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Concetti introduttivi

DIRITTO PENALE
Il diritto penale è quel complesso di norme giuridiche con cui lo Stato,
mediante la minaccia di una specifica sanzione afflittiva, detta sanzione
criminale, reprime o previene determinati comportamenti umani, considerati
contrari ai fini che esso stesso persegue.
Il diritto penale presenta i seguenti caratteri:
• positivo: è diritto penale solo quello previsto da norme giuridiche;
• statuale: le norme di diritto penale possono essere emanate soltanto dallo
Stato;
• pubblico: il diritto penale è un ramo del diritto pubblico interno;
• autonomo: il diritto penale non si limita a sanzionare condotte già vietate da
altri rami dell’ordinamento, ma tutela in modo autonomo determinati beni e/o
interessi.
Il diritto penale ha sia una funzione punitiva che preventiva.
L’inosservanza delle regole nel diritto penale viene perseguita mediante una
sanzione afflittiva, che incide sulla libertà personale, ragion per cui
l’applicazione del diritto penale rappresenta l’extrema ratio, da applicare nelle
situazioni in cui non è stato possibile ripristinare o far dissuadere i consociati
alla violazione della norma mediante altre sanzioni (civili, amministrative o di
altra natura). Al diritto penale si collegano le pene vere e proprie irrogate
dall’Autorità Giudiziaria, mentre al Diritto Amministrativo si collegano le
sanzioni amministrative, irrogate dall’Autorità Amministrativa, tranne nei casi
di connessione tra reato e illecito amministrativo, ove sono stabilite dall’Autorità
Giudiziaria.
Il diritto penale sostanziale è quel ramo del diritto pubblico che disciplina e
proibisce, mediante la minaccia di una pena, determinati comportamenti
umani, mentre il diritto penale processuale è quel ramo del diritto pubblico che
disciplina lo svolgimento del processo penale, che può portare all’irrogazione
della pena.
Il diritto penale fondamentale è il diritto contenuto nel Codice Penale, che è
suddiviso in tre libri:
• Dei reati in generale (artt. 1-240)
• Dei delitti (artt. 241-649)
• Delle contravvenzioni (artt. 650-734bis)
Il diritto penale complementare è contenuto nelle varie leggi speciali, che
prevedono autonome figure di reati.

NORMA PENALE
La norma penale è una disposizione di legge che vieta o impone determinati
comportamenti sotto la minaccia di una pena per i trasgressori, è caratterizzata
dall’imperatività, è obbligatoria ed ha carattere statuale, nel senso che proviene
soltanto dallo Stato, non è un atto autoritario dello Stato, ma è intesa come
l’interpretazione dei sentimenti e delle esigenze del popolo.
Ci sono le norme incriminatrici e le norme subordinate, si definiscono
norme penali quelle che disciplinano l’esercizio del potere punitivo da parte
dello Stato. I caratteri essenziali delle norme penali sono:
• autonomia: complesso di norme, dotato di proprie regole e principi;
• sussidiarietà: il ricorso al diritto penale è l’extrema ratio;
• frammentarietà: l’illecito penale si configura solo con riferimento a
determinate modalità di aggressione dei beni giuridici;
• necessarietà (o meritevolezza): l’intervento del diritto penale deve essere
limitato alla sfera degli interessi di maggiore importanza per la collettività, di
solito di rilevanza costituzionale.

NORME PENALI INCRIMINATRICI PERFETTE


Sono caratterizzate da due elementi: il precetto e la sanzione. Per precetto si
intende il comando o il divieto di compiere un’azione o un’omissione; per
sanzione si intende la conseguenza giuridica che deriva dalla inosservanza del
precetto.
Altre figure di norme penali sono:
• norme imperfette: contengono o precetto o sanzione;
• norme in bianco: contengono precetto generico e sanzione determinata;
• norme integratrici: non contengono ne precetto ne sanzione, limitandosi a
limitare o precisare la portata di altre norme.

