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DIRITTO INTERNAZIONALE

CAP.I: I CARATTERI DELLA COMUNITA’ INTERNAZIONALE


1. NOZIONE DI DIRITTO INTERNAZIONALE
Il diritto internazionale regola la vita e le relazioni che intercorrono tra stati nella comunità
internazionale.
Va distinto dal diritto internazionale privato che regola i rapporti tra privati che non si
esauriscono all’interno di un solo stato, per sottolineare la differenza spesso si parla di diritto
internazionale privato e diritto internazionale pubblico.
Il diritto internazionale presenta differenze anche rispetto al diritto interno degli stati, per
quanto riguarda le tre funzioni essenziali:
- Produzione normativa
- Attuazione del diritto
- Accertamento del diritto nel quadro della soluzione delle controversie tra i
consociati
In ogni ordinamento statale le tre funzioni sono esercitate dallo Stato che è sovraordinato ai
cittadini, nel diritto internazionale tali funzioni non possono essere affidate ad un’autorità
superiore ai consociati, perché non esiste: è una società formata da enti sovrani.
La società statale è accentrata, autoritaria e verticistica, mentre la società internazionale è
paritaria, decentrata, orizzontale e anorganica.
2. LA SOCIETA’ EUROPEA MEDIEVALE
La società internazionale formata da enti posti su un piano di eguaglianza nasce in Europa tra
la fine del XV secolo e l’inizio del XVII, nel periodo in cui si ruppe l’unità politica e
religiosa del mondo medievale dominato dall’imperatore e dal papa.
L’imperatore e il papa avevano il potere di assegnare terre e possedimenti, delegare poteri e
decidere le controversie.
1493-> Bolla “inter caetera” di papa Alessandro IV: decideva una controversi fra regno di
Castiglia e regno del Portogallo, sull’appropriazione delle terre da scoprire nell’America.
Anche nel diritto internazionale odierno è possibile che una controversia sia sottoposta alla
decisione del pontefice, ma questo accade solo grazie alla volontà concorde degli Stati parti
della controversia, differentemente in passato il papa decideva in base al potere di cui godeva
in quanto autorità superiore.
Esistevano anche in epoca medievale delle realtà che non erano sottomesse né al potere
dell’imperatore né a quello papale, come la Cina e l’Islam, con cui si poteva quindi avere un
rapporto paritario, ma la realtà è che non c’erano relazioni di alcun tipo con la Cina e le
relazioni con l’Islam erano per lo più conflitti armati, mai di reciproco riconoscimento di
eguaglianza, fatta eccezione per l’Accordo del 1229 tra Federico II e il sultano d’Egitto.
L’autorità del pontefice venne messa in crisi dalla riforma protestante, come anche il potere
imperiale. Proprio il contrasto tra principi cattolici e protestanti fa crollare le due autorità.

3. LA PACE DI WESTFALIA DEL 1648


L’atto che sancisce la fine dell’unità del Mondo medievale e la nascita della moderna
comunità internazionale è la Pace di Westfalia del 1648.
È composta da due trattati:
- Trattato di Osnabrück
- Trattato di Munster
Con questi si pone fine alla guerra dei 30 anni iniziata nel 1618 con la defenestrazione di
Praga.
Gli elementi che fanno della pace di Westfalia l’atto di nascita della moderna comunità
internazionale sono due:
- I regnanti e i principi cattolici e protestanti si pongono sullo stesso piano di pari
dignità giuridica
- l’imperatore del sacro romano impero conserva tale qualifica ma tratta da pari gli
altri sovrani
La pace non è una cesura netta tra due epoche, ma la data simbolo di un processo storico che
ha anticipazioni e trascinamenti: infatti istituti tipici del diritto internazionale sono nati ben
prima della pace di Westfalia-> Trattato di Qades, 1259 a.C. tra il re degli Ittiti e il faraone
egizio è considerato il primo trattato di pace di cui si abbia conoscenza e contiene anche
norme sull’estradizione.
Non mancano autorevoli opinioni che datano la nascita del diritto internazionale in epoca
anteriore alla pace di Westfalia, tuttavia si ritiene che da un lato ci sia stato un intervallo
troppo lungo rappresentato dalla società medievale, dall’altro sono riconoscibili rapporti
episodici di tipo internazionale tra diverse entità, che non formano, però, un sistema unitario.

4. PRECISAZIONI SUI CARATTERI DELLA COMUNITA’ INTERNAZIONALE


La comunità internazionale non è mai stata anarchica, ma ha conosciuto ripetuti tentativi di
egemonizzare la società dell’epoca o di creare strutture di aggregazione di poteri. Alcuni
esempi sono i progetti di dominio mondiale ideati da Napoleone Bonaparte e da Adolf Hitler
o anche quelli in contrapposizione a Napoleone, alla Santa Alleanza e al Concerto Europeo.
Il concerto europeo costituiva un club delle potenze che potevano decidere di ammettere o
meno altri stati. 1856-> Trattato di Parigi: l’impero ottomano viene ammesso a partecipare ai
vantaggi del diritto pubblico e del concerto europeo.
Tale ammissione è assimilabile all’odierna ammissione alle Nazioni Unite-> art. 4 Carta
ONU
Anche dopo la IIGM il bipolarismo tra gli USA e l’Unione Sovietica ha dominato lo scenario
di gran parte del mondo fino alla caduta del muro di Berlino del 1989, a seguito del quale al
bipolarismo si è sostituito l’unilateralismo degli USA.
Aggregazioni di potere sono riconoscibili tutt’ora nel G7 e nel G20, le cui riunioni producono
orientamenti che possono avere un notevole peso politico.
Le aggregazioni di potere, pur esistendo, non si sono mai tradotte in rapporti giuridici di
subordinazione degli uni agli altri, non hanno mai intaccato il principio di eguaglianza
giuridica degli stati.
Art. 2, Par. 1 Carta ONU-> principio della sovrana eguaglianza: tutti gli stati sono eguali
dinanzi al diritto internazionale, indipendentemente dalle loro condizioni politiche, militari,
economiche o di altro genere.
Fino al XIX secolo il dogma della sovranità ha celebrato i suoi fasti, ponendo, quale limite
invalicabile alle norme internazionali, il rispetto delle materie rientranti essenzialmente nella
competenza interna di ciascuno Stato. Il diritto internazionale dell’epoca si configura come
un diritto di coesistenza, volto a delimitare le rispettive sfere di competenza degli Stati.
Dal XX secolo la necessità di perseguire nel modo più efficace interessi comuni degli Stati e
delle loro comunità li spinge a trovare e mezza e procedimenti di collaborazione. Il diritto
internazionale si atteggia come un diritto di cooperazione, nel quale emergono alcuni valori
condivisi:
- la salvaguardia della pace
- L’autodeterminazione dei popoli
- I diritti umani fondamentalI
Tutti valori tutelati da norme dotate di una particolare forza precettiva, cosiddetta di ius
cogens.
Gli Stati prima gelosi e custodi della propria sovranità, sono ora disponibili a limitarla,
consentendo una progressiva erosione della loro Domestic JurisDiction di dare vita a enti: le
organizzazioni internazionali.
5. I CARATTERI DEL DIRITTO INTERNAZIONALE NELLE SUE FUNZIONI
ESSENZIALI
La struttura della comunità internazionale si riflette sui caratteri del diritto internazionale.
L’assenza di un’autorità sovraordinata ai consociati fa sì che le funzioni di tale ordinamento
siano svolte dagli stessi Stati.
Le principali fonti del diritto sono tutte espressione della base sociale della comunità
internazionale.
La prima fonte è la consuetudine: prassi uniforme degli Stati accompagnata dal loro
convincimento che tale condotta sia giuridicamente doverosa (opinio iuris).
Negli ordinamenti statali di civil Law, la consuetudine è una fonte subordinata alla legge
scritta, mentre nel diritto internazionale la consuetudine è la fonte principale di norme
generali.
Le norme nascono dal basso, questo è pienamente congeniale a un ordinamento in cui non è
ipotizzabile una fonte di diritto che si imponga dall’alto ai soggetti.
La seconda fonte è l’accordo: l’incontro delle volontà di due o più Stati che si obbligano
giuridicamente a rispettare ed eseguire il contenuto dello stesso.
L’accordo presenta somiglianze con il contratto del diritto interno, ma a differenza di
quest’ultimo rappresenta una delle principali fonti di diritto.
L’accordo a differenza della consuetudine è fonte di diritto particolare, poiché la sua efficacia
giuridica è limitata agli Stati che lo abbiano concluso.
Per quanto concerne l’attuazione del diritto, il diritto internazionale fa affidamento
sull’autotutela: è lo stesso stato titolare del diritto in questione che può attuarlo imponendo
nell’osservanza allo stato titolare del corrispettivo obbligo.
Il diritto di farsi giustizia da sé nell’ordinamento statale è consentito solo in ipotesi
eccezionali (es: legittima difesa), al contrario, nel diritto internazionale l’autotutela è la
regola.
Questo è un elemento che sottolinea la debolezza del diritto internazionale, paragonato al
diritto interno.
L’Impiego di misure coercitive è concretamente possibile se lo Stato titolare del diritto
dispone della forza necessaria per costringere lo Stato tenuto al corrispondente obbligo.
Tuttavia se uno Stato debole vuole imporre il rispetto di un proprio diritto a uno Stato forte, il
ricorso a misure coercitive diventa puramente virtuale.
L’autotutela si presta spesso ad abusi, poiché essa non è subordinata ad alcun accertamento
giuridico del diritto che si intende far valere.
Nel diritto internazionale i mezzi di regolamento delle controversie tra gli Stati idonei a dare
una valutazione giuridica obbligatoria definitiva delle loro contrapposte pretese, sono
l’accordo e la sentenza.
Mentre l’accordo esprime la volontà delle stesse parti di una controversia, la sentenza
internazionale proviene dall’alto e impone obbligatoriamente alle parti la valutazione della
fondatezza delle loro a posto e pretesa.
La possibilità che sia pronunciata una sentenza è subordinata alla concorde volontà degli Stati
parti della controversia: essi devono essersi a cordati per sottoporla al giudizio di un terzo,
l’arbitro, devono individuare l’arbitro o costituire un tribunale arbitrale, impegnandosi
preventivamente a considerare come obbligatoria la conseguente sentenza.
Sul piano della produzione normativa, il quadro delle fonti del diritto internazionale si è
arricchito con gli atti obbligatori che vari organizzazioni internazionali hanno il potere di
adottare. Nell’Unione Europea ci sono istituzioni che emanano un avere propria legislazione
rivolta non solo gli Stati membri, ma ai singoli.
L’istituto dell’autotutela a subito notevoli modificazioni nel corso degli anni:
- art.2 par.4, Carta delle Nazioni Unite: lo Stato non può più ricorrere a misure di
carattere militare per attuare un proprio diritto o imporre il rispetto da parte di altri
Stati
- Nelle situazioni più gravi, all’azione unilaterale del singolo Stato, tende a sostituirsi
una tutela associata da parte dell’organo delle Nazioni Unite dotato dei necessari
poteri: il consiglio di sicurezza
Oggi giorno esistono numerosi tribunali internazionali istituzionalizzati, il loro intervento
dipende sempre dalla volontà degli Stati parti della controversia, così come i poteri normativi
e coercitivi delle organizzazioni internazionali derivano dalla volontà degli Stati membri
consacrata nei loro accordi istitutivi.
6. LA CONTESTAZIONE DEL DIRITTO INTERNAZIONALE E LA
RIAFFERMAZIONE DELLA SUA GIURIDICITA’
Il diritto internazionale appare rudimentale rispetto a quello statale, si è giunti, infatti, a
contestare la stessa giuridicità dell’ordinamento internazionale.
La sua contestazione deriva anche dal pregiudizio di una pretesa: l’esclusiva statualità del
diritto.
Intendendo il tutto come un fenomeno sociale si riconoscerebbe che anche la società degli
Stati ha un proprio ordinamento giuridico (Ubi societas ibi ius).
È vero che le garanzie di osservanza del diritto internazionale sono fragili, tuttavia tale
immagine e spesso accentuata dal clamore che solitamente destano le violazioni di diritto
internazionale.
Esistono, infatti, alcuni fattori di spontanea osservanza del diritto internazionale che,
normalmente, ne determinano il rispetto. In questa direzione opera lo stesso carattere
autonomo delle norme di diritto internazionale: le norme nascono dal convincimento degli
Stati che quest’ultime siano doverose, consuetudine, o dalla loro volontà, quindi dall’idea che
quest’ultime siano convenienti per gli Stati stessi.
Un’altra forma di garanzia è quella che il diritto internazionale può giovarsi delle norme di
diritto statale che garantiscono il rispetto delle norme internazionali.
- Art.10 costituzione italiana: dichiara che l’ordinamento giuridico italiano si conforma
alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute.
- Art.117 costituzione italiana: anche le altre norme internazionali godono di una forma
di garanzia nei confronti della potestà del legislatore poiché la potestà legislativa è
subordinata al rispetto dei vincoli derivanti dagli obblighi internazionali.
Infine vi è un’osservazione empirica che induce ad ammettere l’esistenza del diritto
internazionale: gli Stati, nelle loro reciproche relazioni, parlano linguaggio del diritto, cioè
motivano i propri atti, le proprie pretese, la propria condotta in base al diritto. Questo
conferma che tutti gli Stati sentono la doverosità di un complesso di regole alle quali si
dichiarano soggetti e alle quali sostengono di conformarsi.
CAP.II: LO STATO COME SOGGETTO DI DIRITTO
INTERNAZIONALE
1. IL CONCETTO DI STATO NEL DIRITTO INTERNAZIONALE
Gli Stati, quali membri della comunità internazionale, sono anche i principali soggetti del suo
ordinamento giuridico: sono destinatari delle norme giuridiche internazionali e titolari dei
diritti e degli obblighi da esse derivanti.
Gli Stati originariamente erano gli unici soggetti di diritto internazionale, oggi esistono anche
altri soggetti ma solo gli Stati hanno una soggettività piena in quanto destinatari dell’intero
complesso del diritto internazionale generale, prodotto dalla fonte consuetudinaria, e forniti
dalla capacità di concludere accordi in qualsiasi materia.
Il concetto di Stato: comunità territoriale sottoposta un’autorità organizzata di governo; cioè è
formato da un popolo, da un territorio sul quale questo è stanziato e da un’autorità di governo
che esercita il suo potere sulla comunità in maniera organizzata e indipendente.
Nel diritto internazionale lo Stato non viene in rilievo come Stato-comunità, cioè non
coincide con il popolo, ma come complesso dei pubblici poteri.
Nella prassi costante è imputata giuridicamente allo Stato la condotta degli organi che
esercitano la sua autorità di governo, non quella di privati individui, suoi cittadini.
Esempi:
- Progetto di articoli sulla responsabilità degli Stati per fatti internazionalmente illeciti,
art.4 : la condotta di qualsiasi organo dello Stato sarà considerata come un atto di tale
Stato
- 2021: il presidente statunitense Joe Biden dichiara nel corso di un’intervista che il
presidente russo Vladimir Putin è un killer, tale dichiarazione è giuridicamente
imputata agli Stati Uniti
La prassi degli Stati dimostra come si respingono le pretese di imputare loro le attività di
privati cittadini.
Esempi:
- 1986: programma televisivo “fantastico 7”, viene compiuta una garbata parodia del
capo religioso e politico dell’Iran, ne seguì una crisi diplomatica senza precedenti
nella quale ha le misure alle proteste dell’Iran contro il governo italiano, quest’ultimo
rispose respingendo ogni responsabilità
- 2015: partita di calcio tra la Roma e una squadra olandese, prima dell’incontro i tifosi
olandesi si abbandonarono ad atti di violenza e di teppismo danneggiando la barcaccia
del Bernini, il governo olandese dichiarò che non avrebbe pagato gli ingenti danni
poiché erano atti criminali compiuti da privati cittadini.
La prassi nel diritto internazionale non è un semplice fatto storico, ma, se accompagnata dal
convincimento giuridico della doverosità della condotta tenuta, esprime il contenuto delle
norme generali internazionali.
L’attribuzione allo Stato della sola condotta dei suoi pubblici poteri e non quella dei soggetti
privati si deve a una precisa norma giuridica internazionale.
2. LA DIMENSIONE TERRITORIALE DELLA SOVRANITA’
Lo Stato è un ente sovrano: non ho alcuna autorità e sovraordinata e ha anche una potestà di
governo esclusiva, libera è pressoché illimitata sulla propria comunità territoriale; a questa si
accompagna la pretesa all’ indisturbato esercizio di tale potestà nei confronti di tutti gli altri
Stati.
Tale potestà implica anche la libertà dello stato di darsi una forma di governo che vuole, di
perseguire una propria politica economica, sociale, commerciale, estera.
La sovranità ha una dimensione essenzialmente territoriale: lo Stato gode della potestà
esclusiva nell’ambito del proprio territorio, i confini rappresentano la misura entro la quale lo
Stato opera come sovrano.
L’esercizio della sovranità riguarda il potere coercitivo dello Stato, quello che permette di
imporre anche con la forza la tua azione, l’esecuzione materiale della propria volontà.
Differentemente dal diritto statale, nell’ambito del diritto internazionale uno Stato può
legiferare riguardo a situazioni, fatti, persone che si trovino al di fuori del proprio territorio: è
consentita la cosiddetta applicazione extraterritoriale della legge.
Può dirsi, quindi, che la forza dello Stato è strettamente territoriale, non anche il comando che
si concretizza nella legge e può avere una portata extraterritoriale.
Esempi:
- 1927: sentenza della corte permanente di giustizia internazionale relativa all’affare del
vapore Lotus, dichiara che vi è un divieto per lo Stato di esercitare la sua autorità di
governo nel territorio di un altro Stato.
L’attività propriamente esecutiva dello Stato, può svolgersi nel territorio di un altro Stato
purché ci sia il suo consenso, ove questo manchi e indubitato che tale attività sia considerata
illecita, i fatti costituirebbero una violazione della sovranità dello Stato territoriale.
Esempi:
- risoluzione n.138, 1960: il consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite condanna il
rapimento in Argentina adopera di agenti israeliani, del criminale nazista Adolf
Eichmann: considera che la violazione della sovranità di uno Stato è incompatibile
con la carta delle Nazioni Unite e che atti come quello in questione implicherebbero la
distruzione dei principi sui quali si fonda l’ordine internazionale.
3. I REQUISITI DELLA SOGGETTIVITA’ INTERNAZIONALE DELLO
STATO. IN PARTICOLARE L’EFFETTIVITA’ DI GOVERNO E LE SUE
ECCEZIONI
Affinché uno Stato possa considerarsi un soggetto di diritto internazionale è necessario che
siano presenti tutti i suoi elementi costitutivi: un popolo, un territorio, l’autorità di governo di
un’organizzazione.
Tale organizzazione deve essere effettiva e indipendente: l’organizzazione statale deve essere
in grado di governare realmente, cioè deve riuscire a imporre concretamente la propria
autorità sulla comunità territoriale.
La qualità giuridica della soggettività dello Stato deriva da un dato di fatto: l’effettività
dell’autorità di governo della sua organizzazione.
Il diritto internazionale si fonda per vale i profili sul principio dell’effettività, sicché può dirsi
che esso nasce dai fatti: ex factis ius oritur.
Tuttavia considerato che lo Stato è un diritto a governare in maniera esclusiva e indisturbata
nel proprio territorio, la condizione dell’effettività condurrebbe ad affermare che lo Stato ha il
diritto di governo se governo, in realtà la pretesa tautologia si risolve se si mette in luce che è
il fatto dell’esercizio dell’autorità di governo è il diritto all’esercizio indisturbato ed esclusivo
di tale autorità si pongono su due piani diversi: l’effettività di governo riguarda la vita interna
dello Stato e richiede la constatazione che esso riesce normalmente a far valere la propria
autorità nell’ambito della sua comunità territoriale. Sulla base di questo lo Stato ha il diritto
nei confronti di tutti gli altri Stati di esigere che questi rispettino le esclusivo indisturbato
esercizio dei propri poteri sulla comunità territoriale.
Il diritto internazionale rivela un suo carattere avalutativo: non tiene in alcuna considerazione
né i mezzi, né i metodi attraverso i quali l’organizzazione statale acquista, detiene ed esercita
il suo potere.
Il diritto internazionale esprime quella che è la diffusa convinzione degli stessi Stati,
manifestata dalla loro prassi e corrispondente ai loro interessi. Gli Stati avvertono l’esigenza
di certezza di stabilità, che viene assicurata dal fatto che in ogni comunità territoriale possa
individuare un ente esponenziale sulla base di un dato oggettivamente riscontrabile quale la
sua effettiva autorità di governo.
Esistono Stati che si trovano in una prolungata situazione di anarchia, in cui Non vi è alcun
governo in grado di governare (Failed states), non sono considerati estinti e continuano a far
parte delle organizzazioni internazionali a cominciare dalle Nazioni Unite.
Il principio di effettività subisce un temperamento, una limitazione a opera del contrapposto
principio di legalità. In base a questo autorità di governo che si siano insediate in una
comunità territoriale violazione di valori condivisi e considerati irrinunciabile dalla comunità
internazionale, valori tutelati da norme imperative del diritto internazionale generale dette di
ius cogens, possono non assurgere allo status della soggettività internazionale, restando delle
mire entità di fatto.
L’illiceità della nascita dell’autorità, può impedire che tale autorità sia riconoscibile quale
stato soggetto internazionale. Tale illiceità deve consistere nella violazione di norme di ius
cogens.
Esiste una prassi consolidata degli Stati e delle organizzazioni internazionali, in particolare
delle Nazioni Unite, di costante disconoscimento di enti pur autoproclamatisi stati.
Esempi: reazione degli Stati Uniti all’invasione della regione cinese della Manchu curia da
parte del Giappone nel 1932, invasione la quale fece seguito la proclamazione di uno stato
denominato Man-chu-kuo. Il segretario di Stato degli Stati Uniti dichiarò che il suo governo
non intendeva riconoscere alcuna situazione creatasi con mezzi contrari al patto di Parigi del
1928, seguì una risoluzione nel 1932 dell’assemblea della società delle nazioni che alla luce
dei successivi atteggiamenti sia degli organi societari, sia dei singoli Stati, comportava il
disconoscimento non solo dell’occupazione della Manciuria ma dello stesso Stato nato.
Dopo la nascita delle Nazioni Unite nel 1945, l’illegalità di Stati nati a seguito della
violazione di norme imperative di diritto internazionale ha dato vita a una prassi sistematica
del consiglio di sicurezza dell’assemblea generale, alla quale ha corrisposto solitamente la
posizione di organizzazioni regionali e di singoli Stati.
Esempio:
- il consiglio di sicurezza fra il 1965 e il 1980 nei confronti della Rhodesia del sud e del
suo regime proclamato dalla minoranza bianca adotta una risoluzione n.216 che traeva
origine dal fatto che la sua proclamazione costituiva una violazione del principio di
autodeterminazione dei popoli e del divieto di apartheid.
- Consiglio di sicurezza contro la Repubblica turca di Cipro settentrionale, nel 1983
formatasi grazie l’intervento militare della Turchia, con la risoluzione n.787 del 1992
il consiglio di sicurezza ha dichiarato l’inammissibilità di qualsiasi entità
autoproclamatasi in tale Stato in quanto in contraddizione con il divieto dell’uso della
forza, oltre che con il rispetto dell’integrità territoriale
- Disconoscimento del presunto Stato islamico in Iraq e nel levante, considerato solo un
gruppo terroristico macchiatosi di gravi e persistenti violazioni dei diritti umani o di
diritto umanitario.
Art.41, progetto di articoli sulla responsabilità degli Stati per atto internazionalmente illeciti-
> stabilisce che nessuno Stato consideri come legittima una situazione creata mediante una
violazione grave di una norma imperativa del diritto internazionale generale.
4. L’INDIPENDENZA DELLO STATO
Affinché uno Stato acquisti la soggettività internazionale occorre che l’organizzazione
dell’autorità di governo, oltre che effettiva, abbia il requisito dell’indipendenza: cioè
l’ordinamento giuridico di tale organizzazione deve fondarsi su una costituzione originaria.
Non hanno soggettività internazionale gli Stati membri di uno Stato federale come gli Stati
Uniti d’America, non sono soggetti internazionali i Lander della Repubblica federale di
Germania, o i cantoni svizzeri, né gli enti territoriali come le regioni italiane. La potestà delle
regioni deriva dalla costituzione dello Stato italiano che potrebbe ridurli o sopprimerli,
viceversa proprio perché portatori di un proprio ordinamento originario sono qualificati come
soggetti internazionali i microstati, cioè Stati che hanno dimensioni e popolazione
estremamente ridotte (San Marino, monaco)
Esempi nella prassi italiana:
- sentenza n. 49666 del 2004 della corte di cassazione penale, con cui nega l’immunità
della giurisdizione spettante ai capi di Stato stranieri: al presidente del Montenegro
che all’epoca non era uno Stato indipendente.
- Parere della corte internazionale di giustizia del 2019 sulle conseguenze giuridiche
della separazione dell’arcipelago di Chagos da Mauritius nel 1965. La corte
internazionale ha affermato che l’accordo tra il regno unito e Mauritius con il quale
erano state cedute al regno unito le chagos, non poteva considerarsi un accordo
internazionale perché Mauritius non era uno Stato indipendente, ma una colonia dello
stesso Regno Unito.
5. IL VALORE DEL RICONOSCIMENTO
L’acquisto della soggettività internazionale di uno Stato richiede anche il suo riconoscimento
da parte degli altri Stati preesistenti?
Il riconoscimento è un atto unilaterale con il quale uno Stato dichiara di constatare la nascita
o l’esistenza di un altro Stato, esso è solitamente esplicito ma può essere anche implicito,
quando la condotta di uno Stato verso un altro manifesti maniera non equivoca che è solo
considera quale stato soggetto internazionale. Spesso il riconoscimento è bilaterale nel senso
che lo Stato nuovo che viene riconosciuto a sua volta dichiara di riconoscere l’altro Stato. Il
riconoscimento può essere de iure o de facto: se è indubbio che il riconoscimento de iure ha
una maggiore intensità ed è politicamente più impegnativo di quello de facto, dalle
dichiarazioni di riconoscimento si può dedurre che quello de facto si limita a constatare
l’esistenza del nuovo Stato, mentre il riconoscimento de iure esprime anche un accertamento
della sua legittimità internazionale.
Il riconoscimento è un atto volontario, sul piano politico sono fuori dubbio il valore e
l’importanza del riconoscimento anche ai fini del rafforzamento del consolidamento dello
Stato che nel soggetto. Specie gli Stati sorti in situazione di crisi, tengono vivamente ottenere
riconoscimento, soprattutto da parte di quegli Stati che negano la loro esistenza la loro
legittima formazione.
Esempio:
- accordi di Abramo, con cui grazie alla mediazione degli Stati Uniti, alla fine del 2020
vari paesi hanno riconosciuto Israele allacciando normali relazioni diplomatiche.
- La personalità come stato della Palestina è dubbia è negata da vari Stati, un
importante successo è stato realizzato con il conferimento alla stessa dello status di
Stato non membro osservatore presso le Nazioni Unite.
In passato era diffusa la teoria del riconoscimento costitutivo: il riconoscimento aveva
l’effetto giuridico di conferire la soggettività internazionale allo stato riconosciuto.
Oggi tale effetto è generalmente negato, il riconoscimento costitutivo è in contrasto con il
carattere paritario della comunità internazionale, nella quale non sembra ammissibile che gli
Stati preesistenti abbiano autorità per concedere o meno la personalità a un nuovo Stato.
Inoltre lo status di soggetto esiste nei confronti di tutti gli altri soggetti: uno Stato non può
avere la personalità giuridica nei rapporti con gli Stati che l’abbiano riconosciuto ed esserne
privo nelle relazioni con gli altri.
Il riconoscimento costitutivo è smentito dalla prassi internazionale: uno Stato non
riconosciuto dovrebbe essere considerato giuridicamente inesistente, non godrebbe negli Stati
che non lo riconoscano, delle immunità previste dal diritto internazionale; il suo territorio
sarebbe considerabile terra nullius cioè non sottoposto alla sovranità di alcuno e quindi
suscettibile di essere occupato adesso da altri Stati.generalmente tali conseguenze non si
verificano: lo Stato che non riconosce un altro Stato si astiene dall’avere rapporti con lui, ma
mostra di non considerarlo giuridicamente inesistente.
- corte di cassazione italiana 2004, sentenza n. 49666 : uno Stato sovrano sussiste come
soggetto autonomo di diritto internazionale in presenza della triade territorio-popolo-
governo ed in presenza dei requisiti dell’effettività ed indipendenza, non è invece
necessario che tale organizzazione di governo sia riconosciuta dagli altri Stati.
Se è vero che il riconoscimento è un importante significato sul piano politico, esso non è del
tutto privo di efficacia giuridica, a un valore giuridico dichiarativo, consistente
nell’impossibilità, per lo Stato che ne autore, di contestare l’esistenza giuridica dello Stato
riconosciuto.
Il disconoscimento di uno Stato da parte della comunità internazionale nel suo insieme può
impedirne la nascita come soggetto di diritto internazionale. Ciò accade quando lo Stato si sia
formato in violazione di norme imperative del diritto internazionale generale. In queste
ipotesi la prassi dimostra che la comunità internazionale rifiuta di trattarlo quale soggetto
giuridico.
Il disconoscimento della comunità internazionale conduce a un isolamento dello Stato, quasi
a una sua estromissione delle relazioni internazionali, impedendogli di entrare in un rapporto
di sociabilità con gli altri Stati e gli altri soggetti dell’ordinamento internazionale.
La prassi dimostra che la possibilità che il disconoscimento generalizzato di uno Stato
impedisca l’acquisto della soggettività internazionale non ha fatto meramente teorica: sono
ormai numerosi gli Stati che, nati in violazione di norme di diritto internazionale generale,
non sono stati in grado di intrattenere rapporti sociali a causa del loro disconoscimento, e
quindi non hanno potuto acquistare la personalità internazionale.
6. I CONFINI DELLO STATO
Essendo gli Stati degli enti territoriali evidente l’esigenza di stabilire dei confini per
delimitare la rispettiva sfera di sovranità.
Non è agevole rinvenire una norma di diritto internazionale consuetudinario che assicuri la
delimitazione fra i territori degli Stati interessati. Si può rinunciare il contenuto di una norma
generale nel senso che i confini dello Stato coincidono con il limite dove giunge la sua
effettiva capacità di governo, una norma siffatta però non sempre risulta utilmente
applicabile, spesso l’esigenza di definire i confini tra gli Stati si pone musone che non si
presentano l’esercizio continuo di una normale autorità di governo.
Normalmente gli Stati provvedono a delimitare i propri territori mediante accordi. Le linee di
confine stabilite possono essere naturali o immaginarIe. Dato che le questioni confinarie sono
spesso causa di controversie o persino di conflitti e interesse generale che sia garantita la loro
stabilità.
- Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati 1969: dichiara che non è applicabile la
causa di estinzione dei trattati consistente nel mutamento fondamentale delle
circostanze
È alquanto frequente ricorso a tribunali arbitrali o alla corte internazionale di giustizia
affinché definiscono la linea di confine, ho i criteri sulla base dei quali gli stessi Stati parti
dovranno individuarla. Gli Stati possono rivolgersi anche a commissioni tecniche per definire
precisamente la linea di confine.
Nella pratica oltre alla delimitazione, vi è un’operazione di demarcazione materiale sul
terreno, sulla base delle linee di confine risultanti dalla delimitazione.
A parte la norma generale altre norme non valore essenzialmente integrativo interpretativa
rispetta i criteri usati negli accordi:
- se il confine convenuto tra due Stati è una catena montuosa, la linea di confine
dovrebbe essere quella dello spartiacque
Esempio: controversia Italia e Francia: l’Italia sostiene che debba impiegarsi la linea dello
spartiacque, mentre la Francia pretende di estendere la sua sovranità ben più a sud,
comprendendo il ghiacciaio del gigante e il rifugio Torino presso Courmayeur.
- se il confine tra due Stati è rappresentato da un fiume che separa i loro territori, è
opinione diffusa che la linea di confine sia costituita dalla linea mediana del canale di
navigazione; in mancanza di un canale di navigazione il confine coincide con la linea
mediana del fiume
Esempio: sentenza della corte internazionale di giustizia del 2005 relativa la controversia di
frontiera tra Benin e Nigeria, ha stabilito che il confine nel fiume Niger è rappresentato dalla
linea delle immagini profondità del canale di navigazione principale; mentre nel fiume
Mekrou, che non è navigabile, esso è segnato dalla sua linea mediana.
- se si tratta di un lago il confine è determinato congiungendo le linee mediane che
partono dei punti del confine terrestre
Una norma consuetudinaria è quella dell’ uti possidetis: nasce parallelamente alla formazione
di numerosi Stati indipendenti affrancatisi dal potere coloniale delle potenze occidentali. Tale
regola comporta che i confini tra gli stati di nuova indipendenza coincidono con le frontiere
fissate a suo tempo dalle rispettive potenze coloniali; oppure se gli Stati divenuti indipendenti
appartenevano alla stessa potenza, con le frontiere amministrative che questo aveva tracciato
fra delle diverse unità territoriali.
Esistono due versioni della regola: in una listati di nuova indipendenza erano colonie di due
Stati differenti: la frontiera internazionale tra le colonie diventa con la tra i nuovi Stati, nella
seconda gli Stati indipendenti erano delle unità territoriali sottoposto a un’unica potenza
coloniale: il confine coincide con quello amministrativo determinato dalla potenza coloniale.
Esempi:
- sentenza del 1985 di un tribunale arbitrale: relativa la determinazione del confine tra
la Guinea, colonia francese, e la Guinea-Bissau, che era colonia portoghese
- Sentenza della corte internazionale di giustizia del 1986: delimita i confini tra Burkina
Faso e mali, entrambi colonie della Francia.
L’attaccamento dei paesi nati dalla decolonizzazione è una regola, che pure è un’eredità
dell’oppressione coloniale, mostra come sia sentita l’esigenza di stabilità dei confini.
7. I CONFINI MARINI
La sovranità degli Stati, oltre che sulla terraferma, sia se neanche una fascia di mare
adiacente le sue coste, il mare territoriale, nonché allo spazio e al di sopra di tale mare e al
fondo e al sottosuolo marino.
Lo Stato costiero incontro alcuni specifici limiti alla propria sovranità sul mare territoriale,
non all’ampio e generale potere in cui consiste la sovranità, ma alcuni specifici e limitati
diritti, consistenti nell’esplorazione nello sfruttamento delle risorse economiche che vi si
trovano.
L’alto mare, invece, è sottoposto a regime di libertà.
Anche per il mare territoriale necessario stabilire dei confini, sia nella direzione dell’alto
mare che nei rapporti tra Stati adiacenti ho sentisti. Innanzitutto occorre definire la linea di
partenza del mare, cioè il suo confine interno.
L’inizio del mare territoriale è la linea di base, la quale formata dalla linea lungo la costa a
livello di bassa marea. Tuttavia in presenza di coste molto regolari, lo Stato può usare il
metodo delle linee rette, congiungendo con la rete i punti appropriati della costo delle isole e
misurando da questa linea la larghezza del mare territoriale, così da semplificare il tracciato
del limite interno e spostare più verso il largo il proprio mare territoriale.
Il limite esterno del mare territoriale è oggi fissato in una larghezza massima di 12 miglia
marine.
È necessario definire il confine del mare territoriale tra gli Stati adiacenti o che si
fronteggiano, in mancanza di accordi la norma generale prevede la regola dell’equidistanza.
Questa regola non si applica quando, in virtù dei titoli storici o di altre circostanze speciali, è
necessario delimitare in altro modo il mare territoriale.
Esempio:
- controversia fra Costa Rica e Nicaragua: la corte internazionale di giustizia nella
sentenza del 2018 ha qualificato come circostanza speciale l’alta instabilità e la
ristrettezza della lingua di terra presso la foce del fiume San Juan, in Costa Rica; di
conseguenza non hai iniziato l’operazione di delimitazione a partire dal punto della
frontiera del resto è tra due Stati, ma ha preferito identificare un punto fisso in mare
situato sulla linea mediana, per poi connetterlo alla costa mediante una linea mobile.

