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Sommario: 1. Le ragioni dello Statuto: il nuovo ruolo del contribuente, i rilevanti co-
sti dell’obbedienza fiscale e la pesante incidenza dell’enorme “pressione legislativa”. 2. Il
ragionato rifiuto di uno Statuto approvato con legge costituzionale. 3.La sua incidenza
anche sull’attività del legislatore. 4. Le disposizioni dello Statuto quali principi generali
dell’ordinamento tributario: la loro valenza nell’attività interpretativa. 5. La tutela dall’abu-
so dei decreti legge: i divieti contenuti nell’art. 4 dello Statuto e la loro incidenza sulle
scelte del legislatore fiscale. 6. L’irretroattività quale principio generale dell’ordinamento
e di quello tributario nella giurisprudenza della Corte costituzionale e nello Statuto: la
tutela dell’affidamento. 6.1. L’applicazione del principio anche ai rapporti anteriori allo
Statuto, ai tributi non periodici, alle ipotesi di c.d. pseudo retroattività e mai alla re-
troattività in bonam partem per il contribuente. 6.2. L’interpretazione autentica. 7. L’art.
10 dello Statuto e i riflessi della tutela dell’affidamento anche sull’azione amministrativa:
l’influenza della dottrina pubblicistica e privatistica. 7.1. La tutela dell’affidamento e della
buona fede. 7.2. Le applicazioni giurisprudenziali e l’incidenza anche sulla possibile non
debenza del tributo. 7.3. L’affidamento e l’emendabilità degli errori. 7.4. Affidamento e
processo tributario. 8. Lo Statuto e i principi ispiratori dell’azione amministrativa. 9. La
semplificazione amministrativa. 10. L’effettiva conoscenza degli atti. 11. Interpello e inter-
pelli. 12. La chiarezza e la motivazione degli atti. 13. La compensazione. 14. I diritti del
contribuente nelle verifiche fiscali. 15. Il Garante. 16. Conclusioni.
1. Le ragioni dello Statuto: il nuovo ruolo del contribuente, i rilevanti costi dell’ob-
bedienza fiscale e la pesante incidenza dell’enorme “pressione legislativa”
Ho ricordato altrove le esigenze [g. marongiu (I.1)] dalle quali mossero i pro-
getti, prima ufficiosi [g. marongiu (I.2)] poi ufficiali (si veda la più risalente pro-
posta di legge 20 dicembre 1990 (n. 5079) in Dir.prat.tribut., 1991, I, 198 sg. e
poi ancora il disegno di legge ivi, 1993, I, 240-254), di redigere uno Statuto dei
diritti del contribuente.
E ho narrato anche le difficoltà che dovettero incontrare i secondi specie
quando, nel 1996, entrarono in una fase decisiva, per opera dell’allora ministro
delle finanze.
In questa sede è sufficiente ricordare che, in tutti gli anni “80” e nei primi
“90”, si visse in una situazione ben lontana dal modello costituzionale di impo-
sizione perché il “potere” tributario era concentrato in uno solo soggetto.
Il governo, o meglio la burocrazia, scriveva la legge impositiva, nuotando
nell’abuso dei decreti-legge, la interpretava e la imponeva con le proprie circolari,
la applicava con i propri atti di accertamento, la modificava continuamente, an-
cora per decreto legge, e, se su qualche grossa questione di principio si trovava
soccombente, invocava e otteneva una norma “interpretativa”.
D’altro canto una normativa casistica, rinnovantesi giorno dopo giorno, ottun-
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basta(va) la legge del 1990, per imporre il principio di buona fede non basta(va)
il codice civile, per introdurre l’interpello non era sufficiente una legge ordinaria:
ci voleva la Costituzione!
In realtà, e a ben guardare, non era opportuno costituzionalizzare neppure
i precetti contenuti negli articoli 3 e 4 perché il divieto assoluto di retroattività
e di spiccare decreti legge in materia tributaria avrebbe costretto il legislatore
ordinario in un inaccettabile e inopportuno letto di Procuste, esso sì contrario ai
principi costituzionali proprio per l’impossibilità di affrontare anche gli effettivi
stati di emergenza o di porre rimedio a errori o ingiustizie.
Ma anche a ritenere di dover riconoscere valenza costituzionale ai precetti
contenuti negli artt. 3 e 4 due sarebbero state le alternative certamente rovinose,
o rinunciare a tutte le norme successive all’art. 4 o scrivere due Statuti, uno con
dignità di legge costituzionale e uno con dignità di legge ordinaria: insomma
uno Statuto di serie A e uno di serie B.
