Sei sulla pagina 1di 95

Diritto internazionale, principi e

norme di Francesco Salerno


Diritto Internazionale
Libera Università Maria Santissima Assunta (LUMSA)
90 pag.

Document shared on https://www.docsity.com/it/diritto-internazionale-principi-e-norme-di-francesco-salerno/5739003/


Downloaded by: jacopo-brigantini (jacopo.brigantini@gmail.com)
DIRITTO INTERNAZIONALE
Capitolo 2: La soggettività internazionale dello Stato
Esistono diversi soggetti del diritto internazionale, alcuni di questi soggetti hanno obblighi e diritti. Per gli
Stati la soggettività è piena, mentre per altre entità (come le organizzazioni internazionali), invece no.
Alcuni hanno una soggettività:

- Originaria: come gli Stati che non hanno bisogno di riconoscimento e/o approvazione
- Derivata: la soggettività è derivata dai soggetti originari

1. Lo Stato nel senso del diritto internazionale

Con l’illuminismo, si universalizza anche il concetto di Stato come ente di governo, potenza sovrana
effettiva su un determinato territorio:

Modello di Stato-Potenza: “concezione ternaria” ovvero che un’autorità di governo indipendente che
esercita i suoi poteri sulla comunità umana giuridicamente organizzata in un determinato periodo.
Questo potere autonomo è detto “sovrano”, è unico ed esclusivo in un determinato territorio anche se
sono presenti degli enti territoriali minori.
Questa sua esclusività perdura anche laddove venga a mancare la podestà di impero sul territorio o parte di
esso, come in seguito ad atti di aggressione.

Principio della conservazione dei valori: sotto forma di “governo in esilio”. Anche durante l’occupazione in
tempo di guerra, il principio della c.v. conserva l’ordinamento giuridico preesistente.

Stato fantoccio: stato che non possiede i caratteri proprio del modello ternario (es. Repubblica Sociale
Italiana)

Altri elementi che caratterizzano la soggettività internazionale sono:

• Abitanti
• Governo e la sua capacità di stringere relazioni internazionali
Effettività: l’effettivo esercizio del potere di governo su un territorio
Indipendenza: governo eserciti il potere in maniera indipendente in modo che non dipenda da altri Stati,
deve avere perciò una costituzione originaria (es. Rep. Di Cipro del Nord)

Stato comunità
Stato governo: lo Stato è l’insieme dei governanti e non dei governati

2. Il riconoscimento di Stati ed altre entità ad essi assimilabili

Il riconoscimento di uno Stato da altri Stati costituisce un elemento di soggettività internazionale?

Ci sono 2 teorie:

• Teoria costitutiva: finché non c’è il riconoscimento dagli altri Stati non si può parlare di Sato
• Teoria Dichiarativa: il riconoscimento non ha alcun valore giuridico ma solo politico

Document shared on https://www.docsity.com/it/diritto-internazionale-principi-e-norme-di-francesco-salerno/5739003/


Downloaded by: jacopo-brigantini (jacopo.brigantini@gmail.com)
• L’ESISTENZA DI UNO STATO NUOVO NON È CONDIZIONATA DAL RIFIUTO DI RICONOSCIMENTI DI
UNO O PIU’ STATI

Ove soggiunga il riconoscimento internazionale, esso avrebbe solo una mera funzione dichiarativa, essendo
l’entità “Stato” già soggetto in ragione della “forza dell’esistenza” che in essa si esprime. Rifiutarne il
riconoscimento costituisce un mero atto in amichevole che può comunque avere ripercussioni negative
sulla partecipazione dello Stato alla vita giuridica internazionale.

Lo Stato che desidera godere dei vantaggi della cooperazione internazionale è indotto a sollecitare esso
stesso il riconoscimento internazionale. Gli altri Stati possono sfruttare tale occasione per rendere lo stesso
riconoscimento oggetto di trattativa.
Es. le linee direttrici o requisiti, come quelle adottate nel 1991 dai paesi membri della CEE.
A seguito delle garanzie ottenute avviene il riconoscimento senza però che venga mutata la natura
dichiarativa.

Statualità anticipata → Può succedere, in ogni modo, che l’ordinamento internazionale si trovi davanti a
delle entità che possiede solo in parte gli elementi costitutivi dello Stato nel senso del diritto internazionale.
Il suo riconoscimento diffuso assume in parte valenza costitutiva poiché compensa alla momentanea
carenza di questi elementi e assicura la necessaria certezza di diritto, come per esempio nel caso della
Guinea-Bissau.

Stati falliti → sono quegli Stati le cui autorità di governo sono talmente deboli o inefficaci da perdere il
controllo dell’uso della forza fisica, il controllo del territorio, delle strutture economiche, politiche e sociali.
Nonostante la tendenza della prassi a riconoscere la continuità di uno Stato fallito, e non la sua estinzione,
tale scelta è dettata da un mero “pragmatismo politico”, cioè per evitare che tali territori possano essere
oggetti di occupazione. Sul piano giuridico, la soggettività va negata poiché manca il requisito
dell’effettività.

Il riconoscimento potrebbe sovvenire come costitutivo di una speciale forma di soggettività internazionale.
Da atti unilaterali o accordi specifici con una regola generale ad hoc che rigusrdi una entità seppur
sprovvista delle condizioni obiettive del diritto internazionale sia ugualmente in possesso erga omnes di
sotuazioni giuridiche soggettive internazionalmente rilevanti proprie di un ente dotato di soggettività
internazionale.

Stato protetto → pur essendo sotto la tutela di un altro Stato, non è considerato uno Stato fantoccio. Esso
ne resta distinto finché definisce in piena autonomia il suo status con un accordo avente come oggetto
obblighi di protezione a carico di una parte. Una condizione simile può accadere anche a seguito di un
accordo internazionale del quale lo stato protetto non sia parte ma dal quale ugualmente discenda il suo
regime giuridico obiettivo erga omnes.

Altre volte le prerogative internazionali proprie di uno Stato vengono estese ad entità che non possiedono
le caratteristiche “ternarie” di uno Stato, come la Santa Sede e l’Ordine di Malta, le quqli hanno, però,
soggettività diverse.

Santa Sede: è in unione reale tra lo Stato Vaticano (creato a seguito dei Patti Lateranensi del 1929).
Lo Stato della Città del Vaticano esercita poteri propri del sovrano territoriale. La Santa Sede, invece, è
soggetto autonomo e distinto di diritto, che svolge una funzione di rappresentanza dello Stato della Città
del Vaticano. Essa ha la capacità di stringere delle relazioni internazionali ma non ambisce ad avere un
territorio. Va ricordato che anche la Città del Vaticano può stringere accordi che avranno una ripercussione
sul territorio.

Document shared on https://www.docsity.com/it/diritto-internazionale-principi-e-norme-di-francesco-salerno/5739003/


Downloaded by: jacopo-brigantini (jacopo.brigantini@gmail.com)
Sovrano Ordine Militare di Malta: è da oltre due secoli privo di qualunque potere di impero territoriale ed
è perciò collegato all’ordinamento della Santa Sede. Attualmente è impegnato in attività di tipo umanistico
che lo portano ad avere formali relazioni diplomatiche con molti Stati tra cui l’Italia, ove di trova la sua sede
centrale (Roma). Il suo riconoscimento è di tipo costitutivo poiché non sussiste il requisito
dell’indipendenza, poiché dipende dalla S.S.

3. La posizione egli insorti

Se nel corso di una guerra civile, un movimento insurrezionale organizzato controlla una porzione di
territorio, la sua podestà di impero dovrebbe essere pienamente parificata all’entità statale precostituita, al
punto di dare corrispondente rilevanza agli atti legislativi, amministrativi o giudiziari adottati da
quell’apparato insurrezionale. Ma raramente si riscontra questa regola nella prassi.

Difatti, fintato che la guerra perdura, il principio di conservazione dei valori preserva il valore “legittimo”
solo governo centrale precostituito, comprimendo la rilevanza internazionale della formazione
insurrezionale.
In questo caso il diritto internazionale può rivolgersi agli insorti perché diano luogo ad un processo di
pacificazione.

Il diritto internazionale umanitario (DIU) è l'insieme delle norme di diritto internazionale che riguarda la
protezione delle cosiddette vittime di guerra o vittime dei conflitti armati. La base del diritto è costituita sulla
Convenzione di Ginevra del 1864 e dai due protocolli aggiuntivi. Il diritto umanitario è pensato per i conflitti
internazionali ma si può applicare anche a conflitti interni.

Gli insorti posso anche concludere accordi internazionali direttamente con l’Autorità precostituita per
estendere ai conflitti armati “non internazionali “il diritto umanitario applicabile ai conflitti armati di natura
internazionale. Questa assimilazione si verifica quando avviene il riconoscimento costitutivo degli insorti
quali “Parte Belligerante” ad opera dell’autorità costitutiva o di Stati terzi. Questo riconoscimento, tuttavia,
è assai raro.
Vi è infine da considerare l’ipotesi in cui la guerra civile tra gruppi armati trascini il paese verso una
condizione d’anarchia (c.d. Stati falliti), per questo il Consiglio di Sicurezza ha rivolto misure vincolanti alle
fazioni di insorti, per chiedere loro il rispetto delle regole elementari di diritto umanitario e la conclusione di
accordi di pacificazione. Del mancato rispetto la fazione insurrezionale risponde direttamente sul piano
internazionale.

4. La promozione del diritto di autodeterminazione dei popoli coloniali

Principio di autodeterminazione ha due valenze: quella interna e quella esterna.


Valenza interna→ attiene alla libertà dello Stato di scegliere la propria forma costituzionale
Valenza esterna→ implica il diritto di un popolo di scegliere la propria identità geo-politica anche sotto
forma di indipendenza. Tuttavia, per la valenza esterna il diritto internazionale non fissa un criterio assoluto
ed indiscriminato di diritto di autodeterminazione.

Il principio di autodeterminazione dei popoli costituisce un punto essenziale del nuovo ordine
internazionale delineato dalla Carta Atlantica (sottoscritta da USA e Gran Bretagna nel 1941) e quindi gli
articoli 1 comma 2 e 55 della Carta dell’ONU. Tuttavia, la prospettiva di indipendenza si profilava solo per i

Document shared on https://www.docsity.com/it/diritto-internazionale-principi-e-norme-di-francesco-salerno/5739003/


Downloaded by: jacopo-brigantini (jacopo.brigantini@gmail.com)
territori sottoposti al regime internazionale di amministrazione fiduciaria.
L’Assemblea generale volle promuovere di seguire l’applicazione del principio di autodeterminazione dei
popoli come regola generale per i territori sottoposti a dominio coloniale.

Con la rivoluzione n. 1514/XV si indicò la necessità di mettere fine al fenomeno del colonialismo. Con essa
la Corte internazionale di giustizia è giunta a riconoscere nel diritto di autodeterminazione dei popoli uno
dei principi essenziali del d. internazionale contemporaneo di valenza erga omens.

La sua applicazione ha richiesto l’individuazione geo-politica del popolo a cui ascrivere l’esercizio del diritto
di autodeterminazione; per cui occorreva stabilire i criteri che qualificavano un popolo come “coloniale”.
Con la “Dichiarazione di principi sulle relazioni amichevoli tra gli Stati”, adottata nel 197° dall’Assemblea
generale, indicavano nella mancanza di continuità territoriale e della natura autoctona della popolazione
locale alcuni elementi distintivi prima facie dello statuto del territorio coloniale rispetto a quello della
Potenza che l’amministrava.

Criterio dell’uti possidetis iuris (come la formula anglosassone “as you possess under law) ovvero per
definire i confini dei nuovi stati si riprendevano le vecchie delimitazioni amministrative interne degli imperi
coloniali. Questo principio venne applicato nella seconda metà del ‘900 per le colonie africane.

Tale determinazione, sebbene molto artificiosa e foriera di conflitti, ha dato comunque dato una
dimensione nazionale a popoli sostanzialmente privi di essa.

Il popolo titolare di diritto di autodeterminazione dal regime coloniale poteva scegliere tra varie soluzioni:

1. Indipendenza: la maggiormente praticata, come mostra la formazione di “micro-Stati”


2. Integrazione: la popolazione sottoposta al regime coloniale può decidere se essere incorporata con
la ex-madrepatria (es. Groenlandia) o in uno Stato limitrofo (es. Iran occidentale), ovvero di
costituire uno stato unitario insieme ad un altro popolo coloniale
3. Associazione: esempio di Puerto Rico nel 1952 che si espresse per la costituzione dello Stato libero
associato agli Stati Uniti.

L’esercizio del diritto di autodeterminazione doveva avvenire di norma attraverso un “processo


democratico” (normalmente un referendum) che confermasse il carattere genuino della scelta.
La responsabilità primaria per l’attuazione del p. di autodeterminazione spettava alla Potenza coloniale e
durava anche dopo che sul territorio si era instaurata illegittimamente un’altra autorità effettiva di governo
se non rappresentativa dell’intera popolazione.

Le pretese territoriali dello Stato limitrofo assumono maggiore pregnanza quando il territorio della colonia
costituisce una vera e propria enclave insinuata all’interno di quello Stato.

5. Segue: il diritto di autodeterminazione da occupazione straniera

Con la “Dichiarazione di principi sulle relazioni amichevoli tra Stati”, l’Assemblea generale ampliava la
portata del principio di autodeterminazione ai popoli sottoposti a occupazione coloniale. Questo implica il
diritto all’indipendenza della popolazione in quanto l’autorità occupante è illegittimità.

Il principio di conservazione dei valori assicura sul piano giuridico-formale la continuità dello Stato
preesistente all’invasione, così che la territorialità del diritto di autodeterminazione sfugge al popolo in
quanto tale.

Document shared on https://www.docsity.com/it/diritto-internazionale-principi-e-norme-di-francesco-salerno/5739003/


Downloaded by: jacopo-brigantini (jacopo.brigantini@gmail.com)
Il lasso di tempo intercorrente tra il momento dell’occupazione e il ripristino della sovranità statuale
dipende dalle vicende storiche. Tuttavia, più esso aumenta, più si affievolisce il formale ripristino della
preesistente autorità (es. Kuwait e Iraq).

Il diritto internazionale valuta autonomamente i termini dell’occupazione straniera, in specie se non


sussistono condizioni che in qualche modo non giustifichino il principio di conservazione dei valori.

L’affermazione di un diritto dell’autodeterminazione da occupazione straniera è senz’altro meno discutibile


in relazione ad alcune situazioni nelle quali non vi è stato un lineare processo di decolonizzazione (es.
questione della popolazione araba nei territori occupati della Palestina)

Non può configurarsi il diritto di autodeterminazione da occupazione “esterna” per le minoranze nazionali
se lo Stato centrale non assicuri loro il pieno diritto di autogoverno territoriale. Si possono però verificare
situazioni di cui il connotato di regimi razzisti del governo centrale giustifica il diritto di autodeterminazione
del gruppo minoritario e la sua insurrezione assume natura di conflitto armato “internazionale” al pari di
quelli contro il regime coloniale o l’occupazione straniera.
Va considerata l’eventualità che la popolazione sia vittima di genocidio → il divieto di genocidio è una
norma imperativa di carattere universale. In via integrativa e consuetudinaria si è fatto avanti l’obbligo di
prevenire il genocidio.

Il diritto internazionale vuole con ciò preservare la stessa esistenza fisica della popolazione, ovvero di quel
“gruppo” con la sua propria identità storica e/o culturale, sul quale si incentra la persecuzione e la pratica
dell’eccidio di massa. Il divieto di genocidio è assoluto e tutela tutti i componenti del gruppo.

6. Il carattere costitutivo del riconoscimento di movimenti di liberazione nazionale

Lo Stato che non rispetta il diritto dell’autodeterminazione in una condizione di dominio coloniale o
occupazione straniera esercita in modo illegittimo la propria autorità.
Quando viene a mancare il nesso di rappresentatività tra popolo e Stato, la società internazionale deve
trovare un referente istituzionale in grado di rappresentare gli interessi della popolazione
internazionalmente rilevanti. Possiamo evidenziare due diverse strade:

1. Istituzione di appositi organismi internazionali per regolare le risorse del territorio e lo stato
giuridico delle persone, fintantoché la popolazione locale non avesse esercitato il proprio diritto
all’autodeterminazione
2. Diretto riferimento all’apparato che rappresenta la volontà di autodeterminazione della
popolazione locale: il movimento di liberazione nazionale

Lo status di un movimento di liberazione nazionale non può essere assimilato a quello di uno Stato, dato
che non hanno il controllo diretto sul territorio. Esso, inoltre, è l’unica organizzazione insurrezionale
abilitata a definire accordi con la Potenza occupante o con altre autorità.

Il suo riconoscimento, quando operato da una organizzazione regionale ed avvallato dall’Assemblea


generale dell’ONU, ha valenza costitutiva della sua personalità giuridica internazionale, facendone
assumere portata erga omnes. Perciò le conseguenze del riconoscimento ricadono in qualche misura anche
su Stati che non lo abbiano manifestato.

Document shared on https://www.docsity.com/it/diritto-internazionale-principi-e-norme-di-francesco-salerno/5739003/


Downloaded by: jacopo-brigantini (jacopo.brigantini@gmail.com)
7. L’autodeterminazione come fatto meramente lecito

L’aspirazione all’indipendenza di una parte della popolazione entra in conflitto con il principio di integrità
territoriale dello Stato, molto avvertita nella fase iniziale della decolonizzazione.
Il principio della conservazione dei valori a sostegno dell’integrità territoriale di uno Stato non è però di
portata assoluta. Il principio di integrità territoriale non è quindi un valore obbligatorio che preclude la
formazione di nuovi Stati come fatto meramente lecito.

8. Eventi modificabili della vita dello Stato

Lo Stato può registrare eventi che possono modificare la sua identità che portano a delle conseguenze a
volte di rilievo per il diritto internazionale in termini di continuità.
Tale problema non si pone, per esempio, per cambiare il simbolo della bandiera o assumere una diversa
denominazione. Vanno invece valutati quegli eventi che possono incidere sugli elementi costitutivi dello
Stato ovvero che ne possono determinare l’estinzione. Ecco quattro casi:

1. Incorporazione: un’entità statale è assorbita da un’altra, che mantiene la propria identità sul piano
internazionale
2. Fusione: scaturisce una nuova entità del tutto giuridicamente distinta dalle precedenti
3. Distacco: si forma un nuovo Stato ma residua quello precedente su una collettività territoriale più
delimitata
4. Smembramento: si creano invece due nuove entità statuali, nessuna delle quali mantiene una
continuità con lo Stato precedente

9. Stati nuovi e principio di continuità

La formazione di nuovi Stati comporta la presenza di enti sovrani fino ad allora estranei al processo di
formazione di norme giuridiche. Il diritto internazionale dovrebbe escludere la trasmissione automatica di
diritti ed obblighi precedenti senza una determinazione volitiva in tal senso da parte del nuovo Stato. Ma
l’orientamento è di segno opposto poiché vige il principio di continuità.

Il criterio di continuità opera solo in parte per lo Stato di nuova indipendenza sorto dal processo di
decolonizzazione. La Convenzione di Vienna codifica questa prassi ma assegna ad essa il valore di regola
speciale in deroga al principio generale di continuità. E difatti tale indicazione è pacificamente acquisita per
le norme consuetudinarie generalmente riconosciute, sicché esse sono comunque applicabili
immediatamente al momento della costituzione del nuovo Stato.

La successione automatica riguarda anche beni e debiti dello Stato.


Il criterio dei beni opera secondo il principio di territorialità, ovvero che sia nel distacco che nello
smembramento il trasferimento avvenga a favore dello Stato nel cui il territorio si trovano i beni
Il criterio di continuità dei debiti (inclusi anche quelli verso i privati), sono subordinati all’accordo tra Stati
per una proporzione equa tra di loro. In caso di distacco, avviene una ripartizione equa tra lo Stato
predecessore e quello di nuova formazione.
La Convenzione parla di ripartizione equa anche nel caso dello smembramento, ma facendo sempre salvo
ad un accordo tra le parti. Anche in tal caso la prassi conferma il carattere consuetudinario della
prescrizione pattizia.

Document shared on https://www.docsity.com/it/diritto-internazionale-principi-e-norme-di-francesco-salerno/5739003/


Downloaded by: jacopo-brigantini (jacopo.brigantini@gmail.com)
Capitolo 3: Diritto internazionale e organizzazione costituzionale dello Stato
1. Limiti internazionali al diritto di autodeterminazione interna

Una volta formato, lo Stato si dota di un proprio assetto costituzionale che può variare da Stati federali od
unitari, Repubbliche di forma presidenziale o parlamentare, modelli di monarchia (costituzionale come
quella del Regno Unito) o quasi assoluta (Arabia Saudita) od elettiva (Città del Vaticano).

Fino a che sussiste un regime internazionale di libertà in materia costituzionale, opera il diritto di
“autodeterminazione interna”, proclamato dall’art. 1 pr. 1 del Patto sui diritti civili e politici del 1966.
È illecito un intervento esterno – anche non militare – se mirato a modificare la libera scelta del regime
politico-costituzionale di uno Stato.

Il principio di autodeterminazione politica fu sancito nella Carta atlantica (1° gennaio 1942) che cementò
l’alleanza tra gli Stati Uniti e il Regno Unito secondo il conflitto mondiale.
La scelta di uno Stato di aderire ad un’alleanza politico-militare rendeva impossibile la modifica della sua
forma costituzionale senza provocare una crisi internazionale molto seria o la prospettiva di un intervento
esterno volto a ripristinare lo status quo ante.

Ciò non impediva alla società internazionale di esprimere propri valori unitari in materia costituzionale.
Radicale è il divieto di discriminazione razziale, sancito dalla Carta dell’ONU (art. 1 pr. 3), considerato come
una regola generale di natura imperativa.
Es. Apartheid: carattere illecito del regime sudafricano che investiva la sua forma di sviluppo separato –
apartheid per l’appunto – delle comunità di colore, indiane e meticce all’interno di uno Stato. Le Nazioni
Unite ritennero che quel modello costituzionale costituisse una violazione della Carta e quindi di norme
imperative internazionali: il Sudafrica fu costretto ad indirizzarsi verso una diversa forma costituzionale.

Il diritto internazionale flette dunque la libertà degli Stati in materia costituzionale. Questa prassi si è
consolidata nel tempo, specie per l’azione degli organismi di controllo a tutela dei diritti umani. Nel
complesso, la supervisione internazionale incrina l’idea tradizionale secondo cui lo Stato è il gestore
esclusivo di una determinata concezione politico – costituzionale.
Perciò, uno Stato che sia destinatario di obblighi internazionali in materia di diritti civili e politici deve per
forza di cose dotarsi di una “buona costituzione” che le rispetti. Il diritto internazionale tiene conto del
peculiare percorso storico-costituzionale di un determinato paese riconoscendogli un margine autonomo
di apprezzamento che risponde a parametri di proporzionalità diversi a secondo dell’obbligo internazionale
di volta in volta considerato.

La Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del ’48 +


La CEDU del ’50 +
La Convenzione americana sui diritti dell’uomo del ’69 +
Il Patto sui diritti civili e politici delle Nazioni Unite del ‘66
Queste norme condizionano l’organizzazione dello Stato che ne è destinatario, tanto da configurarne un
diritto internazionale in materia costituzionale.
Ne è un esempio il principio di separazione dei poteri che sancisce l’obbligo degli Stati di far operare i
tribunali in modo indipendente ed imparziale, così da evitare l’interferenza con il potere esecutivo.

Dichiarazione di principi sulle relazioni amichevoli tra Stati del 1970 garantisce la sovranità ed integrità
territoriale di uno Stato se “dotato di un governo che rappresenti l’insieme del popolo”.
Il principio della rappresentatività unitaria, dove una violazione estrema di tale norma induce Stati ed
organizzazioni internazionali a delegittimare l’autorità precostituita, favorendo interferenze esterne.

Document shared on https://www.docsity.com/it/diritto-internazionale-principi-e-norme-di-francesco-salerno/5739003/


Downloaded by: jacopo-brigantini (jacopo.brigantini@gmail.com)
L’obbligo di assicurare la rappresentatività unitaria della popolazione lascia ai singoli Stati un vasto margine
di valutazione autonoma. Questa sfera di libertà in materia costituzionale si riduce ulteriormente nella
misura in cui sovvengono obblighi internazionali che gli stessi Stati sono disposti ad accertare, se del caso
consolidandone la natura generale. La disponibilità degli Stati ad accettare obblighi in materia
costituzionale conferma che il diritto dell’autodeterminazione politica interna non è un valore indisponibile
per il diritto internazionale.

Più evidente è l’impatto del diritto internazionale in situazioni dove la sovranità statale è “zoppicante” o in
via di formazione.
La prima situazione è ben evidenziata in relazione al regime di occupazione bellica che impone all’Autorità
occupante di rispettare l’ordinamento giuridico statale preesistente nel territorio occupato. Ma il principio
di conservazione dei valori viene derogato in quanto l’Autorità occupante è comunque tenuta ad osservare
i propri obblighi internazionali a tutela dei diritti umani ancorché non precedentemente vigenti nella zona
di occupazione.

Un’ipotesi più rara è l’incidenza del vincolo internazionale sulla genesi della sovranità costituzionale dello
Stato. Il trattato che prevede la formazione di uno Stato nuovo può anche stabilirne la relativa costituzione.
La sua formazione è condizionata da ragioni di salvaguardia della pace e della sicurezza internazionale.
Es: il Trattato di Cipro

Operazione di ricostruzione dello Stato (State-building): ha luogo in paesi sconvolti da guerre civili
variamente motivate. Soprattutto se conseguenti al mancato rispetto di valori fondamentali, la società
internazionale promuove, con l’azione dell’ONU, un nuovo assetto costituzionale, che coinvolge anche
organizzazioni non – governative, assicurando loro il necessario “spazio operativo” nel tessuto sociale.

2. Segue: La tutela internazionale delle minoranze nazionali e delle popolazioni indigene

Il diritto internazionale generale di preoccupa primariamente di garantire la sovranità ed integrità


territoriale di uno Stato. Allo stesso modo, il principio della rappresentatività unitaria dello Stato deve
tener conto dei vari gruppi nazionali eventualmente presenti al suo interno e distinti per razza, religione,
lingua, ecc.

Le autorità di governo devono rispettare i diritti delle minoranze nazionali.


Vari Stati, specie se di nuova formazione, si impegnano a rispettare un determinato regime giuridico nei
confronti delle minoranze nazionali attraverso appositi trattati o dichiarazioni unilaterali, sottoponendosi
anche al controllo della Società delle Nazioni Unite. La tutela riguarda:
- i singoli: preservandoli da trattamenti discriminatori
- il gruppo nazionale: attribuendo in taluni casi ai suoi appartenenti diritti di autogoverno sul territorio. Ma
ciò senza riconoscere loro alcun diritto di autodeterminazione “esterna”.

Nel secondo dopoguerra si rinnova l’interesse della società internazionale verso la tutela delle minoranze
nazionali riproponendo, la loro piena integrazione nello Stato e la tutela del multiculturalismo.

Art. 27 del Patto sui diritti civili e politici del 1966: impone agli Stati parti, “nei quali esistono minoranze
etniche, religiose o linguistiche”, di non privare gli individui che vi appartengono del “diritto di avere, in
comune con gli altri membri del proprio gruppo, una vita culturale propria…”. Il Comitato dei diritti umani la
considera alla stregua di una regola di diritto internazionale generale.
Anche se l’art. 27 non reca una definizione di “minoranza nazionale”, essa è sufficientemente ricavabile
dalla prassi. Per individuarne il gruppo si fa riferimento a fattori di aggregazione collettiva su base etnica,
culturale o linguistica ed alla circostanza che la popolazione sia da un lungo tempo radicata nel territorio

Document shared on https://www.docsity.com/it/diritto-internazionale-principi-e-norme-di-francesco-salerno/5739003/


Downloaded by: jacopo-brigantini (jacopo.brigantini@gmail.com)
dello Stato.
Lo Stato deve però evitarne l’assimilazione forzata, in specie sotto forma di genocidio culturale.
Con esso rientrano comportamenti deliberati dello Stato che attuano una sorta di “pulizia etnica”:
alterando la composizione territoriale a danno della popolazione minoritaria, imponendo trasferimenti o
scambi forzati di popolazioni.

Inoltre, gli Stati devono rispettare il patrimonio culturale storico delle minoranze linguistiche e l’impiego
della loro lingua nella vita pubblica oltre che in quella privata. In alcuni trattati esiste l’obbligo per gli Stati di
assicurare l’insegnamento della lingua minoritaria nelle strutture scolastiche.
L’art. 9 della Convenzione – quadro europea obbliga gli Stati parti ad assicurare alle minoranze nazionali
l’accesso ai media senza discriminazione, ovvero a non ostacolare la creazione da parte loro di propri
media.

Al fine di meglio favorire la gestione autonoma della propria identità culturale, alcuni strumenti pattizi
bilaterali prevedono l’obbligo a carico degli Stati di istituire una struttura di autogoverno per le minoranze
nazionali concentrate in un determinato territorio.

Il grado di autonomia territoriale viene variamente definito in base sia alla dimensione dell’ente
esponenziale della popolazione locale sia alla consistenza di questa. A seconda dell’assetto territorialmente
decentrato proprio di uno Stato (Stato federato, Regione, Cantone, Distretto, ecc.) i gruppi nazionali
minoritari troveranno la propria espressione di autogoverno. Ma la formula di autogoverno può anche
essere richiesta dallo stesso diritto internazionale.
Sul piano strettamente formale, la garanzia di autogoverno delle minoranze nazionali resta distinta dal
diritto di autodeterminazione “esterna”.

Popolazioni indigene: circa 400 milioni di persone che denotano usi ed istituzioni proprie ed una gestione
“naturale” dell’ambiente.
La più specifica tutela internazionale delle popolazioni indigene comporta, a volte, implicazioni anche di
carattere maggiore rispetto alla disciplina sulle minoranze.
In primo luogo va ricordato il divieto della loro assimilazione forzata e di mantenere la continuità anche in
caso di trasferimento di sovranità tra Stati, ed i diritti di autogoverno in tema di sfruttamento delle risorse
naturali e biologiche. Ma tutto ciò non è sufficiente a riconoscere loro un’autonoma rilevanza soggettiva sul
piano internazionale ed in definitiva il diritto all’autodeterminazione “esterna”.

3. La tutela internazionale delle formazioni collettive: confessioni religiose e associazioni sindacali

La libertà religiosa come valore proprio del diritto internazionale moderno si ritrova enunciata nel Trattato
di Berlino del 1878, per essere poi ripresa dall’art. 9 della CEDU e dall’art. 18 del Patto sui diritti civili e
politici. Essa si articola sia diritto dia alla libertà di pensiero in materia religiosa sia alla “manifestazione”
della scelta compiuta, con una maggiore garanzia alla prima.
Il diritto internazionale da l’opportunità allo Stato di assegnare un certo privilegio alla tradizione religiosa
del paese, riconoscendo una determinata festività o esponendo in pubblici simboli di una determinata
religione.

La libertà di associazione sindacale dei lavoratori è oggetto di una regola consuetudinaria generale, si
ritrova nella “Costituzione” dell’OIL del 1920 (art.1), nella CEDU (art. 11), la Carta sociale europea (art. 5) e
il Patto dei diritti civili e politici (art. 22).

La disciplina internazionale sui profili rilevanti delle due libertà riconosce un margine di apprezzamento
relativamente ampio per gli Stati. Inoltre, la normativa internazionale, assicura anche la cosiddetta “libertà

Document shared on https://www.docsity.com/it/diritto-internazionale-principi-e-norme-di-francesco-salerno/5739003/


Downloaded by: jacopo-brigantini (jacopo.brigantini@gmail.com)
negativa”, vale a dire il diritto del singolo di non associarsi ovvero di abbandonare l’associazione cui prima
apparteneva.

- È ammessa un’unica chiesa “ufficiale” o un’unica centrale sindacale, purché lo Stato assicuri la
libertà negativa ai singoli, i diritti delle minoranze religiose e la loro libertà associativa.
- Lo Stato non è obbligato a sostenere finanziariamente le espressioni organizzate della libertà
religiosa o della libertà sindacale
- È inammissibile la delega alla chiesa dell’insegnamento religioso all’interno delle scuole pubbliche
- Confessioni religiose o sindacati devono poter far circolare le proprie opinioni o informazioni tra
fedeli e iscritti
- Libertà di riunione e diritto di eleggere liberamente i rappresentanti sindacali senza interferenze
governative e tanto meno violenze nei loro confronti

I diritti collettivi non possono essere impiegati in forme “abusive” che mettano in discussione il comune
interesse generale dello Stato. Come per esempio le legittime limitazioni nel diritto di sciopero o verso il
fondamentalismo religioso.

4. L’obbligo di promuovere e conservare la democrazia rappresentativa

Il diritto internazionale impone allo Stato l’obbligo di assicurare la rappresentatività dell’insieme della
popolazione e indica nella “società democratica” il modello di costituzione pertinente.
La Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del ’48 (art.21) formula l’alternativa tra il modello di
democrazia diretta e quella rappresentativa, entrambe sottendono una comune scelta di ordine
costituzionale, della volontà del popolo quale titolare della sovranità politica.
In linea di principio l’obbligo della consultazione popolare lascia libero lo Stato di scegliere il modello come
obbligarsi a rispettarlo.

Anche se non può ancora asserirsi un obbligo generale degli Stati a rispettare la democrazia rappresentativa
come propria forma di costituzionale, esistono degli strumenti “premiali” per promuovere il diritto alla
democrazia rappresentativa.
Ne è un esempio la clausola di “condizionalità democratica” inclusa nei trattati di associazione o di
partenariato commerciale dell’UE.

Il diritto internazionale lascia ampi margini di apprezzamento agli Stati sul modo in cui conciliare, in ambito
costituzionale, le esigenze di rappresentatività con quelle di governabilità.
Ciò si riversa sulla riconosciuta libertà degli Stati quanto alla scelta del sistema elettorale, consentendo loro
di introdurre, nel rispetto della Costituzione, correttivi a favore della formazione maggioritaria. Vi sono
alcuni requisiti minimi da rispettare:

- Il suffragio universale: il diritto di voto a ciascun cittadino adulto senza discriminazione


- La segretezza del voto
- La pluralità di opzioni

Il rispetto della democrazia rappresentativa trovo conforto nel principio della conservazione dei valori,
tanto da considerare illecita la rottura di questa forma costituzionale. Se garantito questo principio, la
democrazia va difesa contro ogni tentativo eversivo. Le norme nazionali in proposito (art. 283 cod. pen.
Italiano) trovano riscontro in norme internazionali che giustificano limitazioni ai diritti civili e politici se
“necessarie” per la conservazione della democrazia.

Document shared on https://www.docsity.com/it/diritto-internazionale-principi-e-norme-di-francesco-salerno/5739003/


Downloaded by: jacopo-brigantini (jacopo.brigantini@gmail.com)
5. La disciplina costituzionale italiana relativa alla gestione del potere estero: il ruolo degli organi centrali

Il diritto internazionale rimette all’ordinamento statale l’individuazione degli organi che detengono il potere
estero, i soli idonei ad esprimere una manifestazione di volontà dello Stato internazionalmente rilevante
tanto nella formazione che nell’attuazione delle norme internazionali.
Anche negli ordinamenti costituzionali improntati al modello di democrazia rappresentativa, la gestione
della politica estera è di fatto prevalentemente assorbita nella sfera delle competenze propriamente
governative, favorendo prassi costituzionali che in vario modo comprimono le competenze proprie
dell’organo parlamentare rappresentativo.

Nella Costituzione repubblicana la norma primaria di riferimento per la gestione del potere estero è l’art. 87
pr. 8, in forza del quale il Presidente della Repubblica “ratifica i trattati internazionali previa quando
occorra, l’autorizzazione delle Camere”. L’art. 89 aggiunge che “nessun atto del Presidente della Repubblica
è valido se non è controfirmato dai ministri proponenti, che ne assumono la responsabilità”.
Il Capo dello Stato deve più in generale controllare che la gestione del potere estero avvenga in modo
compatibile con la Costituzione.

In un sistema di democrazia rappresentativa quale quello italiano, il Parlamento dovrebbe rivestire un ruolo
centrale anche nella formazione degli indirizzi di politica internazionale. Varie sono le occasioni dove la
Camera e il Senato esprimono i propri orientamenti attraverso mozioni o anche contatti diretti con autorità
straniere.
L’art. 80 Cost.: richiede la previa autorizzazione da parte del Parlamento per la ratifica dei trattati “che sono
di natura politica, prevedono arbitrati o regolamenti giudiziari, o importano variazioni del territorio od oneri
alle finanze o modificazioni di leggi”.

