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DIRITTO INTERNAZIONALE

L'ordinamento internazionale ha tre funzioni:


• funzione normativa
• funzione di accertamento del diritto
• funzione di attuazione coattiva delle norme

• Per quanto riguarda la funzione normativa, cioe di produzione del diritto, occorre
fare una distinzione tra il diritto internazionale generale, le cui norme vincolano tutti
gli Stati, e il diritto internazionale particolare, le cui norme vincolano una ristretta
cerchia di Stati
• Per quanto riguarda il diritto internazionale generale, l'art 10 Cost Italiana fa
espresso riferimento ad esso dicendo che "l'ordinamento giuridico italiano si
conforma alle norme di diritto internazionale generalmente riconosciute". Le norme di
diritto internazionale generale sono le consuetudini; la consuetudine costituisce,
quindi, la fonte primaria / di 1° grado del diritto internazionale
• Per quanto riguarda il diritto internazionale particolare, abbiamo:
• gli accordi internazionali (detti anche patti/convenzioni/trattati) che vincolano
soltanto gli Stati aderenti agli accordi stessi; tali accordi sono subordinate alla
consuetudine, cosi come, nel diritto interno statale, il contratto è subordinato alla
legge: quindi gli accordi sono fonti di 2° grado
• le fonti previsi da accordi, che costituiscono una fonte di 3° grado, perché sono
previsti dagli accordi internazionali e traggono la loro forza da questi, vincolando
cosi solo gli Stati aderenti agli accordi stessi: vi rientrano, ad esempio, gli atti delle
organizzazioni internazionali, come l'ONU , l'UE,ecc .
Ci si chiede se queste fonti siano vincolanti: in realtà la risposta dovrebbe essere negtiva
perché le organizzazioni internazionali non hanno poteri legislativi: lo strumento di cui
si servono è la raccomandazione, che ha valore di mera esortazione. Tuttavia, però, non
mancano atti di organizzazioni internazionali che sono vincolanti per gli Stati membri,
come ad esempio i regolamenti emanati dall' Unione Europea.
• Per quanto riguarda la funzione di accertamento del diritto, essa ha natura arbitrale e
non giurisdizionale. Questo perche i giudici internazionali non sono obbligatori come
il giudice naturale precostituito per legge", di cui all'articolo 25 della Cost.Italiana.
L'arbitrato, dunque, a differenza della giurisdizione poggia sull'accordo tra le parti:
accordo volto a sottoporre la controversia ad un determinato giudice. Anche la CIG,
che è il massimo organo di giustizia delle Nazioni Unite, ha carattere arbitrale.
Tuttavia, non mancano istanze giurisdizionali istituzionalizzate, cioè tribunali
permanenti istituiti da singoli trattati e innazi ai quali gli stati si possono rivolgere per
risolvere le loro controversie o innazi ai quali gli stati possono essere citati in
giudizio da singoli individui.
Però, anche in questi casi, il fondamento della competenza dei tribunali permanenti
resta pattizio perchè solo gli stati che hanno accettato la loro competenza possono
essere convenuti in giudizio: è evidente, in tal senso, la differenza col diritto statale
dove la sottoposizione alla funzione giurisdizionale è imposta dalla legge.
• Per quanto riguarda la funzione di attuazione coattiva delle norme: i mezzi utilizzati
per far osservare le norme e reprimere le violazioni, rinetrano nella categoria
dell'autotutela, che mentre costituisce l'eccezione nel diritto interno, diventa la regola
nel diritto internazionale.

Abbiamo detto che il diritto internazionale è il diritto della comunità degli Stati ma dobbiamo
specificare cosa si intende per Stato. Occorre fare una distinzione tra:
• Stato-comunità, intendendosi per tale, una comunità umana stanziata in una porzione di

territorio e sottoposta a leggi che la tengono unita


• Stato-organizzazione, intendendosi per tale, l'insieme dei governanti: ossia l'insieme
degli organo che esercitano potere di imperio sui singoli individui

Nel nostro caso, soggetto di diritto internazionale è lo Stato-organizzazione, intendendo così


tutti gli organi che esercitano questa potesta di imperio: non soltanto l'esecutivo, ma tutti
coloro che partecipano all'esercizio del potere di Governo, comprese le amministrazioni locali
e gli enti pubblici minori.

Affinché si possa parlare di Stato-organizzazione (e quindi di Stato come soggetto di diritto


internazionale), sono necessari due requisiti: l'effettività del potere e l'indipendenza.
• quindi, è necessario che lo Stato eserciti effettivamente il proprio potere su una
comunita. Mancano di questo requisito:
• i Governi in esilio, perche non hanno un territorio su cui esercitare il proprio potere
• le organizzazioni/comitati di liberazione internazionale (ad es, l'organizzazione
per la liberazione della Palestina)
• i cd. "Failed states", caratterizzati dalla mancanza di un Governo effettivo:
questo puo avvenire in presenza di una diffusa guerra civile
• Il secondo requisito è quello dell'indipendenza, o sovranità esterna: occorre, cioè,
che lo Stato non dipenda da un altro Stato. Mancano di questo requisito:
• Gli Stati membri di Stati federali (i quali possono stipulare accordi col consenso del
potere centrale, ma solo in qualità di organi dello Stato federale; cosi come le Regioni
italiane possono stipulare accordi internazionali, ma come organi dello Stato italiano)
• le Confederazioni: cioè quelle unioni internazionali tra Stati, perfettamente
indipendenti e sovrani, che creano tali unioni solo per scopi di comune difesa

Bisogna pero chiarire cosa si intende esattamente per "indipendenza": è indipendente e


sovrano lo Stato il cui ordinamento sia originario, cioè tragga la sua forza giuridica da
• una propria Costituzione
• e non dall'ordinamento giuridico o dalla Costituzione di un altro Stato

Quindi, in definitiva, lo Stato che esercita effettivamente e indipendentemente il proprio potere


su una comunità territoriale, diventa automaticamente soggetto di diritto internazionale e non
occorre alcun riconoscimento, da parte di altri Stati. In realtà, va detto che spesso si sente
parlare di "riconoscimento", come ad esempio quando l'Italia riconobbe la Repubblica
Democratica Tedesca nel'73 oppure quando Stati Uniti e Cina si riconobbero reciprocamente
nel '78.
Tutto ciò, pero, non ha alcuna rilevanza giuridica per il diritto internazionale: infatti, in questo
caso, il riconoscimento o il non-riconoscimento sono due attività che appartengono
semplicemente alla sfera politica. Il riconoscimento, dunque, è un atto meramente politico che
rileva niente altro che l'intenzione di:
• stringere rapporti amichevoli
• scambiare rappresentanze diplomatiche
• avviare collaborazioni ecc.ecc.

Fermo restando che i requisiti affinché lo Stato possa essere considerato automaticamente
soggetto di diritto internazionale sono l’effettività e l’indipendenza, si discute se questi
requisiti siano sufficienti o se ne occorrano altri. A questa domanda possiamo rispondere che
“tecnicamente” i requisiti affinché uno stato sia considerato soggetto di diritto internazionale
sono solo e solamente l’effettività e l’indipendenza.
Secondo alcuni, sono necessari altri requisiti, come ad esempio:
• che il nuovo Stato non costituisca una minaccia per la pace

• che goda del consenso del suo popolo


• che sia uno Stato democratico
• che sia uno Stato che rispetti i diritti umani
= questi requisiti non sono da considerare come necessari per diventare soggetti di
diritto internazionale, ma rappresentano soltanto uno strumento di giudizio ulteriore
per valutare se stringere o meno rapporti amichevoli col nuovo Stato.

Discorso a parte meritano gli insorti che, in quanto tali, non sono soggetti di diritto
internazionale: sono dei sudditi ribelli i quali lottano in una guerra civile contro il proprio
governo per ottenere l’indipendenza e nei cui confronti il governo legittimo potrà prendere
tutti i provvedimenti che riterrà opportuni, salvo che gli insorti non si proclamino movimento
di liberazione nazionale (in quest’ultimo caso, i provvedimenti che lo stato può adottare non
possono spingersi a tal punto da negare il principio dell’autodeterminazione dei popoli. E
qualora tale principio venisse negato, gli stati hanno l’obbligo di isolare quei governi,
adottando misure sanzionatorie quali in disconoscimento degli atti emanati in quel territorio).
Tuttavia, se gli insorti, già nel corso di una guerra civile, riescono a costituire
un’organizzazione di governo e a controllare effettivamente una parte del territorio, in tal caso,
gli insorti acquistano la soggettività di diritto internazionale.

Che ruolo svolge il diritto internazionale nel caso di insurrezione?


Il diritto internazionale semplicemente aspetta e, se l’insurrezione ha successo (cioè gli insorti
costituiscono un’organizzazione di governo e controllano effettivamente una parte del
territorio) prende atto che il nuovo governo ha acquistato la soggettività di diritto
internazionale.
Per quanto riguarda il riconoscimento della soggettività di diritto internazionale del governo
insurrezionale, nel passato “la dottrina Tobar“ affermava che il riconoscimento del governo
insurrezionale da parte degli altri stati, come soggetto di diritto internazionale, poteva avvenire
solo dopo che si fossero svolte elezioni democratiche. Questa dottrina, come ha notato Cassese,
cadde presto in desuetudine, per cui il riconoscimento del governo insurrezionale da parte degli
altri stati può avvenire già nel corso della guerra civile purché gli insorti, come detto,
costituiscano un’organizzazione di governo e controllino effettivamente una parte del territorio.

Alcuni autori sostengono una personalità, seppur limitata, degli individui: cioe le persone
fisiche e giuridiche. Essa trae spunto soprattutto perchè:
• ci sono tantissime Convenzioni che hanno come destinatari finali proprio gli
individui, perche obbligano gli Stati a tutelare i diritti fondamentali dell'uomo
• perche sempre piu spesso viene riconosciuto agli individui un diritto di azione,
per cui l'individuo puo ricorrere ad organi internazionali appositamente creati, se
non vede riconosciuto il suo diritto
• perche viene riconosiuta, agli individui, una responsabilità penale personale: cioè, per
alcuni crimini (detti "crimina iuris gentium", che sono i crimini di guerra o crimini
contro la pace e la sicurezza) lo Stato, per reprimerli, puo esercitare il suo potere di
coercizione, anche oltre i normali limiti

Un'altra parte della dottrina, invece, minoritaria, sostiene invece che questa soggettività da
attribuire agli individui è da escludere, perché, ad esempio, secondo la loro tesi, anche se è
vero che le Convenzioni riconoscono dei diritti agli individui, esse hanno sempre e comunque
solo gli Stati come destinatari. Si rivolgono agli Stati, e non agli individui.

In definitiva quindi, possiamo dire che entrambe le tesi hanno ragione. Ma, dovendo scegliere,
la tesi secondo cui anche gli individui sarebbero soggetti di diritto internazionale sembrerebbe
quella piu accettabile: infatti, a sostegno di questa tesi ci sono non solo la dottrina
maggioritaria, ma anche la CIG, nel 2001 , nel caso "LaGrand " (ha affermato che il diritto
dello straniero, detenuto presso

carceri straniere a comunicare con il proprio console, è un diritto che si indirizza anche
all’individuo).

Si parla poi anche di "diritto dei popoli" oppure anche "diritto dei popoli
all'autodeterminazione": queste espressioni fanno pensare , allora , che anche i popoli sarebbero
soggetti di diritto internazionale. In realtà, la dottrina maggioritaria nega questa tesi, perché
sostiene che il termine "popolo" viene utilizzato in maniera enfatica ed è sinonimo di Stato.
Il discorso, però, è diverso quando si parla di popolo come un qualcosa contrapposto allo Stato;
le norme in cui si esprime questa contrapposizione sono:
• le norme sui diritti umani
• il principio di autodeterminazione dei popoli

Il principio di autodeterminazione dei popoli è una norma di diritto internazionale particolare


contenuta in alcuni trattati (Carta delle Nazioni Unite) e che ha acquistato anche carattere
consuetudinario attraverso una prassi sviluppatasi in seno alle Nazioni Unite. Non è facile dare
una definizione di questo principio.

1) Da una parte si potrebbe definire come il diritto dei popoli, sottoposti a dominio coloniale
o straniero, di scegliere liberamente il proprio regime politico, rendendosi indipendenti
o associandosi ad altro stato indipendente (autodeterminazione esterna).
Il principio di autodeterminazione non ha effetti retroattivi, cioè affinché tale principio possa
essere applicato occorre, salvo il caso dei territori coloniali, che la dominazione straniera non
risalga al periodo storico antecedente in cui tale principio si è affermato , cioe non risalga a
prima della seconda guerra mondiale.

Le norme di diritto internazionale generale, cioe quelle che vincolano tutti gli Stati, sono le
norme consuetudinarie. La consuetudine internazionale quindi consiste:
• nella ripetizione uniforme e costante nel tempo di un determinato comportamento
• accompagnato dalla convinzione che quel comportamento sia obbligatorio e
necessario, quindi sentito come giuridicamente vincolante

Quindi gli elementi che caratterizzano la consuetudine sono due:


• la diuturnitas / usus, che consiste, appunto, nella ripetizione costante nel tempo
di un determinato comportamento
• l'opinio juris sive necessitas, che consiste nella convinzione che quel
comportamento sia obbligatorio o che sia necessario che lo diventi

Questa concezione, cd. "dualistica", anche se è prevalente in dottrina, tuttavia non viene
accolta da tutti gli autori. Infatti, secondo alcuni autori, la consuetudine sarebbe costituita dal
solo elemento dell' "usus", perche se si ammettesse anche l'opinio iuris, potrebbe legittimarsi
anche la consuetudine nata dll'errore: quindi secondo questi, l'opinio iuris non è un elemento
essenziale, ma solo il semplice effetto psicologico. Tuttavia:
• la giurisprudenza dei tribunali internazionali sembra sostenere la tesi dualistica,
infatti la CIG lo ha affermato nella sentenza relativa alla piattaforma continentale
del Mar del nord
• E tra l'altro, è proprio grazie all'opinio iuris, che è possibile distinguere una
consuetudine produttiva di diritto da una norma di mera cortesia, cioe un
comportamento che lo Stato tiene in una specifica occasione sulla base del fatto che
lo ritiene socialmente dovuto.
• Inoltre, ci permette di distinguere quali comportamenti dello stato sono diretti a
modificare o abrogare una consuetudine preesistente e quali, invece, costituiscono
illecito internazionale. Questa ulteriore funzione riconosciuta all’opinio iuriss, nasce
da un dibattito dottrinale svoltosi in USA che riguardava la questione se l’esecutivo
americano (nello specifico il Presidente) potesse violare una consuetudine
preesistente. Secondo alcuni, non poteva violare una consuetudine; secondo altri
poteva farlo, previa autorizzazione del Congresso. Secondo Conforti, comunque
l'esecutivo può violare una consuetudine (e le Corti possono intervenire nel censurare
tale violazione), se dimostra che tale violazione è affiancata dal convincimento della
sua doverosità sociale.

Per quanto riguarda l'usus, invece, il tempo di formazione della consuetudine puo variare.
Puo durare vari secoli oppure si possono formare in poco tempo, come quella secondo cui la
piattaforma continentale è sottoposta al potere dello Stato costiero. Quindi piu gli Stati hanno la
volontà di assumere un determinato comportamento in modo uniforme e costate, piu breve sarà
la formazione della consuetudine. Gli elementi dell'usus sono:
• la generalità: la norma deve essere applicata dalla maggior parte degli Stati
• l'uniformità: la norma deve avere un significato interpretabile in modo univoco e
non contraddittorio
• la continuità: la norma deve essere applcata in modo continuo nel corso del tempo

Tutti gli organi statali possono partecipare al procedimento della formazione della norma
consuetudinaria. Pertanto possono concorrere:
• non solo gli atti esterni degli Stati (trattati, note diplomatiche, comportamenti in
seno ad organi internazionali)

• ma anche atti "interni" (leggi, sentenze, atti


amministrativi..) Non c'è nessun ordine di priorità tra questi!

Inoltre, poi, nella formazione di norme consuetudinarie, è la giurisprudenza interna a


giocare un ruolo decisivo, in particolare soprattutto le Corti Supreme statali, le quali:
• magari procedendo alla difesa di valori tutelati dall'ordinamento interno, ma
suscettibili di essere recepiti anche a livello internazionale, emettono sentente che
potrebbero avere un'influenza decisiva nella creazione di nuove norme
consuetudinarie
• oppure è anche loro compito, di fronte a consuetudini antiche che però
contrastano con fondamentali valori costituzionali, promuovere la loro revisione

La consuetudine, abbiamo detto, crea diritto generale: ossia vincola tutti gli Stati,
indipendentemente se questi hanno partecipato o meno alla sua formazione. Questo principio
è stato, però, messo in discussione a lungo dagli Stati sorti dal processo di decolonizzazione
(cioè la maggior parte): secondo questi Stati, il vecchio diritto consuetudinario si è formato in
epoca coloniale, rispondendo ad esigenze/interessi del tutto diversi da quelli attuali:
consuetudini
quindi che, in quanto tali, non possono pretendere di essere rispettate da uno Stato che nasce
oggi con esigenze ed interessi opposti. Il problema è stato risolto riconoscendo che le
consuetudini devono essere rispettati anche dai nuovi Stati, i qual pero, cosi come tutti gli
altri Stati, hanno la possibilità di contestare una consuetudine.
Per quanto riguarda il problema della contestazione della consuetudine, bisogna distinuguere a
seconda che la contestazione provenga:
• da un singolo Stato
• da un gruppo di Stati

• Se proviene da un singolo Stato (fenomeno del cd.persistent object – obiettore


persistente), secondo Conforti, è del tutto irrilevante: a maggior ragione, perché non
occorre che una norma consuetudinaria venga accettata da uno Stato nei cui confronti
la consuetudine viene invocata: infatti in tal caso si tratterebbe altrimenti di accordo
tacito
Al contrario, la CIG, nel caso delle Pescherie Norvegesi del 1951 (Norvegia c.
Inghilterra) ha affermato che, se un singolo Stato ha sempre contestato una
consuetudine, questa non potrà essere opposta a quello Stato.

Nel caso in questione, per la precisione, la Norvegia si era sempre opposta alla regola
consuetudinaria della linea di bassa marea e utilizzava, invece, il sistema delle linee rette.
In tal senso, la CIG non solo ha affermato che la regola consuetudinaria della linea di bassa
marea non può essere opposta alla Norvegia poiché quest’ultima l’ha sempre contestata ma,
inoltre, la Corte ha affermato la legittimità del sistema delle linee rette.

• Se invece la contestazione proviene da un gruppo di Stati, in questo caso la


norma consuetudinaria:
• non solo non è opponibile a quelli che la contestano
• ma non deve neppure essere considerata come norma consuetudinaria
Però, prima di arrivare alla conclusione che un settore non è piu regolato da una norma
consuetudinaria, l'interprete deve fare ogni sforzo per trovare un minimo comune
denominatore nell'attegiamento degli Stati, in modo tale da ricostruire dei principi,
anche generalissimi.

E' opportuno notare che alcuni Stati danno troppa importantza alle risoluzioni
(raccomandazioni)

delle organizzazioni sovranazionali, come ad esempio dell' Assemblea Generale dell'ONU : in


realtà, queste risoluzioni:
• non hanno carattere vincolante
• però le norme in esse contenute, possono essere trasformate in norme
consuetudinarie, solo se * confermate dalla diuturnitas e dall'opinio juris * oppure
solo se vengono riportate in Convenzioni internazionali
Per questo motivo, si dice che le risoluzioni facciano parte del cd. "Soft Law" – Diritto
Morbido.

Oltre alle norme consuetudinarie generali, ci sono anche le consueudini particolari, che
vincolano una ristretta cerchia di Stati. Un esempio sono le consuetudini regionali o locali. La
sua applicazione piu rilevante è data dal fatto che, attraverso le consuetudini particolari, gli
Stati possono modificare o abrogare tacitamente le norme di un trattato da loro stipulato, a suo
tempo. Il requisito essenziale, quindi, per la formazione di una consuetudine particolare è
appunto che sussita un trattato tra le parti, perche altrimenti in mancanza si crea soltanto una
reciprocità.
Tra l'altro, non necessariamente deve essere un trattato multilateriale, puo esser anche
bilaterale: questo è stato anche confermato dalla CIG (nel caso Nicaragua – Costa Rica) che
ha affermato che il diritto di pesca esercitato dalla Costa Rica nelle acque del Nicaragua, in
assenza di obiezioni da parte di quest'ultimo, ha fatto nascere una consuetudine particolare
che ha modificato le norme del trattato bilaterale che avevano, a suo tempo, stipulato.

Tuttavia, per evitare che consuetudini particolari possano abrogare/modificare tacitamente le


norme di un trattato internazionale, alcune organizzazioni internazionali, prevedono un organo
giurisdizionale che vigila sul rispetto di tali trattati: come ad esempio, l'UE. Infatti, tra l'altro,
la CGUE, in una sentenza, ha stabilito che una semplice prassi non puo prevalere sulle norme
del trattato istitutivo.

I principi generali di diritto riconosciuti dalle Nazioni Civili

L'articolo 38 dello Statuto della CIG prevede che, nella risoluzione delle controversie, la
Corte dovrà applicare le fonti secondo un ordine ben preciso:
• le convenzioni internazionali
• le consuetudini internazionali
• i principi generali di diritto riconosciuti dalle Nazioni Civili
• altri mezzi ausiliari, come giurisprudenza, dottrina e soft law.

Tra le fonti, quindi, vengono annoverati questi principi che sono collocati al terzo posto, dopo
accordi e consuetudini: quindi si tratta di una fonte utilizzabile laddove manchino norme
pattizie o norme consuetudinarie. Possiamo quindi dire che il ricorso a questi principi
costituirebbe una sorta di analogia iuris, destinata a colmare le lacune del diritto pattizio e
consuetudinario: questa è l'interpretazione data dalla maggior parte della dottrina, alla natura
giuridica dei principi. Tuttavia, su quale valore attribuirgli ci sono vari opinioni:
• alcuni ritengono che non sono da considerare come norme giuridiche internazionali
• altri riconoscono ai principi una semplice natura integratrice
• altri ancora li collocano al vertice della gerarchia delle fonti

Questo problema su quale valore attribuire ai principi nasce perché questi principi non sono
ricavati dalle norme internazionali, bensì dagli ordinamenti interni delle Nazioni Civili .

Comunque sebbene ci siano varie opinioni in merito al valore da attribuire ai principi, affinché
questi possano essere applicati, devono sussitere due condizioni:
• che essi esistano e siano applicati uniformemente nella maggior parte degli Stati

• che essi siano sentiti come giuridicamente vincolanti, cioè obbligatori o necessari
In realtà, se ci pensiamo bene, possiamo considerare i principi come una categoria sui generis di
consuetudini internazionali, in cui:
• la diuturnitas/usus, si ha per via dell'uniforme previsione e applicazione, da parte degli
Stati, all'interno dei loro ordinamenti
• l'opinio iuris, si ha perché si tratta di regole che secondo gli Stati hanno
"carattere universale" e sentiti, quindi, come giuridicamente vincolanti
E in questa prospettiva, allora perderebbero la loro caratteristica di essere solo degli strumenti
volti a colmare le lacune, ma piuttosto diventerebbero delle consuetudini vere e proprie. (non
sarebbero piu quindi delle fonti di 3° grado)

Se consideriamo, ad esempio, il campo dei diritti umani:


• il diritto consuetudinario: vieta solo le cd. "gross violations" cioè le violazioni gravi:
crimini di guerra, apartheid, genocidio, torture ecc.
• Il ricorso ai principi generali: puo essere utile per estendere la sfera. Infatti questo
ricorso, da parte dei tribunali internazionali, avviene spesso, soprattutto in materia di
crimini internazionali

Altre presunte norme generali non scritte; l'equità e il ruolo della giurisprudenza interna ed
internazionale; frammentazione del diritto internazionale

C'è poi una parte della dottrina (il Quadri) che considera un'atra categoria di norme
generali non scritte, da porre addirittura al vertice della gerarchia delle fonti, ossia i
"principi costituzionali" (detti anche Super Principi). Secondo il Quadri, questi principi
costituzionali sono le norme primarie del diritto internazionale, perché:
• sono espressione immediata e diretta della volontà del corpo sociale
• e perche comprenderebbero quelle norme volute e imposte dalle forze dominanti
in un determinato periodo storico

Secondo tale teoria, quindi, i super principi sarebbero al vertice della gerarchia, mentre trattati e
consuetudini sarebbero fonti secondarie, subordinate a questi principi.

I principi costituzionali si distinguerebbero, secondo il Quadri, in:


• principi formali, che si limitano ad istituire ulteriori fonti di norme internazionali,
cioe gli accordi e le consuetudini. Infatti i principi formali sono due: pacta sunt
servanda e consuetudo est servanda: questo spiegherebbe perché consuetudini e
accordi vengono rispettati: vengono rispettati, appunto, perche previsti dai principi
costituzionali
• principi materiali, che si limitano a disciplinare i rapporti tra gli Stati e possono avere
vario contenuto (ad es, il principio di liberta dei mari)

La dottrina , tra cui Conforti, comunque, non è d'accordo con questa tesi dei principi
costituzionali che è abbastanza criticabile, nella parte dei principi materiali, perché questa tesi
ricostruisce la categoria dei principi costituzionali come norme volute e imposte alla comunità
internazionali dalle forze dominanti in un determinato periodo storico, legittimando, piu che
l'uso, l'abuso. Infatti un gruppo di Stati o uno Stato che dispone della forza necessaria, potrebbe
imporre la propria volontà anche a tutti gli altri Stati. Inoltre non sarebbe neanche agevole per
l'interprete interno, perche ogni volta dovrebbe chiedersi se ci sono o meno delle imposizioni in
una determinata materia, da parte delle forze dominanti, e questo non è possibile.

Si discute poi se l'equità, intesa come il comune sentimento di giustizia, possa essere
utilizzata dai giudici internazionali o interni, per risolvere una controversia di natura
internazionale.La risposta è negativa e si ritiene che il giudice puo utilizzare l'equità, per
risolvere una controversia, solo in due casi, e cioe solo se si tratta di:
• equità secundum legem: in questo caso è possibile utilizzare l'equità come
ausilio interpretativo
• equità ex aequo et bono: cioè l'equità puo essere utilizzata come parametro di
risoluzione delle controversie solo qualora il giudice sia stato espressamente
autorizzato dagli Stati in causa

E' da escludere, invece, che il giudice possa utilizzare:


• l'equità contra legem: cioe l'equita contraria alle consuetudini e ai trattati
• l'equità praeter legem: cioè l'equità diretta a colmare le lacune del diritto internazionale

Premesso tutto questo, l’opinione dominante è quella per cui l’equità, piuttosto che strumento
del giudice per risolvere le controversie, vada inquadrata nel procedimento di formazione della
consuetudine, cioè come strumento per affermare l’esistenza di una consuetudine.
• Infatti molto spesso accade che i giudici interni, per affermare l'esistenza di una
consuetudine internazionale, utilizzino l'equità: in questo caso pero, si tratta pur
sempre di una pronuncia di un singolo Stato, che quindi potra avere poca influenza
su tutti gli altri Stati.
• Se invece una pronuncia del genere proviene da un tribunale internazionale, come la
CIG, l'influenza è massima, anche se è necessario un riscontro da parte degli Stati:
infatti, potrebbe anche accadere che la condotta degli Stati si rivela diversamente,
interrompendo, cosi, l'iter di formazione di una nuova consuetudine.

Inesistenza di norme generali scritte; la codificazione del diritto consuetudinario

Fino alla I guerra mondiale, le prime consuetudini ad essere codificate furono le norme del c.d.
diritto internazionale bellico che furono trasfuse nelle convezioni dell’Aja.

Tentativi di codificazione furono effettuati anche durante l’epoca della Società delle Nazioni
ma senza risultati. È con le Nazioni Unite che l’opera di codificazione prende effettivo
slancio, traducendosi in una serie di trattati multilaterali. E poiché non esiste nell’ambito
dell’organizzazione internazionale un organo dotato di poteri legislativi, è il trattato l’unico
strumento per trasformare la consuetudine (il diritto non scritto) in diritto scritto, cioè per
codificare il diritto consuetudinario.
L'art. 13 della Carta ONU prevede che l'Assemblea Generale intraprenda studi e faccia
raccomandazioni per incoraggiare lo sviluppo progressivo del diritto internazionale e la sua
codificazione: sulla base di questa disposizione, l'Assemblea costituì come proprio organo
sussidiario, la Commissione di Diritto Internazionale delle Nazioni Unite.

Questa Commissione è composta


• da individui che vi siedono a titolo personale (cioe non rappresentano nessun Governo)
• i quali hanno il compito di provvedere alla preparazione dei testi di codificazione
delle norme consuetudinarie relativa a determinate materie:

• procedendo a studi
• inviando questionari agli Stati
• raccogliendo dati dalla prassi, ecc.ecc.

Possiamo dire che l'epoca delle grandi codificazioni è finita perchè la Commissione, col suo
lavoro, ha coperto quasi tutti i settori. Le principali Convenzioni sono:
• Convenzione di Vienna su relazioni e immunità diplomatiche (1961)
• Conv. Sulle relazioni consolari (1963)
• Conv.di Ginevra sul diritto del mare (195)
• Conv.sulle missioni speciali(1969)
• Conv.di Vienna sul diritto dei trattati (1969)
• Conv.di Vienna sul diritto dei trattati conclusi tra Stati e organizzazioni internazionali
(1986)
• Conv.di Montego Bay sul diritto del mare

La Commissione, tuttavia, non è l'unico organo in seno al quale si predispongono progetti di


accordi di codificazione; infatti, spesso, l'Assemblea Generale ha convocato
• conferenze di Stati
• comitati ad hoc

La differenza però è che:


• in Commissione: il progetto è frutto del lavoro di individui che, sedendo a titolo
personale, sono totalmente indipendenti dagli Stati
• negli altri casi: si tratta di individui che rappresentano gli Stati

Questi accordi di codificazione, essendo comuni accordi internazionali, vincolano sollo gli Stati
contraenti, cioè gli Stati che li ratificano.
E' fuor di dubbio che l'opera di codificazione sia importantissima, ma occorre essere molto cauti
nel considerare gli accordi di codificazione come corrispondenti al 100% al diritto
consuetudinario generali: di conseguenza bisogna star attenti quando si estendono anche agli
Stati non contraenti.
Questo avviene per vari motivi:
• perché comunque nell'opera di ricostruzione, influisce molto la mentalità
dell'interprete (quindi di coloro che fanno parte della Commissione, appunto)
• inoltre perché l'art 13 Carta ONU non parla solo di codificazione, ma anche di
sviluppo progressivo del diritto internazionale: spesso infatti è stata invocata questa
espressione per far introdurre nuove norme, che in effetti erano abbastanza incerte
sul piano del diritto internazionale generale

Quindi l'accordo di codificazione costituisce un valido punto di partenza per l'interprete che
deve ricostruire delle norme generali consuetudinarie; ma egli dovrà tuttavia compiere anche
un lavoro di verifica, per dimostrare che le norme contenute nell'accordo di codificazione
corrispondono alla prassi degli Stati. Solo e soltanto se questa verifica ha un esito positivo,
egli potrà applicare la norma dell'accordo di codificazione, a titolo di diritto internazionale
generale.
In tal senso si è pronunciata la Corte Internazionale di Giustizia con una sentenza del 1969 sulla
delimitazione della piattaforma continentale tra Germania e Stati limitrofi. La Corte, commentando il
criterio dell’equidistanza dalle coste per definire i confini marini (Convenzione di Ginevra 1958), ha
definito tale principio non di diritto generale, in quanto prassi non sufficientemente consolidata e,
quindi,inapplicabile alla Germania che non aveva ratificato la Convenzione.
Strettamente connessa con il tema della codificazione è la possibilità che, a causa della mutata
prassi degli Stati, si renda necessario ricorrere al ricambio (cioè alla modifica ,o meglio, alla sostituzione)
delle norme di diritto generale codificate. Tutti gli accordi di codificazione sono, infatti, stipulati per una
durata illimitata e solo per alcuni sono previsti procedimenti di revisione in vista di nuovi accordi più
attuali.
A questo punto una domanda sorge spontanea: qual è il valore di una norma codificata che non trova più
alcuna corrispondenza nel diritto internazionale generale? la risposta è che essa sicuramente non troverà
applicazione con riguardo agli Stati non contraenti (motivo in più per non equiparare il diritto codificato a
quello generale).
Per quanto riguarda gli Stati contraenti, nulla vieta che il diritto consuetudinario
di nuova formazione abroghi quello pattizio anteriore, sempre che si accerti incontrovertibilmente che gli
Stati contraenti abbiano contribuito alla formazione della nuova consuetudine e che questi la intendono
come applicabile anche nei rapporti inter se.
Esistono anche codificazioni private del diritto internazionale. Va fatta menzione dell’ Institut de Droit
international (IDI) , un'associazione a numero chiuso composta da studiosi di diritto internazionale
nonché da giudici di Corti internazionali appartenente a tutti i Paesi del mondo. L'Institut si riunisce in
seduta plenaria ogni due anni ,dopo un lavoro di varie commissioni. Lo scopo dell'associazione è quello
di codificare il diritto internazionale, scopo che esso attua con risoluzioni adottate dall' assemblea
plenaria. Fino alla seconda guerra mondiale le risoluzioni degli gli ebbe un notevole impatto nella parte
dei governi; con la nascita delle Nazioni Unite e quindi con l'istituzione della commissione di diritto
internazionale detto impatto è andato scemando.

