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Storia della disabilità


Disabilità: una questione storia
La maggioranza di persone con disabilità vive una condizione in contrasto con il diritto di
essere considerati come individui e cittadini come tutti gli altri, ancor prima che soggetti da
assistere e compatire.
Disabili e disabilità sono concetti recenti che identificano alcune categorie di persone e una
serie di questioni (es: politiche sociali, diritti...).
La disabilità è una condizione sociale, biologica ed esistenziale sempre esistita. Tuttavia, la
disabilità ha sempre suscitato domande sul perché si sviluppano certe anomalie, su come
gestirle o curarle; spesso e volentieri si è cercato di rispondere a queste domande con la
magia, filosofia, religione, medicina, scienza e tecnica. Quindi:
- Da una parte ci si pone il problema di capire, spiegare, interpretare, dare un senso alla
disabilità e alla presenza di questi soggetti;
- Si vuole assegnare un posto a questi soggetti e collocarli all’interno o all’esterno della
società.
Non sempre le persone con disabilità sono state trattate allo stesso modo: solo da poco
tempo gli storici si sono occupati di questo tema perché prima vi era:
- Illegittimità e disinteresse per la disabilità come oggetto di studi storici; quindi non è mai
risultato un tema interessante. Oggi è un tema centrato solo sul presente, percepito solo
sul piano del dramma personale di chi la vive, oppure su una questione socioassistenziale.
- Difficoltà di costruire la disabilità come oggetto scientifico;
- Difficoltà di reperire documentazione storica necessaria. I disabili hanno lasciato poche
tracce di sé perché reclusi nei margini della società insieme a poveri e i reietti; il che è
risultato difficile costruire un oggetto specifico di ricerca centrato sulla disabilità.
Non sempre i documenti sulla marginalità sono stati prodotti dai marginali, ma dagli enti-
istituzioni-tribunali civili e religiosi. Gli studiosi, tuttavia, hanno cercato di formulare nuove
domande e analisi in merito a ciò.
In particolare, negli anni ’60 nel mondo anglosassone sono nati gli studi sulla disabilità.
Questi sono nati dai movimenti politico-culturali di soggetti disabili che rivendicano i propri
diritti e la propria identità. A ciò si deve la formulazione del paradigma del modello
sociale della disabilità il quale sostiene, appunto, i diritti per le persone con disabilità.
Questo critica il modello di Parsons, che sosteneva che la malattia è una forma di devianza
della società e, il malato è accettato solo se assume un ruolo e risponde alle aspettative
legate a quel ruolo di malato. Il modello critica anche Goffman (autore di stigma, primo
testo sulla disabilità) perché egli è un “normalista” cui sostiene che il disabile deve
sottostare ed interiorizzare l’idea di normalità.
Il modello sociale sostiene che:
- La disabilità è una condizione sociale e non biologica: la società non andando incontro ai
bisogni del singolo crea disabilità.
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- Questo modello è riduzionista in quanto non si occupa molto di storia ma è concentrato sul
presente. Con il metodo storico si cerca di comprendere al meglio la questione della
disabilità.
Il metodo storico parte da questioni presenti e cerca un altro tipo di analisi: comprendere il
presente mediante il passato.
1.TRACCE ANTICHISSIME

Tra antropologia e storia


La presenza della disabilità all’interno di tutte le società storiche fa sì che si riconosca
questa come fondativa; Levi-Strauss vede l’anormalità e la menomazione come elementi
che stanno alle origini della cultura occidentale. Egli costruisce 4 colonne che classificano la
disabilità in base al mito:
1-2. riguardano i rapporti di parentela;
3. mostri che gli uomini devono distruggere per poter nascere dalla terra;
4. menomazione e anomalia corporea. Qui appartengono diversi personaggi zoppi
(Labdaco, Laio, Edipo).
Secondo lui la disabilità si colloca tra la dimensione divina e quella terrena. Egli, poi, ritrova
il concetto di “zoppo” anche nei miti americani, cinesi e nelle ricerche di Ginzburg.

Prime tracce
Grazie alla paleontologia e all’archeologia possiamo ritrovare la disabilità nelle civiltà
antichissime.
Le prime tracce della disabilità nella preistoria sono i resti ritrovati in Spagna nel 2009; un
giovane con un grave ritardo dello sviluppo psico-fisico che era incluso nella società.
I reperti ritrovati non ci permettono, però, una ricostruzione completa circa una forma di
inclusione primitiva. In Francia sono stati ritrovati dipinti del Paleolitico che raffiguravano
dita mutilate: si pensava fossero dovute a mutilazioni o rituali magici. In queste epoche la
disabilità era considerata esito della possessione da parte di uno spirito maligno, cioè in
chiave magica.
De Martino afferma che c’è il recupero dei diversi nelle civiltà preindustriali:
- Statua di una divinità femminile della fecondità affetta da nanismo;
- Presenza di ciechi tra i prigionieri di guerra o nelle funzioni religiose;
- Presenza di persone sorde e di un ipotetico linguaggio dei segni.
Il codice di Hammurabi delinea un rapporto ambiguo con la disabilità:
- Crea pene che consistono in mutilazioni, le quali rendono disabili le persone e quindi
esposte alla stigmatizzazione collettiva. DISABILI COLPEVOLI-CATTIVI
- Protegge i disabili e i deboli imponendo che il forte non sopprima il debole. Inoltre,
istituisce una protezione legale delle persone disabili dai rischi e dagli abusi dei medici e
decreta l’impossibilità per un uomo di ripudiare la moglie inferma. DISABILI BUONI-
INNOCENTI.
I Babilonesi credono che la disabilità sia un castigo divino che causava disordine morale.
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Gli egizi hanno proposto molti casi di disabilità, tramite la rappresentazione su stele e
bassorilievi. Su questi ultimi elementi sono raffigurate persone con menomazioni,
amputazioni. In particolare, si trovano: suonatori d’arpa ciechi, nani, persone con
poliomielite. invece le persone con disabilità mentale venivano considerate come graziate
divinamente. Sono state ritrovate mummie di faraoni disabili (es: Ptah); ciò significa che la
disabilità tocca l’uomo e il divino. In questo caso si parla di DIVINITà PATOLOGICHE.
I suonatori d’arpa ciechi rappresentano un topos per l’antichità in quanto si pensava che
questi avessero ricevuto dagli dei il talento musicale come compensazione della loro
società. Inoltre, tra gli egizi si promuove una pratica di aiuto sociale nei confronti della
disabilità.

I greci chiamano stigma un segno corporeo inabituale e di sgradito. Secondo Goffman lo


stigma è relazione sociale, quindi qualcosa di dinamico, e si sviluppa in 4 fasi:
1. Individuazione di differenze fisiche, psicologiche, sociali per poi costruire una categoria di
disabilità.
2. A queste categorie di attribuiscono stereotipi negativi.
3. Si opera una distinzione tra soggetti stigmatizzati e non.
4. Stigmatizzazione vera e propria: declassamento dell’individuo.
Non solo la disabilità è stigmatizzata, ma anche l’orientamento sessuale, religione, etnie…

Per una storia del rapporto tra tecnologia e disabilità


Il mondo egizio ci ha lasciato informazioni sulle prime protesi utilizzate. Sono protesi
funzionali e non estetiche. La più antica si trova al Cairo ed è un pollice in legno dipinto del
piede dx che veniva attaccato ad un supporto di cuoio al piede di una donna (1069 e il 664
a.C ). Lla prima protesi funzionale è la gamba di bronzo di Capua che ha un ginocchio
artificiale di legno; questa è stata conservata a Londra per poi essere distrutta dai
bombardamenti. Anche una mano artificiale non funzionale è stata ritrovata in una
mummia del 2000 a.C.
Le protesi venivano utilizzate per superare le limitazioni imposte dalle menomazioni. La
protesi è diventata il simbolo della disabilità fisica/motoria (bastoni, gambe di legno, sedia
a rotelle,…); quest’ultima è stata assunta come simbolo di tutte le disabilità: immagine
della carrozzina su sfondo blu inventata da Koefoed ne 1968.
La sedia a rotelle ha origini antichissime ma tuttavia, il suo utilizzo è stato ostacolato dalle
condizioni non agevoli delle strade e delle abitazioni. Questa è stata utilizzata dal re Filippo
2° di Spagna che viene rappresentato su una sedia a rotelle da Tiziano; anche Luigi XIV di
Francia ne aveva una. Nel 1655 Stephen Fraffler inventa la manovella per le ruote e poi
John Dawson inserisce il poggiapiedi e lo schienale regolabile.
La sedia a ruote si diffonde nel 19°sec soprattutto per le persone ferite durante le guerre.
In Uk venivano date gratuitamente agli invalidi di guerra. Nel 1933 gli americani Herbert e
Jenning mettono sul mercato la prima sedia a ruote pieghevole e in metallo leggero. Nel
1931 Jean Delage inventa il bastone bianco per i ciechi.
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Come indicano i reperti egizi, anche gli arti artificiali (=protesi) hanno una storia molto
antica: un vaso italiano del 4°sec. Mostra una ferula d’appoggio a metà tra gruccia e gamba
di legno.
Le prime progettazioni di arti artificiali si devono al padre della chirurgia: Ambroise Parè,
medico della corte francese. A lui si deve la mano del piccolo Lorense. Di italiano troviamo:
Paolo Giovio, Guido Guidi…
L’evoluzione protesica per arti superiori (500-600d.c) avviene soprattutto all’interno del
mondo militare. La protesica degli arti inferiori si sviluppa nel 700in Inghilterra e in Francia
e nell’800 in Italia. Nel 900la tecnologia avanza ma non è funzionale ad un utilizzo costante
e duraturo.
Nell’800 in Italia l’ortopedia italiana registra un importante sviluppo grazie a Pini, Galeazzi,
Rizzoli. A Budrio c’è il Centro INAIL di sperimentazione delle protesi.
2. Nella civiltà greco-romana

Disabili all’interno di due classici


Nel secondo libro dell’Iliade di Omero (egli è cieco), viene descritto il primo personaggio
disabile della storia della letteratura occidentale: Tersite. Viene descritto come brutto,
zoppo, con le spalle torte, curve, co il cranio a punta, con pochi capelli e odiato da Achille e
Odisseo. Tersite viene descritto da Ulisse con dure parole: “gli altri risero di lui”. Tersite
prende in giro Achille perché dopo aver ucciso Pentesilea in duello e dopo averle cavato un
occhio, se ne innamora. Per questo motivo Achille uccide Tersite.
Inoltre, Tersite accusa Agamennone di aver condotto gli Achei in guerra per soldi e donne.
Sono le caratteristiche fisiche di Tersite a farne un personaggio negativo. Nell’Iiade non c’è
personaggio più indegno di lui: deforme, non aristocratico, non belo, non forte ma stolto,
ridicolo e comico. Il suo aspetto esteriore è lo specchio della sua persona. La sua diversità
fisica, quindi, determina conseguenze negative sulla sua persona.
Tersite, viene descritto all’interno della Repubblica di Platone, nel mito di Er come un
buffone che assomiglia ad una scimmia.
Ci sono altri disabili nella letteratura greca: Creso aveva un figlio muto, Cambise era
epilettica, Ferone era cieco…

Trattamenti e percezioni differenti delle disabilità


Gli studiosi hanno catalogato in regimi le diverse modalità attraverso cui, nella storia, sono
stati visti i disabili:
1. Regime dell’eliminazione;
2. Regime dell’abbandono;
3. Regime della segregazione;
4. Regime dell’assistenza;
5. Regime della discriminazione.
Nelle diverse epoche e società sono prevalsi alcuni regimi piuttosto che altri. Peraltro,
alcuni di questi regimi possono valere per certe tipologie di disabilità e non per altre,
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possono operare per alcuni ceti sociali e non per altri. Il concetto di disabilità non è
univoco nelle diverse epoche: non si deve proiettare nel passato le nostre percezioni
attuali. Per tutti i tipi di menomazione, il fatto che fossero congenite o acquisite, ha sempre
rappresentato un criterio importante per costruire percezioni diverse della persona
disabile. Il mondo antico, per esempio, ha inventato il concetto di mostro per alcuni casi
particolari, cioè la disabilità fisica.
Le fonti utilizzate per ricostruire la disabilità nel mondo greco-romano sono archeologiche,
letterarie e artistiche (riti, miti, istituzioni sociali). Nonostante ciò, noi possiamo solo
accedere ad un numero limitato di casi e frammenti; il che rende impossibile una
generalizzazione.
Le fonti ci indicano una notevole presenza di disabili nelle società greco-romane. Secondo
il mito gli stessi fondatori di Roma sono disabili. Anchise significa zoppo e curvo. Egli,
ubriaco durante una festa, si vantò del suo amore con Afrodite da cui ebbe Enea. Zeus lo
colpisce con un fulmine e lo rese zoppo. Anchise allora abbandona Troia con Enea, il quale
fonderà Roma.
Garland afferma che tra i ceti sociali di bassa estrazione c’era una forte presenza di
disabilità congenite dovute alle cattive condizioni sanitarie e alimentari cui godevano
quegli estratti sociali. Tuttavia, la statistica rimane ancora imprecisa.
Nonostante questa grande presenza di disabilità sappiamo poco di come vivevano e
venivano trattate le persone: in Grecia alcuni individui erano oggetto di cure e di
trattamenti di assistenza pubblica (es: sussidi, previa visita).
Le disabilità sensoriali e intellettive erano meno stigmatizzate poiché si pensava che si
potesse guarire con un intervento divino o medico; invece i sordomuti venivano
considerati come privi di ragione.
Quindi, nel mondo greco, la cecità era una disabilità più accettata rispetto a quelle fisico-
motorie e alla sordità tanto che alle volte gli veniva attribuita una caratteristica divina. (es:
mito di Tiresia. Tiresia mentre passeggia vede accoppiarsi due serpenti quindi uccide la
femmina. Viene così trasformato in donna e poi ritornerà uomo 7 anni dopo, quando, di
fronte alla stessa scena uccide il maschio. Un giorno Zeus ed Era litigavano su chi provasse
più piacere nel sesso. Tiresia viene interpellato perché era stato sia uomo che donna e dà
ragione a Zeus, cui sosteneva che fosse la donna a goderne maggiormente. Allora, Era
accecò Tiresia. Zeus, invece, gli diede la facoltà di prevedere il futuro e di vivere per 7
generazioni. Quindi la cecità è una punizione divina.
Edipo, invece, si acceca dopo aver scoperto di essere l’assassinio del padre e lo sposo della
madre. Tiresia e Edipo configurano la disabilità come legata alla sfera sessuale non
ordinaria (tradimenti) che fanno nascere nascituri con menomazioni.
I pazzi, invece erano oggetto di reazioni diverse: timore, rispetto (follia=intervento
sovrannaturale) reietti, emarginati e in rare occasioni “virtù profetiche”.
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Il regime dell’eliminazione
L’eliminazione di bimbi nati con una deformazione fisica non è un fenomeno riconducibile
solo alle civiltà antiche poiché anche nel 700, in Sicilia, i bambini disabili venivano
battezzati e poi uccisi. Nell’800 invece le ostetriche sottraevano il bambino e lo uccidevano
prima che la madre lo potesse vedere.
Nell’antica Grecia non poteva decidere il padre circa il destino del figlio, ma lo doveva
portare in un luogo chiamato Lesche dove i più vecchi della tribù valutavano il bambino:
- Se deforme veniva buttato in una caverna detta Apoteta del monte Taigeto dove poteva
morire.
Le leges regiae romane imponevano che un padre non potesse uccidere bambini di età
inferiore ai 3 anni tranne che questo non fosse mostruoso subito dopo il parto. L’uccisione
o l’esposizione doveva ricevere l’accordo di 5 vicini a cui il neonato veniva mostrato. Anche
le 12 tavole autorizzavano l’uccisione del nato deforme e anche Cicerone la sosteneva. I
bambini venivano uccisi per strangolamento, venivano gettati nel Tevere, lasciati morire di
freddo o in pasto ai cani. Solo con i primi imperatori cristiani (Costantino) venne sancito lo
ius vivendi del neonato che decreta l’illegittimità di uccidere o esporre i bambini nati
deformi. Inoltre, Costantino aveva disposto un sistema di assistenza per i genitori poveri
affinché evitassero di vendere o esporre i figli.
In Grecia, secondo la tradizione, i neonati deformi venivano buttati dal monte Taigeto ma
alcuni studi confutano questa ipotesi: ai piedi del monte sono stati trovati resti di adulti e
non di bambini.