DEFINIZIONE DI LEGGE PENALE


E’ legge penale sia la legge che prevede un determinato fatto come reato
comminando una sanzione penale, sia quella che prevede cause di esclusione
del reato o della pena, sia quella che precisa l’ampiezza e la portata delle
norme penali o di elementi di norme penali. Le caratteristiche della legge
penale sono la certezza o principio di stretta legalità (art. 1 c.p.),
l’obbligatorietà, (la legge penale obbliga tutti coloro che si trovano nel
territorio dello Stato), l’irretroattività, (la legge non dispone che per l’avvenire
e non ha effetto retroattivo), la territorialità (caratteristica per la quale la legge
penale è operante sul territorio dello Stato per cui trova limiti oltre che nel
tempo anche nello spazio).

FONTI DEL DIRITTO PENALE


L’unica fonte del diritto penale è la legge dello Stato.
Sono fonti immediate o dirette le leggi propriamente dette (costituzione, leggi
costituzionali e leggi ordinarie) e i provvedimenti emanati dallo Stato che
esercitano funzione legislativa.
Sono fonti mediate o indirette, gli atti amministrativi qualora costituiscano i
presupposti per poter applicare determinate norme nel diritto penale, le
convenzioni e gli usi internazionali che per acquisire forza normativa devono
essere trasformate in leggi dello Stato, il diritto straniero quando la legge
italiana ne fa riferimento.

CONSUETUDINE
La consuetudine non può costituire fonte del diritto penale, non può creare
norme incriminatrici e nuove pene, non ha il potere di abrogare una legge già
esistente, ma ha importanza nella valutazione della legge a seconda degli
ambienti sociali a cui si riferisce quando alla norma viene attribuito un carattere
elastico con le parole: onore, decoro, pudore, moralità pubblica, buon costume.

