Sei sulla pagina 1di 38

APPUNTI DIRITTO ED ECONOMIA CLASSI PRIME E SECONDE

(Prof.Paola Calise Piro)

LE NORME GIURIDICHE

Competenze: Distinguere diverse tipologie di norme, individuare le caratteristiche delle norme giuridiche in
alcune norme specifiche, interpretare alcune norme (Individuare le caratteristiche essenziali della norma
giuridica e comprenderle a partire dalle proprie esperienze e dal contesto scolastico)
conoscenze: Conoscere le caratteristiche delle norme giuridiche
Ogni organizzazione sociale si fonda su regole che hanno l’obiettivo di garantire la pacifica
convivenza. In qualsiasi gruppo nascono delle regole, non necessariamente formalizzate. Al livello
più generale esistono perciò delle regole sociali, da cui, nel corso del tempo, sono sorte norme più
specializzate, relative a determinati ambiti dell’agire umano.
Nelle società primitive tale specializzazione non esisteva ancora: le norme erano
contemporaneamente magico-religiose, giuridiche e sociali e ovviamente erano consuetudinarie e
non scritte.
Oggi possiamo distinguere diversi ambiti di norme con caratteristiche diverse. Molte regole
sociali rimangono non scritte e soprattutto non obbligatorie: ad esempio le norme di buona
educazione (il cosiddetto galateo), per la cui violazione non esistono sanzioni formalizzate,
ma soltanto la riprovazione da parte del contesto sociale. Non si deve pensare che questa
mancanza di formalizzazione implichi necessariamente una minore importanza o gravità delle
conseguenze: chi non si adegua a determinate regole di comportamento può essere escluso da
un gruppo sociale, con implicazioni anche gravi per la sua vita. Ma la sanzione non è definita,
può esserci o non esserci, in modo talvolta imprevedibile.
All’interno delle norme sociali possiamo collocare anche le norme morali e quelle religiose.
In molti casi i comandi e i divieti delle norme morali e religiose coincidono con quelli delle
norme giuridiche: uccidere e rubare sono comportamenti vietati da tutti i codici morali, da
tutte le religioni, ma anche evidentemente dalle norme di diritto positivo di uno Stato. Non
sempre però è così: lo Stato moderno in cui viviamo è uno Stato laico, in cui viene garantita la
libertà religiosa, ma le norme dello Stato non coincidono con quelle di una specifica religione.
Questa identificazione fra potere religioso e politico avviene ancora in alcuni Stati, soprattutto
islamici, che proprio per questo non sono considerati democratici, ma in caso teocratici.
In Italia, ad esempio, pur aderendo la maggioranza della popolazione alla religione cattolica,
esistono parecchi casi di divergenza fra le norme civili dello stato e quelle della morale
cattolica: basti citare il divorzio e l’aborto. Il rispetto di norme morali e religiose rimane
affidato alla coscienza dei singoli, è frutto di una loro libera scelta: non esistono perciò
sanzioni esterne per la violazione di queste norme.
Oggi, in una società definita multiculturale e multireligiosa, i riferimenti culturali e morali
delle persone possono essere molto diversi e questa situazione crea frequentemente conflitti
ed intolleranza: sempre più sono quindi necessari il confronto e il dialogo per negoziare i
valori condivisibili della convivenza civile, costruendo quella che viene definita società
interculturale.
Le norme giuridiche invece, che costituiscono nel loro insieme il diritto oggettivo, sono
obbligatorie, nel senso che l’ordinamento dispone di strumenti coattivi (l’uso della forza) per
farle rispettare o per reprimere le violazioni. Queste norme devono perciò essere rispettate da
tutti, anche da chi proviene da culture diverse da quella italiana. Bisogna però sottolineare che
negli Stati democratici le norme sono l’espressione della volontà della maggioranza, per cui
esiste una tensione continua fra coazione e consenso: in genere, le norme che non ricevono
più un consenso sociale diffuso vengono modificate. È questo l’aspetto evolutivo del diritto.
Rimane però vero che, fino a quando una norma è in vigore, può e deve essere fatta rispettare
anche tramite l’uso della forza.
Così chi si rifiutasse immotivatamente di pagare una multa sarebbe esposto ad un’azione di
pignoramento eseguita da un ufficiale giudiziario in modo che sul ricavato dei suoi beni
venduti ad un’asta pubblica lo Stato possa ricevere quanto dovuto.
Vediamo adesso più specificatamente le caratteristiche delle norme giuridiche, che
impongono comandi o divieti:
1. le norme giuridiche sono generali, cioè rivolte a tutti o ad intere categorie di persone e-mai
a soggetti singoli identificati
2. le norme giuridiche sono astratte, cioè non prevedono specifici casi concreti, ma fattispecie
ipotetiche ovvero una serie indefinita di situazioni future che potrebbero verificarsi
3. le norme giuridiche sono bilaterali, cioè contemporaneamente prevedono situazioni
giuridiche attive e passive (se stabiliscono un diritto implicitamente prevedono un dovere o
un obbligo, se stabiliscono un obbligo, riconoscono anche il corrispondente diritto)
4. le norme giuridiche, come abbiamo già visto, sono obbligatorie o dotate di esterna coazione
5. le norme giuridiche sono anche relative, in quanto cambiano nel tempo e nello spazio, come
già si è visto parlando dell’evoluzione dei sistemi giuridici nella storia: infatti, anche se è
vero che gli Stati dispongono del cosiddetto monopolio della forza, nelle democrazie le
norme, per quanto obbligatorie, si reggono sul consenso dei consociati, che tramite i loro
rappresentanti possono modificarle.
6. come già abbiamo visto, le norme sono positive, cioè poste dallo Stato.

Non tutte le norme hanno lo stesso grado di obbligatorietà: vi sono infatti norme imperative,
che non ammettono deroghe, e norme dispositive, che possono essere derogate dalla diversa
volontà delle parti. Queste ultime sono frequenti nel diritto privato, mentre le norme di diritto
pubblico, e in particolare penale, sono sempre imperative. L’ignoranza di tali norme non è
ammessa: se vengono infrante, non si può addurre a giustificazione il fatto di non conoscerle.
Esaminiamo, ad esempio l’art. 2043 del Codice Civile che recita: “Qualunque fatto doloso o
colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a
risarcire il danno.”
“Colui che”, cioè chiunque, indica la generalità della norma
“Qualunque fatto … che cagiona ad altri un danno ingiusto …” indica l’astrattezza della
norma
“Obbliga … a risarcire” indica l’obbligatorietà della norma
Gli “altri” hanno invece un diritto al risarcimento e in questo sta la bilateralità della norma.
L’art. 1228 del Codice Civile propone una norma dispositiva:
“Salva diversa volontà delle parti, il debitore che nell'adempimento dell'obbligazione si vale
dell'opera di terzi, risponde anche dei fatti dolosi o colposi di costoro.”
Significa che le parti possono accordarsi fra loro in modo diverso da quanto previsto dalla
norma.
L’art. 782 propone invece una norma imperativa: “La donazione deve essere fatta per atto
pubblico, sotto pena di nullità.”
Significa che se una donazione non viene effettuata tramite atto pubblico (dal notaio) non
esiste.
La violazione di norme imperative comporta l’applicazione di sanzioni, che possono essere di
diverso tipo in relazione all’illecito compiuto. Gli illeciti più gravi sono quelli previsti dalle
leggi penali e sono definiti reati: soltanto in questi casi le sanzioni consistono in pene che
limitano in varia misura la libertà. Per gli illeciti civili (per es. non pagare un debito) la
sanzione prevista è il risarcimento del danno. Per gli illeciti amministrativi (per es.
infrazioni al Codice della strada) sono previste sanzioni amministrative pecuniarie (le
cosiddette multe) e accessorie (per es. il ritiro della patente o la confisca del veicolo). Vi sono
infine illeciti disciplinari, connessi per es. ad un rapporto di lavoro: in questo caso la
sanzione più grave è il licenziamento. Va sottolineato che nello stesso fatto possono coesistere
diversi illeciti e diverse responsabilità.
Per quanto riguarda il Codice della strada, l’art. 142 prevede che i ciclomotori non possano
superare i 45 Km/h. Che cosa succede se un ciclomotore a 60 km/h investe un pedone e lo
uccide? Gli illeciti coinvolti sono di ben tre tipi:
1. illecito amministrativo con sanzioni amministrative pecuniarie ed accessorie
(sospensione patente)
2. illecito penale, precisamente omicidio colposo
3. illecito civile con richiesta di risarcimento danni da parte dei familiari dell’investito.
Il risarcimento danni è oggi generalmente coperto dall’assicurazione obbligatoria per la
responsabilità civile, ma non è sempre detto che l’indennizzo assicurativo copra interamente
l’entità del danno causato.
Codice della strada
Art. 222. Sanzioni amministrative accessorie all'accertamento di reato
Qualora da una violazione delle norme di cui al presente codice derivino danni alle persone, il giudice
applica con la sentenza di condanna le sanzioni amministrative pecuniarie previste, nonché le sanzioni
amministrative accessorie della sospensione o della revoca della patente.
Quando dal fatto derivi una lesione personale colposa la sospensione della patente e' da quindici giorni
a tre mesi. Quando dal fatto derivi una lesione personale colposa grave o gravissima la sospensione
della patente è fino a due anni. Nel caso di omicidio colposo la sospensione è fino a quattro anni.
2-bis. La sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente fino a quattro anni è
diminuita fino a un terzo nel caso di applicazione della pena ai sensi degli articoli 444 e seguenti del
codice di procedura penale
Il giudice può applicare la sanzione amministrativa accessoria della revoca della patente nell'ipotesi di
recidiva reiterata specifica verificatasi entro il periodo di cinque anni a decorrere dalla data della
condanna definitiva per la prima violazione.
Codice penale
589. Omicidio colposo
Chiunque cagiona per colpa la morte di una persona è punito con la reclusione da sei mesi a cinque
anni.
Se il fatto è commesso con violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale o di
quelle per la prevenzione degli infortuni sul lavoro la pena è della reclusione da due a cinque anni.
(comma così modificato dall'articolo 2, comma 1, legge n. 102 del 2006)
Nel caso di morte di più persone, ovvero di morte di una o più persone e di lesioni di una o più
persone, si applica la pena che dovrebbe infliggersi per la più grave delle violazioni commesse
aumentata fino al triplo, ma la pena non può superare gli anni dodici.
SCHEMA DI SINTESI
Caratteristiche delle norme giuridiche Termini utilizzati, implicazioni logiche
generali Tutti, chiunque, chi ecc.
astratte Qualsiasi fatto ecc.
bilaterali Ad una posizione giuridica attiva corrisponde
una passiva
obbligatorie È tenuto, obbliga, a pena di nullità ecc.
positive Sono poste dall’ordinamento giuridico
relative Le norme variano nel tempo e nello spazio
DIRITTO PUBBLICO E PRIVATO

Competenze: riconoscere concrete situazioni regolate dal diritto pubblico o dal diritto privato,
riconoscere a quale campo del diritto appartengono alcune semplici norme, collocare correttamente i
diversi rami del diritto nell’ambito pubblicistico o privatistico. (Identificare i diversi modelli
istituzionali e di organizzazione sociale e le principali relazioni tra persona-famiglia- società-
Stato)
Conoscenze: conoscere la distinzione fra diritto pubblico e privato e le relative partizioni
Tutte le norme giuridiche, ossia il diritto oggettivo, fanno parte o del campo del diritto
pubblico o del campo del diritto privato.
La distinzione, che risale ancora al diritto romano, può oggi essere così formulata:
sicuramente tutte le norme che disciplinano l’organizzazione degli enti pubblici (ad es.
Parlamento, sindaco, magistratura) e i rapporti fra enti pubblici appartengono alla sfera del
diritto pubblico. Le norme che invece disciplinano i rapporti fra privati appartengono alla
sfera del diritto privato. Il problema si pone nel caso in cui un rapporto giuridico intercorra fra
un soggetto pubblico e un privato. Il rapporto è regolato dal diritto pubblico quando l’ente
pubblico si pone come soggetto sovrano e quindi in una posizione di supremazia rispetto al
cittadino: si pensi all’imposizione fiscale, alla contestazione di un’infrazione al Codice della
strada da parte di un vigile o all’espropriazione. Quando invece l’ente pubblico si colloca su
un piano di parità rispetto al privato, senza imporgli un determinato comportamento, il
rapporto fra enti pubblici e soggetti privati è regolato dal diritto privato: si tratta in questi casi
essenzialmente della stipula di un contratto.
L’esempio più illuminante della distinzione fra norme di diritto pubblico e privato riguarda la
decisione da parte di un ente pubblico (per es. un Comune) di acquisire una certa area per
costruirvi un’opera di pubblica utilità (per es. una scuola o un teatro). Il Comune può, a tale
scopo, ricorrere a due vie alternative: una di diritto privato, stipulando con il proprietario
dell’area un contratto di compravendita, un’altra di diritto pubblico, ricorrendo alla procedura
di espropriazione. Nell’ipotesi del contratto, è evidente che il privato può anche rifiutarsi di
vendere il proprio terreno al Comune: il contratto è infatti un accordo fra le parti e, in quanto
tale, è regolato dal diritto privato, che presuppone una situazione di parità giuridica fra le
parti. Nell’ipotesi dell’espropriazione il privato deve invece sottostare alla decisione pubblica
e può contestarla soltanto ricorrendo al giudice amministrativo nel caso che la procedura
difetti dei requisiti previsti dalla legge.
In sintesi e semplificando, si può affermare che se, alla domanda “posso io come privato
compiere tale atto?” la risposta è affermativa, ci troviamo nell’ambito del diritto privato. Se
invece la risposta è negativa, in quanto un determinato atto può essere compiuto soltanto da
un organo pubblico, ci troviamo nell’ambito del diritto pubblico.
Esemplificando, ci chiediamo: un privato può sposarsi? Può emettere un assegno? Può
costituire insieme ad altri una società per azioni? Può stipulare un contratto? In questi casi la
risposta è sempre affermativa e quindi ci troviamo nell’ambito del diritto privato.
Proviamo invece a rispondere alle seguenti domande: può un privato promulgare una legge?
Può emettere una sentenza? Può comminare una multa? Può imporre una tassa? Può
espropriare un terreno altrui?
Qui la risposta è sempre negativa e ci troviamo perciò nell’ambito del diritto pubblico.
Il mondo delle norme giuridiche è molto ampio, complesso ed articolato: perciò sia il diritto
pubblico che il diritto privato si suddividono in una serie di partizioni, di cui viene proposto
uno schema di sintesi:
DIRITTO PUBBLICO DIRITTO PRIVATO