Regime dell'abbandono: l'esposizione


Efesto, dio del fuoco e fabbro, è figlio di Zeus e Era ed è disabile. Viene spiegato secondo
due miti:
- Efesto viene scoperto da Zeus mentre sta cercando di liberare Era che è stata incatenata da
quest’ultimo. Per cui Zeus butta giù dall’Olimpo Efesto che si azzoppa.
- Efesto nasce zoppo e deforme, la madre appena lo vede lobutta giù dall’Olimpo. Questo
finisce in mare dove viene accolto e allevato dalle oceanine e nereidi.
Anche a Dionisio è attribuita una zoppia che trasmette al figlio Priapo. Quest’ultimo viene
abbandonato dalla madre Afrodite poiché è brutto: così Priapo va alla ricerca di attenzioni
altrui, sempre con il pene smisurato.
Nell’Iliade Efesto è definito storpio glorioso perché figlio degli dei. Il fatto che fosse zoppo
lo si attribuisce alla professione di fabbro: in Grecia chi non poteva cacciare o zappare o
combattere, faceva il fabbro o il cantore cieco. Nonostante ciò, Efesto è un dio a pieno
titolo.
Esporre=portare i bambini fuori dai villaggi e dalle città per nasconderli in luoghi occulti.
L’esposizione non riguarda solo bambini nati deformi ma anche gli ermafroditi, i figli
illegittimi e della prostituzione. Questa pratica fu una prassi legale e molto diffusa tanto
che Tebe dovette intervenire perché gli abusi erano tanti. Gli abbandonati famosi sono:
Euripide (nato da uno stupro di Apollo), Edipo, Perseo, Ercole, Romolo, Remo e Mosè.
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L’esposizione veniva giustificata con la loro inutilità per la società. Esporre non vuol dire
uccidere il bambino anche se molto spesso succedeva ma alle volte, per scelta divina,
questi venivano ritrovati ed accuditi da altre persone (spesso pastori).
All’esposizione erano soggetti più gravi. Questo fenomeno proseguirà poi, nella storia. Per
esempio, l’argomento è stato trattato nel concilio di Vaison quando si decretò che
chiunque trovasse un bambino esposto dovrebbe segnalarlo alla chiesa locale. Inoltre,
qualora nessuno reclamasse il bambino entro 10 giorni, questo era di chi lo aveva trovato.
Invece l’Inquisizione illustrò la pratica dell’abbandono come una forma di infanticidio.

3.All’interno dei testi biblici

Scritture e disabilità in una prospettiva storica


Nell’Antico e nel Nuovo Testamento ci sono oltre 200 passaggi che evocano forme di
disabilità. Le scritture sono utili come:
- Fonti pratiche, in quanto possono essere utilizzate per comprendere alcuni aspetti che
hanno caratterizzato la disabilità.
- Hanno avuto un grande impatto nella cultura occidentale (idee, pratiche, credenze, ecc).
- Il Nuovo Testamento costituisce la base teorica e pratica di molte istituzioni religiose che si
sono occupate di persone con disabilità.
Tuttavia, mancano analisi tra sfera ecclesiastica e disabilità.
L’antico e il nuovo testamento sono stati alla base dello sviluppo di una nuova pastorale e
di una teologia disabile; inizialmente le persone con disabilità venivano poco considerate
nell’eucarestia, per questo motivo si vuole considerare il disabile come protagonista e
soggetto teologico. Tra le recenti evoluzioni c’è il riconoscimento, avvenuto nel giubileo dei
disabili del 2000, da parte della Chiesa cattolica della pari dignità ontologica delle persone
con disabilità rispetto agli altri esseri umani e dunque con i medesimi e corrispondenti
diritti innati, sacri e inviolabili.

Antico Testamento
I disabili sono tra la gente del popolo e nelle cose del mondo. Inoltre, ci sono riferimenti ad
amputazioni di guerra o a mutilazioni (es: Giacobbe fondò Israele ed è stato menomato in
una battaglia). Nell’antico testamento la disabilità rappresenta non solo la debolezza
umana ma anche il male: non vedere e non sentire sono condizioni dello spirito non aperte
a Dio, oppure si è accecati dalla malizia, nei pensieri, dall’orgoglio, dai doni. Così tutte le
forme di disabilità rappresentano colpa, peccato, condizione morale negativa. Solo Dio può
intervenire direttamente per liberare da questa condizione, ad es: ridà la vista ai ciechi,
l’udito ai sordi, la salute agli infermi…
Senza quindi un intervento divino che ristabilisce un senso e un ordine, la menomazione
costituisce una grave deviazione dell’ordine divino. Nell’antico testamento la disabilità non
è qualcosa che rimanda al destino ma al peccato, a qualche tradimento dell’uomo o
dell’animale nei confronti di Dio.
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Il generare figli disabili viene interpretato come castigo divino legato ad un cattivo utilizzo
degli organi e dei rapporti (es: adulterio).
Nei testi biblici non c’è riferimento all’esposizione, abbandono o eliminazione dei bambini
e soggetti disabili. Non si può dire nulla a riguardo. Certa invece è la prassi di mettere ai
margini della comunità questi soggetti i quali non potevano offrire doni a Dio né accostarsi
all’altare (=INTERDETTO BIBLICO). Non potevano esistere sacerdoti disabili poiché era
considerato indegno verso Dio; se la menomazione subentrava quando i voti erano già stati
presi, queste persone venivano declassate. Il codice di diritto canonico del 1917 considera
illegittimi per il sacerdozio gli individui con debolezze o deformità. Nell’’83 si consentirà il
sacerdozio ai malati sensoriali mentre non lo si consente ai malati psichici. I disabili
restavano comunque all’interno di una società ma stavano ai margini, vivendo così di
elemosina, accattonaggio, sostegno altrui e opere di beneficienza.

Nuovo Testamento
In quest’occasione si riprendono alcuni degli elementi presenti in quello antico:
- La disabilità è espressione e conseguenza del peccato degli uomini, deriva dal difetto
morale e è forma di punizione o insegnamento voluta da Dio.
- Disabilità =peccato
L’elemento di novità è rappresentato dalla figura e dal messaggio di Gesù che rafforza lo
spirito di accoglienza e di carità verso le persone disabili come una sorta di obbligo morale.
In particolare, i poveri e gli afflitti saranno i primi ad entrare nel regno di Dio.
Nel nuovo testamento ci sono molte guarigioni miracolose compiute da Gesù verso
persone con disabilità fisiche, psichiche o sensoriali.
Per Cristo, chi nasce con qualche menomazione è per colpa di Dio. Cristo guarisce questi
soggetti da una situazione di disabilità dovuta alla condizione di peccato in cui si trovano le
persone prima di guarire. Eseguendo questi miracoli le persone vengono reintegrate nella
società, con la relativa dignità.
Attraverso questi brani, la cultura si è fondata sull’idea che il disabile dà un’immagine di
peccato, impura, negativa. Nel nuovo testamento il male è spesso associato al singolo e
non alla società.; prima invece era il contrario.

4.I mostri
Il concetto di mostro nasce all’interno di una costruzione sociale e culturale attraverso cui
un essere, reale o immaginario, è percepito in relazione a una norma, a un’ordinarietà.
Tuttavia, affinché questo esista deve necessariamente esserci un non-mostro. Il mostro è
altro rispetto ad un centro che è la norma: è il deforme, il difforme, l’anomalo, l’aberrante,
ciò che turba e inquieta.
Foucalt dice che il mostro è necessario alla casistica che il disordine della natura fa entrare
nel diritto. Nella cultura occidentale e nel mondo greco/romano il mostro è quell’essere
considerato lontano dalla normalità, ai margini. Mostri sono i popoli nemici, genti diverse e
questo è sottolineato dai documenti e dalle letterature.
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Mostro è un concetto limite in quanto identifica di volta in volta problematiche differenti.


Inoltre, identifica le menomazioni del corpo e esseri che sono esistiti per pochissimo
tempo.

I mostri nel mondo greco-romano


Il documento più antico riguardante i mostri è una tavoletta d’argilla babilonese (2800 a.c)
in cui sono identificate 3 categorie di mostri: per eccesso, per difetto e i mostri doppi. Sia
nella civiltà greca che in quella romana il concetto di mostro si riferisce ad esseri viventi
anormali. La loro presenza sulla Terra turba e rimanda al divino con conseguenza sugli
uomini. Il concetto di mostro è in relazione a quello di prodigio, infatti comunicano un
presagio, un monito della volontà divina che qualcosa accadrà. È una categoria che
comprende sia uomini sia animali, i mostri hanno la funzione di comunicare altro.
In greco teras ha un’etimologia incerta, invece in latino mostro deriva da ammonire
(monere) ma anche da mostrare (monstrare) due verbi che rimandano all’avvertimento
che proviene dalle divinità attraverso un segno che indica, mostra, annuncia, presagisce e
predice. Spesso si parla di mostri animali, ma in diversi casi si parla anche di mostri umani.
Numerosi brani della letteratura greca e romana propongono casi di mostri.
- Tacito racconta di bambini e animali con due teste gettati in pubblico.
- Tito Livio parla di due fanciulli senza occhi e naso. Anche i parti gemellari erano mal visti
perché segno di un’eccessiva e peccaminosa attività sessuale.
- Tito Livio racconta di un bambino nato grande come se avesse già 4 mesi. Il piccolo venne
abbandonato e, una volta morto, viene gettato in mare. Tutti i “mostri”, nell’antica Roma
dovevano morire. In alcuni casi la madre veniva accusata e poi ammazzata.
Il diritto romano considera l’uomo libero come colui le cui membra sono normalmente
sviluppate per numero e qualità.
Ulpiano afferma che:
- È mostruoso l’essere che non ha caratteristiche fisiche, complete e inalterate tipiche
dell’uomo.
- È debole il neonato completamente formato che non sopravvive.
Con questa distinzione si vogliono tutelare le madri dalle accuse. In realtà queste
continuavano ad essere accusate (streghe, atti sessuali illeciti o impuri...)
I giuristi dell’epoca invece attribuiscono non un senso divino all’esistere dei mostri ma
cause naturali. Comunque, l’idea di mostro come segno divino si manterrà nel tempo e
sarà presente anche nelle civiltà cristiane.

Credenze, saperi e spiegazioni attorno alla nascita dei mostri


A partire dal mondo greco-romano attorno all’argomento mostri incominciano ad esserci
delle spiegazioni di tipo medico-scientifico. Sono Ippocrate, Empedocle e Democrito a
cominciare a spiegare come e perché nascono i mostri.
- Ippocrate deriva dalla mescolanza tra il seme maschile e quello femminile, in cui il seme
più forte determina il sesso. La nascita dei mostri dipende dall’ammaccamento del ventre
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della madre poiché ha subito colpi violenti, oppure perché l’utero non è sufficientemente
grande da contenere l’intero feto e quindi nasce privo di qualche parte del corpo. Tuttavia,
da genitori storpi nascono figli completamente sani ma tutto sta nella buna composizione
del seme.
- Secondo Empedocle i mostri sono l’esito dell’abbondanza o difetto del seme, oppure della
sua divisione in più che porta allo sviluppo di più esseri mostruosi come i siamesi.
- Per Democrito i mostri nascono dall’incontro di due emissioni successive di sperma e la 2°
si sovrappone alla 1° confondendosi e creando creature disordinate.
- Aristotele sostiene invece la trasmissione della disabilità, i mutilati generano mutilati, zoppi
dagli zoppi, ciechi dai ciechi. Ma è il seme maschile ad incidere in modo determinante;
anche il mestruo se inadeguato genera mostri. Per Aristotele la mostruosità è relativa e dà
importanza al cuore.
- Il concilio di Nicea aveva invece decretato che i mariti non dovessero avvicinarsi alle mogli
durante il periodo mestruale, giorni in cui alle donne era vietato l’accesso ai sacramenti e
in chiesa.
- San Girolamo sosteneva invece che i mostri erano l’esito di rapporti sessuali durante il ciclo
mestruale.
Alcuni autori invece avevano idee e spiegazioni della mostruosità basate non sul divino ma
sulla natura per es. Lucrezio e Plinio.
Nel teatro latino nasce con Plauto la figura del servo Pseudolus che accanto alla sua
disabilità fisica sa essere furbo.

I mostri umani nel medioevo


La riflessione religiosa sul tema dei mostri parte da Agostino. Lui si è chiesto se i mostri
fossero o meno creati da Dio (Dio non sbaglia a creare!). Agostino però non affronta
un’altra domanda rilevante: i mostri hanno un’anima? Devono ricevere i sacramenti?
Neanche Tommaso d’Aquino affrontò l’argomento. Secondo lui però tutti gli individui
umani devono essere battezzati mentre deve essere negato il battesimo ai bruti, cioè quei
soggetti con sembianze animalesche. Tommaso sostiene che se il feto ha una testa ben
formata allora doveva essere considerato umano, indipendentemente da com’era il resto
del corpo.
Oresme sostiene che è l’intelletto a distinguere l’uomo dall’animale e considera quindi i
ciechi e i sordi con un intelletto inferiore di un cane.
Nel medioevo la riflessione sui mostri umani ha come riferimento il catalogo “Storia
naturale” di mostri realizzato da Plinio e la raccolta di “cose memorabili” di Gaio Solino. Dal
medioevo in poi si svilupperà appieno uno studio sistematico e rigoroso sui mostri, la
teratologia. Comunque, gli studi sui mostri hanno continuamente mescolato tra loro i
codici e i linguaggi scientifici, religiosi e le credenze popolari. Nel Medioevo iniziano anche
a diffondersi i bestiari, ovvero descrizioni e immagini su creature fantastiche e mostruose.
La loro rappresentazione attraverso la nudità era uno strumento per mettere in mostra le
deformità, per renderli più vicini all’animale che all’uomo.
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Quindi per molto tempo il mostro umano viene spiegato con una serie di ragioni che vanno
dal divino al mestruo, alle unioni bestiali, alle posizioni e al momento del rapporto
sessuale.
Un compendio delle cause e delle interpretazioni morali è il Gesta Romanorum, raccolta
anonima e pubblicata in Inghilterra.

Parè, Liceti, Aldrovandi


In tutt’Europa tra il secondo 500 e i primi del ‘600 i mostri divennero oggetto di vaste
pubblicazioni erudite e popolari. Sono spesso testi che si citano e ricopiano a vicenda,
erano presenti numerosi casi con le immagini. In alcuni trattati l’origine della mostruosità
era dovuta all’influsso dell’immaginazione durante il concepimento o la gravidanza. In
particolare, l’immaginazione paterna influenza la nascita di feti mostruosi durante l’atto
sessuale, mentre quella materna perdura per tutta la gravidanza. Sul versante scientifico
molti medici si sono occupati circa la mostruosità che, ancora una volta, viene
progressivamente imputata dalla divinità alla donna quando questa ha il mestruo. Questa
causa fu smentita definitivamente nei primi del 900.
Uno dei trattati più noti sui mostri è quello del medico e chirurgo al servizio della corte di
France Paré (Des monstres et prodiges). Secondo questo studioso il mostro è colui che sta
fuori dal normale corso della natura: un bambino che nasce senza uno o più arti, con più
teste o con membra non comuni. La sua presenza viene indicata come presagio di qualche
disgrazia, mentre il prodigio è un fenomeno che avviene contro natura (es: donna che
partorisce un cane). Ecco alcune cause della mostruosità da lui riportate: la gloria o l’ira di
Dio, una sovrabbondanza di seme (es il bambino con 4 gambe) o la sua scarsità (bambino
senza testa), l’immaginazione, le dimensioni ridotte dell’utero, il modo scorretto in cui sta
seduta la madre, la caduta o il colpo sul ventre della donna incinta, le malattie ereditarie (i
gobbi generano gobbi), i demoni, inganno dei mendicanti.
Nel suo trattato invece Liceti (De monstrorum caussis, natura, et differentiis) definisce il
mostro come un soggetto che produce in chi lo vede sorpresa, stupore, ammirazione ma
non necessariamente con una connotazione negativa e ripugnanza. Inoltre, cerca di
individuare 10 categorie di mostri e individua le cause delle diverse anomalie. Si rifà sia
all’uomo che all’animale.
Il terzo trattato è quello di Aldrovandi Monstrorum historia del 1642. In questo testo c’è
una maggiore sistematizzazione della questione dei mostri a partire dai criteri anatomici e
con un rigore enciclopedico. Anche se alcuni esempi non sembrano essere veri. Lo studioso
crede che la mostruosità sia generata da:
- Volontà di Dio;
- Insidia del demonio;
- Cause accidentali (seme, mestruo, ventre materno, ereditarietà…)

Dagli sviluppi scientifici alla teratologia


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Nel 600 il dibattito sul tema mostruosità presenta due posizioni contrapposte, da una parte
i sostenitori dei mostri voluti dalla Provvidenza (soprattutto persone poco dotte e
conoscenze popolari) e dall’altra i sostenitori degli interventi naturali e soprattutto umani
che imprimono una forma mostruosa ai germi della vita già preesistenti. Anche nel campo
filosofico si pone la questione di motivare la nascita dei mostri. I filosofi contribuirono a
creare e diffondere l’idea che spiega la presenza dei mostri non secondo un disdegno
provvidenziale ma come espressione delle infinite possibilità della natura che a sua volta è
segno della potenza divina. Dal ‘600 la conoscenza sui mostri si sviluppa particolarmente
nell’accademia delle scienze di Parigi e in numerose altre accademie scientifiche. Per
esempio, Morgagni introdusse tra le cause di generazione di mostri, l’arresto dello sviluppo
fetale. Un cambiamento decisivo venne dato da Saint- Hilaire (si occupa di esseri umani,
animali, vegetali) considerato il padre della teratologia. La teratologia rompe con la vecchia
idea creazionista del germe, si fonda su studi e cognizioni di anatomia, fisiologia e zoologia
e ripulisce lo studio dei mostri dalla metafisica, dai pregiudizi e dagli errori precedenti. Lo
studioso considera il mostro in sé e non in relazione ad altro. Saint- Hilaire nel suo trattato
di teratologia innanzitutto distingue tra mostruosità e anomalia. I due termini non sono
affatto posti come sinonimi. L’anomalia indica deviazioni organiche di un individuo rispetto
alla gran parte degli individui di quella specie. Esistono 4 classi di anomalie e la più grave
prevede il concetto di mostruosità, intesa come una situazione complessa caratterizzata da
gravi anomalie che impediscono alcune funzioni dell’organismo e ne alterano la forma.
Anomalie e mostruosità sono congenite e non hanno a che fare con malattie, ferite o
amputazioni. Le mostruosità vengono provocate dall’immaginazione materna, dalle
condizioni sociali o dal pesante lavoro della madre. I mostri assumono le caratteristiche di
specie inferiori MA sta nell’ordine della natura. Nella storia dei trattati sui mostri ci si è
occupati soprattutto di capire da chi vengano creati e di conoscere le cause che producono
la mostruosità piuttosto che domandarsi se i mostri appartengano al genere umano. Saint -
Hilaire esce col suo spirito scientifico da qualsiasi argomentazione fantastica. Lui afferma
chiaramente che il mostro non è un essere umano. Non bisogna confondere il fatto che
nasca da una donna, con la sua specifica essenza: l’uomo scompare, è una scoria sulla
quale il mostro si è costruito e sviluppato. Egli scrive che quando nasce un mostro la
famiglia non vuole che nessuno lo sappia e la madre si continua ad interrogare sul perché.
Taruffi è il più importante studioso di teratologia italiano, diventa poi prof di anatomia
patologica; studia e scrive infatti molte anomalie della materia vivente.

