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Effettività e modelli normativi - Catania

Teoria del Diritto e dell'Argomentazione (Università degli Studi di Salerno)

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TEORIA DEL DIRITTO E DELL’ARGOMENTAZIONE


EFFETTIVITÀ E MODELLI NORMATIVI

Capitolo 1
Che cos’è il diritto?

1.Ambiguità del fenomeno giuridico e possibili definizioni del diritto.


Oggi si parla di abuso del termine “diritto”, in quanto questo è un termine che viene usato sia nei discorsi tecnico-professionali, sia nei
discorsi dei privati cittadini. Nel corso del tempo ci sono state diverse controversie che hanno cercato di attribuire un significato al
termine diritto.

Attualmente il diritto non è altro che il complesso delle regole giuridiche in vigore positivizzate in un certo determinato momento storico
e in una determinata comunità.
La fenomenicità riguarda l’uso del diritto, ossia l’attività giuridica dei consociati. Dobbiamo chiederci quale sia la funzione del diritto e
quindi capire il suo funzionamento interno e non perché esiste un fenomeno che storicamente chiamiamo diritto.
Si è detto che il diritto è norma, decisione, rapporto, sistema, ordinamento, ma tali definizioni non sono soddisfacenti perché si prende in
considerazione solo un aspetto del diritto che non può farci capire il funzionamento dell’intero sistema giuridico.

Secondo BOBBIO il diritto è un insieme di norme ad efficacia rafforzata. Tale tipo di definizione, se da un lato ha il merito di sottolineare il
carattere sistematico del fenomeno, dall’altro ci rende perplessi sull’ambiguità di quella che nella definizione viene chiamata norma.
Dire che il diritto consiste in un insieme di norme ad efficacia rafforzata equivale a dire che il diritto è un insieme di regole che da un lato
devono essere obbedite e dall’altro in caso di disobbedienza devono essere applicate o fatte applicare dai tribunali. Ma il presupposto è
che il mondo delle leggi è un mondo tendenzialmente chiaro e inequivocabile, quindi per Bobbio la legge del parlamento è superiore
rispetto alla sentenza del giudice. Ma il rapporto legge-sentenza non è quello suggerito da tale definizione.

Un normativista, KELSEN, considera la sentenza stessa come una norma, teoria approvata da Bobbio. Se la sentenza è essa stessa una
norma individuale e concreta che può anche presentarsi come una decisione nuova che si sgancia da una norma superiore, allora il diritto
non può essere un insieme di norme ad efficacia rafforzata perché il concetto di rafforzamento implica un mondo di norme chiare.
Con la sentenza il tribunale interviene per rafforzare l’efficacia delle norme.

2.Preliminare indagine analitica sugli elementi del diritto.


Per comprendere la funzione del diritto bisogna far riferimento all’efficacia, cioè alla realtà, fenomenicità e comportamento esterno dei
consociati. L’intendo, dunque, è quello di costruire un modello diritto che esalti il momento della fenomenicità.
L’efficacia è intesa come elemento esterno se si fa riferimento al comportamento dei consociati, ed elemento interno, intesa come uso del
diritto, ossia come azione e decisione.

Secondo i realisti americani, come Holmes, il diritto è la profezia di ciò che faranno i tribunali, ma tale definizione non è accettabile, in
quanto il diritto non è mera applicazione, ma anche perché i tribunali nel momento decisionale devono sempre giustificare la loro
decisione sulla base di un dettato normativo.

Il diritto non riproduce il comportamento dei soggetti perché il diritto ha la funzione di orientare quei comportamenti. E allora il diritto
non può esser ridotto all’essere, cioè con la realtà, altrimenti la validità viene inglobata nell’efficacia. Il diritto non può coincidere
nemmeno con il dover-essere, ossia con ciò che deve accadere. E allora il diritto inteso come complesso sistematico è una struttura che
deve orientare il comportamento dei consociati anche utilizzando forme coercitive.

3.Carattere strumentale del diritto.


Secondo Kelsen, Olivecrona e Ross il diritto è organizzazione della forza, laddove la forza è un elemento interno al diritto, ossia un
elemento che viene disciplinato e regolamentato dal diritto stesso. Sulla base di questo elemento il diritto viene visto come una tecnica di
controllo sociale molto forte ed è il più potente dei condizionamenti sociali. Il diritto non è un fine, ma solo un mezzo.

Il diritto è una tecnica basata su sanzioni sia positive, come l’attività premiale, che negativa, ossia la sanzione, per il controllo del
comportamento umano.

4.L’azione dei consociati: i limiti della partecipazione.


Il diritto si fa ogni giorno e non può non farsi ogni giorno. Da tale punto di vista il diritto viene visto come azione o come sostiene
CAPOGRASSI, come esperienza. Ma il momento decisionistico non esprime o comunque non deve necessariamente esprimere
partecipazione e quindi consenso su ciò che di giorno in giorno si produce come diritto, dunque il diritto non deve avere il consenso da
parte dei consociati, deve semplicemente essere obbedito da questi.

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Capitolo 2
Noberto Bobbio e Hans Kelsen: due variazioni in tema di diritto

1.L’apertura sul Kelsenismo degli anni Padovani.


Bobbio fu colui che portò in Italia le opere di Kelsen, ma tali opere furono recepite in Italia anche nel ventennio Fascista ad opera di
Volpicelli, un corporativista, il quale però era cosciente del fatto che le idee liberal-democratiche di Kelsen non erano condivise in quel
determinato periodo.
Bobbio inizialmente critica l’eccessivo formalismo di Kelsen, avanzando la tesi che il nuovo metodo normativo di Kelsen non è altro che il
vecchio metodo formale, ma poi negli anni Padovani, Bobbio comincia a subire il fascino di Kelsen.

2.Il confronto
Ciò che accomuna i due filosofi fu il positivismo giuridico (l’unico diritto è quello positivo, ossia quello che concretamente viene osservato
nei fatti).
Dopo la guerra in Italia vi fu una riscoperta del diritto naturale (c’è una norma di condotta valida ed immutabile che esiste prima del
diritto positivo) e dei diritti fondamentali.
Bobbio non vuole ricadere nel giusnaturalismo ed è per questo che seguì il positivismo di Kelsen. Questo infatti era stato capace di uno
studio avalutativo delle strutture giuridiche. Il primo carattere che accomuna i due filosofi sta nel taglio metodologico e descrittivistico del
positivismo giuridico che in Bobbio si lega alla storicità dei diritti umani, mentre in Kelsen si lega al pluralismo dei valori con i quali si
definisce la democrazia.
Capograssi critica ciò perché il diritto naturale e quello positivo non dovevano essere divisi.