Diritto costituzionale Diritto civile


Diritto amministrativo Diritto commerciale
Diritto penale Diritto della navigazione
civile
Diritto processuale penale
amministrativo
Diritto ecclesiastico
Il diritto costituzionale, come dice il nome (che costituisce), è l’insieme delle norme
fondamentali dello Stato, contenute nel testo della Costituzione repubblicana del 1948 e nelle
leggi costituzionali. L’analisi della Costituzione sarà il principale oggetto di studio del diritto
in seconda.
Il diritto amministrativo è un campo sterminato di norme che regolano l’attività delle
pubbliche amministrazioni: per es. il diritto scolastico fa parte del diritto amministrativo, ma
anche il diritto sanitario, quello finanziario e tributario e così via.
È questo l’oggetto principale della maggior parte di concorsi pubblici.
L'autonomia delle istituzioni scolastiche è garanzia di libertà di insegnamento e di pluralismo
culturale e si sostanzia nella progettazione e nella realizzazione di interventi di educazione,
formazione e istruzione mirati allo sviluppo della persona umana, adeguati ai diversi
contesti, alla domanda delle famiglie e alle caratteristiche specifiche dei soggetti coinvolti, al
fine di garantire loro il successo formativo, coerentemente con le finalità e gli obiettivi
generali del sistema di istruzione e con l'esigenza di migliorare l'efficacia del processo di
insegnamento e di apprendimento. (DPR 275/1999 art. 1, c. 2)
Il diritto penale comprende le norme che definiscono i reati e le relative sanzioni. Non tutti i
comportamenti illeciti sono reati, ma soltanto quelli considerati più gravi per la convivenza
civile e quindi soggetti a pene che limitano la libertà. La principale fonte di norme per questo
ramo del diritto è il Codice penale.
Proponiamo un esempio dell’evoluzione relativa anche alle norme penali per cui alcuni
comportamenti che un tempo non erano reato oggi lo sono diventati o, viceversa,
comportamenti che erano reati oggi sono stati depenalizzati. È questo il caso della bestemmia:
reato nel Codice penale, è stata successivamente depenalizzata con una legge del 1999. Ciò
non significa che non esista alcuna sanzione: infatti l’attuale art. 724 del Codice penale recita:
”Bestemmia e manifestazioni oltraggiose verso i defunti"
La Costituzione della Repubblica Italiana
PRINCIPI FONDAMENTALI
Art. 1.
L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro.
La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione.
«Chiunque pubblicamente bestemmia, con invettive o parole oltraggiose, contro la Divinità, è
punito con la sanzione amministrativa da euro 51 a euro 309 [...] La stessa sanzione si
applica a chi compie qualsiasi pubblica manifestazione oltraggiosa verso i defunti.»
Reato costituisce invece il vilipendio di chi professa una religione, punito con una multa (in
questo caso sanzione penale) da 1.000 a 5.000 euro.
Per tutelare i propri diritti sostanziali a tutti i soggetti è riconosciuto il diritto d’azione, cioè il
diritto di ricorrere ad un giudice. È questo il campo del diritto processuale (cioè dei processi)
che si distingue in: diritto processuale civile, processuale penale, processuale
amministrativo. Le giurisdizioni penale e civile sono ordinarie, mentre quella amministrativa
è una giurisdizione speciale.
Il processo penale ha l’obiettivo di sanzionare i reati, che nella maggior parte dei casi
vengono perseguiti d’ufficio: in altre parole, quando la polizia scopre gli autori di un omicidio
o di una rapina, li segnala ad un giudice che dà avvio ad un processo penale anche nel caso
che nessun privato abbia sporto denuncia.
Il processo civile è invece sempre attivato da una parte che ritiene leso un suo diritto dal
comportamento di un altro soggetto: ad es. se un debitore non mi paga quanto dovuto, mi
rivolgo ad un giudice affinché lo condanni a pagarmi il debito e a risarcirmi il danno.
Il processo amministrativo riguarda i rapporti fra i privati e la Pubblica Amministrazione. In
questo caso non sono in gioco diritti soggettivi, ma soltanto l’interesse legittimo a veder
rispettata la legge da parte della Pubblica Amministrazione. Così non esiste un diritto
soggettivo ad essere promossi, ma lo studente respinto può rivolgersi ad un giudice
amministrativo (TAR: Tribunale amministrativo regionale) se ritiene che nella decisione della
bocciatura non siano state rispettate le norme che disciplinano il funzionamento della scuola.
Nel caso che il giudice accolga il ricorso, ciò non significa che lo studente otterrà la
promozione, ma che dovranno venir rifatti l’esame o lo scrutinio, rispettando le norme.
Infine una partizione del diritto pubblico è anche quello ecclesiastico, che riguarda i rapporti
fra Stato italiano e chiesa cattolica, basati sui Patti lateranensi del 1929. Questi rapporti
riguardano in particolare l’insegnamento della religione nelle scuole (IRC), divenuto
facoltativo in seguito alla revisione del Concordato nel 1984, e il matrimonio cosiddetto
concordatario, celebrato cioè in una chiesa cattolica, ma con effetti anche civili.
Il diritto privato si divide tradizionalmente in: civile, commerciale e della navigazione.
Il diritto civile riguarda i rapporti fra privati inerenti ai diritti della personalità, di famiglia,
reali (la proprietà), di credito, ma anche alle successioni a causa di morte e ai contratti. Si
tratta di situazioni in cui qualsiasi privato può trovarsi: per es. tutti abbiamo dei diritti di
personalità (al nome, all’integrità fisica, all’onore), tutti abbiamo la proprietà di qualcosa, tutti
possiamo ereditare o stipulare dei contratti (per es. comperare un panino).
Il diritto commerciale riguarda i rapporti che scaturiscono dall’esercizio di un’impresa
commerciale in forma individuale o societaria (per es. la disciplina delle SPA).
Sia il diritto civile che quello commerciale trovano la loro principale fonte normativa nel
Codice Civile, raccolta di leggi ordinarie emanate nel 1942, anche se da allora hanno subito
molte modifiche. Per es. la maggiore età è stata anticipata da anni 21 ad anni 18.
Il diritto della navigazione è un ramo molto specialistico, basato sul Codice della navigazione
del 1942, che comprende le norme relative alle imprese di navigazione.
Nel biennio si farà riferimento a poche norme del diritto civile, contenute nel libro I del
Codice Civile, come quelle relative alla capacità giuridica e di agire e ai soggetti del diritto.
Nelle classi IV e V si passerà invece dal diritto pubblico, in particolare costituzionale, a
quello privato, civile (diritti reali, di credito e contratti) e commerciale (imprenditore società). Tutti
i rami del diritto sopraccitati costituiscono il diritto interno dello stato italiano,
Altra cosa è il diritto internazionale pubblico che regola i rapporti fra Stati: un trattato
internazionale come quello che ha istituito l’ONU fa parte del diritto internazionale.

LE FONTI DEL DIRITTO


Competenze: gerarchizzare correttamente diverse fonti del diritto, distinguere diverse fonti dello
stesso livello, confrontare il principio generale di irretroattività della legge con quello attinente alle
leggi penali, distinguere il principio di nazionalità da quello di territorialità. (Collocare l’esperienza
personale in un sistema di regole - Conoscenze di base sul concetto di norma giuridica e di
gerarchia delle fonti)
Conoscenze: conoscere il sistema delle fonti, la loro gerarchia, la loro efficacia nel tempo e nello
spazio
Le fonti del diritto sono costituire dai fatti e dagli atti giuridici tramite i quali possiamo
conoscere le norme giuridiche (cosiddette fonti di cognizione). Oggi la maggior parte delle
fonti, nell’ordinamento italiano, è scritta (atti), ma in qualche caso è fonte del diritto anche la
consuetudine (fatto).
Il Codice Civile, che è esso stesso un’importante fonte del diritto, all’art. 1 delle Disposizioni
sulla legge in generale, recita:
“Sono fonti del diritto:
le leggi
(le norme corporative)
i regolamenti
gli usi.”
Le norme corporative, tipiche dell’ordinamento fascista (il Codice civile è stato emanato nel
1942) sono abrogate.
Secondo il Codice, i livelli della gerarchia delle fonti sono perciò tre: le leggi, i regolamenti,
gli usi.
Anzitutto vediamo perché il sistema delle fonti del diritto è una gerarchia. Ogni sistema
gerarchico prevede che i livelli inferiori non possano modificare le norme deliberate da un
livello superiore e debbano quindi ad esse adeguarsi. Tipico sistema gerarchico è l’esercito,
ma anche l’organizzazione di un qualsiasi ambiente di lavoro prevede delle gerarchie. Nel
sistema delle fonti del diritto, ad esempio, i regolamenti sono subordinati alle leggi: ciò
significa che un regolamento non può contenere norme contrarie a disposizioni di legge.
In secondo luogo, bisogna osservare che oggi il sistema delle fonti del diritto italiano è molto
più complesso ed articolato di quello previsto dal Codice Civile.
Infatti il primo gennaio 1948 è entrata in vigore la Costituzione repubblicana, votata
dall’Assemblea Costituente in sostituzione del precedente Statuto Albertino. Diversamente
dallo Statuto, che era una legge ordinaria, l’attuale Costituzione è rigida, cioè sovraordinata
rispetto alla legge ordinaria che non può modificarla. Quindi la Costituzione e le leggi
costituzionali, che integrano o modificano la Costituzione, si collocano al vertice della
gerarchia delle fonti, costituendo oggi il I livello.
Successivamente, con diversi trattati, a partire dal 1951 (CECA), sono state istituite le
Comunità europee, che oggi sono confluite nell’Unione europea. Le “leggi” dell’UE, che si
chiamano regolamenti, per le materie di loro competenza, sono sovraordinate rispetto alle
leggi ordinarie italiane. Non si devono confondere i regolamenti UE, che entrano nelle fonti
italiane del diritto, con le direttive, atti normativi vincolanti non per i cittadini, ma per gli Stati
membri, che devono recepirne gli indirizzi nei propri atti normativi: in Italia tale ricezione
avviene con la cosiddetta legge comunitaria.
La Costituzione italiana ha anche previsto l’istituzione delle Regioni, che hanno potestà
legislativa: perciò, accanto alle leggi dello Stato, esistono, come fonti del diritto, le leggi
regionali, che evidentemente hanno una competenza territoriale diversa, trovando
applicazione soltanto all’interno del territorio regionale. Perciò noi residenti in Friuli Venezia
Giulia siamo soggetti, oltre che ai regolamenti dell’UE e alle leggi dello Stato italiano, alle
leggi della nostra Regione. Per es. il comodato dei libri di testo, di cui gli studenti del biennio
usufruiscono, è previsto non da una legge statale, ma da una legge regionale.

Costituzione
e leggi
costituzionali

Regolamenti UE

Leggi ordinarie dello Stato,


decreti legislativi, decreti legge,
leggi regionali a competenza
esclusiva

competenza esclusiva
Regolamenti del potere esecutivo

Usi o consuetudini

Cercando di semplificare il sistema oggi molto complesso ed in evoluzione delle fonti del
diritto in Italia, possiamo proporre il seguente schema
Le fonti del diritto sono quindi gli atti o i fatti che contengono le norme giuridiche. Della
Costituzione e dei regolamenti dell’UE abbiamo già brevemente parlato e ne parleremo più
approfonditamente in seguito.
Cerchiamo ora di analizzare brevemente le altre fonti.

LA COSTITUZIONE ITALIANA
E’ stata preparata dall’Assemblea Costituente. E’ entrata in vigore il 01.01.1948
I suoi caratteri sono:
Lunga (139 articoli)
Scritta
Votata (dal popolo)
Rigida (per fare o modificare una legge costituzionale è necessario seguire un iter legislativo aggravato).
L’iter aggravato prevede due delibere a distanza di almeno 3 mesi l’una dall’altra, così come previsto
dall’articolo 138 della Costituzione.
E’ la legge fondamentale dello Stato. Nessuna norma può essere in contrasto con la Costituzione, pena
la nullità.
Le leggi costituzionali, che si collocano sullo stesso livello della Costituzione, sono
deliberate dal Parlamento, ma con un procedimento aggravato rispetto alle leggi ordinarie:
richiedono infatti due approvazioni da parte della Camera dei deputati e due da parte del
Senato, con maggioranze qualificate. Il procedimento aggravato ha lo scopo di impedire che
una semplice maggioranza governativa possa facilmente modificare la Costituzione, che è il
patto fondante della Repubblica: nel caso in cui una modifica costituzionale sia approvata in
seconda deliberazione con la maggioranza assoluta e non con i due terzi, la modifica potrà
essere sottoposta ad un particolare referendum affinché sia il corpo elettorale ad esprimersi in
merito.
Le leggi ordinarie sono quelle approvate dal Parlamento con l’ordinario procedimento
legislativo che prevede, dopo un iter comunque complesso di dibattito in Commissione e in
aula, l’approvazione in testo identico da parte della maggioranza alla Camera e al Senato. Una
volta approvate le leggi sono pubblicate sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica e, se non
stabiliscono diversamente, entrano in vigore il quindicesimo giorno dalla loro pubblicazione.
Particolare importanza assumono i Codici, che sono raccolte di leggi nell’ambito di una
determinata materia: Codice penale, Codice di procedura penale, Codice civile, Codice di
procedura civile, Codice della navigazione. Le raccolte di leggi di diritto amministrativo sono
definite invece Testi Unici: ne è un esempio il cosiddetto Codice della strada.

Come sappiamo, nello Stato di diritto la funzione legislativa spetta al Parlamento (principio
della separazione dei poteri). Ma la stessa Costituzione prevede che in alcuni casi anche il
Governo, titolare del potere esecutivo, possa svolgere funzioni legislative.
Infatti il Parlamento può approvare una legge delega con cui conferisce al Governo il compito
di deliberare decreti legislativi o, appunto, delegati su materie tecniche particolarmente
complesse. In questo caso il Parlamento fissa nella delega l’oggetto, i tempi e i criteri direttivi
cui deve attenersi il Governo nei singoli decreti delegati. In questo modo, per es., sono state
attuate le riforme tributarie, contenenti norme troppo tecniche per essere discusse in
un’assemblea come il Parlamento. Ma ci sono anche casi, che la Costituzione definisce di
necessità ed urgenza, in cui il Governo può deliberare un provvedimento provvisorio avente
forza di legge senza delega del Parlamento: in questo caso si parla di decreti legge.
Pensiamo all’ipotesi di una calamità naturale, come un terremoto o un’alluvione: servono
provvedimenti urgenti, che richiedono stanziamenti di denaro. In questo caso l’iter della legge
ordinaria sarebbe troppo lungo, perciò il Governo delibera un decreto legge con gli interventi
necessari. Tale decreto dev’essere immediatamente presentato al Parlamento per la
conversione in legge, che deve avvenire entro sessanta giorni, altrimenti il decreto decade e
perde efficacia fin dall’inizio. Mentre i decreti legislativi sono provvedimenti definitivi, con
una delega precedente del Parlamento, i decreti legge sono provvedimenti provvisori, in cui il
Parlamento interviene successivamente con una legge di conversione.
Decreti legge e legislativi si trovano sullo stesso piano della legge ordinaria, per cui un
decreto può anche abrogare una legge ordinaria precedente.
Per quanto riguarda le leggi regionali, il discorso è molto complesso e in via di evoluzione.
Comunque si può affermare che l’attuale art. 117 della Costituzione, modificato nel 2001,
attribuisce le materie non riservate allo Stato alla competenza esclusiva delle Regioni: ciò
significa che in tali materie le leggi regionali hanno la stessa “forza” delle leggi statali,
sempre ovviamente all’interno del territorio regionale. Per es. la formazione professionale è
una materia di competenza regionale.
I regolamenti del potere esecutivo sono fonti del diritto sempre subordinate alla legge.
Spesso si tratta di regolamenti attuativi delle leggi stesse: le leggi, infatti, non contengono mai
le disposizioni di dettaglio e quindi spesso necessitano di regolamenti per la loro attuazione.
Ci sono però anche casi in cui i regolamenti disciplinano materie non riservate alla sola legge.
In nessun caso i regolamenti possono recare disposizioni contrarie alla legge.
I regolamenti possono essere adottati dai diversi livelli della Pubblica Amministrazione, che è
un’organizzazione molto complessa. Ci possono così essere regolamenti governativi,
ministeriali, regionali, provinciali, comunali e così via. Anche le scuole hanno i loro
regolamenti, che ovviamente non possono porsi in contraddizione con i regolamenti di livelli
superiori (per es. ministeriali).
Infine, sull’ultimo gradino delle fonti, troviamo gli usi o consuetudini, che hanno nel nostro
ordinamento un’importanza residuale: infatti il diritto italiano, seguendo la tradizione francese
e diversamente da quella anglosassone, è prevalentemente scritto. Non sono perciò mai
ammessi usi contro la legge e la desuetudine non può certamente abrogare una norma scritta.
Perciò, per es., anche si diffonde un comportamento, come quello di girare senza casco in
moto o senza cinture in automobile, finché la legge resta in vigore, nessuno può invocare a
propria giustificazione nei confronti di un vigile che commina una sanzione il fatto che tutti si
comportano in quel modo.
Gli usi sono costituiti dalla ripetizione costante di un comportamento nell’ambito di un certo
territorio soltanto se tale ripetizione è accompagnata dalla convinzione della sua
obbligatorietà. Perciò non costituiscono usi in senso giuridico le semplici prassi, come dare la
mancia. Gli usi non sono mai fonti del diritto nel campo penale in quanto i reati devono essere
tassativamente previsti dalla legge e non da una fonte inferiore. Sono invece abbastanza

