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Istituzioni di diritto privato

Diritto Privato (Università degli Studi della Campania Luigi Vanvitelli)

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REALTA’ SOCIALE E ORDINAMENTO GIURIDICO

Il DIRITTO è necessità e conquista dell’uomo; è l’insieme delle norme giuridiche.

NORMA GIURIDICA

è la regola atta a disciplinare il comportamento dell’uomo ed a regolare e prevenire liti. Sono infatti
imposizioni esterne, comandi che operano nei confronti di tutti i componenti della Società.
Sono strumenti con i quali si valuta una condotta.
Il linguaggio delle norme è prescrittivo e non descrittivo, in quanto comunica valutazioni che
vietano o permettono comportamenti; non descrive eventi o emozioni.

-) STRUTTURA
Precetto: Comando contenuto nella norma
Sanzione: Reazione che l’ordinamento minaccia in caso di inosservanza del
Precetto

-) CARATTERISTICHE:
Generalità: le norme si rivolgono alla generalità dei soggetti e non a soggetti specifici
Astrattezza: la norma disciplina una situazione-tipo non un caso concreto
Obbligatorietà: i consociati sono tenuti all’osservanza della norma e questa è
Infatti garantita dalla sanzione

SANZIONE:

momento essenziale di tutte le norme giuridiche; è la reazione che l’ordinamento minaccia in caso
di violazione delle norme.

La sanzione può essere positiva o negativa:


 Positiva: conseguenza favorevole derivante dall’osservanza di talune
Regole
 Negativa: conseguenza favorevole inflitta all’autore della violazione
1 1) realizzazione coattiva della situazione dettata dalla re-
2 gola
2) condanna al pagamento in denaro

La sanzione non può mai identificarsi con la privazione della libertà.


Attraverso la sanzione si manifesta l’indispensabilità della forza per la
osservanza della regola; questo non identifica il diritto con l’imposizione, tanto è vero che la forza
non opera nel momento in cui la regola viene dettata, ma nel caso in cui essa non venga osservata.
Il diritto infatti non è legittimo se l’osservanza delle regole è dovuta allo
autoritarismo.

-----°----

Le circostanze previste da una norma possono costituire:

-) Fattispecie astratta: situazione tipizzata nella regola. Sempre uguale a se stessa


-) Fattispecie concreta: si realizza concretamente di volta in volta con sempre di-
stinte modalità.

Abbiamo su detto che, mediante le regole, si controlla il comportamento dei membri di una
comunità.
Sono regole di condotta quelle che valutano in modo immediato un comportamento.
La norma sui diritti e doveri dei coniugi è regola di condotta perché riguarda un comportamento
che esiste anche senza la norma, me che senza di essa non può essere giudicato.

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Distinguere le regole giuridiche da quelle sociali e/o morali non è semplice; infatti, il diritto che
previene i conflitti sociali ha anche un contenuto morale perché l’osservanza delle sue regole non
sarebbe possibile, se mancasse il consenso morale di fondo.
Si passa dalla MORALE al DIRITTO quando le questioni relative alle violazioni sono così
rilevanti da non poter essere affidate all’iniziativa spontanea e da richiedere uno stabile apparato,
una specifica procedura.
Senza ETICA non v’è DIRITTO; Diritto e Morale sono quindi complementari.
Le stesse norme giuridiche a volte dettano regole valide anche sul piano religioso o morale; a
queste ultime, a volte, il Diritto attinge per dettare comportamenti obbligatori
(vedi “Correttezza e Buona Fede”).

Il Diritto non definisce la Norma, la Regola e il principio, ma li presuppone.


Ogni enunciato che faccia parte di un testo che è fonte del Diritto è una DISPOSIZIONE.
Ogni interpretazione di una disposizione esprime la NORMA, una proposizione prescrittiva con la
quale si valuta una condotta.
L’ARTICOLO è la partizione interna di una LEGGE e serve unicamente per indicare a
Quale Enunciato contenuto in una legge si intende fare riferimento (es.: Codice Civile – Regole e
Principi sono entrambi Norme.

2969 articoli – unica legge).


Ogni capoverso dell’Art. è definito COMMA.
Ogni Art. può contenere una o più disposizioni ed esprimere quindi una o più norme;
è anche possibile che una disposizione sia ricavabile non da un unico articolo, ma dalla
combinazione di più articoli.
La Regola è una norma che richiede un insieme sufficientemente specifico di comportamenti per la
sua soddisfazione.
La norma secondo la quale è obbligatoria una determinata vaccinazione è regola e può essere o
no rispettata.
Il “Principio” è norma che impone la massima realizzazione di un valore. Sua caratteristica è la
non definibilità in astratto delle fattispecie alle quali è applicabile: esso è sempre applicabile ad una
nuova fattispecie.
Il Principio si afferma non con un’unica soluzione.
In tal senso il principio è norma aperta ad una molteplicità di soluzioni.
La norma che dica “occorre tutelare la salute di ciascuno” enuncia un principio, poiché non
soltanto esiste una pluralità di comportamenti che sono in grado di attuarlo, ma, soprattutto, ciascun
comportamento protegge, a diversi livelli, la salute.

Ogni Regola è riconducibile almeno ad un Principio.


La regola riguarda comportamento e lo valuta; questo, se valutato positivamente, costituisce un
modo di realizzare il principio.
La Regola è quindi una scelta tra le molteplici opportunità di realizzazione del principio.
Il Principio connette una serie di regole tra loro e ciascuna ha un proprio ruolo nella
Attuazione del principio.

I principi non devono essere confusi con le clausole generali.


Esempi di clausole generali sono: il buon costume; l’ordine pubblico.
La clausola generale è un frammento vago di una disposizione dalla quale si deve ancora
ricavare un significato applicabile e, soltanto dopo aver risolto tale problema, la norma si può dire
individuata.

____°_____

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CLASSIFICAZIONE DELLE NORME GIURIDICHE:

In base al Contenuto:

*) NORME PRECETTIVE: contengono un comando (433)

*) NORME PROIBITIVE: contengono un divieto (1471)

*) NORME PERMISSIVE: concedono ai soggetti particolari facoltà, garantite dallo


ordinamento (832)

In base al Comando:

*) NORME DEROGABILI: sono applicabili salvo che la volontà dei privati non disponga
diversamente
Possono essere:
- DISPOSITIVE: (1815 co. 1) regolano un rapporto la-
sciando le parti libere di disciplinar-
lo diversamente.
- SUPPLETIVE: disciplinano un rapporto in mancanza
di volontà delle parti.

*) NORME INDEROGABILI: non lasciano libertà di scelta ai privati; se sono violate,


spetta al soggetto interessato chiedere al giudice di ap-
plicare le sanzioni previste.
La norma inderogabile èIMPERATIVA qualora il principio
ad essa riferibile ponga dei limiti di autoregolamentazio-
ne del privato per salvaguardare l’interesse generale.
La violazione di una norma imperativa provoca la nullità
dell’atto

Le norme giuridiche sono collegate tra loro e riunite in un sistema normativo uni-
Tario o gerarchicamente disposto, chiamato ORDINAMENTO GIURIDICO, che deve
Essere:

-) coerente con se stesso (non è possibile avere 2 o più norme contraddittorie


tra loro)

-) unitario per la certezza del diritto (per dare la possibilità al singolo di conoscere
con sicurezza ciò che la legge detta). Non sempre è raggiungibile; infatti, la nor-
ma è suscettibile di varie interpretazioni, che da una parte evitano l’invecchia-
mento precoce della norma, dall’altra, a volte, non ne garantiscono la piena cer-
tezza.

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DIRITTO PRIVATO E DIRITTO PUBBLICO

Il diritto è frazionato in una pluralità di settori: questa frantumazione ha una


mera finalità didattica e non si ripercuote sull’unitarietà dell’ordinamento.
La rigida distinzione tra Diritto Pubblico e Diritto Privato, secondo la quale ognuno
disciplinerebbe gli interessi dell’intera collettività e l’altro regolerebbe gli interessi dei
singoli individui,
è oggi insostenibile.
La distinzione che può essere oggi accettata è che:

- ci si trova nella sfera del diritto privato quando lo Stato


è pari al cittadino
- ci si trova nella sfera di diritto pubblico quando lo Stato
è sovrano.

Sono di diritto civile le regole ed i principi rinconducibili al principio di


eguaglianza.

Sono di diritto pubblico le norme che istituiscono una differenza tra soggetti
comuni ed altri soggetti investiti di autorità.

Nel diritto pubblico, infatti, l’eventuale violazione comporta sempre l’applicazione


della sanzione (inderogabilità della norma penale)

Nel diritto privato la sanzione viene applicata solo se è il


Privato stesso a richiederla al giudice. (contratti conclusi con incapacità di intendere
e di volere)

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Principio di democraticità

La democrazia richiede un libero confronto di opinioni e una deliberazione,


mediante voto non coartato, con prevalenza della maggioranza sulla minoranza, in un
quadro di diritti insopprimibili della minoranza.
Così intesa, le democrazia è inseparabile dall’eguaglianza e dalla persona:
dall’eguaglianza, perché non sarebbe altrimenti giustificabile il diritto di partecipazione di
tutti alle decisioni; dalla persona, perché non qualunque decisione maggioritaria è
legittima.

Principio della divisione dei poteri


e principio di legalità

L’opera di regolamentazione del potere nella prevenzione dell’abuso è garantita


dalla separazione delle funzioni tipiche dello Stato, ciascuna attribuita ad una specifica
istituzione che rappresenta un potere separato: potere legislativo, esecutivo e
giudiziario.
L’equilibrio e il reciproco controllo tra questi poteri impedisce la prevaricazione
dell’uno sull’altro.
La Carta costituzionale riconosce al potere giudiziario l’indipendenza e
l’inamovibilità del magistrato.
Il giudice è soggetto soltanto alla legge.
Il giudice non può giudicare secondo le proprie visioni del mondo , ma rispettando
la Costituzione e le leggi del Parlamento.
La dichiarazione di incostituzionalità di una legge non spetta al Giudice ordinario,
ma alla Corte costituzionale, alla quale il giudice deve rivolgersi qualora dubiti della
costituzionalità della legge applicabile nel processo che si sta svolgendo dinanzi a lui.

Principio di eguaglianza

La Costituzione riconosce l’eguaglianza sia come divieto di discriminazione


fondata su differenze biologiche o culturali, sia come impegno dello Stato a rimuovere le
condizioni di fatto che ostacolano lo sviluppo della persona.
Tutti i cittadini sono eguali dinanzi alla legge, senza distinzione di sesso, razza,
lingua, religione, opinioni politiche, condizioni personali e sociali (Art. 3 Cost. 1°
comma); la Repubblica rimuove gli ostacoli di ordine economico e sociale che,
limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo
della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione
politica, economica e sociale del Paese (Art. 3 Cost. 2°comma).
L’enunciazione contenuta nel primo comma esprime l’eguaglianza formale.
L’enunciazione contenuta nel secondo comma esprime l’eguaglianza
sostanziale.
Il precetto costituzionale dell’eguaglianza è violato sia quando:
1) situazioni eguali vengono a subire un trattamento diverso
2) degli individui in situazione differente subiscono un trattamento identico.

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Funzione legislativa e giustizia costituzionale

a)- Democraticità, separazione dei poteri, eguaglianza trovano il momento principale di


svolgimento nell’attività legislativa del Parlamento.
Sono limiti generali alla funzione legislativa il principio di irretroattività e la riserva di
legge
La legge è idonea a regolamentare i rapporti giuridici venuti ad esistenza in un
momento successivo a quello nel quale essa è entrata in vigore (11 disp. Prel.)

b)- La Riserva di Legge è la previsione (implicita o esplicita) nella Costituzione di


materie
nelle quali la disciplina deve essere prevista soltanto con legge.
Le riserve si distinguono in assolute e relative.
La riserva assoluta impone al legislatore di determinare fin nei dettagli la materia
riservata.
La riserva relativa impone al legislatore di determinare la disciplina di principio,
lasciando a
fonti secondarie quella di dettaglio.

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L’EFFICACIA DELLA NORMA GIURIDICA

L’Efficacia nel tempo

Perché la norma possa “entrare in vigore”, spiegare, cioè, in pieno la sua efficacia
erga omnes si richiedono:

-) la pubblicazione di essa nella Gazzetta Ufficiale dopo la promulgazione


da parte
del Capo dello Stato;

-) il decorso di un certo periodo di tempo detto “vacatio legis” dalla


pubblicazione, per consentire ai destinatari di venire a conoscenza della legge
(normalmente 15 gg.)
Trascorso tale periodo, la legge diviene obbligatoria per tutti e vale i principio
ignorantia Iuris non excusat.

Per Abrogazione di una norma si intende la cessazione dell’efficacia della stessa.


L’abrogazione della norma opera “ex nunc”, ovvero dal momento in cui entra in
vigore, non è cioè applicabile a situazioni passate in giudicato.
E’ invece applicabile a situazioni ancora in corso al momento dell’entrata in vigore
della nuova legge.

Tipi di abrogazione:

 tacita: viene emanata una nuova legge incompatibile con la precedente (lex
posterior abrogat. Prior) o se la nuova legge regola interamente la materia già
regolata precedentemente
* espressa: viene emanata una legge che ha per contenuto la dichiarazione
espressa dall’abrogazione di un’altra legge
 referendum popolare (art. 75 Cost.)
 per illeggittimità costituzionale pronunciata dalla Corte Costituzionale

L’Articolo 1d1 delle disposizioni preliminari al Codice Civile sancisce un principio


fondamentale: “La legge non dispone che per l’avvenire…”, ossia non ha effetti
retroattivi.
Tale principio è, tuttavia, derogabile, in via eccezionale, in quanto:
- il legislatore può ritenere opportuno estendere gli effetti di una legge anche al
passato (es.: aumenti di stipendio con decorrenza retrodatata);
- sono retroattive le leggi penali più favorevoli al reo

Il principio di irretroattività è derogabile solo dalla legge in senso stretto, non invece
da atti di
normazione secondaria (es.: regolamenti, ordinanze normative).
In generale, si può figurare il principio che solo le norme favorevoli per i destinatari
possono avere efficacia retroattiva

Le nuove norme non estendono la loro efficacia ai fatti compiuti sotto il vigore della
legge precedente, benchè nei fatti stessi siano pendenti gli effetti.

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L’Efficacia nello spazio

A) Il diritto internazionale privato

Per diritto internazionale privato si intende l’insieme delle norme interne dello Stato
che stabiliscono quale legge vada applicata nel caso in cui un rapporto giuridico presenti
elementi di estraneità rispetto all’ordinamento

B) I criteri di collegamento

Il nostro ordinamento, per risolvere il contrasto tra diritto italiano e straniero e


identificare la legislazione applicabile, prevede tre criteri di collegamento:

1) la nazionalità del soggetto (legge delle persone), che trova applicazione nelle materie
che riguardano lo stato e la capacità delle persone, rapporti personali e patrimoniali tra
coniugi e rapporti genitori-figli, istituti di protezione degli incapaci, successioni a causa di
morte e donazioni

2) il luogo in cui si trova il bene (legge del luogo), che opera come criterio di
collegamento nei conflitti relativi al possesso, alla proprietà, ai diritti sulle cose, ovvero il
luogo dove l’atto è compiuto, per le obbligazioni di fonte non contrattuale

3) la volontà delle parti (legge adottata), criterio adottato per le obbligazioni contrattuali

La legge straniera non si applica quando i suoi effetti sono contrari all’ordine
pubblico

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METODO GIURIDICO E INTERPRETAZIONE

La norma è risultato dell’interpretazione: il metodo è il mezzo per individuare la


norma.
L’interpretazione della norma è necessaria per superare 3 carenze:
- l’ambiguità del significato
- l’invecchiamento
- la lacunosità
L’interpretazione è sempre evolutiva, tanto è vero che si identifica con un
procedimento atto ad evitare che la norma non sia più applicabile.
Il legame tra testo e interprete richiede la presenza di entrambi: all’interprete non è
consentito scavalcare o ignorare il testo.
L’interpretazione, d’altra parte, non è soltanto ricerca del “significato proprio delle
parole”, ma va riferita ad un contesto che è la realtà esterna.
Se il testo è chiaro, secondo il “significato proprio delle parole”, non occorre
interpretazione.
Se questa è necessaria, occorre distinguere:
- l’interpretazione letterale (ricerca del significato proprio delle parole secondo la
loro connessione
- l’interpretazione logico-sistematica. E’ la ricerca della ratio legis.
“L’intenzione del legislatore” è la ricerca della sua funzione, quale risulta dalla sua
collocazione in un contesto più ampio. Soltanto se tali criteri non sono sufficienti si
ricorre all’interpretazione analogica
- analogia legis qualora questa non sia possibile, si ricorre all’analogia iuris,
cioè all’applicazione dei “principi generali dell’ordinamento giuridico dello Stato”. Per
l’interpretazione analogica occorre: A) che vi siano due fattispecie, l’una disciplinata da
una norma e l’altra no; B) che vi sia almeno un elemento comune alle due fattispecie.
L’interpretazione è un atto necessario.
Dal testo della fonte si giunge alla norma mediante l’interpretazione. L’interprete
deve restare fedele al testo e non può non tener conto di una fonte perché non ne
condivide il fine politico: nessuna norma senza interpretazione, nessun interprete senza
testo.

Critica dell’”in claris non fit interpretatio”

“in claris non fit interpretatio” va intesa in due sensi.


Nel primo: se il testo della norma è “chiaro”, non deve essere interpretato;
nel secondo: se il risultato dell’interpretazione letterale del testo produce una
norma non assurda, non occorre proseguire nell’interpretazione.
Nel primo senso l’”in claris” è falso; nel secondo è inaccettabile.
E’ falso, poiché non esiste alcuna possibilità di applicare una norma senza
interpretare il testo che la pone.
E’ inaccettabile, poiché richiede la costruzione del significato del testo secondo le
relazioni tra le norme: tra regole e princìpi e tra principi.
La “chiarezza” non è un a priori. La “chiarezza” è il risultato dell’interpretazione
non la sua premessa. Le parole nel tempo assumono significati diversi secondo la
cultura condivisa dalla comunità.
E’ compito dell’interprete individuare in quale senso la parola debba essere intesa:
la chia-
Rezza di una disposizione legislativa è quindi il risultato della sua interpretazione.
La chiarezza è un elemento rilevante non in sede di interpretazione, ma di
applicazione.

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DIRITTO SOGGETTIVO

Diritti personali Diritti relativi


di godimento (situazioni di CR. O di DB.)
Unione di diritti assoluti
e diritti relativi
diritti relativi diritti relativi
protestativi di credito

Diritti Assoluti

DIRITTI DELLA PERSONALITA’


(situazioni esistenziali)

DIRITTI REALI
(situazioni reali di godimento)

DIRITTI REALI DI GARANZIA


(su cosa altrui)

DIRITTI REALI DI GODIMENTO PEGNO


IPOTECA
su cosa propria su cosa altrui

PROPRIETA’ IUS AEDIFICANDUM


ENFITEUSI
USUFRUTTO
USO
ABITAZIONE diritti reali limitati
SERVITU’ perché
presuppongono
la proprietà

SUPERFICIE
COMUNIONE
CONDOMINIO
MULTIPROPRIETA’

I Diritti Reali non possono prescindere dal possesso

DIRITTI SU BENI IMMATERIALI

Diritto di autore Diritto di inventore Brevetto

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Il soggetto è il destinatario delle norme giuridiche o, meglio, le regole di diritto mirano a


disciplinare interessi dei soggetti nei limiti in cui siano ritenuti giuridicamente rilevanti.
Nel campo del diritto privato, l’interesse va ad identificare la possibilità di rilevare nei vari
rapporti giuridici l’esistenza del carattere patrimoniale.
Solo raramente, fatta eccezione per i diritti della personalità, della famiglia e delle
successioni, l’interesse non economico o comunque morale è preso in considerazione.
Infatti l’interesse si collega alla possibilità di soddisfare determinati bisogni attraverso
l’utilizzazione di un BENE.
Di fronte ad un dato interesse, l’ordinamento può giudicarlo:

*) Indifferente:
qualora sia interesse lecito ma non apprezzabile giuridicamente

*) Meritevole:
qualora esistano attività da proteggere (per l’ordinamento) ed il soggetto va fornito
degli strumenti idonei a realizzare tale interesse meritevole di tutela

*) Illecito:
qualora ci si trovi dinanzi a situazioni il cui interesse è in conflitto con interessi
superiori di cui l’ordinamento è portatore. Questo tipo di interesse, essendo
considerato illecito, non solo non verrà dall’ordinamento protetto, ma avversato.

IL DIRITTO SOGGETTIVO

La più intensa protezione ceduta dall’ordinamento si ha quando una norma attribuisce


ad un soggetto un DIRITTO SOGGETTIVO.
E’ una sintesi tra libertà e forza, perché il soggetto può decidere se usare o meno tale
diritto (LIBERTA’), ma se decide di usarlo, questo gli permette di realizzare appieno il proprio
interesse (FORZA).
La tutela accordata dal diritto soggettivo è potenzialmente senza limiti; l’unico limite è il
dovere di non abusarne. L’abuso è antigiuridico ed in quanto tale non è in alcun modo
protetto.

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Situazioni giuridiche soggettive

Onere

Situazione attiva e passiva.


Il soggetto deve tenere un dato comportamento per un interesse proprio (diversa da
obbligo)
Se non tenesse tale comportamento, deriverebbero al soggetto effetti negativi (es.:
onere della prova.
Abbiamo detto che esiste una scala GRADUATA in relazione al potere concesso per
avverare un interesse. A volte, però, questo potere viene dato in funzione conservativa di una
situazione che darà vita alla nascita di un diritto soggettivo, ma la fattispecie non è ancora
completa.
Questa situazione giuridica soggettiva è detta aspettativa (fattispecie a formazione
progressiva) (situazione di attesa)

Aspettativa di fatto: es.: successione: finchè non è aperta gli eredi sono in
un’aspettativa di fatto

Aspettativa di diritto: es.: successione: per un erede concepito ma non nato,


all’apertura della successione c’è un’aspettativa di diritto
es.: diritto condizionato: contratto sottoposto a condizione atti conservativi (soggetto
acquirene. condizione sospensiva) buona fede (soggetto venditore condizione
risolutiva)

Possesso

Situazione di fatto (no di diritto) ritenuta giuridicamente degna di tutela.


Possesso: potere sulla cosa che si manifesta con l’esercizio del diritto di proprietà, o di
altro diritto reale, sulla cosa,
(POSSESSORE non ha diritto assoluto, ma si comporta come se lo avesse.
L’ordinamento dà tutela incondizionata a questo potere sulla cosa per evitare che chi possiede
un bene ne venga espropriato con la forza.
Tutela incondizionata provvisoria: non quando il possessore del diritto reale rivuole
la cosa (se con richiesta legittima e attuata senza spoglio violento.
Il possessore è titolare dei diritti di credito verso colui che ha il diritto a riavere la cosa;
questi diritti di credito consistono nel diritto ai frutti, alle indennità per miglioramenti ed al
rimborso delle spese.

Detenzione

Il soggetto è in relazione materiale con la cosa ma ne riconosce l’altruità


Detenzione qualificata: il detentore detiene anche per interesse proprio e non solo altrui
(a volte ha la stessa tutela del possesso)

Potestà: non c’è coincidenza tra titolare del diritto e titolare dell’interesse (genitori
gestiscono i rapporti giuridici dei figli). Questo potere può essere attribuito per legge o per
volontà (rappresentanza diretta). E’ un potere vincolato: si esercita il diritto di un altro e si deve
perciò perseguire l’interesse di un altro. Invece diritto sogg. = sintesi di POTERE – LIBERTA’,
questo è invece un POTERE-DOVERE.

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Status: situazione giuridica soggettiva che esprime i rapporti di un soggetto nei confronti
di altri soggetti senza rapporti con i beni

Tutte queste situazioni giuridiche fanno parte del diritto soggettivo e sono giudicate dal
giudice ordinario.

