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proprio delle parole. L’interpretazione, inoltre, deve essere globale, dovendosi intendere le
parole non isolatamente, bensì secondo la connessione di esse e sistematica, poiché
nessuna norma vive da sola, ma si inserisce in un complesso sistema col quale occorre
coordinarla, dovendosi preferire, nel dubbio, il significato che la rende coerente alle altre.
Il medesimo articolo vincola l’interprete alla “intenzione del legislatore”; tale richiamo va
inteso come rinvio alla ratio o scopo della norma (cd. interpretazione
funzionale). Si parla di interpretazione estensiva quando si fanno rientrare
nella norma ipotesi non previste ma sicuramente coerenti alla sua ratio. Si parla di
interpretazione dichiarativa quando si riconosce alla disposizione un significato
esattamente corrispondente al suo tenore letterale. Nel caso in cui una controversia non
possa essere decisa con una precisa disposizione, si applicano le “disposizioni che
regolano casi simili o materie analoghe” (cd. analogia legis), e se il “caso rimane ancora
dubbio, si decide secondo i principi generali dell’ordinamento” (cd. analogia iuris). È
esclusa l’applicazione di questo principio per le norme penali e eccezionali. Secondo l’art.
11 disp. prel. “la legge dispone solo per l’avvenire e non ha effetto
retroattivo”. È vietata la retroattività delle leggi penali. Le norme cessano di avere efficacia
a seguito di abrogazioni, dichiarazioni di incostituzionalità, referendum abrogativo e
scadenza del termine previsto. L’abrogazione di una norma è disposta da altra
disposizione normativa, di paro grado o di grado superiore, successiva alla prima. Essa
può essere espressa, ove contenga esplicita disposizione in tale senso, o tacita: in tal
caso può aversi o per incompatibilità tra le nuove e le precedenti disposizioni o perché la
nuova legge regola l’intera materia già regolata dalla legge anteriore. La desuetudine,
invece, può abrogare un uso ma non può togliere efficacia alla legge e ai
regolamenti. Le norme del nostro ordinamento hanno efficacia nei confronti dei cittadini
italiani. Lo straniero ha piena capacità di diritto privato; le norme che risolvono le
controversie tra cittadini di Stati diversi prendono il nome di diritto internazionale privato.
il bene, su cui cade l’interesse tutelato dalla legge. “Bene è tutto ciò che è in grado di
soddisfare un bisogno; la spinta verso tali beni prende il nome di interesse”. Il rapporto
giuridico tra due soggetti sorge e si estingue nei modi previsti dalla legge. Tali eventi si
designano come fatti giuridici e possono definirsi come gli accadimenti al cui verificarsi la
legge collega la nascita, la modificazione o l’estinzione di un rapporto giuridico. La
pubblicità di questi fatti è quel sistema predisposto dall’ordinamento al fine di garantirne
la conoscenza. Essa può essere:
- Notificativa, che serve a dare una semplice notizia e la sua omissione non tocca
né la validità né l’efficacia dei fatti (es. le pubblicazioni matrimoniali);
- Dichiarativa, che serve a rendere opponibili ai terzi determinati atti e la sua
omissione non tocca la validità ma l’efficacia dell’atto (es. la residenza anagrafica e
le trascrizioni immobiliari);
- Costitutiva, che condiziona sia la validità che l’efficacia dell’atto e in mancanza di
essa l’atto non produrrà effetti neppure fra le parti. (es. l’iscrizione dell’ipoteca nei
registri immobiliari al fine di far nascere l’ipoteca).
Per quanto riguarda l’estinzione dei diritti, ne esistono due modi:
- Prescrizione: è un istituto collegato al decorso del tempo e comporta l’estinzione
del diritto ove il titolare non lo eserciti nell’arco di tempo determinato dalla legge
(art. 2943). Si fonda perciò sull’inerzia del soggetto interessato. Quando il titolare
compie un atto di esercizio del diritto, si realizza la cd. Interruzione della
prescrizione; mentre la cd. sospensione si ha quando il titolare del diritto versa in
particolari condizioni (art. 2941). Si possono estinguere per prescrizione tutti i diritti
ad esclusione del diritto di proprietà e dei diritti indisponibili; l’ordinario termine di
prescrizione è di 10 anni (art. 2946); di vent’anni per la prescrizione dei diritti reali
su cosa altrui e cinque anni per le azioni nascenti da atto illecito.
- Decadenza: consiste nella perdita di un diritto per il mancato compimento entro un
dato termine, di uno specifico atto previsto dalla legge. Anche esso è un istituto
collegato al decorso del tempo e all’inerzia del titolare; qui però non è prevista
l’interruzione e la sospensione e non basta un atto di esercizio di diritto
per impedirla ma è impedita esclusivamente dal compimento dell’atto previsto
dalla legge o dal contratto (art. 2964-2966).
concepito si riscontrano delle specifiche forme di tutela dei suoi diritti, personali e
patrimoniali. Il concepito ha la capacità di succedere per causa di morte e di ricevere
donazioni (artt. 462, 784); i genitori ne assumono la rappresentanza e ne amministrano i
beni ancor prima della nascita ma l’acquisto perde efficacia se non consegue la nascita. Il
nascituro non concepito (colui che si prevede nascerà in futuro) può essere contemplato
come beneficiario in una donazione o in un testamento e si richiede solo che il futuro
beneficiario sia figlio di persona vivente al momento della donazione o della morte del
testatore (artt. 784, 462). La differenza dal concepito è che la sua non è realtà ma soltanto
una speranza di vita futura. La Costituzione vieta che la capacità giuridica possa essere
limitata per motivi politici (art. 22) e sono ammissibili solo quelle incapacità che sono
giustificate o da una esigenza di tutela del soggetto stesso o da un interesse pubblico: si
parla di incapacità speciali determinate dall’età, dallo stato della persona, dall’ufficio
ricoperto. Ove l’incapace si renda egualmente parte di tali rapporti, l’atto negoziale sarà
nullo e il rapporto privo di effetti. La capacità di agire consiste nell’idoneità a disporre
della propria sfera giuridica e a esercitare i diritti di cui si è titolari e ad assumere
direttamente obbligazioni; si acquista con la maggiore età. Con i 18 anni si acquista la
capacità di compiere tutti gli atti per i quali non sia prevista un’età diversa, cioè la
capacità legale di agire (art. 2). Sono forme di incapacità relativa di agire:
- L’istituto dell’amministrazione di sostegno: è la figura generale tra le misure di
protezione per le persone maggiori di età che siano incapaci di provvedere ai
propri interessi. E’ un istituto diretto a provvedere alle esigenze di
protezione della “persona che, per effetto di un’infermità o di una
menomazione fisica o psichica, si trova nell’impossibilità di provvedere ai
propri interessi (art. 404). L’amministratore è nominato dal giudice tutelare che
indica sia “gli atti che il beneficiario può compiere soltanto con l’assistenza
dell’amministratore”, sia “gli atti che questi ha il potere di compiere in nome
e per conto del beneficiario” (art. 405). La persona conserva “la capacità di agire
per tutti gli atti che non richiedono la rappresentanza esclusiva o l’assistenza
necessaria” dell’amministratore e per “tutti gli atti necessari a soddisfare le esigenze
della propria vita quotidiana” (art. 409). L’amministratore è scelto tra gli
stretti congiunti dell’interessato e deve tener conto dei suoi bisogni e delle sue
aspirazioni e informarlo preventivamente circa gli atti da compiere: in caso di
dissenso egli può ricorrere al giudice, che adotta con decreto motivato gli opportuni
provvedimenti” (art. 410).
Nel caso in cui l’amministrazione di sostegno si riveli inidonea, può farsi
luogo all’inabilitazione dell’incapace: essa consegue ad una sentenza giudiziale che
accerta uno stato di ridotta, ma non esistente, attitudine a curare i propri interessi (art.
415). Possono essere inabilitati:
- Le persone affette da malattia mentale non talmente grave da dar luogo
all’interdizione;
- Coloro che per prodigalità o abuso di bevande alcoliche o di stupefacenti
espongono sé stessi e la loro famiglia a gravi pregiudizi economici;
- Il sordomuto e il cieco quando tali minorazioni non siano compensate
da un’educazione sufficiente.
L’inabilitato gode di capacità di agire con riguardo agli atti di ordinaria amministrazione
del suo patrimonio; mentre per gli atti patrimoniali di straordinaria
amministrazione è necessaria l’assistenza di un curatore. L’emancipato si trova in una
situazione analoga di limitata capacità d’agire: questi è un minore al quale viene conferita
coniuge sarà nullo ma ne restano salvi gli effetti civili: in particolare i figli avranno lo stato
di figli legittimi.
persone e il fine non di lucro, in quanto lo scopo deve essere di tipo ideale; beneficiari
dell’attività sono i terzi o gli stessi soci. L’associazione sorge con l’atto costitutivo,
consistente nell’accordo fra 2 o più persone di dar vita all’associazione stessa (art. 14); ha
natura negoziale e richiede la forma dell’atto pubblico. Lo statuto invece consiste nelle
regole relative all’ordinamento dell’ente e può essere contenuto nell’atto costitutivo,
in cui devono essere determinati diritti e obblighi degli associati e le condizioni della loro
ammissione. Eventuali modificazioni devono essere iscritte nel registro delle persone
giuridiche. Gli organi dell’associazione sono:
- L’assemblea dei soci, che è l’organo deliberante e decide in base al principio
maggioritario e le sue delibere hanno natura di atti collegiali;
- Gli amministratori, i quali sono l’organo esecutivo dell’ente e hanno il compito di
gestire, curare e rappresentare l’esecuzione delle delibere assembleari.
Sono nominati e revocati dall’assemblea, e sono responsabili verso l’ente
per il loro operato. Causa di estinzione dell’associazione può essere il
venir meno della pluralità dei soci o la sopravvenuta impossibilità dello scopo.
L’associazione non riconosciuta è un’organizzazione stabile di persone, priva di
personalità giuridica, diretta ad uno scopo non di lucro. Avendo autonomia patrimoniale
imperfetta, dei debiti sociali rispondono sia l’associazione sia coloro che hanno agito in
nome e per conto di essa. Il codice all’art. 36 stabilisce che l’associazione è retta dagli
accordi interni fra gli associati (cioè dallo statuto) e ha capacità di stare in giudizio
nella persona del suo presidente. Finché dura l’associazione i singoli associati non
possono chiedere la divisione del patrimonio né pretendere la propria quota in caso di
recesso o esclusione. La fondazione è un’istituzione dotata di personalità giuridica,
caratterizzata da un patrimonio vincolato a uno scopo. Elementi caratterizzanti sono il
patrimonio e la sua destinazione a uno scopo ideale. Il solo organo sono gli
amministratori anche essi vincolati allo scopo stabilito dal fondatore. L’ente sorge
con l’atto costitutivo, che è l’atto negoziale unilaterale con cui, uno o più soggetti, decidono
di dar vita all’ente stesso. Tale atto deve avere la forma dell’atto pubblico (ma può anche
essere contenuto in un testamento) e non può più essere revocato quando sia intervenuto
il riconoscimento, in quanto è esso che ne attribuisce la personalità giuridica. Il comitato è
un gruppo organizzato per la raccolta di fondi destinati a un fine determinato (art. 39). Essi
si caratterizzano per la presenza di una pluralità di persone e di un patrimonio vincolato a
un fine determinato. I componenti del comitato sono dei semplici gestori dei fondi raccolti e
non possono decidere di mutarne la destinazione. Fondamentale è la regola per cui, ove il
comitato non abbia chiesto o ottenuto la personalità giuridica, tutti i suoi componenti
rispondono personalmente delle obbligazioni assunte.
dall’insieme dei poteri e delle facoltà che a ciascuno competono; nei diritti di credito è
l’attività del debitore che ne costituisce il contenuto.
I diritti assoluti
Capitolo 11: Introduzione
I diritti soggettivi si distinguono in diritti assoluti, che si possono fare valere in maniera
diretta verso tutti i consociati (come i diritti della personalità e i diritti reali) e diritti relativi,
che possono farsi valere in maniera diretta solo nei confronti di determinate persone (i
debitori). In questa categoria rientrano i diritti di credito. Entrambi conferiscono al titolare
una forma di tutela contro l’altrui violazione; con riguardo ai diritti assoluti si distingue tra
tutela reale o in forma specifica, volta a inibire la violazione del diritto o ad impedirne la
prosecuzione e tutela risarcitoria o per equivalente, collegata alle conseguenze
dannose della violazione del diritto; essa richiede quasi sempre la colpa o il dolo del
soggetto e impone al soggetto che ha cagionato il danno l’obbligo di risarcimento.
Diritti inviolabili
Capitolo 12: I diritti della personalità
I diritti della personalità sono quei diritti che tutelano l’individuo nei suoi beni
fondamentali e competono al singolo in quanto persona umana e non possono essere
privati a nessun individuo. Essi si acquistano automaticamente (art. 2 Cost.). Caratteri dei
diritti della personalità sono:
- L’assolutezza: sono diritti assoluti in quanto possono farsi valere verso tutti;
- L’indisponibilità: sono diritti indisponibili, o inalienabili, nel senso che il titolare può
solo goderne ma senza disporne: in particolare non possono essere
trasferiti ad altri, né si può rinunciarvi;
- L’imprescrittibilità: sono imprescrittibili nel senso che non si estinguono per effetto
del mancato esercizio protratto nel tempo.
Il diritto alla vita tutela il bene dell’esistenza individuale, sia verso lo Stato sia verso gli
altri consociati, tenuti ad astenersi dal ledere tale diritto. Il diritto all’integrità fisica tutela
il bene dell’incolumità personale, intesa come stato di salute fisica e psichica. La garanzia
opera sia verso i privati, tenuti ad astenersi da ogni atto di lesione, sia verso lo Stato,
tenuto ad un’azione di salvaguardia e promozione della salute. Tale diritto è indisponibile
nel senso che il soggetto non può ledere la propria integrità né può consentire che altri lo
faccia. Per atti di disposizione del proprio corpo si intendono sia gli atti di disposizione
materiale (es. automutilazione) sia quelli di disposizione giuridica “es. impegno di donare
un organo). L’art. 5 vieta entrambi i tipi di atti quando producano una menomazione
permanente dell’integrità o quando siano contrari all’ordine pubblico o al buon
costume. Sono vietati i prelievi di organi, le sterilizzazioni permanenti, le attività
sportive troppo violente. Risultano leciti gli atti di disposizione che non ledono in modo
irreversibile l’integrità. Sono ammessi quegli atti dispositivi che risultano giustificati da un
interesse superiore, come il fine di cura dell’interessato o di terzi. Si parla di integrità
morale per designare il bene dell’onore e del decoro: essi sono tutelati dal diritto
all’onore e la tutela è di tipo penale: costituiscono reato sia l’ingiuria, cioè l’offesa
all’onore o al decoro, sia la diffamazione, cioè l’offesa della reputazione altrui realizzata
comunicando con altre persone. Le sanzioni civili sono il sequestro degli scritti e il
risarcimento dei danni, patrimoniali e non. L’identità personale comprende il diritto al
nome, alla personalità morale e all’identità sessuale. Il diritto al nome tutela
l’interesse al proprio appellativo come segno distintivo della persona e mezzo di
identificazione personale (art. 6). Il nome si compone del prenome e del cognome. Il
diritto alla personalità morale tutela l’interesse alla stessa essenza di tale identità, come
modo d’essere, qualità e caratteristiche intrinseche della persona. La legge prevede che,
quando si tratti di notizia di notizia inesatta, l’interessato può pretendere la pubblicazione
di una smentita o rettifica che abbia lo stesso rilievo dell’errore. Si ha così diritto al
risarcimento del danno. Il diritto morale d’autore tutela l’interesse a vedersi riconosciuta
la paternità intellettuale sulle opere dell’ingegno e sulle invenzioni industriali contro
chiunque le contesti o cerchi di appropriarsene (art. 2577). Il diritto all’identità
sessuale si sostanzia nel diritto alla rettificazione delle risultanze anagrafiche
quando il sesso indicato nell’atto di nascita non corrisponda a realtà, vuoi per errore al
momento della redazione, vuoi per mutamento dei caratteri sessuali esterni a
seguito di un’operazione chirurgica. Il diritto all’intimità privata tutela l’interesse a
mantenere il riserbo sulla propria vita privata. Questo diritto può articolarsi nel diritto
all’immagine che tutela l’interesse all’uso esclusivo del proprio ritratto, vietando che esso
venga esposto o pubblicato senza il consenso della persona (art. 10) e nel diritto alla
riservatezza, che tutela l’interesse a mantenere il riserbo sui fatti della vita personale e
protegge l’interesse a evitare una divulgazione pubblica delle informazioni. Quanto alle
libertà civili occorre ricordare la libertà personale, come diritto a non subire altrui
costrizioni nella sfera personale e negoziale; la libertà religiosa, come diritto di
professare liberamente la propria fede; la libertà di associarsi per fini non vietati dalla
legge penale; la libertà di manifestazione del pensiero; il diritto alla scelta libera del
lavoro; il diritto di iniziativa economica e il diritto alla proprietà privata.
