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C.

PRINCIPI
Il diritto è frazionato in una pluralità di settori. La rigida distinzione tra diritto
pubblico e diritto privato secondo la quale l’uno disciplinerebbe gli interessi
dell’intera collettività e l’altro regolerebbe gli interessi dei singoli individui è oggi
insostenibile. Nell’esperienza attuale vi sono associazioni private (partiti, sindacati)
che tutelano interessi collettivi o lo stato talvolta si assoggetta alle medesime regole
previste per i privati non soltanto nell’attività economica, ma anche nell’esercizio di
funzioni considerate tipiche manifestazioni del potere pubblico. In questa situazione
si possono qualificare sicuramente di diritto pubblico solo le regole che istituiscono e
disciplinano l’articolazione e il funzionamento interno della Repubblica. In ogni
settore convivono norme pubbliche e private. La prevalenza di un valore (persona,
salute, lavoro, cc.) rispetto ad un altro non corrisponde alla maggiore o minore
generalità dell’interesse perseguito, ma dipende da un bilanciamento secondo
ragionevolezza. Il confronto, il conflitto e la mediazione hanno luogo tra interessi
sempre riferibili a persone; nel perseguimento di tali interessi finali si possono
individuare interessi intermedi (se a è il mio fine e b un mezzo per realizzare a, sono
interessato strumentalmente a b). Sono di diritto privato le regole e i principi
riconducibili al principio di uguaglianza; sono di diritto pubblico le norme che
istituiscono una differenza tra soggetti comuni (privati) ed altri soggetti.
DIRITTO CIVILE= DIRITTO DI TUTTI
Il personalismo nasce come dottrina di ispirazione cristiana in confronto critico con
l’esistenzialismo e il marxismo: la persona è totalità e indipendenza. La persona oggi
è il punto di confluenza di una pluralità di culture che riconoscono in questo termine
il proprio riferimento di valore. Il principio di tutela della persona è il supremo
principio costituzionale, fonda la legittimità dell’ordinamento e la sovranità dello
stato. La persona è insperabile dalla solidarietà. Nella prospettiva costituzionale la
solidarietà esprime la cooperazione e l’eguaglianza nell’affermazione dei diritti
fondamentali di tutti. Le formazioni sociali (famiglia, sindacato, partito, cc.) hanno
rilievo costituzionale quali luoghi nei quali si sviluppa la personalità. L’ordinamento
giuridico assicura il rispetto della dignità dell’associato e tutela l’eguaglianza.
La democrazia è procedura di decisione che richiede un libero confronto di opinioni
e una deliberazione, mediante voto, con prevalenza della maggioranza sulla
minoranza. La democraticità caratterizza l’ordinamento costituzionale (art.1 cost.).
L’attuazione della democrazia nella società si manifesta mediante il rispetto
reciproco, l’eguaglianza morale e giuridica.
La prevenzione dell’abuso è garantita dalla separazione delle funzioni tipiche dello
stato, ciascuna attribuita ad una specifica istituzione che rappresenta un potere
separato: potere legislativo, esecutivo e giudiziario. L’equilibrio e il reciproco
controllo tra questi poteri impediscono la prevaricazione dell’uno sull’altro. Nella
costituzione sono previsti organi ai quali sono affidati funzioni non riconducibili alla
tripartizione: come il presidente della repubblica e la Corte costituzionale.
La costituzione riconosce l’eguaglianza sia come divieto di discriminazione fondata
su differenze biologiche o culturali sia come impegno dello stato a rimuovere le
condizioni che ostacolano lo sviluppo della persona. Tutti i cittadini sono eguali
dinanzi alla legge, senza distinzione di sesso, razza, lingua, religione, opinioni
politiche, condizioni personali e sociali. La repubblica rimuove gli ostacoli di ordine
economico e sociale che impediscono il pieno sviluppo della persona umana e
l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e
sociale del paese. La legge non può distribuire privilegi o discriminare legalizzando
una differenza. La differenza non va diffusa con la diseguaglianza: la prima è un dato
fattuale, la diseguaglianza è un giudizio di valore. Il concetto costituzionale
dell’eguaglianza è violato sia quando situazioni eguali subiscono un trattamento
diverso sia quando degli individui in situazioni differenti ricevono un trattamento
identico. Il principio di eguaglianza è unitario. La eguaglianza formale e quella
sostanziale esprimono un unico principio, quello dell’eguaglianza nella giustizia
sociale. L’eguaglianza sostanziale è attuata con la redistribuzione dei beni e con
discipline diversificate in ragione della diseguaglianza di fatto, ma anche con la
garanzia della partecipazione degli individui alla dinamica dei rapporti di diritto
civile. L’eguaglianza di diritto comprende il riconoscimento a tutti della capacità
giuridica, il divieto di discriminazione non giustificata e l’eguale godimento di diritti
fondamentali. I divieti di discriminazione in ragione di sesso, etnia, lingua, religione,
opinioni politiche, condizioni personali e sociali sono uno strumento di giustizia
perché connettono dignità sociale di ciascuno individuo e realizzazione effettiva di
eguaglianza nella libera autodeterminazione.
