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Diritto privato
Diritto PRIVATO, NON CIVILE. Per capire la differenza, quando si parla di diritto privato pensa ai
contratti stipulati tra due soggetti.
Libro —> per chi segue e prende appunti dice che non è necessario
Libro riassunto su google drive di 260 pagine al posto di 1500.
((Manuale di diritto privato Andrea Torrente, Franco Anelli, Carlo granelli (vedi doc su gruppo)))
Terminologia:
•norma coattiva—> norma obbligatoria, che deve essere rispettata. Nel caso in cui non venga
rispettata si prenderanno i relativi provvedimenti.
•Interpretazione estensiva è l'interpretazione che va al di là del senso delle parole, è dunque
l’interpretazione del giudice
Argomenti:
1-L'ORDINAMENTO GIURIDICO
•definizione
•caratteristiche delle norme
•fonti del diritto
•le leggi: fattispecie astratta, analogia legis, analogia juris, abrogazione, illegittimità costituzionale
2-DIRITTO PRIVATO
•definizione
•l’interpretazione dei giudici e il diritto vivente, giurisprudenza
•interesse soggettivo e diritto soggettivo
•diritto assoluto e dovere generale, diritto relativo e obbligazione, diritto potestativo
•rapporto giuridico
•acquisto e perdita dei diritti, diritti patrimoniali o non patrimoniali, a titolo originario o a titolo
derivativo, prescrizione, decadenza
3-I SOGGETTI DEL DIRITTO PRIVATO: LE PERSONE FISICHE
•soggettività giuridica, soggetto giuridico, capacità giuridica, patrimonio
•capacità di agire
•il minore, il rappresentante legale (genitore) e il tutore, emancipazione e curatore
•incapacità di agire: interdizione, inabilitazione, amministratore di sostegno e incapacità naturale
4-I SOGGETTI DEL DIRITTO PRIVATO: GLI ENTI
•definizione generale di enti, il ruolo del patrimonio
•associazioni (riconosciute o non riconosciute)
•comitati
•società commerciali e società commerciali unipersonali
•fondazioni
5-FATTI E ATTI GIURIDICI
•fatti giuridici
•atti giuridici: atti giuridici in senso stretto e atti negoziali
•validità ed efficacia del contratto
•la manifestazione della volontà e il suo procedimento di formazione
•invalidità del contratto, effetti perturbatori: errore (essenziale e riconoscibile), violenza (fisica o
morale), dolo
•la simulazione (l’atto simulato, l’accordo simulatorio, l’atto dissimulato)
•la prova dei fatti giuridici: documentale (atto pubblico e scrittura privata), testimoniale o per
presunzioni
6-IL CONTRATTO E GLI ATTI UNILATERALI
•caratteristiche generali del contratto
•contratto di scambio
•contratto associativo
•atto unilaterale, onerosità e gratuità
•contratto di donazione e lo spirito di liberalità
•l’evoluzione della dottrina moderna riguardo all'accordo, contratti tipici e atipici
7-L'ACCORDO E LA SUA FORMAZIONE
• La formazione dell'accordo
• Le trattative precontrattuali (lo svolgimento della trattativa e il comportamento dei trattanti)
DIRITTO PRIVATO
Prof. La Porta Ubaldo (e Manfredonia Benedetta)
La costituzione è divisa in tre parti: i principi fondamentali (primi 12 articoli), parte prima "diritti e
doveri dei cittadini" (dall'articolo 13 al 54), parte seconda "ordinamento della repubblica" (da 55 a
139).
La costituzione rappresenta un limite per il potere legislativo, in quanto nessuna legge può essere
in contrasto con la costituzione. Il legislatore è quindi soggetto a sua volta dalle norme
costituzionali. L’organo che vigila sul rispetto delle norme costituzionali è la Corte costituzionale,
che verifica la compatibilità tra le leggi emanate dal legislatore e le norme costituzionali.
Tuttavia, al di sopra della costituzione, dopo l’adesione dell’Italia all’Unione Europea vi sono le
norme dell'ordinamento dell’Unione Europea (carta fondamentale dei diritti dell'uomo).
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Articolo 1218 il debitore che a scadenza non paga il proprio debito dovrà risarcire i danni causati
al creditore.
Le leggi
Fattispecie astratta—> è la norma di legge, ovvero la fattispecie ipotizzata dal legislatore, che è
sempre astratta, poiché la norma deve essere flessibile, deve riferirsi a una moltitudine di casi,
deve cogliere più sfaccettature, non si deve riferire ad un unico caso concreto (ad una fattispecie
concreta), ma appunto deve essere astratta, sarà poi il giudice a doverla interpretare per poter
esprimere la propria sentenza sul caso concreto (fattispecie concreta).
Quindi, innanzitutto, il giudice deve ricostruire il fatto al fine di individuarne tutti gli elementi
caratteristici. Dopodiché, ricostruita la fattispecie concreta, il giudice dovrà individuare la norma di
legge applicabile a tale caso. Questa operazione prende il nome di sussunzione, ovvero
l’operazione attraverso la quale il giudice individua la norma all'interno dell'ordinamento giuridico
che corrisponde alla fattispecie concreta, in altre parole individua la coincidenza della propria
fattispecie concreta con la fattispecie astratta presente nell'ordinamento giuridico. Raramente,
però, il giudice riuscirà ad individuare una totale sovrapposizione tra la fattispecie concreta e
quella astratta ed è qui che entra in gioco l’interpretazione giudiziaria.
La fattispecie astratta poi può essere a sua volta una fattispecie semplice, se è composta da un
solo elemento fattuale; oppure fattispecie complessa se è caratterizzata da più elementi semplici.
Analogia legis—> il giudice dovrà interpretare la legge astratta alla fattispecie concreta. Nel caso
in cui la fattispecie concreta sia diversa dalla fattispecie astratta, il giudice per poter esprimere
una sentenza dovrà avvalersi delle analogie, ovvero dovrà interpretare il caso in base a fattispecie
astratte che siano il più vicino possibile al caso concreto. Questo quando nell'ordinamento non
c’è una norma per quel caso concreto, ma ce n’è per uno analogo, quindi il giudice si avvale del
caso analogo (analogia legis).
Analogia juris —>nel caso in cui il giudice non riesca a trovare delle analogie (non solo non c’è
una norma per quel caso concreto, ma non c’è neppure una norma analoga) tra la fattispecie
astratta e quella concreta (analogia legis) si rifà alle norme sancite dall’UE, alle norme
costituzionali, ai principi fondamentali e via dicendo, seguendo l’ordine gerarchico delle fonti.
Dunque, nel caso dell'analogia juris il giudice si dovrà basare sui principi generali sui quali si
fonda l’ordinamento giuridico e non su una specifica norma.
Le leggi prima di entrare in vigore devono essere approvate dal Parlamento, dopodiché
promulgate dal Presidente della Repubblica. La norma poi entra in vigore effettivamente il
quindicesimo giorno dopo la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale. Questi 15 giorni, il cosiddetto
periodo di vacatio legis, servono a far si che la legge venga conosciuta da tutti i cittadini e possa
così cominciare a produrre i suoi effetti. Prima dei quindici giorni, la legge non produce effetti, la
legge dispone per l'avvenire, non ha effetto retroattivo, ciò vuol dire che non si può essere puniti
per un atto che ora è sanzionabile, ma che allora non lo era ancora.
L’effetto di una legge può cessare soltanto in caso di abrogazione. È possibile che una legge
successiva abroghi (faccia cessare l’effetto) la legge precedente, questa è l'abrogazione espressa.
Vi può essere poi l'abrogazione implicita o tacita, qualora venga emanata una legge successiva in
contrasto con una precedente. È quindi la legge più recente a prevalere e di conseguenza ciò
pone fine all’effetto della legge meno recente. Inoltre, possono esserci casi in cui una legge
successiva prevalga su una legge precedente solo su alcuni aspetti di essa. Ad esempio nel caso
in cui la norma più recente sia in contrasto con quella precedente solo su certe caratteristiche di
essa. In tal caso cesseranno soltanto gli aspetti della legge precedente in contrasto con quella più
recente, non tutti.
Una norma può cessare di avere effetti anche senza essere abrogata (né in maniera espressa né
tacita), qualora la Corte Costituzionale ne dichiari l’illegittimità costituzionale, ovvero dichiari che
la legge è contro le norme costituzionali.
Le leggi possono essere applicate entro i limiti di territorialità statale, dunque entro i confini
geografici nazionali, entro i confini marini (ovvero entro le 12 miglia dalla costa), entro i confini
aerei, ma anche per le navi mercantili e gli aerei quando non si trovano nello spazio aereo o
marittimo di altri Stati o, ancora, gli aerei militari e le navi militari ovunque si trovino. In tutti questi
casi è possibile applicare le leggi.
Lo straniero non appartenente ad uno stato dell'Unione Europea che si trova sul territorio italiano,
in base al principio di reciprocità, verrà trattato allo stesso modo di come un cittadino italiano
verrebbe trattato dalla sua legge nazionale.
Le leggi speciali disciplinano settori particolari delle relazioni interindividuali, mentre quelle
eccezionali sono rivolte a specifici casi individuali.
Tra norme dello stesso tipo (generale-generale) prevale la norma generale più recente.
Invece, la norma speciale prevale sempre su quella generale, anche se quella speciale è stata
emanata prima di quella generale (anche se è antecedente a quella generale).
Stessa cosa accade per le norme di carattere eccezionale, indi per cui in caso di conflitto con una
norma speciale o generale, a prevalere è la norma eccezionale, anche se più remota nel tempo.
Gerarchia—> norme eccezionali, speciali, generali.
La relazione economico-patrimoniale trova forma giuridica nel contratto, nel quale le parti dettano
la regola del caso concreto destinata a disciplinare tale relazione. I soggetti di un contratto sono
spinti ad agire per soddisfare i propri interessi, i propri bisogni. Il privato può, entro i limiti previsti
dalla legge, agire perseguendo i propri interessi in funzione della soddisfazione dei propri bisogni.
L’interesse (soggettivo) è, dunque, ciò che spinge ciascun soggetto verso l’altro, ciò che spinge
ad instaurare relazioni economiche (o patrimoniali) con il fine di soddisfare un determinato
bisogno.
Ad esempio, per quanto riguarda l’interesse amoroso si ha quando una persona si rivolge ad
un'altra persona in quanto la ritiene adeguata a soddisfare il proprio bisogno amoroso.
L'interesse del privato è un bisogno che il privato/l’individuo vuole soddisfare.
La norma giuridica di diritto privato è volta alla protezione degli interessi del privato nelle relazioni
con altri privati. Però quali interessi? Ovviamente non tutti (non quelli amorosi di certo). Il
matrimonio tra persone dello stesso sesso è sicuramente un interesse di livello sociale, ma in
Italia non trova protezione giuridica, non vi sono norme a favore, in quanto la questione non è
rilevante in ambito giuridico. Invece, in Spagna la questione del matrimonio di persone dello
stesso sesso è giuridicamente rilevante.
Il legislatore può assegnare dignità giuridica ad un determinato interesse mediante una norma di
legge, che qualifica tale interesse come giuridicamente rilevante.
Ad esempio l’articolo 832 tratta un interesse giuridicamente rilevante, ossia la proprietà privata.
L’articolo sancisce che il proprietario del bene ha la facoltà di godere e disporre della sua
proprietà, entro i limiti previsti dalla legge, consentendogli di richiedere l’intervento statale qualora
il suo diritto venga leso dagli altri soggetti. Ciò non toglie ovviamente che vi siano anche degli
obblighi che il titolare del diritto soggettivo è tenuto a rispettare.
Diritto soggettivo=è il diritto che gode il titolare dell’interesse giuridicamente rilevante. Non è un
diritto soggettivo, in Italia, il matrimonio tra persone dello stesso sesso
Invece, per quanto riguarda il diritto relativo, esso non è una forma di vantaggio nei confronti di
tutti (che deve essere fatto valere nei confronti di tutti gli individui), bensì il diritto relativo è vantato
soltanto nei confronti di un soggetto determinato. Invece il diritto assoluto è vantato nei confronti
di tutti.
Si distinguono poi dal lato passivo i doveri giuridici, che si manifestano quando la legge impone
un determinato comportamento al soggetto passivo, fissandone la doverosità/obbligatorietà, volta
a soddisfare l’esigenza del soggetto attivo (soggetto titolare del diritto assoluto o relativo).
Per assicurare le libertà personali e patrimoniali dell’individuo attivo sarà necessario imporre a tutti
i consociati un dovere generico. Perciò dalla parte attiva si avrà un diritto assoluto, mentre dalla
parte passiva si avrà un dovere giuridico, che è sottoposto a tutti i consociati, che prende il nome
di dovere generico.
D’altro canto, per quanto riguarda i diritti relativi, nel lato passivo avremo dei doveri, che prendono
il nome di obbligazioni. L’obbligazione dovrà essere rispettata soltanto dal soggetto, o dai
soggetti, che hanno leso il diritto relativo del soggetto attivo. Quindi, nel caso dell'obbligazione
non dovranno rispondere tutti i consociati, come avveniva invece col dovere generico, ma solo il
soggetto (o i soggetti) interessato.
(A fronte dei diritti assoluti noi troveremo dei doveri giuridici generici, articolo 2043 c.c.
L’articolo prevede che qualunque fatto, doloso o colposo, provochi agli altri un danno ingiusto,
obblighi di risarcire il soggetto danneggiato.)
Nel rapporto del diritto assoluto, da un lato avremo il titolare del diritto e dall'altro avremo dei
soggetti passivi indeterminati. I diritti assoluti sono diritti alla personalità, sia sul piano individuale,
sia sul piano patrimoniale. Per consentire l’affermazione di tale diritto assoluto bisogna imporre un
dovere (generico) a tutti i consociati.
Nel caso del diritto relativo accade che l’interesse del soggetto non è volto ad affermare la propria
personalità, ma l’interesse del soggetto è volto ad ottenere qualcosa nei confronti solamente di
uno o più soggetti determinati. Ad esempio un diritto relativo è il diritto di credito, che si esercita
solamente nei confronti del debitore. A fronte dei diritti relativi, dal lato passivo, vi sono le
obbligazioni.
Rapporto giuridico
Il rapporto giuridico è la relazione tra il titolare del diritto e il soggetto gravato dal dovere. Il
rapporto giuridico assumerà caratteristiche differenti a seconda che il diritto sia assoluto
(personale o patrimoniale) o relativo o potestativo.
Il rapporto giuridico di diritto assoluto, in considerazione della natura di vantaggio che il titolare
vanta nei confronti del soggetto passivo, sarà caratterizzato dalla determinatezza del soggetto
attivo e dalla indeterminatezza dal lato passivo. Difatti di fronte al titolare del diritto non vi sarà un
soggetto passivo specifico, ma vi saranno i cosiddetti omnes, ovvero tutti gli individui gravati dal
dovere di astenersi dal compiere qualunque atto volto a danneggiare il diritto assoluto del
soggetto attivo.
Invece, nel rapporto giuridico di diritto relativo o di obbligazione (se visto dal lato passivo),
entrambi i soggetti saranno determinati. Infatti, il diritto del creditore è tale soltanto in relazione al
debitore (non agli omnes), in quanto soltanto il debitore è in grado di soddisfare l’interesse del
creditore e di conseguenza di porre fine al rapporto giuridico.
Anche il diritto potestativo, così come quello relativo, è caratterizzato dalla determinatezza dei
soggetti.
Il legislatore attribuisce facoltà (diritti assoluti e diritti relativi) e potestà (diritti potestativi).
Invece, i diritti patrimoniali (che possono essere sia assoluti che relativi) spettano ad un singolo
solo nel caso in cui il soggetto effettui un'azione per l’acquisto di tale diritto (possono essere
conseguiti per effetto del verificarsi di un fatto). I diritti patrimoniali sono quei diritti assoluti o
relativi che riguardano l'individuo nella sua dimensione patrimoniale, quindi per quanto riguarda il
patrimonio del soggetto, ovvero l’insieme dei beni, dei crediti e dei debiti che possiede.
Possono essere diritti a titolo originario o a titolo derivativo, a seconda della modalità di acquisto
di essi. Per quanto riguardo il primo, si ha nel caso in cui il soggetto consegue un diritto nuovo,
che nasce per la prima volta con lui. Per quanto riguarda i diritti a titolo derivativo, essi si hanno
nel caso in cui l’acquisto di tale diritto si verifichi per trasmissione, da un soggetto ad un altro.
Dunque, per effetto di un acquisto a titolo derivativo, un soggetto succede ad un altro nella
titolarità di un diritto già esistente.
I diritti patrimoniali, sia reali che di credito, possono cessare di esistere per effetto di un atto di
volontà dismissivo da parte del titolare stesso. Il titolare può decidere di trasferire tale diritto ad un
altro soggetto, il diritto viene appunto dismesso per trasferirlo ad altri, oppure può decidere di
rinunziare completamente al diritto e di conseguenza ciò provoca l’estinzione del diritto.
Trasferimento e rinunzia sono due manifestazione di autonomia privata.
Il diritto inoltre può essere estinto anche qualora venga a meno l’interesse del soggetto attivo.
Ad esempio il creditore decide di non volere più la somma prefissata dal debitore, di conseguenza
il debitore non è più tenuto a pagare tale somma.
Esiste poi un modo generale di estinzione dei diritti, ovvero la prescrizione. Si ha nel caso di
mancato esercizio del diritto da parte del titolare per un determinato periodo di tempo. Il diritto
dopo un certo periodo di tempo si estingue, a causa del mancato utilizzo da parte del soggetto
attivo. Ciò può avvenire solo se quel diritto era esercitabile. Quindi per la prescrizione si calcola il
periodo di tempo dal momento in cui il diritto può essere esercitato, non dal momento della
nascita del diritto, poiché a volte potrebbero non coincidere.
L’articolo 2941 c.c. enuncia che Il termine di prescrizione può essere sospeso—> la prescrizione
rimane sospesa tra coniugi (qualora i soggetti del contratto diventino marito e moglie), tra il
minore e il suo tutore (genitori o tutore esterno),...
Sospeso perché dal momento in cui i soggetti divorziano riprende il periodo di prescrizione, idem
altri casi. Sospeso perché può riprendere in futuro.
Invece, l’articolo 2943 enuncia l’interruzione del rapporto di prescrizione, di conseguenza si
azzera il tempo già passato. L’interruzione fa ripartire da zero il tempo di prescrizione del diritto.
Il termine ordinario di prescrizione è di dieci anni, ma il giudice può stabilire termini diversi. Vi
possono essere anche casi di diritti imprescrittibili, ovvero che non possono cadere in
prescrizione, anche se essi non vengono esercitati dal titolare.
Vi è poi la prescrizione presuntiva. Ad esempio dopo sei mesi si suppone che il creditore abbia
ricevuto il pagamento, dunque dopo sei mesi il diritto entra in prescrizione. Ciò non vuol dire che il
debitore non è più tenuto a pagare, però il creditore dovrà dimostrare di non essere stato pagato
per poter riacquisire il diritto a ricevere il pagamento dal debitore. È una prescrizione presuntiva,
perché si pensa, si suppone, che entro sei mesi il creditore abbia ricevuto il credito. Questo tipo di
prescrizione esiste in casi particolari, ad esempio per gli albergatori (articolo 2954).
La decadenza, invece, non è causa di estinzione del diritto, tuttavia impedisce l’esercizio del
diritto. Ad esempio si ha quando le parti si accordano all’interno del contratto per un termine di
decadenza, ovvero una data dopo la quale non è più possibile esercitare il diritto, una data dopo
la quale il diritto perde i suoi effetti, la sua efficacia, anche se esso non cessa di esistere.
persona fisica può essere portatrice di interessi (e quindi essere un soggetto di diritto) sia nella
propria individualità, sia negli enti di cui la stessa si serve.
I soggetti del diritto sono le entità portatrici di interessi (persone fisiche o enti).
Il soggetto di diritto gode della capacità giuridica (la capacità di poter essere titolare di diritti e
doveri), che per le persone fisiche si acquista per il solo fatto di essere nati, si tratta dei diritti della
personalità. Il momento della nascita è quello a partire dal quale la persona fisica assume
soggettività giuridica, diventando titolare di diritti e doveri giuridici, ovvero il momento dal quale la
persona può essere imputata di situazioni soggettive giuridicamente rilevanti.
Vi sono poi specifiche disposizioni di legge che prevedono l’acquisto della soggettività giuridica
ancor prima di nascere, purché concepiti. Un esempio concreto della fattispecie astratta si trova
nell'ambito delle successioni a causa di morte (il figlio che nascerà sarà l’erede di una determinata
somma di denaro).
Si fa poi distinzione tra nascituri concepiti e non concepiti. Per quanto riguarda i nascituri
concepiti, possono succedere anche in assenza di testamento, mentre i non concepiti solo a
fronte di un testamento. Ciononostante, in entrambi i casi, verranno imputate al nascituro al
momento e a condizione della nascita.
Invece, per gli enti la capacità giuridica si consegue dalla data di efficacia dell'atto costitutivo.
Quindi, i diritti che il soggetto di diritto acquista dalla nascita prendono il nome di diritti della
personalità, che trovano fondamento nei principi fondamentali della Costituzione. Ne sono esempi
il diritto alla vita, all’integrità fisica, alla libertà, alla proprietà, alla circolazione, alla libertà di
pensiero e di opinione, alla libertà di riunione e associazione, al lavoro, all'istruzione, alla salute,
senza distinzione alcuna (per razza, religione, orientamenti politici,...).
Il patrimonio
Il patrimonio è la rappresentazione del piano patrimoniale/economico di un soggetto di diritto,
ovvero l'insieme dei diritti e dei doveri di cui il soggetto di diritto è titolare (beni, crediti, ma anche
debiti).
(Può essere però che il patrimonio non sia imputato ad uno specifico soggetto di diritto, ma che si
detiene per un fine conservativo in funzione di una determinata destinazione soggettiva finale. In
tal caso si parla di patrimonio autonomo.
Si distingue dal patrimonio autonomo il patrimonio separato, ovvero una parte del patrimonio
generale di un soggetto di diritto. I beni del patrimonio separato vengono di fatto sottratti dal
patrimonio generale del soggetto.)
La capacità di agire
La persona fisica, titolare di diritti e obblighi fin dalla nascita, deve raggiungere un certo grado di
maturità psico-fisica, che si tramuta con il compimento della maggiore età, per manifestazioni di
volontà serie, coscienti e consapevoli con il fine di instaurare rapporti giuridici, ovvero per
acquisire la capacità di agire. Dunque, la capacità di agire è la capacità di manifestare la propria
volontà con il fine di creare rapporti giuridici. Il capace di agire è il soggetto legittimato a
perseguire i propri interessi, soddisfacendo i propri bisogni.
Essenziale per il capace di agire è la coscienza, che presuppone la capacità di comprendere ciò
che accade e di valutare consapevolmente le conseguenze delle sue decisioni.
La minore età
Il minore possiede la capacità giuridica, ma non la capacità di agire. Un minore però può
diventare titolare di diritti e obblighi, così come ogni incapace di agire, attraverso altri soggetti
maggiorenni che lo sostituiscono, che prendono il nome di rappresentanti legali. Il
rappresentante legale è un soggetto che per legge lo sostituisce, che può compiere atti in nome
e per conto dell'incapace di agire, in questo caso del minore fino al compimento del diciottesimo
anno di età o fino all'emancipazione. I rappresentanti legali sono normalmente i genitori. La
rappresentanza dei genitori è una rappresentanza legale, in quanto prevista dalla legge, nello
specifico dall'articolo 320. I genitori (i rappresentanti legali) possono compiere liberamente in
nome e per conto del figlio gli atti di ordinaria amministrazione. Mentre per gli atti di straordinaria
amministrazione (atti che apportano modifiche al patrimonio del minore) è necessaria
l’autorizzazione del giudice tutelare.
