Soggettività internazionale = titolarità di diritti e di obblighi posti dalle norme del diritto
internazionale. Sono, innanzitutto, gli Stati per eccellenza.
TEORIA TRIDIMENSIONALISTICA
Ai sensi del diritto internazionale, lo Stato si definisce un ente composto da:
Territorio --> porzione di terraferma delimitata da confini (porzione terrestre venuta ad
esistenza in modo naturale)
Popolo --> insieme di individui che risiedono stabilmente nel territorio dello Stato (n.b.:
non è necessario che tutti gli individui abbiano la cittadinanza dello Stato, inoltre è
quest’ultimo a regolarne l’assegnazione e revoca)
L’IMPOSTAZIONE DI CONFORTI
Alternativa tra:
o Stato – comunità --> comunità umana stanziata su un territorio e sottoposta a leggi che la
tengono unita
o Stato – apparato --> insieme degli organi che esercitano in maniera effettiva e
indipendente il potere di governo su una comunità territoriale
o Stato – organizzazione --> è quella rilevante per il diritto internazionale ed include anche
gli enti territoriali ed enti pubblici minori (non solo gli organi centrali/il potere esecutivo)
Si noti che effettività e indipendenza sono prerequisiti sia della teoria tridimensionalità che
nell’impostazione di conforti
--> questione controversa del Kosovo: dichiaratosi indipendente, ma tale solo a causa della
presenza di organizzazioni internazionali
--> tutte queste possono essere condizioni alle quali gli Stati preesistenti subordinano il
riconoscimento di un nuovo Stato, ma non rappresentano requisiti perché venga a formarsi un
nuovo Stato dotato di soggettività internazionale.
Il riconoscimento, pur non avendo valore giuridico, può avere un’incidenza nella dinamica
statuale, ovvero il processo di formazione dello Stato nei requisiti di effettività e indipendenza
AUTODETERMINAZIONE ESTERNA
Può farsi valere in tre casi:
Popoli soggetti a dominazione coloniale
Popoli il cui territorio è stato oggetto a occupazione militare, purché sia avvenuta dopo la
Seconda guerra mondiale
Popoli soggetti a segregazione razziale
Esempio colonia:
Caso febbraio 2019 delle Isole Chagos collegate al territorio di Mauritius, ma ancora
sotto il controllo britannico dagli anni ’70 --> parere della Corte Internazionale dei diritti
umani
Isole Falkland di cui il Regno Unito si è impossessato in un contesto coloniale, ma che
sul principio d’integrità territoriale apporterebbe all’Argentina, nonostante la
popolazione locale si riconosce sotto il Regno Unito
Esempio occupazione militare:
Nel 1940 Estonia, Lettonia e Lituania sono state inglobate nell’Unione Sovietica --> non
era valida la norma
Questione controversa: Secessione rimedio (molto in relazione col popolo Kosovo nei confronti
della Serbia) --> essa è valida a fronte di gravi e sistematiche violazioni dei diritti umani: non è un
principio affermato per l’autodeterminazione dei popoli consolidato dalla comunità internazionale
(non si è ancora ‘consuetudinariezzata’ la norma)
VALUTAZIONI CONCLUSIVIE
I rapporti giuridici che discendono dal principio di autodeterminazione dei popoli, nella sua
accezione esterna (ovviamente) intercorrono esclusivamente tra Stati. Esempi:
Obbligo dello Stato oppressore di consentire l’autodeterminazione, che costituisce un
obbligo dovuto nei confronti dell’intera comunità internazionale (erga omnes)
Conseguente obbligo per gli altri Stati di non riconoscere situazioni derivanti della violazione
dell’autodeterminazione esterna dei popoli, e il diritto per gli Stati stessi di fornire sostegno
al popolo che lotta per l’autodeterminazione
N.B.: la valenza giuridica del principio di autodeterminazione dei popoli nella sua accezione
esterna non implica, pertanto, che i popoli siano soggetti internazionali. I popoli sono solo
beneficiari dell’autodeterminazione
Distinzione tra:
Organizzazioni universali (membership aperta a tutti gli Stati mondiali senza limiti geografici)
e organizzazioni regionali (riservate a Stati presenti in una specifica geografica o geopolitica)
Organizzazioni a carattere politico e organizzazioni a carattere tecnico
La dialettica/tensione tra:
La Membership
La Carta delle Nazioni Unite, firmata a San Francisco il 26 Giugno 1945, è entrata in vigore il 24
ottobre dello stesso anno. Già originari 51 stati membri sono con il tempo aumentati fino
all’odierno numero di 193 stati membri
Punti fondamentali:
--> in alcuni casi è necessaria analizzare l’effettiva stabilità (esempio Siria, Kosovo)
--> stati amanti della pace
--> stati che si impegnano a rispettare gli obblighi della Carta
--> stati capaci e disposti a rispettare gli obblighi della Carta
Diritto e politica interagiscono nella decisione di ammissione degli Stati (esempio Kosovo con la
Russia, stato permanente nel Consiglio di Sicurezza, che rivendica la sua occupazione su di esso -->
apporrebbe certamente potere di veto qualora il Kosovo facesse richiesta di ammissione)
LA STRUTTURA
Gli organi principali delle Nazioni Unite sono elencati nell’art. 7 par. 2. Si possono distinguere tra:
Organi di stati --> assemblea generale, Consiglio di sicurezza, Consiglio economico e sociale,
consiglio di amministrazione fiduciaria (per la delocalizzazione --> ormai inattivo)
Organi di individui --> Segretariato generale, Corte Internazionale di Giustizia
ORGANI DI STATI
Assemblea generale --> vi siedono tutti gli Stati membri dell’ONU (193), ha una vastissima
competenza ratione materiae, ma poteri limitati perché i suoi atti non sono vincolanti. Si tratta,
infatti, di risoluzioni e ‘dichiarazioni di principi’ talvolta anche politicamente rilevanti, ma non
giuridicamente --> raccomandazioni. Solo ed esclusivamente in materia di bilancio (sulla Carta) e
di decolonizzazione (nella prassi) è vincolante.