Democraticità, separazione dei poteri, eguaglianza, personalismo trovano il
momento principale di svolgimento nell’attività legislativa del parlamento.
Delimitano la funzione legislativa il principio di irretroattività e la riserva di legge. La
legge è idonea a regolamentare i rapporti giuridici venuti ad esistere in un momento
successivo a quello nel quale essa è entrata in vigore. L’irretroattività è regola di
rango costituzionale solo nella materia penale; negli altri ambiti le leggi retroattive
sono legittime purché non contrastino con l’eguaglianza, la ragionevolezza e con il
principio di legalità. L’irretroattività opera come limite generale al potere legislativo.
La riserva di legge è la previsione nella costituzione di materie che devono essere
disciplinate soltanto dalla legge. Le riserve si distinguono in assolute e relative. La
riserva assoluta impone al legislatore di determinare fin nei dettagli la materia
riservata; la riserva relativa impone al legislatore di determinare la disciplina di
principio, lasciando a fonti secondarie quella di dettaglio. Alcune volte la
costituzione indica anche quali debbano essere i contenuti di valore di tale legge:
riserva rinforzata. La corte ha un ruolo di garanzia, non è titolare della funzione
legislativa e non può sostituirsi al parlamento. Essa controlla che la funzione
legislativa si svolga in senso attuativo dei principi costituzionali. Le sentenze della
corte sono di inammissibilità, di infondatezza e di fondatezza.
1. INAMMISSIBILITA: si dichiara inammissibile la questione perché manca un
requisito affinché il processo abbia luogo validamente
2. INFONDATEZZA: riguarda il merito della vicenda; ove la corte non condivide la
censura di legittimità costituzionale, dichiara infondata la questione
rigettandola. Con la sentenza di rigetto la corte accerta l’infondatezza della
questione di costituzionalità e la disposizione di legge impugnata resta in
vigore.
3. ACCOGLIMENTO: totale o parziale; la corte invalida, in tutto o in parte, la
disposizione impugnata, la quale cessa di avere efficacia dal giorno successivo
alla pubblicazione della decisione.
La decisione può essere interpretativa di rigetto o di accoglimento: nel primo caso di
dichiara che la norma A, che risulta dall’interpretazione che la corte effettua dal
testo X, è costituzionalmente legittima; nel secondo la norma B tratto dallo stesso
testo X è incostituzionale. La sentenza di rigetto non ha forza legale vincolante; la
sentenza interpretativa di accoglimento è vincolante per tutti. Un’ulteriore specie è
la sentenza additiva: la corte dichiara una legge incostituzionale per ciò che non
dice; la corte individua l’interpretazione incostituzionale. La corte può imporre o
consigliare una certa interpretazione. L’attività della corte tende ad incidere
sull’esercizio della funzione legislativa e ad imporre una collaborazione con il
parlamento. Abbiamo le sentenze monito: la questione, pur fondata in astratto, è
decisa con una sentenza di rigetto; deve esserci un intervento del parlamento per
evitare un vuoto legislativo. Abbiamo le sentenze di incostituzionalità sopravvenuta:
si impedisce che gli effetti della dichiarazione di incostituzionalità siano retroattivi;
sentenze a incostituzionalità differita: si assegna un termine al legislatore per
provvedere, ritardando gli effetti della dichiarazione di incostituzionalità. Abbiamo le
sentenze attuative dell’eguaglianza verso il basso: si toglie un beneficio alle
categorie che lo hanno invece di estendere un beneficio a categorie non comprese
da una legge. Abbiamo le sentenze additive di principio: la corte dichiara
incostituzionale una legge vigente e indica non la regola ma il principio; le norme
che prima della sentenza disciplinavano la materia non sono più applicabili in quanto
dichiarate incostituzionali.