Inoltre, il minore non può mai essere titolare di un’attività, neanche se i genitori sono consenzienti.
Al minore è consentita, eventualmente, la sola prosecuzione, non l’inizio, di un’attività, previa
comunque autorizzazione del tribunale (non del giudice, ma del tribunale, che garantisce
un'analisi ancora più ponderata e oggettiva rispetto al giudice).
Qualora vi sia un conflitto di interessi tra i genitori, o uno di essi, e il figlio, la legge prevede la
nomina di un curatore speciale per il minore. Il curatore speciale è un soggetto terzo che avrà il
potere, speciale, di rappresentare il minore, previa autorizzazione del giudice.
L’articolo 343 enuncia che, qualora entrambi i genitori siano morti, il minore venga protetto e
rappresentato da un tutore. L’attività rappresentativa del tutore è disciplinata in maniera più rigida
rispetto alla rappresentanza genitoriale, in quanto appunto non vi è il rapporto genitoriale tra il
rappresentate e il rappresentato.
Il tutore, proprio come il genitore, può compiere autonomamente gli atti di ordinaria
amministrazione, invece per gli atti di straordinaria amministrazione dovrà richiedere
l’autorizzazione del giudice tutelare. Inoltre, per gli atti di disposizione, ovvero i più pericolosi tra
quelli di straordinaria amministrazione, il tutore dovrà richiedere l’autorizzazione al tribunale.
Il minore che ha compiuto sedici anni può, sulla base di uno specifico provvedimento, contrarre
matrimonio. Il tribunale, accertata la maturità psico-fisica e la fondatezza delle ragioni, consultati i
genitori o il tutore, può concedere il diritto al matrimonio al minore che abbia compiuto sedici
anni. Una volta che il minore ha ottenuto il diritto di contrarre matrimonio e, dunque, gli sia stato
accertato un certo livello di maturità psico-fisica, egli viene emancipato di diritto con il
concretizzarsi del matrimonio. Il minore emancipato consegue, di conseguenza, la capacità di
agire, seppur limitata alla sola ordinaria amministrazione. Per gli atti di straordinaria
amministrazione non rispondono più i genitori (in quanto il minore è stato emancipato), ma la
volontà del minore dovrà essere sostenuta e appoggiata da un altro soggetto, che prende il nome
di curatore (che può essere il coniuge se maggiorenne, o un altro soggetto).
(Inoltre previa autorizzazione del giudice, il minore emancipato ha il diritto di iniziare un’attività
economica, senza l’assistenza del curatore).
Diversamente da quanto accade per l'interdizione e l'inabilitazione con i relativi tutori e curatori, in
caso di infermità o menomazione fisica (perlopiù handicappati, soggetti che non hanno problemi
L’incapacità naturale
L’incapacità naturale (sancita dall'articolo 428) si ha quando il soggetto compie atti giuridici in
condizioni di una momentanea e transitoria incapacità di intendere o volere (ubriaco, sotto effetti
di stupefacenti). Si ha nei casi in cui il soggetto non sia né interdetto, né inabile, ma che in quel
determinato momento non godeva della capacità di agire. Il soggetto deve dimostrare che la firma
di quel contratto gli abbia recato dei danni e che il contratto fosse svantaggioso per lui. Se il
danno deriva da un atto unilaterale è possibile l’annullamento se il soggetto dimostri che la firma
del contratto gli abbia recato dei danni evidenti. Invece nel caso di un contratto bilaterale è
possibile l'annullamento qualora il soggetto leso dimostri di avere subito danni e che l’altro
soggetto fosse in male fede, ovvero che fosse a conoscenza della situazione in cui il soggetto si
trovava e che ne abbia approfittato.
Gli enti sono forme di aggregazione di persone e beni che possono essere considerati centri di
imputazione di interessi giuridicamente rilevanti. Si tratta innanzitutto di aggregati di persone
fisiche che hanno il fine di perseguire un interesse complesso, oneroso, che è meglio attuabile
attraverso l’unione di più individui. Le persone fisiche facenti parte dell'ente impiegano le proprie
risorse patrimoniali con il fine della soddisfazione dell'interesse comune.
Esempi di enti sono le associazioni, dove i partecipanti si accordano mediante un contratto
associativo volto a disciplinare lo svolgimento dell’attività. Tale contratto non disciplina una
relazione di scambio di prestazioni, ma una relazione di comunione di scopo.
Quindi per quanto riguarda le associazioni lo scopo è di tipo associativo, che consiste nella
formazione di un patrimonio comune proveniente da più persone aventi il medesimo scopo.
Vi può essere poi il caso in cui il perseguimento dello scopo non necessiti di un'aggregazione
pluripersonale ma soltanto il distacco di un insieme di beni dal patrimonio generale di un
soggetto. In tal caso si parla di scopo destinatorio, ovvero quando il singolo soggetto separa una
pluralità di beni dal proprio patrimonio con il fine di soddisfare il proprio scopo. Così facendo il
patrimonio viene reso autonomo e si distacca completamente da quello del soggetto. Quindi lo
scopo destinatorio si riferisce alle imprese individuali.
Gli enti non possono non avere il patrimonio, esso è l'elemento principale degli enti, il patrimonio
è imprescindibile. Con il patrimonio tutti gli enti rispondono delle proprie obbligazioni ai sensi
dell'articolo 2740. L'articolo 2740 tratta la responsabilità patrimoniale ed enuncia che il debitore
risponde all'adempimento delle obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri.
L'ente è responsabile dei propri debiti, delle proprie obbligazioni, risponde con il proprio
patrimonio.
Gli interessi che il soggetto intende soddisfare possono essere ideali o commerciali. Per
commerciali si intende l’attività di impresa volta a conseguire un profitto, un utile. Invece, per
interessi ideali si intendono quegli interessi che non hanno un fine lucrativo, ma ideale, non
egoistico.
Tuttavia a compiere gli atti giuridici occorrenti alla realizzazione dello scopo (associativo o
destinatorio) non sarà più il soggetto, colui che ha istituito l'ente, ma sarà l'ente istituito. Soltanto
ad esso saranno imputati gli effetti degli atti compiuti per soddisfare lo scopo (quindi il soggetto
non risponde dei debiti dell'ente con il proprio patrimonio, ma solo con il patrimonio dell'ente).
quelle non riconosciute non sono persone giuridiche, ma hanno comunque la capacità giuridica,
di conseguenza insieme al patrimonio autonomo dell'ente rispondono anche i soci (gli associati),
che hanno agito verso terzi in nome e per conto dell'associazione, con tutto il loro patrimonio
personale. Si parla, dunque di autonomia patrimoniale imperfetta. Ma dall'altra parte, esse non
sono sottoposte ad una vigilanza rigida.
Comitati
Hanno lo scopo di raccolta fondi in funzione dello svolgimento di attività di beneficenza o di
soccorso. I comitati sono strutture organizzative più agili, che come le associazioni hanno uno
scopo ideale, e che non prevedono una struttura interna precisa, ma solo la nomina di un
rappresentante legale, ovvero il presidente. Il presidente per mezzo dell’attività dei promotori
raccoglie e gestisce fondi per l'attuazione dello scopo.
I componenti del comitato, qualora il comitato non abbia ottenuto la personalità giuridica,
dovranno rispondere alle obbligazioni. I sottoscrittori, ovvero coloro che contribuiscono ad
incrementare il fondo comune, ovviamente non dovranno rispondere alle obbligazioni. Il comitato
potrà impiegare il patrimonio formato attraverso le sottoscrizioni raccolte esclusivamente in
funzione dello scopo.
Società commerciali
Con il contratto di società due o più persone conferiscono beni o servizi per l'esercizio in comune
di un’attività economica allo scopo di dividerne gli utili. Così come per le associazioni, anche per
le società vale il principio della pluralità di persone, ma la differenza è lo scopo, non più ideale, ma
lucrativo.
La società commerciale ha il fine specifico di ottenere un profitto da dividere tra i soci in
proporzione alle quote di partecipazioni di essi (rapporto tra ciò che un soggetto conferisce
rispetto ai conferimenti totali), scopo lucrativo. Mentre nelle associazioni gli utili vengono
reinvestiti nell'esercizio successivo al fine di raggiungere il loro ideale (scopo non lucrativo).
L’unica variabile che cambia rispetto alle associazioni e ai comitati è lo scopo, che in questo caso
è di tipo commerciale, ovvero lucrativo e non ideale.
Vi sono poi anche le società commerciali unipersonali. La finalità è sempre la stessa delle società
commerciali, cambia la struttura, che sarà composta da un unico socio. Un soggetto che intende
gestire l’attività da solo destina una parte del proprio patrimonio alla gestione di impresa. Rispetto
alla fondazione cambia che l’unico socio continuerà a partecipare sempre alla vita dell’impresa.
Invece nella fondazione il fondatore può decidere di non gestirla più e di affidare l’incarico ad un
altro soggetto. In tal caso non si avrà uno scopo associativo, ma destinatorio.
Le fondazioni
Nel caso delle fondazioni rimane la caratteristica del patrimonio destinato al soddisfacimento
dello scopo ideale, ma non vi è più la caratteristica della pluralità di persone, in quanto la
fondazione è una società unipersonale. L’atto di fondazione unilaterale è posto in essere dal solo
fondatore, che staccherà dal proprio patrimonio personale i beni destinati a confluire nel
patrimonio della fondazione. Dunque, la fondazione è un insieme di beni (non di persone) destinati
ad uno scopo non lucrativo.
Le fondazioni e le società unipersonali devono essere costituite attraverso atto pubblico (o atto
notarile) o con testamento.
L’atto costitutivo non è un contratto, come invece era per le associazioni (composte da una
pluralità di soggetti). La fondazione nasce per volontà del fondatore, non c’è un contratto tra due
o più parti. Ciò non toglie che i fondatori possano essere più di uno. L'atto di fondazione è un atto
di destinazione di beni da parte del fondatore ad uno scopo determinato che il fondatore intende
perseguire.
A differenza delle associazioni caratterizzate da una pluralità di persone, la fondazione ha
l’obiettivo di perseguire l’interesse esclusivo del fondatore. L’interesse perseguito dalla fondazione
è dunque determinato dal solo fondatore e non può essere modificabile dai suoi organi, che
assumono esclusivamente funzioni amministrative. Gli amministratori dovranno gestire il
patrimonio in conformità alla volontà del fondatore.
Vi è poi la fondazione di partecipazione dove più soggetti possono accrescere il valore del
patrimonio, pur senza essere fondatori. Quindi, le fondazioni di partecipazione sono caratterizzate
da una pluralità di soggetti, ove il fondatore è sempre unico, ma il patrimonio può essere
accresciuto anche da altri soggetti. Questi soggetti assumono un ruolo di gestione attivo
all'interno della fondazione.
La fondazione può essere soltanto riconosciuta, di conseguenza gode di una autonomia
patrimoniale perfetta, perciò il patrimonio del fondatore viene separato da quello della fondazione.
La fondazione si estingue quando lo scopo è stato raggiunto o è divenuto impossibile o il
patrimonio è divenuto insufficiente.
Fatti giuridici e atti giuridici (atti giuridici in senso stretto e atti negoziali)
Fatti giuridici sono tutti gli accadimenti a cui la legge ricollega effetti giuridici, ovvero delle
conseguenze giuridicamente rilevanti. La nascita (di ogni individuo) determina come conseguenza
giuridica l’acquisto della capacità giuridica (articolo 1 c.c.). La nascita è un fatto giuridico, un
accadimento naturale, dal quale deriva l’acquisto della capacità giuridica. La morte è un
accadimento cui l’ordinamento ricollega delle conseguenze giuridiche, come la successione dei
beni di cui il soggetto defunto era titolare; la morte inoltre ha come conseguenza la cessazione dei
diritti della persona. La morte e la nascita sono dei fatti giuridici.
Il fatto giuridico sono gli accadimenti, dipendenti o no dalla volontà dell'uomo, cui l’ordinamento
ricollega degli effetti giuridici.
Poi ci sono dei fatti naturali irrilevanti, poiché l’ordinamento non li considera meritevoli di
importanza giuridica.
Vi è una distinzione tra fatti giuridici in senso stretto e atti giuridici, a seconda che l'accadimento
dipenda dalla volontarietà del soggetto o meno.
I fatti giuridici in senso stretto sono quelli indipendenti dalla volontà dell'uomo, come la nascita
e la morte. Poi vi sono gli atti giuridici, che, invece, sono quei fatti dipendenti dalla volontà del
soggetto, quindi quegli accadimenti che derivano da manifestazioni di volontà dell'uomo.
Perciò l’atto giuridico si caratterizza dalla volontarietà dell'accadimento. All'accadimento
volontario la legge ricollega conseguenze giuridiche purché la manifestazione di volontarietà sia
seria, cosciente (soggetto capace di agire e che quindi non si trovi in una situazione di incapacità
di intendere e volere) e consapevole (soggetto che conosce le conseguenze che derivano dalla
sua manifestazione di volontà). La manifestazione della volontà dell'uomo assume rilevanza
giuridica soltanto se seria, cosciente e consapevole.
Nell'ambito degli atti giuridici, occorre distinguere ancora tra atti giuridici in senso stretto e gli atti
negoziali (negozi giuridici). L’esempio più classico di atti negoziali è il contratto. Ciascun soggetto
è libero di auto-regolamentare i propri interessi nel modo che ritiene più opportuno, entro i limiti
previsti dalla legge.
Il soggetto può compiere atti giuridici in senso stretto, quando l'autonomia del privato si limita
alla decisione riguardante il se compiere o meno l’atto. Se decide di compiere un atto giuridico in
senso stretto il privato non incide oltre, ovvero l’autonomia privata del soggetto si manifesta
unicamente sull'ambito decisionale, non può incidere sulle modalità attraverso le quali gli effetti si
producono.
Invece, negli atti negoziali (o negozi giuridici), l’autonomia del privato non si esprime solo in
ambito decisionale, ma il soggetto può anche determinare le modalità attraverso le quali gli effetti
si producono. La norma ricollega all'atto effetti giuridici nella dimensione in cui essi sono voluti dal
privato. Quindi non si ha soltanto la volontà dell'atto, come accadeva con gli atti giuridici in senso
stretto, ma anche la volontà dell'effetto. Dunque, nel caso del negozio giuridico l’ordinamento
accorda al privato la facoltà di determinare volontariamente le regole di svolgimento del rapporto.
Ne è un esempio il contratto di compravendita, dove il soggetto è libero di decidere e di fissare le
modalità. Ad esempio il privato può stabilire di vendere il motorino senza alcuna garanzia di
funzionamento, è libero di fissare le modalità del contratto, il soggetto può disciplinare gli effetti
che la legge ricollega a questo determinato atto (negoziale). Vi è un vero e proprio auto-
regolamento del privato, ovviamente nel caso del contratto bilaterale o plurilaterale vi deve essere
l'approvazione dell'altra parte. Perciò il negozio giuridico si pone come auto-regolamento, cosa
che non è possibile nell'atto giuridico in senso stretto. Con 'autonomia privata’ si intende la
libertà del soggetto di autodeterminare i propri interessi per il soddisfacimento dei propri bisogni.
Il negozio giuridico (atto negoziale) non è disciplinato dall'ordinamento, ma comunque devono
essere rispettate le regole generali del contratto. L'articolo 1321 tratta il contratto e le regole
generali che ne derivano e che devono essere applicate a tutti i contratti. L’articolo 1324 estende
le regole del contratto anche agli atti unilaterali, ovvero quegli atti che si perfezionano attraverso la
manifestazione di volontà di un solo soggetto. Per effetto degli articoli 1321 e 1324, le norme del
contratto sono norme applicabili a qualunque atto giuridico, anche a struttura unilaterale, tra vivi,
purché quest'atto abbia la sostanza del contratto, ovvero di essere auto-regolamentato, cioè che
sia espressione della volontà del privato (articolo 1322: autonomia contrattuale). L’autonomia
privata è il potere di auto-regolamentare i propri interessi.
Vi è poi l’articolo 1372 che tratta l’efficacia del contratto ed enuncia che il contratto ha forza di
legge tra le parti e che non può essere sciolto, a meno che di mutuo consenso o per cause
ammesse dalla legge.
La manifestazione di volontà
La volontà può essere manifestata in qualunque forma, purché venga percepita dal destinatario.
La volontà può essere manifestata attraverso una dichiarazione, ossia attraverso un segno, orale
o scritto che sia.
La volontà inoltre può essere rappresentata all'esterno anche attraverso comportamenti, ossia
modalità di esternazione che non si avvalgono né della parola né dello scritto. Si parla in tal caso
di manifestazione tacita, ovvero una manifestazione di volontà che non avviene per mezzo della
dichiarazione. Ad esempio quando al supermercato prendo la confezione di biscotti e la porto alla
cassa, in questo caso ho compiuto un atto di compravendita senza dire alcuna parola e senza
scrivere nulla, si chiama manifestazione di volontà tacita, attraverso comportamenti. Oppure si
dice che la volontà si manifesta attraverso atti concludenti. Un altro esempio è quando
acquistiamo ai distributori automatici.
La manifestazione di volontà deve sempre essere espressa in maniera seria, cosciente e
consapevole. Non devono chiaramente essere prese in considerazione le manifestazioni di
volontà a titolo esemplificativo o scherzoso.
il procedimento psicologico di formazione della volontà sia stato alterato da errore, violenza o
dolo.
L'invalidità del contratto (sia nullità che annullabilità) viene trattata meglio nel capitolo 15, pagina
39.
I vizi del volere vengono disciplinati dagli articoli 1427 e seguenti. Tutti i vizi che possono
perturbare, condizionare la volontà manifestata all'esterno. Quando la manifestazione di volontà si
è manifestata in presenza di un elemento perturbatore è possibile annullare il contratto, qualora il
soggetto dimostri l'elemento perturbatore.
Gli elementi perturbatori sono l'errore, la violenza (morale o fisica) e il dolo.
L’errore è una falsa rappresentazione della realtà che induce il soggetto a volere qualcosa che
non avrebbe voluto se non fosse caduto in errore. Però vi sono dei paletti, perché se no sarebbe
troppo facile per il soggetto pentito chiedere l'annullamento. Per consentire all'errante di chiedere
l’annullamento, l’errore deve essere rilevante. L’articolo 1428 stabilisce che l’errore è causa
dell'annullamento, quindi stabilisce che l’errore è rilevante se è essenziale e riconoscibile dall’altra
parte. Quindi, ad esempio per far sì che il contratto venga annullato non è sufficiente il pentimento
del soggetto, perché non è una causa di errore rilevante, non basta pentirsi.
L’errore si dice essenziale quando senza quell’errore il soggetto non avrebbe stipulato il contratto
(inoltre, è essenziale quando l’errore è di diritto o di fatto). Si parla di errore di diritto quando non
si tratta di un errore legato al fatto che il soggetto fosse a conoscenza dell'esistenza di una norma
o meno, ma sulle condizioni di applicabilità della norma stessa. Quindi, l'errore può essere di
diritto quando cade sul significato giuridico di una determinata norma e quando tale errore è
determinante nel consenso.
L’articolo 1431 stabilisce che l’errore è riconoscibile quando l’altro contraente avrebbe potuto
riconoscere l’errore, ma si è dimostrato in mala fede. Se invece l’errore non poteva essere
riconosciuto dall'altro contraente, il contratto non può essere annullato.
L’errore di calcolo o materiale, invece, non dà luogo all’annullamento del contratto. L’errore
materiale è quando il contenuto dell'atto non corrisponde alla reale volontà del soggetto per
erronea formulazione o redazione dell'atto, in tal caso non è possibile l’annullamento, perché
l’errore è del soggetto, non è né essenziale, né riconoscibile.
(L’articolo 1433 tratta l’errore ostativo, ovvero quando l’errore viene commesso sulla dichiarazione
che è stata redatta inesattamente da un terzo incaricato. In tal caso è possibile l'annullamento
dell'atto negoziale.)
La violenza è un'altra alterazione del processo psicologico di formazione della volontà, che porta
dunque all’annullabilità del contratto. Essa può essere fisica o morale.
La violenza fisica si ha quando una parte obbliga, intima l’altra parte a firmare il contratto, con
minacce fisiche, che ledono l’integrità fisica del soggetto. L’assenza di volontà rende nullo il
contratto, come previsto dall'articolo 1418 che sanziona con la nullità il contratto mancante di uno
dei suoi requisiti essenziali (la volontà/l’accordo tra le parti).
La violenza morale è la minaccia di un male ingiusto e notevole, operata dalla controparte o da un
terzo estraneo al contratto sul contraente. Non valgono le minacce volte a far valere un diritto, ad
esempio "se non mi paghi ti faccio fallire", questa non è considerata violenza morale, in quanto se
non paga la fattura, vi sono i presupposti per far sì che la controparte fallisca effettivamente.
L’ultimo caso in cui l’atto può essere annullato è il dolo, definito dall'articolo 1439, si ha quando
una delle parti usa sotterfugi, bugie per far concludere il contratto.
Il dolo può essere determinante e si intende quando il soggetto non avrebbe stipulato il contratto
se non fosse stato per le bugie e i sotterfugi dell'altra parte. Senza le bugie la parte non avrebbe
stipulato il contratto.
Il dolo poi può essere incidente, quando l’attività dolosa ha inciso sul volere altrui, ma il soggetto
avrebbe comunque firmato il contratto, seppur a condizioni più favorevoli. Quindi, senza le bugie
la parte avrebbe firmato il contratto comunque, ma a condizioni più favorevoli.
La simulazione è un procedimento che ricorre quando le parti non vogliono in realtà che il
contratto produca effetti oppure quando le parti vogliono che produca effetti diversi (atto
dissimulato) da quelli previsti dal contratto (atto simulato).
Nel primo caso si parla di simulazione assoluta o di negozio simulato. Il contratto che viene
concluso è un contratto vero, ma al contratto simulato si accompagna l’accordo simulatorio nel
quale si conviene che l’accordo stipulato non è in grado di produrre alcun effetto. Si può fare ciò
perché il contratto è completamente auto-regolato tra le parti.
Invece, si parla di contratto dissimulato quando i soggetti decidono di stipulare un contratto (atto
simulato), ma vi è poi un accordo segreto tra le parti, l’accordo simulatorio, che ha l’intento di
individuare gli effetti reali del contratto, che sono diversi da quelli presenti nel contratto simulato.
Ad esempio nel caso in cui io abbia intenzione di effettuare una donazione, tuttavia non voglio che
si veda che ho donato, quindi stipulo un contratto di vendita.
La stipulazione di un atto simulato rende i contraenti responsabili verso i terzi.
L’articolo 1415 tratta gli effetti della simulazione nei confronti dei terzi e fissa la regola
generale per cui i terzi possano far valere la simulazione nei confronti delle parti, qualora
pregiudichi i loro diritti. Dunque, la simulazione non può essere fatta per recare danni a terzi. In
altri termini, il terzo che vede pregiudicati i propri diritti potrà far valere la simulazione nei confronti
delle parti quando proprio l’atto simulato crea il pregiudizio. Ad esempio una parte può stipulare
un contratto simulato con un altro soggetto per convincere il terzo a fare un'offerta migliore
rispetto a quella presente nel contratto simulato. Quindi la parte approfitta del contratto simulato
per recare danno a un terzo e ciò non può essere fatto. Perciò, il terzo leso può sempre far valere
la simulazione nei confronti delle parti, qualora essa gli abbia recato dei danni.
Inoltre, l’articolo 1415 dispone che la simulazione non può essere opposta dalle parti contraenti ai
terzi che, in buona fede, hanno acquistato diritti dal titolare apparente. Il soggetto terzo, agendo in
buona fede, e quindi ignorando l’accordo simulatorio ha acquistato i diritti da chi ne appare
essere il titolare sulla base dell'atto simulato. In questi casi, quindi, il terzo leso può sempre far
valere la simulazione nei confronti delle parti.