Le dichiarazioni di principi dell’Assemblea generale dell’ Onu.

Si inquadrano nel discorso sul diritto internazionale generale le Dichiarazioni di principi emanate
dell’Assemblea Generale dell’Onu, contenenti sia una serie di regole che riguardano ,talvolta, rapporti tra
Stati ; sia, più spesso, regole che riguardano i rapporti interni alle varie comunità statali ( quelli degli
Stati con i propri sudditi e con gli stranieri).
Tra tutte occorre ricordare: la “Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo”, approvata il 10 Dicembre
del 1948; le risoluzioni sul genocidio, quelle sui diritti dei fanciulli oltre ad una serie di Dichiarazioni
adottare in campo economico che suggeriscono regole a cui dovrebbe ispirarsi l’azione degli Stati, per
eliminare o attenuare le differenze tra Paesi ricchi e Paesi poveri.
Non si può dire che le Dichiarazioni costituiscano fonte autonoma di norme internazionali generali.
L’Assemblea Generale non ha poteri legislativi mondiali e le sue risoluzioni non hanno carattere
vincolante; aspetto questo tenacemente difeso dai Paesi occidentali in quanto, in caso contrario, i Paesi
del Terzo Mondo, che rappresentano la maggioranza in seno all’Onu, avrebbero in mano la gestione del
diritto internazionale generale.
Tuttavia è innegabile che le Dichiarazioni di principi abbiano un ruolo importante, simile a quello degli
accordi di codificazione, per lo sviluppo di un diritto internazionale più attento alle esigenze di solidarietà
e di interdipendenza sempre più sentite oggi. Pur non vincolanti, esse danno un contributo alla formazione
del diritto internazionale, ispirando i contenuti degli accordi e condizionando la formazione della
consuetudine; esse, quindi, sono rilevanti in quanto:
a) influenzano la prassi degli Stati che le adottano ( influenzando di rimando la formazione di
nuove consuetudini internazionali).
b)certe Dichiarazioni possono avere il valore di veri e propri accordi internazionali, quando, oltre
ad enunciare un principio, espressamente ne equiparano l’inosservanza alla violazione della Carta
dell’Onu. Si tratta di un espediente, di fronte alla natura non vincolante delle Dichiarazioni, per sancire
che quel certo principio è ormai obbligatorio e vincola quegli Stati che hanno partecipato a sostegno di
quel principio con il loro voto favorevole ( essi, infatti, proprio esprimendo assenso, intendono obbligarsi)
. Lo stesso dicasi quando la Dichiarazione considera l’inosservanza di un principio non violazione della
Carta dell’Onu, ma del diritto internazionale generale (si pensi come esempi alle risoluzioni sul
genocidio, sull’indipendenza dei popoli coloniali, sul divieto di armi nucleari). Si può dunque concludere
che queste dichiarazione, inquadrabili nella categoria degli accordi, vanno a qualificarsi come degli
accordi in forma esemplificata.
Talvolta il voto favorevole dato ad una Dichiarazione viene considerato dalle Corti per applicare la
Dichiarazione medesima.

I trattati: procedimento di formazione e competenza a stipulare

Dopo aver analizzato il diritto internazionale generale, passiamo a quello particolare. Le norme
di diritto internazionale particolare sono quelle contenute negli accordi/patti/convenzioni e che
vincolano una ristretta cerchia di Stati (appunto, quelli che aderiscono agli accordi stessi).
L'accordo è l'unione/incontro delle volontà di due o piu Stati, attraverso cui gli stessi
regolano i loro rapporti.

La dottrina tedesca fa una distinzione tra:


• i trattati-normativi (cd.trattati-legge), che sono quei trattati in cui vi è una volontà
dall'identico contenuto e sarebbero i soli trattati idonei a produrre norme giuridiche.
Comprendono: gli accordi di codificazione; gli accordi istitutivi delle organizzazioni
internazionali; accordi contenenti dichiarazioni solenni di Stati come ad esempio la
rinuncia alla guerra, all'uso di certi tipi di armi, ecc.ecc.
• I trattati-contratto che sono quei trattati in cui non vi è una volontà dall'identico
contenuto: le parti partono da posizioni contrastanti e fanno uno scambio di
prestazioni: un esempio è dato dagli accordi di stabilimento, in cui gli Sati si fanno
reciproche concessioni sul trattamento dei cittadini di ciascuno di essi nei territori
degli altri Stati oppure accordi commerciali; trattati di alleanza; cessione territoriale
ecc.ecc ; questi trattati, quindi, non producono norme giuridiche, ma semplicemente
producono diritti e obblighi (e quindi rappporti giuridici) in capo agli Stati.

Questa distinzione, in realtà, viene criticata dal Conforti, in quanto non ha senso
contrapporre la norma al rapporto giuridico: infatti, qualsiasi atto obbligatorio, cioè che
obbliga qualcuno, produce per ciò stesso una regola di condotta.

Invece è da accogliere la distinzione tra:


• norme astratte, che regolano una situazione/rapporto "tipo" e vincolano i
soggetti che vengono a trovarsi in tali situazioni
• norme concrete, che regolano una singola e determinata situazione/rapporto

Inoltre, va fatta una distinzione tra:


• norme pattizie materiali, che sono quelle norme che disciplinano direttamente i
rapporti tra i destinatari (cioe le parti contraenti il tratato), riconoscendo diritti e
imponendo obblighi
• norme pattizie strumentali, che sono quelle norme che si limitano ad istituire fonti per
la creazione di ulteriori norme (ad esempio, i trattati istitutivi di organizzazioni
internazionali)

Cosi come :
• nel diritto interno, i contratti sottostanno alla legge
• allo stesso modo, i trattati internazionali sottostanno alle norme consuetudinarie:
abbiamo un complesso di regole riguardanti il procedimento di formazione e i requisiti
di validità ed efficacia, tanto che parliamo del cd. "diritto dei trattati" : a questo è
dedicato la Convenzione di Vienna del 1969

Riguardo la sfera di applicazione di tale Convenzione:


• innanzitutto è sancita dall'articolo 4 della Conv.stessa, l'irretroattività della Convenzione
• inoltre è sancito il principio secondo cui le regole produttive del diritto
consuetudinario, proprio perche corrispondo al diritto generale, valgono per tutti gli
Stati e per tutti i trattati: come già detto, sarà l'interprete che deve verificare se
corrisponde alla prassi
Il diritto internazionale lascia la piu ampia liberta in merito alla forma e alla procedura per la
stipulazione dei trattati.
Il procedimento piu utilizzato è quello normale/solenne, che ricalca quello utilizzato anche
secoli fa, in cui:
• il trattato veniva negoziato dai plenipotenziari (che erano emissari del sovrano)
• questi plenipotenziari predisponevano il testo dell'accordo, lo approvavano
all'unanimità e lo sottoscrivevano
• poi era necessaria la ratifica del sovrano, con la quale quest'ultimo si accertava
che i plenipotenziari avessero seguito le sue istruzioni
• infine la volontà di quest'ultimo doveva essere portata a conoscenza delle
altre parti contraenti, quindi avveniva lo scambio delle ratifiche

Oggi tutte queste fasi (negoziazione-firma-ratifica-scambio delle ratifiche) sono ancora in uso
nella prassi internazionale. Il procedimento solenne è quindi articolato in determinate fasi:

• FASE DELLA NEGOZIAZIONE: che costituisce quella fase dove piu sono gli Stati
che partecipano piu è complessa. Essa viene condotta dai plenipotenziari, cioè
rappresentanti ufficiali degli Stati che dispongono di pieni poteri di negoziazione. In
tal senso, l’art. 7 della Convenzione di Vienna stabilisce che un soggetto è considerato
plenipotenziario (rappresentante dello stato) se ha pieni poteri, attribuitigli dagli organi
competenti in base al diritto e alla prassi propria di ciascun Paese (in Italia, la
competenza è per l’appunto del Governo). Inoltre, sempre secondo l’art. 7, dispongono
di pieni poteri di negoziazione:
• i Capi di Stato e di Governo
• i ministri degli Esteri
• i capi di missioni diplomatiche
• i delegati presso organizzazioni internazionali
• coloro che possiedono una delega dal Ministero degli Esteri che li abiliti a trattare
in vece del proprio governo.

L'art 9 Conv stabilisce che le decisioni vengono prese a maggioranza, tranne nel caso in
cui non sia disposta l'unanimità dei votanti.
• FASE DELLA FIRMA: La negoziazione si chiude con la firma o la parafatura
(ossia le iniziali) da parte dei plenipotenziari.
La firma di per sè non comporta alcun vincolo: ha solo fini di autenticazione del testo
che viene cosi predisposot in modo definitivo: saranno, quindi, eventualmente
necessari dei nuovi negoziati, nel caso in cui si vorranno apporre delle modifiche
• FASE DELLA RATIFICA: la ratifica è la manifestazione della volontà dello Stato, con
la

quale quindi si impegna a rispettare i diritti e i doveri contenuti nell'accordo. La


competenza a ratificare è disciplinata da ogni Stato con proprie norme costituzionali.
Per quanto rigurda l'ordinamento italiano:
• art 87 Cost: il Presidente della Repubblica ratifica i trattati internazionali previa,
quando occorre, l'autorizzazione delle Camere
• art 80 Cost: specifica che "l'autorizzazione delle Camere è necessaria e va data con
legge, quando si tratta di trattati che:
• hanno natura politica
• prevedono regolamenti giudiziari
• comportano variazioni del territorio nazionale
• comportano oneri alle finanze o modificazioni di leggi

Le due norme (artt 87 e 80) vanno poi combinate con la regola dell'articolo 89
Cost: nessun atto del Presidente della Repubblica è valido se non è controfirmato
dai ministri
preponenti che ne assumono la responsabilità"

Inoltre, si ritiene che la ratifica rientri tra quegli atti che il Presidente non puo rifiturarsi di
sottoscrivere, una volta intervenuta la delibera governativa (puo solo eventualmente chiederne il
riesame). Questo dimostra che in Italia il potere di ratifica è diviso tra:
• potere esecutivo, per quanto riguarda il contenuto dell'atto
• e potere legislativo (nei casi previsti dall'articolo 80)

Alla ratifica, poi, viene equiparata l'adesione: l'adesione è quell'istituto che consente ad uno
Stato he non ha partecipato ai negoziati, di aderire successivamente ad un trattato multilaterale.
Questo è possibile solo però se il trattato prevede la cd."clausola di adesione".

• FASE DI SCAMBIO O DEPOSITO DELLE RATIFICHE: Il


procedimento di formazione dell'accordo si conclude con:
• lo scambio delle ratifiche (in questo caso l'accordo si perfeziona istantaneamente)
• oppure il deposito (che è quello piu utilizzato nei trattati multilaterali: man mano
che le ratifiche vengono depositate presso il Governo scelto dagli Stati come
soggetto depositario, l'accordo si forma tra gli Stati depositanti)
• ENTRATA IN VIGORE DEL TRATTATO : Art 24 Conv.Vienna stabilisce che
l'entrata in vigore di un trattato è rimessa alla decisione degli Stati. Generalmente,
per i trattati multilaterali, gli Stati decidono di far entrare in vigore il trattato solo
quando si è raggiunto un certo numero di ratifiche. Tuttavia, se il trattato non
prevede nulla a propostito della sua entrata in vigore,si applica il secondo comma
dell'art 24 che stabilisce che entra in vigore quando tutti gli Stati lo hanno
ratificato.
Occcorre sottolineare che è possibile l'applicazione provvisoria di un trattato non
ancora entrato in vigore: se, però, uno Stato non vuole applicarlo provvisoriamente,
deve notificarlo agli altri Stati.
• REGISTRAZIONE DEL TRATTATO: Art 102 Carta ONU stabilisce che "ogni
trattato/accordo internazionale deve essere registrato presso il Segretariato delle
Nazioni Unite e pubblicato a cura di quest'ultimo". Tuttavia, l'unica conseguenza
in caso di omessa registrazione è solo l'impossibilità di invocare il trattato dinanzi
ad un organo delle Nazioni Unite. Quindi la registrazione non è un requisito nè di
validità nè di efficacia del trattato.

Un'altra procedura molto utilizzata dagli Stati è poi quella degli accordi in forma semplicificata.
In questo procedimento, affinche l'accordo si perfezioni, non è necessaria la ratifica, ma è
sufficiente la semplice firma da parte dei plenipotenziari, ossia dei rappresentanti dello Stato. In
tal senso, è necessario che alla firma venga attribuito il valore di piena e definitiva
manifestazione di volontà.
E l'art 12 Conv.Vienna spega quali sono i modi per attribuire alla firma questo valore:
• puo essere lo stesso trattato a prevedere che la firma avrà questo effetto
• oppure possono essere gli Stati che hanno partecipato ai negoziati che hanno
deciso di attibuire tale effetto alla firma e questa loro intenzione risulta:
• dai pieni poteri dei rappresentanti
• ed è stata espressa tale volontà durante la fase della negoziazione

Alla categoria degli accordi in forma semplificata si fanno rientrare anche:


• scambi di note diplomatiche
• e strumenti simili: che sono in generale tutti quegli accordi che, in un modo o
nell'altro, un organo dello Stato stipula senza ricorrere alla ratifica e quindi
impegnando direttamente e definitivaemente la volontà dello Stato

Occorre pero sottolineare che, per aversi un accordo in forma semplificata (da adesso lo
chiamerò acc.in f.s.):
• non occorre soltanto che sia saltata la fase della ratifica
• ma occorre, soprattutto, che dal testo dell'accordo o dalle circostanze risulti una volontà
sicura dello Stato, di volersi impegnare
= questo va sottolineato perchè esistonono alcuni casi di intese, come ad esempio i
Memorandum di intesa o Gentlemen agreements, a cui si da il nome di "accordo in forma
semplificata" ma che in realtà non lo sono perche non si deduce la volontà da parte di questi
Stati di vincolarsi effettivamente. Infatti, piuttosto che acc.in.f.s. Andrebbero chiamate"intese
non giuridiche".
Esempio di tali intese non giuridiche è il Memorandum d’intesa tra USA e Canada sulla
cooperazione in materia di legislazione antitrust in cui i due stati dichiarano esplicitamente che
tale intesa non costituisce un accordo internazionale.
Questi tipi di accordi quindi valgono se e fin quando le parti decidono di applicarlo.

A metà strada tra intese non giuridihe e acc.in f.s si collocano gli accordi sull'applicazione
provvisoria dei trattati: questi si hanno quando le parti (all'interno del trattato steso oppure con
dichiarazione separata) prevedono che il trattato si applichi provvisoriamente, nell'attesa della
sua entrata in vigore. Questi accordi:
• secondo alcuni, sarebbero intese prive di carattere giuridico (l'applicazione
provvisoria, infatti, sarebbe un'esecuzione di fatto del trattato: esecuzione che è
legittima solo se, e quando, interviene la ratifica)
• secondo altri, sarebbero accc.in f.s e quindi, in quanto tali, sarebbero
vincolanti. Il Picone, per inquadrare la materia, ricostruisce la categoria degli
"accordi giuridici non vincolanti", cioè quegli accordi che
• anche se presentano la stessa caratteristica delle intese non giuridiche, cioe quella di
poter essere revocate unilateralmente in qualsiasi momento
• vanno tuttavia considerati accordi in forma semplificata:
• sia perche possono sospendere l'efficacia delle Convenzioni vincolanti che si sono
fatte in un momento precedente sullo stesso argomento
• sia perché lo Stato sarebbe impossibilitato, al momento della revoca, di
annullare con efficacia retroattiva le misure di esecuzione già prese

La competenza a stipulare acc.in f.s viene stabilita da ciascuno Stato con proprie norme
costituzionali. Di solito la competenza è del Governo, per motivi di necessità o per bypassare
l'inerzia del Parlamento: ed è proprio il diritto costituzionale di ciascuno Stato a stabilire fino
a che punto il Governo puo decidere autonomamente. In Italia, a tal proposito, appare
convicente la tesi del Cassese, in base alla quale:
• la stipulazione di acc.in f.s sarebbe da escludere solo quando l'accordo rientra in una
delle categorie dell'articolo 80 della Cost: in questo caso è assolutamente necessaria
la procedura solenne
• In tutti gli altri casi (ossia nei casi che non rientrano nelle categorie dell'art 80) , il
governo è libero di decidere se utilizzare la procedura solenne (e quindi far
intervenire la ratifica da parte del Pres.della Rep.) oppure se fare un accordo in forma
semplificata

[scontato ma importante: ovviamente gli accordi in f.s hanno lo stesso valore giuridico degli
accordi stipulati attraverso la procedura solenne]

Ci si chiede poi cosa succede se l'organo che stipula l'accordo, con procedura solenne o in f.s
, non ha la competenza a farlo oppure non segue le procedure previste. In Italia, per esempio,
sono diversi i casi in cui il Governo ha proceduto a stipulare accordi in f.s nelle categorie
dell'art 80 (categorie che invece prevedevano la procedura solenne: quindi autorizzazione
delle Camere e ratifica del Presidente della Repubblica). Un esempio significativo, al
riguardo, si è avuto con la domanda di ammissione dell'Italia all'ONU: la domanda è
avvenuta con atto del Ministro degli Esteri, ma non era questa la procedura da seguire, perché
la Carta ONU è un trattato di natura politica e quindi era necessaria la procedura solenne.
Oppure la stessa cosa si è avuta anche con Il Memorandum d'Intesa per Trieste che attribuì
all'Italia l'amministrazione della zona A e alla Iugoslavia l'amministrazione della zona B:
questo comportava oneri alle finanze, quindi anche in questo caso rientrava nell'art 80.

In dottrina, a tal proposito:


• alcuni sostengono che deve prevalere il diritto costituzionale: quindi gli accordi
stipulati in violazione delle norme costituzionali (e quindi dell'articolo 80) non sono
validi

• altri invece fanno leva sul concetto di buona fede e sostengono che il diritto
internazionale dovrebbe prevalere e quindi l'accordo rimane valido

Entrambe le tesi pero sono troppo estreme e quindi non vanno bene. Quindi puo accogliersi la
soluzione prospettata dall'art 46 Conv.Vienna, che dice che se uno Stato ha stipulato un accordo
in violazione di una norma interna, questo non puo essere invocato dallo Stato come vizio del
suo consenso, quindi l'accordo è valido, a meno che:
• la violazione non sia manifesta
• e la violazione non riguardi una norma di diritto interno di importanza fondamentale

Secondo il Conforti, la violazione è manifesta quando l'organo a cui la Costituzione attribuisce


la competenza sia stato messo da parte. Tuttavia, anche se la violazione è manifesta, l'accordo
rimane ugualmente valido se l'organo messo da parte manifesta implicitamente o
esplicitamente il suo assenso e purché utilizzi lo stesso strumento formale (la legge) previsto
dalla Cost.: infatti nel caso della domanda di ammissione all'ONU, per esempio, il Parlamento
emanò lo stesso una legge con cui diede esecuzione alla Carta ONU.

Ci si chiede poi se le regioni italiane possono stipulare accordi internazionali.


• Inizialmente la Costituzione del 48 non riconosceva alle Regioni nessun potere estero
• Nonostante questo, le Regioni cominciarono comunque a porre in essere una serie di
attività promozionali all'estero: cioè attività volte a promuovere prodotti regionali,
attività turistiche, culturali ecc.
• A seguito di questo, fu adita la Corte Costituz, la quale nel 1975 ribadì
l'assoluta incompetenza delle Regioni a stipulare accordi promozionali
all'estero
• Nel 1977 un decreto del Presidente della Repubblica ha riconosciuto alle Regioni
la possibilità di stipulare accordi promozionali all'estero, ma previo consenso del
Governo
• Dopo questo decreto, allora, la Corte Costituz nel 1989 ha messo da parte il suo
precedente orientamento antiregionalista e restrittivo e ha riconosciuto alle Regioni la
possibilità, non sollo di svolgere attività promozionali all'estero, ma anch di stipulare
accordi internazionali, purché in materie di loro competenza e previo consenso del
Governo.
• Oggi, a seguito della riforma del Titolo V della Costituzione, l'articolo 117.9
riconosce alle Regioni, nelle materie di propria competenza, il potere estero: cioe la
possibilità di stipulare accordi con paesi esteri ed intese con enti territoriali interni di
altro stato, nei casi e modi disciplinati dalla legge. I casi e i modi sono disciplinati
dalla legge La Loggia (131/2003), che stabilisce che:
• le Regioni devono obbligatoriamente comunicare l'inizio delle trattative alla
Presidenza del Consiglio dei Ministri e al Ministro degli Esteri
• Questi organi, dopo essere stati informati, possono fornire delle linee-guida a
cui le Regioni dovranno attenersi
• Le Regioni fanno una seconda comunicazione sull'accordo (non ancora
sottoscritto) al Ministro degli Esteri: questo , dopo aver sentito la Presidenza,
conferisce pieni poteri di firma. Se, infatti, le Regioni stipulano accordi senza il
conferimento dei poteri di firma, l'accordo è nullo.

Inefficacia dei trattati nei confronti degli Stati terzi.

Anche per i trattati vale cio che si dice per il contratto, ossia che esso fa legge fra le parti e
solo fra le parti: nessun diritto/obbligo puo derivare per uno Stato, a meno che questo non
partecipi all'accordo.
Tra le forme di accettazione degli effetti di un trattato, da parte di uno Stato terzo, ricordiamo
l'ipotesi del "trattato aperto", cioe quel trattato che prevede la clausola di adesione: una volta
eseguita l'adesione, gli effetti giuridici del trattato si estenderanno anche al nuovo Stato che
ha appena aderito e la sua posizione giuridica sarà identica a quella degli altri Stati; ,l'unica
differenza è che non ha partecipato ai negoziati. Tuttavia, ci possono essere anche dei casi di
trattati che non prevedono la clausola di adesione, ma che prevedono degli obblighi per uno
Stato terzo. Anche in questo caso, per estendee gli effetti del trattato allo Stato terzo, sarà
necessario che questi obblighi siano previsti esplicitamente ed espressamente dal trattato ed
occorre che siano stati accettati dallo Stato terzo interessato.
Al di fuori di queste due ipotesi (clausola di adesione e accettazione edell'obbligo da parte
dello Stato terzo), in nessun altro caso è possibile estendere gli effetti di un trattato ad uno
Stato terzo.

E' possibile, poi, che da un trattato discendano comportamenti vantaggiosi a favore di Stati
terzi: ad esempio, gli accordi in tema di navigazione di fiumi, canali e stretto, anche se
intercorrono tra un numero limitato di parti, riconoscono la libertà di navigazione per le navi
di tutti gli Stati. Ma questi vantaggi possono essere in qualunque momento revocati ad libitum
dalle parti contraenti, tranne nel caso in cui questi comportamenti vantaggiosi non siano stati
concepiti espressamente come

irrevocabili. Il diritto del terzo di esigere o opporsi all'applicazione di un trattato è sempre stato
negato nella prassi.

Anche la Convenzione di Vienna si conforma al principio dell'inefficacia dei trattati nei


confronti degli Stati terzi, infatti:
• art. 34: "un trattato non crea obblighi o diritti per uno Stato terzo, senza il suo consenso
• art 35: " da una disposizione del trattato puo deriva un obbligo per lo Stato terzo, solo
se l'obbligo è previsto dal trattato e solo se lo Stato terzo ha accettato per iscritto tale
obbligo"
• art 36: attribuisce agli Stati la possibilità di riconoscere, tramite trattato,
comportamenti vantaggiosi a favore di un terzo stato solo se tali comportamenti sono
previsti dal trattato e solo se il terzo stato ha dato il consenso. Il consenso è presunto
fino a prova contraria.
• Art 37: autorizza i contraenti a revocare in qualunque momento il diritto accettato
dallo Stato terzo, a meno che le parti contraenti non ne abbiano in qualche modo
previamente stabilito l'irrevocabilità.

Incompatibilità tra norme convenzionali

Gli Stati, oggi, si trovano a gestire una pluralità di rapporti con altri membri della comunità
internazionale e, dunque, ad essere vincolati da una serie di accordi. Talvolta puo accadere che
due trattati/accordi, aventi ad oggetto la stessa materia, possono essere in contrasto tra di loro.
Infatti, puo accadere che uno Stato si impegni mediante un accordo a tenere un determinato
comportamento e poi, con un accordo con Stati diversi, si obbliga a tenere un comportamento
contrario.

Questa problematica prende il nome di "incompatibilità tra norme convenzionali". A questo


punto, ci si chiede cosa succede in una situazione simile e possiamo dare due risposte:

• Se le parti del secondo trattato sono le stesse identiche parti del primo trattato, allora
vale il principio del lex posterior derogat priori, cioe il trattato successivo (il secondo
trattato, cioè) si sostuisce al trattato precedente
• Se, invece, le parti del secondo trattato non coincidono perfettamente con le parti del
primo trattato, la soluzione si avrà combinando sia il principio della successione nei
trattati nel tempo (lex posterior derogat priori) sia il principio dell'inefficacia del
trattato nei confronti degli Stati terzi. Quindi, in questo caso:
• fra gli Stati che sono stati parte sia del primo che del secondo trattato, si
applica il principio del lex posterior derogat priori, quindi prevale il secondo
trattato
• nei confronti degli Stati contraenti di uno solo dei trattati, rimangono fermi tutti
gli obblighi che derivano da entrambi i trattati. Lo Stato contraente di entrambi i trattati
si troverà in definitiva a dover scegliere se tenere fede agli impegni assunti col primo
oppure a quelli assunti col secondo accordo. Nel momento in cui sceglierà, risulterà
internazionalmente responsabile verso gli Stati del primo accordo o verso gli Stati del
secondo accordo, a seconda della scelta che ha effettuato.

In generale, anche la Convenzione di Vienna accoglie queste due soluzioni, tramite l'articolo
30. Oltre questo articolo, è rilevante poi anche l'art 41, che stabilisce che "le parti di un trattato
multilaterale non possono concludere un nuovo accordo che miri a modificare o abrogare
quello precedente, quando:
• la modifica è espressamente vietata dal precedente accordo
• pregiudica la posizione delle altre parti contraenti
• è incompatibile con l'oggetto o lo scopo del trattato precedente

Occorre sottolineare che l'espressione " non possono" è molto ambigua perché fa pensare che il
successivo acccordo sarebbe invalido. Ma questa interpretazione non è da accogliere perché
l'art 41 non figura tra le cause di invalidità dei trattati. Quindi in realtà, l'art 41 parla solo in
termini di illeceità e responsabilità internazionale.

Per evitare, però, che possano verificarsi delle situazioni del genere, molto spesso gli Stati
ricorrono alle cd."dichiarazioni di compatibilità o di subordinazione", cioe dichiarazioni
contenute in un trattato che disciplinano i rapporti con altri trattati. Infatti l'art.30 al par. 2
stabilisce che "quando un trattato precisa di essere subordinato ad un trattato anteriore o
posteriore o non debba essere considerato come incompatibile con quest’altro trattato,
prevalgono le disposizioni contenute in quest’ultimo.".
Un'importante clausola di compatibilità/subordinazione è quella contenuta all'art 307 del TCE
che dice che "le disposizioni del TCE non pregiudicano diritti/obblighi che derivano da
Convenzioni precedentemente concluse dagli Stati membri. E qualora si verificassero
incompatibilità tra TCE e accordi precedentemente conclusi, gli Stati membri si impegnano a
rimuovere tali incompatibilità, attraverso una reciproca collaborazione".

In tema di incompatibilità delle norme convenzionali, un discorso a parte va fatto per l’art. 103
della Carta delle Nazioni Unite.
In particolare, l’art. 103 precisa che, in caso di contrasto tra un accordo internazionale e la
Carta delle Nazioni Unite, è quest’ultima a prevalere.
In realtà l’art. 103 non si riferisce a tutte le norme contenute nella Carta delle Nazioni Unite ma
solo a quelle che sono diventate ius cogens, cioè a quelle norme elevate al grado di
consuetudine e assolutamente immodificabili, come il divieto di fare ricorso alla violenza o la
tutela dei diritti umani.

Le riserve nei trattati

Attraverso la riserva, lo Stato indica la sua volontà di:


• non accettare determinate clausole del trattato
• oppure di accettarle con alcune modifiche
• oppure di accettarle secondo una determinata interpretazione
(cd.dichiarazione interpretativa)

Quindi, in presenza di una riserva, l'accordo si forma tra lo Stato autore della riserva e gli altri
Stati solo per la parte dell'accordo non colpita da riserva. La riserva, dunque, è un istituto
possibile solo nei trattati multilaterali che ha lo scopo di facilitare una piu larga
partecipazione.
In base al diritto internazionale classico, era possibile apporre una riserva solo nella fase della
negoziazione e quindi doveva figurare nel testo predisposto da parte dei plenipotenziari. Se
questo non accadeva, allora lo Stato non aveva altra alternativa che rataificare o meno il trattato.

Poi, le modalità per apporre le riserve, sarebbero state due:


• o subito al momento della negoziazione lo Stato dichiarava di non voler accettare
alcune clausole (quindi già nel testo del trattato figuravano queste riserve)
• oppure al momento della ratifica o dell'adesione, ma solo se il testo predisposto
dai plenipotenziari prevedeva tale facoltà per gli Stati, indicando tra l'altro gli
articoli che potessero formare oggetto di riserva

Oggi l'istituto si è notevolmente evoluto. La tappa fondamentale si è avuta con un parere della
CIG del 1951 reso all'Assemblea Generale dell'ONU:
• L' Assemblea Generale chiedeva se gli Stati potessero apporre riserve al momento
della ratifica, anche se la Convenzione sulla repressione del genocidio non prevedeva
tale facoltà
• la CIG afferma che si possono apporre riserve anche al momento della ratifica e
anche se questa facoltà non è prevista espressamente dal trattato, purché essa sia
compatibile con l'oggetto e lo scopo del trattato stesso

Questo parere della Corte ha influenzato la redazione del testo della Convenzione di Vienna, la
quale, proprio all'articolo 19, ribadisce questo principio. Inoltre, stabilisce che la riserva puo
essere contestata dalle altre parti contraenti mediante obiezione formulata per iscritto e
comunicata alle altre parti entro 12 mesi: passati 12 mesi, la riserva si intende accettata.
Anceh dopo la Conv.Vienna la disicplina ha continuato ad evolversi, con due novità:
• è stata ammessa la possibilità che le obiezioni possano avere gli effetti piu vari: da
quello piu radicale (volto a impedire la formazione dell'intero accordo tra lo Stato
autore della riserva e lo Stato obiettante) a quello piu meramente precauzionale o
soltanto morale.
• La possibilità che uno Stato possa formulare riserve anche in un momento
successivo rispetto alla ratifica/adesione, purche nessuno Stato sollievi
obiezioni entro 12 mesi

Tuttavia, la piu grande innovazione in materia di riserve è quella che si ricava dalla
giurisprudenza della Corte Europea dei diritti umani, in forza della quale, se lo Stato formula
una riserva inammissibile (o perché è contraria all'oggetto/scopo del trattato, o perché la
facoltà di apporre la riserva è espressamente esclusa dal trattato), tale inammissibilità non
comporta che il trattato non sia valido per quello Stato, ma semplicemente comporta soltanto
l'invalidità della riserva, che quindi viene considerata come non apposta.

Quando alla formazione della volontà di uno Stato partecipano piu organi interni, puo
accadere che l'apposizione di una riserva sia voluta solo da uno di essi, ma non dagli altri. Per
esempio in Italia, a concorrere sono Parlmento e Governo, quindi ci si chiede cosa succede se,
ad esempio:
• il Governo formula una riserva non tenendo conto della volontà del Parlamento o non
voluta dal Parlamento
• il Governo non tiene conto di una riserva contenuta nella legge di
autorizzazione del Parlamento (e quindi voluta dal Parlamento)

A tal proposito, ci sono varie tesi in dottrina:


• Secondo alcuni, il Governo puo apporre tutte le riserve che vuole, anche quelle non
volute dal Parlamento o anche quelle apposte senza consultare il Parlamento,
semplicemente perché esso è il gestore dei rapporti internazionali
• Secondo altri, il Governo non puo formulare riserve non previste dalla legge di
autorizzazione, perche è necessaria che la collaborazione tra Parlamento e Governo,
voluta dall'articolo 80 della Cost, sia effettiva

Il problema potrebbe essere risolto tenendo conto dei due principi che stanno alla base della
stipulazione dei trattati:
• da una parte, il principio di manifestazione della volontà dello Stato all'esterno
• dall'altra, il principio della responsabilità politica del Governo di fronte al Parlamento

Sotto il primo profilo, quindi basandoci sul principio della manifestazione di volontà dello
Stato, non vi è dubbio che una riserva è valida sia se viene formulta autonomamente dal
Governo, sia se viene formulata autonomamente dal Parlamento.

Sotto il secondo profilo (quello della responsabilità del Governo di fronte al Parlamento):
• Se il Governo decide di discostarsi in tema di riserve, da quanto deliberato dal
Parlamento
• Se la decisione del Governo è stata presa, ancora prima di informare il Parlamento
• Se non si tratta di riserve dal contenuto del tutto tecnico o minoris generis
= allora ci sono i presupposti per far scattare i meccanismi di controllo del
Parlamento sul Governo

In definitiva, sul piano internazionale, la riserva è ugualmente valida, indipendetemente da


quale organo l'abbia formulata, perché quello che rileva è la manifestazione all'esterno della
volontà dello Stato. Però, se la riserva è contenuta nella legge di autorizzazione e il Governo
non ne tiene conto e quindi non viene dichiarata dal Governo al momento della ratifica, in
questo caso si avrebbe una violazione grave del diritto interno, con la conseguenza che lo
Stato non resta impegnato per questa parte coperta da riserva, se e fin quando il Parlamento
non abbia revocato esplicitamente o implicitamente la sua riserva.