diffusi nel diritto privato, civile e commerciale, e spesso sono espressamente richiamati dal
Codice Civile (cosiddetti usi secondo la legge).
Per quanto riguarda l’efficacia nel tempo delle norme giuridiche, normalmente le leggi
entrano in vigore, come abbiamo già visto, il 15° giorno dalla loro pubblicazione, a meno che
la legge stessa non fissi un termine inferiore (spesso i decreti legge entrano in vigore dal
giorno successivo alla loro pubblicazione) o superiore (succede generalmente per testi
legislativi molto complessi come i Codici). Le fonti scritte e in particolare le leggi restano in
vigore finché non vengono abrogate o dichiarate illegittime dalla Corte Costituzionale.
L’abrogazione può avvenire o con una legge successiva in forma espressa (la legge
successiva dice espressamente di sostituire quella precedente) o tacita (la legge successiva si
limita a disciplinare diversamente la materia), oppure con un referendum abrogativo,
quando la maggioranza degli elettori si esprime per l’abrogazione della legge.
Le fonti non scritte, cioè gli usi perdono invece efficacia semplicemente quando l’abitudine di
seguirli viene meno (desuetudine).
Normalmente le leggi disciplinano soltanto i casi avvenuti dopo la loro entrata in vigore:
questo principio viene definito irretroattività della legge ed è così formulato dall’art. 11
delle Preleggi al Codice Civile:
“La legge non dispone che per l’avvenire. Essa non ha effetto retroattivo.”
In realtà, mentre questa norma vale sempre per i regolamenti, per quanto riguarda le leggi,
può essere espressamente derogata in quanto il Codice Civile è una legge ordinaria e in
quanto tale può venir modificata da una successiva legge ordinaria. Il divieto di retroattività è
invece diversamente disciplinato per quanto riguarda il diritto penale: in questo caso è la
Costituzione, e non una legge ordinaria, a stabilire che:
“Nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del
fatto commesso.” (art. 25, c. 2)
Tale norma è posta a tutela del soggetto sottoposto a giudizio, per cui non può mai rivolgersi a
suo svantaggio. Perciò la norma viene applicata così: se io attuo un comportamento che in
quel momento non è considerato dalla legge come reato, anche se successivamente viene
definito come tale, non potrò essere sottoposto a processo; analogamente se la legge vigente
al momento del fatto prevedeva una pena di 3 anni, che successivamente viene elevata a 5, io
dovrò essere giudicato secondo la legge precedente. Non è però vero l’inverso: se al momento
in cui vengo sottoposto a giudizio, il comportamento che mi viene imputato è stato
depenalizzato, io non subirò alcuna condanna; se invece la pena è stata soltanto diminuita,
sarò giudicato secondo la nuova legge. In termini sintetici, nella successione delle leggi penali
si applica sempre la legge più favorevole all’imputato.
Per quanto riguarda l’efficacia della legge nello spazio, le situazioni sono abbastanza
diversificate: le leggi penali vengono applicate a chiunque commetta reati sul territorio
italiano, indipendentemente dalla cittadinanza; analoga è l’efficacia di molte norme di diritto
amministrativo o, più in generale, pubblico (basti pensare alle norme del Codice della strada
che si applicano a chiunque circoli in Italia); alcuni diritti, come quello di voto, sono invece
legati alla cittadinanza, mentre per alcuni rapporti di diritto privato possono valere,
nell’ambito del territorio italiano, anche le norme di un altro Stato, purché non incompatibili
con norme imperative del diritto italiano. Ad esempio, è ammesso che due coniugi stranieri
residenti in Italia regolino i loro rapporti familiari secondo le norme dello Stato di
appartenenza (cosiddetto principio di nazionalità), ma non è ammessa la poligamia che per
lo Stato italiano costituisce reato.

