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Ci sono vicende in cui lo Stato aperte, in parte o totalmente, il suo territorio. Si possono
verificare due ipotesi apparentemente simili sul piano materiale, ma ben distinte dal punto di
vista giuridico.
La prima è la secessione: si realizza quando una porzione del territorio dello Stato se ne
separa e su di essa viene a costituirsi uno Stato nuovo. In tal caso lo stato originario subisce
una diminuzione della propria comunità territoriale, ma, pur esercitando la sovranità in un
ambito spaziale più ridotto, conserva la soggettività internazionale, permanendo nella sua
identità di Stato.
Nella seconda ipotesi non è importante la tematica della soggettività internazionale, infatti la
parte di territorio che si stacca da uno Stato ricade sotto la sovranità di un altro Stato già
esistente, in tal caso si parla di annessione parziale. Questa vicenda non incide sulla
soggettività internazionale di nessuno dei due Stati, il passaggio di sovranità si determina
sulla base del principio di effettività, quando uno Stato perde il controllo reale del territorio in
questione e su questo si insedia l’autorità di governo di quello annettente.
Esempi:
- Rhodesia del sud si dichiarò indipendente dal Regno Unito nel 1965, non viene
riconosciuta dalle Nazioni Unite in quanto la sua nascita avveniva in violazione del
principio di autodeterminazione dei popoli e del divieto di apartheid
Il diritto internazionale conferisce la soggettività allo Stato che insedia la sua autorità sulla
porzione di comunità territoriale staccata da uno Stato preesistente, ma questo non significa
che esso contempli un diritto alla secessione.
Il diritto internazionale interviene ex post, si limita a prendere atto che su un dato territorio si
è costituita una nuova organizzazione di governo.
Riguardo ai rapporti tra gli Stati il diritto internazionale prescrive il reciproco rispetto della
rispettiva integrità territoriale.
Le aspirazioni alla secessione dai propri stati non hanno fondamento giuridico nel diritto
internazionale. Solo in un caso il diritto internazionale riconosce un vero diritto di secessione:
i popoli titolari del diritto di autodeterminazione, cioè il diritto di raggiungere la piena
indipendenza quali enti statali e ottenere, quindi, il distacco dalla parte del territorio statale
nel quale tali popoli sono insediati, cioè sono beneficiari i popoli coloniali.
5. LO SMEMBRAMENTO
La seconda figura giuridica nella quale c’è una sorta di frammentazione del territorio dello
Stato e lo smembramento. A differenza della secessione, non lo smembramento lo Stato che
subisce la scissione del proprio territorio si estingue e sulle varie parti di tale territorio
devono formarsi due o più Stati nuovi.
- impero austro ungarico e impero ottomano a conclusione della prima guerra mondiale
- 1945, il terzo Reich viene diviso tra le due germani
- 1993, smembramento della Cecoslovacchia, dalla quale nacquero la Repubblica ceca
e la Slovacchia
- Ex Jugoslavia che si è divisa in cinque Stati: Croazia, Slovenia, Bosnia-Erzegovina,
Macedonia, Repubblica federale di Jugoslavia.
- La Repubblica di Serbia e Montenegro che inizialmente cercò di presentarsi come la
continuazione della Repubblica federale socialista di Jugoslavia, membro fondatore
delle Nazioni Unite, ma poté entrare nell’organizzazione solo nel 2000 dopo un
formale procedimento di ammissione. Ci sono aspetti di ambiguità nel considerare la
vicenda dell'Ex Jugoslavia come sbarramento, tuttavia bisogna tener conto che tali
Stati avevano una struttura federale, quindi vi era un collegamento inscindibile tra la
struttura federale e la costituzione jugoslava: la separazione delle diverse repubbliche,
provocò inevitabilmente la distruzione dell’organizzazione costituzionale jugoslava,
questo determinò anche la distruzione del suo apparato di governo e l’estinzione dello
Stato.
- La vicenda dell’unione sovietica è stata interpretata come una pluralità di successioni
dallo Stato che, con la denominazione di Russia, continuerà la personalità
internazionale dell’unione sovietica, questo non sembra giuridicamente corretto,
infatti le decisioni prese a Muse che nel 1991 e ad Alma, tra le varie ex repubbliche
sovietiche, venne decretato la fine del regime preesistente con l’esplicita soppressione
dell’istituto della presidenza dell’unione sovietica. L’unione delle repubbliche
socialiste sovietiche come soggetto di diritto internazionale e realtà geopolitica non
esiste più, quindi il fenomeno dovrebbe essere qualificato come smembramento. La
diversa soluzione fu adottata, probabilmente, per una serie di considerazioni ed
interessi politici. Nonostante l’ingresso della Russia sia venuto in violazione dell’art.4
della carta, esso non ha provocato alcuna protesta, anzi ha incontrato il tacito
beneplacito dell’intera organizzazione, questo ha determinato una convalida giuridica
di tale ammissione.
I mutamenti dello Stato possono riguardare anche la sol organizzazione di governo. L’evento
importante è il cosiddetto mutamento rivoluzionario di governo, che si verifica quando un
nuovo governo, si insedia al posto di quello preesistente sovvertendo l’ordine costituzionale
e, solitamente, in maniera violenta.
Si possono verificare due situazioni che da un punto di vista politico, sono generalmente
opposte:
- sesso identificato nei suoi elementi materiali dal popolo e del territorio, il mutamento
rivoluzionario di governo è reputato ininfluente ai fini della permanente identità dello
Stato
- Se lo Stato è individuato nel complesso dei suoi organi supremi di governo, esso si
estingue a seguito della scomparsa di tale governo
Pur aderendo alla concezione dello Stato-persona, la risposta al problema non può essere
dedotta secondo un processo di logica astratta, ma va risolto alla luce della prassi
internazionale. Tale prassi esprime il convincimento giuridico degli Stati e manifesta il
contenuto delle norme pertinenti del diritto internazionale consuetudinario.
La prassi mostra che il mutamento rivoluzionario di governo non è stato mai considerato
come una causa di estinzione dello Stato. Nelle Nazioni Unite mai uno Stato il cui governo
era stato rovesciato ha perso il proprio seggio, l’unica conseguenza è che i delegati di tale
Stato vengono sostituiti da quelli inviati dal nuovo governo. L’assemblea generale si limita a
prendere atto dell’avvicendamento delle delegazioni in sede di verifica delle credenziali della
nuova delegazione. Non hanno avuto mai successo i tentativi di alcuni Stati di presentarsi
come un nuovo soggetto, rispetto a quello rappresentato dal precedente governo.
Esempio: l’unione sovietica proclamata nel 1922 dopo la fine del regime zarista, con la
rivoluzione d'ottobre del 1917 è una sanguinosa guerra civile
Dal punto di vista giuridico l’effetto ricollegato alla vicenda considerata consiste nel fatto che
lo Stato è rappresentato dal nuovo governo in luogo di quello del posto, e con esso gli altri
Stati sono tenuti a relazionarsi. La sostituzione del nuovo apparato di governo avviene nel
momento in cui esso abbia realmente insediato nella comunità territoriale la propria autorità.
Anche in questa materia trova applicazione il principio di effettività, alla luce del quale le
organizzazioni internazionali provvedono alla sostituzione delle nuove delegazioni a quelle
provenienti dal governo estinto. Tale principio può condurre anche sospendere
l’individuazione del governo di uno Stato se questo sia vittima per un prolungato periodo di
una guerra civile, fino a che prevale in maniera definitiva una delle fazioni in campo.
Al criterio di effettività devono attenersi gli Stati nel riconoscere il nuovo governo, anche
rispetto a questi infatti è diffusa la prassi del riconoscimento. Il riconoscimento dei governi è
un atto di natura essenzialmente politica. Ci sono casi in cui gli Stati riconoscono come
rappresentanti di uno Stato un gruppo di rivoltosi, personaggi politici, il luogo del governo
effettivo.
Esempi:
Anche per quanto riguarda i governi il principio di effettività è affiancato dal principio di
legalità internazionale, in virtù del quale non sono riconoscibili i governi che si sono
insediati, o che esercitano la propria autorità, in violazione di norme imperative del diritto
internazionale generale.
