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Per una teoria educativa dell’indagine

Maura Striano
1. Premessa: i presupposti epistemologici di una “fonte” logica per la scienza dell’educazione
L’interesse di Dewey per la logica matura in un particolare momento storico-culturale e si pone in stretta
relazione con l’impegno educativo. L’esperimento della scuola laboratorio ha contribuito a fondare la sua
riflessione pedagogica su una base scientifica, rendendo visibile la relazione esistente tra teoria e prassi,
sperimentazione e riflessione nella pratica educativa. I problemi che si poneva riguardavano cosa e come
fare a portare la scuola in una relazione più stretta con la vita domestica e del territorio circostante, per
rompere le barriere che separavano la vita scolastica dal quotidiano del bambino. Inoltre, Dewey, si
chiedeva come portare le materie di studio nella vita dei bambini con valore positivo, come qualcosa che
valesse la pena acquisire, coniugandole con le esperienze di ogni giorno. Come osserva Burnett, i problemi
educativi sono esplorati in due prospettive: come coordinare aspetti dell’indagine logica con la maturazione
fisiologica e psicologica; come realizzare un ordine sociale ricco e dinamico. La risposta che fornisce Dewey,
è che la necessità di un ordine sociale diventa un bisogno educativo se identifichiamo le competenze, le
conoscenze e gli strumenti cognitivi necessari per costruire e mantenere tale ordine. Può essere raggiunto
quindi solo quando un maggior numero di individui diventa capace di confrontarsi con i problemi sociali
emergenti all’interno dei campi di esperienza e di relazione umana in modo ragionevole e riflessivo, nella
misura in cui le condizioni sono tali da favorire il padroneggiamento degli strumenti funzionali a tale
esplorazione. Ciò significa che il principale obiettivo educativo per ogni società deve essere l’acquisizione di
un responsabile metodo di indagine. Il metodo di esplorazione è anche metodo per sostenere
l’apprendimento e la costruzione della conoscenza all’interno dei contesti educativi, tenendo conto dei
bisogni degli studenti. Il presupposto di un laboratorio educativo è che solamente agendo sulla base di
quanto già si conosce si possa scoprire di più; la scuola può diventare una stazione sperimentale per
l’educazione, incoraggiando la libertà di indagine e agendo onestamente sulle condizioni senza distorsioni.
Lo spirito di indagine può essere acquisito attraverso l’attitudine all’indagine. Il bambino deve apprendere
ciò che allarga i suoi orizzonti, deve familiarizzare con cose che hanno per lui una verità attuale. Attraverso
l’esperienza della scuola laboratorio, Dewey viene a intendere l’educazione come pratica atta a dirigere e
facilitare attività indirizzate a realizzare progressivamente un uno organizzato e riflessivo di forze e
potenzialità dell’individuo, sulla scorta di interessi e problemi emergenti dall’esperienza umana. Egli scrive,
in The school and the society:“il bambino è già intensamente attivo e la questione dell’educazione consiste
nel prendersi cura delle sue attività e di dare ad esse una direzione [così] esse tendono verso risultati
apprezzabili”. Questo aggiunge e arricchisce l’idea del “tirar fuori” dell’educatore, anche se già era un passo
avanti alla precedente concezione del “metter dentro”. In questa prospettiva, l’educazione è una pratica
che può sostenere la crescita attraverso l’attività e la riflessione innalzando il potere della mente: “Questa
crescita è un processo naturale. Ma l’appropriato riconoscimento ed uso di tale processo è il problema
dell’istruzione”; una persona capace di attenzione riflessiva e di tenere a mente problemi può dirsi educata
intellettualmente ed ha disciplina mentale; alcune delle difficoltà possono essere banalmente indicate
come errori nel campo dell’istruzione comunemente intesa; “troppo spesso si dà per scontato che si possa
dare direttamente attenzione a qualsiasi tipo di disciplina, se soltanto ci sono volontà e disponibilità
adeguate e il fallimento è considerato un segno di scarsa volontà”. Ma solo grazie ai dubbi presenti nella
mente come base dell’attenzione, l’attenzione può essere riflessiva. “La vera attenzione riflessiva implica
sempre giudizio, ragionamento, deliberazione, il che significa che il bambino ha una domanda propria, ed è
attivamente impegnato nel cercare e selezionare materiale con cui dare risposta a questa domanda. Il
problema è suo e quindi anche l’impeto, lo stimolo attentivo è suo; di conseguenza anche la formazione è
sua, è disciplina, potenziamento del controllo, è abitudine ad esplorare i problemi”. Le due formalizzazioni
connotative del pensiero deweyano, chiudono il cerchio speculativo in una sintesi teoretica con la teoria
dell’esperienza e la teoria del pensiero. I principali interrogatici deweyani riguardano l’insorgenza dei
processi logici e le condizioni antecedenti alla loro emergenza. Emergenza che radica profondamente