L'interpretazione dei trattati

In generale, l'interpretazione è quell'attività volta a chiarire il signfiicato di una norma


giuridica.In tema di interpretazione dei trattati, sono due i metodi che dobbiamo tenere in
considerazione: il metodo subbiettivistico ed il metodo obbiettivistico.
• Metodo subbiettivistico: è quel metodo in forza del quale, nell’interpretare un
trattato, occorre necessariamente andare a ricercare la volontà effettiva degli stati
e vedere se coincide con la volontà dichiarata nel trattato.
• Metodo obbiettivistico è quel metodo in forza del quale, nell’interpretare un trattato,
occorre necessariamente andare a ricercare la volontà dichiarata dagli stati nel trattato:
ed in questo metodo di interpretazione, i lavori preparatori assumono un ruolo
importante di sussidio laddove il trattato presenti un testo lacunoso ed ambiguo.

In particolare, la tendenza di oggi è quella di abbandonare il metodo subbiettivistico a


favore del metodo obbiettivistico: quindi oggi l’interpretazione valida è solo quella che
emerge dalle parole del trattato, tralasciando l’effettiva volontà degli stati.
A favore del metodo obbiettivistico si pronuncia anche la Conv.Vienna che regola
l'interpretazione dei trattati agli articoli 31,32,33:

• Art.31:
• par 1: un tratt.deve essere interpretato in buona fede, secondo il significato ordinario
da attribuire ai termini del trattato.. nel loro contesto.. e alla luce dell'oggetto/scopo
del trattato stesso
• par 2: occorre tenere conto anche del contesto in cui il trattato si situa, cioe degli
altri accordi e strumenti posti in essere dalle parti al momento della conclusione
del trattato
• par 3: che occorre tenere conto anche di accordi successivi o di prassi
• par 4: l'unica eccezione alla regola generale del par 1 è quella secondo cui a un
termine del trattato puo attribuirsi un significato particolare, se è certo che questa era
l'intenzione delle parti
• Art 32: I lavori preparatori vanno considerati come mezzo supplementare e integrativo
che puo essere usato quando il testo:
• ha un senso ambiguo o oscuro
• o porta a un risultato manifestamente assurdo o irragionevole
• Art.33: Se il testo del trattato è redatto in più lingue ufficiali, se la comparazione tra i
vari testi rivela una diversità di significati, va adottato il significato che meglio
concilia tutti i testi, tenuto conto dell’oggetto e dello scopo del trattato medesimo.

Nell’interpretare un trattato, a parte il ricorso al metodo obbiettivistico, occorre anche seguire


quelle regole elaborate dalla teoria generale del diritto sull’interpretazione delle norme
giuridiche: in particolare, la regola secondo cui tra piu interpretazioni ugualmente possibili va
scelta quella piu favorevole alla parte piu onerata o al contraente piu debole (principio del favor
debitoris)

Nell'interpretare un trattato, oggi, l'interprete, puo anche ricorrere all'interpretazione


estensiva, nonché ad un particolare tipo di interpretazione estensiva che è l’analogia: oggi,
infatti, l’opinione secondo cui i trattati vadano interpretati sempre restrittivamente viene
progressivamente abbandonata perché si ritiene che un’interpretazione restrittiva dei trattati
costituisca una limitazione della sovranità degli stati.
L’interpretazione estensiva, con particolare riferimento ai trattati istitutivi delle organizzazioni
internazionali, ha gettato le basi per la nascita della teoria dei poteri impliciti., che si è
sviluppata in seno alla Corte Suprema degli USA, e poi accolta anche dalla CIG e dalla CGUE.
In base a questa teoria: ogni organo dispone non soltanto di poteri espressamente
attribuitigli dalle norme costituzionali, ma anche di tutti i poteri che, anche se non sono
previsti, sono comunque necessari per l'esercizio dei poteri espressi.
Ad esempio, anche l'art 308 del trattato CE afferma che "quando un'azione risulti
necessaria per raggiungere uno degli scopi della Comunità, senza che il trattato stesso
abbia previsto i poteri di azione necessari a tal fine, allora il Consiglio:
• deliberando all'unanimità
• su proposta della Commissione
• e dopo aver consultato il Parlmento Europeo
= prende le disposizioni del caso

Tuttavia, Conforti ritiene che la teoria dei poteri impliciti costituisca di fatto una
eccessiva dilatazione dell’interpretazione estensiva perché potrebbe suscitare
l’opposizione degli Stati membri di organizzazioni internazionali, nel momento in cui
l'organizzazione stessa voglia rafforzare i propri poteri.

La Convezione di Vienna non avalla interpretazioni unilateralistiche dei trattati: cioè la


Convenzione esclude che una determinata norma contenuta in un trattato internazionale possa
essere oggetto di diversi significati a seconda del diritto interno dello stato contraente, salvo
che non sia la stessa norma a prevederlo.

La successione degli Stati nei trattati

Il problema della successione degli Stati nei trattati sorge quando uno Stato si sostuituisce ad
un altro, nel Governo di un territorio. La successione si puo verificare in vari modi, per
esempio puo accadere che:
• una parte di territorio di uno Stato passi,in seguito a cessione o conquista, sotto
un altro Stato
• oppure puo accadere che questa parte di territorio si stacchi dal suo Stato e
costituisca un nuovo Stato
• oppure ancora puo accadere che l'intero territorio di uno Stato si fonda con un alto
Stato oppure si smembri, dando vita a piu Stati.
Ci si chiede, allora, se questo nuovo Stato è vincolato dai trattati stipulati dal predecessore o
meno. Alla successione degli Stati nei trattati è stata dedicata la Conv.Vienna del 1978, che è
stata ratificata da soli 22 Paesi tra cui non figura l'Italia. Innanzitutto tale Conv si applica alle
successioni che si sono verificate dopo l'entrata in vigore della Convenzione stessa e quindi
dopo il 1978, appunto.
Non è però richiesto che lo Stato, al momento della successione, abbia gia aderito alla Conv..
infatti puo farlo anche dopo. In questo modo, la sua adesione retroagisce fino al momento in cui
la successione è avvenuta, sempre purché sia avvenuta quando la Convenzione era gia in
vigore.
Tra l'altro, uno Stato successore puo perfino dichiarare di voler applicare la Convenzione ad
una successione avvenuta prima del 1978, ma questo è possibile solo e soltanto se le altre parti
decidono di accettarla.

La Convenzione distingue tra trattati localizzabili e trattati non localizzabili.

Trattati localizzabili

I trattati localizzabili sono quei trattati che hanno ad oggetto l'uso di determinate parti di
territorio: in questo caso, la Convenzione afferma il principio in base al quale lo Stato che
subentra ad un altro nel Governo di un territorio, è vincolato ai trattati localizzabili conclusi
dal predecessore.

In questa categoria rientrano:


• i tratt che istituiscono servitu nei confronti degli Stati vicini
• i trattati che concedono in affitto parti di territorio
• i trattati che riconoscono la liberta di navigazione
• i trattati che prevedono la smilitarizzazione di certe aree
• i trrattati che prevedono costruzioni di opere sul confine
• i trattati che fissano le frontiere tra Stati vicini

A proposito pero di questi ultimi (dei trattati che fissano le frontiere), Conforti ritiene che non
siano trattati localizzabili, perche gli effetti di questo tipo di trattati si esauriscono gia nel
momento in cui la frontiera è determinata e quindi non possono essere oggetto di successione.
Tuttavia, l'obbligo di rispettare le frontiere stabilite dal predecessore:
• è generalmente sentito dalla comunità internazionale
• e tra l'altro, nell'Assemblea Generale dell'ONU è stato piu volte affermato che gli
Stati membri si impegnano a rispettare la sovranità e l'integrità territoriale di
ciascuno Stato e i confini esistenti, al momento dell'acquisto dell'indipendenza

La successione nei trattati localizzabili, tuttavia, incontra un limite quando si tratta di un trattato
localizzabile avente natura politica: cioe un trattato strettamente legato al regime vigente prima
del cambio di sovranità. Rientrano in queste ipotesi i trattati che concedono parti di territorio
per l’installazione di basi militari straniere.
In realtà, si tratta dell’applicazione, in materia successoria, del principio generale "rebus sic
stantibus" , in forza del quale un trattato si estingue quando mutano radicalmente le circostanze
iniziali esistenti al momento della sua conclusione, purché si tratti di circostanze essenziali
senza le quali gli Stati contraenti non sarebbero stati indotti a concludere il trattato.

Pertanto, qualora il trattato localizzabile abbia natura politica, lo stato successore non è
vincolato al rispetto del trattato medesimo.

Trattati non localizzabili

Sempre piu spesso la successione degli stati nei trattati non localizzabili viene regolata
convenzionalmente, quindi, attraverso appositi accordi tra lo stato subentrante e le altre parti
contraenti.
Tuttavia la dottrina maggioritaria ritiene che per questi trattati la regola generale da seguire sia
quella della c.d. tabula rasa: cioè quella regola in forza della quale lo Stato che subentra ad un
altro nel governo di un territorio non è vincolato, in linea di principio e salvo eccezioni, al
rispetto dei trattati non localizzabili stipulati dal predecessore.

Nonostante per la dottrina maggioritaria sia questa la regola da applicare, la Convenzione di


Vienna del 1978 contiene una particolarità perche distingue:
• gli Stati nuovi sorti dalla decoloniazzione: per questi la regola sarebbe quella della
tabula rasa
• gli Stati preesistenti: per questi la regola sarebbe quella della continuità dei trattati

= Tuttavia questo trattamento differenziato in realtà non trova corrispondenza nel diritto
consuetudinario, visto che in linea di massima sia i primi che i secondi seguono la regola della
tabula rasa.

Ci sono varie ipotesi di mutamento di sovranità:


• NEL CASO DI DISTACCO DI PARTI DI TERRITORIO, cioe il caso in cui una
parte di territorio si distacca, per effetto di cessione o di conquista, e si aggiunge al
territorio di un altro Stato. In questo caso si applicano due principi:
• quello della tabula rasa
• quello della mobilità delle frontiere
La parte di territorio che si è distaccata non è più vincolata al rispetto dei trattati
conclusi dallo stato a cui apparteneva prima (tabula rasa), per contro, invece, a questa
parte di territorio distaccatosi si estendono automaticamente i trattati conclusi dallo
stato che ha acquistato quella parte di territorio (mobilità delle frontiere).
• NEL CASO DI SECESSIONE: Si ha quando una parte del territorio di uno Stato si
distacca e, anziché aggiungersi ad un altro Stato preesistente, da vita ad uno o a più
Stati nuovi. In questo caso, allo Stato nuovo si applica il principio della tabula rasa,
quindi, lo Stato nuovo nato per secessione non è vincolato al rispetto dei trattati
stipulati dallo stato a cui apparteneva prima.
In particolare, bisogna specificare che il principio della tabula rasa ha un'applicazione
integrale per quanto riguarda i trattati bilaterali ed i trattati multilaterali chiusi stipulati dallo
stato predecessore: ciò vuol dire che, qualora il nuovo stato decidesse di mantenere in vita
questi trattati lo potrà fare ma solo attraverso un nuovo accordo con le altre parti contraenti.

Per quanto riguarda, invece, i trattati multilaterali aperti (cioe quelli con la clausola di
adesione), il nuovo Stato nato per secessione, se vuole mantenere i precedenti accordi, potrà
farlo semplicemente aderendo. La conseguenza però sarà che in questo modo partecipa al
trattato in qualità di stato nuovo: l’adesione, infatti, opera con efficacia ex nunc, cioè opera pro
futuro e, quindi, irretroattivamente.

Tuttavia, il nuovo Stato, sempre per mantenere in vita i trattati, potrebbe seguire una strada
diversa da quella dell'adesione, cioe quella della cd."notificazione di successione": il nuovo
Stato notifica agli altri Stati contraenti questa dichiarazione, in cui afferma di
subentrare/succedere nei trattati

stipulati dallo Stato predecessore. In questo modo, il nuovo Stato fa retroagire gli effetti del
trattato al momento in cui questo ha acquistato l'indipendenza: la notificazione di successione
infatti opera ex tunc, cioe retroattivamente.
Quindi in definitiva le conseguenze sono diverse, a seconda che il nuovo Stato decidi di optare
per:
• l'adesione: in questo caso lo Stato partecipa al trattato come nuovo Stato, ma ha
efficacia irretroattiva, quindi opera solo per il futuro
• notificazione di successione: in questo caso lo Stato partecipa al trattato non come
nuovo Stato, ma come successore dello Stato predecessore, quindi ha efficacia
retroattiva (ex tunc)

La notificazione costituisce quindi una deroga al principio della tabula rasa, ma c'è anche
un'altra deroga: gli "accordi di devoluzione", che sono degli accordi tra il nuovo Stato e lo
Stato predecessore, con il quale il nuovo Stato si impegna a subentrare nei trattati stipulati dal
predecessore: ovviamente questo accordo vincola solo questi due Stati e non gli altri Stati
contraenti. Gli accordi di devoluzione vanno intesi nel senso che, attraverso gli stessi, il nuovo
Stato si impegna a compiere tutti i passi necessari affinché tali trattati vengano rinnovati anche
dalle altre parti contraenti: pertanto, gli accordi di devoluzione danno vita ad un’obbligazione
di mezzi, non anche di risultato.

• La terza ipotesi di mutamento di sovranità è lo SMEMBRAMENTO: la differenza


con la secessione è che:
• la secessione non comporta l'estinzione dello Stato
• lo smembramento invece comporta l'estinzione dello Stato e si formano due o
piu Stati nuovi

Siccome, al di là di questa differenza, la conseguenza che si verifica è uguale per entrambe


(cioè la divisione del territorio e della popolazione), l'unico criterio per distinguere le due
ipotesi è il "criterio della continuità o meno dell'organizzazione di Governo preesistente":
infatti, affinche si possa parlare di smembramento occorre che NON vi sia una continuità tra
l'organizzazione di Governo dei nuovi Stati e l'organizzazione di Governo dello Stato
precedente. In definitiva, quindi, occorre che tutti i nuovi Stati abbiano un'organizzazione di
Governo diversa da quella dello Stato precedente.

Un esempio di smembramento e non di secessione è dato dall'impero astroungarico dopo la I


guerra mondiale: nessuno dei nuovi Stati conservò la stessa organizzazione di Governo
dell'Impero. Un altro esempio è dato anche dalla dissoluzione dell'URSS.

Per quanto riguarda la successione degli Stati nei trattati (sempre trattati non localizzabili),
anche nel caso dello smembramento viene applicato il principio della tabula rasa. Tuttavia,
questo principio è temperato dalll regola secondo cui, per i soli trattati multilaterali aperti, i
nuovi Stati hanno la facoltà di subentrare nel trattato, attraverso la notificazione di
successione, dividendo ciascuno pro quota i debiti contratti dallo Stato preesistente con gli
altri Stati esteri.

• Altre ipotesi di mutamento di sovranità sono poi date dalla


FUSIONE E INCORPORAZIONE:
• Si ha incorporazione: quando uno Stato si estingue e viene incorporato da parte di un
altro Stato
• Si ha fusione: quando 2 Stati si estinguono, si fondono e danno vita a un nuovo Stato

Poiché anche in questo caso la distinzione è molto sottile, anche qui viene applicato il criterio di
continuità dell'organizzazione di Governo preesistetnte: quindi per parlarsi di incorporazione

occorre che vi SIA continuità tra l'organizzazione di Gov dello Stato incorportato e quello
incorporante: cioè, in pratica, occorre che al termine del processo di incorporazione si abbia
la stessa organizzazione di Governo

Per quanto riguarda la successione nei trattati: all’incorporazione e fusione si applicano i


principi della tabula rasa e della mobilità delle frontiere: quindi, lo stato incorporato non è più
vincolato al rispetto dei trattati da esso conclusi in precedenza (tabula rasa), inoltre, allo stato
incorporato sono estesi automaticamente i trattati stipulati dallo stato incorporante (mobilità
delle frontiere).
Per quanto riguarda la fusione, lo stato nato per fusione nasce libero da ogni tipo di impegno
pattizio.

Un’eccezione al principio della tabula rasa con riferimento sia ai casi di incorporazione chedi
fusione, si ha tutte le volte che lo stato incorporato o che si è andato a fondere con un altro,
nonostante si sia estinto come soggetto di diritto internazionale, mantenga un certo grado di
autonomia all’interno dello stato incorporante o dello stato nuovo, determinato, ad esempio, da
un vincolo di tipo federale.
In tal caso, la prassi internazionale, in deroga al principio della tabula rasa, depone a favore
della continuità dei trattati i quali, però, hanno un’efficacia limitata al solo stato
incorporato o fusosi e sempre che tale limitazione non sia incompatibile con lo scopo o
l’oggetto del trattato stesso.

• MUTAMENTO RADICALE DI GOVERNO: Un problema di successione degli stati


nei trattati si pone anche nel caso in cui, anziché aversi un mutamento della sovranità
(distacco di parti di territorio, secessione, smembramento, incorporazione e fusione) si
ha, invece, un mutamento radicale della forma di governo. In questo caso, ci si chiede
cosa succede ai trattati se, anziché mutare la sovranità, si ha un mutamento radicale
della forma di governo precedente. È bene ricordare che quando si ha un mutamento
radicale della forma di governo per vie extralegali e si instaura un regime radicalmente
diverso da quello precedente (ad es. rivoluzione bolscevica in Russia nel 1917 ovvero
colpo di stato in Cile ad opera di Pinochet nel 1978), muta anche la persona dello stato
perché questi non si va più ad identificare con l’organizzazione di governo
preesistente.
In tal senso, la prassi internazionale ritiene che quando muta radicalmente la forma di
governo, nonostante muti anche la persona dello stato, comunque, il nuovo governo lo
stesso subentra nei trattati stipulati dal governo predecessore, ad eccezione dei trattati
che abbiano natura politica, cioè quei trattati che siano strettamente connessi al regime
che vigeva prima. In realtà, come già detto, più che di un’eccezione autonoma, si
tratta dell’applicazione, in materia successoria, del principio generale rebus sic
stantibus, in forza del quale un trattato si estingue quando mutano/cambiano
radicalmente le circostanze iniziali esistenti al momento della sua conclusione, purché
si tratti di circostanze essenziali senza le quali gli stati contraenti non sarebbero stati
indotti a concludere il trattato.

Cause di invalidità dei trattati

Le cause di invalidità dei trattati sono molto simili a quelle dettate per i contratti, quindi
abbiamo:
• l'errore essenziale (art.48 Conv.Vienna dice che l'errore consiste in un fatto/situazione
che lo Stato suppone esistente al momento della conclusione del trattato e che lo Stto
riteneva essenziale, cioe costituiva la base del suo consenso
• il dolo (si ha quando uno Stato stipula un trattato perché è stato indotto dalla
condotta fraudolenta di un altro Stato)

• violenza fisica o morale sull'organo stipulante

A proposito della violenza:


la Conv.Vienna parla della violenza affermando che "è nullo qualsiasi trattato la cui
conclusione è stata ottenuta con la minaccia o l'uso della forza in violazione dei principi della
Carta ONU: principi che ammettono l'uso della forza solo per respingere un attacco armato) .
Col tempo si è
andata diffondendo una tesi, in base alla quale la violenza in generale non influiva sulla
validità del trattato, prendendo come argomento principale il fatto che i trattati di pace
(stipulati per evitare guerre e quindi violenze) fossero perfettamente validi
In realtà questa tesi non convince perché il trattato di pace:
• è stipulato ad attività belliche concluse
• è semplicemente un trattato tra parti ineguali (vincitori e vinti), cioe un trattato in
cui una parte ha piu potere rispetto all'altra
• inoltre il trattato di pace potrebbe anche non essere mai stipulato

Quindi alla luce di queste considerazioni si ritiene che l'argomento del trattato di pace, come
argomento principale a sostegno della tesi secondo cui la violenza non influisce sulla validità
di un trattato, va rigettato. Infatti anche la CIG ha dichiarato espressamente che "un accordo
concluso con la minaccia o l'uso della forza è nullo".

Quando si parla di violenza su uno Stato come causa di invalidità dell'accordo, ci riferiamo
alla forza armata. Non rientrano quindi nella nozione di "violenza" pressioni di altro genere,
come ad esempio le pressioni politiche ed economiche.

Per la precisione, quando parliamo della minaccia o dell’uso della forza (armata), come
causa di invalidità dei trattati, facciamo riferimento all’uso della forza nei rapporti
internazionali: infatti, solo questo uso “internazionale” della forza è causa di invalidità dei
trattati.
Quindi:
• una cosa è questo uso “internazionale” della forza
• un’altra cosa è, invece, l’uso “interno” della forza, cioè l’esercizio dei poteri di
governo, comprese misure di carattere coercitivo sugli individui.

E se uno stato sottopone a misure detentive i cittadini di un altro stato presenti sul proprio
territorio, queste misure sicuramente costiuiscono una violazione delle norme sul trattamento
degli individui, ma non si ripercuote sulla invalidità di eventuali trattati. Pertanto, è solo la
minaccia o l’uso della forza armata nei rapporti internazionali degli Stati che si ripercuote
sull’invalidità dei trattati internazionali.

Cause di estinzione dei trattati

Sono cause di estinzione dei trattati:


• il verificarsi di una condizione risolutiva
• la scadenza del termine finale
• denuncia o recesso
• sopravvenuta impossibilità dell'esecuzione del trattato
• inadempimento della controparte
• abrogazione, totale o parziale, espressa o per incompatibilità, mediante accordo
successivo tra le stesse parti

• Poi, come causa di estinzione, viene considerata anche la cd.clausola rebus sic
stantibus: cioe si ritiene che il trattato si estingua in tutto o in parte, per il mutamento
delle circostanze di fatto esistenti al momento della stipulazione, purche si tratti di
circostanze essenziali, senza le quali i contraenti non avrebbero stipulato il trattato o
una parte del trattato.
Questa è una clausola che:
• se è stata espressamente prevista nel trattato, non crea problemi perché ci troviamo
difronte ad una condizione di estinzione dei trattati stabilita dalle parti.
• Il problemi sorgono laddove le parti non abbiano previsto tale clausola e tuttavia
cambiano le circostanze iniziali esistenti al momento della conclusione del trattato.

In quest’ultimo caso, anche se le parti non l’avevano previsto, il trattato si estingue


ugualmente: l’art. 62 della Conv.Vienna, infatti, stabilisce che "il trattato, anche in
assenza di espressa previsione, si estingue se cambiano le circostanze iniziali esistenti al
momento della sua
conclusione e purché tali circostanze costituiscono la base essenziale del consenso degli
Stati": Conferma dell’applicazione di tale clausola, anche in assenza di una sua espressa
previsione, è data da una sentenza della CIG nel caso Gabcikovo-Nagymaros (Ungheria c.
Slovacchia).

Sempre l'articolo 62 poi stabilisce che il mutamento delle circostanze non è causa di
estinzione di un trattato che fissa le frontiere. Secondo il Conforti, pero, questa
puntualizzazione non ha senso perché i trattati che fissano le frontiere esaurisono i loro
effetti gia nel momento stesso in cui le frontiere vengono fissate. Quindi, dopo che la
frontiera viene tracciata, questa viene rispettata non in virtu del diritto dei trattati, bensì per
rispetto del principio sulla sovranità territoriale.

Si discute poi se, tra le applicazioni della clausola rebus sic stantibus, vi sia anche l'ipotesi
della guerra. E' ovvio che i trattati conclusi tra gli Stati belligeranti prima della guerra,
durante la guerra si sospendono. Allora ci si chiede se questi trattati si estinguono una volta
cessata la guerra e ripristinata la pace. In poche parole, ci si chiede quindi se la guerra
determina solo la sospensione del trattato oppure si estinue definitivamente.
InItalia, la prima volta che ci si pose questo problema fu alla fine dells seconda guerra
mondiale. Si ebbe una soluzione parziale con l'art.44 del trattato di pace del 1947: questo
art.stabilì che le potenze vincitrici, entro 6 mesi, dovevano notificare all'Italia quali accordi
bilaterali intendessero mantenere; quelli che non veniva notificati, dovevano considerarsi
abrogati. Occorre sottolineare, quindi che quesa soluzione riguardava solo ed esclusivamente
gli accordi bilaterali. Non quelli multilaterali .

La regola classica, comunque, sarebbe quella dell'estinzione dei trattati. Ma negli ultimi
tempi, questa regola si sta affievolendo a favore di una prassi che individua nel principio
rebus sic stantibus l'unico modo per capire se la guerra ha estinto i trattati o meno. Occorre,
dunque, verificare di volta in volta se la guerra ha determinato un cambiamento radicale delle
circostanze iniziali, sempre purche si tratti di circostanze essenziali del consenso dello Stato.

Quando si verifica unaa causa di invalidità o estinzione di un trattato, a questo punto bisogna
chiedersi se il trattato si estingue automaticamente oppure bisogna seguire una determinata
procedura. Il problema è molto controverso in dottrina, perché:
• alcuni sostengono che determinate cause determinano l'estinzione automatica del
trattato (per esempio la scadenza del termine o perché c'è stato un nuovo accordo
successivo tra le stesse parti)
• altri autori rintengono che sia sempre necessario, in qualunque caso, un formale
atto di denuncia da notificare agli altri Stati

• altri ancora sostengono che, quando in seguito a denuncia da parte di uno Stato
vengono sollevate obiezioni da parte degli altri Stati, il trattato deve restare ancora
in vigore fino a quando la causa di invalidità o estinzione sia stata accertata in
modo imparziale

Tra l'altro, a complicare le cose, contribuisce anche la Conv.Vienna, perché:


• da un lato, per far valere l'invalidità o l'estinzione del trattato prevede una procedura
che però è del tutto ignota al diritto consuetudinario (piuttosto quest'ultimo prevede
l'atto di denuncia)
• dall'altro lato, questa procedura per far valere l’invalidità o l’estinzione dei trattati
non è realmente in grado di risolvere le controversie tra gli Stati, in ordine
all’invalidità o all’estinzione dei trattati.

Secondo il Conforti, comunque, tra tutte le soluzioni della dottrina, quella da seguire è quella
in forza della quale il trattato si estingue automaticamente.
Questa automaticità, però, opera con un limite ben preciso: infatti, chiunque debba applicare un
trattato (operatore giuridico interno) puo decidere se il trattato è ancora in vigore oppure si è
estinto: ma questa decisione (ed è questo il limite dell'automaticità) vale solo per il singolo caso
concreto, cioè non è vincolante per i casi successivi.
Tttavia, è chiaro che la decisione dell'interprete, anche se i suoi effetti sono limitati al caso
concreto, puo avere conseguenze anche a livello internazionale, creando anche proteste,
misure di ritorsione e rappresaglie da parte di quegli Stati contraenti che invece ritengono
che il trattato sia ancora valido ed efficace.
Così intesa, dunque, l'automaticità NON è alternativa alla procedura della denuncia.

Denuncia

La denuncia è l'atto formale che va notificato agli altri Stati, con cui lo Stato manifesta
unilateralmente la volontà di non sentirsi più vincolato al trattato.
Ci si chiede se la sola denuncia sia sufficiente a determinare la cessazione del vincolo. Non si
puo dare una risposta in termini assoluti ma relativi: infatti, di sicuro la denuncia vincola gli
organi interni dello Stato denunciante a disapplicare il trattato (cd."disapplicazione interna").
Inoltre, affinché la denuncia comporti questi effetti (cioé vincolare gli organi interni) occorre
che essa provenga dagli organi costituzionalmente competenti a manifestare la volontà nei
rapporti internazionali.

Per determinare quali sono gli organi competennti, bisogna guardare ai principi costituzionale
di ciascuno Stato. Ad esempio, in Italia è il Governo.
In particolare, si discute se per la denuncia di quei trattati che rientrano nelle categorie
previste dall' art. 80 Cost. il governo debba necessariamente richiedere la preventiva legge di
autorizzazione da parte del parlamento, come per la ratifica: la prassi ed i lavori preparatori
dell’art. 80 depongono a favore della tesi negativa.
Quindi, il governo può denunciare qualunque sia in tipo di trattato, anche quelli che rientrano
nella categoria ex art. 80 Cost.
Tuttavia, la prassi si sta evolvendo a favore di una necessaria collaborazione tra governo e
parlamento, fermo restando che, qualora vi fossero dissidi tra i due organi costituzionali in
merito alla volontà di denunciare, per la prassi è sempre il governo l’organo competente a
denunciare.

La procedura per far valere l'invalidità o l'estinzione dei trattati è prevista dalla Conv.Vienna
agli arti 65 e seguenti:
• lo Stato che invoca una causa di invalidità/estinzione deve notificare per iscritto
alle altre parti contraenti con cui specifica la sua pretesa causa di invalidità o
estinzione
• Se trascorrono 3 mesi dalla notifica e nessuno Stato ha sollevato obiezioni, allora lo
Stato

denunciante puo dichiarare definitivamente che il trattato è da ritenersi invalido o


estinto, con un proprio atto comunicato agli altri Stati e sottoscritto dal Capo dello
Stato o del Governo oppure dal Ministro degli Esteri
• Se invece durante questi 3 mesi vengono sollevate obiezioni, lo Stato denunciante e
le altre parti contraenti devono cercare una soluzione della controversia con mezzi
pacifici (negoziati, arbitrati, conciliazione) entro 12 mesi
• Se questi 12 mesi passano inutilmente senza che le parti abbiano trovato una
soluzione, ciascuna parte puo mettere in moto una procedura conciliativa:
• che fa capo alla commissione di concliazione ONU che però non emette una
decisione obbligatoria, ma solo una mera esortazione
• una decisione obbligatoria si puo avere solo dalla CIG su ricorso unilaterale, solo nel
caso in cui la pretesa invalidità o estinzione del trattato si basi su una norma di ius
cogens.

Poiché la Conv.Vienna non dice nulla nel caso in cui il rapporto della Commissione di
conciliazione venga respinto dagli Stati, si ritiene che in una situazione del genere la pretesa
causa di invalidità/estinzione resti paralizzata in perpetuo ma i giudici interni non sono mai
vincolati e costretti alla paralisi.
[Importante: questa procedura si sostituisce al tradizionale atto di denuncia,a meno che tale
procedura non sia espressamente esclusa dal trattato oppure il trattato non ne preveda un'altra]

Le fonti previste da accordi. Il fenomeno delle organizzazioni internazionali. Le Nazioni


Unite

I trattati possono contenere norme materiali, ma anche norme formali/strumentali, ossia norme
che istituiscono ulteriori:
• procedimenti
• o fonti di produzione di norme

L'esempio piu importante è fornito dalle organizzazioni internazionali: quando


un'organizzazione internazionale è abilitata dal trattato che le dà vita a emanare norme
vincolanti per gli Stati membri, siamo in presenza di una "fonte prevista da accordi"
(fonte di 3° grado)
Va precisato però che le organizzazioni internazionali non nascono per emanare norme, ma
piuttosto:
• per favorire la collaborazione tra Stati: predisponendo progetti di Convenzione che
poi gli stessi Stati sono liberi di tradurre in norme giuridiche attraverso la ratifica
• ma anche per emanare raccomandazioni, che hanno valore di mera esortazione e
quindi non sono vincolanti: queste possono essere prese a maggioranza, anche se
ultimamente si è andata diffondendo la pratica del "consensus" che consiste
nell'approvare una risoluzione senza una votazione formale, ma con dichiarazione del
Presidente dell'organo, che attesta l'accordo tra gli Stati membri.

Tra le piu importanti organizzazioni sovranazionali, prima tra tutte ricordiamo l'ONU, che è
stata fondata dopo la 2 guerra mondiale. Nel 1945 la Conferenza di San Francisco ha elaborato
la Carta ONU, che venne ratificata via via da quasi tutti gli Stati del mondo.

L'art 7 della Carta ONU elenca gli organi principali di questa organizzazione:
• l''Assemblea Generale
• il Consiglio di Sicurezza
• Il Consiglio economico e sociale
• il Consiglio di Amministrazione fiduciaria
• la CIG (Corte Internazionale di Giustizia)

• il Segretariato

I piu importanti, comunque, sono i primi due: Assembea Generale e Consiglio di Sicurezza.

Il Consiglio di Sicurezza

E' composto da 15 membri, di cui:


• 5 siedono a titolo permanente (Russia, Cina, USA, Gran Bretagna, Francia) e
possiedono anche il diritto di veto, ossia il diritto di bloccare col loro voto negativo
qualsiasi decisione del Consiglio di Sicurezza che non abbia carattere procedurale
• gli altri 10 membri sono eletti a turno, ogni 2 anni

Il compito principale del Consiglio è quello di mantenere la pace e la sicurezza internazionali,


infatti proprio per questo motivo è l'unico organo dotato di poteri vincolanti.

L' Assemblea Generale

E' l'unico organo plenario dell'ONU (cioe dove siedono i rappresentanti di tutti gli Stati
membri) i quali votano nel rispetto del principio di eguaglianza (ogni Stato ha diritto a 5
rappresentanti ma dispone di un solo voto).