Diverso è l’
Interesse legittimo che si realizza con l’esercizio da parte di un terzo di un potere.
E’ una situazione giuridica soggettiva attiva ma non consegue l’interesse del diretto
interessato.
L’interesse legittimo si contrappone alla potestà, anch’essa positiva (anche se è pure
dovere).
Per interesse legittimo si intende la pretesa al legittimo esercizio di una potestà.
Esso è perseguito ogni volta che la potestà venga esercitata correttamente (es.
rappresentaza il rappresentante agisce per compiere atti per il rappresentato:
quest’ultimo ha interesse legittimo al suo corretto esercizio – es.: in tema di concorso,
l’ordinamento giuridico non tutela l’interesse del partecipante a vincere il concorso, ma quello
che il concorso si svolga correttamente)

Interessi diffusi indeterminatezza del soggetto. Non hanno come punto di


riferimento un bene soggetto di appropriazione individuale.
E’ una situazione soggettiva comune a tutti i membri della collettività (interessi collettivi:
fanno capo ad una determinata ed individuata collettività, la cui tutela è affidata ad un ente
esponenziale es.: CONI).
L’interesse diffuso interesse privo di un titolare esclusivo e di un ente
esponenziale.

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Nei diritti assoluti è rilevante l’interesse a considerare una cosa che già si ha.
Il proprietario può avere interesse sia nel disporre che nel godere della cosa.
Per la realizzazione di un tale interesse non è necessaria la cooperazione di terzi,
costoro hanno però il dovere di astensione.

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I B E N I

Art. 810 – Sono beni le cose che possono formare oggetto di diritto.
Essendo, quindi, il bene quella cosa che può formare oggetto di situazioni soggettive
e quindi di un rapporto, esso diventa il punto di riferimento oggettivo del rapporto e quindi
idoneo a soddisfare un bisogno umano meritevole di tutela dell’ordinamento.
L’unica distinzione dei beni garantita dall’ordinamento giuridico è quella enunciata
nell’Art. 812 e cioè la distinzione tra beni mobili e beni immobili: sono beni immobili tutto ciò
che è incorporato al suolo, sia naturalmente che artificialmente (risultano essere beni
immobili anche gli edifici galleggianti purchè ben assicurati alla riva); sono beni mobili tutti
gli altri.
L’Art. 812 è assolutamente inderogabile e rappresenta quella che viene detta
SUMMA DIVISIO.
Al di là di quanto prevede il C.C., questa distinzione non può essere sufficiente,
infatti nella vita reale i beni subiscono altre suddivisioni:

-) beni materiali (cose corporali) e beni immateriali (cose incorporali)

-) beni in commercio (beni oggetto di un diritto – la proprietà) e beni fuori


commercio (non possono essere usucapiti)

-) beni pubblici (appartengono ad enti pubblici):


beni demaniali: l’Art. 822 identifica i beni facenti parte del demanio pubblico. Tali
beni (Art. 823) sono inalienabili e non possono formare oggetto di diritto a favore di
terzi
beni patrimoniali: Art. 826 “….tutti quei beni di proprietà dello Stato ma che non
sono demaniali …” Tale articolo, inoltre, identifica tutti i beni facenti parte del
patrimonio statale.
e beni privati (appartengono ad enti privati)
Patrimonio indisponibile: foreste, miniere, cave, edifici per uffici pubblici, cose di
interesse storico, archeologico etc.
Tali beni (Art. 8282) non possono essere sottratti alla loro destinazione se non nei
modi previsti dalla legge.

-) beni divisibili (tali che, se divisi in parti omogenee, conservino un valore


economico proporzionale all’intero) e beni indivisibili (tali che se divisi non
mantengono un valore economico proporzionale all’intero). L’indivisibilità può
essere determinata dalla natura del bene o dalla volontà delle parti.

-) beni fungibili (se sostituibili con altri beni identici per quantità e qualità) e beni
infungibili (insostituibili, unici)

-) beni generici (appartengono ad un determinato genere ed hanno importanza per il


loro peso, misura) e beni specifici (caratterizzati dalla loro individualità)

-) beni consumabili (si trasformano con l’uso e non possono adempiere alla propria
funzione) e beni inconsumabili (non si consumano ed il loro uso è ripetibile;
possono però deteriorarsi)

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-) beni deteriorabili (si rovinano nel tempo – es.: disco) e beni non deteriorabili
(non si rovinano col tempo – es.: CD)

-) beni produttivi e beni improduttivi

-) universalità di mobili. Art. 816: è considerata universalità di mobili la pluralità di


cose che appartengono alla stessa persona ed hanno una destinazione unitaria.
Le singole cose componenti la universalità possono formare oggetto di separati atti
e rapporti giuridici.

-) cose composte: connessione di più cose che, nella destinazione unitaria, perdono
la loro funzione originaria per adempierne una diversa (automobile)

La differenza tra cose composte ed universalità di mobili sta nel fatto che in
quest’ultima non v’è coesione fisica tra i vari elementi.

-) pertinenze: Art. 817 cose destinate in modo durevole a servizio o ad ornamento di


un’altra secondo la destinazione effettuata dal proprietario del bene principale che
deve avere la piena disponibilità di entrambi i beni. Art. 818: i rapporti giuridici che
hanno ad oggetto la cosa principale, comprendono anche le pertinenze se non è
diversamente disposto. Le pertinenze possono formare oggetto di separati atti o
rapporti giuridici. La cessazione della qualità di pertinenza non è opponibile a terzi
che abbiano anteriormente acquistato diritti sulla cosa principale.

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LA PROPRIETA’

Art. 832 C.C.: il proprietario ha diritto di godere e disporre delle cose in modo pieno
ed esclusivo, entro i limiti e con l’osservanza degli obblighi stabiliti dall’ordinamento
giuridico.

La proprietà costituisce uno strumento di manifestazione dell’iniziativa economica.


La proprietà è definita quale diritto pieno ed esclusivo ed è affiancata da limiti ed
obblighi.

Primo esempio di limite alla proprietà è il pubblico interesse nominato nell’Art. 834
che menziona la possibilità che il proprietario venga privato in tutto o in parte dei beni di
sua proprietà esclusivamente per causa di pubblico interesse, sempre però dietro il
pagamento di un’indennità.

Altro limite è quello menzionato dall’Art. 835: nel caso di gravi ed urgenti necessità
pubbliche, militari o civili, può essere disposta la requisizione dei beni mobili ed immobili. Al
proprietario è dovuta una giusta indennità……

E ancora Art. 838: “…..quando il proprietario abbandona la conservazione, la


coltivazione o l’esercizio di beni che interessano la produzione nazionale, in modo da
nuocere gravemente alle esigenze della produzione stessa, può farsi luogo
all’espropriazione dei beni da parte dell’autorità amministrativa.

L’uomo è protetto non per ciò che ha, ma per ciò che è; infatti, nella gerarchia dei
valori, alle situazioni patrimoniali si sostituiscono le situazioni esistenziali. Infatti, la
proprietà non viene più considerata attributo della persona, ma un mezzo attraverso il quale
il soggetto esprime la sua personalità.

Oltre che dal C.C., la proprietà viene disciplinata dalla Costituzione.


L’Art. 421 Cost., infatti, distingue la proprietà da pubblica a privata.
Art. 422: “….. la proprietà privata è riconosciuta dalla legge, che ne determina i modi
di acquisto, di godimento e i limiti allo scopo di assicurarne la funzione sociale…..”
Art. 423: la proprietà può essere, nei casi previsti dalla legge e salvo indennizzo,
espropriata per motivi di itneresse generale.

Abbiamo quindi detto che la proprietà attribuisce il diritto di godere e disporre della
cosa, in senso pieno ed esclusivo, ma entro i limiti e con l’osservanza degli obblighi stabiliti
dall’ordinamento.
Per potere di godimento si intende la facoltà di usare o meno le cose, di deciderne le
modalità di utilizzazione, di trasformazione, etc.
Il potere di disposizione, invece, consiste in una serie di facoltà difficilmente
riconducibili ad un concetto unitario (es.: disponibilità negoziale, scelta del tempo di
utilizzazione e di godimento ….quindi la destinazione futura del bene.

Si parla di poteri pieni ed esclusivi nel senso che per:

 pieni si intende che della cosa e sulla cosa il proprietario potrebbe fare ciò che
vuole.
 Esclusivi si intende che sarebbe vietata ogni intrusione altrui sulla scelta del
proprietario.

Ma, di fatto, si può notare come questi poteri non siano né pieni né esclusivi, essendo
sottomessi a limiti ed obblighi.

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ESPROPRIAZIONE ED INDENNIZZO

Il caso più evidente di limite imposto alla proprietà è appunto l’espropriazione:


provvedimento amministrativo che provoca un trasferimento coattivo di beni oggetto di
proprietà privata a favore di un soggetto (di solito pubblico) che dovrà provvedere a
realizzare un’opera di pubblica utilità.
Esso trova il suo fondamento costituzionale nell’Art. 423 dove si parla di indennizzo
nel caso in cui la proprietà privata venga espropriata per motivi di pubblico interesse,
Quindi bisogna chiarire due punti: cosa s’intende per espropriazione e cosa per
indennizzo.
Per quanto riguarda il primo problema la Corte Costituzionale ha parlato di esproprio
non solo nel caso di provvedimento che determina un trasferimento coattivo del diritto di
proprietà, ma anche nel caso di provvedimenti che sebbene non trasferiscono la proprietà,
tuttavia lo limitano in modo considerevole tanto da incidere in modo sostanziale sui suoi
poteri di godimento (espropriazione anormale).

Espropriazione:
-) normale (trasferimento coattivo della proprietà
-) anormale (atti amministrativi che pur non trasferendo la proprietà la limitano
considerevolmente.

Anche nel caso di espropriazioni anormali si dovrà corrispondere un indennizzo.


Comunque, è stato chiarito che non si parlerà di espropriazione tutte le volte in cui sia
la legge (e non il provvedimento) ad imporre limitazioni ad intere categorie di beni,
individuati a priori (es.: vincoli paesaggistici, di beni aventi valore storico, artistico,
archeologico)

Per quanto riguarda il secondo problema, la Corte Costituzionale ha chiarito che esso
non equivale ad integrale risarcimento, quindi non consiste nel valore venale, ma neppure
in un valore irrisorio, bensì deve garantire un serio ristoro. Cioè:

indennizzo diverso integrale risarcimento

non valore venale serio ristoro


indennizzo
non valore simbolico (irrisorio)

I rapporti di vicinato si sostanziano in una serie di limiti alla proprietà volti a non
nuocere la libertà altrui:

Limitazioni alla proprietà privata:

 Divieto degli atti di emulazione (Art. 833)


 Divieto di immissioni (Art. 844)
 Limiti legali: sia di interesse pubblico, sia di interesse privato

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LIMITI LEGALI :

limiti legali alla proprietà privata di interesse pubblico

Trovano il loro fondamento costituzionale nell’art. 42 2 ( là dove si parla di “funzione


sociale” )e nell’art. 44 (là dove prevede limiti al fine di “conseguire il razionale sfruttamento
del suolo e di stabilire equi rapporti sociali”).
Nell’ambito di tali limiti pubblici si possono ricordare: le distanze legali di ogni
costruzione da strade, autostrade, ferrovie, tralicci (c.d. “ zone di rispetto”); l’imposizione di
servitù pubbliche ( non edificare nei pressi degli aeroporti , di dare passaggio a condutture
elettriche , telefoniche), i vincoli forestali ( per assicurare la conservazione del patrimonio
forestale ) , i vincoli idrogeologici.

Limiti legali alla proprietà privata posti nell’interesse privato

Riguardano la proprietà immobiliare e regolano i rapporti di vicinato , cioè tra proprietà


vicine. Vengono definite obbligazioni reali o propter rem ( sono prestazioni accessorie
inerenti ad un diritto reale ).Si tratta di obbligazioni cui è tenuto il titolare di un diritto
reale(non solo di proprietà ) per il solo fatto di essere tale.

Differenze tra i limiti legali e le servitù legali


I primi disciplinano i rapporti di vicinato, regolano l’esercizio di una facoltà già compresa
nel diritto di proprietà ( es. quella che dispone la distanza minima tra 2 edifici ); in quanto
ineriscono al diritto di proprietà sono imprescrittibili ( perché imprescrittibile per non uso è il
diritto di proprietà ).
Invece le servitù prediali sono diritti reali limitati e consistono in un peso imposto sopra
un fondo ( servente ) a vantaggio di un altro fondo( dominante ) appartenente a diverso
proprietario ; sono prescrittibili in seguito al loro non uso per venti anni ( come tutti i diritti
reali di godimento ).

Questi limiti riguardano :

 LA DISTANZA TRA LE COSTRUZIONI E EL PIANTAGIONI (art 873/899)

Rispetto alle costruzioni il codice rinvia alle distanze dei regolamenti comunali. In
mancanza di questi ultimi la distanza non può essere inferiore ai tre metri.

 LUCI E VEDUTE (900 e segg. ). Luci permettono il passaggio alla luce ad aria ma
non di affacciarsi sul fondo del vicino ( possono essere aperte ad una altezza non
inferiore ai 2 metri e ½ dal pavimento e devono essere dotate di una inferriata ).
Vedute o prospetti : finestre che permettono di affacciarsi e guardare di fronte o
obliguamente o lateralmente.

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 ACQUE PRIVATE ( 909- 910 ). Esse appartengono al proprietario del suolo su cui
sorgono e il proprietario potrà utilizzare le acque che naturalmente attraversano il
suo fondo con l’obbligo di restituire gli avanzi.

 LO STILLICIDIO (908) : il proprietario deve costruire i tetti in modo tale che la acque
piovane scolino sul proprio terreno.

 DIVIETO DI ATTI DI EMULAZIONE (833): il proprietario non può compire quegli atti
che non hanno altro scopo che nuocere ad altri. Si richiedono 2 elementi: uno
oggettivo ( assenza di utilità per il proprietario ), l’altro soggettivo ( intenzione di
nuocere ad altri).Per esempio è vietato piantare alberi senza utilità per il proprietario
al solo scopo di togliere la veduta panoramica ad alti .

 DIVIETO DI IMMISSIONE (844) a causa della vicinaanza dei fondi a fonti di fumo o
di calore o rumori, ciascun proprietario è costretto a sopportarli.Il limite è dato dalla
normale tollerabilità . La risoluzione delle controversie è rimessa alla valutazione del
giudice. Le immissioni vanno distinte in tre categorie:
1. Immissioni che non superano la normale tollerabilità :devono essere
tollerate e colui che le subisce no ha diritto a nulla
2. immissioni che superano la normale tollerabilità ma che il giudice può
consentire in considerazione delle esigenze dell’ impresa rispetto a quelle
del proprietario. Danno luogo ad un indennizzo.
3. Immissioni che superano la normale tollerabilità e non sono giustificate da
esigenze produttive. Se ne può ottenere la cessione più il risarcimento
danni.

Modi di estinzione della proprietà

Per perimento della cosa oggetto di proprietà, per il trasferimento (atto inter vivos o
mortis causa ). Non si estingue per non uso, a differenza degli altri diritti reali, a meno che al
non uso corrisponda l’usucapione acquisitiva da parte di un terzo :cioè il proprietario che non
ha utilizzato il bene ne perderà la proprietà qualora il terzo dimostri di averla acquistata per
usucapione.

Per quanto riguarda la estinzione della proprietà immobiliare (840e segg.) si distingue la
proprietà in “verticale” ed in “orizzontale” .
La proprietà in verticale si estende all’infinito (cioè nel sottosuolo e nello spazio aereo
sovrastante il suolo); ma il proprietario non può opporsi ad attività di terzi che si svolgono ad
una profondità o ad una altezza tali da non avere interesse ad escluderli. Così il proprietario
non può opporsi al passaggio di aeroplani sul fondo.
La proprietà in linea orizzontale si estende nell’ambito dei propri confini. Comunque
l’accesso dei terzi al fondo non può essere negato per l’esercizio della caccia , per costruire
o riparare un muro, per riprendere una cosa o animale .

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Modi di acquisto della proprietà

L’acquisto della proprietà può avvenire sia mediante atti di autonomia negoziale
(contratto), sia con semplici fatti anche soltanto naturali (separazione dei frutti naturali)
L’acquisto della proprietà può avvenire a titolo originario o a titolo derivativo.

Acquisto a titolo derivatio:

l’acquisto dipende dall’esistenza di un diritto di proprietà di un precedente titolare.


Quest’ultimo non può cedere un diritto più ampio di quello di cui è titolare (es.: se sul
bene esiste un’ipoteca, il diritto che si acquista rimane gravato dall’ipoteca).
Quindi il nuovo proprietario acquista un diritto identico per qualità e quantità a quello
del precedente titolare.
Si può notare, quindi, che in tal modo si ha esclusivamente un trasferimento di un
diritto e non un vero e proprio acquisto.
L’acquisto a titolo derivativo può avvenire attraverso:
 contratti traslativi della proprietà
 trasferimenti coattivi
 successioni mortis causa

Acquisto a titolo originario

I modi di acquisto a titolo originario sono indicati dall’Art. 922: occupazione,


invenzione, specificazione, unione e commistione

 Occupazione: materiale impossessamento di una cosa, accompagnato dalla


volontà di farla propria. Suscettibili di occupazione sono le cose abbandonate,
animali, oggetto di caccia o di pesca. E’ concessa anche la possibilità al
proprietario di inseguire, sul fondo altrui, sciami di api ed animali mansueti,
altrimenti questi apparterrebbero al proprietario del fondo.

 Invenzione: sono sottoposte ad acquisto per invenzione le cose smarrite. Dato


che, però, lo smarrimento non fa perdere il diritto ma soltanto il possesso, la cosa
deve essere restituita al proprietario. Non sempre, però, può essere conosciuto il
proprietario, perciò l’ordinamento prevede l’acquisto della proprietà da parte del
ritrovatore: questi ha l’obbligo di consegnare la cosa al Comune del luogo dove è
stata trovata, affinchè sia reso pubblico il ritrovamento. Se il proprietario reclama
dal giorno della pubblicazione dell’avviso, il ritrovatore ne acquista la proprietà per
invenzione.

 Tesoro (Art. 932) per “res nullius” di pregio nascoste o sotterrate. Se la cosa non
riveste un particolare interesse storico o artistico, il tesoro appartiene al
proprietario del fondo in cui si trova. Se il tesoro è trovato in un fondo altrui, se
scoperto solo per caso, spetta per metà al proprietario del fondo, e per metà al
ritrovatore; lo stesso se il tesoro si trova in una cosa mobile altrui.

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 L’accessione, l’unione e la commistione riguardano il fenomeno espansivo


della proprietà in base al quale, per un atto naturale o per opera dell’uomo, cose
appartenenti a proprietari diversi sono attratte in un’unica situazione. In tal caso
deve prevalere un diritto sull’altro per la necessità di salvaguardare tra gli interessi
contrapposti quello più meritevole.

Accessione: qualunque opera o costruzione esistente sopra o sotto il suolo


appartiene al proprietario di questo

Commistione: il proprietario della cosa principale o di valore superiore acquista


la proprietà del tutto

Unione: tra i proprietari delle due cose unite o mescolate si costituisce una
comunione. In questa situazione è evidente il rispetto di entrambe le situazioni.

Sia l’unione che la commistione si riferiscono a beni mobili . L’accessione, invece,


riguarda l’unione di beni mobili ad immobili, immobili ad immobili.
Nell’ultimo caso si verifica ciò che viene detta alluvione e avulsione:
1. Alluvione: incremento lento e progressivo di un fondo causato dal
distacco di detriti da altro fondo e trasportati a poco a poco
dall’acqua corrente dei fiumi e dei torrenti
2. Avulsione : riguarda gli incrementi di un fondo cccausati dal
distacco (determinato da un’azione improvvisa dell’acqua ) di una
parte considerevole e riconoscibile di un altro fondo.
Nel secondo caso (e non nel primo) è prevista per il proprietario del fondo diminuito
una indennità rapportata al valore recato al fondo.

Abbiamo parlato di accessione naturale , ma esiste anche l’accessione artificiale, con


la quale si intendono le opere fatte dal proprietario del suolo con materiale altrui(il prop.
Dovrà pagare il valore se non è chiesta la separazione), le opere fatte da un terzo con
materiale proprio e le opere fatte da un terzo con materiale altrui.

Un apparente accezione è quella prevista per l’occupazione, in buona fede, di una


parte di un fondo, da una costruzione. In tal caso, il proprietario della costruzione diviene
dopo 3 mesi (salvo opposizione) della parte di fondo dietro pagamento del doppio del
valore della superficie occupata.
In questo caso, prevale sì l’interesse più meritevole, ma viene anche tutelata la
situazione del proprietario del fondo.

 Specificazione (Art. 940) Se taluno ha adoperato una materia che non gli
apparteneva per formare una nuova cosa, possa o non possa la materia
riprendere la sua prima forma, ne acquista la proprietà pagando al proprietario il
prezzo della materia, salvo che il valore della materia sorpassi notevolmente
quella della mano d’opera.
In quest’ultimo caso, la proprietà spetta al proprietario della materia, il quale deve
pagare il prezzo della mano d’opera.

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SUPERFICIE

I diritti del proprietario si estendono, nei limiti della meritevolezza dell’interesse, al


sottosuolo ed allo spazio sovrastante (840).
Generalmente, la proprietà del suolo non viene quindi separata dalla proprietà di ciò
che esiste su di essa.
Una deroga è però costituita dal diritto di superficie disciplinato dall’Art. 952 e
seguenti.

Art. 952: Il proprietario può costituire il diritto di fare e mantenere al di sopra del suolo
una costruzione a favore di altri, che ne acquista la proprietà.
Quindi, la proprietà di ciò che esiste sopra al suolo viene concessa a terzi dal
proprietario del suolo.
La proprietà superficiaria può essere costituita a tempo determinato o indeterminato;
nel caso di proprietà a tempo determinato, allo scadere del termine il diritto di superficie si
estingue ed il proprietario del suolo diviene anche proprietario della costruzione.

Art. 953: Si può quindi notare la differenza con la concessione a terzi, da parte del
proprietario del suolo, dello IUS AEDIFICANDI; infatti, lo ius aedificandi è caratterizzato da
un limite temporale di 90 anni.

Art. 952-2: disciplina che il proprietario del suolo può alienare la proprietà della
costruzione già esistente, separatamente dalla proprietà del suolo. Si può notare, quindi, la
possibilità per il proprietario del suolo di separare la proprietà del suolo (anche definita
proprietà orizzontale) dalla proprietà di ciò che è edificato su di esso (propr. verticale –
propr. superficiaria)

Il diritto sulla costruzione ed il diritto di edificare, anche se producono lo stesso effetto,


cioè l’acquisto della proprietà sulla costruzione su suolo altrui, configurano situazioni
diverse.
Infatti, se la costruzione già esiste, ciò che si costituisce è un diritto di proprietà
sull’opera, ed in questo caso la proprietà si acquista a titolo derivato
Se invece il proprietario attribuisce la possibilità di costruire sul proprio suolo ad un
terzo, questi acquista prima il diritto di edificare, ed in seguito la proprietà dell’edificio.
In questo caso, si ha quindi acquisto della proprietà a titolo originario.
Allo scadere del termine il proprietario del suolo diviene proprietario della costruzione
per accessione.

Art. 954-3: vi è specificato che il perimento della costruzione non implica, salvo patto
contrario, l’estinzione del diritto di superficie.
Altra caratteristica fondamentale è che se è stato acquistato un diritto di proprietà, il
diritto è imprescrittibile; il diritto di edificare (se non si è ancora acquistata la proprietà) è
invece soggetto a prescrizione per il non uso protratto per 20 anni (954-4).

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COSTITUZIONE

La costituzione del diritto di superficie può avvenire per:

-) USUCAPIONE: è possibile solo l’usucapione in base al titolo perché il semplice


possesso ventennale farebbe acquistare la piena proprietà anche del suolo.

-) CONTRATTO: forma scritta ad substantiam.

-) TESTAMENTO

ESTINZIONE

Comporta anche la estinzione dei diritti reali imposti dal superficiario (art.954 co.1).

-) RINUNCIA

-) CONFUSIONE: qualora la titolarità del diritto di proprietà e di superficie vengano a


coincidere in capo allo stesso soggetto.

-) SCADENZA DELL’EVENTUALE DATA DEL TERMINE

Se la costruzione è eseguita: non può esservi prescrizione,


essendo imprescrittibile il diritto di proprietà.

