La corte cost ha iniziato ad operare sono nel 1956, fino ad allora il controllo di legittimità costituzionale è stato operato dai giudici ordinari, che non sapevano cosa fosse un controllo di legittimità, ma al tempo stesso si erano formati in un contesto giuridico, sociale diverso. Elaborarono la differenza tra norme precettive e programmatiche fino a quando la Corte cost respinge questa distinzione e dice che tutte le disposizioni della cost sono precettive. È uno dei passaggi fondamentali per l’attuazione della cost nel nostro ordinamento per la garanzia dei diritti fondamentali contenuti ed espressi dalla cost stessa Un altro passaggio fondamentale nella concretizzazione di quei diritti è il periodo che va tra gli anni 60 e 70, per due ragioni: l’approvazione di alcune leggi che concretizzano le disposizioni costituzionali sui diritti, ad es. l’istituzione del servizio sanitario nazionale, la riforma del diritto di famiglia, lo statuto dei lavoratori. Sono tutti interventi normativi organici che attuano parti della cost e concretizzano i diritti contenuti in costituzione. Nello stesso periodo c’è un altro elemento che incide sulla concretizzazione dei diritti costituzionali, ed è il giudizio di legittimità costituzionale perché in quegli anni, a differenza di quello che era accaduto prima, con una generazione di giudici diversa formatasi nella vigenza della Costituzione, iniziarono ad arrivare questioni di legittimità costituzionale in tema di tutela del lavoro, famiglia, di diritti sindacali, perciò la corte costituzionale è messa nelle condizioni di valutare in maniera profonda la rispondenza delle leggi alle previsioni costituzionali e ai diritti riconosciuti in Costituzione. Entrambi questi fenomeni vertono sulla tutela dei diritti costituzionali, ma hanno una differenza importante, perché un conto è l’intervento del legislatore organico, di attuazione della costituzione, altro conto è l’intervento negativo (perché la corte censura le disposizioni ma non crea diritto), ma soprattutto la corte interviene in maniera episodica, caso per caso, anche se le sue sentenze di accoglimento possono avere efficacia erga omnes. Questo è rilevante almeno per due aspetti. Da un lato perché la questione della limitatezza, dell’intervento circoscritto, episodico sulla tutela dei diritti, riguarda un po’ il contesto della tutela dei diritti che abbiamo oggi di fronte. Rimettere la tutela dei diritti dinanzi al giudice costituzionale, alla CEDU, alla Corte di Giustizia dell’UE significa avere una tutela caso per caso e anche con conseguenze più o meno circoscritte a seconda dell’organo coinvolto. Mentre l’intervento organico del legislatore è un altro, tiene conto del contesto in cui s’inserisce l’attuazione del diritto, ma è anche l’unico modo per avere un’attuazione che non è episodica, ma tiene conto anche del contesto in cui s’inserisce, ad esempio l’eutanasia. La tutela dei diritti è anche diversa dal tipo di magistratura che interviene. Ci troviamo in un contesto in cui la tutela dei diritti diventa episodica, caso per caso. Mentre l’attuazione che abbiamo avuto anche negli anni 60-70 organica da parte del legislatore è più efficace, è più stabile, è più coerente nell’ordinamento, certo dipende dal legislatore. La tutela dei diritti dipende anche da come funzione il sistema di potere. Per certi versi, negli ultimi anni la tutela giurisdizionale dei diritti anticipa la tutela legislativa dei diritti, quando arriva quella legislativa. Es. le unioni civili, come disciplina legislativa arriva quando ormai le corti nazioni, sovranazionali, e internazionali avevano ampiamente anticipato che rientrasse nei diritti delle persone (ad es. art 2 ) diritti non solo come singolo, anche come collettività sociale, come la coppia. Questo accade sulla scorta del dialogo tra le corti, di questa influenza reciproca tra magistrature diverse, di ordinamenti diversi, ma in qualche modo coordinati, che si influenzano a vicenda. Negli ultimi decenni l’attenzione si è fortemente focalizzata sui nuovi diritti, dando per acquisito che le libertà classiche/diritti di prima generazione e di seconda fossero ormai acquisiti, però poi ci fu il corona virus e i diritti che subiscono delle restrizioni pesanti sono le libertà classiche soprattutto con strumenti normativi come i D.p.c.m. Non bisogna partire dal presupposto che una volta riconosciuto quel diritto, questo sia garantito per sempre. Quei diritti vanno tutelati e protetti costantemente TUTELA INTERNAZIONALE DEI DIRITTI PAG 72 Come nasce? Cioè il dato fattuale e normativo è lo stesso che ha inciso sulle costituzioni sociali come quella italiana, cioè la seconda guerra mondiale. Dopo la seconda guerra mondiale e in conseguenza della seconda guerra mondiale si sviluppa l’idea di una protezione internazionale dei diritti, di una protezione globale dei diritti, di qui L’Onu (1945) e la dichiarazione universale dei