CAP.III: LE LIMITAZIONI ALLA SOVRANITA’ DEGLI STATI


1. LE LIMITAZIONI ALLA SOVRANITA’ DEGLI STATI CONCERNENTI I
PROPRI CITTADINI E IL PROPRIO TERRITORIO
A parte i limiti che gli Stati possono apporre la propria sovranità mediante accordi, esistono
limitazioni alla sovranità territoriale previste dal diritto consuetudinario.
In passato S riguardavano essenzialmente il trattamento degli stranieri e dei loro beni, degli
organi di Stati stranieri e degli stessi Stati stranieri; lo Stato era del tutto libero da obblighi
internazionali per quanto riguardava i propri cittadini. Oggi esistono norme internazionali
generali che vietano gli stati di commettere nei confronti delle persone sottoposte alla propria
potestà, quindi i cittadini, violazioni massicce o sistematiche dei diritti umani fondamentali,
le cosiddette Gross Violations of Human Rights. Tali violazioni comprendono: il genocidio,
la pulizia etnica, l’apartheid, la tortura, i crimini di guerra, i crimini contro l’umanità, la
schiavitù.
Le norme consuetudinarie che vietano le violazioni massicce prescrivono obblighi
denominati erga omnes, cioè che ogni Stato ha nei confronti di tutti gli altri Stati, i quali
hanno diritto di esigere il rispetto. Pertanto una loro violazione da parte di uno Stato
rappresenta un fatto illecito che lede il diritto di tutti gli altri e comporta la responsabilità
dello Stato autore nei rapporti con tutti gli altri.
Gli Stati incontrano dei limiti anche riguardo al proprio territorio: la corte internazionale di
giustizia afferma che ogni Stato ha l'obbligo di non permettere che il suo territorio sia usato
per atti contrari ai diritti di un altro Stato.
Tale obbligo è utilizzato soprattutto in materia ambientale: gli Stati hanno il dovere di
assicurare che le attività che si svolgono sul proprio territorio non causino danni all’ambiente
di altri Stati o in zone non soggette alla sovranità di alcuno Stato.
Esempi:
- sentenza 1938 e 1941 del tribunale arbitrale per il caso della fonderia di trail tra gli
Stati Uniti e il Canada
- Dichiarazioni delle conferenze delle Nazioni Unite: dichiarazione di Rio de Janeiro,
adottata dalla conferenza delle Nazioni Unite sull’ambiente e lo sviluppo nel 1992
- Sentenze della corte internazionale di giustizia
Con particolare riguardo all’uso della forza, ogni Stato è vietato di consentire che il proprio
territorio, messo a disposizione di un altro Stato, sia usato da quest’ultimo per commettere un
atto di aggressione contro un terzo Stato.
Ogni Stato è tenuto ad astenersi dall’organizzare, promuovere, assistere o tollerare attività
organizzate nel proprio territorio al fine di commettere atti di guerra civile o di terrorismo in
un altro Stato.
2. LE LIMITAZIONE RELATIVE AL TRATTAMENTO DEGLI STRANIERI E
DEI LORO BENI
La maggior parte delle limitazioni alla sovranità territoriale riguarda gli Stati stranieri, i loro
organi e i loro cittadini.
Ci sono norme consuetudinarie di antica origine che impongono lo Stato territoriale una serie
di obblighi riguardo al trattamento degli stranieri. Lo Stato non è in alcun modo tenuto da
mettere stranieri nel proprio territorio, ma vi è una norma consuetudinaria secondo la quale lo
Stato non può respingere stranieri che si trovano nel suo territorio, o che comunque siano
soggetti al suo controllo, verso un altro Stato dove correrebbero il rischio di essere privati
della vita o di essere sottoposti a tortura o altri trattamenti disumani e degradanti, secondo il
principio cosiddetto del non-refoulement.
Lo Stato ha anzitutto un obbligo negativo: esso non può imporre liste anni eri delle
prestazioni, personali o patrimoniali, le quali presuppongono un attacco sociale
particolarmente stretto qual è la cittadinanza (ad esempio il servizio militare obbligatorio). La
giurisprudenza degli Stati mostra che esso non può essere richiesto in assenza del vincolo
della cittadinanza, quanto alle prestazioni patrimoniali può pensarsi ai tributi, che non
possono colpire beni o redditi di stranieri che non abbiano alcun rapporto con il territorio
dello Stato.
Sullo Stato territoriale grava anche un obbligo positivo di protezione dello straniero che si
trovi nel suo territorio.
L’obbligo presenta due aspetti:
- lo Stato in primo luogo è tenuto ad adoperarsi per prevenire che lo straniero sia
vittima di offese alla sua persona o ai suoi beni. Ciò comporta un’azione di polizia, di
sicurezza, che si concretizza nella predisposizione di tutte le misure idonee a
prevenire le suddette offese. Questo è un obbligo di condotta, in quanto può ritenersi
adempiuto se lo Stato presenta un apparato di sicurezza adeguato secondo uno
standard di media efficienza e adotti provvedimenti che sono ragionevolmente
necessari per il fine della protezione.
- Se lo straniero è vittima di un’offesa emerge il carattere repressivo che consiste nel
garantire l’accesso a un ricorso giudiziario che consenta la riparazione dell’illecito
subito è la punizione del responsabile. È necessaria la predisposizione di un sistema
giudiziario efficiente e l’esistenza di strumenti di ricorso a disposizione dello straniero
per la tutela dei suoi diritti violati. Qualora lo straniero non riesca ottenere una
riparazione a causa dell’inadeguatezza del sistema giudiziario, quest’ultimo incorre in
un illecito, denominato di denegata giustizia, il quale può reagire lo Stato di cui il
soggetto leso sia cittadino.
A tal proposito sono molto importanti i provvedimenti, di carattere generale o particolare, che
lo Stato territoriale assume per appropriarsi di beni o investimenti stranieri.
La loro natura giuridica e loro scopo possono essere diversi, ma l’elemento unificante è il
loro effetto ablativo, di privazione della proprietà.
In questa problematica si scontrano una pluralità di interessi:
- Stato di investimento: può avere vari benefici, economici e sociali, da investimenti
stranieri, ma che, esige di mantenere il controllo di beni e risorse situati nel suo
territorio
- Stato cui appartengono gli investitori: hai interesse nel tutelare gli stessi, le loro
proprietà e rendimento dei loro investimenti.
In linea di principio provvedimenti di approvazione dei beni stranieri sono leciti se
corrispondono a un interesse pubblico dello Stato territoriale, possono considerarsi
espressione della sovranità permanente degli Stati sulle proprie risorse naturali, affermata
dalla risoluzione n. 1803, dell’assemblea Generale delle Nazioni Unite nel 1962 è
riconosciuta da una norma internazionale consuetudinaria come ha dichiarato la corte
internazionale di giustizia nella sentenza del 2005 relativa una controversia tra la Repubblica
democratica del Congo e l’Uganda.
Tale liceità è subordinata all’indennizzo che lo Stato è tenuto a versare al soggetto
espropriato. In passato l’indennizzo andava calcolato secondo la formula presente in una
dichiarazione del 1938 del segretario di Stato degli Stati Uniti, secondo cui questo doveva
essere pronto, adeguato ed effettivo.oggi vi è una tendenza a sottolineare che l’elemento
essenziale dell’indennizzo e il suo carattere adeguato, nel quale può realizzarsi giusto
equilibrio tra l’interesse del soggetto espropriato l’interesse pubblico dello Stato territoriale.
È possibile porre fine alla questione mediante accordi bilaterali di compensazione globale, i
cosiddetti lump-sum agreements, tra lo Stato razionalizzante è quello al quale appartengono
gli investitori: il primo verso è una somma complessiva al secondo, che che provvede a
distribuirla tra gli interessati.
Esistono anche i meccanismi e procedure diretti a risolvere le controversie: il centro
internazionale per la soluzione delle controversie in materia di investimenti, creato dalla
convenzione di Washington nel 1965.
3. IL DIRITTO DI PROTEZIONE DIPLOMATICA
Qualora lo Stato territoriale venga meno ai suoi doveri di protezione dei cittadini stranieri il
diritto internazionale permette allo stato di cittadinanza di intervenire, nei confronti del
primo. Questo intervento è denominato diritto di protezione diplomatica, ma non è esercitato
dagli agenti diplomatici, bensì dal governo dello Stato in questione.
Il ricorso alla protezione diplomatica è possibile solo quando il cittadino abbia inutilmente
esperito tutti i procedimenti giudiziari disponibili nello Stato territoriale, senza ottenere
alcuna soddisfazione, secondo la regola a detta del proprio esaurimento dei ricorsi interni.
Sebbene lo Stato di cittadinanza si faccia carico della pretesa del proprio cittadino la
riparazione, dal punto di vista del diritto internazionale esso esercita un diritto proprio.
Sentenza del 1924 della corte permanente di giustizia internazionale, afferma che uno Stato fa
valere un proprio diritto, il diritto che esso ha di fare rispettare, nella persona dei suoi
cittadini, il diritto internazionale.
Di conseguenza lo Stato di cittadinanza può rinunciare ad esercitare la protezione
diplomatica, può effettuare una transazione con lo Stato territoriale, può anche astenersi dal
versare il denaro sui cittadini vittime della lesione, una volta ricevuto.
La titolarità del diritto di protezione diplomatica è in capo allo Stato, non al suo cittadino,
questo determina una sostanziale inutilità delle clausole, talvolta inserita in contratti fra
privati investitori e Stati stranieri, con le quali tali privati rinunciano alla protezione
diplomatica, tali clausole prendono il nome di clausola calvo.
Trattandosi di un diritto che non appartiene al privato la sua rinuncia evidentemente è
inefficace rispetto allo Stato di cittadinanza che è il titolare. Esistono delle tendenze nella
giurisprudenza interna ad affermare un diritto del cittadino all’esercizio della protezione
diplomatica da parte del suo stato.
L’individuazione dello Stato a cui spetta il diritto della protezione diplomatica può presentare
dei problemi in alcune ipotesi, può accadere che una persona fisica sia provvista della
cittadinanza di più Stati, in tal caso prevale la cittadinanza effettiva, quella dello Stato con il
quale l’interessato ha dei legami più reali e significativi.
Il progetto di articoli sulla protezione diplomatica elaborato nel 2006 dalla commissione del
diritto internazionale, prevede che la protezione diplomatica possa essere esercitata dei
diversi Stati di cittadinanza. Se un cittadino è apolide, la protezione diplomatica può essere
esercitata dallo Stato nel quale gli abbia la residenza abituale.
La protezione diplomatica può riguardare anche le persone giuridiche, le società, per le quali
non esiste una cittadinanza, ma una nazionalità. L’opinione prevalente in tal caso è quella
espressa nella sentenza del 1970 relativa all’affare della Barcelona Traction, secondo la quale
ha titolo a esercitare la protezione diplomatica lo Stato dove la società è costituita e alla sede,
non quello del quale siano cittadini gli azionisti di maggioranza.
4. IL TRATTAMENTO DEGLI ORGANI DI STATI STRANIERI:
L’IMMUNITA’ FUNZIONALE DELLA GIURISDIZIONE
Gli ulteriori limiti alla sovranità posti dal diritto internazionale consuetudinario si risolvono
nel riconoscimento di un particolare trattamento favorevole e di talune immunità, cioè
sottrazione i poteri dello Stato territoriale, in specie al suo potere giudiziario.
Tali sottrazioni riguardano principalmente gli organi di Stati stranieri.
In generale gli atti di qualsiasi organo vanno imputati giuridicamente allo Stato di
appartenenza, sempre che abbia agito nell’esercizio delle sue funzioni pubbliche. Di
conseguenza tali organi sono immuni dalla giurisdizione, penale civile, degli altri Stati, non
possono quindi essere sottoposti a processo dinanzi ai giudici di detti Stati stranieri.
Tale immunità è denominata funzionale (Ratione materiae ), perché deriva dall’esercizio di
una pubblica funzione e ha carattere perpetuo. L’immunità funzionale è stata costantemente
riconosciuta dai giudici nazionali, la cui giurisprudenza è di prezioso ausilio per accertare
quella prassi uniforme e quel convincimento dai quali è costituita la norma consuetudinaria.
Esempio:
- Sentenza n. 31171, corte di cassazione penale, imputazione di omicidio di un soldato
statunitense in Iraq, del quale era stato vittima il funzionario italiano Nicola Calipari,
venne esclusa la giurisdizione italiana affermando che sono sottratti alla giurisdizione
civile o penale di uno Stato estero i fatti e gli atti eseguiti a titolo di una potestà
pubblica dall’individui-organi di un altro Stato nell’esercizio dei compiti e delle
funzioni pubbliche ad essi attribuiti.
- Incidente della Enrica Lexie: due fucilieri della marina militare italiana sono stati
accusati dell’uccisione dei due pescatori indiani scambiati per pirati. Il tribunale
arbitrale con la sentenza del 2020 ha stabilito che se avevano diritto all’immunità
dalla giurisdizione dell’India.
Due eccezioni all’immunità funzionale degli organi di Stati stranieri sono:
- non godono dell’immunità gli organi che svolgono la propria attività
clandestinamente
- Non godono dell’immunità coloro che compiono crimini internazionali, possono
anche essere sottoposti a processo dinanzi ai giudici di Stati stranieri, oltre che ai
tribunali internazionali. In questi casi l’atto criminale è imputato sia allo Stato che
all’individuo: lo Stato è autore di un illecito internazionale, l’individuo di un illecito
penale.
Esempio:
- Al tribunale internazionale militare di Norimberga, costituita nel 1945 con l’accordo
di Londra tra Francia, Stati Uniti, Regno Unito e unione sovietica per la punizione dei
principali criminali di guerra nazisti, si deve la prima concreta affermazione della
responsabilità personale pur avendo agito nell’esercizio di pubbliche funzioni, si
afferma che: i crimini contro diritto internazionale sono commessi da uomini, non da
entità astratte.
Molto spesso si adottano misure restrittive a carico di individui organi di uno Stato straniero.
Queste sono motivate per l’obiettivo di indurre a desistere da condotte in violazione della
pace o, quale risposta a violazioni gravi dei diritti umani, dello stato di diritto, dei principi
della democrazia e persino della good governance.
L’Unione Europea ha recentemente adottato atti di carattere generale: una decisione e un
regolamento del 2020.
Le misure restrittive sollevano dubbi sulla loro legittimità, in quanto non sembrano conforme
la regola del diritto consuetudinario che imputa al solo Stato gli atti ufficiali dei suoi organi.
Anche l’eccezione che sia fermata per i crimini internazionali riguarda l’immunità della
giurisdizione che può essere esercitata nei confronti dei responsabili, ma non consente misure
afflittive decise da organi politici di Stati o dell’Unione Europea. Queste misure possono
risultare lesive dei diritti umani fondamentali. D’altra parte provenendo tali misure da Stati e
organizzazioni occidentali, ed essendo contestate dagli Stati cui appartengono gli individui
colpiti, e se non appaiono i doni a dare vita a una nuova norma consuetudinaria eccettuativa
all’immunità funzionale.
5. I CAPI DI STATO E DI GOVERNO E I MINISTRI DEGLI ESTERI
Per alcuni organi di Stati stranieri vigono norme di maggiore favore: ai capi di Stato, i capi di
governo, i ministri degli affari esteri, che hanno ruolo di particolare evidenza sulla scena
internazionale, che gli porta ad avere frequenti contatti, relazioni, incontri, negoziati con
organi e autorità straniere e a compiere missioni e viaggi all’estero.
Il diritto internazionale consuetudinario accorda loro, oltre all’immunità funzionale,
un’immunità di carattere personale, civile e penale. Essi non possono essere sottoposti a
giudizio in Stati stranieri neppure per atti compiuti quali soggetti privati.
Esempio:
- sentenza del 2002, della corte internazionale di giustizia: controversia tra la
Repubblica democratica del Congo e il Belgio nei confronti del ministro degli affari
esteri, si dichiara che: le immunità cordata i ministri degli esteri non sono concesse
per il loro personale beneficio, ma per assicurare l’effettivo adempimento delle loro
funzioni in nome dei loro rispettivi Stati.
Tale immunità avendo lo scopo di consentire a detti organi di svolgere in piena libertà le
proprie funzioni, ha una durata temporanea e termina quando l’individuo ha lasciato la sua
carica.
Solo una volta cessati dalla loro carica potranno essere processati.
Esempio:
- sentenza del 1999 della House of Lords del Regno Unito contro l’ex capo di Stato
cileno responsabile di crimini internazionali commessi nell’esercizio delle sue
funzioni.
L’immunità temporanea non opera nei riguardi dei tribunali penali internazionali di non sai
quali può essere processato anche un capo di Stato in carica.
Lo Stato è tenuto a garantire la protezione dei capi di Stato e di governo e dei ministri degli
esteri che si trovano nel suo territorio, l’immunità si estende a qualsiasi provvedimento
coercitivo.
L’immunità della giurisdizione riveste carattere processuale pertanto le persone considerate
non sono esentate da rispettare il diritto sostanziale, in particolare il diritto penale. Le loro
violazioni possono essere sottoposte a giudizio solo una volta cessata la carica e possono
essere processati nello stesso stato del quale sono organi o anche dinanzi ai giudici di un altro
Stato se lo Stato di appartenenza rinunci all’immunità.
6. LE MISSIONI E GLI AGENTI DIPLOMATICI
Di antica formazione sono le norme sull’immunità e i privilegi degli agenti diplomatici,
codificate nella convenzione di Vienna sulle relazioni diplomatiche del 1961.
Lo stabilimento di relazioni diplomatiche tra due Stati rappresenta il principale e più antico
strumento di relazioni tra gli Stati.
L'instaurazione e la permanenza di relazioni diplomatiche riposano sul consenso di entrambi
gli Stati interessati e possono essere lecitamente interrotte su iniziativa di ciascuno dei due
Stati.
La missione diplomatica è formata dai componenti necessari per lo svolgimento delle sue
funzioni: essa ha al suo vertice il capo missione del personale diplomatico, solitamente del
rango di ambasciatore, che assume il suo incarico mediante la procedura di accreditamento.
Una volta che la missione è stata ammessa nel territorio dello Stato accreditatario, questo è
tenuto a osservare numerosi obblighi che limitano la sua sovranità. Tali obblighi riguardano
l’immobile della missione dove ha sede l’ambasciata.
Lo Stato territoriale ha un duplice obbligo:
- obbligo di protezione
- Astensione da qualsiasi atto coercitivo e dalla penetrazione dei suoi agenti nella sede