Esempi:
Oltre agli Stati, che rappresentano i principali soggetti del diritto internazionale e hanno una
piena personalità giuridica, esistono altri attori sulla scena delle relazioni internazionali. La
maggior parte di questi soggetti non statali è priva di una base territoriale, per cui tutte le
norme internazionali che si riferiscono al territorio, non sono applicabili a essi.
Non deve stupire se alcuni protagonisti della vita internazionale non siano considerati
soggetti di diritto internazionale, in quanto non sono destinatari delle norme di tale
ordinamento (società multinazionali, società di rating, organizzazioni non governative,
comitato internazionale della Croce Rossa ).
2. I GOVERNI IN ESILIO. GLI ENTI TERRITORIALI DIPENDENTI DALLO
STATO
Non sono generalmente ritenuti i soggetti di diritto internazionale i governi in esilio, che
talvolta vengono a costituirsi all’estero, ospiti di Stati stranieri, in occasione dell’occupazione
militare dello Stato, o di rivoluzioni, o di colpi di Stato.
Esempi:
- governo dell’imperatore Selassie, che riparò in Gran Bretagna nel 1936 dopo
l’aggressione italiana all’Etiopia.in questo caso i delegati dell’imperatore e
continuarono a occupare il seggio di tale Stato, sebbene ormai estinto, nell’assemblea
della società delle nazioni. Questi non venivano considerati soggetti internazionali
poiché sono governi che non governano, privi di qualsiasi effettività.
- Governo del generale Charles de Gaulle nel 1940, in seguito all’invasione tedesca
della Francia, anch’egli accolto a Londra
- Il governo dell’emiro del Kuwait, occupato dall’Iraq nel 1990
In realtà la soggettività non spetta mai al governo, anche se effettivo, ma lo stato del quale è
organo; pertanto poiché il governo in esilio non ha effettivo controllo dello Stato, non ha
titolo per rappresentarlo sul piano internazionale.
Esempio:
Nel caso di governi in esilio riprende il suo pieno vigore la regola fondata sull’effettività:
l’eventuale riconoscimento di un siffatto governo in esilio a opera di Stati terzi costituirebbe
una illecita ingerenza nelle questioni interne dello Stato interessato dal mutamento di
governo.
La personalità internazionale non spetta neanche agli enti territoriali dipendenti dagli Stati,
difettano del requisito dell’indipendenza, in quanto gli ordinamenti giuridici dei quali sono
portatori non sono originari, ma derivano la loro giuridicità dallo Stato dal quale dipendono.
Possono essere identificati come organi dello Stato poiché esercitano poteri appartenenti alla
sua sovranità e la loro condotta è giuridicamente imputata allo Stato, unico soggetto
internazionale.
3. LA SANTA SEDE
Soggetto di diritto internazionale è la Santa sede, cioè la suprema autorità di governo della
chiesa cattolica, avente al suo vertice il Papa.
La Santa sede risulta destinataria della norma consuetudinaria che attribuisce la capacità di
concludere accordi internazionali, bilaterali e multilaterali.
Esempi:
- Tra gli accordi bilaterali ci sono i concordati, che contengono la disciplina della
materia religiosa nello Stato contraente, e hanno tutte le caratteristiche formali
sostanziali di un accordo internazionale. I rapporti della Santa sede con l’Italia si
basano su un primo concordato conclusa nel 1929 con il nome di patti lateranensi,
sostituito dal concordato di villa madama del 1984
- Tra gli accordi multilaterali ci sono: convenzione di Vienna del 1961, convenzione di
Vienna del 1969, convenzione di New York del 2003.
Talvolta gli accordi sono conclusi formalmente dallo Stato della Città del Vaticano che, nel
2008 ha aderito all’organizzazione internazionale di polizia criminale (Interpol). In genere
sembra che la Santa sede preferisca presentarsi ufficialmente come Stato città del Vaticano
quando l’accordo Avio riferimento un’applicazione territoriale.
Esempio:
- Convenzione monetaria conclusa nel 2000 tra l’Italia e lo Stato della città del
Vaticano, rappresentato dalla Santa sede.
Un’altra prova della soggettività internazionale della Santa Sede è data dal suo diritto di
legazione attiva e passiva, cioè dalla sua capacità di stabilire relazioni diplomatiche con gli
Stati, l’unica particolarità è che le ambasciate presso la Santa sede sono ubicati a Roma, in
territorio italiano. Un’altra importante caratteristica consiste nel fatto che la missione
permanente della Santa Sede nei paesi con i quali intrattiene rapporti diplomatici è guidata da
un alto prelato, chiamato Nunzio apostolico, solitamente un individuo avente maggiore
anzianità di servizio in tale Stato.
Proprio dalla personalità internazionale di scendono i diritti della stessa Santa sede, come dei
suoi organi di governo, all’immunità e al trattamento che il diritto internazionale prescrive
ogni Stato nei confronti degli Stati stranieri.
La personalità della Santa Sede non è identica a quella degli Stati e va modulata e limitata
rispetto ai peculiari caratteri di tale ente e alla natura spirituale religiosa dei vincoli tra i
propri consociati.
Non è facile stabilire i rapporti esistenti tra la Santa sede e lo Stato della città del Vaticano, la
tesi più convincente e quella che considera lo Stato della città del Vaticano un ente
strumentale della Santa sede, in quanto diretto ad assicurarne la piena indipendenza è una più
completa partecipazione alla vita internazionale.
La corte di cassazione penale nella sentenza n. 3932 del 1987 afferma che l’unico dato di
valutazione determinante temente rilevante è la sua indiscusse l’indiscutibile natura di
soggetto di diritto internazionale, in tale veste la Santa sede ha stipulato con lo Stato italiano
il trattato del Laterano.
4. L’ORDINE DI MALTA
Un altro ente non inquadrabile in alcuna categoria ma avente carattere del tutto singolare, la
cui soggettività internazionale è molto dibattuta, è il sovrano militare ordine di Malta. È un
ente che svolge essenzialmente compiti assistenziali, caritatevoli e ospedalieri; istituito come
ordine religioso laicale della chiesa cattolica con bolla del 1113 di Papa Pasquale secondo, in
passato ha esercitato una sovranità territoriale a San Giovanni d’acri, Cipro, a Rodi e infine a
Malta. Privo ormai di qualsiasi base territoriale, dal 1834 ha sede a Roma.
Il governo italiano tratta su un piano paritario con l’ordine di Malta, con il quale ha stipulato
diversi accordi internazionali, nelle materie nelle quali esso si occupa.
Nella giurisprudenza straniera non sono rilevabili analoghi affermazioni, ciò potrebbe
spiegarsi considerando che, avendo sede in Italia, le liti giudiziarie nascono in Italia e non
dinanzi ai giudici di altri Stati.
5. GLI INSORTI
Una sia pur limitata soggettività internazionale è generalmente ammessa per gli insorti: un
gruppo organizzato che riesce a stabilire la propria autorità su una parte del territorio di uno
Stato, sottraendolo al controllo del governo legittimo di tale Stato.
Non è rilevante la finalità del partito, ma che l’organizzazione degli insorti abbia conquistato
una base territoriale, e abbia, quindi, costituito un governo di fatto Locale. Sotto questo
aspetto gli insorti sono gli unici soggetti di diritto internazionale che condividono con gli
Stati l’elemento costitutivo del territorio, per questo può dirsi che anche la loro soggettività
espressione del principio di effettività.
Esempi:
Il requisito del controllo di una porzione del territorio dello Stato esclude la soggettività di
altri movimenti rivoluzionari, come le brigate rosse in Italia.
Gli insorti sono destinatari anche delle norme consuetudinarie relative al trattamento degli
stranieri e dei loro beni che si trovino nel territorio da essi controllato e in caso di violazione
di tali norme incontrano le conseguenze proprie del fatto illecito.
Hanno una limitata capacità di concludere accordi internazionali riguardo alla condizione dei
loro cittadini presenti nel territorio dove gli insorti esercitano la loro autorità, sia con lo Stato
nel quale sono insediati, rappresentato dal governo legittimo. Tali accordi possono avere per
oggetto la situazione derivante dal conflitto, eventualità regola, la resa o una pacificazione.