La fine dei mostri?


Scomparso sul fronte medico-scientifico il concetto di mostro nel ‘900 non scompare né
dalla cultura né dall’immaginario e nemmeno riguardo alla disabilità. La parola verrà
ripresa coi fenomeni da baraccone. Si inizia a considerare il mostro come qualcosa che vive
all’interno dell’umanità. Nel corso del 900 il mostro umano continua a far paura e attorno
ad esso si costruiscono saperi scientifici approfonditi. Il mostro umano continua ad esistere
e continua a fare paura, ad essere stigmatizzato ma si comincia a percepire la disabilità
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come una forma possibile della vita umana ciò non significa che sono accettati. Ora ci si
preoccupa nel poter divenire mostri o nel poterli generare, così come afferma la filosofia e
Canguilhem che definì i mostri uno scacco alla vita e suscitano timore poiché ci riguardano
due volte, sia perché tale scacco avrebbe potuto prodursi in noi, sia perché tale scacco
potrebbe provenire da noi stessi.
Murphy pone la disabilità in una condizione di liminalità: chi è disabile non è né normale
né estraneo al mondo, né completamente rifiutato né accettato completamente.

5.L’epoca medievale e moderna

Geremek con i suoi studi sui marginali ci ha fornito molte informazioni sulla disabilità nel
medioevo e nell’età moderna. Per l’autore marginali e marginalità sono categorie ampie
che racchiudono anche l’idea di povero e debole; definiscono un processo più che una
realtà statica e stabilizzata.
- Marginalità indica una condizione sociale. A questa categoria appartengono persone
diverse: persone che anche se ai margini restano nel tessuto sociale.

L’elemosina e gli ospitali


Il terzo libro del codice giustinianeo Corpus Iuris Civilis, indica alcune restrizioni dei diritti
per le persone sordomute. Le persone con questa disabilità sono distinte in 5 categorie:
- I sordomuti dalla nascita, incapaci di capire ed esprimersi e privi di diritti;
- Chi è diventato sordo nel corso della vita e se è capace di leggere e scrivere è allora
titolare di diritti;
- I nati sordi ed eccezionalmente non muti e sono titolari di diritti;
- I diventati sordi ma in grado di parlare, titolari di diritti;
- I muti che comprendono, titolari di diritti.
Tale provvedimento si aggiunge all’impossibilità fino al XII secolo di sposarsi, se non col
l’ottenimento di una dispensa papale. Ciò rende evidente la percezione di queste persone
come sottoumani perché impossibilitati a esprimersi secondo i canoni ordinari. È ancora
Giustiniano che compie per primo una distinzione netta tra marginali che resterà fissa a
lungo nella storia, quella tra inabili e idonei al lavoro ma poveri. La questione riguarda
l’elemosina e l’accattonaggio.
I primi possono chiedere l’elemosina senza subire molestie perché inabili e impossibilitati a
guadagnarsi da vivere col lavoro. Giustiniano conferisce personalità giuridica alle pie
istituzioni che tutelavano i marginali inabili.
I secondi invece se trovati a mendicare commettono infrazione punibile col ritorno nella
condizione servile se erano liberi oppure con l’assegnazione obbligatoria di
un’occupazione. L’aiuto ai marginali e ai poveri è anche sostenuto dalla Chiesa. La carità, la
pietà, la misericordia e l’elemosina sono alla base del cristianesimo verso i poveri e i
marginali tanto che nascono ordini religiosi basati su questi valori. L’atteggiamento verso
questi individui diviene duplice:
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- è un obbligo religioso, morale e sociale sostenerli anche se queste persone sono


disprezzate e prive di dignità sociale proprio perché povere e mendicanti.
- Chi è inabile deve mendicare ed è lecito e accettato.
Anche il re Luigi IX noto come il misericordioso uomo di fede e poi divenuto santo, tra le
opere che lo portarono alla canonizzazione vi furono l’assistenza ai malati, poveri e
lebbrosi e la costruzione di ospedali.
Tra essi vi è la casa dei trecento, destinata ad ospitare i poveri ciechi di Parigi. È una delle
prime istituzioni destinate in modo specifico a persone con disabilità. All’epoca erano per
lo più gli ospedali ad accogliere i disabili, a curarli e aiutarli. Spesso questi luoghi avevano
connotazione religiosa. All’interno della casa dei trecento costruita nel 1260 venivano
ospitate persone cieche con almeno 16 anni e a condizione che fossero autonome e previa
cessione dei loro eventuali beni, con l’obbligo di compartecipare nella gestione della casa.
L’ammissione in teoria spettava al re anche se nella pratica la funzione la svolgeva il
cappellano: non venivano ospitate solo persone cieche ma anche uomini e donne legate
all’elemosina. Le persone ospitate dovevano pregare, assistere i condannati a morte prima
dell’esecuzione e la veglia funebre presso le famiglie che lo richiedevano. La principale
attività era però l’elemosina, i cui proventi venivano versati alla comunità. La raccolta
dell’elemosina durò fino al 1780 quando poi fu vietata per legge e agli ospiti della casa
allora fu versata una rendita in denaro fissa, stabilita in base alla situazione familiare. Per
l’elemosina le persone erano accompagnate da persone vedenti e indossavano un
uniforme della casa che li rendeva riconoscibili e rispettati ufficialmente. In tutte le città
europee si diffusero poi sistemi per rendere visibili i mendicanti tramite uniforme. Tali abiti
o segni, nati per attestare il diritto alla questua alla fine servivano per rendere riconoscibili
i mendicanti, liberano gli amministratori dal compito di fare veridiche sulla liceità del loro
operato e servono ad escludere coloro che non avevano diritto. Erano segni di distinzione e
sono divenuti poi segni d’infamia e di stigmatizzazione come lo erano i sonagli per i
lebbrosi. Con la casa dei trecento il legame tra disabilità, mendicità ed elemosina è
istituzionalizzato.
Sono soprattutto le strade, le piazze delle città e le chiese i luoghi del mendicare; qui
avviene l’elemosina dei privati ma anche ospitali o fondazioni o opere pie che ricevono e
distribuiscono donazioni. A chiedere l’elemosina erano i disabili. I disabili mendicanti si
ponevano in genere lontano dei luoghi malfamati e vicino a chiese o case di persone ricche
e usavano diversi modi per attrarre l’attenzione: pianto, grida, canti, strumenti, campanelli,
esposizione ed esagerazione della disabilità. Per questi mendicanti, che non potrebbero
vivere d’altro se non di elemosina, Geremek coniò i termini: povertà pensionata, mendicità
professionale, aristocrazia mendicante, poveri stipendiati. All’epoca, come già detto,
c’erano anche i poveri vergognosi, coloro che esageravano con l’esposizione della loro
menomazione tanto da associare lo storpio al mendicante.
L’elemosina è ritenuta un atto lodevole in quanto offre ai fedeli la possibilità di liberarsi dai
propri peccati; i mendicanti costituivano delle corporazioni ma allo stesso tempo dovevano
privarsi della dignità in quanto obbligati a vestirsi di stracci e ad umiliarsi davanti a tutti.
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Comunque sia i poveri rivestono un ruolo nella società.


Nel sistema vi erano anche i poveri con Lazzaro: soggetti non autorizzati moralmente e
socialmente alla questua che potrebbero lavorare, che sono fattore di disordine sociale,
che fingono menomazioni che non hanno.
La peste, l’aumento di vagabondi, le disgrazie lavorative e le malattie fanno crescere la
domanda ospedaliera così che insorgono delle leggi contro chi finge di avere menomazioni
disabilitanti. Per es, la città di Amburgo nel 1300 dichiarò l’impossibilità di entrare in città
anche ai finti infermi. Anche in Inghilterra viene proibita la questua ai non autorizzati. Si
diffonde così l’idea dei poveri reali e meritevoli e quelli non meritevoli che potrebbero
lavorare ma non lo fanno perché preferiscono vivere di carità.
Alla fine del ‘700 molti stati condannano qualsiasi forma di accattonaggio.
Nel Medioevo si diffondono anche alcuni trattati in cui sono riuniti diversi casi di disabilità
e si afferma la corrispondenza tra peccati e infermità. Il male corporeo non venne più visto
solo come indice di peccato ma presenza stessa del demonio nella persona. Martin Lutero
sostiene questo. Una dimostrazione concreta è stata la messa al rogo dei lebbrosi. Quindi
non è più Dio che manda flagelli ma è il diavolo che si insedia nel corpo dell’infermo.

La riorganizzazione della carità


Nel ‘500 il pauperismo coinvolge un quinto della popolazione europea. In particolare, le
crisi agrarie provocano carestie cui seguono delle epidemie: i contadini migrano in città, i
prezzi aumentano, la gente non mangia, si ammala, la domanda di assistenza aumenta, le
opere di carità non riescono a rispondere a tutte le domande. Si necessita allora la
costruzione di una politica sociale efficace.
Tra la fine del XV e l’inizio del XVII secolo, epoca dello stato moderno, viene elaborata una
nuova politica sociale e di istituzionalizzazione della beneficienza e vi sono trasformazioni
dell’atteggiamento sociale verso la povertà ed un’evoluzione dei discorsi e sensibilità
collettive in una nuova articolazione tra potere politico e religioso. Tra le riforme per es. vi
era quella degli ospedali (il più famoso l’hotel-dieu di Parigi), con una loro amministrazione
statale e una maggiore distinzione dei destinatari e delle funzioni sanitarie. Questa riforma
porta ad una maggiore partecipazione dei laici a fianco dei religiosi nella gestione delle
istituzioni. I provvedimenti però non comportarono sempre gli effetti sperati, le vie erano
ancora piene di poveri con Lazzaro. Inoltre alcuni ceti popolari erano contrari a queste
forme di pubblica assistenza. Nel 1530 l’imperatore del sacro romano impero Carlo V
raccomanda maggior vigilanza nelle città su mendicanti e vagabondi, ricordando che la
mendicità è concessa solo agli infermi e ai malati.
Enrico VIII emanò un censimento di poveri inabili e poveri abili al lavoro. Ai primi era
lasciato il permesso di mendicare, i secondi se trovati venivano frustati, multati e avviati al
lavoro coatto. A porre fine, in Inghilterra, alla responsabilità sui poveri da parte della
comunità trasferendola sulla famiglia sarà Elisabetta I. ella ha anche assegnato un ruolo
preciso allo stato nel campo dell’assistenza organizzata. La stessa con la Poor Law (1601)
formulò i primi principi dello stato assistenziale che si occupava delle persone povere,
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senza lavoro e anche senza assistenza familiare. Anche alcune città italiane dovettero
regolamentare la questua e la presenza dei mendicanti. Per es. Venezia in un periodo di
carestia e pestilenza fu talmente invasa dai mendicanti che dovette prendere delle misure
per espellere i mendicanti forestieri e arruolare in modo coatto i poveri validi nel settore
navale. In questo caso i pubblici poteri hanno preso piede nel campo dell’assistenza dei
poveri. In Italia lo scenario della mendicità per eccellenza è Roma, dove papa Pio IV fondò
nel 1561 una delle prime strutture di ricovero e cura dei malati, l’ospedale Santa Maria
della Pietà. Nonostante tutto in quest’epoca c’è un’esplosione di congregazioni di carità e
opere pie.

Tra assistenza e repressione


Tra la seconda metà del c’500 e nel ‘600 le vicende della disabilità si modificano
lentamente. È l’epoca della riforma protestante e della controriforma cattolica. Il “potere”
tuttavia, è ancora accentrato nelle istituzioni caritative e negli ospedali. Ora si parla di
streghe e vagabondi che devono essere scacciati dalla città; il mendicante e quello inabile
invece viene progressivamente inserito in un’assistenza più regolamentata (le strutture
diventano più specializzate in base all’utenza).
Così si realizzano le tre istituzioni che fan fronte all’emergenza poveri:
- Pubblici poteri;
- Opere di assistenza religiosa;
- Filantropia privata.
Le istituzioni si possono dividere in 2 categorie:
1. Quelle destinate al sollievo dei poveri (assistenza)
2. I dispositivi del controllo, come le case di correzione (workhouse) create in
Inghilterra nel 1576 per controllare: i malati di mente, gli individui socialmente
pericolosi, gli oziosi, i vagabondi ecc. (repressione).
Il sociologo francese Robert Castel definisce handicapologie: vecchi indigenti, orfani, storpi,
ciechi, paralitici, idioti; ossia tutte persone che non sono in grado di sostentare ai loro
bisogni poiché impossibilitati a lavorare.
Foucalt, studioso francese, che si basa molto sulla logica inclusione-esclusione, dice che:
- I mendicanti devono essere rinchiusi
- Sono stati creati degli ospedali-prigione dove i disoccupati vengono nutriti ma
perdono la loro libertà.
Tuttavia, non disponiamo di una raccolta dati e storica sufficiente per delineare il rapporto
con i poveri e inabili e la loro educazione.
In quest’epoca si delinea la figura di S. Vincenzo De Paoli e le sue opere caritative.
Il dato di fatto è che progressivamente l’assistenza verso i poveri si centralizza e il pubblico
prende il sopravvento sul religioso, ma quest’ultimo non scompare affatto. Riguardo a ciò
Simmel afferma che lo Stato si prende in carico la povertà. Tuttavia, allo stato compete
solo il minimo di sostentamento mentre alla beneficienza privata, la cura della dignità
personale.
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Inoltre, lo stato interviene quando c’è una situazione di bisogno sostenibile che minaccia il
benessere pubblico; la beneficienza si rivolge all’individuo che è degno di meritare
soccorso e non intende approfittare della generosità di colui che gli presta assistenza. Anzi
deve essere impossibilitato a sostenersi data la sua invalidità.

Le istituzioni militari
Sul tema degli invalidi di guerra scarseggiano fonti e materiali storici. Nel Medioevo le
prime forme di aiuto verso queste categorie sembra siano state disposte da Carlo Magno,
imponendo ai monasteri di dare ricovero a queste persone. Questi soggetti sono inseriti
nel circuito della carità e della beneficienza. È solo con lo sviluppo dello stato moderno e
dei meccanismi assistenziali che vengono create le grandi istituzioni militari destinate ai
soldati diventati invalidi. Nel 1685 nell’esercito piemontese venne istituito un fondo per
mantenere i soldati inabili e anziani e analoghe situazioni si sono verificate nelle due Sicilie:
i soldati non più idonei svolgono compiti di presidio e di ufficio all’interno
dell’amministrazione militare. Una delle prime istituzioni create per i soldati fu, oltre la
ormai nota casa dei trecento, istituisce ospizi per soldati diventati ciechi. Anche Enrico IV
creò una casa per gli ufficiali divenuti storpi o inabili. Nel 1633 Luigi XIII su proposta del
cardinale Richelieu fa costruire l’ospedale di Bicetre per accogliere i militari invalidi. Questa
istituzione sarà poi sostituita con l’Hotel des Invalides voluta da Luigi XIV che darà loro
anche una pensione. Napoleone Bonaparte doterà poi l’istituzione di una cospicua rendita
annua. Les invalides passano poi sotto il controllo del ministero della guerra.
Istituzioni simili si svilupperanno in:
- Inghilterra, Royal hospital di Chelsea per i veterani e gli invalidi di guerra
- Spagna, un ospizio con Carlo II
- Austria, Germania, Milwaukee (prima casa dei veterani degli stati uniti)
- Italia la 1° è istituita a Milano per veterani e invalidi di guerra.