l’indagine nell’esperienza umana, nucleo fondante di ogni processo di formazione. L’approccio allo studio
della struttura del pensiero umano è naturalistico poiché parte dalle sue condizioni di sviluppo, organiche
ed empiriche. La Logica, riconosciuta come scienza empirica, naturalistica e sociale, diventa una fonte
essenziale per la scienza dell’educazione, alimentata da una visione del pensiero come processo
contestualmente situato ed empiricamente determinato; egli esplora la fenomenologia del pensiero per
ottenerne un quadro speculativo unitario. In questa prospettiva, l’indagine richiede di essere esplorata sia
nelle sue implicazioni culturali e sociali sia nella sua struttura cognitiva e logica, per poter diventare un
dispositivo efficace su diversi livelli. L’interesse pedagogico di Dewey è sociale nella misura in cui egli vede
che le società possono svilupparsi solo grazie ad adeguati sistemi educativi che rispondano ad effettivi
bisogni che sviluppino attitudini ed abilità funzionali a sostenere l’organizzazione sociale. Ma è anche un
interesse epistemologico nella misura in cui il focus principale è sul processo di costruzione delle credenze,
delle idee e delle conoscenze sottese alle strutture sociali, considerate prodotto dei processi educativi e al
contempo forze portanti del cambiamento e della crescita individuale e collettiva. La forte relazione tra la
pedagogia e la logica nasce sulla base dell’interesse educativo per le forme mentali sottese alla costruzione
del tessuto culturale e delle strutture cognitive implicate nei processi di sviluppo sociale. Come dice lo
stesso Dewey nella Preface, la teoria dell’indagine è indirizzata a un pubblico ampio ed eterogeneo
accomunato dall’interesse a comprendere la struttura costitutiva del pensare umano. Ci si muove
all’interno di un pensiero concreto ed empirico. Le fonti del sapere logico, quindi, sono di tutti i tipi,
riguardano i saperi dell’uomo con cui egli esplora e indaga il mondo costruendo su di esso credenze e
conoscenze condivisibili e negoziabili. La logica, in conclusione, dialoga con la pedagogia in quanto può
costituirne essa stessa una fonte e in quanto si propone come un sapere dalle forti valenze formative. (vedi
punti pagine 20-21).

2. La teoria dell’indagine come metafora e modello della formazione umana


Premettiamo che per Dewey i processi educativi richiedono di essere indagati facendo riferimento a una
teoria dell’esperienza e a una teoria del pensiero, altrimenti nessuna esperienza può essere educativa.
L’americano, esplicita la matrice essenziale dell’indagine come avente sia fondamenti naturali e biologici sia
fondamenti culturali e configura la teoria dell’indagine come scienza empirica, fondata su una
epistemologia transazionale del soggetto col suo ambiente, attraverso progressivi adattamenti che
determinano una co-evoluzione parallela. La Loigc si inscrive all’interno di un contesto che Hart definisce
una “ecologia dell’esperienza umana”, riferendosi al naturalismo emergente del concetto di emergenza che
va dalla contestualità alla matrice organica. Dewey, da naturalista, si pone come oggetto di studio la
morfologia dell’indagine ed il suo obiettivo è di mostrare le condizioni in cui le forme logiche si
determinano e si sviluppano, evidenziando la loro specifica funzione, la loro dipendenza dai contesti
ambientali e la loro azione trasformativa su di essi. Così le operazioni logiche complesse sono viste come
emergenze o sviluppi derivanti dalle risposte più semplici della vita organica. La ricerca dell’autore si
realizza attraverso l’uso di un metodo bio-antropologico di “indagine sull’indagine”, che riconosce l’esperire
umano come condizione di possibilità di processi logici, biologicamente e culturalmente determinati. Il
costrutto di processo formativo è il processo contestualmente e culturalmente situato attraverso cui il
soggetto apprende e rielabora la propria appartenenza al genere, ma è anche il processo di socializzazione
attraverso istituzioni ed ordini simbolici; ed è processo di crescita personale e interiore in costante rapporto
con l’oggettività sociale e culturale. Il processo di formazione è naturale, unitario e integrato e si articola
simultaneamente attraverso variabili generative e specifiche che si intrecciano su un piano verticale e
orizzontale; per comprenderne la natura e l’articolazione, la ricerca pedagogica deve riferirsi a una
molteplicità di strumenti e metodi per indagarlo nelle sue fasi e forme. L’indagine è una metafora
rappresentazionale del processo di formazione esplorativo e nei vari ambiti d’esperienza, formali, non
formali o informali. L’attenzione si pone sull’attività del soggetto e sul suo sviluppo nella storia attraverso
una serie di eventi, azioni e interazioni che costituiscono le trame dell’oggettività su cui il soggetto è posto
come componente attivo. L’indagine è anche un modello per la formazione umana, ovvero uno schema che
salda in una medesima configurazione concettuale la componente teleologica con quella pratica. In questo