APPUNTI DIRITTO INTERNAZIONALE
6
È necessario distinguere tra deliberazione dell’Assemblea su questioni:
Importanti: si richiede la maggioranza dei 2/3 dei presenti e votanti
Non importanti: maggioranza semplice (50% + 1) dei presenti e votanti
Consiglio di sicurezza --> organo di Stati a composizione ristretta: 15 membri, 5 dei quali
permanenti e 10 eletti biennali. I membri permanenti godono del privilegio di essere sempre parte
del Consiglio e di godere del potere di veto.
Ha una competenza più limitata rispetto all’AG, ma poteri più significativi --> si concentra solo sul
1° comma dell’art. 1
Consiglio economico e sociale --> composta da 54 membri: agisce sotto alla direzione dell’AG negli
ambiti di cooperazione economico e sociale e della tutela dei diritti umani (mandati triennali)
Benché nell’art. 7 della Carta lo qualifichi come organo speciale, si dice che esso agisca sotto la
direzione dell’Assemblea Generale --> in un certo senso subordinato ad esso.
ORGANI DI INDIVIDUI
Segretariato Generale --> composto dal Segretario generale e dai funzionari dell’organizzazione.
Attualmente è Antonio Guterres, dal 1° gennaio 2017
Corte Internazionale di Giustizia composta da 15 giudici, svolge una funzione contenziosa e una
funzione consultiva
GLI INDIVIDUI
Nel diritto internazionale classico la soggettività internazionale degli individui era esclusa, ma ciò
non significa che non esistessero norme che riguardassero gli individui (esempio: regole sul
trattamento degli stranieri sono beneficiari della protezione dello stato in cui si trovano)
L’opinione ad oggi prevalente considera i soggetti (come individui e anche a livello giuridico)
soggetti alle norme del diritto internazionale. Si parla comunque di una limitata soggettività che si
riconosce in due ambiti del diritto internazionale:
tutela internazionale dei diritti umani
diritto internazionale penale
Dalle norme sui diritti umani si può presupporre che scaturisca direttamente in capo all’individuo
un diritto; è la stessa norma internazionale che affianca al diritto sostanziale una norma
procedurale e questo ci fa sostenere una soggettività internazionale degli individui che possono far
valere un diritto in sede internazionale.
Si tratta comunque di convenzioni che riguardano gli individui, ma non dalle quali può discendere
una soggettività internazionale gli stati dichiarano di impegnarsi a criminalizzare determinati
comportamenti nel loro ordinamento interno, ma non a livello internazionale
LA SANTA SEDE
È da intendersi come l’ente esponenziale della Chiesa cattolica, i suoi ‘ organi di governo ’.
La soggettività internazionale è riconosciuta alla Santa Sede in quanto non è mai venuta a meno
compreso il periodo tra il 1870 e il 1920, ovvero quando qualunque suo dominio territoriale era
venuto a mancare.
Rilevanze pratiche:
La Santa Sede può contrarre accordi internazionali sia multilaterali (convenzione di Vienna
dei rapporti diplomatici) che bilaterali
È membro di organizzazioni internazionali (es. OSCE)
Non è membro di Nazioni Unite e Consiglio d’Europa la Santa Sede non è in ogni caso un
soggetto equiparato agli Stato, ma diverso
Immunità dalla giurisdizione degli stati riconducibilità degli atti
ORDINE DI MALTA
Non esercita, tutt’oggi, nessun controllo su alcun territorio e non è dotato nemmeno di
indipendenza poiché dipende dalla Santa Sede
Nonostante partecipi come osservatore ad alcuni consigli non può far parte di accordi
internazionali, seppur intrattenga dei rapporti diplomatici.
-> la dottrina tende, dunque, ad escludere l’Ordine di Malta dal riconoscerne la soggettività
internazionale
Questione in più:
Eventuale soggettività di imprese multinazionali società madre con altre società figlie presenti
in stati diversi. Si ha dunque una diversificazione sul piano giuridico e sul piano economico. Spesso,
infatti, queste società si trovano ad intrattenere dialoghi e accordi con gli stati, specialmente in
ambito di evoluzione ecologica.
La dottrina prevalente li considera come attori internazionali all’interno dello scenario diplomatico
tra i differenti elementi in gioco, ma non soggetti internazionali in quanto non contraenti di
obblighi e diritti.
25/10
APPUNTI DIRITTO INTERNAZIONALE
9
FONTE DI 1 GRADO DEL DIRITTO INTERNAZIONALE
LA CONSUETUDINE INTERNAZIONALE
La consuetudine può esser definita come un comportamento costante e uniforme delle gran parte
degli Stati, accompagnato dalla convinzione della obbligatorietà di tale comportamento
La concezione dualista della consuetudine è quella prevalente, ed è sostenuta tra l’altro anche
della Corte internazionale di giustizia; vi sono peraltro in dottrina anche tesi moniste, secondo le
quali basterebbe uno solo dei due elementi sopra citati a dar vita a una consuetudine
chi sostiene questa tesi supporta solo l’elemento oggettivo; altrimenti, secondo questa tesi,
una norma internazionale potrebbe formarsi a seguito di un errore da parte degli stati in fase di
formazione della norma.
Generalmente questi sostenitori sono mossi dall’intento di promuovere a norme consuetudinarie
a norme che corrispondono a una concezione etica dei rapporti internazionale.