L'Assemblea ha competenza generale in ogni campo che riguarda l'attività dell'organizzazione e


puo emanare solo atti non vincolanti: cioè le risoluzioni, che si distinguono in:
• raccomandazioni
• dichiarazioni di principi

Il Consiglio Economico e Sociale

Coordina tutte le attività svolte dalle Nazioni Unite nel settore economico e sociale

Consiglio di Amministrazione Fiduciaria

• Un tempo questo organo si occupava di avviare i territori posti sotto la sua protezione,
verso una forma di autogoverno o di indipendenza.
• Oggi invece, anche se formalmente non è stato eliminato, ha cessato di operare nel 1994

Segretariato

E' l'organo esecutivo dell'ONU. A capo di questo organo vi è il Segretario Generale che è il
rappresentante dell'organizzazione all'esterno ed è nominato dall'Assemblea Gnerale, su
proposta del Consiglio di Sicurezza

Corte Internazionale di Giustizia

E' composta da 15 giudici e svolge una doppia funzione:


• dirimere le controversie tra Stati
• funzione consultiva, perche puo dare pareri sia all'Assemblea Generale che al
Consiglio di sicurezza: ma questi pareri non sono ne obbligatori nè vincolanti

Le competenze dell'ONU sono elencate all'art 1 della Carta ONU. Secondo il Conforti è meglio
distinguerle in tre grandi settori, cioè distinguerle per "ratione materiae"
• Mantenimento della pace
• Sviluppo delle relazioni amichevoli tra gli Stati, fondate sui principi di
eguaglianza e autodeterminazione dei popoli
• Collaborazione in campo: *economico; *sociale; *culturale

Per adempiere a tutte queste funzioni, l'ONU non ha poteri vincolanti e quindi:
• emana raccomandazioni non vincolanti
• predispone progetti di Convenzioni

Tuttavia, esistono dei casi, anche se rari, in cui l'ONU puo emanare decisioni vincolanti
per gli Stati membri e che, in quanto tali, possono allora essere inquadrate nella categoria
delle "fonti previste da accordi".
In particolare..

• l' Assemblea Generale puo emanare decisioni vincolanti in 2 casi:


• nella ripartizione delle spese dell'organizzazione tra gli Stati membri
• per decidere sulle modalità e i tempi per la concessione dell'indipendenza di
territori sotto dominio coloniale
= in entrambi i casi occorre la maggioranza dei 2/3 dell'Assemblea
• Il Consiglio di Sicurezza, invece, puo adottaree solo le decisioni vincolanti
contenute nel capitolo VII della Carta ONU, il cui nucleo centrale è costituito dagli
artt. 41 e 42: cioe misure implicanti e non implicanti l'uso della forza contro uno
Stato che abbia anche solo minacciato la pace :
• l'art 41: attribuisce al Consiglio il potere di decidere quali misure NON implicanti
l'uso della forza armata devono essere adottate dagli Stati membri contro uno Stato
che abbia minacciato la pace, cioè le sanzioni, che possono consistere: * nella
rottura delle relazioni diplomatiche; * nell'interruzione totale o parziale delle
relazioni economiche e delle comunicazioni ferroviarie/marittime/aeree/radio
• l'art 42 invece gli attribuisce il potere di decidere quali misure implicanti l'uso della
forza armata devono essere adottate

L'Unione Europea e il diritto comunitario

Decisamente vincolanti sono gli atti di alcuni degli organi dell’Unione Europea, che si
delineano quindi come chiari esempi di fonti di norme internazionali previste da accordi.
La nascita della comunità Europea risale al 1951 quando venne istituita, con il Trattato di Parigi, la
CECA (Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio).Ad essa segui la nascita della CEE (Comunità
Economica Europea), istituita con il Trattato di Roma del 1957 e poi trasformata in UE (Unione
Europea); infine venne istituita l’EURATOM (Comunità Europea dell’Energia Atomica).
I tre Trattati originari hanno subito significativi cambiamenti a seguito dell’adozione di
modifiche sostanziatesi in nuovi Trattati, fino all’adozione del Trattato di Lisbona, entrato in vigore il
1° dicembre del 2009. Il Trattato di Lisbona ha disposto l’estinzione della CEE e la creazione di
un’unica comunità: L’Unione Europea (solo il trattato istitutivo dell’EURATOM rimane in vigore).
Attualmente sono 28 gli Stati membri dell’Unione Europea; a questi bisogna aggiungere 4 paesi
candidati (Islanda, Macedonia, Montenegro e Turchia ). I Paesi fondatori dell’UE sono 6:
Belgio, Francia, Germania, Italia, Lussemburgo, Olanda.
Ritornando al Trattato di Lisbona esso è in realtà composto da due diverse parti: una di
modifica al Testo Unico Europeo (TUE) e una che integra il Testo unico per il funzionamento
dell’UE (TFUE). Il TFUE riproduce molte delle norme contenute nel Trattato di Roma del 1957
istitutivo della Comunità Europea (chiamato comunemente TCE). Riprendendo delle norme già in
vigore all’epoca della CEE, il TFUE garantisce la libera circolazione di merci, persone, servizi e
capitali creando un unico mercato interno; garantendo la libera concorrenza attraverso norme
antitrust; attuando una politica comune in agricoltura, trasporti e commercio, assegnando maggiori
poteri al Parlamento Europeo; riconoscendo ai cittadini dei Paesi membri la cittadinanza Europea
(fonte di nuovi diritti come quello a circolare e soggiornare liberamente nel territorio comunitario).
Il TFUE prevede inoltre una possibilità, già contenuta in precedenti Trattati, che fra alcuni degli stati
membri si raggiunga una “cooperazione rafforzata” (si pensi come esempio alla creazione di una
politica monetaria comune che previde l’adozione di una moneta unica, l’Euro, utilizzata solamente da
alcuni dei Paesi membri). Questa possibilità ha creato il fenomeno dell’“Europa a più velocità”.
Infine si ricordi l’importanza che le norme del TFUE ha avuto per quello che era uno dei pilastri su cui
si poggiava la Ce (la politica estera e sicurezza comune, in sigle PESC). Il Trattato di Lisbona prevede
una cooperazione fra i Saesi membri per il mantenimento della pace, una sempre più completa
integrazione giudiziaria, una cooperazione rafforzata nell’ambito della sicurezza interna dei singoli Stati
e della persecuzione dei crimini di rilievo internazionale.
Nonostante il tentativo del Trattato di Lisbona di migliorare la coesione fra i Paesi
membri, bisogna ricordare alcune note dolenti:
-)anzitutto il fatto che la stragrande maggioranza delle norme contenute nel TUE e nel
TFUE hanno natura programmatica e rischiano dunque di rimanere lettera morta se non verranno
attuate dagli organi dell’UE.
-)inoltre bisogna sottolineare l’ostruzionismo attuato da alcuni Paesi membri, come la Gran
Bretagna o la Polonia, che remano contro gli altri Stati boicottando le loro iniziative e impedendo la
realizzazione di un’Europa che vada spedita ad un’unica velocità.
Per quanto concerne infine la qualificazione della natura giuridica dell’Unione Europea: essa
presenza sicuramente elementi non comuni alle altre organizzazioni internazionali (gli ampi poteri
conferiti ai suoi organi, la possibilità di sostituire le sue decisioni a quelle prese dai paesi membri;
l’esistenza di una Corte di Giustizia che controlla la conformità dei comportamenti posti in essere dai
singoli Stati, al diritto comunitario). Questo potere, riconosciuto all’Unione Europea, ha fatto ritenere
a taluni che essa potesse considerarsi come uno Stato federale (al pari degli Stati Uniti). In realtà, allo
stato attuale delle cose, dal momento che l’Unione non degrada la sovranità degli Stati membri, essa
dovrà considerarsi come un’Organizzazione internazionale al pari dell’Onu o delle altre
organizzazioni precedentemente trattate (opinione confermata dal fatto che le decisioni nell’UE
vengono prese da Organi composti dai leader di Governo dei singoli Stati).

Gli organi dell'UE

Analizzando gli organi dell’Unione Europea, non si può non notare che ad essi vengono
riconosciuti dei poteri non comuni alle altre organizzazioni internazionali. Gli organi dell’UE
sono:
• Il Consiglio Europeo: Nato nel 1974, è formato dai capi
di Stato e di Governo dei Paesi membri e dal presidente della Commissione europea. In più lo stesso
Consiglio Europeo ha un presidente, eletto a maggioranza qualificata dal Consiglio, che rimane in
carica per due anni e mezzo e può essere rieletto una sola volta.
Compito del Consiglio Europeo è di dare all’Unione l’impulso necessario al suo sviluppo, definendo i
suoi orientamenti e le priorità politiche generali.
Quest’organo viene convocato ogni trimestre dal Presidente e, in generale, si pronuncia, per consenso.
Il Consiglio europeo, in accordo con il presidente della Commissione, nomina l’alto rappresentante per
gli affari esteri e la politica di sicurezza. Questi guida la politica estera e di sicurezza dell’organismo,
in qualità di mandatario del Consiglio europeo.
n.b.: non ha funzioni legislative.
• La Commissione Europea: composta da un rappresentante
per ogni Stato membro (quindi 28 rappresentanti).Il numero dei componenti è destinato a variare
date le modifiche che prevedono un numero pari ai due terzi del numero degli Stati appartenenti
all’Unione. I suoi membri partecipano a titolo individuale e non in rappresentanza dei Governi di
provenienza, con il divieto di ricevere qualsiasi istruzione da essi. Questo differenzia notevolmente
l’Ue dalle altre organizzazioni internazionali, in primis dall’Onu, in cui gli organi sono composti da
rappresentanti degli Stati membri. Per questo motivo si dice che l’Ue non è solo un organo
internazionale ma anche sovranazionale.
Per quanto riguarda i compiti della Commissione, essa ha poteri esecutivi e poteri di
iniziativa legislativa . La proposta spetta , infatti , alla Commissione , mentre il potere legislativo vero
e proprio spetta a Consiglio e del Parlamento Europeo. I membri che andranno a comporre la
Commissione vengono scelti dal Consiglio Europeo, previa approvazione del Parlamento, sulla base
delle candidature presentate dagli Stati membri.
• Il Parlamento Europeo : dal 1979 i suoi componenti vengono eletti
a suffragio universale diretto dai cittadini europei per un periodo di cinque anni. Il numero dei suoi
membri non può essere superiore a 750+1 (il presidente), con un minimo di 6 ed un massimo di 96
seggi per Stato.
Il Parlamento esercita alcune funzioni fondamentali:
• Una funzione di controllo politico sulle altre istituzioni comunitarie: gli altri organi sono
tenuti a presentare al Parlamento dei rapporti che dovranno poi essere approvati; il Parlamento può
inoltre nominare delle commissioni di inchiesta e ha il compito di rispondere alle petizioni individuali.
• una funzione legislativa: esercitata congiuntamente al Consiglio nell’ambito della c.d.
procedura ordinaria. Se non v’è concordia fra Parlamento e Consiglio, è previsto l’intervento di
un Comitato di Conciliazione. Oltre alla procedura ordinaria è prevista la procedura speciale
che vede, spesso, come unico legislatore il Consiglio.
• una funzione consultiva vincolante nei confronti del Consiglio per l’adozione di alcuni
atti, in particolare quelli relativi all’ammissione di nuovi Stati nell’Unione.
• infine si ricordi che è compito del parlamento eleggere il Presidente della Commissione
europea su proposta del Consiglio.
• La Corte di Giustizia Europea: Controlla il rispetto dei Trattati e del diritto dell’Unione. Vi
si può ricorrere anche individualmente.
Dal 1988 ad essa è stato affiancato un Tribunale di primo grado.
• La Banca Centrale Europea: Coordina la politica monetaria dell’Unione
e la graduale applicazione della moneta unica. La BCE ha inoltre il diritto esclusivo di
autorizzare l’emissione di moneta (Euro si intende).
• Corte dei Conti : Esercita una costante funzione di controllo sulle entrate
e sulle spese delle Comunità. E’ composta da 15 giudici indipendenti, nominati dal Consiglio con

competenza specifica nel settore.

L'attivita legislativa dell'UE

L’Unione europea emana atti vincolanti (regolamenti ,decisioni, direttive) e atti non vincolanti
(raccomandazioni ,pareri).
Nell’ambito degli atti vincolanti bisogna ricordare:
• Il regolamento: è l’atto comunitario più importante e completo, attraverso cui la legislazione
comunitaria si sostituisce o si sovrappone alla legislazione interna degli Stati membri. Contiene norme
generali e astratte vincolanti tutti gli Stati membri; è obbligatorio in tutti i suoi elementi e direttamente
applicabile in ciascuno degli Stati membri. Vincola anche tutti gli individui che operano all’interno
dell’area comunitaria. Entra in vigore 20 giorni (o altro termine stabilito) dopo la pubblicazione sulla
Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea.
• La decisione: è invece concepita per risolvere determinate situazioni concrete. Essa può
indirizzarsi ad uno Stato membro, ad un individuo o ad un’impresa operante nell’area comunitaria.
E’ atto vincolante e il soggetto a cui è indirizzata è tenuto ad osservarla. La decisione acquista
efficacia non con la pubblicazione, ma con la notificazione al soggetto interessato, unico modo per
garantire l’opposizione a terzi.
• La direttiva: è atto obbligatorio che vincola il destinatario. E’ obbligatoria non in ogni suo
elemento (come regolamenti e decisioni) ma solo per il risultato da raggiungere. E’ a discrezione dello
Stato la scelta della forma e dei mezzi da usare per attuarla. Se rivolta a tutti gli Stati, entra in vigore
con la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale delle Comunità. Se rivolta ad uno Stato singolo entra in
vigore con la notificazione ai destinatari. Normalmente la direttiva dovrebbe enunciare principi
generali e astratti, ma la prassi consolidata, mai contestata, vede il proliferare delle cosiddette direttive
dettagliate, ovvero atti, del tutto simili a regolamenti, in cui gli organi comunitari specificano
minuziosamente modi e tempi relativi ai risultati da raggiungere, spingendosi anche sino a indicare le
norme interne che gli Stati sono tenuti ad adottare.
Atti non vincolanti sono invece le raccomandazioni e i pareri.

Gli accordi conclusi dall'UE

L’Unione Europea, come tutte le organizzazioni internazionali, ha il potere di concludere


accordi internazionali. Per quanto riguarda gli organi competenti a stipulare, l’art 218 del TFUE,
assegna alla Commissione il potere di condurre negoziati previa autorizzazione del Consiglio, alla
Corte di Giustizia il compito di dare un parere preventivo sulla conformità dell’accordo con le norme
del Trattato (in caso di parere negativo, l’accordo non potrà entrare in vigore se non dopo la modifica
formale del Trattato stesso).
Gli accordi conclusi secondo questa procedura sono vincolanti per le istituzioni comunitarie e per gli
Stati membri. Il TFUE stabilisce dunque un’eccezione alla regola generale per cui i Trattati conclusi
dall’ organizzazione internazionale non sono vincolanti per i Paesi che ne fanno parte. Essi non
possono derogare ai Trattati.
Particolare importanza assumo le convenzioni di associazione, con cui l’unione stabilisce degli
accordi con Paesi terzi o con altre organizzazioni internazionali, che impongono diritti e obblighi
comuni, azioni comuni e identiche finalità. Un esempio di convenzione di associazione è l’accordo di
Cotonou, del 2003, volto a regolare i rapporti fra l’Unione Europea e i c.d. Paesi ACP (cioè i paesi in
via di sviluppo africani, dei Caraibi e del Pacifico). L’accordo prevede che l’UE fornisca aiuti a questi
paesi i quali in cambio debbono impegnarsi a rispettare i diritti umani e a garantire l’obbligo del “buon
governo”.
Da sottolineare che la competenza degli organi europei a concludere accordi internazionali, ha
carattere esclusivo, per cui gli Stati membri non possono concludere per loro conto accordi sulle stesse
materie. L’azione della Comunità si sostituisce a quella degli Stati, ma, per evitare di paralizzare i
rapporti con l’esterno, in caso lo Stato terzo non abbia intenzione di concludere un’intesa con l’Unione o
se non vi sia unanimità tra gli Stati membri ad impegnarsi con uno Stato terzo, è invalsa la pratica del
Consiglio di concedere autorizzazioni al singolo Stato membro a concludere accordi esterni. Da qui,
anche la pratica, soprattutto quando vi sia dubbio sul fatto che la materia dell’intesa rientri tra quelle di
competenza comunitaria, di stipulare accordi misti, alla cui conclusione partecipano sia l’Unione che
tutti gli Stati membri.
Se uno Stato membro conclude un accordo esterno senza l’autorizzazione del Consiglio, l’accordo è
pienamente valido, ma comporta la responsabilità dello Stato per violazione del diritto comunitario e
un giudizio di accertamento con conseguente eventuale messa in moto della procedura di infrazione
di fronte alla Corte di Giustizia.
Si pone poi il problema se l’Unione possa stipulare accordi esterni anche nelle materie in cui questa
potestà non è espressamente prevista. Una risposta è stata data da varie sentenze della Corte che,
applicando la teoria dei poteri impliciti, ha ritenuto esistente la competenza a concludere rapporti con
Stati terzi in tutte le materie in cui l’Unione abbia competenza interna. Anzi, per il principio del
parallelismo tra competenze interne e competenze esterne, nel momento in cui il potere viene
esercitato, la competenza esterna diviene esclusiva rispetto agli Stati membri.

L’Ocse e il Consiglio d’Europa.

Dopo la seconda guerra mondiale vennero create due organizzazioni che contribuirono in
maniera fondamentale al rafforzamento del legame fra i Paesi dell’Europa occidentale. Queste
organizzazioni sono:
• L’Ocse, Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa: è un ente di sicurezza
paneuropea, conta 34 paesi membri e ha sede a Parigi. Ai sensi del cap. VIII della Carta dell’Onu, è
uno strumento regionale fondamentale per il preallarme e la prevenzione dei conflitti, la gestione delle
crisi e la ricostruzione successiva ai conflitti in Europa. Opera attraverso una propria rete di missioni
nei Balcani, nel Caucaso, in Asia centrale e in alcuni Paesi ex sovietici. L’organizzazione svolge
prevalentemente un ruolo di assemblea consultiva che consente un'occasione di confronto delle
esperienze politiche, per la risoluzione dei problemi comuni, l'identificazione di pratiche commerciali
ed il coordinamento delle politiche locali ed internazionali dei paesi membri
• Il Consiglio d’Europa: Tutti gli Stati europei occidentali e orientali fanno parte del
Consiglio d’Europa, che rappresenta il primo esperimento di adesione ai valori dello Stato di diritto e
di tutela internazionale giurisdizionale dei diritti umani. I suoi scopi sono indicati nel Trattato
istitutivo:
-)l’art. 1 prevede che il Consiglio debba conseguire una più stretta unione tra i membri, per
salvaguardare e promuovere gli ideali e i principi che costituiscono il patrimonio comune,
favorendo il progresso economico e sociale.
-)l’art. 3 dispone che ogni Stato membro deve accertare il principio della preminenza del
diritto e il principio in virtù del quale ogni persona sottoposta alla sua giurisdizione deve godere dei
diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali.
Importante è ,inoltre, il ruolo che il Consiglio riveste nella predisposizione di Convenzioni.
Molto nota è la Convenzione europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma
nel 1950 e che è stata ratificata da tutti gli Stati membri del Consiglio d’Europa. Elenca tutti i diritti
riconosciuti degni di tutela e ha istituito la Corte europea dei diritti dell’uomo affinché questi diritti
vengano tutelati giurisdizionalmente.

Le raccomandazioni degli organi internazionali

Le raccomandazioni sono gli atti tipici dell'ONU e non sono vincolanti.


In passato, Conforti sosteneva che le raccomandazioni producevano un particolare tipo di
effetto, cioè il c.d. "effetto di liceità": in base a questo, lo Stato che, per osservare una
raccomandazione, nno rispetta gli impegni precedentemente assunti con Stati membri
dell'organizzazione internazionale che ha emanato la raccomandazione, non commette illecito
internazionale.
Questo effetto pero avrebbe una sfera di applicazione molto ristretta perche:
• si verifica solo nei rapporti tra gli Stati membri
• e riguarda solo le raccomandazioni legittime, cioe le raccomandazioni che
rispettano le competenze degli organi delle organizzazioni internazionali che le
hanno emanate

Inoltre, poiche nelle organizzazioni internazionali manca un organo che verifica la legittimità
delle raccomandazioni, la conseguenza è che l'effetto di liceità puo ammettersi solo tra quegli
Stati che hanno approvato la raccomandazione . Invece, gli Stati che non hanno approvato la
raccomandazione o si sono astenuti dalla votazione, sono esclusi dall'effetto di liceità.

Oggi, invece, sempre secondo Conforti, la prassi recente non consente più di sostenere la tesi
della liceità delle raccomandazioni proprio perché le raccomandazioni sono sempre ormai più
numerose e sono sempre più spesso tra loro contraddittorie.

La gerarchia delle fonti internazionali. Il diritto internazionale cogente. L'unitaritetà


dell'ordinamento internazionale

Per quanto riguarda la gerarchia delle fonti del diritto internazionale:


• al vertice: consuetudine (compresa quel particolare tipo di consuetudine che è
costituita dai principi generali di diritto riconosciuti dalle Nazioni Civili): la
consuetudine è quindi la fonte primaria ed è l'unica norma di diritto internazionale
generale che vincola tutti gli Stati
• Al secondo posto: il trattato, la cui obbligatorietà risiede in una norma
consuetudinaria ("pacta sunt servanda")
• Terzo posto: fonti previste da accordi, in particolare gli atti delle
organizzazioni internazionali

Per quanto riguarda il rapporto tra consuetudine e trattato, la consuetudine, in quanto


caratterizzata da flessibilità, puo essere derogata dal trattato. Infatti la regola è che una norma
di rango inferiore puo derogare quella di rango superiore, solo se quest'ultima lo consente. Ad
esempio, anche nel diritto interno, l'atto amministrativo puo derogare la legge, se questa lo
consente.
Quindi, nel rapporto tra consuetudine-trattato, in caso di incompatibilità si applicano gli stessi
criteri che si applicano negli ordinamenti interni, cioé:
• la norma successiva prevale sulla precedente (lex posterior derogat priori)
• la norma speciale, successiva nel tempo, prevale su quella generale precedente (lex
specialis derogat generali)
• la norma generale successiva nel tempo non prevale su quella speciale
precedente (lex posterior generalis non derogat priori specialis)

Anche i principi generali di diritto possono essere derogati da un trattato. Un esempio di


deroga è dato dall'art 27 Carta ONU: questa norma deroga il principio generale nemo iudex in
re sua (nessuno può essere giudice della propria causa), prevede che lo stato facente parte del
Consiglio di sicurezza debba astenersi dal votare su una questione che lo riguarda, ma limita
tale astensione solo a casi di minore importanza.

Come abbiamo detto, quindi la consuetudine ha carattere flessibile e quindi puo essere
derogata da un trattato. Tuttavia è opinione comune che esiste un gruppo di norme che ha
carattere cogente, cioe non sono derogabili. Anche la Convenzione di Vienna riconosce
l'esistenza di questo ius cogens all'art 53,che dice che "se un trattato è in contrasto con una
norma imperativa del diritto internazionale generale, allora il trattato è nullo. "

E' rilevante anche l'art.64 perché dice che " se si forma una nuova norma imperativa di diritto
internazionale generale e questa è in contrasto con un trattato precedentemente concluso, il
trattato è da considerare nullo e si estingue". In particolare, se la pretesa causa di invalidita o
estinzione di un trattato si basa su una norma di ius cogens, la controversia puo essere risolta
attraverso una decisione vincolante della CIG su ricorso unilaterale di una delle due parti:
questo è l'unico caso in cui la CIG puo emettere una decisione vincolante in merito
all'invalidità/estinzione dei trattati.

La Conv.Vienna (sempre all'art 53) dà una definizione di norma imperativa, definendola come
quella norma:

• accettata e riconosciuta dalla comunità degli Stati


• che non puo essere nè modificata nè derogata, se non in forza di una nuova norma di
diritto internazionale generale, avente la stessa natura cogente.

Tuttavia, però, non fa un'elencazione delle norme di ius cogens, anche perche non solo sarebbe
stato riduttivo, ma avrebbe anche frenato il loro sviluppo: per questo motivo, spetta
all'interprete verificare quali norme di diritto internazionale generale vanno considerate norme
di ius cogens.
L'interprete, per fare questo, dovrà:
• verificare quali norme hanno entrambi i requisiti dell'usus/diuturnitas e dell'opinio iuris
sive necessitas: dovrà, cioè, individuare le consuetudini
• Poi deve verificare quali consuetudini sono considerate, nella maggior parte degli
Stati, alla stregua di valori fondamentali e universali

Anche se manca un'elencazione, possiamo comunque considerare norme di ius cogens:


• il principio di autodeterminazione dei popoli
• il divieto dell'uso della forza armata (tranne i casi di legittima difesa)
• le norme relative alla tutela dei diritti umani , ecc ecc

A questo elenco possiamo anche inserire l'art 103 della Carta ONU che stabilisce che in caso di
contrasto tra un trattato e la Carta ONU, è la Carta a prevalere. In realtà l'art 103 non si riferisce
a tutte le nrome contenute nella Carta, ma solo a quelle che sono diventate norme di ius cogens,
cioè principi generali che sono assolutamente immodificabili e che sono alla base dei grandi
settori di competenza delle Nazioni Unite. E in particolare:
• Nel settore del mantenimento della pace: vige il principio che vieta agli Stati di
ricorrere alla minaccia o all'uso della forza nei rapporti internazionali, salvo i casi di
legittima difesa
• Nel settore economico e sociale: vige il principio che impegna gli Stati a collaborare
e dal quale si puo ricavare a sua volta il divieto di porre in essere comportamenti che
possano compromettere irrimediabilmente l'economia degli altri Paesi
• Nel settore umanitario: vige il principio del rispetto della dignità umana e dei diritti
umani
• Nel settore della decolonizzazione: vige il principio di autodeterminazione dei popoli

D'altra parte bisogna però comunque notare che , anche se da un lato si assiste a un
progressivo sviluppo dello ius cogens, dall'altra parte nella prassi internazionale le norme di
ius cogens vengono spesso violate senza che la Comunità internazionale esprima ferma ed
unanime condanna. Basti pensare:
• alla violazione dei diritti umani in Cina
• all’uso della forza da parte degli Stati Uniti e della NATO ecc.ecc.

Il contenuto del diritto internazionale come insieme di limiti all'uso della forza
internazionale e interna degli Stati

Il contenuto del diritto internazionale è costituito da un insieme di limiti all'uso della forza da
parte degli Stati, limiti che riguardano:
• sia la cd.forza internazionale, cioè quella diretta vero l'esterno e quindi verso gli altri
Stati
• sia la cd.forza interna, cioe quella diretta verso l'interno, ossia verso le
persone fisiche/giuridiche e i loro beni

Piu precisamente:
• Per forza internazionale intendiamo qualsiasi atto che implica operazioni
militari, ad esempio:

• bombardamento
• blocco delle coste
• installazione di campi minati
• attacchi contro aerei e navi militari, ecc.ecc.
• Per forza interna intendiamo il potere di Governo esercitato dallo Stato nei confronti
degli individui e dei loro beni. Ci si chiede allora quale è la nozione di potere di
governo il cui esercizio può costituire violazione del diritto internazionale.

Alcuni(precedentemente anche Conforti) sostengono che l'esercizio del potere di Governo


possa costituire violazione del diritto internazionale in presenza dell'esercizio della coercizione:
per la precisione, l'esercizio di quello che la dottrina anglosassone definisce "juridsction to
enforce", cioe azioni di polizia, esecuzioni delle condanne penali, esecuzioni forzate sui beni
ecc.ecc.
In realtà non si puo affermare questo, cioè che una violazione del diritto internazionale derivi
sempre e solo dall'esercizio della coercizione, perché infatti ad esempio anche una sentenza
dichiarativa di un giudice oppure una legge che contiene un provvedimento concreto possono
costituire, seppur con dei limiti, un comportamento illecito.

Quindi, il potere di Governo il cui esercizio potrebbe costituire una violazione del diritto
internazionale, non si identifica:
• nè con l'esercizio della coercizione
• nè con l'astratta attività normativa
Bensì può essere definito come qualsiasi misura concreta posta in essere dallo Stato avente
natura coercitiva o comunque suscettibile di essere coercitivamente attuata. In questo senso
puo dirsi che il diritto internazionale pone dei limiti all'uso della forza da parte degli Stati

La sovranità territoriale

La prima e fondamentale norma che delimita il potere di Governo è la norma sulla sovranità
territoriale.
Si è affermata per la prima volta quando venne meno il Sacro Romano Impero, ovvero quando
venne meno anche ogni forma di dipendenza dal Papato e dall'Impero e si affermarono le
monarchie assolute. In questo contesto, la sovranità territorale venne concepita come un diritto
di proprietà del sovrano su territori e individui, che rientravano nel potere dello Stato perché
erano considerate pertinenze del territorio.

Ci sono varie tesi in dottrina sulla natura giuridica del territorio (alcuni lo considerano come
un diritto reale dello Stato, simile al diritto di proprietà.. altri ritengono che non sia da
considerare un bene ma semplicemente l'ambito entro il quale lo Stato esercita il suo potere)..
La sovranità territoriale puo essere definita come il diritto di esercitare in modo esclusivo il
potere di Governo su una determinata comunità territoriale, cioè suigli individui e i beni che
si trovano in quel determinato territorio.

Correlativamente, ogni Stato ha l'obbligo di non violare la sovranità territoriale altrui. Si ha

violazione della sovranità territoriale solo quando vi è presenza fisica e non autorizzata
dell'organo straniero sul territorio dello Stato. Ogni violazione della sovranità territoriale
costituisce illecito internazionale che espone lo Stato che lo ha compiuto a responsabilità
internazionale.
Tra gli esempi che possiamo fare in tema di violazione della sovranità territoriale, possiamo
ricordare la cattura del criminale nazista Eichmann:
• da parte del Governo israeliano
• ma in territorio argentino

La violazione della sovranità territoriale fu affermata anche dal Consiglio di Sicurezza adito
dall'Argentina. Il Consiglio, pur affermando la necessità di catturale il criminale, chiese al
Governo israeliano la corresponsione di un risarcimento danni a favore dell'Argentina.

La cattura di criminali, in violazione della sovranità territoriale, produce conseguenze solo tra
Stati, cioé:
• espone l'autore dell'illecito (ossia chi ha violato la sovranità territoriale) a
responsabilità internazionale
• ma non comporta il venir meno della sua pretesa punitiva nei confronti del
criminale catturato
= Occorre però che ci sia un collegamento tra l'autore del reato, cioè il criminale, e lo Stato
che punisce. Questo collegamento però non è necessario, quando la pretesa puniva riguarda la
repressione di crimini internazionali.

Oggi la presenza e l'esercizio di funzioni pubbliche da parte di organi stranieri è autorizzata in


varie situazioni tipiche, prime tra tutte quelle relative all'attività di agenti diplomatici e consoli
stranieri. Ma una forma particolare si aveva in passato nel quadro del cd.regime delle
capitolazioni: in base al quale, alcuni Stati cche venivano ritenuti poco affidabili
nell'amministrazione della giustizia (ad es. Cina e Impero Ottomano) consentivano agli
europei di essere giudicati dai consoli dei loro Paesi.
Ma oggi questo regime non esiste piu.

Il potere di Governo non è solo esclusivo rispetto a quello degli altri Stati, ma è anche libero
nelle forme e nei modi, suppur ovviamente con quelle eccezioni che si sono via via affermate.
La libertà dello Stato nel suo territorio è stata affermata anche da alcuni principi nell' ambito del
nuovo ordine economico internazionale, come ad esempio:
• il principio in base al quale lo Stato possiede ed esercita liberamente una sovranità
completa e permanente su tutte le sue ricchiezze, risorse naturali ed attività
economiche
• il principio in base al quale ogni Stato ha diritto di scegliere il proprio sistema
economico e i propri sistemi politici/sociali/culturali, conformemente alla volontà del
suo popolo

Per quanto riguarda l'acquisto della sovranità territoriale, vale il principio dell'effettività:
quindi, lo Stato che esercita effettivamente il proprio potere di Governo su una determinata
comunità territoriale, acquista la sovranità territoriale, cioè il diritto di esercitare in modo
libero ed esclusivo il potere di Governo su di esso.
Per quanto riguarda l'ipotesi in cui la sovranità territoriale è stata acquistata con la violenza o in
violazione di norme fondamentali (per es, in violazione dell'art 2 Carta ONU che vieta l'uso
della forza o in violazione del principio di autodeterminazione dei popoli), la dottrina Stimson
sosteneva che in questi casi la sovranità territoriale su quel territorio conquistato non andava
riconosciuta.
Ma oggi la prassi sembra orientata nel senso che l'effettivo e consolidato esercizio del potere di
Governo su un territorio, indipendentemente da come sia stato acquisito, comporta l'acquisto
della sovranità territoriale.

Quindi se ad un atto di aggressione non si reagisce subito nell'esercizio dell'autotutela, la


situazione si consolida e viene riconosciuta la sovranità territoriale.

In definitiva, allora, possiamo dire che:


• mentre sullo Stato che ha acquisito il territorio con la violenza o in violazione delle
norme fondamentali grava l'obbligo (abbastanza teorico) di restituire il territorio
• sugli altri Stati, invece, grava l'obbligo di negare gli effetti extraterritoriali agli atti
di Governo emanati in quel territorio e sempre che l'acquisto sia stato contestato
dalla gran parte degli Stati

L'obbligo di negare gli effetti extraterritoriali, consiste nell'obbligo di:


• negare riconoscimento alle sentenze pronunciante in quello Stato
• non applicare le leggi emanate da quello Stato
= quindi "isolare" giuridicamente quello Stato

I limiti alla sovranità territoriale. L'erosione del cd.dominio riservato. Il rispetto dei
diritti umani.

