa e quindi l’atto non è
antigiuridico. Se lo stato non usa la forza secondo legittima difesa, allora è responsabile.

II PARTE- CONTENUTO DELLA RESPONSABILITA’ DI UNO STATO


Spiega quali sono i rapporti giuridici discendenti dalla violazione. Da un lato vi sono gli obblighi
sullo stato responsabile ovvero la cessazione dell’illecito e l’obbligo di riparazione. Da l’altro lato
vi sono i diritti dello stato leso che può adottare una contromisura reagendo in risposta alla
violazione subita.
III PARTE-ATTUAZIONE DELLA RESPONSABILITA’ DI UNO STATO
Lo stato leso può essere uno o più di uno e può chiedere la riparazione. Nel caso degli accordi
multilaterali, tutti gli stati firmanti sono parte lesa e quindi possono chiedere la riparazione.
Nel caso di violazioni di norme per la protezione di beni giuridici per la comunità internazionale,
anche altri stati possono chiedere la riparazione e considerarsi stati lesi, non solo lo stato
effettivamente leso. Es. genocidio. Chiedendo inoltre la responsabilità dello stato illecito.
Art.4
Par.1 Ci dice cos’è un organo dello stato. Un organo dello stato è un’entità che esercita funzioni
legislative, esecutive o giudiziarie. La condotta di un organo è di solito attribuita allo stato,
indipendentemente da quale organo sia.
Par. 2 Un organo comprende anche persone o enti che di fatto (e non solo coloro che sono organi
secondo il diritto interno) sono in un qualche modo organo perché lo stato ne ha avallato le
condotte, le ha supportato come proprie.
Art. 5 Anche un organo che è abilitato del diritto di stato ad esercitare delle prerogative. La loro
condotta è da attribuire allo stato.
Art. 7 cosa succede se un organo dello stato compie atti illeciti, eccedendo ai poteri che gli sono
stati concessi o opponendosi alle istruzioni dategli nell’esercizio delle funzioni.
Art. 8 ipotesi di soggetti privati (persone o enti che non sono lo stato) il cui comportamento è
controllato o meno da uno stato (es. se un diplomatico italiano, nell’esercizio delle sue funzioni,
controlla la valigetta di un diplomatico francese per controllare qualcosa, la condotta è attribuita
allo stato italiano. Se invece il diplomatico svolge tale condotta in borghese, fuori dagli orari di
lavoro, la condotta è attribuita al singolo cittadino). Il comportamento è responsabilità di uno stato
se i soggetti agiscono di fatto sotto istruzione o direzione dello stato. E’ però difficile capire se un
soggetto agisce per controllo di uno stato. Si sono susseguite tre sentenze (le prime due della corte
di giustizia):
1. Nicaragua vs USA. USA supporto logistico di armi dei ribelli filomarxisti in USA che
hanno posto in essere violazioni di obblighi del diritto internazionale, i CONTRAS. Le loro
condotte non possono essere riconducibili a USA che li stavano supportando perché USA
non stata effettivamente controllando le loro azioni.
2. Sentenza del 1999 del tribunale internazionale per l’ex Jugoslavia. Tadic davanti la corte
perché dirigeva dei campi di concentramento per jugoslavi musulmani. La corte valuta tale

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condotta in relazione allo stato serbo anche se non si trattava di milizie dello stato ma di
soggetti privati che agivano sotto il controllo dello stato serbo.
3. Sentenza del 2007, Bosnia Erzegovina vs Serbia. La corte deve valutare se le autorità della
repubblica SERPSKA (che controllavano parte del territorio bosniaco, cioè il confine del
territorio tra Bosnia e Erzegovina, occupato da bosniaci di origine serba, ortodossi) fosse
controllato di fatto dallo stato della Serbia. La corte internazionale di giustizia ha detto che è
necessario dimostrare che ci sia un controllo effettivo. Di conseguenza non è stato applicato
l’articolo 8 nonostante fossero presentate delle prove relative alle circostanze.
Art. 10 comportamento di movimenti insurrezionali. Due ipotesi da considerare.
1. Il movimento insurrezionale applica una condotta in violazione delle norme, rovesciando
il regime e diventando esso stesso il nuovo stato. In questo caso la condotta si attribuisce
al nuovo stato formato.
2. Il movimento non rovescia il regime ma si giunge a una secessione dello stato. In questo
caso la condotta si attribuisce al nuovo stato nato post-secessione.
(Nel caso in cui non si verifichi nessuna delle due ipotesi, il movimento torna ad essere meri
individui, quindi punibile singolarmente).
Art. 11 comportamento assunto dallo stato come proprio. Es IRA-USA. Iran supporta le condotte
degli studenti a Teheran
Art. 14 estensione nel tempo dell’atto. Due ipotesi:
1. Illecito duraturo nel tempo; l’atto illecito si produce per tutto il periodo durante il quale
l’atto perdura es. sequestro. Si applica l’obbligo di cessazione dell’illecito.
2. Illecito istantaneo; si produce nel momento stesso in cui è compiuto l’atto anche se i suoi
effetti perdurano es. omicidio.
CAPITOLO IV ART. 16/17/18 Ipotesi di responsabilità indiretta dello stato che risulta comunque
responsabile anche se non ha effettuato l’atto. Le ipotesi:
Art. 16 Lo stato aiuta/assiste un altro stato nella realizzazione di un atto illecito/illegittimo. Lo stato
ne è consapevole. Es. Bielorussia e Russia nell’attacco all’Ucraina. La Bielorussia sapeva che la
Russia avrebbe attaccato UCR ma l’ha comunque assistita, facendola passare per il suo territorio.
Art. 17 Lo stato da direttive ad un altro stato per commettere un illecito.
Art. 18 Lo stato è stato costretto da un altro stato a commettere un atto illecito (coercizione).