INTERPRETAZIONE
E’ quell’operazione mentale con la quale si ricerca e se ne spiega il significato
al fine di poter applicare la norma al fatto concreto. Ci sono tre
tipi: autentica (organo che l’ha
emanata), giudiziale (magistratura), dottrinale (giuristi nello studio del
diritto).
2. Principi del diritto penale
PRINCIPIO DI LEGALITA’
E’ il principio formale su cui si basa il Sistema Penale ed è fondato sul Sistema
del doppio binario, basato sia sulla pena che sulle misure di sicurezza. E'
sancito dai seguenti articoli:
- Art. 25 Cost.: "Nessuno può essere punito se non in forza di una legge che
sia entrata in vigore prima del fatto commesso. Nessuno può essere sottoposto
a misure di sicurezza se non nei casi previsti dalla legge."
- Art. 1 c.p.: "Nessuno può essere punito per un fatto che non sia
espressamente preveduto come reato dalla legge, né con pene che siano da
esse stabilite."
- Art. 199 c.p.: "Nessuno può essere sottoposto a misure di sicurezza che non
siano espressamente stabilite dalla legge e fuori dai casi dalla legge stessa
preveduti."
Il principio di legalità formale ha quattro corollari:
• Principio di riserva di legge: qualsiasi comportamento per costituire reato
deve essere previsto dalla legge e qualsiasi condotta per costituire reato deve
corrispondere alla descrizione legale, contenuta nella norma incriminatrice;
• Principio di tassatività: necessità della formulazione di una fattispecie
tipica, che specifichi ciò che è penalmente lecito o illecito;
• Principio di irretroattività (art. 2 c.p.): nessuno può essere punito per un
fatto che non fosse previsto come reato al momento in cui fu commesso (è
operante nei riguardi delle norme incriminatrici ma non rispetto alle misure di
sicurezza, riguarda inoltre tutte le norme giuridiche, anche se non penali, da
cui potrebbe dipendere la rilevanza penale sopravvenuta);
• Principio di tipicità (o divieto di analogia): è reato solo quel fatto che il
legislatore ha espressamente e tassativamente considerato come tale.
Eccezione a tale corollario è la c.d. l'interpretazione estensiva.
A tal proposito, meritano menzione i concetti di interpretazione e analogia.
L’interpretazione giuridica è quel procedimento logico attraverso il quale si
chiarisce e si spiega il significato di una norma. Nell’applicare la legge non si
può ad essa attribuire altro senso che quello palese del significato proprio delle
parole secondo la connessione di esse e della intenzione del legislatore. Se
una controversia non può essere decisa con una precisa disposizione, si ha
riguardo alle disposizioni che regolano casi simili o materie analoghe, se vi
sono ancora dubbi, si decida secondo i principi generali dell’ordinamento
giuridico dello Stato.
Si ha poi la successione di leggi, quando una norma si estingue ed un’altra
le subentra. Il fenomeno successorio delle leggi penali è regolato col principio
di irretroattività della norma incriminatrice, sia nell’ipotesi in cui la legge
istituisca un nuovo titolo di reato, sia quando il mutamento di uno degli elementi
costitutivi di preesistente fattispecie criminose, rende punibili fatti che prima
non lo erano. Nel dettaglio:
- abolitio criminis: se la nuova norma non prevede più come reato, un fatto
che in precedenza era considerato tale, si applica il principio di retroattività
della legge.
- abrogazione: si ha quando una fattispecie di portata più generale, succede
ad una precedente di portata più specifica, ossia è l’istituto mediante il quale il
legislatore determina la cessazione dell’efficacia di una norma giuridica.
- modificazione: prevede due casi:
• Teoria della continuità del tipo di illecito: si ha una modificazione se tra
due norme il bene giuridico protetto e le modalità di aggressione allo stesso
sono uguali.
• Teoria del rapporto di continenza: si ha una modificazione quando la
nuova norma introduce una fattispecie con elementi di specialità rispetto alla
disposizione precedente.
La Cassazione ha stabilito che vi è sempre l’individuazione della normativa di
favore per il reo, quindi fra due leggi, una nuova e una vecchia, occorre
applicare quella che tra le due risulti più vantaggiosa per il reo, ossia che
condurrà a conseguenze meno gravose per il reo.
Il principio di retroattività non è applicato per le leggi eccezionali (situazioni
anormali) e temporanee (hanno vigore entro un limite di tempo da esse
determinato). In questi casi si applica solo e sempre la disposizione in vigore
nel tempo in cui è stato commesso il fatto.

PRINCIPIO DI MATERIALITA'
Il reato deve necessariamente consistere in un fatto umano materialmente
palesatosi nel mondo esteriore e la sola intenzione di commettere un reato non
è punibile.

PRINCIPIO DI OFFENSIVITA'
Occorre che il reato sia realmente ed effettivamente offensivo del bene protetto
della norma incriminatrice.

PRINCIPIO DI SOGGETTIVITA'
Un comportamento umano costituisce reato quando, oltre ad essere tipico e
compiuto in assenza di cause di giustificazione, è anche riferibile alla volontà
dell'agente (art. 27 Cost). A seguito della sentenza n.364/1988 della Corte
Costituzionale, è divenuto principio di colpevolezza, diventando il presupposto
della personalità della responsabilità penale e si oggettiva in un giudizio di
rimproverabilità per l'atteggiamento.