-) PRESCRIZIONE

Se la costruzione non è ancora eseguita il diritto si prescrive


per non uso ventennale.

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ENFITEUSI

Può però essere qualificata come modello di “proprietà in senso sostanziale” perché
attribuisce al suo titolare, l’enfiteuta, il godimento concesso al proprietario.

Art. 960-1: L’enfiteuta ha l’obbligo di migliorare il fondo e di pagare al concedente un


canone periodico, che può consistere in una somma di denaro oppure in una quantità fissa di
prodotti naturali.

Art. 960-2: L’enfiteuta non può pretendere remissione o riduzione del canone per
sterilità del fondo o perdita dei frutti.
Dietro il corrispettivo di questo canone, il proprietario si spoglia del suo potere di
godimento riconoscendo all’enfiteuta tutti i diritti sul fondo e sulle concessioni.

Art. 959: All’enfiteuta vengono attribuiti tutti i diritti del proprietario (per questo è il più
ampio dei diritti
Quindi, la situazione dell’enfiteuta viene vista come “dominio utile”; quella del
proprietario come “dominio diretto”.
Oltre che su fondi rustici, l’enfiteusi può essere costituita anche su fondi urbani. In
questa ipotesi, viene concessa o su un fondo al quale accede un edificio (da conservare e
migliorare) o su un fondo concesso per costruirvi un edificio (enfiteusi ad aedificandum).

Oltre che per usucapione, l’enfiteusi può essere costituita per contratto (in forma scritta)
o per testamento e può essere perpetua o a tempo determinato.
Se a tempo determinato, mai inferiore a 20 anni (Art. 958).
Questo perché non si può pretendere che un soggetto si impegni a migliorare un fondo,
pagando un canone, senza trarne una qualche utilità dal godimento del fondo.
L’enfiteuta può, inoltre, modificare la destinazione del fondo; può disporre del proprio
diritto, sia per atto tra vivi che per testamento (Art. 965-1).
Nell’atto costitutivo può essere vietato all’enfiteuta di disporre del diritto con atto tra vivi
(Art. 965-3).
Nel caso in cui l’alienazione sia stata compiuta contro tale divieto, l’enfiteuta non è
liberato dai suoi obblighi verso il concedente ed è tenuto ai suoi obblighi solidalmente con
l’acquirente (Art. 965-4).
L’enfiteuta non può cedere il proprio diritto per subenfiteusi, chiaramente no ammessa
dall’ordinamento giuridico (Art. 968).

Il diritto dell’enfiteuta si prescrive per il non uso protratto per 20 anni (Art. 970).
Oltre che per prescrizione, l’enfiteusi si estingue per scadenza del termine, per rinunzia,
per consolidazione (per unione della situazione della proprietà e dell’enfiteusi), per perimento
totale del fondo o per espropriazione per pubblico interesse.
Nel caso in cui il fondo perisca solo in parte, ma tanto da rendere sproporzionato il diritto
di godimento rispetto al canone, l’enfiteuta può chiedere una riduzione del canone oppure
rinunciare al diritto.

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Oltre a questi, esistono altri due modi di estinzione del diritto:

L’AFFRANCAZIONE:
viene attribuito all’enfiteuta il diritto di acquistare la proprietà a titolo derivativo, pagando
una somma pari al 15 volte il valore del canone annuo.

Art. 971-1: se gli enfiteuti sono più di 1, la affrancazione può essere promossa anche da
1 solo, ma a favore di tutti. In questo caso, l’affrancante subentra nei diritti del concedente
verso gli altri enfiteuti e questi otterranno una riduzione proporzionale del canone.

Art. 971-2: se invece sono i concedenti ad essere più di 1, l’affrancazione può effettuarsi
per la quota che spetta a ciascun concedente.

LA DEVOLUZIONE:
è sostanzialmente un’azione di risoluzione, e tende a tutelare il proprietario in caso di
inadempienza da parte dell’enfiteuta.

Art. 972-1: la concedente può chiedere la devoluzione del fondo enfiteutico:


-) se l’enfiteuta deteriora il fondo o no adempie all’obbligo di migliorarlo
-) se l’enfiteuta è in mora dal pagamento di due annualità di canone, a meno che l’enfi-
teuta abbia pagato i canoni maturati prima che sia intervenuta la sentenza che abbia
accolto la domanda di devoluzione,

Art. 972-2: la domanda di dovoluzione non preclude all’enfiteuta il diritto di affrancare,


ammesso che ricorrano le condizioni previste dall’Art. 971.

Art. 975-1: quando cessa l’enfiteusi, all’enfiteuta spetta il rimborso dei miglioramenti,
nella misura dell’aumento di valore conseguito dal fondo, per effetto dei miglioramenti stessi
al tempo della riconsegna.

Sia la devoluzione che l’affrancazione sono diritti potestativi infatti gli effetti si producono
solo successivamente al verificarsi di taluni eventi,ed il proprietario è soggetto ad un PATI.

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USUFRUTTO

L’usufrutto è il diritto di godere di un bene altrui e dei suoi frutti con l’obbligo di
conservare la destinazione economica del bene e di restituirlo alla scadenza.

Art. 981: il diritto di godimento attribuito all’usufruttuario è finalizzato al conseguimento


dei frutti della casa; quindi, il bene oggetto del diritto deve essere un bene fruttifero ed inoltre,
dovendo essere riconsegnato a scadenza, deve anche essere inconsumabile.
E’ comunque possibile anche l’usufrutto di beni consumabili – quasi usufrutto.
Diversamente dall’enfiteusi, non può essere cambiata la destinazione economica del
bene, né il godimento può essere perpetuo.
Laddove l’usufruttuario esegua opere che alterino l’originaria destinazione economica
della casa, è tenuto al risarcimento del danno e può anche essere costretto al ripristino delle
precedenti condizioni.

Art. 978: è stabilito per legge (es.: usufrutto che i genitori hanno sui beni dei figli), o
dalla volontà dell’uomo; può acquistarsi anche per usucapione.

Art. 979: la durata dell’usufrutto non può eccedere la vita dell’usufruttuario.


L’usufrutto, se viene costituito a favore di persona giuridica, non può durare più di
30 anni.
Non è trasmissibile mortis causa.
Però, per l’Art. 980 l’usufruttuario può cedere il proprio diritto per un certo tempo o
per tutta la sua durata, se ciò non è vietato dal titolo costitutivo.

Estinzione si ha per:
-) scadenza del termine
-) rinuncia
-) prescrizione determinata dal non uso protratto per 20 anni
-) per consolidazione
-) per perimento totale della casa
-) per abuso dell’usufruttuario

L’estinzione non ha luogo se la casa è espropriata, se perisce per colpa o dolo di


terzi.

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USO E ABITAZIONE

Situazioni dal contenuto analogo all’usufrutto; si distinguono da questo, però, per


l’aspetto quantitativo. Infatti, i poteri attribuiti all’usufruttuario, nell’uso e abitazione, sono
limitati ai bisogni del titolare del diritto e della sua famiglia.

Art. 1021: l’uso è il diritto personalissimo che attribuisce al suo titolare il potere di
servirsi della casa e di raccoglierne gli eventuali frutti, limitatamente ai bisogni propri o della
sua famiglia.
Se l’uso ha per oggetto un’abitazione, viene chiamato “diritto di abitazione”.

Art. 1022: attribuisce al titolare del diritto di abitazione il potere di abitare la casa
limitatamente ai bisogni proprii e della sua famiglia.
I diritti d’uso e di abitazione non si possono cedere o dare in locazione (Art:
1024)

Modi di costituzione:

-) per usucapione
-) volontariamente (testamento, contratto)
-) o per volontà della legge (relativamente al diritto di abitazione e di uso riservato in favore
del coniuge superstite)

Modi di estinzione:

-) morte del titolare, perché essendo diritti personalissimi, hanno carattere temporaneo e
non possono essere oggetto di testamento.
L’inadempimento di tali obblighi non dà luogo ad abuso, con conseguente estinzione del
diritto, dato che non configura un pregiudizio tale da incidere sulla intangibilità e sull’inte-
grità del bene.

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SERVITU’

Art. 1027: La servitù prediale consiste nel peso imposto sopra un fondo per l’utilità di
un altro fondo appartenente a diverso proprietario,
Quindi, i presupposti per le servitù prediali sono:
1) contiguità dei due fondi
2) appartenenza di essi a titolari distinti
3) previsione di un “peso” a carico di uno dei due fondi (SERVENTE) a fronte di
una
utilità derivante all’altro (DOMINANTE)

La caratteristica principale è che tra i due fondi deve esistere una relazione di
SERVIZIO: al vantaggio di uno deve sempre corrispondere la restrizione del godimento a
carico dell’altro.

Art. 1028: L’utilità può consistere anche nella maggiore comodità o amenità del
fondo dominante.

Art. 1029: Può addirittura costituirsi una servitù per assicurare ad un fondo un
vantaggio futuro.
Non sono ammesse servitù che prevedano il vantaggio a favore esclusivamente
della persona (es.: passeggiare soltanto)
Il titolare del fondo servente è tenuto a sopportare, ad un comportamento di non
facere (servitus in faciendo consistere nequit)

Art. 1030: Il proprietario del fondo servente non è tenuto a compiere alcun atto per
rendere possibile l’esercizio della servitù da parte del titolare, salvo che la legge o il titolo
disponga altrimenti.
Ciò vuol dire che le spese per l’esercizio delle servitù sono a carico del titolare
della situazione giuridica dominante.

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COMUNIONE

Una stessa situazione di godimento è nella titolarità di una pluralità di soggetti (Art.
1100).
Questo diritto reale di godimento è bene applicabile a “cose altrui”; si tratta infatti di
situazioni limitate per definizione.
Risulta meno applicabile alla proprietà, perché essa è situazione piena ed esclusiva,
non si possono concepire quindi due distinti proprietari di uno stesso bene, ma è possibile
che più soggetti siano titolari di uno stesso diritto di proprietà.
I partecipanti alla comunione prendono il nome di comunisti; se si tratta di
comproprietà condomini.

Tipi di comunione:
 volontaria nasce dall’accordo dei soggetti
 legale anche detta se nasce per volontà della legge
(comunione forzata del muro di confine)
 incidentale nasce da un evento casuale e non volontario da parte
degli eredi

Nel caso della comunione, i poteri di godimento sono diversi da quelli che ha un unico
titolare. Infatti, per esempio, nel caso in cui esistano più titolari di un diritto di usufrutto, il
godimento di un contitolare è limitato in relazione al godimento degli altri contitolari.

Art, 11021: ciascun partecipante può servirsi della cosa comune, purchè non ne alteri
la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro
diritto…..

Art. 11022: il partecipante non può estendere il suo diritto sulla cosa comune in danno
degli altri partecipanti, se non compie atti idonei a mutare il titolo del suo possesso.

La comunione attribuisce a ciascun soggetto la titolarità di una “quota” che indica la


partecipazione del soggetto ai vantaggi ed agli svantaggi derivanti dall’esercizio della
situazione. (Art. 1101).

Art. 1031: ogni partecipante può disporre del suo diritto e cedere ad altri il godimento
della cosa nei limiti della sua quota.

Art. 11041: ciascun partecipante deve contribuire nelle spese necessarie per la
conservazione e per il godimento della cosa comune e delle spese deliberate dalla
maggioranza a norma delle disposizioni degli Artt. 1105 – 1108. Salva la facoltà di
liberarsene con la rinunzia al suo diritto.

Art. 11051e2: tutti i partecipanti hanno diritto di concorrere all’amministrazione della


cosa comune. Per gli atti di ordinaria amministrazione, le deliberazioni della maggioranza,
calcolata secondo il valore delle quote, sono obbligatorie per la maggioranza.

Art. 1106: con la maggioranza può essere formato un regolamento per l’ordinaria
amministrazione e per il miglior godimento della cosa comune. Nello stesso modo,
l’amministrazione può essere delegata ad uno o più partecipanti, o anche ad uno estraneo,
determinandosi i poteri e gli obblighi dell’amministratore.

Art. 11111: ciascuno dei partecipanti può sempre domandare lo scioglimento della
comunione.

Art. 1112: lo scioglimento della comunione non può essere chiesto per quei beni che,
se divisi, cesserebbero di servire all’uso a cui sono destinate e anche per patto contrario.

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CONDOMINIO

Il condominio negli edifici è un caso di comunione legale.

Negli edifici il condominio ha una finalità strumentale alla realizzazione di più diritti
esclusivi appartenenti a patrimoni distinti.

Il condominio è caratterizzato dalla coesistenza, in uno stesso edificio, di più diritti di


proprietà che si sviluppano per via orizzontale; in più esiste una comunione di alcune parti
dello stesso edificio.

Nel condominio sono destinati a coabitare contitolarità e proprietà esclusive.


Non solo l’uso delle parti comuni, ma anche l’esercizio dei diritti di ciascuno sulla
proprietà esclusiva si deve misurare con l’esercizio degli altri diritti.
Possono infatti esistere sia limiti riguardo l’uso delle parti comuni che alla proprietà
esclusiva.
Per l’Art. 1119: le parti comuni sono indivisibili, a meno che la divisione possa essere
effettuata senza rendere più incomodo l’uso della cosa a ciascun condomino.

Il contributo di ciascuno alle spese necessarie alla conservazione e al godimento


della parti comuni dipende dalla destinazione del servizio: se esso serve in modo identico a
tutti, si partecipa alle spese proporzionalmente alla quota di proprietà esclusiva, altrimenti la
spesa viene suddivisa in relazione all’uso che ciascuno può farne.

L’assemblea delibera vincolando i condomini, anche quelli assenti o contrari, secondo


il principio della maggioranza. Le maggioranze, però, variano secondo l’oggetto della
delibera e si calcolano non soltanto per quote, ma anche per numero di condomini.

L’Amministratore costituisce l’organo esecutivo.

Si ha il supercondominio quando più edifici hanno tra loro in comune una serie di
opere staccate dalle singole costruzioni, ma destinate a servizio di ciascuna di esse

MULTIPROPRIETA’

Il diritto relativo alla multiproprietà si esercita in relazione al tempo.


Infatti, con la multiproprietà il diritto si esercita su un bene comune, ma
esclusivamente con un godimento turnario (uno spazio temporale predeterminato)
La multiproprietà è quindi caratterizzata per l’esistenza di una comunione e per il
godimento esclusivo di ogni comproprietario della cosa in comune, ma in periodi
predeterminati.
Infatti, i limiti presenti nella multiproprietà sono quelli relativi alla comunione e quelli
relativi al godimento della cosa esclusivamente nello spazio temporale indicato dal turno.

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AZIONI A DIFESA DEI DIRITTI DI


GODIMENTO

Nell’ambito delle azioni a tutela dei diritti di godimento vanno distinte le azioni
concesse al solo proprietario (c.d. petitorie) da quelle esperibili anche da chi è titolare di un
diritto di godimento su cosa altrui (l’azione confessoria e le c.d. azioni di nunciazione) e da
quelle previste per chi è soltanto possessore (c.d. azioni possessorie).
Le azioni petitorie sono costituite da:
 azione di rivendicazione
 azione negatoria
 azioni di regolamento di confini e di apposizione di termini

1) L’azione di rivendicazione presuppone la mancanza di possesso da parte di chi


reputa di essere proprietario e tende ad ottenere, a seguito del riconoscimento del proprio
diritto, la restituzione della cosa da parte di chi la possegga o la detenga.
L’azione di rivendicazione – imprescrittibile, salvo l’acquisto della proprietà da parte di
altri per usucapione (Art. 9483) può essere esercitata da chi pretende di essere proprietario
nei confronti di chiunque possieda o detenga la cosa.
E’ insufficiente provare che chi possiede la cosa non ne è il proprietario: E’
necessario, invece, dimostrare il proprio diritto, ciò che è possibile soltanto dando prova
dell’acquisto della proprietà a titolo derivativo risalendo, mediante i precedenti danti causa,
ad un acquisto a titolo originario: l’acquisto del rivendicante potrebbe essere avvenuto così
validamente ma il suo dante causa, o uno dei precedenti, potrebbe non essere il
proprietario o esserlo diventato sulla base di un titolo non valido e così aver reso viziato
anche il diritto vantato dal rivendicante.
Affinché l’azione di rivendicazione abbia successo, chi pretende di essere proprietario
dovrebbe provare non soltanto di aver acquistato il diritto da un precedente titolare, ma
anche che il diritto di questo trova un valido titolo in un precedente acquisto e così fino al
primo originario proprietario (probatio diabolica).

2) Azione negatoria: con tale azione si tende a far negare l’esistenza sulla propria
situazione di diritti altrui quando da questi si teme di subire un pregiudizio. Il
pregiudizio può derivare sia da situazioni di fatto che di diritto : nella prima ipotesi un terzo
manifesta con comportamenti concreti la sua pretesa ;nella seconda, invece, un terzo vanta
contro il proprietario l’esistenza di un suo diritto.
Affinchè l’azione negatoria abbia buon esito, il proprietario non deve dimostrare il
proprio diritto, come nell’azione di rivendicazione; è sufficiente che provi con ogni mezzo,
anche in via presuntiva, l’esistenza di un titolo dal quale risulti il suo acquisto.
Una volta offerta questa prova da parte del proprietario, spetta al convenuto
dimostrare l’esistenza di un valido titolo a fondamento della sua pretesa.

3) Con l’azione di rivendicazione non va confusa l’azione di regolamento di confini.


Con la prima la controversia si verte sui rispettivi titoli di proprietà, con l’azione di
regolamento di confini il conflitto concerne la demarcazione dei limiti di confine tra due fondi
confinanti quando manchino segni distintivi che li contrassegni.
La prova del confine può essere data in qualsiasi modo e, in mancanza di prove, il
giudice può procedere all’accertamento anche mediante l’esame delle mappe catastati
(Art. 9502e3)

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4) L’azione di apposizione di termini presuppone la semplice irriconoscibilità o la


mancanza di segni che individuino i confini. Con essa, pertanto, si chiede che vengano
apposti, a spese di entrambi i proprietari, i segni di confine

5)con l’azione confessoria si tende a far riconoscere l’esistenza del proprio diritto
contro chi ne contesti l’esercizio e/o a far cessare gli atti impeditivi e le turbative allo
stesso. Come per l’azione negatoria le molestie possono essere sia di diritto che di fatto ,
ma deve essere l’attore che deve dimostrare l’esistenza della situazione di godimento.

Concludendo: la semplice proprietà ha a disposizione le azioni petitorie ; il


possessore può utilizzare le azioni possessorie (azioni di reintegrazione o di spoglio e
azioni di manutenzione) (queste azioni sono valide anche per il detentore qualificato) e le
azioni di nunciazione (denuncia di nuova opera e denuncia di danno temuto ).
A difesa dei soli diritti reali di godimento su cosa altrui esistono unicamente le azioni
di nunciazione.
Nel caso in cui il proprietario sia anche possessore, a sua difesa può utilizzare le
azioni di nunciazione, quelle possessorie e quelle di nunciazione.

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MORA DEL CREDITORE E LIBERAZIONE COATTIVA DEL DEBITORE

Si ha mora quando, per fatto del creditore o del debitore, si verifica un impedimento,
solo temporaneo, all’attuazione del rapporto.
La mora, infatti, presuppone che l’adempimento sia ancora possibile; l’impossibilità
sopravvenuta della prestazione esclude la mora e le relative conseguenze.

Mora del creditore e mora del debitore sono due cose diverse; gli unici punti di
contatto possono essere ritrovati solo nella necessità di cooperazione nel rapporto
obbligatorio per la realizzazione di interessi sia creditori che debitori.

Nell’adempimento sono previsti anche gli interessi del debitore, oltre a quelli del
creditore, e tra questi: l’esonero della responsabilità per inadempimento, la liberazione del
vincolo, l’esecuzione effettiva della prestazione e a ricevere la controprestazione.

Quindi, se per l’adempimento è richiesta la cooperazione del creditore, un’eventuale


omissione a tale cooperazione potrebbe impedire l’adempimento e rischia di
compromettere anche le eventuali aspettative del debitore.
La cooperazione del creditore, però, non sempre è necessaria ed anche quando è
richiesta essa varia in relazione alla prestazione.

Può essere costituita dalla mera ricezione materiale di una prestazione già
approntata o essere inserita nel procedimento di predisposizione del contegno dovuto.
In queste ipotesi, l’omissione del creditore impedisce l’adempimento e, quindi, la
realizzazione del complessivo assetto di interessi che, in concreto, vi è sotteso.
Il rifiuto del creditore può trovar causa in un dissenso sull’esattezza della prestazione
offerta, in un giudizio sull’inutilità sopravvenuta della prestazione o ancora nell’intenzione di
sottrarsi all’obbligo di pagare il corrispettivo.
Può darsi, infine, che il creditore non possa cooperare per una causa a lui non
imputabile. Quali che siano le ragioni, il debitore non può essere considerato adempiente
ed è esposto al rischio di dover rispondere delle conseguenze di un ritardato adempimento.
L’interesse del debitore ad evitare la propria mora è tutelato: la semplice offerta della
prestazione o la dichiarazione di concreta prontezza ad adempiere escludono le
conseguenze della mora debendi (Art. 220)

Art. 1206: il creditore è in mora, quando, senza motivo legittimo, non riceve il
pagamento offertogli o non compie quanto è necessario affinchè il debitore possa
adempiere l’obbligazione.

Per la costituzione in mora è necessario che il debitore effettui un’offerta formale della
prestazione mediante un pubblico ufficiale.
L’offerta deve presentare alcuni requisiti menzionati nell’Art. 1208.
Quindi, perché l’offerta formale sia valida, è necessaria l’esattezza della prestazione.

Il creditore non è costituito in mora qualora il suo rifiuto di cooperazione sia


giustificato da motivo legittimo (Art. 1206) ed infatti è proprio l’inesattezza che esclude la
mora per difetto di una valida offerta di prestazione,.
La costituzione in mora credendi è esclusa nel caso in cui la prestazione sia divenuta
impossibile, in quanto il debitore non può effettuare una valida offerta della prestazione.
Il motivo legittimo che esclude la mora è collegato alla buona fede.
Il creditore che rifiuti l’offerta in presenza di un’inesattezza tollerabile compie un atto
emulativo non conforme ai principi di buona fede e correttezza.

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E’ invece legittimo il rifiuto dell’offerta effettuata con modalità di tempo o di luogo tali
da rendere particolarmente gravosa la ricezione della prestazione o quando sussista il
rischio che il pagamento possa poi essere revocato.

Se la prestazione ha ad oggetto denaro, titoli di credito o cose mobili da consegnare


al domicilio del creditore, l’offerta deve essere “reale”, cioè consistere nella consegna
materiale della res debita al pubblico ufficiale, il quale “dovrà”, poi, esibirla al creditore.
La consegna è, dunque, in queste ipotesi, requisito costitutivo dell’offerta.
Quando la prestazione ha ad oggetto immobili o cose mobili, l’offerta consiste
nell’”intimazione” a ricevere, effettuata mediante atto notificato nelle forme prescritte per gli
atti di citazione (Art. 12092).

Anche per le prestazioni di fare è richiesta l’offerta per intimazione.

Quando il creditore è in mora, a suo carico è l’impossibilità della prestazione


sopravvenuta per causa non imputabile ad debitore e non sono più dovuti gli interessi e i
frutti della cosa che non siano già stati percepiti dal debitore (Art. 12071).
La prima conseguenza: il debitore mantiene il diritto al corrispettivo; il creditore è
tenuto a risarcire i danni derivati dalla sua mora e a sostenere le spese per la custodia e la
conservazione della cosa dovuta (Art. 12072).
Quanto alle spese, la disposizione si giustifica per il fatto che la mora non comporta
estinzione del vincolo e, quindi, non libera il debitore: le conseguenze dell’aggravamento
del vincolo devono essere sopportate da colui il quale vi ha dato causa.

Gli effetti della mora si verificano dal giorno del’offerta, se questa è successivamente
accettata dal creditore (Art, 12073).