3.La norma fondamentale e il potere costituito: prima variazione.


Ci sono però due elementi che differenziano i due filosofi:
1) Norma fondamentale. Per entrambi la norma fondamentale è importante, però ci sono delle differenze.
- Kelsen afferma che la norma fondamentale è connessa con il concetto di ordinamento, infatti l’ordinamento è il frutto
dell’elaborazione concettuale che viene operata dall’interpretazione della norma fondamentale. Non potrebbe darsi alcun
ordinamento nella sua unità concettuale senza il presupposto della Grundnorm, che ordina le norme singole. La norma
fondamentale ha una valenza ipotetica, quindi non crea un ordinamento certo e concreto, ma da vita ad un’unità fittizia, quindi
la Grundnorm e ordinamento appaiono in Kelsen un'unica cosa. Cioè ci sono dei comportamenti che non sono unitari, ma che
vengono solo percepiti come unitari perché questa finta unità li rende obbligatori.
- Bobbio, invece, pur riconoscendo la necessità della norma fondamentale ai fini del costrutto teorico ordinamentale, avanza un
atteggiamento di diffidenza per la sua eccessiva rigidità logica. Per Bobbio il diritto non può derivare dal fatto perché se il potere
trova fondamento in sé stesso, allora la norma fondamentale sarebbe superflua, mentre per Kelsen non è inutile perché
garantisce pretesa di obbedienza.

4.Strutturalismo e stuttural-funzionalismo: seconda variazione.


2) L’ordinamento. Per entrambi il diritto è un ordinamento ad efficacia rafforzata ma ci sono delle differenze.
- Per Kelsen l’ordinamento è un dispositivo logico che permette di pensare le norme nel loro insieme e dove l’efficacia rafforzata
esprime la specificità del diritto rispetto agli altri sistemi di controllo del comportamento sociale.
- Bobbio, invece, ha una visione più ampia, evidenziando un ordinamento più complesso avente ampie funzioni. Infatti, Bobbio si
misura anche con la figura del Welfare State.
Bobbio riprende le idee di Kelsen ma è più attento alle domande sociali, infatti si passa dalla concezione del diritto come forma di
controllo sociali alla concezione di diritto come forma di controllo e direzione sociale. Infatti, l’idea di Bobbio sembra più vicina a quella di
Hart perché entrambi fanno riferimento alle diverse tipologie di norme.
Visto che l’ordinamento è più complesso non è solo organizzazione della forza, ma è strumento di direzione sociale. Infatti, Bobbio è
aperto alla funzione promozionale de diritto, senza escludere il carattere repressivo. Bobbio introduce le sanzioni premiali che
garantiscono direzione sociale ma le considera comunque sanzioni.

5.Qualche osservazione conclusiva.


La norma di riconoscimento suprema e definitiva non è altro che quella accettata ed usata dai cittadini e dai funzionari quando appunto
accettano e usano la costituzione per riconoscere il potere legittimo.

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Capitolo 3
L’accettazione nel pensiero di Hart

1.Punto di vista interno ed esterno.


Il concetto di accettazione è lo strumento per risolvere il problema circa l’esistenza dell’ordinamento giuridico. L’accettazione non
inerisce esclusivamente alle norme giuridiche, ma Hart svolge osservazioni sulle abitudini sociali e sulle norme sociali, delle quali quelle
giuridiche sono una species.

Hart non dà mai una definizione dell’accettazione ma dice semplicemente che l’accettazione non è mera osservanza delle norme, né
mera approvazione etico, politica e ideologica delle norme. Per verificare se esiste un’abitudine sociale bisogna semplicemente accertare
se all’interno di un gruppo ci sono comportamenti uniformi, mentre per verificare se esiste una regola serve qualcosa in più, cioè serve
che all’interno di quel gruppo ci sono dei soggetti che vedono quel comportamento come criterio di condotta. È necessario che eventuali
deviazioni siano considerate errori.

Per distinguere un’abitudine sociale da una norma serve un grado di normatività, ossia la pressione sociale. Per entrare nel fenomeno
giuridico bisogna far riferimento a quello che Hart chiama punto di vista interno, solo coloro che accettano le norme le usano come
criterio di condotta. Il punto di vista esterno è quello assunto dall’osservatore, il quale senza accettare le norme, registra il punto di vista
interno del gruppo, verificando l’accettazione, dunque la sua osservazione è esterna e viene chiamata external statement.
Chi accetta la norma, non fa altro che ritenerla valida e la usa come modello di condotta; chi approva la norma, valuta i contenuti della
stessa e la considera una norma giusta.

Secondo Hart l’accettazione è un’esperienza interna dei destinatari delle norme. il punto di vista esterno di Hart coincide con il punto di
vista dell’effettività di Kelsen, mentre il punto di vista interno di Hart coincide con il punto di vista normativo di Kelsen, ossia il punto di
vista della validità.
Per Hart, se si agisce solo per timore di una sanzione si ha solo mera osservanza delle norme, se invece si agisce perché la norma è vista
come modello di condotta, allora si ha accettazione. Si parla di accettazione effettiva quando i funzionari accettano la norma di
riconoscimento e se questa viene accettata allora sarà utilizzata.

2.Kelsen e Hart.
Bisogna chiedersi se la distinzione di Hart tra punto di vista interno ed esterno possa farsi discendere dalla distinzione di Kelsen tra
scienze normative e scienze causali. Ricordiamo che per Kelsen la giurisprudenza normativa si riferisce alla validità del diritto, la
giurisprudenza sociologica alla sua efficacia; l’una si occupa delle norme giuridiche, l’altra del comportamento effettivo degli uomini in
relazione alle norme stesse.
Per Kelsen il sociologo del diritto può rispondere alla domanda sull’efficacia di una norma solo se per norma si intende ciò che è stato
riconosciuto come norma valida dalla giurisprudenza normativa.
Utilizzando invece la distinzione di Hart si afferma che il sociologo del diritto assume il punto di vista esterno, ma non il punto di vista
esterno antinormativista, ma il punto di vista esterno tipico dell’osservatore che tiene presente il punto di vista interno del gruppo
sociale.

3.L’accettazione e le norme primarie.