Gli insorti sono un fenomeno transitorio: la loro vita si conclude con lo stabilimento
definitivo della propria autorità sulla porzione di territorio, con conseguente nascita di un
nuovo Stato del quale partito insurrezionale sarà il governo, oppure con la sconfitta del
precedente governo e l’astensione del controllo degli insorti sull’intero territorio dello Stato,
con cui si determina un mutamento rivoluzionario di governo, o ancora con la sconfitta del
partito insurrezionale, o con l’annessione del territorio un altro Stato.
Il diritto internazionale non richiede, per il movimento di liberazione nazionale, che esso
controllo in territorio, questo può anche non avere alcuna base territoriale, ma comunque una
sua personalità internazionale, se costituisce l’ente esponenziale organizzato di un popolo che
esercita il diritto di autodeterminazione.
Art.1 carta delle Nazioni Unite: enuncia il principio di autodeterminazione dei popoli e lo
sviluppo tra le nazioni di relazioni amichevoli, fondate sul rispetto di tale principio.
Art. 55 della carta delle Nazioni Unite: parla della cooperazione internazionale economica e
sociale, dove il principio di autodeterminazione e ribadito quale fondamento dei rapporti
pacifici amichevoli tra le nazioni.
Art.1 dei due patti internazionali sui diritti umani, l’uno sui diritti economici, sociali e
culturali, l’altro sui diritti civili e politici, adottati dall’assemblea Generale nel 1966 dichiara:
tutti i popoli hanno diritto di autodeterminazione.
Tale diritto è un diritto di ogni Stato nei confronti degli altri, nella sua dimensione esterna,
ma anche un valore interno di ciascuno Stato, poiché questo è tenuto a rispettare non solo i
diritti individuali, ma anche le aspirazioni politiche, economiche, sociali della collettività.
L’assemblea Generale delle Nazioni Unite adotta la risoluzione n. 1514 del 1960, contenente
la dichiarazione sulla concessione dell’indipendenza ai paesi ai popoli coloniali. Con questa
si dichiara che i popoli coloniali hanno un diritto immediato alla completa indipendenza.
Tale diritto in termini giuridici, spetta la struttura organizzata che rappresenta un popolo
dipendente, cioè il suo movimento di liberazione nazionale.
La dichiarazione del 1960 a messo in modo rapido processo di formazione di una nuova
norma internazionale consuetudinaria che attribuisce un diritto all’indipendenza al popolo
coloniale è un corrispondente obbligo alla potenza straniera di ritirarsi dal territorio
dipendente e di trasferire alla sua popolazione tutti i poteri.
Tra le più rilevanti risoluzioni c’è la dichiarazione sui principi del diritto internazionale
concernenti le relazioni amichevoli e la cooperazione tra gli Stati conformemente alla carta
delle Nazioni Unite adottata nel 1970 e la definizione dell’aggressione adottata nel 1974.
L’individuazione dei popoli coloniali non crea difficoltà, poiché il colonialismo costituisce un
fenomeno ben riconoscibile da un punto di vista storico e geopolitico, altrettanto accade per
quelli sottoposti a regime razzisti. Più delicata è la definizione dei popoli aventi diritto
all’autodeterminazione perché sottoposti a dominazione straniera. La prassi limita tale
categoria a quei casi in cui vi sia una assoluta estraneità tra il popolo in questione e la potenza
la quale esso è sottoposto (esempio: il popolo palestinese rispetto allo Stato di Israele). Tale
diritto non spetta alle minoranze etniche, religiose o linguistiche. A queste minoranze
vengono riconosciuti diritti nell’Art. 27 del patto sui diritti civili e politici e nella
dichiarazione dei diritti delle persone appartenenti a delle minoranze nazionali o etniche,
religiose e linguistiche.
La norma che riconosce il diritto di autodeterminazione dei popoli, inteso quale diritto a
costituirsi in Stato indipendente, ha non solo natura consuetudinaria, ma anche di ius cogens.
La particolare forza preselettiva insita in tale natura a per conseguenza che gli Stati non
devono riconoscere qualsiasi situazione determinatasi mediante una violazione grave di tale
diritto, il diritto di autodeterminazione dei popoli e opponibile non solo lo Stato straniero al
quale il popolo è assoggettato, ma anche a tutti gli altri Stati e i soggetti internazionali. Tale
diritto è infatti un carattere erga omnes, va rispettato da tutti gli Stati; per un altro verso la sua
osservanza esigibile da tutti gli Stati, per cui la sua violazione rappresenta un illecito non
soltanto verso il popolo sottoposto a dominazioni straniere, ma anche nei confronti di tutti gli
altri soggetti internazionali.
Il fatto che gli ho detto di autodeterminazione dei popoli sia contemplato da una norma
applicabile nei rapporti con tutti gli altri Stati e soggetti internazionali che termina il dovere
di questi ultimi di agire di cooperare al fine di promuoverne e di facilitarne l’attuazione.
Tuttavia la Palestina nella veste di Stato, intrattiene numerose importanti relazioni giuridiche
internazionali. È ammessa nelle Nazioni Unite come Stato osservatore dal 2012 e dal 2011 è
stata ammessa come Stato membro nell’UNESCO.
- dal 2014 la Palestina messo in atto una strategia di divisione trattati di diritto
internazionale umanitario applicabile nei conflitti armati e a quelli promossi dalle
Nazioni Unite per la tutela dei diritti umani
- Adesione allo statuto della corte penale internazionale, così da consentire l’esercizio
della giurisdizione della corte su eventuali crimini commessi da Israele nella striscia
di Gaza
- Nel 2021 la camera di esame preliminare della corte penale internazionale ha
riconosciuto che la Palestina va considerato uno Stato parte dello statuto e che la
giurisdizione della corte si estende agli eventuali crimini commessi nel suo territorio
occupato
Esempio:
- l’UNCTAD creata dall’assemblea Generale delle Nazioni Unite nel 1964, quale suo
organo sussidiario, è generalmente considerato un’organizzazione internazionale.
Affinché l’organizzazione internazionale nasca non è sufficiente che l’accordo istitutivo entra
in vigore, ma in nome del principio di effettività, la nascita del nuovo ente richiede che i suoi
organi si costituiscano e comincino a operare concretamente.
La derivazione dell’organizzazione internazionale da un accordo tra Stati mostra che essa non
è portatrice di un ordinamento originario, ma derivato dalla volontà degli Stati consacrata
nell’accordo, cioè significa che l’organizzazione resta sempre indipendente dagli Stati
membri.
Riguardo alla struttura delle organizzazioni internazionali non è possibile definire regole
generali sulla loro composizione, poteri, regole procedurali di votazioni, e l’accordo
costitutivo che regola tali materie. Tendenzialmente si può osservare che le organizzazioni
presentano una struttura ternari: c’è un organo di base formato da tutti gli Stati membri, un
secondo organo formato dai delegati governativi degli Stati membri, solitamente chiamato
consiglio, o comitato a composizione più ristrette competenze specifiche, infine il terzo è un
organo di individui di carattere solitamente amministrativo o composto da persone fisiche,
con al proprio vertice un segretario generale.
Molto spesso le organizzazioni hanno un numero più ampio di organi, tra i quali si segnalano,
particolarmente, i tribunali internazionali, la corte internazionale di giustizia nelle Nazioni
Unite o la corte di giustizia nell’Unione Europea.
La prassi è estremamente ampia e va dai più modesti accordi di sede, stipulati con gli Stati
nei quali essi hanno la sede principale o eventuali sedi secondarie, a materie ampie e
complesse. Sono accordi bilaterali o multilaterali constati o anche altre organizzazioni
internazionali.
Esempio: caso delle Nazioni Unite che ai sensi dell’art. 63 della carta, hanno concluso una
serie di accordi di collegamento con una pluralità di altre organizzazioni internazionali di
respiro universale.
Esempio:
La ricchezza della prossima materia ha indotto le Nazioni Unite, tramite loro organo
sussidiario, la commissione del diritto internazionale, a promuovere l’elaborazione di una
convenzione multilaterale che regola in maniera esaustiva la materia: la convenzione di
Vienna del 1986 sul diritto dei trattati tra Stati e organizzazioni internazionali e fa
organizzazioni internazionali
- Un altro sintomo della personalità delle organizzazioni internazionali è dato dal fatto
che si intrattengono stabili relazioni di tipo diplomatico.