Nel corso del tempo, piu si evolveva il diritto internazionale, piu si andava restringendo la
sovranita territoriale. Infatti il diritto internazionale impone dei limiti agli Stati sull'uso della
forza.

I limiti che si affermarono per primi sono state le norme che impongono agli Stati di garanrei
un certo tipo di trattamento agli stranieri, agli organi stranieri e agli Stati stranieri.
In particolar modo, l'evoluzione del diritto internazionale non solo ha ristretto i limiti della
sovranita territoriale ma ha anche eroso il cd."dominio riservato" , detto anche competenza
interna dello Stato o "domestic jurisdction": con questa espressione si indicano le materie di
cui il diritto internazionale, consuetudinario o pattizio, si disinteressa: su tali materie, quindi,
lo Stato è libero da obblighi.

Tradizionalmente, rientravano nel dominio riservato:


• I rapporti tra Stato e sudditi
• l'organizzazione delle funzioni di Governo
• la politica economica e sociale dello Stato ecc.ecc.
Tra gli esempi che si possono fare per capire come il diritto internazionale ha eroso il dominio
riservato, si puo citare l'istituto della cittadinanza: prima rientrava nel dominio riservato dello
Stato, ma oggi non è piu cosi. Nel caso "Nottebohm", la CIG ha ribadito un connsolidato
principio di diritto internazionale che in quanto tale costituisce un limite al dominio riservato.
Questo principio è il principio del "genuine link", in base al quale, nel concedere la
cittadinanza ad un individuo, occorre che ci sia un legame effettivo tra lo Stato e il l'individuo.

Tra le norme del diritto internazionale che limitano la sovranità territoriale, rientrano anche le
norme che tutelano i diritti umani. Queste norme si trovano:
• non soltanto in atti particolarmente importanti ma giuridicamente non vincolanti
(come la Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino)
• ma anche in diverse Convenzioni (CEDU, cioè Convenzione Europea per la
salvaguardia dei diritti dell'uomo; Carta interamericana sui diritti umani ecc ecc.)

Queste Convenzioni non solo prevedono un elenco dettagliato, ma istituiscono anche degli
organi che hanno il compito di vigilare sul rispetto di questi diritti.

Non sono soltanto le Convenzioni a rispettare i diritti umani, ma anche il diritto


consuetudinario. Tra queste consuetudini rientrano i principi generali di diritto riconosciuti
dalle Nazioni Civili.
Ma:
• mentre le Convenzioni prevedono un vero e proprio elenco dettagliato
• il diritto consuetudinario tutela e protegge un nucleo piu ristretto di diritti umani,
parlando del divieto delle cd."gross violations": cioè quelle violazioni grave e
generalizzate dei diritti umani, come ad esempio:
• l'apartheid
• il genocidio
• la tortura
• la pulizia etnica
• i maltrattamenti disumani ecc ecc.

Queste gravi violazioni dei diritti umani, non solo sono vietate dal diritto consuetudinario ma
sono anche contrarie allo ius cogens: questo è quanto è stato affermato dalla CIG nel caso
"Barcellona traction".

L'obbligo degli Stati di rispettare i diritti umani sostanzialmente è:


• sia un obbligo negativo / di astensione: cioe gli Stati hanno l'obbligo di
astenersi dal compiere atti che possano ledere i diritti umani
• sia un obbligo positivo / di protezione: cioe lo Stato deve vegliare affinché non
vengano commesse violazioni dei diritti umani nel proprio territorio. Quindi è tenuto a
prendere tutte le misure necessarie (di polizia, di giurisdizione ecc.) volte a prevenire e
reprimere queste violazioni
Alla materia dei diritti umani si applica la regola del "previo esaurimento dei ricorsi interni",
in base alla quale una violazione dei diritti umani, prima ancora che sul piano del diritto
internazionale, deve essere fatta valere sul piano del diritto interno dello stato offensore.
Fino a quando esistono rimedi interni e, quindi, lo Stato autore della violazione ha la
possibilità di far cessare la violazione o di risarcire il danno cagionato, le norme che tutelano
i diritti umani non può dirsi che sono state violate. Esauriti i ricorsi interni, si possono
utilizzare i rimedi previsti dal diritto internazionale, come la protezione diplomatica.

La punizione dei crimini internazionali

Strettamente connesso al tema dei diritti umani è il tema della punizione dei crimini
internazionali. La caratteristica delle norme che disciplinano i crimini internazionali è che si
indirizzano direttamente agli individui che li commettono, sottoponendoli a responsabilità
penale internazionale individuale: questo, tra l'altro, induce una parte della dottrina a
considerare come soggetti di diritto internazionale anche gli individui, e non soltanto gli Stati.

Oggi la comunità internazionale sta tentando di reprimere i crimini internazionali individuali


attraverso l'istituzione di appositi tribunali, quindi, sottraendo la repressione di tali crimini
dalla giurisdizione penale degli Stati. Tra questi appositi tribunali ricordiamo i due tribunali
internazionali per:
• i crimini commessi in Ruanda e nell’ex Jugoslavia
• e la Corte penale internazionale

L'attività di questi tipi di tribunali si svolge pero con molta difficoltà e in misura limitata:
quindi, la repressione dei crimini internazionali individuali è in gran parte affidata a tribunali
interni

nell’esercizio della sovranità territoriale.

La categoria dei crimini internazionali individuali è molto recente (fine II Guerra Mondiale).
Ma qualche precedente, in realtà, esisteva anche prima. "Crimina Iuris Gentium" erano
considerati:
• la pirateria, nel senso che qualsiasi Stato poteva catturare la nave pirata e punire i
membri dell'equipaggio
• i crimini di guerra

Oggi, però, l'attuale concezione dei crimini di guerra è diversa, perché:


• Prima: l'elenco dei crimini di guerra era abbastanza esiguo; la punizione dei criminali
era limitata agli Stati belligeranti; e si riteneva che tra l'altro la punizione dovesse
cessare non appena finivano le ostilità (questa regola era chiamata "clausola di
amnistia")
• Oggi: le cose stanno diversamente perché l'elenco si è ampliato e i crimini
internazionali individuali, secondo una ripartizione data dall'Accordo di Londra del
1945 che, tra l'altro, istituì anche il Tribunale di Norimberga per la punizione dei
criminali nazisti, possono essere distinti in:
• crimini contro la pace
• crimini contro l'umanità
• crimini di guerra

Un elenco dettagliato, che si ispira a questa ripartizione, è contenuto anche nello Statuto della
Corte Penale Internazionale agli articoli 5-6-7-8. Prevede 4 tipi di crimini:
• genocidio
• crimini contro l'umanità
• crimini di guerra
• crimine di aggressione (che puo essere considerato il principale, se non esclusivo,
crimine contro la pace)

• Per quanto riguarda il genocidio è la distruzione parziale o totale di un gruppo:


• nazionale
• etnico
• religioso
• razziale
• Per quanto riguarda i crimini contro l'umanità, rientrano una serie di atti (purché
perpetrati come parte di un esteso e sitematico attacco contro una popolazione
civile), tra cui:
• omicidio e sterminio
• riduzione in schiavitù
• deportazione
• trasferimento forzato di popolazione
• tortura e violenza carnale
• persecuzioni per motivi politici, etnici, religiosi, ecc.
• apartheid
• sparizione forzata di persone
• e atri atti disumani capaci di creare gravi sofferenze fisiche e psichiche
• Per quanto riguarda i crimini di guerra , sono tutti quegli atti commessi al tempo
della guerra (ma perseguibili anche dopo la fine della guerra), tra cui rientrano:
• arruolamento forzato dei prigionieri di guerra
• presa di ostaggi
• attacchi intenzionalmente diretti contro popolazioni e obbiettivi civili
Sempre secondo l'articolo 8 dello Statuto della Corte Penale Internazionale (CPI), la

competenza di quest'ultima si estende a tutti questi atti quando, in particolare, essi


facciano parte di un piano o un disegno politico o di una serie di crimini analoghi
commessi su larga scala.
• Per quanto riguarda i crimini contro la pace , rientra il crimine di aggressione. Lo
Statuto della CPI non ne da una definizione, ma secondo il Cassese l'aggressione è
qualificabile come un crimine internazionale individuale solo quando:
• è scatenata su larga scala
• e produce conseguenze molto gravi

Di solito, l'individuo che commette un crimine internazionale è:


• un organo che agisce per conto dello Stato (ad esempio il Presidente della
Repubblica o il Capo del Governo)
• oppure un'entità di tipo statale (per esempio il governo insurrezionale)

Infatti normalmente solo questi possono essere in grado di produrre attacchi estesi e
sistematici contro una popolazione civile. Di conseguenza, in questo caso, nasce una doppia
responsabilità:
• una responsabilità penale internazionale dello Stato
• una responsabilità penale internazionale dell'individuo-organo che ha agito per conto
dello Stato

Tuttavia il fatto che, almeno di solito, i crimini internazionali sono commessi da individui che
sono organi statali, non esclude che i crimini possono essere commessi anche da soggetti
privati, cioé che non agiscono come organi dello Stato.
Un esempio è dato dal terrorismo di matrice religiosa.

Ci si chiede se possiamo considerare il terrorismo alla strgua di un atto di guerra contro uno
Stato. Bisogna dire, anzitutto, che il terrorismo è qualcosa di piu della semplice violenza.
• La semplice violenza presuppone sempre 2 parti (offensore e vittima)
• Nel terrorismo, invece, vi è anche un terzo soggetto che è lo Stato. Infatti, la finalità
del terrorismo non è solo quella di creare terrore nella popolazione ma è anche quella
di colpire lo Stato in modo tale da creare sfiducia nelle sue adeguate capacità di
garantire l’incolumità pubblica.

Ed è sulla base di questa considerazione che alcuni autori ritengono che determinati atti di
terrorismo (come gli attacchi alle Torri Gemelle), possano essere considerati alla stregua di
veri e propri atti di guerra contro uno Stato, tali da giustificare una legittima risposta armata
contro un altro Stato (come quella che si è avuta da parte degli USA contro l’Afghanistan,
dove i terroristi di Al Qaeda avevano il loro quartier generale).

In materia di punizione dei crimini internazionali , il principio che va affermandosi è il


"principio di giurisdizione universale", in base al quale ogni Stato ha la facoltà di procedere alla
punizione:
• ovunque tale crimine sia stato commesso
• e qualunque sia la nazionalità dell'autore del crimine, senza cioè che sia necessario un
collegamento tra l’autore del crimine e lo Stato in cui il reato è stato commesso
(principio di territorialità).

Il principio di giurisdizione universale costituisce un’eccezione alla normale giurisdizione


penale dello Stato. Infatti, normalmente lo Stato:
• sui suoi cittadini: è libero di esercitare la giurisdizione (questa è ancora una
materia di "dominio riservato")
• ma sullo straniero: puo sottoporre lo straniero a giudizio penale solo se sussiste un

collegamento tra l'autore del reato e lo Stato stesso (principio di territorialità: cioe
occorre che l'autore del crimine abbia commesso il crimine nel terrritorio dello
Stato, altrimenti il collegamento manca)

Ma questo collegamento non occorre quando si tratta, appunto, di crimine internazionale. La


ratio è che lo Stato che punisce il crimine persegue un interesse che è di tutta la comunità
internazionale. Per questo motivo, il principio della giurisdizione universale ha consentito ad
alcuni tribunali di processare criminali stranieri, come nel caso Pinochet.
• Pinochet è stato arrestato dalla polizia inglse perche si trovava a Londra: arrestato
sulla base di un mandato di cattura emesso da un giudice spagnolo
• Pinochet era un ex dittatore del Cile e fu accusato di aver commesso crimini
internazionali contro 94 cittadini spagnoli, quando lui era al potere
• Inizialmente, Pinochet tentò di far valere l'immunità di cui godeva, in quanto senatore a
vita
• Ma la House of Lords rigettò la richiesta perchè l'immunità diplomatiche dei capi di
Stato e di Governo cessano col cessare della carica e poiché non era piu in carica,
venne condannato per gravi crimini internazionali
• Tuttavia, comunque il processo non ebbe mai luogo di fatto: perhe venne dichiarato
infermo di mente

Comunque, in base alla prassi, si puo ritenere che la giudirisdizione universale sia da ammettere
a condizione che:
• lo straniero si trovi nel territorio dello Stato, nel momento in cui deve essere
sottoposto a giudizio
• e sempre che il giudizio non sia richiesto dallo Stato nazionale (lo Stato di cui
l'autore del crimine ha la nazionalità) oppure da uno Stato che abbia un collegamento
piu stretto con il crimine

Inoltre la giurisdizione penale in materia di repressione dei crimini internazionali sussiste in


ogni caso, anche nel caso in cui l’autore del crimine è stato catturato all’estero illegittimamente,
cioè è stato catturato violando la sovranità territoriale dello Stato in cui si trovava: questo ad
esempio, è successo nel caso Eichmann, la cui cattura è avvenuta a seguito di violazione della
sovranità territoriale dell’Argentina da parte dei servizi segreti israeliani “Mossad”.

Trattamento degli stranieri

Per quanto riguarda il trattamento degli stranieri, dobbiamo far riferimento a 2 principi che si
sono formati nel diritto internazionale consuetudinario.
• Il primo principio è quello in base al quale il potere di Governo che lo Stato esercita
sullo straniero deve essere proporzionato e commisurato al rapporto che lo straniero
ha con il territorio dello Stato stesso.. Quindi allo straniero non potranno
essere richieste:
• prestazioni di tipo militare, a meno che non abbia la cittadinanza
• prestazioni a carattere fiscale, a meno che non eserciti un'atitvità o a meno
che non possieda beni sul territorio che giustificano l'imposizione fiscale
• non potranno applicarsi sanzioni penali, se non in forza del princpio di
territorialità: cioè solo se sussite un collegamento tra l'autore del reato e lo Stato in
cui il reato è stato commesso
• Il secondo principio è quelllo in base al quale lo Stato ha l'obbligo di proteggere gli
stranieri presenti sul suo territorio: in particolare, questa protezione deve avvenire:

• sia con misure preventive che devono essere adeguate al singolo caso concreto
• sia con misure repressive, cioè occorre che lo stato disponga di un normale apparato
giurisdizionale innanzi al quale lo straniero potrà far valere le proprie pretese. Se non
dispone di un apparato giurisdizionale, negando cosi allo straniero la possibilità di far
valere le proprie pretese, allora lo Stato commette un illecito: il cd."diniego di
giustizia"

Il diritto internazionale consuetudinario non impone limiti allo Stato per quanto riguarda
l'ammissione e l'espulsione degli stranieri nel suo territorio: quindi questa materia rientra nel
dominio riservato dello Stato, il quale ha la piena liberta nello stabilire la propria politica nel
campo dell'immigrazione. Ma la libertà dello stato di non ammettere uno straniero sul proprio
territorio non può spingersi a tal punto da commettere una violazione dei diritti umani, in
primis il diritto alla vita. Quindi, costituisce illecito internazionale il comportamento dello
Stato che impedisce ad imbarcazioni di immigrati (anche clandestini) di entrare nelle proprie
acque territoriali nonostante questi siano a rischio di pericolo della vita.

Secondo il diritto consuetudinario, poi, lo Stato è anche libero di espellere gli stranieri, ma:
• con modalità non oltraggiose
• e concedendo un lasso di tempo ragionevole per regolare i propri interessi

Tuttavia, anche se il diritto consuetudinario non impone limiti riguardo


l'ammissione/espulsione degli stranieri, alcuni limiti però sono imposte dalle Convenzioni
dell'ONU e dell'UE:
• Art 3 della Convenzione delle Nazioni Unite: obbliga gli Stati a non espellere stranieri
che, rientrando nei loro Paesi d’origine, rischierebbero di essere sottoposti a tortura o
a trattamenti disumani. Però, come si legge nel caso Soering contro Regno Unito, che
è un leading case in materia, il rischio deve essere: *attuale e *concreto
• Art 8 CEDU: prevede il rispetto della vita privata e familiare quindi, questo comporta
l'obbligo di non espellere lo straniero, quando l'espulsione comporterebbe una
ingiustificata e sporporzionata rottura dell'unità familiare
Oggi, poi, assumono grande importanza i rifugiati a causa della notevole ondata di flussi
migratori. Il trattamento dei rifugitati è disciplinato:
• dalla Conv.di Ginevra del 1951
• e dal Protocollo del 1967 sui rifugiati

Questi stabiliscono che lo status di rifugiato spetta allo straniero che abbandona il proprio Paese
d’origine perché teme che nel proprio paese possa essere perseguitato per motivi religiosi,
etnici, razziali o per le sue opinioni politiche.
Il rifugiato è obbligato a rispettare le leggi dello Stato di rifugio e ha vari diritti, tra cui il diritto
di:
• non essere discriminato in base alla razza
• praticare la propria religione
• accedere ai tribunali e all'assistenza pubblica
• ottenere il "documento di viaggio", che è una sorta di passaporto che gli
permette di circolare nei territori degli Stati che hanno ratificato la Conv.sui
rifugiati e il relativo Protocollo

La Conv.Ginevra prevede poi il "principio del non-refoulement", in base al quale il rifugiato


non puo essere espluso verso territori dove la sua vita e la sua libertà sarebbero minacciati.
La prassi evolutiva relativa al non-refoulement ha prodotto l'assorbimento della figura del

richiedente asilo politico nella figura del rifugirato.

Molto importanti sono poi le cd."convenzioni di stabilimento", con cui gli stranieri si
obbligano ad equiparare il trattamento dello straniero appartenente ad uno degli Stati
contraenti al trattamento previsto per i propri cittadini. In particolar modo, sono importanti le
norme sul diritto di stabilimento del TFUE, il quale, attraverso l'istituto della cittadinanza
europea, mira appunto a questo scopo.

Se uno Stato viola le norme sul trattamento degli stranieri, commette un illeceito internazionale:
• ma non nei confronti dello straniero
• bensi nei confronti dello Stato a cui lo straniero appartiene.

Questo Stato allora potrà agire in "protezione diplomatica", che è un istituto che consente ad
uno Stato di assumere le difese del proprio cittadino sul piano internazionale, quando questo
ha subìto una violazione delle norme sul trattamento degli stranieri.
Queste difese possono consistere in:
• minacce o ricorso a contromisure
• proteste
• proposte di arbitrato
• ricorso ad istanze giurisdizionali internazionali
= e hanno lo scopo di far cessare la violazione e offrire un risarcimento allo straniero offeso

Tuttavia, prima che lo Stato eserciti la protezione diplomatica, in base al principio del previo
esaurimento dei ricorsi interni, occorre che lo straniero abbia esaurito tutti i rimedi interni che
lo Stato autore dell'illecito prevede nel proprio ordinamento. Solo una volta esuiti tutti i ricorsi
interni, lo Stato dello straniero potrà esercitare la protezione diplomatica.

Quindi, in definitiva, possiamo dire che affinché lo Stato possa esercitare la protezione
diplomatica occorrono 2 requisiti:
• la nazionalità deve essere effettiva, cioe deve esserci un collegamento tra lo
Stato e l'individuo, in base al principio del genuine link
• lo straniero deve aver esaurito tutti i ricorsi interni che lo Stato autore della
violazione prevede nel suo ordinamento interno

L'istituto della protezione diplomatica spesso è stato contestato dai Paesi in via di sviluppo, i
quali si sono rifatti alla Dottrina Calvo.
Secondo la Dottrina Calvo, le controversie riguardanti la violazione delle norme sul
trattamento degli stranieri sono di esclusiva competenza dei tribunali locali: in pratica,
secondo questa dottrina, questo genere di controversia non si devono risolvere sul piano
internazionale attraverso l'istituto della protezione diplomatica. Questo per evitare che
eventuali violazioni di queste norme avrebbero potuto determinare l'ingerenza dei Paesi
europei negli affari interni dei Paesi in via di sviluppo, tali da giustificare veri e propri
interventi militari.

Questi Paesi in via di sviluppo, rifacendosi a questa dottrina, per evitare che sorgessero delle
controversie riguardanti la violazione delle norme sul trattamento degli stranieri, tra loro e gli
investitori stranieri che investivano sul loro territorio, imposero agli investitori di inserire nei
contratti una clausola, con la quale gli investitori avrebbero dovuto rinunciare alla protezione
diplomatica. (la Clausola Calvo, appunto).

quindi, laddove fossero sorte controversie riguardanti la violazione delle norme sul
trattamento degli stranieri, gli investitori si sarebbe rivolti solo ai tribunali locali.
Quindi, la Clausola Calvo dimostra come, sebbene il titolare del diritto alla protezione
diplomatica sia lo stato, tuttavia, il cittadino lo stesso può rinunciare alla protezione
diplomatica dello stato.
Preme ricordare come, più recentemente, la validità della Clausola Calvo sia stata contestata
sulla base del fatto che il diritto alla protezione diplomatica è diritto che spetta solo stato;
l’individuo non può rinunciare ad un diritto che non è suo e qualora lo facesse, il diritto dello
stato di esercitare la protezione diplomatica rimarrebbe inalterato (Quadri).
La protezione diplomatica può essere esercitata a difesa sia di una persona fisica, sia a difesa di
una persona giuridica, in particolar modo a difesa di una società commerciale.
Come abbiamo già detto, per poter esercitare la protezione diplomatica occorre, tra l’altro,
che la nazionalità dell’individuo da difendere sia effettiva, cioè occorre un legame reale tra
l’individuo e lo stato.
Ecco: nel caso di persone giuridiche non è facile stabilire la loro nazionalità effettiva perché le
legislazioni interne appiano alquanto incerte.
Quali criteri dobbiamo utilizzare per stabilire la nazionalità effettiva di una società
commerciale ? In proposito la dottrina è divisa circa i criteri da utilizzare:
• Una parte della dottrina sostiene che per stabilire la nazionalità effettiva di una
società commerciale occorre fare riferimento a
Critiche alla Clausola Calvo
Protezione diplomatica delle persone giuridiche
criteri formali, come il luogo di costituzione della società o come il luogo dove la società ha la
sede principale.
• Un’altra parte della dottrina sostiene, invece, che per stabilire la nazionalità effettiva
di una società commerciale occorre fare riferimento a criteri sostanziali, come la
nazionalità della maggioranza dei soci o la nazionalità della maggioranza di coloro che
la controllano.
E la giurisprudenza della Corte internazionale di giustizia propende ora per un orientamento
dottrinale, ora per un altro.
Infatti, a favore della prima tesi (criteri formali) si è pronunciata la Corte internazionale di
giustizia nel caso Barcelona Traction company (sentenza del 5 febbraio 1970)
In questi caso, la società Barcelona Traction company, società canadese in quanto aveva la sede
principale a Toronto, era stata dichiarata fallita in Spagna dove lì produceva energia elettrica.
La maggior parte degli azionisti della società, che erano cittadini del Belgio, avevano
invocato la protezione diplomatica del Belgio contro la Spagna sulla base del fatto che la
dichiarazione di fallimento aveva provocato dei danni e poiché perché tale dichiarazione di
fallimento era preordinata al fine di trasferire i beni della società in mano spagnola, senza
relativo indennizzo. La Corte internazionale, adita in tal senso, ha escluso che il Belgio
avesse il titolo per agire in protezione diplomatica della società, nonostante la maggioranza
dei soci fossero cittadini del Belgio, affermando così la regola secondo cui nello stabilire la
nazionalità della società
commerciale e quindi, lo stato che ha titolo per esercitare la protezione diplomatica, occorre
seguire criteri formali.
Invece, a favore della seconda tesi (criteri sostanziali) si è pronunciata la Corte internazionale di
giustizia nel caso Ahmadou Sadio Diallo (Sentenza del 24 maggio 2007).
Caso della Barcelona Traction
company Caso Diallo
In questo caso, diversamente dal precedente, la Corte internazionale ha riconosciuto alla
Guinea il diritto di esercitare la protezione diplomatica a favore di un proprio cittadino
Diallo, nonostante la società di cui era socio era stata costituita in Congo.

Il trattamento degli agenti diplomatici e degli altri organi di Stati stranieri

Altri limiti al potere di Governo sono previsti anche nel caso degli agenti diplomatici, perché
questi

godono delle cd."immunità diplomatiche"

Le immunità diplomatiche, sia funzionali che personali, spettano:


• Ai capi della missione diplomatica (ambasciatori) e alle loro famiglie
• A tutto il personale diplomatico (consiglieri e segretari di legazione)
• Al personale tecnico e amministrativo, esclusi gli impiegati che siano cittadini dello
stato territoriale.
In base al diritto consuetudinario, spettano anche:
• Ai capi di stato
• Ai capi di governo
• Ai ministri degli esteri
[I consoli non godono delle immunità diplomatiche: è inviolabile solo l’archivio

consolare. ] Le immunità diplomatiche sono:

• l'inviolabilità personale: cioè l'agente deve essere protetto:


• contro le offese alla sua persone, mediante misure preventive e repressive
• e soprattutto, l'agente diplomatico non puo esse, in alcun modo, sottoposto a
misure di polizia (come fermo, arresto, perquisizione,ecc)
• l'inviolabilità domiciliare: per domicilio si intende: *sia la sede della missione
diplomatica; * sia l'abitazione privata dell'agente diplomatico = questi luoghi non
possono essere oggetto di perquisizione o ispezione da parte dello Stato territoriale
senza il previo consenso dell’agente diplomatico. Una volta, alla sede della missione
diplomatica si applicava il concetto di extraterritorialità, cioè si fingeva che la sede
della missione diplomatica facesse parte del territorio dello stato che inviava l’agente.
In realtà la sede della missione diplomatica è sempre territorio dello Stato che riceve
l'agente (infatti, se nasce un bambino nell’Ambasciata di Francia a Roma il bambino si
considera nato in Italia). Ma anche se si tratta del suo territorio, lo Stato territoriale non
potrà ugualmente esercitarvi atti di coercizione. Infatti è proprio per questo motivo che
molti perseguitati politici si rifugiano in sede diplomatica straniera: in questo caso si
parla del "diritto di asilo diplomatico", che viene in messo in discussione da molti Stati
ma di fatto è esercitabile proprio perche lo Stato non puo introdrsi coattivamente nella
sede

• Immunità dalla giurisdizione penale e civile: bisogna però distinguere tra:


• atti compiuti dall'agente in quanto organo dello Stato
• atti compiuti come privato

• gli atti compiuti dall'agente in quanto organo dello Stato sono coperti dalla
cd."immunità funzionale", chiamata anche "immunità materiale o ratione materiae":
grazie a questa immunità, l'agente non puo essere citato in giudizio per rispondere
penalmente o civilmente degli atti compiuti nell'esercizio delle sue funzioni. Poiché
questi atti sono sempre imputabili allo Stato che invia l'agente, quest'ultimo gode
dell'immunità funzionale anche dopo che cessano le sue funzioni.
• gli atti compiuti come privato sono,invece, coperti dall' "immunità personale",
chiamata anche "ratione personae": grazie a questa immunità, questi atti sono
immuni dalla giurisdizione penale, civile e amministrativa. Tranne (ma solo per quel
che riguarda la giurisdizione civile e comunque entro certi limiti):
• le azioni reali concernenti immobili situati nel territorio dello Stato accreditario
• azioni successorie
• azioni riguardanti l'attività professionale o commerciale dell'agente
• domande riconvenzionali

La ratio dell'immunità personale è quella di assicurare all'agente il libero e indisturbato


esercizio dell'esercizio delle sue funzioni. Ma, nel caso dell'immunità personale, l'agente
è immune dalla giurisdizione:
• finche si trova nel territorio dello Stato che lo riceve
• e finchè esplica le sue funzioni
Quindi, una volta cessate le funzioni, potra essere sottoposto a giudizio, anche per gli
atti o i reati compiuti quando rivestiva la qualità di agente diplomatico

• Immunità fiscale : Questa immunità riguarda solo le imposte dirette personali, anche
se lo Stato che lo riceve, per motivi di cortesia, può estendere l'immunità anche ad
altri tributi

Come sopra detto, anche ai capi di stato e di governo spettano le immunità diplomatiche (sia
quella funzionale che quella personale) e tali immunità permangono per tutto il tempo in cui
sono in carica. Quindi, fino quando sono in carica, i Capi di Stato e di Governo non sono
sottoponibili alla giurisdizione penale e civile dello stato estero, nemmeno nel caso in cui
avessero commesso dei crimini internazionali. Questa considerazione è stata piu volte ribadita
anche dalla giurisprudenza internazionale, come per esempio:
• nel caso Gheddafi: la Corte di Cassazione francese ha stabilito la non
sottoposizione a giudizio penale di Gheddafi per crimini internazionali perché, in
quanto Capo di Stato ancora in carica, godeva delle immunità diplomatiche
• nel caso Pinochet: la Polizia di Londra aveva arrestato Pinochet, ex dittatore del Cile,
mentre si trovava nel territorio inglese, perché accusato di aver commesso crimini
internazionali contro 94 cittadini spagnoli quando era al potere. Sebbene Pinochet tentò
di far valere l’immunità di cui godeva in quanto senatore a vita del Cile, l’House of
Lord rigettò tale richiesta sulla base del fatto che le immunità diplomatiche dei Capi di
Stato e di Governo cessano con il cessare della carica e poiché Pinochet non era più in
carica, poteva essere sottoposto a giudizio per gravi crimini internazionali.
Quindi venne estradato in Spagna ma il processo non ebbe, di fatto, mai luogo
perché una perizia medica riconobbe a Pinochet la sua non imputabilità in quanto
infermo di mente.

Il trattamento degli Stati stranieri

Un altro limite alla sovranità territoriale che lo Stato incontra è dato dal principio di non
ingerenza negli affari interni e internazionali di un altro Stato, che impone agli Stati di non
interferire e non condizionare le scelte di un altro Stato, in tema di politica interna e
internazionale.

In realtà, questo principio nel tempo ha perso la sua autonoma sfera di applicazione ed è stato
assorbito in altre regole e fattispecie piu pregnanti, tra cui:
• il divieto della minaccia o dell'uso della forza: quindi lo Stato che ricorre alla forza
per condizionare le scelte di un altro Stato in tema di politica interna/internazionale
commette violazione del principio di non ingerenza negli affari altrui. In tal seso,
importante è la sentenza della CIG nel caso "Nicaragua":
• Gli USA avevano fornito armi ai ribelli "Contras", che combattevano contro il
legittimo Governo di Nicaragua
• CIG condannò gli USA perche fornendo armi ai Contras, aveva violato il principio di
non ingerenza negli affari altrui e al tempo stesso aveva indebitamente fatto ricorso
alla forza per condizionare le scelte di un altro Stato
• il divieto per gli Stati di adottare misure di pressione economica contro altri Stati,
talmente stringenti da incidere sulle loro scelte, purché si tratti di misure
effettivamente capaci di incidere sulle scelte. Ma è difficile stabilier quando questo si
verifica. Secondo la CIG, non

si puo parlare di illecita ingerenza negli affari altrui:


• nè nel caso di interruzione di un programma di aiuto allo sviluppo
• nè nel caso di riduzione o divieto di
importazioni. Tuttavia, si puo ritenere che
quando queste misure:
• siano prese contemporaneamente e sistematicamente
• e inoltre abbiano come unico scopo quello di influire sulle scelte dello Stato Straniero
= allora queste misure devono considerarsi vietate

Poi ci si chiede se il principio di non ingerenza venga violato anche nel caso in cui, nel proprio
territorio, si svolgano comportamenti tali da:
• turbare indirettamente l'ordine pubblico di un altro Stato
• o comunque turbare l'indisturbato svolgersi della vita in quello Stato

= in pratica, cioè, ci si chiede se sono illecite ad esempio le manifestazioni di condanna o le


critiche al sistema politico/economico/sociale ecc di un altro Stato. Conforti ritiene che dal
principio di non ingerenza non possa derivare un obbligo per gli Stati di impedire che sul
proprio territorio si tengano manifestazioni di piazza con cui si condanna un altro Stato.
Forse l’unica regola consuetudinaria che potremmo ricavare è quella per cui lo Stato ha
l’obbligo di impedire che sul proprio territorio vengano preparati attentati terroristici diretti
contro altri stati.

Ci si chiede poi se gli Stati stranieri possono essere sottoposti alla giurisdizione civile dello
Stato territoriale:
• Fino ai primi del '900: tesi dell'immunità assoluta, in base alla quale gli Stati
stranieri erano assolutamente immuni dalla giurisdizione civile dello stato territoriale
in ossequio al brocardo latino “par in parem non habet iudicium”:
• Poi dopo la prima guerra mondiale: giurisprudenza italiana e belga hanno invertito le
cose, elaborando la teoria dell'immunità ristretta o relativa, in base alla quale gli Stati
stranieri sono immuni dalla giurisdizione civile dello stato territoriale per i soli atti de
iure imperii e non per gli atti de iure gestionis.

In particolare, questo è successo perché:


• le rappresentanze commerciali sovietiche che a quell'epoca cominciarono ad
operare all'estero, avevano il monopolio del commercio estero dell'URSS
• La giurisprudenza italiana si preoccupo del fatto che la norma sull'immunità
assiliuta potesse coprire anche le controversie relative ai rapporti commerciali
• e questo non sarebbe stato giusto visto che l'immunita assoluta era stata pensata
proprio per tutelare il solo potere statale

Quindi, con l'immunità relativa,l'esenzione degli Stati stranieri alla giurisdizione civile è
limitata:
• agli atti jure imperii : ossia quegli atti attraverso cui si esplica l'esercizio delle
funzioni pubbliche statali
• e non si estende invece agli atti jure gestionis o jure privatorum : ossia gli atti
aventi carattere privatistico, come per esempio l'acquisto di beni immobili

Va rilevato, però, che alcuni stati, come gli USA e l’Inghilterra, non seguono la regola
dell’immunità relativa e quindi non distinguono tra gli atti de iure imperii e gli atti de iure
gestionis ma applicano il metodo della lista: cioè elencano in modo specifico quali sono gli atti
in cui lo stato può esercitare la giurisdizione civile; per contro, quindi, tutti gli atti che non
rientrano in tale lista sono coperti da immunità.