della missione, se non con il consenso del capo missione.
La sede della missione è fornita di extra territorialità, questo termine esprime l’inviolabilità
della sede, non intende che essa è al di fuori del territorio dello Stato accreditatario. Di
conseguenza qualsiasi fatto che avvenga in un’ambasciata deve considerarsi come verificato
nel territorio dello Stato accreditatario.
L’inviolabilità si estende al contenuto dei locali, alla valigia diplomatica e alla dimora del
capo missione se è diversa dalla sede dell’ambasciata.
Esempio:
- caso ostaggi a Teheran: i due profili dell’inviolabilità della sede diplomatica e del suo
contenuto sono stati distinti dalla corte internazionale di giustizia nella sentenza del
1980 tra Stati Uniti d’America e Iran, a causa dell’attacco, dell’occupazione della
presi in ostaggio del personale dell’ambasciata statunitense a Teheran. L’attacco fu
effettuato da studenti islamici, quindi privati cittadini, in una seconda fase, però, le
massime autorità iraniane approvarono tale condotta. La corte giudica all’Iran
responsabile della mancata protezione delle sedi diplomatiche e consolari è
responsabile di aver esso stesso violato le sedi statunitensi ai diritti del personale dal
momento che il suo governo aveva conferito la qualità di agenti agli studenti islamici
diventando così autori dell’attacco e della detenzione di ostaggi.
Al capo missione, come il personale diplomatico, spetta anche l’immunità della giurisdizione
per le atti compiuti a titolo privato. La ragione di questa estensione dell’immunità e di
consentirgli di svolgere in piena libertà e sicurezza la sua missione. L’inizio dell’immunità
personale e anticipato al momento dell’ingresso nel territorio dello Stato accreditatario e la
fine è prolungata a quello dell’uscita dal territorio.
L’immunità dalla giurisdizione penale e assoluta, mentre quella dalla giurisdizione civile
subisce alcune eccezioni come: le azioni reali su beni immobili situati nello Stato
accreditatario dei quali la gente sia proprietario, le azioni successori, quelle riguardanti
un’attività professionale o commerciale esercitata privatamente dall’agente diplomatico nello
Stato accreditatario, le domande riconvenzionali rispetto ad azioni giudiziarie promosse dallo
stesso agente diplomatico.
Questa immunità hanno carattere processuale e non è sono erano pertanto l’agente
diplomatico dal rispetto delle leggi.
All’agente diplomatico va assicurata dallo Stato accreditatario la protezione necessaria per
impedire qualsiasi attentato la sua persona, la sua libertà e la sua dignità, la persona
dell’agente diplomatico e considerate inviolabile ed egli non può essere sottoposto ad alcuna
forma di arresto o detenzione.
Le immunità degli agenti diplomatici si estendono ai loro familiari conviventi, purché non
cittadini dello Stato che ospita la missione. E se invece non riguardano il personale
amministrativo e tecnico.
La convenzione di Vienna del 1961 è più generosa e riconosce tale personale pure l’immunità
della giurisdizione penale per farti personali. L’immunità per le atti compiuti nell’esercizio
delle loro funzioni compiti anche il personale di servizio, a patto che non siano cittadini dello
Stato accreditatario nè che vi risiedono abitualmente.
Dagli agenti diplomatici vanno distinti i consoli. Gli agenti diplomatici svolgono un’attività
propriamente esterna, destinata a relazionarsi con le autorità dello Stato accreditatario, i
consoli pur cambiando alcune funzioni nei rapporti con lo Stato di residenza svolgono
un’attività rilevanti essenzialmente nell’ordinamento giuridico del proprio Stato, di natura
amministrativa, giudiziaria, notarile, di ufficiale di stato civile.
Anche le relazioni consolari sono oggetto di una convenzione di codificazione promossa dalle
Nazioni Unite, la convenzione di Vienna del 1963.
Le immunità consolari sono: inviolabilità della sede, con particolare attenzione
all’inviolabilità dell’archivio consolare. Ai funzionari consolari è riconosciuta
un’inviolabilità personale analoga a quella degli agenti diplomatici, tuttavia i consoli non
godono di immunità dalla giurisdizione per atti di natura privata, ma solo di quella funzionale
derivante dall’imputazione allo Stato di appartenenza degli atti compiuti nell’esercizio delle
funzioni ufficiali.
Le missioni diplomatiche devono esercitare le proprie funzioni nel rispetto delle leggi e della
normativa dello Stato accreditatario e non devono interferire negli affari interni di questo
Stato. La violazione di tali obblighi, così come la commissione di reati da parte dei membri
del personale della missione, non fanno venir meno i privilegi e le immunità di cui godono
tali membri e la sede diplomatica.
Esempio:
- ostaggio a Teheran: di fronte al tentativo dell’Iran di giustificare l’attacco e
l’occupazione dell’ambasciata statunitense come reazione agli atti che nominali di
continua ingerenza nei propri affari interni e di spionaggio imputati agli Stati Uniti, la
corte internazionale di giustizia con la sentenza del 1980 affermato che essi non
possono costituire una giustificazione del comportamento dell’Iran.
Lo Stato accreditatario può reagire agli illeciti dichiarando il capo missione o altro membro
come persona non grata, con la conseguenza che questi deve essere richiamato dal suo stato e
deve lasciare il territorio entro un termine ragionevole, non è più riconosciuto come membro
della missione e perde ogni immunità. Un rimedio più radicale è la decisione di sospendere o
di rompere definitivamente le relazioni diplomatiche con lo Stato accreditante e di esigere la
chiusura immediata della missione.
Esempio:
- regno Unito a seguito dell’uccisione di una poliziotta da colpi di arma da fuoco sparati
dalla sede dell’ambasciata libica a Londra nel 1984
Il diritto diplomatico è un regime autosufficiente che prescrive sia gli obblighi che le sanzioni
in caso di violazione, senza la possibilità di ricorrere a misure da esso non contemplate: le
norme del diritto diplomatico costituiscono “a Self-contained regime”.
7. L’IMMUNITA’ DALLA GIURISDIZIONE DEGLI STATI STRANIERI
La sovranità dello Stato incontra dei limiti nei riguardi degli Stati stranieri. Questi ultimi
godono di immunità dalla giurisdizione di ogni altro Stato. Non è quindi proponibile
un’azione giudiziaria, nel caso in cui fosse attuata il giudice dello Stato in questione dovrebbe
dichiarare il proprio difetto di giurisdizione.
L’immunità dalla giurisdizione comporta l’impossibilità giuridica di convenire in giudizio
uno Stato straniero, ma questo, da parte sua, può agire in giudizio.
La regola in esame è una diretta espressione degli stessi caratteri strutturali della comunità
internazionale, che è composta principalmente da Stati, enti sovrani i quali si pongono su un
piano di eguaglianza; nessuno Stato, quindi, può essere soggetto alla giurisdizione di un altro
Stato: par in parem non habet imperium.
La norma consuetudinaria sull’immunità dalla giurisdizione degli Stati stranieri ha subito
un’importante evoluzione testimoniata da due convenzioni multilaterali: la convenzione di
New York del 2004 e la convenzione di Basilea del 1972.
Parlando di immunità dalla giurisdizione degli Stati stranieri, ci si riferisce alla giurisdizione
civile, poiché lo Stato non può avere responsabilità penale.
Lo Stato va inteso in senso ampio, comprensivo di tutti i suoi organi di tutti gli enti pubblici
in cui si articola la sua organizzazione, sia territoriale che di altro genere.
Originariamente l’esenzione dalla giurisdizione degli Stati stranieri era piena e priva di
eccezioni: la loro immunità si configurava come assoluta. Le attenuazioni, furono operate
dalla giurisprudenza italiana e belga, esse cominciarono a distinguere tra gli atti compiuti
dallo Stato straniero nell’esercizio della sua potestà pubblica, per i quali si impone
l’immunità e gli atti compiuti alla stregua di un qualsiasi privato. All’affermazione di tale
tendenza contribuì un progressivo mutamento del ruolo delle funzioni dello Stato, con una
sua partecipazione ad attività commerciali ed economiche e con la nascita dell’unione
sovietica, nella quale lo Stato aveva il monopolio di qualsiasi attività produttiva ed
economica.
La nuova regola si consolidò nella giurisprudenza interna è trova una conferma nella legge
adottati in materia dei vari paesi. La regola ormai da tempo vigente è quella dell’immunità
ristretta o relativa, in base alla quale l’immunità dalla giurisdizione sussiste per gli atti
compiuti dallo Stato straniero nell’esercizio delle sue funzioni di ente sovrano (Iure imperii),
ed è esclusa per gli atti compiuti alla stessa stregua di un qualsiasi privato (iure gestionis).
Le questioni economiche finanziarie possono dare luogo a problemi delicati di classificazione
tra atti iure imperii e atti iure gestionis. La giurisprudenza interna ha fornito importanti
chiarimenti.
Esempi:
- obbligazioni emesse dall’Argentina, che non fu in grado di rimborsare a causa della
grave crisi economica del 2002, la corte di cassazione nell’ordinanza n. 11.225 del
2005 ha affermato che gli atti di emissione e di collocazione sul mercato
internazionale delle obbligazioni hanno natura privatistica, mentre i provvedimenti di
ristrutturazione e di moratoria del debito manifestano la potestà sovrana dello Stato.
La cassazione riconobbe l’immunità della giurisdizione italiana dell’Argentina
riguarda la domanda di pagamento delle obbligazioni, si è pronunciata anche
l’assemblea Generale delle Nazioni Unite con la risoluzione n. 69 del 2015,
affermando che l’immunità sovrana dalla giurisdizione e dall’esecuzione in materia di
operazioni di ristrutturazione del debito sovrano è un diritto del quale gli Stati
dispongono dinanzi ai tribunali nazionali stranieri.
Un’altra materia nella quale la distinzione tra atti iure imperii e iure gestionis è problematica,
è quella dei rapporti di lavoro.
Tutti i lavoratori, svolgono un’opera che partecipa alle funzioni pubbliche dello Stato o
dell’ente straniero. Si arriverebbe ad affermare sistematicamente l’immunità dalla
giurisdizione dello Stato o dell’ente straniero, privando di tutela giurisdizionale proprio il
lavoratore, che è la parte debole del rapporto giuridico e quindi dovrebbe ricevere una
particolare protezione giuridica.
Nelle convenzioni di New York e di Basilea, la giurisprudenza nazionale e le legislazioni di
vari Stati si sono allontanate dal criterio consistente nella classificazione del rapporto di
lavoro come inquadrabile nelle funzioni pubbliche dello Stato straniero, integrandolo con due
differenti criteri:
1. L’esistenza di particolari legami giuridici tra il lavoratore e gli Stati
2. Il contenuto della domanda giudiziale avanzata dal lavoratore
Nel primo caso l’immunità dalla giurisdizione esiste se il lavoratore cittadino dello Stato
straniero e non ha la residenza abituale nello stato del giudice, così afferma anche l’Art. 11
della convenzione di New York. In questo caso l’immunità bensì giustifica, non solo per lo
stretto legame con lo Stato straniero dei lavoratori, ma perché egli potrà esperire un’azione
dinanzi al giudice dello Stato straniero nel quale cittadino.
Nel secondo caso l’immunità va riconosciuta se sei diretta all’assunzione, alla prosecuzione
del rapporto del lavoro o al reinserimento del lavoratore.
La giurisdizione dello stato del giudice sussiste nella misura in cui la domanda abbia un
contenuto esclusivamente patrimoniale, una domanda siffatta non è idonea a incidere
sull’autonomia e sulle potestà pubblicistiche dello Stato straniero.
Il riferimento alle mansioni svolte dal lavoratore continua ad avere una rilevanza ai fini del
riconoscimento meno dell’immunità dalla giurisdizione, ma con riguardo a due ipotesi
estreme:
1. Lavoratore che abbia un ruolo particolarmente significativo nell’esercizio dell’autorità
di governo dello Stato straniero, posizione apicale o elevata nell’organizzazione di
tale Stato: sussiste l’immunità dalla giurisdizione
2. Lavoratore che svolge mansioni del tutto estranee alle funzioni istituzionali
all’organizzazione dell’ente straniero: è negata l’immunità dello Stato straniero dalla
giurisdizione.
Ulteriori ipotesi nella quale non sarebbe ammissibile l’immunità dalla giurisdizione degli
Stati stranieri è stata individuata dalla giurisprudenza italiana, nelle domande giudiziali volte
ottenere il risarcimento dei danni per crimini commessi dallo Stato straniero.
Esempi:
- sentenza n.5044 del 2004 della corte di cassazione, Ferrini contro la Repubblica
federale di Germania: viene negata l’immunità dalla giurisdizione della Repubblica
federale di Germania rispetto alla domanda di risarcimento proposta da un cittadino
italiano, catturato in Italia dalle forze tedesche nel corso della seconda guerra
mondiale, internato in un campo di concentramento e sottoposta ai lavori forzati. La
corte di cassazione pur non dubitando che tale condotta fosse qualificabile come iure
imperii, quindi coperta dalla regola dell’immunità, affermato che essa costituiva un
crimine della Germania, perché violava la norma internazionale inderogabile a tutela
dei diritti fondamentali della persona e tali norme del diritto internazionale
consuetudinario si collocano al vertice dell’ordinamento internazionale, quindi sono
superiori anche alla norma sull’immunità dalla giurisdizione degli Stati stranieri.
La corte internazionale di giustizia chiamata a pronunciarsi su tale giurisprudenza in
un’azione intentata dalla Repubblica federale di Germania contro l’Italia, nella sentenza del
2012, ha respinto la ricostruzione della cassazione giudicando illecita la sua sentenza:
secondo la corte internazionale di giustizia la norma sull’immunità della giurisdizione è
quella che vieta crimini di guerra si pongono su due piani distinti: l’una a carattere
procedurale l’altra sostanziale. La violazione della norma cogente costituisce certamente un
illecito internazionale e comporta tutte le conseguenze previste dal diritto internazionale, ma
in virtù della norma sull’immunità la responsabilità dello Stato autore dell’illecito non può
essere fatta valere dinanzi ai giudici di un altro Stato.
L’immunità dalla giurisdizione degli Stati o altri enti pubblici stranieri non riguarda solo il
giudizio di cognizione ma anche il procedimento esecutivo e quello cautelare.
La norma consuetudinaria ripropone la distinzione tra atti iure imperii e atti iure gestionis,
adattandoli ai caratteri di tali procedimenti.
L’immunità dall’esecuzione forzata o da provvedimenti cautelari copre i beni di proprietà
dello Stato straniero destinati a una sua funzione pubblica, mentre l’azione esecutiva potrà
esprimersi su beni destinati a un uso di tipo privatistico.
La distinzione diventa molto problematica per il denaro dello Stato o dell’ente pubblico che
possono essere usati per qualsiasi scopo. Generalmente si esclude un’esecuzione forzata su
tali depositi a meno che non siano espressamente destinati a una finalità privatistica.
La norma sull’immunità dall’esecuzione e distinta da quella sull’immunità dalla giurisdizione
contenziosa, e quindi possibile che i giudici di uno Stato emette una sentenza contro uno
Stato straniero in una controversia concernente atti iure gestionis, ma che è un’esecuzione
forzata della stessa sia impedita per l’inesistenza di beni dello Stato soccombente destinati a
usi privatistici.
Ciò andrebbe confermato anche qualora l’immunità fosse stata esclusa a causa della
violazione di una norma internazionale imperativa, di recente la corte di cassazione ha
affermato che, in questo caso, i giudici italiani hanno il dovere di negare ogni esenzione dalla
giurisdizione, tanto nella sede del giudizio di cognizione, quanto nella sede dell’esecuzione
forzata della sentenza che avesse accertato la responsabilità dello Stato straniero.
8. L’IMMUNITA’ DALLA GIURISDIZIONE DELLE ORGANIZZAZIONI
INTERNAZIONALI
Si ritiene che l’immunità dalla giurisdizione, comprensiva di quella dall’esecuzione,
aspettiamo anche alle organizzazioni internazionali, cioè a quegli enti costituiti dagli Stati
mediante un accordo ai quali quest’ultimo conferisce dati i poteri per il perseguimento di
finalità comuni. Sono incerti il fondamento e l’ampiezza di tale immunità, a differenza
dell’immunità degli Stati, essa non può discendere dal principio par in parem non habet
iurisdictionem, che è un corollario dell’eguale sovranità degli Stati, poiché le organizzazioni
internazionali non sono enti sovrani ma derivano i loro dire che loro poteri dalla volontà degli
Stati membri quale si esprime nell’accordo istitutivo.
L’immunità dell’organizzazione risponde all’obiettivo di garantire la loro indipendenza,
specie nei rapporti con lo Stato.
La corte europea dei diritti dell’uomo nella sentenza del 1999 stabilisce che l’attribuzione di
privilegi e immunità le organizzazioni internazionali è un mezzo indispensabile per assicurare
il funzionamento appropriato di tali organizzazioni, senza ingerenza unilaterale da parte di
alcun governo.
A riguardo ci sono state posizioni molto differenziate, ma sembra prevalere l’orientamento
favorevole al riconoscimento di tale immunità.
Il problema di solito è superabile grazie frequenti accordi multilaterali tra gli Stati membri e
quelli bilaterali tra l’organizzazione e lo Stato dove sono localizzati i suoi organi uffici. Tali
accordi spesso contengono norme relative al trattamento anche dei loro funzionari e dei
rappresentanti degli Stati membri presso le organizzazioni.
Norme sull’immunità sono presenti nello statuto dell’organizzazione internazionale:
- art. 105 della carta delle Nazioni Unite: l’organizzazione gode dei privilegi e delle
immunità necessarie, i rappresentanti dei membri delle Nazioni Unite i funzionari
dell’organizzazione godranno parimenti dei privilegi e delle immunità.
Sebbene l’immunità dalla giurisdizione delle organizzazioni internazionali siamo della tua su
quella degli Stati, l’applicazione le prime della distinzione tra atti iure imperii e iure
gestionis, non è agevole; in principio tutte le attività dell’ente sono dirette all’adempimento
dei propri compiti istituzionali, ciò ha per conseguenza che l’ambito dell’immunità delle
organizzazioni tende ad ampliarsi rispetto a quella riconosciuta agli Stati.
Anche l’immunità delle organizzazioni internazionali e dei loro funzionari possono essere
oggetto di rinuncia, rientra nella competenza del segretario generale che è posto a capo della
struttura amministrativa dell’organizzazione.