diritti dell’uomo (1948). L’idea era duplice: un’organizzazione mondiale che garantisse la Pace e una Carta dei diritti legata a quell’organizzazione mondiale che riconosca gli stessi diritti a tutte le persone in tutto il mondo. Un documento che fa riferimento alle libertà classiche, ad alcuni diritti sociali e anche ad alcuni doveri, paragonabile alle costituzioni del dopoguerra. Non è un documento normativo, non è uno strumento giuridico vincolante, è uno strumento che ha una forte influenza simbolica, ma non ha una forza giuridica capace di farlo rispettare in tutto il mondo. La Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo è più rilevante perché ha dato vita all’approvazione di alcuni Trattati internazionali sui diritti che hanno invece un valore giuridico per gli Stati che li sottoscrivono. Uno dei più importanti è il Patto internazionale sui diritti civili e politici del 1966. È un Trattato internazionale che prevede anche un Comitato che controlla l’attuazione di quei diritti, però di è lontani dalla capacità d’incidere sugli ordinamenti così come fa la costituzione. Da un lato perché non riguarda i rapporti con i singoli, è un trattato internazionale, dall’altro perché il comitato può segnalare violazioni, ma non può imporre agli Stati da un punto di vista giuridico. Questo è sicuramente uno dei Trattati più importante che discende dalla Dichiarazione dei diritti dell’uomo. L’aspetto più interessante della Dichiarazione universale è che non riesce ad imporsi a livello globale, non solo giuridicamente ma probabilmente anche come ideale di riferimento, non solo perché l’ONU negli anni è diventato sempre meno efficace nell’imporre o nell’orientare le scelte degli Stati, ma anche perché i diritti contenuti nella Dichiarazione universale sono i diritti di un periodo storico e di un certo tipo di società, cioè della società occidentale, non sempre sono diritti avvertiti/sentiti in culture distanti dalla nostra. Questa difficoltà anche nel riconoscersi in questo documento, ha favorito la nascita di organizzazioni e di documenti volti a tutelare i diritti che di solito si definiscano ragionali perché rappresentano aree geografiche nel mondo specifiche, potremmo definirli “continentali”. Queste organizzazioni hanno quindi ritenuto utile redigere dei documenti, volti alla tutela o anche forse all’elencazione e ricognizione dei diritti che non fossero espressione di una cultura che non è avvertita come propria. I principali documenti sono : 1. Carta dei diritti umani nell’Asia: la quale è un documento del 1998, voluto da organizzazioni non governative asiatiche (aveva un valore simbolico) 2. Carta africana dei diritti dell’uomo e dei popoli (1981) È chiaro che questi documenti in qualche modo s’ispirano alla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo. Nel 2008 è stata prevista la Corte africana di giustizia e dei diritti dell’uomo che nel 2018/2019 è arrivata ad emanare la prima sentenza, quindi ha cominciato ad operare 3. Nel 1981, dopo l’attività dell’UNESCO si riuscì ad approvare una dichiarazione universale islamica dei diritti dell’uomo. Questo documento venne abbandonato e la Lega araba ha portato nel 1994 all’approvazione della Carta araba dei diritti dell’uomo che è molto più distante dalla Dichiarazione universale e che non prevede neanche una Corte deputata a garantirne l’efficacia. Questa esperienza fa comprendere come diversi contesti culturali vedono i diritti in maniera diversa 4. Nel 1969 viene approvata la Convenzione inter Americana dei diritti dell’uomo: è un tratto internazionale regionale (cioè continentale, che riguarda il continente americano) che prevede degli organi deputati a garantire la concretizzazione di quei diritti. Prevede una Commissione ed una Corte interamericana dei diritti. È un’esperienza di area, riguarda il continente americano, ma alcuni Paesi non hanno aderito alla Convenzione: Stati Uniti e Canada non hanno aderito e questo incide sull’importanza e sull’efficacia di questo documento. L’altro elemento significativo è che tra i Paesi che hanno aderito alla Commissione, una parte non ha aderito al protocollo sulla Corte interamericana, quindi non è soggetta al controllo, pur avendo sottoscritto il Trattato internazionale. Ciò fa si che vi sia una Corte che abbia anche adottato delle sentenze efficaci nei confronti di alcuni Stati, ma in realtà questo strumento viene limitato dal fatto che alcuni Paesi o non vi aderiscono o comunque non hanno aderito alle misure di controllo della Convenzione. Nel continente europeo la tutela dei diritti non è rimessa solo alle Costituzioni, ma anche ad un’organizzazione internazionale e ad una sovranazionale. Il riferimento è alla CEDU e all’Unione Europea con la Carta di Nizza. Entrambi incidono sul modo in cui i diritti fondamentali vengono tutelati nel nostro ordinamento. CEDU CONVENZIONE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO (Pag 75) È un Trattato internazionale legato ad un’organizzazione internazionale e NON ALL’UE, cioè non è un atto dell’Unione Europea. Finisce la seconda guerra mondiale, l’Europa non solo si cerca di ricostruirla con gli strumenti internazionali tra cui le Costituzioni sociali del secondo dopoguerra, ma si prova a ricostruirla e a fondarne la democrazia anche con uno strumento internazionale che è il Consiglio d’Europa, un’organizzazione internazionale, fondata a Londra nel 1949, a cui oggi aderiscono 47 Stati e ha come scopo quello di garantire la Pace in Europa e diffondere la democrazia. Questo è il motivo per cui il Consiglio d’Europa opera in Paesi ex Sovietici, provando ad individuare quali possano essere le soluzioni migliori per rafforzare la democrazia, ad es. l’indipendenza dei giudici. Questa organizzazione serve a rafforzare la democrazia anche nei Paesi storici dell’Europa. Ad es. la Legge Severino (legge anti corruzione) viene approvata in Italia su indicazione del Greco (organo del Consiglio d’Europa che contrasta la corruzione). Ridurre la corruzione significa aumentare la democrazia. Quindi il Consiglio d’Europa serve a garantire la Pace, a diffondere le buone pratiche democratiche e a rafforzare la democrazia, laddove la democrazia c’è già ma è meglio rafforzarla. Il Consiglio d’Europa nel 1950 decide di sottoscrivere a Roma una Convenzione che tuteli i diritti delle persone, perciò viene ancora in auge il discorso per cui la i poteri e i diritti sono collegati (costituzione dei diritti e costituzione dei poteri). Questa Carta che tuteli i diritti prende il nome di CEDU: CONVENZIONE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO. Viene sottoscritta nel 195, perciò è una carta dei diritti sostanzialmente liberale e con un’impostazione influenzata anche in parte dalla cultura anglosassone. I diritti tutelati furono: i diritti di libertà ed una particolare attenzione per i diritti connessi al processo penale (Legge Pinto L.89/2001). Si tratta di un documento che è stato integrato con protocolli addizionali che hanno esteso il valore giuridico della Convenzione. Questa Convenzione non si limita a prevedere un catalogo di diritti, ma prevede anche l’istituzione di una Corte, di un organo giudiziario che tuteli quei diritti, cioè la Corte Europea dei diritti dell’uomo. Essa ha sede a Strasburgo. La Corte Edu è composta da 47 giudici, uno per ogni Stato membro, eletti per un mandato di 9 anni. Essi operano anche con organi diversi, c’è anche la seduta plenaria, cioè la Grand Chambre composta da 17 giudici. Opera però con singoli giudici o opera per Comitati o per Camere ristrette di 7 giudici. Il dato fondamentale è avere un organo che punta a garantire l’interpretazione della CEDU e la sua applicazione. Dal 1998 è possibile il ricorso diretto dei cittadini alla Corte Edu e ciò è un elemento che rafforza ulteriormente questa forma di controllo perché non c’è più il filtro statale. Il cittadino opera direttamente attivandosi davanti alla Corte, a condizione che siano conclusi gli strumenti di ricorso interno/ nazionali (c.d sussidiarietà della tutela internazionale) I compiti della Corte : svolge un’attività interpretativa, che incide molto sul modo in cui quelle disposizioni vengono attuate, quindi riconoscere alla Corte il compito d’interprete della Costituzione significa riconoscere alla corte la capacità di adattare nel tempo le disposizioni della Convenzione e il modo in cui queste incidano sugli ordinamenti internazionali. La Corte EDU pur potendo essere attivata dai singoli non decide, con pronunce che hanno gli effetti, delle pronunce della Corte di Giustizia dell’UE perché non è diritto dell’UE ma è diritto internazionale. Perciò la Corte EDU, una volta riscontrata una violazione, può chiedere allo Stato di attivarsi per rimuovere le cause di quella violazione ed eventualmente può richiedere che venga riconosciuta al soggetto leso un’equa soddisfazione. Se lo Stato non si adegua, la Corte irrogherà delle sanzioni nei confronti dello Stato, ma rimane un rapporto con gli Stati e non è un rapporto che può avere un impatto sull’ordinamento italiano così come lo ha una pronuncia della Corte di Giustizia perché la CEDU è un Trattato internazionale, , non ha quindi la prevalenza sul diritto interno che ha il diritto dell’Unione europea. Ciò significa che in caso di contrasto tra diritto dell’UE e diritto interno prevale il diritto dell’UE. Lo stesso non vale in caso di contrasto tra CEDU e diritto interno. Quindi la Corte Edu opera nei confronti delle parti contraenti, cioè di chi ha sottoscritto il Trattato. I soggetti con cui si relaziona la Corte sono gli Stati e non i cittadini. Come decide la Corte: è un organo giudiziario (seppur in senso lato), quindi decide caso per caso, in maniera episodica con un oggetto che è quello/sono quelli indicati nella Carta dei Diritti ma che vengono interpretati dalla