Hart non da mai una definizione esplicita dell’accettazione, essa però si origina e sviluppa all’interno della tematica delle norme primarie.
Essa viene applicata anche nel campo delle norme secondarie: anzi, poiché l’esistenza di un ordinamento giuridico può poggiare, oltre
che sulla mera osservanza delle norme di condotta da parte dei cittadini, anche solo sull’accettazione delle norme di riconoscimento da
parte dei funzionari, concretamente l’accettazione diviene elemento indispensabile solo nell’ambito delle norme secondarie.

Ci domandiamo se l’accettazione riesca ad essere la stessa a seconda che venga applicata alle norme primarie o secondarie.
Hart attraverso la disamina dei difetti di quella che egli chiama società semplice caratterizzata dalla presenza esclusiva di norme che
stabiliscono una certa condotta, arriva a fissare ed individuare quello che è un ordinamento giuridico.
La società semplice ossia, una forma primitiva di struttura sociale è caratterizzata da staticità, inefficienza e incertezza. È stativa in quanto
non si ha una tecnica per creare nuove norme; inefficiente perché mancano gli organi necessari per risolvere le controversie, accertare i
fatti e applicare le sanzioni; incerta perché non c’è la possibilità di risolvere eventuali dubbi sull’esistenza delle norme.

Via via che la società realizza i rimedi per eliminare quei difetti, viene sempre di più ad arricchirsi di norme la cui funzione è quella di
servire ad altre norme. Uno stato moderno è caratterizzato oltre che dalla presenza di norme che impongono una certa condotta da
quella di norme che hanno in comune la peculiarità di essere relative ad altre norme, cioè alle norme che impongono un certo
comportamento.
Le norme secondarie non sono definite solo come norme relative a norme, ma in contrapposizione alle norme primarie che impongono
obblighi, Hart le definisce come norme che conferiscono poteri.

Ci sembra essere il rapporto di strumentalità che Hart fa intercorrere tra norme primarie e secondarie, scarsamente invece, avvertita la
necessità di analizzare sulle orme di quella relazione il concetto di accettazione. Quest’ultimo introdotto assieme alle norme primarie è
stato utilizzato nell’ambito delle norme secondarie senza una considerazione di quel carattere di strumentalità che lo stesso autore ha
messo in luce facendone l’elemento essenziale.

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4.Accettazione e norme di riconoscimento


Le norme secondarie vengono introdotte per porre rimedio ai difetti di un’ipotetica società semplice in cui vi sono solo norme di
condotta.
A seconda del difetto che vogliono eliminare, si distinguono in norme di giudizio, mutamento e riconoscimento.
Nel porre in relazione l’accettazione con questo tipo di norme, terremo presente esclusivamente le norme di riconoscimento, sia perché
sono le più importanti, sia perché sono le norme che eliminando l’incertezza indicano i criteri per individuare le norme primarie, fissando
le condizioni che devono vedersi soddisfatte per poter affermare la validità giuridica.

Il rapporto tra accettazione e norme primarie si pone come relazione tra modelli di comportamento e l’atteggiamento critico riflessivo dei
consociati nei confronti degli stessi. Ma se la norma di riconoscimento contiene solo i criteri che debbono essere seguiti, le condizioni che
debbono essere accertate per identificare le norme valide nel sistema, sembra problematico parlare della sua accettazione.

La norma di riconoscimento non può fungere da modello di comportamento perché per definizione solo le norme primarie impongono
obblighi e quindi esprimono un comportamento. La norma di riconoscimento, rientrando nella categoria delle norme secondarie ha
carattere di strumentalità ed è il mezzo che deve essere usato se si vuole giungere ad individuare le altre norme del sistema.
Noi ci serviamo delle norme di riconoscimento solo quando desideriamo conoscere quali sono le norme valide dell’ordinamento: l’uso e
l’accettazione di tali norme appaiono strettamente connessi, per cui non può aversi accettazione di alcun criterio di validità e poi
l’utilizzazione di altri criteri in certe occasioni, ma quando utilizziamo altri criteri significa che non accettiamo più i precedenti. In effetti in
tale contesto accettazione non significa più adesione ad un modello di comportamento, ma solo che il criterio, la norma di cui facciamo
uso è riconosciuta come adatta per l’individuazione delle norme valide del sistema.

Capitolo 4
Effettività e modelli di diritto

Accanto alla pluralità dei modelli di diritto non può affermarsi un’effettività al singolare, ma vi sono più modelli di diritto e più modelli di effettività.

Per Kelsen l’effettività è una condizione necessaria per l’ordinamento ed è forza intesa come sanzione negativa. Quindi l’effettività è
l’obbedienza che lo stato è riuscito a raggiungere; egli distingue efficacia (singole norme) e validità (intero ordinamento). L’effettività di
Kelsen è sbilanciata sull’essere effettivamente obbediti, senza interrogarsi sulla realtà sociale.

Per Hart l’effettività è un punto di riferimento continuo e un ordinamento effettivo serve per rendere le norme valide. La sua nozione di
effettività è volta a richiamare l’attenzione sul rapporto società diritto e ridare al fenomeno giuridico una dimensione più sociale.

Anche per Santi Romano l’effettività è elemento essenziale del diritto, per cui l’effettività è un’organizzazione funzionante e concreta,
definita da Romano “corpo sociale”. Romano sovrappone ai fatti una rappresentazione di essa fortemente organizzata e coesa in un
formalismo, facendo così emergere un’immagine dell’effettività ideologica.

Se il discorso di Kelsen appare povero in tema di effettività e se il pluralismo di romano mostra un tratto ideologico, non dobbiamo
arrecare di fronte alla comprensione del fatto che gli ordinamenti durano solo se sono accompagnati dal riconoscimento delle pretese
normative di validità.

Secondo Dworkin l’ordinamento normativo è composto da un fascio di valori condivisi nel sociale che un giudice saprà individuare e
allora l’effettività rimanda alle dinamiche di integrazione degli agenti sociali. Solo con Hart l’effettività raggiunge grandi risultati, perché
analizza i diritti in maniera spoliticizzata e dice che la norma non deve essere intesa in maniera astratta e staccata dalla vita degli uomini,
ma deve essere uno strumento comunicativo usato dagli uomini, perché l’uso della regola è la prassi dell’anima del diritto. Effettività
significa prendere sul serio il diritto.

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PARTE SECONDA
FORMALIZZAZIONI DEL POTERE
Capitolo 1
Che cos’è la decisione.