La mora costituisce soltanto un impedimento all’attuazione del vincolo che resta in


vita fin quando non sopraggiunga un’impossibilità definitiva della prestazione o non sia
compiuto il termine di prescrizione.
Con la mora il rischio è addossato sul creditore ma il debitore è ancora sottoposto al
vincolo ed obbligato ad eseguire la prestazione.
Tuttavia, può reagire al rifiuto del creditore ed ottenere unilateralmente la liberazione
dal vincolo mediante il c.d. deposito liberatorio .
Si tratta di un diritto (potestativo) l’esercizio del quale produce un effetto (la
liberazione del vincolo) che il creditore non può evitare.

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MODI NON SATISFATTIVI

Novazione

Art. 1230: l’obbligazione si estingue quando le parti sostituiscono all’obbligazione


originaria una nuova obbligazione con oggetto o titolo diverso.
La volontà di estinguere l’obbligazione precedente deve risultare in modo non
equivoco.

La novazione è un contratto consensuale ad effetti estintivi e costitutivi.

E’ solito distinguere la novazione tra:

 soggettiva
accollo modificazioni dal lato passivo
estromissione del rapporto (debitore)
delegazione passiva

delegazione attiva

modificazione del soggetto dell’obbligazione

 oggettiva

mutazione del titolo o dell’oggetto dell’obbligazione

La distinzione fra novazione oggettiva e novazione soggettiva è desunta dagli Artt.


1230 e 1235.
Tuttavia, soltanto la novazione oggettiva ha funzione estintiva. La novazione c.d.
soggettiva determina soltanto una vicenda modificativa della titolarità della situazione
debitoria.

Soltanto nei rapporti fondati sull’intuitus personae la sostituzione del soggetto passivo
comporta l’estinzione dell’obbligazione.
In questa ipotesi la ragione immediata e diretta dell’estinzione si collega al
cambiamento dell’oggetto e cioè dell’interesse. Si discorre dunque di novazione oggettiva.
La novazione oggettiva è fattispecie che consiste nell’estinguere un rapporto
obbligatorio e nel costituirne uno nuovo, che prende il posto del primo.
Affinchè si realizzi tale funzione, si reputa necessario il concorso di due elementi: il
primo quando modificati sono l’oggetto o il titolo dell’originaria obbligazione (Art. 12301); il
secondo quando sussiste in modo non equivoco la volontà di estinguere il rapporto
precedente (c.d. animus novandi) (Art. 12302).

Per oggetto si intende sia la prestazione sia il bene.


Una mera modificazione quantitativa della prestazione o del suo oggetto non
necessariamente determina novazione in quanto ad essa non sempre consegue anche una
modificazione dell’interesse.
Soltanto una modificazione della prestazione o del suo oggetto comporta novazione.

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La novazione per modificazione dell’oggetto si distingue dalla prestazione in luogo di


adempimento (datio in solutum). Quest’ultima attiene alla fase dell’esecuzione
dell’originaria ed unica obbligazione, seppur mediante l’esecuzione di una prestazione
diversa da quella convenuta nella fase costitutiva del rapporto; la novazione, invece,
determina la nascita di una nuova obbligazione e, contestualmente l’estinzione di quella
originaria, sì che il debitore non esegue alcuna prestazione, bensì si obbliga ad eseguirne
una nuova.
Nella datio in solutum all’inadempimento della prestazione sostitutiva, sopravvive
sempre l’obbligo di eseguire quella originariamente pattuita; nella novazione, invece,
l’inadempimento della nuova obbligazione non determina mai la reviviscenza di quella
originaria.

Anche il cambiamento del titolo, cioè della ragione giustificativa del rapporto
obbligatorio, comporta novazione oggettiva.
Un’obbligazione pecuniaria può fondarsi su una pluralità di ragioni giustificative: a
titolo di risarcimento del danno extracontrattuale, a titolo di pagamento del prezzo, in una
compravendita o pagamento del canone in un locazione, o in esecuzione dell’obbligo di
restituzione in un mutuo o, infine, quale prestazione alimentare.
Nella prima ipotesi la ragione giustificativa dell’obbligazione è il risarcimento del
danno, mentre la fonte è il fatto illecito; nella seconda, nella terza e nella quarta, il titolo
s’identifica, rispettivamente, con la compravendita, con la locazione ed il mutuo, mentre la
fonte dei tre rapporti è sempre il contratto; nell’ultima, il titolo è rappresentato dagli alimenti,
mentre la fonte è la legge.
Fonte e titolo sono strettamente connessi ma vanno concettualmente distinti.
Ai fini della novazione ciò che deve cambiare e non (necessariamente) la fonte bensì
il titolo.

L’obbligazione, sorta in seguito alla novazione, ha la sua ragione giustificativa


nell’estinzione di quella originaria, sì che le vicende relative a quest’ultima, si possono
ripercuotere sulla prima.
Per ciò la novazione è ineficcace qualora l’obbligazione originaria si riveli inesistente.
Più che inesistenza, sarebbe forse stato più opportuno parlare di nullità o annullabilità
del titolo costitutivo.

La novazione non può essere considerata invalida qualora il titolo originario sia
sottoposto ad azione revocatoria (Art. 2901)
Art. 1232: i privilegi, il pegno e le ipoteche del credito originario si estinguono, se le
parti non convengono espressamente di mantenerli per il nuovo credito.

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REMISSIONE DEL DEBITO E RINUNZIA AL CREDITO

Art. 1236: La dichiarazione del creditore di rimettere il debito estingue l’obbligazione


quando è comunicata al debitore, salvo che questi dichiari in un congruo termine di non
volerne approfittare.

Se il debitore paga oltre il termine, si ha un’obbligazione naturale.

Dall’interpretazione dell’articolo, si può desumere che la remissione costituisce un


negozio giuridico unilaterale recettizio.

COMPENSAZIONE VOLONTARIA – Art. 1252

Per volontà delle parti può aver luogo compensazione anche se non ricorrono le
condizioni previste dagli articoli precedenti.
Le parti possono anche stabilire preventivamente le condizioni di tale
compensazione.
Non è ammessa la compensazione tra un’obbligazione naturale e un’obbligazione
civile.

CONFUSIONE – Art. 1253

Quando le due qualità di creditore e di debitore si riuniscono nella stessa persona,


l’obbligazione si estingue, e i terzi che hanno prestato garanzia per il debitore sono liberati.

L’estinzione dell’obbligazione, prodotta dalla confusione è determinata non dal mero


venire meno della dualità dei soggetti, ma dalla inidoneità del rapporto a svolgere una
qualche funzione utile.
L’effetto estintivo opera soltanto quando è venuta meno la dualità dei centri
d’interessi o dei patrimoni a cui riferire le contrapposte situazioni oggettive.

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MODIFICAZIONI SOGGETTIVE DAL LATO


CREDITORIO

____°____

CESSIONE DEL CREDITO

La cessione del credito è un contratto mediante il quale il creditore (cedente)


trasferisce ad altro soggetto (cessionario) il proprio diritto di credito.

Per effetto della cessione, si sostituisce un nuovo creditore a quello originario.

Normalmente, per le modifiche che avvengono nel lato attivo del rapporto
obbligatorio, il consenso del debitore è irrilevante, tuttavia in alcune ipotesi il consenso del
debitore ceduto è essenziale per la validità e l’efficacia della cessione del credito: cioò si
verifica quando il debitore ha un interesse giuridicamente rilevante a non essere costretto
ad effettuare la prestazione a favore di un soggetto diverso dal creditore originario.

La cessione del credito può realizzarsi mediante strutture negoziali diverse (negozio
unilaterale, contratto bilaterale o trilaterale) a seconda del rapporto stesso che è destinato a
trasferire.

Generalmente si ritiene che la cessione del credito, di per sé, sia solamente uno
strumento con cui si realizza una fattispecie di più vasta portata.

La cessione può avvenire a titolo oneroso o gratuito.

La cedibilità del credito è esclusa per:


 i crediti strettamente personali, fra i quali: i crediti alimentari
 i crediti il cui trasferimento è vietato dalla legge
 i crediti la cui cessione è vietata dall’Art. 1261
 i crediti la cui cessione è esclusa dalle stesse parti (c.d. incedibilità
convenzionale), ma in tal caso il patto di incedibilità non può essere opposto al
cessionario, se non si prova che egli lo conosceva al tempo della cessione (Art.
12602, co. 2°)

Per la validità della cessione, normalmente, non è necessaria l’accettazione od il


consenso del debitore ceduto (Art. 126°, co. 1°), al quale è solitamente indifferente
adempiere all’uno o all’altro creditore.

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La cessione è efficace:

a) nei confronti del debitore ceduto (Art. 1264) quando è stata accettata dal
debitore oppure gli è stata notificata.
Ciò si spiega considerando che, pur essendo la cessione un negozio che si
perfeziona anche senza il consenso del debitore, affinchè questi possa eseguire
la prestazione in favore del cessionario è necessario che sia a conoscenza
dell’avvenuta sostituzione.
In caso contrario, il debitore può pagare al vecchio creditore.
Il codice equipara la notificazione alla “conoscenza effettiva che comunque il
debitore abbia avuto dalla cessione”. Se cioè il debitore, in mancanza di notifica,
paghi al vecchio creditore, non è liberato qualora il cessionario provi che egli era
comunque a conoscenza dell’avvenuta cessione.
Dunque, accettazione, notificazione o conoscenza effettiva della cessione sono
rilevanti al fine di escludere l’efficacia liberatoria del pagamento fato al cedente,
rimuovendo in tal modo il limite della tutela del debitore di buona fede;

b) nei confronti dei terzi (Art. 1265): se uno stesso credito è stato ceduto a più
soggetti, l’acquisto si verifica solo a favore di chi, per primo, lo ha notificato al
debitore o per primo ha ricevuto l’accettazione di questi, con atto di data certa.

Attraverso la cessione del credito si realizza la successione nel lato attivo di un


rapporto che rimane sempre lo stesso.
Di conseguenza:

 insieme con il credito si trasferisce ogni accessorio (Art. 1263) (privilegi, pegni,
ipoteche, etc.)

 il debitore ceduto può opporre al cessionario le eccezioni personali e reali che


avrebbe potuto far valere di fronte al cedente.

 se la cessione è a titolo oneroso: il cedente è tenuto a garantire l’esistenza del


credito, ma non la solvibilità del debitore, a meno che non intervenga apposito
patto Art. 1267)
Nel primo caso si ha una cessione pro soluto, perché con il trasferimento del
credito si ha la liberazione del cedente nei confronti del cessionario, il quale si
intende soddisfatto.
Nel secondo si ha una cessione pro solvendo (la soddisfazione del cessionario
avverrà in futuro) e la liberazione si ha solo quando il cessionario abbia
effettivamente riscosso il credito; pertanto, se il debitore ceduto non paga,
pagherà per lui il cedente ma solo nei limiti del corrispettivo ricevuto per la
cessione, oltre a dover pagare gli interessi e rimborsare le spese.

 se la cessione è a titolo gratuito: l’Art. 1266 stabilisce che “la garanzia


dell’esistenza del credito è dovuta solo nei casi e nei limiti in cui la legge pone a
carico del donante la garanzia per evizione”, cioè nei casi di cui all’Art. 797”

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SURROGAZIONE PER PAGAMENTO

Normalmente il pagamento del terzo, quando è consentito, estingue l’obbligazione.


Diversamente in alcune ipotesi previste dalla legge il pagamento del terzo realizza
solo la modificazione soggettiva attiva del rapporto obbligatorio.

Tale vicenda che si definisce surrogazione, può aversi nei seguenti casi:

(a) per volontà del creditore che, ricevendo il pagamento da un terzo, dichiari
espressamente di volerlo far subentrare nei propri diritti verso il debitore (Art.
1201) (detta anche surroga per quietanza);

(b) per volontà del debitore che, prendendo a mutuo una somma per pagare il
creditore, può surrogare il mutuante nella posizione del creditore pagato sempre
che ricorrano le condizioni previste dalla legge (Art. 1202) (detta anche surroga
per imprestito);

(c) per volontà della legge (surrogazione legale): ricorre in tutti quei casi previsti
dall’Art. 1203 in cui la legge autorizza il terzo a surrogarsi nei diritti del creditore,
indipendentemente dalla volontà del creditore e del debitore.

La surrogazione per pagamento si concreta in una successione nel credito: colui che
si surroga può utilizzare le azioni spettanti al creditore cui si sostituisce e godere anche
delle eventuali garanzie delle quali è dotato il credito nel quale subentra

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MODIFICAZIONI SOGGETTIVE DAL LATO


DEBITORIO

____°____

DELEGAZIONE PASSIVA

Si ha delegazione quando un soggetto, delegante, ordina ad un altro, delegato, di


assumersi un debito o di effettuare un pagamento verso un suo creditore, delegatario

Rapporto di valuta

Delegante Delegato Delegatario


(cliente) (banca) (creditore)
(sogg.) (terzo)

Appalto di provvista

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TIPI DI DELEGAZIONE:

-) Delegazione di debito o delegatio promittendi.

Si ha quando un soggetto (il delegante) ordina al delegato di promettere di eseguire


un determinato pagamento a favore di un terzo soggetto (delegatario)

-) Delegazione di pagamento o delegatio solvendi che ricorre quando il delegante


incarica il delegato, non ad assumersi un debito, ma direttamente ad eseguire il pagamento
al delegatario.
Il pagamento estingue il rapporto di valuta e viene imputato al rapporto di provvista.

La delegazione di debito (o a promettere) si distingue in:

 cumulativa (di regola) in questo caso il delegato diventa condebitore in “solido”


perché solidale e sussidiaria. Il creditore dovrà preventivamente chiedere il
pagamento al delegato e solo in caso di sua insolvenza può rivolgersi al
delegante.
Art. 1268: se il debitore assegna al creditore un nuovo debitore, che si obbliga
verso il creditore, il debitore originario non è liberato dalla sua obbligazione, salvo
che il creditore dichiari espressamente di liberarlo.
Il creditore che ha accettato l’obbligazione del terzo non può rivolgersi al
delegante, se prima non ha richiesto al delegato l’adempimento.

 liberatoria: il creditore dichiara di voler liberare il debitore originario e in caso di


sua insolvenza il delegatario non potrà agire nei confronti del delegato, a meno
che risulti l’insolvenza del delegato fin dal momento in cui aveva assunto l’obbligo
verso il delegatario.

La delegazione di debito può essere:

 titolata se il delegato in adempimento dell’ordine ricevuto fa riferimento ad un


rapporto base (rapporto di provvista o di valuta). Il delegato potrà opporre al
delegatario tutte le eccezioni che avrebbe potuto opporre al delegante.

 Pura se il delegato, in adempimento dell’ordine ricevuto non si richiama al alcun


rapporto base. Il delegato non potrà opporre al delegatario le eventuali eccezioni
che inficiano l’uno o l’altro rapporto.

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ESPROMISSIONE

Nella espromissione (Art. 1272) un terzo, estraneo al rapporto obbligatorio, assume


spontaneamente nei confronti del creditore l’obbligazione del debitore senza delegazione.
A differenza dell’adempimento del terzo - dove il terzo esegue la prestazione – qui si
ha l’assunzione dell’obbligo di eseguire la prestazione, e quindi non l’estinzione
dell’obbligazione originaria.
La differenza sta nella spontaneità dell’iniziativa del terzo ed in più nella delegazione
esistono due rapporti giuridici, mentre nella espromissione esiste un unico rapporto a due.

Anche l’espromissione può essere:

 Cumulativa: il terzo diviene debitore in solido (Art. 1272)

 Liberatoria: il creditore dichiara espressamente di liberare il debitore originario. Il


terzo subentra nella stessa posizione del debitore originario, pertanto non potrà
opporre al creditore le eccezioni relative ai suoi rapporti con il debitore originario.
Per es.: il padre non può opporre in compensazione al terzo il credito che ha
verso il figlio.

ACCOLLO

Nell’accollo un terzo (accollante) conviene con il debitore originario (accollato)


l’assunzione del debito che questi ha nei confronti del creditore (accollatario).
Detta assunzione non richiede un atto di consenso del creditore il quale, pertanto,
non partecipa alla convenzione di accollo.
L’eventuale adesione del creditore (c.d. accollo esterno) ha la funzione di rendere
irrevocabile la dichiarazione di accollo.
Nell’accollo esterno la dottrina ravvisa un contratto a favore di terzo:
In quanto clausola o modalità che si può inserire in qualsiasi contratto nominato o no,
l’accollo è assorbito nella struttura del contratto al quale si riferisce, arricchendone la
funzione.
Se il creditore non aderisce all’accollo o non ne ha conoscenza, l’accollo – c.d.
interno (o semplice) produce effetti soltanto tra le parti, facendo sorgere in capo
all’accollante l’obbligo verso l’accollato di tenerlo indenne dal peso economico del debito,
fornendogli ad esempio i mezzi per eseguire il pagamento.
Anche l’accollo può essere cumulativo o liberatorio, qualora l’adesione del creditore
sia espressamente condizionata alla liberazione del debitore originario.
L’insolvenza originaria dell’assuntore non libera il debitore originario e la
dichiarazione di nullità o l’annullamento del negozio di accollo importa la reviviscenza
dell’obbligazione a carico del debitore originario.

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Il rischio dell’insolvenza del nuovo debitore grava, invece, sul creditore qualora la
liberazione sia stata da quest’ultimo accordata con una sua autonoma e unilaterale
dichiarazione.

MORA DEL DEBITORE

L’inadempimento dell’obbligazione può essere definitivo oppure temporaneo.


La distinzione tra ritardo e inadempimento è talvolta ardua.
In linea generale, può evidenziarsi che il ritardo equivale ad inadempimento quando
la prestazione da eseguire, scaduto il termine, non è più utile per il creditore, ovvero non è
più posibile, anche per causa non imputabile al debitore.
Non si configura mai ritardo nelle obbligazioni negative (in cui il debitore deve limitarsi
ad un pati o ad un non facere).

La mora può definirsi come un “ritardo qualificato”; in altre parole, il ritardo


nell’adempimento dell’obbligazione si qualifica come mora quando sussistono determinati
presupposti.

La mora debendi avrebbe la funzione di sanzionare il comportamento del debitore


che ha ritardato l’esecuzione della prestazione.
Secondo l’opinione prevalente, invece, lo scopo del legislatore è stato duplice:
costituire un incentivo per il debitore affinchè adempia; restaurare l’assetto di interessi
previsto dal contratto.
Il ritardo aggrava la posizione del creditore il quale, sebbene possa avere ancora
interesse a ricevere la prestazione, risulta comunque danneggiato dal comportamento del
debitore; a tal fine la legge interviene ponendo a carico del debitore l’obbligo di risarcire il
danno da ritardo.

Presupposti:

Perché si abbia mora devono verificarsi i seguenti presupposti:

a) Esigibilità del credito: ossia l’avvenuta scadenza dell’obbligazione;


b) Ritardo nell’adempimento, imputabile al debitore.

La mora può essere:

 Mora ex re (o mora di diritto), nei casi in cui il debitore è in mora senza che sia
necessaria alcuna attività del creditore. Questo avviene (Art. 12192)
1. Quando si tratta di obbligazioni da eseguirsi al domicilio del creditore ed il
termine sia scaduto.
2. Quando il debito derivi da atto illecito: si incorre nella mora fin dal momento in
cui l’atto fu compiuto.
3. Quando il debitore dichiari per iscritto, di non voler adempiere.

 Mora ex persona, nei casi in cui è necessaria una intimazione formale ad


adempiere (c.d.. atto di costituzione in mora, per mezzo dell’ufficiale giudiziario o
più semplicemente per iscritto); ad essa deve farsi ricorso:
 Se il debito è pagabile presso il debitore ;
 Quando manchi il termine per l’adempimento ed il creditore non l’abbia fatto
fissare dal giudice.

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Se, dopo la mora, la prestazione diviene impossibile, benchè per causa non
imputabile al debitore, quest’ultimo non è liberato ed è tenuto a risarcire anche il danno da
inadempimento.

L’effetto liberatorio si può produrre soltanto per le prestazioni aventi ad oggetto una
cosa determinata, qualora il debitore provi che la cosa sarebbe egualmente perita presso il
creditore.
Se l’obbligazione è di restituire una cosa illecitamente sottratta, il debitore non è mai
liberato.
Non si ha mora qualora il debitore, “tempestivamente”, abbia fatto offerta non formale
della prestazione, salvo che il creditore l’abbia rifiutata per un motivo legittimo.
L’offerta deve essere seria, completa ed effettiva: un mero impegno ad adempiere
non è sufficiente.
Un’offerta non formale che intervenga dopo la costituzione in mora del debitore ne
interrompe gli effetti.
L’adempimento tardivo li elimina ex nunc, provocando la c.d. purgazione della mora.
In entrambe le ipotesi, il debitore risponde dei danni provocati dal ritardo

----*----

INADEMPIMENTO

Si ha inadempimento quando la prestazione non è eseguita al momento dovuto, nel


luogo dovuto e secondo le modalità convenute.
Il mancato od inesatto adempimento può dipendere tanto da cause imputabili ad
debitore (negligenza, dimenticanza, etc.) quanto da cause non imputabili allo stesso (es.:
perimento della cosa dovuta).

Nel primo caso si parlerà di inadempimento ed il debitore sarà tenuto al risarcimento


del danno al creditore (Art. 1218);
nel secondo caso, invece, l’obbligazione si estinguerà per impossibilità
sopravvenuta (Art. 1256).

Il legislatore ha preferito sanzionare l’inadempimento, in ogni caso, a prescindere


dall’indagine circa il dolo o la colpa.
Al riguardo, l’Art. 1218 stabilisce una inversione dell’onere della prova: dovrà
essere il debitore e non il creditore a dimostrare che l’inadempimento o il ritardo è stato
determinato da una causa a lui non imputabile.
La responsabilità di cui all’Art. 1218 è detta contrattuale.

L’inadempimento, quindi, sussisterebbe per il solo fatto che la prestazione dovuta sia
rimasta ineseguita ed il comportamento diligente del debitore non assumerebbe rilevanza
se egli non dimostrasse l’oggettiva impossibilità della prestazione.
Il rigore di tale impostazione, posto a tutela della posizione creditoria deve essere
però mitigato dall’Art. 1176, in base al quale, se il debitore è sstato diligente, e ciò
nonostante non sia stato obiettivamente possibile adempiere, non potrà essere tenuto al
risarcimento del danno.

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IMPOSSIBILITA’ SOPRAVVENUTA PER CAUSA NON


IMPUTABILE AL DEBITORE

L’impossibilità sopravvenuta della prestazione, per una causa non imputabile al


debitore, determina l’estinzione dell’obbligazione (Art. 1256).
Tale effetto non si verifica nel caso in cui l’impossibilità sopravvenga durante il
periodo di mora del debitore, salvo che questi non dimostri che l’oggetto della prestazione
sarebbe ugualmente perito presso il creditore (Art. 1221).

Perché si abbia estinzione dell’obbligazione e conseguente liberazione del debitore


deve trattarsi di:

Impossibilità oggettiva: l’impedimento che determina l’impossibilità deve essere


oggettivo, ossia deve riguardare la prestazione in sé e per sé e non le vicende soggettive
del debitore.
L’impossibilità non può configurarsi in alcuni tipi di obbligazioni:
 Nelle obbligazioni pecuniarie: in quanto è inammissibile una causa liberatoria
dalla obbligazione di pagare una somma di denaro, essendo tale prestazione
sempre possibile;
 Nelle obbligazioni generiche: in quanto il debitore avrà sempre la possibilità di
procurarsi cose dello stesso genere anche in caso di distruzione o altro
impedimento a pagare con quelle nella sua disponibilità;
 Nelle obbligazioni negative: in quanto la prestazione consiste in un “non fare” che,
per sua natura, non è suscettibile di impossibilità sopravvenuta (Art. 1222).
L’impossibilità sopravvenuta è configurabile anche per questa specie di obbligazioni
nel caso in cui intervenga una “positiva necessità”, sia pure temporanea, di fare o dare
qualcosa.
Si pensi, ad esempio, ad una legge che imponga ad un venditore, obbligato da un
patto di non alienare, di alienare un determinato prodotto.

Impossibilità sopravvenuta: l’impossibilità deve essere sopravvenuta, cioè deve


intervenire dopo la conclusione del negozio o il verificarsi del fatto o atto che ha dato
origine all’obbligazione.
Diversamente, l’impossibilità originaria determina, ai sensi dell’Art, 1346, la nullità del
negozio.