Corte. Quindi questo oggetto è indicato nella Carta ma nel tempo può mutare a seconda dell’interpretazione della Corte. Quindi l’oggetto è nella Carta, i diritti contenuti nella carta sono oggetto dell’interpretazione della Corte, perciò ci potrebbe essere un’evoluzione dell’oggetto, nel senso che il diritto potrebbe essere interpretato diversamente. Nella giurisprudenza della Corte dei diritti dell’uomo un principio molto utilizzato è il principio di proporzionalità. Esso non è considerato un principio cardine della giurisprudenza della Corte costituzionale, in quanto essa usa molto il principio di ragionevolezza (connesso a quello di proporzionalità) Nelle decisioni della Corte Europea si riconosce anche quello che viene detto “margine di apprezzamento nazionale” che consente agli Stati di limitare il diritto garantito dalla Convenzione. Un altro aspetto interessante nella giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo (ma si desume direttamente dalla Carta, dall’art 53) è il livello minimo comune di tutela dei diritti. Questo fa si che nell’individuare un livello minimo comune di tutela di diritti si spinge verso un’uniformità di tutela dei diritti, almeno di base, in tutti gli Stati che hanno sottoscritto la Convenzione. È interessante anche perché nell’individuazione di un livello minimo comune di tutela ha un’altra conseguenza: la corte Europea mira a garantire un livello minimo di tutela dei diritti, quindi un livello minimo al di sotto del quale non si può scendere. Questo significa che uno Stato, per quel diritto, garantisce un livello di tutela maggiore, si applica la normativa statale non la Carta. La Corte punta a garantire il livello minimo, al di sotto del quale non si può scendere, ma se c’è un ordinamento che garantisce livelli più alti di tutela, si garantisce l’applicazione della disciplina che tutela di più quel diritto. Questo è il classico meccanismo che opera negli ordinamenti federali, nel quale si prevede un livello standard di tutela al di sotto del quale non si può scendere e qualora si dovesse scendere, interverrebbe la federazione, ma se in qualche Stato membro si garantisce un livello di tutela più elevato, la Federazione fa un passo interno e garantisce in quell’ordinamento l’attuazione del diritto statale perché più protettivo. LA CEDU NEL DIRITTO ITALIANO (PAG 79) La Cedu non è un atto dell’Ue, ma è un Trattato internazionale, quindi per l’ordinamento italiano è un atto normativo internazionale. Richiede perciò una ratifica, per produrre effetti nell’ordinamento italiano. Una legge ordinaria recepisce la Cedu per farla entrare nell’ordinamento italiano. L’ordine di esecuzione della CEDU era contenuto in una legge ordinaria : L. 848/1995, che è l’atto che produce effetti nell’ordinamento italiano. Se la CEDU è contenuta in una legge ordinaria, il rango delle norme di esecuzione della CEDU nell’ordinamento italiano è proprio quello della legge ordinaria (fonte di rango primario). Ciò però pone un problema, le norme della cedu, una volta immesse nell’ordinamento italiano, prevalevano sulle norme legislative precedenti, ma esse avrebbero potuto cedere rispetto a norme legislative adottate successivamente che disponessero diversamente, secondo il criterio lex posterior derogat priori. Ci si è chiesto come si poteva far valere i diritti della cedu in Italia se qualunque legge successiva potesse disporre diversamente. In dottrina si è cercato di affermare la prevalenza della CEDU sulle norme di legge interne, disapplicando quest’ultime (così come avviene per l’UE), ma la CEDU è diritto internazionale e non comunitario e una volta entrata nel nostro ordinamento diventa legge ordinaria. I rapporti tra diritto internazionale e diritto interno si basano su una disposizione costituzionale, cioè l’art 10, mentre i rapporti tra diritto interno e diritto dell’UE si basano sull’art 11 Cost. e solo quest’ultimo parla di cessione della sovranità. Quindi l’idea di operare così come avviene nell’UE non è praticabile, quindi resta il problema del rapporto tra cedu e diritto interno. A questo problema viene in aiuto la riforma costituzionale del 2001, la riforma che modificò il Titolo V part II Cost. Questa riforma modificò l’art 117 Cost e soprattutto modifica il riparto di potestà legislativa tra Stato e Regioni (comma 2 e s.s.). Però nel fare questo, la riforma modifica anche il primo comma dell’art 117, il quale dice che la potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Cost, nonché dai vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali. L’art 117 ricorda che bisogna rispettare anche gli obblighi internazionali e deve farlo anche la Legge. Ciò aiutò la Corte cost a trovare una soluzione al rapporto tra CEDU e diritto interno. La soluzione la Corte cost la trova con le SENTENZE GEMELLE ( sent 378-379/2007) Queste due sentenze partono da una questione che riguarda il diritto di proprietà. La CEDU