Il sistema industriale e gli infortuni sul lavoro


Nel’700 l’accattonaggio si configura come reato e nascono istituzioni più specializzate:
ospedali, manicomi, depots de mendicitè e gli istituti educativi e di cura per alcuni tipi di
disabilità.
Nel 1700 la costituente della rivoluzione francese indicò l’assistenza come un dovere
sociale e la necessità dell’assistenza privata. Nel corso dell’800 con la riforma industriale, si
getteranno le basi per il successivo stato previdenziale. Si pone la questione del recupero e
di una messa al lavoro per i disabili educabili o correggibili, all’interno d’istituti educativi. Si
pone altresì la questione degli infortuni sul lavoro nel mondo industriale. Ramazzini nel
‘700 classifica le possibili malattie e infortuni in alcune categorie professionali.
Si parlerà sempre più di rischio professionale, da allora in poi. Questi cambiamenti
porteranno a una riformulazione del concetto di disabilità come prodotto della società. In
quanto le cause di ognuno di questi infortuni sono particolari. Da quel momento il corpo
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menomato non è più esito di una catastrofe naturale, di una colpa ma è un corpo
danneggiato dai meccanismi sociali. Nel mondo industriale vi sono:
- la produzione della disabilità;
- lo sfruttamento di alcune categorie di disabili nel sistema fabbrica;
- la diffusione della modalità del lavoro standardizzato che esclude alcune categorie
di disabili.
Da quest’epoca in poi sarà il lavoro il vero metro di giudizio sulla persona e il disabile sarà
colui che non può lavorare. Sono le macchine che producono disabilità. Il confronto uomo-
macchina implica anche il potere di quest’ultima sul corpo del lavoratore: si registrano
infatti molti infortuni e morti sul lavoro.

La codificazione della disabilità intellettiva

Nell’800 spesso le disabilità intellettive non sono ancora codificate tanto che vengono
confuse con le malattie psichiatriche. Anche Locke aveva parlato di persone con gravi
patologie intellettuali e psichiche e le aveva catalogate come una specie intermedia tra
l’animale e l’uomo. Al contrario Leibniz li collocava tra gli uomini affermando quanto fosse
errato fermarsi solo alla loro esteriorità ma andava considerata anche la loro interiorità.
Una prima distinzione tra le malattie mentali fu fatta nel Medioevo tra i pazzi di nascita
(ritardati mentali) e i lunatici (malati mentali). La prima distinzione tra malattia mentale e
disabilità intellettiva ovvero incapacità del normale apprendimento avviene con la nascita
della pedagogia speciale.
Con Itard e Pinel sembra che le disabilità psichiatriche e congenite prendano due strade
diverse anche in termini di trattamento, nonostante si trovino negli stessi ospedali.
Si può pensare che nel corso della storia i disabili mentali abbiano per lo più vissuto in città
(come accattonaggio, vagabondi...) e villaggi o negli ospedali (gli istituti educativi erano
solo per gli infanti). La situazione di vita di queste persone non cambierà molto nemmeno
con l’apertura dei primi istituti educativi. Perché solo un numero ristretto di disabili
intellettivi vi accedeva. La maggior parte di queste persone veniva invece rinchiusa in
manicomi. All’inizio del XIX secolo si diffondono le prime diagnosi mentali di ritardo e i
primi studi circa la disabilità in ambito medico-sociale.
Lo psichiatra Esquirol nel 1818 identifica per la prima volta la nozione di ritardo mentale a
cui dà il nome di idiozia indicando un ritardo nello sviluppo intellettuale che è possibile
osservare e constatare, un ritardo le cui origini sono organiche, un ritardo incurabile. È
proprio contro quest’ultimo aspetto che si sviluppò poi il pensiero pedagogico circa la
disabilità mentale. Così nella seconda metà dell’800 si sviluppano anche i primi istituti
educativi.
Uno dei primi esperimenti di cura per questi disabili avvenne ad Abendberg per opera del
medico svizzero Guggenbul. Creò una clinica per curare bambini colpiti da cretinismo
(malattia esito della cattiva qualità dell’aria) e da altre disabilità fisiche e mentali. L’intento
era risvegliare l’anima mediante cure del corpo (Es: alimentazione) e la pedagogia
finalizzata a migliorare le capacità intellettive e la motricictà. Attorno a quest’esperienza se
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ne svilupperanno altre in tutt’Europa e molto simili. Gli istituti avranno sempre più il fine di
accogliere queste persone secondo una prospettiva pedagogica di recupero e di
valorizzazione delle capacità. Tuttavia, alcune di queste istituzioni purtroppo avranno una
matrice ben differente perché di tipo asiliare, sottesa da un pessimismo verso il recupero
di queste persone e un’idea fondativa di separazione dalla società dei normali.
Nel 1866 il medico inglese Down nell’articolo Osservazioni su una classificazione etnica
degli idioti scoprì l’omonima patologia. Secondo lui si trattava di una degenerazione della
razza bianca verso quella gialla. Secondo lui l’idiozia mongoloide ha cause genetiche e non
è mai conseguenza d’incidenti durante la gravidanza. Poi nel 1959 venne scoperta la
trisomia, accantonando così il discorso sulla razza. Down afferma che questi individui
possono migliorare a parlare ma non a coordinarsi.
Tuttavia, le disabilità più leggere si riscontrano solo quando i bambini vanno a scuola.
La disabilità intellettiva si codifica come un insieme di:
- medicine del corpo e della mente, i saperi della pedagogia speciale, i dispositivi
dell’ordine e dell’organizzazione sociale.
A partire dall’inizio del XX secolo il ritardo mentale viene definito in base a due criteri
indipendenti:
1. Il livello intellettuale. Il livello intellettivo è misurabile col q.i. (creato nel 1905 da Binet
e Simon sulla base di una serie di test su un campione di scolari parigini). Il q.i. è il
rapporto tra età mentale ed età anagrafica. Il concetto sarà poi ripreso dallo psicologo
Stern e da Terman che relaziononano anch’essi l’età mentale con quella cronologica.
2. L’adattamento sociale.

Darwinismo sociale e degenerazione


Quindi nell’800 si inizia a parlare di forme di educazione e messa al lavoro della persona
disabile; si scindono definitivamente disabilità fisica da quella psichica, la percezione del
disabile fisico comincia ad uscire da alcune formulazioni che lo indicavano come un
mostro. Le diverse forme di disabilità iniziano a codificarsi e a distinguersi nettamente
all’interno dei saperi scientifici, medici e pedagogici.
Spencer porta su un piano sociale la concezione darwinistica secondo una filosofia che la si
può definire: “la legge del più forte”; si privilegiano i soggetti più adatti a collocarsi
nell’ordine sociale e la società non si può fare carico della protezione dei più deboli e
quindi bisogna espellerli.
Comte, invece, considera il patologico come dimensione che deve essere governata e
controllata dalla società.
Nell’800 il patologico viene studiato da:
- Igienismo;
- Antropologia;
- Psichiatria. Queste ultime due studiano le predisposizioni costitutive (psico-fisiche)
dei delinquenti. In particolare, Cesare Lombroso con l’uomo delinquente fa
diventare la degenerazione uno dei concetti chiave per la società.
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Quindi gli alcolisti, i microcefali, idioti, cretini, epilettici e rachitici rientrano nel concetto di
degenerazione sociale. Come se in queste persone ci fosse il male-colpa e l’anti-socialità.
In quest’epoca, afferma Foucault, nasce un razzismo contro l’anormale, contro gli individui
portatori di uno stigma i quali possono trasmettere le loro caratteristiche alle generazioni
successive.
6.Educare, istruire, raddrizzare
Aristotele nella metafisica indicava la possibilità che solo chi era provvisto dell’udito
poteva apprendere. Plinio racconta invece la vicenda di Quinto Pedio, persona sordomuta
e nipote dell’omonimo console. Il ragazzo non potendo frequentare le scuole ordinarie fu
avviato ad un percorso di educazione artistica relativa alla pittura cui fece progressi. È
comunque necessario attendere il 500 per assistere allo sviluppo delle prime elaborazioni
di forme di educazione e istruzione centrate sulle persone disabili.
Queste sono le tappe dello sviluppo della pedagogia speciale:
1. Lo sviluppo di metodi educativi per sordomuti nel 500
2. Per persone cieche dal 700
3. Per disabili intellettivi nell’800
4. Per disabili fisici nel 900.
Nel 900, con la crescita e consolidamento del welfare state, si assiste allo sviluppo di
sistemi di istruzione pubblica per persone con disabilità e in Italia avvenne il passaggio
dalle scuole speciali alle classi differenziali, fino alla legge del 1978 che colloca gli alunni nel
percorso ordinario di istruzione. Tuttavia, ancora una volta, non ci sono moltissime fonti
riguardo lo sviluppo della pedagogia speciale.

Educare i sordomuti
Per quanto riguarda questa istruzione vi sono due correnti di pensiero divise sulle sue
origini.
- Secondo la prima delle formulazioni teoriche su questo tipo di educazione vi erano
già dalla fine del 400.
- L’altra corrente invece considera non la teoria ma le prime applicazioni
concretamente insegnate. Il 1° caso fu quello realizzato da Ponce de Leòn, un
monaco benedettino incaricato dell’istruzione dei figli sordomuti di alcune famiglie
nobili. L’operazione gli riesce e da quel momento diventò l’educatore dei sordomuti.
Alcuni suoi allievi arriveranno anche a sostenere discorsi pubblici di astronomia,
fisica e logica. A questi maestri si riconoscono le abilità pedagogiche e la dedizione
umana. Viene anche evidenziata la bravura degli allievi in grado di riabilitarsi,
rinobilitarsi e di ritornare alla dignità del genere umano. Anche i giornali davano
peso all’educazione dei sordomuti e lodavano i benefattori o filantropi che
sostenevano la loro educazione. Il metodo Ponce era orale e progressivo, partiva
dalle lettere e sillabe e preliminarmente partiva dall’apprendimento dei caratteri
della scrittura. A Ponce si devono anche alcune esperienze di lettura del labiale.
Anche altri personaggi predecessori di Ponce parlarono e difesero i sordomuti.
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Girolamo per es. affermò che anche i sordomuti possono apprendere il Vangelo per
mezzo dei segni, mentre Bartolo da Sassoferrato mise per prima in discussione gli
articoli del codice giustinianeo che sancivano giuridicamente l’inferiorità dei
sordomuti.
La prima formulazione teorica sulla possibilità di istruire i sordomuti è del medico
Gerolamo Cardano afferma la possibilità di istruire i sordomuti poiché per comprendere
un concetto non è necessario né l’udito né la vocalizzazione. Il suo metodo educativo
indica la possibilità di tradurre il pensiero in scrittura.
Alberti, conferma che la mancata espressione orale non è dettata dalla menomazione
dell’organo vocale.
La formalizzazione scritta del primo metodo educativo per sordomuti è dello spagnolo
Bonet che nel 1620 scrisse un volume sull’arte di insegnare ai muti usando un alfabeto
semplificato, senza alcune lettere.
Nel tempo si affermeranno sempre più due metodi contrapposti:
- quello orale basato sull’educazione alla parola
- quello gestuale basato sull’educazione ai segni, supportato da Wallis e Holder e che
prevale nell'800.
Le esperienze di Ponce e Bonet si basarono sul metodo orale che si diffonde anche in Italia.
In Inghilterra si diffuse anche il metodo della lettura labiale per merito di Bulwer. Molto
importante sarà anche il metodo proposto dal pedagogista e medico svizzero Amman. Il
suo metodo Surdus loquens si sviluppa a patire da considerazioni mediche relative agli
organi di senso e alla fonetica. Amman affermava che nell’essere umano la capacità di
parlare è innata e si attiva solo grazie agli stimoli dell’udito, un meccanismo che le persone
nate sorde non possono attivare. Nei suoi studi insegnò ad alcuni ragazzi prima a sentire il
ritmo respiratorio e poi ad emettere alcuni suoni, per poi apprenderne alcuni specifici quali
le vocali e poi le consonanti e via via verso i gruppi fonologici sempre più complessi e vicini
al parlato. Amman sottolineò nel suo metodo l’importanza dell’osservazione e imitazione
per cui l’allievo ricorreva anche al senso della vista, osservando la pronuncia dei suoni da
parte del maestro, usando anche il senso del tatto toccando gola, labbra e bocca del
maestro per percepirne le articolazioni. Dopo aver insegnato il parlato, insegna la lingua,
poi la lettura, la scrittura e tutte le altre discipline. Il metodo Amman si diffuse
progressivamente anche in Italia, benché venga anche talvolta contestato dai sostenitori
del metodo gestuale che lo considerano troppo dispendioso. Tra i sostenitori del metodo
gestuale vi fu l’abate de l’Epée, che nel 1771 avviò a Parigi la prima scuola pubblica per
sordomuti: fino ad ora infatti questa pedagogia era ad appannaggio solo delle persone
provenienti dalle famiglie di ceto elevato. Egli formalizza il suo metodo in cui ogni parola
viene definita da segni convenzionali. Il lavoro di de l’Epee si diffuse progressivamente in
tutt’Europa e negli USA e con lui anche le relative scuole pubbliche per i sordomuti e il suo
metodo. Nel 1784 sorse a Roma la prima scuola per sordomuti in Italia sotto il controllo del
Vaticano. Il sacerdote Silvestri fissò un suo metodo, che prevedeva a combinazione del
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metodo gestuale e la lettura del labiale. In Italia e in Europa aumentò sempre + un forte
contrasto tra le due differenti pedagogie.
Nell'800 in Italia c'erano oltre 40 istituti per sordomuti in cui era presente del personale
educativo femminile che, spesso, non viene citato nelle raccolte.
A Milano si tenne un convegno di 6 giorni con ben 230 partecipanti educatori da tutto il
mondo i quali appartenevano a diversi gruppi orale-gestuale.
A Milano si tenne un convegno importante per i sordomuti in cui si discusse del metodo,
conflitti con la società e varie questioni pedagogiche.Secondo i sostenitori del metodo
orale, il parlato è il privilegio dell’uomo, il tramite unicamente sicuro del pensiero e il dono
stesso di Dio. Il parlato veniva considerato l’unico mezzo per il sordo per integrarsi
definitivamente nel genere umano e uscire dalla stigmatizzazione che lo declassa.
Secondo questi sostenitori invece il metodo gestuale farebbe permanere il sordomuto in
una condizione inferiore e quasi animalesca.
I sostenitori del metodo gestuale invece affermavano che, benché questo fosse più
specifico risultava anche più immediato e più rapido e accessibile al maggior numero di
persone.
Il congresso di Milano preferì la parola al metodo gestuale. Tuttavia, i gesti da eliminare
riguardavano quei gesti convenzionali con cui Epee volle inventare una nuova lingua.
Ad oggi ci sono ancora dibattiti circa questi due metodi.
Tuttavia, l’educazione dei sordi è tra le prime del mondo della disabilità ad entrare nel
sistema educativo italiano.