L’articolo 1414 tratta la simulazione tra le parti, invece l’articolo 1415 e seguenti trattano gli effetti
sui terzi.
L’articolo 1416 disciplina nello specifico gli effetti della simulazione nei confronti dei creditori. La
simulazione non può essere opposta dalle parti contraenti ai creditori che in buona fede hanno
compiuto azioni sui beni che erano oggetto del contratto simulato. I creditori del simulato
alienante (il venditore simulato), ovvero coloro che hanno un credito nei confronti del simulato
alienante, possono far valere la simulazione che pregiudica i loro diritti. Quindi, il legislatore tutela i
creditori che hanno compiuto atti di esecuzione sui beni oggetto del negozio simulato, in quanto
con esso questi hanno vincolato tali beni alla garanzia del credito. (Perciò se il creditore, in buona
fede, ha già iniziato a vendere i beni oggetti del contratto simulato, le parti non potranno far valere
la simulazione). Ancora una volta è la buona fede, in questo caso del creditore, ma in generale dei
terzi, a prevalere.
L’articolo 1417 si occupa della prova. L’articolo enuncia che la prova per testimoni della
simulazione è ammissibile senza limiti, se la domanda è proposta da creditori o da terzi; invece se
la domanda è proposta dalle parti contraenti, la prova per testimoni è ammissibile qualora sia
diretta a far valere l’illiceità del contratto dissimulato, ovvero quello segreto tra le parti. La
possibilità di provare in giudizio la simulazione attraverso i testimoni, articolo 1417, difatti,
legittima il giudice all'utilizzo della presunzione.
Atto e documento
Ogni manifestazione di volontà che sia posta in essere per mezzo di una dichiarazione scritta è
incarnata in un documento. I concetti di atto giuridico e documenti sono distinti. L’atto giuridico è
la manifestazione della volontà, dunque non sempre è necessaria la forma scritta. Invece, il
documento è un supporto materiale o informatico dove viene descritta la volontà delle parti. A
volte il documento è un requisito di validità, nello specifico nei casi in cui la forma scritta è
obbligatoria (vendita di immobili). Tuttavia, nei casi in cui la forma scritta non è obbligatoria, il
documento non è un requisito di validità, ma è solamente un mezzo di prova della volontà delle
parti, ma non incide sul valido perfezionamento dell'atto. Anche se non vi è il documento, in
questi casi si può provare l’esistenza della volontà delle parti attraverso altri strumenti, il
documento non è necessario, ma se esiste è un mezzo di prova.
Articoli 2697 e seguenti trattano il principio generale della prova. Chi vuol far valere in giudizio un
diritto deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento; chi eccepisce (nega) l'inefficacia di
tali effetti, ovvero chi ritiene che quel diritto non esista, deve provare i fatti sui cui l'eccezione si
fonda, quindi deve anch'esso dimostrare attraverso delle prove che effettivamente quel diritto non
esiste, in quanto estinto o modificato. Se io dico di essere titolare di un credito devo provare
l’esistenza del contratto di compravendita dinanzi al giudice. Chi dice che quel soggetto non è
titolare del credito deve anch'esso dimostrarlo con delle prove.
L’articolo 2698 per salvaguardare il diritto di ciascun privato, stabilisce che sono nulli i patti con i
quali è modificato l'onere della prova (((, quando si tratta di diritti di cui le parti non possono
disporre o quando la motivazione ha per effetto di rendere ad una delle parti eccessivamente
difficile l’esercizio del diritto.))
La prova può essere documentale, testimoniale o per presunzioni.
Prove documentali: l’atto pubblico e la scrittura privata.
Un esempio di prova documentale è l’atto pubblico, che viene trattato dall'articolo 2699. L’atto
pubblico non è redatto dalle parti, ma dal notaio o da altro pubblico ufficiale. Il notaio cura la
compilazione dell'atto, riportando fedelmente la volontà manifestata dalle parti in sua presenza.
L’atto pubblico rappresenta la piena prova delle dichiarazioni delle parti e dei fatti che il pubblico
ufficiale attesta avvenuti, fino a querela (denuncia) di falso.
Un'altra prova documentale è la scrittura privata, la quale proviene integralmente dalle parti e non
vede quindi la partecipazione di un notaio nella sua redazione. L’assenza del notaio determina una
minore efficacia probatoria. La scrittura privata viene trattata dall'articolo 2702, che enuncia che la
scrittura privata, così come l’atto pubblico, fa piena prova, fino a querela di falso. A differenza
dell'atto pubblico, però, la forza probatoria della scrittura privata è subordinata al fatto che il
soggetto contro il quale è prodotta in giudizio la riconosca come autentica. Mentre l’autenticità
dell'atto pubblico può essere negata soltanto nel caso di querela di falso, per la scrittura privata è
sufficiente che il soggetto contro il quale è prodotta non la riconosca come autentica. Tuttavia, per
la scrittura privata non è necessaria l’autenticazione del soggetto contro il quale è prodotta
qualora venga autenticata dal notaio, come previsto dall'articolo 2703 (scrittura privata
autenticata).
La scrittura privata è dunque un’attività documentativa posta in essere dalle stesse parti e non dal
notaio.
Mentre la data di sottoscrizione dell'atto è certa, nel caso della scrittura privata la data si può
conseguire attraverso il pagamento di un'imposta, che conferisce la data certa.
Vi è poi la prova testimoniale che è ammessa quando non è possibile fornire la prova
documentale del fatto. Quindi, la prova testimoniale è ammessa qualora il soggetto sia
impossibilitato a procurarsi la prova scritta o quando il soggetto ha senza sua colpa perduto il
documento scritto che gli forniva la prova. In assenza di una prova scritta, è possibile chiamare
dei soggetti esterni, i testimoni, a testimoniare sul fatto che si intende provare.
Quando è ammessa la prova per testimoni si può provare il fatto anche per presunzioni.
Le presunzioni possono essere legali o semplici, a seconda che ammettano o no la prova
contraria. Le presunzioni legali ammettono la prova contraria, ad esempio io presumo che il
diciottenne sia maturo e in grado di intendere e di volere, tuttavia è ammessa la prova contraria,
ovvero che un altro soggetto ritenga che il diciottenne non sia nelle condizioni psico-fisiche per
intendere e volere. Nella presunzione semplice invece non è ammessa la prova contraria.
Vi sono poi le confessioni che possono essere rese in giudizio o contenute in una dichiarazione
fuori dal giudizio, e il giuramento, utilizzato poco in giudizio.
Il contratto
Tra gli atti giuridici negoziali come sappiamo assume rilevanza centrale il contratto, definito
dall'articolo 1321 c.c., come "l’accordo di due o più parti per costituire, regolare o estinguere tra
loro un rapporto giuridico patrimoniale". Il contratto è la massima espressione dell'autonomia
privata, intesa come libertà individuale di autodeterminazione, che quando diventa "autonomia
contrattuale", si esprime sul "se contrarre" e sul "a che condizioni contrarre". Quindi, il privato è
libero di decidere se e quando contrarre, con chi contrarre, il tipo di contratto da utilizzare per la
soddisfazione dei propri interessi, le modalità della contrattazione e di determinare il contenuto
del contratto.
Dunque, quando l’autonomia privata, intesa come potere autoregolamentare, viene manifestata
attraverso il contratto prende il nome di autonomia contrattuale, che è sinonimo di libertà di
autodeterminazione. Il privato è libero di non contrarre (nessuno può essere costretto a
concludere un contratto, ad eccezioni di alcuni casi particolari), è libero di scegliere il tipo di
contratto, le condizioni del contratto.
Il contratto è il principe dei negozi giuridici, è l’atto mediante il quale l’autonomia privata si
esprime al massimo grado. Il contratto è l’atto negoziale che conferisce dei diritti e degli obblighi,
quel fatto che mette in moto il riconoscimento legislativo e che dà vita al rapporto giuridico. Il
contratto fissa le regole di svolgimento del rapporto giuridico.
Contratto di scambio
I contratti di scambio vengono definiti contratti a prestazioni corrispettive o sinallagmatici.
Le parti sopportano sacrifici reciproci, incidenti negativamente sul proprio patrimonio, al fine di
conseguire reciproci vantaggi patrimoniali come corrispettivo. La reciprocità dello scambio fa sì
che ciascuna parte sia creditrice e debitrice allo stesso tempo. Il contratto si svolge regolarmente
se entrambe le promesse, entrambi gli impegni vengono rispettati.
Non tutti i contratti sono di scambio, ad esempio i contratti di costituzione delle associazioni non
nascono con un contratto di scambio, ma attraverso un contratto associativo. Lo scopo di ogni
contratto è l’interesse economico, la modalità attraverso la quale si realizza tale scopo è un'altra
questione. Lo scopo si può realizzare attraverso un contratto di scambio, attraverso un contratto
associativo, eccetera. Ciò che spinge le parti a stipulare il contratto è l’interesse economico, non
la tipologia del contratto.
Il contratto associativo
(Rivedi pagina 12)
Il contratto può essere utilizzato per organizzare lo svolgimento di un’attività comune a più parti,
sia per il perseguimento di un fine ideale (associazione, comitato), sia per il perseguimento di un
fine lucrativo (società commerciali). Il contratto associativo ha la caratteristica della comunione
di scopo, ossia quando gli interessi dei contraenti non sono in contrapposizione tra loro ma sono
paralleli, i contraenti hanno dunque la finalità di conseguire il medesimo scopo. Il negozio, nel
caso del contratto associativo, non è soltanto volto all’autoregolamentazione degli interessi tra i
contraenti, ma è volto anche a porre un nuovo soggetto di diritto (che sia o meno dotato della
personalità giuridica, ma sicuramente della capacità giuridica). Mentre nel contratto di scambio si
assiste al reciproco impegno, in quello associativo si assiste al conferimento di beni per la
costituzione di un fondo comune.
il contratto associativo può essere stipulato tra due o più persone, che hanno uno scopo comune
e che conferiscono i propri beni in un fondo di comune utilità impiegabile nell'esercizio
dell’attività.
Contratto unilaterale
Il contratto unilaterale è volto a costituire, modificare o estinguere un rapporto giuridico
patrimoniale diretto a procurare all'altro soggetto un vantaggio, in termini di incremento
patrimoniale, senza chiedere una contro-prestazione in cambio.
Questi contratti hanno sempre una struttura bilaterale, perché vi è sempre un accordo tra le parti,
ma una sola parte si obbliga nei confronti dell'altra, ecco perché prende il nome di contratto
unilaterale. Il contratto unilaterale è il contratto da cui derivano obbligazioni a carico di una sola
parte e che, pertanto, grava soltanto sul patrimonio di quella, incrementando invece quello della
parte beneficiaria. Quindi i contratti unilaterali hanno una struttura bilaterale, ma soltanto una
parte si obbliga ad eseguire la prestazione nei confronti dell'altra. Mentre nei contratti a
prestazioni corrispettive gli obblighi gravano su entrambe le parti, nei contratti unilaterali gli
obblighi gravano solo su una parte.
L’atto unilaterale è diverso dalla fondazione, in quanto nella fondazione non vi è nessuna parte
che si obbliga verso l’altra, ma vi è la manifestazione di volontà da parte di un unico soggetto di
voler costituire la fondazione al fine di perseguire il suo interesse (ideale).
Ad esempio quando un imprenditore si obbliga a fornire ad una squadra di calcio gratuitamente
l'abbigliamento, per finalità di sponsorizzazione e di pubblicità. La parte che si obbliga non riceve
una prestazione in cambio, ma ha comunque una finalità commerciale, ad esempio quella della
pubblicità o della sponsorizzazione.
La parte che riceve il beneficio può ovviamente rifiutarsi di riceverlo. Il rifiuto può essere:
eliminativo, quando il destinatario riceve un beneficio netto, ovvero riceve un beneficio senza
sopportare nessun onere; impeditivo, quando il destinatario riceve pur sempre un beneficio, ma
accompagnato da aspetti di onerosità.
Il contratto e l’accordo
Il contratto, come sappiamo, è l’accordo con il quale una o più parti costituiscono, modificano,
estinguono un rapporto giuridico di natura patrimoniale. Il contratto deve essere un accordo
perché generalmente incide sulla sfera giuridica-patrimoniale di due o più soggetti. Il principio di
intangibilità della sfera giuridica patrimoniale prevede che nessuno possa modificare, sia nel bene
che nel male, quindi sia incrementare che diminuire, il nostro patrimonio senza il nostro consenso,
quindi senza un contratto.
L’evoluzione della dottrina più moderna hanno ridimensionato l'importanza dell'accordo, tant’è
non sempre quando si parla di contratto si parla anche di accordo. In questa moderna prospettiva
l’accordo sarebbe necessario soltanto nel caso di contratti di scambio (o comunque contratti
dove vi è l'obbligo e l’impegno da entrambe le parti), anche detti sinallagmatici, mentre l’accordo
risulta inutile nei contratti unilaterali (a struttura bilaterale, ma solo una parte si obbliga verso
l’altra). Nel caso del contratto unilaterale, per proteggere l’integrità della sfera giuridica
patrimoniale del soggetto avvantaggiato, ovvero del soggetto beneficiario della prestazione, è
sufficiente riconoscere a lui soltanto la facoltà di rifiuto. In altre parole, l’atto unilaterale che
provoca dei vantaggi sul patrimonio del soggetto beneficiario, può perfezionarsi attraverso la sola
manifestazione di volontà della persona che si obbliga, pur in assenza di accordo, salvo che il
soggetto beneficiario rifiuti il beneficio.
L’articolo 1333 disciplina la formazione dei contratti dai quali derivano obbligazioni a carico di chi
soltanto fa la proposta. Perciò, se il beneficiario non rifiuta entro un certo limite di tempo, il
contratto si considera concluso, in quanto porta ad esso un beneficio, anche se esso non ha dato
un consenso esplicito. Quindi per il soggetto che si obbliga verso l’altra parte è sempre
necessaria la manifestazione di volontà, invece per la parte ricevente il beneficio non è necessaria
la manifestazione della volontà, ma è sufficiente che esso non rifiuti il beneficio entro un
determinato periodo di tempo. Il rifiuto deve essere esplicito, mentre il consenso implicito, tacito.
I contratti tipici o nominati sono disciplinati a partire dagli articoli 1470, i quali predeterminano il
contenuto e gli effetti del contratto, come accade per il contratto di compravendita, di appalto, di
mutuo. Ciò si fa per rendere più facile la stipulazione.
L’articolo 1322 comma 1 prevede che il privato, nel caso dei contratti tipici, possa comunque
determinare liberamente il contenuto del contratto stesso.
Inoltre, ai sensi dell’articolo 1322 secondo comma, il privato può confezionare dei modelli
contrattuali nuovi, dei contratti atipici (diversi da quelli tipici prevista dal codice civile), ovvero può
creare dei contratti nuovi che il codice non prevede, purché i contratti siano leciti, quindi che non
siano contrari alla legge, e purché tendano a soddisfare interessi delle parti meritevoli di
protezione giuridica. Il problema degli interessi meritevoli di protezione giuridica non sorge per
quanto riguarda i contratti tipici, perché è sottinteso che trattino interessi meritevoli di protezione
giuridica. Invece, quando il contratto è atipico, la liceità e il controllo sull’interesse meritevole di
protezione giuridica viene effettuato (dal giudice solo qualora vi sia un contenzioso tra le parti del
contratto.)
La formazione dell'accordo
Il contratto quando è a struttura bilaterale (quindi anche contratto unilaterale) si forma per mezzo
dell'accordo, ossia del consenso delle parti su un comune regolamento di interessi. Nei contratti
di scambio il punto di partenza di ciascuna parte è in conflittualità con l'altra. Chi acquista vuole
pagare il meno possibile, chi vende vuole guadagnare il più possibile. In seguito al confronto e alla
trattativa le parti riescono ad arrivare ad un punto di incontro.
La condivisione degli interessi comuni e la discussione delle clausole del contratto può avvenire
tra soggetti che si trovano nello stesso luogo nello stesso momento o tra soggetti distanti nello
spazio. Nel primo caso la prova della formazione dell'accordo è data dalla comune sottoscrizione
del documento che dà forma al negozio. Nel secondo caso, la distanza tra le parti rende la
formazione dell'accordo più articolata. Il procedimento di formazione si svolge a diversi livelli di
complessità, dove gli atti di proposta ed accettazione vengono scambiati attraverso dichiarazioni
orali o scritte.
Le trattative precontrattuali
La formazione dell'accordo è normalmente preceduta da una fase di confronto tra le parti, da una
fase di contrattazione, durante la quale le parti si scambiano notizie e informazioni sul contenuto
del contratto al fine di raggiungere un regolamento di interessi comuni e così che le volontà
differenti possano congiungersi attraverso un accordo.
Questa fase del procedimento di formazione del contratto prende il nome di trattativa
precontrattuale. La trattativa consente a ciascun trattante di esercitare influenza sul contenuto
del contratto.
Proposta e accettazione
Giunta a maturazione la trattativa, l’accordo, ai sensi dell’articolo 1326, è concluso nel momento
in cui chi ha fatto la proposta è venuto a conoscenza dell’accettazione dell'altra parte. Proposta
e accettazione assumono dunque rilevanza determinante per la conclusione del contratto, di cui
costituiscono rispettivamente il primo e l’ultimo atto. Proposta e accettazione, in quanto dirette
alla conclusione del contratto, si considerano conosciute quando giungono al domicilio del
destinatario. La proposta e l’accettazione si dicono, dunque, recettizie, in quanto la produzione
degli effetti si verifica nel momento in cui vengono portate a conoscenza dell'altra parte, nel
momento in cui giungono al domicilio del destinatario. Il contratto, come detto prima, è concluso
nel momento in cui chi ha fatto la proposta è venuto a conoscenza dell'accettazione dell'altra
parte, fino ad allora la proposta e l’accettazione possono essere revocate. Perciò, fino a quando
la proposta non giunge al destinatario può sempre essere revocata, così come l’accettazione.
La proposta irrevocabile
La proposta può essere irrevocabile per legge o per volontà del proponente.
Secondo quanto previsto dall'articolo 1330 la proposta o l’accettazione, quando è fatta
dall’imprenditore nell'esercizio della sua impresa, non perde efficacia se l’imprenditore muore o
diviene incapace prima della conclusione del contratto. Si ha in questo caso l’irrevocabilità per
legge, dunque in caso di morte dell’imprenditore che prima aveva effettuato una proposta, tale
proposta diventa irrevocabile, non può più essere revocata.
Invece, ai sensi dell'articolo 1329, è la stessa volontà del proponente (mittente, colui che propone)
a rendere irrevocabile la proposta. Anche in questo caso la morte o l’incapacità del proponente
non tolgono l’efficacia alla proposta. In questo caso si ha la proposta irrevocabile per volontà del
proponente.
Dunque, l'irrevocabilità, legale o volontaria, rende la proposta impegnativa, in quanto non può più
essere revocata dal proponente. Sarà poi il destinatario a decidere se accettarla o meno. Quindi,
nel caso dell'irrevocabilità, il potere di determinare il perfezionamento dell'accordo è solamente
nelle mani del destinatario, poiché il proponente non può più "tornare indietro".
Il patto di opzione
Assai vicino alla proposta irrevocabile è il patto di opzione. Il patto di opzione è un contratto a
struttura bilaterale (è un patto appunto tra due parti), collocato nella categoria dei contratti
preparatori. L’articolo 1331 tratta il patto di opzione ed enuncia che quando le parti convengono
che una di esse rimanga vincolata alla propria dichiarazione e l'altra abbia facoltà di accettarla o
meno, la dichiarazione della prima si considera quale proposta irrevocabile.
In pratica per mezzo del patto d'opzione le parti (concedente/opzionante ed opzionario) si
accordano affinché il concedente/proponente rimanga vincolato alla propria dichiarazione, mentre
l'opzionario si riserva un lasso di tempo nel quale decidere se esercitare il proprio diritto d'opzione
e concludere così il contratto. Quindi, il fattore che distingue l'opzione dalla proposta irrevocabile
è la bilateralità, nel senso che sono le parti ad accordarsi affinché la proposta sia irrevocabile,
invece nell'altro caso l’irrevocabilità era prevista dalla legge o volontaria e dunque voluta dal solo
concedente/opzionante.
A differenza della puntuazione completa di contratto, nel caso del contratto preliminare, le parti si
obbligano a perfezionare il contratto (entro un determinato periodo di tempo). Dunque, le parti
perdono la libertà che connota la fase della trattativa. Con la puntuazione completa di contratto le
parti avevano già deciso riguardo ai diversi aspetti del contratto, ma comunque in questo caso
non vi era per il soggetto alcun vincolo, tant’è che esso poteva decidere liberamente se
perfezionarlo oppure no.
Come per il patto d’opzione, anche il contratto preliminare ha natura preparatoria alla conclusione
di un futuro contratto.
L’obbligazione assunta col contratto preliminare ha come oggetto non già il contratto definitivo,
che quindi può essere modificato, ma la prestazione del consenso negoziale occorrente al suo
perfezionamento.
L’articolo 2932 enuncia che se colui che è obbligato a concludere un contratto non adempie
l'obbligo, l’altra parte, qualora sia possibile, oltre al risarcimento del danno può ottenere una
sentenza che produca gli effetti del contratto non concluso (contratto preliminare).
Il contratto preliminare è un contratto a effetti obbligatori e non reali, in quanto gli effetti si
producono soltanto tra le parti.
CAPITOLO 8: LA RAPPRESENTANZA
Cooperazione gestoria
Per cooperazione gestoria si intende l’attività del soggetto che coopera con il principale nella
gestione dei suoi affari, compiendo atti giuridici verso terzi nell'interesse di costui. Proprio l’agire
del rappresentante/cooperatore nell'interesse altrui (del principale) è il tratto essenziale di tutte le
forme di cooperazione gestoria e ricorre sia nella rappresentanza diretta che indiretta.
Soltanto nella rappresentanza diretta il cooperatore, ovvero il rappresentante/mandatario, ha la
facoltà di spendere il nome del rappresentato/mandante, in quanto esso agisce in nome e per
conto del mandante. La procura è l’atto unilaterale mediante il quale il rappresentato conferisce
al rappresentante la facoltà di compiere atti giuridici nell'interesse del primo, potendo quindi
spendere il nome del dominus. La cosiddetta spendita del nome viene anche chiamata
contemplatio domini. Il rappresentante diretto, anche detto procuratore, non agisce verso i terzi
soltanto nell'interesse del principale, ma anche in nome del principale. Tant’è che l’articolo 1388
enuncia che il contratto concluso dal rappresentante diretto produce direttamente effetti nei
confronti del dominus/rappresentato. I diritti e gli obblighi nascenti dal contratto concluso dal
rappresentante (diretto) col terzo saranno immediatamente imputati alla sfera giuridica del
dominus, senza passare da quella del rappresentante. Il rappresentante diretto, agendo
nell'interesse e per conto altrui, si estranea fin dall'inizio dal rapporto giuridico, nel senso che non
vengono mai imputati ad esso gli effetti del contratto.
Invece, nel caso della rappresentanza indiretta al momento del perfezionamento dell'atto non vi
è la spendita del nome o contemplatio domini, perciò gli effetti giuridici dell'atto si produrranno,
inizialmente, nella sfera giuridica del rappresentante, il quale sulla base delle regole del mandato
sarà obbligato a riversarli nella sfera giuridico-patrimoniale del rappresentato. Quindi, nella
rappresentanza indiretta, il mandato è diretto unicamente a regolare il rapporto gestorio tra
mandatario (rappresentante) e mandante (rappresentato o dominus), senza poter esplicare il nome
del rappresentato; mentre nella rappresentanza diretta la procura è destinata ad attribuire al
rappresentante la facoltà di spendita del nome del principale.
Procura e mandato
Con la procura il rappresentato investe il rappresentante della facoltà di spendita del nome. Nello
specifico, la procura è l’atto unilaterale con cui il rappresentato si assume in anticipo le
conseguenze che derivano dall'atto giuridico.