I diritti reali
Capitolo 13: Introduzione
L’altra grande categoria di diritti assoluti è rappresentata dai diritti reali (il termine reale
deriva dal latino res: cosa); essi sono infatti diritti su una cosa, avendo ad oggetto una
porzione materiale della realtà. I diritti reali attribuiscono un potere diretto e immediato su
una cosa, che consente una diretta soddisfazione dell’interesse e può farsi valere verso
tutti. Fondamentale diritto reale è la proprietà, come diritto di godere e disporre
liberamente di una cosa; inoltre si danno anche diritti reali su cosa che appartiene ad altri
(es. usufrutto) limitando le facoltà del proprietario e attribuendo alcuni poteri sul bene ad
altri soggetti (cd. diritti reali minori). I caratteri salienti sono:
- L’immediatezza del potere: con immediatezza s’intende far riferimento al fatto che
il rapporto tra l’uomo e la cosa è diretto;
- L’inerenza alla cosa: consiste nel particolare nesso tra il diritto e il bene, che si
traduce nell’opponibilità erga omnes del diritto, e cioè nella possibilità di farlo
valere verso chiunque;
- La facoltà di seguito o sequela: tali diritti possono farsi valere nei confronti della
generalità dei consociati, ma anche nei confronti di chi venga ad acquistare uno
specifico diritto sullo stesso bene;
- L’elasticità: allude all’idoneità del diritto ad espandersi su tutta la cosa quando
essa si accresca o vengano meno i diritti altrui gravanti su di essa;
- Tipicità: i diritti reali sono soltanto quelli previsti e disciplinati dalla legge e non è
prevista la possibilità per i privati di crearne altri ma essi possono solo modificare il
contenuto dei diritti reali tipici.
La categoria dei diritti reali si divide in due partizioni: il diritto su cosa propria, nella
cui definizione rientra solo la proprietà che costituisce la figura fondamentale per l’intera
categoria, e diritti su cosa altrui, che sono quei diritti, cd. minori, che possono spettare
ad un soggetto su un bene di proprietà di altri; rientrano in questa categoria i diritti reali di
godimento e i diritti reali di garanzia.
funzione unitaria tanto che l’insieme viene denominato universalità di fatto, a cui si
contrappone l’universalità di diritto creata dalla legge. Non costituisce universalità il
patrimonio. Altra distinzione è quella tra cosa semplice, quella i cui elementi sono a tal
punto connessi fra di loro che una loro separazione distruggerebbe la cosa, e cosa
composta, quella che risulta dall’unione materiale di più cose distinte e suscettibili di
autonomo rilievo economico ove vengano separate. Si dicono divisibili i beni il cui
frazionamento non altera la funzione economica delle parti risultanti. Sono pertinenze le
cose destinate in modo durevole a servizio di un’altra (art. 817). Essa può essere
effettuata dal proprietario della cosa principale o dal titolare di un diritto reale su di essa.
Gli atti e i rapporti giuridici che hanno per oggetto la cosa principale comprendono anche
le pertinenze, se non è diversamente disposto (art. 818). I frutti sono beni che
provengono da un altro bene. Si dicono frutti naturali quelli che provengono
direttamente dalla cosa e appartengono al proprietario della cosa fruttifera, salvo che la
loro proprietà sia attribuita ad altri (art. 820 – 821). Si dicono frutti civili quelli che si
traggono dalla cosa come corrispettivo del godimento che altri ne abbia, come il canone
della locazione e gli interessi sui capitali. Si dicono fungibili i beni sostituibili con altri
dello stesso genere senza che l’interesse dell’utilizzatore venga a soffrirne. Sono
fungibili i beni che appartengono allo stesso genere. Sono infungibili i beni che
presentano caratteristiche proprie, che li distinguono da altri analoghi. Le cose
consumabili sono quelle “delle quali non si può far uso senza consumarle” (art. 750),
come il denaro; sono cose deteriorabili i beni che “senza consumarsi in un tratto, si
deteriorano a poco a poco, come l’automobile” (art. 996). Per beni pubblici si intendono i
beni appartenenti ad ente pubblico e si distinguono i beni demaniali che possono
appartenere solo allo Stato o ad altro ente territoriale e i beni patrimoniali
indisponibili che possono spettare anche ad altri enti pubblici. Sono beni del demanio
necessario (spettando solo allo Stato), il demanio marittimo, idrico e militare; fanno parte
del demanio eventuale (se, cioè appartengono a un ente pubblico territoriale) strade,
aeroporti, acquedotti, etc. Sono beni del patrimonio indisponibile le foreste, le miniere,
etc. Tutti gli altri beni pubblici rientrano nel cd. patrimonio disponibile e sono soggetti alle
stesse norme che disciplinano i beni privati.
essa costituisce la cornice teorica al cui interno si giustificano i limiti e gli obblighi previsti
dalla legge e opera anche come criterio di interpretazione della disciplina e come
strumento di integrazione per l’imposizione di nuovi limiti, oltre quelli già previsti. L’art. 840
è dedicato all’estensione della proprietà in linea verticale e stabilisce che essa “si
estende al sottosuolo, con tutto ciò che vi si contiene” e “il proprietario non può opporsi ad
attività di terzi” svolte a tale altezza o tale profondità che egli non abbia interesse ad
escluderle. Pertanto egli dovrà tollerare il passaggio di linee elettriche nello spazio
sovrastante e di gallerie nel sottosuolo. In senso orizzontale la proprietà è delimitata dai
confini del fondo che il titolare “può chiudere in qualunque tempo (art. 841), impedendo
così l’ingresso agli estranei. In mancanza di recinzione egli deve consentire l’accesso a chi
voglia esercitarvi la caccia o raccolta di piante spontanee, etc.; l’ingresso al fondo deve
essere consentito al vicino che abbia necessità di costruire o riparare il proprio muro voglia
riprendere qualcosa che vi si trova accidentalmente. Limiti specifici sono dettati per i
rapporti di vicinato. Tali vincoli sono reciproci poiché il sacrificio di ciascuno è
compensato dal vantaggio derivante dall’analogo limite in capo al vicino; sono automatici,
perché nascono direttamente dalla legge e sono gratuiti, non richiedendo il
pagamento di alcuna indennità. Secondo l’art. 844 “il proprietario non può impedire le
propagazioni derivanti dal fondo vicino se non superano la normale tollerabilità”. La
proprietà agricola è contemplata dalla Costituzione all’art. 44, che prevede “limiti alla sua
estensione e bonifica delle terre, trasformazione del latifondo e ricostruzione delle unità
produttive e sostegno alla piccola e media proprietà. La proprietà edilizia è contemplata
al codice civile all’art. 869 ss.: il proprietario può costruire solo se e nei limiti in cui gli
strumenti di pianificazione urbanistica prevedono una destinazione per le singole zone e
previo rilascio di un permesso di costruire rilasciato dietro pagamento del contributo di
costruzione. L’espropriazione per motivi di interesse generale è prevista dalla Costituzione
che ne prevede l’indennizzo. Per quanto riguarda la distanza tra edifici, la regola
generale è stabilita dall’art. 873: le costruzioni sui fondi vicini devono essere tenute ad una
distanza non inferiore ai 3 metri. Altre previsioni riguardano il muro di cinta, il muro
divisorio e il muro sul confine: questo può essere reso comune, previo pagamento
della metà del valore di esso e del suolo su cui è stato costruito. Per le distanze per altri
manufatti (pozzi, cisterne) e per alberi vale la regola che devono essere tenuti ad una
certa distanza dal confine allo scopo di preservare i fondi vicini da ogni danno alla solidità
e sicurezza (artt. 889 – 899). Per le luci e le vedute è disciplinata l’apertura di finestre
negli edifici, quando esse si affaccino sul fondo del vicino, per limitare gli inconvenienti ed
il reciproco disturbo (art. 900). Si distinguono due tipi di aperture: le luci sono aperture che
danno passaggio alla luce e all’aria ma che non permettono di affacciarsi sul fondo del
vicino; le vedute sono aperture che permettono di affacciarsi e guardare di fronte e la
legge dispone che debbano essere tenute ad una certa distanza dal confine. Le
prescrizioni e le distanze, costituiscono dei limiti, ma possono essere derogate dalle parti
con apposita convenzione, attribuendo così alle parti di costruire a distanza inferiore.
Quanto alla tutela in caso di violazione, la legge prevede il risarcimento di danni e la
riduzione in pristino, cioè il diritto di ottenere la demolizione delle opere. I modi di
acquisto della proprietà sono i fatti e gli atti ai quali è collegato l’effetto giuridico
dell’acquisto della proprietà di un bene (art. 922 ss.). Si distinguono:
- Modo di acquisto a titolo derivativo: sono tutti quegli acquisti che presuppongono
un precedente titolare del diritto, da cui è derivato l’acquisto tramite un titolo, che
trasferisce il diritto. Di conseguenza, il diritto si trasferisce con gli stessi caratteri
che aveva in capo al precedente titolare;
- Modi di acquisto a titolo originario: sono gli acquisti che non trovano la loro base
o fonte in un precedente diritto in capo ad altri e pertanto “la proprietà si acquista
libera da diritti altrui sulla cosa” (art. 1153).
I modi di acquisto a titolo originario (oltre all’usucapione e al possesso titolato) sono:
- L’occupazione: è la presa di possesso di cose mobili non appartenenti ad alcuno
(come le res nullius, cioè i pesci del mare e le res derelictae, le cose abbandonate).
Requisito dell’acquisto sono il fatto oggettivo dell’impossessamento e l’intenzione di
far propria la cosa;
- L’invenzione: è il ritrovamento di cose mobili smarrite (ma non abbandonate) dal
proprietario. Il ritrovatore ne acquista la proprietà se il proprietario non la reclami
entro un anno e ove il proprietario si presenti recupererà la cosa ma dovrà al
ritrovante un premio proporzionato al valore della cosa. Ipotesi di invenzione è la
scoperta del tesoro il quale spetta al proprietario del fondo, ma se trovato da un
terzo spetta per metà a costui (art. 932);
- L’accessione: è l’acquisto della proprietà di un bene per effetto della sua
congiunzione ad un altro, considerato come principale.
Distinguiamo l’accessione di mobile a immobile che si verifica per qualunque
piantagione, costruzione od opera che sia realizzata sopra o sotto il suolo (art. 934):
essa appartiene al proprietario di questo, pur se l’incorporazione sia stata realizzata dal
proprietario con materiali altrui o da un terzo. L’acquisto è immediato e automatico e
prescinde dalla volontà del proprietario del suolo e del costruttore; la legge tende a
conservare le opere realizzate con materiale altrui: il terzo può richiedere la restituzione
dei materiali solo se la separazione non rechi grave danno all’opera. In caso contrario,
potrà ottenere solo il valore dei materiali, oltre al risarcimento del danno. Ove l’opera sia
stata realizzata da un terzo, il proprietario del suolo può chiederne la rimozione a spese
del terzo. Ipotesi particolare è quella della cd. accessione invertita (art.938): se nella
costruzione di un edificio si occupa in buona fede una porzione del fondo attiguo, il
giudice, su domanda del costruttore può attribuirgli la proprietà dell’edificio e del suolo
occupato, previo pagamento del doppio del valore del suolo. L’accessione di mobile a
mobile prende il nome di unione o commistione quando “più cose appartenenti a diversi
proprietari sono state unite o mescolate in modo da formare un sol tutto” (art. 939). In tal
caso se le cose non sono economicamente separabili “la proprietà diventa comune in
proporzione del valore”; se però una delle cose appare principale, il proprietario della
principale acquista la proprietà del tutto, con l’obbligo di pagare il valore della cosa unita.
Si ha invece specificazione, quando taluno abbia elaborato una “materia” altrui formando
una “nuova cosa”, cioè un bene con una distinta individualità (ad es. un artigiano che
costruisce un mobile o una barca con legname altrui). L’accessione di immobile a
immobile si ravvisa in una serie di ipotesi, denominate “incrementi fluviali” e
caratterizzate dal fatto che, in seguito a modificazioni nel regime o nel corso delle acque,
si verificano mutamenti nell’assetto dei fondi confinanti. L’alluvione consiste
nell’incremento che si forma nei fondi, posti lungo la riva dei fiumi, per effetto del deposito
di detriti o a causa del ritirarsi dell’acqua da una riva. L’avulsione è il distacco istantaneo
di una parte considerevole di un fondo che viene trasportato a valle e unito ad altro fondo.
L’alveo abbandonato è il greto abbandonato dal fiume che si forma un nuovo letto. Le
azioni a difesa della proprietà sono disciplinate dagli artt. 948-951 e hanno natura reale:
attribuiscono cioè una tutela oggettiva e in forma specifica del diritto, sulla base del solo
fatto della violazione. Tali azioni sono:
- La servitù: consiste in un peso imposto sopra un fondo (detto servente) per l’utilità
di un altro fondo (detto dominante) appartenente a diverso proprietario (art. 1027).
Consente un’utilizzazione specifica e circoscritta della cosa altrui (ad es. passare
sul fondo altrui) e nasce e vive in funzione di una oggettiva relazione di servizio tra
due fondi, in virtù della quale la limitazione apposta al primo avvantaggia il secondo
(cd. predialità della servitù). Infine essa si caratterizza per la sua accessorietà alla
proprietà di un immobile, nel senso che è legata inscindibilmente ad esso e si
trasferisce automaticamente con il trasferimento della proprietà del bene (ad es. se
il proprietario di un edificio ha una servitù di passaggio su un fondo vicino, tale
servitù si trasferirà automaticamente sia al nuovo proprietario, sia all’acquirente del
fondo). L’art. 1027 definisce la servitù un peso imposto sopra un fondo per
l’utilità di un altro fondo, appartenente a diverso proprietario. Il peso consiste
in una limitazione delle facoltà di godimento del fondo di contenuto vario (es. non
sopraelevare). Tale peso può consistere o nell’imposizione di un “non facere” (es.
non costruire) o nel tollerare che altri lo facciano. Il contenuto del peso
può essere determinato dalle parti entro i limiti dello schema legislativo. L’utilità del
fondo può consistere in qualsiasi vantaggio, anche non economico, per la migliore
utilizzazione del bene purché stabile e oggettivo, nel senso che deve riguardare il
fondo e non personalmente al proprietario: è il principio del collegamento
funzionale oggettivo tra i fondi (cd. predialità delle servitù). L’utilità può anche
consistere anche nella “maggiore comodità del fondo dominante” (ad es. il divieto di
mutare la destinazione a verde di un terreno), inerire alla sua destinazione
industriale, o riferirsi ad un vantaggio futuro. Ultimo requisito indicato dall’art. 1027
è la diversità dei proprietari dei due fondi, servente e dominante, derivante dal
principio per cui il proprietario di un bene non può essere titolare di un diritto
parziario sulla stessa cosa. È ammesso che il titolare del fondo servente sia
comproprietario, insieme ad altri, del fondo dominante e viceversa. Le servitù
nascono solo in virtù di uno specifico titolo costitutivo, sono
unilaterali e onerose.