Impossibilità assoluta (o inevitabile): l’impossibilità deve essere tale da non


consentire in alcun modo di adempiere, riscontrabile nel caso fortuito e nella forza
maggiore o in un fatto, anche umano, che impedisca al debitore di adempiere.

Impossibilità totale: l’impossibilità deve riguardare tutta la prestazione.


Diversamente, se la prestazione è divenuta impossibile solo in parte, il debitore si libera
dall’obbligazione eseguendo la prestazione per la parte che è rimasta possibile (Art. 1464).

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Impossibilità definitiva: solo l’impossibilità definitiva determina l’estinzione, ovvero


l’impossibilità temporanea che perduri, però, fino al momento in cui il creditore non ha più
interesse a conseguire la prestazione.
La semplice impossibilità temporanea esclude la responsabilità del debitore per il
ritardo nell’adempimento, cioè esclude la mora del debitore.

L’Art. 1256 dispone l’estinzione dell’obbligazione e la liberazione del debitore.


Di conseguenza, il rischio è sopportato interamente dal creditore, il quale perde il
diritto a ricevere la prestazione.
Questa regola non è sufficiente a disciplinare i riflessi dell’impossibilità sopravvenuta
di una prestazione in un contratto a prestazioni corrispettive.
In tal caso, infatti, il debitore, liberato dall’obbligazione a causa della sopravvenuta
impossibilità di adempiere, non può chiedere la controprestazione, e deve restituire quella
che abbia già ricevuto e quindi il rischio ricade nella sfera giuridica del debitore

----*----

RISARCIMENTO DEL DANNO

Il diritto al risarcimento del danno si articola in maniera differente a seconda che il


diritto sia assoluto o relativo e, quindi, sia configurabile un illecito in senso stretto ex Art.
2043 ovvero un inadempiemento ex Art. 1218.
Nel primo caso il problema che si pone è quello di una restitutio in pristinum, che si
risolve nell’evitare che le conseguenze già prodotte possono protrarsi per il futuro.
Nel secondo caso, invece, la prima esigenza sarà quella di realizzare coattivamente
l’interesse del creditore.

Ai sensi dell’Art. 1223 il risarcimento del danno comprende:

 Il danno emergente, ossia la perdita effettivamente subita per la mancata


prestazione;
 Il lucro cessante, o mancato guadagno, ossia il lucro che il creditore avrebbe
realizzato se avesse utilizzato la prestazione ottenuta.

Il risarcimento del danno avviene sempre per equivalente, attraverso cioè il


pagamento di una somma di denaro, dal momento che la prestazione è divenuta
impossibile o non più utile per il creditore.

Le manifestazioni del danno di cui si è detto sono risarcibili se sono conseguenza


immediata e diretta dell’inadempimento o del ritardo

Prevedibilità del danno ( Art. 1225):

Se l’inadempimento (o il ritardo) è colposo i danni risarcibili sono limitati a quelli


prevedibili nel tempo in cui è sorta l'obbligazione.

Il danno è prevedibile quando, nel momento in cui sorse l’obbligazione, era possibile
prevedere che l’inadempimento o il ritardo avrebbero comportato quel pregiudizio
lamentato poi dal creditore.
Se questa valutazione non era possibile il danno sarà considerato imprevedibile.
Se invece l’inadempimento (o il ritardo) è stato doloso, il debitore è tenuto a risarcire
anche i danni imprevisti e imprevedibili.

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Il creditore, in base ai principi generali, non deve provare la colpa nello


inadempimento, deve però dimostrare l’esistenza e l’ammontare del danno che pretende di
aver subito. Tuttavia (Art. 1226), se l’entità del danno non può essere provata nel preciso
ammontare, verrà liquidata dal giudice con valutazione equitativa.

CLAUSOLA PENALE

In caso di inadempimento o di un ritardo, il creditore ha diritto ad un risarcimento che,


in mancanza di accordo, segue ad una sentenza di condanna.
Al creditore conviene quindi una clausola penale (Art. 1381) con cui concorda con il
debitore, preventivamente, una prestazione come risarcimento in caso di inadempimento,
Con questa pattuizione limita il risarcimento alla prestazione specifica.
L’ammontare della penale non può essere irrisorio, ma non può neanche essere
eccessivo (in tal caso il giudice lo diminuirà.

----*----

CAPARRA

La caparra è prevista per i soli contratti a prestazioni corrispettive, per rafforzare il


diritto del creditore all’adempimento e al risarcimento del danno in caso di inadempimento.
La caparra si distingue in:
 Caparra confirmatoria (Art. 1385): è una somma di danaro o una quantità di
cose fungibili che, al momento della costituzione del rapporto obbligatorio, una
parte dà all’altra, quale conferma dell’adempimento, di cui segna quasi
un’anticipata e parziale esecuzione.
Se il contratto viene adempiuto, la caparra deve essere restituita o imputata alla
prestazione dovuta.
In caso di inadempimento, invece, se inadempiente è la parte che ha dato la
caparra, l’altra può recedere dal contratto e ritenere la caparra; se inadempiente è
la parte che l’ha ricevuta, l’altra può recedere dal contratto ed esigere il doppio
della caparra; in entrambi i casi, se la parte che non è inadempiente preferisce
domandare l’esecuzione o la risoluzione del contratto, il risarcimento del danno è
regolato dalle norme generali e la caparra sarà trattenuta in conto dei danni che
saranno liquidati;

 Caparra penitenziale (Art. 1386): in tal caso, la somma che una parte dà all’altra
non rappresenta una cautela contro l’inadempimento, ma è il corrispettivo per
l’attribuzione della facoltà di recesso del rapporto contrattuale.
Una volta versata la caparra, i contraenti si riservano la scelta tra l’adempimento
ed il recesso.
L’esercizio del potere di recesso può essere conferito anche disponendo a carico
del recedente una multa penitenziale.
In quest’ultima però, a differenza della caparra penitenziale, il corrispettivo non è
versato al momento della stipulazione, ma solo promesso.

Differenza tra caparra e clausola penale:

La caparra si differenzia dalla clausola penale per i seguenti motivi:


1. In primo luogo è ammessa, per i soli contratti a prestazioni corrispettive (e non per
qualsiasi obbligazione;
2. In secondo luogo, è dovuta solo in caso di inadempimento (e non anche per il
ritardo nell’adempimento);

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3. Infine, non ha la funzione di liquidare preventivamente il danno: perciò la parte


adempiente può incamerarla come anticipo per il pagamento dei danni che
saranno liquidati dal giudice qualora, invece di ritenerla e recedere dal contratto,
intenda chiedere l’esecuzione del contratto stesso oppure la risoluzione
dell’obbligazione, oltre al risarcimento del danno secondo le regole generali.

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Responsabilità patrimoniale

La responsabilità patrimoniale si può definire come l’assoggettamento del patrimonio


del debitore inadempiente al soddisfacimento forzoso delle ragioni del creditore,
La responsabilità si manifesta come conseguenza dell’inadempimento del debitore e
concorre a realizzare la tutela giuridica del diritto di credito.

L’azione personale che il creditore può esercitare contro il debitore è diretta:

-) Esecuzione forzata in forma specifica: si ottiene la soddisfazione diretta del proprio


interesse attraverso il conseguimento del bene dovuto.

-) Risarcimento del danno: quando non è più possibile l’esecuzione forzata o non è più
utile per il debitore

E’ necessario citare due norme fondamentali contenute nel codice civile:

Art.: 2740 il debitore risponde all’adempimento con tutti i suoi beni

Art.: 2741 par condicio creditorum

Art.: 27401 il debitore risponde dell’adempimento delle obbligazioni con tutti i suoi
beni presenti e futuri.
Questo art. delinea l’istituto della responsabilità patrimoniale che rappresenta quel
complesso meccanismo mediante il quale il creditore insoddisfatto può realizzare il suo
interesse aggredendo in via esclusiva i beni del debitore.
La responsabilità patrimoniale opera esclusivamente a seguito dell’inadempimento,
peraltro non sempre e non necessariamente.
La responsabilità patrimoniale non è quindi strumento alternativo o sostitutivo
dell’inadempimento, infatti il potere che ha il creditore sul patrimonio del debitore e
esclusivamente a carattere processuale: ha solo la funzione di applicare il processo
esecutivo.
Perché il creditore possa esercitare l’azione esecutiva, è necessario che il creditore sia
munito di un titolo esecutivo (es.: sentenza di condanna)
In conclusione, la responsabilità patrimoniale non può essere considerata satisfattoria
dell’interesse del creditore. Infatti, l’esecuzione generica o per espropriazione consente al
creditore di perseguire la stessa utilità che gli avrebbe procurato l’adempimento spontaneo
del debitore, solo se la prestazione aveva ad oggetto una somma di denaro.

Art. 27411 i creditori hanno uguale diritto di essere soddisfatti sui beni del debitore.
La par condicio viene utilizzata quando esiste una pluralità di creditori di un unico
debitore. Nel caso in cui i creditori abbiano promosso l’esecuzione forzata ed il ricavato
della vendita non sia sufficiente a soddisfare le loro pretese, vi sarà una ripartizione del
ricavato proporzionale all’ammontare dei corrispondenti crediti.
Esiste il divieto di promuovere azioni esecutive individuali, l’iniziativa di uno va a
vantaggio di tutti i creditori, ovvero non viene effettuata l’esecuzione forzata solo nei
riguardi di quel creditore.
Ulteriore principio a difesa della parità di trattamento e della tutela del debitore, è il
divieto del patto commissorio.

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Art. 2744 è nullo il patto con il quale si conviene che, in mancanza del pagamento del
credito nel termine fissato, la proprietà della cosa ipotecata o data in pegno passi al
creditore. Il patto è nullo anche se posteriore alla costituzione dell’ipoteca o del pegno.
Tale divieto è volto ad evitare che altri creditori possano subire il pregiudizio connesso
alla sottrazione di un bene del patrimonio del debitore sul quale essi avrebbero potuto
soddisfarsi.
E’ reputato lecito, invece, il patto marciario, con il quale il creditore, nell’ipotesi di
inadempimento, diventa proprietario della cosa ricevuta in garanzia con l’obbligo di
corrispondere al debitore la differenza tra l’ammontare del credito e l’eventuale maggior
valore del bene.

Mezzi di rafforzamento della garanzia del credito

La sola responsabilità patrimoniale non basta a garantire al creditore l’effettivo


adempimento della prestazione, soprattutto se il debitore è usuale contrarre molti debiti o
se sottrae dal suo patrimonio quei beni sui quali era fondata la fiducia del creditore.
La legge ha quindi predisposto un sistema di garanzia a disposizione del creditore, per
rafforzare il proprio credito:
-) l’aumento dei soggetti passivi, che si traduce in più patrimoni assoggettati,
attraverso garanzie personali offerte da terze persone che si impegnano a fianco al
creditore originario (FIDEIUSSORE)

-) la costituzione di una garanzia reale su alcuni beni del debitore che vengono
sottratti agli altri creditori (PEGNO o IPOTECA)

-) il conseguimento di un anticipo di esecuzione di prestazione (CAPARRA)

CAUSE LEGITTIME DI PRELAZIONE

La par condicio è derogata se sussiste a favore di una creditore una legittima causa
di prelazione: Titolo in base al quale il creditore PRIVILEGIATO è preferito nel riparto del
ricavato della vendita forzata, rispetto agli altri creditori CHIROGRAFARI
CHIROGRAFARI perché il loro diritto si affida solo ad un documento (CHIROGRAFO)
senza altre garanzie (tranne la correttezza del debitore e l’esecuzione forzata in caso di
inadempimento)

Secondo l’Art. 27412 le cause legittime di prelazione sono:


PRIVILEGIO – PEGNO – IPOTECA
E presuppongono una pluralità di creditori e non necessariamente un patrimonio
insufficiente. L’ordine di preferenza va rispettato anche in caso di un patrimonio adeguato.

Tali cause di prelazione sono sottoposte ad alcune regole comuni:

-) diritto di seguito ( o sequela): diritto di soddisfarsi sul ricavato della vendita del
bene; il creditore può aggredire il bene anche se alienato a terzi.

-) principio di conservazione della garanzia (Art. 2743): nel caso in cui la cosa data
in garanzia perisca, il creditore ha la facoltà di chiedere una idonea garanzia su altri beni,
oppure l’immediato pagamento del credito.

-) divieto di patto comunitario (Art. 2744)

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I PRIVILEGI

PRIVILEGIO Titolo di prelazione che la legge accorda al creditore in


considerazione della particolare natura o causa del credito (Art. 2745)
Alcuni crediti sono considerati dalla legge meritevoli di maggiore tutela rispetto agli altri
e quindi i loro titolari vengono soddisfatti prima.
Unica fonte dei privilegi è la legge; ciò vuol dire che le parti non possono creare altri
crediti privilegiati, oltre quelli previsti dal legislatore.
A volte la legge subordina la costituzione del privilegio ad un accordo tra le parti
(PRIVILEGIO CONVENZIONALE); è anch’esso previsto dalla legge, ma non opera
automaticamente.

T i p i:
I privilegi si distinguono in due categorie (Art. 2746):

-) privilegio generale: si esercita su tutti i beni mobili del debitore.


In forza dell’Art. 2747 il privilegio generale esplica la sua funzione solo se al
momento del pignoramento esistono beni mobili nel patrimonio del debitore; prima di allora
il creditore assistito da un privilegio generale non gode di diritti diversi da quelli dei creditori
chirografari (no diritto di sequela)

-) privilegio speciale: si può riferire sia a beni mobili che immobili e grava solo su
determinati beni del debitore.
Se la legge non dispone diversamente, i privilegi speciali, a differenza di quelli generali,
sono accompagnati dal c.d.
Diritto di seguito: possono perciò esercitarsi anche in pregiudizio dei diritti acquistati
dai terzi posteriormente al loro sorgere (Art. 2747)
Essi costituiscono una garanzia reale

Nel caso di coesistenza di più crediti privilegiati, la priorità non viene riferita al tempo
(come per le garanzie reali), ma alla causa del credito, per stabilire quale di esso
costituisca la prima causa di prelazione.
Tale scelta viene effettuata nel rispetto degli Artt. 2777 – 2783
Le spese di giustizia hanno sempre la preferenza assoluta.
Secondo l’Art. 2748 il privilegio speciale sui beni mobili non può essere esercitato in
pregiudizio del credito garantito da pegno; invece, il creditore con privilegio speciale
immobiliare è preferito al credito garantito da ipoteca.

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I diritti reali di garanzia assicurano al creditore la possibilità di sottoporre ad esecuzione


forzata un bene del debitore, con preferenza rispetto ad altri creditori.
Le tradizionali garanzie reali sono il pegno e l’ipoteca che consentono al creditore
insoddisfatto di procedere alla vendita del bene o di richiederne l’assegnazione (pegno), e
l’espropriazione dei beni (ipoteca)
Il pegno e l’ipoteca presentano caratteristiche comuni:

-) immediatezza: per il loro esercizio non è necessaria la cooperazione da


parte di terzi

-) assolutezza: sono opponibili erga omnes

-) diritto di sequela: il creditore ha il potere di procedere ad esecuzione forzata


sul bene, anche se esso è stato alienato.

-) accessorietà: se manca o si estingue l’obbligazione, viene meno o si


estingue anche la garanzia

-) specialità: il pegno e l’ipoteca hanno per oggetto solo beni determinati

-) indivisibilità: il diritto di pegno e l’ipoteca si estende sull’intero bene

-) determinatezza: la garanzia viene costituita solo in relazione a determinati


crediti

Il pegno e l’ipoteca si differenziano in quanto:


 Il primo ha per oggetto beni mobili; la seconda beni immobili, mobili registrati.
 Con il pegno si trasferisce materialmente il bene al creditore, sottraendone il
possesso al debitore; con l’ipoteca il godimento del bene rimane al proprietario ed il
diritto di garanzia si costituisce mediante l’iscrizione in pubblici registri.

***
PEGNO
ll pegno è un diritto reale di garanzia; “…è costituito a garanzia dell’obbligazione dal
debitore o da un terzo per il debitore.
Possono essere dati in pegno i beni mobili, le universalità di mobili, i crediti e altri diritti
aventi ad oggetto beni mobili” (Art. 2784)
Art. 2786: il pegno si costituisce con la consegna al creditore della cosa o del documento
che conferisce l’esclusiva disponibilità della cosa. La cosa o il documento possono anche
essere consegnati ad un terzo designato dalle parti, o possono essere posti in custodia di
entrambe, in modo che il costituente sia nell’impossibilità di disporne senza la cooperazione
del creditore.
E’ quindi indispensabile, perché il pegno si costituisca, che vi sia l’effettivo
spossessamento del debitore e la concreta appropriazione del bene da parte del creditore o
di un terzo designato dalle parti.
A mente dell’Art. 2786 il pegno si costituisce mediante contratto
Contratto di pegno: è un contratto reale, perché si perfeziona con la consegna della cosa.

Art. 27871: il creditore ha diritto di farsi pagare con prelazione sulla cosa ricevuta in pegno

Art. 27872: la prelazione non si può far valere se la cosa data in pegno non è rimasta in
possesso del creditore o verso il terzo.

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Art. 27873: quando il credito garantito eccede la somma di 5.000 lire, la prelazione non ha
luogo se il pegno non risulta da scrittura con data certa, la quale contenga sufficiente
indicazione del credito e della cosa.
La legge attribuisce al creditore una limitata facoltà di godimento, in quanto:

-) il creditore, in forza dell’Art. 2789, in caso di perdita di possesso, può esercitare le azioni
possessorie e di rivendicazione solo, però, se queste spettano al costituente.

-) per l’Art. 2790, il creditore è tenuto a custodire la cosa ricevuta in pegno e risponde
dell’eventuale perdita e deterioramento. Colui che ha costituito il pegno è tenuto al rimborso
delle spese occorse per la conservazione della cosa.

-) per l’Art. 2792, il creditore non può, senza il consenso del costituente, usare la cosa,
salvo che l’uso sia necessario per la sua conservazione. Egli non può darla in pegno o
concedere ad altri il godimento di essa. In ogni caso, deve imputare l’utile ricavato prima
alle spese e agli interessi e poi al capitale.

-) per l’Art. 2791: in caso di bene fruttifero, il creditore, salvo patto contrario, ha la facoltà di
fare i suoi frutti, imputandoli prima alle spese, poi agli interessi, e poi al capitale.

-) per l’Art. 2793, se il creditore abusa della cosa data in pegno, il costituente può
domandarne il sequestro.

-) per l’Art. 2798 il creditore può domandare al giudice che la cosa gli venga assegnata in
pagamento, fino alla concorrenza del debito.

Si ha pegno irregolare quando il diritto di garanzia ha per oggetto una cosa fungibile
In tal caso, il creditore non è tenuto a conservare e restituire la medesima cosa, ma
soltanto una cosa dello stesso genere.
In caso di inadempimento può trattenere la cosa definitivamente, determinandosi
così un trasferimento di proprietà dal debitore al creditore.
Il pegno si estingue:
. per rinuncia alla garanzia
. per estinzione del credito garantito
. per perimento della cosa
. per estinzione del diritto di garanzia

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RESPONSABILITA’ PERSONALE
ED ESECUZIONE FORZATA

La responsabilità patrimoniale è citata nel codice civile dai due Artt. 1218 e 2740:
nel primo sorge l’obbligo di risarcire il danno causato al creditore dall’inadempimento, il
secondo indica la soggezione dei beni del debitore all’azione esecutiva del creditore
insoddisfatto.
La responsabilità patrimoniale presuppone, oltre all’inadempimento dell’originaria
obbligazione, anche l’inadempimento della conseguente obbligazione risarcitoria.
L’adempimento di quest’ultima fa venir meno la responsabilità patrimoniale eciò
dimostra che le due responsabilità citate negli articoli suddetti sono distinte.
La responsabilità personale ha una funzione preparatoria di quella patrimoniale,
La responsabilità patrimoniale consiste nell’attribuzione al creditore di una somma di
denaro ricavata dall’espropriazione forzata dei beni del debitore, richiede quindi che
l’obbligazione da attuare coattivamente abbia ad oggetto una somma di denaro.
In caso contrario, agisce la responsabilità personale, la quale o sostituisce
all’obbligazione inadempiuta quella risarcitoria, qualora la prestazione originaria non
consista nella consegna di una somma di denaro o aggiunge all’obbligazione inadempiuta
quella risarcitoria per il danno conseguente al ritardo, sia nell’obbligazione originaria, sia
nell’obbligazione suscettibile di esecuzione forzata in forma specifica

Esecuzione forzata procedimento volto a permettere la realizzazione coattiva


del diritto di credito nei due aspetti:

-) conseguimento dell’esatta prestazione


-) risarcimento danni

Sotto il primo aspetto, bisogna distinguere l’esecuzione forzata in forma specifica da


quella per equivalente (o per espropriazione). La prima esecuzione è caratterizzata dalla
identità tra il bene dovuto, quello aggredito e quello conseguito.

ESECUZIONE FORZATA FORMA SPEC. (2930 e sg.)

-) obbligo di dare una cosa specifica o generica, purchè specificata (nel genere e
nella quantità) e deve essere presente nel patrimonio del debitore.

-) obbligo di un fare fungibile, vige il principio della incoercibilità delle azioni umane,
pertanto il debitore non può essere costretto ad un facere che verrà eseguito da un terzo a
spese dell’obbligato.

-) obblighi di non fare; il creditore potrà ottenere la distruzione (a scelta del debitore)
di ciò che è stato costruito in violazione, a meno che la distruzione non contrasti con
l’economia nazionale; in questo caso, potrà ottenere solo il risarcimento esecuzine
forzata per equivalente

-) obbligo di prestare il consenso (Art. 2932): il creditore potrà ottenere una


sentenza che produce gli stessi effetti del contratto non concluso, nel caso in cui colui che è
obbligato a concludere il contratto non adempia.

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ESECUZIONE PER EQUIVALENTE O IN FORMA GENERICA

Non presuppone l’identità tra bene dovuto, bene aggredito, bene conseguito.
E’ questa la forma con la quale si realizza l’adempimento coattivo dell’obbligo di fare
infungibile, del risarcimento danni e delle prestazioni aventi ad oggetto denaro.
L’esecuzione per equivalente viene effettuata se non sono presenti le caratteristiche
dell’esecuzione in forma specifica, ovvero se l’obbligazione è pecuniaria (la prestazione
non consiste né in un dare, fare o non fare)
In questo caso, esistono tre fasi:

1) pignoramento: con questo atto il creditore impone al debitore di non utilizzare i


beni pignorati
2) vendita all’asta: vengono venduti all’asta i beni pignorati
3) il ricavato della vendita viene distribuito tra i creditori

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-) I SOGGETTI:

Ogni volta che nasce un’obbligazione, si è in presenza di un vincolo giuridico che impone ad
un soggetto (debitore) un dato comportamento per soddisfare un interesse proprio di altra persona
determinata (creditore)

Soggetti del rapporto obbligatorio: * determinati


* portatori di interessi contrapposti

Es.: Lavoratore
(interesse ad arricchire il proprio
patrimonio)
Datore di lavoro
(interesse ad avvalersi delle altrui energie)

Normalmente, nelle altre situazioni soggettive, il titolare del diritto, esercitando il proprio, può
attuare in via autonoma il proprio interesse.
Nella situazione creditoria è invece richiesta l’intermediazione dell’altrui prestazione.
L’interesse creditorio è elemento fisionomico del rapporto obbligatorio; infatti, non si può
parlare di obbligazione se un soggetto può realizzare un interesse in via autonoma (senza l’altrui
collaborazione).

1) determinabile in ogni momento “per relationem”; queste sono chiamate obbligazioni


propter rem (le obbligazioni reali), perché i soggetti sono i titolari dei diritti reali di
godimento o dei diritti di proprietà

2) il soggetto è determinabile solo in seguito alla verificazione di specifiche condizioni


stabilite dal negozio giuridico o dalla legge.
In questo caso, il creditore è indeterminato alla nascita dell’obbligazione ma determinabile
(obbl. in incertam personam): es: promessa al pubblico di una prestazione a favore di chi
si trovi in una certa situazione (i nati nel 2000) o facente una specifica cosa (scoperta
vaccino AIDS).
L’obbligazione vera e propria nasce solo dopo l’individuazione del soggetto.