CAP.IV: I MUTAMENTI DELLO STATO


1. PREMESSA
Lo Stato può subire dei mutamenti riguardanti sia il territorio sottoposto alla sua sovranità
che la propria forma di governo.
Questi mutamenti, anche chiamati vicende dello Stato, possono produrre importanti
conseguenze giuridiche non solo sull’ampiezza del territorio, ma anche sull’estinzione dello
Stato e sulla nascita di nuovi Stati.
Tali fenomeni hanno una ricaduta sulla partecipazione dello Stato in questione ai trattati dei
quali parte e, sono spesso esaminati in questa prospettiva, la cosiddetta successione degli
Stati nei trattati, ma essi interessano la stessa identità dello Stato come soggetto di diritto
internazionale, determinando la sua estinzione o la sua continuità o la nascita di uno o più
nuovi Stati.
Gli effetti giuridici dei mutamenti dello Stato si ripercuotono in molti ambiti: la
partecipazione trattati, l’appartenenza dello Stato alle organizzazioni internazionali, la
responsabilità per illecito internazionale, la titolarità dei debiti, la qualità di parte in un
processo.
Esempio:
- la convenzione per la prevenzione e la repressione del crimine di genocidio sottoposta
nel 1993 alla corte internazionale di giustizia della Bosnia-Erzegovina contro l’unione
di Serbia e Montenegro, nel corso del processo il Montenegro si è dichiarato
indipendente, staccandosi dall’unione e diventando un nuovo Stato, mentre la Serbia
proseguiva la soggettività della medesima. La corte nella sentenza del 2007 dichiarò
che la Repubblica di Montenegro non acquistava la qualità di convenuto nel processo.
2. L'ANNESSIONE
I mutamenti territoriali possono verificarsi anzitutto come estensione della sovranità di uno
stato su territori appartenenti a un altro Stato o sui quali non esiste la sovranità di alcuno
Stato.
Tale fenomeno prende il nome di ammissione e richiede due condizioni affinché si compia:
- la volontà dello Stato di annettere il territorio in questione.
Esempio: dichiarazione di Berlino del 1945 tra Regno Unito, Stati Uniti d’America, non è
sovietica e Francia, con la quale tali Stati annunciavano di assumere tutti i poteri nella
Germania debellata e priva ormai di qualsiasi autorità di governo ma precisavano che non
avrebbero annesso la Germania.
La volontà di annettere può esprimersi in un atto unilaterale dello Stato o in maniera
implicita. A differenza di quanto può avvenire nel diritto interno con un contratto di
compravendita, un accordo internazionale di cessione non hai effetti reali ma solo obbligatori,
cioè l’obbligo giuridico dello Stato cedente di ritirare le sue autorità dal territorio e il
corrispondente diritto dello Stato cessionario di insediare i propri organi di governo.
- la seconda condizione necessaria per l’annessione e l’effettiva estensione dell’autorità
di governo dello Stato annettente.
Esempio: sentenza 1928 dell’arbitro unico max Huber nell’affare dell’isola di Palmas tra gli
Stati Uniti e l’Olanda, dove afferma che i titoli di acquisto della sovranità territoriale
nell’odierno diritto internazionale o sono basati su un atto di effettiva acquisizione come
l’occupazione o la conquista o la cessione, presuppongono che una delle due potenze abbia la
facoltà di disporre effettivamente del territorio ceduto.
L’annessione può essere parziale: i due Stati interessati permangono entrambi nella loro
identità, ma uno amplia la sua sfera di sovranità e l’altro la riduce.
In passato questi trasferimenti avvenivano mediante strumenti giuridici che si presentavano
come accordi internazionali, ma avevano un contenuto di stampo tipicamente privatistico.
Esempio: l’Alaska fu trasferita dalla Russia gli Stati Uniti nel 1867 al prezzo di 7.200.000 $.
Frequente è la cessione di territori dallo stato sconfitto a quello vincitore, mediante i trattati di
pace che chiudono la guerra.
Esempio: il trattato di pace del 1947 costringe l'Italia a cedere i vari territori alla Francia, alla
Jugoslavia e alla Grecia.
L’annessione può essere anche totale, uno Stato incorpora l’intero territorio di un altro:
questo presuppone una perdita dell’intero territorio dello Stato annesso e la sua successiva
estinzione come soggetto di diritto internazionale.
In passato essendo una guerra un fatto lecito, l’ipotesi più comune di annessione totale era la
debellatio, la sconfitta bellica di uno Stato opera dell’altro che decideva di estinguere
l’organizzazione di governo del primo e di appropriarsene completamente.
Esempi:
- annessione dell’Etiopia da parte dell’Italia nel 1936
- Annessione dell’Austria opera della Germania nel 1938
- Annessione dei paesi baltici all’unione sovietica nel 1940
Quasi tutta l'unificazione d’Italia è il risultato di una serie di incorporazioni degli stati italiani,
sino a quello pontificio nel 1870 debellati a seguito di una guerra.
L’annessione totale può essere anche il risultato di un accordo tra due Stati
Esempio:
- accordo di annessione del 1907 tra il Belgio e lo Stato libero del Congo, che veniva
incorporato nel Belgio diventando una sua colonia. Questo avvenne perché il capo di
Stato del Belgio lo era anche dello Stato libero del Congo, quindi elaborò un accordo
con se stesso.
- Riunificazione tedesca: accordo di Berlino del 1990 tra la Repubblica federale di
Germania e la Repubblica democratica tedesca.
Anche nell’annessione, il principio di effettività subisce un temperamento a favore di un
principio di legalità internazionale, che impone di non riconoscere annessioni realizzate in
violazione di norme imperative del diritto internazionale generale.
Esempio:
- dichiarazione Stimson del 1932, relativa all’aggressione della Manchu Oria da parte
del Giappone.
Detta prassi, accompagnata da un diffuso convincimento giuridico, mostra l’esistenza di una
norma consuetudinaria la quale impone di disconoscere l’annessione in violazione dello ius
cogens, come conferma l’art. 41 del progetto di articoli sulla responsabilità degli Stati
perfetto internazionalmente illeciti della commissione del diritto internazionale del 2001.
L’obbligo in esame si applica anzitutto hai preteso acquisti territoriale ottenuti con l’uso della
forza armata
Esempi:
- territori occupati da Israele dopo la guerra dei sei giorni del 1967: l’illegalità e a
fermata dal consiglio di sicurezza a partire dalla risoluzione n. 242 del 1967 e viene
ribadita dalla corte internazionale di giustizia nel parere del 2004.
- Sentenza della corte di giustizia dell’Unione Europea del 2019
- Pretesa annessione del Kuwait da parte dell’Iraq a seguito della sua invasione militare
del 1990, a tal proposito il consiglio di sicurezza dell’ONU chiede di non riconoscere
tale annessione di astenersi da ogni azione o contatto che potrebbero essere
interpretati come un riconoscimento implicito dell’annessione.
- Annessione della Crimea alla Russia nel marzo 2014, disconosciuta dall’assemblea
Generale delle Nazioni Unite con la risoluzione del 2014.
La norma sul disconoscimento di acquisti territoriali mediante la forza a un ambito di
applicazione anche più ampia di quella che proibisce l’uso della forza armata e in particolare
l’aggressione, quindi anche se l’uso della forza armata fosse lecito, qualsiasi a nessuno e
conseguente arresto in ogni caso illecita e non riconoscibile.
Il disconoscimento degli acquisti territoriali è costantemente affermato anche quando
avvengono in violazione del diritto di autodeterminazione dei popoli.
Esempio:
- territorio del sud ovest africano divenuto poi Namibia, che allungo il Sudafrica ha
illegalmente occupato. Il consiglio di sicurezza dichiarò illegale tale occupazione con
la risoluzione n. 283 del 1970, chiedendo a tutti gli stati di non riconoscere l’autorità
del governo sudafricano in Namibia. La corte internazionale di giustizia intervenne
con un parere nel 1971 precisando che gli Stati avevano l’obbligo di non intrattenere
con il Sudafrica alcuna relazione convenzionale in tutti i casi in cui esso pretendesse
di agire in nome della Namibia.
- Pretesa del Marocco di annettere il territorio dell’ex Sahara spagnolo.la corte
internazionale di giustizia con un parere del 1975 ha espressamente riconosciuto il
diritto di autodeterminazione del Sahara spagnolo, pertanto il suo diritto a diventare
Stato indipendente. La posizione assunta dalla corte di giustizia dell’Unione Europea
è quella di ritenere che certi accordi conclusi dall’unione europea con il Marocco non
siano applicabili a tale territorio.
Il disconoscimento affinché possa impedire l’acquisto di sovranità sul territorio illegalmente
annessi, deve essere sufficientemente generalizzato e non deve limitarsi a una formale
dichiarazione, ma deve essere seguito da comportamenti coerenti di rigetto di qualsiasi
manifestazione della pretesa sovranità dello Stato occupante sul territorio in questione.
Ci sono molti esempi di annessione realizzata con la forza armata che in assenza di reazione
della comunità internazionale, si è consolidata anche sul piano giuridico internazionale: il
Vietnam del Nord dopo la sconfitta il ritiro delle forze armate statunitensi, Vietnam del sud
che si estinse come stato e fu incorporato nel Vietnam riunificato.
3. LA FUSIONE
È un fenomeno apparentemente simile all’annessione, ma giuridicamente del tutto diverso.
Anche la fusione consiste nell’unione non sono stato dalle comunità territoriali già
appartenenti a due o più Stati, tuttavia nella fusione si determina l’estensione di tutti gli Stati
coinvolti, lo Stato risultante dall’unificazione delle diverse comunità territoriali e del tutto
nuovo.
Tra i due fenomeni considerati, l’unico elemento che consente di distinguerli è dato
dall’organizzazione di governo degli Stati: se tale organizzazione di uno degli Stati interessati
sopravvive sia in presenza di un’annessione, se invece scompaiono le organizzazioni di
governo di tutti gli Stati le cui comunità territoriali si uniscono e su queste si insedia l’autorità
di una nuova organizzazione di governo, il fenomeno va qualificato come fusione.
Non sempre è agevole stabilire se si sia insediata una nuova organizzazione di governo o se
permanga in vita l’organizzazione di uno degli Stati precedenti.
Nelle Nazioni Unite l’ingresso di uno Stato nuovo è possibile solo attraverso il procedimento
di ammissione, disciplinato dall’ art.4 della carta di tale organizzazione, tuttavia nei casi che
sembrano inquadrabili nella vicenda della fusione, lo Stato in questione prese
automaticamente possesso del proprio seggio nell’organizzazione, mentre vennero meno i
seggi degli Stati preesistenti. Talvolta anche le Nazioni Unite assumono delle posizioni che
non sono giuridicamente corrette ma rispondono solo a valutazioni e interessi politici.
Esempi di fusione:
- Repubblica araba unita costituita dall’Egitto e dalla sera nel 1958 e sciolta sì solo
dopo tre anni nel 1961.
- Unificazione del tanganica e di Zanzibar nello Stato della Tanzania nel 1964
- Unificazione nello Yemen della Repubblica araba di ammine della Repubblica
democratica di Yemen attraverso il trattato di Sana’a del 1990, in cui si parla
espressamente di un’unione comportante fusione dei due Stati aggiungendo che si
risolve in una personalità internazionale unica ufficiale denominata Repubblica
yemenita.
4. LA SECESSIONE

Ci sono vicende in cui lo Stato aperte, in parte o totalmente, il suo territorio. Si possono
verificare due ipotesi apparentemente simili sul piano materiale, ma ben distinte dal punto di
vista giuridico.

La prima è la secessione: si realizza quando una porzione del territorio dello Stato se ne
separa e su di essa viene a costituirsi uno Stato nuovo. In tal caso lo stato originario subisce
una diminuzione della propria comunità territoriale, ma, pur esercitando la sovranità in un
ambito spaziale più ridotto, conserva la soggettività internazionale, permanendo nella sua
identità di Stato.

Nella seconda ipotesi non è importante la tematica della soggettività internazionale, infatti la
parte di territorio che si stacca da uno Stato ricade sotto la sovranità di un altro Stato già
esistente, in tal caso si parla di annessione parziale. Questa vicenda non incide sulla
soggettività internazionale di nessuno dei due Stati, il passaggio di sovranità si determina
sulla base del principio di effettività, quando uno Stato perde il controllo reale del territorio in
questione e su questo si insedia l’autorità di governo di quello annettente.

Riguardo la secessione comportante la nascita di un nuovo Stato sulla porzione della


comunità territoriale che si stacca da quella preesistente, importante è il fatto che
quest’ultimo Stato conserva immutata la sua organizzazione di governo, questa permanenza
consente di riconoscere lo Stato in questione come il medesimo soggetto esistente al
momento del distacco, che continua nella propria immutata identità giuridica.

Anche nella seccessione trova applicazione il principio generale dell’effettività: il nuovo


Stato verrà inesistenza solo quando avrà stabilmente insediato la propria autorità di governo
sul territorio separatosi dallo stato originario.

Il principio di effettività subisce un temperamento opera di un principio di legalità


internazionale, in virtù del quale uno Stato non acquista la personalità giuridica se la sua
formazione avviene in violazione di norme imperative del diritto internazionale.

Esempi:

- Rhodesia del sud si dichiarò indipendente dal Regno Unito nel 1965, non viene
riconosciuta dalle Nazioni Unite in quanto la sua nascita avveniva in violazione del
principio di autodeterminazione dei popoli e del divieto di apartheid

La prassi internazionale relativo alla secessione estremamente vasta:

- secessioni delle colonie americane dalla Gran Bretagna


- Secessioni delle colonie spagnole e portoghesi dall’America latina
- Del Belgio dall’Olanda nel 1831
- Dell’Islanda dalla Danimarca nel 1940
- Delle repubbliche baltiche dall’Estonia
- Della Lettonia e la Lituania dall’unione sovietica nel 1990
- Del Montenegro dall’unione di Serbia Montenegro nel 2006
- Fenomeno della decolonizzazione soprattutto nel continente africano.
- È incerta la condizione giuridica del Kosovo proclamato sei indipendente nel 2008,
ma sul quale pesa non solo l’assenza di una piena capacità autonoma di governo, ma
anche l’origine del distacco dalla Repubblica federale di Jugoslavia realizzatosi grazie
al massiccio intervento militare dei paesi della Nato nel 1999.
- Prive di effettività sono anche l’Ossezia del sud e l’Abkhazia staccatesi dalla Georgia
nel 2008, a cui non si riconosce la soggettività internazionale
- Dubbia la vicenda dell’unione sovietica nel 1991: essa è stata considerata come una
pluralità di secessioni di nuovi Stati dall’unione sovietica. Nelle Nazioni Unite il
saggio già appartenente all’unione sovietica fu automaticamente ricoperto dalla
Russia, che assunse anche lo status di membro permanente nel consiglio di sicurezza,
precedentemente rivestito dall’unione sovietica. Gli altri ex repubbliche sovietiche
presentare una domanda di ammissione, che fu accettata dai competenti organi delle
Nazioni Unite, diventando nei membri nel 1992. In realtà nel caso dell’ex non è ciò
che etica non vi è stata alcuna continuità tra l’organizzazione di governo di tale Stato
e quella della Russia, quest’ultima non può, quindi, considerarsi la prosecuzione della
soggettività internazionale dell’unione sovietica, ma costituisce uno Stato nuovo.

Il diritto internazionale conferisce la soggettività allo Stato che insedia la sua autorità sulla
porzione di comunità territoriale staccata da uno Stato preesistente, ma questo non significa
che esso contempli un diritto alla secessione.

Il diritto internazionale interviene ex post, si limita a prendere atto che su un dato territorio si
è costituita una nuova organizzazione di governo.

Riguardo ai rapporti tra gli Stati il diritto internazionale prescrive il reciproco rispetto della
rispettiva integrità territoriale.

Le aspirazioni alla secessione dai propri stati non hanno fondamento giuridico nel diritto
internazionale. Solo in un caso il diritto internazionale riconosce un vero diritto di secessione:
i popoli titolari del diritto di autodeterminazione, cioè il diritto di raggiungere la piena
indipendenza quali enti statali e ottenere, quindi, il distacco dalla parte del territorio statale
nel quale tali popoli sono insediati, cioè sono beneficiari i popoli coloniali.

5. LO SMEMBRAMENTO

La seconda figura giuridica nella quale c’è una sorta di frammentazione del territorio dello
Stato e lo smembramento. A differenza della secessione, non lo smembramento lo Stato che
subisce la scissione del proprio territorio si estingue e sulle varie parti di tale territorio
devono formarsi due o più Stati nuovi.

L’elemento giuridico per distinguere la vicenda dello smembramento, da quella della


secessione è rappresentato dall’organizzazione di governo: se essa permane in uno degli Stati
risultanti dalla vicenda, si tratta di successione, se anche l’organizzazione di governo dello
Stato in questione scompare, si tratta di smembramento.
Esempi:

- impero austro ungarico e impero ottomano a conclusione della prima guerra mondiale
- 1945, il terzo Reich viene diviso tra le due germani
- 1993, smembramento della Cecoslovacchia, dalla quale nacquero la Repubblica ceca
e la Slovacchia
- Ex Jugoslavia che si è divisa in cinque Stati: Croazia, Slovenia, Bosnia-Erzegovina,
Macedonia, Repubblica federale di Jugoslavia.
- La Repubblica di Serbia e Montenegro che inizialmente cercò di presentarsi come la
continuazione della Repubblica federale socialista di Jugoslavia, membro fondatore
delle Nazioni Unite, ma poté entrare nell’organizzazione solo nel 2000 dopo un
formale procedimento di ammissione. Ci sono aspetti di ambiguità nel considerare la
vicenda dell'Ex Jugoslavia come sbarramento, tuttavia bisogna tener conto che tali
Stati avevano una struttura federale, quindi vi era un collegamento inscindibile tra la
struttura federale e la costituzione jugoslava: la separazione delle diverse repubbliche,
provocò inevitabilmente la distruzione dell’organizzazione costituzionale jugoslava,
questo determinò anche la distruzione del suo apparato di governo e l’estinzione dello
Stato.
- La vicenda dell’unione sovietica è stata interpretata come una pluralità di successioni
dallo Stato che, con la denominazione di Russia, continuerà la personalità
internazionale dell’unione sovietica, questo non sembra giuridicamente corretto,
infatti le decisioni prese a Muse che nel 1991 e ad Alma, tra le varie ex repubbliche
sovietiche, venne decretato la fine del regime preesistente con l’esplicita soppressione
dell’istituto della presidenza dell’unione sovietica. L’unione delle repubbliche
socialiste sovietiche come soggetto di diritto internazionale e realtà geopolitica non
esiste più, quindi il fenomeno dovrebbe essere qualificato come smembramento. La
diversa soluzione fu adottata, probabilmente, per una serie di considerazioni ed
interessi politici. Nonostante l’ingresso della Russia sia venuto in violazione dell’art.4
della carta, esso non ha provocato alcuna protesta, anzi ha incontrato il tacito
beneplacito dell’intera organizzazione, questo ha determinato una convalida giuridica
di tale ammissione.

6. I MUTAMENTI RIVOLUZIONARI DI GOVERNO

I mutamenti dello Stato possono riguardare anche la sol organizzazione di governo. L’evento
importante è il cosiddetto mutamento rivoluzionario di governo, che si verifica quando un
nuovo governo, si insedia al posto di quello preesistente sovvertendo l’ordine costituzionale
e, solitamente, in maniera violenta.

Si possono verificare due situazioni che da un punto di vista politico, sono generalmente
opposte:

- il colpo di stato, solitamente messo in atto da un gruppo ristretto


- La rivoluzione popolare, che parte dal basso e a generalmente una capacità di
coinvolgimento delle masse

Giuridicamente i due eventi sono accomunati dalla loro illegalità costituzionale.


In Dottrina è oggetto di discussione se il mutamento rivoluzionario determina l’estinzione
dello Stato quale soggetto dell’ordinamento internazionale oppure ne conservi inalterate
l’identità e la soggettività. Ci sono diverse opinioni:

- sesso identificato nei suoi elementi materiali dal popolo e del territorio, il mutamento
rivoluzionario di governo è reputato ininfluente ai fini della permanente identità dello
Stato
- Se lo Stato è individuato nel complesso dei suoi organi supremi di governo, esso si
estingue a seguito della scomparsa di tale governo

Pur aderendo alla concezione dello Stato-persona, la risposta al problema non può essere
dedotta secondo un processo di logica astratta, ma va risolto alla luce della prassi
internazionale. Tale prassi esprime il convincimento giuridico degli Stati e manifesta il
contenuto delle norme pertinenti del diritto internazionale consuetudinario.

La prassi mostra che il mutamento rivoluzionario di governo non è stato mai considerato
come una causa di estinzione dello Stato. Nelle Nazioni Unite mai uno Stato il cui governo
era stato rovesciato ha perso il proprio seggio, l’unica conseguenza è che i delegati di tale
Stato vengono sostituiti da quelli inviati dal nuovo governo. L’assemblea generale si limita a
prendere atto dell’avvicendamento delle delegazioni in sede di verifica delle credenziali della
nuova delegazione. Non hanno avuto mai successo i tentativi di alcuni Stati di presentarsi
come un nuovo soggetto, rispetto a quello rappresentato dal precedente governo.

Esempio: l’unione sovietica proclamata nel 1922 dopo la fine del regime zarista, con la
rivoluzione d'ottobre del 1917 è una sanguinosa guerra civile

La regola del diritto internazionale concernenti i mutamenti rivoluzionari di governo


conferma il principio: forma regiminis mutata non mutatur ipsa civitas.

Dal punto di vista giuridico l’effetto ricollegato alla vicenda considerata consiste nel fatto che
lo Stato è rappresentato dal nuovo governo in luogo di quello del posto, e con esso gli altri
Stati sono tenuti a relazionarsi. La sostituzione del nuovo apparato di governo avviene nel
momento in cui esso abbia realmente insediato nella comunità territoriale la propria autorità.

Anche in questa materia trova applicazione il principio di effettività, alla luce del quale le
organizzazioni internazionali provvedono alla sostituzione delle nuove delegazioni a quelle
provenienti dal governo estinto. Tale principio può condurre anche sospendere
l’individuazione del governo di uno Stato se questo sia vittima per un prolungato periodo di
una guerra civile, fino a che prevale in maniera definitiva una delle fazioni in campo.

Al criterio di effettività devono attenersi gli Stati nel riconoscere il nuovo governo, anche
rispetto a questi infatti è diffusa la prassi del riconoscimento. Il riconoscimento dei governi è
un atto di natura essenzialmente politica. Ci sono casi in cui gli Stati riconoscono come
rappresentanti di uno Stato un gruppo di rivoltosi, personaggi politici, il luogo del governo
effettivo.

Esempi:

- il consiglio nazionale di transizione in Libia viene riconosciuto, si tratta di un gruppo


insurrezionale che si contrapponeva al governo di Gheddafi
- Gli Stati Uniti nel 2019 hanno riconosciuto presidente della Repubblica venezuelana
l’allora presidente dell’assemblea parlamentare juan guaidó, autoproclamatosi
presidente della Repubblica ad interim. In tal caso il riconoscimento non solo non ha
alcuna efficacia giuridica, ma costituisce un atto illecito poiché rappresenta
un’interferenza nelle questioni interne dello Stato interessato, vietata dal diritto
internazionale. Il riconoscimento statunitense ha portato ad una rottura delle relazioni
diplomatiche.