Invece, il mandato, secondo quanto descritto dall'articolo 1703, è il contratto col quale una parte
si obbliga a compiere atti giuridici per conto dell'altra (ma non in nome dell'altra).
Poi vi può essere che al mandato si accompagni la procura, così che il mandatario possa
spendere il nome altrui. Allo stesso tempo, ovviamente, al mandato può non accompagnarsi la
procura e ciò accade quando il mandante non vuole che il suo nome venga speso dal mandatario
nella contrattazione col terzo. Dunque, il mandato senza procura consente al mandante di restare
ignoto al terzo.
Il mandante ha l’obbligo di fornire al mandatario l’occorrente per l'esecuzione dell'incarico
gestorio. Dall'altro lato, il mandatario, secondo l’articolo 1713, deve rendere al mandante il conto
del suo operato e rimettergli tutto ciò che ha ricevuto grazie al mandato. Nel caso del mandato
senza procura, se il mandatario non trasferisce al mandante i diritti acquistati dal terzo in suo
interesse, il mandante potrà ottenere solamente il risarcimento del danno, senza alcuna possibilità
di acquistare il diritto sottrattogli. Tuttavia, a tutela del mandante, l’articolo 1705, prevede che il
mandante possa esercitare direttamente il credito verso il terzo (in qualità di debitore), rivelando a
lui la propria identità e l’esistenza del mandato. In tal modo, il mandante, senza alcun intervento
del mandatario, potrà soddisfare il suo credito.
Il mandato ad alienare
Il codice disciplina espressamente il mandato volto ad acquistare beni nell’interesse del
mandante. L’articolo 1731 enuncia che il contratto di commissione è un mandato che ha per
oggetto l’acquisto o la vendita di beni per conto del committente (sarebbe il rappresentato) e in
nome del commissionario (il rappresentante). Tuttavia, almeno per i beni immobili e i beni mobili
registrati, il commissionario potrà solo acquistare il bene, ma non venderlo o alienarlo. Ciò perché
il mandante per far vendere il bene al mandatario dovrebbe trasferire a lui la proprietà di esso con
un atto che, però, è oggetto alla pubblicità, in quanto viene trascritto nei registri pubblici. Di
conseguenza verrebbe a meno il principio di segretezza del mandante. Così, al fine di proteggere
la segretezza del mandante, nel caso del mandato ad alienare non occorre il preventivo
trasferimento di proprietà dal mandante al mandatario. Tuttavia, tale trasferimento si produrrà
nello stesso momento in cui il mandatario alienerà il bene al terzo. Quindi, in quel momento il
diritto di alienare passerà dal mandante al mandatario e dal mandatario al terzo. Il trasferimento
verrà inserito nei registri pubblici soltanto in quel momento, così che venga salvaguardata la
segretezza del mandante. L’identità di quest'ultimo verrà resa nota soltanto quando l'alienazione
con il terzo sarà già avvenuta.
L’articolo 1723 prevede che il mandante possa revocare il mandato (il mandato in generale, non si
sta parlando del mandato all'incasso in rem propriam). Però, nel caso in cui fosse stata istituita
l’irrevocabilità risponde dei danni. Invece, il secondo comma dell'articolo enuncia che nel caso del
mandato conferito anche nell’interesse del mandatario, il contratto non si estingue per revoca da
parte del mandante. Inoltre non si estingue né per morte né per sopravvenuta incapacità del
mandante.
col rappresentato può essere annullato su domanda del dominus, se il conflitto era conosciuto o
era riconoscibile dal terzo.
esclude che la relazione si svolga sul piano della cortesia e dunque fa sì che l’atto possa essere
assunto sul piano giuridico; e dall'altro lato, fornisce una giustificazione alla prestazione, evitando
così che l’atto debba assumere forme rigide. In assenza di scambio, è soltanto la forma rigida
della donazione che assicura la rilevanza giuridica dell'atto.
La causa è l’espressione della manifestazione e della combinazione degli interessi delle parti, che
porta loro a volere il compimento dell'atto in quel determinato modo, secondo quelle determinate
regole, per mezzo di determinati effetti giuridici. Esaminando gli effetti che il contratto produce si
riesce a comprendere perché la parte abbia voluto stipulare il contratto, si riesce a comprendere
cosa ha spinto la parte a stipulare il contratto, si riesce perciò a comprendere la causa della
stipulazione del contratto.
che non sono posti su un piano di uguaglianza sostanziale, in quanto, ad esempio, le parti non
accedono allo stesso modo a tutte le informazioni occorrenti alla formazione di una volontà
consapevole.
L’obiettivo è quello di costruire un "contratto giusto", ma ciò va contro il principio fondante dei
contratti basato sull'autonomia privata. Bisogna cogliere efficaci strumenti di protezione che non
sopprimano la libertà individuale di determinare il contenuto del contratto. Vi possono essere casi
in cui una delle parti non sia in grado di valutare correttamente l’affare pur non versando in
situazioni di incapacità legale o naturale. In tal caso bisogna verificare la ragionevole convenienza
giuridica dell'affare per tutte le parti coinvolte nella contrattazione. La ragionevole convenienza
dovrà essere dedotta dal livello di informazione dei contraenti, da una volontà che sia realmente
libera e che riesca a comprendere l'eventuale squilibrio e l'eventuale differente ripartizione del
rischio tra le parti. Bisognerà dunque effettuare un giudizio sulla causa in concreto, al fine di
individuare appunto lo squilibrio tra le prestazioni, tenendo conto delle differenti posizioni
contrattuali, della buona fede nello svolgimento della contrattazione e dell'accesso alle
informazioni e ai dati che consentono una completa valutazione dell'affare. Dunque, il giudizio di
meritevolezza può essere decisivo e importante per la protezione della parte più debole.
Attraverso il giudizio di meritevolezza si può verificare se il contratto sia espressione della
prepotenza di una delle parti sull'altra, pur non presentando le caratteristiche per l'illiceità. La
prepotenza di una parte nei confronti dell'altra fa sì che il contratto soddisfi soltanto gli interessi di
quella parte.
Nel sistema economico odierno non sempre chi "vuole" può essere consapevole e non sempre
chi "vuole" ritiene che ciò che vuole sia propriamente utile. Ciò che è voluto è utile soltanto se si è
concretamente liberi, coscienti e consapevoli di volere, quindi ciò che è voluto è utile soltanto se
si è in un'economia di mercato liberale (ma non è il nostro caso). Spesso l’individuo è spinto a
volere qualcosa non perché la vuole veramente, ma in quanto espressione di una volontà
incosciente, inconsapevole o dettata dal bisogno, da circostanze costringenti, da situazioni di
dipendenza economica.
Mentre il soggetto, in quanto parte, è il centro di imputazione degli interessi cui il contratto si
riferisce, l’oggetto è il punto di riferimento oggettivo del contratto. L’atto giuridico è imputato a
soggetti e riferito a oggetti, ovvero i beni che per mezzo del contratto ciascuna parte intende
conseguire. Dunque, il soggetto è l’attore della volontà, ovvero il soggetto a cui imputare gli effetti
giuridici; mentre l’oggetto è inteso come bene materiale, come interesse delle parti, come utilità
finale attesa dalle parti. L’oggetto è, quindi, il bene specifico che soddisfa gli interessi delle parti,
o, in altre parole, l’utilità finale attesa a soddisfazione del bisogno.
L’articolo 1325 si riferisce all'oggetto come elemento essenziale del contratto, occorrente
pertanto a perfezionarlo sul piano formale. La norma però non può riferirsi all'oggetto nel senso
del bene, nel senso dell’utilità attesa dalle parti, ma si deve riferire allo stesso bene, alla stessa
utilità, ma nella sua dimensione formale e descrittiva.
del contratto non esiste ancora. La sola rappresentazione descrittiva dell'oggetto permette di
affermare la validità dell'atto, ma la sua inesistenza in natura impedisce che si possano produrre
effetti giuridici. La nozione di bene futuro va distinta da quella di bene altrui. Per bene altrui si
intende un bene esistente in natura ma rientrante nel patrimonio di un soggetto diverso. Nel caso
del bene futuro, la mancata venuta a esistenza della cosa (dell'oggetto) impedisce il sorgere
dell'intero rapporto giuridico, pertanto nessuna prestazione è dovuta.
I requisiti dell'oggetto
Ai sensi dell'articolo 1346 l’oggetto del contratto deve avere i requisiti della determinatezza, della
possibilità e della liceità. Il bene finale costituente oggetto del contratto deve dunque essere
determinabile, se non già del tutto determinato, possibile e lecito.
Il primo requisito impone che la clausola negoziale rappresenti descrittivamente il bene in modo
almeno determinabile. Dal contratto a oggetto determinabile non potrà nascere un rapporto
giuridico, non potrà produrre gli effetti, esso avrà bisogno della determinatezza.
L’utilità attesa dall'oggetto deve essere possibile fin dal momento della sua rappresentazione
descrittiva, deve essere possibile in natura (possibilità materiale) e in conformità all'ordinamento
giuridico (possibilità giuridica). Quindi, oltre ad essere possibile sotto il profilo materiale, l’oggetto
deve essere possibile da un punto di vista giuridico. L’impossibilità giuridica ricorre nel caso in cui
l’oggetto del contratto sia un bene a disposizione di tutti e quindi insuscettibile di appropriazione
privata, che non può appartenere a nessun individuo. La giuridica impossibilità dell'oggetto va
però distinta dall'illiceità, che si ha quando l’utilità perseguita dalle parti non è giuridicamente
conseguibile, poiché vietata dall'ordinamento e dunque il contratto in tal caso diventa contrario a
norme imperative, all'ordine pubblico e al buon costume. L'illiceità dell'oggetto, a differenza di
quella della causa, colpisce il contratto in relazione alla valutazione sul bene. L’illiceità, in
sostanza, colpisce l’oggetto quando l’ordinamento vieta di conseguire un determinato bene, una
determinata utilità. D’altro canto, l’illiceità colpisce la causa quando l'ordinamento vieta alle parti
di perseguire i loro interessi, in quanto gli effetti dell'atto sono contrari alle norme imperative,
all'ordine pubblico e al buon costume.
Quando richiesta a pena di nullità del contratto, anche la forma è un elemento essenziale del
contratto (come previsto dall'articolo 1325).
La volontà delle parti può essere manifestata attraverso la dichiarazione, che può essere orale o
scritta, dal segno, dal gesto, dal fatto o dal comportamento concludente. Intesa in tal senso la
forma è essenziale per qualunque atto giuridico, saranno poi le parti a decidere la modalità
espressiva della manifestazione. Però quando l’articolo 1325 enuncia che la forma è essenziale
quando prescritta dalla legge sotto pena di nullità non si riferisce alla necessità o no di
manifestare la volontà, ma si riferisce ad una particolare modalità espressiva della manifestazione
di volontà, che in assenza di specifica prescrizione, è libera. Perciò, la parte è libera di scegliere il
modo con cui manifestare la propria volontà, a meno che la legge ne imponga uno.
La prescrizione impositiva di una determinata forma a pena di nullità è sempre posta in funzione
della protezione di particolari interessi. Ad esempio l’articolo 1350 descrive i contratti che devono
essere stipulati per atto pubblico o per scrittura privata autenticata sotto pena di nullità (contratti
che trasferiscono la proprietà di beni immobili, i contratti di associazione).
Quindi la forma può essere: libera, atto pubblico o scrittura privata autenticata.
Il termine di efficacia
La conclusione di un contratto valido ne determina, di regola, gli effetti. Infatti, la regola generale
prevede la coincidenza tra il perfezionamento del contratto e la sua efficacia. In realtà, i giudizi di
validità e efficacia del contratto sono ben distinti. Il giudizio di validità si ha dopo la verifica di
corrispondenza tra il singolo contratto e la fattispecie astratta. Invece, l'efficacia del contratto si
ha quando il contratto valido è in grado di produrre le modificazioni della sfera giuridico-
patrimoniale delle parti nel senso da loro stesse voluto.
D’altro canto, la natura negoziale del contratto consente alle parti di incidere sul piano effettuale e
nello specifico di incidere sul "tempo" dell'efficacia, appuntando al contratto un'apposita clausola,
un termine di efficacia. Il termine di efficacia è un elemento accidentale del contratto, ossia un
elemento non richiesto dalla legge per ottenere la validità del contratto, ma che può essere
utilizzato dal privato per soddisfare le sue specifiche esigenze negoziali. Dunque, accidentale nel
senso di "non essenziale" e non di "secondario". Infatti, quando inserito nell'atto, l'elemento
accidentale assume la medesima rilevanza di ogni altra parte essenziale del contratto.
Il termine di efficacia va però distinto dal termine di adempimento. Quest'ultimo non è un
elemento accidentale del contratto, fissa soltanto il tempo entro il quale il debitore è tenuto ad
eseguire la prestazione dovuta. Invece, il termine di efficacia incide sul profilo effettuale dell'atto.
Il termine di efficacia viene distinto tra termine iniziale e termine finale di efficacia. Con termine
iniziale di efficacia si indica la clausola con la quale le parti convengono che gli effetti si
producano soltanto al verificarsi di un determinato evento futuro, ma certo nel suo realizzarsi.
Invece, con il termine finale di efficacia si indica la clausola con la quale le parti convengono che
gli effetti del contratto cessino al verificarsi di un determinato evento futuro, che è certo nel suo
realizzarsi. Nel primo caso (termine iniziale di efficacia) il negozio è valido, ma sarà inefficace fino
al termine convenuto, mentre nel secondo caso (termine finale di efficacia), l’efficacia immediata
del negozio valido cesserà alla scadenza del termine convenuto.
Il termine può essere o una data o un accadimento certo.
La condizione
La condizione è un altro elemento accidentale del contratto e può essere apposta dalla volontà
delle parti, condizione volontaria, o prevista dalla legge, condizione legale. Dalla condizione si
potranno produrre gli effetti previsti oppure gli effetti prodotti cesseranno. La differenza della
condizione (che trova riferimento nell'articolo 1353) rispetto al termine di efficacia è che l’evento
futuro è incerto nel suo verificarsi, rendendo di conseguenza incerta l’efficacia del contratto,
seppur validamente concluso.
La condizione è uno strumento negoziale che permette ai contraenti di far dipendere la
produzione o la cessazione degli effetti del contratto al verificarsi di un evento futuro e incerto. Ciò
perché le parti non hanno interesse che gli effetti del contratto si producano in ogni caso, ma
hanno interesse che essi si producano soltanto se e quando si verifichi l’evento futuro ed incerto,
oppure che gli effetti cessino nel caso in cui si verifichi tale evento. Nel primo caso si tratta di
condizione sospensiva (quando al verificarsi dell'evento futuro e incerto consegue l’efficacia del
contratto), nel secondo caso si tratta di condizione risolutiva (quando al verificarsi dell'evento
futuro e incerto consegue la cessazione degli effetti del contratto).
Ovviamente l’evento futuro ed incerto deve essere lecito. Infatti, l’articolo 1354 enuncia che è
nullo il contratto al quale è apposta una condizione, sospensiva o risolutiva che sia, contraria a
norme imperative, al buon costume e all'ordine pubblico. Inoltre, il secondo comma dello stesso
articolo enuncia che il contratto è nullo anche se la condizione sospensiva è impossibile, invece
nel caso della condizione risolutiva si ha come non apposta, ovvero il contratto viene considerato
come se questa condizione impossibile non fosse mai esistita.
L’evento futuro ed incerto da cui dipende l'efficacia del contratto o la sua cessazione può essere:
-casuale, quando il verificarsi o meno dell'evento è completamente estraneo alla sfera di controllo
delle parti. Un esempio di condizione casuale può essere "ti vendo questo bene a questo prezzo
a condizione che mio padre acquisti un'altra casa entro un anno". La condizione è casuale,
perché non dipende dalla volontà delle parti, ma dipende dalle azioni di una terza parte, in questo
caso il padre.
-volontario, quando l’evento si concreta in una manifestazione di volontà di una delle parti. Ad
esempio: ti vendo questo bene a questo prezzo a condizione che io decida di andare a vivere
nella mia casa di campagna entro un anno. È una condizione che dipende dalla volontà,
dall'azione di una parte e l’evento è, dunque, volontario.
-misto quando l’evento dipende in parte dalla casualità e in parte dalla volontà di una delle parti.
Ad esempio: ti vendo questo bene a questo prezzo a condizione che io decida di fare domanda
per il trasferimento di università (evento volontario) e che la pubblica amministrazione mi
trasferisca effettivamente in un’altra università entro un anno (evento casuale).
La clausola condizionale
La condizione, sospensiva o risolutiva, è apposta al contratto mediante un'apposita clausola, che
prende il nome di clausola condizionale. L’articolo 1360 prevede che gli effetti dell'avveramento
della condizione retroagiscono al tempo in cui è stato concluso il contratto, salvo che per volontà
delle parti o per natura del rapporto, gli effetti del contratto o della risoluzione devono essere
riportati ad un momento diverso. Perciò il contratto, di norma, salvo eccezioni, al verificarsi della
condizione sospensiva produrrà gli effetti sin dal momento in cui esso è stato stipulato e nel caso
della condizione risolutiva gli effetti prodotti fino a quel momento saranno annullati.
Alla clausola condizionale si accompagna sempre la fissazione di un termine alla scadenza del
quale bisognerà accertare l'accadimento o no dell'evento, sia per quanto riguarda la condizione
sospensiva che risolutiva. Ciò al fine di evitare che questa incertezza (evento futuro ed incerto)
permanga per sempre.
conservativi. L’articolo 1358 prevede che colui che si è obbligato o che ha alienato un diritto sotto
condizione sospensiva, oppure lo ha acquistato sotto condizione risolutiva, deve, in pendenza
della condizione, comportarsi secondo buona fede per conservare integre le ragioni dell'altra
parte. In sostanza, gli effetti preliminari sono quegli effetti che hanno interesse a far sì che il
contratto si perfezioni e che hanno interesse alla conservazione di quegli elementi già definiti
(elementi essenziali).
L’aspettativa di diritto
L’aspettativa di diritto si ha quando una parte del contratto in pendenza della condizione attende
di poter disporre del proprio diritto. L'aspettativa di diritto è una situazione soggettiva di
vantaggio, in quanto consente il trasferimento del diritto al soggetto terzo, a meno che per legge il
diritto atteso sia considerato indisponibile, ma esso non può esercitare gli effetti che derivano dal
diritto atteso. L’articolo 1357 enuncia che chi ha un diritto che dipende da una condizione
sospensiva o risolutiva può disporre di tale diritto in pendenza di questa, dunque gli può essere
trasferito. Tuttavia gli effetti del diritto sono subordinati alla condizione e dunque il diritto non
produce effetti se non si verifica la condizione. Il titolare dell'aspettativa non può disporre
immediatamente del diritto futuro, in quanto non lo ha durante la fase di pendenza, riuscendo
dunque a trasferire soltanto ciò che in quel momento ha, ossia l'aspettativa di diritto. In sostanza,
il titolare del diritto futuro, ovvero il titolare dell'aspettativa, non può trasferire al terzo il diritto
futuro (perché ancora non ce l’ha effettivamente), ma può trasferire soltanto l'aspettativa di diritto.
L’articolo 1357 prevede quindi che il compratore acquisti il diritto finale soltanto in esito al
completamento della fattispecie originaria, soltanto al verificarsi della condizione (sospensiva).
Il modus (l'onere)
Il modus è un elemento accidentale che può essere utilizzato soltanto per i contratti di donazione
oppure per gli atti a titolo gratuito diversi dalla donazione, oltre che a materia testamentaria.
Il modus (o onere) consente alla parte che dispone di un diritto (o che assume un'obbligazione a
titolo gratuito) di costituire a carico del soggetto avvantaggiato un'obbligazione, che non assume
mai rilevanza di corrispettivo. Ad esempio la donazione può essere gravata da un onere, il quale
prevede che il donatario, ovvero colui che riceve la donazione, sia tenuto all'adempimento di una
prestazione, ossia dell'onere. Il donante non vuole nulla in cambio della donazione, non vuole
avere un ritorno economico derivante dalla donazione, l’intento del donante non è di tipo
patrimoniale, ma vuole imporre un dovere specifico al donatario. L'assenza di corrispettività tra la
donazione effettuata dal donante e l’obbligazione modale del donatario esclude che, in caso di
inadempimento possa essere pronunciata la risoluzione del contratto di donazione. Ciò è invece
possibile solo per i contratti a prestazione corrispettiva. L’obbligazione modale quindi non si
colloca sullo stesso piano dell’attribuzione donativa, in quanto il modus/l'onere è un elemento
accidentale della donazione. Però qualora il donatario si rifiuti di adempiere all'onere, secondo
quanto previsto dall'articolo 793, il donante (o qualsiasi terzo interessato) potrà agire in giudizio
per far sì che il donatario esegua l’onere, ma l'inadempimento del donatario non implica la
risoluzione del contratto di donazione, perciò il donatario riceverà ugualmente la donazione.
L'Articolo 793 dispone inoltre che il donatario è tenuto all'adempimento dell'onere entro i limiti del
valore della cosa donata. In sostanza non potrà mai perderci.
Quanto previsto dall'articolo 793 per la donazione viene esteso anche ai contratti a titolo gratuito.
In materia testamentaria, l’articolo 647 prevede che possa essere apposto un onere all'erede o al
legato (colui che eredità soltanto diritti, beni o crediti). Ovviamente, come detto precedentemente,
l’adempimento dell'onere non è vincolante ai fini del testamento.
Come ogni manifestazione della personalità individuale anche l'atto giuridico è suscettibile di
interpretazione. L’interpretazione è volta a svelare, attraverso la ricostruzione della volontà
manifestata, l’effettivo volere delle parti.
L’articolo 1362 detta le regole che l’interprete deve osservare nello svolgimento di questa
delicatissima attività prendendo in considerazione non il contratto come fattispecie, ma il
contratto come testo. Nello specifico, l’articolo enuncia che nell'interpretare il contratto si deve
indagare su quale sia la comune intenzione delle parti e non limitarsi al senso letterale delle
parole. Per determinare la comune intenzione delle parti si deve valutare anche il loro
comportamento posteriore alla conclusione del contratto. Inoltre, oltre all’attività di
interpretazione, è altresì importante l’attività di qualificazione dell'atto giuridico, volta ad
assegnare al fatto interpretato una corretta rilevanza giuridica nel quadro generale
dell'ordinamento giuridico.
L'efficacia
Un contratto, come abbiamo già visto, si dice efficace quando è in grado di produrre
modificazioni della realtà, quando è in grado di produrre gli effetti previsti nell'atto. L'efficacia
dell'atto si esprime per mezzo dell'effetto giuridico, ossia la conseguenza giuridicamente
rilevante. L’effetto giuridico è riferito a un atto del privato. Attraverso l’effetto giuridico,
l'ordinamento dispone comandi, divieti, permessi e punizioni, fissa dunque le regole di
svolgimento della relazione economico-patrimoniale.
fissato per disciplinare lo svolgimento del rapporto di natura patrimoniale che soddisfa i loro
interessi. L'irrevocabilità fa sì che le parti non possano sottrarsi unilateralmente agli effetti del
contratto. È invece possibile lo scioglimento del contratto per mutuo consenso, ossia per effetto
di una nuova comune manifestazione di volontà. A differenza del contratto estintivo, il mutuo
consenso non si limita a eliminare il rapporto giuridico, ma è diretto a ripristinare la relazione nello
stato in cui essa era prima del contratto, ricostituendo i patrimoni delle parti nella loro originaria
consistenza. Il mutuo consenso permette quindi la risoluzione del contratto, dando luogo a un
effetto ripristinatorio anche retroattivo. Tuttavia il mutuo consenso provoca la risoluzione soltanto
nell'ambito dei rapporti interni, senza alcuna possibilità di intaccare la sfera giuridica del terzo
acquirente.