Obiezioni:
Gli stati, durante la formazione della norma, avvertono maggiormente la doverosità sociale
della condotta, ancora prima della sua obbligatorietà. Dunque, la ripetizione del
comportamento tra gli stati porta all’affermazione e formazione della norma
Solo mediante l’elemento soggettivo è possibile distinguere le vere e proprie norme
consuetudinarie da comportamenti dettati da semplici ragioni di cortesia
Per verificare se esiste una norma internazionale, e per verificarne il contenuto, occorre osservare
sia alla prassi degli stati sia alle convinzioni sottese a tale comportamento
La opinio juris sive necessitas può essere ricavata dalle dichiarazioni degli Stati che accompagnano i
suddetti comportamenti, da pubblicazioni ufficiali, da pareri giuridici…
quando gli stati vogliono evitare che un loro comportamento possa contribuire alla formazione
di una nuova norma consuetudinaria, essi in genere dichiarano che non può costituire un
precedente, o che è dettato da mere ragioni di cortesia.
Il tempo necessario per la formazione di una norma consuetudinaria può essere tanto più breve
quanto più un certo comportamento risulta diffuso -> è un elemento connaturato all’elemento
oggettivo della consuetudine, ma non è definibile a priori; si può dire che dipende dal grado di
diffusione e di intensità di tale comportamento nella comunità di stati
Esiste però anche la c.d. consuetudine particolare, che viene a formarsi tra un gruppo ristretto di
Stati e vincola solo quegli Stati. Comunemente si ritiene che vi siano due tipi di consuetudini
particolari:
Le consuetudini regionali e locali, generalmente dello stesso continente es della
concessione di asilo politico in ambasciata tra i paesi dell’America latina
Le consuetudini che si formano a modifica o integrazione delle norme di un trattato es
dell’art 27 della Carta delle Nazioni Unite con la questione dell’astensione degli stati
permanenti nel Consiglio di Sicurezza -> nella prassi si sono adottati atti (non procedurali)
in cui l’astensione non aveva valore di veto. Oppure l’idea che l’Assemblea Generale
potesse decidere con effetti vincolanti su tempi e modi dell’acquisto di territori coloniali
(ruolo chiave del processo di decolonizzazione che si è affermato mediante una
consuetudine). Tendenzialmente, in caso di organizzazioni internazionali con organi che
controllano la legittimità degli atti della stessa organizzazione ciò non è possibile; come nel
caso dell’Unione Europea
La consuetudine è, dunque, una fonte non scritta del diritto internazionale che, di conseguenza,
pone problemi di certezza del diritto, risolvibili mediante accordi di codificazione
Gli accordi di codificazione, in quanto tali, vincolano solo le parti contraenti. Essi però possono
costituire un utile punto di partenza per l’accertamento del diritto internazionale generale
N.B.: senza necessariamente assumere che il loro contenuto coincida con il diritto internazionale
generale! per diverse ragioni:
o riflette il punto di vista di chi l’ha redatto, la cui opinione non coincide necessariamente con
una prassi e una regola consuetudinaria; risente dunque della mentalità di chi la procede
o Viene, in ultima battuta, definito dagli stati, e non dalla Commissione
o L’art 13 parla anche di sviluppo progressivo talvolta la Commissione ne promuove solo lo
sviluppo e non per codificarne le norme; chiaramente se la prassi e l’opinio juris si direzionano
verso la prospettiva auspicata dalla Commission allora sarà necessario codificarne le norme
es nella Convezione di codificazione del 78 sulla successione degli stati nei trattati, redatta da
pochi stati, con norme differenti dal diritto consuetudinario, ma che si applicano solo agli stati
contraenti vi sono, in generale, alcune materia in cui bisogna, dunque, fare riferimento alle
norme di accordi che però non rispecchiamo quelle del diritto consuetudinario, valido per tutti
gli altri stati che non sottostanno a tale accordo
04/11
LE FONTI DEL DIRITTO INTERNAZIONALE nell’art.38, par.1, dello Statuto CIG (Corte internazionale
di giustizia)
Articolo 38, par. 1, dello Statuto CIG: “la Corte, la cui funzione è di decidere in base al diritto
internazionale le controversie che le sono sottoposte, applica.
a) Le controversie internazionali (…) che stabiliscono norme espressamente dagli Stati in lite;
b) La consuetudine internazionale, come prova di una pratica generale accettata come diritto
(concezione dualistica, riferita alla prassi e all’opinio iuris);
c) I principi generali di diritto riconosciuti dalle nazioni civili
d) (…) le decisioni giudiziarie e la dottrina degli autori più qualificati delle varie nazioni come
mezzi sussidiari per la determinazione delle norme giuridiche
--> perché l’art 38, par. 1, adotta questo ordina, in particolare menziona le convenzioni
internazionali prima della consuetudine? Non bisogna considerarlo la gerarchia delle fonti perché
le preoccupazioni dei suoi redattori non è quella di stabilire una gerarchia delle fonti di diritto
internazionali, ma fornire alla Corte un ordine logico nel ragionamento per individuare tali fonti
Si tratta comunque di norme internazionali che possono essere derogate mediante trattati (come
nemo judex in re sua che nella Carta delle Nazioni Unite è oggetto di una deroga: nell’art. 27 si
dice che quando un membro del consiglio è parte di una controversia è tenuto ad astenersi
(principio applicato), ma quest’obbligo non sussiste in tutti quei casi indicati nel capitolo 7 della
Carta)
Nelle ultime righe del paragrafo relative ai principi generali c’è anche un riferimento all’esistenza
di un ulteriore categoria di principi generali propri dell’ordinamento internazionale in quanto non
sono ricavati dagli ordinamenti interni, bensì sono dei principi ricavati per astrazione dalle
medesime norme del diritto internazionale
8/11
L’Accordo internazionale (o trattato, convenzione, patto, ecc.…) può essere definito come
l’incontro delle volontà di due o più Stati (bilaterali o multilaterali), diretto o regolare una
determinata materia e produttivo di effetti giuridici vincolanti per i contraenti.