In generale, non è facile distinguere gli atti de iure imperii dagli atti de iure gestionis se
rapportati ai casi concreti (questa difficoltà deriva da quella generale difficoltà di distinguere il
diritto pubblico dal diritto privato).
E uno dei casi concreti in cui tale difficoltà emerge maggiormente è quello relativo alle
controversie di lavoro. In questo caso, la Conv.Vienna adotta due criteri:
• il criterio della nazionalità del lavoratore
• il criterio del luogo in cui il lavoratore dovrà svolgere la propria attività
lavorativa In tal senso:
• se il lavoratore ha la stessa nazionalità dello Stato straniero presso cui lavora =
allora l'immunità sussiste
• se il lavoratore ha la stessa nazionalità dello Stato territoriale e presta servizio
presso il territorio di tale Stato = allora l'immunità è esclusa
Ci si cheide poi se in caso di violazioni gravi dei diritti umani, lo Stato citato in giudizio possa
far valere l'immunità. Qui si è avuto un lungo iter e varie sentenze:
• Nel 2008 il signor Ferrini, arrestato nel 44 dalle forze militari naziste, deportato in
Germania e messo ai lavori forzati, intentò davanti al tribunale di Arezzo un'azione di
risarcimento contro la Repubblica Federale di Germania
• A questo punto, il nocciolo della questione era stabilire se prevelavano le norme
internazionali sui diritti dell'uomo oppure le norme dettate per l'immunità a favore
dello Stato, in questo caso della Germania
• La Cassazione aveva poi accolto il suo ricorso, affermando che l'immunità
giurisdizionale non si applica quando le codnotte e gli atti costituiscono crimine
internazionale
• Nel 2012 è però intervenuta la CIG che ha dichiarato la responsabilità internazioanle
dell'Italia perché la Cassazione, con quella sentenza, non aveva rispettato l'immunità
dalla giurisdizione riconosciuta a ogni Stato e inoltre ha permesso l'instaurazione di
azioni civili davanti ai tribunali per ottenere i risarcimenti
• Per questo motivo, allora, è stata promulgagta inizialmente la legge 5/2013 con cui
l'italia aderisce alla Convenzione di New York sull'immunità giurisdizionale degli Stati
e poi ha previsto il difetto di giurisdizione in qualunque stato e grado del processo,
quando la CIG ha stabilito che uno Stato che ha tenuto specifiche condotte non è
sottoposto alla giurisdizione civile
• La Suprema Corte, con sentenza del 2014, si adegua a questo quadro normativa, ma
nello stesso giorno interviene il Tribunale di Firenze e viene sollevata una questione
di legittimà costituzionale, a protezione dei principi fondamentali del nostro
ordinamento
• La Corte Costituzionale Italiana ritiene fondata la questione di legittimità e con
sentenza 238/2014 si è dichiarata contraria all'immunità dello Stato tedesco nel
caso dei crimini nazisti
• A questo punto, siccome fu proprio la giurisprudenza italiana insieme a quella
belga, ad operare la distinzione tra iure imperii e iure gestionis, innovando quindi
la prassi, c'è da augurarsi che anche in questo caso accada lo stesso

Il diritto internazionale marittimo. Libertà dei mari e controllo degli stati costieri sui mari
adiacenti

Per vari secoli, è stato applicato il "principio del dominio dei mari": in particolare, le grandi
potenze navali (Inghilterra e Spagna) in virtu della loro superiorità navale, estesero la loro
sovranità anche sui mari, di fatto appropriandosene e impedendo agli altri Stati di utilizzare gli
spazi marini.

Quando poi l'Olanda apparve sulla scena mondiale come nuova potenza navale, i giuristi
olandesi (in particolare Grozio) furono portatori di un principio opposto: il "principio della
liberta dei mari",
in base al quale il singolo Stato non puo impedire nè intralciare l'utilizzazione degli spazi
marini (quindi navigazione,pesca, sfruttamento di altre risorse) agli altri Stati, o meglio, alle
navi che battono bandiera di un altro Stato.
Ad Ugo Grozio si oppose Selden, sostenitore accanito del principio del dominio dei mari ma la
disputa portò alla fine ad un generale riconoscimento del principio della libertà dei mari.

• Infatti, piu avanti, si è andata affermando la figura del "mare territoriale", che è
quella fascia di mare costiero equiparato al territorio dello Stato e quindi sottoposto
alla sovranità dello Stato costiero
• Poi, dopo la 2 Guerra Mondiale, sulla base della dottrina Truman, si è affermata la
figura della "piattaforma continentale", cioe quella parte di uolo e sottosuolo
marino che:

• costituisce un prolungamento della terra emersa


• e che pertanto si mantiene a profondità costante, prima di precipitare negli abissi

e di cui gli USA, sulla base proprio del proclama Truman, ne rivendicarono il controllo
delle risorse.

• Negli anni 80, si afferma la figura della zona economica esclusiva (ZEE) che è quella
zona che va dalla costa fino a 200 miglia marittime: tutte, o quasi tutte, le risorse
presenti in questa zona, appartengono allo Stato costiero

• Infine, si è affermata anche la figura del mare presenziale cioè quella zona di mare
che va oltre la ZEE : questa figura venne introdotta da alcuni Stati per proteggere la
loro fauna ittica in alto mare oltre la ZEE.

Il mare territoriale

Art 2 Conv.di Montego-Bay: "la sovranità dello Stato si estende aldilà del suo territorio e
delle sue acque interne, fino al mare territoriale". Il mare territoriale è quindi quella zona
adiacente alle coste e che si estende fino a un massimo di 12 miglia.

Poi, secondo una dottrina formatasi tra la 1 e la 2 guerra mondiale, poi recepita dalla Conv, "lo
Stato costiero ha il diritto di esercitare poteri di vigilanza e controllo nella zona contigua", che è
quella fascia di mare che si trova in prossimità del mare territoriale e, per la precisione, quindi
si estende dalle coste fino alle 24 miglia marine.

Questi poteri di vigilanza e controllo possono essere esercitati:


• per prevenire la violazione delle proprie leggi doganali/fiscali/sanitarie o di
immigrazione
• per le reprimere le violazioni a queste leggi
Tuttavia, il limite a questo potere è solo funzionale e non spaziale. Questo significa che lo
Stato puo estendere i suoi poteri di vigilanza e controllo anche oltre la zona contigua (quindi
oltre le 24 miglia) purché:
• non si tratti di una distanza tale da far perdere ogni idea di adiacenza
• sussista qualche contatto tra la nave e la costa, ad esempio nei casi di:
• trasbordo merci di contrabbando dalla nave straniera su imbarcazioni locali
• carico destinato a sbarcare nel territorio dello Stato costiero
• "pericolosità sociale"della merce
= in tutti questi casi, chiaramente, la ratio è sempre la repressione del contrabbando

Pertanto, alla luce di ciò, va rigettata la tesi della cd."presenza costruttiva", secondo cui lo
Stato deve esercitare il proprio potere di vigilanza e ontrollo rigorosamente entro le 24 miglia.

Per capire da quali punti cominciamo a misurare le 12 miglia, ci rifacciamo anche in questo
caso alla Conv.di Montego-Bay. Questa Conv fissa come criterio generale il "criterio della
linea di bassa marea", cioè si trattacia un alinea che unisce tutti i punti della costa rimasti
scoperti dalla bassa marea: da questa linea iniziano le 12 miglia.
Tuttavia, sempre la Conv consente di derogare a questa regola e consente di utilizzare il
"sistema delle linee rette", ritenuto elegittimo dalla CIG nel caso delle Pescherie Norvegesi: nel
sistema delle linee rette, la linea di base è segnata congiungendo tutti i punti sporgenti della
costa.

Se sulla costa sono presenti baie, cioe insenature profonde, nel tracciare la linea occorre tenere a
menti 2 concetti:
• Se i due punti di entrata della baia distano meno di 24 miglia = nel tracciare la linea,
questa linea passa dai due punti di entrata della baia
• Se i due punti di entrata della baia distano più di 24 miglia = nel tracicare la linea,
questa linea passa all'interno della baia

Nel tracciare la linea base, ogni Stato adotta uno dei due criteri. L'Italia ha optato per il
sistema delle linee rette. Anche se tuttavia nascono delle perplessità perche il sistema delle
linee rette è stato previsto da un atto amministrativo che ha derogato ad una norma di legge,
ossia l'articolo 2 del Codice della Navigazione che invece adottava il criterio della bassa
marea.

Per quanto riguarda i poteri che lo Stato costiero esercita nel mare territoriale, sono gli stessi
che esercita nel territorio, ma con due limiti:
• Il primo limite è costituito dal cd."diritto di passaggio inoffensivo o innocente da parte
delle navi straniere". Ogni nave straniera infatti ha diritto al passaggio inoffensivo nel
mare territoriale altrui, purche il passaggio sia continuo e rapido.
In particolare il passaggio è:
• inoffensivo quando non reca pregiudizio:
• alla pace
• al buon ordine
• alla sicurezza dello Stato costiero
• offensivo, quando, ad esempio, vi è
• uso della forza
• esercizi/manovre con armi
• propaganda ostile
• inquinamento

• Il secondo limite riguarda l'esercizio della giurisdizione penale sulle navi straniere:
lo Stato costiero infatti non puo esercitare la giurisdizione penale su fatti
puramente interni alla nave che non hanno alcuna ripercussione sullo Stato
costiero

La piattaforma continentale

Il concetto di piattaforma continentale è stato introdotta da Truman e venne recepito prima nella
Conv.Ginevra e poi in quella di Montego-Bay.

La piattaforma continentale è quella zona di mare:


• che costituisce un prolungamento naturale della terra emersa
• e che si mantiene a una profondità costante per circa 200 metri

• per poi sprofondare negli abissi

Dunque:
• lo Stato costiero ha il diritto esclusivo di sfuttare le risorse presenti nella
piattaforma continentale
• agli altri Stati, invece, spetta il diritto di navigare le acque e si sorvolare lo spazio
aereo sovrastanti la piattaforma continentale.

Questo diritto vantato dallo Stato costiero ha però natura funzionale cioè:
• questo diritto non va esercritato in modo generico, non va a disciplinare tutti gli aspetti
della vita sociale come avviene per il territorio e il mare territoriale
• bensì viene esercitato solo nella misura in cui è strettamente necessario per
controllare e sfruttare le risorse della piattaforma

Un problema sorge nel momento in cui si deve delimitare la piattaforma continentale tra Stati
che si fronteggiano (ad esempio Francia e Inghilterra) e Stati limitrofi (come Libia e Tunisia)
.In passato si riteneva che , in assenza di specifico accordo tra gli Stati, si dovesse utilizzare il
criterio dell'equidistanza: cioè nel delimitare la piattaforma continentale occorre tracciare una
linea i cui punti siano tutti equidistanti dalle rispettive linee di base del mare territoriale. Ma
questo poteva creare inconvenienti, perché:
• per gli Stati limitrofi, la diversa configurazione della piattaforma continentale, più o
meno concava, può avvantaggiare uno Stato e svantaggiarne un altro.
• per gli Stati che si fronteggiano, se la piattaforma continentale è comune a tutti e
due gli stati, vengono a sovrapporsi le rispettive pretese degli stati circa lo
sfruttamento.

Dati questi incovenienti, allora, la CIG nel 1969 affermò che il criterio dell'equidistanza non è
imposto dal diritto consuetudinario. In tal senso, la CIG affermò che solo ed esclusivamente
un accordo tra gli Stati interessati è in grado di delimitare la piattaforma continentale e tale
accordo deve necessariamente ispirarsi a principi di equità.
Tale orientamento espresso dalla CIG fu recepito dalla Convenzione di Montego Bay la quale
stabilisce che la delimitazione della piattaforma continentale deve avvenire solo attraverso un
accordo tra gli stati interessati e nel rispetto del principio di equità. (Conforti però critica
l’idea che l’accordo debba ispirarsi all’equità perché, se gli stati raggiungono l’accordo,
anche se iniquo, questo resta sempre valido, a meno che non si voglia considerare l’equità
come una regola di ius cogens ma ciò va escluso).

La Zona Economia Esclusiva (ZEE)

La ZEE è quella fascia di mare che si estende dalla costa fino ad un massimo di 200 miglia
marine. Anche in questo caso la delimitazione puo avvenire solo tramite accordo tra gli Stati
interessati.

Allo Stato costiero nella spetta il diritto di sfruttare le risorse economiche (biologiche e marine)
presenti nella ZEE:
• sia le risorse che si trovano nelle acque sovrastanti
• sia le risorse che si trovano nel suolo e nel sottosuolo
marino L'esclusività è fissata anhce per la pesca, infatti lo Stato
costiero può:
• fissare la quantità di risorse ittiche sfruttabili
• determinare la propria capacità di sfruttamento
• consentire la pesca agli Stati stranieri nell'ambito degli accordi conclusi con i relativi
Stati di appartenenza

Tuttavia questo diritto allo sfruttamento non puo spingersi a tal punto da pregiudicare i diritti
degli altri Stati di utilizzare la zona in altri possibili modi. Infatti hanno il diritto di:
• navigare le acque
• sorvolare lo spazio aereo sovrastante
• nonchè il diritto di messa in opera di cavi sottomarini

In tal senso, per quanto riguarda l'utilizzo delle risorse nella ZEE, ci si potrebbe chiedere quale
principio regola i rapporti tra lo Stato costiero e gli altri Stati. Alcuni autori ritengono che i
rapporti siano regolati dal principio di liberta dei mari, secondo altri dal principio della
sovranità dello Stato costiero.
Secondo Conforti, non prevale nessuna regola perché:
• da un lato, vi è il diritto dello Stato costiero di sfruttare totalmente,
esclusivamente e razionalmente le risorse marine
• dall'altro lato, vi è la possibilità per gli altri Stati di navigare, sorvolare e posare
cavi sottomarini: e quindi la possibilità di usare la ZEE per esigenze che si
connettono alle
*comunicazioni e ai *traffici marittimi e aerei

Dunque, entrambi i diritti di questi Stati hanno carattere funzionale, nel senso che sono
consentite soltanto quelle attività che risultanto indispensabili, rispettivamente,
• allo sfruttamento delle risorse, per lo Stato costiero
• alle comunicazioni e ai traffiic aerei/marittimi, per tutti gli altri Stati

Un esempio della natura funzionale del diritto allo sfruttamento delle risorse è dato dalla
pesca, dove infatti lo Stato costiero ha il diritto di sfruttare le risorse ittiche, ma se lo Stato
costiero non le sfrutte tutte allora puo consentire agli altri Stati la possibilità di sffruttare le
risorse residue, mediante accordi.

Occorre fare una precisazione:


• Se la piattaforma continentale ha una lunghezza di 200 miglia, allora si andrà a
confondere con la ZEE, quindi i poteri che lo Stato costiero esercita nella zona
economica esclusiva si confonderanno con quelli che esercita nella piattaforma
continentale.
• Se la piattaforma continentale supera i 200 miglia, secondo la Conv.di Montego-Bay,
lo Stao costiero conserva il diritto di sfruttare le risorse oltre le 200 miglia, ma fino al
cd."margine continentale", che è il limite estremo della piattaforma. In questo caso,
però, una parte di ciò che lo Stato costiero ricaverà dallo sfruttamento del margine
continentale dovrà essere versato all’Autorità internazionale dei fondi marini.

Il mare internazionale e l'area internazionale dei fondi marini

Oltre la ZEE, cessa ogni potere di qualsiasi Stato e si parla quindi di "mare internazionale", cioè
quello spazio marino sotttratto a qualsiasi potere di controllo da parte di un singolo Stato. Al
mare internazionale si applica dunque il "principio della liberta dei mari", in base al quale:
• tutti gli Stati hanno eguale diritto a trarre dal mare internazionale tutte le utilità che
questo puo offrire (navigazione,pesca,posa di cavi, sfruttamento di risorse
biologiche e minerali, ecc ecc )
• Allo stesso tempo però questo principio comporta che uno Stato non puo utilizzare
questo spazio marino al punto da sopprimere ogni possibilità di utilizzazione da
parte degli altri Stati, per esempio:
• esaurendo/compromettendo una specie ittica

• accaparrandosi tutte le risorse di un'area


Le risorse minerarie del suolo e sottosuolo del mare internazionale comprendono:
• noduli polimetallici
• croste di ferro e manganese
• solfati polimetallici
= e sono state dichiarate "patrimonio comune della comunità". Questo comporta che lo
sfruttamento deve avvenire nell'interesse dell'intera umantà, attraverso la costituzione di
un'organizzazione internazionale capacce di assicurare il perseguimento di tale interesse: cosi è
stata creata l'Autorità Internazionale dei Fondi Marini.

Lo sfruttamento deve avvenire seguendo il cd."sistema dello sfruttamento parallelo", in base


al quale ogni sito di sfruttamento dovrà essere diviso in 2 parti:
• una parte verrà attribuita allo Stato che ha individuato il sito
• l'altra verrà affidata all'Impresa (che è un organo dell'Autorità Internaz. Dei Fondi
Marini), che agirà nel quadro di "joint ventures", che è un accordo di collaborazione
che definisce un nuovo soggetto, indipendente dalle imprese che lo costituiscono.

La navigazione marittima

Il principio generale è quello secondo cui ogni nave è sottoposta al potere esclusivo dello
Stato di cui batte la bandiera, purché vi sia un legame effettivo tra la nave e lo Stato della
bandiera (principio del genuine link). L’obbligo del legame effettivo tra la nave e lo Stato
della bandiera nasce per reprimere il fenomeno della bandiera-ombra o della bandiera di
comodo, cioè quel fenomeno in forza del quale, ai fini dell’elusione fiscale, la nave batte la
bandiera di uno Stato con cui non ha alcun legame effettivo.
Laddove una nave batta la bandiera di uno Stato con cui non ha alcun legame effettivo, la
Convenzione di Montego Bay non prevede alcuna sanzione ma considera tale nave come una
nave priva di nazionalità.
Questo potere esclusivo dello Stato di cui la nave batte la bandiera, viene esercitato dallo
Stato attraverso il comandante o attraverso le proprie navi da guerra. Il comandate della
nave viene quindi considerato come un organo dello Stato.

Il principio secondo cui ogni nave è sottoposta al potere esclusivo della Stato di cui
batte la bandiera subisce varie eccezioni a seconda dello spazio in cui si trova la nave.
Infatti:
• La nave pirata, cioe la nave che commette atti di violenza contro altre navi a fini di
preda o altri fini non politici, puo essere catturata e sottoposta a misure repressive da
qualsiasi Stato. Quindi gli Stati hanno la facoltà, non l'obbligo di catturare la nave
pirata. Questa facoltà diventa però un obbligo se vi sono appositi accordi
internazionali sulla pirateria (ad esempio la Missione Atlanta, per la repressione della
piratesia somala nella zona del Corno d'Africa)
• Sempre nel mare internazionale, una nave ha guerra che incontra in alto mare una
nave mercantile puo fermarla se ha seri motivi per sospettare che la nave:
• pratichi la pirateria
• pratichi la tratta degli schiavi
• trasmetta trasmissioni radio o televisive non autorizzate
• che la nave non abbia nazionalità di alcuno Stato (uso fraudolento della bandiera)
• che la nave ha avuto un incidente e rischia di inquinare il mare internazionale.
Se pero questi sospetti si rivelano infondati allora la nave deve essere indennizzata per
qualsiasi perdita o danno.

Se una nave straniera si trova nella ZEE di uno Stato, allora sarà sottoposta al potere sia dello
Stato

della bandiera sia al potere dello Stato costiero, se la nave ha violato le leggi dello Stato
costiero in materia di sfruttamento delle risorse marine e sottomarine.

Se, invece, una nave straniera entra nel mare territoriale, lo Stato costiero puo esercitare il
proprio potere di Governo, con i limiti costituiti dal:
• diritto di passaggio inoffensivo
• sottrazione alla giurisdizione penale dello Stato costiero per quanto riguarda
i fatti puramente interni alla nave

• Lo Stato costiero gode inoltre del "diritto di inseguimento", in base al quale le


navi da guerra o adibite a servizi pubblici (esempio motovedette della GdF)
appartenenti allo Stato costiero, possono inseguire una nave straniera che abbia
violato le leggi del suo Stato, purché l'inseguimento abbia inizio nelle acque
interne e finisca nel momento in cui la nave entra nel mare territoriale di un
altro Stato

Circa il regime internazionale delle navi (sia pubbliche che private), vige il principio generale per cui
ogni nave è sottoposta esclusivamente al potere dello Stato di cui ha la nazionalità, cioè lo Stato di
bandiera, che esercita il suo governo (attraverso il comandante o attraverso le proprie navi da guerra)
sulla comunità navale.
Il comandante di una nave, anche di una nave privata, deve considerarsi come un organo dello
Stato che esercita poteri coercitivi limitatamente agli eventi che si verificano nel corso della
navigazione, salvo il rispetto degli obblighi relativi al trattamento degli stranieri a bordo,
analogamente a quanto avviene riguardo a quegli obblighi che limitano la sovranità territoriale.
La Convenzione di Montego Bay stabilisce che “le navi navigano sotto la bandiera di un solo Stato
e in alto mare sono sottoposta alla sua giurisdizione esclusiva, salvo le eccezioni espressamente
previste da trattati internazionali o dalla Convenzione” (cd. exclusive jurisdiction on the high seas).
Solo nel caso di collisioni o altri incidenti di navigazione Stati diversi da quello di bandiera o dello
Stato nazionale dell’autore dell’incidente non possano esercitare , e nemmeno nel loro territorio , la
giurisdizione penale sugli autori medesimi (norma speciale)
*** CASO MARO’.
La notte del 15 febbraio 2012 la nave commerciale italiana Enrica Lexie, in rotta da Singapore a
Djibouti, è stata avvicinata da un’imbarcazione al largo delle coste indiane del Kerala. A bordo
dell’Enrica Lexie erano presenti e prestavano servizio una squadra di sei fucilieri della marina militare
italiana, incaricati sulla base della legge n. 130 del 2 agosto 2011 di proteggere la nave da eventuali
attacchi di pirati.
Temendo per l’appunto un attacco da parte di pirati, i militari italiani hanno aperto un fuoco
d’intimidazione verso l’imbarcazione in avvicinamento. Tale imbarcazione non era però una
barca di pirati, ma un peschereccio del Kerala (il St Anthony) e due pescatori indiani, colpiti dal
fuoco dei fucilieri, sono rimasti uccisi.
Il mattino seguente la guardia costiera indiana ha chiesto alla Enrica Lexie di recarsi al porto di
Kochi, affinché il suo equipaggio potesse partecipare ad un’operazione d’identificazione di alcuni
pirati catturati la notte precedente. Una volta giunta la nave nel porto di Kochi, le autorità indiane
hanno intimato all’Enrica Lexie di non lasciare il porto e, il 17 febbraio, forze di polizia indiane sono
salite a bordo, sequestrando le armi dei fucilieri e procedendo alla cattura di due “marò”, Salvatore
Girone e Massimiliano Latorre, individuati come possibili responsabili del fuoco aperto contro il
peschereccio indiano. Nei confronti dei due fucilieri è stato quindi avviato un procedimento penale di
fronte ai giudici dello Stato indiano del Kerala, con l’accusa di omicidio.
Il nodo giuridico centrale nel caso dei “marò” riguarda l’esercizio da parte dell’India della
giurisdizione penale sui fucilieri di marina accusati dell’uccisione dei due pescatori indiani al largo
delle coste del Kerala.
Sia la difesa dei “marò” nel procedimento dinnanzi alle corti indiane, sia i comunicati ufficiali e le note
verbali del Governo italiano contestano tale esercizio sulla base di due argomentazioni principali.
Un’argomentazione riguarda la localizzazione dei fatti che hanno determinato la morte dei pescatori
del St Anthony. Tali fatti si sono verificati a circa 22 miglia nautiche dalle coste del Kerala, al di là
delle acque territoriali indiane, nell’ambito della zona economica esclusiva e della c.d. zona contigua
indiana. Secondo la tesi italiana ai fatti in questione andrebbe applicato l’art. 97 della Convenzione
delle Nazioni Unte sul diritto del mare (CNUDM), di cui sono parti sia l’Italia sia l’India. L’art. 97
prevede che, in caso di una collisione o di ogni altro incidente di navigazione in alto mare, la
giurisdizione penale o disciplinare sul comandante e ogni persona in servizio sulla nave spetti allo
Stato della bandiera o allo Stato nazionale della persona. Facendosi rientrare l’episodio che ha
portato alla morte dei pescatori nell’ambito degli “altri incidenti di navigazione” di cui all’art. 97, se ne
avrebbe che eventuali procedimenti penali nei confronti dei presunti responsabili potrebbero essere
aperti e condotti soltanto dai

giudici italiani, in quanto giudici dello Stato che è al contempo Stato della bandiera della nave
responsabile dell’incidente, e Stato nazionale dei presunti responsabili. Al contrario, i giudici indiani
non avrebbero alcun titolo ad esercitare la giurisdizione.
A prescindere dai motivi addotti prima dalla Corte del Kerala e poi dalla Corte suprema di New Delhi,
per rigettare l’eccezione sollevata dalla difesa dei “marò”, va detto che la pretesa di fondare la
giurisdizione esclusiva dell’Italia sulla base della CNUDM, e in particolare dell’art. 97, risulta di
fondatezza molto dubbia. L’art. 97 si applica infatti ai soli casi di collisione tra navi e agli incidenti di
navigazione, quali – ad esempio – danneggiamenti provocati a cavi o condotte sottomarine, urti contro
isole o istallazioni artificiali. L’uccisione di persone causata da un fuoco volontario di avvertimento,
intimidazione o difesa non rientra invece nella casistica presa in considerazione dalla disposizione, né
è riscontrabile nella prassi alcuna tendenza indicativa della possibilità di estendere in tal senso la
portata dell’art. 97.
Nel caso della Enrica Lexie esiste, al contrario, un elemento che giustificherebbe pienamente
l’esercizio della giurisdizione penale da parte dei giudici indiani nei confronti di stranieri membri di un
equipaggio di una nave straniera per fatti avvenuti al di là delle acque territoriali indiane. Ci riferiamo
precisamente alla nazionalità delle vittime, che costituisce – com’ è noto – uno dei principali criteri
di collegamento per l’esercizio di tale giurisdizione, anche quando si tratti di giudicare fatti avvenuti
fuori dalla spazio sottoposto alla sovranità territoriale dello Stato, posti in essere da persone aventi la
nazionalità di un altro Stato.
L’altro argomento invocato dall’Italia per contestare l’esercizio da parte dell’India della giurisdizione
penale riguarda la c.d. immunità funzionale, ossia il principio di diritto internazionale generale in
base al quale gli atti compiuti da organi dello Stato nell’esercizio delle loro funzioni sarebbero atti da
attribuire allo Stato, e non agli individui che li hanno concretamente posti in essere. Tale principio
comporta per gli individui-organi che abbiano agito nell’esercizio di tali funzioni l’immunità dalla
giurisdizione penale di un altro Stato; per cui risulta vietato dal diritto internazionale generale che uno
Stato eserciti la propria giurisdizione penale nei confronti di organi di Stati stranieri anche quando
questi abbiano tenuto comportamenti che sul piano del diritto penale del primo Stato configurano
gravi reati .
Anche l’applicabilità di questo principio è stata disconosciuta, nel caso specifico dei “marò”, dai
giudici indiani. A prescindere ancora dalle argomentazioni utilizzate dai giudici indiani (poco
sviluppate e poco convincenti), la contestazione dell’Italia appare però, in questo caso, ben fondata e
piuttosto solida. È indubbio infatti che i due fucilieri italiani sono da considerare organi dello Stato
italiano: si tratta di militari delle forze armate italiane, che assolvono una funzione pubblica di
protezione dei traffici marittimi contro i pirati, sulla base di una legge che, nello svolgimento di tale
funzione, li qualifica come ufficiali e agenti di polizia giudiziaria; obbediscono agli ordini del Ministro
della difesa italiano e sono stipendiati dal Ministero della difesa (e non dall’armatore del mercantile su
cui sono imbarcati, il quale paga un contributo al Ministero della difesa). Ed è altrettanto indubbio che
gli atti ad essi attribuiti, che hanno causato la morte dei pescatori indiani, sono stati compiuti
nell’esercizio delle loro funzioni, e non al di fuori di questo esercizio o per ragioni “private”.
Oltretutto, tali atti non sono neppure stati compiuti in acque territoriali indiane, bensì in una zona di
mare nella quale non sarebbe certamente necessaria la sussistenza di un “permesso” dello Stato
territoriale (come sostenuto da taluni con riferimento al territorio e alle acque territoriali dello Stato)
affinché militari stranieri possano operare nell’esercizio delle loro funzioni ed essere coperti
dall’immunità funzionale.
Gli elementi rinvenibili nella prassi degli Stati, nella giurisprudenza interna e internazionale, nei lavori
di “codificazione” in corso presso le Nazioni Unite o svolti dall’Institut de Droit International, poi ,
vanno nella direzione di indicare la vigenza e i contenuti essenziali di questa regola, configurandola in
modo tale da far rientrare nel suo ambito di applicazione il caso dei “marò” Latorre e Girone.

È pertanto per rispettare questa regola del diritto internazionale che l’India non dovrebbe esercitare
alcuna giurisdizione penale sui due fucilieri, fermando i processi iniziati e lasciando l’esercizio della
giurisdizione ai giudici italiani. Ed è proprio – e diremmo esclusivamente – sulla violazione del
principio dell’immunità funzionale che andrebbero incentrate e concentrate le pretese italiane nei
confronti dell’India, tanto di fronte ai tribunali indiani, quanto – soprattutto – sul piano dell’azione e
della strategia diplomatica.
• : Latorre e Girone si trovano ora in Italia . Latorre fino al 30 settembre 2016 (permesso concesso
per ristabilirsi da un delicato intervento), Girone è rientrato il 28 maggio 2016 in Italia e rimarrà per
tutta la durata del procedimento arbitrale che , nel frattempo , è stato promosso.
Il principio della sottoposizione della nave allo Stato di bandiera subisce eccezioni che
aumentano via via che la nave entra nelle zone sottoposte alla sovranità dello Stato costiero. Eccone
l’elenco.
• Pirateria: cominciando dall’ipotesi della nave in acque internazionali il diritto
consuetudinario stabilisce che la nave pirata (cioè la nave che commette atti di violenza contro altre
navi a fini di preda) può essere catturata e sottoposta a misure repressive da parte di qualsiasi Stato
quali la punizione dei membri dell’equipaggio , la confisca della nave o del carico , ecc. Il fenomeno
della Pirateria ha raggiungo livelli assai preoccupanti nelle acque della Somalia. Questa pratica si è
originata nei primi anni 90, quando scoppiò la guerra civile somala. Inizialmente i pirati erano
pescatori che dichiaravano di ritenere le navi mercantili straniere “una minaccia per l’economica
locale”. Con il tempo i Signori della guerra si resero conto che la pirateria era un fruttuoso
“business”, visto che di solito venivano pagati dei riscatti per il rilascio delle navi o delle persone
catturate durante questi assalti marittimi.
Per arginare il fenomeno sono state istituite forme di cooperazione internazionale. L’Unione
Europea in ambito PESC prevede , ad es. , l’azione comune Atlanta alla quale partecipa anche
l’Italia.
Connesso con il tema della pirateria è l’art 110 della Convenzione di Montego Bay che ha introdotto
un limitato “diritto di visita delle navi mercantili altrui “ in alto
mare da parte di navi da guerra. Tale diritto di visita è , tuttavia, limitato in quanto la nave mercantile
non può essere fermata a meno che non vi siano seri sospetti che:
• la nave pratichi pirateria;
• la nave pratichi la tratta degli schiavi;
• dalla nave partano trasmissioni radiotelevisive rivolte al grande pubblico e non autorizzate .
(da notare che i casi b e c non trovano riscontro nel diritto internazionale consuetudinario e, quindi, la
visita è da considerare illegittima se lo Stato visitante e lo Stato di bandiera non sono parti contraenti
della Convenzione).
• la nave non abbia alcuna nazionalità;
• la nave, pur battendo bandiera straniera o rifiutandosi di issare la bandiera, abbia in realtà la
stessa nazionalità della nave da guerra.
Nel caso in cui i sospetti si rivelano infondati, e sempre che l’atteggiamento della nave non li
giustifichi, la nave fermata dovrà ricevere un indennizzo per qualsiasi perdita o danno.
• Ingresso di una nave straniera in zona economica esclusiva altrui: In tal caso, lo Stato
costiero può esercitare sulle navi altrui tutti i poteri relativi alla regolamentazione dello sfruttamento
delle risorse, reprimendo le infrazioni, visitando e sequestrando il carico, infliggendo sanzioni penali
all’equipaggio. Inoltr, in base al principio funzionale , non sono giustificabili misure sproporzionate
alle infrazioni commesse.
• Ingresso di una nave straniera nel mare territoriale altrui: Lo Stato costiero esercita
il proprio potere di governo nei confronti delle navi altrui , limitato dal diritto di passaggio
inoffensivo e

dalla sottrazione alla giurisdizione penale dello Stato costiero ( tant’è vero che è la giurisdizione dello
Stato di bandiera ad essere valida ma solo per quei fatti puramente interni alla comunità navale; per
gli altri interviene comunque la giurisdizione dello Stato costiero).
• Diritto di inseguimento: Le navi da guerra o adibite a servizio di vigilanza doganale o
sanitaria appartenenti allo Stato costiero possono inseguire anche in acque internazionali la nave
che abbia violato le sue leggi, purché l’inseguimento abbia avuto inizio nelle acque sotto la
sovranità dello Stato costiero (acque interne, mare territoriale, acque sovrastanti la piattaforma
continentale, zona economica esclusiva), nel rispetto dei limiti, imposti in queste zone per lo Stato
costiero stesso.
L’inseguimento deve essere continuo e sulla nave catturata possono esercitarsi solo quei poteri
previsti nella zona in cui l’inseguimento ha avuto inizio. L’inseguimento deve cessare se la nave
entra nel mare territoriale di altro Stato.
• la teoria della presenza costruttiva: secondo questa teoria la nave straniera che, pur
rimanendo in acque internazionali, partecipi a traffici illeciti (es.: trasbordo di merci di
contrabbando) di altre navi che operano in spazi marini sottoposti al potere di governo dello Stato
costiero, può essere catturata da quest’ultimo. Questa regola ha trovato un’ eco nella Convenzione di
Montego Bay che l’ha introdotta con lo scopo di combattere il contrabbando. In realtà , comunque,
non si tratta di un vero e proprio diritto di inseguimento ma di un’applicazione del principio
funzionalistico in tema di vigilanza doganale.
Uno Stato può concedere la sua bandiera a qualsivoglia nave? Secondo la Convenzione di
Montego Bay, che riprende una norma di diritto internazionale generale trattata nella Convenzione di
Ginevra nel 1958, ogni Stato fissa le condizioni per la concessione della nazionalità alle navi e per l’
iscrizione nei propri registri navali. Tuttavia perché tale registrazione possa essere effettuata è
necessario che sussista, tra lo Stato e la nave, un legame sostanziale (il c.d. genuine link).
In cosa consista questo legame sostanziale venne precisato dalla Convenzione dell’Onu del 1986 sulle
condizioni di immatricolazione delle navi, per la quale la nave deve essere di proprietà di un numero di
cittadini dello Stato immatricolante sufficiente ad assicurare allo Stato stesso controllo effettivo sulla nave o
che l’equipaggio sia formato per una quota soddisfacente da cittadini o residenti abituali nello Stato
immatricolante (questo perché come si è detto, il capitano può esercitare i poteri dello Stato immatricolante
solamente sui cittadini di quello Stato).
Le navi che vengono immatricolate nonostante non sussista questo “genuine link” vengono chiamate
Bandiere ombra. La mancanza di questo legame sostanziale, necessario per l’immatricolazione delle
navi seconda la Convenzione Onu, dovrebbe comportare la denazionalizzazione della nave con
conseguente esercizio del potere di governo sulla stessa da parte degli altri Stati. Tuttavia, secondo la
giurisprudenza maggioritaria, l’assenza di tale genuine link non legittima le navi di altri Stati a
intervenire nei confronti delle navi battenti bandiere ombra, quando queste si trovano in alto mare né a
disconoscerne la nazionalità (manifestata mediante esposizione della bandiera).In realtà il problema
andrebbe risolto considerando le norme sul trattamento degli stranieri e sulla giurisdizione civile e
penale sulle navi straniere.