è una carta liberale, i diritti hanno un’impostazione liberale, il diritto di proprietà nella CEDU è letto in maniera diversa da come lo si legge nell’art 42 Cost, c’è un’impostazione nella CEDU molto più classico-liberale della proprietà che difficilmente giustificherebbe un esproprio per pubblica utilità, così come è stato inteso per lungo tempo nell’ordinamento italiano. Ciò che ci interessa è come la Corte Cost nelle sentenze gemelle definisce il rapporto tra diritto convenzionale e diritto interno. La corte cost richiama per prima cosa una distinzione: la CEDU non è diritto dell’Ue, ma è diritto internazionale. Quindi la corte dice il rapporto con la cedu NON SI BASA SULL’ART 11, perché è diritto internazionale e quindi si basa sull’art 10. Per cui (dice la Corte) non c’è cessione di sovranità rispetto alla CEDU e non c’è prevalenza del diritto CEDU sul diritto nazionale, come accade per il diritto dell’Ue. Quindi in caso di contrasto tra CEDU e diritto interno, non è possibile applicare la Cedu e non applicare il diritto interno perché non diritto dell’UE. In seguito la Corte sottolinea come questa distinzione fosse confermata dalla riforma costituzionale del 2001, la quale dice : la potestà legislativa è esercitata nel rispetto della Cost, nonché dai vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali. Cioè anche la riforma del 2001 conferma che si tratta di due cose diverse. Questo significa che il giudice nazionale non può disapplicare il diritto interno per contrasto con la CEDU. D’altro canto però, il primo comma dell’art 177 Cost dice che la legge dello Stato e la legge Regionale sono soggetti anche agli obblighi internazionali e la CEDU è un trattato internazionale sottoscritto e ratificato dall’Italia che produce degli obblighi internazionali nel nostro ordinamento che vanno rispettati, altrimenti si violerebbe il primo comma dell’art 117. La corte cost usa quindi la CEDU come norma interposta nell’ordinamento italiano, cioè non rispettare la cedu significa non rispettare il primo comma dell’art 117, cioè la CEDU si frappone tra le disposizioni di cui si controlla la legittimità costituzionale e l’art 117, cioè violare la norma interposta è come violare la costituzione. Definizione norma interposta: norme che non hanno rango costituzionale, ma concorrono ad integrare il parametro dei giudizi di legittimità costituzionale in forza del rinvio che ad esse fanno alcune disposizioni della Carta fondamentale. La L. 848/1995 che recepisce la CEDU è norma interposta perché consente di rispettare il primo comma dell’art 117 e l’art 10 Cost. La Corte nelle sentenze gemelle dice : a. Diritto internazionale e diritto dell’Ue sono diversi, b. Ma l’ordinamento italiano deve rispettare anche gli ordini internazionali c. La legge italiana che recepisce la CEDU è norma interposta d. Le leggi italiane devono rispettare la L 848/1995 altrimenti violano la Cost Se un giudice comune ravvisa un contrasto tra il diritto interno e la CEDU non può disapplicare il diritto interno (perché la CEDU è diritto internazionale), ma non può neanche applicarlo perché altrimenti violerebbe l’art 117 co.1, può solamente sollevare questione di legittimità costituzionale davanti alla Corte Cost, la quale valuterà se questo contrasto esiste ed eventualmente dichiarerà illegittima la Legge italiana in contrasto con la CEDU. Questo è come la Corte Cost risolve nelle Sent Gemelle l’eventuale contrasto tra CEDU e diritto interno. C’è una giurisprudenza successiva (PAG 84) che affina/chiarisce meglio come superare un eventuale contrasto però questi elementi indicati nelle Sent gemelle sono ancora elementi validi per capire come affrontare il rapporto tra cedu e diritto interno. Una delle sent successive e la SENT 311/2009 CORTE COST: questa sent spiega che il giudice nazionale deve applicare le norme della CEDU, però può accadere che nell’applicare le norme della cedu riscontri un contrasto con le norme di diritto interno. La soluzione di fronte al contrasto sarebbe sollevare la questione di legittimità costituzionale. La Corte però dice che il giudice svolge anche un’attività interpretativa. A fin che il giudice sollevi una questione di legittimità deve valutare la rilevanza, la non manifesta infondatezza e deve procedere ad un’interpretazione conforme a costituzione. Se un giudice di fronte ad un dubbio di legittimità costituzionale, riesce ad interpretare la disposizione che intende applicare, conformemente alla costituzione, non solleva la questione di legittimità costituzionale. La Corte estende questa attività interpretativa in questa sentenza, perché dice in fondo il giudice deve svolgere un’attività interpretativa conforme a Costituzione, ma anche conforme alla Cedu. Quindi se il giudice comune che deve applicare e garantire il rispetto delle norme della CEDU rileva un contrasto con il diritto interno, prima di sollevare la questione deve valutare