Anche per quanto riguarda i governi il principio di effettività è affiancato dal principio di
legalità internazionale, in virtù del quale non sono riconoscibili i governi che si sono
insediati, o che esercitano la propria autorità, in violazione di norme imperative del diritto
internazionale generale.

Esempi:

- risoluzione n. 3206 del 1974, l’assemblea generale rifiutò di riconoscere le credenziali


della delegazione del Sudafrica che pur restando formalmente membro
dell’organizzazione, di fatto ne fu estromesso, tale risoluzione esprime il rifiuto di
consentire la partecipazione ai lavori della stessa assemblea a qualsiasi delegazione
che fosse stata inviata dal governo del Sudafrica il quale praticava sistematicamente
un regime di brutale e massiccia discriminazione razziale, l’apartheid. Questo rifiuto
si traduceva nel disconoscimento del governo del Sudafrica, considerato
internazionalmente illegittimo malgrado la sua effettività.

CAP.V: I SOGGETTI DI DIRITTO INTERNAZIONALE DIVERSI


DAGLI STATI
1. PREMESSA: LA SOGGETTIVITA’ INTERNAZIONALE

Oltre agli Stati, che rappresentano i principali soggetti del diritto internazionale e hanno una
piena personalità giuridica, esistono altri attori sulla scena delle relazioni internazionali. La
maggior parte di questi soggetti non statali è priva di una base territoriale, per cui tutte le
norme internazionali che si riferiscono al territorio, non sono applicabili a essi.

Mandato ente va considerato soggetto di diritto internazionale se è destinatario delle norme di


tale ordinamento, quindi se può essere titolare di una situazione giuridica soggettiva nascente
da tali norme. Per stabilire sesso abbia la personalità giuridica internazionale occorre
compiere ho detto accertamento, questo va svolto essenzialmente alla luce delle norme di
diritto internazionale consuetudinario, che hanno una portata generale, mentre gli accordi
producono effetti esclusivamente per le parti che lo hanno concluso. Tuttavia gli accordi non
sono affatto irrilevanti per questa indagine: il fatto che sia un ente che conclude accordi
internazionali è una prova decisiva della sua personalità.

Non deve stupire se alcuni protagonisti della vita internazionale non siano considerati
soggetti di diritto internazionale, in quanto non sono destinatari delle norme di tale
ordinamento (società multinazionali, società di rating, organizzazioni non governative,
comitato internazionale della Croce Rossa ).
2. I GOVERNI IN ESILIO. GLI ENTI TERRITORIALI DIPENDENTI DALLO
STATO

Non sono generalmente ritenuti i soggetti di diritto internazionale i governi in esilio, che
talvolta vengono a costituirsi all’estero, ospiti di Stati stranieri, in occasione dell’occupazione
militare dello Stato, o di rivoluzioni, o di colpi di Stato.

Esempi:

- governo dell’imperatore Selassie, che riparò in Gran Bretagna nel 1936 dopo
l’aggressione italiana all’Etiopia.in questo caso i delegati dell’imperatore e
continuarono a occupare il seggio di tale Stato, sebbene ormai estinto, nell’assemblea
della società delle nazioni. Questi non venivano considerati soggetti internazionali
poiché sono governi che non governano, privi di qualsiasi effettività.
- Governo del generale Charles de Gaulle nel 1940, in seguito all’invasione tedesca
della Francia, anch’egli accolto a Londra
- Il governo dell’emiro del Kuwait, occupato dall’Iraq nel 1990

In realtà la soggettività non spetta mai al governo, anche se effettivo, ma lo stato del quale è
organo; pertanto poiché il governo in esilio non ha effettivo controllo dello Stato, non ha
titolo per rappresentarlo sul piano internazionale.

Il principio di legalità internazionale, che limita l’applicazione di quello di effettività,


comporta che un governo in esilio debba continuare a essere riconosciuto come legittimo
rappresentante di uno Stato che sia stato occupato annesso con l’uso della forza.

Esempio:

- il governo dell’emiro del Kuwait fu considerato l’unico legittimato a esprimere la


volontà del Kuwait durante l’invasione da parte dell’Iraq

Nel caso di governi in esilio riprende il suo pieno vigore la regola fondata sull’effettività:
l’eventuale riconoscimento di un siffatto governo in esilio a opera di Stati terzi costituirebbe
una illecita ingerenza nelle questioni interne dello Stato interessato dal mutamento di
governo.

La personalità internazionale non spetta neanche agli enti territoriali dipendenti dagli Stati,
difettano del requisito dell’indipendenza, in quanto gli ordinamenti giuridici dei quali sono
portatori non sono originari, ma derivano la loro giuridicità dallo Stato dal quale dipendono.
Possono essere identificati come organi dello Stato poiché esercitano poteri appartenenti alla
sua sovranità e la loro condotta è giuridicamente imputata allo Stato, unico soggetto
internazionale.

3. LA SANTA SEDE

Soggetto di diritto internazionale è la Santa sede, cioè la suprema autorità di governo della
chiesa cattolica, avente al suo vertice il Papa.

Essa esprime un fenomeno sociale di carattere spirituale, la societas fidelium, ed è retta da un


proprio ordinamento giuridico costituito dal diritto canonico.
La Santa Sede occupa un ruolo importante e riveste personalità internazionali sin dalle origini
dell'odierna comunità internazionale. In passato il pontefice è stato anche il capo dello Stato
pontificio e oggi e capo dello Stato della città del Vaticano, ma la Santa sede è di per sé è un
soggetto di diritto internazionale, indipendentemente dall’esistenza o meno di una base
territoriale. La sua autonomia da qualsiasi requisito territoriale e dimostrata dalla sua
permanente personalità anche nel periodo che va dall’estinzione dello Stato pontificio per
debellatio, nel 1870, alla nascita a seguito dei patti lateranensi da essa conclusi con l’Italia nel
1929, dello Stato della città del Vaticano.

La Santa sede risulta destinataria della norma consuetudinaria che attribuisce la capacità di
concludere accordi internazionali, bilaterali e multilaterali.

Esempi:

- Tra gli accordi bilaterali ci sono i concordati, che contengono la disciplina della
materia religiosa nello Stato contraente, e hanno tutte le caratteristiche formali
sostanziali di un accordo internazionale. I rapporti della Santa sede con l’Italia si
basano su un primo concordato conclusa nel 1929 con il nome di patti lateranensi,
sostituito dal concordato di villa madama del 1984
- Tra gli accordi multilaterali ci sono: convenzione di Vienna del 1961, convenzione di
Vienna del 1969, convenzione di New York del 2003.

Talvolta gli accordi sono conclusi formalmente dallo Stato della Città del Vaticano che, nel
2008 ha aderito all’organizzazione internazionale di polizia criminale (Interpol). In genere
sembra che la Santa sede preferisca presentarsi ufficialmente come Stato città del Vaticano
quando l’accordo Avio riferimento un’applicazione territoriale.

Esempio:

- Convenzione monetaria conclusa nel 2000 tra l’Italia e lo Stato della città del
Vaticano, rappresentato dalla Santa sede.

Un’altra prova della soggettività internazionale della Santa Sede è data dal suo diritto di
legazione attiva e passiva, cioè dalla sua capacità di stabilire relazioni diplomatiche con gli
Stati, l’unica particolarità è che le ambasciate presso la Santa sede sono ubicati a Roma, in
territorio italiano. Un’altra importante caratteristica consiste nel fatto che la missione
permanente della Santa Sede nei paesi con i quali intrattiene rapporti diplomatici è guidata da
un alto prelato, chiamato Nunzio apostolico, solitamente un individuo avente maggiore
anzianità di servizio in tale Stato.

La personalità internazionale della Santa Sede è completata dalla sua partecipazione a


numerose organizzazioni e conferenze internazionali: è uno Stato osservatore permanente dal
1964 delle nazioni unite.

Proprio dalla personalità internazionale di scendono i diritti della stessa Santa sede, come dei
suoi organi di governo, all’immunità e al trattamento che il diritto internazionale prescrive
ogni Stato nei confronti degli Stati stranieri.

La personalità della Santa Sede non è identica a quella degli Stati e va modulata e limitata
rispetto ai peculiari caratteri di tale ente e alla natura spirituale religiosa dei vincoli tra i
propri consociati.
Non è facile stabilire i rapporti esistenti tra la Santa sede e lo Stato della città del Vaticano, la
tesi più convincente e quella che considera lo Stato della città del Vaticano un ente
strumentale della Santa sede, in quanto diretto ad assicurarne la piena indipendenza è una più
completa partecipazione alla vita internazionale.

La corte di cassazione penale nella sentenza n. 3932 del 1987 afferma che l’unico dato di
valutazione determinante temente rilevante è la sua indiscusse l’indiscutibile natura di
soggetto di diritto internazionale, in tale veste la Santa sede ha stipulato con lo Stato italiano
il trattato del Laterano.

4. L’ORDINE DI MALTA

Un altro ente non inquadrabile in alcuna categoria ma avente carattere del tutto singolare, la
cui soggettività internazionale è molto dibattuta, è il sovrano militare ordine di Malta. È un
ente che svolge essenzialmente compiti assistenziali, caritatevoli e ospedalieri; istituito come
ordine religioso laicale della chiesa cattolica con bolla del 1113 di Papa Pasquale secondo, in
passato ha esercitato una sovranità territoriale a San Giovanni d’acri, Cipro, a Rodi e infine a
Malta. Privo ormai di qualsiasi base territoriale, dal 1834 ha sede a Roma.

E l’ordine di Malta ha un proprio ordinamento è una propria struttura organizzativa che


appaiono indipendenti dalla Santa sede, dopo una riforma del 1997.

Il governo italiano tratta su un piano paritario con l’ordine di Malta, con il quale ha stipulato
diversi accordi internazionali, nelle materie nelle quali esso si occupa.

La giurisprudenza italiana ha costantemente affermato la sua soggettività internazionale, da


tale soggettività derivano varie immunità dei poteri dello Stato italiano, a cominciare
dall’immunità fiscale e dalla giurisdizione. La cassazione italiana ha negato l’immunità dalla
giurisdizione nelle cause di lavoro promosse dai dipendenti dell’ente, le sentenze in parola
riguardavano lavoratori impiegati non direttamente presso l’ordine di Malta, ma un ente di
diritto pubblico militanza. La corte di cassazione non ha mancato di ribadire la personalità
internazionale dell’ordine di Malta.

Nella giurisprudenza straniera non sono rilevabili analoghi affermazioni, ciò potrebbe
spiegarsi considerando che, avendo sede in Italia, le liti giudiziarie nascono in Italia e non
dinanzi ai giudici di altri Stati.

I rapporti internazionali dell’ordine di Malta coinvolgono numerosi Stati, sono oltre un


centinaio quelli con i quali esso intrattiene regolari relazioni diplomatiche e i suoi
rappresentanti diplomatici sono presenti anche nell’organizzazione mondiale della sanità e
presso altre organizzazioni internazionali.

Se si ammette la soggettività internazionale dell’ordine di Malta, va precisato che si tratta di


una personalità avente un ambito ridotto: per l’assenza di un territorio di un popolo, per una
competenza materiale limitata.

5. GLI INSORTI
Una sia pur limitata soggettività internazionale è generalmente ammessa per gli insorti: un
gruppo organizzato che riesce a stabilire la propria autorità su una parte del territorio di uno
Stato, sottraendolo al controllo del governo legittimo di tale Stato.

Non è rilevante la finalità del partito, ma che l’organizzazione degli insorti abbia conquistato
una base territoriale, e abbia, quindi, costituito un governo di fatto Locale. Sotto questo
aspetto gli insorti sono gli unici soggetti di diritto internazionale che condividono con gli
Stati l’elemento costitutivo del territorio, per questo può dirsi che anche la loro soggettività
espressione del principio di effettività.

Esempi:

- Fidel Castro a Cuba che assunse il potere nel 1959

Il requisito del controllo di una porzione del territorio dello Stato esclude la soggettività di
altri movimenti rivoluzionari, come le brigate rosse in Italia.

La soggettività degli insorti e ridotta, si trattano di soggetti che si contrappongono con la


forza armata al governo, sono destinatari delle pertinenti norme del diritto internazionale
umanitario, applicabile conflitti armati, sono destinatari della norma consacrata nell’art.3
delle quattro convenzioni di Ginevra del 1949 di diritto internazionale umanitario, che
prescrive l’osservanza di almeno un nucleo essenziale di disposizioni concernenti il
trattamento delle persone, dichiarate applicabili nel caso di un conflitto armato che non
presenti carattere internazionale, nonché del secondo protocollo sulla protezione delle vittime
dei conflitti armati non internazionali adottato a Ginevra nel 1977.

Gli insorti sono destinatari anche delle norme consuetudinarie relative al trattamento degli
stranieri e dei loro beni che si trovino nel territorio da essi controllato e in caso di violazione
di tali norme incontrano le conseguenze proprie del fatto illecito.

Hanno una limitata capacità di concludere accordi internazionali riguardo alla condizione dei
loro cittadini presenti nel territorio dove gli insorti esercitano la loro autorità, sia con lo Stato
nel quale sono insediati, rappresentato dal governo legittimo. Tali accordi possono avere per
oggetto la situazione derivante dal conflitto, eventualità regola, la resa o una pacificazione.

Gli insorti sono un fenomeno transitorio: la loro vita si conclude con lo stabilimento
definitivo della propria autorità sulla porzione di territorio, con conseguente nascita di un
nuovo Stato del quale partito insurrezionale sarà il governo, oppure con la sconfitta del
precedente governo e l’astensione del controllo degli insorti sull’intero territorio dello Stato,
con cui si determina un mutamento rivoluzionario di governo, o ancora con la sconfitta del
partito insurrezionale, o con l’annessione del territorio un altro Stato.

6. I MOVIMENTI DI LIBERAZIONE NAZIONALE E IL DIRITTO DI


AUTODETERMINAZIONE DEI POPOLI

Il movimento di liberazione nazionale è una struttura organizzata che rappresenta un popolo


in lotta nell’esercizio del diritto di autodeterminazione, al fine di raggiungere l’indipendenza
liberandosi da una dominazione coloniale, razzista o straniera e di costituirsi in Stato.

Come il partito insurrezionale, il movimento di liberazione nazionale si contrappone a una


potenza dalla quale vuole affrancarsi, però, mentre lo scopo che si propone il partito
insurrezionale è irrilevante, il movimento di liberazione nazionale si qualifica e si identifica
per il fine dell’autodeterminazione, intesa come indipendenza.

Il diritto internazionale non richiede, per il movimento di liberazione nazionale, che esso
controllo in territorio, questo può anche non avere alcuna base territoriale, ma comunque una
sua personalità internazionale, se costituisce l’ente esponenziale organizzato di un popolo che
esercita il diritto di autodeterminazione.

Art.1 carta delle Nazioni Unite: enuncia il principio di autodeterminazione dei popoli e lo
sviluppo tra le nazioni di relazioni amichevoli, fondate sul rispetto di tale principio.

Art. 55 della carta delle Nazioni Unite: parla della cooperazione internazionale economica e
sociale, dove il principio di autodeterminazione e ribadito quale fondamento dei rapporti
pacifici amichevoli tra le nazioni.

Nella carta il principio di autodeterminazione a un significativo valore politico-morale,


poiché appare volto ad affermare ora da protagonisti dei cittadini, in contrapposizione a quei
regimi ideologie totalitarie nei quali essi sono asserviti al potere limitato dello Stato. Il
principio può essere tradotto in un vero e proprio diritto di cui sono titolari i popoli
organizzati in Stati, tale diritto implica che ogni Stato ha il diritto di decidere del proprio
statuto politico in piena libertà e senza ingerenze esterne e di perseguire liberamente il
proprio sviluppo economico, sociale e culturale, inoltre tutti gli altri Stati hanno l’obbligo di
rispettarlo.

Il principio di autodeterminazione dei popoli ha avuto un'importante evoluzione, viene


riconosciuto nel contesto della tutela internazionale dei diritti umani.

Art.1 dei due patti internazionali sui diritti umani, l’uno sui diritti economici, sociali e
culturali, l’altro sui diritti civili e politici, adottati dall’assemblea Generale nel 1966 dichiara:
tutti i popoli hanno diritto di autodeterminazione.

Tale diritto è un diritto di ogni Stato nei confronti degli altri, nella sua dimensione esterna,
ma anche un valore interno di ciascuno Stato, poiché questo è tenuto a rispettare non solo i
diritti individuali, ma anche le aspirazioni politiche, economiche, sociali della collettività.

Lo sviluppo più significativo del principio di autodeterminazione dei popoli si è realizzato


nell’azione per la decolonizzazione, promossa dalle Nazioni Unite a partire dagli anni 60.
Questo sviluppo interessa propriamente il tema della soggettività dei movimenti di
liberazione nazionale.

L’assemblea Generale delle Nazioni Unite adotta la risoluzione n. 1514 del 1960, contenente
la dichiarazione sulla concessione dell’indipendenza ai paesi ai popoli coloniali. Con questa
si dichiara che i popoli coloniali hanno un diritto immediato alla completa indipendenza.

Tale diritto in termini giuridici, spetta la struttura organizzata che rappresenta un popolo
dipendente, cioè il suo movimento di liberazione nazionale.

La dichiarazione del 1960 a messo in modo rapido processo di formazione di una nuova
norma internazionale consuetudinaria che attribuisce un diritto all’indipendenza al popolo
coloniale è un corrispondente obbligo alla potenza straniera di ritirarsi dal territorio
dipendente e di trasferire alla sua popolazione tutti i poteri.
Tra le più rilevanti risoluzioni c’è la dichiarazione sui principi del diritto internazionale
concernenti le relazioni amichevoli e la cooperazione tra gli Stati conformemente alla carta
delle Nazioni Unite adottata nel 1970 e la definizione dell’aggressione adottata nel 1974.

Il diritto all’autodeterminazione è riconosciuto anche ai popoli privati con la forza di tale


diritto, in particolare ai popoli sottoposti a regime razzisti o ad altre forme di dominazione
straniera.

L’individuazione dei popoli coloniali non crea difficoltà, poiché il colonialismo costituisce un
fenomeno ben riconoscibile da un punto di vista storico e geopolitico, altrettanto accade per
quelli sottoposti a regime razzisti. Più delicata è la definizione dei popoli aventi diritto
all’autodeterminazione perché sottoposti a dominazione straniera. La prassi limita tale
categoria a quei casi in cui vi sia una assoluta estraneità tra il popolo in questione e la potenza
la quale esso è sottoposto (esempio: il popolo palestinese rispetto allo Stato di Israele). Tale
diritto non spetta alle minoranze etniche, religiose o linguistiche. A queste minoranze
vengono riconosciuti diritti nell’Art. 27 del patto sui diritti civili e politici e nella
dichiarazione dei diritti delle persone appartenenti a delle minoranze nazionali o etniche,
religiose e linguistiche.

La norma che riconosce il diritto di autodeterminazione dei popoli, inteso quale diritto a
costituirsi in Stato indipendente, ha non solo natura consuetudinaria, ma anche di ius cogens.
La particolare forza preselettiva insita in tale natura a per conseguenza che gli Stati non
devono riconoscere qualsiasi situazione determinatasi mediante una violazione grave di tale
diritto, il diritto di autodeterminazione dei popoli e opponibile non solo lo Stato straniero al
quale il popolo è assoggettato, ma anche a tutti gli altri Stati e i soggetti internazionali. Tale
diritto è infatti un carattere erga omnes, va rispettato da tutti gli Stati; per un altro verso la sua
osservanza esigibile da tutti gli Stati, per cui la sua violazione rappresenta un illecito non
soltanto verso il popolo sottoposto a dominazioni straniere, ma anche nei confronti di tutti gli
altri soggetti internazionali.

Il fatto che gli ho detto di autodeterminazione dei popoli sia contemplato da una norma
applicabile nei rapporti con tutti gli altri Stati e soggetti internazionali che termina il dovere
di questi ultimi di agire di cooperare al fine di promuoverne e di facilitarne l’attuazione.

Tale dovere è previsto invariati internazionali:

- parere del 2004 relativa le conseguenze giuridiche dalla costruzione di un muro da


parte di Israele nel territorio palestinese occupato, la corte internazionale di giustizia
avendo ritenuto che la costruzione del muro in questione violava alcuni obblighi di
Israele aventi carattere, erga Omnes dichiarò che tutti gli Stati hanno un obbligo di
non prestare aiuto assistenza al mantenimento della situazione creata da tale
costruzione.

I movimenti di liberazione nazionale sono titolari del diritto all’autodeterminazione del


popolo da essere rappresentato. Allora soggettività è confermata da numerosi elementi della
prassi:

- sono destinatari delle norme internazionali applicabili ai conflitti armati. Il primo


protocollo aggiuntivo alle quattro convenzioni di Ginevra del 1949 qualifica come
conflitti armati internazionali quelli nei quali i popoli lottano contro la dominazione
coloniale e l’occupazione straniera e contro i regimi razzisti nell’esercizio del diritto
di autodeterminazione. I conflitti che impegnano i cosiddetti Freedom Fighters sono
parificati ai conflitti internazionali classici, mentre i conflitti tra gli Stati e i partiti
insurrezionali si applica il secondo protocollo.
- i movimenti di liberazione hanno la capacità di concludere accordi internazionali. Tali
accordi prevalentemente si occupano di questioni attinenti a un conflitto armato
(accordo tra il fronte Polly serio, costituito nel 1973 come movimento di liberazione
nazionale del popolo Saharawi, è la Mauritania del 1979 con il quale ha detto Stato
rinunciava ogni pretesa su tale territorio; numerosi sono gli accordi tra
l’organizzazione per la liberazione della Palestina e Israele, volti a realizzare un
passaggio di territori occupati da quest’ultimo all’autorità palestinese.
- I movimenti di liberazione nazionale hanno spesso lo status di osservatori nelle
organizzazioni internazionali, comprese le Nazioni Unite, ma talvolta persino di
membro, come nella lega araba.e si intrattengono relazioni con gli Stati che pur non
potendosi qualificare come diplomatiche, presentano la loro stabilità.

Qualora i movimenti di liberazione nazionale controllo in un territorio, devono anche essere


destinatari delle norme internazionali consuetudinarie sul trattamento degli stranieri e si
commettono illeciti internazionali tramite la propria organizzazione devono essere soggetti
alle conseguenze giuridiche del fatto illecito, come l’obbligo di riparazione.

La personalità internazionale dei movimenti di liberazione nazionale è affermata anche dalla


giurisprudenza interna: la corte di cassazione penale italiana nel 1981 dichiarò che i
movimenti di liberazione nazionale godono di una limitata soggettività internazionale.

L’organizzazione per la liberazione della Palestina (OLP) ha proclamato nel 1988


l’indipendenza della Palestina che si presenta nelle relazioni internazionali come Stato. E
stata riconosciuta da numerosi Stati ed organizzazioni internazionali, ma sebbene l’autorità
palestinese eserciti taluni poteri nella striscia di gazza e in parte della Cisgiordania, non può
dirsi che essa abbia su tali territori quella pienezza di effettivi poteri di governo necessari
affinché possa mettersi la condizione di Stato indipendente.

Tuttavia la Palestina nella veste di Stato, intrattiene numerose importanti relazioni giuridiche
internazionali. È ammessa nelle Nazioni Unite come Stato osservatore dal 2012 e dal 2011 è
stata ammessa come Stato membro nell’UNESCO.

Sono molti gli accordi internazionali multilaterali di cui la Palestina è parte:

- dal 2014 la Palestina messo in atto una strategia di divisione trattati di diritto
internazionale umanitario applicabile nei conflitti armati e a quelli promossi dalle
Nazioni Unite per la tutela dei diritti umani
- Adesione allo statuto della corte penale internazionale, così da consentire l’esercizio
della giurisdizione della corte su eventuali crimini commessi da Israele nella striscia
di Gaza
- Nel 2021 la camera di esame preliminare della corte penale internazionale ha
riconosciuto che la Palestina va considerato uno Stato parte dello statuto e che la
giurisdizione della corte si estende agli eventuali crimini commessi nel suo territorio
occupato

I trattati conclusi dalla Palestina hanno un’estrema varietà di oggetti:


- adesione alla convenzione di Vienna del 1961 sulle relazioni diplomatiche, in virtù
del quale la Palestina nel 2018 ha sottoposto alla corte internazionale di giustizia un
ricorso contro gli Stati Uniti d’America, accusati di aver commesso un illecito per la
loro decisione di spostare a Gerusalemme la sede della propria ambasciata.
7. LE ORGANIZZAZIONI INTERNAZIONALI

Tra i soggetti di diritto internazionale ci sono le organizzazioni internazionali: enti forniti di


una loro struttura di un loro apparato, creati dagli Stati mediante accordi internazionali per il
perseguimento di loro interessi comuni attraverso l’attività degli organi dell’ente.