Quanto al modo di costituzione si distinguono:
- Le servitù coattive, che si costituiscono forzosamente, per lo più con sentenza del
giudice, in virtù di una previsione legislativa. In presenza di alcuni presupposti, la
legge attribuisce al proprietario di un fondo il diritto potestativo di ottenere, previo
pagamento di un’indennità, l’imposizione di una servitù (che, in mancanza di
accordo fra le parti, è stabilità con sentenza del giudice) a carico di un fondo vicino.
Criterio generale è quello della soddisfazione del bisogno del fondo dominante col
minor aggravio possibile per il fondo servente. In alcuni caso la servitù può essere
imposta tramite atto amministrativo. Le figure più importanti di servitù
coattive sono: l’acquedotto coattivo, che attribuisce il diritto di collocare
sul fondo servente acquedotti o canali; la somministrazione d’acqua, che
attribuisce il diritto di prelevare acqua dal fondo servente; il passaggio coattivo,
che attribuisce il diritto di passare sul fondo servente qualora il fondo vicino sia
intercluso, cioè non abbia accesso alla via pubblica;
- Le servitù volontarie: sono quelle derivanti dal fatto dell’uomo e si costituiscono
tramite un atto negoziale, per usucapione e per destinazione del padre di
famiglia (art. 1031). In via negoziale le servitù possono costituirsi per testamento o
per contratto (art. 1058), che richiedono la forma scritta e danno luogo ad un
acquisto derivativo-costitutivo. L’usucapione e la destinazione del padre di famiglia
danno luogo ad acquisti a titolo originario; essi sono riservati solo alle servitù
apparenti, cioè quelle al cui esercizio sono destinate opere visibili e permanenti (art.
- L’uso spetta individualmente a ciascuno in proporzione alla sua quota (art. 1102);
- L’ amministrazione spetta collettivamente a tutti, secondo il principio maggioritario,
per le decisioni di interesse comune (art.1105); per gli atti di ordinaria
amministrazione basta la maggioranza semplice calcolata in base alle sole; per
gli atti di straordinaria amministrazione occorre una doppia maggioranza, per capi e
per quote: cioè la maggioranza numerica dei partecipanti che rappresentano
almeno due terzi del valore della cosa. La rappresentanza nella comunione spetta
disgiuntamente a ciascuno;
- La disposizione spetta individualmente a ciascuno nei limiti della propria quota.
Ciascuno può cioè vendere liberamente a terzi la propria quota e può in ogni
momento domandare lo scioglimento della comunione (art. 1111). Il patto di
rimanere in comunione è valido per un massimo di 10 anni, mentre per l’alienazione
di un bene occorre il consenso di tutti i contitolari.
Il condominio è una particolare comunione che si instaura negli edifici: in essi ciascuno è
al contempo proprietario esclusivo di un piano o porzione di esso e comproprietario di
alcune parti comuni (art. 1117). Qui la comunione è forzosa, non è soggetta a divisione e
né si può rinunciare ad essa. Il diritto sulle cose comuni è segnato dalla quota espressa in
millesimi e si trasferisce automaticamente con l’alienazione della porzione di proprietà
esclusiva. Il condominio è caratterizzato da un vincolo di destinazione delle parti comuni e
da un interesse collettivo su quelli individuali. Le norme relative all’amministrazione sono
affidate a due organi: l’assemblea dei condomini, che è l’organo deliberativo e ha
competenza generale sulla gestione delle cose comuni. Per la validità delle deliberazioni si
richiede la preventiva comunicazione di tutti gli aventi diritto con un ordine del giorno;
l’intervento di un numero minimo di condomini; l’approvazione a maggioranza semplice o
qualificata. Per gli atti di ordinaria amministrazione occorre l’approvazione di un terzo
dei condomini che siano titolari di almeno un terzo del valore dell’edificio; per gli atti di
straordinaria amministrazione occorre l’approvazione della maggioranza numerica degli
intervenuti che siano titolari di almeno metà del valore dell’edificio. Il secondo organo è
l’amministratore, organo esecutivo che ha la rappresentanza del condominio. La sua
competenza è speciale, cioè limitata a quanto previsto dalla legge o dal regolamento.
L’amministratore attua le delibere, disciplina l’uso delle cose comuni, riscuote i contributi,
esegue i pagamenti. La sua nomina è obbligatoria ove i condomini siano più di 4. Il
regolamento è lo statuto del condominio e la sua formazione è obbligatoria quando i
condomini sono più di dieci ed è approvato a maggioranza semplice. La multiproprietà
immobiliare è una comunione caratterizzata da un vincolo di destinazione e da una
particolare modalità di godimento ripartitivo di beni immobili e i condomini hanno diritto al
godimento di una unità immobiliare in periodi prefissati di tempo. Gli artt. 69-81 del codice
del consumo disciplinano i contratti con i quali si attribuiscono i diritti di godimento su
immobili per un periodo determinato. Questo diritto può avere natura di diritto reale ovvero
di altro diritto di godimento e che solo nel primo caso può essere impiegato il termine di
multiproprietà. Quando il diritto di godimento attribuito ha natura reale, la multiproprietà si
configura come una comproprietà caratterizzata da un vincolo negoziale di uso turnario.
e dei diritti reali minori, che designano una situazione giuridica consistente nell’attribuzione
di un legittimo potere di godimento sulla cosa, il possesso indica una situazione di fatto
consistente nell’effettivo esercizio di un godimento sulla cosa e tale potere viene esercitato
da chi ha il diritto di farlo ma può accadere che tale potere sia esercitato da chi non ha
titolo (es. il ladro): anche in tal caso viene garantita temporaneamente la situazione
possessoria pure contro il legittimo proprietario. La tutela, in questo caso, consiste nel
mantenere temporaneamente il mantenimento della situazione di fatto: il possessore non
deve giustificare i suoi poteri sulla cosa e, ove sia privato del possesso, può ottenere
un’immediata reintegrazione. Di norma il titolare del diritto è anche possessore della
cosa, pertanto la tutela della situazione possessoria di norma protegge chi ha diritto di
possedere. La tutela possessoria, limitandosi a mantenere la situazione di fatto esistente
non richiede che il soggetto dia la prova del proprio diritto. Nel caso in cui il possessore
non sia titolare del diritto sarà il proprietario a far valere in giudizio il suo diritto. Un’altra
ragione a tutela del possesso in capo a chi non ha il diritto è l’intento di premiare chi
utilizza il bene e lo mette a frutto; i vantaggi che il possesso assicura sono: la posizione di
convenuto nell’azione di rivendica; la tutela giudiziaria; il diritto al rimborso di determinate
spese sostenute per la cosa. Il possesso è il potere sulla cosa che si manifesta in
un’attività corrispondente all’esercizio della proprietà o di altro diritto reale (art.
1140). Si può possedere direttamente o per mezzo di altra persona che ha la detenzione
della cosa, cioè la materiale disponibilità. Si distinguono diverse situazioni possessorie:
- Il possesso vero e proprio, consistente nell’esercizio diretto dei poteri sulla cosa;
- Il possesso mediato, che si ha quando i poteri sono esercitati per il tramite di un
terzo che ne ha la detenzione;
- La detenzione, cioè la materiale disponibilità.
Il possesso ha due elementi: uno oggettivo, cioè la materiale disposizione della cosa, e
uno soggettivo, cioè l’intenzione di tenere la cosa per sé. Nella detenzione si riscontra solo
l’elemento oggettivo perché essa implica l’obbligo di restituire la cosa. Possesso e
detenzione sono entrambe situazioni di fatto che consistono nell’esercitare potere sulla
cosa: per aversi possesso occorre che il potere esercitato corrisponda al contenuto di un
diritto reale; per la detenzione è sufficiente che il potere sulla cosa consista nell’avere la
cosa presso di sé. Il potere che il detentore può esercitare sulla cosa dipende dal titolo in
base al quale la cosa gli è stata affidata (custodia, amministrazione, locazione.): il
detentore, derivando il suo potere da altri, può farne esclusivamente l’uso consentito dal
titolo per cui la cosa gli è stata consegnata. Se la detenzione sussiste in capo al
possessore, essa costituirà solo una modalità dell’esercizio del potere: un potere diretto
sulla cosa. Se invece la detenzione sussiste in capo ad un soggetto diverso, che costituirà
il tramite per mezzo del quale il possessore esercita il suo potere (cd. possesso
mediato), la detenzione assume una fisionomia diversa, come situazione distinta dal
possesso. Si presume il possesso in colui che esercita il potere di fatto a meno che non si
provi che ha cominciato a esercitarlo come detenzione. In pratica occorre dimostrare che
la disponibilità del bene è stata ottenuta in base ad un titolo qualificato come semplice
detenzione della cosa. Quindi ciò che è decisivo non è l’animus (intenzione) di chi esercita
i poteri sulla cosa, quanto il titolo in base al quale ha iniziato a esercitarli. È possibile che
la detenzione si muti in possesso; per far ciò occorre che il titolo venga a mutarsi per
causa proveniente da un terzo ovvero che il detentore faccia “opposizione contro il
possessore” (art. 1141). Esempio: Tizio, affermandosi proprietario del bene dato da Caio in
comodato a Sempronio, gliene dona la proprietà. NB: L’opposizione consiste in una
manifestazione esterna che renda univoco il significato dei poteri esercitati sulla cosa
come possesso. La detenzione può acquistarsi solo in modo derivativo,
- Un titolo idoneo al trasferimento del diritto: cioè deve aversi un atto o fatto di
per sé in grado di realizzare un’attribuzione immediata all’acquirente (come la
vendita di una cosa determinata). Deve trattarsi di un titolo astrattamente idoneo,
che sarebbe cioè in grado di trasferire la proprietà (o altro diritto reale) se a ciò
non fosse d’ostacolo la mancanza di titolarità del disponente. Pertanto, non è
idoneo un contratto nullo, poiché privo d’effetti; ma è idoneo un contratto
annullabile, in quanto provvisoriamente efficace;
- La buona fede al momento della consegna: qui buona fede significa ignoranza
dell’altruità della cosa. La buona fede si presume, ma non giova se dipende da
colpa grave (art. 1147);
- Il possesso della cosa derivante da una effettiva consegna da parte del disponente.
La regola del possesso vale titolo non realizza un acquisto a titolo derivativo (perché chi
vende non è proprietario), bensì un acquisto a titolo originario e “libero da diritti altrui sulla
cosa...che non risultano dal titolo” (art. 1153). La regola si applica anche quando il
proprietario aliena lo stesso bene a più persone: la prima fra queste che ne consegue il
possesso in buona fede è preferita alle altre, anche se il suo acquisto è di data posteriore
(art. 1155). L’usucapione è un modo di acquisto della proprietà e degli altri diritti reali di
godimento derivante dal possesso continuato per un certo tempo. L’acquisto è a titolo
originario e la proprietà della cosa quindi si acquista libera da eventuali pesi o diritti altrui.
L’usucapione viene in rilievo, come modo di acquisto della proprietà in due ipotesi:
- Possesso senza alcun titolo o con titolo nullo;
- Possesso legittimato da titolo valido ma inefficace perché proveniente da chi
non è titolare del diritto alienato.
L’usucapione ordinaria si compie in virtù del possesso continuato per 20 anni (art. 1158).
Ai fini dell’usucapione il possesso deve essere pacifico e pubblico, cioè non acquistato in
modo violento né clandestino; inoltre il possesso dev’essere continuo e non interrotto. Con
l’usucapione ordinaria ventennale si acquistano i diritti di proprietà e di godimento su tutti i
beni, mobili e immobili, universalità di mobili e mobili registrati. L’usucapione abbreviata
richiede, oltre al possesso continuato per un certo tempo, un titolo idoneo a trasferire il
diritto, la buona fede, la trascrizione del titolo. Il titolo richiesto dev’essere astrattamente
idoneo a trasferire il diritto, e perciò un titolo valido, pur se in concentro inefficace perché
proveniente da chi non è titolare del diritto alienato; buona fede significa ignoranza non
gravemente colposa dell’altruità del bene; la trascrizione del titolo è richiesta per i soli beni
immobili e mobili registrati. Quanto al possesso, la sua durata varia in relazione ai beni.
L’usucapione si compie in 10 anni per i beni immobili e per le universalità di mobili; in 5
anni per la piccola proprietà rurale e in 3 anni per i mobili registrati. Anche per i beni mobili
è prevista un’usucapione abbreviata di 10 anni; tuttavia essa opera per il caso in cui
l’acquirente, pur se di buona fede, manchi di un titolo valido (art. 1161).
con riferimento ad un valore economico diverso dal denaro. Gli interessi sono
un’obbligazione pecuniaria accessoria a una principale avente ad oggetto una somma di
denaro; essi consistono in una somma ulteriore, che si aggiunge al capitale, determinata
in misura percentuale e in relazione al tempo. Anche se accessoria è un’obbligazione
distinta dalla principale e può formare oggetto di separati atti di disposizione (art. 818). È
opportuno distinguere tre profili: funzione, fonte e saggio degli interessi. Quanto alla
funzione, gli interessi hanno natura composita svolgendo una funzione compensativa e
risarcitoria. La funzione compensativa indica il compenso dovuto per il godimento del
denaro; adempiono a tale funzione gli interessi corrispettivi, che rappresentano la
remunerazione del capitale; la funzione risarcitoria serve a risarcire il danno per il ritardo
dell’adempimento. Gli interessi moratori hanno funzione risarcitoria, ma assorbono gli
interessi corrispettivi, in quanto sono dovuti di norma in misura superiore ad essi. Quanto
alla fonte distinguiamo: interessi convenzionali, che traggono origine da un apposito
accordo fra le parti; e gli interessi legali, la cui norma fondamentale è l’art. 1282 secondo
cui i crediti pecuniari liquidi ed esigibili producono interessi di pieno diritto. Sono liquidi i
debiti determinati nel loro ammontare; sono esigibili i crediti non sottoposti a termine o
condizione. Quanto al saggio degli interessi, la misura è fissata al 2,5% in ragione
d’anno, sia per gli interessi legali che per quelli convenzionali. La pattuizione di un saggio
superiore richiede, a pena di nullità, la forma scritta mentre rimane vietata la pattuizione di
interessi usurari, cioè quelli che siano sproporzionati e che superino del 50% i tassi medi.
L’anatocismo consiste nella produzione di interessi da altri interessi, scaduti e non pagati.