È facile immaginare gli ulteriori sorrisi per un vero capolavoro del perpetuo
bizantinismo.
Lo Statuto, nelle sue prime norme, è, quindi, volto a garantire una disciplina
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tributaria scritta per principi, stabile nel tempo, affidabile e trasparente e perciò
idonea ad agevolare, nella interpretazione, sia il contribuente che l’amministra-
zione finanziaria (anch’essa ha ripetutamente e giustamente documentato diffi-
coltà nell’intendere e nel gestire un ordinamento “torrentizio”) e a diminuire gli
alibi del primo nel tentare e realizzare comportamenti “evasivi”.
Se ne trova una prima conferma nei precetti contenuti nei quattro commi
dell’art. 2 ma, senza nulla togliere ad essi, è di tutta evidenza la diversa valenza
di quelli ulteriori contenuti negli artt. 1, 3 e 4 dello Statuto per i quali “le dispo-
sizioni tributarie non hanno effetto retroattivo”, “l’adozione di norme interpreta-
tive in materia tributaria può essere disposta solo in casi eccezionali e con legge
ordinaria, qualificando come tali le disposizioni di interpretazione autentica” e,
ancora, “non si può disporre con decreto-legge l’istituzione di nuovi tributi”.
Sembra di leggere in trasparenza la controstoria degli ultimi vent’anni perché
ognuno sa bene quanti tributi, anche non occasionali, sono stati istituiti per
decreto-legge e quante leggi interpretative sono state emanate per imporre, con
efficacia retroattiva, soluzioni favorevoli alla parte pubblica ancorchè rigettate,
e anzi proprio perché rigettate, dalla più autorevole giurisprudenza e quindi in
assenza di un qualificato contrasto interpretativo.
È, per altro, riduttivo intendere i precetti dello Statuto come una sorta di
manifesto di buone intenzioni, come si è opportunatamente precisato [a. uric-
chio (IV.1)], volto a condannare in astratto i comportamenti non esemplari del
legislatore, ma inidoneo a ostacolarli in concreto. Esso ha dato, invece, impulso
al dibattito sul ruolo dei principi generali che non sembrava né vivo né vivace
se tutti lamentavano il piegarsi della dottrina sull’esegesi di una raffica di nor-
miciole transeunti e caduche.
L’art. 1 dello Statuto dispone, infatti, al suo primo comma che “le disposizioni
della presente legge, in attuazione degli artt. 3, 23, 53 e 97 della Costituzione,
costituiscono principi generali dell’ordinamento tributario e possono essere de-
rogate o modificate solo espressamente e mai da leggi speciali” [g. falcone, s.
lombardi (IV.2)].
Ebbene la Corte di Cassazione, in apprezzatissime sentenze, smentendo i pa-
vidi e i conformisti (per la replica ad alcune prime letture scettiche dello Statuto
rinvio alla mia noterella apparsa in Corr. trib., 2001, 2069 sg.) enucleati, dall’art.
1, primo comma, quattro enunciati - a) l’autoqualificazione delle disposizioni
dello Statuto come attuative della Costituzione; b) il valore di tali norme, come
principi generali dell’ordinamento tributario; c) il divieto di deroga o modifica
delle norme, in modo tacito; d) il divieto di deroga o modifica mediante leggi
speciali - ha soggiunto: “Quale che possa essere l’incidenza dei quattro enunciati
normativi contenuti nel primo comma dell’art. 1 della legge n. 212 del 2000…..
è certo, però, che alle specifiche clausole rafforzative di autoqualificazione delle
disposizioni stesse come attuative delle norme costituzionali richiamate e come
principi generali dell’ordinamento tributario deve essere attribuito un preciso
valore normativo”. E poiché “… il tratto comune ai quattro distinti significati
della locuzione “principi generali dell’ordinamento tributario” è costituito, quanto
meno, dalla superiorità assiologica dei principi espressi o desumibili dalle dispo-
sizioni dello Statuto e, quindi, dalla loro funzione di orientamento ermeneutico,
vincolante per l’interprete”….. “il dubbio interpretativo o applicativo sul signi-
ficato e sulla portata di qualsiasi disposizione tributaria che attenga ad ambiti
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materiali disciplinati dalla legge n. 212/2000 deve essere risolto dall’interprete nel
senso più conforme ai principi statutari” (così Cass. sez.trib., 12 febbraio 2003,
n. 17576, in Riv.dir.fin., 2003, II, 37 sg. e anche Cass., sez. trib., 30 marzo 2001,
n. 4760; si veda anche, per un identico ordine argomentativo con riguardo ai
vincoli posti dalla legge n. 142/1990, Corte cost. 9 aprile 1997, n, 111).