Le organizzazioni internazionali possono avere una competenza estremamente ampia


generale, come le Nazioni Unite, oppure è limitata a taluni specifici obiettivi, come
l’UNESCO, l’OMS e l’OIL.

Le organizzazioni sono universali, se tendono a ricomprendere tutti gli Stati, o regionali, se


circoscritte a una determinata regione mondiale.

Le finalità dell’organizzazione, la sua struttura, lo status di membro, le competenze i poteri


dei suoi organi, le regole di votazione, sono disciplinati dall’accordo istitutivo; esso ha una
duplice natura: è un accordo internazionale multilaterale al quale si applicano le norme del
diritto dei trattati di origine consuetudinaria, ma anche natura istituzionale e si presenta come
lo statuto dell’ente che diretto a creare.

In via eccezionale è possibile che un’organizzazione internazionale non sia costituita


mediante un accordo tra Stati, ma da un altro strumento di diritto internazionale.

Esempio:

- l’UNCTAD creata dall’assemblea Generale delle Nazioni Unite nel 1964, quale suo
organo sussidiario, è generalmente considerato un’organizzazione internazionale.

La presenza di un accordo internazionale distingue nettamente le organizzazioni


internazionali dalle organizzazioni non governative, queste sono solitamente formate tra
privati e sono costituite regolate dal diritto statale. Molte di queste organizzazioni svolgono
meritori attività di carattere umanitario.

Le organizzazioni internazionali spesso attribuiscono uno status consultivo alle


organizzazioni non governative le cui competenze rientrano tra quelle dell’organizzazione
internazionale. Ai sensi dell’Art. 71 della carta delle Nazioni Unite, il consiglio economico e
sociale, dotato di una specifica competenza nelle questioni economiche, sociali, culturali,
educative, sanitarie e simili, può prendere opportuni accordi per consultare le organizzazioni
non governative interessate alle questioni che rientrino nella sua competenza.

Affinché l’organizzazione internazionale nasca non è sufficiente che l’accordo istitutivo entra
in vigore, ma in nome del principio di effettività, la nascita del nuovo ente richiede che i suoi
organi si costituiscano e comincino a operare concretamente.

La derivazione dell’organizzazione internazionale da un accordo tra Stati mostra che essa non
è portatrice di un ordinamento originario, ma derivato dalla volontà degli Stati consacrata
nell’accordo, cioè significa che l’organizzazione resta sempre indipendente dagli Stati
membri.
Riguardo alla struttura delle organizzazioni internazionali non è possibile definire regole
generali sulla loro composizione, poteri, regole procedurali di votazioni, e l’accordo
costitutivo che regola tali materie. Tendenzialmente si può osservare che le organizzazioni
presentano una struttura ternari: c’è un organo di base formato da tutti gli Stati membri, un
secondo organo formato dai delegati governativi degli Stati membri, solitamente chiamato
consiglio, o comitato a composizione più ristrette competenze specifiche, infine il terzo è un
organo di individui di carattere solitamente amministrativo o composto da persone fisiche,
con al proprio vertice un segretario generale.

Molto spesso le organizzazioni hanno un numero più ampio di organi, tra i quali si segnalano,
particolarmente, i tribunali internazionali, la corte internazionale di giustizia nelle Nazioni
Unite o la corte di giustizia nell’Unione Europea.

Le organizzazioni internazionali devono considerarsi soggetti di diritto internazionale:

- hanno la capacità di concludere accordi internazionali.

La prassi è estremamente ampia e va dai più modesti accordi di sede, stipulati con gli Stati
nei quali essi hanno la sede principale o eventuali sedi secondarie, a materie ampie e
complesse. Sono accordi bilaterali o multilaterali constati o anche altre organizzazioni
internazionali.

Esempio: caso delle Nazioni Unite che ai sensi dell’art. 63 della carta, hanno concluso una
serie di accordi di collegamento con una pluralità di altre organizzazioni internazionali di
respiro universale.

Talvolta la partecipazione di un’organizzazione internazionale ad accordi multilaterali


istitutivi di organizzazioni internazionali si spinge fino all’acquisto della qualità di membro
dell’organizzazione.

Esempio:

- L’Unione Europea è membro di altre organizzazioni internazionali, come


l’organizzazione mondiale del commercio e l’organizzazione per l’alimentazione e
l’agricoltura.

La ricchezza della prossima materia ha indotto le Nazioni Unite, tramite loro organo
sussidiario, la commissione del diritto internazionale, a promuovere l’elaborazione di una
convenzione multilaterale che regola in maniera esaustiva la materia: la convenzione di
Vienna del 1986 sul diritto dei trattati tra Stati e organizzazioni internazionali e fa
organizzazioni internazionali

- Un altro sintomo della personalità delle organizzazioni internazionali è dato dal fatto
che si intrattengono stabili relazioni di tipo diplomatico.

Questo aspetto è regolato dalla convenzione di Vienna del 1975 sulla rappresentanza degli
Stati nelle relazioni con le organizzazioni di carattere universale.

Alcune organizzazioni presentano un apparato più articolato: è il caso dell’Unione Europea,


nella quale è stato istituito il servizio europeo per l’azione esterna, configurabile come un
servizio europeo di diplomazia.
Alle organizzazioni internazionali è riconosciuto anche un diritto di protezione dei propri
funzionari analoga al diritto di protezione diplomatica degli Stati nei riguardi dei cittadini.

Esempio:

- La corte internazionale di giustizia nel 1949, con riferimento alle Nazioni Unite, a
seguito dell’uccisione a Gerusalemme nel 1948 da parte di estremisti israeliani, del
conte folke Bernadotte ed è il colonnello Andre serot , inviati dall’ONU come
mediatore e come osservatore militare.

Un’altra manifestazione della soggettività delle organizzazioni internazionali è data dalla


possibilità di partecipare a certi procedimenti di soluzione delle controversie internazionali.
Esse inoltre godono dell’immunità dalla giurisdizione degli Stati, che presuppone lo stesso la
soggettività delle organizzazioni internazionali.

Particolarmente significativa la responsabilità nella quale le organizzazioni internazionali


incorrono se commettono un illecito internazionale.

Esempio:

- Tra i primi casi vi è l'intervento delle forze delle Nazioni Unite in Congo nel 1960,
che provocarono danni ai cittadini di vari Stati e a loro beni, mediante una condotta
illecita. Le Nazioni Unite accettarono di risarcire i danni. In proposito la commissione
del diritto internazionale delle Nazioni Unite ha elaborato un progetto di articoli,
definito nel 2011, che appare orientato principalmente a promuovere uno sviluppo
della disciplina, piuttosto che a codificare il diritto consuetudinario relativo alla
responsabilità delle organizzazioni internazionali.

Ulteriore dimostrazione della soggettività, è quella che le organizzazioni contribuiscono, con


la loro condotta, alla formazione delle norme di diritto internazionale consuetudinario e che
esse sono dotate frequentemente del potere di emanare atti giuridici anche di carattere
obbligatorio, come le decisioni del consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite.

Affinché un’organizzazione sia un soggetto di diritto internazionale, distinto dagli Stati


membri, e necessario che essa, nell’adozione delle sue determinazioni, dei suoi atti, della sua
condotta, abbia un livello sufficiente di indipendenza e di autonomia decisionale rispetto a
tali Stati. Se, invece, i suoi organi sono tenuti a deliberare sempre all’unanimità ed a ritenere
che esse siano prive di soggettività e costituiscano dei semplici apparati strumentali,
attraverso i quali agiscono collettivamente gli Stati membri.

La tendenza della giurisprudenza internazionale è sin troppo generosa nel riconoscere la


soggettività delle organizzazioni internazionali (esempio: caso della Comision
Administradora del Río Uruguay che costituita da due soli Stati, l’Argentina e loro guai,
assume qualsiasi decisione di come un accordo tra due Stati, quindi in realtà rappresenta
semplicemente una commissione bilaterale permanente di cooperazione fra tali Stati, ma è
stata considerata quale soggetto autonomo dalla corte internazionale di giustizia nella
sentenza del 2010 relativa alle fabbriche di polpa di legno sul fiume Uruguay).

La larghezza nel conoscere la personalità delle organizzazioni internazionali può avere


pericolose conseguenze di involuzione del diritto internazionale, può consentire agli Stati
membri di nascondersi dietro il velo dell’organizzazione, così sottraendosi all’osservanza
degli obblighi e sfuggendo le relative responsabilità in caso di violazione.

Le organizzazioni internazionali essendo prive di un territorio di un popolo non sono


destinatarie delle norme internazionali che si riferiscono alla comunità territoriale o che
presuppongono una sovranità su tale comunità. La soggettività e quindi limitata agli obiettivi
dell’organizzazione e alle competenze attribuite dall’accordo istitutivo.

La corte internazionale di giustizia si pronuncia due volte a riguardo: nel 1980


sull’interpretazione dell’accordo del 1951 tra l’organizzazione mondiale della sanità e
l’Egitto, e nel 1996 sulla liceità dell’uso delle armi nucleari da parte di uno Stato in un
conflitto armato.

Nel primo caso la corte ha dichiarato che l’organizzazione internazionale è un soggetto di


diritto internazionale legato in quanto tale da tutti gli obblighi. Nel secondo caso che le
organizzazioni internazionali sono dei soggetti di diritto internazionale che non godono di
competenze generali, ma sono a retta dal principio di specialità, cioè gli Stati che le creano
attribuiscono loro altre competenze.

Queste competenze speciali, in contrapposizione a quella generale degli Stati, e foto del
principio di attribuzione, in virtù del quale l’organizzazione agisce esclusivamente nei limiti
delle competenze che le sono attribuite dagli Stati membri nei trattati istitutivi per realizzare
gli obiettivi da questi stabiliti. L’ambito materiale della soggettività dell’organizzazione
internazionale non solo è ridotto, rispetto a quello statale, ma estremamente variabile in
funzione delle competenze a essi attribuite dagli accordi istitutivi.

8. LA CONDIZIONE DELL’INDIVIDUO

Qual è la condizione dell’individuo nel diritto internazionale?

L’opinione prevalente in passato negava la loro soggettività. La considerazione


dell’assoggettamento, originariamente assoluto e limitato, dell’individuo alla potestà del
proprio stato e la constatazione della macroscopica sproporzione tra i poteri degli Stati e
quelli degli individui, sul piano dell’effettività confermavano questa tesi.

Oggi la situazione appare mutata, poiché esistono dei complessi di norme internazionali che
si rivolgono agli individui e conferiscono loro obblighi, responsabilità, diritti, poteri giuridici.

Non si fa riferimento con individui ai funzionari e agli agenti delle organizzazioni


internazionali ai quali hanno riguardo norme dei rispettivi statuti, o regolamenti o atti dei loro
organi. Essa infatti danno vita ad un ordinamento interno particolare dell’organizzazione, dal
quale sarebbe azzardato dei Sumeri uno status di carattere generale, qual è la soggettività
internazionale. Non si fa anche riferimento al diritto dell’Unione Europea nel quale sin dalle
origini, è stata riconosciuta la soggettività dell’individuo, per questa ragione, è stato
qualificato come un ordinamento peculiare e sui generis rispetto a quello internazionale.

La corte di giustizia delle comunità europee nella sentenza del 1963, Van Gend en Loos,
afferma che la comunità costituisce un ordinamento giuridico di nuovo genere nel campo del
diritto internazionale.
Le norme che vengono in rilievo ai fini di una possibile soggettività internazionale
dell’individuo sono quelle relative ai crimini internazionali e quelle dirette a tutelare i suoi
diritti fondamentali.

I crimini internazionali dell’individuo sono previsti da norme internazionali che stabiliscono


come reati delle condotte che, per la loro efferatezza e la vastità dei danni o dei pericoli che
provocano, colpiscono valori che non appartengono a un singolo Stato, ma l’intera comunità
internazionale.

I crimini internazionali hanno origine sia nel diritto consuetudinario che in quello pattizio,
nonché negli statuti dei tribunali penali internazionali.

Esempio:

- genocidio: la convenzione per la prevenzione e la repressione del crimine di genocidio


del 1948 adottata dall’assemblea Generale delle Nazioni Unite, fu oggetto di riserve.
La corte internazionale di giustizia nel parere consultivo del 1951 concernente le
riserve a tale convenzione dichiarò che i principi basilari della convenzione sono
principi riconosciuti dalle nazioni civili come obbligatori per gli Stati, anche in
assenza di alcun obbligo convenzionale.

Si distinguono:

- il crimine di genocidio: comprensivo di una serie di atti criminosi commessi con


l’intenzione di distruggere un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso
- I crimini di guerra: consiste nelle violazioni gravi delle norme sui conflitti armati
- I crimini contro l’umanità: uccisione, riduzione in schiavitù, tortura, stupro
- Il crimine di aggressione

I crimini internazionali dell’individuo sono soggetti a un regime giuridico particolarmente


severo, volto a garantire un’adeguata repressione e a prevenire la commissione. L’individuo e
lo Stato non può valersi dell’immunità funzionale per sottrarsi alla giurisdizione penale degli
altri Stati. Nei confronti dei tribunali penali internazionali e lì non gode dell’immunità
temporanea dalla giurisdizione, per cui può essere sottoposta a un processo internazionale
pure se richiesta una carica politica governativa. Inoltre non vale, per tali crimini, il divieto di
estradizione per reati politici, non opera, quale esimente del reato, l’ordine superiore nella
responsabilità viene meno per essersi conformato, l’autore del crimine, alle leggi del proprio
stato.

L’interesse dell’intera comunità internazionale alla repressione dei crimini internazionali si


esprime anche con un ampliamento della giurisdizione statale. Oltre agli Stati con i quali il
termine presente uno specifico collegamento è competente a giudicare l’autore del crimine
qualsiasi Stato nel quale egli si trova sia catturato. Si configura così una giurisdizione
universale nei riguardi dei crimini internazionali.

Alcuni Stati si erano spinti a prevedere l’apertura dei procedimenti penali per tali crimini
anche in assenza di qualsiasi collegamento con lo Stato in questione, ma l’universalità della
giurisdizione sembra richiedere quanto meno la presenza dell’accusato nel territorio dello
Stato affinché possa esperire l’azione penale nei suoi confronti.
La giurisdizione universale è configurata dal diritto internazionale consuetudinario come
facoltativa, nel senso che ogni Stato può esercitarla, ma alcuni accordi la prevedono come
obbligatoria, istituendo un meccanismo denominato aut dedere aut iudicare. Lo Stato nel cui
territorio si trovi l’imputato è tenuto a sottoporre al procedimento penale o a consegnarlo per
il processo a un altro Stato parte che ne faccia richiesta.

Esempio:

- Per le convenzioni di Ginevra del 1949, se correttamente adempiuto, il meccanismo


impedisce che l’autore di un crimine riesca a sfuggire alle maglie della giustizia.

Non sempre il giudice nazionale può assicurare la punizione del reato, per ragioni politiche,
tecniche e di vario genere ci possono essere dei pregiudizi di funzionamento della scelta tra
processare l’imputato o estradarlo, non va anche trascurato il rischio che, caduto il regime in
uno Stato, i suoi esponenti siano sottoposti non alla giustizia, ma la vendete alla violenza.

Maggiori possibilità che gli autori dei crimini in esame siano sottoposti a giudizio che questo
si svolga nel rispetto delle garanzie del giusto processo possono offrire i tribunali penali
internazionali.

Esempio:

- tribunale militare internazionale di Norimberga: istituito con l’accordo di Londra nel


1945, sia il suo statuto che la sentenza del 1946 rappresentano dei procedimenti di
fondamentale importanza per la definizione regime giuridico dei crimini
internazionali, e se non realmente natura internazionale, ma va piuttosto qualificato
come il tribunale interno, costituito dalle potenze occupanti la Germania, il cui
ordinamento giuridico e il cui apparato giudiziario avevano cessato di esistere per
debellatio.
- Tribunale penale internazionale per la ex Jugoslavia e tribunale per i crimini
commessi in Ruanda: costituiti con risoluzioni del consiglio di sicurezza delle Nazioni
Unite, sono considerabili propriamente internazionali, ma hanno cessato le proprie
funzioni. Apparve molto dubbia la competenza del consiglio di sicurezza a costituirle,
si tratta di tribunali speciali con competenze limitate a determinati Stati, situazioni e
periodi, che genera una sensazione di discriminazione.
- Corte penale internazionale: costituita con la convenzione di Roma del 1998, è stata
creata mediante un accordo internazionale con il quale gli Stati parti, titolari della
potestà giurisdizionale penale, hanno trasferito parte di tale potestà alla corte penale
internazionale.

L’altra importante materia nella quale la figura dell’individuo emerge a livello giuridico
internazionale è quella del riconoscimento dei suoi diritti fondamentali. Con la nascita delle
Nazioni Unite nel 1945 la tematica di dirti umani è balzata prepotentemente sulla scena
internazionale, in precedenza gli Stati, non erano tenuti a dare conto alla comunità
internazionale del trattamento dei propri cittadini, che rientrava nella competenza interna: la
domestic JurisDiction.

Art.1,par.3 della carta dell’ONU, pone tra i fini dell’organizzazione è quello di promuovere e
incoraggiare il rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali.
L’azione delle Nazioni Unite si è sviluppata precisando lo stesso contenuto dei diritti umani,
quindi promuovendo il loro e Chimento in corrispondenza alle nuove istanze che emergevano
nella comunità internazionale e all’esigenza di tutelare soggetti particolarmente vulnerabili.
L’azione dell’uno, affiancata dalle altre organizzazioni internazionali di carattere universale,
o regionale, si è diretta anche a combattere forme particolarmente gravi di violazioni dei
diritti umani.

La dichiarazione universale dei diritti dell’uomo ha svolto un ruolo fondamentale,


rappresenta tuttora la pietra angolare sulla quale si fonda l’imponente costruzione del diritto
internazionale dei diritti umani.

L’azione per la protezione di tali diritti si è realizzata mediante la conclusione di numerosi


accordi: il patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali e quello sui diritti civili
e politici del 1966. Gli accordi in materia producono effetti solo per gli Stati parti, e
prevedono anche i meccanismi di controllo sull’effettivo rispetto dei diritti umani a opera di
tali Stati. E si sono affidati solitamente organi formati da esperti indipendenti che pur non
avendo potere di emanare sentenze, svolgono il proprio ruolo con grande determinazione,
raggiungendo spesso il risultato di far cessare la violazione. Esistono anche procedure di
controllo applicabile a tutti gli Stati membri, incentrate nel consiglio dei diritti umani.

La competenza di un organo di controllo propriamente giudiziario è prevista talvolta da


convenzioni regionali, a cominciare dalla convenzione europea dei diritti dell’uomo del 1950.
Quest’ultima consente la presentazione dei ricorsi individuali, oltre che statali, e implica la
soggezione degli Stati parti alla giurisdizione obbligatoria della corte europea dei diritti
dell’uomo, quest’ultima si aggiudica che è una violazione ho avuto luogo, non solo la
constata con una sentenza, la quale gli Stati parti sono tenuti a conformarsi, ma può anche
accordare un eco soddisfazione alla vittima della violazione.

Oltre a norme convenzionali si sono formate anche norme consuetudinarie, idonee a imporre
a tutti gli Stati il rispetto di un nucleo irrinunciabile di diritti umani. Esse comportano il
divieto delle gross violations, le violazioni massicce o sistematiche dei diritti umani
fondamentali.

Facilmente riconoscibili sono i diritti dell’individuo, nascenti da norme internazionali pattizio


e come consuetudinarie, che nei sistemi diversi organizzazioni internazionali, possono essere
indicati dall’individuo nei confronti dello Stato, ponendosi spesso in una posizione paritaria
nei suoi riguardi.

Allo stato odierno di sviluppo del diritto internazionale, gli individui debbano considerarsi
soggetti di diritto internazionale, la loro personalità internazionale non ha un carattere
generale, ma è limitata alle specifiche materie.

CAP.VI: LE FONTI DEL DIRITTO INTERNAZIONALE


1. IL SISTEMA DELLE FONTI. I RAPPORTI TRA LA CONSUETUDINE E
L’ACCORDO

Le fonti del diritto internazionale sono quei fatti, atti, o procedimenti idonei a creare,
modificare, estinguere norme giuridiche appartenenti a tale diritto.

Art. 38 dello statuto della corte internazionale di giustizia, la cui funzione è di decidere in
base al diritto internazionale le controversie che le sono sottoposte no, tale articolo fornisce
un quadro delle fonti che essa applica:

- Le convenzioni internazionali
- La consuetudine internazionale
- I principi generali di diritto riconosciuti dalle nazioni civili
- Le decisioni giudiziarie e la dottrina degli autori più qualificati delle varie nazioni

Le convenzioni internazionali, sono anche denominati accordi, trattati, patti e con analoghi
termini che esprimono l’incontro delle volontà degli Stati che li concludono.

Secondo la ricostruzione teorica del sistema delle fonti internazionali, la consuetudine è la


fonte primaria di diritto internazionale, dotata di efficacia generale: le norme create mediante
la consuetudine si indirizzano a tutti gli Stati e agli altri soggetti internazionali.

Tra le norme consuetudinarie vi è una di carattere strumentale che puoi annunciarsi con il
brocardo “ pacta sunt servanda”, la cui esistenza è dimostrata dalla constatazione che gli Stati
rispettano gli accordi che concludono, convinti che la loro osservanza sia giuridicamente
doverosa. Tale norma è il fondamento giuridico dell’obbligatorietà, per gli Stati parti,
dell’accordo.

L’accordo a sua volta, può contemplare un fatto un atto ulteriore come i doni a produrre
norme vincolanti.

Esempio:

- accordi istitutivi di organizzazioni internazionali: prevedono che i loro organi possono


adottare atti obbligatori per gli Stati membri. Ricordiamo l’Art. 25 della carta
dell’ONU con cui si afferma che i membri delle Nazioni Unite convengono di
accettare e di eseguire le decisioni del consiglio di sicurezza in conformità con le
disposizioni del presente statuto. Le decisioni del consiglio di sicurezza acquistano la
qualità di fonti di diritto, tale qualità è conferita da una norma convenzionale le fonti
di questo genere sono denominate fonti di terzo grado.

L’ordinamento internazionale non vuole esprimere una gerarchia tra le fonti internazionali, in
particolare, la derivazione della giuridicità dell’accordo da una fonte consuetudinaria di
primo grado, non implica in alcun modo che l’accordo sia subordinato al rispetto della
consuetudine.

L’accordo la consuetudine hanno la stessa efficacia giuridica: l’accordo all’idoneità ad


erogare, nei soli rapporti fra le parti, la norma consuetudinaria.

Esempio: accordi bilaterali o multilaterali di cooperazione di polizia o giudiziaria che


prevedono attività dell’autorità di uno Stato nel territorio dell’altro, in deroga alla norma
consuetudinaria sul rispetto della sovranità territoriale degli Stati.
Il diritto consuetudinario può modificare o estinguere una norma convenzionale preesistente,
qualora una nuova norma consuetudinaria abbia un contenuto incompatibile con quello del
precedente accordo, o produca una disciplina che regola in maniera completa ed esaustiva la
materia oggetto di tale accordo al quale non resta più alcuno spazio di applicazione. Si ha
quindi una abrogazione o modificazione tacita dell’accordo.