Questo aspetto è regolato dalla convenzione di Vienna del 1975 sulla rappresentanza degli
Stati nelle relazioni con le organizzazioni di carattere universale.
Esempio:
- La corte internazionale di giustizia nel 1949, con riferimento alle Nazioni Unite, a
seguito dell’uccisione a Gerusalemme nel 1948 da parte di estremisti israeliani, del
conte folke Bernadotte ed è il colonnello Andre serot , inviati dall’ONU come
mediatore e come osservatore militare.
Esempio:
- Tra i primi casi vi è l'intervento delle forze delle Nazioni Unite in Congo nel 1960,
che provocarono danni ai cittadini di vari Stati e a loro beni, mediante una condotta
illecita. Le Nazioni Unite accettarono di risarcire i danni. In proposito la commissione
del diritto internazionale delle Nazioni Unite ha elaborato un progetto di articoli,
definito nel 2011, che appare orientato principalmente a promuovere uno sviluppo
della disciplina, piuttosto che a codificare il diritto consuetudinario relativo alla
responsabilità delle organizzazioni internazionali.
Queste competenze speciali, in contrapposizione a quella generale degli Stati, e foto del
principio di attribuzione, in virtù del quale l’organizzazione agisce esclusivamente nei limiti
delle competenze che le sono attribuite dagli Stati membri nei trattati istitutivi per realizzare
gli obiettivi da questi stabiliti. L’ambito materiale della soggettività dell’organizzazione
internazionale non solo è ridotto, rispetto a quello statale, ma estremamente variabile in
funzione delle competenze a essi attribuite dagli accordi istitutivi.
8. LA CONDIZIONE DELL’INDIVIDUO
Oggi la situazione appare mutata, poiché esistono dei complessi di norme internazionali che
si rivolgono agli individui e conferiscono loro obblighi, responsabilità, diritti, poteri giuridici.
La corte di giustizia delle comunità europee nella sentenza del 1963, Van Gend en Loos,
afferma che la comunità costituisce un ordinamento giuridico di nuovo genere nel campo del
diritto internazionale.
Le norme che vengono in rilievo ai fini di una possibile soggettività internazionale
dell’individuo sono quelle relative ai crimini internazionali e quelle dirette a tutelare i suoi
diritti fondamentali.
I crimini internazionali hanno origine sia nel diritto consuetudinario che in quello pattizio,
nonché negli statuti dei tribunali penali internazionali.
Esempio:
Si distinguono:
Alcuni Stati si erano spinti a prevedere l’apertura dei procedimenti penali per tali crimini
anche in assenza di qualsiasi collegamento con lo Stato in questione, ma l’universalità della
giurisdizione sembra richiedere quanto meno la presenza dell’accusato nel territorio dello
Stato affinché possa esperire l’azione penale nei suoi confronti.
La giurisdizione universale è configurata dal diritto internazionale consuetudinario come
facoltativa, nel senso che ogni Stato può esercitarla, ma alcuni accordi la prevedono come
obbligatoria, istituendo un meccanismo denominato aut dedere aut iudicare. Lo Stato nel cui
territorio si trovi l’imputato è tenuto a sottoporre al procedimento penale o a consegnarlo per
il processo a un altro Stato parte che ne faccia richiesta.
Esempio:
Non sempre il giudice nazionale può assicurare la punizione del reato, per ragioni politiche,
tecniche e di vario genere ci possono essere dei pregiudizi di funzionamento della scelta tra
processare l’imputato o estradarlo, non va anche trascurato il rischio che, caduto il regime in
uno Stato, i suoi esponenti siano sottoposti non alla giustizia, ma la vendete alla violenza.
Maggiori possibilità che gli autori dei crimini in esame siano sottoposti a giudizio che questo
si svolga nel rispetto delle garanzie del giusto processo possono offrire i tribunali penali
internazionali.
Esempio:
L’altra importante materia nella quale la figura dell’individuo emerge a livello giuridico
internazionale è quella del riconoscimento dei suoi diritti fondamentali. Con la nascita delle
Nazioni Unite nel 1945 la tematica di dirti umani è balzata prepotentemente sulla scena
internazionale, in precedenza gli Stati, non erano tenuti a dare conto alla comunità
internazionale del trattamento dei propri cittadini, che rientrava nella competenza interna: la
domestic JurisDiction.
Art.1,par.3 della carta dell’ONU, pone tra i fini dell’organizzazione è quello di promuovere e
incoraggiare il rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali.
L’azione delle Nazioni Unite si è sviluppata precisando lo stesso contenuto dei diritti umani,
quindi promuovendo il loro e Chimento in corrispondenza alle nuove istanze che emergevano
nella comunità internazionale e all’esigenza di tutelare soggetti particolarmente vulnerabili.
L’azione dell’uno, affiancata dalle altre organizzazioni internazionali di carattere universale,
o regionale, si è diretta anche a combattere forme particolarmente gravi di violazioni dei
diritti umani.
Oltre a norme convenzionali si sono formate anche norme consuetudinarie, idonee a imporre
a tutti gli Stati il rispetto di un nucleo irrinunciabile di diritti umani. Esse comportano il
divieto delle gross violations, le violazioni massicce o sistematiche dei diritti umani
fondamentali.
Allo stato odierno di sviluppo del diritto internazionale, gli individui debbano considerarsi
soggetti di diritto internazionale, la loro personalità internazionale non ha un carattere
generale, ma è limitata alle specifiche materie.
Le fonti del diritto internazionale sono quei fatti, atti, o procedimenti idonei a creare,
modificare, estinguere norme giuridiche appartenenti a tale diritto.
Art. 38 dello statuto della corte internazionale di giustizia, la cui funzione è di decidere in
base al diritto internazionale le controversie che le sono sottoposte no, tale articolo fornisce
un quadro delle fonti che essa applica:
- Le convenzioni internazionali
- La consuetudine internazionale
- I principi generali di diritto riconosciuti dalle nazioni civili
- Le decisioni giudiziarie e la dottrina degli autori più qualificati delle varie nazioni
Le convenzioni internazionali, sono anche denominati accordi, trattati, patti e con analoghi
termini che esprimono l’incontro delle volontà degli Stati che li concludono.
Tra le norme consuetudinarie vi è una di carattere strumentale che puoi annunciarsi con il
brocardo “ pacta sunt servanda”, la cui esistenza è dimostrata dalla constatazione che gli Stati
rispettano gli accordi che concludono, convinti che la loro osservanza sia giuridicamente
doverosa. Tale norma è il fondamento giuridico dell’obbligatorietà, per gli Stati parti,
dell’accordo.
L’accordo a sua volta, può contemplare un fatto un atto ulteriore come i doni a produrre
norme vincolanti.
Esempio:
L’ordinamento internazionale non vuole esprimere una gerarchia tra le fonti internazionali, in
particolare, la derivazione della giuridicità dell’accordo da una fonte consuetudinaria di
primo grado, non implica in alcun modo che l’accordo sia subordinato al rispetto della
consuetudine.
Esempio:
- nascita mediante consuetudine internazionale, verso gli anni 70, dell’istituto di diritto
marittimo della zona economica esclusiva, sulla quale lo Stato costiero può esercitare
un diritto esclusivo di sfruttamento delle risorse economiche. Tale norma ha stravolto
i preesistenti accordi di pesca conclusi con riguardo a tali zone di mare, che
appartenevano al mare libero in precedenza, a seguito del mutamento consuetudinario
sono state poi sottratte a regime di libertà è assoggettata lo solutamente esclusivo
dello Stato costiero.
- Art.27,par.3 della carta delle Nazioni Unite: stabilisce che le decisioni del consiglio di
sicurezza su questioni sostanziali sono prese con il voto favorevole di nove membri
nel quale siano compresi i voti dei membri permanenti. Richiedendo il voto
favorevole dei membri permanenti l’astensione anche di un solo di questi membri
dovrebbe impedire l’adozione della risoluzione, tuttavia, vi è la prassi di approvare le
risoluzioni di tale organo oppure in presenza dell’astensione di uno o più membri
permanenti. Si è determinata una modifica consuetudinaria dell’articolo alla luce della
quale per impedire una risoluzione del consiglio di sicurezza non è più sufficiente
l’astensione di un membro permanente, ma questi deve esprimere un voto contrario,
esercitando il diritto di veto.