Ugualmente però la norma costituzionale è stata palesemente aggirata dall’esecutivo concludendo trattati
in forma semplificata volte a natura segreta, senza quindi l’atto formale di ratifica e correlata
autorizzazione parlamentare, anche se ricadevano le condizioni indicate dall’art. 80 Cost.

La Corte Costituzionale ha evocato il controllo parlamentare in materia di “segreto di Stato” ma altresì


ribadito che la sua gestione ad opera del Presidente del Consiglio è talmente discrezionale da essere
sottratta al controllo giurisdizionale.
La prassi degli accordi segreti viene occasionalmente sanata dallo stesso Parlamento con una approvazione
successiva dell’iniziativa governativa, mentre non vi è traccia di alcuna sanatoria specifica ad opera del
Capo di Stato.

Infatti, né il Capo di Stato, né il Parlamento hanno mai sollevato un conflitto di attribuzione con l’esecutivo
davanti alla Corte Costituzionale per l’indebita conclusione di accordi in forma semplificata.

Inoltre, con la procedura autorizzativa il Parlamento si limita a prendere atto del testo finale del trattato,
ma dando una indicazione che è parte integrante della volontà statale a vincolarsi al trattato. In poche
situazioni l’esecutivo ha coinvolto nella fase negoziale di un trattato il Parlamento, mentre tale
coinvolgimento è ora assicurato nella fase di elaborazione degli atti derivati dall’UE.

Il Parlamento può anche richiamare l’esecutivo a mantenere una condotta conforme agli obblighi
internazionali dello Stato.

Solo di rado, oltretutto, il Parlamento si attiva per una propria attività di inchiesta su qeustioni di politica
internazionale.

Inoltre, la Costituzione non gradisce una partecipazione diretta del corpo elettorale alle scelte di politica
estera (divieto di referendum abrogativo sulla legge di autorizzazione alla ratifica ex art. 75 cost.)
Document shared on https://www.docsity.com/it/diritto-internazionale-principi-e-norme-di-francesco-salerno/5739003/
Downloaded by: jacopo-brigantini (jacopo.brigantini@gmail.com)
La stessa corte Costituzionale resta formalmente estranea al circuito decisionale sulle scelte di politica
estera, anche se è in grado di influenzare indirettamente la condotta internazionale dello Stato e di
determinare il contenuto dei suoi obblighi internazionali. (es. valutazione di ammissibilità richiesta di
referendum abrogativo che ricada su una materia collegata ad una legge di autorizzazione alla ratifica di
trattati internazionali.)
L’esito del giudizio costituzionale può anche essere di illegittimità costituzionale riguardo al contenuto di
una norma internazionale consuetudinaria o pattizia.
Ciò è avvenuto molto raramente, poiché un giudizio simile porterebbe lo stato ad essere considerato
inadempiente riguardo all’obbligo internazionale dichiarato illegittimo dalla corte.
Per evitare un effetto simile, molto spesso la corte procede ad una interpretazione costituzionalmente
orientata della norma internazionale, che potrebbe non essere coerente con il contenuto della stessa.
Un altro rimedio potrebbe essere costituito dal ricorso a formule monitorie verso l’esecutivo perché questo
gestisca il suo potere estero nel senso di concordare il contenuto delle norme internazionali in modo
conforme ai parametri costituzionali.

Con riferimento ai trattati internazionali, gli organi gestori del potere estero hanno maggiore
considerazione della pronuncia costituzionale di illegittimità dei medesimi, tanto che il governo ha
rinegoziato vari trattati.

Fondamentalmente estranea al circuito decisionale di politica estera è l’autorità giudiziaria ordinaria,


benché provvista di un ruolo autonomo nell’applicazione del diritto internazionale. Così non sono mancate
serie discordanze con il potere esecutivo. (es. immunità funzionale)

6. Segue: la partecipazione delle Regioni italiane alla gestione del potere estero

La forma di Stato regionale propria della Repubblica italiana differisce dal modello federale perché si ritiene
che in questo residuano istituti che risentono della preesistente condizione di sovranità degli enti territoriali
minori.

Qualunque sia la denominazione degli Stati, il diritto internazionale considera unica la soggettività
internazionale dello Stato se vi è l’unità del potere di governo sul territorio. In forza all’art. 5 Cost., la
soggettività internazionale della Repubblica italiana è unica ed unitaria sul piano internazionale, per cui
ogni sua manifestazione giuridicamente rilevante deve essere ricondotta alle autorità centrali dello Stato.

Document shared on https://www.docsity.com/it/diritto-internazionale-principi-e-norme-di-francesco-salerno/5739003/


Downloaded by: jacopo-brigantini (jacopo.brigantini@gmail.com)
Per conciliare l’interesse unitario con l’autonomia regionale, la Corte costituzionale, per un verso, ha
avvalorato la partecipazione delle Regioni alla gestione del potere estero e, per un altro, ha salvaguardato il
primato dello Stato sugli indirizzi di politica estera.

In ogni caso, le Regioni non posso interferire su accordi conclusi dallo Stato e solo alcune Regioni ad
autonomia speciale contengono scarne disposizioni in proposito. Si è altresì negata alle Regioni un
referendum consultivo su questioni di politica internazionale.
Se però la decisione dello Stato sull’atto internazionale da concludere indice su materie di competenza
regionale ed ancora di più se è suscettibile di determinare un trattamento territoriale, la Regione
interessata può “esternare il proprio punto di vista e sottoporlo alla ponderazione dello Stato”.

Il principio costituzionale della previa consultazione delle Regioni da parte dello Stato si è affermato per la
determinazione di facoltà internazionali che incidono su competenze regionali. È dunque chiaro che nella
materia degli “affari eteri”, lo Stato abbia una competenza primaria ma non esclusiva.

Conferenza permanente Stato – Regioni: istituita presso la Presidenza del Consiglio, con l’art. 12 della
legge 400/1988 in cui partecipano il Governo, le Regioni e le Provincie autonome di Trento e Bolzano

La Conferenza è competente a pronunciarsi su tutte le questioni di interesse regionale ad anche sugli affari
esteri. La stessa Conferenza può deliberare a maggioranza assoluta dei suoi componenti, che il governo
proponga ricorso dinanzi alla Corte di Giustizia dell’UE avverso atti normativi di questa. Inoltre la
conferenza designa i rappresentanti delle Regioni nelle “attività dei gruppi di lavoro e dei comitati del
Consiglio e della Commissione Europea”.

L’art. 117 Cost. conferma che la competenza esclusiva dello Stato in materia di politica estera e, per un
altro, attribuisce alle Regioni la competenza concorrente in tema di “rapporti internazionali” oltre che con
l’UE.

Inoltre, va distinta:

- l’attività di mero rilievo internazionale→ qualunque attività di mero rilievo internazionale deve
essere sottoposta al previo controllo governativo per valutarne la conformità con gli indirizzi di
politica estera. Inoltre, “le Regioni non possono esprimere valutazioni relative alla politica estera
dello Stato né possono assumere impegni dai quali derivano obblighi per lo Stato”.

- l’attività di promozione all’estero (definibile anche in “accordi” con Stati esteri) → è riconosciuta
alle Regioni la competenza a svolgere attività promozionale all’estero legata “da un rigoroso nesso
strumentale con le materie di loro competenza”, purché preceduta dalla previa autorizzazione
dell’autorità centrale.

La legge “La Loggia” menziona tre tipologie di accordi internazionali delle Regioni:

1. Accordi esecutivi ed applicativi di precedenti accordi internazionali


2. Accordi di natura tecnico – amministrativa
3. Accordi di natura programmatica

Document shared on https://www.docsity.com/it/diritto-internazionale-principi-e-norme-di-francesco-salerno/5739003/


Downloaded by: jacopo-brigantini (jacopo.brigantini@gmail.com)
Qualsiasi sia il tipo di accordo concluso dalla Regione, esso è costitutivo di obblighi internazionali e dunque
impone il coinvolgimento dello Stato.

La Regione deve informare le autorità centrali dell’avvio di trattative, tenere conto di eventuali principi e
criteri che il Ministero degli esteri indica nella conduzione dei negoziati ed operare in concertazione con la
rappresentanza diplomatica italiana nel paese interessato.

Una volta definito il progetto d’accordo, spetta sempre al Ministero d.e. valutarne “opportunità” e
“legittimità”. L’esecutivo deve esercitare il proprio potere senza apporre un rifiuto “immotivato o
irragionevole”.

Superata positivamente la verifica del progetto di accordo, lo stesso Ministero d.e. provvede a conferire i
“pieni poteri” per la conclusione del trattato. Spetta poi alla Regione stabilire le modalità di formazione del
proprio consenso a concludere il trattato, di norma autorizzato dall’organo assembleare.

La sottoscrizione di accordi con organi o enti esteri senza che la Regione abbia preventivamente informato
il Governo, quindi senza la necessaria intesa o assenso lo rende costituzionalmente “nullo”, anche se ciò sia
suscettibile di determinare le responsabilità internazionale dello Stato.

In forza del Principio generale di buon vicinato tra Stati confinanti, le Regioni frontaliere si trovano in una
condizione particolare che giustifica maggiori opportunità di concludere accordi.

Document shared on https://www.docsity.com/it/diritto-internazionale-principi-e-norme-di-francesco-salerno/5739003/


Downloaded by: jacopo-brigantini (jacopo.brigantini@gmail.com)
Capitolo 4: L’organizzazione internazionale
1. Costituzione, finanziamento ed estinzione delle organizzazioni internazionali

Sono gli Stati che provvedono con un apposito “svolgimento” di regole internazionali a costituire una
organizzazione internazionale, fissandone obiettivi, struttura e competenze.
L’organizzazione ha funzionari alle proprie dipendenze del tutto autonomi dai singoli Stati membri (art.
100 della Carta dell’ONU) perché assorbiti dal legame organico con l’organizzazione e disciplinati secondo
principi e norme del suo ordinamento interno.

Se capaci di assumere un’autonoma posizione nella vita di relazione internazionale divenendo titolari di
obblighi di diritti e di dovere, le organizzazioni internazionali hanno una propria personalità giuridica
internazionale distinta da quella degli Stati membri ed opponibile anche a Stati terzi.

Per la costruzione di un’organizzazione internazionale occorre una manifestazione volitiva degli enti
“costitutori” → la forma dell’accordo scritto resta quella preferita per l’atto istitutivo dell’organizzazione, al
quale si applica la disciplina generale dei trattati internazionali secondo l’art. 5 della Convenzione di Vienna
sui trattati → il relativo regime giuridico permea la natura internazionale dell’organizzazione e il suo
funzionamento → ciò vale anche se l’atto istitutivo assume la qualifica di “costituzione” → la natura di vera
e propria “costituzione” può essere assegnata ad un trattato solo se esso esprime uno spostamento
irreversibile di sovranità a favore dell’org. Internazionale.

L’organizzazione è capace di determinare in modo autonomo l’effettività normativa del proprio sistema,
vale a dire tanto una interpretazione uniforme del trattato istitutivo quanto regole consuetudinarie che lo
integrano e lo modificano attraverso la prassi della stessa organizzazione.

Per l’attività dell’organizzazione internazionale occorrono fonti autonome di finanziamento, normalmente


prefigurate nell’atto istitutivo. In rari casi essa fruisce di specifici prelievi su redditi di privati: nel caso della
UE, gli Stati membri provvedono a farlo destinando a suo favore una percentuale dell’IVA.

La regola generale è di obbligare gli Stati membri a coprire le spese con versamenti periodici
dell’organizzazione con i cosiddetti contributi obbligatori. Quasi sempre l’obbligo di contribuire viene
ripartito in modo differente per classi di contributori oppure secondo la capacità contributiva dei singoli
Stati membri, che nelle Nazioni Unite è commisurata al prodotto interno lordo.
Inoltre, è sempre più diffuso il fenomeno dei contributi volontari erogati da Stati membri e da privati.

È naturale che un’organizzazione possa estinguersi. I fattori estintivi dipendono innanzitutto da circostanze
predeterminate nello stesso trattato istitutivo; va ricordato inoltre che: gli Stati membri possono in ogni
momento convenire di estinguere l’organizzazione oppure è la stessa organizzazione che decide della
propria estinzione.

È possibile tra l’altro la successione ad un’organizzazione che si estingue secondo un’indicazione puntuale o
della stessa organizzazione che si estingue o di quella che vi succede.

2. Diritti e obblighi degli Stati membri

L’atto istitutivo dell’organizzazione indica le entità che possono diventarne membri e con quale status. Lo
Stato che aderisce fin dalla sua nascita è membro originario, ma è l’atto istitutivo a stabilire se questa
condizione sia privilegiata rispetto a quella di chi vi aderisca in un secondo momento. Esso stabilizza anche

Document shared on https://www.docsity.com/it/diritto-internazionale-principi-e-norme-di-francesco-salerno/5739003/


Downloaded by: jacopo-brigantini (jacopo.brigantini@gmail.com)
la possibilità di ammissione di altri Stati. Quando l’organizzazione è di tipo regionale, non possono di
norma aderirvi Stati che a quell’area non appartengono.

L’eventuale estinzione del paese membro richiede un’apposita domanda di candidatura da parte di nuovi
Stati ad esso succeduti e desiderosi di diventare membri, senza che nulla cambi per lo Stato membro
originario che abbia subito fenomeni di distacco.

La procedura di ammissione prevede che l’organizzazione apprezzi la natura di “Stato” dell’entità che
chiede ammissione e quindi verifichi che essa sia in grado di rispettare gli obblighi contemplati dal trattato
istitutivo.
Es. caso dell’ONU: il paese deve essere “amante della pace” e deve essere in grado di assolvere gli obblighi
derivati dalla qualità di membro dell’ONU. La decisione della candidatura è presa dall’Assembla generale su
proposta del Consiglio di sicurezza.
Es. adesione al Consiglio d’Europa: ogni paese membro deve accettare la forma costituzionale dello “Stato
di diritto”. A tal fine la domanda di adesione deve essere accompagnata dalla firma della CEDU.

L’atto istitutivo dell’organizzazione può allargare l’adesione ad entità diverse di Stato oppure prevederne lo
status di “paese associato”, consegnandogli un limitato coinvolgimento nelle attività dell’organizzazione.
Assai più riduttivo è lo status di osservatore che viene assegnato a Stati non membri, organizzazioni
internazionali o movimenti di liberazione nazionale.

L’atto istitutivo dell’organizzazione definisce lo status di paese membro e ne determina il contenuto in


termini di diritti e obblighi. Il principio generale della parità degli Stati non osta che il trattato ripartisca in
modo differenziato l’apporto dei singoli paesi membri all’attività dell’organizzazione.
È altresì frequente una diversa valorizzazione del voto dei singoli Stati: nelle organizzazioni finanziarie vige il
criterio del voto ponderato.
Es. nell’UE il peso decisionale del singolo Stato dipende in parte dalla consistenza della sua popolazione.

Per evitare delibere ostili ad uno Stato vi sono due alternative:

1. Procedura “per consensum” che dà per adottare le sue determinazioni dopo che sia stata registrata
l’assenza di opposizioni formali
2. Riconoscere ai singoli Stati membri permanenti del Consiglio il diritto di veto che impedisce di
giungere alla decisione

L’obbligo di cooperazione è a fondamento del “patto” sociale, lo Stato membro è comunque tenuto a
cooperare con l’organizzazione, infatti, lo Stato che non rispetta gli obblighi del trattato istitutivo incorre in
un illecito che giustifica sanzioni nei suoi confronti ad opera della stessa organizzazione.
La sanzione estrema è l’espulsione del paese membro dall’organizzazione ma talora l’atto istitutivo indica il
ricorso alla più tenue misura della sospensione totale o parziale.

3. Competenze delle organizzazioni internazionali

Le competenze dell’organizzazione discendono anzitutto dalle attribuzioni nell’atto istitutivo. L’attribuzione


di competenze ratione materiae all’organizzazione può avvenire a titolo esclusivo, nel senso di sottrarle
completamente agli Stati, oppure a titolo concorrenziale, stabilendo che questi le possano esercitare
insieme all’organizzazione e in stretta cooperazione con essa.
Stante la natura attributiva delle competenze di un’organizzazione, il relativo esercizio richiede una
pertinente base giuridica nel trattato istitutivo.
Il principio attributivo non prelude infine all’organizzazione di autorizzare gli Stati membri ad agire in nome

Document shared on https://www.docsity.com/it/diritto-internazionale-principi-e-norme-di-francesco-salerno/5739003/


Downloaded by: jacopo-brigantini (jacopo.brigantini@gmail.com)
e per conto di essa. La delega deve però essere subordinata al mandato di controllo dell’organizzazione e,
per essere valida contro terzi, deve riguardare situazioni normative di cui l’organizzazione è titolare.

4. Le funzioni delle organizzazioni internazionali

Nell’esercizio delle sue competenze, l’organizzazione espleta una serie di funzioni, di natura normativa,
giudiziaria ed amministrativa. Oltre a queste, essa può giustificare il ricorso a funzioni ricavabili dai poteri
impliciti.
Incontroverso è il potere delle organizzazioni di concludere accordi internazionali con Stati od altre
organizzazioni internazionali. Il trattato istitutivo indica gli atti normativi che l’organizzazione internazionale
può adottare avendo come destinatari l’insieme dei paesi membri, uno solo di essi, organi della medesima
organizzazione ed altre entità.

Le raccomandazioni sono la forma più versatile anche perché non vincolanti (soft law), tuttavia il
presupposto della raccomandazione è l’obbligo di cooperazione che lega il destinatario dell’atto
all’organizzazione.

Se l’organizzazione adotta atti vincolanti per gli Stati membri, essi sono suscettibili di abrogare nei rapporti
inter se altri obblighi internazionali precedenti ed incompatibili.
L’organizzazione può adottare atti nei confronti dei privati: l’ipotesi più semplice e di normale riscontro
riguarda soggetti dell’ordinamento interno dell’organizzazione, come i suoi dipendenti.
Alcune organizzazioni adottano atti direttamente rilevanti anche nei confronti di privati estranei al suo
ordinamento interno.
Es. quando l’ONU o altra org. Int. ha l’amministrazione internazionale di determinati territori e vi esercita
la funzione legislativa, amministrativa e giudiziaria.
Si è affermata la competenza dell’organizzazione di istituire propri organismi di governo provvisorio su
comunità territoriali o perché interessate dal processo di decolonizzazione o per ricostruirvi un quadro
normativo e istituzionale sconvolto da guerre civili, o fronteggiare emergenze umanitarie.

5. La struttura delle organizzazioni internazionali

Il diritto internazionale lascia ampia libertà sulla struttura di un’organizzazione internazionale. Nella prassi
è abbastanza diffuso il modello ternario che richiama i tre organi principali:

1. L’assemblea plenaria: in cui sono rappresentati gli Stati membri e che si riunisce generalmente
una volta l’anno
2. Un organismo più ristretto: assicura la continuità nell’azione politica dell’org.
3. Il segretariato: sovrintende in modo permanente all’attività amministrativa

È nella generale competenza di “auto – organizzazione” dell’organo principale istituire propri organi
sussidiari. Talora è lo stesso trattato istitutivo a prevedere espressamente una simile possibilità.
È prassi delle organizzazioni internazionali coinvolgere organismi rappresentativi di interessi economici e
sociali diffusi nella definizione e soprattutto nella gestione di norme internazionali. Un radicale
ampliamento della base sociale dell’organizzazione avviene se vi opera un organo principale della
composizione esclusivamente non – governativa. In base a quanto prefigurato nell’atto istitutivo,
l’organizzazione internazionale può assegnare ad una associazione privata lo status di organizzazione
internazionale non – governativa.
Infine, l’organizzazione può delegare proprie funzioni operative ai privati.

Document shared on https://www.docsity.com/it/diritto-internazionale-principi-e-norme-di-francesco-salerno/5739003/


Downloaded by: jacopo-brigantini (jacopo.brigantini@gmail.com)
6. Gli organi principali dell’ONU

L’art. 103 della Carta rivendica per l’ONU una posizione di primato nella società internazionale
contemporanea per la sua competenza in materia di mantenimento della pace. Il suo atto istitutivo si è
concluso con la Conferenza di San Francisco del 1945.
In base all’art. 7 della carta sono organi principali:

a) L’Assemblea generale
b) Il Consiglio di sicurezza
c) La Corte internazionale di giustizia
d) Il Segretariato
e) Il Consiglio economico sociale
f) Il Consiglio di amministrazione fiduciaria

a) L’Assemblea generale

- Comprende tutti i paesi membri dell’ONU.


- Si riunisce in apposite sessioni annuali, riassumendo lavori svolti da commissioni interne o organi
sussidiari.
- È la sola a decidere sull’ammissione di nuovi Stati ed ha competenza per discutere di “qualsiasi
questione od argomento” che rientri tra quelli contemplati dalla Carta.
- Ha valore vincolante per gli Stati l’approvazione del bilancio annuale con cui l’Assemblea ripartisce
i contributi obbligatori tra gli Stati membri (art. 17).
- Approva gli accordi di collegamento che l’ONU conclude, tramite il Consiglio economico e sociale,
con altre organizzazioni internazionali per il conferire loro qualifica di Istituti specializzati oppure
autorizza quest’ultimi a chiedere un parere consultivo alla Corte internazionale di giustizia

Ogni Stato membro possiede in Assemblea il diritto ad un solo voto (art. 18 pr.1) espresso dalla
delegazione ufficiale del governo in carica nel paese membro dopo la verifica delle credenziali.
Essa delibera con due criteri di votazione:

- Maggioranza qualificata (due terzi dei membri presenti e votanti): per le questioni importanti come
indica l’art. 18 pr.2
- Maggioranza semplice: in tuti gli altri casi

L’art. 10 della Carta riconosce all’Assemblea generale la competenza a svolgere un’interpretazione


uniforme di ogni disposizione della Carta. Esiste un’estensione delle competenze dell’Assemblea a
proposito della disciplina prevista sul regime dei territori non autonomi sottoposti ad amministrazione
fiduciaria.

L’Assemblea ha anche competenze per il mantenimento della pace e può fare raccomandazioni per la
soluzione pacifica delle controversie tra Stati.

Vi è inoltre una procedura per la convocazione straordinaria della stessa Assemblea – a richiesta della
maggioranza dei suoi membri o anche ad opera del Consiglio di sicurezza – quando il Consiglio è
nell’impossibilità di prendere decisioni in tema di mantenimento della pace per il veto di un membro
permanente. Essa decide a maggioranza qualificata attraverso le raccomandazioni (non vincolanti).

Si è formata una nuova forma di carattere consuetudinario ad interazione – praeter legem – della Carta
che riconosce una competenza “sussidiaria” dell’Assemblea su questioni che la Carta riserva
esclusivamente all’esercizio del Consiglio di sicurezza.

Document shared on https://www.docsity.com/it/diritto-internazionale-principi-e-norme-di-francesco-salerno/5739003/


Downloaded by: jacopo-brigantini (jacopo.brigantini@gmail.com)
b) Consiglio di sicurezza

L’ONU assegna estese competenze al Consilio di sicurezza in tema di mantenimento della pace e della
sicurezza internazionale. L’art. 25 della Carta obbliga gli Stati membri dell’ONU ad eseguire le decisioni
assunte dal Consiglio di sicurezza in conformità alla stessa Carta.
Per agire in base al capitolo VII della stessa Carta di vede presentare una delle tre situazioni indicate:

1. Aggressione
2. Violazione della pace
3. Minaccia alla pace

Per affrontarla, il Consiglio di sicurezza può emanare misure vincolanti non implicanti l’uso della forza, ma
può anche ricorrere con propri contingenti all’uso della forza in deroga al diritto internazionale generale ed
in specie al divieto di aggressione. Il Consiglio deve assicurare la pace e la sicurezza internazionale agendo
nei confronti di Stati membri e, se del caso, anche di quelli non membri.

In concordanza all’espansione delle sue competenze materiali, è divenuta assai varia la gamma delle misure
vincolanti che il Consiglio assume, senza che ciò trovi limiti formali nella Carta.
Il Consiglio di sicurezza assume determinazioni anche di natura normativa quando:

- Riprende convenzioni internazionali


- Dispone dell’entrata in vigore di trattati o la loro applicazione a titolo provvisorio
- “indirizza” il regime di occupazione militare e ne ufficializza la fine
- Impone l’amministrazione internazionale di territori
- Determina le riparazioni dovute in conseguenza dell’illecito
- Decreta il prelievo forzoso di risorse finanziarie
- Ingiunge il disarmo parziale di uno Stato
- Stabilisce la frontiera tra Stati
- Sanziona individui o gruppi di individui quali presunti terroristi
- Chiede agli Stati di adottare misure penali finalizzate alla prevenzione di atti terroristici
- Obbliga lo Stato di rifugio ad estradare i (presunti) terroristi verso lo Stato che ha subito la violenza
terroristica
- Legittime misure di contrasto in alto mare verso navigli di Stati terzo coinvolti nell’immigrazione
clandestina (smuggling) e del traffico di esseri umani (trafficking)
- Autorizza la repressione della pirateria marittima nelle acque territoriali di uno Stato incapace di
farlo
- Instituisce organismi internazionali di inchiesta
- Crea Tribunali penali internazionali ad hoc
-
- Sollecita l’esercizio della giurisdizione da parte della Corte penale internazionale

Diversamente dall’Assemblea, il Consiglio svolge la propria attività in permanenza. Si compone di 15


membri e, secondo l’art. 23 della Carta, siedono in permanenza i cinque maggiori paesi alleati dalla seconda
guerra mondiale.
Attualmente l’Assemblea generale elegge a maggioranza qualificata i 10 membri non permanenti che
restano in carica per un biennio. Per la loro elezione la Carta indica (art. 23 pr.1) alcuni criteri, tra cui
“un’equa distribuzione geografica” ed il contributo si singoli Stati all’attività di mantenimento della pace
dell’ONU.

Ogni Stato membro esprime un voto per mezzo della propria delegazione governativa. L’art. 27 distingue
due procedure di voto:

Document shared on https://www.docsity.com/it/diritto-internazionale-principi-e-norme-di-francesco-salerno/5739003/


Downloaded by: jacopo-brigantini (jacopo.brigantini@gmail.com)
1. Maggioranza semplice: con il voto favorevole di 9 Stati membri indipendentemente dal loro
carattere permanente o non.
2. Per le questioni sostanziali di richiede che nella maggioranza dei 9 siano compresi i 5 Stati
permanenti

Nella prassi essa si è ridotta al potere di veto per effetto di una norma consuetudinaria che ritiene legittima
la delibera del Consiglio su questioni sostanziali con la semplice astensione di un membro permanente.
Il consenso dei 5 membri permanenti è invece richiesto per la procedura “atipica” dello Statement del
Presidente del Consiglio di sicurezza.

Doppio veto: vale a dire che il membro permanente possa esercitare il diritto di veto nella fase preliminare
in cui il Consiglio di sicurezza qualifica la questione come procedurale o sostanziale per poi precedere al
voto secondo la maggioranza pertinente.

c) Segretariato generale

L’art. 97 della Carta definisce il Segretariato generale come il “più alto funzionario amministrativo
dell’organizzazione”. È quindi suo compito assicurare che l’organizzazione dell’intero Segretariato dia
congrua con le competenze dell’ONU.
Ad esso spetta altresì la rappresentanza legale dell’organizzazione verso l’estero. La nomina del Segretario
generale avviene ad opera dell’Assembla generale su proposta del Consiglio di sicurezza (art. 97).
L’interesse del Segretario generale ad essere rieletto può indurlo ad una condotta cauta nell’esercitare le
sue competenze in tema di mantenimento della pace.

d) Corte internazionale di giustizia

In base all’art. 92 della Carta, la Corte internazionale di giustizia è il principale organo giurisdizionale delle
Nazioni Unite. Considerando la Corte come organo “principale”, lo stesso articolo ne configura un sistema
giurisdizionale dell’ONU. Oltre alla Corte opera attualmente il Tribunale per le controversie con l’ONU;
dello stesso sistema fanno parte i due Tribunali penali internazionali ah hoc per la ex-Iugoslavia e il
Rwanda.

La Corte è uno strumento pattizio formalmente autonomo cui aderiscono solo Stati: se ogni paese membro
dell’ONU è ipso facto aderente anche allo Statuto, gli Stati non membri dell’ONU posso decidere di aderire
solo allo Statuto (art. 93 pr.2).
in base allo Statuto, la Corte è composta da 15 giudici che sono eletti a maggioranza assoluta
dall’Assemblea generale e dal Consiglio di sicurezza. È consuetudine riservare sempre un giudice a ciascun
membro permanente del Consiglio di sicurezza. La durata del mandato è di 9 anni, ma ogni 3 si procede a
rinnovi parziali del collegio.

Alla Corte sono attribuite due funzioni:

1. Contenziosa: è riservata agli Stati parti dello Statuto che abbiano accettato la competenza della
Corte nella specifica controversia. La sentenza ha efficacia obbligatoria tra le parti e legittima il
Consiglio di sicurezza a prendere decisioni, se del caso anche vincolanti, per assicurarne
l’esecuzione.
2. Consultiva: è prevista dagli articoli 96 della Carta e 65 dello Statuto. Il suo parere può riguardare
“qualsiasi questione giuridica” che sia sottoposta alla Corte dall’Assemblea generale o dal Consiglio
di sicurezza.

Document shared on https://www.docsity.com/it/diritto-internazionale-principi-e-norme-di-francesco-salerno/5739003/


Downloaded by: jacopo-brigantini (jacopo.brigantini@gmail.com)
Prima di pronunciarsi concretamente sul merito, la Corte deve valutare la ricevibilità della richiesta di
parere.

7. Il principio di legalità in seno all’organizzazione internazionale

Il trattato istitutivo di un’organizzazione internazionale dà luogo ad un “sistema” giuridico nel quale si


formano peculiari bisogni di certezza del diritto. Gli Stati membri, pur originari costitutori dell’entità in
questione, si trovano ad essere destinatari di atti dell’organizzazione, a volte senza fare parte dell’organo
che li emana (art. 32 della Carta).

A tal fine ciascun organo principale dell’organizzazione adotta un proprio regolamento di procedura, volto
a stabilire le condizioni di legalità per la propria attività. L’organo che adotta il regolamento di procedura è
tenuto ad osservarlo, affrontando se necessario questioni interpretative.

L’organizzazione piò dotarsi di proprie procedure idonee a stabilire un “controllo” sugli organi che
espletano funzioni normative o amministrative.

Un vero e proprio controllo di legalità degli atti dell’organizzazione si verifica raramente. Caso isolato è
quello dell’UE, che presenta caratteristiche relativamente compiute di “comunità di diritto”.
La Corte sembra quindi assecondare le determinazioni formali degli organi politici principali dell’ONU, salvo
conflitti con norme imperative di diritto internazionale.

Comune alle organizzazioni internazionali è la regolamentazione dei rapporti di impiego con i propri
dipendenti seguendo un modello di impronta inter – individuale. Per dirimere le controversie d’impiego di
dipendenti dell’ONU, l’Assemblea generale istituiva nel 1949 un apposito Tribunale amministrativo.
Riformato nel 2009 con un apposito Tribunale di appello.

La certezza del diritto è ancora più avvertita quando l’ONU, o altre organizzazioni internazionali, adottano
atti direttamente rilevanti per soggetti provati estranei al proprio ordinamento interno. L’ordinamento
dell’UE, per voler essere una compiuta “comunità di diritto”, consente ai privati di azionare direttamente
una procedura giurisdizionale suscettibile di determinare l’annullamento dell’atto.

8. La condizione giuridica dell’organizzazione internazionale nel diritto internazionale generale

L’organizzazione internazionale possiede una personalità giuridica internazionale propria e distinta che non
soppianta quella degli Stati membri, ma vi si affianca secondo il “principio di specialità”. L’ambito di tale
soggettività dipende infatti dalle competenze che le sono attribuite ed è dunque funzionale al loro
espletamento.
Poiché le organizzazioni internazionali sono “intrinsecamente diverse” la loro capacità giuridica varia in
rapporto alla sfera di competenze e alle funzioni proprie di ciascuna di esse (principio di relatività).

Ma la presenza dell’organizzazione internazionale quale entità internazionale distinta dagli Stati si riflette
inevitabilmente erga omnes in quanto la sua soggettività si commisura in modo “obiettivo”, vale a dire
senza il bisogno di un formale atto di riconoscimento da parte degli Stati non membri o altre organizzazioni
internazionali.
Allo stesso modo, l’estinzione dell’organizzazione ha effetti erga omnes anche se da quella decisa in modo
formalmente unilaterale.

Document shared on https://www.docsity.com/it/diritto-internazionale-principi-e-norme-di-francesco-salerno/5739003/


Downloaded by: jacopo-brigantini (jacopo.brigantini@gmail.com)
L’ organizzazione internazionale è destinataria di regole consuetudinarie generali che attengono al tipo di
competenze e funzioni di cui è titolare, senza che abbia necessariamente partecipato al loro processo di
formazione.
A maggior ragione, l’organizzazione è destinataria di diritti e obblighi sanciti in trattati da essa conclusi
nell’ambito delle proprie competenze.

Quando l’organizzazione internazionale conclude trattati con Stati o altre organizzazioni internazionali, essa
viene a trovarsi in una condizione di formale parità. Nell’ambito delle sue competenze l’organizzazione
delega talora gli Stati membri a concludere trattati con Stati terzi.

Se un’organizzazione ha acquisito competenza esclusiva in una data materia, essa dovrebbe succedere in
modo automatico ad ogni situazione giuridica soggettiva internazionale che in quella materia faceva capo
precedentemente agli Stati membri in base a norme consuetudinarie o pattizie.

9. Il coordinamento delle organizzazioni internazionali

Una necessità peculiare per le organizzazioni internazionali è il reciproco coordinamento quando esse
agiscano in settori di comune competenza.
Le organizzazioni internazionali provvedono normalmente con appositi accordi a coordinare su basi
paritarie le rispettive attività in un determinato settore o anche sul piano generale.
Per contenere i costi di funzionamento, le organizzazioni internazionali sovente procedono per accordi in
base ai quali una di esse offre all’altra una serie di servizi logistici o di supporto.

Altre forme di coordinamento sono fondate su vincoli di subordinazione di varia natura. Lo si ritrova in
qualche modo compiuto nell’organizzazione che aderisce ad un’altra organizzazione acquistandone lo
status di “membro” a pieno titolo (la possibilità di adesione da parte di altre organizzazioni internazionali
deve essere specificatamente espressa nell’atto istitutivo di entrambe!).

Meno pregante è il vincolo di subordinazione sotteso alla Carta con riferimento ad organizzazioni regionali
che abbiano competenze in ambito di mantenimento della pace e della sicurezza internazionale.

L’art. 52 della Carta chiede a questo tipo di organizzazioni regionali di prestare la loro attività in modo
conforme “ai fini e ai principi delle Nazioni Unite”. questi può raccomandare la soluzione pacifica della
controversia nell’ambito dell’organizzazione regionale pertinente. Il Consiglio potrebbe anche decidere di
avvalersi di azioni coercitive sotto la sua direzione (art. 53 pr.1).

Per mezzo dell’accordo di collegamento con l’ONU, determinate organizzazioni internazionali possono
stabilire forme stabili di coordinamento, assumendo la condizione di “Istituti specializzati” dell’ONU. Prima
che acquistino tale status, gli Istituti sono organizzazioni internazionali costruite per effetto di un autonomo
trattato istitutivo, se del caso promosso dall’ONU.

Per molto tempo è stata di assoluto rilievo l’attività del Fondo monetario internazionale. Il Fondo ha un
proprio capitale composto da contributi versati dagli Stati membri in rapporto al PIL di ciascuno. Il suo
scopo era quello di salvaguardare la stabilità nei rapporti di cambio tra le valute attraverso il sostegno agli
Stati membri in difficoltà con la bilancia dei pagamenti, concentrandosi sulla concessione di prestiti. Lo
Stato beneficiario invia al Fondo una lettera di intenti sottoscritta dall’autorità nazionale responsabile della
politica fiscale e monetaria, al quale lo Stato si impegna ad utilizzare il prestito nel contesto di un piano di
risanamento economico.
La mancata restituzione del prestito priva lo Stato della facoltà di ottenere ulteriori facilitazioni dal Fondo.