Occorre, dunque, distinguere i veri e propri accordi giuridicamente vincolanti da semplici intese
non giuridiche, espressione di impegni che si limitano all’ambito politico [esempio della
Conferenza di Rio 1992 oppure la Dichiarazione del G20 (attuale)]
Il c.d. diritto dei trattati è costituito dalle norme consuetudinarie che disciplinano questa fonte del
diritto internazionale. Tali norme sono codificate, in particolare, nella Convenzione di Vienna sul
diritto dei trattati del 1969 (entrata in vigore nel 1980), di cui sono attualmente parti 116 Stati. La
convenzione è considerata largamente riproduttiva del diritto consuetudinario
AMBITO DI APPLICAZIONE
Nella prima parte della Convenzione (parte I: introduzione) vi sono alcune definizioni e norme per
definire l’ambito di applicazione della Convenzione:
La Convenzione di Vienna si applica ai trattati fra Stati (art. 1). Con il termine trattato essa intende
“un accordo internazionale concluso in forma scritta fra Stati e regolato dal diritto internazionale,
contenuto sia in un unico strumento sia in due o più strumenti connessi, qualunque ne sia la
particolare denominazione” (art. 2, lett. a). Questa definizione non esclude che i trattati si possano
concludere in forma orale o addirittura tacita, purché sia rinvenibile la chiara intenzione delle parti
di obbligarsi a sottostare alle norme del trattato
I trattati conclusi fra Stati e organizzazioni internazionale o solamente fra queste ultime due sono
oggetto di una diversa convenzione di codificazione (Convenzione di Vienna del 1986, non ancora
in vigore)
L’art.4 sancisce la irretroattività della Convenzione, precisando che tale irretroattività non
pregiudica l’applicazione di qualsiasi regola enunciata nella Convenzione alla quale i trattati
sarebbero soggetti in base al diritto internazionale indipendentemente dalla Convenzione
medesima.
Inoltre, l’art. 4 precisa che questa irretroattività non pregiudica qualsiasi applicazione di qualsiasi
regola enunciata nella convenzione alla quale gli stati sarebbero soggetti in base al diritto
internazionale indipendentemente dalla convenzione medesima --> ovvero: la convenzione non si
applica retroattivamente, ma quelle suo norme che sono produttiva del diritto consuetudinario
(c.d. norme consuetudinaria) invece si applicano retroattivamente perché tali norme già
esistevano prima delle convenzione che si è limitata esclusivamente a codificarle in forma scritta
NEGOZIAZIONE
La negoziazione è condotta dai c.d. plenipotenziari, coloro i quali cioè sono in grado di esibire i
pieni poteri (ossia “un documento emanato dall’autorità competente di uno Stato e che designa
uno o più persone a rappresentare lo Stato”: art. 2, lett. c, Cdt). Alcune figure non hanno bisogno di
esibire i pieni poteri perché si presuppone che sia insito nella loro funzione rappresentare lo stato
in sede di negoziato (es.: Capi di Stato, Capi di Governo, Ministri degli Esteri…)
La negoziazione si conclude con l’adozione del testo del trattato, che di regola ha luogo con il
consenso di tutti gli Stati partecipanti ai negoziati (ma nel caso delle conferenze internazionali l’art.
9 Cdt prevede come regola la maggioranza dei due terzi degli Stati presenti e votanti)
FIRMA
Nel procedimento formale o solenne la firma del plenipotenziario (o la semplice parafatura, cioè
l’apposizione delle iniziali) NON vincola lo Stato al rispetto del trattato, ma ha solo la finalità di
autenticazione del trattato. Talvolta, la firma è immediatamente successiva all’adozione del testo,
altre volte passa del tempo tra una e l’altra, ad esempio per la traduzione in diverse versioni
linguistiche
L’art. 18, lett. a, Cdt dispone tuttavia che lo Stato che ha sottoscritto un trattato, fino a che non
abbia manifestato la sua intenzione di non divenirne parte, “deve astenersi da atti che
priverebbero il trattato del suo oggetto o del suo scopo”
RATIFICA
La ratifica, indicata anche con altri termini (es. accettazione, approvazione, adesione), è l’atto con
il quale lo Stato esprime sul piano internazionale il proprio consenso ad essere vincolato da un
trattato (art. 2, lett. b, Cdt). Con adesione si intende la manifestazione il consenso ad essere
vincolato da un trattato da parte di uno stato che però non aveva partecipato alla negoziazione
che, dunque, non aveva neanche firmato quell’accordo. Questo è possibile solo con la condizione
di un trattato aperto, ovvero che consente l’adesione di ulteriori Stati
La competenza a ratificare i trattati è disciplinata da ciascuno Stato con proprie norme di carattere
costituzionale. Per l’Italia rilevano:
o L’art. 87, co. 8, Cost., che attribuisce la competenza a ratificare i trattati al Presidente della
Repubblica, previa quando occorra l’autorizzazione delle Camere;
o L’art. 80 Cost., che prevede che le Camere debbano autorizzare con legge il ratificare di
cinque categorie di trattati: trattati che sono di natura politica, o prevedono arbitrati o
regolamenti giudiziari, o comportano variazioni del territorio, od oneri alle finanze o
modificazioni di leggi;
o L’art. 89 Cost., che prevede che nessun atto del presidente della Repubblica sia valido se
non è controfirmato dai ministri proponenti, che ne assumono la responsabilità
o L’art 75 Cost., che fa riferimento all’istituto del referendum abrogativo di legge; alcune
leggi sono escluse tra cui quelle di autorizzazione alla ratifica ai trattati internazionali
L’entrata in vigore del trattato avviene alle condizioni da esso previste. In genere, nel caso dei
trattati multilaterali è previsto il deposito di un numero minimo di ratifiche [esempio dell’Unione
Europea con tutti gli stati oppure della stessa Convenzione di Vienna con l’entrata in vigore il
30esimo giorno successivo alla 35esima ratifica di adesione]
La registrazione presso il Segretario delle Nazioni Unite, previste dall’art. 80 Cdt e dall’art. 102
della Carta ONU, NON è una condizione di validità dei trattati (ma un trattato che non sia stato
registrato non potrà essere invocato davanti a un organo delle Nazioni Unite).
