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In diritto il termine “ente” indica le persone giuridiche pubbliche e private e i gruppi organizzati che
l'ordinamento considera titolari di situazioni giuridiche. Gli enti pubblici sono quei soggetti diversi
dallo Stato ma che esercitano funzioni amministrative e che costituiscono, nel loro
complesso, l’amministrazione in senso soggettivo. Gli enti sono dotati di capacità giuridica e, in
quanto tali, sono idonei ad essere titolari di poteri amministrativi. La legge 70/1975 (cd. legge sul
parastato) afferma che nessun nuovo ente pubblico può essere istituito o riconosciuto se non per
legge; tale norma può essere considerata applicativa ed esprime il principio essenziale secondo cui
spetta all'ordinamento e alle sue fonti individuare le soggettività che operano al suo interno. Il
criterio della qualificazione legislativa non è sempre decisivo, soprattutto se riferito agli enti
costituiti prima dell'entrata in vigore della citata legge. Per questo motivo la giurisprudenza ha
cercato di risolvere il problema individuando una serie di indici esteriori di pubblicità, tra i quali si
ricordano:
L'ente pubblico, a seguito dell'imputazione della cura di interessi pubblici, entra a far parte della
P.A., composta da soggetti che perseguono finalità pubbliche e che possono essere considerati
unitariamente, avendo il proprio vertice nel Governo. La qualificazione di un ente come
pubblico è importante perché comporta conseguenze giuridiche di rilievo. Soltanto gli enti
pubblici possono emanare provvedimenti che hanno efficacia sul piano dell'ordinamento
generale così come i provvedimenti dello Stato, impugnabili davanti al giudice
amministrativo. In questo ambito assume rilevanza il concetto di autonomia, intesa come capacità
della P.A. di darsi da sé le proprie regole. Molti enti, infatti, dispongono di autonomia normativa,
ossia della capacità di porre in essere norme generali ed astratte che abbiano efficacia sul piano
dell'ordinamento generale. Posto che le norme emanate dal soggetto dotato di autonomia possono
assumere la forma di leggi, statuti o regolamenti, l'autonomia normativa può a sua volta
ulteriormente distinguersi in:
In ordine alla modalità con la quale viene organizzata la presenza degli interessati negli organi
dell’ente si distingue tra:
Gli enti a struttura istituzionale, la nomina dei cui amministratori è determinata da soggetti estranei
all'ente, presuppongono la destinazione di un patrimonio alla soddisfazione di uninteresse. La
prevalenza dell’elemento patrimoniale spiega l'ampia gamma di controlli cui questi entisono
sottoposti. I soggetti facenti parte degli enti associativi determinano direttamente o a
mezzo di rappresentanti eletti o delegati, le decisioni fondamentali dell'ente stesso: in essi si
verifica il fenomeno dell'autoamministrazione. Questi enti sono caratterizzati dalla presenza di
un'assemblea avente soprattutto compiti deliberanti. Tuttavia, le classificazioni più importanti sono
quelle operate dal legislatore in quanto da esse discendono specifiche conseguenze giuridiche o
l'applicazione di un peculiare regime. La Costituzione contempla all'art. 5 gli enti autonomi e, ai fini
della sottoposizione al controllo della Corte dei conti, all'art. 100, gli enti a cui lo Stato contribuisce
in via ordinaria. In ordine agli enti autonomi, la Costituzione riconosce una particolare autonomia a
comuni, province, città metropolitane e regioni: infatti tali enti sono formazioni sociali
entificate cui è attribuita autonomia di indirizzo, potendo essi esprimere un indirizzo
politico o politico-amministrativo. Il principio dell’autonomia nei limiti fissati
dall’ordinamento è alla base della disciplina costituzionale anche delle università, delle
istituzioni di alta cultura e delle accademie, soggetti che possono darsi autonomi