Document shared on https://www.docsity.com/it/diritto-internazionale-principi-e-norme-di-francesco-salerno/5739003/


Downloaded by: jacopo-brigantini (jacopo.brigantini@gmail.com)
Capitolo 5: Le fonti normative internazionali
1. Il valore indicativo dell’art. 38 dello Statuo della Corte internazionale di giustizia

Il carattere giuridico di una norma si desume dal sistema cui essa appartiene. Il diritto internazionale si
articola in principi, regole e comuni standard valutativi che consentono di configurarlo come ordinamento
giuridico provvisto di soluzioni per risolvere i “problemi connessi alla formazione, alla coordinazione e
all’integrazione” delle sue norme.
Una parziale ricognizione delle fonti normative internazionali si ritrova nell’art. 38 pr.1 dello Statuto della
Corte internazionale di giustizia. La sua norma statuaria elenca nell’ordine:

a) Convenzioni internazionali ovvero i trattati, generali o particolari che stabiliscono norme


espressamente riconosciute dagli Stati in lite
b) Consuetudine internazionale, come prova di una pratica generale accettata come diritto
c) Principi generali di diritto riconosciuti dalle nazioni civili
d) Decisioni giudiziarie e la dottrina, ancorché solo quali mezzi ausiliari e non quindi come fonti
autonome di diritto

Alla luce dell’evoluzione registratasi nella seconda metà del Novecento appare chiaro che l’art. 38 trascuri
alcuni fenomeni normativi come i procedimenti di produzione normativa configurati nei trattati e la
promessa unilaterale.

Da questo insieme traspare la concezione positivista del diritto che riconduce alla volontà degli Stati le due
principali fonti cioè l’accordo e la consuetudine:

1. Accordo resta lo strumento preferito in termini di certezza del diritto internazionale, poiché è meglio
rilevatore del vincolo giuridico in termini di astratta prevedibilità. L’accordo di definisce d’intesa tra le
parti contraenti, in base ad una manifestazione espressa di consenso nella quale sono prefigurate le
situazioni giuridiche soggettive di ciascuno Stato parte.
Per tale ragione si preferisce ricorrere a “convenzioni di codificazione” per puntualizzare o sviluppare
regole di diritto internazionale generale.

2. Consuetudine: il diritto generale espresso dalla consuetudine può essere derogato da un trattato che
si configura alla stregua di diritto speciale. Ma, tra gli stessi Stati, una consuetudine locale può essere
sostituita da un successivo trattato ovvero subentrare da un accordo precedentemente concluso.
L’art. 38 della Convenzione di Vienna ammette che uno Stato terzo al trattato ne osservi una
disposizione “se norma consuetudinaria di diritto internazionale riconosciuta come tale”.
La norma consuetudinaria parallela alla regola pattizia gode maggiormente del principio di
conservazione dei valori rispetto alla norma pattizia di analogo contenuto. Infatti, alle consuetudini
internazionali non si applicano talune cause estintive dei trattati. In specie, non è possibile invocare
l’estinzione della regola consuetudinaria per il fatto che la controparte non l’abbia applicata.
Inoltre, in tema di discussione fra Stati vale il criterio di continuità per le regole consuetudinarie
generali mentre tale soluzione non è tuttora pienamente condivisa per i trattati.
Infine, solo il diritto consuetudinario è idoneo ad esprimere regole generali che stabiliscono i
parametri ordinatori della società internazionale, comprese le condizioni a cui ancorare la validità
degli stessi trattati. Si parla in questo caso di trattati erga omnes e di norme imperative.
Secondo l’art. 53 della Convenzione di Vienna solo le “norme imperative “di diritto internazionale generale
ius cogens sono idonee a rendere invalido un trattato con esse incompatibile, quale ne sia l’oggetto.

Document shared on https://www.docsity.com/it/diritto-internazionale-principi-e-norme-di-francesco-salerno/5739003/


Downloaded by: jacopo-brigantini (jacopo.brigantini@gmail.com)
Quando il contenuto di una regola consuetudinaria configura l’esercizio di un diritto dello Stato
incompatibile con le conseguenze derivanti dall’illecito grave compiuto dallo stesso Stato violando una
norma imperativa, la gerarchia normativa impone l’inosservanza della regola consuetudinaria per evitare
un vero e proprio abuso di diritto.

2. La formazione della consuetudine internazionale e delle norme imperative

Gli elementi costitutivi della consuetudine internazionale sono quelli normalmente richiesti per ogni tipo
di regola consuetudinaria.
Occorre riscontrare la contestuale presenza di:

- elemento oggettivo: è costituito dal comportamento che i destinatari della norma hanno seguito in
modo ripetuto, costante ed uniforme nel tempo (usus o repetitio facti)
- elemento soggettivo: è espresso dal convincimento dei medesimi soggetti di porre in essere quel
dato comportamento dovendo agire in conformità ad una prescrizione giuridica (opinio iuris atque
necessitatis)

Non è necessario che la repetitio facti anticipi la formazione della opinio iuris. Nell’insieme i due elementi
rifettono la concezione “binaria” della consuetudine internazionale, secondo una combinazione che
dipende anzitutto dal contenuto della singola norma consuetudinaria.

Per verificare se la norma consuetudinaria abbia una immediata valenza prescrittiva, diventa davvero
decisiva la coerenza con essa dei comportamenti materiali osservati dai soggetti che ne sono destinatari.
Ma il modo in cui si combinano i due elementi dipende anche dall’ambito di formazione della norma
consuetudinaria. Se la norma riguarda un gruppo ristretto di Stati o anche solo due Stati essa assume
contorni alla formula consensuale sottesa ad un trattato.

La suggestione a privilegiare l’opinio iuris è certamente favorita nei casi in cui sono pochi gli Stati in grado di
“gestire” il nuovo modello normativo. D’altronde, l’opinio del singolo Stato si deve dissolvere nella
valutazione complessiva dell’l’opinio iuris del corpo sociale internazionale.

Il processo di formazione della consuetudine si legittima da sé in termini di effettività “autopoietica”. Se così


non fosse, lo stesso ordinamento giuridico internazionale cadrebbe in una insanabile contraddizione di
fronte all’eventualità di una nuova norma consuetudinaria che modificasse quella precedente: l’obbligo di
rispettare la norma preesistente finirebbe col configurare come illecito qualunque processo “revisionista”
che invece risponde a diffuse esigenze collettive di mutamento normativo

La formazione della consuetudine è per sua natura fluida e quindi vi può essere una momentanea tensione
tra il precedente modello normativo e l’affermazione di quello nuovo. Non è possibile stabilire in modo
aprioristico e assoluto la preminenza ordinatoria della precedente regola consuetudinaria o di quella
nuova: i due modelli normativi che si contrappongono sono parimenti espressivi di una verità normativa.

Per quanto riguarda i tempi di formazione di una nuova norma consuetudinaria, fino alla metà del ‘900 i
“ritmi” comunicativi della società internazionale erano lenti; grazie all’accelerazione che la crescente
concentrazione delle relazioni internazionali si è permesso di sviluppare una regola consuetudinaria a
partire da un testo scritto in qualche modo concordato a livello multilaterale.

La manifestazione unitaria della opinio iuris internazionale agevola la sua valutazione sintetica. Quando
quella manchi, non è ragionevole porre tutti i soggetti potenziali destinatari della medesima regola
consuetudinaria sullo stesso piano quanto alla loro capacità di condizionarne in pari misura la formazione.
Perciò, operando secondo il modello dell’effettività, l’attenzione dell’interprete si concentra su gruppi di

Document shared on https://www.docsity.com/it/diritto-internazionale-principi-e-norme-di-francesco-salerno/5739003/


Downloaded by: jacopo-brigantini (jacopo.brigantini@gmail.com)
Stati o Stati – chiave socialmente rappresentativi e direttamente interessati all’applicazione della regola
consuetudinaria ovvero capaci di orientare la prassi di altri Stati.

Questa prassi deve misurarsi nei confronti di Stati o altri soggetti internazionali che non sono attivi
“promotori” della formazione di una norma consuetudinaria. Il principio secondo cui non possono
“presumere” restrizioni all’indipendenza degli Stati senza il loro consenso viene preservato per effetto
dell’acquiescenza ovvero “silenzio qualificato” che quei soggetti hanno mostrato nella genesi della regola
consuetudinaria.

Il solo modo per il singolo Stato di discostarsi dalla formazione di una norma consuetudinaria generale che
lo vincoli è di porsi in una condizione di “obiettore permanente” e cioè di contestarla in modo tempestivo,
puntuale e soprattutto costante, così che la regola non sia validamente opponibile nei suoi riguardi.

3. La rilevazione dei fatti – prova inerenti alle norme consuetudinarie

La rilevazione della consuetudine avviene sulla base di fatti-prova, vale a dire quell’insieme di indizi della
prassi ed idonei a dimostrare l’esistenza delle condizioni costitutive di una norma consuetudinaria.
La qualità e la quantità dei fatti si commisura in relazione alla natura della norma, al suo contenuto o agli
effetti che conseguono dalla sua violazione. Per stabilire la natura “imperativa” di una regola
consuetudinaria occorrerà acclarare la peculiare opinio che la sorregge.

Per determinare la formazione di una nuova regola consuetudinaria di interesse generale per la società
internazionale occorre procedere in primo luogo dalla prassi degli Stati: perché la prassi di uno Stato possa
valere quale elemento costitutivo della consuetudine, occorre che essa si esprima in termini coerenti e
unitari.

Il raffronto della legislazione o della giurisprudenza nazionale di vari paesi assume valore indicativo della
regola consuetudinaria generale solo se concorde anche in termini di opinio iuris. Per la loro cognizione vi
sono raccolte ufficiali predisposte da singoli governi o organizzazioni internazionali. Nella misura in cui non
esprima una posizione di obiettore permanente, la riserva apposta da singoli Stati ad una disposizione del
trattato non preclude la possibilità di opporre loro la natura consuetudinaria della norma.

Il ruolo dell’ONU nello sviluppo del diritto consuetudinario si ritrova nelle sue attività operative sovente
disciplinate solo da regole generali divenendone determinante fattore di effettività.

L’Assemblea generale ha solo la possibilità di adottare risoluzioni con valore di raccomandazione. Gli atti da
essa formulati, non sono vincolanti – soft law – o non hanno di per sé valore “costitutivo” di una regola
consuetudinaria ma evidenziano la opinio iuris richiesta per la formazione della nuova regola
consuetudinaria.

L’Assemblea ha istituito nel 1947 la Commissione del diritto internazionale, composta da autorevoli giuristi
di vari paesi che definisce la propria agenda dei lavori secondo le indicazioni dell’Assemblea. I testi adottati
dalla Commissione e quindi approvati dall’Assemblea possono restare allo stadio di semplice “progetto
“articoli oppure tradursi in una convenzione di codificazione del diritto internazionale, frutto di un lungo
lavoro preparatorio.

Document shared on https://www.docsity.com/it/diritto-internazionale-principi-e-norme-di-francesco-salerno/5739003/


Downloaded by: jacopo-brigantini (jacopo.brigantini@gmail.com)
Nel processo di codificazione la Corte internazionale di giustizia ha intravisto tre tipi di effetti rispetto al
diritto consuetudinario “non scritto” o spontaneo:

1. mera “trascrizione” della regola consuetudinaria preesistente


2. cristallizzazione di una regola consuetudinaria in via di formazione
3. modello di riferimento per la formazione di nuove regole consuetudinarie

4. Il regime giuridico dei trattati nel diritto internazionale generale e secondo la Convenzione di Vienna del
1969

La formazione di un trattato attesta in modo puntuale l’avvenuta convergenza di volontà di Stati a vincolarsi
in ambito bilaterale o multilaterale nelle forme che essi hanno ritenuto di impiegare. La Convezione di
Vienna del 1969 provvede a codificare largamente le norme consuetudinarie sul regime giuridico dei
trattati.
Nel 1989 è stata adottata la Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati conclusi da organizzazioni
internazionali, ma in realtà questo strumento non è ancora entrato in vigore.

La Convenzione del ’69 modella la propria disciplina sui trattati bilaterali o multilaterali stipulati secondo la
logica sinallagmatica tradizionale del “patto” con obblighi di natura reciproca.

L’art. 26 della Convenzione richiama la regola pacta sunt servanda, detta regola andrebbe postulata come
norma – base sulla produzione del vincolo giuridico tra le parti di un trattato.

5. Procedura di formazione dei trattati

In ragione del principio di libertà della forma dei trattati gli Stati possono vincolarsi fra loro sul piano
pattizio senza seguire una procedura predeterminata, purché sia espressiva del consenso da essi
manifestato.

Pertanto sono possibili tanto accordi scritti che orali purché di provata o incontroversa esigenza.
Testualmente la Convenzione di Vienna regola gli accordi scritti, i soli a cui si attanaglia l’espressione di
“trattati”.

In base all’art. 6 della Convenzione, “ogni Stato ha la capacità di concludere un trattato “. L’art. 6 fissa un
criterio generale su cui non incidono la rottura, l’assenza di relazioni diplomatiche e finanche un conflitto
armato tra Stati che intendano stipulare un accordo tra loro.

Tra i soggetti in grado di concludere trattati vanno annoverati gli insorti che abbiano il controllo autonomo
e stabile di una parte del territorio conteso.

Nel caso che il trattato venga definito secondo la procedura ordinaria o solenne, sono previsti alcuni
passaggi fondamentali quali: negoziato, firma, ratifica, scambio o deposito delle ratifiche. La Convenzione
non esclude che le parti, di comune volontà nell’ambito dello stesso contesto pattizio, convengano
procedure autonome più semplificate o maggiormente complesse.

Per concludere il contenuto del futuro trattato, occorre preliminarmente:

1. Negoziato: solitamente svolto direttamente da rappresentanti delle parti a ciò abilitati con l3
credenziali del caso. È principio generale che la decisione di avviare un negoziato porti l’obbligo
per le parti di comportassi in buona fede.

Document shared on https://www.docsity.com/it/diritto-internazionale-principi-e-norme-di-francesco-salerno/5739003/


Downloaded by: jacopo-brigantini (jacopo.brigantini@gmail.com)
2. La conclusione positiva della fase negoziale è segnata dalla formazione del testo, tramite la sua
adozione o autenticazione. La prima opzione è normalmente seguita se il testo viene approvato da
una conferenza o organizzazione internazionale secondo la procedura del consensum, vale a dire
con l’assenza di opposizioni o a maggioranza di due terzi dei presenti e votanti.
3. L’autenticazione avviene attraverso la firma. La data di adozione del testo, della firma o della sua
apertura alla firma costituisce per regola quella ufficiale del trattato.
4. Alla firma del trattato, seguono alcuni effetti giuridici coerenti con il principio di conservazione dei
valori. Lo Stato che ha apposto la firma può anche decidere successivamente di non ratificare il
trattato, ma non può rifuggire dal significato dell’atto pregresso compiuto, vale a dire di averne
autenticato il testo e quindi il suo contenuto.
5. Segue l’obbligo di comportarsi in buona fede. L’obbligo viene meno se lo Stato manifesta
espressamente la propria intenzione a non aderire al trattato.
6. Nella procedura solenne il consenso dello Stato firmatario a vincolarsi al trattato si esprime con la
ratifica o l’adesione. Quest’ultima si configura ai trattati “aperti”, per permettere a Stati che non
abbiano originariamente firmato il trattato di divenirne parte. Essi si distinguono dai trattati
“chiusi” che escludono l’adesione successiva.
7. Per considerarsi perfezionato, un trattato deve registrare l’incrocio della volontà delle parti, ovvero
attraverso lo scambio degli strumenti di ratifica
8. L’entrata in vigore di un trattato dipende dalle modalità in esso fissate. Se non è stato indicato
alcun criterio, si segue la regola generale di far decorrere l’entrata in vigore del trattato dal
momento in cui tutti gli Stati partecipanti al negoziato abbiano manifestato il consenso a vincolarsi
al trattato.
Il diritto internazionale riconosce agli Stati piena libertà sulla “forma” del trattato. Si possono concludere
accordi di forma semplificata nel senso che il consenso a vincolarsi al trattato avviene con l’apposizione
della firma congiunta al testo.
Ovviamente semplificati sono gli accordi segreti che sfuggono alla procedura “pubblica” di ratifica.

L’art. 25 della Convenzione, prevede la possibilità che un trattato entri in vigore dopo la firma, ma a titolo
provvisorio fintanto che non si sia conclusa la procedura solenne. Tale intesa configura l’obbligo di dare
efficacia provvisoria all’accordo con piena validità sul piano internazionale.

L’art. 80 della Convenzione prevede che l’entrata in vigore del trattato obbliga le parti a trasmetterlo al
Segretariato delle dell’ONU per la relativa registrazione. Tale obbligo investe anche gli accordi in forma
semplificata e funge da deterrente alla conclusione di accordi segreti.

6. Le cause di invalidità relativa dei trattati

Le nullità sono divise in “relative” o “assolute”, secondo che il fattore “patologico” sia sanabile o meno.
Può sovvenire l’errore imputabile allo Stato su un aspetto essenziale per la formazione del consenso;
ovvero la circostanza che lo stesso consenso sia frutto di dolo o corruzione dell’organo che manifesta tale
consenso.

Gli art. 46 e 47 della Convenzione prevedono possibili vizi di competenza dell’organo che ha manifestato la
volontà dello Stato a vincolarsi sul piano internazionale.
L’art. 46 non considera di per sé determinanti le regole formalmente poste nell’ordinamento interno, ma
solo la violazione “manifesta” di una regola interna di importanza fondamentale, vale a dire se l’organo che
abbia manifestato il consenso si sia espresso in modo difforme dalla “pratica abituale” che quello Stato
seguiva nella conclusione dei trattati. La competenza a stipulare è pertanto determinata con un rinvio alla

Document shared on https://www.docsity.com/it/diritto-internazionale-principi-e-norme-di-francesco-salerno/5739003/


Downloaded by: jacopo-brigantini (jacopo.brigantini@gmail.com)
costituzione materiale dello Stato, che permette di comprendervi quegli Stati (come il Regno Unito) la cui
costituzione non è scritta.

L’art. 47 della Convenzione richiama l’eventualità che lo Stato abbia stabilito una deroga specifica alla
competenza “obiettiva” del proprio organo. In base a questa norma la causa di invalidità è sollevabile solo
qualora la restrizione alle competenze del rappresentante dello Stato sia stata notificata alla controparte.

Per valutarne l’impatto della disciplina convenzionale sulla conclusione di trattati da parte dello Stato
italiano, si deve ricordare che la Costituzione italiana indica la competenza esclusiva del Capo di Stato nella
ratifica di un trattato, atto che deve essere controfirmato del ministro competente, previa autorizzazione
delle Camere quando necessaria.

7. Segue: Le cause di invalidità assoluta dei trattati

Più rigorosa è la disciplina della Convenzione che regola le cause di invalidita assoluta dei trattati. Gli
articoli 51 e 52 della Convenzione prendono in esame un vizio genetico e radicale nella formazione del
consenso dello Stato a vincolarsi.

L’art. 51 considera nullo il trattato qualora il consenso del rappresentante dello Stato sia stato ottenuto con
violenza o minaccia di violenza.

L’art. 52 considera invece la violenza subita dallo Stato nella formazione del consenso, se avvenuta “con la
minaccia o con l’impiego della forza in violazione dei principi di diritto internazionale. Incorporati nella
Carta delle Nazioni Unite”.

In ragione del rinvio dell’art.52 della Convenzione di Vienna alla carta, l’invalidità del trattato per violenza
sullo Stato deve riguardare unicamente la minaccia o l’uso della forza armata che incida sull’indipendenza
politica e l’integrità territoriale dello Stato nella formazione e nella manifestazione del suo consenso a
vincolarsi al trattato. Il caso classico è l’aggressione o la sua minaccia.

Sempre per il rinvio all’art. 52, è da escludere la invalidità del trattato se l’azione armata sia stata posta in
essere direttamente dall’ONU, ovvero che il Consiglio di sicurezza l’abbia precedentemente autorizzata o
avvallata ex post.

Anche i trattati di pace sono validi se conclusi in condizione di indipendenza politica dello Stato sconfitto e
sempre che non siano imposti alla vittima di un’aggressione.

La terza ipotesi è prevista dall’art. 53 della Convenzione e riguarda il contrasto di un trattato con una
norma imperativa di diritto internazionale generale riconosciuta come tale dalla comunità internazionale
degli Stati nel suo insieme. Si è già osservato che tali norme circoscrivono la libertà degli Stati di
concludere trattati, per renderla compatibile con interessi generali della società internazionale “nel suo
insieme” di per sé non derogabili.

8. Trattati e Stati terzi

In forza dell’art. 26 della Convenzione di Vienna, un trattato vincola in linea di principio le sole parti
contraenti. Con regole particolari la Convenzione estende l’efficacia dei trattati a Stati terzi, a condizione

Document shared on https://www.docsity.com/it/diritto-internazionale-principi-e-norme-di-francesco-salerno/5739003/


Downloaded by: jacopo-brigantini (jacopo.brigantini@gmail.com)
però che questi manifestino il loro consenso rispetto alle disposizioni che li riguardano e senza divenire con
ciò parte del trattato.

La Convenzione distingue in proposito obblighi e diritti per il terzo.


Nel primo caso l’art. 35 richiede l’accettazione dell’obbligo in modo formale e per iscritto dello Stato terzo.
Una situazione più flessibile si ha nel secondo caso, dove si registrano situazioni giuridiche soggettive attive
a favore di uno Stato terzo.
Occorre che il testo del trattato sia incontroverso, tanto che l’art. 36 evoca anche il riferimento
all’intenzione degli Stati parti.

9. Rapporti tra trattati aventi obblighi tra loro incompatibili

A seconda dei casi, un trattato internazionale si affianca e si sovrappone ad altri trattati, sollecitandone il
coordinamento se vi sono obblighi incompatibili.

In linea di principio, l’art.10 pr.3 stabilisce che tra gli Stati parti dei medesimi trattati si applica quello
successivo, secondo il criterio generale di successione delle norme nel tempo. Nel caso di parziale
coincidenza tra gli Stati parti dei trattati contenenti obblighi incompatibili, l’art.30 pr.4 prevede sue
soluzioni differenti:

a) Nei rapporti tra gli Stati parti del trattato anteriore che di quello posteriore, si applica quello
successivo.
b) Diversamente, lo Stato parte di entrambi i trattati ma conclusi con Stati diversi applicherà quello
che regola i rapporti reciproci con ciascuna controparte. Ciò rende il primo Stato inadempiente nei
confronti di un altro Stato, determina la sua responsabilità internazionale e dà modo allo Stato
contraente del trattato violato di non adempiere da parte sua invocando la regola inadempienti
non est adimplendum.

L’art.30 pr.2 della Convenzione del ’69, consiste nella clausola di compatibilità o subordinazione (“saving
clause), per effetto della quale gli obblighi contenuti nel trattato in cui la clausola sia stata inserita vanno
attuati solo se rispettosi del trattato o dei trattati a favore di quali sia stata prefigurata la prevalenza.

Diversa è invece l’eventualità di trattati aventi per oggetto obblighi incompatibili, che inevitabilmente
restringe gli obblighi richiamati in forma subordinata. Questo effetto opera solo tra Stati o organizzazioni
internazionali che siano parti dei trattati oggetto di raffronto.

L’art. 30 pr.1 della Convenzione fa comunque salvo quanto disposto dall’art. 103 della Carta dell’ONU che
ne sancisce il primato su altri trattati, comprese convenzioni di codificazione e norme consuetudinarie.
La norma pattizia (o consuetudinaria) contrastante la Carta va disapplicata e, nel caso estremo, va
denunciato il trattato per la sua incompatibilità totale e permanente. La regola del primato comprende
anche gli obblighi derivanti da decisioni del Consiglio di sicurezza quale che sia il suo relativo contenuto.

10. Le riserve ai trattati

Istituto del tutto peculiare del diritto dei trattati è la riserva che uno Stato piò apporre in modo unilaterale
al momento di aderire ad un trattato multilaterale, temperandone la portata nei propri riguardi.

Document shared on https://www.docsity.com/it/diritto-internazionale-principi-e-norme-di-francesco-salerno/5739003/


Downloaded by: jacopo-brigantini (jacopo.brigantini@gmail.com)
Con “riserva”, l’art. 2 lett. d) della Convenzione di Vienna del ’69 indica una dichiarazione unilaterale con
cui lo Stato si accinge a divenire parte del trattato, ne esclude una o più disposizioni ovvero ne modifica il
contenuto nei propri riguardi.

Lo Stato può esprimere la riserva solo in forma scritta, al momento della firma oppure della ratifica o
dell’adesione con notifica a depositario. Successivamente al momento in cui ha manifestato il proprio
consenso a vincolarsi al trattato, lo Stato non può più formulare riserve: può solo ritirarle.

Nella prassi sono ammesse riserve tardive subordinatamente all’acquiescenza mostrata dagli altri Stati. La
competenza a esprimere la riserva (o a ritirarla) spetta allo stesso organo che manifesta la volontà dello
Stato a vincolarsi sul piano internazionale, essendo la riserva parte integrante di quella manifestazione di
volontà; così che non è sufficiente un atto normativo interno per apporre la riserva o ritirarla.

L’indicazione espressa dallo Stato riservante deve riscontrare il consenso degli altri Stati parti. Inoltre, la
riserva ad un trattato nel quale siano posti obblighi integrali o interdipendenti richiede il consenso espresso
di tutte le parti contraenti (art. 20 pr.2)

Nel caso in cui la riserva non sia riconducibile ad un’ipotesi espressamente contemplata dal trattato, l’art.20
ne prevede la notifica da parte del depositario agli altri Stati contraenti e quest’ultimi hanno 12 mesi per
formulare obiezioni sulla sua compatibilità con l’oggetto e lo scopo del trattato.

11. Interpretazione dei trattati: i criteri oggettivi

Un aspetto fondamentale dei diritti dei trattati è la loro interpretazione. La disciplina dettata al riguardo
negli articoli 31 e ss. della Convenzione di Vienna del 1969 ha nel complesso valenza consuetudinaria.

In generale la Convenzione privilegia:

criteri ermeneutici di natura Interpretazione soggettiva del trattato


oggettiva, che permettono di quale espressa dalla volontà delle parti
marcare la valenza ordinatoria contraenti
del trattato medesimo

L’art 32 valorizza il metodo soggettivo unicamente in via complementare vuoi per confermare i risultati già
acquisiti con il metodo oggettivo, vuoi per sopperire alle difficoltà di quel metodo nel determinare il
significato del trattato.

La primazia riconosciuta ai criteri oggettivi di interpretazione investe quelli normalmente operanti in ogni
sistema giuridico. L’art. 31 ne indica alcuni:

a) Il metodo letterale: si attribuisce all’espressione da interpretare “il senso ordinario” dei termini
impiegati
b) Il metodo logico-sistematico: consiste nell’ascrivere ai singoli enunciati normativi un significato che
tenga conto del “contesto” in cui essi sono calati
c) Il metodo teleologico: assegna alle disposizioni pattizie un significato coerente con lo scopo e
l’oggetto del trattato.

Document shared on https://www.docsity.com/it/diritto-internazionale-principi-e-norme-di-francesco-salerno/5739003/


Downloaded by: jacopo-brigantini (jacopo.brigantini@gmail.com)
Per ragioni di prevedibilità, il criterio dagli esiti meno controvertibili è quello letterale. Tuttavia, la
Convenzione non fissa una gerarchia tra i vari criteri oggettivi. L’interprete ha l’obbligo di procedere in
“buona fede”, seguendo un ragionamento unitario nel quale tener conto di tutti i criteri ermeneutici in
relazione al loro grado di operatività.
Sovente, per sciogliere i maggiori dubbi interpretativi di assume il criterio teleologico.

Le questioni interpretative concernenti le competenze o le funzioni di un’organizzazione internazionale


vengono risolte secondo la dottrina dei poteri impliciti. In pratica tale criterio include nel contenuto della
norma ciò che non vi è vietato.

A fondamento di esso si può ricordare il principio generale di effettività correlato all’interpretazione dei
trattati, privilegiando quella che meglio assicuri l’effetto utile.
Il principio di effettività implica cautela nel ricorso all’interpretazione al contrario ed impone
un’interpretazione oggettivamente restrittiva della riserva.

L’interpretazione teleologica è determinante per risolvere la divergenza tra le versioni linguistiche


ufficiali del medesimo testo pattizio. Nei trattati bilaterali è tuttora diffuso il ricorso a due testi paralleli,
entrambi autentici e nelle lingue ufficiali degli Stati contraenti.

12. Segue: La coerenza ordinatoria del trattato come criterio ausiliario di interpretazione evolutiva

Altri criteri interpretativi sono enunciati nell’art. 31 pr.3 della Convenzione di Vienna e trattano della
prospettiva di un’interpretazione evolutiva del trattato.
Le circostanze adducibili come fattore giustificativo di un’interpretazione evolutiva possono essere interne
al sistema pattizio o esterne ad esso.

È possibile fare riferimento anche a norme subordinate all’accordo come ausilio interpretativo di norme
“primarie” oppure procedere all’interpretazione uniforme “intertestuale” tra più atti di un’organizzazione
internazionale che derivino dalla medesima base giuridica del trattato istitutivo.

Prassi degli Stati successiva alla conclusione del trattato: si evince un accordo tra gli Stati in merito alla
sua interpretazione:
Es. Consuetudine interpretativa: essa traspare meglio nella prassi internazionale degli stessi Stati parti
attraverso atti formalmente non vincolanti (soft law) adottati a livello intergovernativo con la pratica dei
“seguiti”, costituiti da riunioni periodiche dei rappresentanti di Stati parti del trattato, istituto da
distinguere dall’ipotesi di una modifica del trattato.

nel caso di un trattato istitutivo di una organizzazione internazionale, la relativa interpretazione deve
tenere conto della prassi degli organi dell’organizzazione, ma senza trascurare quella degli Stati
“costitutori” del trattato (es. organismi giudiziari o di controllo preposti per volontà degli Stati al rispetto
del trattato; oppure i treaty-bodies, organismi di controllo dei trattati che non hanno natura
propriamente giudiziaria ma sono composti in genere da personalità indipendenti.).

13. Il criterio dell’integrazione sistemica

Art. 31, 3 co. Lett. C della Convenzione di Vienna configura quale ulteriore criterio interpretativo ausiliario la
coerenza ordinatoria del trattato con l’insieme delle regole giuridiche internazionali rilevanti nei rapporti tra
le parti.
Si tratta di norme estranee al sistema pattizio considerato, così come di principi e regole internazionali
applicabili nella stessa materia.

Si tratta di un modo per contenere il fenomeno di frammentazione del diritto internazionale. Si spiega perciò
la tendenza ad estenderne la portata con la dottrina interpretativa del vacuum.

In presenza di più interpretazioni possibili della norma pattizia gerarchicamente superiore ne andrebbe
privilegiata una che consenta di preservare il più possibile gli effetti del trattato in qualche modo subordinato.
Document shared on https://www.docsity.com/it/diritto-internazionale-principi-e-norme-di-francesco-salerno/5739003/
Downloaded by: jacopo-brigantini (jacopo.brigantini@gmail.com)
In assenza di tale subordinazione, il criterio ausiliario enunciato consente di determinare un significato
unitario del trattato in coerenza con altre regole internazionali applicabili alle parti. Ciò non implica alcun
automatismo, poiché ogni trattato mantiene la sua separatezza, ma ove non sussista questa preclusione,
prevale il bisogno di coerenza con il sistema di diritto internazionale nel suo complesso, anche preferendo
una interpretazione estensiva del trattato o di una sua disposizione se meglio coerente con quel significato.

Il criterio di interpretazione sistemica evoca l’esigenza di un coordinamento di un ordine sistematico tra


diverse fonti internazionali. In tale assetto trova giustificazione il criterio di specialità, così come un maggiore
applicazione dell’interpretazione evolutiva delle norme pattizie per una maggiore coerenza tra trattati che
esprimono modelli normativi suscettibili di interagire reciprocamente sul piano concettuale del diritto
obiettivo.

Il problema che si pone è che quanto più il significato delle norme pattizie viene condizionato tanto maggiori
sono le perplessità verso una tecnica interpretativa che si allontana dal contenuto del trattato rispetto al
quale si era definita l’originaria volontà dello stato a vincolarsi sul piano internazionale.
Ma per come è oggi diventato il diritto internazionale, il consenso di uno Stato a vincolarsi al trattato implica
anche l’adesione non solo al testo specifico, ma anche alle possibili evoluzioni ed interazioni interpretative
che quello specifico sistema pattizio può subire in rapporto all’ordinamento al quale appartiene e col quale
deve in ogni caso coordinarsi.

14. La modifica dei trattati

La modifica di un trattato si può manifestare attraverso una successiva regola consuetudinaria che investe
tutti gli Stati parti. Contribuisce a formarla una prassi concertata che determina obblighi distinti
dell’originario trattato.

Secondo la Convenzione di Vienna un trattato può essere emendato per accordo tra le parti e la modifica
non vincola quegli Stati che non siano parti del nuovo accordo.

Sovente, sono gli stessi trattati a predisporre procedimenti semplificati di emendamento o revisione. Tale
revisione può essere anzitutto procedurale, nel senso di soprassedere su uno o più passaggi della
procedura solenne.
Ma spesso la procedura è congegnata in modo tale che non è richiesto il consenso espresso dagli Stati parti
oppure la loro accettazione unanime.

Le norme così adottate hanno la medesima validità formale del testo originario e sono pertanto idonee a
modificarlo.

L’efficacia erga omens della modifica non deve neppure rispondere al requisito dell’unanimità se il trattato
lo consente.

Document shared on https://www.docsity.com/it/diritto-internazionale-principi-e-norme-di-francesco-salerno/5739003/


Downloaded by: jacopo-brigantini (jacopo.brigantini@gmail.com)
15. Le fonti subordinate al trattato

Nel diritto internazionale tradizionale questa forma di produzione derivata dal trattato avveniva
essenzialmente attraverso il rinvio a norme ad esso estranee.
Una formula classica in tal senso è tuttora costituita dalla clausola del “trattamento nazionale”: inclusa nel
trattato, essa impegna la parte contraente a riservare ai cittadini dell’altro Stato lo stesso regime giuridico
praticato ai propri cittadini in base al suo diritto interno.

Un’altra forma di rinvio è espressa dalla clausola della “nazione più favorita”, che impone alle parti di un
trattato di applicare nei rapporti reciproci il regime più favorevole praticato nei confronti di uno Stato terzo.

L’art. 38 pr.2 dello Statuto della Corte internazionale di giustizia richiama la sentenza ex aequo et bono,
che il giudice quando le parti di una controversia abbiano inteso affidare ad esso la soluzione della
controversia secondo equità, vale a dire creando nel caso concreto una nuova regola giuridica che le parti
devono osservare.
In questo modo gli Stati, con apposita intesa, ritengono preferibile che un’entità terza, indipendente e
imparziale, stabilisca la nuova regola di diritto.

16. Le cause di estinzione e di sospensione dei trattati

Gli articoli 54 e ss. della Convenzione di Vienna del ’69 disciplinano le varie cause di estinzione e
sospensione dei trattati.
La disciplina convenzionale è largamente ricognitiva del diritto internazionale consuetudinario e
tendenzialmente rispettosa del principio di conservazione dei valori in relazione ai trattati sorti
validamente.

Diversamente dalle ipotesi di invalidità assoluta, l’estinzione dei trattati ha di norma un’efficacia
irretroattiva (opera, cioè, ex nunc→” da allora)
Così un trattato si estingue al momento del:

- Termine finale: vale a dire della data ivi convenuta, qualora gli Stati parti non convengano
tempestivamente di prolungarne l’efficacia. Se manca un termine finale, il trattato si presume di
durata permanente (art. 54 lett. a) della Convenzione)
- Tacitamente abrogato: quando tutte le sue parti concludono successivamente un altro trattato che
sostituisce nei rapporti reciproci quello precedente (art. 54 lett.b))

La Convenzione di Vienna esclude in generale la facoltà di recesso unilaterale, a meno che la facoltà di
denuncia non sia espressamente consentita. Tale divieto viene fatto valere anche per i trattati a tutela dei
diritti umani.

In ogni caso il recesso non consente allo Stato di violare norme imperative che quel trattato enuncia. La
notifica del recesso deve avvenire almeno 12 mesi prima: benché tale indicazione rifletta un generale
obbligo di buona fede nella condotta delle parti.