senso, l’indagine, può essere utilizzata come modello sia in senso finalistico che pratico perché configura la
formazione come autodeterminazione, riflessione, esplorazione di diverse possibilità e crea le condizioni
per la realizzazione pratica dell’agire educativo, come dispositivo di crescita che si innesta all’interno dei
processi formativi. L’esperienza è il “definitivo contesto normativo della vita umana in quanto i suoi schemi
di interazione e di emergenza sottendono e danno forma al nostro sviluppo” e generano l’emergenza di
forme logiche di diversa complessità. “Lo stato di alterato equilibrio costituisce il bisogno. Il movimento
verso il suo ritrovamento è ricerca o esplorazione”. In questi termini, la vita è considerabile come un
alternarsi di squilibri ed equilibri, in cui i processi logici rappresentano un’evoluzione dell’adattamento: “il
logico si connette col biologico in un processo di sviluppo continuo”. Un altro importante presupposto è
che “la struttura e lo svolgimento del comportamento vitale risponde a un modello preciso, spaziale e
temporale, che rispecchia quanto succede nell’apprendere e nello scoprire. L’indagine nel sistemare la
relazione perturbata organismo-ambiente (che determina il dubbio), non si limita rimuovere il dubbio
ristabilendo la primitiva integrazione di buon adattamento. Essa provoca nuove condizioni ambientali che
sono occasione di nuovi problemi. La Logica deweyana si fonda su presupposti fenomenologici ed empirici:
la condizione di possibilità di ogni forma di indagine è la presenza di situazioni non definite ed
indeterminate con cui gli individui devono confrontarsi attraverso una serie di dispositivi e strumenti. I
metodi dell’indagine possono essere applicati solo a problemi reali che emergono da una situazione
riconosciuta come problematica; l’indagine risponde sempre a una necessità di chiarire le situazioni
indeterminate, per ottenere definizioni che possano guidarci nelle esperienze future. Se essa comincia con
il dubbio, “termina con l’istituzione di condizioni che rimuovono la necessità del dubbio”. “La situazione
indeterminata viene ad esistere a partire da cause esistenziali proprio come accade con la condizione
organica della fame”; in esse non v’è niente di cognitivo sebbene “siano la condizione necessaria delle
operazioni cognitive ovvero dell’indagine”. Le situazioni sono sistemi ecologici o loro frammenti che in
condizioni contestuali generano particolari processi di indagine. I sistemi sono funzionali ed esistenziali e
allargano il campo di interazioni con il mondo ambientale dell’organismo, il quale prima funzionava in
termini di sopravvivenza. Per Dewey ci sono quattro basilari tipi di relazione che segnano lo sviluppo del
processo di indagine: connessione, profonda relazione esistenziale con un oggetto o una situazione;
inferenza, ciò che era stato originariamente considerato come oggetto viene trattato come dato;
implicazione, avvio di un discorso su un oggetto o situazione che introduce la relazione simbolo/significato;
riferimento, effettiva relazione di simboli e significati con l’esistenza. Con il termine “ufficio”, Dewey
intende indicare l’occupazione della logica che ha il compito di fare in modo che dall’esperienza emergano
significati condivisi e negoziabili. Il significato è prima di tutto una proprietà del comportamento, una
questione di intenti che si configura come modo inerentemente generalizzabile di agire in riferimento agli
oggetti. È importante ricordare che ttte le esperienze possono generare crescita cognitiva se al loro interno
il pensiero riflessivo è stato sostenuto in modo rigoroso. Perché esse abbiano un forte potenziale educativo,
devono sostenere l’acquisizione e lo sviluppo di strumenti concettuali e di metodologie di indagine. Le
“implicazioni esistenziali” sono connessioni nell’esperienza diretta avvertite come “significazioni” quando
sono riformulate come relazioni. L’emergenza del processo simbolico consente di trovare relazioni e nessi
tra i diversi campi dell’esperienza e tra diverse situazioni in cui siamo implicati, costruendo giudizi che
determinano la produzione di sistemi di credenze organizzate in un tessuto di saperi condivisi. Dewey vede
una strettissima relazione tra i contenuti e il processo che ne consente la costruzione logica: la logica è
interconnessa a un contenuto di conoscenza e ad un processo storico nella misura in cui un contenuto è
sempre implicato nella pratica, e la pratica è sempre un’occorrenza storica. Nella misura in cui i saperi
evolvono attraverso una trasformazione dei metodi che sostengono i processi di costruzione, condivisione e
uso della conoscenza, la teoria logica ci consente di comprenderne la genealogia e lo sviluppo e ci permette
di prefigurarne le ricadute in termini riflessivi. Inoltre dà l’opportunità di mettere a fuoco le condizioni
contestuali che potrebbero limitare o vincolare l’esercizio dell’indagine. L’indagine è “un universo di
esperienza nel cui interno va articolandosi un universo di discorso”.