L’INTERPRETAZIONE DELLE NORME GIURIDICHE


Competenze: interpretare alcune norme, riconoscendo mezzi ed effetti (Individuare natura,
funzione e principali scopi comunicativi ed espressivi di un testo)
Conoscenze: conoscere soggetti, mezzi ed effetti dell’interpretazione, e l’analogia
L’attività prevalente di chi applica il diritto è l’interpretazione: si tratta di capire in quale
eventuale previsione normativa ricade un singolo fatto concreto per prendere una decisione
(sentenza).
In realtà i soggetti che interpretano le norme non sono soltanto i giudici, anche se
evidentemente essi sono i soggetti istituzionalmente deputati ad interpretarle per applicarle in
un processo. Talvolta accade che una legge abbia dato luogo a tali divergenze interpretative
che lo stesso legislatore approva un’altra legge per interpretare la precedente. Infine tutti
coloro che studiano diritto, cioè i giuristi, si dedicano all’interpretazione delle norme.
Le interpretazioni di questi diversi soggetti hanno un’efficacia molto diversa.
Infatti l’interpretazione del legislatore, che viene definita autentica, nel senso che ad
interpretare la legge è lo stesso soggetto istituzionale che l’ha approvata, essendo attuata
tramite un’altra legge, è vincolante per tutti ed è sempre retroattiva.
L’interpretazione effettuata dai giudici in un processo (giudiziale), che si esprime in una
sentenza, è efficace soltanto per le parti in causa. Infatti nell’ordinamento italiano le
sentenze non sono fonti del diritto, cioè non producono norme giuridiche valide per tutti,
anche se la giurisprudenza, cioè l’insieme delle sentenze, in particolare quelle della
Cassazione, viene attentamente studiata e tenuta in considerazione ai fini delle successive
interpretazioni.
Infine l’interpretazione degli studiosi (fra cui anche la nostra), espressa in pubblicazioni e
convegni (dottrinale), non è giuridicamente vincolante per nessuno, anche se avrà un peso
proporzionato all’autorevolezza di chi l’ha effettuata.
Secondo i mezzi impiegati, l’interpretazione può essere letterale e logica. Afferma infatti il
Codice civile, all’art. 12 delle Preleggi: “Nell'applicare la legge non si può ad essa attribuire
altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione
di esse, e dalla intenzione del legislatore.”
L’interpretazione letterale perciò non è dissimile da quella compiuta su un qualsiasi testo
scritto: si tratta di individuare il significato proprio delle parole, utilizzando in questo caso il
codice linguistico specifico del diritto, e analizzando gli aspetti sintattici e semantici della
frase (quindi la struttura del periodo e i connettori logici). Se tale operazione non è
sufficiente, si opera un’interpretazione logica, cercando di ricostruire la funzione sociale della
norma. Quando il Codice parla di intenzione del legislatore, non intende affatto l’intenzione
soggettiva di chi ha formulato la norma, che, tra l’altro non è mai l’espressione della volontà
di un singolo, ma di un organo collegiale; intende invece la ricostruzione logica della finalità
che la norma oggettivamente intesa vuole perseguire. Nell’interpretazione logica si possono
utilizzare diversi criteri: quello sistematico (la norma va considerata all’interno di un intero
ordinamento giuridico in modo da risultare con esso coerente), quello storico (considerando la
successione delle nome nel tempo), quello sociologico (analizzando i problemi del contesto
sociale che la norma vuole regolare), quello evolutivo (indagando la diversa funzione che la
norma può assumere in un contesto sociale mutato). Generalmente si utilizzano anche i
resoconti dei lavori preparatori (per es. le discussioni che hanno preceduto l’approvazione di
una legge), ma essi non sono risolutori ai fini dell’interpretazione, proprio perché la norma,
una volta approvata ed entrata in vigore, non è la somma delle singole volontà che l’hanno
formata, ma vive, per così dire, di vita propria, costituendo un oggetto giuridico offerto
all’interpretazione anche in contesti molto lontani da quello originario.
L’opera di interpretazione produrrà degli effetti, che tradizionalmente si distinguono in:
dichiarativi, estensivi, restrittivi. L’interpretazione viene considerata dichiarativa quando
l’interpretazione letterale coincide esattamente con quella logica: i casi che la norma
disciplina sono quelli che appaiono dal tenore letterale. Se ciò avviene, e raramente avviene,
significa che la norma è chiara ed interpretabile in modo univoco.
Se l’interpretazione è estensiva, il significato logico della norma è più ampio di quello
letterale, cioè l’interprete ritiene che nella norma rientrino più casi di quanto apparentemente
il termine voglia dire.
Ad esempio, l’art. 3, c. 1 della Costituzione afferma: “Tutti i cittadini hanno pari dignità
sociale e sono uguali davanti alla legge senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di
opinioni politiche, di condizioni economiche e sociali.”
Il termine cittadini, in senso letterale, significa coloro che hanno la cittadinanza italiana. Ma
risulta evidente che la Costituzione vuole garantire l’uguaglianza formale (davanti alla legge)
a tutti, indipendentemente dalla cittadinanza. Perciò il termine cittadini non va interpretato in
modo letterale, ma esteso a tutte le persone, anche agli stranieri residenti in Italia. In questo
senso gli effetti dell’interpretazione sono estensivi: nella norma rientrano più casi di quanto
faccia presumere il termine letteralmente interpretato. Secondo i mezzi impiegati tale
interpretazione è logica, dal punto di vista dei soggetti è dottrinale, in quanto noi che
interpretiamo siamo semplici studiosi del diritto.
L’interpretazione ha invece effetti restrittivi quando l’interpretazione logica è meno ampia di
quella letterale: il legislatore ha utilizzato in questo caso un termine improprio che dev’essere
interpretato restringendo i casi a cui la norma si applica.
Infine vi è un ulteriore problema per l’interprete: è il caso in cui non esista una norma
specifica che disciplini un caso concreto. Se ci si muove all’interno del campo penale, quando
non esiste una norma che preveda un determinato comportamento come reato, si dovrà
semplicemente concludere che il fatto non costituisce reato e quindi non può essere esperita
alcuna azione penale. Infatti in ambito penale non è ammessa l’analogia in quanto la
Costituzione afferma che: “Nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia
entrata in vigore prima del fatto commesso.” (art. 25, c. 2). Tale previsione costituzionale si
chiama riserva di legge e significa che solo una legge (e non una fonte di grado inferiore)
può definire un comportamento come reato e prevederne la sanzione. Negli altri campi del
diritto, e in particolare nel diritto privato, non è così: quando il giudice si trova di fronte ad un
caso non regolato espressamente dalla legge, può ricorrere all’analogia, in quanto non può
rifiutarsi di risolvere un caso con la giustificazione che non è regolato dalla legge. L’art. 12
delle Preleggi al Codice Civile, già citato, afferma infatti, al c. 2: “Se una controversia non
può essere decisa con una precisa disposizione, si ha riguardo alle disposizioni che regolano
casi simili e materie analoghe; se il caso rimane ancora dubbio, si decide secondo i principi
generali dell’ordinamento giuridico dello Stato.”
Anche noi, nella vita quotidiana, ricorriamo sovente all’analogia, cioè all’inferenza logica da
casi noti a casi simili, ma non noti.
Secondo il Codice Civile esistono due tipi di analogia: l’analogia legis e l’analogia iuris.
Nella prima si applicano ad un caso non espressamente regolato dalla legge le “disposizioni
che regolano casi simili”. Un esempio di questo tipo si può ricavare da una sentenza che ha
risolto la controversia fra un’officina di riparazioni automobilistiche e il proprietario che
aveva consegnato la sua automobile per l’effettuazione di lavori. La lite era sorta in seguito al
furto dell’automobile dall’officina. Il proprietario pretendeva il risarcimento del danno, il
carrozziere resisteva alla richiesta. Il caso non risulta regolato da una legge specifica, in
quanto il contratto in questione è “atipico”, non previsto cioè dal Codice Civile. Il giudice, per
risolvere la questione, ha quindi applicato l’analogia legis, rintracciando sul Codice Civile una
norma che disciplina un caso simile: si tratta del contratto di deposito “col quale una parte
riceve dall’altra una cosa mobile con l’obbligo di custodirla e di restituirla in natura.” (art.
1766 C.C.) “Il depositario deve usare nella custodia la diligenza del buon padre di famiglia.”
(art. 1768 C.C., c. 1)
Nel caso in esame la funzione del contratto non era evidentemente il deposito, ma
l’effettuazione di riparazioni sull’automobile. Però, di fatto, per effettuare tali riparazioni, è
necessario anche un deposito. Perciò il giudice ha ritenuto responsabile il carrozziere che non
ha usato nella custodia la diligenza del buon padre di famiglia.
L’analogia iuris si applica invece quando non esiste neppure una norma che disciplina un caso
simile. In tal caso il giudice può ricorrere ai principi generali del diritto, desumibili dal
complesso delle norme dell’ordinamento giuridico. Oggi molti di questi principi, come
l’uguaglianza formale e sostanziale dei cittadini, sono solennemente scritti nella Costituzione
italiana.
L’analogia non può essere applicata alle leggi penali (i reati devono essere espressamente
previsti dalla legge) e alle leggi eccezionali. A questo proposito l’art. 14 delle Preleggi al
Codice Civile così si esprime:
Art. 14 Applicazione delle leggi penali ed eccezionali
Le leggi penali e quelle che fanno eccezione a regole generali o ad altre leggi non si
applicano oltre i casi e i tempi in esse considerati (Cost. 25; Cod. Pen. 2).
Una legge resta in vigore fino a quando non viene abrogata o annullata.
L’abrogazione può essere espressa o tacita. Quando l’abrogazione è tacita si applica il principio di
Novità della legge(tra due norme che disciplinano la stessa materia si applica quella più nuova).
I SOGGETTI DEL DIRITTO: PERSONE FISICHE E GIURIDICHE
Competenze: Classificare i soggetti del diritto e riconoscerli nella realtà quotidiana. Interpretare i
primi articoli del C.C. Distinguere i diversi tipi di incapacità e gli strumenti di tutela previsti.
Distinguere persone giuridiche private ed enti pubblici, associazioni riconosciute e non, società di
persone e di capitali. (Identificare le principali relazioni tra persona-famiglia- società-Stato)
Conoscenze: conoscere i concetti e le classificazioni delle persone fisiche e giuridiche
L’ordinamento italiano conosce solo due tipi di soggetti del diritto: le persone fisiche e le
persone giuridiche, che costituiscono centri autonomi di imputazione di diritti e doveri.
Le persone fisiche, come dice il termine, sono tutti gli esseri umani: è questa una conquista
degli ordinamenti democratici per cui è inammissibile che, in base a discriminazioni di razza,
di sesso, di situazioni sociali, alcuni esseri umani possano venir ridotti ad oggetti del diritto,
come succedeva agli schiavi, venduti sui mercati.
Nel libro I del Codice Civile, intitolato Delle persone e della famiglia, il titolo I parla delle
persone fisiche. Secondo l’art. 1 “La capacità giuridica si acquista dal momento della
nascita.” Perciò tutti i nati vivi, anche se dovessero morire subito dopo, acquistano i diritti
legati alla persona umana: per es. possono ereditare e diventare proprietari anche di ingenti
patrimoni, oltre a godere ovviamente di tutti i diritti personali e familiari.
È peraltro evidente che un neonato può ben essere titolare di diritti, ma non è in grado di
esercitarli. Infatti diversa dalla capacità giuridica è la capacità di agire prevista dall’art. 2:
“La maggiore età è fissata al compimento del diciottesimo anno. Con la maggiore età si
acquista la capacità di compiere tutti gli atti per cui non sia stabilita un’età diversa.
Sono salve le leggi speciali che stabiliscono un’età inferiore in materia di capacità a prestare
il proprio lavoro. In tal caso il minore è abilitato all’esercizio dei diritti e delle azioni che
dipendono dal contratto di lavoro.”
La capacità di agire è quindi la capacità, riconosciuta dalla legge, di compiere atti giuridici.
Essa presuppone la capacità naturale, cioè la capacità di intendere e volere. Dal 1975 è
fissata in Italia al compimento del diciottesimo anno: questo evidentemente non è un dato
immutabile, ma il frutto di una valutazione del legislatore sul raggiungimento medio della
maturità psichica. Infatti l’ordinamento non può effettuare una valutazione caso per caso,
individuando il momento in cui ogni soggetto raggiunge tale maturità (che per alcuni può
essere anche molto antecedente), ma fissa una data standard, uguale per tutti, in cui si
presume, fino a prova contraria, che il soggetto abbia raggiunto la capacità naturale e gli
attribuisce quindi la capacità di agire.
Rispetto alla capacità di agire possiamo individuare diverse categorie di soggetti:
1. i pienamente capaci, cioè i maggiorenni che non siano stati né interdetti né inabilitati
2. gli incapaci assoluti, che non possono compiere atti giuridici, se non quelli che
espressamente la legge permette loro
3. gli incapaci relativi, che possono compiere autonomamente soltanto atti di ordinaria
amministrazione
Incapaci assoluti sono:
1. i minori non emancipati, rappresentati dai loro genitori, che esercitano la potestà e
hanno l’usufrutto legale sui beni del figlio
2. gli interdetti giudiziali, che sono i maggiorenni che “si trovano in condizioni di
abituale infermità di mente che li rende incapaci di provvedere ai propri interessi.”
(art. 414 C.C.). Il provvedimento di interdizione viene adottato dal giudice che nomina
un tutore come rappresentante legale dell’interdetto (misura di protezione).
3. gli interdetti legali, per cui l’interdizione scatta, ai sensi di legge, come una pena
accessoria ad una condanna maggiore di 5 anni o all’ergastolo. Essi evidentemente
mantengono la capacità naturale di intendere e volere, per cui l’interdizione è una
misura punitiva. Sono comunque rappresentati da un tutore per gli atti che non
possono compiere, ma mantengono la possibilità di sposarsi e di fare testamento.
Come abbiamo visto nell’art. 2 del C.C., è possibile che per alcuni specifici atti la legge fissi
età inferiori o superiori ai 18 anni. Ci sono quindi degli atti giuridici che il minore può
compiere. Si segnala in particolare:
� la capacità di stipulare contratto di lavoro, e oggi precisamente di apprendistato per
l’espletamento dell’obbligo formativo, ad anni 16. La legge finanziaria per il 2007 ha
infatti innalzato l’obbligo scolastico a 10 anni (quindi fino alla conclusione del biennio
delle superiori) e di conseguenza l’età minima per stipulare contratto di lavoro ad anni
16, a decorrere dall’A.S. 2007/2008. L’obbligo formativo è invece fissato ad anni 18 e
può concludersi prima solo con il conseguimento di una qualifica professionale.
� la capacità di compiere tutti gli atti giuridici relativi ad opere dell’ingegno da lui create
(diritti d’autore) per chi abbia compiuto 16 anni
� la capacità di riconoscere un figlio naturale una volta compiuti 16 anni
� la possibilità per chi ha compiuto 16 anni di essere ammesso al matrimonio con una
decisione del tribunale, per gravi motivi e “accertata la sua maturità psico-fisica e la
fondatezza delle ragioni addotte.” (art. 84 C.C.)
� la possibilità di conseguire il “patentino” per il ciclomotore ad anni 14.
Da quest’elenco di “eccezioni” alla maggiore età, si evince che i minorenni non possono
stipulare altri contratti che quello di lavoro o di edizione. Eppure l’esperienza quotidiana ci
dice che i minorenni, perfino i bambini, stipulano frequentemente contratti: fanno la spesa
(contratto di compravendita), prestano beni specifici (contratto di comodato) o soldi (contratto
di mutuo) agli amici, noleggiano videocassette (contratto di locazione), fanno e ricevono
regali (contratto di donazione). Esiste quindi una contraddizione fra quanto afferma la legge e
la realtà concreta? In effetti si tratta di una contraddizione apparente. Secondo il Codice
civile, infatti, i contratti stipulati dagli incapaci, in questo caso dai minorenni, sono annullabili
dal giudice su istanza del rappresentante legale (i genitori). Un’altra norma prevede che, per
essere rappresentanti di un soggetto dotato di capacità di agire, non serve la capacità di agire,
ma basta la capacità naturale. Perciò i minori sono considerati rappresentanti dei loro genitori
per i contratti che stipulano in base ad un loro incarico (procura) implicito. È però evidente
che, se il minore, di sua iniziativa, dovesse stipulare un contratto che implica rilevanti
obbligazioni economiche, i genitori potrebbero chiederne l’annullamento.
Incapaci relativi sono:
1. i minorenni emancipati
2. gli inabilitati
Il minore, come già abbiamo visto, può contrarre matrimonio con l’autorizzazione del
tribunale se ha compiuto 16 anni e sussistono i requisiti previsti dalla legge. In tal caso si
emancipa e può compiere da solo tutti gli atti di ordinaria amministrazione, cioè quegli atti
che non modificano la consistenza del patrimonio. Per es., se è proprietario di un
appartamento, può darlo in locazione per un periodo fino a 9 anni, ma non può
autonomamente venderlo, perché questo atto modificherebbe la consistenza del patrimonio.
Perciò, per gli atti di straordinaria amministrazione, ha bisogno dell’assistenza di un
curatore nominato dallo stesso tribunale. Il curatore non è un rappresentante legale, come il
tutore, ma un soggetto che assiste l’incapace relativo e ne integra la volontà: può essere il
coniuge, se maggiorenne. Quindi, mentre in un contratto scritto relativo ad un incapace
assoluto, apparirà solo la firma del tutore, nel contratto che riguarda un minore emancipato le
firme saranno due: quella dello stesso minore e, accanto con la dicitura “visto” o “per
assistenza”, quella del curatore.
Disciplina analoga è quella dell’inabilitato, un maggiorenne cui il giudice riconosce una
parziale capacità di agire. L’art. 415 C.C. elenca i soggetti che possono venir inabilitati:
1. maggiori di età infermi di mente in modo non così grave da venire interdetti
2. coloro che, per prodigalità o per abuso abituale di bevande alcoliche o di stupefacenti,
espongono sé o la loro famiglia a gravi pregiudizi economici
3. i sordomuti e ciechi se non hanno ricevuto un’educazione sufficiente
Anche per essi il tribunale nomina un curatore normalmente nella persona di un familiare.
Nel 2004 una legge ha previsto che, senza interdire o inabilitare un soggetto, il giudice
tutelare possa nominare, su richiesta, un amministratore di sostegno per quanti “per effetto
di una infermità ovvero di una menomazione fisica o psichica” si trovino “nella impossibilità,
anche parziale o temporanea, di provvedere ai propri interessi”. “Il beneficiario conserva la
capacità di agire per tutti gli atti che non richiedono la rappresentanza esclusiva o l’assistenza
necessaria dell’amministratore di sostegno. Il beneficiario dell’amministrazione di sostegno
può in ogni caso compiere gli atti necessari a soddisfare le esigenze della propria vita
quotidiana.” (art. 409 L. 09/01/2004 n° 6)
Breve cenno va fatto ancora all’ipotesi dell’incapacità naturale. Può infatti succedere che un
soggetto, benché non interdetto, si trovi in transitoria situazione di incapacità di intendere e
volere e in tale stato compia degli atti per sé economicamente dannosi. Anche per tali atti può
venir richiesto l’annullamento, ma, diversamente dall’incapacità legale, è necessario dare
prova sia del grave pregiudizio per l’autore dell’atto sia, nel caso dei contratti, della malafede
dell’altro contraente.
LE PERSONE GIURIDICHE
Il concetto di persona giuridica è molto più complesso di quello di persona fisica, oltre ad
essere relativamente recente nel diritto.
Il Codice Civile non definisce la persona giuridica, limitandosi a dettare alcune disposizioni
per le persone giuridiche pubbliche e quelle private nel titolo II del libro I, intitolato “Delle
persone giuridiche”.
In dottrina si assume che gli elementi costitutivi di una persona giuridica siano tre:
1. organizzazione di persone e di beni
2. scopo collettivo lecito
3. riconoscimento da parte dello Stato o delle Regioni
Quindi una persona giuridica è sempre un’organizzazione collettiva, ma non tutte le
organizzazioni collettive sono persone giuridiche, in quanto possono non aver avuto il
riconoscimento da parte dell’ente pubblico.
Molti giuristi ritengono che il termine persona giuridica sia una “fictio iuris” o, in altri
termini, una metafora per indicare un ente titolare di diritti e obblighi al pari delle persone
fisiche.
Prima di addentrarci nelle classificazioni del diritto, facciamo alcuni esempi per capire il
difficile concetto di persona giuridica.
La Danieli SPA, il Comune di Cervignano, l’ISIS Malignani, il WWF sono persone
giuridiche, alcune pubbliche, altre private. Cosa significa?
Se l’ISIS Malignani ha un debito verso un altro soggetto (deve, ad esempio, pagare delle
riviste che ha ordinato per un progetto), al pagamento è tenuto l’ente ISIS Malignani, tramite i
suoi organi, e non le singole persone che ne fanno parte: non il Dirigente Scolastico, non i
docenti che hanno chiesto le riviste, non la persona fisica che ha fatto l’ordine. Perciò si dice
che le persone giuridiche hanno autonomia patrimoniale perfetta: il loro patrimonio è del tutto
separato da quello degli associati, mentre le organizzazioni che non hanno personalità
giuridica godono soltanto di un’autonomia patrimoniale imperfetta.
L’ISIS Malignani è una persona giuridica pubblica. Di questa categoria fanno parte tutti gli
enti pubblici, che così possiamo classificare, ricordando che sono disciplinati dal diritto
pubblico:
Enti pubblici territoriali Stato, Regioni, Province, Comuni
non economici Sono moltissimi: scuole e università
pubbliche, INPS e INAIL, Camere di
commercio, Ente per il turismo, Ordini
professionali ecc.
Enti pubblici istituzionali,economici,Ente tabacchi italiani,Agenzia del demanio,Poste italiane ecc.
Tutti gli enti agiscono tramite organi. Ricordiamo in particolare gli organi fondamentali dello
Stato, di cui si è già parlato a proposito della separazione dei poteri: Parlamento, Governo,
Presidente della Repubblica, Magistratura.
Organi analoghi esistono negli altri enti pubblici territoriali e soprattutto nelle Regioni:
l’organo deliberante è il Consiglio Regionale, l’organo esecutivo la Giunta, presieduta dal
Presidente che è anche Presidente della Regione. Non esiste invece un organo giudiziario in
quanto la giurisdizione è competenza esclusiva dello Stato.
Le persone giuridiche private (art. 12 e 13 C.C.) si dividono in:
1. associazioni
2. fondazioni
3. società
Associazioni e fondazioni, regolate nel I libro del C.C. perseguono scopi di natura ideale,
mentre le società, regolate nel libro V, perseguono scopi di natura economica.
Le associazioni sono organizzazioni collettive in cui è prevalente l’elemento personale. Il
diritto di associazione è previsto dall’art. 18 della Costituzione, come una libertà
fondamentale: “I cittadini hanno diritto di associarsi liberamente, senza autorizzazione, per
fini che non siano vietati ai singoli dalla legge penale.
Sono vietate le associazioni segrete e quelle che perseguono anche indirettamente scopi
politici mediante organizzazioni di carattere militare.”
Chiunque può quindi creare liberamente un’associazione, purché non sia un’associazione a
delinquere, non sia segreta e non si attrezzi militarmente per scopi politici.
Molte associazioni sorte in base a questo principio non intraprendono il percorso per il
riconoscimento della personalità giuridica e sono quindi considerate associazioni non
riconosciute o di fatto. Importanti associazioni di questo tipo sono attualmente i partiti politici
e i sindacati, che non sono persone giuridiche.
Se invece si vuole ottenere la personalità giuridica, è necessario costituire l’associazione con
atto pubblico (dal notaio) e ottenere il riconoscimento da parte dello Stato o della Regione, se
si opera esclusivamente a livello regionale.
Associazioni riconosciute sono per es.: AVIS, WWF, AIRC.
Gli organi principali delle associazioni sono: l’assemblea dei soci e il consiglio di
amministrazione.
Un importante tipo di associazione, recentemente disciplinato dalla legge (D.Lgs. 460/97), è
l’ONLUS, acronimo che significa organizzazione non lucrativa di utilità sociale: si tratta di
associazioni particolari (ma anche di cooperative sociali) che devono svolgere attività di
solidarietà sociale a favore di terzi, e non soltanto degli associati.
Le fondazioni sono invece costituite da un patrimonio che un fondatore ha destinato ad uno
scopo collettivo lecito: possono essere costituite sia con un atto pubblico in vita che con un
testamento. Non avendo soci, non esiste l’organo assembleare, ma soltanto quello
amministrativo.
La più famosa fondazione del mondo è il premio Nobel, ma esistono fondazioni anche vicino
a noi, come la fondazione CRUP (costituita dalle Casse di Risparmio di Udine e Pordenone).
Le società, che costituiranno oggetto di studio in IV nell’ambito del diritto commerciale, sono
sostanzialmente imprese collettive, hanno cioè uno scopo economico e non ideale. Si
dividono in due grandi categorie:
1. società lucrative, rappresentate da sei tipi diversi
2. società mutualistiche, rappresentate dalle cooperative e dalle mutue assicuratrici
Le società lucrative, come dice il nome, hanno scopo di lucro, cioè distribuiscono ai soci gli
utili conseguiti. A loro volta si suddividono in tre società di persone, basate sulla conoscenza
e la fiducia reciproca fra i soci e non dotate di personalità giuridica, e tre società di capitali,
che hanno invece personalità giuridica e in cui non contano le qualità personali dei soci ma il
capitale investito.
Le società di persone, storicamente le più antiche risalendo alla fase del capitalismo
commerciale, sono:
1. società semplice (l’unica che non può svolgere attività commerciale ed è stata creata
dal Codice Civile del 1942 per l’agricoltura)
2. società in nome collettivo (SNC): il prototipo delle società di persone, sorta alla fine
del medioevo come società fra mercanti (compagnia)
3. società in accomandita semplice (SAS) in cui per la prima volta appaiono soci (gli
accomandanti) che godono del privilegio della responsabilità limitata
Queste società, ancora molto diffuse, sono generalmente utilizzate per attività economiche di
piccole-medie dimensioni: spesso sono società fra artigiani.
Le società di capitali, il cui prototipo possono essere considerate le prime grandi imprese
dell’evo moderno, cioè le Compagnie delle Indie, sono persone giuridiche, fin dal momento
della loro costituzione che avviene con l’iscrizione nel registro delle imprese tenuto dalle
Camere di Commercio. Esse sono:
1. società per azioni (SPA) in cui tutti i soci hanno responsabilità limitata alla quota
conferita e il cui capitale è rappresentato da azioni
2. società in accomandita per azioni (SAPA) in cui esiste una categoria di soci (gli
accomandatari) che hanno responsabilità illimitata e solidale: è una variante della Spa,
poco utilizzata nella pratica degli affari
3. società a responsabilità limitata (SRL), in cui tutti i soci hanno responsabilità
limitata, ma il capitale non è rappresentato da azioni
Le società mutualistiche sono sorte più tardi di quelle lucrative, come reazione organizzata
della classe operaia allo sfruttamento operato dai capitalisti. Il loro fine non era quindi quello
di distribuire utili, ma di procurare ai soci dei vantaggi, attraverso la stipulazione di contratti.
La prima cooperativa, nata in Inghilterra nel 1844, era una cooperativa di consumo, il cui fine
era quello di far acquistare ai soci beni ad un prezzo inferiore di quello normalmente praticato
dai negozianti. Questo è tuttora lo scopo delle molte cooperative di consumo esistenti. Ma ci
sono anche cooperative di lavoro, di credito, di assicurazione e così via. La nostra
Costituzione, all’art. 45, dice: “La Repubblica riconosce la funzione sociale della
cooperazione a carattere di mutualità e senza fini di speculazione privata. La legge ne
promuove e favorisce l’incremento con i mezzi più idonei e ne assicura, con gli opportuni
controlli, il carattere e le finalità.”
Tutte le società mutualistiche sono persone giuridiche.