PRINCIPIO DI TERRITORIALITA’
Tutti gli atti dello Stato, compresi quelli legislativi, incontrano nel territorio il loro
limite spaziale di efficacia.
• La legge penale italiana, obbliga tutti coloro che, cittadini o stranieri, si
trovino nel territorio dello Stato (art. 3 comma 1 c.p.p.).
• Chiunque commette un reato nel territorio dello Stato è punito secondo la
legge italiana (art 6 comma 1 c.p.p.).
• La legge penale italiana, obbliga tutti coloro che, cittadini o stranieri, si
trovino all’estero, ma limitatamente ai casi stabiliti dalla legge medesima o dal
diritto internazionale (art 3 comma2 c.p.p).
E' definito territorio dello Stato:
- Il territorio della Repubblica, ossia:
• La terraferma nei limiti fissati dai confini politici.
• Il mare territoriale che comprende le zone di mare dall’estensione di 12
miglia marine, lungo le coste continentali e insulari.
• La spazio aereo sovrastante il territorio ed il mare territoriale.
• Il sottosuolo, fin dove l’uomo può ricavare utilità.
• Le ambasciate.
- Le navi e gli aerei, dovunque si trovino, salvo che siano soggetti secondo il
diritto internazionale, a una legge territoriale straniera. Le navi mercantili
private all’estero sono soggette alle leggi locali, le navi militari o dello Stato, a
bordo sono sempre da considerarsi territorio italiano, mentre per i fatti
commessi dall’equipaggio sceso a terra, si applicherà la legge dello Stato in
cui si trovano.
Vi sono dei reati che anche se commessi all’estero saranno sempre puniti
incondizionatamente dallo Stato Italiano:
• Delitti contro le personalità dello Stato.
• Delitti di contraffazione del sigillo dello Stato e uso di tale sigillo.
• Delitti di falsità di monete in corso legale nel territorio dello Stato e in valori
di bollo o carte di credito.
• Delitti commessi da Pubblici Ufficiali a servizio dello Stato abusando di poteri
o violando i dover inerenti alle loro funzioni.
• Ogni reato per cui speciali disposizioni di legge o di convenzioni
internazionali stabiliscano l’applicabilità della legge italiana.
Il reato si considera commesso nel territorio dello Stato, quando l’azione o
l’omissione che lo costituisce è ivi avvenuta in tutto o in parte, oppure ivi si è
verificato l’evento
Il delitto comune commesso all’estero da italiano o da straniero, è punibile in
Italia e secondo la legge italiana a condizione che: si tratti di delitto, sia punito
con la reclusione, il reo sia presente in Italia.
E’ ammesso eccezionalmente il riconoscimento delle sentenze emesse da
Tribunali stranieri al fine di:
• Per stabilire la recidività, ovvero per definire la tendenza a delinquere.
• Quando secondo la legge, si dovrebbe sottoporre la persona a misure di
sicurezza.
• Quando importa condanna a restituzione o risarcimento, che devono essere
fatti valere in Italia.
Caso particolare è il c.d. delitto politico.
E’ delitto politico ogni delitto che offende un interesse politico dello Stato
ovvero un diritto politico del cittadino, è altresì considerato delitto politico il
delitto comune determinato in tutto o in parte, da motivi politici.
I delitti politici sono diretti, quando offendono gli interessi politici dello Stato
nella sua essenza unitaria, sono indiretti quelli che offendono un diritto politico
del cittadino per impedirgli di partecipare alla vita attiva dello Stato. Rientrano
in questa categoria i delitti anarchici e quelli commessi per finalità di terrorismo.
In questo contesto, fattispecie rilevante è l'estradizione (art. 13 c.p.).
Consiste nella consegna che uno Stato fa di un individuo, che si sia rifugiato
nel suo territorio, ad un altro Stato, perché ivi venga sottoposto al giudizio
penale o alle sanzioni penali.
Può essere attiva, quando l’Italia riceve in consegna un individuo che si trova
all’estero o passiva, quando l’Italia consegna ad uno Stato Straniero un
individuo qualora questi abbia commesso un reato che quello Stato è
interessato a punire.
L’estradizione non è ammissibile tranne i casi espressamente previsti dalle
convenzioni internazionali, è vietata per i reati politici ad eccezione dei delitti di
genocidio, per motivi di razza, religione o nazionalità e per reati puniti all’estero
con la pena di morte.
La legge italiana pone le seguenti condizioni per l'estradizione:
• il fatto che forma l’oggetto della domanda di estradizione deve essere
preveduto come reato sia dalla legge italiana che da quella straniera;
• non si deve trattare di reato per il quale le convenzioni internazionali
facciano divieto di estradizione;
• l’estradando deve essere straniero, in caso contrario deve essere consentita
nelle convenzioni internazionali.
In tema di estradizione vi è il principio di specialità, ossia lo Stato richiedente
ha l’obbligo di non processare l’estradato per un fatto anteriore o diverso da
quello per cui è stata concessa l’estradizione e ha il dovere di non assoggettare
lo stesso ad una pena diversa da quella relativa al fatto per cui è stata
concessa.