1.La decisione e il contesto normativo.


Etimologicamente decidere significa tagliare. Nell’ambito del fenomeno sociale questo può significare che nel momento in cui si è
tagliato, si è anche operata la scelta, la decisione è quindi l’opzione che è venuta a cadere rispetto alle altre alternative che si trovano
sempre in uno schema normativo. Normalmente le cose vanno così, però nell’ambito dei fenomeni sociali, molto spesso la decisione è
sganciata da un preesistente ordine normativo. Quindi, può sempre accadere che la decisione non si fonda su quell’ordine e può essere
considerata decisione di opposizione.

Nell’ambito del fenomeno sociale può prodursi anche una decisione profondamente irrazionale. Ad esempio, nell’ambito del fenomeno
giuridico una sentenza (decisione), è valida non perché sia giusta, ma perché è stata emanata dal giudice competente. È vero che
normalmente il giudice motivi la decisione, ma spesso quella decisione non può essere ricondotta razionalmente ad un ordine predato.

Nell’ambito del fenomeno sociale, il rapporto norma-decisione è indissolubile e necessario solo quando noi guardiamo al contesto sociale
nel quale viene a cadere la decisione. La decisione in se stessa può essere anche frutto di un’attività volontaristica di tipo arbitrario e
irrazionale, ma socialmente tale decisione deve necessariamente razionale. Tale decisione dev’essere capita e per essere capita deve
essere legata ad un modello normativo.

2.La decisione come comportamento e il comportamento come decisione.


In qualche modo comportamento e decisione sono equivalenti. Nel campo giuridico è impossibile operare la scissione proprio perché la
decisione è per definizione un atto pubblico. Questo può sembrare strano perché in effetti la decisione è un atto personale e volitivo, ma
la pubblicità è un requisito necessario perché nel fenomeno sociale ciò che rileva è la decisione che si è tramutata in un determinato
comportamento dei consociati. Elemento centrale è il comportamento, perché normalmente esso è frutto di una decisione.

La proposta di un uso dei due termini “decisione e comportamento”, può esser utile perché ad un tempo richiama la funzione attiva che
gli uomini svolgono nell’ambito del fenomeno sociale giuridico.

3.I luoghi della decisione: legge e sentenza.


Bisogna capire quale ruolo occupa la decisione nel diritto. Essa non può essere racchiusa solo nel concetto di sentenza.
Se l’ordinamento giuridico viene rappresentato come piani di norme, ad ogni gradino di tali norme c’è una decisione che può essere
collegata a norme superiori, ma che comunque mettono in evidenza sempre un quid novi che è elemento innovativo e creativo.
Se semplifichiamo il concetto di ordinamento e ipotizziamo che questo è composto da costituzione e legislazione ordinaria, ci accorgiamo
che la legge ordinaria viene razionalmente spiegata nella costituzione, ma allo stesso modo appare come decisione creativa rispetto alla
costituzione.

Uno degli errori più comuni nell’ambito degli studi del diritto è credere che l’espressione tipica della decisione debba esser racchiusa solo
nella sentenza. In realtà se l’ordinamento può essere rappresentato in modo graduale, non vi è gradino che non possa apparire come
esecuzione della norma superiore e creazione della norma inferiore.
Solo in un tipo di orientamento a carattere decisionistico viene ricondotto il fenomeno giuridico solo al momento giudiziario.
Di qui la contrapposizione legge-sentenza e l’esaltazione come momento focale del fenomeno giuridico del luogo della sentenza.

La legge non può esser svuotata di significato e considerata alla stregua di un mero programma generico che parzialmente si traduce e si
concretizza nel giuridico solo ad opera dei tribunali. Tale modo di intendere il diritto è tipico dei realisti americani perché per loro il diritto
si trova solo nelle sentenze e i manovratori del diritto sono solo i giudici.

4.Critica della contrapposizione Schmitiana di normativismo e decisionismo.


Ammettere l’importanza che le decisioni svolgono nell’ambito del fenomeno giuridico non significa abbandonare il punto di vista
normativistico. Schmitt ha svolto una polemica nei confronti di Kelsen, ma in realtà questa contrapposizione tra un Kelsen normativista
puro e un Schmitt decisionista è solo un equivoco, sono solo due intellettuali che negli anni 20’ sono stati su due sponde opposte.
Kelsen mostra attenzione ai momenti decisionali e politici, quindi la norma non riesce ad avere significato se non come schema per la
comprensione della decisione e questa non riesce ad avere un senso se non attraverso un inquadramento di tipo normativo.
Il fenomeno giuridico rappresentato attraverso la costruzione a gradi, può mostrare come norma e decisione siano inscindibili.

In realtà Schmitt non è dirompente verso Kelsen perché lo Stufenbau di Kelsen ossia l’ordinamento dinamico costruito per gradi è
conciliabile con ciò che affermava Schmitt:
1) Auctoritatis interpositio;
2) Carattere non dichiaratorio della decisione;
3) Auctoritas non veritas facit legem.
Quindi anche nel normativismo di Kelsen il principio di autorità non può esser negato, la loro è solo una contrapposizione apparente e
non reale.

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5.Il ruolo dei comportamenti nella qualificazione del giuridico


Secondo Schmitt la decisione può prodursi senza la norma, ossia fuori da un contesto di tipo normativo, perché sovrano è chi decide sullo
stato di eccezione. Non esiste alcuna norma che sia applicabile ad un caos in quando deve essere stabilito l’ordine e solo allora avrà senso
l’ordinamento, e quindi ci si deve sempre collegare ad un modello normativo o comportamentale e il sovrano inteso da Schmitt nel
momento in cui pone la decisione, pone sé stesso come modello di comportamento, come punto di riferimento per individuare il
giuridico.
Quindi la decisione non può essere mai separata dalla norma, ma ci dovrà sempre essere un modello comportamentale da seguire.

Capitolo 2
Kelsen e la democrazia

Kelsen dev’essere inteso sia come teorico generale, ossia vuole formulare un modello di diritto per comprendere la realtà sociale, sia
filosofo politico, in quanto intende fornire un modello di democrazia.
Diritto e democrazia sono per Kelsen un’elaborazione ideologica di quelli che operano all’interno del fenomeno giuridico e che operano
nella politica. La pretesa di Kelsen è quella di depurare il concetto di diritto e di democrazia da quelle incrostazioni ideologico politico.
Così il diritto sarà definito da Kelsen come una tecnica di controllo del comportamento dell’uomo e la democrazia sarà presentata non
come valore, ma come strumento attraverso il quale è possibile giungere a delle decisioni sociali vincolanti.
Sia il concetto di diritto che quello di democrazia hanno alla base la validità che viene intesa come obbligatorietà.