Educare i ciechi
Le istituzioni a favore delle persone cieche sono state le prime ad essere attivate e create,
tuttavia la riflessione sulla possibilità concreta di una loro educazione è piuttosto tardiva,
anche rispetto all’educazione dei sordomuti. Per secoli, la prima questione è quella di
trovare un sistema di comunicazione alternativo alla scrittura come mezzo per accedere
alla conoscenza. La soluzione tecnica a questo problema si avrà solo sul finire del 700 con
l’idea delle lettere in rilievo che porterà poi successivamente al Braille.
Uno dei metodi del passato fu ideato dall’abate de Terzi che aveva inventato un sistema di
fili intrecciati e annodati che rappresentavano le lettere dell’alfabeto. Mentre il francese
Moreau aveva intentato un sistema di lettura fondato sulla combinazione di lettere mobili.
Le considerazioni circa le modalità di educazione dei ciechi si sviluppano nel ‘600
all’interno di considerazioni generali.
Molyneux sostiene che quanto si è appreso con l’esperienza tattile non può essere
immediatamente conosciuto se si riacquisisce la vista.
Vi furono anche ipotesi e dissertazioni filosofiche in merito alla cecità, per es. il sostenitore
del sensismo Condillac affermò che le persone cieche giungono ad una forma di
conoscenza, però con rappresentazioni e conoscenze diverse rispetto ai vedenti. Ciò che
conoscono i ciechi non lo conoscono i vedenti e viceversa.
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Diderot in “lettera sui ciechi per quelli che ci vedono” afferma che nella mente di un cieco
non succede niente di analogo a quello che succede nella nostra e, chi diventa cieco
dovrebbe tacere nel mondo dei ciechi. La conoscenza del vedente, in queste considerazioni
filosofiche, risultava superiore a quella dei ciechi.
L’inaugurazione di un metodo e l’apertura della prima scuola per ciechi si devono a
Velentin Hauy. Aprì nel 1785 a proprie spese una scuola gratuita per giovani ciechi in
condizioni di miseria di Parigi. Qui sperimentò per la prima volta su un giovane il sistema
dei caratteri mobili in rilievo. A partire da quest’esperienza fu avviato a Parigi l’istituto
nazionale dei giovani ciechi tra cui studierà ed entrerà a 6 anni Louis Braille.
Nel 1791 l’istituto dei ciechi e quello dei sordomuti venne nazionalizzato e posto sotto
l’autorità del ministero degli interni che si occupava di istruzione pubblica. Nel 1795 la
scuola si prepara all’avviamento professionale delle persone cieche. Nel corso del 1800
l’istituto, a causa di una crisi economica generale, viene posto sotto il controllo della casa
dei trecento e perde il suo spirito e finalità educativa, le attività principali giornaliere
divennero lavorative (manifattura all’interno di una filanda). A seguito di queste misure
Hauy abbandonò l’istituto e andò ad insegnare in Russia e poi a Berlino. Nel corso dei primi
tre decenni del ‘800 sono stati avviati istituti per ciechi in tutta europa e negli Usa. Hauy
utilizza i caratteri in rilievo e aveva stilizzato al massimo le lettere e aveva eliminato le linee
intermedie che rappresentavano, al tatto, fonte di disturbo. Il tedesco Klein mise a punto
un sistema basato su lettere tracciate da linee tratteggiate, poi venne inventato il metodo
del cubaritmo di Ballay, basato su cubetti di piombo in rilievo, divenuto poi un sussidio per
lo studio dell’aritmetica da parte dei ciechi.
Il primo sistema che adottò i punti per rappresentare le lettere lo si deve a Barbier. Lui
inventò un codice composto da 12 punti per rappresentare le diverse linee dell’alfabeto.
Luois Braille, diventato accidentalmente a tre anni cieco frequentò l’istituto parigino prima
di diventarne un insegnante. Braille riprese il metodo e il sistema di Barbier
semplificandolo ulteriormente e portando i punti al numero di 6, e compose un sistema di
comunicazione formato da 64 segni. Ogni lettera è composta da un numero variabile di
punti in rilievo che occupano uno spazio ben definito. Nel 1846 venne inventata da Ravizza
la prima macchina da scrivere per ciechi. Così le scuole per ciechi hanno un ruolo educativo
e una funzione sociale in cui nascono esperienze pedagogiche importanti.
In Italia tra le figure di maggior rilievo per questa disabilità è Augusto Romagnoli, la prima
persona cieca a laurearsi in lettere e filosofia e ad occupare una cattedra nella scuola
pubblica di Bologna. È il primo in Italia ad affrontare la questione educativa dei ciechi. A
partire dalla sua esperienza negativa all’interno dell’istituto dei ciechi, Romagnoli sostenne
in introduzione all’educazione dei ciechi che la menomazione non modifica le capacità
psichiche dei ciechi. Romagnoli pone l’educazione dei ciechi come forma di riscatto
personale, all’interno di una concezione in cui queste persone sono da considerarsi come
completamente uomini, con aspirazioni, difficoltà e ansie uguali a quelle di tutti gli altri.
Inoltre, preconizza un percorso educativo per gli alunni ciechi insieme ai loro coetanei ma
sostiene che i tempi per queste modalità non sono maturi.
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Educare i disabili intellettivi


In Francia nella regione dell’Aveyron nel 1797 viene ritrovato un ragazzo selvaggio, viene
catturato nel 1800. Viveva come un primitivo, nudo e si muoveva come un quadrupede.
Non parlava, non aveva alcuna forma di linguaggio, emetteva solo delle stridule urla.
Ritenuto sordomuto fu affidato alle cure dell’abate Sicard, direttore dell’istituto parigino
dei sordomuti fondato da de l’Epee. Su tale caso esiste una letteratura abbondante in
quanto è stato un caso su cui si sono mosse correnti filosofiche, pedagogiche, sociali,
antropologiche e psicologiche. Le riflessioni dell’epoca confluiscono nel concetto del buon
selvaggio simbolo di un’umanità sgombra dalla civiltà e buona per natura. L’espressione
buon selvaggio è stata coniata da John Dryden. Rousseau, nell’Emilio afferma che educare
un ragazzo disabile è sinonimo di perdita di tempo e di valori. Del ragazzo selvaggio si
occupò anche Pinel, medico considerato fondatore della psichiatria moderna poiché
introduce un approccio scientifico alla malattia mentale in contrapposizione alle
considerazioni magiche e superstiziose, religiose precedenti. Secondo Pinel queste
persone, in quanto malate vanno curate e internate in istituti specifici e non in modo
arbitrario ma a partire da valutazioni mediche. Secondo Pinel il ragazzo ritrovato è un
ritardato mentale irrecuperabile. Nel 1801 il giovane è affidato al medico Itard che
discordò con quanto affermato sul ragazzo da Pinel. Non lo considerò né un ritardato
mentale né un idiota ma semplicemente un ragazzo con un grave ritardo mentale e
affettivo dovuto alle condizioni in cui era cresciuto. Itard darà al ragazzo il nome di Victor e
il suo percorso educativo di 5 anni portò a delle evoluzioni nel ragazzo. Il cruccio di Itard
sarà quello di non essere riuscito ad insegnargli a parlare. Il lavoro di Itard sarà fondativo
per la pedagogia dei disabili intellettivi. Per Itard ciò che conta è l’esperienza dalla quale
nasce il linguaggio dei segni e la combinazione di quest’ultimi genera conosenza. Itard vede
nell’azione educativa lo strumento per la costruzione della libertà (Rousseau=uomo essere
libero).
Itard aveva fissato questi obiettivi educativi per Victor:
1. Inserirlo nella vita sociale;
2. Riattivare la sua sensibilità umana, risvegliandola tramite stimoli appositi;
3. Estendere le sue idee, suscitando in lui nuovi bisogni e moltiplicando i rapporti con
l’altro;
4. Insegnare l’uso della parola;
5. Sviluppare alcune operazioni intellettuali dapprima concrete poi più astratte,
lontane dall’istinto e dall’immediatezza.
Anche gli allievi di Itard e Pinel si posero nelle stesse posizioni contrapposte dei loro
maestri (Seguin e Esquirol). Lo psichiatra Esquirol sosteneva, come il suo maestro, che gli
idioti fossero incurabili. Seguin invece, al contrario, sosteneva l’educazione integrale dei
suoi pazienti e che le idee non provengono solo da sensi ma che si educa a partire
dall’individuo e dalla sua storia medica- biologica. Le idee poi rivitalizzano le funzioni
cerebrali, sensoriali, muscolari e il pensiero. Seguin è considerato anche il fondatore dei
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metodi attivi. Secondo lui bisognava considerare il bambino con le sue disfunzioni ma
pensando al possibile. Nella sua impostazione prevale l’approccio medico basato sulle
condizioni di cure mediche, igieniche migliori. Lavora molto sui sensi e utilizza dei giochi
come le costruzioni che sono la fase di avvio per l’apprendimento della lettura e della
scrittura. Nella pedagogia di Seguin conta moltissimo anche il contesto in cui il bambino è
inserito, sia nella relazione con l’educatore sia nelle attività del bambino (attività di cura
delle piante e degli animali). Parallelamente in Italia sono aperti degli istituti divenuti poi
case di ricovero. Le prime attività educative per disabili intellettivi prendo avvio per opera
di Gonnelli Cioni nel 1889 a Chiavariin un istituto per franestetici. Fu lui il primo
pedagogista italiano che si occupò di disabilità intellettiva e scrisse molti libri tra cui
educhiamo i deboli di mente. Cioni coinvolge i bambini in attività educative e ludiche e
sostiene l’importanza delle potenzialità insite nel contesto, ambiente, persone e famiglia
che circonda il bambino.
In questo scenario si colloca Sante De Santis fondatore della NPI e dei primi asilo-scuola
per bambini deficienti a Roma. Introdusse per ogni allievo una cartella biografica.
Anche la Montessori si occupò di bambini con ritardo mentale, fu proprio a partire dai suoi
studi su questi bambini che estese il suo metodo a tutti. La Montessori, come Seguin,
sviluppò le “case dei bambini” e un metodo basato sul rispetto, sull’incoraggiamento e
sull’affetto come motori del rapporto educativo. Complessivamente il metodo della
Montessori si basava su una personalizzazione dell’intervento pedagogico con questi
bambini ed era un metodo pluridisciplinare (materie medico, neurologiche, biologiche,
igieniche, educative). La Montessori divenne direttrice della scuola magistrale ortofrenica
ed è fiduciosa nei miglioramenti per questi bambini.
Lei mette al centro del suo progetto il bambino con disabilità intellettiva e la sua possibilità
di un’evoluzione complessiva. Inoltre, valorizza la relazione che c’è tra bambino e
educatore. Montessori insiste sull’importanza di una preparazione specifica degli ed. e
sulla costruzione di progetti educativi.
Negli anni 30 Vigotskij affermò l’errore della pedagogia speciale di costruire scuole
separate per i bambini con disabilità e la necessità della loro partecipazione al circuito
formativo e al contesto sociale. Egli pone al centro l’imperfezione sociale della persona
come risultante tra la menomazione e la posizione sociale dell’individuo menomato.

Raddrizzare
La pedagogia rivolta alle persone con disabilità fisica è la più tardiva. Si sviluppa solo nella
seconda metà dell’800. I primi istituti nacquero non con intenti pedagogici ma con fini di
normalizzazione in vista di una possibilità produttiva di questi soggetti; spesso questi
soggetti venivano poi collocati all’interno dell’assistenza pubblico-privata e della mendicità.
Nonostante i progressi della medicina, la regina delle discipline attorno a cui si costruirono
le prime istituzioni per i disabili fisici fu l’ortopedia. Termine coniato nel 1741 dal medico
francese Andry. Questo la definisce come: arte di prevenire e correggere le deformità del
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corpo nei bambini; il tutto con mezzi alla portata di padri, madri e di tutte le persone che
devono allevare dei bambini.
Verdier crea un istituto in cui sono accolti bambini con alcune deformità e sostiene che
serva una pedagogica il cui fine è quello di mitigare l’infermità di queste persone.
Nel corso dell’800 e dei primi del 900 il fine era quello di raddrizzare e non solo il fisico ma
anche la morale di queste persone, la loro posizione sociale e la loro partecipazione ai
processi produttivi.
Oltre all’ortopedia fece grandi passi anche la fisiologia e la protesica.
Il mondo militare si occupò di infermi soprattutto guardando alle cattive condizioni di
salute della popolazione maschile che non risulta idonea al servizio militare. Cesare
Lombroso scriverà circa i riformati di leva a causa della loro inabilità corporea.
Sarà solo nella 2° metà dell’800 che sorsero i primi istituti per disabili fisici. A Torino con
Ernesto Ricardi di Netro si avviò la prima scuola per rachitici, deformi e poveri di entrambi i
sessi, per dare loro un’istruzione elementare e combattere la malattia attraverso cibo sano
e cure mediche. Molti dei pazienti traggono giovamento dalle cure e attività svolte e
migliorano le loro condizioni, entrando poi nel mondo del lavoro o nelle scuole municipali.
Gaetano Pini fonderà un istituto simile a Milano. L’esempio torinese è imitato a Parigi e
Bruxelles.

Pubblica istruzione e disabilità


La pubblica istruzione prende avvio in Italia con la legge Casati del 1859 ed è
successivamente oggetto di leggi (es: Coppino-Orlando) che ne rafforzano l’impatto.
L’intervento diretto dello Stato a favore dell’istruzione delle persone disabili prende avvio
negli anni successivi alla prima guerra mondiale. Si inizia a parlare di integrazione, invece,
nel dopoguerra.
Il sistema educativo italiano per i disabili prende avvio e si sviluppa con velocità differenti
in base alle diverse menomazioni. La prima riforma del sistema scolastico italiano è
operata da Giovanni Gentile nel 1923-1962 e riguardò i sordomuti e i ciechi senza altre
anormalità, estendendo l’obbligatorietà dell’istruzione nelle scuole ad essi riservate. Per i
sordomuti l’obbligo venne esteso ai 16 anni. Per i fanciulli anormali furono previste delle
classi differenziali (mai realizzate concretamente). Per realizzare l’assistenza educativa per
questi bambini si prevedeva uno stanziamento pubblico e un versamento comunale in
base alla menomazione e al suo giudizio tecnico, che era suscettibile di cambiamenti e
correzioni.
Due anni dopo:
- viene concessa l’istruzione al corso superiore dell’istituto magistrale ai ciechi;
- Il preside deve allontanare chi ha malattie contagiose o ripugnanti.
- I mutilati o invalidi possono, in seguito a una valutazione della commissione, essere
esenti totalmente o parzialmente dalle prove. (es: si faceva spiegare a voce chi non
poteva mettere in pratica o per iscritto l’oggetto in questione).
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Nel testo unico del 1928 si previde l’obbligo dell’istruzione elementare e post-elementare
per ciechi e sordomuti e che gli insegnanti di tali alunni fossero formati in apposite scuole
di metodo. Era la prima volta che si pose la questione di una formazione specifica per gli
insegnanti, anche se concretamente questa disposizione non venne applicata.
Poi, si prevede che:
- I ciechi fino alla terza elementare frequentano l’istituto dei ciechi poi le scuole
pubbliche comuni.
- L’obbligo dell’istruzione dei sordomuti si assolve negli istituti o nelle scuole
elementari esclusivamente riservate ai sordomuti.
Il testo unico prevede anche che:
- Istituzione di scuole magistrali ortofreniche o corsi di cultura per gli insenanti
elementari che operano nelle classi differenziali sulla fisiologia dello sviluppo fisico e
psichico. Questi corsi devono essere riconosciuti dal Ministero.
- Il maestro dopo aver avuto il dubbio su qualche anomalia psichica del bambino può,
su parere conforme dell’ufficiale sanitario, proporre l’allontanamento definitivo
dell’alunno al direttore il quale lo indirizzerà verso classi differenziali o istituti di
cura.
Nel 1934 le scuole elementari passano dalla giurisdizione comunale a quella statale e così
anche per le scuole speciali istituite dai comuni e dagli enti. Si stabilirono delle convenzioni
tra lo stato e gli enti o i comuni per la suddivisione degli oneri:
- allo Stato andò l’onere del compenso degli insegnanti;
- al comune la spesa per i locali e il loro funzionamento.
Con la creazione delle scuole speciali, riconosciuta solo per le disabilità sensoriali, si chiude
un periodo definito dagli storici “dell’esclusione” poiché fino a quel momento l’esclusione
era deliberata sia per legge che nella prassi quotidiana comune.
Ad oggi l’art.38 Cost.prevede il diritto all’educazione e all’avviamento professionale per gli
inabili e i minorati.
La legge del 1952 previde la statalizzazione delle scuole elementari per ciechi. La legge
istituì scuole elementari statali speciali con servizi di sostegno per l’assolvimento
dell’obbligo scolastico dei bambini ciechi.
Nel 1953 fu emanata una circolare ministeriale che fece chiarezza sulla distinzione tra
classi speciali e classi differenziali:
- Nelle classi speciali viene impartito l’insegnamento elementare ai fanciulli aventi
menomazioni fisiche o psichiche, sono anche istituti che adottano speciali metodi
didattici per disabili. Es: scuole Montessori.
- Le classi differenziali non sono invece istituti a sé stanti ma funzionano presso le
comuni scuole elementari e accolgono gli alunni nervosi, tardivi, instabili, che non
apprendono coi metodi d’insegnamento comuni e con la norma dei ritmi
d’insegnamento.
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Un decreto del Presidente della Repubblica nel 1961 istituisce la fase della
medicaizzazione con la medicina scolastica. Questa garantisce assistenza sanitaria
all’interno delle scuole speciali.
La circolare ministeriale del 1962 pose per la 1° volta in Italia la questione dell’integrazione
scolastica in merito alla scuola elementare. Una successiva circolare ribadisce la necessità
di una formazione specifica per gli insegnanti delle scuole speciali. La segnalazione della
minorazione sarà compito dell’insegnante stesso, con una relazione scritta del direttore
didattico, il quale, dopo conferma medica, invierà il bambino alla scuola corrispondente.
Nello stesso anno viene emanata una legge che finanzia:
- Istituzione di scuole speciale per minorati psicofisici e per la loro rieducazione;
- Incremento delle classi differenziali elementari e dell’assistenza igienico-sanitaria e
didattica.
Nel 1963 vennero istituite anche nelle scuole medie le classi differenziali, chiamate classi di
aggiornamento poiché affiancate alle altre classi, previo parere di commissioni
medicopsico-pedagogiche. Nel 1963 una circolare spiegò la possibilità di un futuro
inserimento del percorso scolastico comune dopo il periodo passato nelle classi
differenziali.
Nel 1968 è istituita la scuola materna statale e anche per questo ordine sono istituite
scuole speciali secondo e disposizioni delle elementari.
Negli anni 70 si apre la fase dell’inserimento che ha impulso dalla legge quadro sulla
disabilità del 118/1971 e grazie al clima contestatore delle istituzioni totali. Si avvia un
processo che porterà ad un percorso comune per tutti gli alunni.
La legge afferma che:
- Istruzione obbligatoria avviene nelle classi normali della scuola eccetto per i disabili;
- Le classi speciali (elementari e medie) sono fruibili quando si accerta che non si può
frequentare la scuola dell’obbligo.
Però escluse ancora dal circuito ordinario gli alunni con disabilità gravi. Previde però il
trasporto gratuito casa-scuola a carico dei patronati l’eliminazione delle barriere
architettoniche nelle scuole, l’assistenza nell’orario scolastico per i disabili più gravi.
Per la prima volta la legge tocca anche le scuole superiori e l’università.
Il decreto 416 del 1974 parla di recupero e sostegno e di una partecipazione delle famiglie
alla vita scolastica. Inoltre, si precisa l’età per la frequentazione della scuola materna (3-6
anni) e si afferma di voler abolire le classi speciali e differenziali.
Nel 1975 viene istituito l’osservatorio permanente dell’handicap che sostiene una
maggior qualifica degli insegnanti degli alunni disabili e si precisa il bisogno di lasciare
attive le scuole speciali.
La legge dell’agosto 1977 stabilisce i presupposti dell’integrazione scolastica che però non
vengono risolti tutti.
Nel 1978 norma sull’abbattimento delle barriere architettoniche.
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Con la riforma sanitaria del Sistema sanitario nazionale del dicembre 1978 le USL devono
intervenire nelle attività di cura e riabilitazione in sinergia con la famiglia, scuola e
collettività per dar vita al piano educativo individualizzato nel 1983.
La circolare ministeriale del 1979 fece chiarezza sul ruolo dell’insegnante di sostegno e sul
suo rapporto con la classe, definendolo non più sottordine rispetto all’insegnante di classe
e che deve far parte e partecipare al collegio docenti. Questi insegnanti devono essere
specializzati e, all’epoca, non tutti lo erano.
La legge del 1981 sancì definitivamente l’inesistenza del diritto dell’alunno disabile grave
ad essere accolto nelle scuole comuni e la possibilità di rifiuto in relazione alla gravità. Nel
1988 però fu definitivamente sancito il diritto anche dei disabili gravi ad essere inseriti
nella scuola comune di ogni ordine e grado e di fruire di cure e sostegni adeguati a un
concreto inserimento nella classe finalizzato al più alto grado di apprendimento e alla
socializzazione. Con la legge 104 del 1992 viene messo al centro il soggetto disabile e:
- Inserimento di dis.ai nidi con relativo adeguamento di insegnanti e spazi;
- Diritto alla frequenza esteso fino all’università;
- Realizzazione di un profilo-dinamico-funzionale per formulare un piano educativo
individualizzato insieme ai genitori, USL, insegnanti e insegnante operatore psico-
pedagogico;
- Integrazione scolastica con: sussidi, programmi personalizzati, attrezzature idonee e
docenti specializzati;
- Gruppi di lavoro per il disabile e differenziazione delle prove d’esame e di
valutazione in base al PEI;
- Inserimento nei centri di formazione professionale.