Fondamentale è, quindi, il ruolo dello Statuto nell’interpretazione delle dispo-
sizioni tributarie di rango legislativo [l. murciano (IV.3)] così come il Supremo,
con la sentenza ora citata (Cass. n. 17576), mostra di condividere l’impostazione
secondo la quale “lo Statuto contiene disposizioni volte a orientare in senso ga-
rantistico tutta la prospettiva costituzionale del diritto tributario, per cui, dopo
questa sentenza, il collegamento tra diritto tributario e diritto costituzionale ap-
pare più stretto e la Costituzione appare più vicina” [g. falcone (IV.4)].
Si comprende così perché, in una concreta fattispecie (ed è solo un esempio;
si controverteva sulla decorrenza degli interessi liquidabili su crediti di imposta)
la Corte di Cassazione abbia statuito che “se si commette l’errore di identificare
il legislatore con il Ministero delle finanze, allora la norma in esame può anche
essere intesa nel senso che abbia voluto garantire all’Erario il minore esborso
possibile. Ma se, invece, la volontà legislativa deve essere ricostruita in ragione
dei canoni costituzionali di razionalità, uguaglianza, imparzialità e buon anda-
mento della Pubblica Amministrazione (ai quali si richiama anche il recente Sta-
tuto del contribuente, art. 1, 1° comma, della L. 27 luglio 2000, n. 212), la norma
deve essere esaminata non soltanto nell’ottica degli interessi erariali, ma anche
in quella degli interessi del contribuente. Anche quando, come nella specie, si
tratti di leggi in senso sostanziale emanate dal Governo su delega parlamentare.
Anzi, proprio quando si tratti di “leggi di parte”, la lettura costituzionale deve
essere più penetrante” (così Cass., sez. trib., 30 marzo 2001, n. 4760).
5. La tutela dall’abuso dei decreti legge: i divieti contenuti nell’art. 4 dello Statuto
e la loro incidenza sulle scelte del legislatore fiscale
Alla luce di queste prime osservazioni appare inequivocabile l’intento del le-
gislatore dello Statuto di dettare alcune regole che valgano a garantire anche la
stabilità e la ponderatezza della legislazione fiscale.
Intento encomiabile, ripeto, che ha trovato la sua genesi non solo, e non tan-
to, nella frequenza degli interventi legislativi, non solo nella loro sovrapposizione
ma anche e soprattutto per l’abuso del decreto-legge.
Ciò spiega il disposto del citato art. 4, che, recuperando la volontà dei “padri
costituenti” per anni tradita e mortificata, statuisce che “non si può disporre con
decreto legge l’istituzione di nuovi tributi né prevedere l’applicazione di tributi
esistenti ad altre categorie di soggetti”.
Orbene non intendo ripercorrere tutte le osservazioni che altrove ho svolto
sulla fisiologica utilizzazione del decreto-legge, sul controllo della Corte costitu-
zionale sull’esistenza dei requisiti previsti dall’art. 77 Costituzione e come, pur
nel loro rispetto, non si mortifichino le possibilità di scelta del legislatore che
può aumentare o diminuire aliquote di tributi esistenti e quindi operare scelte
di politica economica che, però, non incidono sulla struttura dell’ordinamento
tributario esistente [g. marongiu (V.1)].
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Anche la Commissione bolognese ben sapeva che il decreto di fine anno nel
suo complesso era volto a realizzare i mezzi necessari all’ingresso dell’Italia
nell’Unione Europea, ma essa chiedeva che il dubbio fosse risolto anche su un
altro versante, quello attinente l’esistenza dei requisiti costituzionali con riguardo
alla specifica normativa dettata per gli ammortamenti finanziari.
Inequivocabile, nell’ordinanza di rinvio, era infatti, il riferimento “a una nor-
mativa esistente da tempo nell’ordinamento” e implicito il quesito e cioè quale
fosse la situazione straordinaria e urgente che ne giustificasse la modificazione.
Se questo era il ragionevole dubbio dei giudici bolognesi esso mi sembra
rimasto tale perché se fosse sufficiente la necessità di maggiori risorse per giu-
stificare (non solo un esplicito aumento delle aliquote ma) anche il mutamento
specifico di uno o di più tessuti normativi volto ad ottenere surrettiziamente
solo ed esclusivamente lo stesso scopo, ebbene le “necessità” di gettito tutto
giustificherebbero e tutto potrebbe essere innovato, nell’ordinamento fiscale, per
decreto-legge onde esso, nei fatti più non sarebbe eccezionale, come volevano i
padri costituenti, come sancisce la Costituzione e come prevede lo Statuto del
contribuente.