Venuta a scadenza l’obbligazione con gli interessi nel frattempo maturati, questi si
sommano al capitale e sull’ammontare totale si calcoleranno gli interessi fino a nuova
scadenza o fino all’effettivo pagamento. Secondo l’art. 1283 gli interessi anatocistici sono
dovuti solo dal giorno della domanda giudiziale e occorre che si tratti di interessi dovuti
per almeno 6 mesi. Le obbligazioni alternative sono quelle in cui sono dedotte due o più
prestazioni ma il debitore si libera eseguendone una sola (art. 1285). Si tratta di
obbligazione unica a contenuto determinabile: la determinazione avviene con la scelta
che spetta al debitore e con essa si attua la concentrazione dell’obbligazione, che da
alternativa diventa semplice. Effetto analogo alla scelta ha l’impossibilità, originaria o
sopravvenuta, di una delle due prestazioni: l’obbligazione si considera semplice e il
debitore deve eseguire quella che è rimasta possibile. Quando, però, l’impossibilità sia
imputabile a una delle due parti, questa ne risponde o perdendo la facoltà di scelta o
restando obbligata al risarcimento del danno (art. 1289). Le obbligazioni facoltative sono
quelle in cui è dovuta una sola prestazione, ma il debitore ha la facoltà di liberarsene
eseguendone un’altra. Se tale obbligazione diviene impossibile, il debitore è liberato.
di obbligazioni, che hanno in comune il fatto che ciascuno dei debitori debba pagare (o
ciascuno dei creditori possa pretendere) l’intero debito o solo una parte di esso. Sono le:
- Obbligazioni solidali passive: sono quelle in cui ciascuno dei condebitori è
obbligato a pagare l’intero e l’adempimento di uno libera anche gli altri (art. 1292);
- Obbligazioni solidali attive: sono quelle in cui ciascuno dei concreditori può
pretendere il pagamento dell’intero e l’adempimento conseguito da essi libera il
debitore verso tutti i creditori (art. 1292). Requisiti affinché si abbia un’obbligazione
solidale sono (a parte la pluralità dei soggetti): l’unicità della prestazione e l’unicità
della causa dell’obbligazione. In presenza di tali estremi si avrà automaticamente il
vincolo solidale dal lato passivo: la cd. presunzione di solidarietà passiva (art.
1294), ma in mancanza di tali estremi la solidarietà non si presume e deve essere
prevista espressamente. La solidarietà attiva non si presume e necessita di
apposita previsione. Il vantaggio della prestazione va suddiviso fra condebitori e
concreditori; il debitore che ha pagato ha “azione di regresso” verso i condebitori,
secondo il criterio dell’interesse (art. 1299). Se l’interesse è comune “l’obbligazione
si divide” in proporzione alle rispettive quote; se invece l’obbligazione era stata
contratta nell’interesse esclusivo di uno dei soggetti, questi sarà tenuto a
rimborsare l’intera somma a colui che ha pagato. In caso di insolvenza di uno dei
condebitori “la perdita si ripartisce fra tutti gli altri”;
- Obbligazioni parziarie: sono quelle in cui ciascuno dei debitori deve, e ciascuno
dei creditori può pretendere, soltanto la propria parte di prestazione (art. 1314); ne
sono esempi i crediti e i debiti ereditari, che si ripartiscono tra gli eredi. È sancita la
regola della parziarietà attiva, secondo cui in mancanza di un apposito patto o
previsione legislativa, l’obbligazione plurisoggettiva è parziaria soltanto dal lato
attivo (mentre è solidale dal lato passivo). Anche se parziaria, è possibile che la
prestazione sia indivisibile (es. un animale vivo). Il codice (art. 1316) parla di
obbligazioni indivisibili e le definisce obbligazioni parziarie che hanno per oggetto
“una cosa o un fatto che non è suscettibile di divisione”.
dichiarazione del debitore, il pagamento va imputato al debito scaduto, poi a quello meno
garantito e quindi al più oneroso. Ulteriori effetti dell’adempimento sono l’estinzione delle
garanzie (reali e personali) che assistevano il credito e la liberazione di altri eventuali
obbligati. In alcuni casi il pagamento non estingue l’intera obbligazione: un esempio è la
surrogazione nel credito: essa consiste nel sub ingresso di un terzo, a seguito del
pagamento, nella posizione creditoria. Essa, pur determinando un trasferimento del
credito, è un effetto del pagamento e si realizza solo in dipendenza di esso. La
surrogazione può avvenire:
- Per volontà del creditore, che ricevendo il pagamento da un terzo, lo surroga nei
propri diritti verso il debitore. Requisito fondamentale è la dichiarazione espressa e
la contestualità col pagamento (art. 1201);
- Per volontà del debitore che, prendendo a mutuo una somma di denaro per pagare
il debito, surroga il mutuante nei diritti di creditore (art. 1202);
- Per volontà della legge; la surrogazione legale ha luogo: a vantaggio di chi,
creditore o debitore, paga un altro creditore che ha diritto di essergli preferito in
ragione di una causa di prelazione, a vantaggio di chi, essendo tenuto con altri al
pagamento del debito, aveva interesse a soddisfarlo; negli altri casi previsti dalla
legge.
L’adempimento, per poter essere effettuato, richiede di norma la cooperazione del
creditore che riceve la prestazione e faccia quanto gli compete per mettere il debitore in
grado di adempiere. Il creditore ha diritto e non obbligo di ricevere la prestazione; il
debitore se non può pretendere di adempiere nelle mani del creditore, ha però diritto a non
rimanere in definitivamente obbligato. Sono previsti allora gli istituti della mora del
creditore e della liberazione coattiva del debitore. La mora credendi si verifica quando il
creditore, senza motivo legittimo, rifiuti l’offerta formale, cioè quella fatta dal debitore
secondo le rigorose formalità previste (art. 1206 ss.). Ci sono di 2 tipi di offerta: offerta
solenne, effettuata tramite un pubblico ufficiale in modo reale (cioè portando con sé le
cose da consegnare) o per intimidazione (cioè invitando il creditore a ricevere la
prestazione) e offerta secondo gli usi, effettuata direttamente dal debitore che offre la
prestazione in modo conforme alla prassi o effettua il deposito/sequestro delle cose
dovute. Effettuata l’offerta formale, il creditore è costituito in mora, per cui si trasferisce
su di lui il rischio dell’impossibilità sopravvenuta dell’obbligazione ed è tenuto al
risarcimento del danno (art. 1207). Nel caso di offerta solenne se pure il debitore non può
essere considerato inadempiente, l’obbligazione non è stata comunque adempiuta, quindi
essa non è ancora estinta né il debitore è liberato e ciò può essergli di pregiudizio, A tale
scopo è prevista la liberazione coattiva del debitore: egli adempiendo nelle mani di un
terzo, estingue definitivamente l’obbligazione (art. 1210). Essa consegue solo al deposito
(per le cose mobili) o al sequestro (per gli immobili), che per produrre i loro effetti, devono
essere accettati dal creditore o convalidati con sentenza.
pegno sul credito; mentre è solo provvisoria per il caso di titolo cambiario girato allo
stesso emittente. La novazione è il contratto con cui le parti sostituiscono all’obbligazione
originaria una nuova obbligazione. Per effetto di essa, la vecchia obbligazione si estingue
e il debitore sarà tenuto esclusivamente ad adempiere la nuova. La novazione si dice
soggettiva quando la modifica riguarda la persona del debitore (art. 1325), mentre si dice
oggettiva quando la modifica concerne l’oggetto o il titolo dell’obbligazione. Gli elementi
che caratterizzano la novazione sono:
- L’animus novandi, che consiste nella volontà di estinguere l’obbligazione, che
peraltro deve risultare in modo non equivoco;
- L’aliquid novi, cioè l’elemento oggettivo che consiste nell’oggetto o titolo diverso
che caratterizza la nuova obbligazione.
Con la novazione la vecchia obbligazione si estingue e se ne crea una nuova, con titolo o
oggetto diverso; essa dipende funzionalmente da quella originaria: pertanto, se questa era
nulla, la novazione è senza effetto; se questa era annullabile, la novazione è valida ove
possa configurarsi come una convalida (art. 1234). Tale caratteristica consente di
distinguere la novazione dalla dazione di cosa diversa, la quale comporta una semplice
sostituzione della prestazione dovuta con un’altra, ma mantiene inalterata l’obbligazione
originaria che si estingue solo e quando la nuova prestazione è adempiuta. La novazione
invece estingue immediatamente la nuova obbligazione con tutti i suoi accessori: se la
nuova obbligazione non viene adempiuta, il creditore non potrà chiedere l’adempimento di
quella originaria. La remissione è la rinuncia del creditore al proprio diritto; essa ha
l’effetto di estinguere il debito non appena è comunicata al debitore (art. 1236). È un
negozio unilaterale perché consiste in una dichiarazione proveniente dal solo creditore e
non serve l’accettazione del debitore; recettizio perché produce l’effetto estintivo al
momento in cui giunge a conoscenza del destinatario. Il debitore, tuttavia può rifiutare la
liberazione comunicando il suo rifiuto entro un termine congruo. È infine un atto gratuito,
perché senza vantaggio o corrispettivo. Non è richiesta alcuna forma per la validità
dell’atto: l’art. 1237 prevede la figura di remissione tacita, che consiste nella restituzione
volontaria del titolo originale del credito (es. la cambiale). Oggetto di remissione possono
essere tutti i crediti, salvo quelli indisponibili come gli alimenti e le retribuzioni di lavoro.
Effetto della remissione è la liberazione del debitore e di norma, tutti i condebitori (art.
1301). Altra causa di estinzione dell’obbligazione è l’impossibilità sopravvenuta per
causa non imputabile al debitore (art. 1256); tipiche ipotesi di impossibilità sono il caso
fortuito e la forza maggiore. L’impossibilità non deve dipendere da un fatto imputabile al
debitore, cioè da un fatto che rientra nella sua sfera di controllo. Se l’impossibilità è solo
temporanea il debitore è esonerato da responsabilità fin quando dura l’impedimento ma se
questo perdura fin quando il creditore non ha più interesse a conseguire la prestazione,
l’obbligazione si estingue (art. 1256). Se si tratta di impossibilità parziale, il debitore si
libera eseguendo la parte di prestazione che è rimasta possibile. L’impossibilità quindi
estingue l’obbligazione, libera il debitore e lo esonera da responsabilità facendo ricadere
sul creditore la perdita economica, il quale tuttavia ha la possibilità di sostituirsi nei diritti
che il debitore vanta nei confronti di terzi in dipendenza del fatto che ha causato
l’impossibilità (art. 1259).
garanzia, ma il cedente rimane obbligato per il fatto proprio; inoltre è possibile che le parti
pattuiscano un’estensione della garanzia alla solvenza del debitore ceduto e tale
significato hanno le clausole “salvo buon fine” e “salvo incasso”, ma in tal caso la
responsabilità del cedente è limitata dall’art. 1267 al danno emergente, dovendo egli
rispondere nei limiti di quanto abbia ricevuto come corrispettivo. La regola per cui, salvo
patto contrario, la cessione s’intende fatta pro solvendo riguarda l’ipotesi della cessione
solutoria (art. 1198): si tratta di una figura di prestazione in luogo dell’adempimento e
segue le relative regole: in caso di cessione di un credito in luogo dell’adempimento, la
cessione si intende fatta per pagare (pro solvendo) e perciò la vecchia obbligazione si
estingue solo con l’effettiva riscossione del credito ceduto. Se le parti hanno convenuto
che la cessione sia fatta in pagamento (pro soluto) l’obbligazione si estingue
immediatamente per effetto dell’accordo di cessione, rimanendo indifferente che il credito
ceduto sia poi pagato o no. Le modificazioni dell’obbligazione dal lato passivo
possono aversi o per successione o in relazione a tipiche figure negoziali, il cui contenuto
consiste nel realizzare una modificazione nel lato passivo dell’obbligazione. Principio
generale è quello per cui, senza il consenso del creditore, è possibile solo associare un
nuovo soggetto nel vincolo obbligatorio, cioè aggiungere un nuovo debitore accanto al
debitore originario, che non rimane liberato senza il consenso del creditore. La
delegazione di pagamento è l’incarico che un soggetto (delegante) dà ad un altro
soggetto (delegato) di pagare, o promettere un pagamento, a un terzo soggetto
(delegatario). L’ipotesi più frequente è quella del soggetto A, che è contemporaneamente
creditore di B e debitore verso C. Il soggetto A potrà utilizzare il credito che vanta nei
confronti di B per adempiere il debito verso C tramite l’istituto della delegazione. Esistono
due figure: delegazione di pagamento e delegazione di debito. Con la delegazione di
pagamento il delegante incarica il delegato di effettuare un pagamento al delegatario; il
delegato non è tenuto ad accettare l’incarico, anche se sia debitore del delegante, ma se
accetta e lo esegue il suo adempimento avrà l’effetto di estinguere contemporaneamente
sia il suo debito verso il delegante sia il debito di questi verso il delegatario. Questo
schema si ritrova spesso nell’assegno bancario. Nella delegazione di debito il delegante
incarica il delegato di promettere un pagamento, cioè di assumere un’obbligazione verso il
delegatario (art. 1268). Tale schema si trova nella cambiale tratta, che consiste in un
invito che il delegante fa ad un terzo, di obbligarsi verso un altro. Effetto della delegazione
di debito è quello di creare una nuova obbligazione, a carico del delegato, per effetto della
sua promessa. Poiché la delegazione è cumulativa, la nuova obbligazione non estingue
quella del delegante: essa rimane in vita, pur diventando sussidiaria, in quanto il
delegatario accettante non può rivolgersi al delegante se prima non ha richiesto al
delegato l’adempimento. Se invece, con il consenso del delegatario, la delegazione fosse
liberatoria, essa avrebbe l’effetto di creare una nuova obbligazione che si sostituisce a
quella vecchia. La delegazione passiva è la sola disciplinata dal codice, il quale definisce
tale ipotesi come quella in cui il debitore (delegante) assegna al creditore un nuovo
debitore (art. 1268). È ammissibile anche la delegazione attiva, che si ha quando
delegante è il creditore: il creditore A incarica B di obbligarsi verso un terzo C.
L’espromissione è un contratto fra il creditore e un terzo, il quale senza delegazione del
debitore, ne assume il debito verso il creditore (art. 1272). Caratterizzante della figura è
l’iniziativa del terzo espromittente, che interviene senza un previo incarico del debitore
(l’espromesso), e senza manifestare al creditore espromissario l’eventuale intesa col
debitore: in questo sta la differenza con la delegazione. Essa si differenzia anche
dall’intervento del terzo poiché l’espromittente non paga immediatamente ma si limita a
promettere in proprio il pagamento del debito altrui. Il debitore estromesso rimane quindi
estraneo al contratto, che intercorre tra terzo e creditore e non abbisogna del suo
consenso. L’espromissione non libera automaticamente il debitore originario, ed è perciò
La responsabilità patrimoniale
Capitolo 28: La garanzia patrimoniale generica
Il debitore risponde all’adempimento delle obbligazioni con tutti i suoi beni presenti
e futuri: questo è il principio di responsabilità patrimoniale sancito all’art. 2740 (libro 6°
Titolo 3° - Capo 1° c.c.) Ciò comporta che il debitore risponde delle sue obbligazioni con
tutto il suo patrimonio. Non sono ammesse limitazioni della responsabilità al di fuori dei
casi espressamente previsti dalla legge; le limitazioni previste riguardano beni e diritti
strettamente connessi alla persona e alle sue esigenze di lavoro o sostentamento (ad es.
sono inespropriabili alcuni arredi della casa e gli strumenti da lavoro). In passato non era
consentito creare patrimoni separati, cioè distaccare alcuni beni sottraendoli alla
responsabilità patrimoniale e alla garanzia dei creditori; era la legge che ammetteva la
facoltà di destinare alcuni beni a fini specifici, riservandoli poi alla soddisfazione dei
creditori. Oggi la legge consente la possibilità di istituire patrimoni di destinazione,
riconoscendo ai privati anche la facoltà di determinare gli scopi e gli interessi cui destinare
detti patrimoni, pur se impone alcune cautele e precisi requisiti di pubblicità previsti dagli
artt. 2447 bis ss. che prevedono che le società per azioni possano destinare uno o più
patrimoni alla realizzazione di uno specifico affare; l’art. 2645 ter prevede la possibilità di
destinare beni immobili e mobili registrati alla realizzazione di interessi meritevoli di tutela,
a beneficio di persone fisiche o enti giuridici determinati nell’atto di destinazione. In queste
ipotesi i beni conferiti e i loro frutti hanno un vincolo di destinazione e sono soggetti a
esecuzione forzata solo per i debiti contratti per tale scopo (art. 2645 ter). Il patrimonio di
ciascun soggetto costituisce la garanzia patrimoniale dei creditori. Si parla di garanzia
patrimoniale generica sia perché riguarda tutti i beni in generale, sia perché sussiste solo
se detti beni vi siano. A tale garanzia si contrappongono le garanzie specifiche, quali
strumenti che garantiscono un creditore rispetto ad altri creditori oppure un credito rispetto
a tutti gli altri crediti. Le garanzie specifiche possono essere personali, le quali consistono
nel vincolo personale di un soggetto e sono costituite dall’obbligo di una persona, diversa
dal debitore, di rispondere dei debiti di quest’ultimo e patrimoniali specifiche, che
consistono in un vincolo che riguarda alcuni beni particolari del debitore o di terzi. Si
dicono specifiche perché sia riguardano alcuni beni determinati, sia perché nascono in
virtù di un titolo specifico. Sono garanzie patrimoniale specifiche i privilegi, il pegno e
l’ipoteca. Un altro principio che caratterizza la responsabilità patrimoniale è quello della
parità di trattamento dei creditori (o par condicio creditorum), secondo cui tutti i
creditori hanno eguale diritto di essere soddisfatti sui beni del debitore: art. 2741 (Libro 5°).