7.Lo spettacolo dei diversi: nani, prodigi e fenomeni da baraccone


L’esposizione di questi soggetti ha una durata lunga e si sviluppò fin dal mondo greco-
romano. Da quell’epoca e per secoli, possedere questi personaggi come fenomeno da
esibire è stato un vezzo dei regnanti e delle corti. Questi individui costituiscono una stretta
minoranza nel mondo della disabilità e sono delle varianti specifiche. Non sono mostri ma
soggetti con caratteristiche anomale ma attraenti da suscitare grande stupore: giganti,
nani, donne con barba, uomini o donne fortemente obesi, persone albine, ermafroditi,
persone con alcune disabilità intellettive unite a specifiche caratteristiche fisiche.
Leslie Fiedler coniò per queste persone il termine Freaks, cioè scherzi della natura.
Continuò affermando che il frak è un individuo che suscita sia un terrore soprannaturale sia
una naturale simpatia perché è una persona come le altre, figlio umano di genitori umani.
Questi scherzi della natura sono stati per secoli usati come fenomeno da baraccone ed
esibiti. Vederli era una cosa normale, erano una forma ludica e comica per le classi
aristocratiche prima e popolari poi.
Queste persone hanno costituito a lungo la dimensione comica e spettacolare alternativa
al tragico cui rimandavano i mostri deformi.
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Il fenomeno è stato considerato anche come forma di rielaborazione, del dramma, del
ribrezzo, dell’esclusione della disabilità. Il sentimento del ribrezzo lascia il posto alla
curiosità e al fascino: i fenomeni sono in gradi di collocare il difforme in una dimensione
accettabile, codificata e controllata.

I nani alla corte dei potenti


Vi sono testimonianze che attestano la presenza dei nani nel passato negli ambienti delle
alte sfere politico-sociali. Questa forma di disabilità era ritenuta culturalmente accettabile
rispetto ad altre menomazioni. L’usanza di avere nani a palazzo sembra sia stata avviata
nell’impero persiano per poi diffondersi in Occidente, prima presso i greci, poi i romani e
infine in quasi tutte le corti europee.
Plinio nelle sue epistolae li chiama prodigi e buffoni.
Quintiliano, invece, afferma che questi corpi deforme hanno un prezzo elevato. Infatti si
assiste alla fabbricazione dei mostri, come afferma Marco Polo nel Milione: questi bambini
venivano tenuti chiusi in un vaso per anni, acquistati, rubati.
Erasmo da Rotterdam in Elogio alla follia afferma che i ricchi avevano con sé un nano da
passeggio o a tavola e che spesso venivano preferiti ai filosofi.
Sembra che in Italia, nel Medioevo, tutti i grandi signori avessero dei nani anche papa
Leone X. Come afferma Fielder alcuni affreschi e mosaici ritraggono nani domestici in
situazioni conviviali. L’imperatore Augusto aveva un nano portafortuna e anche Tiberio ne
possedeva. Il termine buffone si diffonderà in Francia e in Inghilterra per qualificare la
persona col compito di far ridere. La presenza di nani a corte venne attestata non solo in
epoca medioevale ma anche in periodi successivi fino alla fine dell’800. Anche i papi e i
cardinali possedevano nani per far ridere, come domestici, camerieri o come consiglieri.
Molti nani sono stati dipinti in quadri famosi: Mantegna nella Camera degli sposi,
Ghirlandaio, Bronzino, Cellini ne ha scolpiti alcuni.
Fu Velazquez ad aver rappresentato il maggior numero di nani e buffoni di corte in circa 30
quadri. Il più noto è las Meninas in cui l’Infanta è circondata da servitrici nani. Oltre ai nani
nelle corti ci fu anche la presenza di fratelli scozzesi, siamesi entrati ad es. in servizio alla
corte di Giacomo IV di Scozia per stupire e dilettare con la musica, il canto e le loro battute
in diverse lingue.
I nomi più comuni per i nani sono Morgante (che è il gigante raccontato da Luigi Pulci) e
Rodomonte (figura maestosa ripresa nei racconti di Ludovico Ariosto).

I fenomeni da baraccone e l’industria dello spettacolo


Anche mostrare fenomeni per le strade e nelle piazze è un’attività che ha una lunga storia.
Per es. il notabile senese Allegretti descrisse che nel 1473 era arrivata a Siena una donna
per mostrare la figlia con un solo corpo e 4 braccia. Anche altri scrittori o personaggi
scrivono e parlano di esibizioni particolari: persone con fratelli in miniatura attaccati ad un
unico corpo (parassita). Uno dei fenomeni da baraccone più studiati era la Venere
Otentotta, mostrata per le sue origini africane e per la sua conformazione fisica. Il suo
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cadavere dopo aver girato i salotti bene d’Europa è stato studiato dal biologo Cuvier.
Anche Saint Hilaire, quando era ancora viva chiese di poterla esaminare. Questi personaggi
venivano esposti per fini diversi: conoscitivi e ludico-spettacolari. L’esibizione dei fenomeni
da baraccone comincia ad assumere dimensioni spettacolari e a diffondersi nell’Occidente
sin dall’inizio dell’800; tuttavia oltre ad essere oggetto di spettacolo sono spesso anche
oggetto di osservazione per medici e scienziati.
Sarà soprattutto con l’imprenditore americano Barnum che nacque attorno a loro una vera
e propria industria dello spettacolo destinato a tutte le classi sociali. Egli iniziò acquistando
l’usufrutto di una finta donna di 161 anni poi comprò l’American Museum che venne
trasformato in galleria dell’insolito. Qui si esibirono nani, giganti, albini, donne con la
barba, uomini-leone, la donna cannone, lo scheletro di Cristoforo Colombo, una donna
sirena. Nel mostrare i diversi si mettono in mostra due grandi categorie di fenomeni:
- quelli con una conformazione fisica spettacolare;
- quelli truccati da esseri spettacolari. Es: fratelli siamesi non tali.
Da Barnum il reale e l’illusorio vanno di pari passo. Si insisteva anche sull’esotismo di
questi fenomeni per attrarre l’interesse del pubblico. Spesso questo esotismo era replicato
sulla scena con piante e scenari finti. Tutto contribuiva a costruire un immaginario, ad
alimentare le aspettative degli spettatori.
A differenza dei mostri e dei prodigi dei tempi passati i fenomeni da baraccone sono esibiti
come attori. La loro visione diverte ma rassicura anche sulla propria normalità gli
spettatori, facendoli sostenere che gli anormali sono gli altri.
Negli USA i freak show durarono più a lungo che in Europa. Sotto i fenomeni da baraccone
c’era un grande giro economico; questo show è continuato anche su altri media come il
cinema. I fenomeni più famosi sono: Tom Thumb, nano che imita Napoleone e i fratelli
siamesi Chang e Eng. Le vicende di queste persone erano spesso segnate da matrimoni
irreali e spettacolari: tra nani, tra nani e giganti ecc.
Questi soggetti rimangono considerati una merce priva di umanità. Complessivamente
questi spettacoli assumono la funzione di rassicurare lo spettatore della propria normalità
e di continuare a considerare l’altro come mostro.
La casistica dei fenomeni è ampia, non solo quelli citati precedentemente, ma anche
uomini e donne forzuti o con abilità particolari.
I fenomeni italiani più famosi furono: Bagonghi, arcehtipo del nano da circo; fratelli siamesi
Tocci; Francesco Lentini con due organi genitali e tre gambe.
Il padre dei fratelli Rocci ricevette il divieto dalla prefettura di Parigi di far esibire i suoi figli.
Nel 1886 in Inghilterra i freak-show vengono proibiti.
In Europa il declino fu più veloce. Un fattore importante di accelerazione fu il trauma
sociale e culturale della Prima guerra mondiale e con la scia di mutilati, ciechi, malati
psichiatrici che portò con sé; sinonimo della vulnerabilità dei corpi normali. Lo sguardo
medico-scientifico che fece dei fenomeni oggetti di studio, di osservazione e rieducazione.
Cominciarono a svilupparsi le prime politiche dello stato sociale. Si svilupparono i luoghi di
cura e di internamento di questi soggetti a opera dello stato e degli istituti caritatevoli.
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In USA, invece, i freak-show erano ancora frequentati.

8.Il primo Novecento

Lo sconvolgimento della disabilità: la Grande guerra


La Prima guerra mondiale pose fine alla belle epoque.
La grande guerra sconvolse l’idea di disabilità. Nel novembre 1918 tra morti, mutilati,
invalidi, ciechi, sordi si conteranno in tutta Europa 10 milioni di persone. Ci fu un numero
elevato ma imprecisato degli “scemi di guerra”, ossia di coloro che hanno perso la salute
psichica. La guerra aveva prodotto un collettivo senso di vulnerabilità. Di questo trauma
collettivo le persone disabili resteranno nei decenni successivi la traccia vivente della
catastrofe. Nel 1917 nacque a Milano l’associazione nazionale mutilati e invalidi di guerra.
Alla fine del conflitto in Italia vi saranno circa 400000 persone con menomazioni fisiche
invalidanti e oltre 14.000 titolari di pensione di invalidità per cause di servizio prestato
all’esercito italiano.
Il pittore tedesco Otto Dix in I giocatori di skat, rappresenta il nuovo scenario legato al
trauma della prodotta disabilità.
Nel 1916 viene pubblicata l’Italia futurista di Marinetti.
Il futurismo leggeva in chiave positiva e patriottica la disabilità portata dalla guerra. Infatti,
glorifica il corpo modificato e abbellito dalla guerra. Il Futurismo glorifica il corpo
mortificato e abbellito dalla guerra e sprona le donne ad amare i gloriosi mutilati e ad
imitarli partecipando alla guerra.
La figura futurista + emblematica del periodo fu quella di Enrico Toti. Si imbarcò
giovanissimo su alcune navi e incrociatori. Poi fu assunto dalle FS e durante il lavoro restò
gravemente ferito. Gli venne amputata una gamba all’altezza del bacino. Dal 1911 al 1913
non si arrese a partì in bicicletta con una gamba sola e arrivò a Parigi. Poi attraversò il
Belgio, l’Olanda, la Danimarca e ritornò in Italia. Nel 1913 è ad Alessandria d’Egitto in un
viaggio ciclistico ma le autorità inglesi lo bloccano al confine col Sudan ed è costretto a
ritornare. Scoppiata la Prima guerra mondiale Toti presenta domande di arruolamento ma
vengono tutte respinte a causa della sua disabilità. Allora decide di raggiungere
autonomamente il fronte in Friuli in bicicletta, ma fermato dalle autorità viene respinto e
deve ritornare. Successivamente grazie ad alcune missive del duca d’Aosta riuscirà a
partire per il Friuli come volontario, fu aggregato poi ai bersaglieri ciclisti. Nel 1916 durante
un’operazione militari fu mortalmente ferito. Secondo la tradizione prima di morire
lancerà verso il nemico una gruccia dicendo “Nun moro io”. Fu decorato con la medaglia
d’oro al valore militare dal re.

Le prime forme previdenziali


Fino ai primi decenni del 900 gli ausili per i disabili erano le macchine ortopediche: le
carrozzelle, grucce, arti artificiali ancora piuttosto rudimentali e destinati a chi poteva
permetterseli. La grande guerra rappresentò un’accelerazione anche su questo fronte e
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anche nella creazione di forme previdenziali. Negli anni successivi al conflitto s’introdusse
anche la pratica del cane guida per i ciechi. Nel 1919 venne stabilita l’obbligatorietà per
l’assicurazione per l’invalidità e la vecchiaia.
Durante la guerra si introduce il collocamento obbligatorio per gli invalidi del conflitto e nel
1924 sono stabilite le quote di invalidi di guerra da assumere obbligatoriamente da parte
dei datori di lavoro.
Nel 1898 è fondata la Cassa nazionale di previdenza per l’invalidità e la vecchiaia. Nel 1890
era stata promulgata una legge che istituiva le opere pie e gli istituti di beneficienza
destinati a prestare assistenza ai poveri che versavano in cattive condizioni sanitarie sia a
forme di reintegro lavorativo.
Tuttavia, oltre ai mendicanti disabili vi erano gli accattoni di mestiere e, per questo motivo,
nel 1889 si prevede da una parte di divieto alla mendicità e dall’altra l’internamento nei
ricoveri di mendicità per le persone riconosciute inabili al lavoro dalle autorità locali.
Laddove non esistono istituzioni di ricovero è previsto il trasferimento in altri comuni. In
particolare, questi comuni devono evitare l’esposizione di disabili molto gravi nei posti più
frequentati.
Fino al 1926 restano due canali: quello delle polizze statali e quello delle assicurazioni
private. La legge 416/1926 specifica il fatto che al pubblico impiegato (civile o militare)
deve essere attribuito un risarcimento commisurato alla gravità della lesione anatomica
accertata da un collegio medico-legale.
Vennero quindi elaborate le prime tabelle che misurano il danno anatomico.
Il prefetto può disporre il ricovero dell’inabile in un istituto di assistenza o beneficenza.
Per quanto concerne la previdenza relativa alla disabilità nel periodo ci fu un cristallizzarsi
di alcuni elementi strutturali. Essi sono:
1. La formalizzata separazione del mondo della disabilità da quello degli altri cittadini;
2. La frammentazione legislativa per i disabili, a loro volta separati in categorie definite
in base alle patologie;
3. La costruzione di un doppio binario previdenziale tra infortunati per cause di
servizio e disabili x altre cause;
4. L’erogazione di minime indennità economiche.
Il codice penale Rocco del 1930 introduce il concetto di pericolosità sociale: è socialmente
pericolosa la persona, anche non imputabile o non punibile, che ha commesso un reato ed
è probabile che lo commetta nuovamente.
Questo vale anche per gli individui le cui caratteristiche sono spesso collegate a condizione
di marginalità.
La pena è diminuita per gli infermi, tossici e sordomuti.