POSIZIONI GIURIDICHE ATTIVE E PASSIVE


Competenze: distinguere le diverse situazioni giuridiche attive e passive, riconoscerle nella propria
esperienza quotidiana, collocare correttamente i diversi diritti nella categoria di appartenenza,
distinguere fra diritti assoluti e relativi, contestualizzare storicamente l’evoluzione dei diritti.
(Collocare l’esperienza personale in un sistema di regole fondato sul reciproco riconoscimento
dei diritti garantiti dalla Costituzione, a tutela della persona, della collettività e dell’ambiente)
Conoscenze: conoscere il concetto di rapporto giuridico, le principali posizioni giuridiche attive e
passive, le classificazioni dei diritti soggettivi pubblici e privati.
I soggetti del diritto sono titolari di posizioni giuridiche attive e passive. La più forte
situazione giuridica attiva è il diritto soggettivo, tutelato dalla legge nell’interesse del
soggetto. Esistono però anche posizioni giuridiche attive diverse dal diritto soggettivo, come
la potestà e l’interesse legittimo. La potestà è un potere, come il diritto soggettivo, ma
attribuito non per la tutela di un interesse proprio bensì di un interesse altrui: ne è esempio la
potestà dei genitori sui figli minorenni che deve essere esercitata nell’interesse di questi
ultimi. L’interesse legittimo è invece la pretesa, da parte di un cittadino che ha un rapporto
con la Pubblica Amministrazione, che quest’ultima si comporti in modo legittimo. In caso
contrario, tramite un processo amministrativo, il cittadino potrà ottenere l’annullamento
dell’atto illegittimo o, eventualmente, il risarcimento del danno. Ad esempio, nell’ambito del
diritto scolastico (che fa parte del diritto amministrativo) non esiste evidentemente un diritto
dello studente alla promozione, ma soltanto un suo interesse legittimo alla legittimità dello
scrutinio o dell’esame. Nel caso che alcune norme siano state violate il giudice
amministrativo (TAR) potrà disporre l’annullamento dell’atto amministrativo illegittimo, il
che non comporta la promozione, ma la necessità di rifare lo scrutinio o l’esame, rispettando
le norme.
La posizione giuridica passiva più rilevante e conosciuta è quella del dovere, ma esistono
anche l’obbligo, l’obbligazione, l’onere.
L’onere è la situazione inversa alla potestà: si tratta infatti di una posizione giuridica passiva
attribuita però a tutela di un interesse proprio, mentre il dovere tutela un interesse altrui. Il
tipo di onere più noto è quello della prova: se voglio far valere un mio diritto in giudizio ho
l’onere di portare le prove a sostegno delle mie rivendicazioni.
Le altre posizioni giuridiche passive verranno spiegate in relazione ai corrispondenti diritti,
nell’ambito del rapporto giuridico che si istituisce fra la parte attiva e quella passiva.
Esaminiamo quindi i diversi diritti soggettivi. Anzitutto essi vanno distinti, analogamente a
quanto avviene per il diritto oggettivo, in pubblici e privati. I diritti soggettivi pubblici sono
attribuiti ai soggetti nei confronti dello Stato e degli altri enti pubblici: quelli più antichi o di
prima generazione sono stati rivendicati dalle rivoluzioni liberali nei confronti dello Stato
assoluto che non riconosceva ai sudditi alcun diritto. Sono sostanzialmente i diritti di libertà,
definiti anche civili (del cittadino) e i diritti politici, soprattutto il diritto di voto. Questi diritti
trovano le loro prime espressioni nella Costituzione americana del 1787 e nella Dichiarazione
francese dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789.
I diritti pubblici di seconda generazione hanno trovato invece riconoscimento durante il XX
secolo, nell’ambito dello Stato democratico e sociale, che, abbandonando il liberismo,
interviene per garantire i cittadini nella sfera sociale (per es. diritto all’istruzione) ed
economica (per es. diritto al lavoro).
Dato che i diritti umani sono in continua evoluzione, oggi si sta assistendo all’elaborazione di
nuove categorie di diritti, ancora in fase di definizione: si parla perciò di diritti di terza
generazione o solidaristici, intesi come diritti dei popoli (all’autodeterminazione, alla pace,
allo sviluppo, alla tutela ambientale ecc.) e, nei tempi più recenti, di diritti di quarta

generazione, attinenti alle frontiere delle nuove tecnologie genetiche e della comunicazione
(Internet).
In Italia i diritti soggettivi pubblici sono disciplinati nella I parte della Costituzione
repubblicana del 1948, intitolata appunto Diritti e doveri dei cittadini, che si articola in 4
titoli:
1) Rapporti civili (art. 13-28): sono i diritti di libertà (personale, di domicilio, di
corrispondenza, di riunione, associazione, di religione, di manifestazione del pensiero
ecc.) definiti inviolabili. Tali libertà, che costituiscono diritti di prima generazione,
rivendicati già dalla rivoluzione francese nei confronti dello stato assoluto, sono
“negative”: infatti esprimono semplicemente la richiesta che lo Stato non interferisca
con la sfera di autonomia del cittadino, per es. imprigionandolo arbitrariamente o
censurando la stampa.
2) Rapporti etico-sociali (art. 29-34): sono i diritti sociali di seconda generazione, che
richiedono l’intervento attivo dello Stato per garantire ai cittadini la famiglia, la salute,
l’istruzione, tramite una serie di servizi e politiche sociali.
3) Rapporti economici (art. 35-47): anche questi sono diritti di seconda generazione,
rivolti a garantire una maggior equità economica e sociale e soprattutto la tutela del
lavoro.
4) Rapporti politici (art. 48-51): si tratta di diritti già rivendicati dalle rivoluzioni liberali
(elettorato attivo e passivo, diritto di costituire partiti politici), ma via via estesi nello
Stato democratico a tutti i cittadini tramite l’allargamento progressivo del suffragio
(ricordiamo che in Italia il suffragio universale risale agli anni 1945/46)
I diritti soggettivi privati si riferiscono invece ad un rapporto giuridico regolato dal diritto
privato e si fanno generalmente valere nei confronti degli altri soggetti privati. Trovano la
loro disciplina fondamentale nel Codice Civile e si dividono anzitutto in non patrimoniali e
patrimoniali.
I diritti soggettivi non patrimoniali, regolati dal libro I del Codice Civile oltre che dal Codice
penale e da leggi speciali, sono di due tipi:
1. diritti della personalità
2. diritti di famiglia
I primi sono diritti che ciascun essere umano acquista dalla nascita e perde con la morte: sono
quindi diritti indisponibili, a cui non si può rinunciare. Per es. il diritto all’integrità fisica, al
nome, all’onore e, recentemente disciplinato, alla privacy.
Art. 5 Atti di disposizione del proprio corpo
Gli atti di disposizione del proprio corpo sono vietati quando cagionino una diminuzione
permanente della integrità fisica, o quando siano altrimenti contrari alla legge, all'ordine
pubblico o al buon costume
Questi diritti sono assoluti: ciò significa che si fanno valere non verso singole persone
determinate, ma verso tutti o, come si dice con espressione latina, erga omnes.
Perciò la posizione giuridica passiva correlata è quella del dovere, che implica semplicemente
l’astensione da atti che possano ledere l’altrui diritto: per es. è punita la diffamazione in
quanto lesione dell’altrui diritto all’onore.
Un diritto della personalità che è stato oggetto in anni recenti di particolare disciplina è quello
cosiddetto alla privacy, regolato dal Codice in materia di protezione dei dati personali (D. l.vo
196/2003) e, per gli studenti, dalla Direttiva ministeriale 30/11/07.
Tale Direttiva ricorda agli studenti le possibili violazioni che possono compiere diffondendo
dati personali, con riferimento non solo al Codice della privacy, ma anche al Codice Civile,
alla Legge sui diritti d’autore e al Codice Penale.

Ricordiamo che, ai sensi del Codice della privacy, non è proibita la raccolta di dati personali
(per es. riprese video dei compagni) da utilizzare solo in ambito privato. Per la diffusione
(inserimento in un sito Internet come YouTube) servono invece l’informativa all’interessato e
il consenso scritto se si tratta di dati sensibili (come quelli attinenti alla salute o all’origine
etnica o alle convinzioni religiose, filosofiche, politiche).
L’omessa o inidonea informativa all’interessato è punibile con una sanzione amministrativa
da 6.000 a 36.000 €, fatto salvo il risarcimento danni all’interessato.
Già il Codice Civile e la legge sui diritti d’autore prevedevano la tutela dell’immagine altrui
con possibile azione di risarcimento danni: perciò serve il consenso della persona interessata
per divulgarne il “ritratto” a meno che si tratti di “persone pubbliche”, di eventi pubblici
(come una manifestazione in piazza) o di scopi scientifici, didattici e culturali.
In alcuni casi le violazioni hanno rilievo penale:
a. l’indebita raccolta, la rivelazione e la diffusione di immagini attinenti alla vita privata
che si svolgono in abitazioni altrui o in altri luoghi di privata dimora (art. 615-bis
codice penale);
b. il possibile reato di ingiurie, in caso di particolari messaggi inviati per offendere
l’onore o il decoro del destinatario (art. 594 codice penale);
c. le pubblicazioni oscene (art. 528 codice penale);
d. la tutela dei minori riguardo al materiale pornografico (artt. 600-ter codice penale;
legge 3agosto 1998, n. 269).
Perciò gli insegnanti hanno l’obbligo di vigilare sui comportamenti degli studenti tutte le
volte in cui, se si verificasse il danno, la scuola sarebbe responsabile, cioè tutte le volte in cui
potrebbe essere contestato alla scuola che avrebbe potuto impedire il fatto. Gli insegnanti
devono infatti provare di aver adempiuto l’obbligo di vigilanza sugli scolari con una diligenza
idonea (nel caso concreto) ad impedire il fatto illecito
L’utilizzo scorretto del cellulare a scuola è infatti sanzionato dal Regolamento di disciplina.
I diritti di famiglia sono correlati ai ruoli che si rivestono all’interno della famiglia e, come i
diritti della personalità, sono indisponibili, però non sono più assoluti, bensì relativi: si
possono cioè far valere soltanto nei confronti di determinati membri della famiglia, con cui
esiste un rapporto giuridico.
Art. 147 Doveri verso i figli
Il matrimonio impone ad ambedue i coniugi l'obbligo di mantenere, istruire ed educare la
prole tenendo conto delle capacità, dell'inclinazione naturale e delle aspirazioni dei figli.
Esaminando la norma posta dall’art. 147 C.C., si può ricavare, in base al principio di
bilateralità della norma, che i figli hanno diritto di essere mantenuti ed educati, ma
ovviamente questo diritto può essere rivendicato soltanto nei confronti dei propri genitori e
non di altre persone: perciò il diritto è relativo e la corrispondente situazione giuridica passiva
si chiama obbligo.
I diritti patrimoniali si suddividono ugualmente in due categorie:
1. diritti reali, regolati dal libro III del Codice Civile
2. diritti di credito o di obbligazione, regolati dal libro IV del Codice Civile
Il termine “reali” deriva dal latino res, che significa cosa. I diritti reali sono perciò diritti sulle
cose, in particolare la proprietà, ma anche, ad es., l’usufrutto, il pegno, l’ipoteca. In questo
caso si tratta di diritti disponibili: alla proprietà si può infatti rinunciare oppure la si può
trasmettere ad altri tramite contratti di compravendita o di donazione. Sono diritti che si fanno
valere verso tutti e perciò assoluti: ad es. il cartello “Proprietà privata. Divieto di accesso”
non è rivolto a destinatari identificati ma a qualunque soggetto che ipoteticamente potrebbe

violare il diritto di proprietà. Nei confronti di tale diritto esiste quindi un generico dovere di
astensione, spesso anche penalmente sanzionato, come per i diritti della personalità.
Infine i diritti di credito (se guardati dal lato attivo) o di obbligazione (dal lato passivo)
riguardano il rapporto giuridico fra un soggetto attivo, detto creditore, che vanta la pretesa ad
una prestazione, e un soggetto passivo, detto debitore, tenuto ad effettuare la prestazione.
Tali diritti sono evidentemente relativi: infatti il creditore può pretendere la prestazione
soltanto dal debitore e non da chiunque.
Ordinamento della Repubblica
Il Parlamento, Il Governo, Il Presidente della Repubblica, la Magistratura e il CSM

Il Parlamento è l'organo che ha il compito di emanare ( = fare ) le leggi dello Stato.


Il Parlamento è composto (formato) da due Camere: Camera dei Deputati e Senato della Repubblica.

- CAMERA DEI DEPUTATI : 630 deputati – sede a Montecitorio


- SENATO della REPUBBLICA : 315 senatori più i senatori a vita - sede a Palazzo Madama

I senatori a vita sono: di diritto ( = per legge) tutti gli ex Presidenti della Repubblica ; per nomina, il
Presidente della Repubblica può nominare persone che si sono distinte a livello nazionale per particolari
meriti, fino a un Max di 5 persone.