Qualora il contratto lo permetta, è inoltre possibile la risoluzione del contratto per recesso
unilaterale. In tal caso lo scioglimento del vincolo contrattuale avviene per effetto di una
manifestazione unilaterale di volontà. Nello specifico l’articolo 1373 statuisce che se a una delle
parti è attribuita la facoltà di recedere dal contratto, tale facoltà può essere esercitata soltanto se
il contratto non ha ancora avuto un principio di esecuzione. Dunque, l’esercizio di tale facoltà è
subordinato al fatto che il contratto non abbia avuto un principio di esecuzione. Inoltre, nel caso
del recesso unilaterale è prevista una multa penitenziale, che rappresenta la somma di denaro a
scopo di indennizzo che il recedente deve pagare alla controparte. Analoga funzione ha la caparra
penitenziale, l’unica differenza è che, in tal caso, la parte che ha la facoltà di recedere versa
all'altra parte al momento della conclusione del contratto una determinata somma di denaro.
Però, nel caso in cui la parte non eserciti la facoltà di recesso, la somma di denaro dovrà essergli
restituita.
L'integrazione (effetti convenzionali) del contratto (norme imperative, derogabili, suppletive, usi e
equità)
Ai sensi dell'articolo 1374 il contratto obbliga le parti non solo a quanto è stato espresso nel
medesimo, ma anche a tutte le conseguenze che ne derivano secondo la legge o, in mancanza,
secondo gli usi e l’equità. L’autonomia privata fissa le regole di svolgimento del rapporto giuridico,
ma ciò non esclude che la sua disciplina sia arricchita dall'applicazione di ogni altra regola che
per legge sia riferibile al tipo di rapporto giuridico costituito, modificato o estinto.
Le prime norme di legge a trovare applicazione sono quelle imperative, ossia quelle norme riferibili
allo specifico rapporto giuridico che devono per legge trovare applicazione. Le norme imperative
si applicano anche contro la volontà delle parti, in quanto poste a salvaguardia di interessi di
carattere generale. Trovano applicazione anche le norme derogabili, che fissano delle regole che
possono essere applicate soltanto in assenza di volontà contrarie delle parti. Dunque, sono le
parti a decidere se applicare o meno le norme derogabili. Infine, vi sono le norme suppletive che
vengono applicate per integrare particolari aspetti del rapporto giuridico che non sono stati
disciplinati dai contraenti.
Tuttavia, in assenza di norme legali (imperative, derogabili e suppletive), bisogna tener conto degli
usi e dell’equità. (L’equità consente al giudice di determinare aspetti del regolamento non
contemplati dalle parti e non definiti dalla legge e dagli usi. Ma prima di intervenire attraverso
l’equità, il giudice dovrà far ricorso agli usi normativi, per colmare lacune di disciplina del
contratto. Si tratta di norme secondarie, non scritte, ma che sono idonee a disciplinare il caso
concreto soltanto in assenza di norme di legge. Vanno distinti dagli usi normativi, gli usi negoziali
e interpretativi. Gli usi negoziali indicano le regole operative applicate nella prassi dagli operatori
di un determinato settore, si parla di usi aziendali. Invece, gli usi interpretativi hanno il fine di
guidare l'interprete nell’attività di ricostruzione della volontà delle parti.)
*la trascrizione ha lo scopo di favorire la conoscenza da parte di tutti del bene trascritto e di far
accrescere la certezza sul suo stato. Sono soggetti a trascrizione nei registri pubblici i beni
immobili e i beni mobili registrati. L'effetto della trascrizione è quello di rendere opponibile a terzi il
bene trascritto.*
se l’altra parte ne dia il consenso. Dunque, per mezzo del negozio di cessione del contratto il
cedente trasferisce al cessionario tuitti i diritti e tutti gli obblighi a lui spettanti verso il ceduto
(l’altra parte del contratto). Perciò il cessionario succede al cedente nella titolarità di tutte le
situazioni soggettive attive e passive spettanti al cedente verso il contraente ceduto. Si dice che il
cessionario acquisti le situazioni soggettive dal cedente a titolo derivativo. Pertanto il cedente è di
regola liberato dalle obbligazioni assunte nei confronti del ceduto.
Commutatività e aleatorietà
L’operazione economica con cui le parti intendono assegnare rilevanza giuridica attraverso il
contratto è normalmente commutativa, ovvero prevede una ordinaria ripartizione del rischio tra le
parti, senza che una parte sia più esposta al rischio rispetto all'altra. Il rischio contrattuale indica
genericamente l’esposizione delle parti agli effetti negativi dal punto di vista patrimoniale, che
possono derivare da qualsiasi evenienza futura ed imprevedibile.
Diversamente accade nel caso del contratto aleatorio, dove l'obbligazione certa che deriva dal
contratto a prestazione corrispettiva vede dall'altra parte un'obbligazione incerta. È il caso dei
contratti di assicurazione, che vengono considerati nulli se il rischio non è mai esistito o ha
cessato di esistere prima della conclusione del contratto e che vengono sciolti se, invece, il
rischio cessa di esistere dopo la conclusione del contratto. Nel contratto aleatorio (assicurativo) vi
è un’obbligazione certa, ovvero quella dell'assicurato che deve pagare i premi, e un'obbligazione
incerta, ovvero quella dell'assicuratore nei confronti dell'assicurato, che si verificherà solo nel
caso in cui si verifichi il sinistro (l'evento incerto).
Invece, nel caso della caparra confirmatoria, la parte che la riceve si protegge dal rischio di
inadempimento della parte, ricevendo già al momento della conclusione del contratto una somma
di denaro che potrà poi definitivamente trattenere in caso di effettivo inadempimento della parte.
Inoltre, se la parte che ha dato la caparra è inadempiente, l’altra parte ha diritto a recedere dal
contratto, tenendo pure l’importo della caparra.
Infine, in un contratto a prestazioni corrispettive le parti possono pattuire la clausola risolutiva
espressa, mediante la quale le parti convengono che il contratto si risolva nel caso in cui una
determinata obbligazione non venga adempiuta secondo le modalità stabilite.
Per la parte che ha partecipato alla nullità in maniera consapevole non viene riconosciuta la
possibilità di restituzione di quanto ha pagato. Un esempio immediato è il cliente di una prostituta,
il quale non può chiedere la restituzione del denaro anche se il contratto è nullo, poiché era
consapevole di partecipare ad un contratto illegale e quindi nullo nel momento in cui l’ha pagata.
La nullità è inoltre imprescrittibile, non cade mai in prescrizione.
Nullità e illiceità
Il contratto illecito rientra nel più ampio ambito della nullità del contratto, l'illiceità rappresenta la
forma di nullità più grave. Infatti l’illiceità deriva dalla contrarietà alle norme imperative, all’ordine
pubblico e al buon costume. Il contratto non si definisce illecito soltanto quando sono illeciti la
causa, il motivo e l’oggetto, ma anche quando il contratto costituisce il mezzo per eludere
l’applicazione di una norma imperativa, come previsto dall'articolo 1344. Si parla perciò di
negozio in frode alla legge, quando l’illiceità non è nel contratto in sé, ma nello scopo del
contratto, in quanto le parti attraverso il contratto hanno l’intento di eludere (di non rispettare) il
divieto espresso dalla norme imperative.
perché tutti questi trasferimenti sono nati da un iniziale contratto nullo, che, di conseguenza, ha
reso nulli tutti gli altri. Tuttavia per i beni immobili viene prevista un'eccezionale efficacia sanante,
secondo la quale se la domanda giudiziale volta all'accertamento della nullità del negozio sia
trascritta dopo cinque anni dalla data della trascrizione dell'atto nullo, l'eventuale sentenza che
accerta la nullità non pregiudica i diritti acquistati dai successivi acquirenti in buona fede.
attraverso una dichiarazione. Invece, si parla di convalida tacita quando il contraente vi ha dato
volontariamente esecuzione (non manifesta attraverso una dichiarazione la volontà di
convalidarlo, ma è lui stesso a convalidare il contratto attraverso un'esecuzione volontaria).
qualora l’altra parte abbia interesse a ricevere la prestazione anche oltre il tempo stabilito. Stesso
discorso per l’impossibilità parziale, anche in tal caso ciò non comporta la risoluzione, perché la
sopravvenuta impossibilità deve essere totale. Nel caso in cui l’impossibilità della prestazione
fosse soltanto parziale, l’altra parte ha diritto ad una riduzione della prestazione dovuta. Tuttavia la
parte ha il diritto di recedere dal contratto qualora non abbia interesse a ricevere la prestazione
parziale.
Ai sensi dell'articolo 822 appartengono allo Stato e fanno parte del demanio pubblico il lido del
mare, la spiaggia, i porti, i fiumi, i torrenti, i laghi, le opere destinate alla difesa nazionale, gli
immobili di interesse storico, archeologico, artistico, musei, pinacoteche, biblioteche. Fanno parte
del demanio pubblico se appartengono allo Stato anche le strade, autostrade e tutti gli altri beni
che sono assoggettati dalla legge al demanio pubblico. Anche i beni che appartengono al
comune o alla provincia sono assoggettati al demanio pubblico (come i cimiteri e i mercati
comunali). I beni demaniali sono quei beni che vengono sottratti alla libera appropriazione privata,
in quanto destinati stabilmente alla soddisfazione di interessi pubblici. Essi sono dunque
inalienabili. La loro conservazione e la loro tutela spetta all'autorità amministrativa. Per l’ente
pubblico da questa situazione di appartenenza deriva quindi una conseguente responsabilità.
Tuttavia lo Stato, che detiene l'appartenenza dei beni demaniali, può concedere tali beni ai privati
nei limiti della legge, tramite la concessione.
Diverso invece è il caso dei beni rientranti nel patrimonio dello Stato, ossia quei beni diversi da
quelli assoggettati al demanio pubblico. Essi sono soggetti a norme differenti a seconda che
rientrino nel patrimonio indisponibile o in quello disponibile. Fanno parte del patrimonio
indisponibile le foreste, le miniere, le cave, le cose di interesse storico, archeologico, artistico da
chiunque trovate nel sottosuolo. E ancora, le caserme, gli armamenti, le navi da guerra, gli aerei
militari. Fanno invece parte del patrimonio disponibile tutti gli altri beni di proprietà pubblica, che
sono nella libera disponibilità dello Stato e su cui esso può godere e disporre liberamente. Invece,
i beni del patrimonio indisponibile non possono essere sottratti alla loro destinazione.
Attraverso l'atto della sdemanializzazione, l’ente pubblico proprietario del bene demaniale può
assoggettare tale bene al patrimonio dello Stato (invece che al demanio pubblico).
Infine, per impedire che gli immobili abbandonati siano di proprietà di nessuno, la legge prevede
che diventino di proprietà dello Stato.
L’azienda
L’azienda viene definita come un complesso di beni, organizzato dall'imprenditore per l'esercizio
dell’impresa. I beni in un’impresa sono destinati all'esercizio dell'impresa, proprio mediante la loro
organizzazione. La titolarità dell’azienda non coincide con la proprietà dei singoli beni, che
potrebbero non essere di proprietà dell'imprenditore purché egli abbia comunque il diritto di
poterne godere. Dal punto di vista economico l’azienda è un organismo produttivo complesso,
composto da beni (mobili e immobili), servizi, crediti e debiti. L’azienda è dunque un complesso/
insieme di beni autonomi, i quali sono uniti dalla comune destinazione a servizio degli scopi
aziendali. L’azienda è dunque un insieme di beni organizzati. L’imprenditore è titolare di questi
beni, ma non è per forza proprietario.
Il diritto reale
Il diritto reale è la forma di protezione giuridica dell'interesse del privato ad affermare nei
confronti degli altri e a vedere da loro riconosciuta l'appartenenza di una cosa, di cui il soggetto si
è appropriato per mezzo di un legittimo titolo di acquisto. L’ordinamento giuridico protegge la
relazione di appartenenza tra il soggetto e la cosa, assicurando al titolare la facoltà di trarre dalla
cosa tutte le utilità che essa può dare. La facoltà di godimento permette al titolare di sfruttare il
bene per il suo valore d’uso, ossia di sfruttarlo per il fine che è atto a soddisfare. Laddove il bene
sia fruttifero, l’ordinamento consente di appropriarsi anche dei frutti del bene (i prodotti delle
miniere, gli interessi dei capitali,...).
Invece la facoltà di disposizione consente al titolare del diritto di sfruttare il bene che ne è oggetto
per il suo valore di scambio. La facoltà di disposizione si manifesta tipicamente per mezzo del
contratto di scambio. L’ordinamento consente al soggetto titolare del diritto di essere riconosciuto
da tutti i consociati come l’unico soggetto che ha la facoltà di sfruttare il bene per il suo valore di
scambio e di poter opporre a tutti il suo legittimo titolo di acquisto. Proprio per questi motivi, il
diritto reale è connotato dalla esclusività. Per esclusività si intende il fatto che l’ordinamento
assicura al titolare la facoltà di escludere qualunque altro soggetto dalla facoltà di disposizione sul
bene. Perciò, il bene oggetto del diritto spetta al singolo titolare in via esclusiva.
Il diritto reale è anche un diritto assoluto, in quanto consente di affermare il proprio diritto nei
confronti di tutti i consociati, i quali sono tenuti a rispettare il titolare.
Il rapporto giuridico di un diritto reale dal lato attivo vede un soggetto determinato e dal lato
passivo vede gli omnes, ossia tutti i consociati. Sugli omnes grava il dovere generico di astenersi
dal compiere qualunque atto che possa menomare il diritto del soggetto titolare.
La proprietà
La massima espressione del diritto reale è la proprietà. L’articolo 832 definisce la proprietà come
il diritto di godere e disporre delle cose in modo pieno ed esclusivo. La proprietà può essere
pubblica o privata, poiché i beni possono appartenere allo Stato o a privati. La proprietà tutela
l’interesse al godimento e allo sfruttamento dell'utilità che la cosa assicura al titolare. Il diritto di
proprietà non si manifesta sempre con le medesime modalità, ma varia in considerazione della
natura del bene.
sia di molto superiore all'altra per valore e serva a essa come ornamento, il proprietario della cosa
principale acquista la proprietà del tutto, tuttavia dovendo pagare all'altro il valore della cosa che
è stata unità a quella principale.
Quando l’attività trasformativa della materia dà vita a un nuovo bene, l’acquisto della proprietà
avviene per specificazione. L’articolo 940 prevede che se un soggetto ha utilizzato una materia
che non gli apparteneva per formare una nuova cosa, ne acquista la proprietà pagando al
proprietario il prezzo della materia.
Sono acquisti a titolo derivativo il contratto e la successione a causa di morte. Per quanto
riguarda l’acquisto della proprietà per effetti del contratto ci si rimanda a quanto detto sui contratti
reali. I contratti reali prevedono il trasferimento del diritto e prevedono che tale diritto possa
essere fatto valere nei confronti dei terzi. Nel caso della successione per causa di morte (che
tratteremo meglio nei capitoli finali), l’acquisto della proprietà avviene a seguito della morte del
titolare a favore dell'erede o del legatario. Le regole principali che regolano gli acquisti a titolo
derivativo sono che nessuno può trasferire agli altri più di quello che ha e che il diritto acquistato
(dall'avente causa) resta legato al titolo di acquisto dei precedenti proprietari, in una catena che
risale fino al primo acquisto a titolo originario. Soltanto la validità e integrità di questa catena,
permette all'ultimo proprietario di essere titolare del diritto. Ciò per dire che i vizi dei titoli di
acquisto anteriori si ripercuotono sulla titolarità dell'ultimo proprietario.
La divisione e l'unione
È possibile che sulla cosa oggetto di proprietà intervenga volontariamente il proprietario
attraverso la divisione o l'unione di beni immobili. Nel caso di divisione, il proprietario di un unico
immobile che può essere oggettivamente diviso, decide di frazionare in più parti l'immobile,
ognuna delle parti idonea a soddisfare l'interesse dell'intero. Invece si parla di unione nel caso in
cui il proprietario decida di rimuovere segni di divisione tra più beni limitrofi (adiacenti, confinanti),
determinando la formazione di un unico più ampio bene. Nel caso della divisione deriva il
frazionamento stesso del diritto di proprietà. Infatti, la proprietà di ciascun immobile derivante dal
frazionamento sarà suscettibile di diverse situazioni giuridiche, di diversi contratti reali, di diversi
diritti di proprietà. Si ha la situazione opposta per l’unione, dove la fusione di più beni immobili va
a costituire un unico bene che non può essere soggetto di due diversi contratti, di due diversi
diritti di proprietà. L’atto di unione e di divisione rappresentano la manifestazione della volontà del
proprietario, il quale ha diritto di dare ai propri beni l’organizzazione che ritiene più idonea ai propri
interessi, anche modificandone la consistenza e la destinazione originaria.
La rivendicazione
La lesione dell'interesse del proprietario da parte dei terzi può derivare dall'impedire al
proprietario di esercitare sulla cosa le proprie facoltà di godimento, trattenendo il possesso del
bene senza il suo consenso. L’azione di rivendicazione consente al proprietario di rivendicare il
possesso della cosa e permette quindi al proprietario di riavere il proprio bene, previo
risarcimento da parte del possessore. L’azione di rivendicazione è un'azione reale, in quanto
diretta al recupero della cosa e quindi può essere esercitata nei confronti di tutti. Per vedere
affermato il suo diritto e ottenere quindi la restituzione della cosa dal possessore, il proprietario
dovrà provare di essere tale. Nello specifico, se il proprietario ha acquisito il diritto a titolo
originario dovrà provare il proprio titolo d’acquisto, se, invece, l’acquisto del diritto è a titolo
derivativo, il proprietario dovrà risalire tutta la catena fino ad arrivare al proprietario a titolo
originario, in modo tale da dar prova di aver acquistato un titolo valido.
Qualora il bene rivendicato sia venuto a mancare (per distruzione), il proprietario potrà agire nei
confronti del possessore soltanto per ottenere il risarcimento dei danni.
La proprietà e gli altri diritti reali si manifestano all'esterno attraverso la relazione di appartenenza
tra la cosa e il titolare. L’articolo 1140 enuncia che il possesso è il potere sulla cosa che si
manifesta nell'esercizio della proprietà o di altro diritto reale. Il possesso si concreta dunque in
una relazione di fatto tra il soggetto e la cosa, che si manifesta all'esterno tramite l’esercizio della
proprietà (o di altro diritto reale). Il diritto a possedere presenta due requisiti essenziali: corpus
possessionis e animus possidendi. Con corpus possessionis si intende la relazione di
appartenenza tra il soggetto e la cosa, che consente al soggetto di esercitare sulla cosa dei
poteri. Invece, con animus possidendi si intende il fatto che i poteri sulla cosa vengono esercitati
dal soggetto come se venissero esercitati dal titolare del diritto di proprietà o di altro diritto reale.
Nel primo caso è possibile la detenzione altrui, che si ha quando un altro soggetto ha la cosa
materialmente presso di sé, pur riconoscendo il possesso al reale titolare. Tant’è che il Codice
Civile prevede che si possa possedere direttamente o per mezzo di altra persona, che ha la
detenzione della cosa. Tuttavia il detentore non ha il requisito dell'animus possidendi, in quanto
egli pur esercitando il possesso sulla cosa, non gli viene riconosciuta la titolarità di essa. È ciò che
accade nel caso del contratto di locazione di un immobile, dove il conduttore, ovvero colui che ha
il possesso dell'immobile, non possiede il requisito dell'animus possidendi, in quanto non è il
titolare dell'immobile, ma ciononostante egli ne detiene il possesso e perciò possiede il requisito
del corpus possessionis. Più correttamente si dovrebbe dire che il conduttore possiede la
detenzione della cosa e non il possesso, in quanto non possiede il requisito dell'animus
possidendi.
Il fatto di essere consapevoli o di ignorare l’esistenza di un diritto altrui sancisce la distinzione tra
possesso di male fede e possesso di buona fede. È possessore di buona fede chi possiede la
cosa ignorando di ledere l’altrui diritto. È possessore di male fede chi possiede la cosa essendo
consapevole di ledere l’altrui diritto. L’ordinamento dispone che in caso di morte del possessore, i
suoi eredi succedano nella stessa relazione con la cosa.
possesso. Tuttavia, il possessore, anche se di mala fede, ha diritto al rimborso delle spese
effettuate per le riparazioni del bene (sia ordinarie che straordinarie). Inoltre nel caso in cui il
possessore di buona fede abbia provocato dei miglioramenti del bene e quindi abbia provocato
un aumento di valore, esso ha anche diritto ad un’indennità (solo se di buona fede).
L’articolo 1153 enuncia la regola "possesso vale titolo", nello specifico l’articolo prevede che
colui al quale sono alienati beni mobili da parte di chi non ne è proprietario, ne acquisisca
comunque la proprietà mediante il possesso, purché sia in buona fede. L’acquisto non può essere
a titolo derivativo, poiché l'alienante non era il soggetto realmente titolare del bene, di
conseguenza il terzo acquirente acquista il bene a titolo originario. Questa regola vale unicamente
per i beni mobili, per i quali l'assenza della trascrizione nei registri immobiliari rende molto difficile
per il terzo accertarsi che il soggetto che ne detiene il possesso sia effettivamente il titolare del
diritto. Invece, questa regola non vale per i beni immobili, in quanto il terzo può accertarsi della
titolarità del bene consultando i registri immobiliari.
L'usucapione
Il possesso di un bene mobile o immobile, anche se in mala fede, può determinare l’acquisto a
titolo originario della proprietà del bene per usucapione. Ciò accade quando:
-il bene non sia stato acquistato in modo violento o clandestino;
-il possesso sia stato esercitato pacificamente (senza contestazioni da parte del reale
proprietario), pubblicamente e continuamente per un determinato periodo di tempo, ovvero 20
anni per i beni immobili e 10 anni per i beni mobili registrati o per i beni mobili se il possessore è in
buona fede (altrimenti 20 anni anche per i beni mobili).
diritto di abitazione deve sottostare alla destinazione economica dell'oggetto, che è una
destinazione di tipo abitativo.
(Enfiteusi
L'enfiteusi è ormai desueto (inutilizzato) e di scarsa importanza pratica. L'enfiteusi era destinato a
favorire lo sfruttamento delle potenzialità produttive del fondo agricolo, accordando al titolare
della terra (il coltivatore) un diritto reale corrispondente a quello del proprietario sui frutti del
fondo. L'enfiteuta (il coltivatore che coltiva il fondo di un altro proprietario) ha l’obbligo di pagare
al concedente (il proprietario) un canone periodico. )))
La comunione
Gli articoli 1100 e seguenti disciplinano la proprietà o altro diritto reale nel caso in cui spetta a più
persone in comune. La comunione viene regolata come modalità di appartenenza alternativa
all'appartenenza solitaria ed è quindi regolata con specifiche norme. Il carattere esclusivo del
diritto reale non viene intaccato dalla comunione e neanche dalla coesistenza tra la proprietà e il
diritto minore, come abbiamo visto nel capitolo precedente. Il carattere esclusivo del diritto reale
non permette che sullo stesso bene possano concorrere più diritti reali uguali, appartenenti a
soggetti diversi. Tuttavia è possibile e non è in contrasto con il principio dell'esclusività la
comunione, che consiste nell'appartenenza di un unico diritto a una pluralità di persone, che sono
titolari del diritto in comunione, ovvero per quote di spettanza. Ciò che permette alla comunione
di essere possibile è l’esistenza di un unico diritto in comunione tra più persone, dunque non
concorrono sullo stesso bene più diritti reali uguali, ma uno solo in comunione tra più soggetti.
L’articolo 1101 prevede che le quote dei partecipanti alla comunione si presumano uguali.