Esempio:

- nascita mediante consuetudine internazionale, verso gli anni 70, dell’istituto di diritto
marittimo della zona economica esclusiva, sulla quale lo Stato costiero può esercitare
un diritto esclusivo di sfruttamento delle risorse economiche. Tale norma ha stravolto
i preesistenti accordi di pesca conclusi con riguardo a tali zone di mare, che
appartenevano al mare libero in precedenza, a seguito del mutamento consuetudinario
sono state poi sottratte a regime di libertà è assoggettata lo solutamente esclusivo
dello Stato costiero.
- Art.27,par.3 della carta delle Nazioni Unite: stabilisce che le decisioni del consiglio di
sicurezza su questioni sostanziali sono prese con il voto favorevole di nove membri
nel quale siano compresi i voti dei membri permanenti. Richiedendo il voto
favorevole dei membri permanenti l’astensione anche di un solo di questi membri
dovrebbe impedire l’adozione della risoluzione, tuttavia, vi è la prassi di approvare le
risoluzioni di tale organo oppure in presenza dell’astensione di uno o più membri
permanenti. Si è determinata una modifica consuetudinaria dell’articolo alla luce della
quale per impedire una risoluzione del consiglio di sicurezza non è più sufficiente
l’astensione di un membro permanente, ma questi deve esprimere un voto contrario,
esercitando il diritto di veto.
2. LE NORME IMPERATIVE DEL DIRITTO INTERNAZIONALE GENERALE
(IUS COGENS). IL RAPPORTO TRA L’ACCORDO E LE FONTI DA ESSO
PREVISTE

E esiste una specifica categoria di norme consuetudinarie, dotata di un vero e proprio rango
giuridico superiore sia ai trattati che alle altre norme consuetudinarie, essa viene riconosciuta
ufficialmente nell’art. 53 della convenzione di Vienna sul diritto dei trattati del 1969, che
regola l’intera materia dei trattati, codificando, cioè riproducendo in forma scritta, la
disciplina consuetudinaria. Tale articolo dichiara: è nullo qualsiasi trattato che, al momento
della sua conclusione, è in conflitto con una norma imperativa del diritto internazionale
generale (ius cogens). Norma imperativa del diritto internazionale generale una norma
accettata e riconosciuta dalla comunità internazionale degli Stati nel suo complesso come
norma la quale non è consentita alcuna deroga e che può essere modificata soltanto da
un’altra norma del diritto internazionale generale avente lo stesso carattere.

La categoria dello ius cogens è ormai ampiamente accettata sia nella prassi diplomatica che
nella giurisprudenza, internazionale come interna. Tali norme hanno carattere
consuetudinario, però sono fornite di una particolare forza precettiva, rispetto alle comuni
norme consuetudinarie, in quanto la comunità internazionale nel suo insieme le considera
come inderogabili a opera dei trattati e immodificabili da parte delle norme consuetudinarie
comuni o ordinare. Esse oltre a risultare dalla prassi degli Stati e degli altri soggetti di diritto
internazionale, devono esprimere una opinio iuris che non si limita al convincimento della
dove Rosita giuridica della condotta tenuta ma si estende all’inderogabilità di tale dovere.

La superiorità gerarchica dello ius cogens si esprime sia nei confronti degli accordi che della
consuetudine.
Riguardo agli accordi, la loro contrarietà a norme imperative produce la sanzione della nullità
giuridica, inoltre la sopravvenienza di una nuova norma di ius cogens determina l’estinzione
di qualsiasi precedente accordo confliggente.

Riguardo alle norme consuetudinarie, la superiorità delle norme imperative risulta dal fatto
che le prime non sono idonee a modificarle, mentre una norma imperativa può sempre
modificare o estinguere una norma consuetudinaria preesistente.

È un elenco delle norme imperative non è possibile, la loro individuazione, infatti, richiede
un’indagine volta ad accertare non solo la prassi, ma anche l’esistenza di quella specifica
opinione, consistente nel sentire come inderogabili date norme. Ciò che si può dire di esse è
che esprimono, e tutelano, alcuni valori condivisi dalla comunità internazionale, che questa
considera come irrinunciabile. Te lo odierno Stato di diritto internazionale sono riconoscibili
sicuramente come norme di ius cogens: quella che proibisce l’aggressione, la norma che
riconosce il diritto di autodeterminazione dei popoli, il divieto delle violazioni più gravi o
sistematiche dei diritti umani (schiavitù, genocidio, tortura, apartheid), il divieto di
inquinamento massiccio e volontario del mare e dell’aria, ma comunque la categoria tende ad
ampliarsi.

Sentenza n. 112 del 2019 del tribunale di Trapani, ha affermato che il principio di non-
refoulement, in virtù del quale uno Stato non può respingere uno straniero verso un paese ore
correrebbe fondatamente il rischio di perdere la vita o di essere sottoposto a tortura o altro
trattamento inumano degradante, assunto rango consuetudinario e cogente, per cui ha
dichiarato che il memorandum tra l’Italia e la Libia del 2017 di contrasto all’immigrazione
clandestina è nullo ai sensi dell’art. 53 della convenzione di Vienna sul diritto dei trattati.

Tra gli accordi internazionali e le fonti da essi previste esiste un rapporto gerarchico. Gli atti
delle organizzazioni internazionali, sono validi e produttivi di effetti obbligatori solo se sono
conformi alle norme procedurali e sostanziali dell’accordo istitutivo dell’organizzazione. La
subordinazione dell’atto a rispetto di tale accordo è garantita dal potere di un organo
giudiziario, quale la corte di giustizia dell’Unione Europea, di annullarli ove siano emanati in
violazione dei trattati istitutivi.

3. LA CONSUETUDINE E I SUOI ELEMENTI COSTITUTIVI

La consuetudine è la fonte di diritto internazionale generale, essa può produrre la nascita di


nuove norme o la produzione di quelle esistenti, nel qual caso si parla più propriamente di
desuetudine.

Le norme consuetudinarie non sono contenute in testa e documenti, sono ius non scriptum.

La consuetudine è formata da due elementi:

- la diuturnitas: elemento obiettivo o materiale, consistente in una condotta uniforme


tenuta nel tempo dagli Stati e dagli altri soggetti internazionali
- Opinio iuris sive necessitatis: elemento subiettivo o psicologico, rappresentato dal
convincimento diffuso che tale condotta sia tenuta in adempimento di un obbligo
giuridico o nell’esercizio di un diritto.

Questa concezione binaria della consuetudine postula la necessità di entrambi gli elementi
menzionati. Secondo alcuni la consuetudine sarebbe costituita dal solo elemento materiale,
poiché l’opinio iuris nella fase iniziale della nascita di una norma consuetudinaria sarebbe un
errore, dato che la norma non esiste ancora. Ma sia la prassi che la giurisprudenza sono
univoche e costanti nel richiedere, oltre alla condotta ripetuta nel tempo, il convincimento
della corrispondenza della stessa è un dovere giuridico o un diritto.

La corte internazionale di giustizia nella sentenza del 1969 sulla piattaforma continentale del
Mare del Nord, ha affermato che proprio tale convincimento che consente di distinguere le
norme giuridiche consuetudinarie da quelle prassi, che pure sono seguite costantemente nelle
relazioni internazionali, ma per ragioni politiche, di cortesia, di cerimoniale, di tradizione,
non producono norme giuridicamente vincolanti. Essa stabilisce che: l’esistenza di un
elemento subiettivo, è implicita nella nozione stessa di opinio iuris sive necessitatis. Gli Stati
interessati devono sentire dunque che si stanno confermando a ciò che equivale a un obbligo
giuridico.

Un recente caso della prassi conferma a sua volta tale assunto, nel 2021, nel corso di una
visita ufficiale ad Ankara da parte del presidente del consiglio europeo Charles michel e della
presidente della commissione europea Ursula VON der Leyen, quest’ultimo è stato oggetto
da parte del presidente turco di un trattamento che ha sollevato molte critiche. Il presidente
turco e il presidente del consiglio europeo si sono seduti sulle poltrone ufficiali, mentre la
presidente della commissione europea è stata messa su un divano a distanza dei due. La loro
condotta è stata considerata contrari alle regole del cerimoniale del galateo, nessuno però se
sognato di imputare alla tua che ha fatto giuridicamente illecito sul piano internazionale, e ciò
perché la prassi in questione, non essendo accompagnata da una opinio iuris, non si
concretizza norme giuridiche consuetudinaria.

La nascita di una norma consuetudinaria solitamente accompagnata da un tasso di incertezza,


destinata a Chiara se nel momento in cui il convincimento giuridico si consolida in maniera
sufficientemente ampia.

Riguarda la diffusione della prassi e della commessa opinio iuris, occorre precisare che la
necessaria ampiezza di tale diffusione non significa che la nascita di una norma
consuetudinaria sia subordinata al suo riconoscimento unanime della comunità
internazionale. Secondo una tesi più politica che giuridica, si sostiene che lo Stato che si
opponga in maniera costante a una norma consuetudinaria può impedirne la formazione o,
quantomeno, l’applicazione nei suoi confronti. Questa teoria è stata sostenuta dall’unione
sovietica e poi dai paesi nati dalla decolonizzazione, per cercare di sottrarsi a norme
consuetudinarie alla cui formazione non avevano partecipato. Tale teoria è denominata del
persistent objector, è stata difesa dagli Stati Uniti però parte alle norme che configurano i
fondi marini, al di là della giurisdizione degli Stati costieri, come un patrimonio comune
dell’umanità.le loro risorse pertanto non sono appropriabili da parte di singoli Stati o di
persone ma vanno gestite sfruttate a beneficio dell’intera umanità, con particolare riguardo
all’interesse ai bisogni dei paesi in via di sviluppo.

La teoria esame non è accettabile in quanto contrasta sia con la prassi che con la
giurisprudenza, essa, in realtà, ripropone un’antica concezione della consuetudine come
accordo tacito, la quale richiederebbe l’accettazione volontaria di tutti gli Stati, ma la
consuetudine non è un fenomeno volontaristico. Ciò che può ammettersi e che la
contestazione da parte di uno Stato, specie se è una grande potenza, può ostacolare e ritardare
la definizione di una norma consuetudinaria, ma non può mai risolversi in un diritto di veto
alla sua nascita.
Non è escluso che una norma consuetudinaria, in via eccezionale, posso avere una portata
particolare. Potrà darsi di una consuetudine regionale, affermatasi solo in una regione
mondiale, oppure di una norma nata all’interno di un’organizzazione internazionale, o infine,
di una norma nata dalla prassi affermatasi nei rapporti tra due soli Stati, che quindi si dirige
solo a loro.

4. L’OSSERVANZA DELLA NORMA E IL FATTORE TEMPO

L’accertamento di una consuetudine internazionale comporta un esame della prassi uniforme


degli Stati che esprima la loro opinio iuris. Riguardo all’osservanza della norma
consuetudinaria non si può pretendere che essa sia costante e immancabile.

La corte internazionale di giustizia nella sentenza del 1986, Nicaragua contro Stati Uniti
d’America ha chiarito: è sufficiente per dedurre l’esistenza di regole consuetudinarie, che gli
stativi confermino la loro condotta in maniera generale e che essi stessi tratti nei
comportamenti non conformi alla regola in questione come delle violazioni della stessa e non
come delle manifestazioni di riconoscimento di una nuova regola. La corte ha anche avvertito
che persino una violazione della regola consuetudinaria può confermare la sua vigenza, se lo
Stato autore della violazione difende il proprio comportamento invocando delle eccezioni o
delle giustificazioni desunte dalla stessa regola, esso, infatti, mostra di avere il convincimento
dell’obbligatorietà della regola in questione.

La condotta deve protrarsi nel tempo, non è però assolutamente possibile precisare quanto
tempo. La rapidità o la lentezza nella formazione di una norma consuetudinaria dipendono da
vari fattori: uno degli interessi in gioco e dei contrasti, dalla convergenza degli interessi tra
gli Stati, dalla frequenza o meno delle occasioni che si presentano per conformarsi alla
regola, dall’eventuale sostegno la sua affermazione da parte delle maggiori potenze o
organizzazioni internazionali ampiamente rappresentative.

È possibile che una norma consuetudinaria si formi con notevole rapidità.

Esempi:

- Tematiche nuove per il diritto internazionale che quindi necessitavano della


definizione di un quadro normativo di portata generale in tempi rapidi: spazio extra-
atmosferico, fondi marini al di là delle giurisdizioni nazionali, patrimonio comune
dell’umanità, gestione dell’ambiente, telecomunicazioni, Internet…
- Il diritto del mare: la definizione del limite esterno del mare territoriale a non oltre 12
miglia marittime dalla costa richiesto vari secoli ed è stata consacrata solo nell’art.2
della convenzione delle Nazioni Unite del 1982, al contrario l’istituto della
piattaforma continentale si è formato in pochi anni. Tale piattaforma è costituita dal
fondo e dal sottosuolo marino dello Stato che si prolungano, per poi sprofondare negli
abissi marini, essa si estende ben oltre il limite del mare territoriale. Con il proclama
del 1945 del presidente Truman, si stabilì che le risorse situate nella piattaforma
continentale adiacente al territorio statunitense erano soggetti a un diritto esclusivo di
ricerca e di sfruttamento degli Stati Uniti, tutti gli altri Stati condividevano l’interesse
che aveva motivato il proclama Truman, e assunsero posizioni analoghe.

La rapidità con la quale in alcuni settori, si sono manifestate norme consuetudinarie ha


condotto taluno a configurare ipotesi di consuetudini istantanee, apparentemente, cioè, prima
di prassi. In realtà in casi del genere, anche se la norma non ha trovato ancora applicazione,
non può dirsi che la prassi sia assente, essa, infatti, può riconoscersi anzitutto in atteggiamenti
di pura astensione, per esempio dall’utilizzo di un bene ritenuto patrimonio comune
dell’umanità. La prassi non può limitarsi a una condotta applicativa della norma, per pratica
degli Stati va inteso ogni comportamento di uno Stato che riveli un suo atteggiamento
consapevole di fronte a una regola di diritto internazionale.

5. GLI ELEMENTI RILEVANTI DELLA PRASSI

La prassi degli Stati rilevante per l’accertamento di una norma consuetudinaria è molto
variegata, comprende anche i miei comportamenti di fatto, pure di carattere omissivo, come
l’astensione delle navi pubbliche degli Stati dall’esercitare in alto mare forme di coercizione
nei confronti di quelle degli altri Stati. Ma anche azioni positive, come l’impedire l’ingresso
di navi straniere nel mare adiacente alle proprie coste, sono prova dell’opinio iuris, circa la
propria sovranità sul mare territoriale e l’ampiezza dello stesso.

Particolarmente significativa dell’opinio iuris degli Stati e la prassi diplomatica, costituita da


dichiarazioni ufficiali, note, proteste, istruzioni dell’amati dal ministero degli esteri alle
proprie sedi diplomatiche. Tale prassi si manifesta sia nei rapporti tra singoli Stati, la
diplomazia bilaterale, che insinua organizzazione conferenza internazionale, la diplomazia
multilaterale, in questo caso è ancora più importante, infatti specie nel caso di consessi
tendenzialmente universali, il dibattito coinvolge inevitabilmente tutti gli Stati partecipanti, i
quali non possono esimersi dall’esprimere le proprie vedute sul tema in discussione. Ciò
determina l’emersione di posizioni che non avrebbero occasione di manifestarsi e potrebbero
restare la tensione espresse anche allungo. La riunione può anche consentire di rilevare una
convergenza degli atteggiamenti e delle opinioni degli Stati, il risultato di tale fenomeno
consiste nella possibilità di una forte accelerazione nella formazione, nell’accertamento di
una norma consuetudinaria.

Una manifestazione problematica della prassi è data da quella convenzionale, la quale può
avere un valore ambivalente. La ripetizione pressoché costante di una certa clausola nei
trattati relativi a una data materia può esprimere la convinzione degli Stati circa la sua
rispondenza a una norma consuetudinaria, ma può anche significare la volontà degli stessi di
predisporre mediante una clausola Patrizia, una disciplina derogatoria di quella
consuetudinaria.

La prassi degli Stati va apprezzata oggi nella sua varietà in corrispondenza alla struttura,
articolata e complessa, dello stato moderno, emerge l’importanza della legislazione statale,
che ha dato poderosi contributi alla formazione di norme consuetudinarie.

Esempio: progressiva affermazione della regola delle 12 miglia marine nel diritto del mare,
come limite esterno del mare territoriale, anche con la nascita dell’istituto della piattaforma
continentale a partire dal proclama Truman del 1945, contributo della legislazione di vari stati
all’accettazione della regola dell’immunità ristretta dalla giurisdizione degli Stati.

Determinante è la giurisprudenza dei giudici statali, essa rappresenta lo strumento decisivo


per garantire l’applicazione effettiva del diritto internazionale, per altro verso, costituisce un
fattore propulsivo nella formazione nel ricambio del diritto consuetudinario.

Importanti sono le giurisprudenza italiana e belga del primo novecento che condussero
all’affermazione della nuova regola sull’immunità dalla giurisdizione degli Stati stranieri
fondata sulla distinzione tra atti iure imperii e atti iure gestionis.
Art.38 dello statuto della corte internazionale di giustizia, vengono menzionate le decisioni
giudiziarie e la dottrina più autorevole, non già come fonti, ma come mezzi sussidiari di
determinazione delle norme giuridiche. Le decisioni giudiziarie presentano una particolare
rilevanza per l’accertamento delle norme consuetudinarie, da un lato la giurisprudenza
internazionale rappresenta il diritto vivente, dall’altro l’uso del termine determinazione
mostra che siano state tenute presenti particolarmente le norme consuetudinarie, che vanno
rilevate nella loro vigenza e contenuto.

La giurisprudenza internazionale non comprende solo le sentenze ma anche atti giudiziari


che, pur non essendo obbligatori, sono dotati di grande autorevolezza, quali i pareri consultivi
della stessa corte internazionale di giustizia. Essa include anche gli atti, di organi quasi
giudiziari, come quelli istituiti in base a convenzioni internazionali di tutela dei diritti umani.

Per quanto preziosa sia la giurisprudenza internazionale per l’accertamento delle norme
consuetudinarie, via anche la possibilità che esso esprime opinioni e vedute differenti, se non
contraddittori. La proliferazione di tribunali permanenti, oltre la corte internazionale di
giustizia e ai tribunali arbitrali ad hoc, può condurre a conclusioni divergenti, così riducendo
l’utilità di tale giurisprudenza ai fini della ricostruzione del diritto consuetudinario.

6. LA CODIFICAZIONE DEL DIRITTO INTERNAZIONALE


CONSUETUDINARIO

La prassi internazionale è costituita da un complesso articolato ed eterogeneo di elementi e di


dati, tra l’altro non sempre facilmente reperibile, di conseguenza il diritto internazionale
consuetudinario a inserire un evitabile coefficiente di incertezza, sottolineato dal fatto che si
tratta di un diritto non scritto, non consegnato in al contesto documento, ma che va rilevato il
ricavato dalla condotta degli Stati. Vi è quindi una viva esigenza di certezza del diritto che si
cerca di soddisfare mediante la codificazione del diritto internazionale consuetudinario.

La codificazione presento obiettivi, caratteri e strumenti profondamente differenti rispetto


alle moderne codificazione del diritto interno le quali, sul modello del Code Napoleon del
1804, costituiscono la regolamentazione sistematica e tendenzialmente completa di vaste aree
giuridiche e sono espressione della potestà legislativa dello Stato. Nel diritto internazionale,
invece, la codificazione consiste essenzialmente nella rilevazione del diritto consuetudinario
e nella sua trasposizione in un testo scritto, così da dare certezza a tale diritto.

La codificazione del diritto internazionale si differenzia profondamente da quella statale


anche per gli strumenti impiegati, la codificazione statale e opera del legislatore e frutto della
sua autorità sovraordinata ai consociati, nel diritto internazionale la codificazione si realizza
normalmente mediante accordi. Si determina così è un apparente contraddizione tra l’oggetto
della codificazione, il diritto consuetudinario di portata generale, e lo strumento usato,
l’accordo, per sua natura fonti di diritto internazionale particolare. La contraddizione può
risultare ancora più vistosa se si considera che le convenzioni in materia non si limitano a
registrare puramente semplicemente le norme consuetudinarie già esistenti e il loro
contenuto, ma tendono anche a stimolare lo sviluppo progressivo del diritto internazionale.
L’assemblea generale ha proprio il compito di incoraggiare lo sviluppo progressivo del diritto
internazionale e la sua codificazione, infatti, la convenzione prodotta dall’assemblea generale
è simultaneamente sia codificatrice che di progressivo sviluppo del diritto internazionale.

Una convenzione siffatta, pertanto, presenta una duplice natura, nella misura in cui
corrisponde effettivamente al diritto consuetudinario preesistente che codifica, essere
applicabile anche se non è ancora formalmente in vigore e anche nei confronti di Stati che
non ne siano parte, in quanto opera quale fonti di cognizione di norme consuetudinarie
vigenti per propria forza normativa, nella parte in cui contenga norme nuove essa a tutti i
caratteri di una fonte Pattizia, applicabile solo dalla sua forma all’entrata in vigore e solo nei
rapporti tra gli Stati parti.

Esempio della duplice natura delle convenzioni di codificazione:

- la qualificazione delle norme della convenzione di Ginevra del 1958 sulla piattaforma
continentale effettuata dalla corte internazionale di giustizia nella sentenza del 1969
relativa alla piattaforma continentale del Mare del Nord.la corte affermò che l’Art.2
della convenzione, che dichiara che lo Stato costiero a diritti esclusivi di esplorazione
di sfruttamento delle risorse naturali della propria piattaforma continentale,
corrispondeva al diritto consuetudinario. Al contrario ritenne che la regola
dell’equidistanza, stabilita nell’ Art.6 per la delimitazione della piattaforma
continentale tra Stati limitrofi o frontista, non aveva tali natura e costituiva una norma
pattizia.

La codificazione anche quando si realizza con una convenzione, non assicura certezza alle
norme in essa contenute e non esime il giudice dal verificare, alla luce della prassi e
dell’opinio iuris degli Stati, se esse corrispondano o meno al diritto internazionale
consuetudinario.

La necessità di una verifica sull’effettiva natura codifica Thrice delle norme contenute nelle
convenzioni non deve condurre a sottovalutare l’opera promossa dall’assemblea Generale
delle Nazioni Unite. Il testo della convenzione, adottato da quest’ultima, è fornito di una
propria autorevolezza. Esso, infatti, rappresenta il risultato di un’attività di ricognizione della
prassi, di studio, di riflessione, di confronto, che quando è svolta nella commissione del
diritto internazionale, conferisce al testo da essa licenziato anche l’autorevolezza propria di
tale organo, derivante non solo dei suoi componenti, ma dalla sua rappresentatività delle
principali forme di civiltà e dei principali sistemi giuridici del mondo.

All’autorevolezza scientifica si aggiunge a quella di natura politica, nata come risultato del
confronto, del contraddittorio tra gli Stati partecipanti, compiuto in base alle rispettive vedute
ai loro diversi interessi.

Tale autorevolezza non può riconoscersi a qualsiasi testo di codificazione, ma dipende dalle
vicende dalle circostanze nelle quali adottato dagli stessi obiettivi che ci si propone di
raggiungere.

La giurisprudenza è la prassi degli Stati mostrano che il testo presentato dalla commissione
finisce sovente per godere di una presunzione di corrispondenza al diritto consuetudinario,
nel senso che ragionamento giuridico dell’interprete parte da tale testo, pur potendo giungere
a negare a questo a quell’altra disposizione il carattere codificatore.

Non mancano sentenze della corte internazionale di giustizia che hanno applicato persino
progetti non ancora definitivi di convenzioni.

Esempio:
- sentenza del 1982 nell’affare della piattaforma continentale con riferimento al
progetto di convenzione del 1981 della terza conferenza delle Nazioni Unite sul diritto
del mare, la corte affermò di dover tener conto dei lavori di tale conferenza e che non
avrebbe potuto trascurare una disposizione del progetto di convenzione ove fosse
giunto alla conclusione che la sua sostanza vincola se tutti i membri della comunità
internazionale perché cristallizzava una regola di diritto consuetudinario preesistente
o in via di formazione.