N.B.: nei casi della Carta dell’ONU e nella Convenzione di Vienna che prevedono l’obbligo di
registrazione, la ratio è per contrastare la diplomazia segreta fra gli Stati
10/11
IL PROCEDIMENTO SEMPLIFICATO DI FORMAZIONE DEI TRATTATI
Il procedimento semplificato di formazione dei trattati comprende le sole fasi d negoziazione e
della firma. In questo procedimento, la firma è l’atto con il quale lo Stato si vincola al rispetto del
trattato
Art.12, par. 1, Cdt: “Il consenso di uno Stato ad essere obbligato da u trattato si esprime attraverso
la firma del rappresentante di tale stato:
a. Quando il trattato prevede che la firma avrà questo effetto
b. Quando risulta altrimenti che gli Stati partecipanti alla negoziazione avevano concordato che
la firma avrebbe avuto questo effetto
c. Quando l’intenzione dello Stato di attribuire questo effetto alla firma risultato dai pieni poteri
del suon rappresentante o è stata espressa nel corso della negoziazione”
Le prime due ipotesi si riferiscono a situazioni nelle quali la firma ha l’effetto di vincolare tutti gli
stati firmatari. La terza ipotesi invece, si riferisce solo al singolo stato di porre la firma. -->
potrebbe accadere che, in uno stesso trattato, alcuni stati seguono un procedimento semplificato
(si vincolano subito mediante la firma), mentre altri seguono un procedimento normale o solenne.
Questo può dipendere anche dal fatto che vi siano diverse condizioni costituzionali proprie di
ciascuno stato
Inoltre, si possono avere delle situazioni in cui gli stati firmano un accordo, ad esempio dopo una
determinata conferenza, ma che è solo un atto di intesa non giuridica con una rilevanza politica
[esempio degli accordi d’Helsinki, ovvero atti finali delle conferenze della CSCE (ormai sostituita
dalle OSCE)
Ma secondo l’ordinamento italiano quali trattati possono essere conclusi in forma semplificata
secondo l’ordinamento italiano? --> ai sensi di un’interpretazione sistematica della nostra
Costituzione si può affermare che l’Italia può concludere in forma semplificata tutti quegli accordi
che non sono previsti dall’art. 80 Cost.
E se il governo conclude un accordo tra quelli dell’art. 80, ma in forma semplificata, lo si può
ritenere valido oppure è un accordo viziato e, dunque, non valido? (il prof rimanda ad una pagina
del libro con una serie di esempi, tra i quali la domanda di ammissione dell’Italia alle Nazioni
Unite)
--> secondo Conforti, solo la condizione che la violazione riguardi una norma interna di importanza
fondamentale corrisponde al diritto consuetudinario. Egli argomenta dicendo che i giudizi
nazionali, quando devono applicare una norma internazionale, si limitano solo a verificare che non
sia in contrasto con una norma interna fondamentale e non che sia evidente per gli altri Stati
Dunque, quegli accordi che sono stati concluso dal governo in forma semplificata, ma in materie
ricadenti nell’art. 80 sono invalidi (ovvero ‘valgono finché valgono’ e vengono rispettare dalle
parti). Secondo Conforti il vizio del consenso può essere sanato se in un momento successivo alla
stipulazione in forma semplificata, ‘l’organo messo da parte’ esprime un suo consenso mediante
legge (nel caso italiano il Parlamento che prende atto dell’accordo con legge di autorizzazione e vi
si conforma)
15/11
Universalità vs integrità dei trattati --> consentire a quanti più stati possibile di partecipare ad un
trattato, ma, di contro, quante più riserve vengono formulate dai singoli stati tanto più si ha una
frammentazione del regime giuridico del trattato, andando a minarne l’integrità
Il problema del 1951 consisteva nel fatto che alcuni stati (soprattutto l’Unione Sovietica e
alcuni stati satellite) intendevano aderire al trattato, ma erano contrari all’art. 9 che
prevedeva la competenza della CIG a risolvere controversie tra gli stati parte in merito
all’applicazione e interpretazione della convezione stessa. Tali stati volevano apporvi una
riserva eccettuativa, ma il trattato della convenzione non prevedeva alcuna riserva, senza
però escluderla. L’assemblea formulò una richiesta alla Cig per chiarire la questione --> la
Corte risponde sottolineando i due aspetti fondamentali
Sviluppi successivi alla Convenzione di Vienna: riguardano tra l’altro il tema delle riserve tardive
(ovvero formulate in momento successivo all’adesione del trattato, sono soggette a condizioni più
stringenti: è sufficiente che un solo stato presenti un’obiezione nei termini dei 12 mesi per negare
la riserva allo stato proponente) e soprattutto la questione delle riserve ai trattati sui diritti umani:
in caso di inammissibilità della riserva, valutata come tale dall’organo giudiziario o quasi-giudiziario
previsto dal pertinente trattato, la riserva si considera come non apposta, e lo Stato che l’ha
apposta rimane vincolato al rispetto del trattato
Vedi in particolare la sentenza della Corte europea dei diritti umani del 1988 nel caso Belilos c.
Svizzera, caso in cui la Corte si trovò a valutare la validità di una riserva proposta dalla Svizzera in
momento di adesione --> vene ritenuta invalida. In termini classici, la Svizzera non è parte della
convenzione dei diritti umani Belilos, ma la Corte Europea dei diritti dell’uomo applica il principio
dell’utile per non inutile non viziatur (una cosa utile non è resa invalida da una cosa inutile)
consentendo alla Svizzera di rimanere vincolata al rispetto del trattato come se non avesse mai
formulato quella riserva. In una situazione del genere, lo stato proponente potrebbe reagire
denunciando il patto e ritirandosi dal trattato
17/11
APPUNTI DIRITTO INTERNAZIONALE
20
INTERPRETAZIONE DEI TRATTATI INTERNAZIONALI
Che cosa significare interpretare un trattato (e più in generale una norma giuridica)?