Lo sterminio dei disabili nella Germania nazista


Mentre in Europa e in Italia il tema della disabilità cominciava ad essere trattato all’interno
di alcune forme di previdenza, nella Germania nazista l’intento programmatico era ben
altro: procedere a una progressiva e radicale eliminazione della disabilità e dei suoi
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portatori dalla popolazione tedesca, ricorrendo a differenti procedure: sterilizzazione,


operazioni di eutanasia dei soggetti indegni di vivere come la soppressione di bambini in
ospedali specializzati e l’eliminazione degli adulti nei campi di sterminio. I riferimenti
teorici e culturali inerenti all’idea della purezza della razza che sottendono le politiche di
annientamento, esistevano già ben prima che Hitler accedesse al potere. Fu poi lui a farli
propri e a divulgarli con argomentazioni rozze, dirette e programmatiche fatte nei suoi
discorsi o pubblicate nelle pagine del Mein Kampf.
In quest’ultimo affermava il divieto ai malati di procreare affinchè in Germania si crei solo
una razza libera dalla bruttezza fisica e spirituale.
La principale disciplina su cui si basa l’eliminazione dalla società delle diverse tipologie di
tara è l’eugenetica che procede a selezionare caratteri fisici e mentali considerati positivi.
- E. positiva: seleziona i caratteri positivi ed è una disciplina da laboratorio;
- E. negativa: ferma la trasmissione di caratteri negativi e tare ereditarie. Disciplina
usata come strumento politico.
In realtà alcune pratiche di sterilizzazione di individui con tare mentali, fisiche e sociali
venivano già effettuate in alcuni paesi del nord Europa e negli USA. I bersagli dell’intento
programmatico nazista erano i soggetti considerati inferiori, con caratteristiche, tare e
condotte accusate di imbastardire la razza.
Contribuirono ulteriormente a sistematizzare la cultura contro la disabilità il giurista
Binding e lo psichiatra Hoche che all’interno di un loro libro del 1920 affermavano che le
persone indegne di vivere fossero: malati incurabili, malati di mente, bambini ritardati o
deformi. Questi individui vennero qualificati dai due come zavorre umane o gusci vuoti di
esseri umani e i medici si dimostravano sicuri e certi di poterne diagnosticare l’incurabilità
su base scientifica.
Il 14 luglio 1933 il ministero degli interni del Reich emanò la prima legge indirizzata verso il
miglioramento della salute genetica tedesca attraverso la sterilizzazione obbligatoria di
soggetti con malattie ereditarie quali: epilessia, schizofrenia, oligofrenia, infermità fisiche
congenite, cecità e sordomutismo. L’applicazione della legge fu garantita da tribunali
appositi “tribunali per la salute genetica” a seguito di diagnosi e denunce di ospedali e case
di cura ed era sotto la supervisione di Gerhard Wagner, nominato da Hitler.
Nello stesso giorno si introdusse anche il reato penale di tradimento della razza o crimine
contro la razza, espletato attraverso rapporti sessuali tra individui di sangue tedesco e
membri di altre comunità di sangue allogeno. Si tentava si salvaguardare il corpo tedesco
da vari tipi di infezioni provenienti dall’esterno e si evitava di contaminare il corpo tedesco.
Anche le leggi di Norimberga del settembre 135 proibivano matrimoni e relazioni sessuali
tra ebrei e non ebrei.
La politica di sterilizzazione era sostenuta non solo a livello governativo ma anche tra la
popolazione.
La prima fase dell’operazione eutanasia ebbe come obiettivo l’eliminazione dei bambini
con disabilità e venne progettata nei primi mesi del 1939 su iniziativa segreta sotto la
direzione della cancelleria di Hitler per mantenerne la segretezza. L’azione cominciò il 18
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agosto 1939 quando il ministero degli interni emanò un decreto che imponeva, sotto le
vesti di un’indagine scientifica, l’obbligo di dichiarare da parte dei medici e ostetriche,
attraverso uno specifico modulo, i neonati o bambini sotto i 3 anni con diverse forme di
disabilità. Le patologie indicate erano: gravi casi di idiotismo e mongolismo, cecità, sordità,
microcefalia, idrocefalia grave o progressiva, casi di deformità, mancanza di arti, problemi
alla colonna vertebrale e paralisi. In seguito, i genitori dei nati con forme gravi di disabilità
vennero convinti della necessità di provvedere a cure specifiche per i loro figli e in luoghi
idonei. Era difficile sottrarsi alla cura. Una volta internati, “casualmente” i bambini
morivano, ma non dovevano risultare morti per avvelenamento: morivano di inedia
oppure uccisi attraverso i farmaci.
Nella seconda fase dell’operazione eutanasia iniziata il 15 ottobre 1939 vennero uccisi
disabili adulti nei campi, comunque l’eliminazione dei disabili bambini continuò fino al
termine della Seconda guerra mondiale. Hitler imponeva agli istituti e alle case di cura
tedeschi di fornire elenchi degli individui indegni di vivere o con gravi malattie terminali.
L’operazione di eliminazione di queste persone verrà nominata T4, anch’essa era segreta e
si collocava tra i provvedimenti per salvaguardare la purezza della razza e proteggerla dagli
inquinatori; inoltre questa azione era motivata da ragioni economiche ulteriormente
aggravate dal periodo bellico. Hitler voleva anche liberare dei letti perché aveva paura che
potessero mancarne per i soldati feriti. Come per l’operazione sull’infanzia anche questa
coinvolgeva una fitta rete di medici, funzionari e burocrati. Gli individui disabili coinvolti
venivano prelevati dagli istituti con autobus neri dai vetri oscurati e venivano trasportati
nei luoghi dell’eliminazione. In questi centri ogni individuo veniva schedato e fotografato e
successivamente avviato verso le camere a gas. La famiglia della persona disabile veniva
avvisata per lettera, prima dello spostamento del disabile per motivi di guerra e poi
dell’arrivo a destinazione e infine del decesso per cause riconducibili alle malattie. Nel
1941 il progetto fu definitivamente sospeso. Una delle ragioni potrebbe essere la forte
opposizione di alti prelati cattolici e protestanti. L’operazione T4 in realtà continuò ma con
una direzione meno centrale e ad opera degli stessi medici: farmaci al posto delle camere a
gas o morte per inedia.
Sin dal 1941 nei campi di concentramento venivano mandate a morte le persone non
idonee al lavoro ossia quelle con maggiori difficoltà fisiche e mentali.

Hai mai avuto paura che il sangue dei nani possa a un certo punto entrare nelle vene di
una nazione? Cit. massimo Lelj
Fascismo, eugenetica, disabilità
Nel 1940 in Italia si avviano le prime forme previdenziali relative alla disabilità.
Il pensiero eugenetico sembra che si sia affermato in Italia con minor forza rispetto alla
Germania e ai paesi nordici o agli USA. L’Italia doveva confrontarsi continuamente con la
Chiesa e con il controllo medico-sanitario sulle nascite e sulla vita di genere. In tema di
eugenetica l’Italia assume toni decisamente più moderati rispetto a quelli tedeschi. La
situazione cambiò nel 1938 con le leggi razziali. Un caso particolare di eugenetica e
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sterminio italiano fu quello del 1944 quando 11 pazienti ebrei ricoverati negli ospedali
psichiatrici di Venezia, su ordine del comando tedesco e con la partecipazione della polizia
italiana, furono prelevati e condotti nel campo di concentramento di Birkenau.
Nel panorama italiano è la disabilità fisico-motoria a turbare maggiormente, la
menomazione fisica rappresenta lo stigma più scomodo. Gli individui che ne sono portatori
sono spesso considerati soggetti anti-sociali.
Nella seduta del 23 maggio 1932 del Senato, Alessandro Guaccero pronuncia un discorso
circa le idealità umane del governo fascista per l’assistenza degli storpi, paralitici e mutilati.
Si sottolinea l’interesse circa tutti i problemi umani e sociali: selezione ed il miglioramento
della razza, incremento della popolazione, assistenza nella maternità e nell’infanzia,
assistenza alle malattie del lavoro, investimenti in campo ortopedico; si afferma quindi di
voler procedere al più presto alla legislazione completa dei problemi sociali riguardanti la
rieducazione degli storpi, paralitici, mutilati, allo scopo di farne elementi socialmente utili e
produttivi.
Il fascismo ha indottrinato alcuni enti dei disabili come l’Associazione nazionale mutilati e
invalidi di guerra.
La propaganda fascista utilizza i giornali per pubblicare fotografie di bambini e adulti con
menomazioni; a fianco di queste fotografie ci sono alcuni slogan, esempio: solo dall’unione
di individui ereditariamente sani la razza può essere preservata dalla degenerazione.
Oppure sulle riviste si riportano dibattiti e rubriche circa l’essere pro o contro la
sterilizzazione dei menomati. Nel maggio 1943 si apre una rubrica di genetica con lo scopo
di segnalare i casi di trasmissione più impressionanti.

9.Scenari della contemporaneità


Nel 2° novecento, alla fine delle due guerre mondiali e all’esperienza dei campi di
concentramento lo scenario complessivo si modifica progressivamente:
1. Un nuovo quadro della diffusione e dell’impatto della disabilità nelle società;
2. Lo sviluppo di politiche e di dispositivi dello stato sociale anche in tema di disabilità;
3. L’attivismo delle persone con disabilità riunite in associazioni come elemento di
spinta per la realizzazione di politiche adeguate e inclusive.
Ciò nonostante si rinnovano importanti forme di stigmatizzazione e scenari di esclusione
verso le persone con disabilità.
Se il problema maggiore dello studio del passato della disabilità è rappresentato dalle
poche tracce su cui basare le ricostruzioni, il problema maggiore per lo studio del passato
recente sono le troppe tracce entro cui non perdersi.
Dal dopoguerra in poi c’è stato un importante sviluppo di strutture di cura e di servizi
socio-sanitari destinati a persone con disabilità. È cresciuto anche il campo della pedagogia
speciale. Si sono sviluppate professionalità, saperi ed esperienze sul tema. Il campo medico
e quello della progettazione e produzione di tecnologie hanno avuto un grande impatto sul
mondo della disabilità. Attorno ai disabili si sono sviluppate attività di partecipazione
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sportiva, ludica, ricreativa e si sono delineate forme eterogenee di partecipazione e


solidarietà.

Surplus di disabilità
Nel secondo 900 l’impatto della disabilità sulla società si è completamente trasformato.
Chiusasi la grande ecatombe dei due conflitti mondiali è rimasta l’altra grande fucina di
disabilità, gli infortuni sul lavoro. A cambiare lo scenario hanno contribuito i progressi della
scienza e della medicina: la possibilità di individuare la disabilità in fase prenatale, la
scomparsa di alcune patologie invalidanti, interventi chirurgici, farmaci, terapie.
Tuttavia l’aspettativa di vita più alta si producono nuove tipologie di disabilità nella fase di
anzianità.
Negli ultimi 50 anni si sono aggiunte nuove forme di disabilità mai esistite prima nella
storia dell’umanità. Oggi esistono nuove malattie invalidanti e nuove forme tumorali che
producono un ventaglio ampio di forme di disabilità intellettive, sensoriali e fisiche. Una
delle cause sono per es. gli incidenti stradali. Oggi siamo nel regime della società del
rischio come causa di disabilità; la tecnologia con le macchine da lavoro/inquinamento
produce nuove forme di disabilità ma allo stesso tempo inventa nuove protesi, medicinali,
ecc.
Dal 1945 in poi anche il nucleare ha dato prova di gravi effetti invalidanti. Anche i
medicinali hanno in passato portato alla disabilità, ne è un esempio il talidomide, un
farmaco per combattere le nausee mattutine delle donne incinta. Si è scoperto poi che il
farmaco poteva incidere fortemente sullo sviluppo fetale provocando la nascita di bambini
privi di uno o più arti chiamati focomelici. Il prodotto venne ritirato nel 1961.
Dai primi anni 90 in più parti del mondo ci si è accorti della possibilità di partorire figli
disabili a causa dell’esposizione a pesticidi o prodotti chimici delle madri che lavorano nel
campo dell’agricoltura.
Negli ultimi anni in aggiunta la disabilità non interessa più solo i ceti popolari ma è
divenuta un fenomeno trasversale. L’atavica paura della disabilità, se prima riguardava
l’altro ora diviene sempre più qualcosa che può riguardare tutti. Aumenta la popolazione
mondiale ma in rapporto aumentano anche i disabili, tanto da definirli come la terza
nazione del mondo. Questo perché messe tutte insieme le persone con disabilità
costituirebbero una nazione dietro solo alla Cina e all’India.
La disabilità è un fenomeno plurale, eterogeneo quindi non è una categoria sociale: noi
sbagliamo a racchiudere tutti in un’unica categoria dei disabili.
Recentemente si sono anche costituite forme di associazioni o di riunioni di disabili
suddivise in base alla tipologia di disabilità.

Disabilità, Costituzione e welfare: orientamenti e leggi


La Costituzione italiana stabilisce i principi fondamentali della repubblica italiana e la sua
caratteristica di essere Stato sociale, cioè Stato fondato sulla riduzione delle diseguaglianze
sociali a partire dal principio di uguaglianza sostanziale e formale di tutti i cittadini.
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La Repubblica garantisce i diritti inviolabili dell’uomo sanciti dalla Dichiarazione universale


dei diritti dell’uomo adottata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite il 10 dicembre
1948.
È l’art. 3 a sancire l’uguaglianza tra cittadini e i compiti dello Stato, ovvero quelli di
rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che limitano la libertà e l’uguaglianza
dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione
di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del paese. Per condizioni
personali si deve intendere anche qualsiasi disabilità fisica, intellettiva, relazionale,
psichica, sensoriale e di qualunque origine.
L’art. 38 stabilisce il diritto al mantenimento e all’assistenza sociale e compie una
distinzione tra i lavoratori e i cittadini inabili, quelli senza mezzi di sostentamento.
Ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere ha diritto al
mantenimento e all'assistenza sociale. I lavoratori hanno diritto che siano preveduti ed
assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità
e vecchiaia, disoccupazione involontaria. Gli inabili ed i minorati hanno diritto
all'educazione e all'avviamento professionale.
Entrambe le categorie hanno diritti specifici. Lo stato sociale così si divide in 2 paini
separati, quello legato al lavoro e quello legato all’assistenza. È il modello del welfare state
storicamente costituitosi nel mondo occidentale, basato sul sistema del lavoro per gli uni e
dell’assistenza per gli altri; il che costituisce un principio di distinzioni sociali tra cittadini.
Il modello italiano di welfare si basa su (principi che risalgono all’800) :
1. Modello particolaristico ossia si differenziano gli interventi sociali a seconda del
soggetto;
2. Appoggiato su culture clientelari;
3. Dualistico;
4. Basato su trasferimento di reddito piuttosto che servizi;
5. Cultura familistica, paternalistica e patriarcale.
Tra le prime proposte alle questioni di assistenza e diritto al lavoro per gli invalidi vi fu
quella del 1957 e tra le prime leggi la n. 66 del 1962 relativa ai ciechi civili. Si previde di
destinare loro una pensione non reversibile e di coordinare e potenziare il reperimento,
l’orientamento e la loro qualificazione professionale.
Ancora nel 1962 ci sarà la prima legge 1539 relativa al collocamento di mutilati e invalidi
civili le cui capacità di lavoro fossero non inferiori ad un terzo. Resteranno esclusi i soggetti
incollocabili per quali si previde nel 1966 un assegno mensile di assistenza.
Nel 1968 la legge 482 disciplinò l’assunzione obbligatoria nel pubblico e nel privato di:
invalidi di guerra, militari e civili; invalidi per servizio, invalidi del lavoro, invalidi civili,
ciechi, sordomuti. Tale legge non è stata rispettata appieno dai datori di lavoro pubblici e
privati. Altro punto critico della legge fu la chiamata al lavoro in base alla posizione e
all’anzianità di iscrizione alle liste di collocamento e non per corrispondenza tra mansione
richiesta e competenze del lavoratore.
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Nel 1971 è stata emanata la prima legge 118 organica sull’invalidità civile che regolò il
mondo della disabilità fino al 1992. Questa legge ingloba una popolazione più ampia
rispetto ai mutilati e invalidi civili, come ad es. disabili psichici, i possessori di minorazione
congenite o acquisite, difetti sensoriali che riducano in modo permanente la capacità
lavorativa non inferiore ad un terzo; inoltre ingloba anche i minori che abbiano difficoltà a
svolgere compiti adatti alla loro età. La legge introdusse l’assistenza sanitaria generica,
farmaceutica, specialistica, ospedaliera e protesica a favore d’invalidi e mutilati civili a
copertura del ministero della sanità (con il 1978 passerà alla Regione). Lo stesso ministero
stanziò anche dei fondi per enti pubblici o soggetti privati senza scopo di lucro, per la
costruzione, trasformazione e ampliamento delle attrezzature dei centri di riabilitazione.
Il ministero dell’istruzione riconosce la formazione di assistenti-educatori e di assistenti
sociali e personale paramedico.
L’accertamento della condizione di minorazione è requisito necessario per l’ottenimento
dei diritti attraverso una visita medico-sanitaria:
- alle persone maggiorenni riconosciute invalide e con totale inabilità lavorativa è
concessa la pensione di inabilità.
- Invalidi civili 18-64 è concesso un assegno mensile se questi hanno una riduzione
della capacità lavorativa pari o superiore al 74%.
- Invalidi civili minorenni riconosciuti non deambulanti è conferito un assegno di
accompagnamento a patto che questi frequentino la scuola dell’obbligo.
- Agli invalidi civili che frequentano corsi di addestramento professionale è
riconosciuta una quota ordinaria.
L’art. 27 introdusse per la 1° volta il principio dell’abbattimento delle barriere
architettoniche per gli edifici pubblici o aperti al pubblico e le istituzioni scolastiche,
prescolastiche e in tutti i luoghi dove si svolgono pubbliche manifestazioni o spettacoli.
Legge 180 nel 1978 chiusura manicomi. Legge 833 del 1978 introdusse il diritto agli ausili e
alle protesi. Nel 1979 vi fu un aumento dell’indennità di accompagnamento a favore dei
ciechi civili assoluti, nel 1974 è garantito il trasporto gratuito dei cani guida sui mezzi
pubblici.
Tra il 1978 e il 1980 si regolarono anche la circolazione e il trasporto degli invalidi con un
apposito contrassegno. Negli anni 80 si realizzò una frammentazione di competenze in
materia di disabilità con il passaggio di competenze dallo stato alle regioni. Si assistette
così al consolidamento de modello classico basato sulla distinzione delle categorie di
disabilità e relative forme di risarcimento economico.
La 15/1991 emana la legge intesa a favorire la votazione degli elettori non ambulanti.
Il 5 febbraio 1992 entrò in vigore la legge 104 che riorganizzò complessivamente la
questioni della disabilità. La normativa avanza rispetto alle nuove concezioni di disabilità
diffusa dall’OMS, poiché più incentrata sulla persona che non sulla sua menomazione.
Questa legge vuole:
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- Prevenire e rimuovere le condizioni invalidanti che impediscono lo sviluppo della