-) IL DOVERE DI CORRETTEZZA

Art. 1175: Il creditore ed il debitore devono comportarsi secondo le regole della correttezza
La valutazione della correttezza spetta al giudice.

Correttezza: desunta da complesso normativo in un periodo storico e dai principi costituzionali


è quindi variabile nel tempo.

Non si può distinguere la correttezza dalla buona fede oggettiva. (buona fede soggettiva =
stato psicologico di chi ignora di ledere interessi altrui).
Il principio di correttezza è violato non solo quando la parte agisce con l’intenzione dolosa di
recare danno all’altra, ma anche quando il suo comportamento non è improntato sulla schiettezza
e sul senso di solidarietà sociale.

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-) L’INTERESSE

L’interesse del creditore è indispensabile per la stessa nascita del rapporto, altrimenti non
si giustificherebbe l’imposizione al debitore di un vincolo che limiti e ne comprima la libertà.
(Le conseguenze patrimoniali negative spingono il debitore ad essere diligente limite
alla libertà di comportamento che si traduce, per lui, in uno sforzo determinato dall’interesse del
creditore).

L’interesse deve essere presente al momento della nascita, durante l’intero sviluppo del
rapporto ed al momento dell’adempimento (momento finale: viene realizzato l’interesse).
Infatti, se l’interesse viene meno prima dell’adempimento, l’obbligazione viene estinta per
conseguimento dello scopo, che determina la liberazione del debitore, in quanto l’esecuzione
della prestazione, anche se possibile, non sarebbe più idonea ad attuare alcun interesse del
creditore.
Il creditore può talora richiedere che la prestazione sia effettuata personalmente dal
debitore (rapporti fondati sull’INTUITUS PERSONAE).

Si ha anche un interesse del debitore a liberarsi dal vincolo che non può però essere
considerato un vero e proprio diritto all’adempimento.
Infatti, se così fosse, dovrebbe esistere un dovere del creditore a ricevere la prestazione.
Il creditore può rifiutarsi di cooperare all’adempimento, anche quando il debitore abbia
dichiarato di non voler profittare della remissione.
Al debitore resta solo di costituire in mora il creditore ed espedire la procedura coattiva di
liberazione.

Nell’ordinamento sono presenti un certo numero di norme che permettono al debitore di


liberarsi, a prescindere e anche contro la volontà del creditore che non intenda ricevere la
prestazione – mora del creditore Art. 1206 e ss.

-) LA PRESTAZIONE

Art. 1174: prestazione: caratterizzata dalla necessaria patrimonialità, a prescindere dal


suo contenuto. La prestazione costituisce l’oggetto dell’obbligazione e
consiste in un comportamento da tenersi da parte del debitore per realizza-
re il diritto del creditore che può consistere in un interesse anche non pa-
trimoniale.

La necessità della patrimonialità è determinata dalla necessità di precisare che


l’autonomia contrattuale è circoscritta alle vicende relative ai beni ed ai valori oggettivamente su-
scettibili di valutazione economica.

Il comportamento può consistere in:


-) fare
-) non fare
-) dare

Vicende relative a beni non economicamente valutabili sono ritenute rilevanti solo in casi
particolari (per diritti della personalità, successioni, famiglia).
La prestazione deve essere determinata: deve cioè essere possibile conoscere
l’ammontare della prestazione.
Se non è determinata, deve essere determinabile fin dall’inizio.

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-) L’OBBLIGAZIONE NATURALE

Vincoli non giuridici non tutelati dall’ordinamento possono, però, acquistare rilevanza in casi
Particolari.

Art. 2034. non è ammessa la ripetizione di quanto è stato spontaneamente prestato in esecuzione
di doveri morali e sociali, salvo che la prestazione sia stata eseguita da un incapace.

Tali doveri non sono coercibili perché non giuridici ma determinano l’IRRIPETIBILITA’ di quanto
prestato spontaneamente.

La violenza è sempre rilevante, l’errore mai.

Ha l’adempimento natura negoziale?


Due teorie:

1) Sì, perché, nel caso di obb. Civile, l’incapacità del solvens sarebbe irrilevante perché atto
dovuto; mentre l’obb. Naturale, come tutti i negozi giuridici, può essere impugnabile per
violenza, dolo, incapacità di agire e di intendere e volere eccezione per l’errore

2) No, perché non è atto voluto, come suddetto, ma imposto da obblighi morali. Il solvens può
infatti decidere di non attivare l’adempimento, ma il dovere morale rimarrà comunque. Quindi,
la norma non va interpretata con la natura negoziale dell’atto, ma con il principio di
autoresponsabilità posto a tutela degli incapaci.
Es.: debito prescritto
debito di gioco

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SITUAZIONI REALI E SITUAZIONI DI CREDITO

Caratteri distintivi

Situazioni reali Situazioni di credito

-) assolutezza (possibilità per il titolare -) relatività (situazione esercitabile solo nei


di far valere il proprio diritto nei con- confronti di una persona determinata
fronti della generalità) il debitore)

-) dovere di astensione -) dovere specifico imposto ad un soggetto


determinato (debitore)

-) immediatezza (potere per il titolare di -) il titolare del diritto non potrebbe realizza-
ricavare dalla casa, oggetti di diritto, re il suo interesse se non attraverso l’in-
le utilità desiderate, in base ad una termediazione dell’altrui prestazione.
relazione diretta ed immediata con
la casa)

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L’ESTINZIONE DELL’OBBLIGAZIONE

L’obbligazione si estingue nel momento in cui l’interesse del creditore viene soddisfatto e
viene, di conseguenza, realizzato il diritto.
Esistono vari modi di estinzione di un’obbligazione, che saranno di seguito riportati:

L’ADEMPIMENTO

L’adempimento consiste nell’esatta esecuzione della prestazione, indirizzata alla


soddisfazione degli interessi sottesi al vincolo.
L’adempimento sarà l’esatta esecuzione della prestazione solo se rispetterà le modalità,
i tempi ed i luoghi preordinati e garantirà il risultato utile al creditore dedotto nel vincolo.
L’adempimento è fattispecie estintiva del rapporto e produce la realizzazione del diritto di
credito. Rappresenta quindi, l’adempimento, il modo in cui si attua il contenuto
dell’obbligazione.
Tale contenuto può essere individuato secondo due punti di vista:

-) dal punto di vista del creditore, costituisce adempimento qualsiasi azione che
soddisferà il proprio interesse (anche l’esecuzione da parte di terzi e l’esecuzione forzata)

-) dal punto di vista del debitore, costituisce adempimento qualsiasi comportamento atto
ad eseguire la prestazione e quindi soddisfare l’interesse del creditore.

E’ quindi rilevante lo sforzo del debitore per soddisfare il creditore.


La verifica dell’esistenza di tale impegno viene effettuata con la regola della diligenza:

Art. 1176: “nell’adempiere all’obbligazione, il debitore deve usare la diligenza del buon
padre di famiglia” (colpa lieve).
La violazione della diligenza media (quella del buon padre di famiglia) dà luogo a colpa
lieve.
Si parla di colpa grave quando viene violata la diligenza minima (quando il soggetto è
particolarmente trascurato).
Si parla di colpa gravissima quando viene violata la massima diligenza.
La regola della diligenza valuta l’esatta esecuzione della prestazione, verificando, nel
caso, l’esistenza di un inadempimento dovuto da impossibilità oggettiva di agire (Art. 1218)
Valuta così se lo sforzo del debitore avrebbe potuto portare ad un inadempimento e se
avrebbe potuto evitare l’impossibilità sopravvenuta.

Costituisce l’adempimento un atto negoziale?


Esistono due teorie:

*) Sì, perché c’è consapevolezza di pagare (animus solvendi), cè quindi volontà.

*) No, perché non è importante la presenza o meno della volontà, ma sono importanti gli
effetti, che sono previsti dalla legge, al di là della volontà; costituisce quindi atto dovuto e non
voluto.

Oltretutto, non potrebbe essere atto negoziale, in quanto è irrilevante la capacità del
debitore adempiente. Sono rilevanti solo il comportamento e l’esattezza della prestazione.
Per esattezza si intende la corrispondenza tra l’oggetto dell’obbligazione e l’oggetto della
concreta prestazione.
All’adempimento sono tenuti il debitore ed i suoi eredi a titolo universale.

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CREDITORE INCAPACE

L’estinzione dell’obbligazione, qualora l’adempimento sia stato eseguito nei confronti di


un creditore incapace, è subordinata al fatto che lo stesso creditore ne abbia conseguito un
effettivo vantaggio.
In caso contrario, l’adempimento risulta inefficace e in questa ipotesi l’unico legittimato a
ricevere è il tutore o il curatore.
La capacità di ricevere varia in relazione alla natura della prestazione:
*) per le obbligazioni di fare o non fare, che richiedono la collaborazione del creditore, è
efficace l’adempimento a destinatario incapace
*) se è richiesta la cooperazione del creditore è sufficiente la capacità di intendere e di
volere
*) per le obbligazioni di dare è necessaria la capacità di agire

CREDITORE APPARENTE

Se il debitore esegue la prestazione dell’adempimento a chi appare leggittimato a


ricevere il pagamento è liberato se prova di essere stato in buona fede.
In tal caso, si ha attuazione dell’obbligo, liberazione del debitore, ma non realizzazione
del diritto di credito.
Il creditore, non realizzando il suo interesse alla prestazione dovuta, può agire, con
l’azione di ripetizione dell’indebito, nei confronti di chi l’ha ricevuta (anche se in buona fede)

L’ADEMPIMENTO DEL TERZO

L’obbligazione può essere adempiuta da un terzo anche contro la volontà del creditore
ma non contro la volontà del debitore. Questi può rifiutare l’adempimento in due ipotesi: se
ha interesse all’esecuzione personale del debitore o se quest’ultimo gli ha manifestato la sua
opposizione.
L’intervento del terzo può essere paralizzato nel caso di prestazioni intuitus personae
(infungibili) o di concorde volontà contraria del creditore e del debitore.
Il rifiuto ingiustificato di ricevere l’adempimento del terzo preclude al creditore di
pretendere successivamente la prestazione dal proprio debitore.
Il terzo potrà rifarsi sul debitore, al quale estingue il diritto ma non l’obbligo.
L’atto è sicuramente negoziale, essendo assolutamente voluto e non dovuto.
Assoluta importanza dell’animus solvendi: è assolutamente importante l’intenzione di
adempiere l’obbligo altrui.
Se manca l’animus, o se il debito era inesistente, viene applicata la dell’indebito.

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ADEMPIMENTO PARZIALE

Il debitore è tenuto all’esecuzione integrale della prestazione.


Il creditore può sempre rifiutare un adempimento parziale, anche quando la prestazione
è divisibile, salvo che la legge o gli usi dispongano diversamente (Art.: 1181)
Se il creditore acconsente, l’esecuzione parziale libera il debitore per la parte eseguita.
Al creditore è attribuita la sola facoltà di rifiuto, non anche il potere di pretendere un
adempimento parziale

ADEMPIMENTO CON COSE ALTRUI

Art.: 1192 Il debitore non può impugnare il pagamento eseguito con cose di cui non
poteva disporre, salvo che offra di eseguire la prestazione con cose di cui può disporre.
Il creditore che ha ricevuto il pagamento in buona fede può impugnarlo, restituendo
l’oggetto dell’adempimento e pretendendo un nuovo adempimento, oltre al risarcimento del
danno.

TEMPO DELL’ADEMPIMENTO

Se non è determinato il tempo in cui la prestazione deve essere eseguita, il creditore


può esigerla immediatamente.
Nel caso in cui, invece, sia necessario un termine, questo, in mancanza di accordo tra le
parti, è deciso dal giudice (1183-1)
Se per l’adempimento è fissato un termine, questo si presume a favore del debitore,
qualora non risulti stabilito a favore del creditore o di entrambi

Il creditore non può esigere la prestazione prima della scadenza del termine, salvo che
esso sia stabilito esclusivamente a suo favore (1185-1)
Il debitore non può ripetere ciò che ha pagato anticipatamente, anche se ignorava
l’esistenza del termine.
In tal caso, però, egli può ripetere, nei limiti della perdita subita, ciò di cui il creditore si è
arricchito per effetto del pagamento anticipato (1185-2)

Anche se è stato stabilito un termine, il creditore può esigere immediatamente la


prestazione se il debitore è diventato insolvente o ha diminuito le garanzie che aveva dato o
non ha dato le garanzie che aveva promesso (1186)

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LUOGO DELL’ADEMPIMENTO

Art.: 1182: se il luogo nel quale la prestazione deve essere eseguita non è determinato
dalla convenzione, o dagli usi, e non può desumersi dalla natura della prestazione, si
osservino le norme che seguono:

-) L’obbligazione di consegnare una cosa certa e determinata, deve essere adempiuta


nel luogo in cui si trova la cosa quando l’obbligazione è sorta.

-) L’obbligazione avente ad oggetto una somma di denaro deve essere adempiuta al


domicilio che il creditore ha al tempo della scadenza. Se tale domicilio è diverso da quello
che il creditore aveva quando è sorta l’obbligazione e ciò rende più gravoso l’adempimento, il
debitore, previa dichiarazione del creditore, ha diritto di eseguire il pagamento al proprio
domicilio.

Negli altri casi, l’adempimento va effettuato al domicilio che il debitore ha alla scadenza.

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IMPUTAZIONE DELL’ADEMPIMENTO

ART1193-1: chi ha più debiti della medesima specie verso la stessa persona può
dichiarare, quando paga, quale debito intende soddisfare.

ART1193-2 : in mancanza di tale dichiarazione, il pagamento deve essere imputato al


debito scaduto; tra più debiti scaduti, a quello meno garantito; tra più debiti garantiti, a quello
più oneroso; tra più debiti ugualmente onerosi, al più antico.

ART 1194-1: il debitore non può imputare il pagamento al capitale, piuttosto che agli
interessi ed alle spese, senza il consenso del creditore.

ART 1194-2: il pagamento fatto di conto capitale e di interessi,deve essere imputato


prima agli interessi e poi al conto capitale.

L’imputazione per iniziativa del debitore ha la stessa natura dell’adempimento.


Se il debitore non esercita la facoltà di imputazione, questa può essere effettuata dal
creditore all’atto di rilascio della quietanza ma deve essere accettata dal debitore.
Con l’accettazione della quietanza il debitore è posto in condizione di prendere
conoscenza dell’avvenuta imputazione e di farla propria:il deditore,infatti, può sempre
rifiutare la quietanza e richiederne altra con una diversa imputazione.

Quietanza : dichiarazione con la quale il creditore attesta l’avvenuto pagamento.


E’ un atto dovuto, unilaterale e recettizio . In caso di accettazione di adempimento
parziale, la quietanza costituisce prova liberatoria soltanto per la parte eseguita.
L’effetto della quietanza è la predisposizione di una prova liberatoria.
La quietanza è dunque strumentale alla soddisfazione di un interesse di protezione del
debitore.
Questo interesse concerne principalmente la sfera economica del debitore, infatti il rifiuto
di rilasciare la quietanza espone il debitore adempiente al rischio di adempiere 2 volte nel
caso non sia possibile rinvenire la prova liberatoria.
Il debitore vanta un vero e proprio diritto alla quietanza.
Il debitore può chiedere la quietanza anche prima del pagamento , subordinando cioè
quest’ultimo al rilascio della quietanza; l’eventuale rifiuto da parte del creditore, non
legittimamente giustificato, fa scattare la “mora credendi” che comporta una più efficace
tutela dell’interesse del debitore.
La richiesta di quietanza a seguito dell’adempimento è l’esercizio di un diritto del
debitore a fronte del quale la specifica cooperazione del creditore è oggetto di un obbligo
strumentale alla soddisfazione dell’interesse di protezione del debitore.
Il debitore fa valere tale interesse quando subordina il pagamento al rilascio della
quietanza, o quando rifiuta di adempiere a fronte del comportamento omissivo del creditore:
nel primo caso si producono gli effetti della “mora credendi” , nel secondo caso si ha
un’eccezione di inadempimento che esclude che il debitore possa essere dichiarato
inadempiente.
In entrambe le ipotesi, il rilascio della quietanza è un oner del creditore.

PRESTAZIONE IN LUOGO DELL’ADEMPIMENTO

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Se il creditore accetta, senza riserve, la prestazione, implicitamente condivide la


conformità dell’esecuzione di quanto divuto, qualora sia trascorso l’eventuale termine di
decadenza per la denuncia dei vizi riconoscibili.
L’accettazione è esercizio di autonomia negoziale.
Il creditore ha l’onere di rifiutare la prestazione inesatta o di denunciare l’inesattezza
entro untermine di decadenza.
Nell’ipotesi di difformità o di vizi occulti il termine decorre dalla scoperta e, se i vizi sono
occultati in malafede dal debitore, non è previsto alcun termine di decadenza.
Non produce effetto liberatorio l’esecuzione di una prestazione diversa da quella dovuta,
anche se di valore eguale o maggiore, a meno che il creditore vi consente.
La prestazione in luogo dell’adempimento richiede l’accordo tra creditore e debitore.
Senza il consenso del creditore, l’esecuzione di una prestazione diversa non produce né
l’effetto liberatorio , né quello estintivo; necessario è pure il consenso del debitore, in
mancanza del quale la prestazione diversa sarebbe ripetibile perché senza causa.

ART 1197-1: il debitore non può liberarsi eseguendo una prestazione diversa da quella
dovuta, anche se di valore uguale o maggiore , salvo che il creditore consenta. In questo
caso l’obbligazione si estingue quando la diversa prestazione è eseguita.

Ciò distingue la datio in solutum ( o prestazione in luogo dell’adempimento) dalla


novazione, in quanto con essa l’obbligazione originaria viene sostituita da una nuova
obbligazione con oggetto o titolo diverso.
Interpretando l’art. 1197, si può notare che la datio in solutum è un contratto reale,
perché non si perfeziona con il mero consenso, ma necessita della consegna della cosa ( in
tal caso, con l’esecuzione della diversa prestazione ).

ART 1197-2: Se la prestazione consiste nel trasferimento della proprietà o di altro diritto,
il debitore è tenuto alla garanzia per l’evizione e per i vizi della cosa secondo le norme della
vendita, salvo che il creditore preferisca esigere la prestazione originaria ed il risarcimento
del danno. In ogni caso non rivivono le garanzie prestate da terzi.

In questo caso il contratto solutorio è consensuale ad effetti reali; infatti non è richioesta
l’esecuzione della prestazione.
La datio in solutum è un contratto oneroso, con funzione solutoria, direttamente estintivo
dell’obbligazione originale.

Non necessariamente, però, il rapporto si estingue ed il debitore è liberato, è anche


possibile che il terzo si surroghi nei diritti del creditore.
In questa iptesi, il contratto soddisfa l’interesse del creditore, ma il debitore si trova
comunque in una situazione di debito, questa volta , però, verso il terzo che ha adempiuto ai
suoi obblighi.
In luogo dell’adempimento (1198) il debitore può anche cedere un credito.
L’obbligazione si estinguerà con l’effettiva riscossione.
Tuttavia si può convenire che l’estinzione si verifichi in virtù del mero consenso.
Nella prima ipotesi la cessione ha efficacia traslativa e attribuisce al creditore due
pretese,una verso il creditore cessionario, l’altra verso il debitore cedente.
L’obbligazione originaria vincola il debitore fino alla effettiva riscossione.
Non sempre l’estinzione è definitiva: quando la datio ha ad oggetto il trasferimento di un
diritto reale, il creditore che abbia subito evizione può pretendere la prestazione originaria
senza che rivivano le garanzie prestate dai terzi.

MORA DEL CREDITORE E LIBERAZIONE COATTIVA DEL DEBITORE

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MODI DI ESTINZIONE DIVERSI DALL’ADEMPIMENTO

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L’adempimento non è l’unico modo di estinzione dell’obbligazione.


Esistono molte altre fattispecie entintive disciplinate dal C.C. (1230-1259).
Tali fattispecie, a seconda che soddisfino o meno l’interesse del creditore, si
distinguono in satisfattorie e non satisfattorie.

MODI SATISFATTORI

 Compensazione

La compensazione è fattispecie estintiva che richiede la presenza di situazioni di


credito e di debito reciproche, facenti capo a due autonomi e separati centri d’interesse
giuridicamente rilevanti.
La reciprocità delle obbligazioni (presupposto essenziale e qualificante della
compensazione) presuppone la dualità non dei soggetti, ma dei patrimoni; tant’è che
reciprocità e dualità esistono anche nel caso in cui le due obbligazioni ricadano su uno
stesso soggetto, ma afferiscano a due patrimoni distinti (es.: l’erede che accetta con
beneficio di inventario)

Art. 1241: quando due persone sono obbligate l’una verso l’altra, i due debiti si
estinguono per le quantità corrispondenti.
Non è quindi necessario che i due crediti reciproci si equivalgano quantitativamente.

Affinchè possano operare la compensazione legale o giudiziale, è necessario che le


obbligazioni reciproche da estinguere non siano tra loro in relazione sinallagmatica (non
abbiano, cioè, l’una ragione giustificativa nell’altra), come potrebbe accadere quando i
rapporti scaturiscono da una stessa fonte costitutiva.
Non è necessario, perché la compensazione abbia atto, che le fonti costitutive delle
obbligazioni siano omogenee, né che i titoli giustificativi di tali rapporti siano gli stessi.
A mente dell’Art. 1246, la compensazione si verifica qualunque sia il titolo dell’uno o
dell’altro debito, fatta eccezione per alcuni casi menzionati dallo stesso articolo.

Viene considerata come funzione della compensazione quella di realizzare l’economia


degli atti, evitando così che siano effettuati due adempimenti, quando, mediante la
compensazione, si può raggiungere lo stesso risultato.
Inoltre, la compensazione realizza una funzione di autotutela, evitando, così, gli effetti
negativi che potrebbero prodursi con l’inadempimento della controparte.

Il C.C. disciplina tre tipi di compensazione:


-) legale
-) giudiziale
-) volontaria

L’Art. 1243-1 menziona la compensazione legale: “L’obbligazione si verifica solo tra


due debiti che hanno per oggetto una somma di denaro o una quantità di cose fungibili dello
stesso genere e che sono ugualmente liquidi ed esigibili.

Quindi, caratteri essenziali per la compensazione legale sono:

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° liquidità: un credito è liquido quando è esistente e determinato esattamente nel suo


ammontare. La determinatezza deve risultate in modo certo dal titolo dell’obbligazione ed
essa deve avere carattere oggettivo; non è sufficiente, cioè, una incertezza soggettiva o una
semplice contestazione circa l’ammontare del credito, a far venir meno la qualità di liquidità.

° esigibilità: il credito è esigibile quando il suo titolare può pretendere che il debitore
esegua la prestazione dovuta. L’esigibilità non va identificata con l’esistenza del credito;
infatti, l’esigibilità presuppone l’esistenza del credito, ma l’esistenza non richiede l’esigibilità.

° fungibilità: la fungibilità esprime una equivalenza qualitativa tra due o più beni, ma
valutando gli interessi coinvolti quali parametri di riferimento per la qualificazione.

***
Si pone il problema di definire se la compensazione legale operi automaticamente
(IPSO IURE) al verificarsi della coesistenza dei due rapporti giuridici reciproci, oppure se
l’effetto estintivo si verifica in seguito alla eccezione di compensazione (obiezione sollevata
dal debitore nel momento in cui gli venga richiesto l’adempimento della prestazione di cui è
debitore).
La dottrina prevalente opta per la prima teoria; in questo caso nessuno dei due
soggetti sarebbe leggittimato a chiedere il successivo adempimento del proprio credito
perché estinto.
Il secondo caso, invece, è accolto dalla dottrina minoritaria ed in questo caso
l’estinzione si avrebbe solo se un debitore eccepisca l’accezione di compensazione, e non
prima, con la conseguenza

L’Art. 1243: detta i confini tra compensazione legale e compensazione giudiziale: si


ha la prima quando il giudice verifichi che il credito, nonostante la compensazione delle parti,
è sin dall’origine oggettivamente determinato nel suo ammontare; la seconda si verifica
quando, oltre all’originaria ed effettiva mancanza di liquidità, si accerta che il credito è
prontamente e facilmente liquidabile (Art. 1243-2).
Si può notare, quindi, che la distinzione tra compensazione legale e giudiziale non sta
nel fatto che la fattispecie si verifica in giudizio, ma ciò che determina la compensazione
giudiziale e che la distingue dalla legale e volontaria è la diversità dei requisiti necessari per
la sua operatività: mancanza di liquidità in uno dei due crediti, accompagnata
dall’accertamento della sua pronta e facile liquidazione.