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6.1. L’applicazione del principio anche ai rapporti anteriori allo Statuto, ai tributi
non periodici, alle ipotesi di c.d. pseudo retroattività e mai alla retroattività
in bonam partem per il contribuente
Dalle considerazioni svolte – ha soggiunto la Corte di Cassazione, relativamen-
te alla materia tributaria – consegue “che il principio della tutela del legittimo
affidamento deve essere applicato, ove ne sussistano i presupposti e secondo le
circostanze del caso concreto, in tutti i rapporti tributari, anche se sorti, quale
quello di specie, in epoca anteriore all’entrata in vigore della legge n. 212 del
2000”( così Cass., n. 17576 del 2002 cit.).
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rimento agli artt., 3, primo comma, e 24, secondo comma, della Costituzione,
nei confronti di una norma che sanciva l’interpretazione autentica dell’art. 38,
comma 2, del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546.
La Corte ribadito che “occorre in particolare soffermarsi sull’affidamento del
cittadino nella sicurezza giuridica”, ricordato che “Tale principio deve valere an-
che in materia processuale, dove si traduce nell’esigenza che le parti conoscano
il momento in cui sorgono oneri con effetti per loro pregiudizievoli, nonché nel
legittimo affidamento delle parti stesse nello svolgimento del giudizio secondo
le regole vigenti all’epoca del compimento degli atti processuali (cfr. la sentenza
n. 11 del 1998)” così ha deciso: “La norma impugnata dà una interpretazione
del citato art. 38, comma 2, che non era fra quelle accolte in sede giudiziale ed
era nettamente minoritaria anche nella dottrina: come rileva il giudice a quo,
anche il contribuente più scrupoloso difficilmente avrebbe potuto pensare che
la notifica delle sentenze tributarie di secondo grado, ricorribili per cassazione,
dovesse essere effettuata presso l’Avvocatura distrettuale dello Stato, ma tutt’al
più presso quella generale.
“Sono state così rese inefficaci, ai fini della decorrenza del termine breve di
impugnazione, le notifiche operate sia presso l’Avvocatura generale, sia presso i
singoli uffici finanziari, consentendo all’Amministrazione la possibilità di ricor-
rere contro decisioni che, altrimenti, avrebbero dovuto essere ritenute coperte
dal giudicato.
“La volontà di chiarire il senso dell’anzidetto art. 38, comma 2, del D.Lgs.
n. 546 del 1992 e le eventuali pur legittime, considerazioni di convenienza del
legislatore non avrebbero, quindi, dovuto portare a dichiarare applicabile anche
per il passato la nuova disciplina delle notifiche delle sentenze tributarie, poiché
in questo modo è stato frustrato l’affidamento dei soggetti nella possibilità di
operare sulla base delle condizioni normative presenti nell’ordinamento in un
dato periodo storico, senza che vi fosse una ragionevole necessità di sacrificare
tale affidamento nel bilanciamento con altri interessi costituzionali (cfr. la sen-
tenza n. 211 del 1997).
“Detta fondamentale esigenza di garanzia si arresta, peraltro, nel momento
in cui la norma interpretativa è entrata in vigore.
“Deve, pertanto, dichiararsi illegittima, per violazione dell’art. 3 della Costi-
tuzione, la sola parte della norma impugnata che estende anche al passato l’in-
terpretazione autentica dell’art. 38, comma 2, del D.Lgs. n. 546 del 1992” (così
Corte cost, 22 novembre 2000, n. 525).
Lo Statuto dei diritti del contribuente esplicitamente richiama non solo gli
artt. 3, 23 e 53 della Costituzione ma anche l’art. 97 [f. d’ayala valva (VII.1)]
secondo il quale “i pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge
in modo che siano assicurati il buon andamento e l’imparzialità dell’amministra-
zione”.
Il riferimento non deve stupire perchè già il Supremo Collegio insegnò e
insegna che anche “l’Amministrazione finanziaria non è un qualsiasi soggetto
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cui all’art. 3 comma 1 Cost. – che il principio stesso, mutuato da quelli civi-
listici della buona fede e dell’affidamento incolpevole nei rapporti fondati sul-
la autonomia privata, è immanente in tutti i rapporti di diritto pubblico – e,
quindi, anche in quelli tributari – e costituisce un preciso limite all’esercizio sia
dell’attività legislativa, sia dell’attività amministrativa, e tributaria in particolare;
nonché, come già sottolineato, un altrettanto preciso vincolo ermeneutico per
l’interprete delle disposizioni tributarie in forza di quanto stabilito dall’art. 10
comma 1 dello Statuto.