3. La teoria dell’indagine come modello del pensiero individuale


La ricerca viene evidenziata nella Logic, nella sua dimensione storica e fattuale, come dispositivo di
riflessione e di ricostruzione dei campi del sapere, di allargamento di prospettive. “l’importanza del
linguaggio come condizione necessaria e sufficiente del sussistere delle attività si fonda sul fatto che esso è
un modo di comportamento strettamente biologico ed obbliga l’individuo a mettersi dal punto di vista degli
altri e a vedere le cose e indagarle secondo una visuale non strettamente personale. Dewey descrive
l’indagine come “la trasformazione controllata o diretta di una situazione indeterminata in altra che sia
determinata, nelle distinzioni e relazioni che la costituiscono, in modo da convertire gli elementi della
situazione originaria in una totalità unificata”. La precondizione dell’indagine prevede che all’incontro di
una situazione indeterminata sia richiesta l’identificazione di specifiche risposte e ciò impone di anticipare
le conseguenze che queste porteranno. Il problema postosi dalla riconfigurazione della situazione offrirà
una molteplicità di piste euristiche funzionali a individuare una possibile soluzione. Da una di queste piste
scaturisce il ragionamento attraverso il quale vengono messe in relazione le ipotesi formulate con le
possibili soluzioni prefigurate. Le idee, quindi, vengono sviluppate in termini operativi delineando corsi
d’azione che richiedono osservazione e monitoraggio. L’indagine si configura come un processo naturale
costitutivo dell’esistenza di tutte le forme viventi; l’uomo è quindi biologicamente e geneticamente
determinato a compiere sistematiche esplorazioni nella realtà in cui vive e prende forma, e la sua crescita si
realizza attraverso un passaggio sistematico e progressivo a procedure sempre più complesse di indagine.
Tali procedure si attualizzano nella transazione empirica tra l’uomo e l’ambiente fisico. L’indagine
incomincia col dubbio e termina con la istituzione delle condizioni che rimuovono il bisogno del dubbio. La
credenza ha sempre a che fare con un soggetto e un contesto, quando invece si cerca un termine generale
astratto che indichi le forme di conoscenza prodotte dall’indagine bisogna parlare di “asseribilità garantita”.
Nella visione di Dewey la coltivazione di attitudini contribuisce ad innalzare i livelli di consapevolezza e di
conoscenza e quindi la realizzazione di un pieno sviluppo umano e sociale; la coltivazione del pensiero
riflessivo, matrice dell’indagine scientifica, è il fine primario e imprescindibile. L’educazione gioca un ruolo
cruciale e determinante nella coltivazione del pensiero: “il pensiero è solo il metodo di fuga da azioni
impulsive e routinarie. Un essere senza capacità di pensare si muove solo sulla base di istinti […] sollecitati
da condizioni esterne e dallo stato interno dell’organismo. […] dove c’è il pensiero le cose presenti
funzionano come segni o valuta di cose di cui ancora non si è fatta esperienza. Un essere pensante può, di
conseguenza, agire sulla base di ciò che non c’è e del futuro” (Dewey, How we think). “La mente
disciplinata, o forata dalla logica è la mente capace di giudicare quanto ciascuno dei passaggi del pensare
debba essere sviluppato in ciascuna specifica situazione. Ogni caso deve essere trattato quando si presenta,
in base alla sua importanza e del contesto in cui si verifica. “La mente formata è quella che coglie meglio la
formazione delle idee e il ragionamento, per questo essa deve essere sensibile ai problemi ed attrezzata nei
metdi di analisi e solzione degli stessi”.

4. Da una teoria educativa del pensiero ad una teoria educativa dell’indagine


La disciplina della mente è soprattutto disciplina del pensiero inteso come processo logico che si sviluppa
attraverso diversi stadi. Per questo per Dewey è molto importante comprendere come funziona il pensiero
per vedere come esso possa essere potenziato e sviluppato nei contesti educativi. Per poter spiegare lo
sviluppo degli stadi del pensiero logico, Dewey si rivolge all’evoluzione del processo di indagine. Lo stadio
iniziale è quello in cui il dubbio viene difficilmente tollerato ma non ci si intrattiene con esso; è un intruso di
cui liberarsi. Lo sviluppo di suggestioni alternative e competitive con la formazione delle idee, procede poco
successivamente. La mente si sofferma sugli strumenti più a portata di mano o più convenienti per
rimuovere il dubbio e riacquisire sicurezza. All’altro capo vi è la ricerca definitiva e consapevole di problemi
e lo sviluppo di metodi di indagine elaborati. Quando l’autore, inizia a concepire la teoria logica come una
teoria dell’indagine, scrive che: “il pensiero ha il suo punto di partenza dall’esperienza dell’avvertimento
della difficoltà in una situazione in cui le parti sono attivamente in lotta una contro l’altra tanto da
minacciare di distruggere la situazione che coerentemente con il suo mantenimento richiede la deliberata
ridefinzione e messa nuovamente in relazione delle sue parti tensionali. Questa ridefinizione è il processo
costruttivodenominato pensiero”. Nella prefazione di How we think, Dewey, evidenzia la necessità di
assumere come meta finale dello sforzo educativo quella “attitudine mentale che siamo soliti denominare
pensiero scientifico”. È una forma di pensiero riflessivo: sistematico, continuativo, consequenziale,