Significa ricercare il significato più appropriato.
Ci possono essere norma chiare che non richiedono particolari sforzi interpretative (in claris non
fitio interpretati), ma anche norme che lo richiedono
Esistono delle vere regole e criteri giuridici nell’interpretare le disposizioni presenti di un trattato.
Sono previsti da norme consuetudinarie codificate nella Convenzione di Vienna sul diritto dei
trattati --> in particolare gli articoli 31, 32, 33
“2. Ai fii dell’interpretazione di un trattato, il contesto comprende, oltre al testo il preambolo e gli
allegati: a) ogni accordo in rapporto col trattato che è stato concluso fra tutte le parti in occasione
della conclusione del trattato; b) ogni strumento posto in essere da una o più parti in occasione
della conclusione”
“4. Un termine verrà inteso in un senso particolare se risulta che tale era l’intenzione delle parti”
Dunque, prima di tutto, l’interpretazione del giudice deve passare degli articoli 31 e 32 ancora
prima che questo debba ricorrere all’art. 33
Considerazioni finali
Comunemente si fa riferimento anche ad ulteriori criteri interpretativi utilizzabili
nell’interpretazione i trattati, ma che non sono esplicitati nella Convenzione di Vienna. Essi
valgono in quanto principi generali di diritto riconosciuti dalle Nazioni Civili --> si tratta di canoni
tipici del diritto interno che possono essere trasposti anche sul piano internazionale
22/11
LE CAUSE DI INVALIDITIÀ
Principalmente per due motivi:
i c.d. vizi della volontà, ossia cause che inficiano la volontà degli stati di obbligarsi: artt. 46-52
Cdt, ovvero:
o art. 46 Cdt: violazione di una disposizione del diritto interno di importanza
fondamentale riguardante la competenza a stipulare (vedi anche qui)
o art. 47 Cdt: violazione di una restrizione specifica del potere di esprimere il consenso di
uno Stato
o art. 48 Cdt: errore.
1. uno stato può invocare un errore di un trattato come vizio del suo consenso a
vincolarsi a quel trattato se l’errore riguarda un fatto o una situazione che quello
stato supponeva esistente al momento in cui il trattato è stato concluso e che
costituiva una base essenziale del consenso di quello Stato a vincolarsi al trattato
2. il paragrafo 1 non si applica quando lo Stato in questione ha contribuito a
quell’errore con il suo comportamento o quando le circostanze erano tali che esso
doveva rendersi conto della possibilità di un errore
o art. 49 Cdt: dolo.
Se uno stato è stato indotto a concludere un trattato dal comportamento doloso di un
altro Stato che ha partecipato alla negoziazione, esso può invocare il dolo come vizio de
suo consenso a vincolarsi al trattato
o art. 50 Cdt: corruzione del rappresentante di uno Stato.
se l’espressione del consenso id uno Stato è stata ottenuta ricorrendo alla corruzione
del suo rappresentante attraverso l’azione diretta o indiretta di un altro Stato che ha
partecipato alla negoziazione, lo Stato può invocare tale corruzione come vizio del suo
consenso a vincolarsi al trattato
o art. 51 Cdt: la violenza.
L’espressione del consenso di uno Stato a vincolarsi a. un trattato che sia stata ottenuta
attraverso la violenza esercitata sul suo rappresentante per mezzo di atti o minacce
diretti contro di lui è priva di qualsiasi effetto giuridico
o art. 52 Cdt:
è nullo ogni trattato la cui conclusione sia stata ottenuta con la minaccia o l’impiego
della forza in violazione di principi di diritto internazionale incorporati nella Carta delle
Nazioni Unite --> sorge un problema interpretativo: ovvero se con minaccia o impiego
della forza si intenda l’uso delle forze armate di uno stato (es esercito) oppure anche
APPUNTI DIRITTO INTERNAZIONALE
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solo una pressione di carattere politico economico. Per risolvere la questione si fa
riferimento ai principi della Carta dell’ONU --> si fa riferimento solo alla forza armata
(esempio del trattato di Berlino, 1988, con cui la Ceco Slovacchia cedette, sotto
minaccia, alla Germania nazista il territorio dei Sudeti).
Bisogna porsi la questione anche nei trattati di Pace che avvengono in presenza di forze
armate, ma: avvengono dopo diverso tempo dalla fine degli scontri, vi sono reciproche
concessioni (anche se diseguali tra vincitori e vinti)
il contrasto con una norma di jus cogens, artt. 53 Cdt: è nullo qualsiasi trattato che, al
momento della sua conclusione, è in conflitto con una norma imperativa del diritto
internazionale generale. Ai fini della presente Convenzione è norma imperativa del diritto
internazionale generale una norma accettata e riconosciuta dalla comunità internazionale
degli Stati nel suo insieme come norma alla quale non è consentita alcuna deroga e che può
essere modificata soltanto da una successiva norma del diritto internazionale generale
avente lo stesso carattere
N.B.: i vizi della volontà provocano l’invalidità del trattato solo se questo è bilaterale; se, invece, il
trattato è multilaterale, essi provocano l’invalidità del consenso a vincolarsi dello Stato la cui
volontà è viziata, mentre il trattato resta valido e vincolante per gli altri Stati contraenti. Dal
contrasto con una norma di jus cogens discende invece necessariamente l’invalidità del trattato
per tutte le parti di esso
LE CAUSE DI ESTINZIONE
Le cause riconducibili alla comune volontà dei contraenti, cioè esplicitamente o
implicitamente previste dal trattato stesso --> artt. 54 e 56 Cdt
o Art. 54 Cdt:
l’estinzione di un trattato il recesso di una parte possono aver luogo: a) in conformità
delle disposizioni del trattato, oppure b) in ogni momento, per consenso di tutte le parti
(…).