LA RISOLUZIONE PACIFICA DELLE CONTROVERSIE INTERNAZIONALI


Gli stati come possono risolvere le controversie se c’è il divieto dell’uso della forza? Secondo
l’art.2 par. 3 carta delle Nazioni Unite i membri delle NU devono risolvere le controversie con
mezzi pacifici (non includenti l’uso della forza). Non vengono indicati però quali sono, lasciando
quindi libertà di scelta. Nell’art. 33 par.1 troviamo una sorta di lista di mezzi pacifici. L’organo che
ha poteri incisivi per il mantenimento della pace tra stati è il consiglio di sicurezza. Prima di
coinvolgere il consiglio, gli stati devono cercare di risolvere le loro controversie tra di loro.
Secondo gli studi, sono state distinte due categorie di mezzi pacifici:

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1. MEZZI DIPLOMATICI, negoziati, buoni uffici e mediazione, inchiesta e conciliazione.
L’accordo è risolutivo della controversia. Le parti risolvono la questione tramite l’accordo
in maniere autonoma. Gli accordi proposti dagli stati terzi non sono vincolanti.
2. MEZZI ARBITRALI O GIURISDIZIONALI, arbitrato, tribunali e corti internazionali e
ricorso. L’accordo è preventivo, le parti si accordano nell’attribuire la giurisdizione della
controversia a un ente terzo, che sarebbero i tribunali o le corti internazionali. Gli stati
quindi sono vincolati alle decisioni che non possono prendere autonomamente ma secondo
direzione delle corti e dei tribunali.
Entrambe le categorie di mezzi si possono attivare solo previo consenso degli stati. Ciò discende dal
principio di uguaglianza degli stati. Alla base vi è quindi un accordo tra le parti.
Negoziati: mezzo diplomatico che non prevede l’intervento di soggetti terzi. In alcuni trattati è
sancito un obbligo di previo tentativo di risoluzione delle controversie attraverso i negoziati.
Quando gli stati adempiono? Gli stati devono aver tentato un negoziato in buona fede prima di
tentare con gli altri mezzi di risoluzione pacifica. Secondo la buona fede, gli stati non devono
fingere di voler trattare ma devono essere disponibili al compromesso e devono avanzare delle
proposte ragionevoli.
Buoni uffici e mediazione: mezzo diplomatico che prevede l’intervento di uno soggetto terzo. Nei
buoni uffici il soggetto terzi si limita a mettere in contatto le parti; nella mediazione il soggetto
terzo formula delle proposte di accordo a cui le parti non sono vincolate e quindi possono scegliere
se decidere o meno. Il soggetto terzo è in ogni caso autorevole.
Inchiesta: mezzo diplomatico attraverso cui si mira a fare chiarezza sui fatti oggettivi della
controversia. Il consiglio può istituire una commessione di inchiesta che indaga i fatti e al termine
produce un rapporto sui fatti indagati. Non accerta la responsabilità degli stati, quindi non valuta
giuridicamente. Infatti il rapporto non è vincolante ma può essere base di un accordo tra le parti.
Conciliazione: il soggetto terzo, ovvero la commissione, opera per risolvere le controversie e valuta
se i fatti costituiscono una violazione degli obblighi di norme internazionali. Non si limita quindi ad
accertare i fatti (come nel caso dell’inchiesta) ma emette un accordo, dopo aver stilato il rapporto,
per la risoluzione della controversia. Anche in questo caso l’accordo non è vincolante ma è mera
raccomandazione.

Arbitrato: mezzo arbitrale. Nel momento in cui sorge una controversia, le parti decidono di
delegare la risoluzione al collegio arbitrale. Vengono scelti dalla lista gli arbitri che andranno a
formare il collegio arbitrale della corte permanente di arbitrato all’Aja. Viene scelto anche il
modello procedurale da seguire. Il collegio non è fisso, come nel caso dei tribunali e delle corti
internazionali ma ad hoc; infatti dopo aver deciso la sorte della controversia, si scioglie. Anche il
modello procedurale è ad hoc e scelto in base alla controversia.
Tribunali e corti internazionali: mezzo arbitrale. Il modello procedurale e il collegio sono fissi e
scelti dalla corte permanente di giustizia internazionale.