PRINCIPIO DI OBBLIGATORIETA’
Il nostro diritto positivo dispone che, la legge penale italiana, obbliga tutti coloro
che, cittadini o stranieri, si trovano nel territorio dello Stato, salvo le eccezioni
stabilite dal diritto pubblico interno o dal diritto internazionale. Ciò è sancito dal
brocardo “ius excludendi alios”: sul proprio territorio, lo Stato non riconosce
nessun’altra autorità al di fuori della propria.
Le immunità sono particolari prerogative riconosciute a determinate persone
che adempiono funzioni o ricoprono uffici di particolare importanza. Esse si
sostanziano nell’esenzione di questi soggetti da ogni conseguenza penale, in
ragione della loro qualifica personale e derivano o dal diritto pubblico interno o
dal diritto internazionale:
• diritto interno: riguardano il Capo dello Stato, che non è responsabile degli
atti compiuti nell’esercizio delle sue funzioni (tranne che per alto
tradimento o attentato alla Costituzione). Riguardano inoltre: i membri del
Parlamento e i Consiglieri regionali, per le opinioni espresse e i voti dati
nell’esercizio delle loro funzioni (nessun membro del Parlamento può essere
arrestato senza l’autorizzazione della Camera di appartenenza, salvo reati
per i quali è obbligatoria la cattura), i Giudici della Corte Costituzionale e i
membri del C.S.M. Nessuna immunità è prevista per i reati comuni.
• diritto internazionale: riguardano i Capi di Stato esteri che si trovano in
tempo di pace in Italia, il Papa, i Ministri degli Affari esteri e i membri stranieri
dei tribunali arbitrari, gli agenti diplomatici accreditati presso il Capo dello
Stato, Consoli, Vice Consoli e Agenti consolari, reparti di truppe straniere
autorizzati dallo Stato, diplomatici stranieri, membri del Parlamento Europeo
e della Corte dell’Aja.

PRINCIPIO DEL “NE BIS IN IDEM”