La protezione dell’ambiente marino.

La lotta all’inquinamento marino richiede una stretta cooperazione internazionale. Ciò spiega
perché Montego Bay detta una normativa-quadro lasciando che dei dettagli si occupino degli accordi
specifici (fra questi si ricordi gli Accordi universali , quali ad es. la Convenzione di Londra del 1954
contro l’inquinamento da idrocarburi; Accordi regionali, tra i quali importante è la convenzione di
Barcellona del 1976 per la protezione del Mar mediterraneo dall’inquinamento).
Prima di parlare delle varie Convenzioni adottate dalla comunità internazionale per tutelare
l’ambiente marino, bisogna stabilire in quali termini esiste nel diritto internazionale un obbligo a non
inquinare le acque dei mari e degli oceani.
1)A livello di diritto consuetudinario, non si è mai formato un obbligo a non inquinare le acque
dei mari (come non esiste neanche l’ obbligo di non produrre inquinamento nel territorio di altri Stati).
Per cui quando la Convenzione di Montego Bay dispone che gli Stati hanno” il dovere di proteggere e
preservare l’ambiente marino”, indica non una regola del diritto nazionale generale ma un principio in
formazione. Ciò di cui più si preoccupa la Convenzione , più che inquadrare le fattispecie che danno
luogo a responsabilità da inquinamento, è la predisposizione , da parte degli Stati, di sistemi adeguati per
permettere un risarcimento dei danni causati dall’inquinamento fondato sulla responsabilità civile dello
Stato inquinante.
2)a livello di diritto convenzionale: gli Accordi universali e regionali contengono una serie di
divieti (spesso molto dettagliati) per contrastare l’inquinamento dei mari. Questi divieti riguardano
prevalentemente le navi ma sono indirizzati anche alle persone fisiche e giuridiche (si pensi ad es. ad una
fabbrica che inquina il mare riversando le proprie scorie nelle acque circostanti). I divieti contenuti nei
sopracitati accordi (sia universali che regionali) sono destinati ad operare , dunque, nell’ambito degli
ordinamenti interni degli Stati contraenti , nei limiti in cui questi si conformino alle convenzioni che li
contengono.
*Un altro problema fondamentale, in tema di lotta all’inquinamento marino, è la necessità di
stabilire quale Stato possa utilizzare il proprio potere di governo sulle navi per evitare che esse vadano ad
inquinare il mare.
1)Per il diritto consuetudinario, ad imporre divieti e sanzioni per inquinamento, sono lo Stato di
bandiera e, nelle zone sottoposte alla giurisdizione nazionale, lo Stato costiero (che eserciterà il proprio
potere sulle navi di altri Stati, onde evitare fenomeni di inquinamento , quando esse si troveranno nelle
proprie acque interne, nelle acque territoriali e nella zona economica esclusiva). Stesso principio, grosso
modo, vige negli accordi internazionali.
2)Più restrittiva la disciplina introdotta con la Convenzione di Montego Bay: secondo cui lo
Stato costiero può imporre misure coercitive solo se la nave si
trovi in un suo porto, a meno che non si tratti di casi gravi. In compenso la Convenzione ritiene
l’intervento dello Stato costiero ammissibile anche quando la nave in porto abbia inquinato una zona non
sottoposta alla sua giurisdizione.
Per quanto riguarda l’Italia che, come abbiamo visto, non possiede una zona economica esclusiva,
una legge del 2006 ha previsto la possibilità di creare delle “zone di protezione ecologica” entro i limiti
geografici consentiti per la zona economica esclusiva. In queste zone lo Stato potrà applicare le norme di
diritto italiano e le norme comunitarie alle navi bettenti bandiera straniera e alle persone di nazionalità
straniera in materia di prevenzione e repressione di tutti i tipi di inquinamento marino .
In conclusione bisogna ricordare un’altra pratica riconosciuta dalla Convenzione di Montego Bay
e dalla prassi, secondo cui l’intervento dello Statosu una nave altrui nel mare internazionale deve
considerarsi legittimo se attuato con lo scopo di impedire o attenuare i danni al proprio litorale, derivanti
da un incidente già avvenuto.

Gli spazi aerei e cosmici: la Navigazione aerea

Le norme sulla navigazione aerea si sono formate per analogia a quelle della navigazione
marittima per poi consolidarsi per consuetudine (anch’ esse comportano limiti alla potestà di governo
degli Stati).
Due sono in principi generali in materia:
a)la sovranità dello Stato si estende allo spazio atmosferico sovrastante
il territorio e il mare territoriale (principio sancito anche dalla Convenzione di Chicago del 1944, istitutiva
dall’ICAO).
b)lo spazio aereo che non sovrasta il territorio e il mare territoriale (sovrastante l’alto mare e i
territori inappropriati e inappropriabili) deve restare libero all’utilizzazione di tutti gli Stati che esercitano
il loro esclusivo potere sugli aerei della propria nazionalità (ossia in essi immatricolati).
La sovranità dello Stato, sullo spazio aereo sovrastante il suo territorio o i mare territoriale, si manifesta
soprattutto nella possibilità di:
- regolare il sorvolo sul proprio territorio;
- stabilire le zone interdette al sorvolo;
- indicare le rotte che gli aerei devono seguire;
- impedire il sorvolo ad aerei stranieri, a meno che non vi siano obblighi internazionali a consentire il
sorvolo;
Lo sviluppo della tecnologia aeronautica e le velocità raggiunte dagli aeromobili hanno portato
alla creazione, intorno alle aree sovrastanti il mare territoriale, di vaste zone di identificazione (che si
estendono anche per centinaia di miglia nello spazio sovrastante l’alto mare intorno alle coste). Gli Stati
costieri impongono agli aerei che entrano in queste zone e che sono diretti verso le proprie coste i
seguenti obblighi:
- sottoporsi a identificazione;
- comunicare la propria posizione;
- sottoporsi ad altre misure di controllo esercitate da terra.
Gli aerei che si sottraggono a tali obblighi potrebbero essere soggetti al potere di governo dello Stato solo
nei limiti di quanto strettamente richiesto da esigenze di difesa. Di questo avviso non è la Corte di
Giustizia dell’UE che prevede la legittimità di sanzioni quali:
- l’ intercettazione;
- l’atterraggio forzoso;
- l’abbattimento.

Gli Spazi aerei e cosmici: la navigazione cosmica

La navigazione cosmica negli spazi extra-atmosferici, attraverso satelliti o navi spaziali, è


sottoposta al principio sulla libertà di sorvolo proprio degli spazi nullius. Lo Stato che lancia un satellite o
una nave spaziale ha diritto di governo esclusivo su di essi. E’ prassi che a questo tipo di navigazione,
caratterizzata da estrema velocità e distanza dalla Terra, non si applichino i criteri del sorvolo delle zone
territoriali con conseguente estensione della sovranità dello Stato territoriale.
Numerose sono le Convenzioni multilaterali in sede Onu che hanno per oggetto il regime degli spazi
cosmici, come il Trattato sull’ esplorazione e sull’utilizzazione dello spazio extra-atmosferico, inclusi la
Luna e altri corpi celesti del 1967 che sancisce i seguenti principi:
a)lo spazio cosmico non può essere sottoposto alla sovranità di nessuno Stato.
b)lo spazio cosmico è denuclearizzato;
c)gli astronauti sono inviati dell’umanità;
d)è obbligo degli Stati dare ogni tipo di assistenza agli astronauti in caso di
incidente, pericolo o atterraggio d’emergenza;
e) Lo Stato nazionale è responsabile per di danni da attività cosmica causati da un oggetto
spaziale da lui lanciato.
f)lo Stato nel quale l’oggetto è registrato ha piena giurisdizione e
controllo sull’oggetto stesso.
Anche per gli spazi atmosferici e cosmici ,poi , si può parlare in senso lato di risorse naturali: il problema
dell’utilizzo delle risorse cosmiche si è posto in particolare per l’utilizzo dello spazio cosmico ai fini di
compiere trasmissioni radio o telecomunicazioni (mediante la posizione di satelliti). In questo caso vige il
principio di libertà con il consueto limite del rispetto della pari libertà altrui, con in più l’esigenza di
coordinamento tra tutti gli Stati (ART.44 Costituzione dell’ITU), a causa della limitatezza del numero
delle onde radio e del limitato numero di satelliti che possono ruotare sull’orbita geostazionaria (cioè
quella linea che corre sull’equatore nella quale i satelliti per telecomunicazioni seguono la rotazione
terrestre). Si ritiene che l’orbita geostazionaria possa ospitare al massimo 1800 satelliti (al momento solo
alcune centinaia di satelliti ruotano intorno alla terra).
Non sembra avere alcun fondamento la rivendicazione di sovranità sull’orbita geostazionaria di alcuni
Stati equatoriali che ha dato vita alla Dichiarazione di Bogotà (1976).

Le regioni polari

Le regioni polari, Artide e Antartide, sono spazi non soggetti alla sovranità di alcuno Stato, nei quali vige
il principio di libertà, anche se l’Antartide è ora internazionalizzato , nel senso che oltre al principio di
libertà alcune norme ne disciplinano l’utilizzazione.
Non sono mancate pretese di sovranità sulle regioni polari, basate sulla cosiddetta teoria dei settori,
formulata dagli Stati contigui territorialmente alle zone artica e antartica (Argentina, Cile, Australia..), ma
anche da altri Stati non contigui (Inghilterra, Francia) che invocavano quale titolo la scoperta. Tali pretese
sono state sempre respinte dalla maggioranza degli Stati. Esse sono, inoltre, giuridicamente infondate, in
quanto non sorrette dall’effettività dell’occupazione.
La mancanza di sovranità territoriale comporta che ciascuno Stato eserciti il proprio governo solo sulle
comunità che ad esso fanno capo.
Per quanto riguarda le navi, vige il potere dello Stato di bandiera; per quanto riguarda spedizioni
scientifiche o di basi su terraferma, il potere è esercitato dallo Stato organizzatore su tutti i componenti,
cittadini e stranieri.
Convenzionalmente è stabilito che il personale scambiato tra basi diverse rimanga soggetto alla sovranità
del proprio Stato.

L’Antartide è stato internazionalizzato con il Trattato di Washington (1959), in base al quale tutte le
pretese di sovranità e le relative opposizioni sono state congelate a favore del funzionamento del regime
internazionale dell’area. Esso prevede:
a)l’interdizione di ogni attività militare e nucleare;
b)la libertà di ricerca scientifica, previa comunicazione agli altri Stati contraenti dell’invio di
spedizioni e della realizzazione di basi a scopo di ricerca;
c)cooperazione nell’attività scientifica di ricerca, attraverso lo scambio di informazioni e di
personale.
Il Trattato distingue, nell’ambito dei contraenti, tra parti consultive e parti non consultive:
-)Le parti Consultive: Stati firmatari e Stati che dimostrano interesse per l’Antartide
conducendovi attività di ricerca, creandovi basi o inviando spedizioni, godono di uno status di netto
privilegio. Esse decidono all’unanimità, ma con effetto vincolante, su tutte le questioni rientranti
nell’oggetto del Trattato e su questioni connesse quali la protezione di flora e fauna. Inoltre, hanno
l’esclusivo diritto di condurre ispezioni su mezzi e personale altrui per controllare l’osservanza del
Trattato. Si presume che l’inizio dell’attività di ricerca comporti l’assunzione automatica dello status di
parte consultiva, senza deliberazione delle altre parti consultive. L’Italia ha acquisito tale status dal 1987.
-)Parti non consultive: Il regime internazionale vincola solo le parti contraenti del Trattato di
Washington, mentre per gli Stati terzi vige un regime di libertà, sulla scorta di quanto dichiarato
dall’Assemblea Generale dell’Onu, che ha definito le risorse del continente antartico patrimonio comune
dell’umanità. Per cui lo sfruttamento delle risorse può essere operato unilateralmente in regime di libertà,
con i vincoli del rispetto della libertà altrui, del rispetto dell’ambiente per gli Stati che aderiscono al
Protocollo di Madrid del 1991 (che sospende le estrazioni minerarie per 50 anni e prevede che ogni
attività abbia un’adeguata valutazione ambientale), dell’obbligo di sfruttare tali risorse nell’interesse
dell’umanità e nel rispetto dell’ambiente, sulla base della dichiarazione dell’Assemblea Generale
dell’Onu.

L'adattamento del diritto statale al diritto internazionale

Bisogna capire quali sono i modi attraverso cui le norme internazionali entrano
nell'ordinamento interno. Ci sono varie dispute dottrinali:
• alcuni sostengono la teoria monista, in base alla quale il diritto statale trova il
suo fondamento nel diritto internazionale e quindi il diritto internazioneale è
direttamente applicabile nel diritto interno
• Altri sostengono la teoria dualista, affermando che il diritto statale e internazionale
sono due ordinamenti separati che possono venire a contatto solo se l'ordinamento
interno predisponga un sistema di adattamento

Per quanto riguarda i procedimenti di adattamento, bisogna fare una distinzione tra il
procedimento ordinario e il procedimento speciale.
• Procedimento ordinario
L'adattamento avviene tramite norme interne
(costituzionali,legislative,amministrative): attraverso queste norme, il contenuto delle
norme del diritto internazionale vengono riprodotte all'interno delle norme statali.
Es. : una legge italiana del 90 vietò i traffici commerciali e le comunicazioni verso il
territorio iracheno, durante il regime di Saddam-Hussein. Questa legge costituì il
procedimento ordinario di adattamento delle norme contenute in una risoluzione del
Consiglio di Sicurezza ONU.
• Procedimento speciale
Le norme di diritto internazionale non vengono riprodotte all'interno delle norme
statali: semplicemente il legislatore ordina che le norme del diritto internazionale
devono essere osservate e rinvia a queste norme.
Es. : art 10 Cost.Italiana costituisce un procedimento speciale di adattamento a
tutte le norme del diritto internazionale generale (quindi le norme
consuetudinarie)

Tra i due procedimenti quello piu idoneo è quello speciale perché il rinvio è piu idoneo
ad assicurare l'osservanza del diritto internazionale. Infatti :
• nel procedimento ordinario: l'interprete dovrà soltanto applicare le norme senza
doverne ricostruire il contenuto.
• Nel procedimento speciale, invece, il legislatore non formula alcuna norma completa
ma si limita a imporre l'osservanza di una norma internazionale, cosi come essa vige e
finché vige. In questo caso, dunque , l'interprete dovrà ricostruire il contenuto delle
norme di diritto internazionale e, quindi, verificare se la norma è ancora vigente o
meno, se è legittima o meno, ecc.

Se siamo d’accordo nel dire che il procedimento speciale è quello più idoneo ad assicurare
l’esatta osservanza del diritto internazionale, invece, in certi casi è il procedimento ordinario a
risultare indispensabile.
• Infatti quello ordinario è indispensabile nelle norme "non self-executing": perche
queste norme non sono direttamente applicabili nell'ordinamento interno, ma è
necessaria una disciplina di dettaglio da parte del legislatore all'interno dello Stato.
Quindi si dovrà necessariamente utilizzare il procedimento ordinario.
Es. di norma non-self-executing: art 5 Conv.Montego Bay : questa norma attribuisce la
facoltà allo Stato di scegliere, come sistema di misurazione della linea base, il sistema
delle linee rette. Quetsa norma (l'art15) non potra quindi essere applicato fino a quando
lo Stato non decida con una propria norma

Le norme non self-executing sono quelle norme di diritto internazionale che non sono
direttamente applicabili se non attraverso un' apposita disciplina di dettaglio da parte del
legislatore.
In particolare, rientrano nelle norme non self-executing tre tipo di norme:
• Le norme che riconoscono agli Stati determinate facoltà (esempio: art 5 Conv.MB)
• Norme che, pur prevedendo obblighi in capo agli Stati, non possono essere applicate
perché in quello Stato non esistono, né gli organi, né le procedure interne
indispensabili ai fini della loro applicazione
• Norme la cui applicazione richiede particolari adempimenti di carattere costituzionale

E' importante specificare i casi in cui una norma puo essere considerata non-self-executing
perché molti Stati, spesso, fanno un uso distorto di questo tipo di norme: infatti certi Stati, pur
di non applicare una norma di diritto internazionale in quanto contraria ai loro interessi
economici e politici, non esitano a qualificarla come norma non selfexecuting.
E inoltre, va condannato pure l’atteggiamento di certi stati che qualificano la cd."clausola di
esecuzione di un trattato" come norma non self-executing.
La clausola di esecuzione è quella clausola con cui gli Stati si impegnano ad adottare tutte le
misure necessarie per applicare le norme contenute in un trattato. Per questo motivo questa
clausola non è una norma non-self-executing, ma costituisce solo la naturale aspettativa del
trattato di essere applicato. Solo in un caso, questa clausola puo essere considerata una norma
non self executing e cioè solo nel caso in cui all’interno dello Stato non esistano né gli organi,
né le procedure interne indispensabili ai fini della sua applicazione.

L'adattamento al diritto internazionale generale (cioè consuetudinario)

In Italia, questo adattamento avviene a livello costituzionle (art 10: "l'ordinamento giuridico
italiano si conforma alle norme di diritto internazionale generalmente riconosciute"). Esso è
quindi un procedimento speciale e quindi:
• l'adattamento è automatico: le norme di dir.internaz.generale si applicano in modo
automatico, cioè senza che il legislatore predisponga un apposito atto di
recepimento. E valgono all'interno dello Stato solo se e fin quando valgono nella
comunità internazionale
• l'interprete svolge un ruolo fondamentale: perché deve ricostruire il contenuto di
queste norme, quindi dovrà verificare quali, tra tutte le norme, possano essere
considerate consuetudini, quali tra le consuetudini sono ancora in vigore, ecc.

Il rango che le norme di diritto internazionale generale andranno ad assumere all’interno della
scala gerarchica delle fonti, è lo stesso dell’organo che ha proceduto all’adattamento: quindi, se
a

procedere all'adattamento è il Costituente allora la norma avrà lo stesso rango della


Costituzione ; se a procedere all’adattamento è il legislatore, la norma internazionale avrà
rango di legge ordinaria, e così via.

Per quanto riguarda il rapporto tra le norme di diritto internazionale generale e la legge
ordinaria, poiché l’adattamento delle norme di diritto internazionale generale è previsto da una
norma costituzionale (art. 10 Cost.),automaticamente queste norme saranno di rango superiore
rispetto alla legge ordinaria, nella gerarchia delle fonti. Quindi, se una legge ordinaria è
contraria ad una norma di diritto internazionale generale, allora la legge ordinaria è
incostituzionale perché viola indirettamente l’art.10 della Costituzione: questo è
l’orientamento attuale della Corte costituzionale.

Ci si chiede pero se, oltre ad essere a un livello superiore rispetto alla legge, esse abbiano
anche pieno rango costituzionale. La risposta è che
• il diritto internazionale generale non è subordinato rispetto alla Cost (il primo
prevarrà sul secondo a titolo di diritto speciale)
• tranne però nel caso in cui si tratti dei principi fondamentali della Cost.
A tal proposito, infatti, è importante la sent.Corte Cost 238/2014 in seguito al caso Ferrini. In
questa sent afferma che una norma consuetudinaria (in questo caso: la norma che prevede le
immunità) non puo entrare nel nostro ordinamento se è contraria ai principi fondamentali della
Cost. [ se vuoi racconta tutta la storia ]

L'adattamento ai trattati

Il diritto interno si adatta ai trattati mediante l'atto di esecuzione (che è quindi un procedimento
speciale, perhé non riformula la norma ma si limita ad esprimere la volontà dello Stato che il
trattato sia eseguito). L’ordine di esecuzione infatti si esprime, di solito, con la formula “Piena
ed intera esecuzione è data al Trattato X”.
Di solito l'ordine di esecuzione è contenuto in una legge ordinaria, anche se talvolta puo
essere contenuta anche in un atto amministrativo. Invece se si tratta di un trattato che rientra
nelle categorie previste dall'art 80 Cost. (dove è richiesta l'autorizzazione delle Camere e la
ratifica del PdR) allora in questo caso l'atto di esecuzione si trova all'interno della legge di
autorizzazione.

Ci si chiede che valore ha un trattato internazionale, in mancanza dell'atto di esecuzione. Questo


avviene spesso nel caso di:
• trattati stipulati in forma semplificata
• e in tutti i casi di trattati a cui non è seguito l’ordine di esecuzione.

In questi casi, la giurisprudenza ritiene che il trattato NON abbia valore all'interno: al
massimo, il trattato può essere utilizzato dall’interprete come strumento di ausilio
interpretativo (questo è avvenuto ad esempio nel caso Englaro, in cui la Cassazione sembra
applicare la Conv.di Oviedo, per la quale è stata autorizzata la ratifica da parte delle Camere,
ma il Governo non l'ha mai depositata).

Il rango dei trattati, nella gerarchia delle fonti, è lo stesso rango dell'atto normativo in cui è
contenuto l'ordine di esecuzione: quindi se l'ordine di esecuzione è contenuto in una legge
ordinaria, allora il trattato avrà rango di legge ordinaria; se è contenuto in un atto
amministrativo, avrà rango di atto amministrativo e cosi via.

Per quanto riguarda il rapporto tra i trattati internazionali (il cui ordine di esecuzione è
contenuto in una legge ordinaria) e una qualsiasi legge ordinaria :

• Inizialmente: si riteneva che fossero norme di pari grado, quindi i trattati avevano lo
stesso valore della legge e dunque i loro rapporti erano regolati dai principi secondo
cui:
• la legge successiva prevale sulla precedente
• la legge speciale prevale sulla generale
• Successivamente l'art 3 della legge 3/2001 che ha modificato l'art 117 Cost
(Riforma del Titolo V) le cose cambiano: infatti questa legge ha previsto che la
legislazione ordinaria debba esercitarsi nel rispetto dei vincoli derivanti dai trattati
internazionali. Dunque, ha sancito, di fatto, la prevalenza dei trattati internazionali
sulla legge ordinaria.

In definitiva, se una legge ordinaria è contraria ad un trattato internazionale, allora è


incostituzionale perché viola indirettamente l'art 117 Cost che sancisce, appunto, che la
legislazione ordinaria debba esercitarsi nel rispetto dei vincoli derivanti dai trattati
internazionali.
Tra l'altro, il concetto espresso dall’art. 117, cioè la prevalenza dei trattati internazionali sulla
legge ordinaria, è stato ribadito anche dalla Corte Costituzionale nelle famose “Sentenze
gemelle” sentenze n. 348 e 349 del 2007.

Queste sentenze sono importanti non solo perche ribadiscono che i trattati prevalgono sulla
legge ordinaria, ma perche affermano che questa preminenza , ancora prima che dalla Corte
Costituzionale, deve essere anzitutto assicurata dal giudice, attraverso la sua attività
interpretativa. S e poi questo giudice, nonostante la propria attività interpretativa, dovesse
continuare a dubitare della costituzionalità di una legge ordinaria rispetto a un trattato, allora
potrà sollevare la questione di legittimità alla Corte Cost.

In particolare, possiamo dire che questa attività interpretativa deve svolgersi nel rispetto di 3
criteri:
• citerio della presunzione di conformità: presunzione in base alla quale se la legge
posteriore è ambigua o lascia spazio a piu interpretazioni, il giudice dovrà scegliere
l'inetrpretazione che consente allo Stato di rispettare gli obblighi derivanti dai trattati
internazionali
• criterio della specialità dei trattati internazionali: in base al quale il giudice deve
affermare che i trattati internazionali sono da considerare diritto speciale ratione
materiae o ratione personae: quindi se un trattato è in contrasto con una legge
ordinaria, non si deve applicare il criterio cronologico, bensì quello della specialità
• criterio della specialità sui generis, cioè il giudice deve applicare la legge ordinaria
solo quando il legislatore, con previa cognizione di causa, e in modo chiaro, ha
manifestato la volontà di ripudiare il trattato. Questo perché i trattati internazionali
sono da considerare non un semplice diritto speciale, ma un diritto speciale sui
generis: perche i trattati esprimono una duplice volontà che si va a ripercuotere sul
valore dei trattati:
• da una parte la volontà degli Stati di regolare i loro rapporti attraverso i trattati
• dall'altra parte, la volonta degli Stati di rispettare gli obblighi derivanti da questi
trattati. Se quest'ultima volontà manca, allora il giudice deve applicare la legge
ordinaria

Per quanto riguarda invece il rapporto tra l'ordine di esecuzione e le norme costituzionali, anche
se i trattati si trovano in una posizione gerarchicamente superiore rispetto alla legge ordinaria
(in virtu dell'art 117 Cost) , questo non vuol dire che possono essere contrari alla Cost.
Possiamo allora dire che i trattati possono essere considerati come norme interposte tra la Cost e
la legge ordinaria. E questo comporta che:
• per un verso, costituiscono parametro di costituzionalità per leggi ordinarie,
poiché superiori a quest’ultime
• e, per un altro verso, non possono essere contrarie alla Costituzione poiché
gerarchicamente inferiori quest’ultime

La violazione del diritto internazionale e le relative conseguenze

Al tema della responsabilità internazionale degli Stati si sono dedicati:


• la dottrina (Kelsen e Anzillotti, soprattutto)
• le organizzazioni internazionali ( la Commissione delle Nazioni Unite)

In particolare, la Commissione ha portato avanti degli studi che si sono conclusi nella redazione
del “Progetto di trattato sulla responsabilità internazionale degli stati”, progetto che è stato
approvato dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite nell’agosto del 2001, il c.d. "Draft
treaty"
Una delle caratteristiche principali di tale progetto di trattato è quella secondo cui i principi
sulla responsabilità internazionale hanno una portata talmente ampia da coprire la violazione
di qualsiasi norma di diritto internazionale: nel passato, i precedenti tentativi di codificazione
avevano limitato la responsabilità degli stati ai soli casi di violazione delle norme sul
trattamento degli stranieri.

L'art 2 di questo Progetto dice che "Sussiste un atto internazionalmente illecito di uno Stato
quando un comportamento consistente in un’azione o in un’omissione:
• può essere attribuito allo Stato alla stregua del diritto internazionale
• e costituisce una violazione di un obbligo internazionale dello Stato

Dunque individua due elementi dell'illecito internazionale: elemento soggettivo ed elemento


oggettivo.

Elemento soggettivo

Per quanto riguarda l'elemento soggettivo ,visto che lo Stato come soggetto di diritto
internazionale è lo Stato-organizzazione, è ovvio che quindi il fatto illecito puo essere
commesso solo dagli organi dello Stato:
• sia quelli centrali (legislativo, esecutivo, giudiziario)
• sia quelli periferici (enti territoriali)

Evidenziare questo concetto, cioè che l’autore del fatto illecito debba essere necessariamente un
organo dello stato, acquista un particolare valore laddove il comportamento illecito venga posto
in essere da privati in senso stretto oppure da privati che agiscono sotto il controllo e la
direzione dello Stato.

• Nel primo caso, per quanto riguarda il fatto illecito commesso da privati in senso
stretto:
• In passato: la vecchia teoria germanica della solidarietà di gruppo affermava che lo
Stato era responsabile sempre e comunque per le azioni commesse da un privato
contro invididui,organi e Stati stranieri. Questa teoria però è stata poi abbandonata
da Grozio a favore della dottrina della "patientia" e del "receptus"
Quest'ultima (dottrina della patientia e del receptus) limitava la responsabilità dello
Stato ai soli casi in cui quest'ultimo fosse stato effettivamente complice di azioni
commesse da privati nel proprio territorio
• Oggi: si ritiene che lo Stato risponda solo quando non abbia posto in essere tutte le
misure volte a prevenire l'azione o a punire l'autore: quindi, quando il fatto illecito è
commesso da privati in senso stretto, è solo il comportamento omissivo dello Stato che
fa sorgere la sua responsabilità

Un caso che possiamo prendere in considerazione in tal senso è il caso degli studenti
iraniani che hanno tenuto in ostaggio, presso l'ambasciata americana a Teheran, il personale
diplomatico americano. La CIG:
• in un primo momento: prima che il Governo iraniano facesse propria l'azione degli
studenti, ha considerato responsabile l'Iran solo per non aver adottato le misure
necessarie per

prevenire l'azione
• successivamente: dopo che il Governo iraniano aveva approvato l'azione degli
studenti, questa approvazione ha trasformato gli studenti da soggetti privati a veri e
propri agenti di fatto, in quanto avevano agito sotto la direzione e il controllo del
Governo iraniano

Quando si parla, quindi, di fatto illecito commesso da privati in qualità di agenti di


fatto, tali azioni omissioni saranno imputabili allo Stato straniero.