Il Parlamento è eletto da tutti i cittadini che abbiano compiuto 18 anni per la Camera e 25 anni per il
Senato. Le elezioni si svolgono a suffragio universale ( cioè votano tutti i cittadini ) e sono dette
elezioni politiche.
Il Parlamento resta in carica 5 anni, salvo in caso di scioglimento anticipato delle Camere da parte del
Presidente della Repubblica ed elezioni anticipate. Questo periodo si chiama legislatura.
Le Camere agiscono ( = lavorano) separatamente, solo in casi particolari, indicati dalla Costituzione, le
due Camere si riuniscono in seduta comune a Montecitorio:
per l'elezione del Presidente della Repubblica;
per il giuramento del Presidente della Repubblica;
.per la messa in stato d'accusa del Presidente della Repubblica per attentato ed alto tradimento alla
Repubblica.

BICAMERALISMO PERFETTO: le due Camere svolgono le stesse funzioni ,fanno le leggi, ed hanno gli
stessi poteri: per questo ogni decisione deve essere approvata (accettata) da entrambe le camere.

Questo fu deciso dall' Assemblea Costituente per permettere di fare le leggi nel modo migliore con
attenzione e riflessione e per evitare che una sola Camera avesse un potere troppo forte.
Il bicameralismo ha degli svantaggi, poiché occorre molto tempo necessario per l'approvazione delle
leggi, che devono essere esaminate da entrambe le Camere e lo stesso testo deve essere approvato da
tutte due le Camere.

Le funzioni del Parlamento

 legislativa(leggi ordinarie e costituzionali)


 elettiva(elegge il presidente della Repubblica,5 senatori a vita,8 membri del Consiglio superiore
della magistratura)
 giurisdizionale(mette in stato di accusa il presidente della repubblica per attentato e tradimento
alla costituzione)
 controllo amministrativo-contabile sul governo
 di indirizzo politico

L’ organizzazione delle Camere

Ogni Camera ha:


un proprio regolamento interno, per disciplinare (regolare) il proprio lavoro
un proprio Presidente, che convoca le riunioni e dirige (guida ) i lavori.
proprie commissioni

COMMISSIONI PARLAMENTARI : sono formate da pochi deputati e senatori con competenze


(esperienze) in materia. Ogni commissione si occupa di una determinata materia (giustizia, finanza,
istruzione, ... ) e sono una per ogni ministero. Le Commissioni esaminano le leggi da portare poi in
Parlamento.
Queste commissioni sono detti permanenti ( = ci sono sempre) perché la commissione rimane per tutta
la legislatura, invece i parlamentari che le compongono sono rinnovati (cambiati) ogni 2 anni.

COMMISSIONE D’INCHIESTA : sono costituite (formate) per fare indagini su situazioni gravi o poco
chiare che riguardano la vita del Paese (es. commissione sulla mafia, sulle stragi, sul terrorismo ... ).
Queste commissioni non sono permanenti perché sono fatte per risolvere un problema. Quando hanno
finito il loro compito la commissione viene sciolta ( non c'è più ).

GRUPPI PARLAMENTARI : sono formati da parlamentari di uno stesso partito. Secondo i regolamenti
della Camera e del Senato ogni gruppo deve esser formato da un numero minimo di membri: 10 per il
Senato e 20 per la Camera.
Se i parlamentari dei gruppi più piccoli non riescono a formare un proprio gruppo, in entrambe le
Camere , viene formato un GRUPPO MISTO,.

Le votazioni
Le decisioni sono prese a maggioranza, secondo il regolamento di ciascuna Camera. L'art. 64 dice che
non si può deliberare se non è presente la maggioranza, cioè il numero legale.
QUORUM : è la maggioranza richiesta per rendere valida una votazione (delibera).
A seconda delle decisioni da prendere, l'approvazione può richiedere:

la maggioranza SEMPLICE : la metà + 1 dei presenti


la maggioranza ASSOLUTA : la metà + 1 dei componenti della Camera
la maggioranza QUALIFICATA : i 2/3 dei componenti della Camera

IL GOVERNO

E’ composto dal Presidente del Consiglio , dai ministri e dai sottosegretari.


Il Presidente della Repubblica nomina il Presidente del Consiglio il quale sceglie i suoi ministri.
Le funzioni del governo sono:

a) ESECUTIVA(dare attuazione concreta alle leggi)


b) LEGISLATIVA (Decreti legge e Decreti legislativi)
c) Amministrativo – contabile (E’ a capo della pubblica amministrazione)
d) Indirizzo politico
Il Governo dovrebbe rimanere in carica,di regola,per tutta la durata della legislatura. Di fatto
quasi tutti i governi sono stati costretti a dimettersi anticipatamente.
Le dimissioni anticipate possono essere provocate;
 Da una mozione di sfiducia approvata a maggioranza dal parlamento(crisi
parlamentare)
 Da un disaccordo tra le forze politiche che lo sostengono(crisi extraparlamentare)
La pubblica amministrazione è divisa in ministeri.
I ministri si dividono in:

Con portafoglio Sono a capo di un ministero ed hanno disponibilità finanziale.


Senza portafoglio Lavorano nei ministeri
Ad interim  sono temporaneamente a capo di più ministeri.
Il numero dei ministri non è reso fisso dalla costituzione.

LA CORTE COSTITUZIONALE

E’ composta da nove giudici che durano in carica nove anni ed un presidente che dura in carica 3 anni.

Le sue funzioni sono:

 Controllo:

Le C.C (corte costituzionale) controlla su richiesta , che le leggi ordinarie e gli atti aventi forza di legge
(non siano in contrasto con la costituzione. Il suo giudizio viene richiesto o in via incidentale e cioè
durante un processo o in via diretta e cioè in qualsiasi momento.
 Risolve i conflitti di attribuzione tra stato e regioni e tra regioni e Regioni

 Giudica sulla ammissibilità del referendum

Le sentenze emesse sono due:

1) Accoglimento (la legge è incostituzionale perciò annullata)


2) Rigetto.

IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA

Il Presidente della Repubblica (P.d.R) è l’organo indipendente ed imparziale che rappresenta l’unità
nazionale, coordina l’attività degli altri organi dello Stato ed è garante della Costituzione ( cioè controlla
che questi organi agiscano sempre nel rispetto della Costituzione ).
La sede del P. d.R è il palazzo del Quirinale
Viene eletto dal Parlamento in seduta comune ( cioè 315 senatori + 630 deputati ). Alla sua elezione
partecipano anche 58 delegati regionali ( 3 per ogni Regione, tranne la Valle d’Aosta che ne ha 1 ) per
un totale di oltre 1000 persone in rappresentanza di tutti gli Italiani. Viene eletto a scrutinio segreto :
primi tre scrutini maggioranza di due terzi dell’assemblea - dal quarto maggioranza assoluta ( = metà
più uno dei componenti dell’assemblea )
Dura in carica 7 anni e può essere rieletto. Alla fine del settennato,se il presidente non viene
rieletto,diventa di diritto senatore a vita.

Dopo la sua elezione giura fedeltà alla Repubblica davanti alle Camere riunite in seduta comune.

Sempre davanti alle Camere riunite, in seduta comune, può essere messo in stato d’accusa per i reati di
attentato alla Costituzione ed alto tradimento. ( se il suo comportamento mette in pericolo la
democrazia e la Costituzione)
In questo caso viene giudicato dalla Corte Costituzionale.

Può essere eletto P.d.R qualsiasi cittadino italiano che abbia compiuto 50 anni e goda dei diritti civili e
politici.

Alla fine del suo mandato il P.d.R diventa senatore a vita. Se il P.d.R deve restare all’estero per un certo
periodo o in caso di malattia, questa situazione si chiama impedimento temporaneo e la carica di
Capo dello Stato viene ricoperta dal Presidente del Senato

Il ruolo del Presidente cambia in base alla forma di governo dello Stato, che può essere una Repubblica
Presidenziale o una Repubblica Parlamentare. In una Repubblica Presidenziale come gli USA, il
Presidente è capo dello Stato e capo del Governo, quindi ha molti poteri. In una Repubblica
Parlamentare come l’Italia, dove l’ organo più importante è il Parlamento, il Presidente non ha
nessuno dei tre poteri fondamentali
( legislativo, esecutivo e giudiziario), ma interviene in tutti e tre i poteri per mantenere l’equilibrio fra le
Istituzioni dello Stato con funzione di stimolo, di controllo e di collegamento. Inoltre il Presidente ha
un ruolo molto importante sul piano internazionale : infatti come Capo dello Stato e rappresentante
dell’unità nazionale, si reca in visita ufficiale negli altri paesi e riceve i capi di Stato stranieri e gli
ambasciatori dei diversi paesi.

Le più importanti funzioni del Presidente della Repubblica

Indice le elezioni del Parlamento - Nomina il Presidente del Presiede il Consiglio Superiore
e ne fissa la prima riunione Consiglio e su proposta di della Magistratura
questo, i ministri
Nomina 5 senatori a vita Può inviare messaggi alle Ha il comando delle Forze
Camere Armate
Emana i Decreti del Governo Autorizza il governo a Può concedere la grazia( è un
presentare disegni di legge al provvedimento individuale con il
parlamento quale si cancella o si modifica la
pena a cui una persona è già
stata condannata).
Può sciogliere le Camere Indice il referendum Dichiara lo stato di guerra

Promulga le leggi,ma può Emana i decreti legge e


rinviarle alle camere con un legislativi
messaggio motivato

Nomina cinque membri della Ratifica i trattati internazionali


Corte Costituzionale
Invia messaggi alle Camere

Firma i trattati internazionali


La Magistratura

E’ l’insieme dei giudici a cui è affidato il compito di giudicare sulla violazione delle norme e di
applicare la sanzione prevista dalla legge

La funzione giurisdizionale è la funzione dello Stato diretta all’applicazione delle norme giuridiche per la
risoluzione delle controverse tra cittadini o tra cittadini e stato. l'organo giudicante è la magistratura.

La funzione giudicante è esercitata dalla magistratura ordinaria . Essa è costituita da un numeroso corpo
di giudici classificati in due gruppi:
-quelli appartenenti alla giurisdizione civile;
-quelli appartenenti alla giurisdizione penale.

Il processo civile inizia a opera di un soggetto privato il quale chiama in giudizio un altro soggetto in
quanto inadempiente agli obblighi derivanti dal contratto. Il giudice decide se vi sia stata la violazione
del diritto, indicante i motivi, e, impone le sanzioni necessarie per ripristinare l’ordine giuridico violato.

Con la giurisdizione penale il giudice accerta la responsabilità di colui che è accusato di avere
commesso un reato. I reati sono quei fatti che per la loro gravità non si rivolgono solo nei confronti del
soggetto che li subisce ma vengono ritenuti lesivi di interessi dalla collettività.

La sanzione prevista per chi ha commesso un reato è la pena. Essa può essere pecuniaria (tipo multa
DENARO) o detentiva (reclusione in carcere)

Il pubblico ministero è un giudice che veglia sull’osservazione delle leggi e sulla tutela dei diritti dello
Stato, agendo per la repressione dei reati; in quanto titolare dell’accusa, esercita azione penale e svolge
indagini preliminari.

L’attività del giudice civile è legato al principio della domanda. Il giudice deve pronunciarsi solo sulle
richieste dell’accusa e sulle eccezioni presentate dal convenuto; che hanno una diversa visione dei fatti.

La decisione del giudice avviene con sentenza, che è l’atto tipico con il quale si esercita la funzione
giurisdizionale.

Accanto alla Magistratura ordinaria operano altri giudici speciali, necessari perché debbono giudicare
controversie specialistiche. È giudice speciale:
giudice amministrativo (TAR), contabile (Corte dei conti), militare, tributario (commissioni tributarie).

La Costituzione garantisce il doppio grado di giurisdizione. Ciò significa che ogni sentenza emessa dal
giudice civile/penale è appellabile. Esiste come terzo grado di giurisdizione il giudizio della corte di
cassazione.

Il giudizio di pace, che è un organo onorario e individuale con una sfera di competenza che corrisponde
al territorio di un comune. Ha competenza sia in materia civile che penale.

Il tribunale è un organo retto da un solo individuo che può diventare collegiale in relazione alla
complessità delle controversie. Competenza di una Provincia. Per grandi città più di un tribunale.
Competenza in materia civile e penale.

Corte d’appello organo collegiale (1 presidente, 2 consiglieri) competenza Regionale è giudice di


secondo grado sia in materia civile che penale.
Magistratura civile
1 grado: GIUDICE DI PACE POTERE MONOCRATICO ( potere di una sola persona)
2 grado APPELLO: TRIBUNALE 2 GIUDICI
3 grado : CORTE DI CASSAZIONE

Per controversie il cui valore è più importante:


1 grado: TRIBUNALE
2 grado: CORTE D'APPELLO 3 GIUDICI
3 grado: CORTE DI CASSAZIONE

Magistratura Penale

REATI LIEVI REATI MEDI R. GRAVISSIMI (delitti)


1 grado: giudice di pace Tribunale Corte d'Assise
2 grado: tribunale Corte d'Appello Corte d'Assise D'Appello
3 grado: C. Di cassazione C. Cassazione C. Cassazione

Il principio di presunzione innocenza: l’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna
definitiva. Cioè finché non si siano esaurite le possibilità d’appello.

I magistrati godono di una duplice indipendenza:


-esterna = consiste nell’indipendenza nei confronti di qualsiasi tipo di influenza degli altri poteri dello
stato.
-interna = tutela l’indipendenza dei singoli giudici nell’ambito della magistratura.

Il consiglio superiore della magistratura è l’organo di autogoverno della magistratura e in quanto tale è
il garante dell’indipendenza della stessa del potere esecutivo. Il consiglio è, infatti costituito
-dal presidente della repubblica, che lo preside;
-dal procuratore generale della corte di cassazione;
-da 24 membri elettivi, di ci 2/3 eletti dai magistrati e 1/3 eletto dal Parlamento in seduta comune.