In coerenza con il principio di conservazione dei valori, un trattato multilaterale non si estingue se il numero
residuo degli Stati parti scenda al di sotto del numero minimo richiesto originariamente dal trattato per la
sua entrata in vigore.

Analogamente si può procedere alla sospensione concordata tra due o più parti di un trattato ai sensi
dell’art. 58.

Per quanto riguarda le forze esterne al trattato in grado di estinguerlo o di modificarne in parte l’efficacia
normativa, l’art. 61 richiama l’ipotesi dell’impossibilità sopravvenuta di dare esecuzione al trattato. Si
tratta di una causa estintiva solo in parte coincidente con la così detta forza maggiore.

Document shared on https://www.docsity.com/it/diritto-internazionale-principi-e-norme-di-francesco-salerno/5739003/


Downloaded by: jacopo-brigantini (jacopo.brigantini@gmail.com)
L’estinzione del trattato può altresì essere invocata ai sensi dell’art. 62 per sopraggiunto mutamento
fondamentale delle circostanze. Le circostanze sopraggiunte rilevano solo se modificative di quelle che
originariamente avevano costituito.
Il fattore di mutamento rilevante quale causa di estinzione può essere anche da questo espressamente
configurato oppure rimesso alla valutazione di un meccanismo di controllo.

Nel diritto internazionale contemporaneo la guerra tra Stati non è motivo di per sé sufficiente per
l’estinzione dei trattati.

L’art. 60 della Convenzione di Vienna contempla infine la facoltà per una delle parti di non continuare ad
adempiere agli obblighi pattizi unicamente per reagire all’inadempimento della controparte di quello
specifico trattato (inadimplenti non est adimplendum).

Document shared on https://www.docsity.com/it/diritto-internazionale-principi-e-norme-di-francesco-salerno/5739003/


Downloaded by: jacopo-brigantini (jacopo.brigantini@gmail.com)
17. La procedura di denuncia delle cause di invalidità ed estinzione e relativi effetti

La Convenzione di Vienna stabilisce una procedura unica per invocare le cause di invalidità o di estinzione
dei trattati. Se la stessa parte invoca più cause, deve darsi preferenza a quelle di invalidità.
L’interesse ad agire è riconosciuto dalla Convenzione alle sole parti del trattato, rendendo in alcuni casi
poco verosimile l’avvio della procedura.

Le regole generali di certezza di diritto escludono che lo Stato possa attivare la procedura relativa alla
presunta invalidità del trattato se l’abbia in precedenza considerato valido, si sia mostrato acquiescente
ovvero abbia rinunciato a sollevare la questione.

Lo Stato che può far valere le cause di invalidità o di estinzione deve:

- Notificare la denuncia del trattato alle altre parti: la Convenzione di Vienna non indica un termine
entro il quale farlo, ma non deve intercorrere troppo tempo perché altrimenti si potrebbe profilare
una condizione di acquiescenza al riguardo.
In base alla procedura, la notifica della causa di invalidità ed estinzione deve essere
necessariamente “scritta” ed espressa ad un organo dello Stato a ciò abilitato. L’art. 65 pr.2
prevede che la denuncia abbia effetto se entro 3 mesi dalla sua notifica non vengono sollevate
obiezioni dagli Stati.

Qualora non si addivenga ad un accordo in proposito, la Convenzione prevede l’avvio di una procedura di
soluzione delle controversie che vincola i soli Stati parti. Se non si raggiunge nessuna risoluzione in termini
obiettivi della controversia, dovrebbe prevalere il principio di conservazione del trattato.

Document shared on https://www.docsity.com/it/diritto-internazionale-principi-e-norme-di-francesco-salerno/5739003/


Downloaded by: jacopo-brigantini (jacopo.brigantini@gmail.com)
18. Il criterio di continuità nella successione ai trattati

L’art. 73 della Convenzione di Vienna lascia impregiudicata la questione della vigenza del trattato in caso di
successione tra Stati.
Nelle situazioni in cui perdura il vecchio Stato, gli eventi modificativi sulla sua sovranità territoriale non
incidono sulla continuità dei suoi obblighi.
È rispetto alla nuova entità internazionale che va stabilito se ed in che modo rilevi nei suoi confronti il
trattato concluso dallo Stato precedente.

Nel diritto internazionale tradizionale, gli obblighi pattizi valevano in modo automatico a carico dei nuovi
Stati. Il principio do comminuita dei trattati era normalmente osservato fino a tutto l’800 e buona parte del
‘900.
È stato solo sull’onda del processo di decolonizzazione che si è messo in discussione il principio di
continuità, facendo emergere nella prassi l’opposto principio della tabula rasa che implicava l’azzeramento
di ogni obbligo pattizio assunto dalla precedente Potenza coloniale.

Si seguiva normalmente la prassi degli accordi di devoluzione tra lo Stato coloniale e lo Stato di nuova
formazione, per cui quest’ultimo si obbligava a subentrare ai trattati in vigore per lo Stato coloniale.

Le regole generali sulla successione degli Stati ai trattati sono state oggetto di codificazione nella
Convenzione di Vienna del 1978, che prefigura una diversa disciplina:

- Per i paesi decolonizzati o Stati di nuova indipendenza, si segue il criterio speciale della tabula rasa
ma solo nel senso che lo Stato di nuova indipendenza “non è obbligato” a mantenere in vigore tutti
gli obblighi pattizi che facevano capo alla Potenza coloniale preesistente.
Per i trattati multilaterali, questo Stato deve fare un’apposita notifica di successione presso il
depositario; per i trattati bilaterali, la continuità si presume semplicemente da fatti concludenti.
- Per gli altri Stati di nuova formazione ma estranei al processo di decolonizzazione la Convenzione
stabilisce quale criterio
generale la regola della
continuità dei trattati.

Document shared on https://www.docsity.com/it/diritto-internazionale-principi-e-norme-di-francesco-salerno/5739003/


Downloaded by: jacopo-brigantini (jacopo.brigantini@gmail.com)
È generalmente riconosciuta la regola della continuità per i trattati localizzabili concernenti la delimitazione
di frontiere ovvero obblighi e diritti degli Stati confinanti.

Vige inoltre, l’orientamento di estendere il principio di continuità ai trattati che enunciano obblighi di
natura solidale. Lo prevede l’art. 47 della IV Convenzione di Ginevra del ’49, in forza al quale il cambio di
governo su un territorio occupato non comporta la cessazione dei relativi diritti. Il medesimo principio è
stato sostenuto più in generale per i trattai a tutela di diritti umani.

Deve invece escludersi che il principio di continuità valga per la successione ai trattati istitutivi di
organizzazioni internazionali.

19. I c.d. “atti unilaterali”

Con atti unilaterali ci si riferisce a determinazioni riferibili ad un solo soggetto e suscettibili di produrre
effetti normatici anche per i terzi.
Ne vanno senz’altro esclusi quegli atti unilaterali che siano solo fatti-prova della formazione di una regola
consuetudinari. Inoltre, restano escluse quelle determinazioni che un soggetto internazionale assume in
modo unilaterale ma facendo uso di “facoltà”, a contenuto attivo o passivo, già prefigurate da consuetudini,
trattati o norme da questi derivate.

L’atto unilaterale non può imporre obblighi ad uno Stato terzo senza il suo consenso. L’atto può invece
determinare obblighi per lo Stato che lo pone in essere se sovviene come vincolo idoneo a creare di per sé
una nuova condizione normativa nell’ambito della sfera di libertà che il diritto internazionale generale
riconosce allo Stato.

La prassi internazionale prende atto della natura vincolante di un atto unilaterale nel caso emblematico
della promessa, con cui lo Stato che ne è autore si obbliga nei confronti di uno o più Stati, senza che
l’impegno assunto sia subordinato ad una qualche forma di consenso da parte loro.

La prassi internazionale registra un’ampia libertà di forme quanto alla formulazione della promessa,
potendo essa manifestarsi anche in una serie concordante di dichiarazioni pubbliche espresse erga omens.

20. La funzione integrativa dei principi generali di diritto

Quando la regolamentazione data dalle fonti normative proprie dell’ordinamento internazionale non è
completa, sovviene la funzione integrativa dei principi generali di diritto.

Document shared on https://www.docsity.com/it/diritto-internazionale-principi-e-norme-di-francesco-salerno/5739003/


Downloaded by: jacopo-brigantini (jacopo.brigantini@gmail.com)
Capitolo 6: il regime giuridico internazionale sull’uso della forza
1. Premessa

Fin dall’origine del diritto internazionale moderno, e per molto tempo, l’uso della forza è stata la massima
manifestazione del principio di libertà degli Stati, tanto da far ritenere che la vita di relazioni internazionali
fosse una sorta di “stato di natura” negando qualunque valore al diritto internazionale. Tutt’oggi si asserisce
che, dinnanzi ad una “vera e propria guerra”, il diritto internazionale avrebbe “esaurito la sua funzione”.

Per quanto il regime di libertà a muovere la guerra rendesse sovente superfluo individuare specifiche
motivazioni della violenza armata, il diritto internazionale classico ne distingueva tre manifestazioni
principali:

1. La rappresaglia armata: normalmente considerata come una sanzione per il mancato rispetto di
obblighi internazionali ed aveva portata circoscritta
2. L’intervento: nei casi in cui uno Stato straniero faceva uso della forza all’interno di un altro Stato
3. La guerra: che appariva come mezzo violento utile per risolvere controversie politiche tra Stati e
poteva anche essere “totale” fino alla piena distruzione dell’avversario

Lo Stato che intendesse ripudiare questa impostazione assumeva, con apposito trattato, un vero e proprio
status internazionale di neutralità permanente (come quella attuale della Svizzera che discende dal
Congresso di Vienna del 1815).

Fintantoché non si è affermata in tempi relativamente recenti una norma generale sul divieto dell’uso della
forza, la guerra era un fatto produttivo di diritto.

Con il Patto della Società delle Nazioni (1919) si avviò a livello universale un processo destinato ad
assorbire le varie manifestazioni dell’uso della forza con obbligo preventivo di soluzione pacifica delle
controversie ed un regime di sicurezza collettiva.
L’art. 11 del Patto asseriva l’interesse solidale al mantenimento della pace, ma non rimuoveva la leicità
della guerra, consentita come extrema ratio dopo il fallimento di ogni procedura con la composizione
pacifica della controversia.

Con il Patto Briand-Kellog del 1928 si vietava l’uso della guerra come strumento di composizione delle
controversie internazionali. Al Patto aderirono 70 Stati ma la sua efficacia fu relativa poiché era sprovvisto
di un efficace sistema di sicurezza collettiva all’interno della Società delle Nazioni.

L’art. 2 pr.4 della Carta dell’ONU riprende il divieto del Patto del 1928.
Anzitutto il divieto dell’uso della forza non riguarda le guerre civili, né investe forme di violenza tra Stati

Document shared on https://www.docsity.com/it/diritto-internazionale-principi-e-norme-di-francesco-salerno/5739003/


Downloaded by: jacopo-brigantini (jacopo.brigantini@gmail.com)
diverse da quella propriamente armata. Inoltre, la stessa Carta consente l’uso della forza armata sia nei
rapporti con gli allora Stati “nemici”, sia soprattutto per salvaguardarne il divieto “naturale” di legittima
difesa.

Nel capitolo VII della Carta vi è la volontà di assegnare al Consiglio di sicurezza una funzione insieme
direttiva ed operativa sull’uso della forza. Esso ha piena autonomia nell’accertare una situazione di
“minaccia della pace”, “violazione della pace” o “atto di aggressione”.
Inoltre, esso assume decisioni vincolanti per tutti gli Stati membri anche se neutrali, suscettibili di valere per
tutti gli Stati non membri.
Il Consiglio di sicurezza gestisce in autonomia anche le misure da adottare.

La valenza cogente del divieto di aggressione si arresta quindi di fronte a determinazioni del Consiglio di
sicurezza in tema di uso della forza.

Perché la Carta fosse pienamente efficace, il Consiglio di sicurezza doveva essere nella condizione di
“governare” l’uso della forza. Questa condizione di “egemonia giuridica” ha determinato per molto tempo
la paralisi decisionale del Consiglio.
La caduta dell’URSS e del suo blocco politico-militare ha consentito un maggiore attivismo del Consiglio di
sicurezza, senza però che questo abbia assunto il pieno controllo delle crisi internazionali.

2. Il divieto di rappresaglia armata

Il divieto dell’uso della forza sancito dall’art.2 pr.4 della Carta è sganciato dal funzionamento del sistema di
sicurezza collettiva dell’ONU, poiché ha assunto il valore di regola autonoma del diritto internazionale.

Una puntuale applicazione della regola generale è il divieto si rappresaglia armata nelle relazioni tra Stati
per reazione a torti o anche ad atti inamichevoli.
Le prime voci critiche si sollevarono verso la prassi del blocco navale: gli Stati che lo attuavano assumevano
il controllo effettivo delle acque territoriali e di conseguenza interdivano la navigazione marittima da e
verso lo Stato costiero.

3. L’attuale regime giuridico della legittima difesa

L’art. 51 della Carta riconosce allo Stato aggredito il diritto “naturale” di legittima difesa, se del caso con
l’assistenza di Stati terzi dando così luogo alla legittima difesa collettiva.
Il ricorso alla legittima difesa è senz’altro funzionale ad esigenze di “ordine internazionale” perché
connaturato alla garanzia internazionale della sovranità dello Stato. Ma, lo Stato esercita la legittima difesa
a condizione che sia illecita la violenza subita.

Nella prassi internazionale si distingue tra forme gravi e meno gravi di violazioni del divieto dell’uso della
forza: le prime rientrano nella nozione di aggressione e consentono la legittima difesa, mentre le seconde
non la escludono, a meno che l’originario ricorso alla forza sia lecito ai sensi del diritto internazionale.

In una risoluzione del 1974, l’Assemblea generale ha adottato una definizione di aggressione relativamente
ampia. L’art.3 vi fa rientrare
a) non solo l’invasione suscettibile di determinare l’occupazione temporanea del territorio
b e c) ma anche un attacco armato sotto forma di bombardamento o blocco navale, senza che vi sia
correlata nessuna occupazione territoriale da parte dell’aggressore.

Document shared on https://www.docsity.com/it/diritto-internazionale-principi-e-norme-di-francesco-salerno/5739003/


Downloaded by: jacopo-brigantini (jacopo.brigantini@gmail.com)
La nozione di attacco armato dell’art.51 della Carta non indica né delimita il tipo di arma impiegata e può
dunque a ragione includere mezzi cibernetici.

La legittima difesa è invocabile anche in caso di aggressione indiretta attuata da gruppi di individui che
agiscono agli ordini dello Stato aggressore.

Su basi distinte si va affermando l’idea che la legittima difesa sia impiegabile in relazione all’aggressione
proveniente da attori non statali diversi dagli Stati, in specie formazioni terroristiche. In questi casi, l’azione
in legittima difesa mira alla distruzione dell’entità non statale responsabile dell’attacco armato.

L’aggressione deve riguardare il territorio sul quale lo Stato ha la propria sovranità. Pertanto non vi è
rientrata l’occupazione violenta dei locali dell’ambasciata e dei consolati.

L’esigenza di conservazione dello Stato può giustificare in date condizioni il ricorso alla legittima difesa
preventiva rispetto ad una minaccia di aggressione. In armonia con lo scopo annunciato nel preambolo
della Carta di volere evitare il “flagello della guerra, art. 2 pr.4 include nel divieto di uso della forza anche la
sua minaccia: l’Assemblea generale e la Corte internazionale di giustizia assegnano uguale portata
precettiva ai due divieti.

In tale nozione rientra un attacco armato già in atto, ad esempio con l’attivazione su terra e mare di missili
balistici, i cui effetti non si siano ancora materializzati sul territorio dello Stato aggredito: questo può
apprestare ogni mezzo utile “preventivo” di legittima difesa per evitare l’impatto al suolo dell’attacco.

Più complesso da valutare è l’impiego preventivo della legittima difesa rispetto all’iniziativa militare nemica
che non sia stata ancora materialmente posta in essere. In tali condizioni, lo Stato oggetto della minaccia
dovrebbe motivare la propria azione in base a circostanze eccezionali ed obiettivamente rilevabili che non
siano solo un “tentativo di attacco” ma un atteggiamento programmaticamente “offensivo” dello Stato
nemico.

Dopo l’11 settembre 2001 la Dottrina Bush ha configurato un uso preventivo della legittima difesa ancora
più ampio verso Stati che minacciano di impiegare armi di distruzione di massa. Questa dottrina rivendica
l’uso preventivo della legittima difesa anche per la repressione del terrorismo internazionale. La società
internazionale è da tempo impegnata nella prevenzione e repressione dell’attività di privati coinvolti in
queste attività, chiamando tutti gli Stati a cooperare.

Il diritto internazionale, là dove ammette il ricorso alla legittima difesa, provvede altresì a regolarne le
modalità. Si ritiene che la reazione individuale o collettiva all’aggressione dovesse rispondere alle condizioni
indicate nella “formula Webster”, vale a dire che la legittima difesa deve essere:

- necessaria perché senza alternative


- immediata
- proporzionale rispetto all’attacco in atto o alla sua minaccia.

Una manifestazione controversa del requisito dell’immediatezza è la hot persuit secondo cui sussisterebbe
il diritto di “inseguimento a caldo”dei responsablili delle incursioni armate nei “santuari” situati in un paese
straniero.

E’ illegittima l’azione contro basi stabili di insorti in territorio straniero senza il consesno dello Stato
sovrano.

Document shared on https://www.docsity.com/it/diritto-internazionale-principi-e-norme-di-francesco-salerno/5739003/


Downloaded by: jacopo-brigantini (jacopo.brigantini@gmail.com)
Infine il carattere “proporzionale” della legitima difesa ne consente l’esercizio solo nei limiti necessari per
ripristinare la sovranità territriale violata. La regola della proporzionalità non comporta necessariamente
una correlazione tra la tipologia dell’attacco e quella della reazione.

4. Il ricorso a mezzi coercitivi circoscritti per la protezione di propri cittadini all’estero

Il diritto internazionale consente in date situazioni il ricorso all’uso della forza per fini diversi dalla legittima
difesa.
Si collocano in questa prospettiva iniziative militari di uno Stato volte a liberare propri cittadini sequestrati
in un altro Stato o che vi si trovino in condizione di obiettivo pericolo immediato per la loro incolumità
personale. La legittimità è incontrovertibile quando l’azione protettiva avviene nel consenso o su richiesta
delle autorità locali.

Solo se manca il consenso del sovrano territoriale si profila il titolo autonomo di intervento in deroga al
divieto dell’uso della forza.

Per porre in essere legittimamente l’azione armata circoscritta, lo Stato deve operare la sua intrusione non
autorizzata alla sola protezione effettiva dei propri cittadini e per favorirne l’evacuazione, senza
pregiudicare in modo duraturo e irreversibile la sovranità territoriale e l’indipendenza politica dello Stato
che subisce l’intervento.
In questi casi, gli Stati agenti talora invocano l’esimente della legittima difesa, ma il titolo è improprio.

5. L’intervento umanitario

Una radicale e vistosa interferenza coercitiva sull’indipendenza politica dello Stato vi verifica con
l’intervento umanitario.
La prassi sembra avvallare la legittimità dell’intervento umanitario in paesi ove sia in atto una politica di
genocidio.
Es. decisione dei paesi aderenti alla NATO di ricorrere nel 1999 all’uso della forza nei confronti della Serbia
per evitare la “catastrofe umanitaria” a danno della popolazione di etnia albanese del Kosovo.

La Corte internazionale di giustizia ha ritenuto che questi elementi, oltre che a determinare il crimine
internazionale di singoli individui, siano costitutivi dell’illecito internazionale da attribuire allo Stato. Non vi
rientra quindi una condizione di mera discriminazione tra cittadini dello stesso Stato a proposito
dell’esercizio di diritti civili e politici.

Fino ad ora, l’intervento umanitario è sempre avvenuto con l’uso massiccio della forza per poter modificare
– dall’esterno – la condizione di governo preesistente in un determinato Stato nel quale era in corso un
genocidio o vi era la concreta possibilità che avvenisse.

6. Le guerre civili

Il divieto dell’uso della forza ex art. 2pr.4 della Carta dell’ONU vale solo nei rapporti tra Stati e non ha come
destinatari gli insorti. Di guerra civile si può propriamente parlare quando gli insorti si contrappongono ad
un governo precostituito con formazioni organizzate ed esercitando il proprio controllo stabile su una parte
del territorio.

Document shared on https://www.docsity.com/it/diritto-internazionale-principi-e-norme-di-francesco-salerno/5739003/


Downloaded by: jacopo-brigantini (jacopo.brigantini@gmail.com)
Il regime giuridico delle guerre civili va ricostruito secondo il diritto internazionale generale, almeno fino a
quando il Consiglio di sicurezza non decida di intervenire perché la situazione presenta una minaccia alla
pace.
In assenza di tale determinazione, ogni componente della guerra civile può fare uso della forza senza con
ciò violare l’art.2 pr.4 della Carta.

In condizione di conflitto interno va rilevata la posizione degli Stati terzi.


Nell’epoca classica del diritto internazionale, il principio di libertà degli Stati sull’uso della forza consentiva
allo Stato terzo di “assistere” qualunque parte del conflitto.
Col passare del tempo, solo l’idea che la guerra civile fosse affare interno dello Stato avrebbe potuto
escludere l’interferenza di Stati terzi nel conflitto, evitandone l’”internalizzazione”.

In realtà, il principio di conservazione dei valori legittima l’uso della forza da parte dell’autorità precostituita
ed il suo diritto esclusivo di chiedere assistenza a Stati terzi. Questo assetto viene meno in due ipotesi:

a) se è incerta la determinazione dell’autorità ufficiale di uno Stato per conflitti tra vari apparati che
ne rivendicano la rappresentatività
b) l’eventualità che si modifichi la condizione dell’autorità precostituita se questa sia divenuta
illegittima per il diritto internazionale. Ne potrebbe conseguire il legittimo sostegno agli insorti o
addirittura il ricorso ad un intervento umanitario dall’esterno se ne sussistano le condizioni.

In assenza si simili eccezioni, opera il principio di conservazione a favore dell’autorità precostituita.

L’autorità precostituita come anche la Potenza straniera interveniente devono rispettare i diritti umani
fondamentali e le regole di diritto internazionale umanitario applicabili ai conflitti interni in cui è compreso
il divieto di attacchi indiscriminati nei confronti della popolazione civile.

Il diritto internazionale può stabilire deroghe al diritto di assistenza dell’autorità precostituita qualora
questa eserciti illegittimamente la funzione di governo, in specie per violazione del principio di
autodeterminazione. Lo è stato in passato per i regimi coloniali e vale tuttora per l’occupazione straniera
illegittima. Meno certo è in queste condizioni il diritto degli insorti di sollecitare ed ottenere l’assistenza
militare di Stati terzi.

7. Le missioni dell’ONU di mantenimento della pace

Le deroghe al divieto dell’uso della forza proprie del diritto internazionale generale vanno coordinate con le
competenze che in tema di mantenimento della pace la Carta assegna all’ONU, ed in particolare al Consiglio
di sicurezza.
È rimasta inattuata quella parte del capitolo VII che dotava il Consiglio di un proprio pertenente apparato
militare. Ciò peraltro non ha impedito al Consiglio di svolgere o autorizzare missioni in relazione a conflitti
armati, utilizzando una gamma di strumenti in larga misura non contemplati dalla Carta.

Per quanto la Carta non escluda missioni coercitive, le iniziative dell’ONU in tema di mantenimento della
pace riflettono di norma il consenso delle parti. Ma l’ONU deve anche svolgere la missione in modo
imparziale in funzione dell’obiettivo assegnato alla stessa missione.

Il ruolo dell’ONU può limitarsi ad una funzione di semplice “osservazione” o implicare un coinvolgimento
progressivamente impegnativo:

Document shared on https://www.docsity.com/it/diritto-internazionale-principi-e-norme-di-francesco-salerno/5739003/


Downloaded by: jacopo-brigantini (jacopo.brigantini@gmail.com)
- Mantenimento della pace (peace-keeping)
- Imposizione della pace (peace-enforcement)
- Costruzione della pace (peace-building)
- Costruzione dello Stato (State-building)

La fine delle ostilità comporta anche la cessazione della missione.


A volte la missione ha una composizione più robusta, assumendo la consistenza di una vera e propria forza
di interposizione col consenso delle parti.
Non avendo carattere coercitivo, queste missioni devono mantenere un carattere “imparziale” ed
impiegare la forza solo per ragioni di legittima difesa.

Maggiori capacità operative svolge la polizia internazionale quali:

- Traffico di armi
- Neutralizzazione di gruppi armati
- Cattura di criminali
- Rispetto del cessate il fuoco
- Sostegno di operazioni di State-building

L’ONU si assicura il preventivo consenso dello Stato territoriale in cui deve operare la missione ma ciò non
deve pregiudicare le sue necessità operative che vanno ben oltre la legittima difesa della missione, da
espletare anche “forzando” resistenze dell’autorità precostituita.

Il Consiglio (o l’Assemblea) può anche decidere, in ragione delle circostanze del caso, la cessazione della
missione o la sostituzione di una missione con un’altra regolandone le modalità di successione senza
soluzione di continuità.

Quale sia la funzione assegnata alla missione, essa si colloca sempre nel capitolo VII se decisa dal Consiglio
dopo aver consultato l’esistenza di uno dei presupposti indicati nell’art. 39: minaccia alla pace, violazione
della pace o atto di aggressione.
Quello che conta è la qualificazione che il Consiglio di sicurezza assegna alla situazione nei termini
dell’art.39: all’interno di tale qualificazione il Consiglio può liberamente scegliere la forma più idonea per
agire, compresa quella di operare nel consenso delle parti in causa.

Superata la fase in cui le Nazioni Unite non sembravano facilmente disposte ad “interferire “nei conflitti
interni, anche tale circostanza rientra ormai a pieno titolo nei presupposti del capitolo VII. L’intervento
dell’ONU, preceduto o corredato dall’embargo totale sull’esportazione di armi verso le fazioni in lotta, si
articola secondo il “DDRR Programme”, che include:

- Il disarmo delle fazioni


- La loro smobilitazione
- Reintegro nella vita civile
- L’eventuale rimpatrio di profughi

In alcuni casi l’ONU si impegna direttamente nella (ri)costruzione dello Stato, in altri la missione dell’ONU
affianca l’apparato statale.

8. Segue: La struttura delle missioni

Document shared on https://www.docsity.com/it/diritto-internazionale-principi-e-norme-di-francesco-salerno/5739003/


Downloaded by: jacopo-brigantini (jacopo.brigantini@gmail.com)
In assenza degli accordi per la fornitura di personale militare previsti dall’art.43, sono gli Stati membri che
mettono volontariamente a disposizione dell’ONU propri contingenti.
Il contributo dato dallo Stato gli permette di acquisire un “titolo” preferenziale per l’elezione a membro non
permanente in seno al Consiglio di sicurezza.

1. Il Consiglio di sicurezza delega il Segretariato generale il compito di costituire le singole missioni.


2. Il Dipartimento del Segretariato per le operazioni di pace provvede a “programmare” la
disponibilità degli Stati contributori attraverso appositi accordi.
3. Il Segretariato seleziona quindi i contingenti per le singole missioni secondo un’equa ripartizione
geografica.
4. Un apposito accordo viene concluso dal Segretariato generale dell’ONU con lo Stato che presta il
proprio contingente, precisando le competenze residue che spettano al secondo nella gestione
dell’unità. Il finanziamento delle missioni istituite sulla base del capitolo VII grava in linea di
principio sul bilancio dell’ONU.
Quando è necessario avviare operazioni particolarmente impegnative, diventano prevalenti i
contributi volontari.

L’ONU finisce così col diventare quasi una sorta di “Agenzia” che fornisce missioni militari per operazioni
sempre più integrate e coordinate con missioni civili aventi l’obiettivo di costruire una “pace sostenibile”.

Le unità componenti le missioni dell’ONU sono organi sussidiari del Consiglio di sicurezza tanche l’ONU ha
sempre rivendicato l’autorità e il controllo esclusivo su questo tipo di forze.

Le unità della singola missione sono poste sotto il comando del Segretariato generale. Quest’ultimo
predispone degli standard normativi che confluiscono in delle regole di ingaggio vale a dire quel complesso
di disposizioni che la suprema autorità militare adotta allo scopo di definire circostanze e modalità legittime
dell’uso della forza.

9. L’autorizzazione preventiva del Consiglio di sicurezza ad operazioni di peace-enforcement da parte di


gruppi di Stati od altre organizzazioni internazionali

L’ONU non è in grado di assorbire direttamente la gestione diretta di tutte le situazioni nelle quali si richieda
l’azione militare si sensi del capitolo VII della Carta.
Perciò il Consiglio di sicurezza si avvale allora delle potenzialità operative di Stati o organizzazioni
internazionali.

Il Consiglio di sicurezza ha sviluppato una prassi consuetudinaria ormai consolidata di “autorizzare” le


missioni da un gruppo di Stati membri costituenti una “coalizione dei volenterosi”.

L’autorizzazione all’uso della forza esprime una puntuale determinazione del Consiglio che deroga al divieto
di uso della ex art.2 pr.4 della Carta perché susseguente all’accertamento delle condizioni indicate dal cap.
VII. Gli Stati membri dell’ONU sono senz’altro vincolati a tale accertamento pur restando liberi di avviare
l’azione autorizzata.

Se però decidono di farlo, l’autorizzazione conferisce la facoltà agli Stati membri di usare la forza per scopi
compatibili con la Carta. In queste condizioni l’autorizzazione ha valenza decisoria perché legittima l’uso
della forza in relazione ad una data situazione e per la finalità indicate dallo stesso Consiglio.

Document shared on https://www.docsity.com/it/diritto-internazionale-principi-e-norme-di-francesco-salerno/5739003/


Downloaded by: jacopo-brigantini (jacopo.brigantini@gmail.com)
Se a seguito di tale decisione l’azione viene intrapresa, ne discendono obblighi di cooperazione per gli Stati
membri non materialmente impegnati nell’intervento.

Appare così evidente che, anche là dove sussista un titolo giuridico internazionale autonomo, per avvalersi
dell’uso della forza, lo Stato o gli Stati cercano di ottenere un’espressa autorizzazione in tal senso da parte
del Consiglio di sicurezza per determinare un quadro giuridico favorevole al sostegno – diretto o indiretto –
di altri Stati membri.

Il legame normativo della formula autorizzata con la Carta prescinde dalla circostanza che il Consiglio non
eserciti un controllo diretto, pieno e continuo sulle modalità operative dell’azione autorizzata. La valenza
decisoria dell’autorizzazione si fonda attualmente su una autonoma regola consuetudinaria che integra la
Carta.

La varietà dei moduli normativi ed operativi in cui l’ONU è coinvolta testimonia il modo i cui si evolve
l’organizzazione della sicurezza internazionale, attraverso l’impiego complementare di più formule, l’una
annodata alle altre, ma sempre con il Consiglio di sicurezza referente centrale ed unitario della società
internazionale.

10. Segue: L’avvallo successivo del Consiglio di sicurezza alle iniziative unilaterali di uso della forza

In base alla Carta, il Consiglio di sicurezza si esprime in relazione ad ogni fatto suscettibile di minacciare la
pace e la sicurezza internazionale. Implicitamente, la Carta autorizza il Consiglio a valutare anche iniziative
che corrispondono agli scopi della Carta, senza che siano state da esso preventivamente autorizzate. Se
talune sono senz’altro illecite, altre potrebbero non esserlo in quanto consentite dal regime giuridico
generale sull’uso della forza.

11. Lo ius in bello: l’ambito di applicazione

Nel diritto internazionale contemporaneo l’esistenza di un conflitto armato comporta l’osservanza di un


insieme si regole speciali.
in quanto norme speciali, gli istituti di diritto bellico coesistono con le norme generali di diritto
internazionale.

Per il diritto internazionale tradizionale, l’inizio delle ostilità dipendeva dalla “dichiarazione di guerra”, un
atto unilaterale consegnato alla controparte nel quale lo Stato belligerante stabiliva l’applicazione del
diritto di guerra nelle relazioni con lo Stato nemico (nella prassi è stata assai rara la sua applicazione).

Se manca la formale dichiarazione, l’applicazione del diritto di guerra si raccorda all’”animus bellandi” delle
parti in conflitto, a volte desumibile de veri e propri “ultimatum”. Lo si può esprimere in dichiarazioni
pubbliche.
Il regime del diritto bellico non viene meno ove si registri la sospensione delle ostilità. La si può constatare
con atti unilaterali delle parti in conflitto oppure se esse stesse la convengono con accordi di tregua.

La sospensione delle ostilità può essere concordata tra le parti a livello locale o in modo generalizzato: lo
strumento solitamente impiegato a tal fine è l’accordo di armistizio.
L’armistizio generale non pone del tutto termine al regime di diritto di guerra se l’occupazione del territorio
nemico si prolunga dopo la sospensione delle ostilità.

Document shared on https://www.docsity.com/it/diritto-internazionale-principi-e-norme-di-francesco-salerno/5739003/


Downloaded by: jacopo-brigantini (jacopo.brigantini@gmail.com)
La fine dello stato di guerra dipende dalla volontà delle parti. La conclusione avviene generalmente con un
trattato di pace che disciplini nel rispetto di obblighi internazionali generali la restrizione di territori
acquisiti con la forza e l’instaurazione di reazioni di buon vicinato tra Stati limitrofi.
Dal momento che il conflitto armato inevitabilmente incide sull’interesse generale al mantenimento della
pace, il Consiglio di sicurezza può dettare le proprie richieste al riguardo.

12. Gli effetti della guerra sugli Stati terzi

Il regime giuridico delle ostilità rileva anche sugli Stati terzi al conflitto.
Il diritto internazionale tradizionale poneva gli Stati terzi nella condizione di poter rivendicare il rispetto
della propria posizione di neutralità. Gli obblighi di neutralità valgono anche rispetto ad un conflitto
interno, se riconosce agli insorti la qualità di belligerante. Una Parte belligerante ha il diritto di proclamare
una “zona di esclusione marina” con conseguente blocco della navigazione anche per Stati terzi che
abbiano una posizione di neutralità.

L’ordinamento giuridico internazionale esprime un giudizio di disvalore rispetto alle ragioni di una delle
parti del conflitto, tanto da imporre obblighi di cooperazione verso la parte lesa e/o in attuazione alle
decisioni prese dal Consiglio di sicurezza. In questa prospettiva ordinatoria non è possibile riproporre la
condizione di neutralità, mentre può avere ragione quella di “non belligeranza” che non preclude allo Stato
terzo di appoggiare una delle parti in conflitto se ne ritiene legittimo l’uso della forza.

Divieto tradizionale è sul commercio di armi posto in capo allo Stato neutrale.
Il discrimine internazionale tra Stato aggredito e Stato aggressore rende in ogni caso legittimi aiuti ai paesi
vittime di una guerra di aggressione.

13. Il diritto internazionale umanitario applicabile ai conflitti armati

In tempo e luogo di guerra tra Stati vanno rispettate le regole di diritto internazionale umanitario, tese ad
evitare sofferenze superflue tanto ai combattenti che ai civili.
Il diritto applicabile nel corso dei conflitti armati può discendere da ogni fonte di diritto internazionale. Nel
corso delle ostilità le Parti belligeranti possono stringere accordi in materia bellica, compresa la tutela di
interessi che vanno preservati dall’azione militare.

Per assicurare condizioni di diritto oggettivo preesistenti al conflitto venne avviata una corposa
codificazione con le Convenzioni adottate a L’Aja tra il 1899 e il 1907 (diritto de L’Aja). Questa disciplina
fissò il carattere “speciale” proprio delle norme dello ius in bello e fu applicata nel corso del primo conflitto
mondiale.

Nel 1949 vennero adottate le Convenzioni di Ginevra. Il “diritto di Ginevra” generalizza il divieto di
rappresaglia. A quasi tutto il diritto di Ginevra si riconosce natura consuetudinaria e vi si ritrovano principi
inderogabili, talché le Nazioni Unite lo rispettano pur non aderendo ad alcuna Convenzione o Protocollo.

Le Convenzioni di Ginevra impegnano le parti contraenti a rispettare ed a far rispettare i relativi obblighi,
senza che al riguardo rilevi la condotta dell’altra parte belligerante. Lo Stato parte è tenuto pertanto ad
osservare gli obblighi pattizi che così assumono un forte connotato solidale.