Ciascun partecipante può servirsi dell'intera cosa comune, purché non ne alteri la destinazione e
non impedisca ad altri di farne uso. La comunione è dunque la comune spettanza a più soggetti
dell'unico ed esclusivo diritto, in cui i soggetti sono concorrenti nella titolarità del diritto in ragione
della quota vantata. La spettanza in base alle quote non vuol dire che il bene viene frazionato in
diverse parti in base al numero dei soggetti, ma vuol dire riconoscere a tutti la spettanza del bene
nei limiti della quota vantata.
Dunque, come abbiamo già detto, il bene spetta ai comunisti (i soggetti facenti parte della
comunione) nei limiti della quota vantata. Più nello specifico, la quota misura le facoltà e i doveri
spettanti al singolo comunista. Così come per la spettanza solitaria, anche nel caso della
comunione è sempre la cosa a soddisfare l’interesse del comunista, non la quota.
Ai sensi dell'articolo 1104 ciascun partecipante deve contribuire alle spese necessarie alla
conservazione e al godimento della cosa comune e alle spese decise (deliberate) dalla
maggioranza dei partecipanti.
Inoltre, ciascun partecipante può cedere ad altri il godimento della cosa nei limiti della sua quota.
Può poi accadere che i partecipanti decidano di alienare l’intero bene. L’articolo 1108 impone il
consenso di tutti i partecipanti per l'alienazione della cosa comune, non è perciò sufficiente la
semplice maggioranza, ma è necessaria in tal caso l’unanimità.
Come conseguenza allo scioglimento della comunione, vi sarà la divisione della cosa. La divisione
di norma ha luogo in natura, ma solo se la cosa può essere divisa in parti corrispondenti alle
quote dei partecipanti. In caso contrario si procederà alla vendita della cosa e alla ripartizione del
ricavato in base alle quote dei partecipanti.
Per evitare che la volontà di uno solo possa provocare lo scioglimento della comunione, i
partecipanti possono stipulare un patto che prevede la durata della comunione per un tempo
determinato, che non può superare i 10 anni.
marchio a più persone). L’eventuale non patrimonialità dell'interesse del creditore non incide sulla
patrimonialità della prestazione, che rimane comunque suscettibile a valutazione economica.
L'obbligazione pecuniaria
L'obbligazione che ha come oggetto una somma di denaro, dovuta dal debitore al creditore, si
dice pecuniaria. L’articolo 1277 dispone che i debiti pecuniari si estinguono con moneta avente
corso legale nello Stato al momento del pagamento e per il suo valore nominale. L’adempimento
dell'obbligazione pecuniaria da parte del debitore non viene intesa come atto materiale di
consegna della somma di denaro, ma come prestazione diretta all'estinzione del debito. Quindi, il
creditore soddisfa il proprio bisogno nel momento in cui consegue la somma di denaro,
indipendentemente dal fatto che l’abbia ottenuta materialmente. Ciò perché il creditore può
ricevere la somma di denaro anche attraverso assegni, bonifici, carte di credito.
Il principio nominalistico, sancito nell'articolo, esclude che il rischio di fluttuazione del potere di
acquisto della moneta possa incidere sulla quantità dovuta dal debitore. Dunque, nel caso in cui
la moneta abbia perso potere d'acquisto la somma spettante al creditore rimane sempre la stessa
in base al principio nominalistico. Tuttavia, le parti hanno la facoltà di introdurre nel contratto delle
clausole di salvaguardia contro i rischi da svalutazione (perdita del potere d'acquisto), che
prendono il nome di clausole di valorizzazione. Le clausole di valorizzazione hanno il fine di
adeguare la somma di denaro oggetto dell'obbligazione pecuniaria all'effettivo potere di acquisto
della moneta. Però, in assenza di tali clausole non è possibile che la somma di denaro oggetto
dell'obbligazione pecuniaria possa essere adeguata al potere d'acquisto della moneta.
Si distingue tra debiti di valuta e debiti di valore. Nelle obbligazioni di valore l’oggetto consiste in
una cosa diversa dal denaro, ad esempio il ripristino del patrimonio alla sua originaria
consistenza. Mentre nelle obbligazioni di valuta l’oggetto del contratto è proprio una somma di
denaro.
Il denaro è un bene fruttifero, nello specifico produttivo di frutti civili, che prendono il nome di
interessi. Di conseguenza, i crediti che hanno per oggetto somme di denaro producono interessi
di pieno diritto, salvo che la legge preveda diversamente.
Negli ultimi decenni si è diffusa la moneta virtuale, che si discosta dal sistema di emissione
monetaria monopolizzato dallo Stato e dalle banche centrali. La comunità virtuale attraverso la
moneta virtuale tenta di sottrarre la creazione di moneta al monopolio pubblico. La moneta
virtuale è una sorta di moneta privata, nello specifico è una moneta digitale emessa e controllata
dai suoi sviluppatori e utilizzata dai membri di una determinata comunità virtuale, ma che non è
regolamentata. Particolare diffusone ha avuto la valuta virtuale "Bitcoin".
Le obbligazioni naturali
L’articolo 2034 prevede che non è ammessa la ripetizione (restituzione) di quanto è stato
spontaneamente prestato in esecuzione di doveri morali o sociali, salvo che la prestazione sia
stata eseguita da un incapace. Quindi, per obbligazioni naturali si intendono quelle obbligazioni
per le quali dal creditore non deriva alcuna pretesa, ma che il debitore ha deciso di eseguire
spontaneamente. Ai sensi dell'articolo, il debitore che ha eseguito la prestazione per doveri morali
o sociali non ha diritto di richiedere al creditore la ripetizione. Questo perché il dovere morale o
sociale rappresenta una causa legittima per giustificare l'arricchimento del creditore a discapito
del debitore.
interesse, dunque, il creditore nel caso della pluralità di debitori non potrà ricevere da ogni
debitore la prestazione che soddisfa il suo unico interesse. Stesso discorso nel caso della pluralità
di creditori, dove ciascun creditore non potrà esigere dall'unico debitore l’intera prestazione.
D’ora in poi ci riferiremo soltanto al caso della pluralità di debitori, ma in ogni caso la stessa logica
vale per il caso della pluralità di creditori. Ciascuno dei debitori è tenuto ad adempiere per una
specifica frazione del debito intero, tale frazione sarà poi destinata a coniugarsi con l’esecuzione
della relativa frazione di tutti gli altri debitori, così che l’insieme delle prestazioni eseguite da
ciascun debitore soddisfi l’unico interesse del creditore. In questo caso si parla di obbligazioni
parziarie, in quanto ogni debitore è tenuto ad eseguire solo una parte del debito complessivo.
Si ha invece l'obbligazione ad attuazione congiunta quando tutti i debitori adempiono insieme la
prestazione.
Vi sono poi le obbligazioni solidali, che si hanno quando un debitore esegue l’intera prestazione
con effetti liberatori per tutti gli altri debitori. Oppure, nel caso della pluralità dal lato attivo,
quando il creditore riceve l’intera prestazione dall'unico debitore, quest’ultimo viene liberato
dall’esecuzione della prestazione verso gli altri creditori. È dunque sufficiente che esegua l’intera
prestazione nei confronti di un creditore per liberarlo al contempo dall'obbligazione verso gli altri
creditori. Questa è l’obbligazione solidale.
Quando la prestazione dell'obbligazione soggettivamente complessa è indivisibile potrà essere
eseguita soltanto attraverso l'obbligazione solidale o ad attuazione congiunta. Mentre la
prestazione divisibile potrà essere eseguita o attraverso un'obbligazione solidale o attraverso
un'obbligazione parziaria. È logicamente possibile per un bene divisibile eseguire l’obbligazione
parziaria, ma è altrettanto possibile eseguire un'obbligazione solidale se un debitore, nonostante
la divisibilità, esegua l’unica prestazione dovuta liberando gli altri debitori (penso ad esempio nel
caso in cui il debitore raccolga il relativo bene da tutti gli altri debitori e lo consegni lui stesso al
creditore in nome degli altri. Ma non è possibile un’obbligazione ad attuazione congiunta perché
la prestazione non può essere eseguita congiuntamente, vista la divisibilità).
L'obbligazione in solido verrà poi divisa tra i diversi debitori o tra i diversi creditori, in parti che si
presumono uguali, se non è diversamente pattuito.
Esiste poi una distinzione tra solidarietà uguale e disuguale. Nel caso di solidarietà disuguale il
rapporto di solidarietà tra il debitore interessato e i debitori senza interesse vedrebbe il primo
tenuto all'adempimento verso il creditore in via prioritaria rispetto agli altri, poiché i secondi privi
di interesse. Gli altri debitori sono dunque tenuti all'adempimento in via sussidiaria (di sostegno,
ausiliaria). Di conseguenza il creditore di un’obbligazione solidale disuguale non potrebbe
liberamente scegliere il debitore a cui chiedere il pagamento, ma dovrebbe seguire un preciso
ordine. Dovrebbe prima chiedere al debitore interessato e, successivamente, in caso di
insoddisfazione, chiedere ai debitori ausiliari.
altro soggetto e lede perciò anche un suo interesse giuridicamente rilevante. Caso
completamente diverso si ha riguardo alla sanzione penale, dove il reo (colui che ha commesso il
reato) è chiamato a rispondere verso lo Stato, poiché ha violato una norma penale posta a
salvaguardia di interessi di carattere generale e, dunque, non è chiamato a rispondere solo nei
confronti di uno specifico soggetto privato. Il reo è chiamato a rispondere nei confronti di tutti e
quindi nei confronti dello Stato, in quanto ha commesso un reato e dunque ha violato un interesse
di carattere generale. Ritornando alla sanzione civile, non si tratta quindi di sanzionare un
comportamento in quanto illecito, ma si tratta di sanzionare il violatore attraverso il risarcimento
del danno ingiusto che ha causato al soggetto, il quale ha subito una lesione di tipo patrimoniale.
Con lesione di tipo patrimoniale ci si riferisce alla lesione di una situazione soggettiva attiva
giuridicamente rilevante, di conseguenza se il danno ingiusto causato dal violatore non lede
alcuna situazione soggettiva giuridicamente rilevante il violatore non è tenuto al risarcimento del
danno. Dunque, può essere risarcito solamente il danno ingiusto che lede una situazione
soggettiva attiva giuridicamente rilevante.
Con "danno ingiusto" ci si rimanda all'articolo 2043, il quale enuncia che qualunque fatto doloso o
colposo che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire
il danno. Quindi, con "danno ingiusto" si intende qualunque lesione di interessi tutelati
dall’ordinamento giuridico, precisando che non tutti gli interessi sono giuridicamente rilevanti,
quindi non sempre la lesione di un interesse altrui provoca un danno ingiusto.
Collegato all'articolo 2043 vi è poi l’articolo 1218 che prevede che il debitore che non esegue
esattamente la prestazione dovuta è tenuto al risarcimento del danno (se non prova che
l'inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da
causa a lui non imputabile). Quanto previsto dagli articoli 2043 e 1218 rappresenta le norme
generali riguardo alla responsabilità civile. La responsabilità civile si articola nell'ambito dell'illecito
extracontrattuale e dell'illecito contrattuale.
L'illecito extracontrattuale, che trova riferimento nell'articolo 2043, riguarda qualsiasi tipo di
violazione di situazioni giuridicamente rilevanti diverse da quelle derivanti dall'inadempimento.
Requisiti dell'illecito extracontrattuale sono l’imputabilità dell'atto o del fatto al danneggiante, a
titolo di dolo o di colpa, e il nesso di causalità tra il danno e l’atto o il fatto, che rende il danno
conseguenza diretta del fatto o dell'atto.
D’altro canto l'illecito contrattuale, che trova riferimento nell'articolo 1218, si riferisce proprio
all'inadempimento del debitore nei confronti del creditore.
Inoltre, il legislatore attraverso l’articolo 2044 esclude in ogni caso l'imputabilità dell'evento
dannoso all'autore quando quest'ultimo agisca per legittima difesa di sé o di altri, oppure si trovi
in uno stato di necessità, come necessità di salvare sé o altri dal pericolo. Tuttavia al danneggiato
è comunque dovuta un'indennità, ossia una reintegrazione patrimoniale, ma non derivante da
illecito.
Non risponde delle conseguenze del fatto dannoso chi non aveva la capacità di intendere e di
volere al momento in cui lo ha commesso, a meno che lo stato di incapacità derivi da sua colpa.
La capacità di intendere e di volere è dunque il presupposto per l’imputabilità. Nel caso di illecito
compiuto da soggetti incapaci, il codice non esclude il risarcimento, ma prevede dei criteri di
imputabilità alternativi al dolo e alla colpa. L’articolo 2047 prevede che in caso di danno cagionato
da persona incapace, il risarcimento è dovuto da chi è tenuto alla sorveglianza dell'incapace
(salvo che provi di non aver potuto impedire il fatto). Diversamente è previsto nel caso di soggetti
legalmente incapaci, dove l’articolo 2048 dispone che per l'illecito compiuto dai figli minori non
emancipati rispondano il padre e la madre, o il tutore. Tale responsabilità viene estesa anche a
coloro che insegnano un mestiere o un'arte, quindi essi sono responsabili del danno cagionato
dal fatto illecito dei loro allievi e apprendisti. Tuttavia se essi dimostrano di non aver potuto
impedire il fatto sono liberati dalla responsabilità e quindi non sono tenuti a risarcire il danno che
hanno causato.
La valutazione del danno da risarcire avviene applicando le norme dettate nel caso di illecito
contrattuale, ma comunque esse valgono anche per l'illecito extracontrattuale. Nello specifico, ai
sensi dell'articolo 1223, il danno da risarcire dovrà comprendere non soltanto il danno emergente
(si intende il danno che ha provocato l'effettiva diminuzione patrimoniale), ma pure il lucro
cessante, ossia il mancato guadagno derivato da tale lesione. Inoltre, secondo l’articolo 1226, nel
caso in cui il danno non possa essere valutato nel suo preciso ammontare, il giudice effettuerà
una valutazione equitativa. La patrimonialità del danno non va confusa con la natura patrimoniale
del diritto (della situazione giuridicamente rilevante) leso dall'atto o dal fatto. Ciò perché il danno
patrimoniale può derivare anche dalla lesione di un diritto non patrimoniale. Ad esempio si ha il
danno patrimoniale anche nel caso della lesione di diritti della personalità, seppur essi siano dei
diritti non patrimoniali. In questa ipotesi la difficoltà si ha nella quantificazione del danno
risarcibile, perciò la valutazione del danno viene effettuata o attraverso delle tabelle statistiche o
attraverso la valutazione da parte del giudice tramite i principi di equità. Invece, nel caso di danno
non patrimoniale il risarcimento è dovuto soltanto nei casi previsti dalla legge. Si tratta quindi di
danni risarcibili solo se è avvenuto un illecito per il quale la risarcibilità del danno non patrimoniale
è espressamente prevista dalla legge. In questi casi l’unica valutazione possibile del danno è
quella equitativa, a causa della mancanza di una lesione patrimoniale, di un danno patrimoniale.
Ad esempio si pensi alla morte di un figlio per incidente stradale, il danno non è di tipo
patrimoniale, perché la morte di una persona non può essere valutata in denaro. Quindi, in questi
casi, il giudice nella valutazione del risarcimento dovrà tenere in considerazione la sofferenza
morale che ne consegue per i genitori.
sebbene nessun contratto tra lui e il dominus si sia perfezionato. Il gestore ha assunto
consapevolmente la gestione dell'affare altrui per recare al patrimonio del dominus un’utilità,
agisce quindi nell'interesse dell'interessato, pur non essendo stato obbligato da un mandato.
Una volta che l'interessato assume la gestione dell'affare iniziato dal gestore, esso deve
rimborsargli le spese effettuate e inoltre è tenuto ad adempiere alle obbligazioni assunte dal
gestore per conto di lui (del dominus). Tutto ciò è possibile se gli atti di gestione non siano stati
eseguiti contro il divieto del dominus. Se vi è il divieto del dominus, ovviamente il gestore non può
agire per conto del dominus. Mentre se non vi è alcun divieto, allora il gestore può agire per conto
del dominus, nonostante non vi sia stato alcun contratto.
Regole generali
Il codice civile disciplina l'adempimento fissando le regole che il debitore è tenuto a rispettare
quando esegue la prestazione volta a soddisfare l’interesse del creditore. L’esatto adempimento
della prestazione dovuta da parte del debitore a favore del creditore è l’unico atto che produce in
maniera definitiva l’estinzione del rapporto obbligatorio. Il diritto di credito è una situazione
soggettiva attiva volta al conseguimento di un’utilità finale, che il creditore otterrà solo attraverso
l’esatto adempimento della prestazione per mano del debitore.
L’atto di adempimento è innanzitutto disciplinato sotto il profilo del comportamento richiesto al
debitore nello svolgimento dell’attività esecutiva. Infatti, ai sensi dell'articolo 1176, il debitore
nell'adempiere l'obbligazione deve usare la diligenza del buon padre di famiglia. La specifica
regola di diligenza non impone al debitore un ulteriore dovere giuridico, in aggiunta a quello di
eseguire la prestazione, ma l’articolo fissa un criterio generale per valutare la condotta del
debitore, al fine di imputargli l’eventuale inadempimento. A proposito dell'inadempimento,
l’articolo 1218 prevede che il debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta è tenuto
al risarcimento del danno, se non prova che l'inadempimento o il ritardo sia stato determinato da
impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile. A liberare il debitore
dall’obbligazione risarcitoria è, dunque, soltanto l’impossibilità della prestazione derivante da
causa a lui non imputabile. L’articolo 1176 si collega proprio a questa eventualità, poiché
nonostante il debitore si sia comportato secondo la diligenza del buon padre di famiglia, ciò non è
bastato per potere adempiere l'obbligazione, in quanto l'inadempimento deriva dall’impossibilità
di eseguire la prestazione.
Inoltre, l’articolo 1182 dispone riguardo al luogo dell’esecuzione dell'obbligazione e dispone che
esso deve essere espressione della volontà delle parti. Qualora non venga concordato dalle parti
e, quindi, qualora non vi sia una specifica clausola negoziale, il luogo di adempimento sarà il
domicilio del creditore, nel caso in cui la prestazione riguardi la consegna di una somma di
denaro.
Invece, l’articolo seguente, ovvero il 1183, si occupa del tempo di esecuzione della prestazione. In
assenza della clausola contrattuale che fissa la scadenza del termine di adempimento, la norma
dispone che il creditore possa esigere la prestazione immediatamente.
poter eseguire il pagamento con pieni effetti estintivi dell'obbligazione. A differenza del
rappresentante, il soggetto indicato (indicatario) riceverà il pagamento in nome proprio ma per
conto altrui. Il rapporto tra indicatario e indicante viene disciplinato dalle norme sul mandato
senza rappresentanza. Quindi, l'indicatario sarà tenuto a trasferire nel patrimonio dell'indicante
quanto incassato e, dunque, soltanto in quel momento si determinerà l'estinzione del rapporto
obbligatorio (ovvero quando l'indicatario trasferisce quanto incassato al creditore, non quando
l'indicatario riceve il pagamento dal debitore).
Il creditore (o qualsiasi altro soggetto legittimato a ricevere il pagamento) deve, su richiesta e a
spese del debitore, rilasciare la quietanza, che permette l'estinzione dell'obbligazione.
Come si può comprendere dall'articolo 1188, non libera il debitore il pagamento effettuato a
soggetti diversi rispetto a quelli descritti precedentemente. Tuttavia, vi è un'eccezione (articolo
1189), che permette al debitore di liberarsi dell'obbligazione qualora esso la esegua nei confronti
del creditore apparente. L’articolo dispone che il debitore che esegue il pagamento a chi appare
legittimato a riceverlo in base a circostanze univoche, è liberato se prova di essere stato in buona
fede. Però, in tale circostanza non vi è l’estinzione del rapporto, ma solamente la liberazione del
debitore dal debito, mentre il creditore continuerà a rimanere tale, potendo chiedere la
soddisfazione del proprio credito al creditore apparente.
L'adempimento traslativo
Nelle obbligazioni di dare in senso proprio, intese non come obbligazioni di consegnare ma come
obbligazioni di trasferire, il debitore adempie esattamente la prestazione dovuta non mediante un
atto materiale, ma mediante un atto giuridico di trasferimento del diritto, che prende il nome di
pagamento/adempimento traslativo.
essere regolato dalle originarie norme di disciplina. L'effetto del contratto, a seguito della
modificazione, non è la costituzione di una nuova obbligazione (come accade con la novazione)
ma la mera modificazione oggettiva del rapporto obbligatorio.
questo caso si ha comunque la vicenda devolutiva, in quanto il terzo diventerà creditore del
debitore originario, ma stavolta per la sola volontà del debitore e non del creditore.
L'espromissione
L’assunzione del debito può essere innanzitutto determinata da un contratto stipulato dal terzo
(assuntore) con il creditore, si parla in tal caso di espromissione. Il terzo assuntore quando
propone al creditore l’assunzione del debito ha l’intento di spostare il peso del debito dal debitore
originario (espromesso) a lui (espromittente) (il terzo ha la volontà di determinare la modificazione
soggettiva passiva dell'obbligazione). Il terzo assume il debito altrui spontaneamente, ossia lo
assume attraverso un patto concluso con il solo creditore. Dunque, dal punto di vista strutturale il
contratto di espromissione si perfezionerà per effetto del consenso manifestato tra espromittente
e espromissario, non occorrendo alcuna manifestazione di volontà del debitore originario.
La delegazione
Anche nel caso della delegazione il contratto di assunzione del debito si perfeziona tra il
creditore (delegatario) e il terzo (delegato), il quale tuttavia lo conclude in esecuzione di un
incarico ricevuto dal debitore originario, cui fa espressamente riferimento al momento
dell'assunzione del debito. L'articolo 1268, che regola la delegazione passiva finalizzata
all'assunzione del debito altrui, dispone che se il debitore assegna al creditore un nuovo debitore,
il quale si obbliga verso il creditore, il debitore originario non è liberato dalla sua obbligazione.
Così come l'espromissione, anche la delegazione ha effetto cumulativo, poiché permane il debito
originario. Il delegante (debitore originario) e il delegato (terzo) sono obbligati in solido verso il
delegatario (creditore), il quale però una volta accettata la delegazione non potrà chiedere il
pagamento al debitore originario se prima non l’ha chiesta al terzo delegato.
La delegazione, dunque, non si distingue dall'espromissione solo per il fatto che il terzo ha agito
sotto richiesta del debitore originario, benché ciò può ricorrere anche nell'espromissione, ma il
tratto che distingue le due modalità di assunzione del debito è che il terzo, durante la fase della
stipulazione del contratto, fa espressamente riferimento di aver ricevuto l’incarico dal debitore.
Quando l’obbligazione assunta dal delegato (terzo) verso il delegatario (creditore) è
un’obbligazione nuova, la delegazione si dice pura. Quando, invece, l’obbligazione assunta dal
delegato è la stessa che già preesiste in testa al delegante (debitore originario), la delegazione si
dice titolata, e serve a produrre la successione del delegato nel debito del delegante.
Il rapporto interno tra delegante e delegato è un rapporto di mandato. Attraverso il mandato, il
mandante incarica il delegato ad effettuare la prestazione nei confronti del delegatario.
L’accollo
Nel caso dell'accollo la modificazione soggettiva passiva dell'obbligazione deriva da un contratto
concluso tra il debitore (accollato) e il terzo (accollante), al quale il creditore (accollatario) deve
aderire, sebbene sia estraneo al contratto. Dal momento dell'adesione del creditore, il patto tra
debitore e terzo diventa efficace verso il creditore accollatario. L’adesione del creditore all'accollo
stipulato in suo favore tra debitore e accollante non è l'accettazione di una proposta, ma è proprio
l’adesione del terzo alla stipulazione conclusa in suo favore dall'accollato e dall’accollante. Il
creditore partecipa alla vicenda unicamente per riscuotere il suo credito dall'accollante, ma resta
estraneo agli interessi regolati nel contratto tra accollato e accollante. Dunque, l'accollante che ha
assunto il debito dall'accollato, sarà obbligato verso il creditore. L'accollo è proposto dal terzo al
debitore, quindi l'assunzione del debito da parte dell'accollante è funzionale a far trasmettere al
debitore un’utilità patrimoniale, in cambio di una prestazione che l'accollato eseguirà nei confronti
dell'accollante. Il debitore è disposto ad eseguire tale prestazione perché in cambio il terzo si
assume il debito nei confronti del creditore.