“Da ciò consegue, in particolare, relativamente alla materia tributaria che il
principio della tutela del legittimo affidamento – il quale, proprio perché esistente
ed operante anche nel diritto e nell’ordinamento tributari già prima dell’entrata
in vigore dello Statuto, è stato soltanto reso esplicito dalla disposizione da ulti-
mo citata – deve essere applicato, ove ne sussistano i presupposti e secondo le
circostanze del caso concreto, in tutti i rapporti tributari, anche se sorti, quale
quello di specie, in epoca anteriore all’entrata in vigore della legge n. 212 del
2000” (così Cass., 10 dicembre 2002, n. 17576).
Ne consegue che, ove ne sussistano i presupposti e secondo le circostanze del
caso concreto (per la loro puntuale indicazione si veda ancora Cass. n. 17576), il
giudice può e deve pronunciare l’annullamento totale dell’atto impositivo, anche
con riguardo all’imposta, se accerti che la pretesa fiscale è difforme (e superio-
re) rispetto a quella determinabile sulla base dell’interpretazione fornita nella
circolare cui il contribuente si fosse adeguato o e comunque in contrasto con
un atto o con un comportamento dell’amministrazione.
Lo ha riconosciuto lo stesso Supremo Collegio là dove ha deciso che, nel
caso concreto, “non si tratta, pertanto, di una delle ipotesi prefigurate dall’art.
10, comma 2, della legge n. 212 del 2000, con conseguente, limitata efficacia del
principio di affidamento alla non irrogabilità delle sanzioni e/o all’inapplicabilità
di interessi moratori” (così ancora Cass., n. 17576, cit.).
Nella stessa logica si pone la sentenza per la quale “deve essere ammesso
alla definizione agevolata il contribuente che abbia sostanzialmente rispettato la
condizione fissata dalla disposizione che la introduce provvedendo al versamento
delle somme iscritte a ruolo non nell’originario termine di scadenza ma in quel-
lo successivo fissato a seguito di formale provvedimento di dilazione concesso
dall’amministrazione finanziaria”. Infatti, “la contraria interpretazione prospettata
dal Ministero si pone in evidente contrasto con il principio di affidamento che
deve guidare l’interprete nella valutazione delle vicende attinenti alla nascita e
alla evoluzione dei rapporti tributari” e quindi “il comportamento del contri-
buente che, come nella specie, sia stato rispettoso delle prescrizioni ministeriali,
non può poi essere ritenuto illegittimo o comunque preclusivo di benefici” (così
Cass., sez. trib. 13 novembre 2004, n. 17129 in Corr.trib., 2004, n. 5, p. 389 sg.
con nota di M. Basilavecchia ).
In sintesi, è configurabile la conclusione per cui a) se l’atto dell’amministra-
zione ha un contenuto inequivocabile, senza ombra di dubbi e di prospettazioni
alternative, neppure l’imposta potrà essere pretesa da chi ad esso si sia attenuto
come le ovvie conseguenze sulla non debenza degli interessi e delle sanzioni, men-
tre b) se l’atto dell’amministrazione prospetta una mera ipotesi interpretativa, una
indicazione preferenziale ma non esaustiva non dovranno essere nè pretesi inte-
ressi nè irrogate sanzioni a chi ad essa si sia attenuto [g. marongiu (VII.12)].
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Fuori dal campo dell’affidamento e della tutela della buona fede (e quindi
a prescindere all’esistenza di circolari e di risoluzioni in un senso o nell’altro)
non potranno essere irrogate sanzioni quando la violazione dipenda da obiettive
condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione della norma
tributaria (così statuisce il terzo comma dell’art. 10 dello Statuto) [l. del fede-
rico (VII.13)].
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D.Lgs. 32 dicembre 1992 n. 546 (così Cass. sez. trib., 15 marzo 2005, n. 5270,
in Riv. dir. trib., 2005, II, pg. 120 sg. con nota di C. Todini).
Ebbene per giungere a questa conclusione il Supremo Collegio non si è limi-
tato a disaminare il ruolo del funzionario e i suoi poteri ma ha anche precisato
che “la controversia che ne occupa non può essere risolta sulla base di una rigida
e puntigliosa disamina dei poteri del funzionario presente in udienza.