orientato ad una conclusione che consente di “ripiegarsi mentalmente su un soggetto e nel rivolgere ad
esso una seria e continua considerazione”. Come precisa, “la riflessione non implica soltanto una mera
sequenza di idee, bensì una ‘conseguenza’ di idee” in cui ognuna di esse determina la successiva e ciascun
risultato si appoggia a quelli che lo precedono. Le parti successive di un pensiero riflessivo nascono l’una
dall’altra e si sostengono a vicenda. Il pensiero rende possibile l’azione accompagnata da uno scopo
consapevole. Da ciò derivano due importanti motivazioni della necessità di educare il pensiero: liberare
l’uomo dalla sottomissione all’istinto; e realizzare le migliori possibilità dell’uomo dirigendo il pensiero nella
direzione che gli consente di evitare, per quanto possibile, errori procedurali nella costruzione e nell’uso
della conoscenza. Lo studio di Dewey si configura come un’indagine sulla storia naturale del pensiero, sul
farsi della mente intesa come programmadi una realizzazione di se stessa. Il processo educativo si realizza
come attraverso lapenetrazione dell’intelligenza nei modi fondamentali dell’attività umana. L’elemento
logico non è che il pensiero stesso nella sua fase educata che sostiene la possibilità di compiere
sperimentazioni. Pensare diventa il tentativo intenzionale di scoprire delle connessioni specifiche fra
qualcosa che facciamo e le conseguenze che ne risultano, in modo che le due diventino continue. “Pensare
equivale pertanto ad un cosciente estrarre l’elemento intelligente dalla nostra esperienza”. Di
conseguenza, la riflessione implica anche una accettazione di responsabilità, un interesse per il risultato e
una identificazione del nostro destino in esso. “Tutto il pensiero è ricerca ed ogni ricerca è nativa, originaria
per colui che la effettua, anche se il resto del mondo è già sicuro di quello che egli sta ancora cercando”. È
evidente qui la configurazione tensionale del pensiero, la sua precarietà e la sua struttura euristica che se
sostiene le direzioni di senso: “tuto il pensiero implica un rischio […]l’invasione dell’ignoto ha la qualità
dell’avventura”. La tensionalità è anche pratica oltre che euristica, poiché il pensiero è connesso con un
aumento di efficienza nell’azione che ci fa imparare un po’ di più su noi stessi e sul mondo. il pensiero sta
assumendo una funzione di orientamento riflessivo all’azione ma anche auto-regolativa. “l’unica via diretta
per il miglioramento permanente dei metodi di istruzione e dell’insegnamento consiste nel concentrarsi
sulle condizioni che esigono, promuovono e mettono alla prova il pensiero. […] il pensiero è il metodo, il
metodo di un’intelligente esperienza nel suo svolgimento”. In The quest for Certainty, Dewey considera
l’attività di pensiero come passaggio concreto da ciò che problematico a ciò che è certo in quanto
intenzionalmente guidato; il pensiero si manifesta come particolare modo di condotta sociale. È chiaro che
un amente disciplinata potrà godere dei problemi poiché se ne alimenta per ulteriori sviluppi. La
coltivazione della mente quindi si realizza nel confronto cn situazioni che richiedono impegno intenso e
pieno coinvolgimento. Il movimento di definizione della mente verrà poi descritto come “indagine”
oggettiva. La teoria dell’indagine è “indagine sull’indagine”, e quindi nient’altro che una articolata teoria del
pensiero riflessivo. Si rinvia sempre ad un soggetto indagatore e ad un contesto, ovvero a un campo di
esperienze problematiche in cui si configurano occasioni di indagine. Tutte le forme logiche sono prodotti
del pensiero e sono impiegate nel controllo dell’indagine stessa. La teoria logica si configura come
un’analisi critica dettagliata delle procedure di indagine utilizzate in un determinato contesto socio-
culturale e momento storico, riconosciuto efficaci da una comunità e portate a sistematizzazione
scientifica. Oggetto della Logica sono i processi di indagine realizzati attraverso l’esercizio del pensiero
riflessivo. La teoria dell’indagine può essere una risposta alla necessità di trovare un metodo unificato per
l’esperienza di senso comune e la scienza, sul principio della continuità che si presenta come una linea che
va “dalle forme meno complesse alle forme e funzioni più complesse della vita”. Questa continuità è
presente nello stesso processo di indagine come una realtà in sviluppo evolvente da semplici abitudini
inferenziali pressoché inconsapevoli ad altre più complesse e sofisticate (= evoluzione del pensiero
riflessivo in processo di indagine). Ogni processo di indagine si inscrive necessariamente all’interno di un
sistema antropologico e culturale e di esso si alimenta, contribuendo a trasformarlo. Infatti “l’ambiente in
cui gli esseri umani vivono agiscono e compiono indagini non è semplicemente fisico” ma anche culturale
timonato dai significati che sono stati sviluppati nel corso della vita. Solo padroneggiando gli strumenti
culturali dell’indagine diventapossibile esplorare e conoscere i diversi campi di esperienza sociale, in cui
vengono formulate ipotesi, sostenute credenze e generate conoscenze. Il modello dell’inquiry rappresenta
il lascito più significativo all’educazione come dimensione dell’esperienza in cui si generano processi di
crescita, si alimentano nuovi significati.