La novazione
Quando abbiamo trattato le modificazioni oggettive del rapporto obbligatorio abbiamo già fatto
riferimento alla novazione come una vicenda che provoca l’estinzione del rapporto. Dunque, in tal
caso, il rapporto non si estingue a causa dell'adempimento.
L’articolo 1230 tratta la novazione oggettiva e dispone che l’obbligazione si estingue quando le
parti sostituiscono all'obbligazione originaria una nuova obbligazione con oggetto o titolo diverso.
A differenza dell’estinzione per adempimento, nel caso della novazione oggettiva il rapporto
obbligatorio si estingue senza che il creditore veda soddisfatti i suoi interessi. L’estinzione per
novazione comporta la sostituzione della vecchia obbligazione con una nuova nell'oggetto o nel
titolo, che è quindi incompatibile con la vecchia poiché il debitore e il creditore di comune
accordo hanno deciso di cambiarne l’oggetto (o il titolo). Quindi, l’intervento delle parti incide
innanzitutto sull'oggetto, da intendere come la "cosa" o il "fatto" attesi dal creditore per mezzo
dell’adempimento del debitore, che le parti decidono di sostituire con una cosa o un fatto nuovo,
atto a soddisfare il nuovo interesse del creditore. Si può poi avere la novazione per sostituzione
del titolo dell'obbligazione, anziché dell'oggetto. La sostituzione del titolo ricorre quando le parti
assegnano al rapporto obbligatorio, immutato nell'oggetto, una nuova giustificazione, cambiando
le regole di disciplina del suo svolgimento. La sostituzione del titolo quindi provoca la formazione
di un nuovo regolamento, incompatibile con le regole di svolgimento originarie del rapporto
giuridico estinto. L’accordo novativo non rimuove la fattispecie, né la causa, ma incide soltanto,
nel caso della novazione per titolo, sulle regole di funzionamento del rapporto obbligatorio.
La novazione va distinta dalla fattispecie, la quale provoca modifiche nella fonte del rapporto,
mentre le regole di disciplina del rapporto rimangono invariate. Esempi di modifica della
fattispecie sono la rinnovazione del negozio e il riconoscimento del debito. Nel caso della
rinnovazione del negozio, il nuovo accordo tra le parti modifica la fonte del rapporto senza
mutarne le regole di disciplina. A essere sostituito è dunque il titolo che originò l'obbligazione,
mentre il regolamento dell’obbligazione resta identico. Invece, nel caso del riconoscimento del
debito, la nuova manifestazione della volontà delle parti non provoca l’estinzione della vecchia
obbligazione, bensì semplifica la struttura della fonte originaria, la quale però continua ad essere
regolata dalla sue regole originarie.
Diversamente, nel caso della novazione si ha l'estinzione (non satisfattiva) del rapporto
obbligatorio originario e la costituzione di uno nuovo che presenta delle differenze nell'oggetto o
nel titolo. Il creditore sacrifica il credito originario per ottenere, dal debitore o da un terzo
(novazione soggettiva), la costituzione di un'obbligazione nuova.
La novazione può essere definita una modalità di estinzione non satisfattiva, in quanto il creditore
non vede soddisfatti gli interessi derivanti dall'originario rapporto obbligatorio. Il creditore estingue
il rapporto per crearne uno diverso nell'oggetto o nel titolo, in modo tale che possano venire
soddisfatti i suoi interessi.
La compensazione e la confusione
L’articola 1241 tratta la compensazione e prevede che quando due soggetti sono obbligati l’uno
verso l’altro, i due debiti si estinguono per le quantità corrispondenti, ossia per compensazione.
Anche la compensazione è un modo di estinzione dell'obbligazione diverso dall'adempimento a
carattere satisfattivo (non ha carattere satisfattivo), poiché i due creditori non ricevono quanto gli
sia dovuto, ma semplicemente non adempiono quanto dovrebbe. Perciò nessuno dei due
creditori trova soddisfatti i propri interessi, ma allo stesso tempo entrambi i creditori, che sono
anche debitori, non devono adempiere alla propria obbligazione e ciò dunque genera l’estinzione
dell’obbligazione per compensazione appunto. I creditori scelgono di sacrificare il loro credito per
non adempiere alla loro obbligazione. La compensazione viene poi distinta tra legale, giudiziale e
volontaria. La compensazione legale si ha quando tra due soggetti vi sono dei rapporti di debito
certi aventi per oggetto o una somma di denaro o una quantità di cose dello stesso genere,
omogenei, liquidi ed esigibili (il soggetto può chiederne immediatamente l'adempimento, esigibili
vuol dire a disposizione immediata del soggetto). Per arrivare alla compensazione poi è
ovviamente necessaria la manifestazione della volontà delle parti. Non è sufficiente la semplice
coesistenza dei due debiti certi, omogenei, liquidi ed esigibili. Nel caso della compensazione
giudiziale invece l’effetto estintivo è determinato dal provvedimento del giudice. Infine, la
compensazione può essere volontaria, ossia determinata dall'accordo tra le parti, che
determinano l’estinzione come effetto di un vero e proprio negozio giuridico, senza che occorra
alcun oggettivo requisito.
L’estinzione dell’obbligazione per confusione si ha, invece, quando le qualità di creditore e di
debitore si riuniscono nella stessa persona. Nello specifico, si ha quando il soggetto debitore
consegue la titolarità del credito a cui il suo debito si riferisce.
un’impossibilità temporanea qualora il creditore nel frattempo non abbia più interesse a
conseguire la prestazione.
Infine, l’ultimo requisito dell’impossibilità è la totalità. Nel caso in cui la prestazione fosse divenuta
impossibile solo in parte, il debitore si può liberare dell’obbligazione eseguendo la prestazione per
quella parte. Ciò per dire che nel caso di impossibilità parziale non è possibile arrivare
all'estinzione dell’obbligazione per impossibilità sopravvenuta.
È inoltre possibile estinguere il rapporto obbligatorio per sopravvenuta inutilità della prestazione.
L'obbligazione quindi si estingue per sopravvenuta inutilità qualora, pur essendo oggettivamente
possibile la prestazione, il creditore non abbia più interesse a riceverla. Il venir meno dell'interesse
creditorio rende inutile la prestazione, determinandone l'estinzione.
Il danno risarcibile
Il risarcimento del danno per l’inadempimento o per il ritardo deve comprendere la perdita subita
dal creditore per il mancato guadagno (lucro cessante), ma soltanto quando l’inadempimento o il
ritardo siano conseguenza immediata e diretta del mancato guadagno. Mentre nel caso
dell'illecito extracontrattuale il debitore deve risarcire il creditore di tutti i danni causati, nell'illecito
contrattuale (inadempimento o ritardo) il debitore sarà tenuto a risarcire solamente i danni
prevedibili, a meno che l'inadempimento sia stato doloso. Quindi, nel caso di inadempimento
doloso il debitore dovrà risarcire anche i danni imprevedibili, mentre nel caso di inadempimento
colposo il debitore dovrà risarcire soltanto i danni prevedibili. Per quanto riguarda il risarcimento
per il lucro cessante, ovvero per il mancato guadagno, il creditore deve dar prova dell’utilità
patrimoniale che avrebbe conseguito se l'obbligazione fosse stata adempiuta. Si tratta dunque di
Il pegno è un diritto reale di garanzia su cosa altrui. Il pegno può avere come oggetto: beni mobili
non registrati o un’universalità di mobili di proprietà del debitore, oppure crediti che il creditore
vanta verso soggetti terzi (inizialmente analizzeremo il pegno che ha come oggetto beni mobili o
universalità di mobili, lasciando momentaneamente da parte il pegno di crediti).
Ai sensi dell'articolo 2786, il pegno, quando avente a oggetto beni mobili o universalità di mobili,
si costituisce con la consegna al creditore della cosa o del documento che conferisce a lui
l’esclusiva disponibilità (del mobile). Quindi, con il pegno si ha lo spossessamento, ossia la
sottrazione, della cosa al proprietario su cui il pegno grava. La consegna della cosa da parte del
debitore al creditore oltre a permettere il perfezionamento del contratto, assicura anche al
creditore la garanzia del diritto di opponibilità verso i terzi. Tuttavia, l’evoluzione dei rapporti
commerciali ha provocato la diffusione di forme di pegno senza spossessamento, al fine di
permettere al debitore di continuare a godere della cosa pignorata in funzione del suo impiego
produttivo (in funzione dell’esercizio di impresa). Quindi è possibile ricorrere ad un pegno non
possessorio qualora la cosa sia utile al debitore per la continuazione dell’attività produttiva
(aziendale). In tal caso, mancando la consegna al creditore, l'opponibilità ai terzi è garantita
dall'iscrizione dell'atto costitutivo nel registro dei pegni non possessori.
Il creditore (nel caso del pegno normale, non si parla di quello senza spossessamento) non può
far valere il proprio diritto di prelazione se la cosa data in pegno non è rimasta in suo possesso.
La conservazione del possesso perciò assume notevole importanza per il creditore pignoratizio,
tant’è che nel caso in cui egli perda il possesso della cosa, oltre alle azioni a difesa del possesso
che gli spettano in qualità di titolare del diritto reale di garanzia, ha anche il diritto di esercitare
l’azione di rivendicazione. Però il possesso della cosa è concesso al creditore esclusivamente in
funzione della soddisfazione dell'interesse alla garanzia del credito, per cui egli non può usarla
salvo che l’uso sia necessario per la conservazione della cosa. Inoltre, il creditore non può
concedere ad altri il godimento della cosa o darla in pegno a sua volta. In caso di abuso dei diritti
accordati al creditore, il debitore può agire facendo richiesta al giudice di sequestrare la cosa,
seppur il debitore non possa comunque aver diritto alla restituzione fino a quando non ha
corrisposto al creditore quanto a lui dovuto.
Il creditore gode inoltre anche del diritto di ritenzione. Il creditore all’estinzione del diritto reale di
garanzia è tenuto a restituire la cosa, ma se egli è ancora creditore verso il debitore ha il diritto di
rifiutare la restituzione, fino a quando il suo credito viene soddisfatto.
Una volta verificatosi l’inadempimento del debitore, per la realizzazione del credito pignoratizio, il
creditore può far vendere la cosa ricevuta in pegno. Prima di procedere alla vendita deve intimare
il debitore a pagare il debito, avvertendolo, che in caso contrario, procederà alla vendita del bene
pignorato. Se entro cinque giorni dall’intimazione non è proposta opposizione, o se essa è stata
rigettata, il creditore può far vendere la cosa. Nel caso in cui il creditore ricavi dalla vendita una
somma maggiore rispetto al suo credito, deve restituire l'eccedenza al debitore.
Per il pegno di crediti sono previste specifiche regole di disciplina. L’articolo 2800 prevede che la
prelazione (il diritto di prelazione esercitato dal creditore) possa verificarsi solo se il pegno di
crediti risulta da atto scritto e se la costituzione del pegno sia stata notificata al debitore, che l’ha
accettata con scrittura avente data certa. La costituzione del diritto reale di garanzia in favore del
creditore pignoratizio deve poter essere opposta nei confronti del debitore del credito dato in
pegno (il soggetto terzo), così che il creditore pignoratizio possa pretendere da lui l'adempimento.
Ciononostante, a differenza del pegno di beni mobili o di universalità di mobili, nel pegno di crediti
non si ha il trasferimento del credito, il quale resta quindi in titolarità dell’originario creditore (ossia
del debitore del creditore pignoratizio). Per tutta la durata del rapporto il creditore garantito
(pignoratizio) è tenuto a preservare le aspettative di soddisfazione del creditore costituente, il
quale come sappiamo continua ad essere il titolare del credito oggetto del pegno.
Qualora il credito ricevuto in pegno scada prima di quello garantito, il creditore pignoratizio è
tenuto a riscuotere il credito ricevuto in pegno e, dopodiché, dovrà depositarlo al debitore nel
luogo accordato. Se, invece, il credito garantito scade prima del credito ricevuto in pegno, il
creditore al momento della scadenza del credito ricevuto in pegno tratterrà la somma necessaria
a soddisfare il suo credito garantito e restituirà la parte restante al creditore originario. Inoltre, nel
caso in cui l'inadempimento del debitore costituente si verifichi prima della scadenza del credito
garantito, il creditore pignoratizio può ricevere il pagamento del credito ricevuto in pegno per il
valore che basta a soddisfare il suo credito.
In alternativa al pegno di crediti si è diffusa nella prassi negoziale la cessione di credito a causa di
garanzia, mediante la quale il debitore al fine di garantire l’esatto adempimento di un debito,
trasferisce al creditore un credito vantato verso un soggetto terzo (debitore ceduto). Così in caso
di inadempimento, il creditore potrà avvalersi del diritto di credito che il debitore gli ha trasferito.
La cessione di credito a causa di garanzia non ha il fine di costituire in favore del creditore una
causa di prelazione, ma proprio a trasferire in suo favore la titolarità stessa del credito. Mentre con
il pegno di crediti il debitore restava il titolare del credito, con la cessione di credito il debitore
trasferisce la titolarità del suo credito al creditore come garanzia. Tuttavia, il trasferimento del
diritto ha sempre una finalità di garanzia, di conseguenza vengono limitate le facoltà del creditore
come titolare del diritto. Qualora il debitore sia adempiente, esso ha tutto il diritto di pretendere
l’adempimento da parte del debitore ceduto, quindi il cessionario soddisfatto (creditore) non ha
più interesse a ricevere il pagamento dal terzo, seppur il cessionario sia pur sempre il titolare
effettivo del credito (verso il debitore ceduto). Di conseguenza, nel caso della cessione di credito a
causa di garanzia, la legge prevede che fino all'eventuale inadempimento del debitore (cedente)
valgano le stesse regole sul pegno di credito. Ciò è possibile perché è una cessione di credito a
causa di garanzia, dunque il creditore (cessionario) accetta la cessione del credito al solo fine di
essere garantito, di conseguenza il creditore conserva l’originario interesse a ricevere la
prestazione dal proprio debitore (cedente) e non dal debitore ceduto.
Diverso dalla fideiussione, ma volto a generare i medesimi effetti è il mandato di credito. Esso
ricorre quando una persona si obbliga verso un'altra (debitore originario), la quale quest'ultima le
ha conferito l’incarico, a fare credito ad un terzo (creditore), in nome e per conto proprio. A
differenza del contratto di mandato, nel caso del mandato di credito il mandatario effettua il
pagamento del credito nei confronti del creditore non soltanto in nome proprio ma anche in conto
proprio (è questa la differenza dal contratto di mandato). Quindi, il pagamento non viene effettuato
in nome e per conto del mandante, ma in nome e per conto del mandatario (colui che esegue la
prestazione) medesimo (non è un vero e proprio mandato, altrimenti sarebbe per conto altrui ma
in nome proprio).
qualsiasi tipo di frustrazione del proprio interesse economico. Quindi, il contratto autonomo di
garanzia offre al creditore beneficiario una garanzia autonoma di protezione assoluta contro il
rischio di frustrazione del proprio interesse economico al recupero della somma a lui dovuta.
Si tratta di una garanzia volta a sollevare il beneficiario da qualunque rischio di mancato incasso
delle somme a lui dovute. Il fatto che la prestazione dovuta dal garante autonomo sia pur sempre
una prestazione di garanzia, lo legittimerà a richiedere al debitore originario la restituzione della
somma pagata.
I titoli di credito
Anche nel caso dei titoli di credito, la promessa incorporata nel documento non costituisce un
rapporto giuridico causale nuovo tra l’autore e il destinatario, ma costituisce, a differenza delle
promesse unilaterali, un rapporto cartolare che si affianca a quello fondamentale, dal quale pur
sempre dipende. Con il titolo di credito si ha la tecnica di incorporazione del diritto di credito nel
documento cartolare (il titolo di credito, appunto), che lo rende esigibile. Di conseguenza, il
creditore in possesso della chartula (documento cartolare) potrà richiedere l’adempimento
semplicemente presentando il documento cartolare al debitore. Inoltre, il creditore potrà trasferire
a terzi il proprio diritto di credito semplicemente trasmettendo la proprietà del documento
cartolare, senza ricorrere alla cessione di crediti. Ciò è possibile perché il diritto di credito è
contenuto/incorporato nel documento cartolare, attraverso la tecnica di incorporazione.
Soltanto il possesso legittimo del titolo di credito conferisce al portatore la legittimazione ad
esercitare i diritti incorporati nel documento, di cui egli diventa titolare. Il possesso legittimo si
consegue in modo diverso a seconda che si tratti di titoli al portatore, all'ordine o nominativi.
Nel caso dei titoli al portatore, il debitore si obbliga ad eseguire la prestazione indicata sulla
chartula a chi risulterà essere legittimo possessore del titolo (legittimo portatore del titolo). Quindi,
per i titoli al portatore che contengono l'obbligazione di pagare una determinata somma, la sola
consegna del titolo al debitore legittima il possessore all'esercizio del diritto.
Invece, nel caso dei titoli all'ordine, l'obbligazione di eseguire la prestazione indicata nel
documento cartolare viene assunta nei confronti di un soggetto determinato, le cui generalità
sono indicate sul documento. Mentre nel caso del titolo al portatore le generalità del debitore non
erano indicate sul documento, ma il debitore diventava tale al momento della consegna del titolo
da parte del creditore. Il trasferimento del titolo all’ordine avviene sempre a rilevanza cartolare,
attraverso l'apposizione sul titolo (sul retro normalmente) della dicitura "girata per trasferimento".
La girata deve contenere l'indicazione del giratario, ossia deve contenere le generalità del
soggetto in favore del quale è stata fatta (in favore del quale il diritto è stato trasferito).
Vi è poi il titolo nominativo, che è anch'esso emesso in favore di un soggetto determinato,
stavolta però il primo prenditore, ossia il creditore, è individuato non soltanto mediante
l’indicazione dei suoi dati anagrafici sul titolo, ma anche mediante la stessa indicazione su un
registro tenuto dall'emittente. Quindi, a legittimare il possesso è la coincidenza tra l'indicazione
nominativa sul titolo e quella sul registro dell'emittente. Pertanto, il possessore di un titolo
nominativo è legittimato all'esercizio del diritto per effetto dell'intestazione a suo favore nel titolo e
nel registro dell'emittente. Il trasferimento avviene, proprio come col titolo all'ordine, girando il
titolo in favore del giratario. Però la girata del titolo nominativo non ha efficacia nei confronti
dell'emittente fino a che non viene annotata nel registro. Il giratario che dimostra di essere il
possessore del titolo nominativo ha diritto ad ottenere l'annotazione del trasferimento nel registro
dell'emittente, così da conseguire il credito cartolare.
L'incorporazione del diritto di credito nel documento cartolare, come sappiamo, consente al
creditore cartolare di trasmettere la titolarità del credito soltanto trasmettendo la proprietà del
documento cartolare, però ciò non vuol dire che il diritto di credito non possa seguire le ordinarie
regole di cessione del credito. Nel caso della cessione del credito, cedente e cessionario
dovranno stipulare un ordinario contratto di cessione, da notificare al debitore ceduto. In ogni
caso, il cessionario dovrà ricevere comunque il documento cartolare (al fine di evitare conflitti
nella circolazione).
La cambiale
Tra i titoli di credito più diffusi assume particolare rilevanza la cambiale. La cambiale è un titolo
all’ordine, rappresentato da un documento cartolare, che contiene l'obbligazione di pagare una
somma determinata, a una determinata scadenza, in favore di un determinato soggetto. La
cambiale può essere utilizzata o per impartire a un soggetto l’ordine di pagare la somma indicata
sul titolo al beneficiario oppure per assumere direttamente, nei confronti del beneficiario,
un'obbligazione cartolare, che affiancherà il rapporto fondamentale già esistente tra debitore e
creditore. Nel primo caso si parla di cambiale tratta, nel secondo di pagherò cambiario.
Con la cambiale tratta, l’autore del negozio cartolare prende il nome di traente ed ordina al
trattario, normalmente suo debitore, di assumere in favore di un proprio creditore, l’obbligazione
di pagare (a una certa scadenza la somma indicata nel titolo). Il traente, dunque, essendo
normalmente debitore del beneficiario e creditore del trattario, si serve del trattario per favorire
l’estinzione del proprio debito nei confronti del beneficiario. Ciò non può avvenire senza
l'espressa accettazione del trattario. Solo dopo l’accettazione delle tratta, il trattario sarà
obbligato verso il beneficiario. L'accettazione della tratta avviene nel momento in cui il trattario
appone sulla cambiale la parola "accettato" o "visto" e la cambiale viene poi sottoscritta dal
trattario stesso, indicando i propri dati (luogo, data di nascita, codice fiscale).
Con il pagherò cambiario, invece, l'emittente (debitore) si obbliga direttamente a pagare una
somma determinata in favore di un determinato soggetto (beneficiario), a una certa data.
senza che occorra la materiale consegna del bene venduto. È un contratto a effetti reali perché
produttivo del trasferimento della proprietà di una cosa o di altro diritto reale sulla cosa (o, ancora,
di un diritto di credito).
Gli effetti che derivano dal perfezionamento del contratto sono diversi per il venditore e per
l'acquirente. Per il venditore il raggiungimento dell'accordo determina la perdita immediata del
diritto, che si trasferisce all'acquirente come conseguenza immediata e diretta dell'accordo. Al
venditore resta a carico l'obbligazione di consegnare all'acquirente la cosa ormai divenuta di sua
proprietà. Per il compratore, il raggiungimento dell'accordo determina a suo carico la costituzione
dell'obbligazione pecuniaria da prezzo, da adempiere nel termine e nel luogo fissati dal contratto
(e in mancanza di accordo dovrà adempiere al momento della consegna).
Il contratto di compravendita normalmente ha effetto immediato e diretto, a meno che vi sia una
condizione sospensiva o un termine iniziale di efficacia (già trattati nei capitoli iniziali), oppure il
bene sia "futuro" o "altrui". La vendita di cosa futura viene disciplinata dall'articolo 1472. Possono
essere oggetto del contratto anche le prestazioni aventi a oggetto beni non ancora venuti ad
esistenza, come accade nel caso della vendita dell'edificio ancora da costruire. L'esistenza della
cosa non è uno dei requisiti essenziali dell'oggetto del contratto, pertanto la vendita di bene futuro
è un negozio valido e completo in ogni suo elemento essenziale. Il contratto su bene futuro non
può produrre l’effetto reale (il trasferimento della proprietà della cosa) finché la cosa non viene ad
esistenza ed è destinato alla nullità qualora la cosa non venga mai a esistenza. Dunque, l’effetto
reale della compravendita in tal caso si produrrà soltanto se e quando la cosa verrà ad esistenza.
Perciò la vendita di cosa futura viene definita una vendita a effetti reali differiti. La vendita di cosa
futura può essere di due tipi: emptio rei speratoe e ampio spei. Nel caso della emptio rei speratoe,
qualora la cosa non venga a esistenza entro il termine convenuto, l'acquirente non sarà obbligato
a pagare il prezzo, di conseguenza il contratto sarà dichiarato nullo (per oggettiva inutilità). Invece,
nel caso dell'ampio spei, l’acquirente ottiene una sensibile riduzione del prezzo assumendosi il
rischio della mancata venuta a esistenza, perciò, qualora la cosa non venga a esistenza resta
comunque obbligato a pagare il prezzo.
Anche nel caso della vendita di cosa altrui, il trasferimento della proprietà non avviene al
perfezionamento del contratto, in quanto nessuno può trasferire ad altri diritti di cui non è titolare.