“È invece necessario – ha soggiunto la Cassazione – valutare il rilievo esterno
dell’attività del funzionario stesso rispetto alle parti con cui entra in relazione
nella qualifica, soprattutto in un momento in cui anche attraverso lo Statuto dei
diritti del contribuente, si stanno facendo i massimi sforzi per avere anche in
Italia un Fisco “civile” e per introdurre un sano rapporto di dialogo e di aperta
collaborazione tra contribuenti e uffici dell’amministrazione”.
Onde, ha concluso la Corte, alla luce delle norme e dei principi sopra richia-
mati “e quindi anche dell’art. 10 dello Statuto, in presenza di un funzionario che
dichiara di rinunciare al ricorso chiedendo la compensazione delle spese, eserci-
tando il potere di valutare lo svolgimento del processo, prendendo le decisioni
ritenute più opportune in ordine al possibile esito dello stesso, anche valutando
i conseguenti oneri che potrebbero gravare sull’amministrazione in caso di soc-
combenza, il ricorso si appalesa infondato” (così Cass., ult.cit.).
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9. La semplificazione amministrativa
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Le garanzie informative apprestate dallo Statuto operano non solo con l’in-
formazione del contribuente (art. 5), ma anche con l’effettiva conoscenza degli
atti a lui destinati (art. 6) e con l’interpello (art. 11). Il tutto si collega, poi, ai
principi della collaborazione e della buona fede cui si deve improntare il rap-
porto tra contribuente e amministrazione finanziaria.
Per altro, mentre l’informazione è soprattutto preordinata alla diffusione di un
insieme di conoscenze dell’amministrazione pubblica chiamata ad assicurarla e si
rivolge a una massa indistinta di soggetti, la conoscenza, garantita dal rispetto
di forme e modalità tipiche (comunicazione e notificazione), ha un contenuto
più circoscritto riguardando singoli atti e soggetti determinati.
Lo ha riconosciuto anche la Corte di Cassazione quando ha statuito che l’art.
44 del d.P.R. n. 602/1973 deve essere interpretato nel senso che gli interessi
decorrono fino alla data di emissione dell’ordinativo in quanto ritualmente e
tempestivamente notificato.
“Tale conclusione, ha osservato la Corte, è confortata oggi anche dal princi-
pio di conoscenza degli atti sancito dall’art. 6 della già citata legge n. 212/2000
per il quale l’amministrazione finanziaria deve assicurare l’effettiva conoscenza
da parte del contribuente degli atti a lui destinati.
“Quindi, sono sempre parole della Corte, prima che il contribuente abbia
conoscenza degli atti che incidono sulla sua posizione debitoria o creditoria nei
confronti del fisco, gli atti stessi non possono produrre effetti”.
E infatti, considerato che il citato art. 6 va inquadrato “nell’enunciazione di
cui all’art. 1, secondo il quale le disposizioni dello Statuto costituiscono principi
generali dell’ordinamento tributario, e si tratta di un principio che deve aiutare
l’interprete a ricavare dalle norme il senso che le rende compatibili con i principi
costituzionali citati, nella specie (ha concluso il Supremo Collegio) il senso da
attribuire al riferimento alla data dell’ordinativo di pagamento (art. 44, comma
1 del d.P.R. n. 602 del 1973) che renda la norma compatibile in particolare con
i principi di uguaglianza e di buona andamento e imparzialità della pubblica
amministrazione, non può che essere quello colto dai giudici di merito, e con-
diviso dal Collegio per le ragioni esposte” (così Cass., sez. trib., 30 marzo 2001,
n. 4760, in Il fisco, 2001, p. 7777).
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ai progetti degli anni ‘90 e anche rispetto alla disciplina specifica dettata per
quelle ben note e limitate ipotesi in cui l’interpello era già da qualche anno pre-
visto e disciplinato: ci si riferisce al cd. interpello antielusivo, al cd. interpello
disapplicativo, nonché ai servizi di consulenza giuridica.
In primo luogo le disposizioni dello Statuto si pongono come «i principi
generali dell’ordinamento tributario» in virtù della qualificazione recata dall’art.
1, primo comma, e in quanto attuazione delle norme costituzionali e ciò rileva,
quanto meno sul piano interpretativo, consentendo l’utilizzazione di detti principi
in funzione integrativa delle lacune dell’ordinamento.