5. La teoria dell’indagine come modello di pratica educativa: la comunità di ricerca di Lipman


Dewey individua una profonda relazione esistente tra filosofia ed educazione che si fonda sul ruolo
esistenziale, educativo, culturale e sociale della filosofia insieme al ruolo dell’educazione di dispositivo di
sviluppo sociale. In Democracy and Education, la filosofia viene definita come “pensiero consapevole di se
stesso” che ha “generalizzato il suo posto, il suo valore, la sua funzione nell’esperienza”. La filosofia è
quindi un processo fondato su base esperienziale e un processo di indagine socialmente costruito che si
declina come dispositivo di crescita, emancipazione, sviluppo a livello individuale e collettivo. L’educazione
si sviluppa attraverso un processo di ricostruzione dell’esperienza individuale e collettiva e della struttura
interna della speculazione filosofica intesa come vero e proprio processo educativo. Ad un livello teoretico
la filosofia è concepita come una “teoria generale dell’educazione” e ad un livello prativo viene assegnato
alla filosofia una funzione educativa. “La filosofia – scrive Dewey –può rendere più facile all’umanità
compiere passi giusti verso l’azione”. Essa si definisce come dispositivo di riflessività sociale funzionale alla
costruzione/negoziazione di significati socialmente condivisibili, nonché alla razionalizzazione ed
all’orientamento di azioni intelligenti attraverso una molteplicità di forme di pensiero critico; in questi
termini, si concretizza come funzione di sviluppo sociale, di promozione, di emancipazione. Lo studio della
filosofia “avvicina gli studenti alle forze che creano le idee e le rendono potenti, e dovrebbe aumentar ein
essi competenza esperta nell’uso degli strumenti attraverso cui le idee guida dell’umanità sono prodotte e
validate”. Accedere alla filosofia attraverso l’educazione significa acquisire competenze che consentono di
analizzare, mettere in discussione, sottoporre a critica credenze, idee e valori. Le istituzioni educative
devono fornire gli strumenti cognitivi e comunicativi affinché tutti possano giocare un ruolo attivo e
partecipativo. Lipman mise a fuoco quelle che potevano essere le potenzialità educative ed autoeducative
della filosofia; egli era convinto che “i bambini fossero primariamente intenti alla ricerca del significato
delle cose e volevano significati da poter verbalizzare”. La filosofia è la disciplina più adatta a dare un senso
alle cose e per preparare gli allievi a pensare nell’ambito delle altre specifiche discipline. Così Lipman
delineò la prima ipotesi di curriculo formativo per l’educazione del pensiero riflessivo, che esplora tutti i
campi di esperienza umana, partendo comunque dall’idea di Dewey che l’educazione dovesse definirsi
come coltivazione del pensiero piuttosto che come trasmissione di conoscenze. L’ipotesi pedagogica di
fondo da cui parte Lipman è la possibilità di “educare il pensiero” piuttosto che di “educare a pensare”. Per
lui la filosofia è una tipologia di pratica euristica orientata alla ricerca di significati che non può prescindere
da dal riferimento contestuale e quindi l’esperienza è riconosciuta come socio-culturalmente connotata. Il
dispositivo della “comunità di ricerca filosofica” assume grande interesse pedagogico: è un termine
introdotto per la prima vola da Peirce che è stato esteso a tutti i tipi di indagine, scientifica o meno. Oggi si
parla di “convertire la classe in una comunità di ricerca in cui gli studenti si ascoltano l’un l’altro
rispettosamente, costruiscono l’uno sulle idee dell’altro, si sfidano a fornire ragioni per opinioni che
altrimenti non avrebbero un fondamento, si sostengono reciprocamente nel ricavare inferenze da quanto
viene detto e cercano di identificare le presupposizioni degli altri. Una comunità di ricerca tenta di seguire il
processo di indagine là dove esso la conduce” piuttosto che guidarla artificiosamente. Questa comunità
attualizza una rivoluzione pedagogica realizzando la ricostruzione delle abitudini e delle credenze
attraverso il processo di canalizzazione ed organizzazione che è l’indagine. Quest’indagine si presenta come
processo co-costruito in cui sperimentare il metodo di indagine e farlo proprio con funzione metodologico-
riflessiva e in cui esplorare in profondità le proprie credenze articolandosi con procedure dialogico-
argomentative. Lo spazio che si genera all’interno della comunità è insieme interindividuale e