In questo caso, il bene venduto è certamente esistente ma rientra nel patrimonio di un altro
soggetto. Il venditore non può trasferire il bene all'acquirente, ma può obbligarsi a farlo
conseguendone la proprietà dal terzo. La vendita di cosa altrui è una vendita a effetti obbligatori,
poiché se al momento del contratto la cosa venduta non era di proprietà del venditore, questi è
obbligato ad acquisire la proprietà e una volta acquisita il compratore diventa proprietario nel
momento stesso in cui il venditore acquista la proprietà dal titolare di essa.
Il venditore, tra le varie obbligazioni a suo carico, deve garantire per evizione e per vizi della cosa
venduta. Con evizione si intende quando il compratore viene sottratto del diritto acquisito dal
venditore a causa della mancanza di titolarità del diritto in testa al venditore (oppure a causa
dell'esistenza di diritti di terzi sulla cosa venduta che limitano al compratore il pieno ed esclusivo
godimento). In pratica, il venditore ha trasferito all'acquirente un diritto di cui non era titolare. Di
conseguenza, in tal caso il compratore può sospendere il pagamento del prezzo, se ancora non lo
ha effettuato (o non lo ha effettuato interamente), salvo che il venditore dimostri che tale
situazione fosse già nota al compratore al tempo della vendita. Inoltre, se per effetto dell’esistenza
di un diritto altrui sulla cosa acquistata, il compratore subisce l'evizione totale della cosa, ossia la
cosa gli viene legittimamente sottratta, il venditore è tenuto a risarcirlo del danno.
Oltre alla garanzia per evizione, il venditore è tenuto a garantire al compratore che la cosa venduta
sia immune da vizi che la rendano inidonea all'uso a cui è destinata o ne diminuiscano il valore.
Nel caso in cui la cosa risulti viziata e ricorra la responsabilità del venditore, il compratore può
domandare a sua scelta la risoluzione del contratto oppure la riduzione del prezzo. Nel caso di
risoluzione, il venditore deve restituire al compratore il prezzo e deve rimborsargli le spese, mentre
il compratore dovrà restituire la cosa. Inoltre, il venditore è tenuto al risarcimento del danno verso
il compratore se non prova di avere ignorato senza colpa i vizi della cosa.
Per la vendita di beni immobili vi è l'obbligo della forma scritta a pena di nullità e la trascrizione nei
registri immobiliari è consentita solo in conseguenza di sentenze, atti pubblici, scritture private
autenticate. Da ciò ne consegue che il contratto di compravendita immobiliare potrebbe essere
validamente redatto in forma di scrittura privata non autenticata, anche se in tal caso l'immobile
non potrà essere trascritto nei registri immobiliari. La non trascrizione nei registri immobiliari non
permette al compratore di opporre il proprio diritto ai terzi, dunque i terzi continueranno a
rispettare come titolare del diritto il venditore e non il compratore.
Vendita mobiliare
Il contratto di vendita mobiliare è un contratto non reale, destinato a perfezionarsi per effetto del
consenso legittimamente manifestato tra le parti (non si perfeziona con la consegna del bene
mobile, ma, proprio come per la vendita immobiliare, si perfeziona per mezzo del consenso
manifestato dalle parti. La consegna del bene mobile è soltanto l’oggetto dell'obbligazione), fonte
di un acquisto a titolo derivativo e quindi presuppone che l'alienante sia il titolare del diritto. Come
già detto nei capitoli precedenti, al fine di tutelare l’interesse generale alla rapida e sicura
circolazione dei beni mobili (non registrati), l'ordinamento prevede che colui che acquista un bene
mobile da parte di chi non ne è proprietario, conseguendone così il possesso in buona fede,
acquisti il bene a titolo originario. Si parla della regola 'possesso vale titolo'.
La risoluzione di tal contratto potrà avvenire qualora il debitore non adempia al pagamento delle
rate. In tal caso, la risoluzione non occorrerà al venditore per recuperare il diritto di proprietà mai
trasferito al compratore, ma soltanto per far cessare gli effetti della vendita recuperando la piena
materiale disponibilità della cosa.
Invece, la vendita con patto di riscatto è il contratto con il quale il venditore, avendo immediato
bisogno di liquidità, si determina al vendere un proprio bene, riservandosi tuttavia il diritto di
riavere la proprietà della cosa venduta mediante la restituzione del prezzo e i rimborsi necessari.
Al venditore è dunque accordato lo specifico diritto potestativo di riacquisto, esercitato mediante
manifestazione di volontà unilaterale (da parte del mero venditore), da cui deriva l'effetto
risolutorio del primo trasferimento e, di conseguenza, il riacquisto della proprietà già trasferita.
Dalla vendita con patto di riscatto discende la vendita con patto di retrovendita, in cui il riacquisto
del venditore dipende dal perfezionamento tra lui e l’originario compratore di un secondo negozio
di trasferimento. Mentre nel caso della vendita con patto di riscatto non vi era alcun secondo
accordo tra il venditore e il compratore, in quanto il riacquisto da parte del venditore dipendeva
dall'esercizio del diritto potestativo, di cui è assoggettato fin dalla conclusione del contratto.
Per evitare che la vendita con patto di riscatto si trasformi in un finanziamento nascosto, viene
fissato un limite temporale entro cui il venditore può riscattare il bene e, in caso di riscatto, il
venditore dovrà restituire del prezzo, maggiorato delle solo spese, non degli interessi. Il termine
per l'esercizio del riscatto non può essere maggiore di due anni per la vendita di beni mobili e di
cinque anni per quella di beni immobili.
La locazione
Il contratto di locazione è diretto a soddisfare non soltanto l’interesse della persona fisica a
godere di un immobile per soddisfare le proprie esigenze abitative, ma anche quello
dell'imprenditore o del professionista per lo svolgimento della propria attività.
L’articolo 1571 definisce la locazione come il contratto col quale una parte si obbliga a far godere
all'altra una cosa mobile o immobile per un dato tempo, verso un determinato corrispettivo. Si
tratta di un contratto a effetti obbligatori per entrambe le parti: il locatore si obbliga a far godere la
cosa di sua proprietà; il conduttore si obbliga al pagamento del corrispettivo, normalmente
attraverso canoni periodici. Il conduttore ne conseguirà la detenzione, non il possesso poiché nel
pagamento del canone di locazione è implicito il riconoscimento dell'altrui diritto di proprietà.
Tuttavia, il contratto di locazione può essere concluso anche dal non proprietario del bene, purché
sia munito di un titolo che gli consenta di godere del bene liberamente. Il conduttore deve
osservare la diligenza del buon padre di famiglia, oltre a pagare il corrispettivo nei termini
convenuti. Il termine di durata massimo del rapporto è fissato a trent'anni (tuttavia è possibile il
rinnovo).
L'appalto
L'appalto è un tipico contratto di impresa in cui l'imprenditore assume, con organizzazione dei
mezzi necessari e con gestione a proprio rischio, il compimento di un'opera o di un servizio verso
un corrispettivo in denaro. L'organizzazione dei mezzi necessari allo svolgimento dell’attività
richiesta e la gestione a proprio rischio dell’attività esecutiva da parte dell'appaltatore consentono
di distinguere l'appalto dal contratto di lavoro autonomo. L'organizzazione dell'impresa
appaltatrice giustifica anche il divieto di subappalto, che impedisce all'appaltatore di dare in
subappalto l'esecuzione dell'opera o del servizio, senza l'autorizzazione del committente. Ciò
perché il committente ha posto il suo affidamento proprio nelle caratteristiche della determinata e
specifica impresa appaltatrice.
Il sinallagma del contratto di appalto vede contrapposta alla prestazione promessa
dall'appaltatore, quella del committente di pagare un corrispettivo in denaro, senza che ciò
escluda all'autonomia privata di porre a carico del committente prestazioni aventi natura diversa
dall'obbligazione pecuniaria.
Qualunque variazione richiederà il consenso del committente e, se il prezzo dell'intera operazione
è stato determinato globalmente, ciò non determina variazione di compenso per l'appaltatore. Se
l'importo delle variazioni supera un sesto del prezzo complessivo convenuto, l'appaltatore ha il
diritto di recedere dal contratto e di ottenere un'equa indennità. Nel caso in cui le variazioni non
siano necessarie, il committente potrà comunque apportare tali variazioni, ma il loro ammontare
non deve superare il sesto del prezzo complessivo convenuto. Però, in tal caso l'appaltatore ha
diritto al compenso per i maggiori lavori eseguiti.
L'ordinamento accorda al committente il diritto di controllare lo svolgimento dei lavori e qualora
accerti che l'esecuzione dell'opera non proceda secondo le condizioni stabilite dal contratto, può
fissare un congruo termine entro il quale l’appaltatore si deve conformare a tali condizioni.
Trascorso inutilmente tale termine, il contratto è risoluto, salvo il diritto del committente al
risarcimento del danno.
L’esecuzione della prestazione non determina per l'appaltatore la liberazione dal debito assunto
con il contratto, perché affinché ciò avvenga è necessario che l’opera sia verificata dal
committente. L’opera si considera esatta e congrua con quanto promesso quando il committente
ne esegue la verifica, oppure quando il committente tralascia di procedere alla verifica e quindi
non comunica il risultato entro un breve termine. In entrambi questi casi l'appaltatore viene
liberato dal debito e, allo stesso tempo, matura il diritto di ricevere il pagamento del corrispettivo.
Il mutuo e il comodato
Mutuo e comodato sono due contratti attraverso i quali si attua la funzione del prestito, che è una
funzione di consumazione per quanto riguarda il mutuo, mentre una funzione d'uso per il
secondo.
L’articolo 1813 definisce il mutuo come il contratto con il quale una parte consegna all'altra una
determinata quantità di denaro o di altre cose fungibili e l'altra si obbliga a restituire altrettante
cose. Le cose date a mutuo passano in proprietà del mutuatario, così che esso possa consumarle
per trarre da esse l’utilità che assicurano. Il contratto, in questo caso, non ha a oggetto il
trasferimento della proprietà, come nel caso della compravendita (,della permuta), della
donazione, ma produce comunque un effetto traslativo, anche se al solo fine di consentire al
mutuatario di soddisfare il suo interesse. L'ordinamento prevede che il perfezionamento del
contratto sia subordinato alla consegna del denaro o delle altre cose fungibili. Il mutuo è quindi un
contratto reale, non consensuale, poiché per arrivare al perfezionamento occorre che al consenso
legittimamente manifestato si accompagni la consegna. Perciò, la consegna della cosa mutuata
concorre insieme al consenso a costituire/perfezionare il rapporto obbligatorio. La costituzione del
rapporto obbligatorio, che si concreta con la consegna, fa sorgere al mutuatario il debito di
restituire al mutuante il capitale prestato maggiorato degli interessi pattuiti.
Se sono state mutuate cose diverse dal danaro, il mutuatario è, di norma, tenuto a restituire alla
scadenza altrettante cose della stessa specie e qualità di quelle originariamente mutuate. Se la
restituzione è divenuta impossibile per causa non imputabile al debitore, questi è tenuto a
pagarne il valore.
Il comodato è un prestito d'uso, anch'esso è un contratto reale, ma a titolo gratuito. Il comodato è
il contratto con il quale una parte consegna all'altra una cosa mobile o immobile, affinché se ne
serva per un tempo o per un uso determinato, con l’obbligo di restituire alla scadenza la stessa
cosa ricevuta. In questo caso, la proprietà del bene oggetto del contratto non si trasferisce al
comodatario, il quale non ha di conseguenza la facoltà né di disporre del bene, né di consumarlo.
Infatti, alla scadenza il comodatario dovrà restituire esattamente la stessa cosa ricevuta in
comodato. Il comodatario è tenuto a custodire e a conservare la cosa con la diligenza del buon
padre di famiglia, servendosene esclusivamente per l'uso determinato dal contratto. Inoltre, il
comodatario non può concedere la cosa a terzi senza il consenso del comodante. Se il
comodatario non adempie a tali obblighi, il comodante può chiedere l'immediata restituzione della
cosa, oltre al risarcimento del danno. Sono a carico del comodatario le spese sostenute per
servirsi della cosa, ad eccezione delle spese straordinarie, di cui il comodatario verrà rimborsato
dal comodante.
Il comodatario è obbligato a restituire la cosa alla scadenza del termine o, in mancanza di termine,
quando se ne è servito in conformità del contratto. Se però prima del termine convenuto, o prima
che il comodatario abbia cessato di servirsi della cosa, sopravviene un urgente e imprevisto
bisogno al comodante, questi può esigerne la restituzione immediata, in considerazione della
gratuità del contratto.
La transazione
La transazione è un contratto diretto causalmente a definire una situazione di conflittualità tra due
o più parti, indipendentemente dal fatto che sia o no già sfociata in una lite giudiziaria. Il conflitto
consiste in un'opposizione tra la pretesa affermata come giuridicamente rilevante da una parte e
la contestazione da parte dell'altra parte. In altre parole, possiamo definire la transazione come un
contratto diretto a definire un conflitto giuridico tra le opposte affermazioni di chi pretende e chi
contesta, sulla base di una oggettiva situazione di incertezza. Come detto prima, non è
necessario per la conclusione di una valida transazione che il conflitto si sia già tradotto in una
contesa giudiziale. Infatti, l'ordinamento definisce la transazione come il contratto col quale le
parti, facendosi reciproche concessioni, pongono fine ad una lite già incominciata o prevengono
una lite che può sorgere tra loro. Come si evince, la composizione della lite deve avvenire
mediante "reciproche concessioni". Ciò vuol dire che la situazione di pretesa e di contestazione
iniziali devono risultare modificate rispetto alle originarie, con sacrifico di entrambe le parti. Le
reciproche concessioni, di cui si compone la lite, possono anche condurre alla creazione,
modificazione e/o estinzione di rapporti giuridici diversi da quello in cui vi è il conflitto. Perciò, la
sistemazione transattiva del conflitto giuridico tra pretesa e contestazione può avvenire o per
mezzo di modifiche del regolamento sul quale vi era il conflitto, oppure per mezzo della
costituzione di nuovi rapporti obbligatori che sostituiscono quello controverso estinguendolo "per
novazione" (di cui già abbiamo parlato). Quindi, nel primo caso si parla di transazione
"conservativa", nel secondo di transazione "novativa".
Vi è poi il negozio di accertamento, mediante il quale le parti si vincolano reciprocamente a una
determinata interpretazione di fatti o di situazioni giuridiche, in modo tale da eliminare qualunque
possibilità di conflitto futuro.
La donazione
La donazione, assolutamente estranea allo scambio, è il contratto col quale, per spirito di
liberalità, una parte arricchisce l'altra, donandole o un proprio diritto o assumendo verso la stessa
un'obbligazione. La donazione non trova altra giustificazione oggettiva, se non nella mera volontà
del donante di beneficiare il donatario. Il donante dunque dispone (dona) o si obbliga
semplicemente perché così vuole, ben consapevole che il suo sacrificio economico non sarà
compensato da alcuna controprestazione, poiché a prevalere è lo spirito di liberalità del donante.
Le volontà di donante e donatario devono, a pena di nullità, assumere la forma dell'atto pubblico
davanti a due testimoni.
L’acquisto del diritto che deriva dalla donazione è normalmente gratuito per il donatario, il quale,
come sappiamo, non è tenuto ad alcuna controprestazione. Può essere però che il donante, che
comunque non può pretendere alcun corrispettivo, ponga a carico del donatario un onere, con il
fine di andare a soddisfare un interesse non patrimoniale del donante. L’onere o modus è un
elemento accidentale del negozio donativo mediante il quale il donante soddisfa un suo interesse,
ulteriore a quello di donare, a ottenere dal donatario l'esecuzione di una prestazione che, tuttavia,
non viene vista come controprestazione, ma come prestazione "accidentale" alla donazione. In
questi casi si parla di donazione modale, dove il donatario, per effetto della clausola modale, è
gravato da un'obbligazione, di cui però il donante, seppur interessato all'adempimento, non ne è il
destinatario (ecco perché non è una controprestazione). Il beneficiario di una donazione modale
(donatario) è tenuto all'adempimento dell'onere entro i limiti del valore della cosa donata, dunque
l'obbligazione a cui il donatario è sottoposto non può superare il valore della donazione che ha
ricevuto dal donante.
La successione può essere universale o particolare, a seconda che riguardi la totalità dei beni
lasciati dal defunto (nell'intero o per quote), oppure la singolarità di uno o più beni determinati.
Nel primo caso si parla di successione universale, poiché il successibile è chiamato a succedere
nella totalità/universalità dei beni o in una quota di essi. Invece, la successione si dice particolare
quando si riferisce ad un diritto specifico di un determinato bene, dunque quando si riferisce ad
una singolarità di uno o più beni determinati. A seconda che la successione sia universale o
particolare il successore viene chiamato in maniera diversa. Prende il nome di erede colui che
succede a titolo universale, mentre prende il nome di legatario, colui che succede a titolo
particolare. La distinzione tra erede e legatario diventa importante per quanto riguarda la
successione dei debiti gravanti il defunto. Secondo l'ordinamento, i debiti devono essere
adempiuti soltanto dall'erede, non dal legatario, in quanto quest'ultimo succede al defunto
esclusivamente nella titolarità del bene o del diritto e non di altro (invece l’erede succede nella
totalità dei beni del defunto, quindi anche i debiti).
Il testatore, se non attribuisce i suoi beni nell'universalità o in una quota, dispone a titolo
particolare, rendendo così il chiamato a tale titolo un legatario. Tuttavia l'ordinamento prevede una
regola: anche di fronte alla disposizione testamentaria avente come oggetto beni determinati nella
loro singolarità occorrerà indagare l'intenzione del testatore, per verificare se abbia disposto o no
di tali beni in funzione di quota, ossia prendendoli in considerazione in quanto rappresentativi di
una frazione, seppur inespressa. Quando l'assegnazione di beni determinati in funzione di quota
avviene tra più chiamati, si deve ricorrere alla divisione. Con la divisione si provvede alla
distribuzione, tra i chiamati a titolo universale, dei beni relitti (del defunto). Quindi si parla di
divisione solo nel caso di successione a titolo universale tra più chiamati (eredi).
È invece escluso dalla successione e, dunque, dichiarato indegno: chi ha volontariamente ucciso
o tentato di uccidere l'ereditario o un suo discendente (possibile successore), chi ha indotto con
dolo o violenza l'ereditario a fare, revocare o mutare il testamento. Il soggetto indegno non è privo
di capacità a succedere. Egli può essere destinatario della vocazione e può conseguire la qualità
di erede, ma qualora qualcuno proceda contro di lui per farne dichiarare l'indegnità non potrà più
trattenere ciò che ha acquistato.
È però possibile che il delato (successibile) che è stato investito del diritto all’eredità non intenda
esercitare tale facoltà, oppure perché morto prima non può accettarla. In questi casi, trattandosi
di successione testamentaria, potrebbe darsi che il testatore abbia espressamente nominato un
sostituto. In assenza del sostituto, la devoluzione del diritto all’eredità deve tener conto prima
della rappresentazione e, se questa non è possibile, dell'accrescimento. La rappresentazione, sia
per quanto riguarda la successione legittima che quella testamentaria, ricorre soltanto nel caso in
cui il primo chiamato, che non può o non vuole accettare l’eredità o il legato, sia figlio o fratello
del defunto e fa subentrare i suoi discendenti. La delazione si devolve così ai discendenti in linea
retta del primo chiamato, senza alcuna limitazione di grado, all'infinito. È possibile adottare la
rappresentazione qualora non sia stato designato un sostituto da parte del testatore. Inoltre,
quando non ricorrono i presupposti per la sostituzione e la rappresentazione, la devoluzione può
avvenire, per le sole successioni testamentarie, secondo la regola dell'accrescimento. Essa
presuppone che siano stati istituiti più eredi senza determinazione di parti o anche se sono stati
istituiti più eredi in parti uguali. Qualora uno di essi non accetti l’eredità, la sua parte si accresce a
quella degli altri. Se sono stati istituiti più eredi in parti uguali l'accrescimento avviene nella
medesima quota per ciascuno. In assenza dei presupposti per la sostituzione, per la
rappresentazione e per l'accrescimento, la successione è soddisfatta dalle seguenti norme
suppletive: in caso di successione universale testamentaria la successione avviene per legge; in
caso di successione universale legittima succedono i parenti di grado successivo al primo fino al
sesto e, in assenza anche di questi, allo Stato.
L'accettazione dell’eredità
Con l'accettazione dell’eredità si consegue la qualità di erede e, di conseguenza, si risponde dei
debiti ereditari. L’eredità può essere accettata puramente e semplicemente o col beneficio
d'inventario. La differenza tra le due forme di accettazione riguarda la responsabilità dell'erede per
il pagamento dei debiti ereditari. Nel caso di accettazione pura e semplice, deriva la piena
confusione tra il patrimonio ereditario e quello proprio personale dell'erede, con l'ulteriore
conseguenza che l'erede risponderà dei debiti ereditari con tutti i suoi beni, presenti e futuri
(dunque anche con quelli già propri prima dell'apertura della successione). Invece, nel caso di
accettazione con beneficio d'inventario, il patrimonio del defunto resta distinto da quello
personale dell'erede, costituendo così un patrimonio separato. Di conseguenza, in questo caso,
l'erede non è tenuto al pagamento dei debiti ereditari oltre il valore dei beni a lui pervenuti.
L'accettazione dell’eredità può essere espressa o tacita e non può essere revocata. Essa è
espressa quando in un atto pubblico o in una scrittura privata, il chiamato all’eredità dichiara di
accettarla; mentre è tacita quando il chiamato all’eredità compie un atto con il quale manifesta la
sua volontà di accettare.
Il diritto di accettare l’eredità si prescrive, di regola, in dieci anni e il termine decorre dal giorno
dell'apertura della successione.
Il beneficio di inventario
L’accettazione col beneficio d'inventario è soltanto espressa e si formalizza per mezzo di una
dichiarazione, che deve essere trascritta da un notaio o da un cancelliere. Per produrre gli effetti,
la dichiarazione deve essere affiancata dalla redazione dell'inventario dell’eredità, mediante il
quale si rappresenta la consistenza del patrimonio relitto (ereditato del defunto) in tutte le sue
componenti, attive e passive. Ciò deve essere fatto al fine di ricostruire con esattezza la
consistenza del patrimonio separato, che è destinato alla soddisfazione dei creditori ereditari.
Tant’è che l'erede non potrà disporre in alcun modo dei beni rientranti nell'attivo ereditario, senza
la preventiva autorizzazione del tribunale. Ciò perché l'erede dovrà provvedere al pagamento dei
creditori del defunto con i beni ereditari.
dell'accettazione pura e semplice concorreranno con i creditori personali dell'erede anche quelli
del defunto. Di conseguenza, potrà accadere che dopo la confusione il patrimonio ereditario che
prima sarebbe stato sufficiente a soddisfare i creditori del defunto, unito a quello dell'erede non
permetta più la soddisfazione integrale dei creditori del defunto (poiché il patrimonio personale
dell’erede presenta un eccesso del passivo sull'attivo). I creditori del defunto hanno perciò un
legittimo interesse ad evitare la confusione. La legge concede così ai creditori del defunto uno
specifico rimedio, diretto, su loro iniziativa e non su iniziativa del chiamato, a determinare la
separazione dei beni del defunto da quelli dell'erede.
La rinunzia all’eredità
Come conseguenza alla valutazione della consistenza del patrimonio ereditario o a motivazioni di
carattere personale, il chiamato potrebbe non voler conseguire la qualità di erede. In questo caso,
il chiamato in subordine, ossia colui che può conseguire la qualità di erede nel caso di rinunzia da
parte del primo chiamato, potrebbe chiedere all'autorità giudiziaria di fissare un termine entro il
quale il chiamato deve dichiarare se accetta o rinunzia all’eredità. Diversamente, il chiamato può
rinunziare alla qualità di erede per mezzo dell'atto di rinunzia.