Document shared on https://www.docsity.com/it/diritto-internazionale-principi-e-norme-di-francesco-salerno/5739003/


Downloaded by: jacopo-brigantini (jacopo.brigantini@gmail.com)
I diritti assiucurati ai singoli hanno natura indisponibile, a meno che non sovvengano trattamenti più
favorevoli per effetto di determinazioni unilaterali o anche di accordi tra le Parti in conflitto.

Le violazioni alle Convenzioni di Ginevra si distinguono in “infrazioni gravi” e “meno gravi”.

È senz’altro di natura consuetudinaria la “clausola Martens”, che impone il rispetto della persona umana
anche in situazioni non puntualmente regolate dal diritto internazionale umanitario.

Per quanto il diritto internazionale umanitario preservi la natura speciale delle sue norme, queste vanno
coordinate con le norme di diritto internazionale tanto generale che pattizio a tutela dei diritti umani.
Al tempo stesso, però, le norme sui diritti umani vanno interpretate in armonia con i parametri propri dei
conflitti armati.

Il diritto internazionale reprime i crimini internazionali di guerra compiuti dall’individuo-organo di una


parte del conflitto armato, sia esso internazionale o non internazionale. Lo sviluppo negli ultimi decenni
della giurisdizione penale internazionale ha rafforzato il valore prescrittivo di questi crimini e reso più
analitico il loro contenuto. Emblematico al riguardo il crimine di reclutamento di minori (età inferiore a 15
o 18 anni) o anche semplicemente al loro impego “attivo” nelle ostilità.
Considerate le superiori ragioni di effettività di queste norme, è fatto divieto delle parti belligeranti di
disattendere propri obblighi per reazione al mancato rispetto da parte del nemico.

Il diritto internazionale appresta una serie di meccanismi per meglio garantire l’osservanza nelle norme
umanitarie. Lo è l’istituto della “Potenza protettrice”, che costituisce un’entità terza rispetto alle parti del
conflitto armato internazionale. L’istituto è stato scarsamente applicato dopo la seconda guerra mondiale.

Vi sono altre entità “terze” che operano per il rispetto delle norme umanitarie. In primo luogo il Comitato
Internazionale della Croce Rossa cui è riconosciuta una precipua funzione di “protezione umanitaria”.

La soglia più elevata degli obblighi di diritto internazionale umanitario afferisce al conflitto di natura
internazionale tra Stati, le cui forze armate siano in grado di assicurare la disciplina interna alle unità
combattenti. I conflitti di natura “non internazionale” includono per esclusione ogni altra situazione in cui
sia presente una componente non statale e si registri un grado costante e significativo di ostilità. Si tratta
prevalentemente di conflitti puramente “interni” tra l’autorità precostituita dello Stato ed un movimento
insurrezionale.
Ma la nozione di conflitto armato non internazionale non sempre coincide con quella di conflitto interno.

La disciplina applicabile ai conflitti armati internazionali subentra obiettivamente se agli insorti viene
riconosciuto lo status di “belligeranti”. In armonia con la natura “promozionale” del diritto internazionale
dei popoli, è emerso un atteggiamento favorevole ad applicare nei relativi conflitti il regime giuridico
proprio dei conflitti armati internazionali.

14. Limiti ai messi ed ai materiali di combattimento

Un aspetto fondamentale del diritto internazionale umanitario attiene ai metodi di combattimento per
evitare danni superflui ai combattenti e soprattutto alla popolazione civile.
Già il principio generale di precauzione obbliga le parti belligeranti a valutare sempre e preventivamente
gli effetti dell’attività militare.

Document shared on https://www.docsity.com/it/diritto-internazionale-principi-e-norme-di-francesco-salerno/5739003/


Downloaded by: jacopo-brigantini (jacopo.brigantini@gmail.com)
Ma il diritto internazionale regola le stesse modalità di impiego legittimo della forza.
In primo luogo, escludendo o limitando determinati mezzi di combattimento per i loro effetti nefasti.

La produzione di armi convenzionali rientra nel regime di libertà garantito dal diritto internazionale.
Tuttavia, nel 1991 fu istituito il registro delle Nazioni Unite sulle armi convenzionali, ma finora utilizzato con
scarso successo.

Passi significativi sono stati compiuti per circoscrivere i mezzi legittimi di combattimento. Già la
Dichiarazione di San Pietroburgo del 1868 vietava l’uso in tempo di guerra di proiettili esplosivi.

Da allora, vi è stato uno sviluppo normativo continuo cercando di coniugare i “progressi” della tecnologia
con l’esigenza di limitare i danni collaterali a beni e persone civili e di evitare mali superflui ai combattenti.

Molto più pregnante è la regolamentazione delle armi di distruzione di massa che colpiscono
principalmente la popolazione civile. Con l’adozione nel 1925 del Protocollo di Ginevra, si vieta l’impiego in
guerra di armi chimiche con gas asfissianti, tossici e mezzi batteriologici.

Il diritto internazionale limita la modalità di impiego delle armi ai “obiettivi legittimi”, di modo che gli
attacchi devono “essere strettamente limitati agli obiettivi militari”.
Ne consegue per ogni tipo di conflitto sia il divieto di attacchi indiscriminati nei confronti della popolazione
civile, sia l’obbligo di avvertirla nell’imminenza di un’azione bellica in prossimità di insediamenti civili
(principio di precauzione).
Pertanto, il limite della necessità militare esclude bombardamenti aerei massicci unicamente allo scopo di
“terrorizzare” la popolazione civile.

Il mezzo ed il metodo di combattimento devono sempre rispondere a criteri di proporzionalità con


riguardo al vantaggio militare complessivo che si intende perseguire.

Inoltre, lo Stato potenziale obiettivo all’attacco armato, non può avvalersi di “scudi umani”, vale a dire
collocare la popolazione civile intorno ad obiettivi militari in modo da mettere quest’ultimi al riparo da
bombardamenti.

Il limite dei metodi di combattimento si propone in modo evidente rispetto all’uso di armi nucleari che non
sono oggetto di un divieto assoluto nel diritto internazionale.
La prospettiva della guerra termonucleare è senz’altro una minaccia al diritto della vita quale tutelato dal
Patto sui diritti civili e politici delle Nazioni Unite.
La Corte internazionale di giustizia non ha escluso il ricorso ad armi nucleari per casi eccezionali di legittima
difesa.

Il possesso di ordigni nucleari è regolato dal Trattato di non proliferazione (TPN) del 1968. Si tratta di un
trattato-regime teso a congelare il numero delle Potenze “militarmente nucleari” ai soli Stati che lo fossero
ufficialmente nel ’68.

15. Lo statuto dei combattimenti

Un aspetto molto rilevante del diritto internazionale umanitario è il principio di distinzione tra combattenti
e civili. Nel conflitto armato internazionale il combattente è un legittimo obiettivo di attacco.
Il combattente si distingue dalla popolazione civile quando “prende parte ad un attacco o ad un’operazione
militare preparatoria ad un attacco”.

Document shared on https://www.docsity.com/it/diritto-internazionale-principi-e-norme-di-francesco-salerno/5739003/


Downloaded by: jacopo-brigantini (jacopo.brigantini@gmail.com)
Il diritto internazionale riconosce uno speciale regime di protezione internazionale solo ai legittimi
combattenti quali organi dello Stato belligerante.

Il combattente è “legittimo “per il diritto internazionale se egli appartiene ad unità identificate di una parte
del conflitto ed organizzate sotto un comando responsabile che ne assicuri la disciplina interna.

Vi si possono invece comprendere quanti partecipano volontariamente alla “levata di massa”, quale si
verifica allorché la popolazione civile reagisce all’invasione straniera del proprio territorio prima che sia
occupato. Sei il legittimo combattente viene catturato dallo Stato nemico, questi deve preservarne la vita e
l’onore.

A lui è riconosciuta l’immunità della giurisdizione penale, fatta salva la punibilità per crimini di guerra.

Durante il conflitto sono possibili scambi di prigionieri: la Potenza detentrice può rimettere unilateralmente
in libertà il prigioniero “sulla parola” da quello data di non riprendere le armi.

Di controversa qualificazione è la figura del singolo individuo o di gruppi di persone che si prestano a
condurre le ostilità per conto di una pare belligerante.
Non è consentita la condizione di mercenari, vale a dire di stranieri assoldati da una parte del conflitto e
che vi partecipano solo per profitto personale.
Non sono propriamente mercenari i “private contractors”, dipendenti di una società privata che fornisce
servizi militari, di polizia o più semplicemente logistici.
Essi si distinguono dai mercenari poiché, oltre a possedere spesso la stessa cittadinanza dello Stato, in
realtà sono dipendenti della società che ha acquisito il contratto di servizi con lo Stato.

Un punto particolarmente controverso riguarda la qualificazione di quanti siano impegnati in azioni di


terrorismo internazionale. Il Consiglio di sicurezza, che esclude qualunque legittimazione per quelle
formazioni che ricorrano a metodi di terrorismo, senza fare eccezione quanto alle motivazioni.
Non sono lecite le esecuzioni extra-giudiziarie di terroristi che non stanno partecipando direttamente alle
ostilità.

16. Il regime giuridico dell’occupazione bellica a protezione della popolazione civile

Il diritto internazionale stabilisce un regime di protezione per i civili, disciplinando la condotta dello Stato
belligerante che eserciti la sua giurisdizione effettiva sui cittadini dello Stato nemico e quindi ne diventi la
“Potenza detentrice”. Ciò può avvenire già nel territorio dello Stato belligerante che ricorra
all’”internamento” dei cittadini nemici.

Durante l’occupazione bellica, diritti e obblighi dello Stato occupante vennero regolati dalla IV Convenzione
de L’Aja del 1907, poi modificata ed integrata con le Convenzioni di Vienna.
Tale regime si applica in presenza di occupazione effettiva tanto temporanea che duratura, a prescindere se
esista una resistenza armata o se l’Autorità occupante abbia formalmente istituito un’amministrazione
militare del territorio.

Per quanto compatibile con le necessità militari dello Stato occupante, il diritto internazionale tradizionale
riconosce il diritto di conservazione allo Stato-ordinamento precostituito che ha preso il controllo effettivo
del “proprio” territorio a vantaggio del nemico.
Così perdura il rispetto dovuto alle sue leggi come alle sue giurisdizioni pur in presenza di una occupazione
ostile.

Document shared on https://www.docsity.com/it/diritto-internazionale-principi-e-norme-di-francesco-salerno/5739003/


Downloaded by: jacopo-brigantini (jacopo.brigantini@gmail.com)
Gli abitanti del territorio occupato hanno diritto di accedere alla giustizia dinanzi ai propri tribunali e non
certo dinanzi ai tribunali dell’Autorità occupante.

Parimenti significativa è la salvaguardia e la ricostruzione del patrimonio artistico e culturale dello Stato
occupato, secondo norme consuetudinarie in larga parte codificate dalla Convenzione de L’Aja del ’54.

Il diritto internazionale mostra una chiara tendenza alla gestione di interessi “solidali” soprattutto per la
protezione della popolazione. Ne è un esempio, l’obbligo per le parti di un conflitto armato di autorizzare,
favorire o non ostacolare le azioni di soccorso umanitario.

Il Protocollo addizionale del ’77 impone all’Autorità occupante una serie di obblighi circa le garanzie
fondamentali da rispettare nei confronti di tutte le persone sottoposte alla sua giurisdizione e sempre che
non vi sia un trattamento più favorevole secondo altre norme internazionali applicabili.

Pertanto nel territorio sottoposto alla giurisdizione effettiva dell’Autorità occupante, questa deve rispettare
anche i propri obblighi internazionali in tema di tutela dei diritti umani.

Occupazione terapeutica: configura una vera e propria attività di “governo” internazionale per mezzo
dell’Autorità occupante a ciò abilitata.

17. Uso della forza e Costituzione italiana

Il divieto di uso della forza quale sancito nella Carta dell’ONU trovò subito conferma nell’art.11 della
Costituzione.
Ma tale articolo che parla dei “ripudio della guerra” non equivale ad una formula di neutralità assoluta che
altrimenti non spiegherebbe il richiamo alla stessa Costituzione allo “stato di guerra”.
Ma il ripudio della guerra va letto in relazione al modo in cui si è evoluto il regime giuridico internazionale
sull’uso della forza durante la seconda metà del ‘900.
Lo giustifica l’art.10 pr.1 della Costituzione in base al quale l’ordinamento giuridico italiano si conforma
automaticamente e continuamente alle norme di diritto internazionale.

La legge 145/2016 dispone ora una disciplina generale per le missioni internazionali svolte dall’Italia.
L’Italia ha deciso di partecipare ad operazioni di peace-keeping talvolta su “richiesta delle parti
d’interessate”, ma quasi sempre a seguito di decisioni dell’ONU o su organizzazione della stessa.
Nell’operazione di peace-enforcement dove l’Italia ha partecipato se ne è sovente invocata la natura di
polizia internazionale.

Il supporto militare ad operazioni di intelligence all’estero è deciso dal Presidente del Consiglio, purché sia
stato prima “acquisito il parere del Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica”.
In base all’art. 2 della ricordata delle n°145/2016, “la partecipazione dell’Italia alle missioni internazionali è
deliberata dal Consiglio dei ministri, previa comunicazione al Presidente della Repubblica”.

La giurisdizione italiana in materia penale si estende alle missioni italiani all’estero. Essa comprende le zone
occupate sotto esclusivo controllo italiano. Regole speciali consentono l’ulteriore estensione della
giurisdizione in relazione alla singola missione.
L’art. 19 della nuova legge stabilisce di applicare sempre il codice penale militare di pace alle missioni
internazionali che rientrino nel relativo regime e che siano state approvate preventivamente dal
Parlamento.

Document shared on https://www.docsity.com/it/diritto-internazionale-principi-e-norme-di-francesco-salerno/5739003/


Downloaded by: jacopo-brigantini (jacopo.brigantini@gmail.com)
Capitolo 7: diritti sovrani, diritti individuali e cooperazione internazionale
1. I titoli di sovranità territoriale

Si è già osservato che il diritto internazionale nasce e si sviluppa come sistema di regole giuridiche fondato
sulla “sovranità” degli Stati, suoi enti di base, per rispondere ai loro bisogni di coesistenza e cooperazione.
A sua volta la nozione di sovranità è correlata al territorio, che così condiziona l’ambito effettivo del potere
di governo dello Stato.

La sovranità territoriale di uno Stato deve esprimersi in forma aperta e pubblica.


In quanto esclusiva l’esistenza del titolo di sovranità statale su un dato territorio non permette che sullo
stesso territorio o parte di esso insistano un’altra sovranità di pari natura ovvero specifiche manifestazioni
della stessa.

Se non subentrano valutazioni che rendano invalido il diritto di sovranità, il relativo titolo è normalmente
“originario” se costitutivo della stessa entità statale.
Nel diritto internazionale tradizionale, l’idea che la guerra producesse ricchezza rendeva legittima
l’annessione coatta di territori stranieri a seguito di una guerra.

Nel diritto internazionale contemporaneo è superata la categoria dei territori nullis (ovvero disabitato o
abitato da “primitivi”), per effetto del diritto di autodeterminazione dei popoli sottoposti a dominio
coloniale.

Non esiste un paradigma uniforme attraverso cui si formano i titoli storici del potere statale sul territorio:
in relazione a situazioni particolari le manifestazioni del potere di impero possono anche essere limitate,
purché presentino una relativa continuità ed altri Stati non vantino titoli sul medesimo territorio.7

Oltre che originario, il titolo di sovranità può essere derivato da un trattato. La valida conclusione di trattati
di pace comprende anche le modifiche territoriali da esso eventualmente indicate. L’occupazione ostile non
determina il trasferimento di sovranità, neppure in presenza di accordi di armistizio.

Il titolo di sovranità può anche discendere da un atto specifico di un’organizzazione internazionale. È


quanto accaduto per i territori sottoposti a mandati dell’ONU o al regime di amministrazione fiduciaria delle
Nazioni Unite.

Document shared on https://www.docsity.com/it/diritto-internazionale-principi-e-norme-di-francesco-salerno/5739003/


Downloaded by: jacopo-brigantini (jacopo.brigantini@gmail.com)
Vi sono altresì criteri giuridici sulla delimitazione di confini altrimenti di difficile determinazione. Per i fiumi
navigabili che scorrono tra Stati contermini vige il criterio dello spartiacque, così che ciascuno di essi
estende la propria sovranità fino a metà del corso.

Il modo migliore per definire frontiere territoriali controverse è l’accordo tra Stati confinanti.
In forza del principio dell’uti possidetis iuris valgono gli atti o la stessa prassi con cui la Potenza coloniale
provvedeva a delimitare in termini effettivi le circoscrizioni amministrative e più ancora gli accordi di
confine conclusi tra Potenze coloniali o dalla preesistente autorità di governo.

2./

3./

4./

5./

6./

7. La libertà degli Stati di disporre dei diritti sovrani sul territorio: la concessione di basi militari

Il diritto internazionale contemporaneo, garantendo la stabilità e integrità dei confini da annessioni forzate,
rende determinante il consenso dello Stato territoriale per qualunque modifica dei medesimi.
Rientra peraltro nella sua libertà stabilire con appostiti trattati il condominio territoriale con altri Stati o
concedere a vario titolo parte del proprio territorio a Stati terzi.

In linea generale, è lo Stato sovrano che autorizza l’uso del proprio territorio da parte di Stati terzi.
Frequenti sono le autorizzazioni concesse dallo Stato sovrano per operazioni di polizia, il sorvolo di aerei, il
transito di navi, l’utilizzo di strutture portuali o aeroportuali.
In assenza di tale consenso o comunque di qualche forma di acquiescenza, è illegittima qualunque attività
posta in essere d’autorità in territorio straniero o verso di esso indirizzata e suscettibile di violarne la
sovranità.

Ciò riguarda anche la sovranità “mediatica” dello Stato. Difatti, trattati internazionali, o norme da essi
derivate, assicurano la libertà di manifestazione del pensiero sul piano transfrontaliero in specie sotto
forma di messaggi radiotelevisivi.

Talora però lo Stato legittimato ad espletare una determinata attività sul territorio di un altro Stato deve
preventivamente informarlo.
Lo Stato può autorizzare l’uso militare del proprio territorio per motivi di transito o anche per l’installazione
di una stabile base militare da parte di un paese straniero.

La concessione avviene di comune accordo con le parti e per un periodo normalmente limitato; parimenti
può essere rinnovata o revocata con accordo.
Nell’ambito della propria sovranità, lo Stato territoriale può cedere completamente l’utilizzo della base
militare allo Stato straniero trasferendogli con effetti erga omnes il pieno ed esclusivo esercizio delle
connesse funzioni di governo.

Alle stesse condizioni, può essere concessa una base a favore di un’organizzazione internazionale.

Document shared on https://www.docsity.com/it/diritto-internazionale-principi-e-norme-di-francesco-salerno/5739003/


Downloaded by: jacopo-brigantini (jacopo.brigantini@gmail.com)
8. Sovranità territoriale e immunità dalla giurisdizione civile dello Stato estero e di organizzazioni
internazionali

In quanto ente sovrano, lo Stato determina o modifica da sé i tratti distintivi della propria personalità,
scegliendo denominazione e bandiera nazionale. Tali determinazioni valgono erga omnes, sempre che non
interferiscano con tratti distintivi di altri Stati.

Regole pattizie come la Convenzione europea sull’immunità degli Stati del 1972 (non in vigore per l’Italia)
disciplinano l’esercizio della giurisdizione civile nei confronti di uno Stato estero.
L’adozione da parte dell’Assemblea generale dell’ONU della Convenzione di New York del 2004 sulle
immunità giurisdizionali degli Stati e dei loro beni, permette di rivenirvi alcune regole generali definite e
codificate.

La condizione di ente sovrano che si attaglia allo Stato esterno impone allo Stato del foro di evitare
interferenze autoritative secondo l’antico brocardo par in parem non habet jurisdictionem (Non si ha
giurisdizione tra eguali), a meno che non sia proprio lo Stato estero a rinunciare all’immunità ovvero a
definire un diverso regime nei rapporti bilaterali con lo Stato del foro.

Per ciò che riguarda l’instaurazione di un giudizio di merito (giurisdizione di cognizione), la norma
internazionale tradizionale comprendeva nell’immunità ogni possibile controversia civile dello Stato estero
plausibilmente come proiezione del carattere assoluto della sovranità.

L’immunità dalla giurisdizione civile dello Stato estero si configura quindi fin dall’inizio come una condizione
di non procedibilità nei suoi confronti davanti al giudice di un altro Stato.

Nel corso del Novecento si è avviato un processo di erosione della norma tradizionale che trova conferma
nella Convenzione di New York del 2004. Questa preserva il principio generale di immunità ma la circoscrive
alle controversie civili (e tributarie) che discendono da attività iure imperii afferenti all’esercizio di
prerogative propriamente pubblicistiche dello Stato estero.
Diversamente, per controversie correlate ad attività iure gestionis di natura privatistica lo Stato estero non
può invocare il principio par in parem non habet jurisdictionem e quindi l’immunità dalla giurisdizione,
sempre che nello Stato del foro adito sussistano i titoli di competenza dei suoi giudici per conoscere la
domanda dell’attore.

L’art.6 della Convenzione del 2004 sancisce l’obbligo per il giudice dello Stato del foro di procedere
all’accertamento d’ufficio se sussista nel caso concreto l’immunità dello Stato estero dalla giurisdizione
civile.

La regola generale dell’immunità investe ogni manifestazione del podestà di impero dello Stato estero. La
sola differenza sta nel differente regime processuale, dovendo l’attore provare l’attribuzione allo Stato
estero di attività poste in essere da entità estranee alla sua organizzazione del “pubblico potere”.

La giurisprudenza italiana segue l’orientamento diverso di restringere la sfera di immunità degli Stati esteri
relativamente ad atti iure imperiiche implicano gravi violazioni del diritto internazionale: in queste
circostanze, si configurerebbe un abuso di diritto da parte dello Stato estero che invochi l’immunità per
sottrarsi del tutto alle conseguenze dell’illecito.

Il rispetto dovuto dell’immunità dalla giurisdizione civile per lo Stato estero per atti iure imperii può venir
meno a seguito di rinuncia all’immunità da parte dello stesso Stato che ne è titolare. In ogni caso, questi
criteri generali subiscono due deroghe:

Document shared on https://www.docsity.com/it/diritto-internazionale-principi-e-norme-di-francesco-salerno/5739003/


Downloaded by: jacopo-brigantini (jacopo.brigantini@gmail.com)
1. La prima è configurata nell’art. 11 della Convenzione del 2004 a proposito delle controversie di
lavoro. Si tratta di una regola speciale con valenza consuetudinaria. Essa preclude allo Stato estero
d’evocare l’immunità se la prestazione sia stata svolta in tutto o in parte nel territorio dello Stato
del foro. La Convenzione assicura l’immunità dalla giurisdizione dello Stato estero per qualunque
causa di lavoro nella quale il lavoratore abbia la cittadinanza di quello Stato, a meno che il
lavoratore non risieda abitualmente nello Stato del foro.
2. Ancora più netta è la deroga dell’art.12 della Convenzione che giustifica la giurisdizione dello Stato
del foro per controversie con lo Stato estero in condotta posta in essere nello Stato del foro da un
individuo che sia organo dello Stato estero.

I limiti generali alla giurisdizione di cognizione dello Stato del foro si frappongono anche a controversie
nelle quali sia convenuta un’organizzazione internazionale.
Il limite alla giurisdizione civile rispetto all’organizzazione va accertato d’ufficio e in via preliminare.

L’immunità dalla giurisdizione civile è estesa anche ad altre entità che non hanno propriamente la natura di
Stato, come per esempio:

1. Governi in esilio: per rispetto del principio di conservazione dello Stato


2. Movimenti di liberazione nazionale: per il principio di promozione del diritto di
autodeterminazione dei popoli
3. Comitato Internazionale della Croce Rossa
4. Santa Sede
5. Ordine di Malta

Una distinta disciplina attiene all’immunità dei beni dello Stato estero e delle organizzazioni internazionali
dalla giurisdizione cautelare ed esecutiva dello Stato del foro. Ciò implica una vera e propria “aggressione”
materiale dei beni dello Stato estero o con un atto di pignoramento successivo all’esito del giudizio di
merito o con un sequestro conservativo emesso nel corso dello stesso processo di cognizione.

9. L’immunità dalla giurisdizione penale degli organi di Stato estero

La tutela del “bene” assoluto della sovranità degli Stati nei loro rapporti inter pares si riflette sulle rispettive
forme di rappresentanza organica, ed in specie di quegli organi ai quali è riconosciuta ipso facto la
competenza a manifestare la volontà dello Stato sul piano delle relazioni internazionali. Ciò avviene in
particolare per le figure di Capo di Stato, Capo del Governo e Ministro degli esteri o di altri rappresentanti
costituzionalmente qualificati dello Stato.
Può anche dipendere da sole condizioni di effettività, nel senso che la persona abbia un’incontrastata
leadership “di fatto” nello Stato senza ricoprire alcun ruolo formale nelle istituzioni.

La disciplina consuetudinaria assicura loro l’immunità assoluta dalla giurisdizione penale da parte di Stati
stranieri. Per peculiari ragioni che sorreggono questa immunità personale, essa assume valenza circoscritta
per i soli organi costituzionalmente rilevanti.

Il regime dell’immunità personale preclude non solo l’avvio di un procedimento penale nei confronti di un
individuo-organo di uno Stato estero, ma anche l’adozione di misure restrittive della sua libertà.

Document shared on https://www.docsity.com/it/diritto-internazionale-principi-e-norme-di-francesco-salerno/5739003/


Downloaded by: jacopo-brigantini (jacopo.brigantini@gmail.com)
Bisogna tenere presente che l’immunità personale copre solo il periodo in cui dura la carica della persona
che ne beneficia ed include gli atti (anche pregressi) compiuti dalla stessa sia come un privato sia
nell’esercizio delle sue funzioni.

Il privilegio dell’immunità costituisce una condizione di non procedibilità, e si impone come tale erga
omnes. La regola sull’immunità personale cessa con il venire meno del legame organico che la qualifica.

Lo Stato può rinunciare all’immunità dell’individuo-organo costituzionalmente qualificato nel caso specifico.
La rinuncia può essere effettuata anche in un momento successivo alla cessazione della carica.
La rinuncia può anche essere espressa dall’individuo-organo purché lo Stato di appartenenza non la
contesti.
Non si riscontra, invece, alcuna deroga alla regola di immunità personale dalla giurisdizione penale se i fatti
penalmente rilevanti concernano la violazione di norme imperative del diritto internazionale e dunque
configurino un crimine internazionale.

Per gli altri individui-organi dello Stato viene configurata l’immunità funzionale dalla giurisdizione penale.
La regola afferisce ad atti compiuti dall’individuo nella sua qualità di funzionario ufficiale dello Stato e
dunque nell’esercizio di funzioni di governo riconducibili all’apparato dello Stato in base a norme del suo
ordinamento interno.

L’immunità funzionale non potrebbe essere evocata per sottrarre alla giurisdizione penale del foro persone
accusate di crimini internazionali di individui. Inoltre, l’immunità funzionale non può essere mai invocata se
il possesso penale attenga a condotte di individui che abbiano svolto funzioni pubblicistiche nel territorio
dello Stato del foro senza che questo le avesse preventivamente autorizzato.

La notificazione è ancora più giustificata se l’individuo svolge pubbliche funzioni senza far parte
dell’organizzazione statale precostituita.
Es. i “private contractors” impiegati nei conflitti armati: proprio perché de jure estranei all’apparato
istituzionale dello Stato, essi non beneficiano della regola generale dell’immunità funzionale.

La disciplina sull’immunità funzionale è più puntuale a proposito di organi di organizzazioni internazionali.


L’immunità vale anche per quegli individui che siano solo momentaneamente investi di funzioni proprie
dell’organizzazione.
Il regime di immunità non si estende invece alla forza multinazionale impegnata in una missione di peace-
keeping o peace-enforcement su autorizzazione del Consiglio di sicurezza.

10. L’agente diplomatico: costituzione, immunità e privilegi

Una specifica disciplina internazionale, enunciata nella Convenzione di Vienna del 1961 sulle relazioni
diplomatiche (di natura consuetudinaria) attiene ai privilegi ed alle immunità dell’agente diplomatico
nell’ambito della missione diplomatica instaurata presso lo Stato estero.

Come ribadisce la Convenzione del ’61, l’istituzione della missione diplomatica avviene per mutuo
consenso. Ed è sempre anche per mutuo consenso che si determina il capo della missione. Lo Stato
accreditante deve assicurarsi che la persona che esso intende accreditare come capo della missione presso
lo Stato accreditario abbia ricevuto il gradimento di quest’ultimo.
Per gli altri membri della missione provvede lo Stato accreditante, fatta salva la facoltà dello Stato
accreditario di apprendere preventivamente i nominativi così che possa approvarli.

Lo Stato accreditario può esprimere un diniego senza essere obbligato a motivarlo.

Document shared on https://www.docsity.com/it/diritto-internazionale-principi-e-norme-di-francesco-salerno/5739003/


Downloaded by: jacopo-brigantini (jacopo.brigantini@gmail.com)
A seguito dell’accordo sul capo della missione, ne viene l’accreditamento presso lo Stato accreditatario.
Da quel momento inizia la missione.
Senza neppure motivare la sua decisione, lo Stato accreditario può dichiarare in ogni momento persona
non grata qualsiasi membro della missione compreso il suo capo.

L’agente diplomatico esercita le sue funzioni internazionali di rappresentanza dello Stato estero e di tutela
dei suoi interessi, ma sempre senza interferire nella vita interna dello Stato accreditario.
E’ frequente che l’agente diplomatico eserciti funzioni consolari con effetti nell’ordinamento interno dello
Stato accreditario (es. celebrando matrimoni civili). Inoltre, egli può agire nell’ordinamento interno dello
Stato accresitario quale rappresentante legale dello Stato esterno in rapporti di natura privatistica.

Alla missione diplomatica e più specificatamente all’agente diplomatico dono dovuti una serie di privilegi e
immunità che la Corte di giustizia ha configurato come obblighi erga omens e di carattere imperativo.
E’ prerogativa propria dello Stato accreditante l’assoluta:

1. Inviolabilità dei locali in cui ha sede la missione diplomatica. Questa condizione di extra-
territorialità non assimila i locali della missione ed il terreno su cui insistono al territorio “sovrano”
dello Stato accreditante.
2. L’agente diplomatico ha diritto alla libertà di movimento nello Stato accreditario
3. Inviolabile è la sua dimora privata
4. Inviolabile è anche la sua valigia diplomatica
5. In parte beneficiari sono i familiari del diplomatico e il personale della missione che non ha la
qualifica diplomatica

L’agente diplomatico gode dunque dell’esenzione da oneri fiscali, con eccezione delle imposte indirette e
dei profitti patrimoniali strettamente privati.
Egli gode anche dell’immunità assoluta dalla giurisdizione penale dello Stato accreditario, per cui non può
essere sottoposto a nessuna forma di arresto o detenzione nello Stato accreditario, né è punibile per tutto il
periodo in cui dura la missione.

Lo Stato, anche tramite lo stesso agente diplomatico, può rinunciare all’immunità e trovarsi quindi nella
condizione di soggiacere volontariamente alla giurisdizione penale dello Stato accreditatario.

L’immunità dalla giurisdizione civile invece è esclusa per tre categorie di controversie civili:

1. L’azione reale “riguardante un immobile privato situato nel territorio dello Stato accreditario a
meno che l’agente diplomatico non ne abbia il possesso per conto dello Stato accreditante
2. L’azione successoria nella quale l’agente diplomatico figuri come esecutore di testamentario,
amministratore, erede o legatario
3. L’azione “riguardante un’attività professionale o commerciale al di fuori delle sue funzioni ufficiali”

11. La tutela dei diritti fondamentali dell’individuo

L’ambito di sovranità territoriale è essenzialmente quella in cui lo Stato assicura il rispetto di obblighi
internazionali circa il trattamento di individui o in genere di privati.
Con l’adozione dl 1948 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo ad opera dell’Assemblea
generale delle Nazioni Unite, confluirono le diverse aspettative dei paesi di tradizione liberale e socialista.
Sono state adottate a livello universale convenzioni internazionali delle quali è rilevante per il suo
contenuto generale il Patto sui diritti civili e politici del 1966.

Gli obblighi enunciati dai trattati a tutela dei diritti umani denotano la loro natura assoluta e solidale, per
cui ciascuno Stato parte non può astenersi dal rispettarli ed è nel contempo abilitato a far valere eventuali

Document shared on https://www.docsity.com/it/diritto-internazionale-principi-e-norme-di-francesco-salerno/5739003/


Downloaded by: jacopo-brigantini (jacopo.brigantini@gmail.com)
violazioni anche senza aver subito un danno diretto.
Alcune norme pattizie assumono natura di regole internazionali dal valore anche imperativo.

Molti trattati a tutela dei diritti umani includono meccanismi permanenti di controllo, alcuni dei quali
accessibili da parte di individui.

In mancanza di specifiche formule di compatibilità o subordinazione tra trattati, la questione viene


normalmente risolta facendo riferimento al principio del trattamento più favorevole, che vincola lo Stato
ad osservare la condotta maggiormente rispettosa dei diritti umani in modo da comprendervi anche
l’obbligo che abbia un contenuto meno ampio.

Per i diritti sui quali sia possibile una certa flessibilità, gli strumenti pattizi lasciano normalmente un
margine all’autonomo apprezzamento per gli Stati parti.

I trattati a tutela dei diritti umani ammettono il ricorso alla “clausola di deroga” per sospendere
l’applicazione in presenza di situazioni particolari, ma ad eccezione di taluni diritti fondamentali quale il
divieto di schiavitù o tortura.

L’art. 2 della CEDU non esclude il divieto della pena di morte quale invece è sancito dal Protocollo n.13 cui
hanno aderito quasi tutti gli Stati parti della CEDU e la sua ratifica è una delle condizioni richieste per
l’adesione di nuovi Stati.

Il diritto alla vita del minore è garantito in ogni caso dalla Convenzione dell’ONU sui diritti del fanciullo.
L’embrione umano è “protetto” dall’art.18 della Convenzione di Oviedo sulla biomedicina del 1997, ma non
si riscontra un parallelo divieto di aborto.

12. L’attribuzione della cittadinanza all’individuo

Il richiamo ad un vero e proprio diritto dell’individuo alla cittadinanza di uno Stato è sempre più ricorrente
nella prassi internazionale, in considerazione dei vantaggi che discendono alla persona del possedere un
ben identificato status civitatis con riflessi tanto all’interno nei confronti di Stati terzi.

Lo Stato stabilisce in piena libertà le condizioni attributive della cittadinanza, tanto da escludere “norme
internazionali generali che impongano agli Stati di conferire la loro cittadinanza a taluni individui”.

Le divergenze tra le legislazioni statali riguardano anzitutto il diritto di acquisto a titolo originario della
cittadinanza. In molti Stati si segue il criterio dello:

1. ius soli, attribuendo la cittadinanza per il solo fatto della nascita dell’individuo nel territorio dello
Stato
2. ius sanguinis che trasmette il diritto al neonato grazie alla cittadinanza dei sui genitori o anche si
solo uno di essi
3. alcuni paesi prefigurano una combinazione delle due soluzioni

L’acquisto della cittadinanza può anche verificarsi a titolo derivato in ragione di legami acquisiti
successivamente alla nascita, perché lo/la straniero/a ha sposato un cittadino dello Stato oppure è stato/a
adottato/a in quel paese.

Infine, lo Stato può concedere la cittadinanza allo straniero senza che egli però possa vantarne il titolo
(neutralizzazione).

La scelta dei criteri attributivi della cittadinanza è fortemente condizionata da valutazioni politiche:

Document shared on https://www.docsity.com/it/diritto-internazionale-principi-e-norme-di-francesco-salerno/5739003/


Downloaded by: jacopo-brigantini (jacopo.brigantini@gmail.com)
- I paesi di immigrazione che intendono favorire l’accesso e l’integrazione di stranieri privilegiano il
criterio dello ius soli
- I paesi di emigrazione preferiscono invece quello dello ius sanguinis

La legge italiana sulla cittadinanza n.91 del 1992 ha nella sostanza ribadito la preferenza per il criterio dello
ius sanguinis.
Inoltre, l’attuale normativa italiana assegna la cittadinanza al coniuge straniero residente in Italia da almeno
2 anni e adotta criteri molto selettivi per la naturalizzazione, subordinandola ad una residenza legale di
almeno 10 anni ridotti a 4 per gli stranieri cittadini di un paese membro dell’UE.