intraindividuale in cui le relazioni messe in campo diventano patrimonio di tutti e di ciascuno e i prodotti
cognitivi realizzati sono il risultato del processo co-costruttivo di valenza educativa. Solo attraverso il
confronto collettivo infatti il pensiero individuale raggiunge maggiore consapevolezza, si affina
metodologicamente, si complessifica e acquisisce visibilità socio-culturale. È importante ricordare che per
Dewey le ipotesi e le idee prodotte attraverso un processo di indagine sono operazionali in quanto
promuovono e dirigono ulteriori operazioni di osservazione che fanno venire alla luce nuovi fatti per
organizzarli in modo coerente. Lo scopo è sempre quello di rendere l’esperienza umana sempre più
intelligente e ricca di significati. Quando questo complesso e articolato processo si estende riflessivamente
ai contesti di vita individuale, si determina l’emergenza del sapere filosofico e la sua diffusione nei diversi
campi di esperienza umana. Ciò implica che la filosofia è un processo sostenuto da strumenti cognitivi e
logici orientato alla costruzione di conoscenza dotata di asseribilità giustificata, è possibile quindi
riconoscerla come dispositivo di riflessività sociale, funzionale alla costruzione/negoziazione di significati
socialmente condivisibili nonché alla razionalizzazione ed all’orientamento di azioni intelligenti. Secondo il
modello Deweyano ogni processo di indagine parte dall’indeterminatezza dell’esperienza da cui si generano
domande e perplessità che cercheranno soluzione in ipotesi e percorsi di valutazione. Si passa quindi da
uno stato di equilibrio a uno perturbato che minaccia delle credenze consolidate. Il percorso di ridefinizione
comincia con le suggestioni, cioè le prime risposte di fronte alla situazione confusa che ci dà una prima idea
di azione simulata e prefigurazione di possibili corsi d’azione. Le suggestioni sono strettamente dipendenti
dalle esperienze pregresse, dal repertorio di saperi individuali e collettivi, dal tessuto culturale e sociale in
cui si è immersi; emergono spontaneamente zampillando alla mente con nulla di intellettuale. Nonostante
ciò sono funzionali ad orientarci verso i successivi passaggi. L’intellettualizzazione è il passaggio che
consente di trasformare l’esperienza perturbata in una situazione pensata e sotto posta a indagine. Qui il
problema viene identificato e gli elementi della situazione indeterminata diventano problematici e vengono
analizzati in un “inventario delle condizioni esistenti”. L’osservazione consente di definire i termini del
problema e di trasformare le suggestioni in idee se dimostrano di essere operazionalizzabili. Ogni idea
nasce come suggestione ma non ogni suggestione è un’idea: “la suggestione diventa idea quando è
esaminata in rapporto alla sua attitudine funzionale, alla sua capacità di fungere da mezzo per risolvere una
situazione data”. Le idee sono suggestioni controllate, guida per ulteriori approfondimenti, da cui ulteriori
osservazioni daranno luogo ad ulteriori suggestioni che trasformeranno l’idea originaria in un sentiero a
catena. Lo sviluppo delle idee viene realizzato nella fase di ragionamento in cui vengono trasformate
secondo un pattern proposizionale “se… allora” attraverso cui vengono messe in relazione con specifici
aggregati e strutture concettuali (teorie in uso). Il ragionamento crea le condizioni di possibilità per
sottoporre a verifica le idee configurandole come ipotesi da tradurre in situazione. La convalida avviene con
osservazione diretta o con esperimenti. Qualora l’ipotesi venga confermata, l’idea si consolida e si
organizza una struttura conoscitiva condivisibile. All’interno di una comunità di ricerca filosofica, il
ragionamento si configura come “conversationalreasoning” fondato su un “distributedthinking” che fa leva
sugli atti mentali (classificare, definire, discriminare ecc.) caratteristici della “deliberative inquiry” che si
pone come obiettivo quello di accordarsi su una conclusione condivisibile. “il pensiero dell’individuo è una
internalizzazione di ciò che si è verificato all’interno del gruppo” di cui egli fa parte, in un movimento dal
“sociale all’individuale” (Lipman). Il conversationalreasoning è un modo per accompagnare la comunità
dalla conversazione al piano del dialogo, che è la vera dimensione dell’incontro. Lo spazio dialogico è uno
spazio aperto in cui si confrontano prospettive interpretative della realtà come in un processo di ricerca ma
in una forma comunicativa.