se può interpretare il diritto interno in maniera conforme alla CEDU, perché se ci dovesse riuscire, avrebbe risolto in via interpretativa il contrasto. Quindi applicherà il diritto nazionale interpretandolo in maniera conforme alla CEDU. Ciò vuol dire anche tenere al margine la Corte Cost, perché viene tutto svolto dal giudice nazionale. Quindi la novità è che non in ogni caso di contrasto, bisogna ricorrere alla Corte Cost, ma il giudice comune trova l’interpretazione conforme a CEDU per risolvere il contrasto. Non è detto però che ilo giudice riesca a fare questa operazione interpretativa, se non ci dovesse riuscire rimane il contrasto tra norma interna e CEDU. Poiché la CEDU non è diritto dell’Ue, il giudice non può disapplicare il diritto interno, l’unica soluzione per il giudice comune è sollevare la questione di legittimità costituzionale. La corte nella sent 311/2009 aggiunge ancora che nel momento in cui la questione di legittimità costituzionale arriva dinanzi a se, la prima operazione che la Corte fa è tentare l’interpretazione conforme. Se la Corte Cost ci dovesse riuscire, non si dichiarerebbe un’illegittimità costituzionale, troverà la Corte l’interpretazione conforme, la rimette al giudice comune, il quale userà l’interpretazione per risolvere il contrasto. Se non dovesse riuscire neanche la Corte a trovare l’interpretazione conforme, essa non dovrà per forza arrivare ad una declaratoria d’incostituzionalità, perché dovrà svolgere un’altra operazione, dovrà verificare se il contrasto sia determinato da un tasso di tutela della norma nazionale superiore a quello garantito dalla norma CEDU, dal momento che questa ipotesi è espressamente considerata compatibile dalla stessa Convenzione Europea all’art 53. Se così fosse, non ci sarebbe contrasto con la CEDU, proprio perché lo stesso art 53 che dice che si applica il diritto più favorevole. Se neanche questa operazione dovesse riuscire, c’è un altro passaggio che la Corte cost deve operare, deve verificare anche la compatibilità della Cedu con il diritto costituzionale, perché potrebbe essere la CEDU in contrasto con il diritto costituzionale. Se fosse la legge italiana che recepisce la cedu ( L.848/1995) in contrasto con la Cost, la Corte cost potrebbe anche dichiarare incostituzionale quella disposizione della legge 848/1995. Se neanche questa operazione potesse essere svolta, allora è il diritto interno in contrasto con la CEDU, allora la Corte dichiarerà l’illegittimità costituzionale della norma interna in contrasto con la CEDU. Un’altra sentenza importante è la 317/2009 (pag 87). Questa sent riguarda sempre il livello di tutela dei diritti (quindi collegata all’art 53 della Convenzione), ma con un’indicazione che fa comprendere come funziona il sistema. La Corte cost riconosce che possa esserci un contrasto tra il diritto interno e la CEDU, però la Corte cost riconosce anche che la CEDU è un catalogo di diritti con una Corte che interviene a tutela di quei diritti episodicamente, caso per caso, diritto per diritto. La Corte Cost dice invece la Costituzione è qualcosa di diverso, è un complesso di norme coordinate che puntano a garantire una tutela che è bilanciata tra diritti diversi, allora bisogna fare attenzione a che l’eventuale contrasto tra diritto interno e diritto cedu non derivi dal modo in cui si tutelino i diritti, perché il modo in cui è tutelato a livello nazionale, può essere un modo che tiene in conto un bilanciamento tra diritti diversi, mentre la cedu mira a tutelare un singolo diritto, in uno specifico modo e con un livello di tutela, mentre il livello di tutela all’interno dell’ordinamento nazionale può dipendere anche dall’esigenza di bilanciare diritti diversi. E questo può giustificare una tutela differente che la Cedu non può riconoscere perché è un ordinamento diverso, funziona in maniera diversa. Quindi questa funzione di bilanciamento/di lettura complessiva della tutela dei diritti, può giustificare la legittimità delle previsioni nazionali rispetto a quelle cedu. Un’altra sentenza della Corte cost è la sent 80/2011 Breve premessa: la cedu è diritto internazionale, non è diritto dell’ue però con il Trattato di Lisbona, si prova ad incorporare la Cedu nell’ordinamento dell’UE, cioè si ipotizza l’adesione dell’Unione alla CEDU, non solo come singoli Stati membri, ma come Unione. I Trattati a cui aderisce l’Unione entrano a far parte del diritto primario dell’Unione, quindi ci è interrogati, sulla possibilità, alla luce del Trattato di Lisbona, che la Cedu fosse diventata diritto dell’UE, con tutte le conseguenza che ciò avrebbe comportato circa i rapporti con il diritto nazionale . La Corte cost nella sent 80/2011 riconosce la rilevanza del Trattato di Lisbona su questo aspetto, ma riconosce anche che NON c’è l’adesione dell’UE alla CEDU (ancora), quindi nulla cambia. Ci sono degli interventi della Corte di Giustizia dell’Ue su questo