Tuttavia si tratta di una regola non assoluta, in quanto lo stesso articolo fa salve le “cause
legittime di prelazione”, cioè i casi in cui è attribuita a un creditore una preferenza: questi
avrà diritto di soddisfarsi con precedenza sul ricavato della vendita dei beni; gli altri
creditori non privilegiati potranno soddisfarsi solo sull’eventuale residuo. Sono cause
legittime di prelazione (nonché garanzie specifiche) i privilegi, il pegno e l’ipoteca. I
creditori hanno interesse a conservare la garanzia patrimoniale del debitore, evitando che
questi diminuisca il proprio patrimonio. La legge appresta alcuni mezzi di conservazione
della garanzia patrimoniale:
1. Azione surrogatoria: è il potere di surrogarsi, cioè di sostituirsi al debitore
nell’esercizio dei diritti che gli spettano verso i terzi (art. 2900 – Libro 6°). Quando il
soggetto trascura di esercitare i propri diritti, mettendo così in pericolo il
soddisfacimento dei creditori, la legge autorizza questi ultimi ad esercitare, in
sostituzione del debitore, i diritti di questo verso terzi.
Presupposti per l’esercizio del potere surrogatorio sono:
- L’inerzia (oggettiva) del debitore, che trascura di esercitare i propri diritti;
- Il pregiudizio del creditore, derivante dal fatto che il rimanente patrimonio non
rappresenta una sufficiente garanzia di adempimento;
- I diritti che il debitore trascura devono essere diritti di credito o diritti potestativi (cioè
esercitabili verso una persona determinata), che abbiano contenuto patrimoniale e
non siano strettamente personali.
1. Azione revocatoria: è diretta a reagire contro un comportamento commissivo,
contro gli atti con cui il debitore deteriora la propria situazione patrimoniale (art.
2901).
Presupposti per questa azione sono:
- L’atto di disposizione, cioè l’atto con cui il debitore modifichi in senso peggiorativo la
sua condizione patrimoniale. Vi rientrano gli atti di alienazione, la remissione di un
debito, la concessione di un’ipoteca. Viceversa non sono revocabili i pagamenti dei
debiti scaduti, in quanto si tratta di atti giuridicamente dovuti;
- Il pregiudizio per il creditore, consistente nel fatto che il patrimonio rimanente è
insufficiente a garantire il pagamento dei debiti;
- La conoscenza del pregiudizio arrecato alle ragioni del creditore da parte del
debitore.
Non si richiede l’intenzione di nuocere al creditore, ma è sufficiente che il debitore sappia
che, con quell’atto di disposizione, il rimanente patrimonio non è una sufficiente garanzia
per i creditori. Occorre inoltre tutelare il terzo che ha contratto col debitore (ad es.
l’acquirente del bene): se l’atto è a titolo oneroso occorre che anche il terzo sia a
conoscenza del pregiudizio altrui; se si tratta di atto a titolo gratuito si prescinde da tale
requisito. Effetto dell’azione revocatoria (sempre se sia accolta dal giudice) è l’inefficacia
relativa dell’atto revocato (art. 2902): cioè l’atto diviene inopponibile al creditore revocante,
ma per il resto conserva la sua efficacia, sia tra le parti (il terzo acquirente rimane
proprietario del bene), sia rispetto ai creditori che non hanno partecipato al giudizio di
revocazione. L’atto non è quindi nullo né invalido, e dunque l’azione non ha effetto
restitutorio e il bene non torna nel patrimonio del debitore. Per i subacquirenti del bene
(cioè coloro che hanno causa dal terzo il cui atto d’acquisto del debitore è stato revocato),
essi non vengono pregiudicati dalla revoca se sono in buona fede e il loro acquisto è a
titolo oneroso. I terzi che a seguito della revoca abbiano subito evizione, ovvero si siano
visti espropriare il bene, hanno azione di risarcimento verso il debitore e potranno fare
valere le proprie ragioni anche sul ricavato dell’espropriazione. L’azione revocatoria si
prescrive in 5 anni e richiede la partecipazione al giudizio di tutti gli interessati: creditore,
debitore, terzo acquirente ed eventuali subacquirenti. Il codice prevede anche la possibilità
di revocare atti di disposizione anteriori al sorgere del credito; in tal caso si richiede la
dolosa preordinazione, come specifica intenzione del debitore di sottrarre i beni
all’esecuzione dei creditori, e la partecipatio fraudis del terzo, cioè si richiede che il
debitore abbia dolosamente ordito una frode in danno dei creditori.
1. Il sequestro conservativo: è un provvedimento preventivo (anteriore al
compimento di atti pregiudizievoli) e cautelare emesso dal giudice su istanza del
creditore che ha fondato timore di perdere la garanzia del proprio credito (art.
2905). Per effetto del sequestro sorge un vincolo di indisponibilità che,
analogamente al pignoramento, rende automaticamente inefficaci verso il creditore
sequestrante, le alienazioni e gli altri atti di disposizione dei beni sequestrati (art.
2906).
sul bene che ne costituisce oggetto. Sono diritti di garanzia, che attribuiscono al creditore
alcuni poteri specifici a tutela del suo credito, e sono:
- Il diritto di prelazione nella distribuzione del denaro ricavato dalla vendita dei beni
vincolati;
- Il diritto di seguito, o sequela: cioè il diritto di fare espropriare il bene anche se nel
frattempo esso sia passato in proprietà di altri. Il diritto segue il bene nei suoi
passaggi di proprietà; si tratta di un tratto comune al privilegio speciale, anch’esso
caratterizzato dal diritto di seguito. Una differenza rispetto ai privilegi è che questi
sono accordati esclusivamente dalla legge (art. 2745), mentre pegno e ipoteca
sono costituiti dalla volontà dei privati, per cui possono essere costituiti anche
successivamente al sorgere del credito, necessitano di un titolo costitutivo proprio
(es. il contratto di pegno o ipoteca). Infine, i privilegi cadono solo su beni del
debitore, mentre pegno e ipoteca possono essere costituiti anche sui beni di un
terzo (con il suo consenso): il cd. Terzo datore di pegno o ipoteca.
Carattere comune al pegno e all’ ipoteca è l’accessorietà: cioè sono diritti accessori a un
credito (che può essere anche futuro o condizionato –art.2852-) e si estinguono in caso di
estinzione del credito garantito. Se la cosa soggetta a pegno o ipoteca perisce o si
deteriora, il creditore può chiedere che gli sia prestata altra idonea garanzia e, in
mancanza può chiedere l’immediato pagamento del credito (art. 2743). È vietato il patto
commissorio, cioè il patto con il quale si conviene che, in mancanza di pagamento, la
proprietà della cosa passi al creditore (art. 2744): in particolare, si vogliono evitare
approfittamenti da parte del creditore. È valido comunque il patto con il quale si stabilisce
che la cosa passi immediatamente in proprietà del creditore e che, in caso di esatto
adempimento, essa torni al debitore (cd. alienazione in garanzia) ed anche il patto con cui
il debitore assegna in pagamento al creditore un suo bene (cd. datio in solutum –
cap.24-). Il pegno è un diritto reale che vincola un bene mobile a garanzia di un credito; il
diritto attribuisce al creditore pignoratizio la facoltà di espropriare la cosa anche se essa
sia stata alienata a terzi, e di soddisfarsi con prelazione su di essa. Oggetto di pegno
possono essere i beni mobili, le universalità di mobili e i crediti. Il pegno si costituisce con
apposito contratto, che ha natura di contratto reale in quanto per la sua conclusione, oltre
ai requisiti ordinari, si richiede anche la consegna della cosa al creditore o ad un terzo
designato dalle parti. Inoltre occorre che la cosa rimanga in possesso del creditore o del
terzo, altrimenti viene meno la garanzia (art. 2787). Lo spossessamento è requisito
essenziale per la nascita e il mantenimento del diritto di pegno e svolge una funzione di
pubblicità. Il contratto di pegno è un contratto formale, in quanto richiede la forma scritta e
la data certa quando il credito garantito eccede le 5000 lire o l’oggetto del pegno è
costituito da un credito. Se il credito garantito non viene pagato, il creditore può far
vendere la cosa, ovvero farsi assegnare in pagamento dal giudice la cosa o il credito
ricevuti in pegno. L’ipoteca è un diritto reale che vincola un bene immobile a garanzia di
un credito; essa attribuisce al creditore ipotecario il diritto di espropriare il bene anche in
confronto del terzo acquirente (diritto di seguito) e di soddisfarsi con prelazione sul
ricavato della vendita forzata. Oggetto di ipoteca possono essere i beni immobili e i diritti
reali di godimento sugli stessi, i mobili registrati e le rendite dello Stato. Si tratta di un
diritto reale su beni altrui e si estende ai miglioramenti e alle accessioni; se è costituito
dall’usufrutto, si estingue col cessare di questo, mentre se grava sulla nuda proprietà si
estende alla proprietà piena quando l’usufrutto viene a cessare. Caratteri dell’ipoteca sono
la specialità e l’indivisibilità. Essa può costituirsi solo su beni specialmente indicati e per
una somma determinata (art. 2809). L’ipoteca è inoltre indivisibile in quanto sussiste per
intero sopra tutti i beni vincolati e sopra ogni loro parte. Pertanto, anche se il debito sia
stato pagato in parte, il debito continua a gravare su tutti i beni ipotecati; in alcuni casi è
prevista la riduzione dell’ipoteca, che si opera riducendo la somma per cui l’ipoteca è
iscritta, o riducendo i beni originariamente vincolati. A costituire l’ipoteca concorrono due
elementi:
- L’iscrizione, che è una forma di pubblicità costitutiva: in mancanza di essa l’ipoteca
non sorge;
- Il titolo, che autorizzi l’iscrizione, poiché trattandosi di una garanzia specifica, non
basta la semplice esistenza di un credito.
Fonti del diritto di iscrivere ipoteca sono: la legge, la sentenza del giudice e la volontà
privata; si distinguono perciò:
- L’ipoteca legale, che nasce in forza di una specifica previsione di legge che
attribuisce a creditori il diritto di iscrivere l’ipoteca (art. 2817). Hanno diritto di
iscrivere ipoteca legale: l’alienante sugli immobili alienati a garanzia del
pagamento del prezzo, i coeredi e i soci condividenti a garanzia del pagamento dei
conguagli. L’ipoteca dell’alienante e del condividente è iscritta d’ufficio dal
conservatore dei registri immobiliari al momento della trascrizione dell’atto di
acquisto o di divisione;
- L’ipoteca giudiziale, che trova titolo in una sentenza o altro provvedimento
giudiziale che comporti la condanna del debitore al pagamento di una somma di
denaro o all’adempimento di altra obbligazione (art. 2818). Presentando tale
provvedimento di condanna, il creditore può ottenere iscrizione di ipoteca sui
pubblici registri;
- L’ipoteca volontaria, che nasce in forza di un contratto o di una dichiarazione
unilaterale redatti per atto pubblico o scrittura privata autenticata e può gravare
sia sui beni del debitore sia sui beni di un terzo. È possibile anche concedere
ipoteca sui beni altrui o su cose future: in tal caso però non si potrà procedere
immediatamente all’iscrizione sui pubblici registri, ma occorrerà attendere che il
concedente acquisti la proprietà del bene o che la cosa venga ad esistenza.
La pubblicità ipotecaria ha funzione costitutiva in quanto l’ipoteca non nasce se non
quando è iscritta. L’iscrizione va eseguita nei registri del luogo dove si trova il bene e si
effettua sui registri immobiliari, sul pubblico registro automobilistico e sui registri navale e
aeronautico. Su uno stesso bene sono possibili più ipoteche successive per crediti diversi:
a ciascuna di esse viene assegnato un numero che vale a determinare la precedenza tra i
diversi creditori ipotecari. Soddisfatta l’ipoteca di primo grado si soddisferà quella di
secondo grado e così via. I creditori possono effettuare volontariamente uno “scambio di
grado ipotecario” (ad es. il creditore di 1° grado diventa creditore di 2° e viceversa) ed è
possibile la “surrogazione ipotecaria di pagamento”, che si verifica in alcune delle ipotesi
di surrogazione legale nel credito pagato. Infine si può anche avere la “surrogazione del
credito perdente”, in cui il creditore perdente Tizio trasferisce la sua ipoteca su un altro
bene del debitore, ipotecato a favore di Caio. La rinnovazione è la ripetizione della
formalità dell’iscrizione, effettuata dopo un certo tempo. L’iscrizione ipotecaria conserva la
sua efficacia per 20 anni, dopodiché si estingue, a meno che il creditore non proceda
tempestivamente alla sua rinnovazione. Decorso tale termine, è possibile procedere ad
una nuova iscrizione. L’ipoteca è un diritto reale che segue il bene nei suoi successivi
passaggi di proprietà, pertanto il creditore potrà fare valere il suo diritto anche nei confronti
del terzo acquirente (art. 2808), il quale non è responsabile del debito ma ha
semplicemente acquistato un bene già gravato di ipoteca e la legge gli offre tre possibilità
se vuole evitare di subire l’espropriazione (art. 2858):
- Pagare egli stesso i creditori ipotecari surrogandosi poi nel credito pagato;
- Effettuare il rilascio dei beni ipotecati attraverso una dichiarazione;
- Effettuare la cd. purgazione delle ipoteche: cioè liberare i beni tramite un apposito
procedimento e l’offerta di una somma di denaro a tacitazione dei crediti garantiti.
Alcune cause di estinzione dell’ipoteca incidono sul titolo e travolgono anche l’iscrizione,
anche se ha solo funzione strumentale; estinta l’ipoteca, si potrà chiedere la cancellazione
dell’iscrizione ipotecaria. Altre cause di estinzione invece incidono direttamente
sull’iscrizione e perciò fanno venir meno il diritto ma non escludono che l’ipoteca si possa
nuovamente iscrivere. L’estinzione si verifica per il decorso del termine di 20 anni
dall’iscrizione. Una distinta causa di estinzione dell’ipoteca è prevista a favore del 3°
acquirente: decorsi 20 anni dalla trascrizione dell’acquisto, l’ipoteca si estingue per
prescrizione, anche se il credito è ancora in vita.