2. LE NORME IMPERATIVE DEL DIRITTO INTERNAZIONALE GENERALE
(IUS COGENS). IL RAPPORTO TRA L’ACCORDO E LE FONTI DA ESSO
PREVISTE
E esiste una specifica categoria di norme consuetudinarie, dotata di un vero e proprio rango
giuridico superiore sia ai trattati che alle altre norme consuetudinarie, essa viene riconosciuta
ufficialmente nell’art. 53 della convenzione di Vienna sul diritto dei trattati del 1969, che
regola l’intera materia dei trattati, codificando, cioè riproducendo in forma scritta, la
disciplina consuetudinaria. Tale articolo dichiara: è nullo qualsiasi trattato che, al momento
della sua conclusione, è in conflitto con una norma imperativa del diritto internazionale
generale (ius cogens). Norma imperativa del diritto internazionale generale una norma
accettata e riconosciuta dalla comunità internazionale degli Stati nel suo complesso come
norma la quale non è consentita alcuna deroga e che può essere modificata soltanto da
un’altra norma del diritto internazionale generale avente lo stesso carattere.
La categoria dello ius cogens è ormai ampiamente accettata sia nella prassi diplomatica che
nella giurisprudenza, internazionale come interna. Tali norme hanno carattere
consuetudinario, però sono fornite di una particolare forza precettiva, rispetto alle comuni
norme consuetudinarie, in quanto la comunità internazionale nel suo insieme le considera
come inderogabili a opera dei trattati e immodificabili da parte delle norme consuetudinarie
comuni o ordinare. Esse oltre a risultare dalla prassi degli Stati e degli altri soggetti di diritto
internazionale, devono esprimere una opinio iuris che non si limita al convincimento della
dove Rosita giuridica della condotta tenuta ma si estende all’inderogabilità di tale dovere.
La superiorità gerarchica dello ius cogens si esprime sia nei confronti degli accordi che della
consuetudine.
Riguardo agli accordi, la loro contrarietà a norme imperative produce la sanzione della nullità
giuridica, inoltre la sopravvenienza di una nuova norma di ius cogens determina l’estinzione
di qualsiasi precedente accordo confliggente.
Riguardo alle norme consuetudinarie, la superiorità delle norme imperative risulta dal fatto
che le prime non sono idonee a modificarle, mentre una norma imperativa può sempre
modificare o estinguere una norma consuetudinaria preesistente.
È un elenco delle norme imperative non è possibile, la loro individuazione, infatti, richiede
un’indagine volta ad accertare non solo la prassi, ma anche l’esistenza di quella specifica
opinione, consistente nel sentire come inderogabili date norme. Ciò che si può dire di esse è
che esprimono, e tutelano, alcuni valori condivisi dalla comunità internazionale, che questa
considera come irrinunciabile. Te lo odierno Stato di diritto internazionale sono riconoscibili
sicuramente come norme di ius cogens: quella che proibisce l’aggressione, la norma che
riconosce il diritto di autodeterminazione dei popoli, il divieto delle violazioni più gravi o
sistematiche dei diritti umani (schiavitù, genocidio, tortura, apartheid), il divieto di
inquinamento massiccio e volontario del mare e dell’aria, ma comunque la categoria tende ad
ampliarsi.
Sentenza n. 112 del 2019 del tribunale di Trapani, ha affermato che il principio di non-
refoulement, in virtù del quale uno Stato non può respingere uno straniero verso un paese ore
correrebbe fondatamente il rischio di perdere la vita o di essere sottoposto a tortura o altro
trattamento inumano degradante, assunto rango consuetudinario e cogente, per cui ha
dichiarato che il memorandum tra l’Italia e la Libia del 2017 di contrasto all’immigrazione
clandestina è nullo ai sensi dell’art. 53 della convenzione di Vienna sul diritto dei trattati.
Tra gli accordi internazionali e le fonti da essi previste esiste un rapporto gerarchico. Gli atti
delle organizzazioni internazionali, sono validi e produttivi di effetti obbligatori solo se sono
conformi alle norme procedurali e sostanziali dell’accordo istitutivo dell’organizzazione. La
subordinazione dell’atto a rispetto di tale accordo è garantita dal potere di un organo
giudiziario, quale la corte di giustizia dell’Unione Europea, di annullarli ove siano emanati in
violazione dei trattati istitutivi.
Le norme consuetudinarie non sono contenute in testa e documenti, sono ius non scriptum.
Questa concezione binaria della consuetudine postula la necessità di entrambi gli elementi
menzionati. Secondo alcuni la consuetudine sarebbe costituita dal solo elemento materiale,
poiché l’opinio iuris nella fase iniziale della nascita di una norma consuetudinaria sarebbe un
errore, dato che la norma non esiste ancora. Ma sia la prassi che la giurisprudenza sono
univoche e costanti nel richiedere, oltre alla condotta ripetuta nel tempo, il convincimento
della corrispondenza della stessa è un dovere giuridico o un diritto.
La corte internazionale di giustizia nella sentenza del 1969 sulla piattaforma continentale del
Mare del Nord, ha affermato che proprio tale convincimento che consente di distinguere le
norme giuridiche consuetudinarie da quelle prassi, che pure sono seguite costantemente nelle
relazioni internazionali, ma per ragioni politiche, di cortesia, di cerimoniale, di tradizione,
non producono norme giuridicamente vincolanti. Essa stabilisce che: l’esistenza di un
elemento subiettivo, è implicita nella nozione stessa di opinio iuris sive necessitatis. Gli Stati
interessati devono sentire dunque che si stanno confermando a ciò che equivale a un obbligo
giuridico.
Un recente caso della prassi conferma a sua volta tale assunto, nel 2021, nel corso di una
visita ufficiale ad Ankara da parte del presidente del consiglio europeo Charles michel e della
presidente della commissione europea Ursula VON der Leyen, quest’ultimo è stato oggetto
da parte del presidente turco di un trattamento che ha sollevato molte critiche. Il presidente
turco e il presidente del consiglio europeo si sono seduti sulle poltrone ufficiali, mentre la
presidente della commissione europea è stata messa su un divano a distanza dei due. La loro
condotta è stata considerata contrari alle regole del cerimoniale del galateo, nessuno però se
sognato di imputare alla tua che ha fatto giuridicamente illecito sul piano internazionale, e ciò
perché la prassi in questione, non essendo accompagnata da una opinio iuris, non si
concretizza norme giuridiche consuetudinaria.
Riguarda la diffusione della prassi e della commessa opinio iuris, occorre precisare che la
necessaria ampiezza di tale diffusione non significa che la nascita di una norma
consuetudinaria sia subordinata al suo riconoscimento unanime della comunità
internazionale. Secondo una tesi più politica che giuridica, si sostiene che lo Stato che si
opponga in maniera costante a una norma consuetudinaria può impedirne la formazione o,
quantomeno, l’applicazione nei suoi confronti. Questa teoria è stata sostenuta dall’unione
sovietica e poi dai paesi nati dalla decolonizzazione, per cercare di sottrarsi a norme
consuetudinarie alla cui formazione non avevano partecipato. Tale teoria è denominata del
persistent objector, è stata difesa dagli Stati Uniti però parte alle norme che configurano i
fondi marini, al di là della giurisdizione degli Stati costieri, come un patrimonio comune
dell’umanità.le loro risorse pertanto non sono appropriabili da parte di singoli Stati o di
persone ma vanno gestite sfruttate a beneficio dell’intera umanità, con particolare riguardo
all’interesse ai bisogni dei paesi in via di sviluppo.
La teoria esame non è accettabile in quanto contrasta sia con la prassi che con la
giurisprudenza, essa, in realtà, ripropone un’antica concezione della consuetudine come
accordo tacito, la quale richiederebbe l’accettazione volontaria di tutti gli Stati, ma la
consuetudine non è un fenomeno volontaristico. Ciò che può ammettersi e che la
contestazione da parte di uno Stato, specie se è una grande potenza, può ostacolare e ritardare
la definizione di una norma consuetudinaria, ma non può mai risolversi in un diritto di veto
alla sua nascita.