ordinamenti nei limiti stabiliti dalle leggi dello Stato (ciòè previsto dall’art. 33 Cost.). Altra
categoria di enti pubblici è costituita dagli enti pubblici economici, ossia quegli enti che operano nel
campo della produzione e dello scambio di beni e servizi svolgendo attività
prevalentemente o esclusivamente economiche. Importante anche la classificazione contenuta nella
L.70/1975, che in ordine agli enti statali non economici pone una regolamentazione omogenea
attinente al rapporto di impiego, alla gestione contabile, alla nomina degli amministratori e al
controllo ministeriale. Un'ulteriore ed importante categoria di enti è costituita dagli enti
territoriali ai quali si contrappongono gli enti non territoriali. I primi sono quelli di cui il
territorio è uno degli elementi costitutivi, come tale essenziale perl'esistenza dell'ente e non
considerato semplicemente ambito spaziale che ne delimita lasfera d'azione. Enti non territoriali
sono tutti gli altri, denominati anche enti istituzionali, alcuni dei quali acarattere nazionale, altri
locale. Per quanto riguarda le relazioni intercorrenti tra gli enti, un primo tipo di
relazione intersoggettiva è quello relativo alla strumentalità strutturale ed organizzativa di un ente
nei confronti di un altro ente, nella quale il primo viene a rivestire una posizione sotto alcuni profili
simile a quella di un organo.Questa situazione implica che l'ente principale disponga di una serie di
poteri di ingerenza nei confronti dell'ente subordinato.Un secondo tipo di relazione
intersoggettiva comprende enti dotati di una posizione di maggior autonomia, che pur non
trovandosi in una situazione di strumentalità organizzativa e strutturale così marcata, svolgono una
attività che si presenta come rilevante per un altro ente pubblico territoriale, in particolare per lo
Stato. La dipendenza e la strumentalità hanno dunque natura funzionale, anche se comportano
l’assoggettamento dell'ente ad una serie di controlli e di condizionamenti dell'attività; in questa
tipologia viene compresa la S.I.A.E. e gli enti parastatali. Sono poi individuabili, gli enti che non si
pongono in relazione di strumentalità con lo Stato o con altri enti pubblici; in questa categoria
rientrano gli enti esponenziali di formazioni sociali, gli ordini e i collegi professionali, il C.O.N.I.,
ecc.. Il concreto contenuto di queste relazioni varia da caso a caso, dipendendo dal tipo di poteriche
lo Stato può esercitare nei confronti dell'ente. Tali poteri possono essere di vigilanza e di direzione.
La vigilanza era tradizionalmente considerata una figura organizzatoria caratterizzata da
poteri di ingerenza costituiti in particolare dal controllo di legittimità di un soggetto sugli attidi un
altro. Invero, il suo contenuto non si esaurisce nel mero controllo estrinsecandosi anche
nell’adozione di una serie di atti quali ad esempio l’approvazione del bilancio, la nomina
di commissari straordinari, ecc. Quindi tra vigilanza e potere di controllo vi è differenza perché la
vigilanza si esplica anche mediante attività di amministrazione attiva. La vigilanza non è
dunque una vera e propria relazione organizzativa, bensì un poterestrumentale esercitabile
anche all'interno di altre relazioni intersoggettive, talune delle quali neppure attinenti ad enti
pubblici. La direzione è caratterizzata da una situazione di sovraordinazione tra enti che implica il
rispetto da parte dell'ente sovraordinato, di un ambito di autonomia dell'ente subordinato. In
particolare, la direzione si estrinseca in una serie di atti (le direttive) che determinanol'indirizzo
dell'ente, lasciando allo stesso la possibilità di scegliere le modalità attraverso le quali conseguire
gli obiettivi prefissati dalle relazioni stabili e continuative occorre tenere distinti i rapporti che di
volta in volta possono instaurarsi tra enti. Un'ulteriore rapporto è quello di sostituzione, istituto