Le trattative sono quella fase antecedente alla stipulazione di un contratto in cui le parti
tentano di raggiungere un’intesa sul programma contrattuale. Essa non è una fase
necessaria. Fin quando non si sia raggiunto un accordo su tutti i punti del contratto, esso
non è ancora concluso e le parti rimangono libere di stipulare o meno. L’ art. 1337
stabilisce che le parti “devono comportarsi secondo buona fede”: cioè con correttezza; la
buona fede indica un vero e proprio dovere di comportamento (cd. buona fede in senso
oggettivo). La responsabilità precontrattuale è la sanzione prevista per chi viola il
dovere di buona fede nella fase delle trattative, obbligandolo a risarcire il danno arrecato
alla controparte.
- Ipotesi tipica di violazione della buona fede è quella della rottura ingiustificata delle
trattative;
- La correttezza, inoltre, impone obblighi di informazione, in modo da rendere note
all’altra parte le circostanze di fatto e di diritto che incidono sull’affare, rendendolo
eventualmente inutile;
- Uno specifico obbligo di informazione è previsto poi dall’art.1338, che rende
responsabile la parte che, “conoscendo o dovendo conoscere una causa di
invalidità del contratto, non ne ha dato notizia all’altra parte”. Più in generale si
ricomprendono in questa ipotesi tutti i casi di stipulazione di contratto invalido o
inefficace: esso è perciò nullo, annullabile o inefficace.
La violazione dell’obbligo di correttezza è fonte di responsabilità e comporta l’obbligo di
risarcire tutto il danno arrecato: cioè il danno emergente e il lucro cessante (art. 1223).
Nella responsabilità precontrattuale il lucro cessante sarà costituito dal guadagno che
avrei realizzato impegnandomi in un altro affare. Le trattative non obbligano a concludere il
contratto; può accadere che le parti, una volta concluse le trattative con esito positivo,
trovino utile garantirsi la facoltà di concludere il contratto e al contempo rinviare la
stipulazione vera e propria a un tempo successivo. È possibile allora che la stipulazione
sia preceduta dalla creazione di specifici rapporti giuridici, strumentali alla successiva
stipulazione del contratto, che sono fonte di vincoli a carico delle parti: essi consistono nel
vincolo a stipulare un contratto o nell’obbligo di preferire un certo soggetto e possono
designarsi come rapporti giuridici preparatori. Essi sono dunque quei vincoli giuridici
con i quali le parti bloccano un affare, fissando subito il suo contenuto, ma rinviano a un
tempo successivo la stipula del vero e proprio contratto.
L’obbligo di contrarre: gli obblighi reali
Un fondamentale aspetto della libertà contrattuale consiste nella libertà negativa, cioè
nella facoltà di decidere liberamente se stipulare o no un contratto. In alcune ipotesi tale
libertà viene meno e il soggetto è obbligato a contrarre: ciò può avvenire o in
adempimento di un obbligo precedentemente assunto o per effetto di disposizioni di legge.
Rientra in quest’ultima categoria l’obbligo legale di contrarre, che trova la sua fonte
nella legge. Una delle ipotesi previste è quella dell’art. 2597, che sancisce l’obbligo di chi
esercita un’impresa in condizioni di monopolio legale, di contrarre con chiunque ne faccia
richiesta osservando la parità di trattamento.
Gli obblighi negoziali: il contratto preliminare
Gli obblighi negoziali di contrarre trovano la loro fonte in un’obbligazione
precedentemente assunta, come quella nascente dal contratto preliminare: esso si
caratterizza per il suo peculiare oggetto: l’obbligo di stipulare un contratto successivo. Il
preliminare crea un vincolo tra le parti, ma è solo un vincolo preliminare, strumentale
all’assetto finale dei loro interessi, che sarà raggiunto con la stipula del contratto definitivo,
professionisti: consumatore è la persona fisica che agisce per scopi estranei all’attività
imprenditoriale mentre per professionista si intende la persona fisica o giuridica che agisce
nell’esercizio della propria attività imprenditoriale o professionale. Per tali contratti la
disciplina sancisce la nullità di alcune clausole contrattuali: quelle colpite da invalidità sono
quelle definite vessatorie, cioè le clausole che determinano a carico del consumatore un
significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto. La tutela prevista è
quella della nullità relativa delle clausole vessatorie, nel senso che l’invalidità opera solo a
vantaggio del consumatore, mentre il contratto rimane valido per il resto.
che l’oggetto è già specificato con sufficienti indicazioni: è sufficiente che l’oggetto sia
determinabile, cioè che possa essere determinato in base ai criteri fissati dalla legge o
dalle parti. In alcuni casi è la legge che determina l’oggetto del contratto; di norma sono le
parti stesse a fissare i criteri per la successiva determinazione dell’oggetto: ci si può
riferire ad elementi esterni (il prezzo di borsa di una certa data) o affidare la
determinazione a un terzo (in questo caso si parla di arbitraggio: cioè l’atto di
determinazione del contenuto del contatto effettuato da un terzo, detto arbitrante).
La forma
La forma costituisce elemento essenziale del contratto solo nei casi specificamente
previsti dalla legge (art. 1325). La forma è il modo di manifestazione della volontà
negoziale; è la modalità con cui questa volontà viene esternata. Principio generale è
quello della libertà di forma: le parti possono adottare la forma che ritengono più opportuna
purché idonea al fine di manifestare la volontà negoziale in questione. Si ha
dichiarazione espressa quando la volontà è manifestata con segni di linguaggio (parole,
scritti, gesti); si ha manifestazione tacita quando la volontà si desume indirettamente in
un comportamento concludente, cioè un comportamento socialmente univoco e
significativo. Il principio della libertà di forma subisce delle limitazioni, quando la legge
impone sia che la dichiarazione sia espressa, sia che essa sia resa secondo certe
modalità (c.d. negozi formali o a forma vincolata). In alcuni casi la forma è richiesta a pena
di nullità (art. 1325, 1350), cioè costituisce un elemento essenziale e, in mancanza il
contratto è nullo e improduttivo di effetti (cd. forma ad substantiam). La forma imposta
dalla legge consiste nella redazione del contratto per iscritto: in alcuni casi è sufficiente la
scrittura privata mentre in altri è necessario l’atto pubblico. Devono farsi per atto pubblico,
sotto pena di nullità, il contratto di donazione e la costituzione di società capitali, gli atti
matrimoniali e gli altri previsti dalla legge; devono farsi per scrittura privata, sotto pena di
nullità, i contratti di alienazione della proprietà e di altri diritti reali su beni immobili; le
locazioni abitative e ultranovennali, i conferimenti in società del godimento di immobili per
un tempo superiore ai 9 anni; i contratti relativi alle operazioni e ai servizi di banca nonché
i contratti stipulati con i clienti dalle società di intermediazione immobiliare. Per scrittura
privata si intende qualsiasi documento sottoscritto dall’interessato che, in tal modo, fa
proprio il contenuto del documento stesso e si impegna a quanto è in esso contenuto. Per
atto pubblico si intende il documento redatto da un notaio o da altro pubblico ufficiale
autorizzato ad attribuire pubblica fede all’atto (art. 2699). Al di fuori di queste ipotesi le
parti sono libere di adottare la forma che ritengono più opportuna e possono anche
obbligarsi all’adozione di una forma specifica per i loro contratti. La necessità di adottare
una certa forma può anche derivare anche da precedente accordo delle parti (cd. forma
convenzionale). Dai contratti formali vanno distinti i contratti a prova formale come
l’assicurazione, la transazione, la vendita di azienda. Qui la legge prescrive la forma scritta
al fine limitato della prova: il contratto deve essere solo provato per iscritto; pertanto ove
sia stipulato verbalmente esso sarà valido e potrà essere eseguito regolarmente ma in
caso di contestazione l’interessato non potrà provarlo con gli ordinari mezzi di prova.
L’onere della forma scritta è assoluto anche quando gli atti siano formati con strumenti
elettronici e telematici che diano luogo a documenti informatici; è sancito anzitutto il
principio della equiparazione dei documenti informatici ai documenti cartacei.
Capitolo 34: Le clausole accidentali del contratto
Gli elementi accidentali fanno parte del contratto soltanto se le parti li abbiano voluti,
inserendoli nel contratto stesso. La qualificazione come “accidentali” evidenzia appunto il
loro carattere eventuale. Questi elementi o requisiti sono: la condizione, il termine e il
modo. La condizione è la clausola che subordina gli effetti del contratto a un
gratuita (ad es. dono un edificio al Vescovo con l’onere di destinarlo a centro di
accoglienza). È perciò un obbligo giuridico che grava sul beneficiario di un’attribuzione
gratuita e che viene a ridurre il valore del beneficio. La clausola modale costituisce un
mezzo con il quale si attribuisce rilevanza a particolari motivi o finalità dell’autore del
negozio: la sua caratteristica è che può essere inserita nei negozi gratuiti. L’onere può
consistere in un dare, fare o in un non fare; in ogni caso costituisce una vera e propria
obbligazione, giuridicamente vincolante, di cui può chiedere l’adempimento coattivo
chiunque vi abbia interesse. La risoluzione dell’attribuzione può essere pronunciata solo
se è stata prevista o se l’adempimento abbia costituito il solo motivo determinante della
disposizione. Clausola penale e caparra svolgono la funzione di rafforzare il vincolo
contrattuale. La clausola penale è una determinazione anticipata e forfettaria del
risarcimento per il caso di inadempimento o ritardo (art. 1382). La sua funzione è quella di
precostituire un diritto al risarcimento senza che sia necessario fornire la prova del danno.
Essa limita il risarcimento alla somma convenuta e costituisce una liquidazione forfettaria.
In ogni caso è previsto che la penale “può essere equamente diminuita dal giudice” ove sa
manifestamente eccessiva, avuto riguardo all’interesse del creditore (art. 1384). La
caparra confirmatoria è la somma consegnata a una parte, al momento della
conclusione del contratto, a garanzia dell’impegno contrattuale assunto (ed eventualmente
a titolo di acconto sulla prestazione dovuta art. 1385). Al momento dell’adempimento, la
caparra sarà imputata alla prestazione dovuta (in questo senso costituisce un acconto sul
prezzo), o sarà restituita quando la prestazione consiste nel dare altre cose o in un fare (in
tal senso costituisce una garanzia del futuro adempimento, che rafforza il vincolo
contrattuale). In caso di inadempimento di chi ha dato la caparra, l’altra parte può recedere
dal contratto “ritenendo la caparra” a titolo di risarcimento. Ove invece sia inadempiente
chi ha ricevuto la caparra, sarà la controparte a poter recedere dal contratto esigendo il
doppio della caparra data (art. 1385). È prevista anche la caparra penitenziale, che è la
somma consegnata a una parte, al momento della conclusione del contratto, a titolo di
corrispettivo per il diritto di recesso attribuito alla controparte. La multa penitenziale è
caratterizzata dal fatto che la facoltà di recesso non è accompagnata dalla consegna
immediata della somma di denaro, bensì dalla previsione dell’obbligo di pagare una multa
se e quando la parte deciderà di recedere (art. 1373).
evitato ove l’altro contraente avesse adempiuto al suo obbligo di informazione. Secondo
gli artt. 1429 e 1430 l’errore è essenziale quando:
- Cade sulla natura o sull’oggetto del contratto;
- Su una qualità della prestazione in concreto essenziale per il contraente;
- Sull’identità o sulle qualità dell’altro contraente;
- Sulla quantità della prestazione che non soddisfa proporzionalmente l’interesse del
contraente.
È infine rilevante l’errore di diritto, purché esso sia stato la ragione unica o principale del
contratto (art. 1428). Per errore di diritto si intende l’errore che cade sull’esistenza o sul
contenuto di una norma giuridica: si tratta del fatto che l’ignoranza di una norma mi induce
a valutare erroneamente una certa situazione e sulla base di tale valutazione mi induco a
stipulare un contratto. L’errore di diritto deve cadere su un elemento interno al contratto. Il
dolo è un inganno che induce in errore l’altro contraente; è causa di annullamento quando
i raggiri sono stati tali che, senza di essi, l’altro contraente non avrebbe stipulato (art.
1439): il dolo quindi deve essere determinante per il consenso. Quando invece il raggiro
non è stato decisivo per la stipulazione, il contraente ingannato potrà chiedere il
risarcimento del danno ma non l’annullamento del contratto (cd. dolo incidente, art.
1440). Il dolo di cui si è parlato è il dolus malus, mentre il dolus bonus consiste
nell’esagerata esaltazione della qualità della merce o del servizio: tali vanterie sono
tollerate e non comportano né annullabilità né risarcimento del danno. Quello di cui si è
parlato è il dolo commissivo, perché suppone la commissione di una qualche azione
volta ad ingannare; il dolo omissivo invece è l’inganno realizzato tramite un’omissione. Il
contratto è annullabile anche se il raggiro è stato usato da un terzo, ed era noto al
contraente che ne ha tratto vantaggio (art. 1439). La violenza è la minaccia di un male
ingiusto e notevole, alla persona o ai beni del contraente, esercitata al fine di estorcere il
consenso a un determinato contratto o negozio (art. 1435). Caratteristica della violenza è
la pressione psicologica esercitata sul soggetto. Si ritiene peraltro che la violenza non
esclude totalmente la volontà del soggetto, il quale se pure costretto ha tuttavia voluto:
una volontà c’è stata e la sanzione quindi è dell’annullabilità e non della nullità dell’atto. La
violenza viene anche chiamata violenza psichica o morale e si distingue da quella fisica,
quale costrizione materiale che non lascia nessuno spazio di libertà e la conseguenza è
quella della nullità o dell’inesistenza del contratto. La minaccia, per dar luogo
all’annullabilità, deve essere seria, cioè di tal natura da fare “impressione sopra una
persona sensata” (art. 1435). Coerente con tale impostazione è la regola sulla irrilevanza
del timore reverenziale, cioè della condizione psicologica di soggezione verso persone
autorevoli o influenti. La serietà della minaccia va valutata anche in relazione al male
minacciato, che deve riguardare la persona o i beni del contraente e deve essere ingiusto
e notevole: è notevole quando il danno è rilevante; è ingiusto quando lede un interesse
protetto dalla legge. La violenza è rilevante anche se, provenendo da un terzo, il
contraente che ne trae vantaggio non ne era a conoscenza (art. 1434). L’azione di
annullamento è la domanda giudiziale diretta a fare annullare il contratto e spetta “alla
parte nel cui interesse è stabilita dalla legge” (art. 1441) e cioè all’incapace e al contraente
il cui consenso è viziato da errore dolo o violenza (art. 1427). Sono eccezionalmente
previsti casi di annullabilità assoluta (artt. 119, 1441). L’azione si prescrive in 5 anni,
decorrenti dal momento in cui è cessato lo stato di incapacità ovvero si è scoperto l’errore,
il dolo o è cessata la violenza (art. 1442). Trascorso tale periodo non è più possibile
un’azione diretta a fare annullare l’atto. Rimane la possibilità di chiedere l’annullamento in
via d’eccezione, ove la parte tutelata sia convenuta in giudizio per l’esecuzione del
obbligatori. In alcuni casi invece, il consenso non è sufficiente alla sua conclusione, in
quanto occorre anche la consegna della cosa oggetto del contratto. Il contratto si conclude
solo con la consegna della cosa, della res, e si parla di contratti reali. Il rapporto
contrattuale può sciogliersi solo “per mutuo consenso o per cause ammesse dalla
legge” (art. 1372); il suo scioglimento, e cioè la cessazione della sua efficacia, richiede il
consenso di entrambi i contraenti e ha di massimi effetti retroattivi: è come se il contratto
non fosse mai stato stipulato e le prestazioni già eseguite dovranno essere restituite. Lo
scioglimento del contratto consegue a uno specifico accordo, il mutuo dissenso, un vero
e proprio accordo contrattuale diretto ad estinguere il rapporto nato dal precedente
negozio. Si ritiene che per tale atto sia necessaria la stessa forma prevista per il contratto
che si vuole estinguere. Il recesso è un atto unilaterale recettizio col quale si esercita il
diritto di determinare lo scioglimento del rapporto. Salvo diverso accordo delle parti il
recesso non può essere esercitato dopo che il contratto è stato eseguito. La legge
consente di recedere dal contratto, liberamente o in presenza di alcuni presupposti.