6. La teoria dell’indagine come matrice epistemologica per lo sviluppo professionale: il


tirocinio riflessivo di D.A. Schӧn
Schӧn approvò la teoria dell’indagine di Dewey riferendosi alla possibilità che il modello dell’indagine
potesse essere utilizzato per lo sviluppo dell’epistemologia professionale degli insegnanti. Egli vuole
ricostruire il rapporto epistemico che gli insegnanti intrattengono con le discipline insegnate. Le pratiche di
insegnamento si propongono come processi lineari, ripetitivi e trasmissivi sottoponibili a controllo e
regolazione nella misura in cui il loro output viene identificato in contesti di conoscenza standardizzati e
privati da qualsiasi elemento di pratica. Questo rappresenta una minaccia per lo sviluppo dei processi
educativi. Di contro viene evidenziata la necessità di una svolta epistemologica possibile grazie alla teoria
dell’indagine per ridefinire il campo dell’esperienza educativa e permettere agli insegnanti di liberarsi dalla
routine e dagli schemi che limitano l’efficacia dell’insegnamento e che separano i saperi curricolari dai
saperi pratici. Il professionista dell’educazione deve poter sperimentare pratiche ed emozioni in situazioni
uniche nel loro genere; deve riflettere sui fenomeni che si trova davanti e sul modo in cui precedentemente
li aveva compresi per realizzare un esperimento che gli serva a generare una nuova comprensione del
fenomeno. L’insegnamento non può essere considerato una professione tecnica sostenuta da modelli
operativi, protocolli, “ricette” protettive e rassicuranti. Si tratta di una professione “debole”non formata da
un protocollo definito ma piuttosto che cresce nello sviluppo dell’esercizio di una forma mentis flessibile
che esplora in modo critico i contesti di pratica. Si lavora sempre sull’incerto, sul caso unico e
sull’imprevisto dimostrando che invece si tratta proprio delle forme di razionalità più “forti” all’interno del
tessuto sociale in quanto portatrici di progresso e crescita. Le situazioni in cui un insegnante si trova ad
operare sono uniche, peculiari e specifiche che non possono essere previste e organizzate nei dettagli o
agite seguendo uno schema consolidato. I problemi sono sempre novi e chiedono di essere ripensati
costantemente secondo una pluralità di sguardi e prospettive. Se un insegnante intende agire in maniera
competente deve farlo mediante una sorta di improvvisazione inventando e verificando strategie
appartenenti al proprio patrimonio esperienziale. La messa in opera di comportamenti professionali
competenti prevede il ricorso continuo all’impiego di una razionalità riflessiva, utile a processare l’efficacia
o meno dell’azione: la riflessione viene ad essere strumento guida dell’azione e se il problema non viene
risolto permette di sottoporre a verifica il processo di indagine utilizzato, individuando le scelte non
congruenti, gli errori commessi, gli interventi mancati. Nella pratica di tutti i professionisti “riflessivi” è
riscontrabile una buona dose di “abilità artistica”, cioè un esercizio di intelligenza in forma di indagine
traducibile in un processo conoscitivo che non rispecchia modelli standard ma è ugualmente rigoroso nei
suoi termini di riferimento. Il ricorso ad una razionalità riflessiva consente di intervenire sul rafforzamento
dei livelli di consapevolezza che si accompagnano all’azione; gli insegnanti sono portati a riflettere
interrogandosi sui criteri adottati per la formulazione dei giudizi, sulle procedure attuate, sull’impostazione
e sui risultati. È chiaro adesso che gran parte del comportamento spontaneo nella pratica esperta va
determinandosi nel corso dell’azione, senza legami con precedenti operazioni cognitive. In questo modo, la
riflessione nel corso dell’azione, ci fa pensare criticamente ai processi che ci hanno condotto fin lì
permettendoci di ristrutturare le strategie e soprattutto ci consente di effettuare molto rapidamente una
analisi del nostro repertorio di esperienze e di scegliere l’operazione migliore per quella situazione. Schӧn
definisce tre tipi di sperimentazione possibili: l’esperimento esplorativo (vediamo se si fa così),
l’esperimento di impostazione del problema (vediamo se partiamo da una diversa impostazione del
problema), e l’esperimento di verifica delle ipotesi (vediamo se la mia ipotesi è corretta). Una formazione
riflessiva si traduce in un percorso di sviluppo professionale che alimenti costantemente il docente di
provocazioni e stimoli per coltivare le loro pratiche, senza che esse divengano sterili e ripetitive. Lo sviluppo
di una epistemologia riflessiva per l’insegnante si può attuare alimentando una riflessione che si traduce nel
costante esercizio di un pensiero indagativo, nella postura di chi non è mai soddisfatto di ciò che ha intorno
ma ne vuole sempre realizzare un’esplorazione più profonda. Gli insegnanti devono sempre essere
accompagnati da più sguardi che consentono loro di destrutturare, di mettere in discussione e di rivedere i
propri costrutti, in modo da costruire nuovi significati rispetto al loro agire. La scuola, in quanto comunità di
pratiche, si trasforma in “comunità di apprendimento” continuo dove l’apprendimento si configura come
nascente dalla riflessione sulle pratiche e nelle pratiche e si traduce in storie che si vanno a co-costruire e
depositare all’interno del tessuto sociale e culturale. Attraverso le storie di apprendimento le comunità di
pratica possono crescere insieme, progettando e realizzando modelli di intervento educativo rispondenti
alle reali emergenze contestuali e dal forte impatto sociale. È necessario sintonizzarsi sul contesto,
esplorarlo in profondità, farne emergere corsi d’azione attraverso una conversazione riflessiva con la
situazione. L’indagine in una prospettiva pedagogica deve considerare l’implicazione etica nell’agire
educativo in quanto strettamente connesso in senso riflessivo ai modelli d’azione contestualizzati riferiti a
norme e valori condivisi che devono essere costantemente rinegoziati e ridefiniti attraverso il processo
riflessivo.

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