Dalla Società delle Nazioni (è stata la prima organizzazione intergovernativa avente come scopo quello di
accrescere il benessere e la qualità della vita degli esseri umani) nasce l’ONU.
Società delle Nazioni: 1919-1946

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ONU: 1945
Corte permanente di giustizia internazionale: 1922-1940 creata dalla Società delle Nazioni.
CORTE INTERNAZIONALE DI GIUSTIZIA esiste dal 1946 e ha sede all’Aja. E’ uno degli organi
principali delle Nazioni unite. E’ la più alta istanza giudiziaria dell’ONU. Le lingue principali sono inglese e
francese. Dalla Corte permanente di giustizia internazionale ha ereditato lo statuto, la giurisprudenza e le sue
tradizioni. Lo statuto definisce le funzioni della corte. Storicamente nasce per stabilire i confini delle zone
marittime e interpretare i trattati. Un altro scopo è la protezione diplomatica, ovvero un insieme di norme che
si attivano nel momento in cui uno stato vuole proteggere i propri cittadini all’estero, soggetti a violenze.
LE FUNZIONI DELLA CORTE
La Corte svolge due funzioni:
1. Redimere le controversie tra stati.
2. Rispondere a quesiti richiesti dall’assemblea generale, dal consiglio di sicurezza e da altri organi
delle NU. I pareri consultativi della corte non sono vincolanti. Gli stati e le organizzazioni
internazionali possono decidere se prenderli in considerazione o meno. La presa in considerazione
sviluppa il diritto internazionale. La corte coagula l’ONU nei suoi obiettivi principali di
mantenimento e rafforzamento della pace mondiale.
Dalle funzioni della corte discendono:
1. Le sentenze (80% del lavoro svolto dalla Corte), che sono dei procedimenti contenziosi e che
permettono di redimere le controversie sulla base del diritto internazionale. Le sentenze finali si
ottengono con la maggioranza e sono definitive e inappellabili. Hanno quindi valore vincolante tra le
parti in controversia e non ultra partes. Alcune sentenze però vanno oltre il caso specifico e le parti
in controversia perché la corte interpreta il diritto internazionale vigente.
2. Pareri (20%) su questioni di diritto internazionale. Sono procedimenti consultivi e, a differenza delle
sentenze, non sono vincolanti. Tuttavia anche i pareri della corte hanno una certa autorevolezza.

La corte ha natura giudiziaria, da ciò derivano due conseguenze:


1. Maggiore autonomia, infatti non risponde al segretariato generale delle NU.
2. Competenza nel risolvere questioni giuridiche anche se un altro organo sta
contemporaneamente lavorando alla stessa controversia in altri termini.
COMPOSIZIONE DELLA CORTE DI GIUSTIZIA
La composizione è fissa, formata da 15 giudici eletti dall’Assemblea Generale e dal Consiglio di
Sicurezza con un mandato di 9 anni. Hanno tutti diversa cittadinanza e rappresentano i principali
sistemi giuridici del mondo. I giudici non rappresentano il proprio stato ma il loro lavoro è
indipendente, siedono a titolo personale. Il loro stato di provenienza deve solo riconoscere la loro
competenza. La scelta dei giudici si basa su una suddivisione geografica: i giudici devono coprire le
maggiori aree del mondo: Asia (3), America latina e Caraibi (2), Europa Occidentale (5), Europa
Orientale (2); Africa (3). Se non in una controversia non vi sono giudici che rappresentano i paesi in
controversia, possono essere nominati ad hoc e quindi presenti solo per la risoluzione di quel
determinato conflitto. Ogni 3 anni viene nominato il presidente della Corte.
LA COMPETENZA DELLA CORTE
La corte ha competenza generale e universale, quindi può trattare tutte le questioni di diritto internazionale e
rivendicare la giurisdizione indipendentemente dalla nazionalità dell’imputato.

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La sua competenza è fondata sul consenso delle parti che devono decidere se delegare o meno la
risoluzione della controversia alla Corte. Solo se ciò accade, la Corte può intervenire nella
controversia. Es. RUSSIA-UCRAINA. La controversia tra i due paesi è stata posta davanti la corte.
Il consenso è stato dato perché l’oggetto del ricorso, ovvero il genocidio, si trova all’interno della
convenzione è quindi ciò da il consenso alla corte in maniera diretta.
L’Ucraina ha anche richiesto alla corte delle misure cautelari per evitare l’aggravarsi della
situazione che però la Russia non ha rispettato.
Nel DI gli stati sono gli attori principali; non vi sono delle autorità sovranazionali. Per questo
motivo, alcune volte, si pone il problema dell’esecuzione delle sentenze. Viene specificato un
meccanismo nell’art.94 della carta: se le parti non si conformano alla sentenza, in casi rari, il
Consiglio di Sicurezza può prendere delle misure per permettere l’esecuzione della sentenza stessa.

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