Costituisce espressione di un principio generale la regola che ammette il recesso nei
contratti a esecuzione continuata o periodica che siano a tempo indeterminato, essendo
contrari all’interesse generale rapporti che vincolino le parti in perpetuo (art. 1373). Altra
ipotesi di recesso è prevista per i contratti effettuati al di fuori dei locali commerciali
(vendita porta a porta): l’operatore commerciale deve informare per iscritto il consumatore
sull’esistenza del diritto di recesso e sulle modalità per esercitarlo e al consumatore è
attribuito il diritto di recedere dal contratto entro il termine di 10 giorni lavorativi. Il recesso
si distingue dalla revoca, che è l’atto negoziale con cui si priva di efficacia un precedente
atto unilaterale.
Integrazione del contratto
Secondo gli articoli 1374 e 1375, il contratto obbliga le parti oltre a quanto è espresso,
anche a tutte le conseguenze che ne derivano secondo la legge, gli usi, l’equità e la buona
fede.
- Quanto alla legge, vengono in considerazione sia le norme dispositive, le quali
operano l’integrazione suppletiva, cioè suppliscono ad una mancata previsione
del contratto. L’integrazione cogente è invece operata dalle norme inderogabili e
determina il contenuto del rapporto anche contro una diversa volontà delle parti;
- Gli usi normativi sono vere e proprie fonti del diritto e hanno un ambito di operatività
molto ridotto, non potendo derogare a quanto previsto da norme di legge o di
regolamento. Gli usi negoziali sono le pratiche contrattuali diffuse nei diversi settori
di affari e usualmente praticate dagli operatori economici: esse sono le pattuizioni
ricorrenti nei diversi tipi di contratto e il codice il denomina clausole d’uso (art. 1340)
che si fondano sulla volontà delle parti e hanno natura negoziale e possono
derogare a norme dispositive di legge;
- L’equità è un criterio di giustizia sostanziale che si specifica nell’esigenza di
massima di un equilibrio dei sacrifici reciproci;
- La buona fede impone di salvaguardare l’altrui interesse nei limiti in cui sia
compatibile con il proprio.
ai terzi, cioè a coloro che siano rimasti estranei alla sua stipulazione è il cd. principio della
relatività degli effetti. Rispetto ai terzi il contratto produce effetti solo nei casi previsti
dalla legge (art. 1372). Tuttavia, il contratto costituisce o modifica posizioni giuridiche e
incide sulla titolarità di diritti con i quali anche i terzi possano venire in contatto o in
conflitto. Nell’ipotesi di conflitto tra più acquirenti di uno stesso diritto, si seguono le
seguenti regole: a) Se si tratta dell’acquisto di diritti reali su universalità di mobili, si applica
la regola generale della priorità dell’acquisto; b) quando si tratta dell’acquisto di diritti reali
su beni mobili, il conflitto si risolve in base alla regola sul possesso titolato, cioè prevale
colui che ha conseguito per primo il possesso; c) trattandosi dell’acquisto di diritti reali su
beni immobili o su mobili registrati, prevale colui che per primo ha effettuato la trascrizione
del suo acquisto, anche se di data posteriore; d) ove oggetto del contratto sia un credito,
prevale la cessione notificata o accettata per prima dal debitore con atto di data certa;
infine, se si tratta dell’acquisto di diritti personali di godimento su beni mobili o immobili,
prevale colui che per primo ha conseguito il godimento della cosa o colui che ha un titolo
di data certa anteriore.
Il contratto a favore di terzi
È possibile anche un’efficacia diretta del contratto nei confronti dei terzi solo quando si
tratti di effetti favorevoli e il terzo ne voglia profittare. Questo è il contratto a favore di
terzo, nel quale i contraenti prendono il nome di stipulante e promittente. Per effetto di tale
contratto, il terzo acquista il diritto di pretendere una prestazione dal promittente (art.
1411). Un esempio è l’assicurazione sulla vita a favore di un terzo. Il terzo acquista il diritto
per effetto della stipulazione a suo favore, come diretta conseguenza del contratto; non è
quindi necessaria una sua dichiarazione di accettazione né egli diviene parte sostanziale
del contratto. Il beneficiario rimane estraneo al rapporto contrattuale e non può agire con i
rimedi offerti dalla legge a tutela dei contraenti ma può solo ottenere l’esecuzione della
prestazione promessagli; invece il terzo può dichiarare di voler profittare della stipulazione,
ma tale dichiarazione non vale a renderlo parte del contratto, ma ha l’effetto di rendere
irrevocabile la stipulazione a suo favore. Finché non è accettata dal terzo infatti la
stipulazione non può essere revocata o modificata dallo stipulante. Nell’ipotesi in cui una
situazione appare all’esterno diversa da quella che è in realtà vige la regola generale
dell’autoresponsabilità: chi pone in essere dichiarazioni negoziali ne subisce le
conseguenze in base al loro significato oggettivo, ma solo nei limiti in cui abbia suscitato
nei terzi o nella controparte un ragionevole affidamento. Così, la dichiarazione emessa per
errore può essere annullata, purché l’errore fosse riconoscibile dall’altro contraente.
L’autoresponsabilità è una diretta conseguenza dell’autonomia contrattuale: chi emette
una dichiarazione negoziale è tenuto al tenore oggettivo di essa. La tutela dei terzi è
ancorata alla regola dell’affidamento incolpevole e all’obbligo di diligenza nell’intendere le
altrui dichiarazioni. Agli stessi criteri fa riferimento il principio dell’apparenza: coloro che,
senza colpa, hanno fatto affidamento su una situazione apparente mantengono i diritti
acquisiti su tale base.
Il contratto simulato
Si ha simulazione quando le parti fingono di stipulare un contratto ma in realtà non ne
vogliono gli effetti (simulazione assoluta) ovvero vogliono gli effetti di un contratto diverso
(simulazione relativa). Questo risultato viene raggiunto affiancando alla dichiarazione
contrattuale una controdichiarazione nella quale si chiarisce il reale intendimento delle
parti. sottospecie di simulazione relativa è la cd. interposizione fittizia di persona:
stipulo una donazione a favore di Tizio ma in realtà, il mio intendimento è di beneficiare
Caio. La simulazione è possibile sia nei contratti, sia negli atti unilaterali recettizi, ove vi sia
accordo tra il dichiarante e il destinatario. Gli effetti tra le parti del contratto simulato sono
congrui alla natura del negozio quale atto che nasce dalla volontà degli interessati: il
negozio simulato è lecito e produce gli effetti realmente voluti. Pertanto nella simulazione
assoluta non si produce nessun effetto visto (art. 1414) visto che le parti in realtà non li
vogliono; nella simulazione relativa il contratto simulato non produce effetti (perché non
voluti), ma ha effetto il contratto dissimulato (quello nascosto dietro il contratto
apparente) in quanto effettivamente voluto, a condizione che ne sussistano i requisiti di
sostanza e di forma. Le parti possono agire in giudizio per fare dichiarare la simulazione:
senza limiti di tempo in caso di simulazione assoluta, entro dieci anni per quella relativa.
Nella disciplina degli effetti della simulazione rispetto ai terzi, si distingue tra terzi in
genere, terzi aventi causa dal simulato acquirente e terzi creditori. La regola fondamentale
è dettata nell’art. 1415: i terzi controinteressati possono far valere la simulazione quando
essa pregiudica i loro diritti. Quindi, chiunque vi abbia interesse è ammesso a far prevalere
la realtà sull’apparenza. La seconda regola in materia è contenuta nel 1° comma del
medesimo articolo: la simulazione non può essere opposta ai terzi che in buona fede
hanno acquistato diritti dal titolare apparente, cioè dal simulato acquirente. Quanto ai
creditori, anch’essi sono terzi rispetto all’atto simulato e dunque vale la regola espressa
nell’art. 1415: essi possono far valere la simulazione che pregiudichi i loro diritti. Nel caso
di conflitto fra i creditori, la legge dispone che i creditori del simulato alienante sono
preferiti ai creditori del simulato acquirente se il loro credito è di data anteriore alla
simulazione. Il contratto fiduciario realizza un’attribuzione effettiva a un soggetto in vista
di uno scopo ulteriore rispetto al contratto. Ad esempio, temendo una confisca dei miei
beni li vendo ad un amico, con l’intesa che me li rivenderà una volta cessato il pericolo. La
differenza rispetto alla simulazione sta nel fatto che qui l’effetto è realmente dovuto, in
quanto è strumentale rispetto al raggiungimento di un fine ulteriore. Il negozio fiduciario è
lecito nei limiti in cui è lecito lo scopo finale di tutta l’operazione e se questo è illecito lo
sarà anche tutta l’operazione. Se il fiduciario non adempie l’impegno di ritrasferire il bene,
il fiduciante non avrà un’azione di rivendica per farselo restituire ma potrà solo chiedere il
risarcimento dei danni.
unilaterale volto a far conoscere ai terzi che il delegato ha il potere di compiere atti giuridici
in nome del delegante; ha natura negoziale e la relativa dichiarazione può essere
espressa o tacita. La delega può essere conferita per singoli affari determinati (procura
speciale) o per tutti gli affari del rappresentato (procura generale). Il potere di
rappresentanza si estingue per cause attinenti sia alla procura, sia al rapporto interno di
gestione tra rappresentante e rappresentato. La revoca della procura è sempre possibile,
salvo il caso che il potere sia conferito anche nell’interesse del rappresentante.
L’estinzione del rapporto di gestione comporta il venir meno del potere rappresentativo.
Altre cause di estinzione sono la sopravvenuta incapacità o il fallimento del rappresentante
o del rappresentato, la scadenza del termine, il compimento dell’affare per il quale il potere
è stato conferito. Mentre nella rappresentanza legale è il rappresentante che dev’essere
capace di agire, in quella volontaria è il rappresentante che deve avere la capacità d’agire;
il rappresentante volontario è sufficiente che abbia la capacità di intendere e di volere
“avuto riguardo alla natura e al contenuto del contratto” (art. 1398). Per quanto riguarda i
vizi della volontà è sempre al rappresentante che deve aversi riguardo in quanto è la sua
volontà che dà vita al negozio. Se il rappresentante invece di perseguire l’interesse del
rappresentato tutela quello proprio o altrui l’atto si dirà compiuto in conflitto di interessi col
rappresentato; la legge valuta come illecito tale comportamento per l’abuso del potere
rappresentativo e prevede che il contratto è annullabile (art. 1394): l’annullabilità è esclusa
quando sia escluso ogni possibile conflitto di interessi. È così ad esempio per il contratto
con sé stesso (art. 1395), in cui il rappresentante assume una doppia veste, contrattando
in proprio e nella qualità di procuratore. L’art. 1398 denomina rappresentanza senza
potere il caso di chi contratta come procuratore di altri “senza averne i poteri o eccedendo
i limiti delle facoltà conferitegli”: è il cd. falso rappresentante; il contratto da lui stipulato è
inefficace, non produce effetti. Egli è responsabile dei danni sofferti dall’altro contraente
che abbia confidato senza sua colpa nella validità del contratto (art. 1398). Tale contratto
non è nullo e l’interessato lo può ratificare, rendendo efficace l’atto compiuto dal falso
rappresentante con effetto retroattivo: l’atto si considera efficace in capo al ratificante fin
dal principio (art. 1399). La ratifica è un negozio unilaterale con cui l’interessato si
attribuisce gli effetti dell’atto, e viene comunemente intesa come una procura successiva.
Il contratto per persona da nominare
Si dice “per persona da nominare” il contratto nel quale una parte si riserva la facoltà di
nominare successivamente il soggetto nella cui sfera il contratto produrrà i suoi effetti (art.
1401). Se nel termine stabilito segue la dichiarazione di nomina, accompagnata
dall’accettazione del nominato, il contratto produrrà i suoi effetti in capo al designato fin dal
momento in cui è stato concluso; se il designato non accetta o la nomina non viene fatta, il
contratto produce effetti in capo a colui che aveva stipulato (art. 1405). Il contratto può
produrre effetti alternativamente in capo alla parte formale o in capo ad un altro soggetto
nominato successivamente. La figura costituisce una forma di rappresentanza diretta: si
tratta di una rappresentanza eventuale di persone incerta. È eventuale perché se manca
la nomina o l’accettazione del designato il contratto produce effetti tra le parti originarie; è
di persona incerta perché lo stipulante non rivela subito il nome dell’interessato. La
dichiarazione di nomina attribuisce al designato la posizione di parte sostanziale del
contratto e deve essere fatta entro 3 giorni. La cessione del contratto è il negozio con cui
una parte, col consenso dell’altra, sostituisce a sé un terzo nei rapporti derivanti da un
contratto a prestazioni corrispettive (art. 1406). Non è un contratto tipico, e non ha una
causa propria, ma si caratterizza per il suo oggetto rimanendo segnata dalla causa
concreta per cui essa è fatta. È un contratto plurilaterale, poiché per la sua validità occorre
il consenso del contraente ceduto; non ha effetto retroattivo e i soggetti del negozio
prendono il nome di cedente (colui che cede la propria posizione contrattuale), ceduto (il
contraente originario che rimane vincolato), cessionario (il nuovo soggetto al quale si
trasferisce il rapporto contrattuale). Il cedente è tenuto a garantire verso il cessionario la
validità del contratto trasferito. Esistono anche numerose ipotesi di cessione legale del
rapporto, in cui la legge prevede il trasferimento automatico di un rapporto contrattuale da
un soggetto a un altro. Con il subcontratto si dà vita ad un nuovo contratto, derivato da
quello precedente, che continua a sussistere tra le parti originarie: qui accade che uno dei
contraenti originari utilizza la posizione contrattuale che ne deriva per stipulare un nuovo
contratto con un terzo.
Caratteristica dei titoli di credito è quella per cui la prestazione in essi indicata si incorpora
nel documento, il quale non ha solo funzione probatoria ma serve a realizzare una rapida
e sicura circolazione del credito portato sul titolo. Si distinguono diversi tipi di titoli di
credito:
- Titoli al portatore (ad es. buoni del tesoro): qui il trasferimento del titolo si opera
con la consegna e il possessore è legittimato all’esercizio del credito in base alla
semplice prestazione di esso (art. 2003);
- Titoli all’ordine (cambiali, assegno): si tratta di titoli, intestati a una determinata
persona, il cui trasferimento si opera con la consegna del documento e la sua
“girata”, ossia l’autorizzazione dell’intestatario a pagare a un altro (art. 2008);
- Titoli nominativi (ad es. le obbligazioni di una società): hanno la caratteristica di
essere intestati a favore di una persona non solo sul documento, ma anche nel
registro dell’emittente. Il trasferimento si opera con la consegna e con la doppia
intestazione a favore del prenditore, sia sul titolo sia sul registro dell’emittente (art.
2021).