Il diritto si presenta con una specifica struttura coercitiva; e poiché il problema della democrazia per Kelsen è il problema
dell’individuazione di uno dei metodi della creazione del diritto, diviene fondamentale ricercare la struttura del diritto e tale elemento è il
concetto di libertà.

Kelsen considera la libertà l’essenza della democrazia, in quanto il suo intento è quello di fornirci un modello che sia possibilità di lettura
della realtà sociale.
Sia il diritto che la democrazia sono strumenti e non fini, l’attenzione dev’esser rivolta all’uomo nel momento in cui questo entra in
relazione con il diritto, allora il rapporto è dato da libertà-potere. La democrazia per Kelsen è quel mezzo che portando a delle decisioni
giuridiche e in qualche modo limitative della libertà deve tendere a comprimere quanto più possibile il potere e a espandere quanto più
possibile la libertà. Kelsen privilegia le democrazie indirette, rappresentative e non concepisce la possibilità di una democrazia che possa
fare a meno del parlamentarismo.

Si potrebbe porre un’analogia tra il modo in cui Kelsen concepisce il rapporto tra democrazia e libertà e il modo in cui Kelsen concepisce il
rapporto tra diritto e forza. La democrazia è il mezzo attraverso il quale si cerca di salvaguardare quanto più è possibile la libertà del
maggior numero dei consociati. Il diritto invece viene inteso come organizzazione della forza presentato come ordinamento che è
costruzione a gradi (Stufenbau) in una visione nomodinamica, e in una visione orizzontale come un complesso di norme che disciplinano
l’esercizio della forza.
Il concetto di democrazia e diritto non può essere capito se non si fa riferimento al metodo usato da Kelsen che consiste in un’attenzione
ai fatti in modo realistico ed è convinto che questi fatti non possono cambiare, cioè il diritto sarà sempre coercitivo e la democrazia sarà
sempre una ricerca della libertà.

In questo discorso andrebbero inseriti anche altri due elementi molto cari a Kelsen: lo Stufenbau e il Principio di Legalità.
Il principio di legalità trova il suo sviluppo più naturale in un’organizzazione a base democratica piuttosto che in una autocrazia. Se
teniamo presente l’ordinamento giuridico e ricordiamo la rappresentazione nomodinamica, la produzione di norme da un piano all’altro
avviene attraverso il rispetto del principio di legalità ed è in base a questo principio che una norma inferiore ha il suo fondamento di
validità in una norma superiore. Il passaggio da una norma all’altra avviene attraverso atti degli uomini che si producono attraverso l’uso
di un certo potere discrezionale. Cosicché il principio di legalità esprime solo la tendenza a creare atti che siano norme o meglio che
acquistano il significato di norme ni una cornice legale.

Però il principio di legalità esprime solo una tendenza dell’ordine democratico. Il diritto vincola non per quello che dice, ma perché ci
sono organi competenti che dicono il diritto. Kelsen essendo anche filosofo-politico propone, il primato assoluto del parlamento perché
questo forma delle decisioni.

La concezione Kelseniana del diritto mostra affinità con la concezione sulla democrazia in quanto Kelsen utilizza lo stesso metodo di
indagine che porta a due concezioni che sono entrambe formali. Ci si chiede se il modello di Kelsen di democrazia può essere d’aiuto in
una società come quella contemporanea. Kelsen da molta importanza ai partiti per la sopravvivenza della democrazia infatti egli
auspicava ad una forma di costituzionalizzazione di tali organizzazioni. Oggi il richiamo ai partiti acquisterebbe un significato diverso
dinanzi ad una realtà che vede i partiti non come raccoglitori delle volontà individuali che poi confluiscono nel procedimento
parlamentare, ma il luogo centrale delle decisioni politiche che ottengono solo dal parlamento una ratifica formale e giuridica.

Il problema non è più quello della democrazia ma è il rapporto con il tipo di società che è profondamente cambiata.

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Capitolo 3
Mortati e Schmitt

Tra Schmitt e Mortati c’è una relazione, Mortati si riferisce a Schmitt e ne trae i temi fondamentali introducendoli nell’ambiente
giuspubblicistico italiano e anche perché l’istituzionalismo presente nel pensiero di Mortati è presente anche in quello di Schmitt.
Entrambi gli autori sono legati al loro tempo storico, ma rispondono in modo diverso agli appelli presenti in quel tempo.
Quello che appare il nucleo fondamentale di quel momento storico era crisi dello stato liberale e quindi la forte esplosione delle forze
sociali di massa e di una pluralità di interessi. Si tratto di una profonda trasformazione storica in cui i partiti ebbero un ruolo di
protagonisti perché capaci di organizzare le masse attraverso le ideologie.

Schmitt voleva rivalutare la decisione sovrana perché era questa che fondava l’unità del popolo, mortati invece voleva costituzionalizzare
i partiti. Il ruolo forte, quindi, era quello dei partiti e di esigenza di unità, in Schmitt si parla di costituzione assoluta, in Morati di
costituzione materiale, intesa come sorgente del diritto da dove nascono le nuove leggi.

Kelsen si trova alle spalle della coppia Schmitt-Mortati perché il suo positivismo logico oggi diviene più realista. Oggi infatti, c’è un
depotenziamento del partito il quale non è più luogo di forza politica, ma sono istituzioni che esprimono ed orientano i consociati.
Secondo questi filosofi, ogni costituzione è politica perché è nella costituzione che si individuano i valori per dare indirizzo e identità allo
stato.
Entrambi gli autori individuano il cuore politico del diritto nella sovranità che crea un ordine escludendone altri, che da origine ad un
ordinamento. La sovranità in entrambi è il centro propulsivo della convenzione associativa, un centro che ha la forza politica per imporre
il proprio comando e per pretendere obbedienza. È una forza che impone la direzione, perché ha la forza normativa per farlo.