Il principio del "ne bis in idem" sostanziale, esclude che per uno stesso ed
unico fatto, una persona possa essere chiamata a rispondere di titoli diversi di
reato.
Questo principio costituisce il fondamento dei criteri destinati ad evitare la
contemporanea applicazione di più norme ad uno stesso fatto, fenomeno
definito concorso apparente di norme coesistenti.
Si parla di concorso apparente di norme coesistenti in tutte le ipotesi in cui due
o più norme sembrano, in astratto, applicabili al medesimo fatto, ma in concreto
l’applicazione di una esclude l’altra. La ratio di tale disciplina è escludere che
al colpevole venga applicato il regime del concorso di reati in modo
ingiustificato. Nello stabilire la regola di cui sopra, il legislatore italiano ha
accolto il c.d. criterio di specialità, secondo il quale lex specialis derogat legi
generali.
I criteri per dirimere il conflitto apparente di norme e quindi per applicare il
principio del ne bis in idem in astratto sono tre:
• Criterio di specialità (art. 15 c.p.): presuppone che tra due norme esista un
rapporto di genere a specie e comporta la priorità della norma speciale su
quella generale. La norma è speciale quando contiene, oltre agli elementi
compresi nella fattispecie generale, anche degli elementi particolari e
specifici. Questo principio ha molta rilevanza nel risolvere casi in cui due o più
leggi possano regolare lo stesso fatto giuridico, e quindi vi siano dubbi su
quale decisione adottare. Questo criterio stabilisce pertanto la supremazia
delle leggi speciali sul codice civile, e delle leggi riguardanti un preciso settore
su quelle generiche. Da ultimo le Sezioni Unite della Cassazione con la
sentenza n. 1963 del 21 gennaio 2011, hanno precisato che il principio di
specialità, quale criterio di soluzione dell’eventuale concorso tra norme penali
incriminatici e norme amministrative sanzionatorie, presuppone il confronto
strutturale tra le rispettive fattispecie astratte.
• Criterio di sussidiarietà: le cosiddette norme sussidiarie si applicano solo
se non possono trovare applicazione altre norme primarie. Il criterio di
sussidiarietà sarebbe in grado di individuare una relazione fra norme che
prevedono gradi diversi di offesa al medesimo bene giuridico: ad esempio, fra
la contravvenzione di atti contrari alla pubblica decenza e il delitto di atti
osceni. In tali casi, la norma che prevede l'offesa più grave andrebbe applicata
in sostituzione della fattispecie che prevede un'offesa di grado minore.
• Criterio di consunzione o assorbimento: esso afferma che, quando la
commissione di un reato è solitamente accompagnata dalla commissione di
un secondo ulteriore reato (si pensi ad una truffa commessa millantando
credito), la comune valutazione sociale porta ad escludere che al medesimo
soggetto possano essere addebitati ambo i reati: in tutti questi casi andrebbe
solo applicata la norma che prevede la pena più grave. Secondo prevalente
dottrina, tale criterio sarebbe l'espressione di un principio più generale, detto
appunto "ne bis in idem" sostanziale, accolto dal legislatore penale in sede di
disciplina del concorso di norme penali.
. Struttura del reato
LA STRUTTURA DEL REATO
E’ definito reato, qualsiasi azione, commessa con volontà colpevole, per cui la
legge applica una sanzione penale. Il reato, da un punto di vista formale e
giuridico, è quel fatto giuridico volontario illecito al quale l'ordinamento
ricollega, come conseguenza, una sanzione penale (ergastolo, reclusione,
arresto, multa e ammenda)
Il sistema penale si basa sul principio di legalità formale (art. 1 c.p.), che trova
tre espresse articolazioni:
• Principio di riserva di legge: Qualsiasi comportamento per costituire reato
deve essere previsto dalla legge e qualsiasi condotta per costituire reato,
deve corrispondere alla descrizione legale, contenuta nella norma
incriminatrice.
• Principio di tassatività: Sta ad indicare la necessità di una precisa
formulazione della fattispecie tipica, che specifichi ciò che è penalmente lecito
o illecito.
• Principio di irretroattività: Nessuno può essere punito per un fatto che non
fosse previsto come reato, nel momento in cui fu commesso.
I reati si distinguono in delitti (ergastolo, reclusione e multa)
e contravvenzioni (arresto e ammenda) secondo la diversa specie delle pene
per essi stabiliti dal codice penale.
L'analisi della struttura del reato ha condotto alla formazione di due diverse
concezioni:
- Teoria bipartita: secondo questa teoria il reato si compone di:
• elemento oggettivo (tipicità). Sono ricondotti tutti i dati fenomenici con i
quali si manifesta il reato e cioè il comportamento umano e le sue
conseguenze; quindi rappresenta il fatto materiale in tutti i suoi elementi
costitutivi, quali la condotta, l'evento e il rapporto di causalità tra condotta ed
evento;
• elemento soggettivo (colpevolezza). Si ricollegano gli aspetti attinenti alla
sfera morale dell'agente, alla sua adesione psicologica e volontaria rispetto al
fatto oggettivamente mostratosi come illecito; esprime il diverso atteggiarsi
della volontà del soggetto nelle forme del dolo, della colpa o della
preterintenzione.
- Teoria tripartita: secondo questa teoria il reato si compone di:
• fatto tipico (tipicità). E' da intendersi restrittivamente, cioè come fatto
materiale comprensivo dei soli requisiti oggettivi, quali la condotta, l'evento e
il nesso causale; il fatto costituente reato è cristallizzato in una norma che ne
descrive in maniera precisa i contorni e l'ambito applicativo;
• antigiuridicità. Costituita dalla contrarietà del comportamento non solo alla
norma penale incriminatrice (c.d. norma di divieto), ma a tutto l'ordinamento
non essendovi altre norme che giustificano detta condotta (c.d. norma
permissiva);
• colpevolezza. Rappresenta la volontà riprorevole del soggetto agente nelle
sue due forme del dolo e della colpa
L’OGGETTO DEL REATO
La nozione di oggetto del reato può intendersi in senso materiale e giuridico:
• oggetto materiale: è l’entità fisica su cui ricade materialmente la condotta
criminosa e può essere sia una cosa che una persona.
• oggetto giuridico: è il bene-interesse tutelato dalla norma incriminatrice e
che viene conseguentemente offeso dal reato (ad esempio, la norma che
punisce l’omicidio tutela il bene giuridico della vita; la norma che punisce il
furto, tutela il bene giuridico del patrimonio, ecc.).
In relazione al bene giuridico tutelato dalla norma incriminatrice si distinguono:
• reati monoffensivi: per l’esistenza dei quali è necessaria e sufficiente
l’offesa di un solo bene giuridico;
• reati plurioffensivi: i quali offendono più beni giuridici;
• reati di offesa: implicano l’effettiva lesione del bene interesse tutelato dalla
norma incriminatrice;
• reati di pericolo: richiedono che detto bene interesse sia esposto
solamente a pericolo (concreto od offensivo, astratto o presunto);
• reati ostacolo: si incrina non l’offesa di un bene giuridico, ma la
realizzazione di certe situazioni che lo Stato ha interesse a che non si
realizzino.
Il danno civile è il danno risarcibile ex art. 2043 c.c.. Vi può essere un reato
senza danno civile, ma mai un reato senza danno penale o criminale, cioè
senza offesa ad un bene giuridico.