persona umana, il raggiungimento di una massima autonomia possibile e la
partecipazione alla vita di comunità.
- Predisporre interventi volti a superare stati di emarginazione e di esclusione sociale.
- Realizzazione dell’integrazione sociale attraverso: lo sviluppo della ricerca
scientifica, genetica, biomedica, psicopedagogica, sociale e tecnologica, prevenzione
e diagnosi e terapia prenatale e precoce delle minorazione e ricerca delle loro
cause, intervento tempestivo dei servizi terapeutici e riabilitativi; sostegno alla
famiglia della persona handicappata; collaborazione con la famiglia nella scelta e
nell’attuazione degli interventi socio-sanitari; prevenzione primaria e secondaria in
tutte le fasi di maturazione e di sviluppo del bambino e del minore per evitare o
constatare tempestivamente l’insorgenza della minorazione o per ridurne i danni;
adeguato sostegno psicologico e psicopedagogico alla persona handicappata e alla
famiglia, decentramento territoriale di servizi e prevenzione, promozione di
iniziative partecipate per la cura dell’handicap, riabilitazione e inserimento sociale,
promozione del superamento di ogni forma di esclusione sociale.
- Rimozione di ostacoli per l’esercizio di attività sportive, turistiche e ricreative.
La nuova legge pose al centro la persona considerandola nel suo sviluppo unitario dalla
nascita, alla presenza in famiglia, alla scuola, al lavoro e a tempo libero indipendentemente
dallo stato e dal tipo di disabilità.
In termini innovativi rispetto al passato emerse la necessità di evitare che la menomazione
invalidante diventi causa di emarginazione.
Questa legge segna il passaggio da una forma di “Stato assistenziale” a uno “Stato
sociale” incentrato sulla persona con disabilità.
Nella legge s’insistette molto sul rispetto della dignità della persona disabile e sulla
necessità di rimuovere le situazioni di svantaggio sociale. La legge 104 recepì il nuovo
concetto internazionale della disabilità intesa non più come menomazione psico-fisica e
sensoriale ma come condizione sociale. Venne eliminato il termine disabili gravi per
sostituirlo con persona con handicap in situazione di gravità che spinge su interventi
riabilitativi.
È però lecito chiedersi se quel formale abbandono della filosofia assistenzialistica da parte
dello Stato a favore del coinvolgimento maggiore degli individui con disabilità, delle
famiglie, del terzo settore e dell’associazionismo, non possa essere interpretato come una
forma di disinvestimento dei pubblici poteri in tema di disabilità. Spesso non c’erano
strumenti adeguati all’adempimento della legge.
In seguito, ci sono stati decreti applicativi circa le modalità e i criteri dell’assistenza
economica.
Nel 1996 è emanata la nuova disposizione circa l’eliminazione delle barriere
architettoniche e sui trasporti.
Nel 1998 la legge 162 introduce forme di assistenza domiciliare e di aiuto personale, anche
della durata di 24 ore e il rimborso parziale delle spese documentate di assistenza.
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La 68/1999 puntò molto anche sul possibile inserimento lavorativo delle persone disabili
attraverso strumenti tecnici e di supporto, all’eliminazione degli impedimenti ambientali e
relazionali connessi all’attività lavorativa; l’obiettivo è di inserire in ambito lavorativo
persone nella posizione più adatta attraverso strumenti tecnici e di supporto compatibili
con le condizioni di disabilità (collocamento mirato).
Nel 2000 fu emanata la Carta dei diritti fondamentali dell’U.E. essa all’art. 21 affermò il
divieto di varie forme di discriminazione tra cui gli handicap. Anche la legge italiana 67 del
2006 si pose contro la discriminazione diretta o indiretta delle persone con disabilità.
Il 3 marzo 2009 diventa legge dello stato italiano la Convenzione ONU sui diritti delle
persone con disabilità.

L’affermarsi del movimento associativo


Allo sviluppo di maggiori attenzioni verso la disabilità, le forme di discriminazione, la
costruzione di nuove sensibilità attorno alla disabilità contribuirono molto le associazioni
dei diretti interessati o dei loro familiari.
In Italia ci sono diverse tipologie di associazioni: quelle laiche e quelle religiose, quelle di
sinistra e quelle ispirate ai movimenti per i diritti.
Nonostante la paucità di fonti possiamo affermare che la storia delle associazioni è molto
più lunga di quella che conosciamo oggi. Queste associazioni hanno come motore iniziale
la presa in carico delle persone con disabilità e dei loro familiari. La nascita del movimento
associazionistico è connotata da una cultura di categoria che si impone negli anni
successivi alla nascita di una delle prime associazioni italiane, quella dei mutilati di guerra
del 1917. Dall’esperienza di un altro invalido di guerra rimasto cieco venne fondata
l’Unione italiana ciechi nel 1920. Nel 1922 nacque l’Unione sordomuti italiani. Nel 1932
nacque un ente unico rappresentativo dei sordi: l’ente nazionale sordi. Nel 1933 fu fondata
a Milano l’associazione nazionale fra lavoratori mutilati e invalidi del lavoro.
Nel 1933 nasce l’INAIL istituto nazionale per l’assicurazione degli infortuni sul lavoro.
Queste associazioni, quindi, riconoscono altre forme di disabilità le cui menomazioni non
sono esito di cause di guerra o di lavoro; si vuole sviluppare così cure e servizi destinati ai
diversi destinatari.
Nascono associazioni per: spastici, lesioni cerebrali, poliomielite, minorati psichiatrici,
invalidi civili, distrofia muscolare, ecc.
Tra la metà degli anni 50 e la fine dei 60, la promozione delle istanze del movimento delle
associazioni ebbe come evento più visibile le manifestazioni pubbliche di piazza chiamate
marce del dolore. Eventi importanti simbolicamente che hanno dato un’accelerazione alla
legiferazione in termini di disabilità. Le marce del dolore ci furono nel 1961, nel 1964, nel
1968.
La prima fu nel 1954 quando un gruppo di persone cieche marciò da Firenze a Roma.
Anche in USA e in Inghilterra si sviluppano i primi movimenti di disabili che rivendicano i
propri diritti; negli USA nascono delle lobby della disabilità in cui vi sono dei centri gestiti
da disabili.
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All’interno dei movimenti di persone con disabilità inglesi si sviluppò un modello sociale
della disabilità. Concettualizzato da Paul Hunt nel 1960 il modello sociale fu sviluppato
anche da altri studiosi ed attivisti con disabilità. Il bersaglio principale del modello sociale è
il modello medico che considera la disabilità come condizione fisico-biologica e come
problema individuale. Il modello sociale invece sposta i termini dalla patologia allo
svantaggio o limitazione prodotta dall’attuale organizzazione sociale che tiene poco conto
o per nulla, delle persone con deficit fisici e le esclude dalla partecipazione alle attività
sociali. A partire dalla diffusione di questo concetto il movimento delle associazioni spostò
la sua battaglia a favore dei diritti verso l’effettiva partecipazione sociale e
autodeterminazione.
Il fervore politico del periodo che va dagli anni 60 alla fine degli anni 70 coinvolse anche
l’Italia. Emersero nuove istanze legate alla de istituzionalizzazione, all’integrazione
scolastica e all’inserimento sociale. Molti movimenti nacquero in relazione al volontariato
laico e religioso e dettero vita a cooperative sociali per servizi di assistenza o inserimento
lavorativo. Si assiste ad una maggior partecipazione ma anche a una maggior
frammentazione delle istanze e si produce la necessità di più forti aggregazioni tra
associazioni su alcuni temi per la definizione di politiche e di interventi ad essi relativi.
In particolare, Rosanna Benzi dirige la rivista Gli altri in cui lancia alcune campagne di
sensibilizzazione sui temi della disabilità.
Nascono associazioni per l’autismo, SLA, AISM e alcune associazioni iniziano a costruire il
pensiero del dopo di noi.
Alla formulazione della 104 partecipano oltre 30 associazioni. In quell’occasione nascono
due grandi associazioni:
1- Federazione italiana per il superamento dell’handicap; 1993.
2- Federazione tra le associazioni nazionali dei disabili. 1997.
Sin dai primi anni 90 emerse con chiarezza anche il problema dei falsi invalidi.
Negli anni 90 i movimenti associativi devono scontrarsi con: carenze del welfare, mancanza
di servizi, coperture per solo alcune tipologie di disabilità; inoltre le istituzioni iniziano a
dialogare con le associazioni dando vita al Consiglio nazionale sulla disabilità e il Consiglio
italiano dei disabili per i rapporti con l’UE. Negli ultimi decenni le grandi associazioni sono
divenute soggetto-politico che interloquisce con i mondi politici e amministrativi, tanto da
sostenere l’approvazione dell’Italia della convenzione ONU e ne hanno promosso la
diffusione.
Ad oggi si stanno battendo per il venir meno dei doveri dello stato nei confronti di queste
persone. Il 7 luglio 2010 a Roma c’è stata una manifestazione a riguardo.

Le classificazioni internazionali delle disabilità


Solo coi primi anni 80 si giunse ad una più precisa definizione della terminologia in
questione introdotta dalle classificazioni internazionali condotte dall’OMS. L’obiettivo di
tali classificazioni internazionali è strumentale: serve per fornire criteri standardizzati su
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scala internazionale a fini conoscitivi e come base per la progettazione e l’organizzazione di


politiche sociali e sanitarie sulla questione della disabilità.
È del 1970 la prima formulazione di classificazione realizzata dall’OMS. È l’ICD international
classification of diseases, uno strumento classificatore basato sul modello medico
incentrato sul concetto di malattia. L’ICD individua alcune patologie con le annesse
caratteristiche tipiche, le cause e stabilisce per ognuna dei codici numerici.
Nel 1980 si arrivò ad una seconda classificazione ICIDH – classificazione internazionale
dekke menomazioni, disabilità e handicap- maggiormente incentrata sulla dimensione
ambientale dell’individuo con una specifica patologia.
Al centro dell’ICIDH non c’è la causa della patologia ma il contesto ambientale come
criterio di salute. La patologia è ora considerata e analizzata nel suo impatto sull’esistenza
globale dell’individuo nel suo contesto di vita, non solo sanitaria.
La formulazione dell’ICIDH è alla base della legge 104 del 1992. Questa classificazione si
fonda su 3 concetti.
1. La menomazione, intesa come mancanza o anomalia delle strutture anatomiche,
fisiologiche, psicologiche o delle loro funzioni.
2. La disabilità intesa come limitazione o mancanza di capacità si compiere azioni o
attività causata dalla presenza della menomazione.
3. L’handicap è invece lo svantaggio e le difficoltà incontrate dall’individuo
nell’ambiente circostante a causa della menomazione.
Tuttavia, la disabilità presuppone un modello “normale” di funzionalità e l’handicap
risulta essere prodotto dalla menomazione.
Così, nel 1997 l’OMS formulò l’ICIDH-2. La nuova formulazione specificò meglio i concetti
di disabilità e handicap.
- Disabilità: reali possibilità psico-fisiche dell’individuo di compiere attività personali.
- Handicap: partecipazione sociale dell’individuo colpito da alcune menomazioni.
L’ICIDH-2 formulò più compiutamente i fattori contestuali che ostacolano o favoriscono le
persone.
Inoltre, misura la partecipazione sociale dell’individuo come relazione tra i fattori
ambientali e personali. Questa classificazione si applica a tutti i soggetti poiché tutti siamo
in evoluzione. Nel 2001 nuova classificazione internazionale del funzionamento, disabilità
e salute: l’ICF. Questa classificazione riguarda le caratteristiche della salute di tutte le
persone non solo quelle disabili, in relazione al contesto delle specifiche condizioni di vita
individuali e all’interazione con i fattori ambientali. SI tratta di una classificazione centrata
sul soggetto come essere sociale e sposta l’attenzione dalla menomazione alla vita
dell’individuo in rapporto al suo contesto specifico di vita.
Si mette in relazione lo stato di salute con l’attività di partecipazione e i fattori individuali
con quelli ambientali. L’ICF è un documento che mette al centro la dimensione sociale della
disabilità in alternativa alla dimensione medica. L’ICF non ha costituito solo una mera
modificazione semantica (elimina il termine handicap e lo sostituisce con persone con
disabilità) e concettuale ma ha implicato l’abbandono del modello lineare medico a favore
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di quello bio-psico-sociale: la disabilità è un rapporto sociale, dipendentemente dalle


condizioni di salute in cui si trova una persona e le condizioni sociali in cui si svolgono le
sue attività.

La Convenzione dell’ONU sui diritti delle persone con disabilità


Questa è l’ultimo elemento che si è sviluppato nella seconda metà del ‘900.
La Convenzione è l’esito di un lungo percorso delle Nazioni Unite sul tema disabilità. 1950
due rapporti su disabilità e riabilitazione. 1969 l’Assemblea generale sul progresso sociale e
sullo sviluppo sottolineava la necessità di forme riabilitative volte all’integrazione sociale di
persone con disabilità fisiche e mentali. 1971 dichiarazione dei diritti delle persone con
ritardo mentale e nel 1975 la Dichiarazione dei diritti delle persone disabili. Questi
documenti risultarono senza efficacia vincolante diretta nelle politiche dei singoli paesi. Il
1981 è stato dichiarato l’anno internazionale delle persone disabili. Nel 1982 viene
adottato il programma di azione mondiale per le persone disabili, basato su: prevenzione,
riabilitazione, pari opportunità. Il decennio 1982-1992 è inoltre dichiarato decennio delle
persone disabili.
Il 3 dicembre è la giornata internazionale delle persone disabili.
Questa Convenzione avviata nel 2001 poggia su: presenza numerica di disabilità,
condizione di esclusione/emarginazione, discriminazioni, necessità di politiche adeguate,
partecipazione delle associazioni.
La Convenzione è invece stata approvata il 13 dicembre 2006 dall’Assemblea generale
delle Nazioni Unite e ha visto protagoniste nella sua elaborazione le più importanti
associazioni internazionali di persone con disabilità e i loro familiari. Il testo è entrato
ufficialmente in vigore il 3 maggio del 2008, per gli Stati che lo ratificano risulta vincolante
nell’elaborazione delle politiche nazionali. È composta da 50 articoli e si rifà alla
dichiarazione dei diritti umani.
- I primi 30 sono incentrati sui diritti fondamentali;
- I restanti centrati su alcune strategie operative.
La disabilità è definita come concetto in evoluzione e che queste alterazioni psico-fisiche
possono costituire un impedimento alla loro partecipazione nella società ma queste
persone sono parte della diversità umana. Così, si vuole promuovere la piena realizzazione
dei diritti umani e delle libertà fondamentali per tutte le persone con disabilità senza
discriminazioni. Alcuni diritti sono:
- Rispetto per la dignità, autonomia individuale, libertà delle proprie scelte, inclusione
nella società, accettazione del disabile, parità tra uomini e donne, rispetto per lo
sviluppo delle capacità con minori con disabilità.
L’attenzione è spesso posta su alcune dimensioni specifiche della disabilità come la povertà
e molteplici forme di discriminazione. Le persone disabili rappresentano quasi la metà dei
poveri nel mondo, oltre l’80% di loro vive nei paesi economicamente svantaggiati. La
Convenzione riconosce che la disabilità è inoltre causa ed effetto di povertà e afferma la
necessità di affrontare l’impatto negativo della povertà sulle persone disabili.
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La Convenzione costituisce il superamento dell’ottica assistenzialistica e considera invece i


disabili persone e cittadini come tutti gli altri, nonostante la loro diversità, infatti la
discriminazione viene definita come una violazione della dignità e del valore connaturati
alla persona umana.
La Convenzione non ignora nemmeno le difficoltà del passaggio dal testo scritto alla realtà
e individua delle soluzioni.
1. L’accomodamento ragionevole: ovvero le modifiche e gli adattamenti appropriati
che non impongono un onere sproporzionato o eccessivo se adottati, per garantire ai
disabili il godimento e l’esercizio di tutti i diritti umani e le libertà fondamentali
2. La progettazione universale: la progettazione di prodotti, strutture, programmi e
servizi utilizzabili da tutte le persone senza il bisogno di adattamenti o di progettazioni
specializzate, senza escludere i dispositivi di sostegno per alcuni soggetti.
Il 3 marzo del 2009 il Parlamento italiano ha ratificato la Convenzione che è divenuta legge
italiana. È stato progettato un osservatorio sulla disabilità che deve promuovere la
convenzione e raccogliere dati statistici sulle persone disabili.

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