Le funzioni del Consiglio superiore della magistratura riguardano il rapporto di impiego dei magistrati
in ogni aspetto e in particolare:
-le assunzioni -le promozioni;
-le assegnazioni; -i provvedimenti disciplinari.
-i trasferimenti;
I SOGGETTI DELL’ECONOMIA E I FLUSSI REALI E MONETARI

Competenze: confrontare le diverse caratteristiche dei sistemi economici tipo, rappresentare


graficamente i flussi reali e monetari fra gli operatori economici, calcolare i principali saldi della
bilancia dei pagamenti, individuare caratteristiche e problemi della bilancia italiana dei pagamenti.
(Orientarsi nel tessuto produttivo del proprio territorio)
Conoscenze: conoscere i sistemi economici tipo, gli operatori del sistema ad economia mista, i flussi
reali e monetari, la struttura della bilancia dei pagamenti
Gli attori di un sistema economico non coincidono con i soggetti disciplinati dal diritto e
variano in relazione al sistema economico considerato.
Noi oggi viviamo in uno Stato ad economia mista (Stato democratico-sociale) in cui le scelte
economiche spettano sia al mercato che allo Stato. Teoricamente esistono due altri sistemi:
quello liberista o ad economia di mercato (il modello ottocentesco), in cui lo Stato non
interviene nell’economia e non è quindi un attore economico, e quello collettivista o
pianificato, in cui tutte le decisioni sono prese dallo Stato e non esiste il mercato
(un’organizzazione di questo tipo è stata realizzata dagli Stati comunisti, dissolti dopo il
crollo del muro di Berlino).
SISTEMA PROPRIETÀ
MEZZI
PRODUZIONE
SCELTE ECONOMICHE
Liberista o ad economia di mercato Privati Decise dai privati tramite il mercato
Collettivista o pianificato Stato Decise da un organo centrale dello Stato
Misto Privati e Stato In parte dal mercato in parte dallo Stato
Oltre che ad economia mista, il nostro è un sistema aperto agli scambi con l’estero, motivo
per cui i soggetti dell’attività economica possono essere raggruppati in 4 categorie:
1. operatore famiglie: comprende tutte le unità di consumo
2. operatore imprese: comprende le unità di produzione
3. operatore Stato: comprende tutte le attività della Pubblica Amministrazione
4. operatore Resto del mondo: comprende tutti i Paesi con cui l’Italia effettua scambi
Fra questi operatori avviene la circolazione del reddito, che riguarda due flussi diversi di
scambi: quelli reali, costituiti da beni e servizi, e quelli monetari, rappresentati dal compenso
per i beni e i servizi ricevuti. Per un primo approccio globale, proponiamo la seguente mappa
concettuale (da cui resta escluso il Resto del Mondo), in cui i flussi reali sono rappresentati
con linea continua e quelli monetari con linea tratteggiata:
Già conosciamo la terminologia riguardante i fattori produttivi e i loro rispettivi compensi.
Va invece chiarito il ruolo dell’operatore Stato. Lo Stato può, al pari delle imprese, produrre
beni e servizi e venderli sul mercato: in questo caso, come ogni operatore privato, riceverà in
cambio dei prezzi. Quest’attività della Pubblica Amministrazione è disciplinata dal diritto
privato. Prendiamo ad esempio la nostra scuola, che è dotata di laboratori di analisi: se
compie analisi per terzi estranei alla scuola, vende questo servizio a prezzi di mercato.
Gli studenti non hanno invece con la scuola pubblica un rapporto di mercato disciplinato dal
diritto privato, bensì usufruiscono di un servizio, in base ad un diritto sancito dalla
Costituzione, regolato dal diritto pubblico. Perciò non pagano un prezzo, ma soltanto, nelle
classi terminali delle superiori, una tassa scolastica. Le tasse sono entrate di diritto pubblico
che coprono, in questo caso, una piccola parte del costo del servizio, riferibile all’utilità del
soggetto che domanda il servizio. Il resto del costo dell’istruzione pubblica, ritenuta una
funzione di interesse collettivo, viene coperto dalle imposte, che sono prelievi obbligatori di
ricchezza operati sui cittadini in base al loro reddito o patrimonio (imposte dirette) o agli
scambi e ai consumi che effettuano (imposte indirette). Imposte e tasse sono entrate per il
bilancio dello Stato, in base alle quali si possono effettuare le spese per finanziare i servizi
pubblici (strade, ospedali, scuole, esercito ecc.)
I contributi sono un’entrata pubblica obbligatoria come le imposte, ma, al pari delle tasse,
vanno a coprire il costo di una prestazione ad interesse individuale. I più importanti contributi
sono quelli sociali, gestiti da enti pubblici come l’INPS e l’INAIL, che, in base ai contributi
pagati da imprese e lavoratori, erogano le pensioni e altri tipi di prestazioni (per es. le
indennità in caso di malattia).
Ecco uno schema di sintesi delle principali entrate dello Stato
Entrate di diritto privato Prezzi
Tassa: controprestazione per un servizio a domanda individuale erogato
da un ente pubblico
Imposta: prelievo coattivo di ricchezza non connesso ad una specifica
prestazione e basato sulla capacità contributiva. Serve a finanziare
servizi pubblici indivisibili e non individualizzabili
Entrate di diritto pubblico
Tributi
Contributo: versamento obbligatorio effettuato da soggetti che traggono
o trarranno vantaggio individuale da un servizio pubblico
Per quanto riguarda i rapporti con l’estero (Resto del Mondo), sia le famiglie che le imprese e
lo Stato entrano in scambi con operatori di altri Stati: per es. gli immigrati presenti in Italia,
mandano parte dei loro guadagni alle famiglie nel Paese di origine, le imprese italiane
esportano le loro merci in vari Paesi stranieri, lo Stato italiano può acquistare prodotti
stranieri o vendere i suoi titoli a soggetti residenti in altri Stati. Se gli Stati che effettuano gli
scambi hanno diversi sistemi monetari, sarà necessario effettuare il cambio di valuta
nazionale in valuta straniera o viceversa. Il cambio è quindi il valore di una valuta nei termini
di un’altra valuta: ad es. l’euro in termini di dollari o il dollaro in termini di euro.
Gli scambi con l’estero (Resto del mondo) vengono annualmente registrati in un documento
contabile che si chiama Bilancia dei pagamenti. Una parte molto importante della Bilancia
dei pagamenti è costituita dalla Bilancia commerciale, che registra le importazioni e le
esportazioni di merci. Per l’Italia, che è un Paese povero di materie prime, la voce più
pesante delle importazioni è rappresentata dal petrolio (la cosiddetta bolletta energetica). Se il
valore delle importazioni supera quello delle esportazioni, il saldo commerciale è in passivo,
mentre se avviene il contrario è attivo. Un saldo passivo della bilancia commerciale potrebbe
però venir compensato da altre voci, di modo che il saldo complessivo della bilancia dei
pagamenti risulti positivo. È evidente che per un Paese sarebbe auspicabile avere una Bilancia
dei pagamenti in equilibrio: un saldo continuamente passivo significa infatti che il Paese in
questione consuma più di quanto produce, indebitandosi con l’estero. In questo momento la
sfida commerciale proviene da Paesi come la Cina e l’India che esportano moltissimo, avendo
prezzi estremamente più bassi dei nostri grazie al basso costo del lavoro. Per questo motivo
molte imprese italiane, soprattutto nel campo tessile, sono entrate in crisi non riuscendo a
competere sul mercato mondiale.

L'economia politica è una disciplina o scienza sociale che studia le regole che disciplinano l'attività
economica delle persone all'interno di uno stato.
La parola deriva dal greco:
OIKOS= CASA
NOMOS= LEGGE o regole
POLITIKOS= DA POLIS CITTÀ- STATO

è una scienza sociale NON ESATTA, a differenza della fisica e della matematica, dove ad una causa
corrisponde un effetto, perchè viene influenzata dai gusti e dai cambiamenti delle persone.
ESATTA NON SIGNIFICA PERFETTA, MIGLIORE, infatti ad un aumento del reddito, potrebbe
non seguire un aumento del consumo, ma al contrario un aumento del risparmio, perchè la gente
vuole così.

Oggi le imprese chiudono, diminuisce l'occupazione, non ci sono soldi, quindi si azzera la
domanda.
Se diminuisce il reddito, diminuisce il consumo, cioè la gente non domanda più beni e servizi,
quindi diminuisce la domanda e si entra in recessione.

Y=REDDITO
C=CONSUMO
D=DOMANDA
S=RISPARMIO consumo ipotizzato per il futuro

S=Y-C
C=Y-S
Y=C+S

la domanda è tutto ciò che gli individui chiedono, beni e servizi che servono a soddisfare i loro
bisogni.
CHE COS'È IL BISOGNO?
IL BISOGNO È UNO STATO, ESSERE IN UNA CONDIZIONE, DI NECESSITÀ CHE VIENE
SODDISFATTO ATTRAVERSO L'USO DEI BENI E DEI SERVIZI CHE SONO RISORSE
LIMITATE.

Classificazione beni e bisogni

I beni e i servizi sono scarsi in natura, cioè sono limitati. Quello che vendo in termini di beni e
servizi viene trasformato in denaro che mi permette di comprare il pane....ecc. L'economia politica è
una scienza sociale, perchè le relazioni tra persone sono un presupposto fondamentale, da solo non
posso fare nulla, è una scienza basata sulle relazioni umane dove ognuno svolge dei ruoli che
diventano significativi solo se interagiscono. Es. Una banca, se non ci fosse un'impresa non avrebbe
senso, non esisterebbe.
I beni li dividiamo in due gruppi:

I BENI ECONOMICI E I BENI NON ECONOMICI


I beni economici hanno un valore monetario, cioè hanno un prezzo, cioè un valore di scambio.
Perché non compriamo l'aria? C'è per tutti, quindi non c'è valore di scambio. I beni che hanno
valore economico sono quelli in misura limitata, hanno un prezzo e si scambiano attraverso i soldi.
Es. Io ti vendo l'aria tu mi dai i soldi e io compro la bistecca. Però l'aria non ha un prezzo.

VALORE DI SCAMBIO E VALORE D'USO


Il valore di scambio di un bene è la capacità che può essere scambiata con un altro bene.
Il valore d'uso è la capacità di un bene di essere usato. Es. Una penna senza inchiostro non può
essere usata, ma scambiata sì se ha un valore monetario.
I beni non economici non hanno valore monetario, né d'uso, né di scambio. Es. i beni affettivi.

CLASSIFICAZIONE DEI BENI

I beni economici si classificano in beni:

-COMPLEMENTARI

due beni si dicono complementari quando per soddisfare un bisogno ci vogliono tutti e due e quindi
vanno usati insieme. es. andare a scuola in macchina. Ho bisogno della benzina e dell'auto.

- SURROGATI O SUCCEDANEI: due beni si dicono surrogati quando possono essere sostituiti
l'uno con l'altro.es. Voglio fare la torta o metto il burro o la margarina.

- DUREVOLI O NON DUREVOLI quando dura nel tempo e la utilizziamo più volte es. Auto, es.
In un'impresa i macchinari sono durevoli

- STRUMENTALI: per realizzare beni che si possono consumare. Il bene che mi serve a realizzare
beni di consumo finali, cioè per indossare il pullover ho la macchina che me lo produce. La
macchina che fa il pane che è un bene di consumo finale.

SISTEMA ECONOMICO:

ENTRATE PRINCIPALI DELLO STATO: sono i tributi:

TASSE: (un prezzo per i servizi pubblici)


IMPOSTA: ( sulla ricchezza)
CONTRIBUTI : PREVIDENZIALI ( lo Stato trattiene una somma in vista di un periodo non
lavorativo); ASSISTENZIALI, DI MIGLIORIA

P.A. STATO SOCIALE ( obiettivo principale, benessere della collettività)

Insieme di più soggetti o elementi che interagiscono tra loro, es. Famiglie, imprese, banche, la
pubblica amministrazione, cioè lo stato e il resto del mondo, cioè tutti gli altri paesi con cui noi
importiamo (n) ed esportiamo (x).
Importare: comprare
Esportare: vendere
È meglio esportare che importare. Materie prime che non abbiamo le acquistiamo con le
importazioni. Però dobbiamo far sì che si venda di più. Prendo le importazioni e le esportazioni e
le scrivo nella bilancia dei pagamenti dove scrivo da una parte m e dall'altra x.
X>M io avrò un guadagno cioè avanzo di bilancia
Se io avrò X<M =D disavanzo di bilancio
La famiglia ha due definizioni:
X il diritto la famiglia nell'art. 29 costituzione dice che è fondata sul matrimonio, marito e moglie,
dove poi nascono eventualmente dei figli. X l'economia il discorso è diverso. Qualunque soggetto
che produce un reddito è famiglia. Io vivo in casa con mio marito che lavoriamo. Per l'economia
siamo due famiglie.

Un'impresa il monte, la Telecom, barilla, per iniziare un'attività ha bisognodinmacchinari, materie


prime, e di soldi, cioè di un capitale. Per trovare i soldi vanno a formare questo orale dividendo le in
tante quote che raccolgono a quelli che si mettono in società. S. Un'azione costa 5.000 euro, uno ne
compra una, l'altro. Non sono dei benefattori, ma l'impresa grazie a questi 40.000 euro abbiamo
prodotto dei beni e ci sono entrati 60.000. I 30 vanno ripartiti a tutti gli azionari. Es. 3% dell'utile di
30. L azioni sono titoli di credito che chi acquista le acquista al fine di ottenere una ripartizione
degli utili. Se l'impresa fallisce gli azionari non hanno nulla. Il problema nasce quando l'azienda
dichiara il falso in bilancio. Il valore dei titoli è stabilito dalle società.

Reddito : insieme di tutte le entrate che un soggetto percepisce in un anno.


Un altro soggetto è la Banca che è un intermediaria tra famiglia e impresa
Impresa.
Tre definizioni di impresa:
Art. 2028 cc impresa: attività svolta dall'imprenditore
Art. 2555 cc azienda
Art. 2022 c.c. Imprenditore: colui che organizza i fattori della produzione allo scopo di ottenere
beni o servizi da scambiare sul mercato al fini di ottenere un reddito. Questo tipo di attività è
l'attività di impresa e l'insieme di tutti i beni e servizi costituisce l'azienda.
Il mercato è i l luogo di scambio dove si incontra l'attività dell'impresa e la domanda delle famiglie.
Le famiglie possono domandare beni e servizi se hanno il reddito e come fanno ad averlo?
Lavorando, cioè offrono la loro forza di lavoro alle imprese in cambio di reddito o denaro oy.
Le famiglie offrono forza lavoro e in cambio ricevono reddito di cui una parte la consumo per beni
e servizi che servono per il consumo e una parte per il risparmio
Il consumo è uguale a
Y = C+S
C=Y-S
S=Y-C

BISOGNI PRIMARI
quelli che si percepiscono in questo momento. Se vengono soddisfatti migliorano la vita fisica
dell'individuo.
B SECONDARI
Se soddisfano migliorano la qualità della vita
BISOGNI FUTURI
prevede di percepire in un momento futuro che prevede di fronteggiare risparmiando, mettendo
soldi da parte
BISOGNI INDIVIDUALI quelli che vengono percepiti in modo relativo da ogni singolo individuo.
BISOGNI COLLETTIVI quelli percepiti da un'intera collettività. Es. Servizi pubblici....sanità ,
trasporti.
Micro e macroeconomia

L'economia possiamo studiarla dal punto di vista micro: si studia l'attività economica di un piccolo
gruppo di invidiosi. Per macro si intende studiare l'attività economica di un'intera collettività o
comunque di un grande gruppo di persone.

Politica economica
Strategie che lo stato adotta per raggiungere degli obiettivi. Es. Obiettivo: per diminuire la
disoccupazione, il governo adotta dei provvedimenti di politica economica per aumentare
l'occupazione.

INVESTIRE
IMPIEGARE UNA PARTE DI CAPITALE IN VISTA DI UN MAGGIOR VALORE che si chiama
tasso di interesse. il tasso di interesse è il prezzo del capitale che si riceve sul capitale prestato, è
una percentuale che si paga o si riceve per aver preso o dato in prestito dei capitali.

Es. La banca guadagna sulla differenza dei tasti di interessi. La banca non concede prestiti, perché
la gente che li chiede non guadagna e non è in grado di restitutuirli.