mediante il quale un soggetto è legittimato a far valere un diritto, un obbligo o un'attribuzione
che rientrano nella sfera di competenza di un altro soggetto, operando in nome proprio sotto la
propria responsabilità. Le modificazioni giuridiche che subiscono diritti, obblighi o attribuzioni,
incidono direttamentenella sfera del sostituito, in capo al quale si producono gli effetti dell'attività
posta in esseredal sostituto. L'ordinamento disciplina il potere sostitutivo tra enti nei casi in cui un
soggetto non ponga inessere un atto obbligatorio per legge o non eserciti le funzioni
amministrative ad essoconferite e la giurisprudenza sottolinea che il legittimo esercizio del potere
di sostituzionerichiede la previa diffida e deve rispettare il principio della leale collaborazione. Il
potere sostitutivo in caso di inerzia può essere esercitato direttamente da un organo
dell'ente sostituto o da un commissario nominato dall'ente sostituto. Occorre fare cenno anche alla
delega di funzioni amministrative, figura che, secondo quantodisposto dall’art. 118 Cost. nella sua
vecchia formulazione, ricorreva nei rapporti tra Stato eRegioni e tra Regioni ed enti locali. La
riforma attuata nel 2001, sostituendo l’art. 118 Cost., non fa più cenno a questa figura. É stato
invece costituzionalizzato l’istituto del conferimento di funzioni amministrative ai varilivelli di
governo locale sulla base dei “principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza” in
un quadro comunque caratterizzato dal fatto che gli enti locali sono “titolari” delle funzioni. La
privatizzazione degli enti pubblici indica il processo di trasformazione del soggetto pubblico in
soggetto di diritto privato. La scelta di privatizzare gli enti pubblici è sostenuta da una pluralità di
ragioni. In particolare, quando tale vicenda comporti la trasformazione dell'ente in società per
azioni, questa è in grado di reperire capitale di rischio sul mercato ed ha una snellezza d'azione
maggiore. Le ragioni della privatizzazione però non sono da rinvenire esclusivamente sul piano
della convenienza economico-politica dello Stato, ma sono anche influenzate dall'UE la
quale impone il divieto di discriminazione tra gli operatori economici e tende a ridurre gli ambiti nei
quali i soggetti pubblici agiscono in posizione di monopolio. La privatizzazione, inoltre, è
stata introdotta anche al fine di ridurre l'indebitamento finanziario. Le tappe fondamentali
della privatizzazione sono riconducibili a due fasi. Nella prima fase l'ente pubblico viene
trasformato in società per azioni con capitale interamente posseduto dallo Stato (cd. fase
fredda della privatizzazione o privatizzazione formale); essendo lo Stato il titolare del
pacchetto azionario, mantiene il controllo della società. Successivamente si procede alla
dismissione della quota pubblica (cd. fase calda o privatizzazione sostanziale). Quest'ultima
tappa deve garantire procedure trasparenti e non discriminatorie. Di regola si assiste ad una
privatizzazione soltanto formale, senza intaccare la sostanza della persona giuridica in quanto lo
Stato continua a mantenere un controllo per cui non si realizza un’effettiva gestione degli interessi
pubblici da parte della struttura privatizzata. È ovvio che il risultato che si conseguirebbe con la
privatizzazione sostanziale è che lo Stato rinunci al suo ruolo di imprenditore, con
conseguente ritrazione del condizionamento pubblicistico nell'economia. D'altra parte, in alcuni
settori strategici come difesa, trasporti e altri servizi pubblici, la l.474/1994 ha cercato di
mantenere un controllo pubblico sul soggetto privatizzato: sia subordinando la
privatizzazione delle società pubbliche operanti nei suddetti settori allacreazione di
organismi indipendenti di regolazione, sia riconoscendo allo Stato in qualità disocio pubblico i cd.