IPOTECA

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E’ un diritto reale di garanzia concesso dal debitore (o da un terzo) su un bene, a


garanzia di un credito.
L’Art. 2810 enuncia le situazioni che possono essere gravate da ipoteca:

-) beni immobili e loro pertinenze


-) beni mobili registrati
-) diritto di superficie, di enfiteusi, di usufrutto (in tal caso l’ipoteca si estingue alla
cessazione dell’usufrutto)
-) le rendite dello Stato

L’ipoteca può gravare su una parte di un bene che goda di un’autonomia funzionale ed
economica, oppure su un bene in comunione. In quest’ultimo caso, la garanzia può essere
concessa da tutti i condomini sull’intero bene o dal comproprietario sulla propria quota.

L’ipoteca nasce con l’iscrizione nei pubblici registri immobiliari (Art. 28082)
L’iscrizione rappresenta quindi una pubblicità costitutiva.
L’ipoteca può essere legale (Art. 2817), giudiziale (Art. 2818), volontaria (Art. 2821)
(Art. 28083), a seconda che derivi da una previsione legislativa, da una sentenza di condanna
al pagamento di una somma di denaro o da un atto di autonomia negoziale.
Una volta costituita, l’ipoteca attribuisce al creditore il diritto di espropriare (anche in
confronto del secondo acquirente) i beni vincolati e di soddisfarsi con preferenza sul prezzo
ricavato dall’espropriazione (Art. 28081)
Dato che sullo stesso bene possono gravare più ipoteche, la prelazione è determinata
dal grado (numero in ordine cronologico dell’iscrizione).
Il grado può essere oggetto di disposizione fra creditori ipotecari, ma non a favore di un
creditore chirografario.
Quindi, un creditore di grado inferiore può subentrare nella posizione di un creditore con
grado superiore, ma nei limiti dell’ammontare della propria ipoteca.
Questo scambio di gradi non pregiudica le posizioni degli altri creditori ipotecari.

Sono previste forme di surroga ipotecaria:

-) surroga per pagamento: un creditore di grado posteriore estingue, col pagamento, il


credito di chi ha un’ipoteca anteriore, surrogandosi nei suoi diritti;

-) surroga ipotecaria del creditore perdente (Art. 2856): il creditore che ha ipoteca sopra
uno o più immobili, qualora si trovi perdente perché sul loro prezzo si è in tutto o in parte
soddisfatto un creditore anteriore, la cui ipoteca si estendeva ad altri beni dello stesso
debitore, può surrogarsi nell’ipotesi iscritta a favore del creditore soddisfatto, al fine di
esercitare l’azione ipotecaria su questi altri beni con preferenza rispetto ai creditori posteriori
alla propria iscrizione. Lo stesso spetta ai creditori perdenti posteriori alla propria iscrizione.

Il creditore ipotecario può agire contro chi non è debitore quando l’ipoteca è concessa da
altri, oppure quando un terzo ha acquistato il bene già gravato dalla garanzia.
Il terzo datore di ipoteca non può pretendere l’escussione preventiva del debitore (Art.
2868), può però evitare la vendita del bene ipotecato pagando i crediti.
In tal caso, il terzo datore di garanzia si surroga nelle ragioni del creditore soddisfatto ed
ha regresso nei confronti del debitore.

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L’ipoteca ha efficacia anche nei confronti di chi acquisti l’immobile dopo l’iscrizione: i
creditori ipotecari possono far espropriare i beni anche dopo l’alienazione.
Il terzo, che voglia evitare ciò, può esercitare una delle seguenti facoltà:

 pagare i debiti
 rilasciare i beni ipotecati
 ricorrere alla PURGAZIONE DELLE IPOTECHE: offrire ai creditori il prezzo
stipulato per l’acquisto o il valore da lui stesso dichiarato per i beni di cui non sia
stato determinato il prezzo.

Su richiesta degli interessati, l’ipoteca può essere ridotta.

Art. 2872: la riduzione può aver luogo anche se l’ipoteca ha per oggetto un solo bene,
qualora questo abbia parti distinte o tali che possono essere comodamente distinte.

Estinzione dell’IPOTECA

Art. 2878: L’ipoteca si estingue:

1) con la cancellazione dell’iscrizione


2) con la mancata rinnovazione dell’iscrizione entro il termine di scadenza (20 anni)
3) con l’estinguersi dell’obbligazione
4) con il perimento del bene ipotecato, salvo quanto enunciato nell’Art. 2742 (somme
dovute dagli assicuratori in caso di perimento del bene)
5) con la rinunzia del creditore
6) con lo spirare del termine a cui l’ipoteca è stata limitata o col verificarsi della
condizione risolutoria.
7) Con la pronunzia del provvedimento che trasferisce all’acquirente il diritto
espropriato e ordina la cancellazione delle ipoteche.

Successivamente all’estinzione, il proprietario del bene ipotecato può domandare la


cancellazione dell’iscrizione.

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FIDEIUSSIONE

Fideiussione: soggetto che, obbligandosi personalmente verso il creditore, garantisce


l’adempimento dell’obbligazione altrui (Art. 1936)
Esistono due specie di fideiussione:

-) solidale: il fideiussore si obbliga in solido con il debitore principale al pagamento del


debito (Art. 19441)
-) con beneficio di escussione: le parti concordano che l’obbligo di pagamento del
fideiussore sorga dopo l’escussione del debitore principale (Art. 19442)

Per l’Art. 1937, la volontà di prestare fideiussione deve essere espressa.

(Art. 1938) la fideiussione può essere prestata anche per un’obbligazione condizionale o
futura; in quest’ultimo caso deve essere previsto l’importo massimo garantito.

Fonte della fideiussione possono essere la legge e la volontà privata.


Solitamente, essa si costituisce in forza di contratto tra creditore e il terzo che si rende
garante dal debito altrui.
Trattandosi di un contratto gratuito, esso rientra nello schema del negozio.
Si ritiene che la fideiussione possa essere costituita anche tramite promessa unilaterale,
testamento e contratto a favore del terzo.
L’oggetto della fideiussione è l’obbligo del debitore principale; ha quindi la fideiussione
carattere assolutamente accessorio.

Da questa accessorietà discende che:

-) la fideiussione non è valida se non lo è l’obbligazione principale salvo che sia prestata
per un’obbligazione assunta da un incapace (Art. 1939).

-) la fideiussione non può eccedere ciò che è dovuto dal debitore, né può essere
prestata a condizioni più onerose (Art. 1941)

-) il fideiussore può opporre al creditore tutte le eccezioni che spettano al debitore


principale, salva quella derivante dalla incapacità (Art.1945)

-) la fideiussione si estende a tutti gli accessori del debito principale, nonché alle spese
per la denunzia al fideiussore della causa promossa contro il debitore principale e alle spese
successive eventualmente sostenute dal creditore (Art. 1942)

Il fideiussore, una volta pagato il debito, può rivalersi nei confronti del debitore mediante
surrogazione nei diritti che il creditore aveva nei confronti del debitore (Art. 1949)
(Art. 1950): il fideiussore che ha pagato, ha regresso contro il debitore principale,
benchè questi non fosse consapevole della prestata fideiussione.

La possibilità di surrogazione dovrebbe però trovare ostacoli nella regola secondo cui il
pagamento del condebitore solidale libera gli altri condebitori e non permette la surroga
condebitore che ha eseguito la prestazione, nei diritti del creditore.
Se tale soluzione viene accettata, la surrogazione nei diritti del creditore diviene attuabile
soltanto dal fideiussore con beneficio di escussione, mentre il regresso potrebbe essere
attuato esclusivamente dal fideiussore in solido.

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Estinzione della FIDEIUSSIONE

Art. 1955: La fideiussione si estingue quando, per fatto del creditore, non può avere
effetto la surrogazione del fideiussore nei diritti, nel pegno, nelle ipoteche, nei privilegi del
creditore.

Art. 1956: il fideiussore per un’obbligazione futura è liberato se il creditore, senza


speciale autorizzazione del fideiussore, ha fatto credito al terzo, pur conoscendo che le
condizioni patrimoniali di questo erano divenute tali da rendere notevolmente più difficile il
soddisfacimento del credito. Non è valida la preventiva rinuncia del fideiussore ad avvalersi
della liberazione.

Art. 1957: il fideiussore rimane obbligato anche dopo la scadenza dell’obbligazione


principale, purchè il creditore entro 6 mesi abbia proposto le sue istanze contro il debitore e le
abbia con diligenza continuate. La disposizione si applica anche nel caso in cui il fideiussore
ha espressamente limitato la sua fideiussione allo stesso termine dell’obbligazione principale.
In questo caso, però, l’istanza contro il debitore va proposta entro “ mesi.
L’istanza proposta contro il debitore interrompe la prescrizione anche nei confronti del
fideiussore.

Oltre ai modi sopra elencati, la fideiussione si estingue:

-) a causa dell’estinzione dell’obbligazione del debitore originario


-) attraverso i normali modi di estinzione delle obbligazioni

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PROMESSA DEL FATTO DEL TERZO

Art. 1381: colui che ha promesso l’obbligazione o il fatto di un terzo è tenuto ad indennizzare
l’altro contraente, se il terzo rifiuta di obbligarsi o non compie il fatto promesso.

Il promittente si assume il rischio derivante dal fatto che il terzo non compia il fatto
promesso o rifiuti di obbligarsi.
In tal caso, è obbligato a pagare un indennizzo come risarcimento del danno subito dal
promissario.
La promessa del fatto altrui non può obbligare il dichiarante senza essere giustificata da
un adeguato supporto causale.
La promessa va quindi individuata nel regolamento di interessi, nel quale essa è inserita
come clausola negoziale, oppure in un interesse meritevole di tutela del promittente.
Il primo si realizza, per esempio, se nel contratto di compravendita di un immobile è
inserita una clausola con la quale l’alienante promette che l’autorità amministrativa
competente rilasci la licenza di abitabilità.
Il secondo caso si verifica, per esempio, quando con una dichiarazione di patronage una
società controllante, per facilitare la concessione di una linea di credito alla controllata,
assicura alla banca il pagamento da parte della controllata.

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MEZZI DI CONSERVAZIONE DELLA GARANZIA


PATRIMONIALE

Può accadere che, nella fase precedente alla costituzione del rapporto obbligatorio (di
fonte contrattuale) si verifichino delle diminuzioni, attuali o potenziali, del patrimonio debitorio;
tali effetti negativi possono essere neutralizzati dal creditore.

*) se il debitore aliena qualche suo bene a terzi, il creditore può esperire l’azione
revocatoria (Art. 2901)
*) se il debitore, non esercitando il proprio diritto di credito verso terzi, impedisce
l’incremento del suo patrimonio, il creditore può agire con l’azione surrogatoria (Art.
2900)
*) se il comportamento del debitore suscita nel creditore il timore che i beni oggetto della
sua garanzia possano essere dissipati, il creditore può chiedere il sequestro
conservativo di alcuni o di tutti quei beni (Art. 2905)

Inoltre, sono a disposizione del creditore rimedi per sopperire alle conseguenze negative
provocate da diminuzioni patrimoniali soltanto fittizie: ad esempio, l’azione di simulazione
assoluta di vendita, effettuata dal debitore solo per sottrarre alcuni beni all’azione esecutiva
del creditore.
Quest’ultimo, se riesce ad ottenere una sentenza che accerti tale simulazione, potrà in
caso di inadempimento aggredire il bene, perché facente ancora parte del patrimonio
debitorio.
Nel caso in cui, invece, si tratti di una simulazione relativa di vendita (si è dissimulata
una donazione, per esempio) l’azione di simulazione non è idonea ad eliminare un atto di
disposizione che si sia realmente verificato.
Per esercitare più agevolmente l’azione revocatoria, l’unico strumento attuabile in tal
caso, si può dimostrare che si è trattato di un atto a titolo gratuito, anziché oneroso, perché gli
oneri probatori che gravano sul creditore che intenda far revocare un atto a titolo gratuito sono
meno gravosi di quelli richiesti per la revoca di atti a titolo oneroso.

Esistono poi altri strumenti posti a disposizione del creditore; essi non possono però
considerarsi veri e propri mezzi di conservazione della garanzia, perché più che a mantenere
intatto il patrimonio debitorio o ad evitarne diminuzioni, tendono a ridurre al minimo gli effetti
negativi conseguenti ad un deterioramento delle condizioni patrimoniali del debitore.
Ad esempio, un mezzo classificabile in questa categoria è la disposizione della
decadenza del beneficio del termine nel caso in cui il debitore abbia diminuito le garanzie
prestate o non abbia dato quelle promesse, ovvero si sia trovato in una situazione di
insolvenza.
Questo mezzo consente al creditore di esigere immediatamente la prestazione o di
attuare l’esecuzione forzata.

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Azione Revocatoria

Azione concessa al creditore, a salvaguardia dell’integrità del patrimonio del debitore,


nel caso egli, consapevolmente, compia atti con i quali si spogli dei propri beni, sottraendosi al
soddisfacimento del creditore.

Per l’Art. 2901:


il creditore può domandare che siano dichiarati inefficaci nei suoi confronti gli atti di
disposizione del patrimonio con i quali il debitore rechi pregiudizio alle sue ragioni quando
concorrono le seguenti condizioni:

1) consapevolezza da parte del debitore degli effetti negativi che avrebbe provocato
l’atto nei confronti del creditore.
2) Consapevolezza anche da parte del terzo, nel caso di atto a titolo oneroso.

L’azione revocatoria, se è accolta, non invalida l’atto compiuto dal debitore ma lo rende
inefficace soltanto nei confronti del creditore che ha promosso l’azione; ciò vuol dire che gli
altri eventuali creditori non potranno giovarsi degli effetti dell’azione revocatoria.
Si parla al riguardo di inefficacia relativa, nel senso che ottenuta la dichiarazione di
inefficacia il bene non rientra a far parte del patrimonio del debitore, ma l’alienazione è solo
considerata priva di effetto nei confronti del creditore che ha agito in revocatoria.
Ne consegue che (una volta ottenuta la sentenza di inefficacia) il creditore potrà
promuovere nei confronti dei terzi acquirenti le azioni conservative ed esecutive (senza le
quali non conseguirebbe il soddisfacimento del suo credito) sui beni che formano oggetto
dell’atto impugnato (Art. 29021)
La prescrizione dell’azione revocatoria è di cinque anni dalla data dell’atto (Art. 2903)

Presupposti dell’azione revocatoria sono:

1) l’esistenza di un credito a tutela del quale agire. Non necessariamente un credito


esigibile. L’Art. 2901 ammette l’azione revocatoria anche per la tutela di crediti
sottoposti a condizione o a termine.

2) Non è necessario che l’atto di disposizione abbia determinato un oggettivo ed


attuale pregiudizio alle ragioni del creditore (eventus damni), ma è, invece,
sufficiente che l’atto di disposizione sia idoneo a determinare una maggiore
difficoltà o incertezza nell’esazione coattiva del credito (periculum damni). La
verifica del pregiudizio va condotta tenendo conto sia della consistenza
patrimoniale del debitore, sia dell’entità del debito o dei debiti. Così, un atto di
disposizione, seppur diminuisca notevolmente la garanzia patrimoniale, non è
pregiudizievole delle ragioni del creditore se nel patrimonio del residuo debitore
permangano beni di valore complessivo ampiamente superiore all’entità del
debito.

3) La consapevolezza del debitore di ledere, con l’atto di disposizione, la garanzia


patrimoniale del creditore (scientia fraudis). Essendo piuttosto difficile dimostrare
la sussistenza del requisito della consapevolezza, se ne presume l’esistenza
ogniqualvolta sia oggettivamente riscontrabile il periculum damni.

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Se l’atto di disposizione da revocare è anteriore al sorgere del credito, si richiede la


prova anche della dolosa preordinazione, cioè, dimostrare che l’atto è stato posto in essere
dal debitore al solo scopo di diminuire la propria consistenza patrimoniale in vista della futura
assunzione dell’obbligazione.

Qualora l’atto di disposizione sia a titolo oneroso, si richiede, per la revocatoria, oltre alla
“scientia fraudis” del debitore, anche la dimostrazione della partecipatio fraudis del terzo, e
cioè che anch’egli fosse consapevole del potenziale pregiudizio che l’atto di disposizione era
idoneo ad arrecare ai creditori del suo dante causa.
Invece, quando si tratti di atto di disposizione a titolo gratuito (ad es.: una donazione), è
sufficiente la ricorrenza della “scientia fraudis” del debitore. Prevalgono le esigenze di tutela
dei creditori su quelle del terzo, anche se di buona fede, in quanto quest’ultimo dalla revoca
dell’atto, e dalla conseguente (eventuale) aggressione in via esecutiva del bene, riceve un
pregiudizio di gran lunga inferiore rispetto a quello che dovrebbero sopportare i creditori se la
revocatoria non fosse esperibile.

Sono soggetti ad azione revocatoria non solo le alienazioni di beni o la costituzione su di


essi di diritti reali, ma anche atti che determinano la nascita di obbligazioni eccedenti
l’ordinaria amministrazione.
L’assunzione di obbligazioni, se qualificata come atto di ordinaria amministrazione, non
è lesiva della garanzia patrimoniale.
Anche il pagamento di debiti non ancora scaduti è soggetto ad azione revocatoria; non
lo è invece il pagamento di un debito scaduto, che diviene atto dovuto e dunque non
dispositivo del patrimonio.

Concludendo, gli unici atti di disposizione esclusi dall’azione revocatoria sono quelli di
ordinaria amministrazione e quelli dovuti.

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Azione Surrogatoria

Mentre con l’azione revocatoria il creditore reagisce a comportamenti attivi del debitore
che determinano un decremento della garanzia patrimoniale, con l’azione surrogatoria (Art.
2900) egli evita il pregiudizio conseguente all’inerzia del debitore che impedisca l’incremento
della garanzia patrimoniale non esercitando i propri diritti di credito.
Il creditore è legittimato a sostituirsi al debitore e ad esercitare i diritti dei quali questi è
titolare per assicurare che siano soddisfatte o conservate le sue ragioni (Art. 2900).

L’azione surrogatoria differisce da quella revocatoria anche sul piano degli effetti.
La seconda opera soltanto a favore del creditore che l’abbia esperita, la prima determina
un incremento del patrimonio del debitore che va invece a vantaggio di tutti i creditori.
Gli effetti giuridici, in questo caso, ricadono direttamente sul patrimonio del debitore, non
in quello del creditore che ha agito. Così ciascun creditore è legittimato ad aggredire in via
esecutiva il bene entrato nel patrimonio del debitore a seguito dell’esperimento dell’azione
surrogatoria.

Condizioni per l’esercizio dell’azione surrogatoria:

1) Esistenza della situazione creditoria da tutelare

2) Si richiede che l’inerzia del debitore comporti una maggiore difficoltà o


l’impossibilità
per il creditore di soddisfarsi coattivamente (periculum damni)

I creditori possono surrogarsi al debitore inerte soltanto nell’esercizio di diritti o


nell’esperimento di azioni:

a) che spettano verso i terzi

b) che abbiano natura patrimoniale

c) che non debbano essere personalmente esercitati dal loro titolare

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Sequestro Conservativo

Forma di tutela preventiva della garanzia patrimoniale, il sequestro conservativo


sottrae al debitore la disponibilità dei beni.

Esso è necessario, affinchè possa essere concesso, che sussistano i seguenti


presupposti:

a) che il giudice si convinca che il credito vantato esista

b) che, nelle more del giudizio, vi sia il pericolo di alienazione o di dissipazione dei
propri beni da parte del debitore.

Il sequestro produce i seguenti effetti:

-) è sottratta al debitore la materiale “disponibilità” dei beni, che vengono affidati, per
l’ordinaria amministrazione, ad un custode.

-) è prevista l’inefficacia, nei confronti del creditore pignorante, delle alienazioni odi altri
atti di disposizione dei beni sequestrati posti in essere.

Al termine del processo si possono verificare due situazioni alternative:

1) se il credito è realmente esistente, il sequestro può essere convertito in


pignoramento su richiesta del creditore che inizia l’espropriazione forzata
2) se il credito è inesistente, il debitore, oltre a recuperare la materiale disponibilità
dei beni sequestrati, può chiedere il risarcimento dei danni che il sequestro gli
abbia eventualmente procurato.

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AUTONOMIA NEGOZIALE ED AUTONOMIA CONTRATTUALE

AUTONOMIA PRIVATA, ETERONOMIA ED AUTOTUTELA

Per autonomia privata si indica il potere riconosciuto o attribuito dall’ordinamento


giuridico al “privato” di auto-regolare i “propri” interessi. Autoregolamento che è giuridicamente
vincolante per la parte o per le parti che lo hanno creato, sì da assumere per esse “forza di
legge”

Eteronomia = creazione di regole non da parte dello stesso titolare dell’interesse cui
quelle regole vanno applicate, ma da parte di un soggetto estraneo: la legge, il provvedimento
amministrativo, la sentenza

L’autonomia privata e l’eteronomia costituiscono le fonti del contratto.


Gli interessi dei soggetti possono essere sia autoregolamentati che eteroregolamentati,
ed in tal caso si parla di “concorso di fonti”.
Mentre l’autonomia consiste nel potere di regolare da sé i “propri” interessi, l’autotutela
indica il potere di tutelare da sé tali interessi. Tuttavia il divieto di farsi ragione da sé e dunque
l’onere di adire gli organi giurisdizionali per ottenere la salvaguardia dei propri interessi,
l’autotutela è istituto eccezionale e al soggetto è consentito ricorrervi soltanto nelle ipotesi
specificamente previste dalla legge: il diritto di ritenzione (Art. 1152), l’eccezione
d’inadempimento (Art. 1460), la legittima difesa (Art. 2044).

AUTONOMIA SINGOLARE E COLLETTIVA

Si suole prospettare la partizione fra autonomia “individuale” e autonomia “collettiva”.


Con l’espressione autonomia individuale si indica il potere di regolare interessi di
pertinenza esclusiva dei soggetti agenti o dei loro rappresentanti, siano essi persone fisiche o
enti.
La locuzione autonomia collettiva designa, invece, il più specifico potere riconosciuto o
attribuito agli enti c.d. esponenziali di regolare interessi delle categorie professionali che essi
rappresentano. Va ricondotto all’autonomia collettiva in senso proprio il potere delle
associazioni sindacali disciplinate dall’Art. 39 della Costituzione.

Rilevante, ai fini della distinzione fra autonomia ”individuale” e autonomia “collettiva” ‘


pertanto non già la struttura del soggetto agente, bensì il tipo di interesse da regolare.
Mentre l’autonomia collettiva non può competere al soggetto-individuo, quella individuale
va riconosciuta non soltanto a quest’ultimo, ma anche al soggetto-ente

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AUTONOMIA PRIVATA E PUBBLICA

L’autonomia privata è intesa come potere riconosciuto o attribuito dall’ordinamento


giuridico al “privato”.
Questo potere spetta a tutti i soggetti giuridici, siano essi privati o pubblici.
Naturalmente, questi ultimi sono preordinati a gestire interessi pubblici.

AUTONOMIA NEGOZIALE

Si discorre di autonomia negoziale e di autonomia contrattuale, rispettivamente per il


negozio giuridico e per il contratto

Art. 1321: il contratto è l’accordo di due o più parti per costituire, regolare o estinguere
tra loro un rapporto giuridico a carattere patrimoniale.

Da tale definizione si deduce che:

a) il contratto è un negozio necessariamente bi o plurilaterale col quale si


compongono interessi inizialmente opposti o quantomeno non coincidenti;

b) il contratto ha la funzione di costituire, regolare o estinguere un rapporto giuridico.