aspetto. Il primo intervento è una sent della Corte di Giustizia del 2012, la quale conferma che la previsione del Trattato di Lisbona è particolarmente rilevante, ma che l’UE non ha aderito ancora alla CEDU, di conseguenza gli Stati membri dell’Ue non sono tenuti a definire i loro rapporti con la cedu, allo stesso modo con cui vengono definiti nei rapporti con il diritto dell’UE, cioè l’UE ha sempre spinto a fin che gli Stati membri riconoscessero la prevalenza del diritto comunitario sul diritto interno. Ma la Grande Sezione della Corte di Giustizia dice ancora che la CEDU non è diritto dell’UE, quindi gli Stati possono fare come ritengono, cioè non sono tenuti a prevedere la prevalenza sul diritto nazionale, ma se lo volessero fare autonomamente sulla base delle loro scelte ordinamentali, lo possono fare, ma non c’è stata l’adesione dell’Ue alla CEDU, quindi questa non è diritto dell’Unione, quindi per quanto riguarda la Corte di Giustizia non è necessario prevederne la prevalenza Su questa sentenza la dottrina ha avuto da ridire non tanto per la sentenza in se, di per se ragionevole e coerente con lo sviluppo dei rapporti tra diritto interno, internazionale e diritto dell’Unione europea. Piuttosto, ci si è interrogati sul perché l’Unione non abbia aderito alla CEDU. La risposta è in un parere della Corte di Giustizia del 2014 che spiega perché l’Unione non ha aderito alla CEDU. L’unione è un ordinamento con le sue fonti e con una Corte che punta a garantire, l’interpretazione e la corretta applicazione del diritto dell’Unione. Quando e se l’Unione aderirà alla Cedu, non si limiterà ad aderire ad un documento internazionale che prevede un catalogo di diritti, ma aderirebbe ad una convenzione che prevede anche un organo giurisdizionale che ha il compito d’interpretare e d’intervenire per garantire la corretta applicazione della CEDU, ciò significherebbe che il diritto dell’Unione e la stessa Corte di Giustizia risulterebbero soggette alle decisioni di un altro organo. Questo, sia da un punto di vista tecnico ma anche politico, è inaccettabile. LA TUTELA DEI DIRITTI FONDAMENTALI DELL’UNIONE EUROPEA (PAG 88) Il processo d’integrazione europeo inizia dal Manifesto di Ventotene, documento pensato da anti-fascisti durante il Fascismo. Questo Manifesto pensava ad una Federazione di Stati europei che garantisse la pace tra i popoli e l’affermazione della democrazia in Europa. Sono questi principi che valgono sia per la nascita delle comunità europee che per il Consiglio d’Europa. Per ridurre i rischi di ulteriori conflitti, si pensa ad un’organizzazione che consenta di gestire insieme le principali risorse necessarie per l’industria pesante di quell’epoca, cioè il carbone e l’acciaio. Quindi si pensò che la soluzione potesse essere la creazione di una comunità del carbone e dell’acciaio (CECA) che consenta di gestire insieme quelle risorse senza incentivare una guerra. La CECA nasce nel 1951 e nacque la CEE nel 1957 con l’EURATOM. Queste tre furono le comunità economiche europee. L’elemento da sottolineare è che i principi fondanti di queste comunità non sono i diritti fondamentali, ma sono principi propri del mercato: libera circolazione di merci, capitali, persone, libera concorrenza. Queste comunità nascono si per garantire la pace ma con uno sguardo prettamente ai profili economici e non hanno come fondamento i diritti fondamentali. Proprio perché le comunità si basano sul mercato, sulla concorrenza e non sui diritti, le principali Corti Costituzionali dei Paesi membri elaborano la Teoria dei controlimiti (il ragionamento è se gli Stati membri si basano sui diritti della persona nelle loro Cost, e l’UE si basa sul mercato, sarebbe meglio porre un limite alla prevalenza dell’Unione, perché attraverso il mercato si potrebbero tutelare i diritti delle persone) Queste comunità economiche europee cominciano a configurarsi non come un fenomeno internazionale, ma come un fenomeno sovranazionale, cioè su un rapporto che prevede la creazione di organi comuni ai quali si cede una parte della sovranità che viene esercitata da quegli organi comuni, è un embrione di una Federazione o Confederazione di Stati. Questo lo si vede in alcuni aspetti, innanzitutto nel metodo comunitario, cioè una cessione della sovranità, le decisioni vengono prese dagli organi comuni a maggioranza. Il secondo elemento che dimostra la cessione della sovranità è la prevalenza del diritto comunitario sul diritto nazionale. Il terzo elemento che giustifica questo fenomeno sovranazionale è l’efficacia del diritto comunitario sul diritto interno, cioè gli organi dell’Unione approvano degli atti, questi sono automaticamente applicabili in tutti gli Stati membri. Questi sono dei punti che riguardano già la nascita delle comunità economiche europee, poi vengono definiti negli sviluppi successivi, ad es il Trattato di Maastricht (1992), ai nostri fini è importante la previsione