golden share, una sorta di potere di veto sulle operazioni più significative e strategiche della società
privatizzata. Successivamente, con la l. 56/2012 i golden share sono stati trasformati in golden
power, poteri speciali di veto che non sono più legati né alla qualità di azionista né alla vicenda
dellaprivatizzazione, ma che possono essere esercitati nelle situazioni di minaccia di un
gravepregiudizio per la difesa e la sicurezza nazionale. L’attività organizzativa degli enti pubblici si
deve svolgere, in primo luogo, nell'osservanza della Costituzione. L’amministrazione, per svolgere
tale attività, necessità di un insieme di strutture e di mezzi personali e reali che vengono impiegati
per la realizzazione dei propri fini. A tal riguardo è stato osservato che l'art. 97 Cost. (il
quale si riferisce letteralmente all’organizzazione) può essere letto come norma di ripartizione
della funzione di indirizzo politico tra Governo e Parlamento: poiché l'attività di organizzazione è
espressione di quella di indirizzo, si desume la sussistenza di una riserva di organizzazione in capo
all’esecutivo, il quale può così modellare le proprie strutture in ragione delle esigenze mutevoli che
si trova adover affrontare. La legge costituisce comunque fonte primaria di disciplina della materia
organizzativa: essa deve rispettare i principi di imparzialità e buon andamento ma non può
comprimere del tuttogli spazi di organizzazione riservati all'esecutivo. Un riconoscimento espresso
di potestà di organizzazione in capo all’amministrazione è per esempio operato dall’art. 17, lett. d,
L. 400/1988 che disciplina la figura dei regolamenti governativi disciplinanti l’organizzazione e il
funzionamento delle amministrazioni pubbliche secondo ledisposizioni di legge. L’art. 97 Cost. si
riferisce all’amministrazione statale, ma si ammette l’applicabilità dei principi desumibili dallo
stesso all’amministrazione nel suo complesso. Il modello si ripropone anche per gli enti locali.
Secondo l’art. 117, c.2, lett. p), Cost. spetta alla legge dello Stato (e non della Regione) la disciplina
degli organi di governo e delle funzioni fondamentali di comuni, province e città metropolitane. Gli
enti locali possono dunque specificare le attribuzioni soltanto degli organi diversi da quelli di
governo. Inoltre, ai seni dell’art. 117 comma 6, Cost., tali enti hanno potestà regolamentare in
ordine alla disciplina dell'organizzazione dello svolgimento delle funzioni loro attribuite. In questo
caso, a differenza di quanto accade per lo Stato, vi è quindi un riconoscimento costituzionale della
riserva di organizzazione, essi godono inoltre di potestà statutaria. In linea di principio, lo statuto
fissa le linee organizzative di base, mentre i regolamenti locali di cui al sesto comma, disciplinano
l'organizzazione con riferimento all'esercizio di specifiche funzioni. Questi regolamenti possono
essere adottati solo dagli enti locali, restando escluso qualsiasi potere sostitutivo suppletivo della
Regione: si configura quindi una riserva di regolamento costituzionalmente protetta. Accanto alle
norme giuridiche di organizzazione debbono poi essere ricordati gli atti di
organizzazione non aventi carattere normativo, quali gli atti di istituzione di enti, di organi e uffici.
Il potere di organizzazione è oggi espressamente disciplinato agli artt. 2 e 5 D. lgs. 165/2001. La
prima norma afferma che le amministrazioni pubbliche definiscono, secondo principi
generali fissati da disposizioni di legge e, sulla base dei medesimi, mediante atti organizzativi
secondo i rispettivi ordinamenti, le linee fondamentali di organizzazione degli uffici, indicando
anche i principi cui le amministrazioni debbono ispirarsi. La seconda norma stabilisce che le P.A.
assume ogni determinazione organizzativa al fine di assicurare l’attuazione dei principi di cui alla
norma precedente e la rispondenza al pubblico interesse dell’azione amministrativa. L’attività di
organizzazione si svolge dunque su molteplici livelli: la legge, gli atti amministrativi di
organizzazione e le concrete determinazioni assunte dalle singole amministrazioni nel
rispetto delle leggi e degli atti organizzativi.