I fatti illeciti
Capitolo 41: La responsabilità per fatto illecito
Costituiscono fonte di obbligazione anche i fatti illeciti, cioè i fatti e gli atti che cagionano
un danno ad altri. Essi sono fonte di obbligazione risarcitoria: obbligano a risarcire il danno
cagionato ad altri e l’istituto prende il nome di responsabilità extracontrattuale. La qualifica
extracontrattuale vale a sottolineare che si tratta di responsabilità che nasce al di fuori di
uno specifico rapporto obbligatorio fra le parti; si tratta della violazione del precetto
generale denl neminem laedere: non arrecare danno agli altri. La differenza da quello
penale è che quello penale è un illecito tipico in quanto si può essere condannati ad una
pena solo se il fatto commesso è specificatamente previsto come reato dalla legge,
mentre l’illecito civile è atipico cioè non è necessario che preveda specificatamente un
determinato comportamento ma sufficiente che si sia violato un interesse tutelato dalla
legge affinché si abbia responsabilità civile. Il fatto costituisce il primo elemento della
responsabilità e può consistere sia in un fatto giuridico sia in un atto giuridico che la legge
non predetermina in modo rigido. Sono rilevanti sia i fatti commissivi sia i fatti omissivi. Un
secondo elemento della responsabilità è il danno il quale consiste nella lesione di un
interesse tutelato dalla legge. Esso si può dire sia patrimoniale, quando il pregiudizio
riguarda un bene economico come il denaro, sia non patrimoniale, quando il pregiudizio
riguarda un bene della personalità come l’onore. Il danno può essere biologico (inteso
come lesione dell’integrità psicofisica della persona); morale (inteso come dolore o
sofferenza). A tenore dell’art. 2043 il danno deve essere ingiusto cioè deve ledere un
interesse o un diritto protetto dalla legge. Per quanto riguarda i diritti di credito non vi è una
lesione del diritto che provenga dal debitore inadempiente in quanto in questo caso si avrà
una pacifica responsabilità contrattuale per inadempimento. Viene però in considerazione
la lesione che provenga da terzi, i quali rendano impossibile l’adempimento del debitore
obbligato: i terzi non sono tenuti ad adempiere l’obbligazione che può farsi valere nei
confronti del debitore quindi dai terzi non può venire una violazione dell’obbligo ma
un’alterazione delle condizioni esterne che rende impossibile l’adempimento (così avviene
se il fatto illecito del terzo provoca la morte del debitore). Un altro requisito della
responsabilità è il nesso di causalità tra il fatto e l’evento dannoso: rilevano solo i danni
che siano conseguenza diretta ed immediata dell’illecito. Se più persone hanno concorso
a cagionare il danno, sono tutte tenute al risarcimento con il vincolo di solidarietà anche se
sia stato diverso il contributo di ciascuno (art. 2055). Nei rapporti interni fra i
corresponsabili la responsabilità si suddivide in proporzione alla gravità delle rispettive
colpe. Per importare responsabilità, il comportamento deve essere doloso o colposo: si ha
dolo quando l’evento è voluto dall’agente come conseguenza della propria azione (l’evento
è lo scopo cui è diretta l’azione del soggetto); si ha colpa quando vi sia negligenza,
imprudenza o imperizia e l’importante è che non sia direttamente voluto cioè che non sia
lo scopo cui è diretta l’azione (ciò che si rimprovera al soggetto è di non avere osservato la
diligenza media). L’atto dannoso inoltre deve essere imputabile al suo autore, cioè deve
essere commesso con coscienza e volontà. L’imputabilità può mancare per difetto di
coscienza o libertà nei seguenti casi:
- Non sarà responsabile chi non aveva la capacità di intendere e di volere al
momento in cui ha commesso il fatto (art. 2046): lo stato di incapacità non deve
dipendere da colpa del soggetto;
- L’imputabilità è esclusa quando l’agente pur essendo capace, non ha piena
libertà di scelta (cause di giustificazione): La responsabilità è esclusa sia
quando il comportamento è tenuto nell’esercizio di un diritto sia quando il danno è
cagionato per legittima difesa. La responsabilità è attenuata quando sussiste uno
stato di necessità cioè si è agito per la necessità di salvare sé o altri dal pericolo di
un danno grave.
L’art. 2043 fa gravare la responsabilità su colui che ha commesso il fatto ma nel diritto
privato sono previste ipotesi in cui la responsabilità incombe su soggetti diversi e si parla
dunque di responsabilità indiretta nei casi di responsabilità dei genitori, per il danno
cagionato dal fatto illecito dei figli minori in quanto chi è tenuto alla vigilanza su altre
persone risponde del danno da queste cagionato (art. 2047): genitori e insegnanti
rispondono in via esclusiva del danno cagionato dalle persone loro affidate quando queste
siano incapaci di intendere e di volere; rispondono in via concorrente con le persone loro
affidate quando esse siano naturalmente capaci. La legge prevede che i soggetti tenuti a
rispondere dell’operato altrui possano liberarsi provando di non avere potuto impedire il
fatto. Responsabilità dei datori di lavoro, per i danni arrecati dai dipendenti
nell’esercizio delle loro incombenze: il datore risponderà dell’illecito in quanto di esso
devono rispondere gli autori materiali mentre il danneggiato potrà agire per il risarcimento
sia verso l’agente sia verso il responsabile indiretto. La responsabilità oggettiva è una
sottospecie di responsabilità extracontrattuale caratterizzata dal fatto che non è richiesto il
requisito di dolo o della colpa: il risarcimento potrà ottenersi sulla base del solo rapporto di
causalità tra un fatto illecito e un danno. Le ipotesi di responsabilità oggettiva sono:
- Esercizio di attività pericolosa: l’esercitante sarà responsabile dei danni cagionati
ai terzi salvo che dimostri di avere adottato tutte le misure idonee ad evitare il
danno (art. 2050);
- Circolazione dei veicoli senza guida di rotaie: cioè dei veicoli liberi di muoversi
sulla strada senza un percorso prestabilito. Il conducente è responsabile dei danni
prodotti dalla circolazione del veicolo se non prova di avere fatto tutto il possibile
per evitare il danno. Responsabile in solido con il conducente è il proprietario del
veicolo a meno che non provi che la circolazione è avvenuta contro la sua volontà;
- Cose o animali in custodia: la responsabilità grava su chi utilizza o tiene presso di
sé cose o animali che cagionano danni ad altri. Qui la responsabilità è esclusa solo
se si provi il caso fortuito cioè il sopravvenire di un evento che si inserisce come
fattore determinante nel rapporto di causalità;
- Rovina di edificio o di una sua parte (art. 2053): il proprietario è responsabile dei
danni se non prova che la rovina è dovuta a causa diversa dal difetto di
manutenzione o vizio del costruttore;
- Prodotti difettosi: è una figura introdotta al fine di superare le difficoltà riscontrate
nel risarcimento dei danni derivanti ai consumatori da prodotti industriali, cibi o
prodotti agricoli. Il produttore è responsabile dei danni derivanti dai difetti di tali beni
i quali sono considerati difettosi quando non offrono la sicurezza che ci si può
legittimamente attendere in relazione ad alcune clausole.
Il risarcimento consiste in una prestazione atta a riparare la perdita subita dal
danneggiato. La forma ordinaria è quella del risarcimento per equivalente cioè effettuata
con la prestazione di una somma di denaro pari al valore del pregiudizio. Quando si tratta
di danno alle persone che abbia conseguenze permanenti, la liquidazione può avvenire
anche sotto forma di rendita vitalizia (art.2057), ma nella maggior parte dei casi si
preferisce liquidare una somma unica rapportata ai prevedibili, mancati guadagni futuri. Il
risarcimento può avvenire anche in forma specifica cioè tramite il ripristino o la
reintegrazione della situazione preesistente all’illecito. Nella responsabilità contrattuale è
sufficiente che il creditore insoddisfatto provi il suo credito e l’entità del danno: sarà il
debitore a dovere provare che l’inadempimento non gli è imputabile (art.1218). Nella
responsabilità extracontrattuale invece è il danneggiato che deve provare non solo l’illecito
e l’entità del danno, ma anche la colpa o il dolo di chi ha commesso l’illecito. La
responsabilità per fatto illecito è soggetta a prescrizione più breve di quella prevista per
l’inadempimento (art. 2947). Nell’illecito può mancare un danno oppure l’atto dannoso può
in certi casi non essere illecito. La qualifica di illiceità deriva dal dato obiettivo della
violazione di una norma e sono previsti specifici mezzi di tutela volti a reagire contro tali
violazioni della legge. Le misure preventive sono dirette ad impedire il compimento
dell’illecito: è la cd. Condizione inibitoria (che inibisce, vieta un certo comportamento). Le
misure reintegrative hanno la funzione di reintegrare il soggetto leso nella situazione
giuridica alterata. Gli atti leciti dannosi sono quegli atti consentiti dalla legge che sono
fonte di danno per gli altri. In tali ipotesi la legge contempera gli interessi in conflitto
consentendo l’attività dannosa ma imponendo al contempo l’obbligo di corrispondere
un’indennità al danneggiato che costituisce solo un equo ristoro.
scardinata dai ladri, non compio un atto riprovevole, ma un atto di solidarietà. L’art
2028 dice che se qualcuno assume spontaneamente la gestione di un affare altrui,
è obbligato continuarla fino a quando l’interessato non è in grado di provvedervi
personalmente. L’interessato rimane vincolato alle obbligazioni assunte dal gestore
in suo nome e deve rimborsarlo per le spese necessarie. Condizione per tali
obblighi è che la gestione sia stata utilmente iniziata;
- Il pagamento dell’indebito: si ha pagamento dell’indebito quando una persona
esegue una prestazione non dovuta: la legge considera questo pagamento come
fonte di un’obbligazione del ricevente e chi ha pagato ha il diritto di riavere la
prestazione eseguita. L’indebito è oggettivo quando la prestazione non è dovuta da
nessuno e in tal caso chi ha pagato ha diritto alla restituzione, ai frutti e agli
interessi; l’indebito è soggettivo quando la prestazione non è dovuta
soggettivamente, non è dovuta cioè da chi effettivamente ha pagato ma è dovuta
da una terza persona. Chi ha pagato il debito ha diritto alla restituzione solo se il
pagamento è avvenuto per errore scusabile: se non c’è errore si ha un’ipotesi di
adempimento del terzo (art. 1180), se l’errore inescusabile, peggio per chi ha
pagato. Fanno eccezione alla regola del pagamento dell’indebito le obbligazioni
naturali: il codice chiama obbligazioni naturali quegli obblighi che nascono sul
terreno dei doveri morali e sociali, che non danno luogo a vere e proprie
obbligazioni giuridicamente vincolanti. Se tali obbligazioni vengono
spontaneamente adempiute, la legge prevede che non è ammessa la ripetizione di
quanto è stato spontaneamente prestato in esecuzione di doveri morali o sociali,
salvo che la prestazione sia stata eseguita da un incapace (art. 2034). Analoga
previsione è sancita anche dall’art. 2035 per le prestazioni eseguite per uno scopo
contrario al buon costume: l’azione di ripetizione non è ammessa da chi sia
partecipe dell’immoralità;
- L’arricchimento senza causa: lo si ha quando un soggetto consegue un
incremento patrimoniale in danno di un altro senza che tale incremento abbia un
adeguata giustificazione. Gli spostamenti patrimoniali da un soggetto ad un altro
devono essere sostenuti da una causa lecita e meritevole di tutela che li giustifichi
giuridicamente: non solo le prestazioni indebite vanno restituite ma chi ha
comunque conseguito un arricchimento ingiustificato in danno di altri è tenuto a
restituire l’arricchimento o ad indennizzare l’impoverito. La legge ha sancito la
regola dell’azione generale di arricchimento senza causa all’art. 2041: chi, senza
giusta causa, si è arricchito in danno di un’altra persona è tenuto, nei limiti
dell’arricchimento, a indennizzare quest’ultima della correlativa diminuzione
patrimoniale. Questa azione ha 2 caratteristiche: si dice generale perché in genere
è concessa a chiunque si trovi nelle condizioni sopra dette; è residuale perché è
concessa nei casi in cui il danneggiato non può esercitare un’altra azione per farsi
indennizzare del pregiudizio. Le ipotesi in cui più frequentemente può venire in
considerazione l’azione generale di arricchimento senza causa sono quelle in cui
l’arricchimento deriva da: atto dell’arricchimento che non sia fonte di responsabilità
civile extracontrattuale; atto dell’impoverito il quale esercita una prestazione non
dovuta per la quale non sia in concreto esercitabile la ripetizione di indebito. Il limite
dell’azione di arricchimento è quello che non si può chiedere più della propria
perdita patrimoniale né più dell’effettivo vantaggio altrui.
alla parte interessata far rilevare in giudizio l’avvenuta prescrizione dei diritti altrui. È
possibile rinunciare ad avvalersi della prescrizione dopo che essa sia compiuta. Il soggetto
a favore del quale è prevista può rinunciare ad essa. Ove l’inerzia del titolare venga meno
la prescrizione non può operare. Per tali ipotesi sono previsti due istituti: l’interruzione
(deriva da qualunque atto di esercizio del diritto e appena compiuto la prescrizione è
interrotta e inizia a decorrere un nuovo termine di prescrizione mentre il periodo trascorso
perde valore e non viene più computato) e la sospensione (si fonda sull’esistenza di
particolari rapporti tra i soggetti che giustificano l’inerzia del titolare del diritto: la
prescrizione rimane sospesa nei rapporti tra i coniugi e tra gli incapaci e i soggetti che ne
hanno cura). La prescrizione inizia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto
valere (art. 2935). Essa si compie allo spirare dell’ultimo giorno del termine. Non si
computa il giorno iniziale e se il momento finale cade in giorno festivo il termine è
automaticamente prorogato al giorno successivo. Per quanto riguarda la durata si
distinguono prescrizioni ordinaria (si compie con il decorso di 10anni e vale per tutti i diritti
per cui non sia disposto diversamente) e prescrizioni brevi (sono previste per ipotesi
precise: si prescrive in 5 anni il diritto al risarcimento dei danni da fatto illecito mentre in
20anni i diritti reali di godimento su beni altrui in parallelo con la durata ventennale
dell’usucapione. Le prescrizioni presuntive sono figure che si basano sul decorso del
tempo e da esso fanno discendere la presunzione che il debito sia estinto. Al debitore
basterà invocare la prescrizione presuntiva per essere esonerato dall’onere di provare
l’avvenuto adempimento. La presunzione non è assoluta ed ammette la prova contraria: il
creditore può vincerla solo deferendo alla controparte il giuramento decisorio (art. 2960) o
ottenendone una confessione. L’esercizio dei diritti entro i termini prefissati vale ad
impedire l’estinzione per prescrizione. La legge impone in alcune ipotesi, a chi voglia
conservare il diritto, un onere specifico: impone il compimento di uno specifico atto che
valga a manifestare l’intenzione di avvalersi del diritto dando così certezza in tempi brevi
alle situazioni giuridiche. Il compimento di tale atto impedisce la perdita e consente al
soggetto di esercitare il diritto entro il termine di prescrizione. Può dirsi che la decadenza è
l’estinzione del diritto dovuto all’oggettivo decorso del tempo fissato dalla legge. Mentre la
prescrizione è interrotta da qualunque atto di esercizio del diritto, la decadenza è impedita
solo dal compimento dell’atto specificatamente previsto. La decadenza costituisce un
limite alla possibilità di far valere un diritto e le relative previsioni sono di stretta
interpretazione. Esso non è istituto stabilito al posto della prescrizione ma in aggiunta alle
regole sulla prescrizione che riguarda in linea di principio tutti i diritti. Una volta impedita la
decadenza il diritto rimane soggetto alle disposizioni sulla prescrizione. Sono previsti due
tipi di decadenza: legale (è prevista dalla legge per ragioni di interesse generale o
nell’interesse di uno dei soggetti: nel primo caso le parti non possono modificare la
disciplina né rinunciarvi; nel secondo le parti possono determinare la disciplina cioè
possono stabilire termini diversi o particolari oneri di forma. La disciplina convenzionale
non deve rendere eccessivamente difficile l’esercizio del diritto art 2965).