Non è escluso che una norma consuetudinaria, in via eccezionale, posso avere una portata
particolare. Potrà darsi di una consuetudine regionale, affermatasi solo in una regione
mondiale, oppure di una norma nata all’interno di un’organizzazione internazionale, o infine,
di una norma nata dalla prassi affermatasi nei rapporti tra due soli Stati, che quindi si dirige
solo a loro.
La corte internazionale di giustizia nella sentenza del 1986, Nicaragua contro Stati Uniti
d’America ha chiarito: è sufficiente per dedurre l’esistenza di regole consuetudinarie, che gli
stativi confermino la loro condotta in maniera generale e che essi stessi tratti nei
comportamenti non conformi alla regola in questione come delle violazioni della stessa e non
come delle manifestazioni di riconoscimento di una nuova regola. La corte ha anche avvertito
che persino una violazione della regola consuetudinaria può confermare la sua vigenza, se lo
Stato autore della violazione difende il proprio comportamento invocando delle eccezioni o
delle giustificazioni desunte dalla stessa regola, esso, infatti, mostra di avere il convincimento
dell’obbligatorietà della regola in questione.
La condotta deve protrarsi nel tempo, non è però assolutamente possibile precisare quanto
tempo. La rapidità o la lentezza nella formazione di una norma consuetudinaria dipendono da
vari fattori: uno degli interessi in gioco e dei contrasti, dalla convergenza degli interessi tra
gli Stati, dalla frequenza o meno delle occasioni che si presentano per conformarsi alla
regola, dall’eventuale sostegno la sua affermazione da parte delle maggiori potenze o
organizzazioni internazionali ampiamente rappresentative.
Esempi:
La prassi degli Stati rilevante per l’accertamento di una norma consuetudinaria è molto
variegata, comprende anche i miei comportamenti di fatto, pure di carattere omissivo, come
l’astensione delle navi pubbliche degli Stati dall’esercitare in alto mare forme di coercizione
nei confronti di quelle degli altri Stati. Ma anche azioni positive, come l’impedire l’ingresso
di navi straniere nel mare adiacente alle proprie coste, sono prova dell’opinio iuris, circa la
propria sovranità sul mare territoriale e l’ampiezza dello stesso.
Una manifestazione problematica della prassi è data da quella convenzionale, la quale può
avere un valore ambivalente. La ripetizione pressoché costante di una certa clausola nei
trattati relativi a una data materia può esprimere la convinzione degli Stati circa la sua
rispondenza a una norma consuetudinaria, ma può anche significare la volontà degli stessi di
predisporre mediante una clausola Patrizia, una disciplina derogatoria di quella
consuetudinaria.
La prassi degli Stati va apprezzata oggi nella sua varietà in corrispondenza alla struttura,
articolata e complessa, dello stato moderno, emerge l’importanza della legislazione statale,
che ha dato poderosi contributi alla formazione di norme consuetudinarie.
Esempio: progressiva affermazione della regola delle 12 miglia marine nel diritto del mare,
come limite esterno del mare territoriale, anche con la nascita dell’istituto della piattaforma
continentale a partire dal proclama Truman del 1945, contributo della legislazione di vari stati
all’accettazione della regola dell’immunità ristretta dalla giurisdizione degli Stati.
Importanti sono le giurisprudenza italiana e belga del primo novecento che condussero
all’affermazione della nuova regola sull’immunità dalla giurisdizione degli Stati stranieri
fondata sulla distinzione tra atti iure imperii e atti iure gestionis.
Art.38 dello statuto della corte internazionale di giustizia, vengono menzionate le decisioni
giudiziarie e la dottrina più autorevole, non già come fonti, ma come mezzi sussidiari di
determinazione delle norme giuridiche. Le decisioni giudiziarie presentano una particolare
rilevanza per l’accertamento delle norme consuetudinarie, da un lato la giurisprudenza
internazionale rappresenta il diritto vivente, dall’altro l’uso del termine determinazione
mostra che siano state tenute presenti particolarmente le norme consuetudinarie, che vanno
rilevate nella loro vigenza e contenuto.
Per quanto preziosa sia la giurisprudenza internazionale per l’accertamento delle norme
consuetudinarie, via anche la possibilità che esso esprime opinioni e vedute differenti, se non
contraddittori. La proliferazione di tribunali permanenti, oltre la corte internazionale di
giustizia e ai tribunali arbitrali ad hoc, può condurre a conclusioni divergenti, così riducendo
l’utilità di tale giurisprudenza ai fini della ricostruzione del diritto consuetudinario.
Una convenzione siffatta, pertanto, presenta una duplice natura, nella misura in cui
corrisponde effettivamente al diritto consuetudinario preesistente che codifica, essere
applicabile anche se non è ancora formalmente in vigore e anche nei confronti di Stati che
non ne siano parte, in quanto opera quale fonti di cognizione di norme consuetudinarie
vigenti per propria forza normativa, nella parte in cui contenga norme nuove essa a tutti i
caratteri di una fonte Pattizia, applicabile solo dalla sua forma all’entrata in vigore e solo nei
rapporti tra gli Stati parti.
- la qualificazione delle norme della convenzione di Ginevra del 1958 sulla piattaforma
continentale effettuata dalla corte internazionale di giustizia nella sentenza del 1969
relativa alla piattaforma continentale del Mare del Nord.la corte affermò che l’Art.2
della convenzione, che dichiara che lo Stato costiero a diritti esclusivi di esplorazione
di sfruttamento delle risorse naturali della propria piattaforma continentale,
corrispondeva al diritto consuetudinario. Al contrario ritenne che la regola
dell’equidistanza, stabilita nell’ Art.6 per la delimitazione della piattaforma
continentale tra Stati limitrofi o frontista, non aveva tali natura e costituiva una norma
pattizia.
La codificazione anche quando si realizza con una convenzione, non assicura certezza alle
norme in essa contenute e non esime il giudice dal verificare, alla luce della prassi e
dell’opinio iuris degli Stati, se esse corrispondano o meno al diritto internazionale
consuetudinario.
La necessità di una verifica sull’effettiva natura codifica Thrice delle norme contenute nelle
convenzioni non deve condurre a sottovalutare l’opera promossa dall’assemblea Generale
delle Nazioni Unite. Il testo della convenzione, adottato da quest’ultima, è fornito di una
propria autorevolezza. Esso, infatti, rappresenta il risultato di un’attività di ricognizione della
prassi, di studio, di riflessione, di confronto, che quando è svolta nella commissione del
diritto internazionale, conferisce al testo da essa licenziato anche l’autorevolezza propria di
tale organo, derivante non solo dei suoi componenti, ma dalla sua rappresentatività delle
principali forme di civiltà e dei principali sistemi giuridici del mondo.
All’autorevolezza scientifica si aggiunge a quella di natura politica, nata come risultato del
confronto, del contraddittorio tra gli Stati partecipanti, compiuto in base alle rispettive vedute
ai loro diversi interessi.
Tale autorevolezza non può riconoscersi a qualsiasi testo di codificazione, ma dipende dalle
vicende dalle circostanze nelle quali adottato dagli stessi obiettivi che ci si propone di
raggiungere.
La giurisprudenza è la prassi degli Stati mostrano che il testo presentato dalla commissione
finisce sovente per godere di una presunzione di corrispondenza al diritto consuetudinario,
nel senso che ragionamento giuridico dell’interprete parte da tale testo, pur potendo giungere
a negare a questo a quell’altra disposizione il carattere codificatore.
Non mancano sentenze della corte internazionale di giustizia che hanno applicato persino
progetti non ancora definitivi di convenzioni.
Esempio:
- sentenza del 1982 nell’affare della piattaforma continentale con riferimento al
progetto di convenzione del 1981 della terza conferenza delle Nazioni Unite sul diritto
del mare, la corte affermò di dover tener conto dei lavori di tale conferenza e che non
avrebbe potuto trascurare una disposizione del progetto di convenzione ove fosse
giunto alla conclusione che la sua sostanza vincola se tutti i membri della comunità
internazionale perché cristallizzava una regola di diritto consuetudinario preesistente
o in via di formazione.