In particolare:
- costituire un rapporto giuridico significa incidere sulla situazione e sugli interessi
delle parti, introducendo per essi un nuovo rapporto;
- regolare significa introdurre una qualsiasi modificazione di un rapporto già
esistente
- estinguere significa porre fine ad un rapporto preesistente;

c) il contratto ha sempre natura patrimoniale.


La patrimonialità distingue il contratto da altri tipi di negozi come quelli relativi a
rapporti di famiglia. Tale requisito costituisce inoltre un limite all’autonomia privata in
quanto esclude dall’area del contratto quegli atti che la comune coscienza vuole
sottratti alla logica del denaro.

Il contratto rappresenta la maggiore espressione di autonomia degli individui.

Le fonti del contratto sono costituite dalla legge e dalla volontà delle parti.

Se si osservano l’ Art. 1322 C.C. (le parti possono liberamente determinare il contenuto
del contratto nei limiti imposti dalla legge. Le parti possono anche concludere contratti che non
appartengono ai tipi aventi una disciplina particolare, purchè siano diretti a realizzare interessi
meritevoli di tutela) e l’Art. 41 Costituzione G (L’iniziativa economica privata è libera. Non
può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla
libertà, alla dignità umana), si possono far coincidere l’autonomia contrattuale con l’iniziativa
economica privata, per dimostrare la tutela costituzionale dell’autonomia contrattuale.

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Con una tale identificazione, l’autonomia contrattuale finirebbe per essere prerogativa
esclusiva degli operatori economici.

L’Art. 41 cost. può utilmente riferirsi non già all’autonomia contrattuale, ma al settore più
circoscritto della stessa, cioè a quello della “autonomia contrattuale d’impresa”.
In sede di ricerca del fondamento costituzionale dell’autonomia contrattuale si reputa
proficuo il richiamo all’Art. 2 cost. ravvisando estrinsecazioni di un “diritto inviolabile”.
Da tale norma potrebbe trarsi il supporto costituzionale dell’autonomia contrattuale
associativa, ma non di quella di scambio.
In conclusione, si è arrivati a considerare non più una tutela costituzionale diretta
dell’autonomia contrattuale, ma una tutela costituzionale indiretta che si manifesta in negativo.

Quanto al profilo “negativo” della rilevanza costituzionale dell’autonomia negoziale, i


limiti a quest’ultima emergono dalle stesse norme nelle quali si individuano i suoi fondamenti.
Così se nell’Art. 41 cost. va riposta la tutela costituzionale dell’autonomia contrattuale
d’impresa, la stessa norma ne vieta lo svolgimento “in contrasto con l’utilità sociale o in modo
da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana” (Art. 412 cost.) .
Del pari, se il fondamento costituzionale dell’autonomia associativa risiede negli Artt 2 e
18, questi stessi articoli ne segnano, rispettivamente, il limite generale, consistente nel rispetto
della personalità degli associati, ed i limiti specifici, relativi alla impossibilità di costituire
associazioni segrete ed a carattere militare.

“LIBERTA’” CONTRATTUALI

I “volti” con i quali l’autonomia contrattuale si manifesta, sono tradizionalmente concepiti


in termini di “libertà contrattuali”; libertà alle quali corrispondono simmetricamente “limiti” di
natura eteronoma o autonoma.

a) libertà di contrarre, includendo in essa sia la libertà di concludere un contratto sia


quella di non concluderlo. A questa libertà è collegato un limite: obbligo di
contrarre in casi specifici – es.: Art. 1679 (pubblici servizi di linea) o Art. 2597
(obbligo di contrarre nel caso di monopolio) - sono limiti legali – oppure Art. 2932
(esecuzione specifica dell’obbligo di concludere un contratto, in caso di
inadempimento): obbligo volontario, adattabile a qualsiasi libertà.
b) Libertà di scegliere il contraente; implica la facoltà di individuare la propria
controparte anche con modalità diverse dal consueto contatto individuale (es.:
assunzioni di obbligazioni per categorie protette)
c) libertà di determinare il contenuto contrattuale, cioè di modulare il regolamento di
interessi in ragione delle specifiche e concrete esigenze dei contraenti (Art. 13221)
Solo in relazione alle norme dispositive, la libertà viene meno nel caso di norme
imperative. Art. 13222 limite o per alcune materie solo contratti tipici.
d) libertà di creare nuovi tipi contrattuali, ossia di approntare schemi contrattuali non
appartenenti ai tipi aventi una disciplina legislativa specifica (Art. 13222). E’ la
libertà più vistosa subordinata all’esito favorevole del controllo di meritevolezza di
tutela degli interessi. In tale ambito confluisce sia la libertà di creare contratti c.d.
misti, sia la libertà di instaurare una connessione tra due o più contratti
e) libertà di determinare la forma di futuri contratti

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LA CAUSA DEL CONTRATTO

Il Codice Civile nell’art.1325 menziona tra gli elementi essenziali del contratto la
CAUSA.

Il contratto può essere nullo sia con l’inesistenza della causa che con la sua illiceità

L’art 1343 definisce la causa illecita: la causa è illecita quando è contraria a norme
imperative, all’ordine pubblico o al buon costume
.
ART.1344: è altresì illecita al causa quando il contratto costituisce il mezzo per eludere
l’applicazione di norme imperative.

Inoltre(Art. 1345) il contratto è illecito quando le parti si sono determinate a concluderlo


esclusivamente per un motivo illecito comune ad entrambe.

Si può quindi concludere che caratteristiche essenziali della causa sono la


meritevolezza e la liceità.

La definizione di causa di un contratto ha subito un processo di sviluppo:


il codice vigente nel 1856 valutava il contratto esclusivamente come fonte di obbligazioni
ed in tal modo la causa veniva riferita all’obbligazione ed identificata nello scopo che induceva
il soggetto alla conclusine del contratto .
E’ facilmente osservabile come questa definizione fosse prettamente soggettiva.

Dopo l’entrata in vigore del CC. del 1942 che rifiutò la concezione del contratto come
meramente obbligatorio, la causa venne identificata nella funzione economico-sociale.
In tal modo, però, venivano riconosciuti e protetti dall’ordinamento giuridico solo quegli
atti negoziali idonei alla realizzazione di una funzione utile socialmente; si negava in tal modo
la tutela giuridica ai negozi socialmente improduttivi, giuridicamente indifferenti o
economicamente futili.
Pertanto alla causa si attribuiva, in sostanza, il ruolo di controllare se i fini privati
perseguiti dai contraenti erano o no coerenti con quelli generali fissati dall’ordinamento.
Quindi il passaggio dalla concezione cd. soggettiva a quella cd. oggettiva rappresenta lo
spostamento della valutazione del contratto dal punto di vista dei contraenti a quello
dell’ordinamento.

Posto che il CC. ha colto una concezione obiettiva della causa, essa dall’opinione
dottrinaria più consolidata, viene definita come la funzione economico sociale che il contratto è
obiettivamente capace di raggiungere (causa astratta); ma in questo modo la causa non
farebbe altro che coincidere con il contratto tipo, restando privo di causa il contratto atipico.
Ovviamente non è questo ciò che ha voluto il legislatore, quando ha previsto la causa
quale elemento essenziale del contratto.
Pertanto tale teoria è stata in parte criticata e quindi si è parlato di causa concreta.
E’ stato affermato che la funzione tipica ed astratta del negozio trascura la realtà di ogni
singolo atto, cioè l’interesse concreto che di volta in volta il negozio realizza al di là dello
schema tipico adoperato.
Viene quindi definita “causa concreta” l’interesse concreto meritevole di tutela o
funzione economico individuale che le parti con quel contratto perseguono.

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Tale visione della causa è stata preferita alle precedenti per evitare l’identificazione con
il tipo contrattuale, indicando con questa espressione il valore e la portata che all’operazione
hanno dato le parti, cioè il valore individuale che una determinata operazione negoziale
assume per le parti.
Concludendo, un contratto diretto a realizzare un interesse non meritevole di tutela è
nullo perché carente di causa.
Questa ultima definizione rappresenta una mediazione tra l’eccessiva soggettività della
definizione contenuta nel CC. del 1856 e l’eccessiva oggettività inizialmente contenuta nel
codice del 1942.

Tuttavia la causa può anche essere identificata nella sintesi degli effetti giuridici del
contratto senza che questo comporti l’identificazione con il tipo.
Gli effetti giuridici essenziali raccolgono in sé i concreti interessi che l’operazione è
diretta a realizzare e che non possono essere realizzati mediante l’individuazione degli effetti.
Non esiste un rapporto di priorità tra effetti ed interessi; la causa è quindi costituita
dall’incontro con il concreto interesse con gli effetti essenziali del contratto.
Sotto questa prospettiva si annulla la distanza tra causa come funzione economico –
individuale e la causa come sintesi degli effetti essenziali .

L’identificazione della causa come sintesi degli effetti essenziali , che consiste nel
perseguimento degli effetti essenziali del negozio attraverso l’individuazione degli interessi,
rende più complessa la distinzione tra causa e motivo.
Tale distinzione è importante in quanto in sede contrattuale il motivo assume rilevanza
solo se illecito e comune ad entrambe le parti.
Il motivo , infatti, costituisce il concreto interesse di una o di entrambe le parti non
dedotto dal concreto regolamento da esse predisposto.
La causa, invece, va sempre dedotta dal rapporto giuridico .

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L’OGGETTO DEL CONTRATTO

Altro elemento essenziale del contratto è il suo OGGETTO.


Anch’esso, come la causa, è menzionato nell’art. 1325, ed è disciplinato dagli articoli
1346-1349.
Il termine oggetto del contratto no n viene utilizzato in senso univoco: è stato spesso
identificato con la “prestazione” ed altre volte con la “cosa”.
Per chiarire il forte equivoco, è necessario definire la distinzione tra oggetto del contratto
e oggetto dell’obbligazione.
Con il primo si descrive un elemento dell’atto la cui mancanza o difetto determina la
nullità dell’atto.
Con il secondo, si descrive un elemento del rapporto che scaturisce dall’atto: la porzione
di realtà sulla quale si proiettano gli effetti che le parti perseguono.
Quindi l’espressione oggetto del contratto o del negozio individua una categoria logica
non un entità materiale che è invece costituita dal bene o dall’utilità prodotta dagli effetti
dell’attività delle parti, dalle prestazioni e dalle modalità di comportamento che le parti devono
porre in essere.

I requisiti del contratto sono indicati nel C.C. dall’articolo 1346: l’oggetto del contratto
deve essere possibile , lecito, determinato e determinabile

 Il codice equipara la determinatezza alla determinabilità, infatti anche il contratto


con oggetto determinabile costituisce un fattispecie concreta ed idonea alla
produzione dell’effetto.

 Altra caratteristica fondamentale del contratto è la sua possibilità. Questo requisito


sembra riferirsi alla possibilità fisica che si realizzi il mutamento al quale tende il
contratto.
Impossibile è quell’oggetto di un negozio giuridico riferito ad un bene che non esiste in
natura, o che per le leggi della fisica non potrà mai venire alla luce, oppure ancora
quando il comportamento umano non è in grado di raggiungere il risultato dedotto nel
negozio.
L’impossibilità può riguardare anche la dimensione giuridica dell’atto.
Riguardo alla possibilità, l’art. 1347 stabilisce che :il contratto sottoposto a condizione
sospensiva o a termine è valido, se la prestazione inizialmente impossibile iviene
possibile prima dell’avveramento della condizione o della scadenza del termine.

 Ultima caratteristica dell’oggetto è costituita dalla liceità: le fattispecie più ricorrenti di


illiceità dell’oggetto sono rappresentate da ipotesi di circolazione di beni fuori
commercio ( divieto di trasferire beni di appartenenza pubblica ) o per esempio
contratti di appalto per la costruzione di opere senza la prescritta autorizzazione. In
tal caso si discute se si tratti più di casi di illiceità o di impossibilità giuridica.

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È necessario distinguere l’oggetto dal contenuto del contratto, infatti quest’ultimo


rappresenta lo stesso atto nel suo complesso.

LA FORMA DEL CONTRATTO

Perché la volontà del soggetto sia idonea a produrre gli effetti che si propone, è
necessario che essa sia manifestata e sia resa conoscibile ai terzi.
Il mezzo con cui si manifesta la volontà negoziale è la forma ,elemento essenziale del
negozio giuridico (Art. 1325)
Nel nostro ordinamento vige l principio della libertà della forma, espressone di
quell’autonomia contrattuale che consente al dichiarante di emettere la dichiarazione di
volontà nella forma che preferisce, purché il consenso sia manifestato con modalità che siano
socialmente valutabili come “accordo” .
Esistono, però, dei limiti al principio di libertà della forma; infatti a volte l’ordinamento
subordina la validità del negozio all’uso di una forma determinata.
La forma assolve una pluralità di funzioni:
Si distinguono innanzitutto le forme ad sustantiam e ad probationem, secondo che
svolgono il ruolo di elemento costitutivo della figura negoziale ovvero di limite alla prova
dell’atto.
Nella prima accezione, la modalità condiziona la validità del negozio, sì da determinare,
nell’ipotesi di sua violazione, la nullità dell’atto; nell’altra, il mancato rispetto della prescrizione
legale incide sui limiti di ammissibilità della prova dell’atto negoziale.

Forma ad substantiam

Il legislatore ha numerose volte prescritto per i contratti la forma solenne: scrittura


privata o atto pubblico e talvolta il solo atto pubblico.
Vanno conclusi in forma scritta tutti i contratti che trasferiscono o costituiscono un diritto
reale immobiliare, gli atti di rinunzia ai diritti suindicati, i contratti di affrancazione del fondo
enfiteutico, di anticresi, di locazione immobiliare ultranovennale, di società o di associazione,
di rendita perpetua o vitalizia, di divisione di immobili o di diritti reali immobiliari, di transazione
avente per oggetto controversie relative ai contratti su elencati ed infine nelle altre ipotesi
specificamente indicate dalla legge.

Forma ad probationem

Ipotesi di forma legale esclusivamente per fini probatori sono contemplate per il contratto
di assicurazione, il contratto di transazione, la cessione della proprietà o del godimento
dell’azienda, il patto di non concorrenza.
A volte, la forma scritta è voluta dalla legge per la sola pubblicità.
Altre volte la forma coinvolge il profilo della opponibilità ai terzi degli effetti del contratto.
Il documento deve rappresentare la diretta esternazione della volontà delle parti, non
essendo sufficiente né un documento dal quale risulti l’avvenuta conclusione, né la concorde
ammissione delle parti che il contratto è stato concluso in forma scritta.

Forma legale e dichiarazione espressa (verbale o scritta) non si identificano; la legge a


volte richiede la volontà espressa, indipendentemente da un vincolo di forma.

La legge attribuisce alle stesse parti il potere di determinare la forma del proprio
contratto (Art. 1352). Esse hanno il potere di determinare il vestimentum

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L’Art. 1352 contiene due norme: l’una riconosce all’autonomia dei soggetti il potere di
determinare, accanto al contenuto, anche la forma dell’atto negoziale; l’altra scioglie il nodo
interpretativo che si desume dal c.d. patto dubbio sulla forma, nel quale le parti non hanno

stabilito quale funzione debba assolvere la modalità convenuta: si presume che la forma
convenzionale sia stata voluta per la validità del futuro contratto.

LA PARTE

Il negozio giuridico presuppone la presenza di un individuo che lo ponga in essere e che


diventi soggetto del negozio giuridico in assenza di un soggetto che lo ponga in essere.
La parte diviene quindi elemento essenziale per il perfezionamento della fattispecie.
Il soggetto, però, non svolge l’unica funzione di autore del procedimento di formazione
del negozio; egli assume, infatti, anche il ruolo di portatore degli interessi negoziali e quindi
destinatario degli effetti.
Non necessariamente la parte deve essere costituita da un singolo soggetto, ma può
esserlo da una pluralità di soggetti, che agiscono però come un’unica parte a causa dell’unico
interesse.
I soggetti del contratto devono essere determinati e solo nel caso del “contratto per
persona da nominare” possono essere determinabili.
In relazione ai soggetti, l’Art. 1325 inserisce tra i requisiti……………

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LE SPECIE TIPICHE DI OBBLIGAZIONI

Le Obbligazioni Pecuniarie

Sono trattate dall’Art. 1277 s.s.

PECUNIARIO = di denaro per lo più utilizzato come oggetto di scambio.

I debiti pecuniari si estinguono con moneta avente corso legale nello Stato al tempo del
pagamento per il suo valore nominale – Art. 12771
Questa norma detta il PRINCIPIO NOMINALISTICO – vale solo per quello di valuta e
non di valore.

Valuta: ha per oggetto somma di denaro già determinata

Valore: ha per oggetto somma di denaro che deve essere determinata con riferimento a
determinati criteri (es.: risarcimento di denaro)

Se la moneta in 20 anni ha tenuto lo stesso potere d’acquisto, non esistono problemi.


In periodi con più inflazione, però, l’obbligazione pecuniaria risulta, per il creditore, molto
vantaggiosa; al contrario nel caso di una rivalutazione monetaria

Obbligazione pecuniaria vantaggiosa per il debitore

Art. 12772 : se la somma dovuta è determinata in una moneta che non ha più corso
legale al tempo del pagamento, questo deve farsi in moneta legale ragguagliata per valore alla
prima.

Art. 1278: se la somma dovuta è determinata in una moneta non avente corso legale
nello Stato, il debitore può pagare in moneta legale, al corso del cambio nel giorno della
scadenza e nel luogo stabilito per il pagamento.
Il rischio del creditore non si basa tanto sull’inflazione, quanto sull’oscillazione del
cambio.

Art. 1279: la disposizione dell’articolo precedente non si applica nel caso in cui la
moneta non avente corso legale nello Stato è indicata con la clausola “effettivo”(no facoltà di
scelta perché da contratto quella è la moneta), a meno che, alla scadenza dell’obbligazione,
non sia possibile procurarsi tale moneta.

Per evitare i rischi della svalutazione, i privati possono avvalersi delle formule
contrattuali, oppure dei principi stabiliti dalla legge. Es.: la legge tutela il salario dei lavoratori
subordinati.
Di solito, però, la garanzia del credito è affidata alle parti.

-) Debiti di valuta = debiti soggetti al principio nominalistico

-) Debiti di valore = hanno ad oggetto una somma di denaro che non risente del
principio nominalistico.

La differenza non viene decisa dalle parti.

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Funzione Interessi

Frutto civile solo debiti remunerativa


del capitale liquidi ed esegibili (in cambio del vantaggio derivante
ad un soggetto, dalla disponibiltà
di un capitale altrui)

INTERESSI

Corrispettivi Compensativi Moratori


(una sorta di
risarcimento danni)

INTERESSI

Legali Convenzionali
Art. 1282: si applicano previsti dalle
quando le parti non ne parti
abbiano pattuito uno
convenzionale e questo
patto deve risultare per
iscritto (1999 2,5%)

Usurai solo convenzionali

superano del 50% quelli


medi praticati dalle banche
e dagli intermediari finanziari

se sono presenti interessi usurai, il patto convenzionale è nullo e non sono dovuti
interessi, neppure legali.

 Interessi corrispettivi: per mutui, crediti liquidi ed esegibili si producono


automaticamente interessi corrispettivi che corrispondono al 10% delle somme su
base annua.

 Interessi compensativi: devono essere corrisposti dal creditore, a causa del


ritardato conseguimento della somma; ne trae vantaggio il debitore che non paga
subito.

 Interessi moratori: dovuti nella legale – se il debitore è inadempiente al


pagamento di un debito pecuniario, il creditore, ammesso che chieda costantemente
il risarcimento ad debitore, ha diritto di pretendere, sulla somma dovuta, gli interessi
moratori.

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Al creditore che dimostri di aver subito un “danno maggiore” spetta l’ulteriore


risarcimento (a meno che non sia stata prevista nel contratto una possibilità di
inadempimento).
Ciò suddetto vuol dire che: anche in presenza di principio nominalistico, quando il ritardo
nell’adempimento di obbligazioni pecuniarie è lungo abbastanza da provocare una
diminuzione sensibile del potere d’acquisto della moneta, il creditore ha diritto di essere
risarcito: Danno da svalutazione

Le obbligazioni alternative

Di solito, la prestazione a carico del debitore è unica.


Nelle obbligazioni alternative si hanno due o più prestazioni; il debitore è libero
estinguendone uno a sua scelta.
Il debitore, però, non può costringere il creditore ad accettare parte di una e parte di
un’altra (Art. 1285)

Successivamente alla scelta, avviene la concentrazione (definitiva individuazione della


prestazione da eseguire)

Art. 1286: Scelta = unilaterale e recettizia; spetta al debitore se non è stata affidata al
creditore o ad un terzo; diviene irrevocabile con l’esecuzione di una delle prestazioni o con la
dichiarazione di scelta da una delle parti.
Se la scelta deve essere fatta da più persone, il giudice pone un termine e se non si
rispetta il termine sarà il giudice ad effettuare la scelta.

Art. 1287: Se il debitore non esegue neanche una delle prestazioni, la scelta spetta al
creditore al termine al terzo al termine al giudice.

Art. 1288: L’obbligazione alternativa diviene semplice se una delle prestazioni non
poteva formare oggetto di obbligazione o se è divenuta impossibile per causa non imputabile
da alcuna delle parti.

Art. 1289:
Se la scelta spetta al debitore ed una delle prestazioni diviene impossibile per causa a
lui imputabile, l’obbligazione alternativa diviene semplice. Se una delle prestazioni
diviene impossibile per colpa del creditore, il debitore è liberato dall’obbligazione, a
meno che non preferisca eseguire l’altra prestazione e chiedere il rimborso dei danni.

Se la scelta spetta al creditore, il debitore è libero, se una delle prestazioni diviene


impossibile per colpa del creditore, a meno che questi preferisca esigere l’altra
prestazione e risarcire il danno. Se l’impossibilità è da addossare al debitore, il creditore
può scegliere l’altra prestazione o esigere il risarcimento del danno.

Art. 1290: Se la scelta spetta al debitore ed una delle prestazioni è impossibile per
causa sua e l’altra per caso fortuito, egli deve pagare l’equivalente dell’ultima. Se
l’impossibilità imputabile riguarda entrambe le prestazioni, il debitore dovrà pagare
l’equivalente dell’una o dell’altra, a sua scelta.

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Le obbligazioni solidali

Art. 1292:

 Più debitori della stessa prestazione, ciascuno può essere costretto all’adempimento
totale e l’adempimento da parte di uno libera tutti (solidarietà passiva)

 Più creditori e ciascuno ha il diritto di chiedere l’intero adempimento e l’adempimento


conseguito da uno libera il debitore da tutti i creditori (solidarietà attiva)

Per la solidarietà non basta quindi una pluralità di soggetti; essa non esclude, però, che i
singoli debitori siano tenuti ciascuno con modalità diverse verso i singoli creditori - Art. 1293

Salvo patto contrario, l’obbligazione si divide tra gli eredi di un condebitore o un creditore
in solido, in proporzione delle rispettive quote – Art. 1295

Art. 1296: in caso di solidarietà attiva il debitore può scegliere di pagare ad uno qualsiasi
dei creditori se non esiste una domanda giudiale.

Art, 1298: nei rapporti interni, l’obbligazione solidale si divide in parte uguale tra i vari
debitori o creditori, se non risulta diversamente, a meno che sia stata contratta nell’interesse
esclusivo di uno di essi

Art. 1299: il debitore che ha pagato l’intero debito può ripetere dai condebitori solo la
parte di ciascuno di essi. Se è insolvente, la perdita si ripartisce tra i condebitori.

Le Obbligazioni Parziarie

Più debitori o creditori; l’obbligazione non è solidale; ciascuno dei creditori non può
domandare il soddisfacimento del creditore che ha la sua parte e ciascuno dei debitori non è
tenuto a pagare il debitore che per la sua parte – Art. 1314

Se l’obbligazione è indivisibile si applicano le norme dell’obbligazione solidale: Art. 1317


Si ha quando la prestazione ha per oggetto una cosa o un fatto che non può per sua
natura essere diviso – Art. 1316

Obbligazione indivisibile

Oggettivamente Soggettivamente

per sua natura indivisibile pena la è naturalmente divisibile, ma diviso


perdita del suo valore o la non può soddisfare l’interesse
diminuzione di esso del/dei creditore/i

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