I SOGGETTI DEL REATO


- Soggetto Attivo: è chi realizza il fatto tipico, ovvero chi pone in essere il
comportamento costituente reato. Tutte le persone fisiche possono essere
soggetti attivi, in quanto ogni persona ha la capacità penale senza distinzione
di età, sesso o altre condizioni soggettive. Ne consegue che l’età, le situazioni
di anomalia psico-fisica e le immunità non escludono l’illiceità penale, ma sono
rilevanti solo ai fini dell’applicabilità della pena.
A seconda del soggetto che compie il reato, si distingue:
• reati comuni: possono essere commessi da chiunque;
• reati propri: possono essere compiuti solo da soggetti che hanno
determinate qualifiche (c.d. intraneus).
I reati propri a loro volta sono esclusivi, quando il fatto costituisce reato
esclusivamente quando è commesso dall’intraneus e non esclusivi, quando
il fatto che costituisce comunque reato, se viene commesso dall’intraneus muta
titolo (ad esempio, appropriazione indebita commessa da P.U. diviene
peculato).
In base al numero di partecipanti alla commissione del reato, si distingue
tra reato plurisoggettivo, in cui la norma incriminatrice richiede la presenza
di più persone (ad esempio, la rissa) e monosoggettivo, che non richiede tale
pluralità di soggetti.
- Soggetto Passivo: è la persona titolare del bene o interesse tutelato dalla
norma penale incriminatrice e leso dal reato. Può essere sia una persona fisica
che una persona giuridica. Dal soggetto passivo deve distinguersi la figura
del danneggiato, che è colui al quale spettano le istanze di risarcimento
correlate al reato stesso. (ad esempio, nel caso di omicidio, danneggiati
saranno i parenti).
In base al soggetto passivo, i reati si distinguono in plurioffensivi quando
ledono o pongono in pericolo più beni diversi con conseguente pluralità di
soggetti passivi (ad esempio, la calunnia offende Stato e persona falsamente
incolpata), vaganti quando offendono un numero indeterminato di individui (ad
esempio, la strage), reati senza vittime, in cui non è facile individuare un bene
giuridico (ad esempio, la moralità pubblica).