Molte volte manca un coordinamento tra le legislazioni statali. Così un individuo può trovarsi a possedere la
cittadinanza di due o più stati (conflitto positivo di cittadinanza) oppure non averne neanche una come nel
caso dell’apolidia, vale a dire la condizione dell’individuo che nessuno Stato considera come proprio
cittadino (conflitto negativo di cittadinanza).

La prima ipotesi è particolarmente complessa se non sia lo stesso individuo che rinuncia volontariamente
ad una delle due cittadinanze in conflitto. Norme pattizie evitano che il cumolo di cittadinanze determini
una sovrapposizione di obblighi a carico del medesimo individuo.

Per prevenire il fenomeno dell’apolidia, vi sono regole internazionali che limitano la libertà degli Stati di
revocare la cittadinanza precedentemente attribuita, escludendo anzitutto che la revoca possa aver luogo
con criteri discriminatori.
Lo stesso principio andrebbe seguito anche in caso di successione di Stati, mantenendo la cittadinanza di
almeno uno di essi.

13. Ingresso ed espulsione degli stranieri

Il diritto internazionale obbliga gli Stati a consentire l’ingresso o l’espatrio temporaneo per individui che
svolgano funzioni internazionalmente qualificate.
Ma non vi è una regola generale che assicuri al cittadino di uno Stato il diritto di lasciare il proprio paese o
farvi rientro.

Non si configura per lo Stato un obbligo di diritto internazionale generale che assicuri agli stranieri il diritto
di immigrare nel suo territorio. Ogni Stato può dunque limitare con proprie norme tale fenomeno e
sanzionare l’immigrazione illegale.

L’Italia prefigura un regime differenziato di ingressi degli stranieri in base al paese di provenienza: la regola
di libera circolazione vale solo per i cittadini di Stati membri dell’UE, mentre le limitazioni operano per
quelli provenienti da altri paesi in base a “flussi di ingresso” programmati annualmente.

Di fronte al fenomeno delle immigrazioni clandestine, lo Stato di destinazione dovrebbe rispettare il


principio dell’accoglienza umanitaria, in modo da evitare al clandestino quei trattamenti inumani e
degradanti.

Del tutto circoscritto è il riconoscimento dello status di rifugiato dovuto solo allo straniero, come singolo,
che entri anche illegalmente in uno Stato parte dopo essere fuggito dal proprio paese perché oggetto di
discriminazione politica, razziale o religiosa.

In forza del divieto di respingimento, la protezione internazionale opera anche se l’aspirante rifugiato abbia
fatto ingresso clandestinamente o si accinga a farlo, nello Stato di rifugio.

Document shared on https://www.docsity.com/it/diritto-internazionale-principi-e-norme-di-francesco-salerno/5739003/


Downloaded by: jacopo-brigantini (jacopo.brigantini@gmail.com)
Nel 2015, l’Italia ha esaminato oltre 80.000 domande di asilo. Per alleggerire gli oneri dei paesi UE di primo
approdo, si sono avviate politiche di “ricollocamento” verso altri Stati membri dell’UE. Parallelamente l’UE
sta cercando di spostare la pressione migratoria fuori dalla propria area.

Nell’ordinamento italiano, la domanda dell’interessato volta ad ottenere il riconoscimento dello status di


rifugiato è esaminata prima in sede amministrativa ad opera di apposite Commissioni territoriali. In caso di
diniego, è ammesso il ricorso al giudice civile.
Lo status di rifugiato viene concesso dal paese ospitante secondo criteri solo in parte omogenei tra gli Stati
parti della Convenzione di Ginevra.

L’attribuzione dello status di rifugiato dà luogo ad un regime specifico di protezione internazionale che
permette all’interessato di essere parificato al cittadino del paese di rifugio, con l’ulteriore garanzia di non
poter essere né espulso né sottoposto al servizio di leva obbligatorio almeno fintanto non abbia acquisito la
cittadinanza del paese di rifugio.

L’UE impone inoltre agli altri Stati membri di applicare un regime di protezione sussidiaria per chi, pur non
rientrando nella categoria di rifugiato, si troverebbe ugualmente esposto al “rischio effettivo di subire un
grave danno”.
L’UE prevede altresì un regime di protezione temporanea consentendo agli interessati di beneficiare del
regime di libera circolazione delle persone nell’ambito UE.

Di fronte al rifugiato “di fatto”, che sfugge dai luoghi di conflitti armati cercando ospitalità in paesi limitrofi,
il Consiglio di sicurezza ha configurato la responsabilità primaria degli Stati ospitanti si assicurare una
condizione di accoglienza umanitaria in campi appositamente predisposti e nel rispetto di alcune garanzie
fondamentali a tutela dei diritti umani.

La sovranità dello Stato implica il suo diritto all’espulsione di stranieri che non siano oggetti di protezione
internazionale come i rifugiati. Inoltre, lo Stato esercita anche il refoulement vale a dire il diritto di
respingimento “alla frontiera” di colui che mai ha fatto materiale ingresso nello Stato.

Lo Stato non può procedere al respingimento se ciò contrasta con obblighi internazionali a tutela della
mobilità delle persone. Il principio di non-refoulement si estende a tutti gli spazi di giurisdizione statale per
assicurare il diritto dell’asilante a chiedere lo status di rifugiato o il diritto dello straniero al
ricongiungimento familiare.

Lo Stato che adotti il provvedimento di espulsione deve preventivamente valutare se lo straniero rischi di
subire nel paese di destinazione tortura, trattamenti inumani o degradanti.

È vietata la “consegna straordinaria”, vale a dire la prassi di arrestare e trasferire con la forza in un paese
straniero una persona sospettata di terrorismo, senza alcuna preventiva verifica giurisdizionale anche sul
rischio che venga sottoposto a tortura o alla pena di morte.

Nel diritto internazionale generale, non esiste una regola puntuale che vieti l’espulsione collettiva di
stranieri: di fronte alle immigrazioni di massa irregolari e clandestine, gli Stati europei hanno talora
proceduto a blocchi consistenti di “espulsioni individuali”.

14. Il trattamento dei beni dello straniero

Document shared on https://www.docsity.com/it/diritto-internazionale-principi-e-norme-di-francesco-salerno/5739003/


Downloaded by: jacopo-brigantini (jacopo.brigantini@gmail.com)
Tanto il cittadino che lo straniero si trovano nella condizione di svolgere attività economica nello Stato o di
possedervi dei beni. Il diritto internazionale impone il rispetto dovuto alla persona dello straniero e dei suoi
beni.

La posizione dell’investitore straniero ha determinato specifici vincoli pattizi per lo Stato territoriale. Con la
formula della “nazione favorita” lo Stato si impegna a trattare lo straniero applicando il regime più
favorevole praticato nei confronti di uno Stato terzo. Lo Stato territoriale si può altresì obbligare ad
accordare allo straniero il trattamento nazionale vale a dire le stesse condizioni riconosciute ad un proprio
cittadino.
Lo Stato territoriale si è in altre circostanze obbligato a riconoscere allo straniero la reciprocità di
trattamento, e cioè la stessa condizione principalmente legislativa che lo Stato di appartenenza del privato
riserva al cittadino del primo Stato in una fattispecie identica. Tuttavia, non garantisce agli stranieri gli stessi
diritti economici che lo Stato territoriale riconosce ai propri cittadini.

Le maggiori problematiche in tema di trattamento economico dei beni dello straniero si sono poste in
relazione alla loro espropriazione per motivi di nazionalizzazione.
Le controversie internazionali di maggior rilievo attengono all’indennizzo da liquidare al privato straniero
investitore per compensarlo all’atto espropriativo.

Formula Hull: prevedeva un indennizzo pronto, adeguato ed effettivo. Il risarcimento doveva essere:

- Senza dilazioni temporali


- Commisurato nell’ammontare al valore di mercato del bene espropriato
- Corrisposto in una valuta controvertibile sul mercato monetario internazionale

Poi, vennero fatti degli accordi bilaterali denominati lump-sum agreements, nei quali lo Stato territoriale
conveniva con un paese esportatore l’indennizzo globale corrisposto per il totale dei beni espropriati agli
stranieri di quel paese, rimettendo alle sue autorità competenti la ripartizione della somma forfettaria tra
tutti i privati interessati.

15. L’esercizio della protezione diplomatica

La forma internazionale di protezione di interessi privati sul piano internazionale è costituita dalla
protezione diplomatica. L’Istituto, sul quale nel 2006 veniva adottato un progetto di articoli, da lava sul
legame del privato con il suo Stato di nazionalità.

E ‘progressivamente cambiata la natura della protezione diplomatica che oggi si estende anche alla tutela
dei diritti umani. Si è infatti ritenuto che lo Stato di nazionalità altro non faccia che “adottare la causa” dei
privati, per far valere il presunto illecito commesso a loro danno e quindi pretendere la dovuta riparazione.

Poiché l’iniziativa dello Stato per il rispetto della norma internazionale è normalmente non dovuta, anche
l’esercizio della protezione diplomatica è facoltativo, a meno che non sovvengano specifici obblighi. Lo
Stato territoriale non dovrebbe ostacolare l’iniziativa del privato che solleciti la protezione del proprio
Stato.

E ‘possibile che lo Stato di nazionalità del privato avvalli la transazione che quest’ultimo abbia
eventualmente concluso con lo Stato estero.

Document shared on https://www.docsity.com/it/diritto-internazionale-principi-e-norme-di-francesco-salerno/5739003/


Downloaded by: jacopo-brigantini (jacopo.brigantini@gmail.com)
Solo lo Stato di nazionalità può rinunciare all’iniziativa di protezione diplomatica in considerazione
dell’opportunità per il privato di utilizzare strumenti di soluzione delle controversie offerti dal diritto
internazionale.

La facoltà dello Stato di nazionalità di agire a protezione di interessi privati non è condizionata
dall’eventuale rinuncia del privato a sollecitarla, includendo un’apposita clausola nei contratti di
investimento da lui conclusi con lo Stato estero (“clausola Calvo”).

Si è invece inizialmente osservato che, per quanto il diritto internazionale generale contemporaneo valorizzi
gli interessi dei privati, questi possono assumere direttamente la tutela dei propri interessi sul piano
internazionale solo a seguito di specifiche aperture degli Stati, enti di base del diritto internazionale.

Per rafforzare il rispetto delle norme internazionali a tutela dei privati, si sono gradualmente allentati i
criteri inerenti al legame di nazionalità.
Nella sua configurazione attuale la protezione diplomatica può essere esercitata anche dallo Stato di cui il
privato abbia la cittadinanza o la nazionalità successivamente al verificarsi dell’illecito se egli abbia perso
quella precedente.
La tutela può altresì essere esercitata a tutela dell’apolide o del rifugiato da parte dello Stato in cui quello
risiede abitualmente ed a titolo legittimo.
Per le persone fisiche o giuridiche residenti nei territori sottoposti ad amministrazione internazionale spetta
all’autorità amministrante esercitare il relativo diritto di protezione diplomatica.

In presenza di legami di cittadinanza del singolo individuo con più Stati, ognuno di essi potrebbe
validamente agire a titolo di protezione diplomatica.
Meno agevole è definire il criterio di coordinamento della protezione diplomatica esercitata da più Stati,
che avanzino pretese di contenuto divergente nei confronti dello stesso Stato terzo (“competing claims”).

Per comporre i conflitti tra più Stati intenti ad esercitare la protezione diplomatica derivanti dalla
cittadinanza plurima di un individuo, andrebbe privilegiato il legame di cittadinanza maggiormente
significativo in ragione della quantità e qualità dei contatti dell’individuo con un dato ordinamento statale.

16. Sviluppo della cooperazione giudiziaria internazionale

L’esercizio della giurisdizione civile e penale è una manifestazione tipica della sovranità dello Stato.

Nel diritto internazionale generale vige il regime di libertà riguardo l’ambito di procedibilità in giudizio. Lo
Stato esercita pertanto la propria giurisdizione stabilendo in modo autonomo le circostanze di
collegamento con il foro, valorizzando talora la sola nazionalità di una delle parti del processo anche se la
situazione presenta contatti molto più significativi con altri Stati, specie dal punto di vista dei legami
territoriali.
Tale inclinazione espande l’attività dello Stato nel processo di cognizione civile o penale, pur se foriera di
conflitti positivi di giurisdizione con altri Stati.

Nell’ambito di un regime di libertà e di concorso tra giurisdizioni, uno Stato non può impedire il giudizio di
un altro Stato sulla medesima fattispecie ma può disporre limiti nel proprio ordinamento all’efficacia di
sentenze straniere. Per tale motivo, è inperante il principio del ne bis in idem (“non due volte per la
medesima cosa”), a meno che non sovvengano specifici obblighi pattizi o dell’UE.

Nella Convenzione di Vienna sulle relazioni consolari del 1963, lo Stato in cui si svolge il processo penale nei
confronti di un imputato straniero deve avvertire le autorità consolari dello Stato di cittadinanza

Document shared on https://www.docsity.com/it/diritto-internazionale-principi-e-norme-di-francesco-salerno/5739003/


Downloaded by: jacopo-brigantini (jacopo.brigantini@gmail.com)
dell’imputato per consentire loro di svolgere l’opportuna assistenza processuale al proprio cittadino.

Per rispondere a queste esigenze di “assistenza giudiziaria internazionale” sussistono i canali tradizionali
degli organi diplomatici e consolari dello Stato.

Nel diritto contemporaneo, si favoriscono forme dirette di cooperazione giudiziaria internazionale in


materia civile e penale tra autorità giudiziaria di Stati diversi.
Il quadro di cooperazione include l’obbligo per gli Stati di procedere al trasferimento dell’imputato
sottoposto a giudizio in altro Stato parte attraverso la procedura di estradizione.
Le modalità materiali dell’estradizione vengono normalmente stabilite tra le parti in via amministrativa.

Lo Stato richiedente può giudicare la persona consegnata solo limitatamente al reato per il quale sia stata
invocata ed ottenuta l’estradizione (principio di specialità), a meno che non sovvenga un ulteriore
consenso della parte richiesta nel senso di poter estendere la sfera di giurisdizione penale all’imputato
estradato.

L’esecuzione dell’estradizione deve commisurarsi con gli obblighi maggiormente precettivi dello Stato
richiesto in tema di rispetto delle garanzie processuali fondamentali e di divieto di tortura.

Va perciò esclusa l’estradizione verso paesi in cui la situazione carceraria si basa su “atti persecutori per
motivi di razza, religione…” o a trattamenti crudeli e degradanti. Per i paesi aderenti ai Protocolli n.6 e n.13
della CEDU si aggiunge l’ulteriore limitazione che l’estradato non debba essere sottoposto a pena di morte.
Un maggior grado di reciproca fiducia coadiuva la cooperazione giudiziaria in materia penale tra i paesi
membri dell’UE. Lo dimostra in particolare la procedura del mandato d’arresto europeo che comporta
forme semplificate di consegna della persona direttamente ad opera dell’autorità giudiziaria dello Stato
richiesto.

La cooperazione giudiziaria internazionale investe altresì specifici atti processuali – quali la notifica di atti
processuali o l’assunzione di prove – e la stessa esecuzione delle sentenze civili e penali di altri
provvedimenti decisori.

Per un maggior rispetto della persona umana sottoposta a detenzione, è possibile il trasferimento della
persona condannata in un altro Stato. Al fine di facilitarne la reintegrazione, la Convenzione di Strasburgo
del 1983 sul trasferimento di persone condannate, consente loro di esprimere volontariamente la richiesta
di scontare la pena detentiva nello Stato di cittadinanza previa intesa tra quest’ultimo e lo Stato di
condanna.

17. La cooperazione internazionale nella repressione dei crimini internazionali di individui

Lo sviluppo della cooperazione internazionale giudiziaria in materia penale è funzionale alla progressiva
convergenza di Stati ed organizzazioni internazionali intorno ad obiettivi comuni di difesa sociale
internazionale.

Con norme penali uniformi gli Stati si dotano di strumenti idonei a fronteggiare fenomeni criminali di
dimensioni più ampie di quelle nazionali.
È su questa base che si fonda la nota categoria dei crimini internazionali di individui, la cui repressione è in
ogni caso dovuta e non conosce termini di decadenza attesa la natura imprescrittibile di questi crimini nel
diritto internazionale generale.

Document shared on https://www.docsity.com/it/diritto-internazionale-principi-e-norme-di-francesco-salerno/5739003/


Downloaded by: jacopo-brigantini (jacopo.brigantini@gmail.com)
Secondo la formula aut dedere aut judicare (“o estrarre o punire”), gli Stati che hanno in consegna
materialmente i presunti responsabili dei crimini sono obbligati a giudicarli oppure a estradarli verso Stati
che ne facciano richiesta.

In particolare, nello Statuto della Corte penale internazionale compaiono: il crimine di aggressione, il
crimine di genocidio, vari crimini contro l’umanità ed infine i crimini di guerra. Le prime tre categorie
criminose devono sempre essere riconducibili ad un’azione pianificata su vasta scala; mentre i crimini di
guerra possono anche riguardare azioni isolate.

Difatti, elemento distintivo e determinante della condotta criminale è la mens rea (“mente colpevole”),
comprensiva sia dell’intenzionalità che della colpevolezza “cosciente”.

La correlazione tra crimine internazionale dell’individuo e la sua qualità di organo dello Stato cui ricondurre
l’illecito internazionale è quasi sempre implicita in relazione alla natura pianificata del crimine.
Ma va tenuta ferma la distinzione tra i due livelli di responsabilità:

- La responsabilità individuale: evoca le norme di diritto internazionale penale per la repressione del
crimine
- La responsabilità internazionale deli Stati: le norme regolano l’attribuzione dell’illecito allo Stato
derivante dalla condotta di quell’individuo.

Tra le maggiori lotte portate avanti dalla società internazionale si ricordano quella alla tratta di esseri
umani e l’impegno a contrastare il “terrorismo internazionale”, posto in essere da formazioni private
sganciate da ogni legame con uno Stato.

La Convenzione della Nazioni Unite del 1999 considera un reato di terrorismo qualsiasi atto diretto contro
civili con lo scopo di intimidire la popolazione o condizionare la condotta di Stati e organizzazioni
internazionali.
Il Consiglio di sicurezza ha ritenuto che “un atto terroristico contro un paese riguarda la comunità
internazionale nel suo insieme”.

Sussiste nel diritto internazionale generale la facoltà per ogni Stato di esercitare la propria giurisdizione al
fine di giudicare e punire un individuo responsabile di un crimine internazionale.

Il principio della giurisdizione penale universale è sancito nelle 4 Convenzioni di Ginevra del 1949 che
obbligano gli Stati parti a giudicare e punire le violazioni gravi del diritto internazionale umanitario
applicabile a conflitti armati anche se l’individuo sia organo di uno Stato.

Vige nel diritto internazionale generale l’obbligo degli Stati di cooperare nelle repressioni di crimini
internazionali di individui pertanto, nell’esecuzione delle relative pene.
Nella prassi internazionale, se non sovvengono vincoli specifici, sembra consentita la possibilità di
concedere la grazia a favore di chi sia stato definitivamente condannato per crimini internazionali. Vi sono
tuttavia obblighi internazionali che ostano l’estradizione di un individuo accusato di un crimine
internazionale.

In ogni caso, nella prassi, è visibile la resistenza a flettere, anche in presenza di crimini internazionali, il
regime di immunità personale dalla giurisdizione penale per individui-organi particolarmente qualificati.

L’indirizzo limitativo del giudice internazionale riflette l’idea che l’immunità personale di organi

Document shared on https://www.docsity.com/it/diritto-internazionale-principi-e-norme-di-francesco-salerno/5739003/


Downloaded by: jacopo-brigantini (jacopo.brigantini@gmail.com)
costituzionalmente qualificati dello Stato estero debba sempre essere sorretta dalla regola par in parem
non habet iurisdictionem (non si ha giurisdizione tra eguali), a protezione degli interessi statuali che vi
sottostanno.
Tuttavia, questa perdurante concezione “interstatuale” del diritto internazionale entra in conflitto con la
sollecitazione espressa dallo stesso diritto internazionale di assicurare l’effettivo rispetto di norme
imperative attraverso un’adeguata azione punitiva dell’individuo-organo.

18. La giurisdizione penale internazionale

L’istituzione della giurisdizione penale si è gradualmente perfezionata a partire dalla seconda metà del
Novecento grazie al Tribunale di Norimberga per i grandi criminali nazisti.
Era composto dalle grandi potenze alleate e non avrebbe giudicato i crimini di guerra commessi la dolo
individui-organi come innegabilmente era avvenuto.

Il tribunale di Norimberga “squarcia” per la prima volta il velo della sovranità statale per consentire ad una
giurisdizione internazionale di giudicare direttamente la condotta di individui sottraendola a quella degli
Stati.

A differenza dei Tribunali istituiti direttamente dal Consiglio di sicurezza, le altre formule giurisdizionali
assumono comunemente la qualifica di “Tribunali ibridi” perché questi hanno una composizione
parzialmente nazionale che si coniuga variamente con il coinvolgimento dell’ONU o di organizzazioni
regionali nella costituzione e nel funzionamento dell’organismo.
Ma si devono distinguere i Tribunali “organizzati” secondo il diritto nazionale sia pure operanti con regole
“speciali”, dai Tribunali che invece possiedono lo “status di organizzazione internazionale” o sono derivati
da questa.

Il fatto di gran lunga più significativo è l’istituzione della Corte penale internazionale, entrata in vigore nel
2002. La Corte costituisce una vera e propria organizzazione internazionale.
Si compone di 18 giudici eletti dall’assemblea degli Stati parti dello Statuto ed ha una struttura organizzata
in più organi.
Lo Statuto della Corte delinea un modello di giurisdizione penale internazionale virtualmente universale.

La competenza materiale della Corte sussiste per giudicare e punire crimini di genocidio, contro l’umanità
e di guerra, in quanto caratterizzati da un’azione pianificata.
Con la sola eccezione dei minori di 18 anni, la competenza della Corte rationae personae opera rispetto a
cittadini di Stati parti dello Statuto, ovvero a crimini perpetrati da cittadini di Stati terzi nel territorio di
quegli Stati.

Il legame di cittadinanza o territoriale opera anche per Stati che, pur non avendo aderito allo Statuto,
accettino a compenza della Corte rispetto ad una determinata situazione.
La competenza territoriale della Corte si estende a situazioni che interessano Stati terzi se la sua azione sia
richiesta da una decisione del Consiglio di sicurezza.

Document shared on https://www.docsity.com/it/diritto-internazionale-principi-e-norme-di-francesco-salerno/5739003/


Downloaded by: jacopo-brigantini (jacopo.brigantini@gmail.com)
In considerazione della natura dei crimini, la persona accusata è normalmente un individuo-organo di Stato,
anche se per talune fattispecie tale qualifica non è necessaria.
Nel primo caso, l’avvio del procedimento non trova ostacolo nell’immunità funzionale dell’individuo, o
anche nell’immunità personale per l’individuo che ricopra funzioni costituzionalmente qualificate.

Tuttavia, a norma dell’art. 16 dello Statuto, questa è tenuta a congelare tanto l’inizio che la prosecuzione
della propria attività se una richiesta sia formulata dal Consiglio di sicurezza.

Ai sensi dell’art. 11 dello Statuto, la competenza ratione temporalis della Corte penale internazionale
riguarda crimini commessi dopo l’entrata in vigore del relativo Statuto.

La Corte non può conoscere crimini internazionali di individui precedenti alla data in cui sussiste la
competenza ratione temporis, anche se resta impregiudicato l’esercizio della giurisdizione penale da parte
degli Stati in considerazione del loro carattere imprescrittibile in base al diritto internazionale generale.
In base allo Statuo, l’attivazione della Corte penale internazionale nel caso concreto avviene su iniziativa
del Procuratore, il quale agisce d’ufficio oppure su segnalazione di uno Stato membro.
L’indagine è aperta da quest’ultimo se vi è “l’interesse della giustizia” in tal senso.
Il procedimento istruttorio della Corte inizia con l’autorizzazione della camera di primo grado che la rilascia
al termine di una procedura sommaria alla quale partecipano anche le vittime del crimine. Gli Stati devono
cooperare con la Corte per assicurare la necessaria assunzione di prove, la cattura e la consegna di persone
indiziate, la protezione dei testimoni e l’esecuzione delle sentenze di condanna.

Il sistema penale internazionale si svolge attraverso un sistema di garanzie previste dallo Statuto a grosso
modo “equivalente” a quelle proprie del giusto processo. A garanzia dell’imputato, questi deve essere in
ogni caso presente, escludendo così una condona in contumacia.

Lo Statuto fissa generalmente la condanna con un massimo di detenzione fino a 30 anni, con l’eventualità
dell’ergastolo in casi del tutto eccezionali.

Il principio di complementarietà (o sussidiarietà) prevede che è competenza della Corte quando si


verificano queste circostanze:

a) La condotta statale non è idonea ad assicurare la punizione del crimine


b) La giurisdizione nazionale pecchi di imparzialità e indipendenza
c) Il procedimento nazionale non sia stato esperito in modo diligente o è espletato al fine di sottrarre
l’accusato all’accertamento della sua responsabilità criminale internazionale

La prospettiva di una valutazione negativa da parte della Corte può costituire uno stimolo per lo Stato
interessato a migliorare i meccanismi normativi ed organizzativi nazionali che gli evitino la sottrazione di
competenza.

La condizione di complementarietà non viene meno neppure se sia lo stesso Stato nel cui territorio
verificata una situazione criminosa a sollecitare l’azione penale della Corte dovendo questa comunque
valutare che la questione, oltre a rientrare nella propria competenza ratione personae e ratione materia,
presenti le caratteristiche richieste per l’esercizio della giurisdizione penale internazionale.

Quando la giurisdizione internazionale esercita la propria competenza, il giudice nazionale deve declinare la
competenza nell’eventuale procedimento penale pendente nel foro sullo stesso reato e conformarsi in ogni
caso all’esito del processo penale internazionale.

Document shared on https://www.docsity.com/it/diritto-internazionale-principi-e-norme-di-francesco-salerno/5739003/


Downloaded by: jacopo-brigantini (jacopo.brigantini@gmail.com)
Inoltre, la Corte penale internazionale può anche condannare l’imputato al pagamento di una riparazione
delle vittime del crimine, oppure, sono possibili misure cautelari, quale il sequestro conservativo di beni
degli imputati nell’interesse delle vittime.

19. La cooperazione per lo sviluppo sostenibile

La cooperazione tra Stati è anche indirizzata a definire obblighi unitari in tema di sfruttamento ed utilizzo
delle risorse naturali ed economiche.
Gli obblighi ci cooperazione tra Stati si manifestano soprattutto nell’utilizzo di risorse limitate, come il
“diritto dell’acqua”.
Certo è che il “valore” dell’acqua assume valenza oggettiva quando la risorsa sia obiettivamente da
condividere tra più Stati.
Sovente sorgono controversie sullo sfruttamento delle acque dolci del suolo e del sottosuolo a seguito di
decisioni unilaterali prese dal singolo paese e suscettibili di ripercussioni su Stati che attingono alla
medesima risorsa fluviale o ad un bacino affine.

Il principio genere di buon vicinato tra Stati limitrofi esclude l’abuso di diritto. Sovviene infatti il principio di
buona fede che impone al singolo Stato l’utilizzo di risorse d’acqua comuni proporzionato alle esigenze.

Un approccio del genere si richiede a livello globale per il carattere concettualmente limitato delle risorse
del pianeta e l’esigenza di preservarne l’equilibrio ambientale.
Si è così affermato in diritto internazionale il principio dello “sviluppo sostenibile”, sancito tanto in atti di
soft law che in trattati internazionali come l’Accordo di Parigi sul clima del 2016.

20. La cooperazione commerciale internazionale

La facoltà di uno Stato di utilizzare le proprie risorse naturali è commisurata alle sue legittime esigenze di
sviluppo. Nel diritto internazionale contemporaneo sussiste un obbligo solidale di Stati ricchi verso Stati
economicamente svantaggiati.

Nella fase attuale è fortemente in auge il principio “liberalista” del commercio internazionale. L’obbligo di
apertura dei mercati nazionali tuttora non è indiscriminato, dal momento che il Trattato dell’OMC
(Organizzazione Mondiale del Commercio) contiene la clausola di abilitazione che consente formule
preferenziali di commercio per favorire le esportazioni da parte dei paesi in via di sviluppo sganciate da
rigidi parametri di reciprocità.

La stessa normativa dell’OMC deve flettersi a norme internazionali che impongono limiti al libero
commercio di determinati beni. È di natura imperativa la norma che vieta la tratta di esseri umani, limita
l’esportazione e l’impostazione nell’UE di strumenti di tortura.

Il Trattato OMC è altresì subordinato agli obblighi di divieto o limitazione del commercio imposti in
osservanza di interessi generali, come il Trattato sulla non proliferazione delle armi nucleari, specie animali
in via d’estinzione, sugli stupefacenti, sul “commercio” di opere d’arte.

L’art.XX dell’Accordo GATT consente di limitare gli obblighi se la produzione del bene importabile abbia
violato le regole sul divieto di lavoro forzato.

Document shared on https://www.docsity.com/it/diritto-internazionale-principi-e-norme-di-francesco-salerno/5739003/


Downloaded by: jacopo-brigantini (jacopo.brigantini@gmail.com)
Capitolo 8: L’attuazione del diritto internazionale nell’ordinamento italiano
1. Diritto internazionale e diritto interno tra monismo e dualismo

Dottrina monista: il cui maggior contributo è stato fornito da Hans Kelsen, afferma che il diritto
internazionale e i diritti nazionali degli stati debbano essere riportati ad un sistema unitario di norme e che
quindi, il diritto interno trovi il suo fondamento nel diritto internazionale.

Dottrina dualista: considera il diritto interno ed il diritto internazionale come due ordinamenti giuridici
autonomi, distinti e separati proprio in virtù del fatto che diversa è la loro volontà: rispettivamente volontà
dello Stato e volontà della Comunità Internazionale, e diversa è la specie dei rapporti da essi disciplinati:
uno regola i rapporti interni allo Stato, e l’altro i rapporti tra Stati.

Nell’esperienza giuridica reale non si rinviene una costruzione piramidale ed unitaria delle fonti, con vertice
quelle internazionali e alla base quelle nazionali. Ma è pure un dato reale difficilmente confutabile
l’interferenza crescente del diritto internazionale sul diritto interno.
Una tale superiorità va quindi ricostruita nel rispetto dello Stato costituzionale moderno: un ente che trae
la propria legittimità da un testo fondamentale – la costituzione – non piò essere giuridicamente
subordinato ad un ente estraneo.

Il compromesso è stato cercato inserendo nelle carte costituzionali una garanzia formale che assicuri il
rispetto del diritto internazionale.

Alcuni sistemi assicurano piena e diretta continuità regolatoria al diritto internazionale secondo la classica
formula di common law “international law is a part of the law of the land”.
Altri sistemi costituzionali fanno dipendere l’efficacia del diritto internazionale al suo inquadramento
formale nel diritto interno in coerenza con la dottrina positivista più esasperata assertrice del monopolio
statale di del diritto.
In Italia è inizialmente prevalsa la seconda soluzione in base alla concezione dualista dei rapporti tra
ordinamenti.
>Ma trovare dei meccanismi per metterli d’accordo?
Esistono due macro categorie:

1. Meccanismo ordinatorio d’adattamento per riformulazione


2. Meccanismo d’adattamento per rinvio

Document shared on https://www.docsity.com/it/diritto-internazionale-principi-e-norme-di-francesco-salerno/5739003/


Downloaded by: jacopo-brigantini (jacopo.brigantini@gmail.com)
1. Con il meccanismo d’adattamento per riformulazione, le norme interne mirano a riprodurre quelle
internazionali.
Vantaggio→ è più semplice da comprendere per chi non h dimestichezza con il diritto internazionale
Svantaggio→ si potrebbe errare, ovvero applicare una legge che si pensa appartenga al diritto
internazionale ed invece non lo è o è diversa.
Norme non extecuting: norme che non possono avere applicazione immediata poiché serve
dell’integrazione

2. Con il meccanismo d’adattamenti per rinvio, la norma non viene riformulata ad opera del legislatore.
Vantaggio→ se io obbligo a rispettare il diritto internazionale sarà più facile cadere in errore
Svantaggio→ …

Per i trattati si fa uso dell’ordine di esecuzione, contenuto in un apposito atto normativo che vincola
l’operatore giuridico ed in specie il giudice a dare “piena esecuzione” ad un determinato strumento pattizio.

La dottrina dualista tradizionale ritiene che l’ordine di esecuzione avrebbe la funzione di ri-produrre le
norme giuridiche internazionali nell’ordinamento interno, attraverso il rinvio ricettizio alle stesse e quindi la
loro formale incorporazione nel diritto interno. Per coerenza con essa, l’ordine di esecuzione al trattato
odveva essere emanato con un atto che fosse idoneo ad integrare o modificsre normativa preesistente.

Un altro procedimento speciale venne configurato per le norme consuetudinarie generalmente


riconosciute. Pur mancando nel sistema statuario una regola che le richiamasse, si sostenne l’esistenza
nell’ordinamento italiano di una norma implicita tesa ad assicurare in “blocco” la loro attuazione con
norme interne di adeguamento.

2. La variegata scelta dualista del Costituente

L’attuale art.10 comma 1 della Cost. prescrive che l’ordinamento giuridico italiano “si conforma”
automaticamente alle sole norme di diritto internazionale generalmente riconosciute. Questa regola non
solo sugella a livello costituzionale il “principio conformativo” ma impone che la norma di diritto
internazionale generale si accosti (ma non di certo si sostituisca) a quella di “adattamento”.

Il modo radicale con cui si manifesta nell’art.10 la dottrina dualista era ben consono ad una idea di
Costituzione quale espressione assorbente della sovranità dello Stato, e dunque rinnovata norma-base
dell’ordinamento statale. Ma, a fianco a questa indicazione, il Costituente ne dette altre che rendono più
articolato il quadro normativo originario della Costituzione in materia di attuazione del diritto
internazionale.

L’art.11 della Cost. si discosta dal modello dualista tradizionale là dove consente, in condizioni di parità con
altri Stati, limitazioni di sovranità necessarie ad un “ordinamento” che assicuri la pace e la giustizia fra le
nazioni.
Tale articolo si è fatto formalmente richiamo con riguardo al processo di integrazione comunitaria e
dell’UE. La Corte costituzionale ha riconosciuto che, “con l’adesione ai Trattati comunitari, l’Italia è entrata
a far parte di un “ordinamento” più ampio, di natura sopranazionale, cedendo parte della sua sovranità,
anche in riferimento al potere legislativo, nelle materie oggetto dei Trattati medesimi.

Document shared on https://www.docsity.com/it/diritto-internazionale-principi-e-norme-di-francesco-salerno/5739003/


Downloaded by: jacopo-brigantini (jacopo.brigantini@gmail.com)
Come avviene in relazione all’ordinamento dell’UE, la garanzia costituzionale dell’art.11 comprende ogni
altro effetto obbligatorio derivante dall’appartenenza dello Stato italiano all’ONU, compreso il vincolo
all’osservanza delle sentenze pronunciate della Corte internazionale di giustizia e soprattutto delle
risoluzioni vincolanti del Consiglio di sicurezza.

La condizione di parità richiesta dall’art.11 Cost. concerne la posizione di uguaglianza formale dell’Italia con
altri Stati nel manifestare il consenso a vincolarsi ad un trattato da cui scaturisce la costituzione
dell’organizzazione internazionale, senza che a tal fine rilevino i differenti status dei paesi membri in seno
all’organizzazione ai sensi del suo trattato istitutivo.

Pur nel rispetto del carattere rigido della Costituzione, la Corte costituzionale ne ha più volte indicato una
interpretazione evolutiva, compresi i criteri da seguire nei rapporti tra diritto interno e diritto
internazionale.

La stessa giurisprudenza costituzionale ha adottato la dottrina dei “controlimiti”, per effetto della quale
l’attuazione del diritto dell’UE deve avvenire nel rispetto dei principi fondamentali della Costituzione

Per la Corte costituzionale non può ancora asserirsi la piena integrazione tra l’ordinamento statale e
ordinamento dell’UE, che possono tuttora “configurarsi come sistemi giuridici autonomi e distinti”.