In secondo luogo, l’interpello esce dai limiti angusti in cui era previsto e di-
venta istituto di generale applicazione, tant’è che «ciascun contribuente può inol-
trare per iscritto all’Amministrazione finanziaria, che risponde entro centoventi
giorni, circostanziate e specifiche istanze di interpello concernenti l’applicazione
delle disposizioni tributarie a casi concreti e personali qualora vi siano obiettive
condizioni di incertezza sulla corretta interpretazione delle disposizioni stesse».
Non si indugia in questa sede sui presupposti dell’interpello, sull’oggetto della
relativa istanza, sui requisiti, sulle modalità di presentazione (del che si è ampia-
mente scritto anche a commento del d.m. 26 aprile 2001, n. 209) [m. miccinesi, g.
marongiu (IX.2)] nonché sui soggetti abilitati ad attivarlo. Con riguardo a questi
ultimi ci si limita a ricordare la dottrina per la quale nella locuzione “contribuen-
te” usata nell’art. 11 dello Statuto si deve ricomprendere chiunque intenda avere
maggiori lumi sulla disciplina dei tributi esistenti nel nostro sistema tributario
e quindi anche i soggetti non residenti [e. della valle (IX.3)]: tesi che ha avuto
poi il consenso della stessa amministrazione (si vedano le circolari dell’Agenzia
delle Entrate del 13 febbraio 2003 n. 9 e del 16 maggio 2005, n. 23/E ).
Si sottolinea che radicalmente diversi dal passato e fortemente innovativi
sono gli effetti perché la risposta dell’Amministrazione finanziaria, soggiunge il
secondo comma dell’art. 11, «vincola l’Amministrazione con esclusivo riferimento
alla questione oggetto dell’istanza di interpello e limitatamente al richiedente»
e «qualora essa non pervenga al contribuente entro il termine di cui al comma
primo, si intende che l’Amministrazione concordi con l’interpretazione o con il
comportamento prospettato dal richiedente».
Ne consegue, soggiunge la legge, che «qualsiasi atto anche a contenuto im-
positivo o sanzionatorio, emanato in difformità dalla risposta, anche se desunta
ai sensi del precedente periodo, è nullo».
In sintesi, l’art. 11 è una delle disposizioni più innovative e importanti dello
Statuto, essendo volta a dare certezza e sicurezza a tutti.
Significative le Direttive del Ministro delle finanze del 21 settembre 2000, per
le quali “l’Amministrazione deve cogliere l’opportunità, rappresentata dal diritto
di interpello, di migliorare i rapporti con i contribuenti per improntarli ai prin-
cipi di correttezza e di buona fede”.
L’auspicio si è avverato e l’istituto negli anni successivi è definitivamente de-
collato e ha trovato amplissima applicazione, come attesta il continuo interesse
per esso della stessa amministrazione (dalle circolari del 2001 alla più recente
dell’Agenzia delle Entrate del 16 maggio 2005, n. 23/E ). Oggi, non resta quindi
che condividere la conclusione di chi lo ritiene applicabile anche ai tributi locali
[a. uricchio (IX.4)].
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13. La compensazione
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15. Il Garante
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pur sottolineando che l’attribuzione di funzioni più incisive non può che giovare,
ha argomentativamente soggiunto che “non è per questo necessario modificare
profondamente la disciplina che attualmente regola l’attività dei Garanti” onde
“anche sotto questo profilo l’impianto dello Statuto appare in realtà coerente e
lungimirante [l. salvini (xiii.3)].
16. Conclusioni
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Bibliografia:
I. Le ragioni dello Statuto. 1. G.Marongiu, Per una carta dei diritti del contribuente,
in Biblioteca della libertà, Torino, Centro Einaudi, 1995 n.130 p.21 ss; 2. G.Marongiu,
Contributo alla realizzazione della “Carta dei diritti del contribuente” in Dir.prat.tri-
but. 1991, I p.585 ss e G.Marongiu, Disposizione sulla legge tributaria in generale,
in Dir.prat.tribut. 1994, I p.333; 3. E.De Mita, Fisco e Costituzione, Milano, Giuffrè
2003 III, Premessa; 4. M.Ferrera, Verso la rivolta fiscale ? Cittadini e tasse in Italia,
in Biblioteca della libertà, 1986, ottobre – dicembre, p.121 ss; 5. E.De Mita, Interesse
fiscale e tutela del contribuente, Milano, Giuffrè, 1987 p.12
II. Il rifiuto di uno Statuto approvato con legge costituzionale. 1. G.Marongiu, Sta-
tuto del contribuente: primo consuntivo a un anno dall’entrata in vigore, in Corr.
trib. 2001 p.2069 ss; F.D’ayala Valva, Il principio di cooperazione nello Statuto dei
diritti del contribuente, Roma 2003 p.46 ss.