Per Schmitt è la decisione politica che crea ordine concreto, ma implica la presupposizione di un dato pregiuridico che fonda la
sovrastruttura giuridica. In Schmitt la norma, l’ordinamento, viene dopo, segue la decisione, Mortati è più aperto al dato politico e
sociologico. Secondo Mortati la sovranità politica è tale e la sua decisione è norma perché la volontà che nella costituzione materiale
esprime l’organizzazione concreta delle forze dominanti è capace di formare la società.
Quindi per Mortati la validità di un ordinamento giuridico deve ricercarsi nell’organizzazione delle forze sociale politicamente e
stabilmente ordinata che determinano un sistema di interessi e di fini politici ad essi corrispondenti. Per Mortati la Costituzione è
materiale, quindi, è un insieme di scopi politici attuati dalle forze politiche dominanti e rappresenta il fondamento di validità di tutte le
altre norme che verranno create all’interno di tale ordinamento e in primo luogo dalle norme che compongono la costituzione in senso
formale.

Il pensiero di Schmitt è rivolto contro il pluralismo politico e dunque anche partitico, mentre mortati è aperto alla società e punta all’unità
statuale attraverso il partito, che è autorganizzazione della società in quanto gli interessi sociali si organizzano e si integrano nello stato.
Mortati e Schmitt hanno in comune il fatto che entrambi concepiscono l’unità statale come ordine sostanziale e concreto stabilito
sovranamente.

Capitolo 4
Santi Romano e Mortati

Le teorie di questi due filosofi nascono come risposta al vecchio modello di Stato liberale. Questi due autori si sentono chiamati a
rispondere alla crisi delle regole della convivenza liberal-privatistica. La teoria di Romano ha un doppio aspetto: Teoria Istituzionalistica e
Teoria della Pluralità degli Ordinamenti.

- Teoria Istituzionalistica del diritto. Il diritto è considerato come istituzione.


Anche se la norma giuridica è importante non è capace di spiegare tutto il mondo del diritto perciò viene affermato che il diritto prima
di essere norma è organizzazione, cioè nasce dalla struttura della società.

- Teoria della Pluralità degli Ordinamenti. Lo stato è uno degli ordinamenti giuridici esistenti ma non è l’unico.

Santi Romano e Mortati si sentirono chiamati a rispondere ad una crisi delle regole di convivenza liberale-privatistica, rilanciando in
un’amministrazione pubblica che organizzasse gli interessi e intervenisse indirizzando scelte economiche, incentivando alcuni settori
piuttosto che altri. Romano usa aggettivi come vitale, necessario, naturale per designare l’ambito della costituzione politico istituzionale.
Il parlamento è esteriore rispetto all’essenzialità dell’apparato amministrativo e il fondamento di questa essenzialità è l’identificazione
dell’amministrazione con il sociale.

Romano è antinormativista perché presume di attingere l’ordinamento concreto, ma in realtà identifica questo ordinamento originario e
concreto con l’organizzazione pubblica statuale. La teoria della complessità e pluralità degli ordinamenti discosta profondamente
Romano da Schmitt. Il pluralismo Romaniano appare contraddetto e debole e sembra che sia pensato al fine di inglobare e depotenziare i
conflitti.

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Mortati avverte che un recupero come quello romaniano del fatto delle tendenze corporative, ne depaupera la tensione attiva nel sociale,
la volontà politica dei soggetti e rende superfluo il principio della sovranità. In Mortati il luogo del pluralismo viene individuato nei partiti.
Essi sono capaci di organizzare le masse attraverso le ideologie e le parole d’ordine.
Il partito è il punto in cui la consapevolezza della pluralità e dell’agonismo sociale viene ricondotto nell’alveo giuridico costituzionale
unitario.

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Nella Costituzione materiale Mortati sottolinea la necessità di risalire ad un ordine più semplice per la comprensione e l’integrazione del
sistema positivo. La Costituzione materiale è caratterizzata dal ruolo dei gruppi dirigenti, delle forze sociali e politiche organizzate che
spingono e sostengono valori e fini della costituzione scritta.

Anche Santi Romano parla di pluralità sociale ma Mortati la legge in maniera diversa in quanto per egli il partito è fattore di integrazione
sociale, sintetizza e da voce alla realtà sociale pregiuridica, ma partecipa anche al costituirsi dell’indirizzo politico dello stato, che per
Mortati è il luogo dell’unità politica.

PARTE TERZA
SFIDE DELLA FILOSOFIA GIURIDICA CONTEMPORANEA

Capitolo 1
Diritto naturale e Diritto positivo nella tradizione occidentale. Costituzione e Diritti Umani.

1.Distinzione e correlazione dei due concetti.


I concetti di diritto natura e positivo sono concetti reciproci. Il diritto naturale è il modello base su cui formulare leggi positive e per
giudicare la loro legittimità di deve far riferimento al contesto storico. Questo è un ordine armonico considerato predato e oggettivo.
Il diritto positivo invece è il diritto posto in modo artificiale e può esser rafforzato grazie al concetto di naturalità.
Tra i due poli, cioè tra giusnaturalismo e giuspositivismo c’è una grande tensione.

Il dato che differenzia il diritto positivo e il diritto naturale è la coercibilità. È utile la dicotomia di Kelsen:
1) Sistemi di diritto naturale, intesi come sistemi statici e il loro contenuto deriva da proposizioni indisponibili.
2) Sistemi di diritto positivo, in tali sistemi l’attenzione si sposta sulle procedure legali di normazione dando vita ad un sistema
dinamico.
In realtà il diritto naturale integra quello positivo perché il diritto naturale viene obbedito perché alla base c’è una credenza di legittimità.

2.La tradizione giusnaturalistica liberale e democratica.


Indispensabile è il riferimento alla storia, perché il diritto è frutto di scelte concrete che sono dovute alla storia di una determinata
società, che si trova in un determinato territorio. Sotto tale profilo la dimensione dell’effettività assume certi significati, poiché coloro che
usano il diritto lo interpretano partendo dal contesto storico, dalle ideologie e dai valori.
Rispetto ai valori, i diritti umani rappresentano la laicizzazione e la secolarizzazione. Tutto questo produce la cultura dei diritti, cioè la
modalità storica di pensare la giustizia. Solo una visione storica permette di valutare i diritti umani e non servono meccanismi formali
come ad esempio i documenti scritti.

Si potrebbe sostituire il temine troppo ampio “giusnaturalismo” con quello di cultura dei diritti, ossia l’insieme dell’azione dei consociati e
dei pubblici poteri e da tali azioni dipendono l’efficacia delle scelte. La cultura dei diritti ha bisogno di uno sfondo storico.