Il sistema economico:

R.d.M= Importazioni (M) X>M = avanzo


Esportazioni (X) X<M= disavanzo
Bilancia dei pagamenti X=M = pareggio
P.A (pubblica amministrazione)  tributi tasse , imposte, contributi
STRUTTURA DELLA BILANCIA DEI PAGAMENTI DAL 1999

Conto corrente
Il conto corrente è la sezione della bilancia dei pagamenti in cui vengono registrate le
transazioni tra operatori residenti e non residenti di natura non finanziaria. Esso si suddivide
in:
• merci. Rientrano in questa voce le merci in generale, le merci in lavorazione o
lavorazioni, le riparazioni, le provviste e l'oro non monetario;
• servizi, si distinguono a loro volta in trasporti, viaggi e altri (servizi personali e per il
governo, servizi informatici e di informazione, altri servizi per le imprese….)
• redditi, sono da lavoro (salari, stipendi) e da capitale (incassi che si generano dal
possesso di attività finanziarie estere e i pagamenti relativi a passività finanziarie verso
non residenti);
• trasferimenti unilaterali correnti. Rappresentano la contropartita di cambiamento
della proprietà di risorse reali (beni, servizi e redditi) e attività finanziarie tra operatori
residenti e non residenti. Infine, i trasferimenti unilaterali correnti possono essere
pubblici o privati.
Conto capitale
Il conto capitale comprende:
• i trasferimenti unilaterali in conto capitale includono i trasferimenti di proprietà di
beni capitali, i fondi collegati all'acquisto o alla vendita di beni capitali e la remissione
di debiti;
• le attività intangibili sono i brevetti, i diritti di autore e l'avviamento commerciale;
nel conto capitale vengono registrate le variazioni nella proprietà di tali attività.
Conto finanziario
Nel conto finanziario vengono registrati i movimenti di capitale distinti in:
• investimenti diretti, che attengono alle transazioni iniziali e successive fra gli
investitori e le imprese coinvolte dall'investimento. Ogni investimento diretto viene
classificato a seconda che si tratti di azioni, utili reinvestiti e altre transazioni;
• investimenti di portafoglio. In questa voce vengono registrate le operazioni tra
residenti e non residenti che riguardano titoli azionari e obbligazionari escluse quelle
che vengono registrate negli investimenti diretti e nella voce "derivati";
• derivati, voce che comprende le transazioni relative a strumenti finanziari complessi,
che conferiscono al possessore il diritto o la facoltà di acquistare o vendere, ad una
certa data, gli strumenti finanziari principali (azioni, titoli di stato, e indici di marcato);
• altri investimenti. In tale voce sono inclusi i crediti commerciali, i prestiti i depositi..;
• variazione delle riserve ufficiali, sono costituite dalle attività in valuta diverse
dall'euro e che sono dotate di grande liquidità e commerciabilità.
Errori ed omissioni
La voce errore ed omissioni è una voce residua che si riferisce, appunto, ad errori e ad
imprecisioni dovute al cambio tra la moneta dei diversi paesi, o a sfasamenti nella
registrazione del conto corrente, del conto finanziario o ad omissioni legate al conto capitale
(mancata registrazione di movimenti di capitali).
Fonte: Simone economia
Fonte: Banca d’Italia
GLI OGGETTI DEL DIRITTO E DELL’ECONOMIA

Competenze: riconoscere caratteristiche e tipologie di beni nell’esperienza quotidiana, individuare le


conseguenze giuridiche delle diverse tipologie. (Utilizzare classificazioni, generalizzazioni e/o
schemi logici)
Conoscenze: conoscere caratteristiche e classificazioni dei beni e dei servizi
Gli oggetti sia del diritto che dell’economia sono i beni e le prestazioni, cioè i servizi.
Secondo il Codice Civile i beni sono le cose che possono essere oggetto di diritti (art. 810).
Per l’economia le caratteristiche dei beni economici sono:
1. la scarsità
2. l’utilità
3. l’accessibilità
Tali requisiti corrispondono, grosso modo, alla definizione del Codice Civile: infatti solo su
cose scarse, utili ed accessibili c’è l’interesse a costituire dei diritti.
Abbiamo già visto che la scarsità è il presupposto stesso dell’attività economica e va intesa in
senso relativo: il petrolio, ad es., è scarso rispetto al fabbisogno, ma così anche il grano o gli
infiniti oggetti che si vendono nelle nostre società consumistiche. Se non fossero “scarsi”
nessuno sarebbe disponibile a pagare un prezzo. Le cose che non rispondono ai requisiti sopra
elencati sono definite beni liberi: per es. l’aria, che tutti possono utilizzare senza pagare un
prezzo.
I beni economici costituiscono la ricchezza sia per un individuo che per un sistema. Il flusso
di ricchezza che afferisce ad un soggetto in un determinato periodo di tempo si chiama
reddito: per es. lo stipendio. Il valore dei beni che un soggetto possiede in un certo momento
rappresenta invece il suo patrimonio. Il patrimonio è un concetto statico o di fondo, il
reddito un concetto dinamico o di flusso. Se la mia unica proprietà è un appartamento che
vale 100.000 euro, tale somma rappresenta il valore monetario del mio patrimonio. Se affitto
l’appartamento a 500 euro al mese, 6.000 euro sono il mio reddito annuale. La somma dei
redditi di tutti i residenti costituisce il Reddito Nazionale, importante grandezza
macroeconomia di cui parleremo più dettagliatamente in seguito.
Ora vediamo alcune classificazioni dei beni, più importanti in alcuni casi per il diritto, in altri
per l’economia.
I beni possono essere immobili, mobili o mobili registrati. I primi sono dettagliatamente
elencati dall’art. 812 C.C.: il suolo, le sorgenti e i corsi d'acqua, gli alberi, gli edifici e le altre
costruzioni, anche se unite al suolo a scopo transitorio, e in genere tutto ciò che è
naturalmente o artificialmente incorporato al suolo. Tutti gli altri beni sono mobili. Una
particolare categoria è rappresentata dai beni mobili registrati, che sono navi, autoveicoli e
aeromobili. Si tratta di beni iscritti in pubblici registri: per gli autoveicoli l’iscrizione va
effettuata al PRA, dove vanno annotati tutti i passaggi di proprietà e le eventuali ipoteche.
La distinzione summenzionata è molto importante dal punto di vista giuridico: infatti per
trasferire la proprietà di un bene mobile non serve alcuna formalità, essendo sufficiente un
contratto verbale (come quello che ognuno di noi stipula quando va a fare la spesa), mentre
per i beni immobili e mobili registrati l’esigenza della trascrizione in pubblici registri
comporta la necessità di un contratto scritto con l’intervento di un pubblico ufficiale che o
redige tutto l’atto (atto pubblico) o almeno autentica le firme (scrittura privata con firme
autenticate). Per i beni immobili comunque il Codice Civile richiede una forma scritta a pena
di nullità, anche prescindendo dalla trascrizione del contratto. Perciò la vendita telefonica di
una casa non produce alcun effetto giuridico: il contratto semplicemente non esiste.
I beni possono essere fungibili od infungibili: i primi vengono definiti anche generici, i
secondi specifici. Un bene fungibile può essere sostituito da un altro bene dello stesso tipo:
per es. un kg di zucchero è identico ad un altro kg di zucchero, qualsiasi banconota può venir
sostituita da un’altra banconota dello stesso taglio e così via. Un bene infungibile è invece
insostituibile: pensiamo ad un quadro d’autore, ad un cavallo da corsa o ad una casa. La
conseguenza più importante di tale distinzione riguarda il diritto delle obbligazioni: se mi
sono obbligato a consegnare una cosa infungibile e questa viene distrutta per cause a me non
imputabili (per es. un terremoto), io sarò liberato dalla mia obbligazione, perché è
materialmente impossibile consegnare una cosa che non esiste più. Se invece il bene da
consegnare è fungibile e non ancora individuato (tot barili di petrolio), anche se i barili
vengono accidentalmente distrutti per cause a me non imputabili, sarò costretto a consegnare
altri barili in quantità equivalente.
I beni possono inoltre essere divisibili o indivisibili, consumabili o inconsumabili. Risulta
evidente che si tratta di classificazioni economiche, non riferibili a caratteristiche fisiche. Un
cavallo è indivisibile non perché non possa essere fatto a pezzi (come succede ai cavalli
macellati), ma perché le parti divise hanno funzioni e valori diversi dal cavallo intero. Invece
dieci mucchietti da un etto di zucchero hanno un valore esattamente uguale ad un kg.
Analogamente possiamo dire che, dal punto di vista fisico, tutto si consuma, ma l’economia
considera beni consumabili o a fecondità semplice quelli che esauriscono la loro funzione in
un unico atto di consumo (panino), beni inconsumabili o a fecondità ripetuta quelli che
possono essere utilizzati in più atti di consumo (vestiti, elettrodomestici, automobile ecc.).
Evidentemente anche questi ultimi sono soggetti, con il tempo, ad un logorio sia fisico che
tecnologico (obsolescenza).
Per l’economia è poi molto importante la funzione dei beni: se invece che essere destinati al
consumo, sono impiegati per la produzione (investiti) vengono definiti mezzi di produzione
o capitali, che si distinguono a loro volta in fissi e circolanti. I capitali fissi sono costituiti
dalle macchine, cioè da beni durevoli o a fecondità ripetuta, i capitali circolanti dalle materie
prime che esauriscono la loro funzione in un unico ciclo produttivo e si ritrovano nel prodotto
o merce.
I beni materiali sono quelli che si possono percepire con i sensi (come il gas, la corrente
elettrica, la casa), i beni immateriali non esistono invece in natura e possono essere soltanto
immaginati, costituendo una categoria creata dal legislatore: sono i segni distintivi
dell’impresa (ditta, insegna, marchio), il diritto patrimoniale d’autore e d’inventore (proprietà
intellettuale). Così, se invento il testo di una canzone, oltre ad avere un diritto della
TESSITURA

Capitale fisso: telaio


Capitale circolante: lana
Prodotto: pezza di lana
personalità che mi consente di rivendicare la paternità dell’opera, ho anche un diritto reale che
posso vendere ad una casa discografica per lo sfruttamento economico della canzone.
Ancora importante, sia dal punto di vista giuridico che da quello economico, la distinzione fra
beni privati e pubblici: secondo la Costituzione (art. 42) i beni economici possono
appartenere sia ai privati che allo Stato ed altri enti pubblici, configurando così un sistema ad
economia mista.
I beni pubblici possono essere demaniali o patrimoniali. I beni del demanio sono inalienabili,
cioè fuori commercio: per es. le spiagge, i porti, i fiumi. I beni patrimoniali possono
appartenere al patrimonio indisponibile o a quello disponibile: i primi non possono essere
alienati finché dura la loro destinazione pubblica (edifici scolastici, municipi ecc.), i secondi
sono invece liberamente commerciabili (per es. edifici residenziali affittati a terzi)
Art. 822 Demanio pubblico
Appartengono allo Stato e fanno parte del demanio pubblico il lido del mare, la spiaggia, le
rade e i porti; i fiumi, i torrenti, i laghi e le altre acque definite pubbliche dalle leggi in
materia (Cod. Nav. 28, 692); le opere destinate alla difesa nazionale.
Fanno parimenti parte del demanio pubblico, se appartengono allo Stato, le strade, le
autostrade e le strade ferrate; gli aerodromi (Cod. Nav. 692 a); gli acquedotti; gli immobili
riconosciuti d'interesse storico, archeologico e artistico a norma delle leggi in materia; le
raccolte dei musei, delle pinacoteche, degli archivi, delle biblioteche; e infine gli altri beni
che sono dalla legge assoggettati al regime proprio del demanio pubblico.
L’edificio scolastico
appartiene al patrimonio
indisponibile della Provincia
di Udine

IL PRODOTTO NAZIONALE
Competenze: distinguere PNL e RNL, PIL a prezzi correnti e costanti, effettuare semplici calcoli del
PIL e del conto economico delle risorse e degli impieghi (Riconoscere le caratteristiche essenziali
del sistema socio economico per orientarsi nel tessuto produttivo del proprio territorio)
Conoscenze: conoscere i concetti di PNL e RNL, il conto economico delle risorse e degli impieghi,
l’equazione del reddito
Abbiamo più volte parlato di sistema economico, articolato nelle sfere di produzione,
distribuzione, domanda. Adesso si tratta di vedere più in dettaglio come viene presentata tale
articolazione nella contabilità nazionale, cioè nella descrizione quantitativa dell’attività
economica, con particolare riferimento all’Italia.
Il concetto fondamentale, conosciuto da tutti, è quello di prodotto interno lordo (PIL),
definibile come il valore complessivo dei nuovi beni e servizi finali prodotti all'interno di un
paese in un certo intervallo di tempo (solitamente l'anno). È interno perché comprende tutto
quanto viene prodotto all’interno dello Stato italiano, indipendentemente dalla nazionalità di
chi produce, è lordo perché comprende gli ammortamenti: se questi vengono sottratti, si
ottiene il prodotto interno netto (PIN). Nel PIL vengono computati soltanto i beni e servizi
finali e non quelli intermedi, altrimenti si produrrebbero duplicazioni: per es., con riguardo ad
una fabbrica di mobili, nel PIL vanno conteggiati i mobili prodotti e non il legno (materia
prima), altrimenti lo stesso legno verrebbe conteggiato due volte. Inoltre il PIL può essere
espresso in termini correnti (PIL 2007 a prezzi 2007) o in termini costanti, cioè depurati
dall’inflazione: in questo caso si prende un anno (per es. il 2000) come anno base e per tutti
gli anni successivi si mantengono i prezzi dell’anno base. Soltanto in questo modo si può
verificare se il PIL, da un anno all’altro, effettivamente aumenta o si tratta soltanto di
un’illusione monetaria, in quanto sono aumentati i prezzi.

Il Reddito Nazionale Lordo (RNL) è invece l’insieme di tutti i redditi conseguiti da persone
fisiche o giuridiche italiane, indipendentemente da dove il reddito è stato prodotto: perciò, per
calcolare il RNL, bisogna aggiungere al PIL i redditi guadagnati all’estero da residenti in
Italia e detrarre i redditi pagati in Italia a residenti di altri Stati.
Il PIL è la più comune misura della ricchezza di un Paese: infatti le risorse di cui noi
possiamo disporre sono soltanto di due tipi, o i beni e servizi prodotti internamente (il PIL) o i
beni e i servizi importati dall’estero. Gli impieghi del reddito, come abbiamo in parte già
visto, si distinguono invece in: consumi, investimenti, spesa pubblica, esportazioni.
Proponendo un’estrema semplificazione, se l’unico bene finale prodotto e utilizzato nel nostro
sistema fosse costituito dai computer, il PIL sarebbe formato dai computer prodotti in Italia, le
importazioni dai computer provenienti dall’estero, i consumi privati dai computer acquistati
dagli Italiani per uso personale, gli investimenti dai computer acquistati dalle imprese, la
spesa pubblica dai computer acquistati da scuole pubbliche, Comuni, Regioni ecc., le
esportazioni dai computer italiani venduti all’estero. Dall’esempio risulta evidente che il
totale delle risorse deve essere uguale al totale degli impieghi.
Il rapporto fra risorse ed impieghi si può anche scrivere nella forma di un’equazione
fondamentale in macroeconomia:

PIL + Im = C + I + G + Ex
O, spostando a destra le importazioni
PIL = C + I + G + EX – Im

Il PIL equivale al simbolo Y , che abbiamo utilizzato negli schemi dei sistemi economici, C
rappresenta i consumi privati, I gli investimenti privati mentre G (Governo) rappresenta la
spesa pubblica, diventata una componente importante degli impieghi nei sistemi ad economia
mista. Ad introdurre il ruolo della spesa pubblica per un equilibrio economico di piena
occupazione è stato, in seguito alla crisi del ’29, l’economista britannico John Maynard
Keynes, secondo il quale, se consumi ed investimenti privati non sono sufficienti a garantire
un equilibrio di piena occupazione, deve intervenire lo Stato con una spesa pubblica
aggiuntiva. Come abbiamo già ricordato politiche economiche di questo tipo furono attuate
negli USA con il New Deal e, dopo la II guerra mondiale, in tutti i Paesi europei che hanno
adottato il modello dello stato sociale, ad economia mista. Oggi, a causa degli ingenti debiti
pubblici accumulati da molti Stati, l’obiettivo non è quello di aumentare la spesa pubblica,
bensì di diminuirla, tramite “tagli” e privatizzazioni. Lo scenario economico non è più quindi
quello keynesiano, ma neoliberista.

Potrebbero piacerti anche