Esempio della Brexit, recesso del Regno Unito dall’UE sulla base dell’art. 54
o Art. 56 Cdt:
un trattato che non contenga disposizioni relative alla sua estinzione e che non prevede
possibilità di denuncia o di recesso non può formare oggetto di una denuncia o di un
recesso, a meno che: a) non risulti che corrispondeva all’intenzione delle parti
ammettere la possibilità di una denuncia o di un recesso; oppure b) il diritto di denuncia
o di recesso possa essere dedotto dalla natura del trattato.
Si vede come questo articolo sia di difficile interpretazione, specie se da ricondurre alla
natura e all’intenzionalità delle parti di un trattato
Le cause previste da norme consuetudinarie --> artt. 60, 61 e 62 Cdt + art. 64 (contrasto con
una norma sopravvenuta di jus cogens, ovvero formatasi successivamente alla formazione del
trattato)
o Art. 60 Cdt (violazione sostanziale di un trattato, inadempimenti non est adimplendum):
3. Ai fini del presente articolo, per violazione sostanziale si intende: a) un ripudio del
trattato non autorizzato dalla presente Convenzione; oppure b) la violazione di una
disposizione essenziale per il raggiungimento dell’oggetto e dello scopo del trattato
(…)
Esempio dell’UE che, negli accordi con paesi terzi, inserisce una clausola in cui il
rispetto della democrazia e dei diritti umani è una disposizione essenziale
4. I paragrafi da 1 a 3 non si applicano alle disposizioni relative alla tutela della persona
umana contenute nei trattati di carattere umanitario, in particolare quelli sui diritti
umani e di diritto internazionale umanitario
o Art. 61 Cdt (impossibilità sopravvenuta di esecuzione, ad impossibilia nemo tenetur)
1. Una parte può invocare l’impossibilità di esecuzione di un trattato come motivo di
estinzione o di recesso se questa impossibilità risulta dalla scomparsa o dalla
distruzione definitiva di un oggetto indispensabile alla esecuzione del trattato. Se
l’impossibilità è temporanea può essere invocata soltanto come motivo per
sospendere l’applicazione del trattato
Ad esempio, in un trattato tra due o più stati nella gestione di corso d’acqua che
attraversa tali stati, avviene che il corso d’acqua si prosciuga
2. L’impossibilità di esecuzione non può essere invocata da una parte (…) se tale
impossibilità deriva dalla violazione, compiuta dalla parte che l’invoca, sia di un
obbligo del trattato, sia di qualsiasi altro obbligo internazionale a danno di una
qualsiasi altra parte del trattato
o Art. 62 Cdt (mutamento fondamentale delle circostanze, rebus sic stantibus)
1. Un mutamento fondamentale delle circostanze intervenuto rispetto a quelle
esistenti al momento della conclusione di un trattato, e che non era stato previsto
dalle parti, non può essere invocato come motivo di estinzione o di recesso, a meno
che: a) l’esistenza di tali circostanze non abbia costituito una base essenziale del
consenso delle parti a vincolarsi al trattato; e che b) tale mutamento non abbia per
effetto di trasformare radicalmente la portata degli obblighi che rimangono da
adempiere in base al trattato
2. Un mutamento fondamentale delle circostanze non può essere invocato come
motivo di estinzione o di recesso (…) se il cambiamento fondamentale deriva dalla
violazione, ad opera della parte che l’invoca, sia di un obbligo in base al trattato, sia
di qualsiasi altro obbligo internazionale nei confronti di qualsiasi altra parte del
trattato.
Esempio dell’ONU: la Carta non preveda norma riguardo al recesso e, quindi, ci si è
chiesti se uno Stato potesse recidere dalle Nazioni Unite --> si sostiene che ciò può
avvenire se lo Stato fa valere un mutamento fondamentale delle circostanze.
È il caso di Trump anche con l’OMS e la Cina, ma che non aveva nulla a che vedere
con i principi per cui l’OMS è nata
Sia l’art. 53 che il 64 riguardano il contrasto tra il trattato e una norma di jus cogens, ma nell’art.
53 opera come cause di invalidità, mentre nel 54 come causa di estinzione
QUESTIONI PROCEDURALI DEL DIRITTO INTERNAZIONALE E DEL DIRITTO INTERNO DEGLI STATI
1) La convenzione di Viena dedicata gli articoli d 65 e 68 a disciplinare la procedura da seguire
per far valere una causa di invalidità o di estinzione da parte di uno Stato. Quest’ultimo
deve notificare per iscritto, la sua pretesa a tutti gli Stati contraenti del trattato. Gli Stati
hanno un termine di 3 mesi che, se trascorso senza alcuna obiezione, lo Stato in questione
può recedere immediatamente del trattato. Qualora gli Stati presentino obiezioni, le parti
contraenti del trattato devono risolvere la questione entro 12 mesi che, se trascorsi senza
alcuna soluzione, diventa possibile attivare una procedura di conciliazione che fa capo al
Segretario Generale delle Nazioni Unite --> egli, al limite, può suggerire come risolvere la
controversia, ma senza imporla agli altri Stati. L’unico caso in cui ci si può riferire alla Corte
Internazionale di Giustizia è quello in cui la controversia riguardi quelle cause di invalidità o
estinzione relative allo jus cogens, articoli 53 e 64.
Questa procedura ha solo carattere residuale, ovvero solo se il trattato in questione non
preveda in alcun modo disposizione per disciplinare una causa di invalidità o di estinzione
2) In secondo luogo, quale organo interno ad ogni stato è competente a presentare e far
valere una causa di invalidità o estinzione? In termini generali, si può presupporre
l’esecutivo, ma in Italia si pone il problema di quei trattati previsti dall’art. 80 la cui ratifica
dipende da una previa autorizzazione del Parlamento.
Caso Brexit: è molto interessante perché il governo voleva procedere autonomamente
senza coinvolgere il Parlamento, ma la questione è stata portata in sede giudiziaria --> ne è
emerso che in quel caso, data l’importanza della partecipazione degli UK all’UE e
all’incidenza che ciò aveva sui diritti individuali, il governo non avrebbe potuto procedere da
solo senza il Parlamento. Successivamente quest’ultimo ha autorizzato mediante legge di
autorizzazione il governo a notificare la causa di recesso.