Ci sono due filoni di natura giusnaturalistica che influiscono sull’odierna cultura dei diritti. Il modello di Locke recupera la convinzione per
cui le libertà, elaborate dalla giurisprudenza e dal common law risultano indisponibili da parte del potere politico. Centrali sono le libertà
civili, definite come libertà negative patrimoniali e personali che esigono sicurezza dal diritto anche senza trascurare i diritti politici.

Il secondo modello rappresenta la lotta per il diritto moderno che segna una frattura epocale. Secondo tale modello i diritti sono quelli del
cittadino e solo lo stato con la normazione può attuare tali diritti.
Nel primo modello i diritti vengono intesi in modo prestautuale e il potere viene visto con diffidenza; nel secondo modello è lo stato che
dà origine ai diritti.

3.Costituzionalizzazione dei diritti: correnti neogiusnaturalistiche.


Le costituzioni moderne positivizzano i postulati del giusnaturalismo. Secondo Ferrajoli le carte costituzionali diventano tavole positive di
diritti naturali. Le costituzioni rappresentano una connessione tra ordinamento formale e cultura delle libertà fondamentali, dal momento
che traggono origine dalla lotta storica contro i totalitarismi.

Il Costituzionalismo sfonda l’iniziale posizione giuspositivista in direzione di un limite che costituisce e giustifica il diritto in base alla
coerenza e al rispetto dei principi.
La tradizione democratica, si pensi ad Habbermas, legittima il sistema giuridico, ma lo fa attraverso la procedura di fondazione di
contenuti normativi possibili. La norma è giusta se i procedimenti di normazione sono democratici, ossia se sono conformi alle regole
dell’etica.
L’eticità dell’ordinamento è un’eticità sociale.
Habbermas collega strettamente procedure democratiche e teoria dei diritti dell’uomo, autonomia privata e autonomia pubblica.

4.Conferma della separazione giuspositivistica di diritto e morale.


L’intento di Hart è quello di salvaguardare l’indipendenza reciproca di diritto e morale, diritto e politica.
Il punto di vista interno di Hart designa coloro che usano le regole come criteri di condotta, e si riferisce al partecipante che pensa di
avere un obbligo di obbedienza.
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Il punto di vista esterno, dell’osservatore scientifico può essere alieno e non curarsi di approfondire a quali norme si riferiscano i
comportamenti osservati oppure moderato e riferire i comportamenti a norme che egli conosce pur non adottandole necessariamente.

Capitolo 2
Diritti Garanzie e Sovranità

La nostra, come afferma Bobbio, è l’età dei diritti. I diritti dell’uomo sono importanti e nessuno li disconosce, tutti sono d’accordo anche
nell’ampliare e formulare nuovi diritti. Particolarmente significativo, in tema di tutela dell’ambiente, è l’art.37 della Carta dei Diritti
Fondamentali dell’Unione Europea. È stato osservato che i nuovi diritti da quelli più consolidati a quelli resi evidenti dall’insieme delle
innovazioni scientifiche e tecnologiche entrano nella Carta con una particolare forza innovativa. Bobbio avvertiva che sono ben pochi i
diritti ritenuti fondamentali che non vengano in concorrenza con altri diritti ritenuti anch’essi fondamentali.

Il problema sorge quando si passa a parlare non dei diritti ma della garanzia che bisogna offrire a questi, e quindi dello Stato e delle sue
implicazioni in termini di sovranità. Bisogna definire cos’è il diritto: Bobbio per diritto intente “ordinamento giuridico e per ordinamento
giuridico un insieme di norme, fatti, atti, azioni e documenti, tutti operanti ed effettivi in un certo momento storico presso una
determinata comunità e presso un determinato territorio”.

Definire il diritto come ordinamento non significa ridurre il diritto allo ius positivum perché fanno parte del concetto di ordinamento
anche usi e consuetudini.

Per Hart l’ordinamento è una sintesi tra validità di leggi, documenti e norme e l’effettività dei comportamenti sociali che sono in relazione
a quelle leggi documenti e norme.
La definizione “il diritto come ordinamento” rende obsoleta la questione della sovranità dello Stato. Il diritto non viene definito come
prodotto dello Stato, né lo Stato è l’esclusivo ordinamento giuridico, ma il diritto è ordinamento nella misura in cui tra validità ed
effettività si instaura un rapporto che autorizza a riconoscere il diritto indipendentemente dalla derivazione formale dello stesso,
dall’ordinamento dello Stato.

Per Kelsen la sovranità non può stare al di sopra dell’ordinamento e quindi del diritto, perché è solo un elemento o una qualità dello
stesso.

Santi Romano elabora una concezione del diritto come ordinamento, come una pluralità di ordinamenti, dove l’aggancio alla realtà
sociale è dato dalla presenza di più esperienze ordinamentali dove il comportamento dei consociati e quindi l’effettività gioca un ruolo
decisivo.

Oggi constatiamo il fenomeno che alcuni diritti umani vengono azionati contro il proprio stato di appartenenza e ciò significa che la
sovranità statuale intesa tradizionalmente è crollata: se il cittadino può portare in giudizio davanti ad un tribunale internazionale lo stato
di appartenenza e chiedere che questo sia condannato per un comportamento omissivo in relazione ad un proprio diritto, il dogma di una
superiorità del diritto dello stato è messo in discussione.

Ci si chiede se esiste un ordine internazionale capace di costringere uno Stato al rispetto dei diritti umani. Dopo Norimberga e Tokyo sono
stati costituiti dei tribunali internazionali ad hoc. Tutto ciò significa che certamente la vecchia sovranità interna degli stati è messa in crisi,
ma non è scomparsa perché la tutela e la garanzia dei diritti da parte di organismi internazionali rappresentano l’eccezione rispetto ai
procedimenti interni.

Da alcuni autori si ritiene facile il passaggio dall’ordine costituzionale interno ad un ordine costituzionale internazionalistico, nel senso che
appare semplice trasferire a livello internazionale la lotta per l’attuazione della Costituzione.

L’autore si interroga se è possibile oggi porre per analogia un’equazione tra diritti umani e Costituzioni interne e diritti umani e documenti
internazionali. Alcuni sostengono che così come è avvenuto per la realizzazione dei diritti costituzionali all’interno di un singolo stato,
altrettanto per analogia si può procedere per la garanzia e la realizzazione dei diritti umani nell’ambito internazionale.