A conferma dell’autorità ricognitiva di norme consuetudinarie che può avere un testo di


codificazione, a prescindere dal valore della convenzione che lo contenga, o persino del
destino futuro che, da un punto di vista formale, tale testo possa incontrare, poi eccitarsi
progetto di articoli sulla responsabilità degli Stati perfetto internazionalmente illeciti adottato
dalla commissione del diritto internazionale nel 2001. La stessa commissione si limito a
raccomandare all’assemblea generale, semplicemente di prenderne nota e di considerare in un
momento ulteriore la possibilità di convocare una conferenza internazionale in vista della
conclusione di una convenzione. L’assemblea generale con una risoluzione del 2001
presentato del testo e lo raccomando all’attenzione dei governi, senza pregiudizio di una
futura azione. Ciò malgrado la corte internazionale di giustizia in una sentenza del 2007
sull’applicazione della convenzione per la prevenzione e la repressione dei crimini di
genocidio, dichiara espressamente che la norma applicabile, quale norma di diritto
consuetudinario sulla responsabilità internazionale, era quella prevista dall’Art.8 del progetto
di articoli della commissione del diritto internazionale.

Negli ultimi anni è diffusa l’elaborazione da parte della commissione del diritto
internazionale di progetti, di articoli, non già di testi definiti di convinzioni, come nel caso del
progetto di articoli relativa agli effetti dei conflitti armati sui trattati del 2011 e di quello,
dello stesso anno, sulla responsabilità delle organizzazioni internazionali. Nella materia delle
riserve ai trattati la commissione ha approvato nel 2011 delle semplici guidelines.

7. I PRINCIPI GENERALI DI DIRITTO RICONOSCIUTI DALLE NAZIONI


CIVILI. LA DECISIONE EX AEQUO ET BONO

L’Art punto 38 dello statuto della corte internazionale di giustizia include, tra le norme da
essere applicabili, i principi generali di diritto riconosciuti dalle nazioni civili. Si tratta di
principi che appartengono agli ordinamenti giuridici interni degli Stati e che, in virtù di tale
disposizione, vengono assunti a livello internazionale.

Il riferimento alle nazioni civili è un retaggio dovuto all’origine della norma, che era presente
già nello statuto della corte permanente di giustizia internazionale del 1920, essa esprimeva
una concezione alquanto razzista, all’epoca, oggi però, l’espressione può avere la funzione di
escludere dal richiamo paesi poco civili, perché, per esempio, violano sistematicamente i
diritti umani fondamentali.

Altre convenzioni internazionali che usano espressioni analoghe hanno eliminato ogni
qualifica di civiltà, un esempio è l’Art punto 21 dello statuto della corte penale internazionale
che menziona nel diritto applicabile i principi generali del diritto elaborati dalla stessa corte
partendo dalle leggi nazionali che rappresentano i differenti sistemi giuridici del mondo.

I principi generali in esame esprimano delle regole di logica giuridica, di buon senso, di
giustizia sostanziale che hanno un respiro pressoché universale. Non a caso essi sono espressi
con antichi brocardo di origine romanistica, principi consolidati nei rapporti tra le leggi, per
cui la legge speciale deroga con la generale la legge successiva a quella anteriore, o di
carattere interpretativo non che è una serie di principi penalistici ispirati a garantismo verso
l’imputato, quali la legalità dei reati e delle pene, la presunzione di no senza e quello, ad esso
connesso.

I principi generali delle nazioni civili hanno ruolo sussidiario integrativa rispetto alla
consuetudine agli accordi. L’Art.38 dello statuto della corte internazionale di giustizia è
scritto in una logica giudiziaria, menziona anzitutto le convenzioni internazionali perché, dato
che l’accordo deroga, nei rapporti tra gli Stati parti, le norme consuetudinarie, la corte deve
applicare le convenzioni vigenti tra tali Stati, in assenza di norme convenzionali, essa applica
le norme consuetudinarie. Nella medesima logica giudiziaria, in caso di mancanza o di
insufficienza, di una disciplina anche a livello consuetudinario, la corte fa ricorso ai suddetti
principi generali, che Servono a colmare le eventuali lacune, sia del diritto internazionale
pattizio che di quello consuetudinario. In questo senso hanno ruolo integrativo di tali fonti e
applicandosi solo in loro assenza, hanno una posizione subordinata rispetto a esse.

Un ruolo analogo va riconosciuto i principi generali ricordati nell’Art. 21 dello statuto della
corte penale internazionale.

Nella prassi giudiziaria i principi in parola risultano applicati specialmente dei tribunali
penali internazionali, ciò si spiega per la circostanza che questi costituiscono un fenomeno
alquanto recente nel diritto internazionale, nel quale anche gli accordi internazionali che ne
regolano l’istituzione, la competenza il funzionamento non presentano il necessario livello di
sviluppo e di completezza di disciplina. Di conseguenza questa va integrata mediante
l’applicazione dei principi generali che al contrario, nel diritto interno, hanno subito da tempo
un adeguato processo di affinamento di maturazione.

L’art. 38 dello statuto della corte internazionale di giustizia prevede che gli Stati parti del
processo possono stabilire che la corte decida la controversia ex aequo et bono, cioè non in
applicazione del diritto internazionale ma secondo equità, ossia in base a una propria
valutazione delle contrapposte pretese delle parti fatta alla luce di criteri di opportunità, di
giustizia, economici, sociali, o di altri criteri comunque extra giuridici. Analoga possibilità
può essere prevista in accordi che stabiliscano di sottoporre controversie ad arbitrato
internazionale.

L’equità non diventa una fonte del diritto internazionale, tale disposizione è estremamente
chiara, infatti, nel contrapporre la decisione ex aequo et bono a quelle emanate in base al
diritto internazionale. La sentenza secondo equità è denominata sentenza dispositivo, perché
crea essa stessa la nuova norma risolutiva del conflitto di interessi tra le parti, laddove quella
fondata sul diritto preesistente è detta di accertamento, perché si limita a accertare il
contenuto di tale diritto.

Fonte di diritto internazionale è la stessa sentenza dispositivo, più precisamente si tratta di


una fonte prevista dall’accordo tra le parti della controversia.

Non è da escludere che in specifici settori, l’equità possa essere il contenuto di norme
giuridiche, le quali ne prescrivano l’applicazione. Questo avviene negli articoli 74 e 83 della
convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare, relativi alla delimitazione tra Stati
frondisti o adiacenti, rispettivamente, della zona economica esclusiva ed è la piattaforma
continentale. Secondo tali articoli la delimitazione va fatta mediante accordo in base al diritto
internazionale, al fine di raggiungere una soluzione equa. L’equità e così configurata essa
stessa come una norma di diritto internazionale, di natura pattizio, o meglio, consuetudinaria,
se agli articoli richiamati si riconoscesse il valore di codificazione del diritto consuetudinario.

8. LE DICHIARAZIONI DI PRINCIPI DELL’ASSEMBLEA GENERALE


DELL’ONU

Non possono considerarsi fonti di diritto internazionale generale le dichiarazioni di principi


dell’assemblea Generale delle Nazioni Unite. Tali atti non sono espressamente previsti nella
carta dell’ONU, ma sin dai primi anni di vita dell’organizzazione l’assemblea generale a
preso l’iniziativa di emanare delle risoluzioni denominate dichiarazioni, che enunciano con
particolare solennità dei principi relativi a una materia determinata, chiamando gli Stati
membri a conformarvisi.

Le materie sono le più varie: i diritti umani, oggetto della famosa dichiarazione universale dei
diritti dell’uomo del 1948 e di altre dichiarazioni come quella sul crimine del genocidio del
1946 e quelle sui rifugiati e migranti dal 2016; la decolonizzazione, con la dichiarazione sulla
concessione dell’indipendenza del paese ai popoli coloniali del 1960; i rapporti tra gli Stati,
come la dichiarazione sulle relazioni amichevoli e la cooperazione tra gli Stati del 1970; l’uso
della forza, come la definizione dell’aggressione del 1974; il diritto del mare, con la
dichiarazione su regime del fondo e del sottofondo dei mari e degli oceani oltre i limiti della
giurisdizione nazionale del 1970; i rapporti economici tra gli Stati, Come la dichiarazione il
programma d’azione per l’instaurazione di un nuovo ordine economico internazionale del
1974 e la carta dei diritti e doveri economici degli Stati dello stesso anno; gli armamenti e il
disarmo, come la dichiarazione sul divieto dell’uso di armi nucleari e termonucleari del 1961;
ci sono anche dichiarazione di più ampio e generale contenuto come la dichiarazione del
millennio del 2000.

In passato vi furono tentativi di attribuire a tali dichiarazioni di principi un’efficacia


obbligatoria di carattere generale.l’assemblea generale è composta da tutti gli Stati membri,
che tendono a coincidere con l’intera comunità degli Stati; l’assemblea generale, quindi, non
opererebbe solo come organo dell’ONU, esercitano i poteri conferiti dalla carta, ma
rappresenterebbe l’intera comunità internazionale, essendo cioè, un organo materiale di tale
comunità. Di conseguenza le sue risoluzioni, specie se adottate all’unanimità o mediante
consensus, esprimerebbe in maniera diretta la volontà della comunità internazionale
sarebbero produttive di norme obbligatorie di portata generale.

Tale ricostruzione è sostenibile ma solo per riconoscere l’alto valore politico e morale delle
dichiarazioni di principi. Sul piano giuridico essa non è idonea a dimostrare l’esistenza di una
qualsiasi norma che attribuisca le stesse la qualità di fonte di diritto internazionale generale. Il
valore giuridico delle dichiarazioni di principi va accertato alla luce dei poteri che la carta
attribuisce all’assemblea generale.

Sebbene l’assemblea generale abbia una competenza vastissima, essa ha poteri molto limitati,
di studio, di promozione, di raccomandazione, mentre escluso il potere di adottare decisioni
obbligatorie. Le dichiarazioni di principi non sono affatto fonte di diritto, né generale, né
particolare, e sono quindi assimilabili alle raccomandazioni. Questo non esclude che è una
dichiarazione ribadisco un principio già esistente, come il divieto all’uso della forza nelle
relazioni internazionali.

Il ruolo normativo che le dichiarazioni di principi possono svolgere va apprezzato con


riguardo alle due classiche fonti del diritto internazionale: l’accordo la consuetudine.
Riguardo alL’accordo specie in materia di protezione dei diritti umani, la dichiarazione ha
stimolato è promosso l’adozione, da parte della stessa assemblea generale o di una conferenza
ad hoc, di un progetto di convenzione che nel raffermi ne sviluppi principi dando vita a un
accordo giuridicamente obbligatorio. Più significative la funzione che le dichiarazioni di
principi possono esplicare nel processo di formazione di una consuetudine, è possibile che la
dichiarazione esprime il convincimento giuridico degli Stati che l’aiutano circa
l’obbligatorietà dei principi ivi contenuti, per altro verso, la dichiarazione sollecita una
conforme condotta degli Stati e può promuovere una prassi corrispondente ai principi. La
dichiarazione può rappresentare la cristallizzazione di una consuetudine in via di formazione,
che trova proprio nella dichiarazione il suo accertamento, in definitiva la dichiarazione di
principi può fare emergeva promuovere entrambi gli elementi della consuetudine, l’opinio
iuris e la diuturnitas. Essa opera come fattore di chiarimento di accelerazione nella
formazione di norme internazionali consuetudinarie.

Esempi:

- dichiarazione sulla concessione dell’indipendenza dei paesi e popoli coloniali,


adottata con la risoluzione n. 1514 nel 1960, ai sensi della quale il principio di
autodeterminazione dei popoli si trasformò nella norma generale che riconosce il
diritto all’indipendenza dei suddetti popoli divenuta poi norma imperativa. La corte
internazionale di giustizia nel 2019 riguardo alla separazione dell’arcipelago delle
Chagos da Mauritius nel 1965 ha affermato che la risoluzione è formalmente una
raccomandazione, essa è un carattere dichiarativo riguardo al diritto di
autodeterminazione dei popoli come norma consuetudinaria.

La rilevazione di una norma consuetudinaria parte non è una dichiarazione di principi va


effettuata con tutta la prudenza e la ponderazione degli elementi necessari per un siffatto
accertamento. La corte internazionale di giustizia si esprime con un altro parere nel 1996
relativo alla liceità della minaccia o dell’uso di armi nucleari, affermando che le risoluzioni
dell’assemblea generale, anche se non hanno forza obbligatoria, possono avere un valore
normativo.esse, in certe circostanze possono fornire degli elementi importanti di prova per
stabilire l’esistenza di una regola o l’emergenza di una opinio iuris. Per sapere se ciò si
verifica rispetto a una determinata risoluzione dell’assemblea generale occorre esaminare il
contenuto così come le condizioni della sua adozione, occorre verificare se esiste una opinio
iuris quanto al suo carattere normativo.

9. LE FONTI PREVISTE DA ACCORDI. GLI ATTI DELLE


ORGANIZZAZIONI INTERNAZIONALI

L’Art.38 dello statuto della corte internazionale di giustizia non esaurisce l’elenco delle fonti
di diritto internazionale.

A parte lo ius cogens, che comunque parte del diritto consuetudinario, tale elenco va
completato con le fonti previste d’accordo, o fonti di terzo grado. Oltre alla sentenza
dispositivo e a qualche altro esempio risultante dalla prassi convenzionale, la categoria più
significativa è rappresentata dagli atti obbligatori delle organizzazioni internazionali. Essi
rientrano nelle fonti in esame perché lo statuto dell’organizzazione che li prevede è un
accordo internazionale.

Spesso le organizzazioni internazionali non dispongono del potere di emanare atti


giuridicamente vincolanti, ma solo atti esortativi, denominati raccomandazioni. Per stabilire
se un atto è suscettibile di produrre effetti obbligatori non è determinante la sua
denominazione, ma la disciplina contenuta nello statuto dell’ente.

Esempio: il termine decisione è usato nella carta dell’ONU in diverse accezioni, essa è
giuridicamente obbligatoria nei termini dell’Art.25 solo si è adottata dal consiglio di
sicurezza alle condizioni previste dall’Art. 39, cioè in presenza di una minaccia alla pace, di
una violazione della pace o di un atto di aggressione.

L’obbligo può riguardare tutti gli Stati membri o solo quelli destinatari della decisione. In via
eccezionale anche l’assemblea generale al potere di adottare atti obbligatori: si tratta
dell’approvazione del bilancio delle Nazioni Unite ed è la ripartizione delle spese tra gli Stati
membri ai sensi dell’Art. 18 della carta.

In certi casi gli atti delle organizzazioni internazionali sono obbligatori, ma solo nei confronti
degli Stati membri che li accettino, anche in maniera tacita, cioè non respingendole entro il
termine previsto.

Esempio: i regolamenti sanitari dell’organizzazione mondiale della sanità

In taluni organizzazione l’atto non impone agli Stati membri di conformarvisi, ma solo di
sotto a parlare i competenti organi interni per il suo eventuale recepimento in una legge,
questo è il caso delle raccomandazioni dell’organizzazione internazionale del lavoro e
dell’UNESCO.

Un’esperienza innovativa e quella dell’Unione Europea, sin dalle origini delle comunità
europee, e riconoscibile un avere propria potestà legislativa delle istituzioni, che si esplica
con atti obbligatori non solo nei riguardi degli Stati membri, ma anche degli individui,
persone fisiche giuridiche, i quali possono acquisire da tali atti sia diritti soggettivi che
obblighi.

L’atto normativo che esprime nella maniera più evidente Pina questa potestà legislativa e il
regolamento, definito dall’Art.288 del trattato sul funzionamento dell’Unione Europea, in cui
si afferma che il regolamento ha portata generale, esso è obbligatorio e direttamente
applicabile in ciascuno degli Stati membri.

10. GLI ATTI UNILATERALI

Un'ulteriore fonte di diritto internazionale è costituita dagli atti unilaterali, che non
rappresentano una categoria generale. Si tratta di singoli tipi di atti che, a differenza degli
accordi, esprimono la volontà di un singolo Stato. Norme internazionali consuetudinarie, o
talvolta pattizio, attribuiscono a tali atti effetti giuridici corrispondenti alla volontà del loro
autore.

La commissione del diritto internazionale adottato nel 2006 dei principi guida.

Dagli atti unilaterali vanno esclusi quelli che, pur esprimendo la volontà del singolo Stato,
determinano effetti giuridici solo inserendosi in un procedimento più ampio.

Esempio:
La ratifica di un trattato, che esprime la volontà dello Stato che lo emana, di obbligarsi a
rispettare il trattato, ma produce tale effetto obbligatorio solo se si combina con la
corrispondente volontà di un altro Stato.

Gli atti unilaterali previsti da norme pattizie sono:

- La denuncia: È l’atto unilaterale che consente a uno Stato parte di un accordo di


estinguere la sua efficacia, sempre che tale facoltà sia contemplata dallo stesso
accordo e alle condizioni stabilite. La denuncia riguarda gli accordi bilaterali, per i
quali essa produce anche l’estinzione dell’accordo che, essendo un atto bilaterale, non
può restare in vita nei confronti di un solo Stato.
- Il recesso: Equivale alla denuncia, ma riguarda gli accordi multilaterali, determina
l’estinzione dell’obbligatorietà nei soli rapporti con lo Stato recedente, ma lascia in
vita l’accordo fra gli Stati parti. La denuncia recesso sono consentiti anche da norme
generali in presenza di date condizioni o eventi, come il mutamento fondamentale
delle circostanze. Il recesso da un trattato istitutivo di un’organizzazione
internazionale produce, accanto all’estinzione dell’efficacia del trattato nei confronti
dello Stato recedente, la perdita dello status di membro dell’organizzazione. Il diritto
di recesso è espressamente contemplato dall’Art punto 50 del trattato sull’Unione
Europea. Esempio: recesso del Regno Unito dall’Unione Europea, efficace dall’1
febbraio 2020
- La requete: È l’atto unilaterale che, se è così previsto da un accordo per il
regolamento giudiziario delle controversie internazionali, determina l’inizio del
processo dinanzi al tribunale internazionale la cui competenza è istituita dallo stesso
accordo.

Gli altri atti unilaterali sono previsti come produttivi di effetti giuridici da norme
internazionali consuetudinarie. Tra questi rientra il riconoscimento, con il quale uno Stato
dichiara di constatare l’esistenza di una data situazione di fatto o di diritto; l’oggetto del
riconoscimento può essere estremamente vario: la nascita di uno Stato, il mutamento di un
governo, la sovranità su un territorio, la fondatezza della pretesa di un altro Stato.

In via generale l’effetto giuridico del riconoscimento consiste nell’impossibilità, per il


soggetto che ne è autore, di contestare l’esistenza o la legittimità della situazione oggetto del
riconoscimento, si tratta di un effetto obbligatorio cosiddetto dichiarativo.

Si fonda sul diritto internazionale consuetudinario anche la rinuncia. Consiste nella


manifestazione di volontà di uno stato di abbandonare un proprio diritto determinandone così
l’estinzione, si tratta di un atto alquanto infrequente nella prassi.

Diffusa nella prassi internazionale e la protesta, che può definirsi come una dichiarazione con
la quale uno Stato contesta la liceità del comportamento di un altro Stato o soggetto, oppure
di una data situazione e, nel contempo, esprime la volontà di fare salvi i propri diritti o
interessi lesi o minacciati. La protesta produce l’effetto giuridico di escludere che il
comportamento dello Stato possa essere considerato come rinuncia un proprio diritto o una
propria pretesa, o come riconoscimento di una data situazione o come acquiescenza alla
condotta di un altro Stato; possibilità che potrebbe invece verificarsi nel caso di sua inerzia.

È riconosciuta l’obbligatorietà anche della promessa unilaterale, con cui uno Stato dichiara di
volersi impegnare a tenere un certo comportamento. Nella giurisprudenza internazionale
vanno ricordate le due sentenze della corte internazionale di giustizia del 1974 relative agli
affari degli esperimenti nucleari, in cui la corte affermò che quando lo Stato autore della
dichiarazione intende essere vincolato conformemente ai suoi termini, questa intenzione
conferisce alla sua presa di posizione il carattere di un impegno giuridico.

Affinché tale effetto obbligatorio si realizzi è necessario che la promessa sia espressa
pubblicamente, così da generare l’affidamento degli Stati e che sia certa la volontà del
promettente di obbligarsi. L’accertamento di tale volontà è questione di interpretazione, la
quale va effettuata secondo un criterio restrittivo, dato che lo Stato sia solo un obbligo senza
alcuna contropartita.

Gli atti unilaterali previsti d’accordo sono subordinati, per la loro validità ed efficacia, al
rispetto dell’accordo stesso, mentre quelli fondati su norme consuetudinarie sono sottoposti al
rispetto del solo ius cogens.

È dubbia l’esistenza di una disciplina di carattere generale specificatamente relativa agli atti
unilaterali, è da ritenere che in principio a essi siano applicabili in via analogica le norme sui
trattati internazionali, in specie a quella sulle cause di estinzione di invalidità.

11. IL SOFT LAW. LE RACCOMANDAZIONI

Il soft Law è un complesso estremamente ampio, variegato ed eterogeneo di atti che danno
origine a norme giuridicamente non obbligatorie. Vi si fanno rientrare dichiarazione di
riunioni al vertice di gruppi di Stati,come il G7 o il G20, che in realtà hanno solo un
significato politico; quelle differenze internazionali su singole tematiche, come il controllo
degli armamenti, o la protezione dell’ambiente; le linee guida di orientamento adottate
dall’organizzazione o conferenze internazionali; intese politiche; norme tipo sottoposte agli
Stati per la loro eventuale adozione, elaborate da enti specializzati nella materia cui attengono
o da organizzazioni; codici di condotta ai quali i governi, ma anche i soggetti possono essere
invitati ad attenersi; infine, le risoluzioni non vincolanti emanati dalle organizzazioni
internazionali come l’hai già ricordate dichiarazioni di principi dell’assemblea Generale delle
Nazioni Unite e le raccomandazioni, che rappresentano l’atto tipico di gran lunga più diffuso
di tali organizzazioni.

Le varie componenti del soft Law non hanno efficacia obbligatoria, possono contribuire,
tuttavia, la formazione di norme consuetudinarie o stimolare la conclusione di accordi
internazionali.

Un discorso specifico va fatto per le raccomandazioni, pur ribadendo che se non determinano
per gli Stati destinatari l’obbligo di conformarvisi, tuttavia producono alcuni effetti giuridici,
circoscritti agli Stati membri dell’organizzazione internazionale in questione. Inosservanza di
un generale dovere di cooperazione con l’organizzazione, che fa capo agli Stati membri,
questi hanno l’obbligo di prendere almeno in considerazione la raccomandazione e di
spiegare le ragioni dell’eventuale rifiuto di eseguirla.

La raccomandazione è idonea a produrre l’effetto giuridico di liceità, consiste nel fatto che la
condotta dello Stato membro che decida, liberamente, di dargli esecuzione è sempre lecita,
anche se essa costituisce violazione di un obbligo giuridico internazionale di tale Stato.

Esempio: Se una raccomandazione del consiglio di sicurezza chiedo agli Stati membri di
interrompere le relazioni commerciali con un determinato Stato, poiché è responsabile di una
minaccia o di una violazione della pace, sia uno Stato membro, per ottemperare alla
raccomandazione, debba violare un eventuale accordo di cooperazione commerciale concluso
con lo Stato in questione, l’effetto di liceità rende lecito il suo comportamento che, in assenza
della raccomandazione, sarebbe illecito in quanto in violazione dell’accordo commerciale.

Sarebbe inoltre contraddittorio se l’ONU, e per essere il suo organo competente per il
mantenimento della pace e della sicurezza internazionale, il consiglio di sicurezza, avendo
sollecitato gli Stati membri a tenere un certo comportamento, non li garantisse contro
l’eventualità di essere considerati autore di un illecito internazionale.

Il suddetto effetto di liceità si produce solo all’interno dell’organizzazione, quindi nei


rapporti tra gli Stati membri e tra questi e gli organi della stessa organizzazione; la
produzione dell’effetto di liceità presuppone che la raccomandazione sia legittima, cioè sia
emanata in conformità delle norme dello Stato dell’organizzazione, sia di carattere
procedurale che sostanziale. Se la raccomandazione non fosse legittima per contrarietà allo
statuto dell’ente, essa sarebbe invalida e non idonea a produrre qualsiasi effetto giuridico.

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