La sentenza di accoglimento della corte fa cessare l’operatività della disposizione
impugnata. Tale annullamento va distinto dall’abrogazione che consiste
nell’eliminazione dell’efficacia della legge da parte di una nuova legge che delimita
la sfera materiale di efficacia (applicabilità) ai fatti verificatisi fino ad un certo
momento nel tempo. L’abrogazione può essere espressa o tacita. L’abrogazione
espressa ricorre dove sussiste la dichiarazione esplicita resa da parte del legislatore;
in questo caso la legge abrogatrice deve menzionare specificatamente la
disposizione o il complesso di disposizioni da considerare abrogate (referendum
abrogativo). L’abrogazione tacita suppone la nozione di incompatibilità oggettiva tra
due norme, ossia l’impossibilità della loro concorrente applicazione. Di regola
l’abrogazione opera ex nunc (da ora in poi; atto esplicita i suoi effetti solo dal
momento in cui viene attuato); tale irretroattività è derogabile qualora sia
funzionale alla tutela di diritti fondamentali. L’annullamento travolge anche l’effetto
abrogativo, riportando in vita anche le norme abrogate. La sentenza di
incostituzionalità non è abrogativa della disposizione. Si tratta di due fenomeni che
emanano differenti criteri di risoluzione delle antinomie: il criterio gerarchico in un
caso (annullamento); il criterio cronologico nell’altro (abrogazione). Le principali
differenze tra abrogazione e annullamento si hanno:
- Con riguardo ai PRESUPPOSTI: l’abrogazione presuppone norme che si
susseguono nel tempo, poste fa fonti dello stesso tipo o comunque
omogenee; l’annullamento opera rispetto a norme incompatibili sul piano dei
valori
- In relazione al MODUS OPERANDI: l’abrogazione si produce sulla base di un
contrasto due norme successive e può essere rilevata da qualsiasi giudice;
l’annullamento consegue dopo l’intervento dell’organo al quale l’ordinamento
giuridico attribuisce tale competenza
- Con riguardo agli EFFETTI: l’annullamento incide sulla validità delle norme e le
elimina; l’abrogazione limita l’efficacia di una norma comunque valida
Abbiamo la tecnica dell’interpretazione abrogante che può essere realizzata anche
dall’interprete comune, là dove la norma in esame non abbia una ratio nel sistema
vigente tale da giustificarne l’esistenza.
Una scelta di politica economica può perdere ogni efficacia se è contrastata dalla
banca centrale europea che ha una autonoma incidenza nel governo del credito. La
funzione legislativa deve fare i conti con la funzione di mercato. I teorici della lex
mercatoria (la Lex mercatoria è un sistema di norme e regole di tipo
consuetudinario, nate in forma spontanea tra gli appartenenti a determinati settori
commerciali, finalizzato alla regolamentazione di rapporti contrattuali ed
extracontrattuali aventi elementi di internazionalità) aggiungono che un contratto è
meritevole di tutela se è diffuso sul mercato internazionale. Il mercato ora è inteso
come istituzione produttrice di proprie regole finalizzate alla determinazione dei
prezzi e dei comportamenti (in senso ideologico), come area di libertà che configura
le azioni degli individui. Mediante il mercato la ricchezza è prodotta e si distribuisce.
Il mercato deve essere permeato da regole etiche: onestà negli affari, la lealtà, il
rispetto delle persone, ecc. Il mercato non è una realtà distinta dal diritto. Vi è
mercato se vi è possibilità giuridica di commerciare un bene, se vi è tutela contro
l’inadempimento delle promesse di scambio contenute nei contratti. La costituzione
fa espressa menzione alla tutela della concorrenza e al mercato. Si vieta che il
potere di mercato ostacoli lo sviluppo di altre imprese o si risolva in un danno per i
cittadini. L’antitrust è un rimedio utile ma non esclusivo per garantire la concorrenza
e la completezza dell’informazione.

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