Caso Italia: per il momento il governo può agire autonomamente anche nei trattati previsti
dall’art. 80, ma la dottrina considera molto importante e rilevante che l’esecutivo coinvolga
e ottenga un certo assenso da parte del Parlamento
29/11
All’art. 73 la Cdt dice che “le disposizioni della presente convenzione non pregiudicano alcuna
questione che si ponga a proposito di un trattato per il fatto di una successione di stato o in
ragione della responsabilità internazionale di uno Stato o dello scoppio di ostilità fra Stati”
--> la Convenzione di Vienna si esclude dall’occuparsi di questi profili, che sono però ricollegabili
coi trattati
--> in sostanza, si tratta di un caso specifico di applicazione del principio rebus sic stantibus
Le fonti rilevanti:
o Norme consuetudinarie
o Convenzione di Vienna del 1978 sulla successione degli Stati nei trattati, in vigore dal 1996
ma ad oggi soltanto per 23 Stati che l’hanno ratificata --> successo ben inferiore rispetto alla
convenzione del 76 --> testimonia che alcune disposizioni della Convenzione di Vienna
mirano allo sviluppo progressivo e non alla codificazione dl diritto internazionale
consuetudinario
N.B.: viene chiesto di individuare degli esempi per ciascuna di queste situazioni!!!!!!!
Trattati non localizzabili: vale, in principio, la regola della tabula rasa (ma la Convenzione di Vienna
del 1978 fa valere tale regola solo nel caso degli Stati sorti dal processo di decolonizzazione,
mentre in tutti gli altri casi prevede la regola della continuità)
Vediamo alcuni esempi:
1) ipotesi di distacco di una parte del territorio di uno Stato che entra a far parte di un altro
Stato (caso Crimea, da Ucraina e Unione Sovietica): in questo cessano di essere validi, nel
territorio della Crimea, i trattati non localizzabili conclusi dall’Ucraina e cominciano ad
essere validi quelli conclusi dalla Russia
2) nel caso di distacco e formazione di un nuovo Stato, lo Stato nascente è libero da
qualunque vincolo pattizio --> questo significa che lo Stato potrà aderire a trattati oppure
può aderire una notifica di successione dei trattati a cui era precedentemente vincolata
quando era parte dello Stato precedente. L’adesione ha effetto ex nunc (dal momento in cui
viene effettuata), mentre la notifica di successione ha effetto ex tunc (dal momento in cui il
nuovo stato è nato --> effetti retroattivi)
3) nel caso di un accordo come la Carta delle Nazioni Unite non è possibile una semplice
adesione del nuovo Stato intesa come manifestazione unilaterale del nuovo Stato; infatti,
non si parla di adesione, ma di ammissione di un nuovo membro nell’ONU. Seguendo
questa impostazione, durante lo smembramento dell0Unione Sovietica, anche la Russia,
come Stato nuovo, avrebbe dovuto presentare domanda di ammissione alle nazioni Unite --
> in realtà, è stato consentito alla Russia di subentrare immediatamente senza fare
richiesta: le ragioni politiche sono prevalse su quelle giuridiche!!!
4) Nell’ipotesi di incorporazione del territorio di uno Stato in un altro Stato, già esistente:
esempio della Germania dell’Est, dalla Repubblica Democratica tedesca alla Repubblica
Federale tedesca (cessano i trattati concluso dalla prima ed entrano in vigore quelli conclusi
dalla seconda)
5) Ipotesi del mutamento radicale di governo: la prassi prevalente sembra confermare
quell’impostazione che non la considera una successione di Stati --> si ha, quindi, una
continuità nei trattati (localizzabili e non localizzabili) come se la ‘persona dello Stato’ non
fosse mutata. Ovviamente ad eccezione dei trattati di natura politica (rebus sic stantibus)
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FORMAZIONE DEI TRATTATI
Vi è anche la competenza delle regioni a stipulare accordi internazionali.
1. Sentenza della Corte costituzionale del 1975 che negava drasticamente la possibilità delle
regioni di concludere accordi internazionali con stati o enti territoriali stranieri;
2. La stessa corte ha mutato orientamento in una sentenza del 1987, ammettendo che le
regioni possano concludere accordi internazionali ad una serie di condizioni:
Di avere previamente ottenuto l’assenso del governo
Che riguardino materie di competenza regionale
Che non si tratti di accordi rientranti nelle materie previste dall’articolo 80, che
richiedono l’autorizzazione alla ratifica del parlamento, e successivamente dal
presidente della Repubblica.
La l. Cost. n 3/2001 ha modificato il titolo V della parte II della costituzione, nella quale rientra una
previsione rilevante in tale argomento all’ultimo comma dell’articolo 117 à “nelle materie di sua
competenza la Regione può concludere accordi con Stati e intese con enti territoriali interni ad
altri Stati, nei casi e con le forme disciplinate dallo Stato”. Agiscono come plenipotenziari, come
organi statali, tanto è vero che questi accordi, una volta conclusi dalle regioni, impegnano la
responsabilità dello Stato. Quindi, possono concludere accordi con altri stati, ma solamente
avendo ottenuto l’accordo del governo, ed impegnano la responsabilità dello stato di
appartenenza --> se la regione viola l’accordo, ne consegue la responsabilità dello stato, vero
soggetto di diritto internazionale. Non possono agire in maniera del tutto autonoma, lo possono
fare in quanto organi dello stato, impegnando la responsabilità di esso.
Questo discorso vale nell’ambito degli accordi, il riferimento con intese stipulate con enti
territoriali di altri stati, invece, è da intendere con riferimento ad intese che non hanno una vera e
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FUNZIONE GIURISDIZIONALE INTERNAZIONALE