Negli ultimi anni è diffusa l’elaborazione da parte della commissione del diritto
internazionale di progetti, di articoli, non già di testi definiti di convinzioni, come nel caso del
progetto di articoli relativa agli effetti dei conflitti armati sui trattati del 2011 e di quello,
dello stesso anno, sulla responsabilità delle organizzazioni internazionali. Nella materia delle
riserve ai trattati la commissione ha approvato nel 2011 delle semplici guidelines.
L’Art punto 38 dello statuto della corte internazionale di giustizia include, tra le norme da
essere applicabili, i principi generali di diritto riconosciuti dalle nazioni civili. Si tratta di
principi che appartengono agli ordinamenti giuridici interni degli Stati e che, in virtù di tale
disposizione, vengono assunti a livello internazionale.
Il riferimento alle nazioni civili è un retaggio dovuto all’origine della norma, che era presente
già nello statuto della corte permanente di giustizia internazionale del 1920, essa esprimeva
una concezione alquanto razzista, all’epoca, oggi però, l’espressione può avere la funzione di
escludere dal richiamo paesi poco civili, perché, per esempio, violano sistematicamente i
diritti umani fondamentali.
Altre convenzioni internazionali che usano espressioni analoghe hanno eliminato ogni
qualifica di civiltà, un esempio è l’Art punto 21 dello statuto della corte penale internazionale
che menziona nel diritto applicabile i principi generali del diritto elaborati dalla stessa corte
partendo dalle leggi nazionali che rappresentano i differenti sistemi giuridici del mondo.
I principi generali in esame esprimano delle regole di logica giuridica, di buon senso, di
giustizia sostanziale che hanno un respiro pressoché universale. Non a caso essi sono espressi
con antichi brocardo di origine romanistica, principi consolidati nei rapporti tra le leggi, per
cui la legge speciale deroga con la generale la legge successiva a quella anteriore, o di
carattere interpretativo non che è una serie di principi penalistici ispirati a garantismo verso
l’imputato, quali la legalità dei reati e delle pene, la presunzione di no senza e quello, ad esso
connesso.
I principi generali delle nazioni civili hanno ruolo sussidiario integrativa rispetto alla
consuetudine agli accordi. L’Art.38 dello statuto della corte internazionale di giustizia è
scritto in una logica giudiziaria, menziona anzitutto le convenzioni internazionali perché, dato
che l’accordo deroga, nei rapporti tra gli Stati parti, le norme consuetudinarie, la corte deve
applicare le convenzioni vigenti tra tali Stati, in assenza di norme convenzionali, essa applica
le norme consuetudinarie. Nella medesima logica giudiziaria, in caso di mancanza o di
insufficienza, di una disciplina anche a livello consuetudinario, la corte fa ricorso ai suddetti
principi generali, che Servono a colmare le eventuali lacune, sia del diritto internazionale
pattizio che di quello consuetudinario. In questo senso hanno ruolo integrativo di tali fonti e
applicandosi solo in loro assenza, hanno una posizione subordinata rispetto a esse.
Un ruolo analogo va riconosciuto i principi generali ricordati nell’Art. 21 dello statuto della
corte penale internazionale.
Nella prassi giudiziaria i principi in parola risultano applicati specialmente dei tribunali
penali internazionali, ciò si spiega per la circostanza che questi costituiscono un fenomeno
alquanto recente nel diritto internazionale, nel quale anche gli accordi internazionali che ne
regolano l’istituzione, la competenza il funzionamento non presentano il necessario livello di
sviluppo e di completezza di disciplina. Di conseguenza questa va integrata mediante
l’applicazione dei principi generali che al contrario, nel diritto interno, hanno subito da tempo
un adeguato processo di affinamento di maturazione.
L’art. 38 dello statuto della corte internazionale di giustizia prevede che gli Stati parti del
processo possono stabilire che la corte decida la controversia ex aequo et bono, cioè non in
applicazione del diritto internazionale ma secondo equità, ossia in base a una propria
valutazione delle contrapposte pretese delle parti fatta alla luce di criteri di opportunità, di
giustizia, economici, sociali, o di altri criteri comunque extra giuridici. Analoga possibilità
può essere prevista in accordi che stabiliscano di sottoporre controversie ad arbitrato
internazionale.
L’equità non diventa una fonte del diritto internazionale, tale disposizione è estremamente
chiara, infatti, nel contrapporre la decisione ex aequo et bono a quelle emanate in base al
diritto internazionale. La sentenza secondo equità è denominata sentenza dispositivo, perché
crea essa stessa la nuova norma risolutiva del conflitto di interessi tra le parti, laddove quella
fondata sul diritto preesistente è detta di accertamento, perché si limita a accertare il
contenuto di tale diritto.
Non è da escludere che in specifici settori, l’equità possa essere il contenuto di norme
giuridiche, le quali ne prescrivano l’applicazione. Questo avviene negli articoli 74 e 83 della
convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare, relativi alla delimitazione tra Stati
frondisti o adiacenti, rispettivamente, della zona economica esclusiva ed è la piattaforma
continentale. Secondo tali articoli la delimitazione va fatta mediante accordo in base al diritto
internazionale, al fine di raggiungere una soluzione equa. L’equità e così configurata essa
stessa come una norma di diritto internazionale, di natura pattizio, o meglio, consuetudinaria,
se agli articoli richiamati si riconoscesse il valore di codificazione del diritto consuetudinario.
Le materie sono le più varie: i diritti umani, oggetto della famosa dichiarazione universale dei
diritti dell’uomo del 1948 e di altre dichiarazioni come quella sul crimine del genocidio del
1946 e quelle sui rifugiati e migranti dal 2016; la decolonizzazione, con la dichiarazione sulla
concessione dell’indipendenza del paese ai popoli coloniali del 1960; i rapporti tra gli Stati,
come la dichiarazione sulle relazioni amichevoli e la cooperazione tra gli Stati del 1970; l’uso
della forza, come la definizione dell’aggressione del 1974; il diritto del mare, con la
dichiarazione su regime del fondo e del sottofondo dei mari e degli oceani oltre i limiti della
giurisdizione nazionale del 1970; i rapporti economici tra gli Stati, Come la dichiarazione il
programma d’azione per l’instaurazione di un nuovo ordine economico internazionale del
1974 e la carta dei diritti e doveri economici degli Stati dello stesso anno; gli armamenti e il
disarmo, come la dichiarazione sul divieto dell’uso di armi nucleari e termonucleari del 1961;
ci sono anche dichiarazione di più ampio e generale contenuto come la dichiarazione del
millennio del 2000.
Tale ricostruzione è sostenibile ma solo per riconoscere l’alto valore politico e morale delle
dichiarazioni di principi. Sul piano giuridico essa non è idonea a dimostrare l’esistenza di una
qualsiasi norma che attribuisca le stesse la qualità di fonte di diritto internazionale generale. Il
valore giuridico delle dichiarazioni di principi va accertato alla luce dei poteri che la carta
attribuisce all’assemblea generale.
Sebbene l’assemblea generale abbia una competenza vastissima, essa ha poteri molto limitati,
di studio, di promozione, di raccomandazione, mentre escluso il potere di adottare decisioni
obbligatorie. Le dichiarazioni di principi non sono affatto fonte di diritto, né generale, né
particolare, e sono quindi assimilabili alle raccomandazioni. Questo non esclude che è una
dichiarazione ribadisco un principio già esistente, come il divieto all’uso della forza nelle
relazioni internazionali.
Esempi:
L’Art.38 dello statuto della corte internazionale di giustizia non esaurisce l’elenco delle fonti
di diritto internazionale.
A parte lo ius cogens, che comunque parte del diritto consuetudinario, tale elenco va
completato con le fonti previste d’accordo, o fonti di terzo grado. Oltre alla sentenza
dispositivo e a qualche altro esempio risultante dalla prassi convenzionale, la categoria più
significativa è rappresentata dagli atti obbligatori delle organizzazioni internazionali. Essi
rientrano nelle fonti in esame perché lo statuto dell’organizzazione che li prevede è un
accordo internazionale.