In tal senso è significativo anche il caso delle attività paramilitari in Nicaragua. La CIG :
• ha dichiarato la responsabilità degli USA perchè:fornendo armi, mezzi e supporto
logistico ai Contras (ribelli che combattevano contro il Governo legittimo) aveva
violato il principio di non ingerenza negli affari degli Stati
• ma ha anche dichiarato che non tutte le azioni dei Contras erano imputabili agli USA
perché mancava la prova certa che i Contras avevano agito in qualità di agenti di fatto,
cioè sotto la direzione e il controllo del Governo americano

Si discute poi se una responsabilità dello Stato vada riconosciuta anche quando un organo
dello Stato abbia agito in eccesso di potere, oltre i limiti consentiti. La questione riguarda,
sostanzialmente, le azioni illecite commesse dagli organi di polizia (omicidi, cattura di
delinquenti nel territorio di altri Stati, ecc) che superano i limiti consentiti:

• il progetto di trattato e una parte della dottrina (tra cui rientra Conforti):
sostengono che comunque, visto che il fatto illecito viene commesso da un organo
dello Stato, automaticamente si ha la responsabilità dello Stato
• Secondo un'altra parte della dottrina, invece: l'azione andrebbe imputata solo agli
individui che l'hanno commessa e la responsabilità dello Stato nascerebbe solo
qualora non abbia adottate le misure necessarie a prevenire l'azione
Elemento oggettivo

L'art. 12 del Progetto dice che l'elemento oggettivo del fatto illecito (cioè l'antigiuridicità o
illeceità del comportamento) va ricercato nella violazione di un obbligo da parte dello Stato:
obbligo che, invece, lo Stato era tenuto ad osservare. Inoltre il Progetto ci fornisce due criteri
per stabilire quando e in quali casi si ha la violazione di un obbligo internazionale:
• principio del tempus regit actum
• principio del tempus commissi delicti

• Principio del tempus regit actum: prevede che l'obbligo internazionale deve
sussistere al momento della sua violazione
• Per quanto riguarda il principio del tempus commissi delicti: in questo caso occorre
fare una distinzione:
• negli illeciti istantanei, la violazione si esaurisce nel momento stesso in cui si
verifica l'illecito
• negli illeciti continuati, la violazione permane per tutto il tempo in cui si verifica
l'illecito

In particolare è importante individuare il tempus commissi delicti perché alcuni trattati di


arbitrato o alcuni trattati di regolamento giudiziario non vengono applicati alle controversie
relativi a fatti avvenuti prima della loro entrata in vigore o comunque prima di una determinata
data (la cd.data critica)

Successivamente, agli articoli 20 e seguenti, vengono elencate le cause di esclusione


dell'illeceità, cioè quelle circostanze che fanno venir meno la responsabilità dello Stato.
• Consenso dello Stato leso: Questa causa di esclusione ha origine consuetudinaria e
ricorre in tutti quei casi in cui lo Stato:
• autorizza un altro o le Nazioni Unite a compiere un intervento armato sul proprio
territorio
• oppure autorizza un altro Stato a violare la propria sovranità territoriale per
catturare pericolosi criminali.
Affinchè il consenso dello Stato leso possa operare come legittima causa di esclusione,
occorre che questo consenso sia:
• valido, ossia non deve essere viziato da dolo/errore/violenza
• chiaro
• preventivo: se è preventivo, il consenso fa venir meno sia l'illeceità del
comportamento sia la responsabilità dello Stato; se il consenso è successivo, il
consenso fa venir meno la responsabilità dello Stato ma non l'illeceità del
comportamento

Ci si chiede poi quale sia la natura giuridica del consenso:


• una parte della dottrina : lo configura come un accordo attraverso cui i due
Stati (autorizzante e autorizzato) sospendono l'efficacia di un obbligo
internazionale limitatamente al loro caso specifico
• un'altra parte della dottrina, tra cui Conforti: critica la precedente impostazione
perche sostengono che se il consenso fosse davvero un accordo, non sarebbe
necessario che il progetto ne parli come un'autonoma causa di esclusione
dell'illeceità

Pertanto, se non è un accordo, il consenso va qualificato come un atto unilaterale in forza del
quale uno Stato autorizza un altro a violare un obbligo internazionale, purché tale violazione
non si spinga a tal punto da violare una norma di ius cogens.

• Autotutela: ossia le azioni dello Stato volte a reprimere l'illecito altrui


• Forza maggiore: cioè il verificarsi di una forza inarrestabile e imprevedibile che si
spinge al di là del controllo dello Stato, che rende quindi materialmente impossibile
adempiere l'obbligo
• Stato di necessità:

Stato di necessità: cioè l'aver commesso il fatto per evitare un pericolo grave, imminente e non
volontariamente causato che costringe lo Stato a violare un obbligo internazionale

Nessuno dubita che lo stato di necessità possa essere invocato nel caso del cd."distress", cioè
una situazione di pericolo estremo, per cui l'individuo-organo dello Stato, per salvare la propria
vita o quella delle persone a lui affidategli, è costretto a violare un obbligo internazionale
(esempio: nave che si rifugia nel porto di uno Stato senza la sua autorizzazione, per sfuggire
alla tempesta)

Invece è incerto se lo stato di necessità possa essere invocato in generale dallo Stato. Il
progetto si pronuncia in senso favorevole e sostiene che lo stato di necessità possa essere
invocato solo a due condizioni:
• quando lo stato di necessità è l'unico mezzo per proteggere un interesse essenziale
contro un pericolo grave e imminente
• e purché lo stato di necessità non si spinga a tal punto da ledere gravemente un interesse

essenziale dello Stato o degli Stati nei confronti dei quali l'obbligo sussiste o della
comunità internazionale nel suo complesso

Tuttavia, anche se il progetto di trattato riconosce allo Stato la possibilità di invocare lo stato di
necessità, in realtà non esiste un principio generale.
A sostegno di questo, ricordiamo il caso Gabcikovo-Nagymaros in cui la CIG ha affermato che
lo stato di necessità, come causa di esclusione dell’illiceità, non può essere ammesso a titolo
generale ma solo a titolo di eccezione.
• Rispetto dei principi costituzionali dello Stato: C'è una tesi secondo cui l’illiceità va
esclusa quando, per osservare il diritto internazionale, ci si scontri contro i principi
costituzionali dello Stato. Infatti talvolta, la Corte Costituzionale italiana, ha annullato
norme interne di esecuzione di trattati internazionali (in tema di estradizione per reati
punibili all'estero con la pena di morte). Quindi la Corte sostiene questa tesi, ossia la
tesi secondo cui il diritto interno di uno Stato puo influire sulle conseguenze
dell'illecito internazionale. Ma in realtà il Progetto dice il contrario perché sostiene che
il diritto interno non puo avere alcuna influenza sulle conseguenze dell'illecito
internazionale.

Gli elementi controversi: La colpa

Ci si chiede se per poter incorrere in responsabilità internazionale siano sufficienti solo


l'elemento soggettivo e quello oggettivo oppure siano necessari altri elementi. A tal proposito si
discute se sia necessario che lo Stato debba aver agito con colpa. Anzitutto dobbiamo
distinguere tre tipi di responsabilità:
• Responsabilità per colpa: si ha quando si richiede che l'autore dell'illecito abbia agito:
• con dolo (intenzionalmente)
• o con negligenza (non adottando le misure necessarie per impedire l'evento
dannoso) Questa altro non è che la responsabilità extracontrattuale
• Responsabilità oggettiva relativa: Chiamata dalla dottrina anglosassone "Strict
Liability", si ha quando la responsabilità sorge:
• automaticamente per effetto del solo compimento dell'illecito
• ma l'autore di questo illecito puo invocare, per sottrarsi alla responsabilità, una
causa di giustificazione consistente in un evento esterno che gli ha impedito di
rispettare la norma internazionale.

Nella responsabilità oggettiva relativa:


• non solo la responsabilità è aggravata perche di solito la causa di forza maggiore è
l'unica causa di giustificazione ammessa
• ma vi è anche uno spostamento dell'onere della prova dalla vittima all'autore
dell'illecito
• Responsabilità oggettiva assoluta: Si ha quando la responsabilità:
• oltre a sorgere automaticamente per effetto del solo compimento dell'illecito
• non ammette alcuna causa di giustificazione
Questo tipo di responsabilità è prevista in relazione ai danni provocati da attività
pericolose (come centrali nucleari o attività spaziali) oppure socialmente dannose.

Per molto tempo, sulle orme di Grozio, si riteneva che la responsabilità dello Stato fosse una
"responsabilità per colpa" e che quindi, affinché sorgesse una respnsabilità internazionale,
occorreva necessariamente dolo o negligenza.
Successivamente, Lanzillotti ha cominciato a sostenere che la responsabilità dello Stato è una
responsabilità oggettiva relativa.
Da quel momento, la dottrina si è divisa. Secondo Conforti, il tipo di responsabilità cambia a
seconda di quale norma, o gruppo di norme, viene violata.
• Ad esempio, se si ha una violazione delle norme sul trattamento degli stranieri:
questa violazione da luogo a responsabilità per colpa, perché la violazione si ha
proprio perché lo Stato non ha usato la dovuta diligenza nella protezione
• Oppure ad esempio, si puo parlare di responsabilità oggettiva assoluta nel caso di
danni causati da oggetti spaziali

La regola generale, comunque, sarebbe quella della responsabilità oggettiva relativa: quindi,
per aversi responsabilità internazionale, non occorre necessariamente il requisito della colpa
perché, per il solo fatto di aver commesso l'illecito, sorge la responsabilità internazionale; ma
viene riconosciuta alllo Stato la possibilità di invocare una causa di giustificazione.

Gli elementi controversi: il Danno

Poi ci si chiede se anche il danno (che puo essere morale o materiale) sia necessario affinché
si possa parlare di illecito internazionale e quindi di responsabilità.
Anche in questo caso, la dottrina maggioritaria esclude che debba necessariamente verificarsi un
danno, per potersi configurare una responsabilità internazionale.

Le conseguenze del fatto illecito internazionale. L'autotutela individuale e collettiva.

Una volta commesso un fatto illecito internazionale, lo Stato deve rispondere.


Oggi l'opinione diffusa è che l'illecito internazionale comporti la nascita di una nuova
relazione giuridica tra lo Stato offeso e quello offensore: da questa relazione nasce una
cd.norma secondaria che si contrappone alla cd.norma primaria, cioè quella che è stata violata.

La norma secondaria fa sorgere:


• in capo allo Stato offensore, due obblighi: quello di cessare l'illecito e quello
della riparazione
• in capo allo Stato offeso, il diritto di ricorrere alle contromisure

Dunque, la normale reazione che lo Stato offeso ha contro l'illecito è l'autotutela: farsi
giustizia da sè. Questo, nel diritto interno costituisce l'eccezione, ma nel diritto internazionale
è quindi la regola. Bisogna però capire fino a che punto puo spingersi l'autotutela. L'autotutela
non puo spingersi a tal punto da consistere nella minaccia o nell'uso della forza (infatti il
principio che vieta la minaccia/uso della forza è una norma di ius cogens). Vi è pero
un'eccezione, cioè quella della legittima difesa, definita dall'art 51 Cart ONU, come il "diritto
naturale di uno Stato di difendersi ad un attacco armato già sferrato".

Nella nozione di attaccato armato, rientra:


• non solo il classico attacco sferrato dalle truppe regolari di uno Stato
• ma anche l'attacco sferrato da bande irregolari o mercenari, assoldati dallo Stato,
purché venga dimostrato che queste bande agiscono sotto la direzione e il
controllo dello Stato.
Non rientra, invece, nella nozione di attacco armato, l’assistenza ai ribelli: nella sentenza sul
“caso delle attività militari e paramilitari in Nicaragua”, la CIG ha affermato che lo Stato che
assiste i ribelli, che combattono contro il legittimo governo, fornendo loro armi, mezzi e
supporto logistico, commette una violazione del principio di ingerenza negli affari altrui e, al
contempo, viola indirettamente il divieto di fare ricorso all’uso della forza ma, tutto questo,
non può essere considerato alla stregua di un attacco armato tale da giustificare la legittima
difesa.

Dunque, la legittima difesa va considerata come una misura a carattere eccezionale, nel senso
che può essere esercitata fin quando il Consiglio di Sicurezza ONU non abbia adottato tutte le
misure necessarie al mantenimento della pace. La legittima difesa puo esercitarsi nel rispetto
di 3 requisiti:
• Proporzionalità: vi deve essere proporzione tra attacco armato subìto e la difesa sferrata
• Necessità: la legittima difesa deve essere utilizzata come strumento per difendersi da
un attacco armato già subìto e non da una mera minaccia ( Quest’ultima
considerazione può aprire un ampio dibattito sulla legittimità o meno della dottrina
Busch, dottrina che è alla base del concetto di "guerra preventiva" e che autorizzò gli
USA e la Gran Bretagna ad invadere l’Iraq perché considerato una minaccia, sulla
base del falso sospetto che possedeva armi di distruzione di massa.
• Immediatezza: la legittima difesa deve essere immediata, anche se alcuni autori
criticano questo requisito perché sostengono che lo Stato attaccato potrebbe aver
bisogno di tempo per organizzare la sua difesa

L'art 51 non parla solo di legittima difesa individuale, ma anche di legittima difesa collettiva,
intesa come "il diritto di uno Stato terzo di intervenire per difendere uno Stato aggredito,
purché la legittima difesa:
• venga esercitata nel rispetto dei 3 requisiti
• purche l’attacco armato sia stata effettivamente accertato
• purche vi sia una precisa richiesta d’aiuto da parte dello Stato aggredito oppure che
esista un’alleanza regionale (come la NATO) di cui lo Stato aggredito è membro.

Ci si chiede se, oltre la legittima difesa, ci siano altre eccezioni al divieto della minaccia/uso
della forza.
• Secondo alcuni autori, l'uso della forza sarebbe legittimo anche nel caso in cui
risulti necessario proteggere i propri cittadini all'estero e per scopi umanitari
• Inoltre poi, alcuni autori estendono la legittima difesa anche alla cd."legittima difesa
preventiva" o " guerra preventiva", che trova la sua base nella dottrina Busch: infatti,
il concetto di guerra preventiva è stato invocato da USA e Gram Bretagna per
giustificare sia l'invasione dell'Iraq (accusato di essere una minaccia perché si riteneva
che possedesse armi di distruzioni di massa) sia dell'Afghanistan (accusato di dare
rifugio ai terroristi di Al Qaeda). Quindi la legittima difesa preventiva o guerra
preventiva va intesa come uno strumento volto:
• sia a prevenire un attacco armato non ancora in atto
• sia a prevenire atti di terrorismo .
In tema di autotutela la fattispecie piu importante è la contromisura. Quando parliamo di
contromisure facciamo riferimento a misure che rientrano nella categoria delle cause di
esclusione dell’illiceità e che consentono ad un Stato che è stato leso da un altro Stato dalla
violazione di un obbligo internazionale, di reagire a sua volta violando un obbligo
internazionale nei confronti dello Stato offensore.

Lo Stato che reagisce ad un illecito internazionale ricorrendo alle contromisure deve rispettare
alcuni limiti:
• Limite della proporzionalità: vi deve essere proporzione tra la violazione
subita e la violazione commessa attraverso le contromisure
• Limite del rispetto dello ius cogens: Lo Stato che agisce attraverso le contromisure
deve rispettare lo ius cogens, in particolare, non deve violare le norme in materie di
tutela dei

diritti umani.
• Limite del previo esaurimento dei normali mezzi di risoluzione delle controversie: Lo
Stato che ha subito una violazione degli obblighi internazionali, prima di agire
attraverso le contromisure, deve aver esperito tutti i normali mezzi di risoluzione
delle controversie (negoziato, arbitrato, conciliazione). Tuttavia, in questo caso la
prassi è molto incerta.
• Limite del divieto della minaccia o dell’uso della forza : Le contromisure non
possono spingersi a tal punto da consistere nella minaccia o nell’uso della forza,
salvo i casi di legittima difesa.

In tema di autotutela, un’altra fattispecie è data dalla ritorsione.


La ritorsione, come le contromisure, è uno strumento di autotutela, quindi è uno strumento con
cui uno stato reagisce ad una violazione di un obbligo internazionale.
Tuttavia, vi è differenza tra i due istituti:
• Con le contromisure lo Stato reagisce ad una violazione con un’altra violazione,
quindi, commettendo un’altra violazione
• Invece, la ritorsione non consiste nella violazione di norme internazionali, bensi
in un comportamento soltano inimichevole, come ad esempio la rottura delle
relazioni diplomatiche o della collaborazione economica e commerciale

• Una parte della dottrina dice che la ritorsione non è una forma di autotutela perché
un comportamento inimichevole puo essere tenuto da uno Stato verso un altro,
anche senza aver subìto un illecito
• Ma un'altra parte della dottrina (Conforti) critica la precedente sulla base del fatto che
in un ordinamento che risente della mancanza di strumenti adeguati di atutazione
coattiva delle norme, com'è quello internazionale, è superfluo andare a sottolizzare su
quelli che sono gli strumenti di pressione politica che gli Stati utilizzano per avere
un'effettiva attuazione delle norme internazionali .

Inoltre la ritorsione va tenuta distinta dalle misure prese dal Consiglio di Sicurezza non
implicanti l'uso della forza. Infatti, anche se vi è una parziale coincidenza (rottura delle
relazioni diplomatiche/commerciali/economiche) sono due misure distinte, perché le misure del
Consiglio di Sicurezza:
• si inquadrano nel sistema di sicurezza collettiva delle Nazioni Unite
• e poi perché gli Stati possono essere obbligati ad attuarle

La riparazione

Una delle conseguenze della violazione di un obbligo internazionale è l'obbligo della


riparazione. In questo obbligo rientra la "restitutio in integrum", detta anche "restituzione in
forma specifica", ossia l'obbligo di:
• cancellare tutte le conseguenze del fatto illecito
• e ripristinare la situazione allo stato dei fatti in cui si trovava prima dell'illecito
(sempre che sia possibile)

In particolare Conforti ritiene che la restitutio in integrum comprende:


• non solo l'obbligo di cancellare e ripristinare la situazione precedente
• ma anche l'obbligo di cessazione dell'illecito

Nell'obbligo di riparazione, oltre la restituo in integrum, rientra anche la "soddisfazione", ossia


quel particolare tipo di riparazione per i danni morali che spetta allo Stato leso, per il solo fatto
di aver

subito un illecito internazionale, a prescindere da qualunque richiesta di risarcimento per ddanni


patrimoniali.
Tra le forme di soddisfazione vi sono le scuse ufficiali, omaggio alla bandiera dello Stato leso,
versamento di una somma di denaro ecc ecc. In particolare si ritiene che se lo Stato leso
accetta una di queste forme di soddisfazione, l'accettazione fa venir meno il diritto di ricorrere
a forme di autotutela.

Ad ogni modo, l'aspetto piu importanto dell'obbligo della riparazione è dato dall'obbligo del
risarcimento del danno patrimoniale: obbligo che, secondo il Progetto di trattato, sussiste in
qualunque caso, qualunque sia la violazione dell'obbligo internazionale (quindi sia se è stato
violato il diritto consuetudinario, sia se è stato violato quello pattizio).

Tuttavia, secondo Conforti, l'obbligo al risarcimento del danno patrimoniale sussite solo nel
caso in cui la violazione dell'obbligo internazionale, riguardi la violazione:
• di norme sul trattamento degli stranieri
• e nei casi di azione violenta contro beni, mezzi e organi di un altro Stato
In questi casi, il risarcimento del danno patrimoniale deve riguardareskia il danno emergente
che il lucro cessante. Fuori da questi casi, sullo Stato autori dell'illecito, non grava nessun
obbligo al risarcimento del danno patrimoniale.

Il sistema di sicurezza collettiva previsto dalla Carta ONU

La Carta ONU:
• all'art 2 sancisce il divieto dell'uso della forza nei rapporti internazionali
• al cap VII ivnece accentra in un organo delle Nazioni Unite, cioe il Cons.di
Sicurezza, la competenza a compiere tutte le azioni necessarie per il mantenimento
dell'ordine e della pace tra gli Stati, e in particolare ad usare la forza a fini di
polizia internazionale.

Ai sensi del cap VII, il Consiglio:


• prima accerta l'esistenza di una minaccia alla pace, di una violazione della pace o di
un atto di aggressione (art 39)
• Poi stabilisce quali misure non implicanti l'uso della forza -> art 41 (come interruzione
parziale o totale delle comunicazioni e delle relazioni economiche da parte degli altri
Stati) oppure implicanti l'uso della forza (art 42), gli altri Stati debbano adottare
[prima di ricorrere a queste misure, può invitare le parti interessate a prendere quelle
"misure provvisorie" che secondo il Consiglio sono necessarie al fine di non aggravare
la situazione]

Nell'accertare l'esistenza di una minaccia alla pace/violazione pace/ atto di aggressione, il


Consiglio ha un ampio potere discrezionale, soprattutto quando deve stabilire quando è stata
"minacciata la pace". Gode di discrezionalità anche riguardo agli atti di aggressione, nonostante
sia stata approvata una Dichiarazione sulla definizione di aggressione, in cui vengono elencate
una serie di ipotesi di aggressione (es. Invasione, occupazione militare, bombardamento da
parte di forza aeree,terrestri o navali, blocco dei porti e delle coste, invio di bande di mercenari,
messa a disposizione del proprio territorio per attacchi contro il territorio altrui, la
cd.aggressione armata indiretta).
Questa è però un'elencazione che non incide sulla discrezionalità data dall'art 39, perché il
Consiglio, per esempio:
• puo stabilire che un determinato atto, anche se rientra tra quelli di
aggressione, non giustifichi il suo intervento
• oppure puo, al contrario, stabilire che un atto non presente in elenco vada considerato
come atto di aggressione

Abbiamo detto che il Consiglio puo adottare misure provvisorie (art 40), misure non implicanti
l'uso della forza (art 41), misure implicanti l'uso della forza (art 42)

Misure provvisorie:
L'art 40 dice che "al fine di prevenire l'aggravarsi di una situazione, il Consiglio puo invitare
le parti interessate ad ottemperare a quelle msiure provvisorie che esso consideri come
necessarie o desiderabili. Queste misure provvisorie nond evono pregiudicare i diritti, le
pretese o la posizione delle parti interessate. Il Consiglio prende in debito contro il mancato
ottemperamento a tali misure provvisorie".
Una misura provvisoria tipica in caso di guerra sia internazionale che civile è il
cessate-il- fuoco. Anche se alcuni ritengono che lre misure provvisorie avrebbero
natura vincolante sulla base del fatto che l'ultima parte dell'articolo accenna alla
possibilità di sanzioni, in realtà le misure provvisorie vanno comunque considerate
come l'oggetto di un invito, e quindi di una raccomandazione.

Misure non implicanti l'uso della forza:


In base all'art 41, il Consiglio puo vincolare gli Stati membri dell'ONU a prendere tutta una
serie di misure (come interruzione dei rapporti diplomatici a quelle piu radicali e severe, come
il blocco economico totale):
• contro uno Stato che, a giudizio del Consiglio, abbia minacciato o violato la pace
• oppure contro gruppi armati , nel caso delle crisi interne
• o contro gruppi terroristici

Misure implicanti l'uso della forza:


L'art 42 consente al Consiglio di impiegare la forza:
• contro uno Stato, colpevole di aver minacciato o violato la pace oppure di aggressione
• oppure di impiegarla all'interno di uno Stato, intervenendo in una guerra civile

Il ricorso a misure implicanti l'uso della forza quindi costituisce un'azione di polizia
internazionale e la risoluzione con cui l'organo decide di agire appartiene al genere delle
"risoluzioni operative", perché in questo caso non ordina o raccomanda qualcosa agli Stati,
ma direttamente agisce.
Per quanto riguarda i modi con cui il Consiglio puo agire:
• gli artt 43-44-45 prevedono l'obbligo per gli Stati membri di stipulare degli accordi
col Consiglio: accordi volti a stabilire il numero, il grado di preparazione, la
dislocazione ecc delle forze armate utilizzabili poi dal Consiglio, parzialmente o
totalmente, man mano che se ne presenti la necessità.
• gli art 46 e 47, questa utilizzazione deve far capo ad un "Comitato di stato
maggiore", formato dai capi di stato maggiore dei 5 membri permanenti

Tuttavia, la previsione della Carta delle Nazioni Unite è rimasta inattuata.


Per sopperire a tale mancanza, il Consiglio delle Nazioni Unite, laddove abbia deciso
di ricorre a misure implicanti l’uso della forza armata ha, sostanzialmente, operato in
due modi:
• direttamente attraverso i caschi blu, cioè forze armate internazionali che
intervengono come forze cuscinetto per ripristinare la pace, possono usare le armi
sono per legittima difesa e partecipano, in tal senso, alle c.d. missioni
peacekeeping, come nel caso delle missioni in Libano e Somalia.
• delegando l’uso della forza ai singoli stati o ad organizzazioni regionali
(NATO) che intervengono per mantenere la pace c.d. missioni peace building o,
diversamente per imporre la pace missioni peace enforcing, come nel caso della
guerra del Golfo'

L'arbitrato

La funzione giurisdizionale internazionale ha natura arbitrale: infatti un giudice internazionale


non puo giudicare in modo vincolante se la sua giurisdizione non è stata preventivamente
accettata da tutti gli Stati, parte della controversia. [L'unica eccezione è data dai tribunali
settoriali e regionali] La nozione di controversia è stata data per la prima volta dalla Corte
Permanente di Giustizia Internazionale, definendola come "un disaccordo su un punto di
diritto o di fatto, un contrasto, un'opposizione di tesi giuridiche o di interessi tra due soggetti".

L'istitutio dell'arbitrato internazionale si è notevolmente evoluto: ci sono state quindi varie fasi
che lo hanno contraddistinto. Il punto di partenza dell' evoluzione dell'istituto è l'arbitrato
isolato.
Arbitrato isolato: sviluppatosi nel XIX secolo, si svolgeva in questo modo:Una volta
sorta una controversia tra due o piu Statiquesti stipulavano un accordo (il
cd.compromesso arbitrale) col quale:
• nominavano un arbitro (es.un Capo di Stato) oppure un collegio arbitrale
• - si stabiliva eventualmente qualche regola procedurale e ci si obbligava a
rispettarne la sentenza (che spesso conteneva solo il dispositivo, mancando della
motivazione)
Questa forma di arbitrato era alquanto rudimentale, anche perché non precedeva, bensi seguiva
la nascita della controversia, quindi non poteva che risolvere questioni di minore importanza.

Dall'arbitrato isolato, l'istituto ha cominciato ad evolversi e possiamo distinguere grosso modo


du fasi di sviluppo:
• 1 fase: Alla fine del XIX secolo si fa ricorso alla clausola compromissoria non
completa e al trattato generale di arbitrato non completo
La clausola compr.non completa è una clausola accessoria ad una Convenzione e
crea l'obbligo per gli Stati di ricorrere all’arbitrato per tutte le controversie future
in merito all’applicazione e all’interpretazione della convenzione stessa;
Il trattato generale di arbitrato non completo crea addirittura l’obbligo di ricorrere ad
un arbitro per risolvere tutte le controversie future che possono insorgere fra le parti, ad
eccezione di alcune controversie ( coperte dalla cd.clausola eccettuativa dei trattati di
arbitrato) che toccano l’onore e l’indipendenza delle parti, aventi natura politica e oggi
relative a questioni di riservato dominio.

Sia la clausola compromissoria che il tratt di arbitrato sono "non completi" in quanto creano
solo un obbligo de contrahendo, cioe un obbligo di stipulare il compromesso arbitrale. Se però
questo non si realizza, non puo pervenirsi all'emanazione di una sentenza.
• 2 fase: Ha inizio con la fine della prima guerra mondiale, si giunge alla creazione
della Corte Permanente di Giustizia Internazionale, all’epoca della Società delle
Nazioni, sostituita poi, nel 1945, dalla CIG..
La CIG è un organo permanente, formata da 15 giudici. Non bisogna però dimenticare
che si tratta comunque di un tribunale arbitrale che giudica in base ad un accordo tra le
parti della controversia. La Corte decide secondo diritto e, se le parti lo chiedono,
anche secondo equità. Essa svolge anche una funzione consultiva, dando pareri su
richiesta dell’Assemblea Generale, del Consiglio di Sicurezza o di altri organismi, su
autorizzazione dell’Assemblea. I pareri non sono vincolanti, ma possono divenire tali
se con una convenzione ci si impegni a rispettarli. La Corte può essere adita solo dagli
Stati e non da altri soggetti internazionali.

In questa seconda fase compare la figura della clausola compromissoria completa e del
trattato generale di arbitrato completo. "Completi" perché non si limitano a creare l'obbligo di
stipulare il compromesso ma prevedono direttamente l'obbligo di sottoporsi al giudizio di un
tribunale internazionale (di solito la CIG). Queste due figure permettono, quindi, ad uno Stato
contraente di citare unilateralmente un altro Stato contraente di fronte al tribunale. Anche se
più autonoma, la giurisdizione che si crea, dipende comunque dalla volontà delle parti, perche
sono le parti a decidere se stipulare la clausola compromissoria completa o il trattato generale
di arbitrato completo oppure no.

Lo Statuto della Corte Internazionale di Giustizia prevede un procedimento analogo al trattato


generale di arbitrato completo, secondo cui gli Stati aderenti allo Statuto in qualsiasi momento
possono dichiarare di riconoscere come obbligatoria la giurisdizione della Corte, senza una
speciale convenzione nei rapporti con un altro Stato che accetti la stessa convenzione.

I mezzi diplomatici della risoluzione delle controversie

Tali mezzi, a differenza di quelli giurisdizionali, tendono esclusivamente a facilitare la soluzione delle
controversie tramite accordo delle parti. Essi, quindi, non hanno carattere vincolante per le parti e il loro
oggetto non è tanto la determinazione degli aspetti giuridici della questione, del torto e della ragione,
quanto il compromesso tra le opposte pretese.
Tra i mezzi di soluzione diplomatica delle controversie citiamo:
• il negoziato: mezzo più semplice e immediato di soluzione delle controversie, prevede
che siano le parti coinvolte nel conflitto a raggiungere un accordo attraverso il dialogo.
• buoni uffici e mediazione: consiste in un intervento nella controversia di uno Stato terzo,
di un organo supremo di uno Stato o del Segretario di un’organizzazione internazionale, con
l’intento di convincere le parti a negoziare (buoni uffici) o con la partecipazione attiva del terzo alle
trattative (mediazione);
• conciliazione: è la forma diplomatica di soluzione delle controversie più evoluta, che più si
avvicina all’arbitrato. Per raggiungere lo scopo viene generalmente istituita una Commissione che,
come i tribunali arbitrali, può essere costituita su base permanente o occasionale. Le Commissioni di
conciliazione sono composte da individui e non da Stati, esaminano la controversia e formulano una
proposta di soluzione che le parti sono libere di accettare o meno.
• commissione d’inchiesta: a differenza delle precedenti, ha solo il compito di accertare,
in modo non vincolante, i fatti.
• conciliazione obbligatoria: di solito prevista come alternativa al ricorso all’arbitrato
soprattutto nelle convenzioni multilaterali aperte. Sempre più spesso il ricorso alla conciliazione è
previsto come obbligatorio, con la possibilità per uno degli Stati contraenti di dare avvio
unilateralmente alla procedura conciliativa. Esempi sono forniti dalla Convenzione di Vienna del 1969
e dalla Convenzione di Montego Bay; entrambe, infatti , prevedono procedure obbligatorie di
conciliazione, se le parti non scelgono un altro mezzo di soluzione della controversia.
• conciliazione delle organizzazioni internazionali: si svolge nel quadro istituzionale
dell’organizzazione, con organi previsti dallo Statuto. Non ha carattere vincolante e le procedure
devono conformarsi alle regole statutarie proprie dell’organizzazione.
Particolarmente importante è, infine , la la funzione conciliativa in seno alle Nazioni Unite. Ai
mezzi pacifici di soluzione delle controversie, da parte del Consiglio di Sicurezza, è dedicato il cap.
VI (artt. 33 – 38) della Carta dell’Onu.

- l’art. 34 assegna un potere d’inchiesta al Consiglio, che può esercitarlo direttamente o, più
spesso, attraverso un organo creato ad hoc, come, ad esempio, una Commissione d’inchiesta composta
da membri del Consiglio , da funzionari dell’Onu, ecc.
- gli artt. 33 e 36 attribuiscono al Consiglio una facoltà di sollecitare le parti, affinché facciano
ricorso a mezzi, procedimenti o metodi elencati nel par. 1 dell’art.33(inchiesta, mediazione,
conciliazione, arbitrato, ecc.). L’art. 33 si riferisce ad un generico invito del Consiglio, mentre l’art. 36
prevede che l’organo indichi quale specifico procedimento sia più appropriato nella fattispecie in
esame. Il Consiglio può anche (sempre in base all’art.36), con una risoluzione, predisporre il
procedimento stesso, dando vita a Commissioni di conciliazione o mediazione, che operano sotto
responsabilità diretta del Consiglio. Il tutto, comunque, si risolve, in un mero potere di
raccomandazione.
- L’art. 37, poi, inserisce nella funzione conciliativa del Consiglio il potere di raccomandare
termini di regolamento, ossia di suggerire alle parti come risolvere la controversia nel merito. Questo
potere presuppone che le parti stesse, o una di esse, portino la questione all’esame del Consiglio e
presuppone anche
l’accertata impossibilità di raggiungere un’intesa attraverso i mezzi elencati dall’art. 33 e 36. Tuttavia,
nella prassi la materia è orientata alla più ampia libertà esercitata dal Consiglio, che può intervenire
senza incontrare alcuna opposizione da parte degli Stati interessati, senza sollecito esterno e senza
preoccuparsi del fatto che siano state o meno esperite altre procedure di conciliazione fissate dall’art.
33.
In ambito delle Nazioni Unite (art. 14 della Carta) è anche prevista una funzione
conciliativa dell’Assemblea Generale, che può raccomandare misure per il regolamento pacifico di
ogni situazione ritenuta suscettibile di pregiudicare il benessere generale e per le relazioni
amichevoli tra le Nazioni.
Per quest’intervento non sono previste particolari norme procedurali. Unico limite è quello in base al
quale l’Assemblea non può intervenire in questioni di cui si stia occupando già il Consiglio.
Sempre in ambito Onu, sono poi da ricordare le iniziative di mediazione del Segretario Generale, per
la soluzione diplomatica di crisi internazionali. La Carta non prevede simili iniziative , se non su
autorizzazione del Consiglio o dell’Assemblea; ecco perché simili iniziative si collocano al di fuori
del quadro istituzionale delle Nazioni Unite.
A quella dell’Onu si affianca la funzione conciliativa delle organizzazioni regionali (Nato, Oua,
ecc.). L’art. 52 della Carta prevede che esse compiano ogni sforzo per giungere ad una soluzione
pacifica delle controversie di carattere locale, prima di deferirle al Consiglio di Sicurezza. La norma
trova conferma nell’ambito dei vari Statuti delle organizzazioni regionali.

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