3. L’evoluzione e favore del vincolo costituzionale al rispetto degli obblighi internazionali

Il superamento di quella concezione avviene di pari passo con la progressiva affermazione dell’ordinamento
costituzionale italiano di un principio generale di coerenza del diritto interno al diritto internazionale.

Con l’entrata in vigore della Costituzione repubblicana il limite costituzionale del rispetto degli obblighi
internazionali si manifesta in modo netto nei riguardi del podestà legislativa delle Regioni non solo
concorrente ma anche di natura esclusiva.

Ma ancora più significativa è stata la graduale affermazione di un vincolo costituzionalmente rilevante per
gli organi statali al rispetto degli obblighi internazionali. Tale indirizzo passa attraverso una esplicita
attrazione dell’ordine di esecuzione del trattato nel regime costituzionale della legge di autorizzazione
alla ratifica. L’ipotesi da considerare con più attenzione è che il trattato incida su leggi ordinarie. Per prassi,
il Parlamento adotta un unico atto legislativo di analogo grado sia per dare la previa autorizzazione alla
ratifica del trattato sia per formulare l’ordine di esecuzione.

Sempre per far valere direttamente il rispetto degli obblighi internazionali, la Corte costituzionale impone
l’inammissibilità del referendum abrogativo rispetto all’ordine di esecuzione e più in generale a leggi di
attuazione di trattati internazionali, facendo valere il limite previsto dalla Costituzione per il referendum
abrogativo su leggi di autorizzazione alla ratifica.

La clausola generalizzata di rispetto degli obblighi internazionali è stata introdotta nell’art.117, pr.1, Cost.
novellato che dice che “La podestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della
Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali”.

La nuova concezione neo-dualista della Costituzione ha il vantaggio di rendere efficace l’obbligo


internazionale nell’ordinamento d’origine. Nell’ordinamento internazionale contemporaneo, la tradizionale
configurazione di fonti pattizie reciprocamente derogabili va collocata all’interno di un sistema gerarchico
che vede al vertice un nucleo di norme imperative di portata universale che impongono obblighi erga
omens ed hanno natura inderogabile; vi sono poi obblighi erga omens che non hanno natura inderogabile

Document shared on https://www.docsity.com/it/diritto-internazionale-principi-e-norme-di-francesco-salerno/5739003/


Downloaded by: jacopo-brigantini (jacopo.brigantini@gmail.com)
nonché obblighi solidali tra Stati parti del trattato (erga omens partes) che possono avere valenza
inderogabile nei rapporti tra Stati parti come nel caso della CEDU.

- fonti primarie del diritto UE → trattati istitutivi, Carta dei diritti fondamentali, principi generali di diritto
dell’UE
- fonti intermedie→ diritto internazionale
- fonti secondarie→
-regolamenti: hanno portata generale e sono obbligatori in tutti i loro elementi e sono direttamente
applicabili a ciascuno stato membro. Non è necessario che il legislatore adotti una regola ad hoc
-decisioni: possono essere indirizzati a dei particolari membri e non alla generalità
-direttive: sono obblighi di risultato, ovvero che lasciano libero lo Stato su come metterlo in pratica,
decidendo però un termine

4. Coordinamento tra le diverse garanzie costituzionali di obblighi internazionali.

Sono possibili delle sovrapposizioni tra diverse garanzie costituzionali rispetto al medesimo obbligo
internazionale, enunciato in fonti diverse. In questa circostanza si deve ricorrere alla garanzia costituzionale
che offra il trattamento più favorevole rispetto al diritto internazionale.

Ipotesi 1: art. 10, 1 co. e art.117, 1 co.: primo art. conferisce rango costituzionale alle norme consuetudinarie,
il secondo art. assicura ai trattati il rango di norma interposta, subordinata quindi all’intera Costituzione. La
disarmonia va quindi risolta collocando la norma consuetudinaria codificata nell’art. 10, 1 co.

Ipotesi 2: disarmonia tra art. 117, 1 co. e art 11: si colloca la norma internazionale nell’art. 11, per dare sicuro
fondamento alla garanzia del diritto dell’UE nell’ordinamento italiano.

Nel caso di una discrasia tra garanzie costituzionali apprestata alla norma consuetudinaria che fissa l’obbligo
primario per lo Stato (art. 10, 1 co.) e la garanzia costituzionale che invece si attaglia alla norma terziaria che
sorregge la competenza del giudice internazionale o del tribunale arbitrale (art. 11 o art. 117, 1 co.).
In circostanze del genere non può operare il criterio del trattamento più favorevole. Andrebbe perciò seguito
il criterio secondo cui la garanzia costituzionale riferita ad uno specifico obbligo internazionale di natura
primaria comprende anche eventuali obblighi di natura secondaria o terziaria che vi siano correlati.

5. Il rinvio mobile al diritto internazionale generale riconosciuto in base all’art. 10, 1°comma, Cost

L’adattamento al diritto internazionale generale avviene in Italia a livello costituzionale.


Ad esso provvede infatti il 10.1 Cost., secondo cui “L’ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme
del diritto internazionale generalmente riconosciute”.

Dal punto di vista del diritto internazionale il rinvio all’interno dello Stato può avvenire con procedimento
ordinario (allorquando la norma internazionale non è direttamente applicabile) o speciale (nel caso di
norme self-executing).

L’art. 10 prevede un procedimento di adattamento speciale o mediante rinvio: il Costituente ha voluto con
esso rimettere in tutto e per tutto all’interprete interno la rilevazione e l’interpretazione delle norme
internazionali generali, limitandosi ad affermare la propria volontà che l’adattamento sia automatico, cioè
completo e continuo: le norme internazionali generali valgono all’interno dello Stato se e finché vigono
nell’ambito della comunità internazionale.

Per noi le norme generali si esauriscono nelle norme consuetudinarie, ivi compresa quella particolare
specie di norme consuetudinarie costituita dai principi generali di diritto riconosciuti dalle Nazioni civili; ma
molti scrittori autorevolmente sostengono l’esistenza di vari altri tipi di norme generali (principi,
Dichiarazioni dell’Assemblea dell’ONU, etc.).

Document shared on https://www.docsity.com/it/diritto-internazionale-principi-e-norme-di-francesco-salerno/5739003/


Downloaded by: jacopo-brigantini (jacopo.brigantini@gmail.com)
6. Il rinvio mobile ai trattati

L’adattamento alle norme pattizie internazionali avviene in Italia con un atto ad hoc relativo ad ogni singolo
trattato: tale atto è l’ordine di esecuzione del trattato, il quale è un procedimento speciale o di rinvio; esso
quindi rimette all’interprete interno la ricostruzione e l’interpretazione delle norme.

Il rinvio all’ordinamento di origine del trattato comporta l’utilizzo dei criteri di ermeneutica propri del diritto
internazionale: anche la corte costituzionale esclude espressamente che la norma pattizia possa essere
interpretata alla luce del diritto interno.

Document shared on https://www.docsity.com/it/diritto-internazionale-principi-e-norme-di-francesco-salerno/5739003/


Downloaded by: jacopo-brigantini (jacopo.brigantini@gmail.com)
La diretta ed automatica applicabilità delle norme internazionali riguarda la forza formale delle stesse, che
possono creare diritti ed obblighi all’interno del nostro Stato, indipendentemente da provvedimenti di
adattamento ad hoc.
Ciò non significa che tutte le norme siano direttamente, o meglio immediatamente applicabili (self-
executing) anche per quanto riguarda il loro contenuto.
Inoltre la natura self executing della singola norma pattizia può avere diversa portata secondo che
comprenda solo effetti verticali, cioè che influisca nei rapporti diretti tra Stato e privato, o anche effetti
orizzontali, cioè relativi ai rapporti interindividuali. Il giudice internazionale può procedere ad una
interpretazione di un dato trattato alla quale anche il giudice nazionale debba attenersi: ciò non costituisce
un’illegittima alterazione dei poteri costituzionali perché la decisione di autorizzare la ratifica di un trattato
implica anche quella di darvi applicazione nei termini di rinvio mobile al suo ordinamento di origine.

Il rinvio mobile investe le norme derivate dal trattato; nei termini in cui una norma comunitaria derivata è
immediatamente esecutiva se ne esclude la trasformazione in norma interna. Con le stesse considerazioni
opera il rinvio mobile ad altre fonti derivate da trattati, dal momento che la loro efficacia nell’ordinamento
interno discende dall’originaria determinazione dello stato di aderire a quel determinato strumento
pattizio. Il meccanismo del rinvio mobile investe anche la Carta dell’Onu e, in base all’articolo 25 della
Carta, gli Stati membri devono attuare le decisioni del consiglio di sicurezza se immediatamente esecutive.

Anche in tema di formule riparatorie a favore dei privati danneggiati dall’inadempimento statale di direttive
immediatamente applicabili, con la legge Pinto è stato disposto nell’ordinamento italiano un apposito
meccanismo processuale che dovrebbe assicurare il diritto alla riparazione. Le sentenze internazionali di
condanna alla riparazione in forma specifica si impongono allo stato anche in contrasto con una precedente
decisione nazionale.

7. La garanzia costituzionale sulle norme internazionali oggetto di rinvio mobile

Mentre le norme di diritto internazionale generalmente riconosciute hanno, con i dovuti limiti, idoneità ad
erogare alla costituzione ex articolo 10 Cost, i trattati internazionali e le relative norme derivate, per effetto
dell’articolo 11 Cost, si applicano per forza propria e la norma interna successiva e contraria al diritto
comunitario viene semplicemente disapplicata. Tuttavia la garanzia dell’articolo 11 non si traduce nella
costituzionalizzazione delle norme comunitarie derivate che non possono essere qualificate come atti
aventi valore costituzionale.

8. La sindacabilità dell’atto politico

L’atto politico dello Stato nell’ambito dei rapporti internazionali è insindacabile da parte del giudice
ordinario, quindi il potere esecutivo, che ha competenza in tema di politica estera, agisce con ampia
discrezionalità nelle relazioni internazionali. Tuttavia neppure l’atto politico può sfuggire ai parametri di
certezza del diritto, in virtù dell’articolo 113 cost. che assicura piena tutela giurisdizionale nei confronti
degli atti della pubblica amministrazione. Vi sono inoltre ipotesi in cui la stessa norma internazionale
richiede un’applicazione rigorosamente puntuale, tanto da non consentire allo Stato apprezzamenti
discrezionali neppure invocando scelte di politica estera (ad esempio le regole attinenti al diritto umanitario
applicabile ai conflitti armati).

Document shared on https://www.docsity.com/it/diritto-internazionale-principi-e-norme-di-francesco-salerno/5739003/


Downloaded by: jacopo-brigantini (jacopo.brigantini@gmail.com)
9. Il vincolo costituzionale nel senso dell’interpretazione conforme del diritto interno agli obblighi
internazionali

In passato la giurisprudenza italiana ha fatto ampiamente ricorso alla cosiddetta presunzione di conformità
del diritto interno agli obblighi internazionali, poiché si preferiva assegnare carattere speciale alle norme di
attuazione dei trattati per sottrarli ai meccanismi di successione delle norme ordinarie nel tempo. In
conseguenza del vincolo del rispetto degli obblighi internazionali, fra le varie interpretazioni possibili di
qualunque norma internazionale va privilegiata quella che la rende indenne dal vizio di illegittimità
costituzionale.

La coerenza del diritto interno può sopraggiungere anche attraverso la dottrina dell’effetto utile (si
applicano tra le diverse disposizioni solo quelle che favoriscono l’attuazione della norma internazionale) o
attraverso un’interpretazione della norma proveniente dal giudice internazionale. Naturalmente nessuna
interpretazione può spingersi contra legem quando lo stesso legislatore abbia inteso in termini
assolutamente tassativi il disposto normativo.

10. La necessaria coerenza del procedimento ordinario di attuazione degli obblighi internazionali rispetto
alle norme internazionali pertinenti

Nel caso del procedimento ordinario di adattamento, l’adattamento avviene mediante norme
(costituzionali, legislative, amministrative) che formalmente in nulla si distinguono dalle norme statali se
non per il motivo (occasio legis) per cui vengono emanate e che è appunto quello di creare delle regole
corrispondenti a determinate norme internazionali.
Nel caso del procedimento ordinario, se chi ha emanato la norma interna non ha esattamente interpretato
la norma internazionale da introdurre nell’ordinamento statale; se esso ha fatto riferimento a norme
internazionali giuridicamente inesistenti; se la norma internazionale si è estinta; tutto ciò non ha rilievo in
quanto l’interprete si trova sempre e soltanto di fronte ad una norma interna completamente formulata.

È anche vero però che il procedimento ordinario può rivelarsi preferibile, o addirittura indispensabile in
certi casi:
-esso è indispensabile allorquando la norma internazionale non è direttamente applicabile o, come si soul
dire, self-executing (con questa espressione ci si riferisce alle norme che richiedono necessariamente, per
essere applicate, un’attività integratrice da parte degli organi statali).
-esso è quasi sempre seguito e in attuazione di regole internazionali in materia penale: il principio
costituzionale di tassatività richiede la determinazione di una fattispecie penale incriminatrice in modo
puntuale.
Procedimento speciale e procedimento ordinario possono coesistere integrandosi a vicenda: ciò si verifica,
ad esempio, quando si dà l’ordine di esecuzione di un trattato e successivamente si provvede agli atti di
integrazione delle norme non self-executing contenute nel trattato medesimo.

11. Il riparto di competenze tra Stato e Regioni nell’attuazione di obblighi internazionali

Fino all’adozione della l. cost. 3/’01, era previsto che lo stato esercitasse le funzioni attinenti ai rapporti
internazionali e con la Comunità economica europea e che le regioni non potessero svolgere all’estero
attività promozionali relative alle materie di loro competenza se non previa intesa con il governo e
nell’ambito degli indirizzi e degli atti di coordinamento esercitati dallo stato. Fuori discussione rimaneva il
diritto delle regioni o di altri enti territoriali di svolgere attività di rilievo internazionale quando queste
fossero autorizzate da apposite leggi.

Document shared on https://www.docsity.com/it/diritto-internazionale-principi-e-norme-di-francesco-salerno/5739003/


Downloaded by: jacopo-brigantini (jacopo.brigantini@gmail.com)
Con le modifiche alla Costituzione introdotte dalla l. cost. 3/’01, sono elencate sedici materie per le quali la
legislazione è concorrente tra Stato e Regioni e che, tra l’altro, includono i rapporti internazionali e con
l’Unione Europea delle Regioni. In tali materie, spetta alle Regioni la potestà legislativa, salvo che per la
determinazione dei principi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato.

L’art. 117 Cost. prevede che, nelle materie di sua competenza, la Regione può concludere accordi con Stati
e intese con enti territoriali interni ad altro Stato, nei casi e con le forme disciplinati da leggi dello stato.

Alla competenza a stipulare si aggiunge una competenza esecutiva; le Regioni e le province autonome di
Trento e Bolzano, nelle materie di loro competenza, partecipano alle decisioni dirette alla formazione degli
atti normativi comunitari e provvedono all’attuazione e all’esecuzione degli accordi internazionali e degli
atti dell’Unione Europea, nel rispetto delle norme di procedura stabilite da legge dello Stato, che disciplina
le modalità di esercizio del potere sostitutivo in caso d’inadempienza.

La legge cui fa rinvio l’art. 117 Cost. è la l. 131/’03, che contiene un’apposita disposizione sull’attività
internazionale delle Regioni.

Delle tre diverse ipotesi previste in tale disposizione:

1. la prima riguarda l’esecuzione da parte delle regioni di trattati già in vigore per l’Italia.
2. La seconda ipotesi riguarda le intese delle regioni con enti territoriali interni a stati esteri.
3. La terza ipotesi riguarda la conclusione di trattati con stati esteri. Nella terza ipotesi il ruolo delle
regioni sul piano internazionale è in buona parte attenuato dal fatto che o stato è abilitato a
svolgere un certo controllo sull’operato delle regioni nel corso del negoziato e dal fatto che la firma
del trattato da esse negoziato è subordinata al conferimento di pieni poteri da parte dello stato.

La nuova versione dell’art. 117 Cost. non sembra derogare al disposto dell’art. 80 Cost., rimasto immutato,
e che, pertanto gli accordi esecutivi, applicativi, tecnico-amministrativi o programmatici conclusi dalle
Regioni non potrebbero mai cadere in una delle cinque categorie di trattati previste dall’art. 80 Cost.
A proposito dell’esecuzione dei trattati, l’art. 120 Cost., come modificato dalla l. cost. 3/’01, attribuisce allo
Stato un potere sostitutivo che può venire esercitato, anche al fine di evitare una responsabilità sul piano
internazionale, quando le Regioni non adempiano a obblighi di diritto internazionale.

12. L’attuazione diretta di norme internazionali del lavoro ad opera delle parti sociali

Quando l’attuazione di obblighi internazionali investe una materia che rientra nell’autonoma capacità di
regolamentazione dei privati, la loro sfera di autonomia, oltre ad essere costituzionalmente garantita è
anche tutelata a livello internazionale. Ciò si verifica nelle ipotesi di regolamentazione internazionale dei
rapporti di lavoro, che spetta alle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative e si concretizza
solitamente con l’uso della contrattazione collettiva; nonché nelle ipotesi riguardanti la normativa
comunitaria in materia sociale, rispetto alla quale l’ordinamento comunitario si allontana da una
concezione rigidamente normativistica del suo intervento.

13. L’integrazione in melius delle norme costituzionali in ragione della maggior tutela internazionale dei
diritti fondamentali

In osservanza del principio strutturale di tutelare al meglio possibile i diritti fondamentali dell’uomo, e
ammesso che la norma internazionale possa influenzare l’interpretazione delle singole prescrizioni

Document shared on https://www.docsity.com/it/diritto-internazionale-principi-e-norme-di-francesco-salerno/5739003/


Downloaded by: jacopo-brigantini (jacopo.brigantini@gmail.com)
costituzionali, quando le norme internazionali contengano previsioni a tutela dei diritti più favorevoli
rispetto a quelle della costituzione. Se così non fosse verrebbero violati gli stessi principi di uguaglianza e
ragionevolezza costituzionalmente sanciti.

14. Il limite dei principi fondamentali della Costituzione all’attuazione di norme internazionali generalmente
riconosciute

Le norme di diritto internazionale generalmente riconosciute non possono inficiare i principi fondamentali
della Costituzione.

È nota la dottrina dei “controlimiti”, per mezzo della quale la Corte costituzionale cerca di evitare che il
“nocciolo duro” della Costituzione venga ad essere leso da determinazioni estranee suscettibili di alterare i
connotati costituzionali essenziali quali definiti in modo autonomo dall’ordinamento italiano.
I principi fondamentali della Costituzione “hanno una valenza superiore rispetto alle altre norme o leggi di
rango costituzionale”.

15. Limiti costituzionali all’attuazione di trattati e norme derivate, in specie per rispetto dei diritti inviolabili
della persona umana

Il diritto interno garantisce l’attuazione degli obblighi internazionali posti da trattati se conformi alla
Costituzione.

Disattendendo il trattato o la singola disposizione pattizia, la Corte costituzionale mostra quanto sia forte la
gerarchia normativa tra Costituzione e trattato, facendo prevalere la prima anche a costo di determinare la
responsabilità internazionale dello Stato. Per evitare una soluzione così radicale, il giudice costituzionale
privilegia un’interpretazione del trattato meglio allineata a quella della Costituzione, se non addirittura una
“interpretazione costituzionalmente vincolata” del trattato.

Document shared on https://www.docsity.com/it/diritto-internazionale-principi-e-norme-di-francesco-salerno/5739003/


Downloaded by: jacopo-brigantini (jacopo.brigantini@gmail.com)
Capitolo 9: la responsabilità internazionale per illecito di Stati ed organizzazioni
internazionali

1. Regime generale e regimi speciali della responsabilità internazionale

La manifestazione più esplicita dell’autonomia ordinatoria di un sistema giuridico è la capacità che esso ha
di regolare la sua stessa fase patologica, ovvero quando le sue norme siano state violate.

Le regole pertinenti si ritrovano in larga parte nel Progetto di articoli sulla responsabilità degli Stati per
fatti illeciti internazionali approvato nel 2001 dalla Commissione del diritto internazionale.

La scelta di fondo è quella di regolare la responsabilità internazionale attraverso un complesso di norme


secondarie concernenti:
- i presupposti dell’illecito
- le circostanze esimenti dell’illecito
- le conseguenze giuridiche dell’illecito
- l’esercizio delle relative pretese inerenti alla riparazione a favore del soggetto leso

Le norme generali per la responsabilità delle organizzazioni internazionali sono state codificate in un
apposito Progetto di articoli, adottato nel 2011 dalla Commissione del diritto internazionale.

Qualunque norma in tema di responsabilità delle organizzazioni internazionali deve comunque


commisurarsi alla dimensione propria che di esse assume nell’ordinamento internazionale, atteso che la
loro soggettività dipende dalle competenze della singola organizzazione (principio di relatività).

Nella misura in cui siano destinatari di obblighi internazionali, le stesse regole valgono per il movimento
insurrezionale che abbia una propria capacità di governo effettivo sul territorio.

Document shared on https://www.docsity.com/it/diritto-internazionale-principi-e-norme-di-francesco-salerno/5739003/


Downloaded by: jacopo-brigantini (jacopo.brigantini@gmail.com)
L’art. 58 del Progetto del 2001 esclude dal suo campo di applicazione i comportamenti di privati posti in
violazione di obblighi internazionali. L’attuale stadio del diritto internazionale comprende taluni di questi
comportamenti nei crimini internazionali di individui, vale a dire crimine di aggressione, genocidio, contro
l’umanità o di guerra. Solitamente si tratta di condotte individuali poste in essere da persone che ricoprono
le qualità di organi dello Stato e quindi ne fanno emergere la responsabilità internazionale, rendendo
rilevante ai fini della relativa attribuzione l’accertata responsabilità penale dell’individuo-organo.

2. Presupposti oggettivi dell’illecito

Secondo l’art.2 del Progetto del 2001, la condotta di uno Stato è illecita se in violazione con un obbligo
internazionale.
Dal momento che è sufficiente la sola natura antigiuridica della condotta dello Stato, il fatto illecito si
connette sempre all’obbligo correlato che grava su un soggetto. In armonia con l’autonomia ordinatoria del
diritto internazionale, è questo che stabilisce presupposti e conseguenze dell’illecito.

In rapporto al contenuto della norma primaria violata, l’illecito può avere carattere commissivo o omissivo,
oppure risultante da una combinazione di omissione e commissione.
L’illecito viene commisurato alla natura dell’obbligo internazionale primario:

a) Nell’obbligo di risultato: la norma primaria indica l’obiettivo da raggiungere, lasciando libero lo


Stato o l’organizzazione internazionale sui mezzi per conseguirlo
b) Nell’obbligo di condotta: lo Stato o l’organizzazione internazionale sono tenuti a seguire un
comportamento di fare o di non fare che prescinde dal raggiungimento di un determinato risultato
c) Nell’obbligo di prevenzione: volto appunto ad evitare fatti illeciti da parte di soggetti diversi dallo
Stato.

Nel regime generale alla responsabilità a determinare il nesso di casualità diretta tra il contenuto
dell’obbligo posto dalla norma primaria ed il tipo di condotta che ne determina la violazione.

L’art.14 del Progetto distingue:

a) L’illecito istantaneo: avviene nel momento in cui matura la violazione dell’obbligo di condotta o di
risultato
b) L’illecito continuato: copre l’intero periodo in cui esso avviene

In considerazione di obblighi che riconoscono allo Stato ma certa discrezionalità cerca i tempi e i mezzi da
utilizzare per rispettarli, sovviene il parametro della due diligence, poiché tiene conto delle concrete
capacità di iniziativa che lo Stato possiede in relazione allo specifico obbligo da attuare, di modo che se ne
riscontra la violazione da parte dello Stato se questo non si sia sufficientemente adoperato in ragione della
propria capacità del farlo nella situazione concreta.

L’iniziativa dello Stato leso andrà infine apprezzata in relazione alla regola sul previo esaurimento dei
ricorsi interni. Questa regola opera solo nel caso in cui l’obbligo primario sia posto a diretta ed esclusiva
tutela di interessi privati.

Document shared on https://www.docsity.com/it/diritto-internazionale-principi-e-norme-di-francesco-salerno/5739003/


Downloaded by: jacopo-brigantini (jacopo.brigantini@gmail.com)
3. Presupposti soggettivi: l’attribuzione del fatto illecito allo Stato o all’organizzazione internazionale perché
rientrante nella loro sfera di “giurisdizione”

In base all’art.1 del già richiamato Progetto del 2001, ogni fatto internazionale illecito di uno Stato ne
comporta la responsabilità internazionale.

Solo le regole speciali affermano la responsabilità oggettiva di uno Stato anche a prescindere da tale nesso.
Il diritto internazionale riconduce il fatto illecito allo Stato nell’assunto che vi sia sempre un nesso di
casualità tra la condotta dello Stato e il fatto illecito.

È solo nella sfera di giurisdizione effettiva propria dello Stato che questo può violare l’obbligo di punire
comportamenti di privati lesivi di interessi internazionalmente protetti. La condizione di giurisdizione
effettiva in questi casi si concretizza anzitutto nel territorio dello Stato e negli spazi marittimi su cui esso
esercita di norma i propri poteri sovrani.

Il concetto di “giurisdizione effettiva” riguarda anche la responsabilità internazionale di organizzazioni


internazionali, ma solo nei casi eccezionali di ammirazione diretta del territorio la loro condizione può
essere assimilata a quella degli Stati.

Dal momento che lo status dell’organizzazione è indipendente dagli Stati, lo è anche l’ambito di
“giurisdizione” che le è propria sul piano normativo. Dal momento che la personalità giuridica
dell’organizzazione internazionale non “deriva” dagli Stati ma dal suo trattato istitutivo, essa è a tutti gli
effetti un soggetto autonomo di diritto internazionale al quale non sono automaticamente opponibili gli
obblighi pregressi degli Stati membri:

- Se, nel caso concreto, l’organizzazione è destinataria a titolo esclusivo di obblighi internazionali, è
essa a rispondere verso terzi senza che sovvenga alcuna forma di attribuzione dell’illecito agli Stati
membri. Ciò vale anche quando gli Stati membri, per attuare obblighi imposti dall’organizzazione,
violano a loro volta propri obblighi internazionali.
- Diversamente, gli Stati membri rispondono sul paino internazionale per aver omesso –
singolarmente o in “solido” – ogni condotta atta a prevenire l’illecito che l’organizzazione impone
loro di compiere.

4. Segue: Il legame organico rilevante ai fini dell’attribuzione dell’illecito

L’illecito internazionale di uno Stato può inverarsi ad attività esecutive, legislative o anche giudiziarie ai
propri organi ovvero risultare dalla combinazione concreta della loro attività.

Il Progetto del 2001 riferisce al concetto di “organo” sia all’apparato centrale dello Stato che nella sua
articolazione decentrata.

In considerazione alle caratteristiche dell’ente considerato, il legame organico va accertato secondo le

Document shared on https://www.docsity.com/it/diritto-internazionale-principi-e-norme-di-francesco-salerno/5739003/


Downloaded by: jacopo-brigantini (jacopo.brigantini@gmail.com)
norme proprie di detta entità, salvo per i casi eccezionali – come per l’agente diplomatico – rilevano
direttamente norme internazionali.

Spesso si attribuisce l’illecito allo Stato (o all’organizzazione internazionale) anche quando l’organo
“ecceda” la sua competenza o contravvenga alle istruzioni ricevute.
Anche per la Corte europea dei diritti dell’uomo, le autorità superiori di uno Stato sono comunque
responsabili della condotta dei propri subordinati ed hanno il dovere di imporre loro la propria volontà né,
tanto meno, potrebbero trincerarsi dietro la propria impotenza a far rispettare l’ordine.

Costituisce invece un’estensione del tutto speciale dei normali criteri attributivi l’art.1 della Convenzione
dell’ONU sul divieto di tortura, che attribuisce allo Stato la responsabilità di atti posti in essere da un privato
qualora vi sia stata semplicemente acquiescenza “espressa o tacita” da parte dei suoi organi.

Il diritto internazionale è nella condizione di distinguere organi istituzionalmente afferenti allo Stato o da
alte entità ad esso estranee anche se di sua “proprietà” come le imprese di Stato.

L’art. 5 del Progetto di articoli, attribuisce l’illecito allo Stato quando quello dipenda dal comportamento di
una persona preposta formalmente al diritto statale a svolgere specifiche attività pubblicistiche, pur non
essendo un organo istituzionalizzato.

Inoltre, allo Stato non possono essere attribuite condotte illecite poste in essere da privati al servizio di altri
privati pur nell’ambito di attività autorizzate dallo Stato.

In base all’art.8, sussiste la responsabilità internazionale dello Stato per attività di quei privati che
costituiscono un “organo di fatto”. Potrebbe trattarsi di singoli individui, gruppi collettivi organizzati ed
anche di un’impresa multinazionale in una condizione di subordinazione effettiva e momentanea allo Stato
cui attribuire l’illecito.
Il privato rientra nell’art.8 per singole attività poste in essere sotto la puntuale “direzione e controllo” dello
Stato.
Va considerato l’eventualità che lo Stato, inizialmente del tutto estraneo al comportamenti dei privati
contrario ad interessi giuridicamente protetti sul piano internazionale, successivamente ne avvalli la
condotta e quindi ne assuma direttamente la responsabilità.

5. Segue: L’attribuzione di illecito delle forze di pace dell’ONU o da questa autorizzazione

Un legame organico di altro tipo si ripropone per l’attribuzione dell’illecito commesso da “organi prestati”
da uno Stato ad un altro Stato: lo Stato “fornitore” dell’organo non risponde della sua condotta illecita
avvenuta in condizione di totale ed effettiva dipendenza da un’altra entità internazionalmente distinta.
È allo Stato che “riceve” le prestazioni dell’organo che va attribuito l’illecito.
Analoga la situazione qualora l’organo sia posto all’esclusivo servizio di un’organizzazione internazionale
ovvero nell’ipotesi inversa che sia l’organizzazione a prestare un organo allo Stato.

Qualora lo Stato originario di appartenenza conservi in parte il legame in direzione e controllo sull’attività
del proprio organo prestato ne sarà anche responsabile a titolo solidale o di complicità d’illecito.

In base all’art.7 del Progetto di articoli, le regole richiamate valgono anche rispetto ad organi prestati da
un’organizzazione internazionale ad un’altra organizzazione internazionale.
Il fenomeno è emblematico per i contingenti militari che gli Stati fornitori mettono a disposizione dell’ONU
per le sue missioni di pace, ponendoli sotto il comando del Segretariato generale dell’Organizzazione.

Document shared on https://www.docsity.com/it/diritto-internazionale-principi-e-norme-di-francesco-salerno/5739003/


Downloaded by: jacopo-brigantini (jacopo.brigantini@gmail.com)
Dal momento che avviene l’inquadramento dei militari nella missione, essi assumono la qualifica di organo
dell’ONU nel presupposto che questa ne abbia e ne avrà effettivo controllo.
Benché non manchino eccezioni, l’ONU mostra in genere di voler e saper esercitare il controllo sui
componenti delle proprie missioni.

Per le operazioni di peace-keeping l’ONU provvede normalmente ad istituire un’apposita commissione


mista di reclamo presso cui i privati possono avanzare pretese per danni subiti dalla Forza di pace.

A differenza delle forze strutturalmente incorporate nell’ONU, quest’ultima resta però formalmente
estranea alla fase preparatoria della missione autorizzata, al suo comando ed alla determinazione delle
regole di ingaggio.
Ma poiché la missione esprime l’esercizio di competenze proprie dell’ONU, questa può anche stabilire
regole specifiche fino a rendere piena ed esclusiva la sua responsabilità.

6. Segue: L’attribuzione dell’illecito a più soggetti

Quando più Stati sono responsabili in solido del medesimo illecito, l’art.47 del Progetto prevede che si
possa invocare la responsabilità ci ciascuno Stato, senza peraltro escludere la responsabilità degli altri Stati.

Diversa è l’ipotesi della complicità nell’illecito internazionale. Essa è prevista nell’art.16 e prevede per lo
Stato che aiuta o assiste un altro Stato nella commissione del medesimo illecito; una norma parallela è
prevista negli articoli 14 e 15 del Progetto del 2011 per le organizzazioni internazionali.

Perché si verifichi la complicità, occorre che l’entità complice violi lo stesso obbligo disatteso dallo Stato
responsabile a titolo principale nella medesima fattispecie concreta.
Non può peraltro configurarsi quando vi siano obblighi internazionali distinti sia pure unitariamente
funzionali in capo a soggetti diversi.

L’art. 17 del Progetto del 2001 considera la responsabilità dello Stato che “dirige e controlla” l’attività dello
Stato che ha commesso uno specifico atto illecito. Il riferimento scontato è allo Stato vassallo o Stato
protetto.

L’art.18 prende in considerazione l’ipotesi estrema in cui lo Stato sia stato costretto a commettere l’illecito
su coercizione di un altro Stato, senza però perdere la propria sovranità.
Se lo Stato che ne è materialmente autore sia stato nell’impossibilità di opporsi alla pressione esterna, la
responsabilità verso terzi andrà attribuita allo Stato responsabile della coercizione ma lasciando
impregiudicata l’eventuale responsabilità dello Stato sottoposto a coercizione.

7. Circostanze escludenti l’illecito

Esistono una serie di circostanze esimenti il carattere illecito del fatto attributivo allo Stato, in quanto la su
stessa condotta, causativa dell’evento altrimenti considerato illecito, è giustificata dall’ordinamento
giuridico internazionale, facendo così venir meno l’insorgere della responsabilità.
Ne beneficiano anche le organizzazioni internazionali.

Il diritto nazionale non può essere invocato come esimente del fatto illecito. Il mancato “allineamento”,
anche solo interpretativo, dell’ordinamento interno agli obblighi internazionali non esime lo Stato

Document shared on https://www.docsity.com/it/diritto-internazionale-principi-e-norme-di-francesco-salerno/5739003/


Downloaded by: jacopo-brigantini (jacopo.brigantini@gmail.com)
dall’illecito. L’esimente non opera neppure se l’ostacolo sia costitutivo della costituzione dello Stato, da
pronunce del suo giudice costituzionale.

Una prima causa d’esclusione dell’illecito è data dalla stessa volontà dello Stato leso che legittima col
proprio consenso la condotta altrimenti illecita di uno Stato (art.20 Progetto di articoli del 2001).
Il caso più frequente è il consenso preventivo dello Stato all’esercizio di funzioni coercitive sul proprio
territorio o sulla propria nave.

Una seconda causa d’esclusione dell’illecito è in caso di ricorso alla legittima difesa – individuale o collettiva
– esercitata in conformità con la Carta dell’ONU nei confronti dello Stato responsabile dell’attacco armato
su richiesta dello Stato che ne subisce l’aggressione (art.21 Progetto di articoli del 2001).

Terza causa in caso di forza maggiore che insorge allorché uno Stato si trovi nella materiale impossibilità di
adempiere all’obbligo per il sopravvenire di un fattore contrario assolutamente imprevedibile ed al di fuori
di ogni controllo, come per effetto di eventi naturali (art.23 Progetto di articoli del 2001).

L’art.24 del Progetto ammette il cosiddetto “distress”, escludendo l’illecito se l’autore ha così agito in
mancanza di alternative per salvare la propria vita o quella di altre persone a lui affidate.

Non altrettanto delimitato concettualmente è lo stato di necessità (art.25 Progetto di articoli del 2001) che
rimuove il comportamento illecito dello Stato mosso dall’esigenza di salvaguardarne un proprio interesse
essenziale di fronte ad un pericolo “grave ed imminente”. Esso non deve neanche compromettere un
interesse fondamentale di uno Stato o dell’intera comunità.
In ogni caso, il ricorso allo stato di necessità deve essere “proporzionato” al danno subito.
Lo Stato deve notificare “immediatamente” alle altre parti contraenti la deroga agli obblighi pattizi nei
termini e nei limiti previsti dagli strumenti normativi pertinenti.
Lo stato di necessità può anche essere invocato da un’organizzazione internazionale.
Il richiamo all’esimente dello stato di necessità non libera di norma lo Stato dal pagamento dell’indennizzo
per il danno eventualmente arrecato.