Esempio: il termine decisione è usato nella carta dell’ONU in diverse accezioni, essa è
giuridicamente obbligatoria nei termini dell’Art.25 solo si è adottata dal consiglio di
sicurezza alle condizioni previste dall’Art. 39, cioè in presenza di una minaccia alla pace, di
una violazione della pace o di un atto di aggressione.
L’obbligo può riguardare tutti gli Stati membri o solo quelli destinatari della decisione. In via
eccezionale anche l’assemblea generale al potere di adottare atti obbligatori: si tratta
dell’approvazione del bilancio delle Nazioni Unite ed è la ripartizione delle spese tra gli Stati
membri ai sensi dell’Art. 18 della carta.
In certi casi gli atti delle organizzazioni internazionali sono obbligatori, ma solo nei confronti
degli Stati membri che li accettino, anche in maniera tacita, cioè non respingendole entro il
termine previsto.
In taluni organizzazione l’atto non impone agli Stati membri di conformarvisi, ma solo di
sotto a parlare i competenti organi interni per il suo eventuale recepimento in una legge,
questo è il caso delle raccomandazioni dell’organizzazione internazionale del lavoro e
dell’UNESCO.
Un’esperienza innovativa e quella dell’Unione Europea, sin dalle origini delle comunità
europee, e riconoscibile un avere propria potestà legislativa delle istituzioni, che si esplica
con atti obbligatori non solo nei riguardi degli Stati membri, ma anche degli individui,
persone fisiche giuridiche, i quali possono acquisire da tali atti sia diritti soggettivi che
obblighi.
L’atto normativo che esprime nella maniera più evidente Pina questa potestà legislativa e il
regolamento, definito dall’Art.288 del trattato sul funzionamento dell’Unione Europea, in cui
si afferma che il regolamento ha portata generale, esso è obbligatorio e direttamente
applicabile in ciascuno degli Stati membri.
Un'ulteriore fonte di diritto internazionale è costituita dagli atti unilaterali, che non
rappresentano una categoria generale. Si tratta di singoli tipi di atti che, a differenza degli
accordi, esprimono la volontà di un singolo Stato. Norme internazionali consuetudinarie, o
talvolta pattizio, attribuiscono a tali atti effetti giuridici corrispondenti alla volontà del loro
autore.
La commissione del diritto internazionale adottato nel 2006 dei principi guida.
Dagli atti unilaterali vanno esclusi quelli che, pur esprimendo la volontà del singolo Stato,
determinano effetti giuridici solo inserendosi in un procedimento più ampio.
Esempio:
La ratifica di un trattato, che esprime la volontà dello Stato che lo emana, di obbligarsi a
rispettare il trattato, ma produce tale effetto obbligatorio solo se si combina con la
corrispondente volontà di un altro Stato.
Gli altri atti unilaterali sono previsti come produttivi di effetti giuridici da norme
internazionali consuetudinarie. Tra questi rientra il riconoscimento, con il quale uno Stato
dichiara di constatare l’esistenza di una data situazione di fatto o di diritto; l’oggetto del
riconoscimento può essere estremamente vario: la nascita di uno Stato, il mutamento di un
governo, la sovranità su un territorio, la fondatezza della pretesa di un altro Stato.
Diffusa nella prassi internazionale e la protesta, che può definirsi come una dichiarazione con
la quale uno Stato contesta la liceità del comportamento di un altro Stato o soggetto, oppure
di una data situazione e, nel contempo, esprime la volontà di fare salvi i propri diritti o
interessi lesi o minacciati. La protesta produce l’effetto giuridico di escludere che il
comportamento dello Stato possa essere considerato come rinuncia un proprio diritto o una
propria pretesa, o come riconoscimento di una data situazione o come acquiescenza alla
condotta di un altro Stato; possibilità che potrebbe invece verificarsi nel caso di sua inerzia.
È riconosciuta l’obbligatorietà anche della promessa unilaterale, con cui uno Stato dichiara di
volersi impegnare a tenere un certo comportamento. Nella giurisprudenza internazionale
vanno ricordate le due sentenze della corte internazionale di giustizia del 1974 relative agli
affari degli esperimenti nucleari, in cui la corte affermò che quando lo Stato autore della
dichiarazione intende essere vincolato conformemente ai suoi termini, questa intenzione
conferisce alla sua presa di posizione il carattere di un impegno giuridico.
Affinché tale effetto obbligatorio si realizzi è necessario che la promessa sia espressa
pubblicamente, così da generare l’affidamento degli Stati e che sia certa la volontà del
promettente di obbligarsi. L’accertamento di tale volontà è questione di interpretazione, la
quale va effettuata secondo un criterio restrittivo, dato che lo Stato sia solo un obbligo senza
alcuna contropartita.
Gli atti unilaterali previsti d’accordo sono subordinati, per la loro validità ed efficacia, al
rispetto dell’accordo stesso, mentre quelli fondati su norme consuetudinarie sono sottoposti al
rispetto del solo ius cogens.
È dubbia l’esistenza di una disciplina di carattere generale specificatamente relativa agli atti
unilaterali, è da ritenere che in principio a essi siano applicabili in via analogica le norme sui
trattati internazionali, in specie a quella sulle cause di estinzione di invalidità.
Il soft Law è un complesso estremamente ampio, variegato ed eterogeneo di atti che danno
origine a norme giuridicamente non obbligatorie. Vi si fanno rientrare dichiarazione di
riunioni al vertice di gruppi di Stati,come il G7 o il G20, che in realtà hanno solo un
significato politico; quelle differenze internazionali su singole tematiche, come il controllo
degli armamenti, o la protezione dell’ambiente; le linee guida di orientamento adottate
dall’organizzazione o conferenze internazionali; intese politiche; norme tipo sottoposte agli
Stati per la loro eventuale adozione, elaborate da enti specializzati nella materia cui attengono
o da organizzazioni; codici di condotta ai quali i governi, ma anche i soggetti possono essere
invitati ad attenersi; infine, le risoluzioni non vincolanti emanati dalle organizzazioni
internazionali come l’hai già ricordate dichiarazioni di principi dell’assemblea Generale delle
Nazioni Unite e le raccomandazioni, che rappresentano l’atto tipico di gran lunga più diffuso
di tali organizzazioni.
Le varie componenti del soft Law non hanno efficacia obbligatoria, possono contribuire,
tuttavia, la formazione di norme consuetudinarie o stimolare la conclusione di accordi
internazionali.
Un discorso specifico va fatto per le raccomandazioni, pur ribadendo che se non determinano
per gli Stati destinatari l’obbligo di conformarvisi, tuttavia producono alcuni effetti giuridici,
circoscritti agli Stati membri dell’organizzazione internazionale in questione. Inosservanza di
un generale dovere di cooperazione con l’organizzazione, che fa capo agli Stati membri,
questi hanno l’obbligo di prendere almeno in considerazione la raccomandazione e di
spiegare le ragioni dell’eventuale rifiuto di eseguirla.
La raccomandazione è idonea a produrre l’effetto giuridico di liceità, consiste nel fatto che la
condotta dello Stato membro che decida, liberamente, di dargli esecuzione è sempre lecita,
anche se essa costituisce violazione di un obbligo giuridico internazionale di tale Stato.
Esempio: Se una raccomandazione del consiglio di sicurezza chiedo agli Stati membri di
interrompere le relazioni commerciali con un determinato Stato, poiché è responsabile di una
minaccia o di una violazione della pace, sia uno Stato membro, per ottemperare alla
raccomandazione, debba violare un eventuale accordo di cooperazione commerciale concluso
con lo Stato in questione, l’effetto di liceità rende lecito il suo comportamento che, in assenza
della raccomandazione, sarebbe illecito in quanto in violazione dell’accordo commerciale.
Sarebbe inoltre contraddittorio se l’ONU, e per essere il suo organo competente per il
mantenimento della pace e della sicurezza internazionale, il consiglio di sicurezza, avendo
sollecitato gli Stati membri a tenere un certo comportamento, non li garantisse contro
l’eventualità di essere considerati autore di un illecito internazionale.