della cittadinanza dell’UE, l’estensione dei diritti elettorali. Il processo d’integrazione ha portato anche ad estendere il diritto elettorale attivo e passivo ai cittadini dell’UE anche se risiedono in uno Stato diverso da quello in cui hanno la cittadinanza nazionale, con alcuni limiti. Innanzitutto ogni cittadino dell’UE ovunque risieda, può partecipare alle elezioni del Parlamento europeo, ma l’estensione della cittadinanza europea consente ai cittadini di partecipare alle elezioni locali. Il Trattato di Amsterdam del 1997 prevede come cardini dell’UE il principi democratico, il principio dello stato di diritto e la tutela dei diritti dell’uomo. Le comunità economiche europee stanno cambiando, non sono più legati solamente a principi attinenti al mercato (libertà di circolazione, libera concorrenza), ma si tutelano i diritti delle persone. Questo significa anche rafforzamento dell’istituzione rappresentativa dell’UE, cioè il Parlamento che assume maggiori poteri e competenze. Altro passaggio fondamentale è il Trattato di Nizza, soprattutto perché nell’occasione della sottoscrizione del trattato di Nizza si presenta anche la Carta dei diritti dell’Ue che però non entra a far parte del Trattato di Nizza, quindi non ha l’efficacia dei Trattati, non è direttamente applicabile. Nel 2004 si provò ad approvare il Trattato istitutivo della Costituzione dell’Europa. Il tentativo fallì, aveva come obiettivo sostituire tutti i Trattati con una Costituzione europea che al suo interno aveva anche i diritti e i doveri. Il tentativo fallì, quindi la Carta continuava a non avere l’efficacia dei Trattati, fino a quando nel 2007, si approvò il Trattato di Lisbona che riconosce alla Carta di Nizza la stessa efficacia dei Trattati, anche se non viene incorporata nel Trattato. In tutto questo sviluppo, la questione che rimane è qual è l’impatto del diritto dell’UE sul diritto interno. Perché nella Cost ita non c’è stato un art, almeno fino al 2001 che dica che il diritto dell’UE prevalga sul diritto interno (art 117 co.1). Prima di allora la Corte Europea ha sempre spinto perché si riconoscesse la prevalenza del diritto dell’Unione sul diritto interno. La Corte Cost ha dovuto seguire un percorso fatto di giurisprudenza che nel tempo è cambiata per arrivare al punto in cui siamo oggi. Innanzitutto la Corte ha dovuto riconoscere che il fenomeno delle comunità europee allora non era un fenomeno tipicamente internazionale, ma un fenomeno sovranazionale. Quindi i rapporti tra l’ordinamento interno e le comunità europee andava definito non sulla base dell’art 10 della Cost, ma sulla base dell’art 11 Cost “l’Italia consente in condizioni di parità con gli altri Stati alle limitazioni di sovranità di un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; rimuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo” È in questa disposizione costituzionale che la Corte ravvisa il fondamento giuridico costituzionale della partecipazione italiana alle comunità economiche, ed è anche il fondamento costituzionale che giustifica la limitazione parziale della sovranità italiana a parità con gli altri Stati membri. Questo però non basta a far capire nell’immediato quale sia il rapporto tra fonti dell’UE e fonti interne. Inizialmente i giudici costituzionali erano partiti dal presupposto che si dovesse utilizzare un metodo classico di risoluzione delle antinomie, cioè il metodo cronologico cioè la legge (atecnicamente intesa) prevale sulla legge precedente. Il passaggio successivo fu che in caso di contrasto i giudici devono rimettere la questione alla Corte cost, se la corte rileva un contrasto, dichiara illegittime le leggi nazionali e lascia sopravvivere quelle dell’UE. La Corte emanò una sentenza 170/1984 in cui afferma che ci sono delle tipologie di fonti dell’Unione e solo alcune di quelle sono direttamente applicabili negli ordinamenti degli Stati membri e non richiedono nessun recepimento, entrano direttamente negli Stati membri e prevalgono sul diritto degli Stati membri. Ovviamente questo principio viene esteso a tutte quelle fonti che sono considerate direttamente applicabili (regolamenti, direttive auto-applicative, sentenze della Corte di Giustizia). Tutte queste fonti si applicano direttamente negli Stati membri, senza necessità di un’intermediazione legislativa e tutte queste fonti prevalgono sul diritto nazionale anche di rango costituzionale, l’unica eccezione è costituita dai controlimiti, cioè i principi fondamentali dell’ordinamento costituzionale e i diritti inalienabili della persona. Questi sono gli stessi limiti previsti per il diritto internazionale, per i rapporti con la Chiesa Cattolica, alla revisione costituzionale, perché con l’art 138 si può modificare la cost, ma quelle modifiche non possono mai incidere sui principi fondanti dell’ordinamento e sui diritti inviolabili della persona.
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