III. La sua incidenza anche sull’attività legislativa. 1. Lo Statuto dei diritti del con-
tribuente, a cura di G.Marongiu, con scritti di M.Beghin, r.cordeiro guerra, l.del
federico, e.della valle, g.marongiu, m.miccinesi, l.salvini, s.sammartino, d.stevanato e
a.uricchio, Torino, Giappichelli, 2004 di seguito citato come Lo statuto cit.
IV. Lo Statuto e i principi generali. 1. a.uricchio, Lo Statuto e gli enti locali, in Lo
Statuto cit. spec p.159 ss; 2. G.falcone, Il valore dello Statuto del contribuente, in
Fisco 2000 p. 11038 e S.Lombardi, Statuto dei diritti del contribuente e teoria delle
fonti, in Riv.dir.tribut. 2005 n.2 p.165 ss; 3. L.Murciano, Statuto del contribuente e
fonti del diritto tributario: un’ipotesi interpretativa sull’art.23 Cost., in Riv.dir.tribut.
2002 I p.921 ss e spec.p.950 ss; 4. G.falcone, Statuto dei diritti del contribuente e
Cassazione tributaria, in Fisco 2003 p.2221 ss.
V. La tutela dall’abuso dei decreti legge. 1. G.marongiu, Lo Statuto del contribuente:
le sue “ragioni”, le sue applicazioni, in Dir.prat.tribut. 2003 I p.1008 e spec.p. 1016
ss; 2.G.marongiu, Dubbi di legittimità costituzionale sulla nuova disciplina fiscale
degli ammortamenti finanziari dei beni gratuitamente devolvibili in Dir.prat.tribut.
2000, I, p.3 ss e G.marongiu, Retroattività, affidamento e esigenze di cassa, in Dir.
prat.tribut. 2001, II, p.831 ss
VI. L’irretroattività. 1. F.Moschetti, Il principio della capacità contributiva, Padova Ce-
dam 1973, p.325 ss., K.Tipke, La retroattività nel diritto tributario, in Trattato di di-
ritto tributario, diretto da A.Amatucci, Padova, Cedam 1994p.439-441; V.Mastroiacovo,
I limiti alla retroattività nel diritto tributario, Milano Giuffrè 2004; 2. P. Carnevale,
“Al fuggir di giovinezza … nel doman s’ha più certezza” (brevi riflessioni sul proces-
so di valorizzazione del principio di affidamento nella giurisprudenza costituzionale)
in Giur.cost. 1999 p.3625 ss; 3. G.marongiu, Retroattività, affidamento e esigenze di
cassa, in Dir.prat.tribut. 2001, II, p.831 ss
VII. La tutela dell’affidamento. 1. F. D’Ayala Valva, Il volto nuovo del fisco.Riflessioni
sull’attuazionee dell’art. 97 della Corte Costituzionale, in Nuovi studi politici, 2003,
p.1; 2.F.Benatti, Principio di buona fede e obbligazione tributaria, in Boll.tribut.
1986,p.947 ss.; 3. F.Benvenuti, Per un diritto amministrativo paritario, in studi in
memoria di Enrico Guicciardi, Padova, Cedam, 1975 p.818 ss.; P.Virga, Diritto am-
ministrativo. I principi, Milano, Giuffrè 1989 p.9 4. G.Marongiu, I conti transitori di
riassicurazione nella determinazione del reddito imponibile, in Dir.prat.tribut. 1991,
II, p.1388 ss.; 5. F.Tesauro, Istituzioni di diritto tributario, II ed. Torino Utet 1991,
I, p.40; G.Falsitta, Rilevanza delle circolari “interpretative”e tutela giurisdizionale del
contribuente, in Studi in onore di E.Allorio, Milano, Giuffrè, 1987; II, p. 1693 ss.; 6.
S.Sammartino, Le circolari interpretative delle norme tributarie emesse dall’ammini-
strazione finanziaria, in Studi i n onore di Victor Uckmar, Padova Cedam 1997, II,
p.1077 ss; 7. F.D’ayala valva, Il principio di cooperazione tra amministrazione e con-
tribuente. Il ruolo dello Statuto, in Riv.dir.tribut. 2001, I, p.915 ss. 8. E.Della Valle,
Affidamento e certezza del diritto tributario, Milano, Giuffrè 2001, E.della Valle, La
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