Ferrajoli afferma che: “è la struttura nomodinamica del diritto moderno che impone in forza del principio di legalità quale norma di
riconoscimento delle norme positive esistenti, di distinguere tra i diritti e le loro garanzie; di riconoscere che i diritti esistono se e solo se
normativamente stabiliti, così come le garanzie; dobbiamo ammettere che i diritti e le norme che li esprimono esistono perché sono
positivamente prodotti dal legislatore”.
Se mancano garanzie significa che c’è una grande lacuna, che è obbligo dei pubblici poteri, interni e internazionali, riempire. Così anche le
violazioni dei diritti da parte dei pubblici poteri contro i cittadini devono essere considerate atti illeciti o atti invalidi che devono essere
annullati.
Insomma, la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo costituirebbe diritto positivo allo stesso modo degli articoli della Costituzione,
ma ci si chiede se la Costituzione di un singolo Stato può esser messa sullo stesso piano di un’intesa internazionale.

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I diritti protetti dalle costituzioni interne sono stati sorretti da forze sociali, mentre dietro al diritto positivo internazionale non si è visto
tale coinvolgimento delle forze politiche. I diritti fondamentali e umani si trovano inseriti in un contesto ordinamentale che non prevede
solo la formulazione normativa, ma anche l’attuazione nel quadro ordinamentale.

Non è possibile considerare il diritto come un prodotto compiuto ad opera del legislatore, in quanto il principio di legalità non può
annullare il momento ermeneutico del fenomeno giuridico, dove l’azione dei consociati diviene significante.
La conclusione dev’essere affidata alla consapevolezza che gli Stati hanno ceduto molto della propria sovranità all’ordine internazionale,
ma bisogna constatare che le forze sociali considerate complessivamente sono molto più presente all’interno di un singolo stato.

Capitolo 3
Trasformazioni del Diritto in un mondo globale

Le concezioni, le teorie del diritto, ma anche i diritti umani sono fatti storici e culturali. Attualmente il lessico giuridico viene sottoposto
alla sfida della globalizzazione. L’ordine sistematico della modernità e il linguaggio giuridico diviene più complesso.

Quando le sovranità degli Stati sono state erose è divenuto necessario un accordo tra stati che tenesse conto delle diversità delle varie
forze e delle varie culture. Nel quadro giuridico si diffondono nuove tipologie giuridiche, la cui fonte è l’accordo bilaterale o plurilaterale
di tipo orizzontale privato. Sono i flussi multilaterali di governance, che attribuiscono funzioni di governo a delle agenzie. Un gran numero
di queste agenzie ha una base politicamente nulla, essendo agenzie commerciali e finanziarie transnazionali, ma dispongono di potenti
apparati legali per proporre con autorità accordi e arbitrati che hanno conseguenze significative nella vita pubblica.

Non si possono comprendere le trasformazioni attuali del diritto se non si ricorda il fenomeno della monopolizzazione del giuridico ad
opera dello stato moderno. Tutti i progetti di cosmopolitismo giuridico non possono eliminare il caso di individui che non si riconoscano in
quei modelli e rispetto a quei modelli sollevano la decisione di disobbedienza.

La genesi storica ha dotato l’ordinamento moderno della sua effettività annodando ad essa diritti e principi costituzionali. L’efficacia dei
diritti e dei doveri è stata affidata al funzionamento delle istituzioni e delle organizzazioni.
La crisi della sovranità è la crisi dello stato moderno, non la crisi del diritto, l’ordinamento è intrinsecamente dotato di sovranità ed è
proprio quest’aspetto che permette al diritto stesso, nelle organizzazioni internazionali di essere il garante dei diritti umani o
fondamentali.

Se l’ordinamento esiste storicamente, allora esistono anche le sue istituzioni, i suoi organi e le sue organizzazioni funzionanti, ma ci si
chiede se tutto questo viene trasferito a livello internazionale si possa parlare di ordinamento giuridico.

La problematica della regolazione giuridica internazionale nella sfida della globalizzazione è l’esplodere del problema dell’effettività del
diritto quando questo sia sganciato da un ordinamento sovrano. Il concetto di ordinamento appartiene alla tradizione moderna per
tenere insieme e la molteplicità dei soggetti, garantendo obbedienza e effettività. Il pensiero giuridico moderno considera la sovranità
come l’unica alternativa possibile al disordine e all’anarchie ed è l’unica che esige obbedienza.

L’ordinamento sembra essere un concetto che si installa nella dicotomia sovranità-anarchia e dobbiamo osservare la trasformazione di
questa dicotomia. Nello stato moderno il modello era costruito sul comando del sovrano e obbedienza del suddito, nell’800’ la teoria più
famosa è quella di Austin che definisce il diritto come un complesso di ordini sostenuti da minacce.

L’effettività e la concretizzazione del diritto nel Novecento costituiscono un fenomeno riconoscibile attraverso i concetti norma-potere.
Nelle società contemporanee, l’organizzazione diviene elemento centrale del fenomeno giuridico.

La politica internazionale usa organizzazioni sovranazionali o transnazionali e ciò crea una deterritorializione che segna la crisi della
sovranità dello Stato.
L’ordine globale non si presenta più come un ordine inter nationes, ma come uno schema complesso di interazione tra attori misti.

Partecipare alle istituzioni internazionali costituisce una delle vie privilegiate dei governi che hanno a disposizione per governare i
processi di globalizzazione, insomma ad oggi, agenzie, organizzazioni internazionali e transnazionali, costituiscono una realtà sociale e
giuridico politica concreta, che può essere autonoma o collaborare, o essere in conflitto con gli stati nazionali.

Questa nuova realtà è rappresentata dalla Lex Mercatoria. Essa è in grado di assicurare la massima riduzione dei costi di transazione.
L’applicazione delle norme è assicurata da principi che si spingono fino a rendere poco conveniente il conflitto e lo stesso conflitto,
quando insorge tende ad essere gestito in funzione della continuazione del rapporto tra le parti.

Il carattere della permanenza della relazione, nonostante il conflitto, è il segno della capacità del diritto come organizzazione di
autoregolarsi. Il diritto moderno è prevalentemente un mezzo che tende a dirimere il conflitto, un mezzo per realizzare una transazione
razionale e pacifica.

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Il pluralismo giuridico dev’essere pensato non solo come una teoria sulle fonti del diritto, ma anche come una logica di relazioni giuridiche
di aggiustamento, che postulando la compresenza di istituzioni o organizzazioni non dipendenti dallo stato e strutturate su idee e norme
autonome rispetto allo stato possa fornire livelli forti di normatività.

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