Una condizione giustificata di necessità è sempre sottesa alle clausole di eccezione che corredano la
garanzia di diritti umani o in materia di rapporti di lavoro, circoscrivendo modalità, presupposti e contenuti
dell’esimente in rapporto evidentemente alla sola materia regolata.

8. Il rapporto di responsabilità internazionale conseguente all’illecito: struttura, scopo e contenuto


dell’obbligo di riparazione

L’obbligo di riparare all’illecito è connaturato alla stessa esistenza di un ordinamento giuridico: è peraltro
questo sistema che stabilisce le parti ed il contenuto del rapporto di responsabilità, con conseguente
ripartizione di diritti e obblighi.
In applicazione del regime di responsabilità internazionale, lo Stato o l’organizzazione internazionale lesi
comunicano la propria pretesa allo Stato o all’organizzazione internazionale di cui si invoca la
responsabilità.

Il rapporto di responsabilità può presentare una pluralità di soggetti sia sul versante “passivo” dell’obbligo a
riparare, sia sul versante “attivo” dei soggetti lesi.
Va ricordato, che lo Stato leso non può ricevere una riparazione di consistenza superiore ai danni
complessivamente subiti.

Document shared on https://www.docsity.com/it/diritto-internazionale-principi-e-norme-di-francesco-salerno/5739003/


Downloaded by: jacopo-brigantini (jacopo.brigantini@gmail.com)
Se più soggetti sono a vario titolo lesi del medesimo atto internazionalmente illecito (art.46), bisogna
distinguere anzitutto tra chi sia stato materialmente leso e chi invece abbia subito solo la violazione di un
interesse giuridico.

Scopo e contenuto del rapporto di responsabilità sono finalizzati principalmente alla restaurazione dello
stato di diritto esistente prima della violazione. È questa la manifestazione netta del principio della
conservazione dei valori.
Se l’illecito è di natura continua, lo Stato deve cessare la relativa condotta, astenersi dal prendere iniziative
che possano aggravare l’illecito e garantire di non ripeterlo (art.30).

A questi scontati effetti “ordinatori” di natura generalizzata, si accompagnano specifici obblighi di


riparazione nei confronti del soggetto leso che dipendono dalle conseguenze concrete della singola norma
vietata: “la violazione di un obbligo implica la riparazione in una forma adeguata”.

Sull’entità della riparazione possono incidere considerazioni che dipendono dal contegno dello Stato autore
dell’illecito o leso. La riparazione dovuta può assumere portata maggiore se lo Stato responsabile
dell’illecito non abbia preso le misure necessarie per contenere gli effetti dell’illecito.

In base all’art.34, la riparazione consiste nella restituzione in forma specifica, nel risarcimento o nella
soddisfazione:

- La riparazione in forma specifica ristabilisce la situazione preesistente all’illecito e quindi


costituisce una sorta di priorità ordinatoria direttamente rispondente al principio di conservazione
dei valori sotteso al regime della responsabilità interazionale
- La soddisfazione consiste in un “riconoscimento della violazione, una manifestazione di
rincrescimento, scuse formali o altra modalità appropriata”.
- La forma dell’obbligo di risarcimento è la forma più frequente di riparazione. L’obbligo copre ogni
danno conseguente l’illecito e suscettibile di valutazione economica.

L’obbligo di risarcimento crea una nuova situazione giuridica soggettiva, in quanto il soggetto leso
acquisisce il diritto equivalente monetario del danno partito. La consistenza e la modalità del
risarcimento possono essere rimodulate d’intesa tra le parti.

9. Autotutela e contromisure in reazione all’illecito

Alla pretesa di riparazione può far seguito il rifiuto di ottemperarvi da parte dello Stato ritenuto
responsabile dell’illecito. Secondo l’art.49 può adottare contromisure nei confronti dello Stato autore
dell’illecito al solo fine di indurlo all’adempimento degli obblighi conseguenti alla violazione avvenuta.

La contromisura ha una duplice natura: ordinatoria e protettiva. Essa fungendo da sollecitazione verso lo
Stato responsabile dell’illecito affinché questi adempia ai suoi obblighi primari e secondari, deve peraltro
cessare con la relativa esecuzione.
Essa deve essere preventivamente notificata allo Stato responsabile dell’illecito e non deve compromettere
l’avvio o la prosecuzione della procedura si soluzione della controversia.

Document shared on https://www.docsity.com/it/diritto-internazionale-principi-e-norme-di-francesco-salerno/5739003/


Downloaded by: jacopo-brigantini (jacopo.brigantini@gmail.com)
L’art.50 amplia i limiti alle contromisure rispetto alla Convenzione di Vienna, escludendo le norme
imperative, il diritto internazionale umanitario, la tutela dei diritti umani fondamentali, le procedure per la
risoluzione di controversie, il regime di inviolabilità degli agenti diplomatici e consolari.

10. Le conseguenze dell’illecito in caso di violazioni gravi di norme imperative

L’art.40 del Progetto del 2001 configura una disciplina speciale di responsabilità in caso di loro violazioni
“gravi”, vale a dire di natura massiccia o sistematica.
L’art. 41 parla della volontà di ridurre il più possibile il regime eccezionale dell’illecito aggravato, riducendo
alle sole situazioni in cui le norme imperative ed obblighi erga omens coincidano, per di più in condizioni di
violazione “grave” delle prime.
Pertanto ne restano escluse le violazioni di norme imperative che non siano qualificabili come “gravi”.

A questo punto di pone la preliminare questione di determinare lo standard di gravità della violazione di
norme imperative universali, al di sopra del quale si applica il regime aggravato.
In talune situazioni, l’obbligo imposto dalla norma imperativa è tale che la sua violazione è in re ipsa (in se
stessa) “grave” in quanto si manifesta verso una collettività determinata.
In altri casi, la violazione della stessa norma imperativa, come il divieto di tortura, può costituire un caso
isolato oppure una pratica diffusa.

Solo in questa seconda ipotesi l’illecito diventa “grave” e palesa la correlazione con la responsabilità
dell’individuo-organo dello Stato che ha pianificato l’illecito commettendo egli stesso un crimine
internazionale.

Se il Consiglio di sicurezza evita di assumere decisioni, art.41 del Progetto di articoli prefigura due specifici
obblighi per gli Stati comunque da attuare per reazione a violazioni gravi di norme imperative:

1. In primo luogo, la norma vieta di riconoscere come legittime le situazioni createsi per effetto della
violazione di una norma imperativa. La regola è ricognitiva del principio di disconoscimento delle
situazioni territoriali illegittime enunciato attraverso la “Dottrina Stimson”.
2. In secondo luogo, l’art.41 vieta di prestare la propria collaborazione alla conservazione di una
situazione illegittima

Molto spesso, con il ripristinare l’ordine effettivo conseguente alla violazione grave di norme imperative si
giustificano iniziative ancora più drastiche rispetto all’illecito ordinario.
Sarebbero da escludere del tutto misure di carattere punitivo nei confronti dello Stato autore dell’illecito.
L’art.50 del Progetto esclude l’uso della forza a titolo di contromisura, a meno che una determinazione del
genere non sia riconducibile alla Carta dell’ONU. Ciò significa che il Consiglio di sicurezza potrebbe anche
decidere una forma di rappresaglia armata.

11. Il diritto alla riparazione dei privati danneggiati dall’illecito internazionale

Infine, occorre considerare quale sia la posizione dei privati che ne siano stati danneggiati. L’art.33 pr.2 del
Progetto prende atto che i privati possono essere i beneficiari materiali della regola violata.

Il diritto internazionale garantisce le situazioni giuridiche dei privati, facendo in modo che le conseguenze

Document shared on https://www.docsity.com/it/diritto-internazionale-principi-e-norme-di-francesco-salerno/5739003/


Downloaded by: jacopo-brigantini (jacopo.brigantini@gmail.com)
materiali dell’illecito da essi patite anche per una condotta omissiva dello Stato siano assorbite in una
riparazione loro dovuta.
L’afferenza ordinatoria di questo titolo si spinge fino a valutare se la condotta del privato abbia influito sulla
violazione così da commisurarvi contenuto e consistenza della riparazione.

Il diritto del privato alla riparazione è distinto da quello che potrebbe vantare lo Stato ugualmente leso da
mancato rispetto della norma internazionale.

Il diritto alla riparazione del privato danneggiato costituisce una pretesa in materia “civile” azionabile
dinanzi un giudice nazionale.
L’art.13 della CEDU obbliga gli Stati parti ad assicurare all’individuo leso un ricorso interno effettivo per far
accertare la violazione della Convenzione e l’eventuale riparazione dovuta.
Solo nel caso i cui i rimedi nazionali non siano stati adeguati, sovviene l’opportunità per il privato di
ottenere dalla Corte dei diritti dell’uomo l’equa soddisfazione, ovvero a disporre l’obbligo per lo Stato di
“riparare” i danni subiti da privati, in modo da soddisfare la norma “secondaria” loro pertinente.

La giurisprudenza internazionale sollecita anzitutto la riparazione in forma specifica. Ne è espressione


l’orientamento consolidato della Corte europea dei diritti dell’uomo, in base al quale la riparazione più
adeguata rispetto alle sentenze penali pronunciate in violazione di garanzie processuali fondamentali è la
ripetizione del processo in tempo utile.

Stati parti della CEDU hanno introdotto nei rispettivi ordinamenti nazionali il diritto alla revisione di una
decisione giudiziaria, se sia sopraggiunta nel caso concreto una sentenza di condanna delle Corte europea
dei diritti dell’uomo.

Quando non è possibile la riparazione in forma specifica, sovvengono a favore del privato le altre formule
già viste in relazione allo Stato leso.
La soluzione risarcitoria è considerata come un obbligo che lo Stato deve assolvere nell’ordinamento
interno predisponendo adeguati rimedi nazionali che riconoscano il titolo giuridico presentato della vittima.

L’Italia ha anche introdotto la “Legge Pinto”, una speciale procedura per ottenere un indennizzo
conseguente al danno patrimoniale o morale subito alla violazione dell’obbligo dello Stato italiano e
assicurare una durata ragionevole del processo.

12. Segue: L’azione in riparazione per violazione grave del diritto internazionale esercitabile dal privato leso
dinanzi al giudice di uno Stato terzo

Vi è infine la possibilità che il privato leso possa avanzare un’azione civile inerente alle conseguenze di gravi
violazioni di norme imperative. Tale opportunità va distinta secondo che l’azione sia esercitata nei confronti
dell’individuo-organo dello Stato responsabile dell’illecito o direttamente nei confronti dello Stato.

Il fatto diventa problematico quando nei confronti di uno Stato straniero responsabile di della violazione
grave a danno dell’individuo, poiché il giudice adito deve tener conto dell’immunità dalla giurisdizione di cui
quello gode per attività iure imperii.

Document shared on https://www.docsity.com/it/diritto-internazionale-principi-e-norme-di-francesco-salerno/5739003/


Downloaded by: jacopo-brigantini (jacopo.brigantini@gmail.com)
Capitolo 10: la soluzione giuridica delle controversie ed il processo internazionale

1. La controversia internazionale

Se la condotta (commissiva o omissiva) di uno Stato fa emergere una contrapposizione di tesi giuridiche o di
interessi con gli altri Stati, allora si manifesta una controversia internazionale. Il diritto internazionale non
determina una procedura esclusiva per la sua formalizzazione.

Si può trattare si una “nota” emessa dagli organi gestori del potere estero, se del caso portata direttamente
a conoscenza di altri Stati con una formale “protesta”.
Lo Stato può esprimere una “pretesa” sulla riparazione dovuta all’avvenuta violazione di propri diritti.
Nel diritto contemporaneo si è invece affermato l’obbligo generale di soluzione pacifica della controversia,
rendendo così immanente il ruolo delle “norme terziarie”.

I soggetti di diritto internazionale stabiliscono su un piano di uguaglianza l’oggetto della controversia ed il


modo di comporla. Stati o organizzazioni internazionali sono liberi di individuare i “mezzi” atti a comporre
le controversie. La tipologia del mezzo dipende anzitutto dalla natura politica o giuridica della
controversia. Diventa allora decisivo stabilire le intenzioni che animano le parti della controversia, secondo
che intendano comporre il conflitto di interessi con un nuovo quadro normativo da definire per vie
diplomatiche oppure con la corretta applicazione delle norme giuridiche esistenti.

2. Mezzi di soluzione pacifica delle controversie

L’art.38 della Carta dell’ONU ribadisce il principio generale secondo cui gli Stati sono liberi di scegliere un
mezzo pacifico di soluzione della controversia, ed elenca:

Document shared on https://www.docsity.com/it/diritto-internazionale-principi-e-norme-di-francesco-salerno/5739003/


Downloaded by: jacopo-brigantini (jacopo.brigantini@gmail.com)
1. Negoziati
2. Inchiesta: è preposta all’accertamento dei fatti per definire la composizione della controversia
anche di natura giuridica
3. Mediazione: il terzo cerca di facilitare l’accordo, avvicinando le parti ad una reciproca intesa
4. Conciliazione: il terzo prospetta esso stesso l’ipotesi di accordo, il “regolamento materiale” della
controversia
5. Arbitrato
6. Regolamento giudiziale
7. Ricorso ad organizzazioni regionali
8. Accordi regionali

In ogni caso, l’accordo costituisce l’unico mezzo contemplato dal diritto internazionale per accertare
l’esistenza della controversia. Inoltre quest’ultimo e la procedura giudiziaria sono gli unici mezzi idonei ad
essere di per sé risolutivi della controversia, gli altri hanno normalmente una funzione “ancillare” all’uno o
all’altra.

La sentenza di diritto internazionale è senz’altro finalizzata ad accertare de lege lata (la legge come esiste)
le regole di diritto ma può anche “produrle” quando al giudice o all’arbitro sia chiesto di pronunciarsi
secondo equità. È questa la pronuncia ex aequo et bono.

Tra gli altri mezzi ancillari vanno inoltre ricordati i buoni uffici che evidenziano l’iniziativa di un terzo che si
limita a stimolare l’avvio di un negoziato diretto tra loro.

3. Il controllo internazionale

Alle crescenti aspettative di effettività del diritto internazionale risponde la variegata realtà degli organismi
che svolgono una funzione di “controllo internazionale”, come il Comitato europeo per la prevenzione
della tortura o il Comitato Internazionale della Croce Rossa, che controlla il rispetto del diritto
internazionale umanitario in tempo di guerra.

Di altra natura è il modello di controllo internazionale prevalente nel campo dei diritti umani, dove si
pongono tanto convenzioni sui profili specifici che strumenti fi portata generale come il Patto sui diritti civili
e politici del ’66. In tutti questi trattati viene generalizzato l’obbligo degli Stati parti di inviare
periodicamente rapporti nazionali all’organo internazionale di controllo competente.

In ragione dell’obbligo generale di cooperazione che sostiene l’attività di controllo, gli Stati dovrebbero
quanto meno giustificare le ragioni di una condotta o di una interpretazione difforme da quella prospettata
dall’organismo pertinente.
I medesimi organismi di controllo possono altresì esaminare casi concreti su indicazione di singoli Stati o di
privati. Si tratta di iniziative variamente denominate (reclami, petizioni, ecc.) avviate quasi sempre da
privati. Per questo genere di ricorsi è generalmente richiesto il preventivo consenso dello Stato contro cui si
avvia l’iniziativa.

La procedura attinente all’esame dei ricorsi da parte dei vari organismi ha una valenza “quasi giudiziaria”.
Qualora l’organismo di controllo abbia constatato che la condotta statale non sia stata conforme alla norma
internazionale, esso adotta una raccomandazione o altro fatto similare normalmente indirizzato allo stesso
Stato.

Document shared on https://www.docsity.com/it/diritto-internazionale-principi-e-norme-di-francesco-salerno/5739003/


Downloaded by: jacopo-brigantini (jacopo.brigantini@gmail.com)
4. Arbitrato e giurisdizione internazionale

In qualunque sistema normativo la controversia fa emergere un’aspettativa di giustizia per le parti secondo
parametri di certezza del diritto. Nei sistemi giuridici evoluti l’accertamento obiettivo del diritto avviene ad
opera di una autorità “terza”, arbitro o giudice, la cui decisione vincola le parti in lite.

Determinante in entrambi i casi è il “paradigma consensuale”, nel senso che la loro attivazione presuppone
il consenso degli Stati parti della controversia ovvero di quello Stato nei cui confronti è avviata la procedura.
All’inizio le parti definiscono in modo concorde l’oggetto della controversia, l’arbitro o i criteri per
sceglierlo, oltre che (se necessario) le regole di procedura ed il diritto applicabile.

Nel diritto internazionale classico, le crescenti esigenze di giustizia internazionale, canalizzate attraverso il
modello dell’organizzazione internazionale, hanno favorito lo sviluppo, a fianco dell’arbitrato, della
giurisdizione internazionale.
La prima struttura con tali caratteristiche fu la Corte permanente di giustizia internazionale istituita nel
1920 a cui seguì la Corte internazionale di giustizia, fondata nel 1945, che è il “principale organo
giurisdizionale” dell’ONU.

Secondo quanto dispone l’art.38 del proprio Statuto, la Corte deve “decidere in base al diritto
internazionale”, esercitando quindi la sua funzione di garante della legalità dentro e fuori le Nazioni Unite
compreso il delicato terreno dell’uso della forza.
Allo Statuto della Corte possono solo aderire gli Stati, ne sono escluse le organizzazioni internazionali.

Determinate procedure internazionali di accertamento del diritto sono accessibili anche a privati o singoli
individui. Il fenomeno investe il “mezzo” arbitrale, assegnandogli una competenza mista.
La CEDU è invece ormai da tempo incardinata su un unico organismo giurisdizionale, la Corte europea dei
diritti dell’uomo, a sua volta articolata in varie composizioni e con ampie opportunità di iniziativa
processuale per gli individui.

5. Struttura ed organizzazione della giurisdizione internazionale

La Corte internazionale di giustizia rappresenta la giurisdizione internazionale maggiormente significativa. I


suoi 15 giudici sono designati di comune intesa dall’Assemblea generale e dal Consiglio di sicurezza.
Nel contesto di un collegio precostituito svanisce la possibilità per gli Stati parti della controversia di
accordarsi sulla figura dell’arbitro o del collegio arbitrale.
Lo Statuto della Corte peraltro riconosce un giudice ad hoc quando non vi sia un cittadino nel collegio
precostituito.

Il regolamento di procedura ha in qualche modo “aperto” al modello arbitrale prevenendo che la Corte
costituisca – su richiesta delle parti – la “Camera” in cui i componenti sono scelti dagli stessi Stati tra i
giudici della Corte.
Tuttavia sia il giudice ad hoc che la “Camera” non alterano la natura della giurisdizione internazionale
espressa dalla Corte internazionale di giustizia: questa valuta sempre in modo autonomo.

Le corti internazionali svolgono la loro attività in collegio plenario o articolate in più sezioni.

Document shared on https://www.docsity.com/it/diritto-internazionale-principi-e-norme-di-francesco-salerno/5739003/


Downloaded by: jacopo-brigantini (jacopo.brigantini@gmail.com)
Il carattere permanente di una corte internazionale e la sua articolazione interna rendono necessarie una
serie di attività collaterali a quella propriamente giudiziaria di accertamento del diritto. È una funzione
normativa la predisposizione del regolamento di procedura.

Il Presidente ripartisce il lavoro tra le sezioni, sovrintende all’attività propriamente amministrativa e


rappresenta all’esterno la Corte.
Infine comune alle varie corti internazionali è il cancelliere nominato dal collegio plenario dei giudici. Si
tratta di un organo ausiliario che opera a stretto contatto con il Presidente. Egli costituisce il canale di
comunicazione della Corte.

6. Il diritto internazionale processuale applicabile dalla Corte internazionale di giustizia

Ai sensi dell’art.30 dello Statuto, la Corte internazionale di giustizia adotta autonomamente il proprio
regolamento di procedura, che può modificare in ogni momento e che le consente di emanare altre regole
sotto forma di Practice Directions.

Fermo restando l’obbligo di consultare le parti per le questioni di procedura, l’art.48 dello Statuto autorizza
la Corte a regolare con ordinanze lo svolgimento del processo, i termini di presentazione delle osservazioni
scritte delle parti e l’acquisizione delle prove.

Nel contempo, la decisione delle parti di accettare la procedura giudiziaria implica il loro obbligo a
cooperare in buona fede nell’interesse di quella stessa buona amministrazione della giustizia.

7. Instaurazione del processo internazionale

Nel processo dinanzi la Corte internazionale di giustizia vale il principio dispositivo, secondo cui le parti
fissano i termini della controversia. In relazione al titolo di competenza azionabile nel processo dinanzi la
Corte internazionale di giustizia, l’atto introduttivo del giudizio è costituito dall’accordo di compromesso
presentato congiuntamente dalle parti o dalla domanda “unilaterale” dell’attore.

Se è questo ad agire, nella domanda (application) vanno indicati le parti della controversia – Stato attore e
Stato convenuto – e l’oggetto della stessa.
Il documento, redatto e tradotto in una delle lingue ufficiali della Corte, deve essere sottoscritto da un
rappresentante ufficiale dello Stato (l’agente) secondo le formule diplomatiche di accreditamento.
Il cancelliere, provvede a notificarla “a tutti gli interessati” ad a informare della stessa gli Stati membri
dell’ONU per il tramite del Segretariato generale.
Nel contempo, la notificazione o il deposito dell’istanza iniziale comportano la costituzione del rapporto
processuale, da cui discende il vincolo per gli Stati parti della causa a collaborare con la Corte.

Il compromesso o la domanda unilaterale fissano altresì l’oggetto della controversia. Gli Stati parti del
processo non possono in seguito modificare l’oggetto originario e principale del processo.

È principio generale del processo internazionale che questo abbia luogo in contraddittorio tra le parti e su
basi di parità.
Quando il processo si svolge in contradditorio, esso si articola in una fase scritta e una fase orale:

- La fase scritta: consta di memoria, contr-memoria ed eventuale replica

Document shared on https://www.docsity.com/it/diritto-internazionale-principi-e-norme-di-francesco-salerno/5739003/


Downloaded by: jacopo-brigantini (jacopo.brigantini@gmail.com)
- La fase orale: con un pubblico contradditorio, nel corso del quale non sono ammessi altri
documenti

Le parti sono nella condizione di accelerare la procedura optando per un modello più rapido come avviene
con l’istituzione di una camera arbitrale: il regolamento di procedura prevede in questo caso la riduzione
della fase scritta ad un solo giro di memorie.

Da parte sua, il giudice internazionale non è di regola tenuto ad assicurare la durata ragionevole del
processo. La Corte internazionale di giustizia ha solo il vincolo di perseguire una soluzione giuridica della
controversia internazionale e ne vede con favore una composizione amichevole.

8. L’esame delle questioni preliminari al merito: il carattere attuale della controversia giuridica
internazionale

Prima di entrare nel merito del processo internazionale, vengono esaminate su eccezione di parte o
d’ufficio una serie di questioni preliminari, come per esempio sulla ricevibilità della domanda.
In questa fase il giudica è chiamato a valutare se sussistano le condizioni per un regolamento giudiziario
della controversia e non certo il diritto ad una controversia favorevole.

Considerando la funzione propria assegnata alla Corte internazionale di giustizia di comporre, secondo
diritto, una controversia internazionale, va anzitutto valutato quale ne sia l’oggetto.
La qualificazione operata nella fase preliminare del giudizio con riguardo all’oggetto principale della
controversia non potrà più essere modificata nel corso del processo.

Sempre in rapporto all’oggetto è da stabilire il carattere attuale della controversia.


La controversia che nasce da una pretesa si estingue o perché questa viene ritirata o perché “cessa la
resistenza alla pretesa”. Dinanzi alla Corte la lite potrebbe estinguersi se le parti della controversia
raggiungono un accordo extra-giudiziale.

9. Segue: L’interesse ad agire

Nella soluzione giudiziaria della controversia si procede all’accertamento e alla valutazione dei fatti
pertinenti “secondo diritto”. Ma la funzione giudiziaria ha senso in quanto il relativo giudizio condizioni il
modo di intendere e di esercitare diritti e obblighi delle parti in controversia, “dissipando” l’incertezza
giuridica al riguardo.

Vi può essere la richiesta di una sentenza di condanna senza che lo Stato agente in giudizio abbia da
lamentare danni materiali quando si palesi la violazioni di obblighi erga omens.
In tale ambito trova ragione l’interesse giuridico autonomo di un qualunque Stato a presentare domanda
contro un altro Stato che avrebbe violato un obbligo generale erga omnes, o di uno Stato parte di un
trattato che configura obblighi solidali nei confronti di un’altra Parte contraente del medesimo.
Un’analoga legittimazione non si profila per i privati quando sia loro consentito lo ius standi (legittimazione
processuale) al pari degli Stati.

L’esito del processo internazionale è una sentenza “dichiarativa”, nel senso che questa accerta il diritto
controverso e, se del caso, condanna lo Stato responsabile della eventuale violazione. Dall’oggetto del
compromesso o della domanda dipende de la sentenza sia di mero accertamento del diritto o di
condanna. L’accordo di compromesso assicura l’esistenza del reciproco interesse degli Stati parti della
controversia ad una composizione giudiziale.

Document shared on https://www.docsity.com/it/diritto-internazionale-principi-e-norme-di-francesco-salerno/5739003/


Downloaded by: jacopo-brigantini (jacopo.brigantini@gmail.com)
Se più Stati sono stati danneggiati dal medesimo atto illecito internazionale, ciascuno di essi può invocare
separatamente la responsabilità dello Stato che ha commesso violazioni di norme internazionali.
Quando il fatto illecito sia imputabile a più Stati, la pretesa può essere esercitata nei confronti di uno solo
tra quelli.

Se l’azione dello Stato dinanzi ad un giudice internazionale riguardi il trattamento dovuto ai suoi cittadini,
bisogna preliminarmente distinguere secondo che la norma primaria configuri un diritto proprio dello Stato
o sia protetto solo l’interesse del privato.
Nel primo caso l’interesse ad agire viene apprezzato in relazione al contenuto della domanda che riguardi
interessi diretti dello Stato: lo Stato leso può immediatamente attribuire la violazione allo Stato che ne sia
autore.
Se invece la norma attenga a soli diritti di privati, l’interesse ad agire dello Stato viene valutato nei termini
propri della protezione diplomatica. In fase preliminare va quindi accertato se la domanda dello Stato sia
stata presentata dopo l’esaurimento dei ricorsi interni.

10. Segue: L’accertamento del titolo di giurisdizione

Una questione che si pone frequentemente nella fase preliminare del processo internazionale è la
competenza del giudice a conoscere della controversia secondo il noto paradigma consensuale.

Vale a dire che gli Stati parti della controversia debbono entrambi accettare in modo incondizionato la
competenza del giudice internazionale a conoscere la controversia.

Se la controversia è posta dinanzi ad un arbitrato isolato, costituzione e titolo di competenza si fondono


nell’accordo di compromesso. Se invece la controversia è dinanzi ad una giurisdizione internazionale
permanente, bisogna in primo luogo risalire al relativo atto istitutivo.
La Corte “è aperta agli Stati che vi hanno aderito”, è pertanto sufficiente essere membro dell’ONU purché
lo Stato ipso facto diventi parte dello Statuto.

Tale principio impone l’appartenenza di tutti i soggetti processuali a quel determinato sistema
giurisdizionale, tale condizione deve sussistere al momento in cui viene presentata la domanda.

Accertata la condizione di appartenenza, questa deve individuare il titolo di competenza nel caso concreto.
L’ipotesi più semplice è ancora una volta costituita dall’accordo di compromesso concluso tra le parti e
successivo all’insorgere della singola controversia.
Meno semplice è l’accertamento allorché il processo sia stato avviato in base ad una precedente clausola
compromissoria o a seguito di dichiarazioni unilaterali. In un caso come nell’altro sovvengono vari
parametri: ratione materiae, ratione loci, ratione temporis.

a) La ratione materiae ha pertinenza all’oggetto della controversia, che la Corte può conoscere in
relazione all’ambito materiale della competenza che le parti le hanno riconosciuto, inserendola in
un determinato trattato o delimitando la sfera di efficacia delle rispettive dichiarazioni unilaterali
b) La ratione loci stabilisce se la controversia rientri nell’ambito territoriale di rilevanza del titolo di
competenenza
c) La ratione temporis ne implica la sussistenza al momento in cui è stata presentata la domanda; la
giurisdizione persiste indipendentemente da eventi successivi per coerenza con il principio di
conservazione dei valori

Document shared on https://www.docsity.com/it/diritto-internazionale-principi-e-norme-di-francesco-salerno/5739003/


Downloaded by: jacopo-brigantini (jacopo.brigantini@gmail.com)
Se il processo è iniziato su domanda unilaterale, spetta all’attore la prospettazione iniziale del titolo di
giurisdizione: le relative indicazioni non vincolano assolutamente la Corte. Qualora nella domanda lo Stato
evochi più titolo di giurisdizione della Corte, questa stabilisce se ve ne sia uno che prevalga sugli altri.

Si rimuove ogni controversia sul punto se lo Stato convenuto in giudizio non contesta il titolo o addirittura
accetta la competenza in sede processuale (proroga tacita o espressa), dando il suo assenso all’esercizio
della giurisdizione da parte della Corte nei limiti dell’oggetto della domanda iniziale presentata dallo Stato
attore.

La corte deve esercitare tutta la sua competenza, se del caso anche estendendo la propria cognizione sui
fatti attribuiti a Stati terzi. La Corte deve accertare d’ufficio se uno o più Stati terzi siano direttamente
coinvolti su profili della controversia al punto da costituirne l’oggetto stesso della decisione.
Diversamente, la Corte non potrà decidere sulle questioni nella quali lo Stato terzo – “parte necessaria” –
abbia un suo diretto interesse giuridico.

11. Segue: La subordinazione ad altro meccanismo di soluzione della controversia

Limiti all’esercizio della giurisdizione possono talora discendere o imporsi per esigenze di coordinamento
con altri procedimenti attivati o attivabili per la soluzione della medesima controversia.
Nel diritto contemporaneo, i mezzi sono per lo più precostituiti da accordi multilaterali, così che si impone
anzitutto un coordinamento di natura normativa.

In forza all’art. 344 del TFUE, solo alla giurisdizione dell’UE spetta esaminare le questioni che sorgono
dall’interpretazione e dall’applicazione del suo diritto. La Corte europea dei diritti dell’uomo è in linea di
principio l’unico organismo giudiziario operante in relazione alla CEDU.
La Corte internazionale di giustizia non può occuparsi di una questione che rientra nella giurisdizione
esclusiva di un altro giudice o arbitro internazionale.

Tuttavia, nel diritto internazionale generale non esiste alcuna regola che sancisca la competenza esclusiva
di una giurisdizione internazionale per un determinato tipo di controversie. La Carta dell’ONU sancisce la
libertà degli Stati membri di “deferire la soluzione dello loro controversie ad altri tribunali in virtù di accordi
già esistenti o che possano essere conclusi in avvenire”.

La clausola di subordinazione è inoperante quando la questione oggetto della procedura giudiziaria sia
semplicemente connessa con quella sottoposta all’esame di un altro organismo giudiziario.
Quando l’oggetto della questione pregiudiziale da esaminare in un processo è anche l’oggetto della
questione principale di un altro processo viene in gioco un’esigenza di armonia delle decisioni.

Affinché l’ordinamento internazionale abbia un’unica “verità”, uno degli organismi giudiziari può stabilire di
sospendere spontaneamente la propria procedura per attendere risultanze del procedimento connesso.

12. La modifica del rapporto processuale originario: domanda riconvenzionale, connessione e intervento

Nel momento in cui la domanda inziale ha delineato l’oggetto della controversia, la parte attrice può
presentare nel corso della causa una nuova domanda solo rispetto a profili che siano impliciti alla prima o
che ne discendano. Quando più domande sono rivolte ad un unico Stato e riguardano lo stesso oggetto
della controversia, la Corte decide se unificare o diversi procedimenti.

Document shared on https://www.docsity.com/it/diritto-internazionale-principi-e-norme-di-francesco-salerno/5739003/


Downloaded by: jacopo-brigantini (jacopo.brigantini@gmail.com)
Una più articolata estensione della parte del processo si verifica in relazione all’istituto dell’intervento in
causa ad opera di soggetti diversi delle parti iniziali.

Per lo Stato che voglia essere ammesso a pieno titolo come parte partecipante, occorre che il suo interesse
ad agire sia direttamente connesso con l’oggetto principale della causa e non abbia neppure mera valenza
interpretativa.

Una seconda ipotesi di intervento si è prefigurata con l’art.63 dello Statuto con riferimento ad una
controversia interpretativa su un trattato multilaterale.
Lo Stato parte della Convenzione, ma terzo in causa, “ha diritto di intervenire al processo” al solo scopo di
contribuire all’interpretazione della norma convenzionale tanto da non poter depositare memorie scritte
ma solo “osservazioni”.

13. Il regime giuridico delle prove

Il giudice usa come materiale probatorio ogni tipo di documentazione attendibile in proprio possesso
purché univoca e non necessariamente consistente.
Nel processo internazionale vige la libertà dei mezzi di prova purché compatibili con i principi generali sul
processo internazionale.

La Corte dispone discrezionalmente l’ordine di esibire le prove e, una volta scaduto il termine, non è
possibile produrne delle nuove.

14. /

15. L’effetto vincolante della sentenza internazionale

Al termine del processo, la Corte internazionale di giustizia adotta la sua sentenza di merito motivata,
sottoscritta dal Cancelliere e resa pubblica. La sentenza internazionale ha valore vincolante per le parti in
lite. Essa può essere di condanna o di mero accertamento.
In generale, le sentenze internazionali vengono eseguite a meno che non sovvengano sue circostanze:

1. Che si contesti la validità della sentenza internazionale


2. L’eventualità che Stati destinatari convengano per una soluzione diversa rispetto a quella indicata
nella sentenza.

La sfera soggettiva della sentenza riguarda anzitutto gli aspetti principali del processo alla Corte;
generalmente si limita a quelle. Tuttavia ci sono delle decisioni che sono rilevanti anche per Stati terzi del
tutto estranei al processo.

16. L’esecuzione della sentenza internazionale

A seconda del contenuto della norma primaria, la sentenza internazionale vincola lo Stato che ne è
destinatario a seguire una data condotta ovvero a perseguire un dato risultato.

Quando si parla di sentenze esecutive si deve intendere l’obbligo direttamente rilevante per lo Stato a dare
immediato seguito agli effetti della sentenza. L’obbligo riparatorio stabilito nella sentenza è
immediatamente esecutivo se esso si esaurisce nella stessa sentenza di condanna a titolo di soddisfazione

Document shared on https://www.docsity.com/it/diritto-internazionale-principi-e-norme-di-francesco-salerno/5739003/


Downloaded by: jacopo-brigantini (jacopo.brigantini@gmail.com)
per lo Stato attore.
Se invece è previsto un restitutio in integrum ha due opportunità:

1. Indica un obbligo di risultato


2. “raccomanda” il tipo di rimedio per aiutare lo Stato a trovare la soluzione più appropriata

Se si esclude il controllo sull’esecuzione di provvedimenti adottati nel corso del processo, la competenza
della Corte internazionale di giustizia non si estende di norma alla fase propriamente esecutiva della
sentenza.

17. Giudizio di validità, interpretazione e revisione della sentenza internazionale

La sentenza internazionale potrebbe essere controvertibile. L’ipotesi più reale è costituita dal giudizio di
validità della sentenza internazionale per vizi propri o alla costituzione o alla competenza dell’organismo
che l’ha emessa.

La procedura di interpretazione attiene ad una divergenza valutativa tra le parti principali dell’originario
processo circa il significato e la portata della sentenza.
Per avviarla dinanzi alla Corte è sufficiente il ricorso unilaterale di una delle parti del processo originario.

La richiesta di revisione va invece argomentata in base a fatti preesistenti alla decisone ma all’epoca ignote
al giudice internazionale. Lo Stato attore ha tempo 6 mesi dalla scoperta dei fatti per presentare la nuova
domanda di revision

Document shared on https://www.docsity.com/it/diritto-internazionale-principi-e-norme-di-francesco-salerno/5739003/


Downloaded by: jacopo-brigantini (jacopo.brigantini@gmail.com)
Document shared on https://www.docsity.com/it/diritto-internazionale-principi-e-norme-di-francesco-salerno/5739003/
Downloaded by: jacopo-brigantini (jacopo.brigantini@gmail.com)

Potrebbero piacerti anche