RESPONSABILITA’ PENALE DEGLI ENTI


Il soggetto attivo del reato può essere soltanto una persona fisica, in quanto
nel nostro ordinamento non è ammessa la responsabilità penale degli enti.
La non configurabilità di una responsabilità penale nelle persone giuridiche
viene desunta dall’art. 27 della Costituzione, ovvero il principio
costituzionale della personalità della responsabilità penale.
Vista l’irresponsabilità dell’ente, la giurisprudenza ha elaborato alcuni criteri,
alla luce dei quali i soggetti penalmente responsabili possono essere o il
soggetto che ha la rappresentanza dell’ente o il soggetto che esercita le
funzioni che normalmente sono inerenti alla qualità di imprenditore (ad
esempio, l'amministratore).
Per quanto riguarda l’efficacia liberatoria della delega, parte della
dottrina libera da responsabilità il delegante, rendendo soggetto del reato il
delegato, altra parte della dottrina rende responsabile il delegante ex art. 40
c.p. in quanto non può spogliarsi dei doveri sanciti dalla legge penale. Vi sono
varie condizioni che possano avere efficacia liberatoria per l’imprenditore o
amministratore a condizione che:
• l’impresa sia di notevoli dimensioni, tali da non consentire un unico controllo
diretto, che i compiti delegati non gravino esclusivamente sul titolare;
• che la persona delegata sia abile ad assolvere i compiti assegnati;
• che il delegato abbia autonomia gestionale;
• che il delegante abbia compiuto ciò che la legge poneva a suo carico;
• che l’attribuzione dei poteri sia debitamente pubblicizzata e che vi sia
l’esistenza della delega esclusiva.

RESPONSABILITA’ DEGLI ENTI PER ILLECITI DIPENDENTI DA


REATO (D.Lgs. n. 231/2001)
Il decreto legislativo n. 231/2001 regola la responsabilità degli enti per gli illeciti
amministrativi; la norma precisa che l’ente è responsabile per i reati commessi
nel suo interesse e a suo vantaggio da persone che rivestono funzioni di
rappresentanza, di amministrazione o di direzione, nonché da persone che
esercitano, anche di fatto, la gestione e il controllo dello stesso, oltre che da
persone sottoposte alla direzione o alla vigilanza di uno dei soggetti appena
indicati.
Anche per l’ente vale il principio di legalità formale e il sistema sanzionatorio
preposto dal decreto, prevede le seguenti sanzioni: pecuniaria, interdittiva, la
confisca e la pubblicazione della sentenza.
Le sanzioni interdittive sono l’interdizione dell’esercizio nell’attività, la
sospensione o la revoca delle autorizzazioni, licenze o concessioni funzionali
alla commissione dell’illecito, il divieto di contrattare con la pubblica
amministrazione, l’esclusione di agevolazioni, finanziamenti, contributi, sussidi
e la revoca di quelli già ottenuti.
Per l’illecito amministrativo dipendente da reato si applica sempre la sanzione
pecuniaria, applicata per quote, il cui numero è determinato dal giudice in base
alla gravità del fatto. La sanzione pecuniaria è ridotta se vi è il
tentativo; quando l’ente è responsabile in relazione ad una pluralità di reati
commessi con un’unica azione od omissione, si applica la sanzione pecuniaria
prevista per l’illecito più grave aumentata fino al triplo, anche se tale cifra non
può superare la somma delle sanzioni applicabili per ciascun illecito.

RESPONSABILITA’ PER I FATTI COSTITUENTI REATO COMMESSI DA


ANIMALI
Rientrano nel caso fortuito, i fatti costituenti reato commessi da animali
selvatici o randagi, non ne risponderà nessuno, nemmeno lo Stato proprietario
della fauna selvatica. Per quanto riguarda gli animali custoditi da un soggetto,
questi ne risponderà a titolo di dolo se li ha aizzati o indotti volontariamente a
commettere il fatto, a titolo di colpa per violazione del dovere di diligenza nel
controllo, se tale induzione o aizzamento è mancato.

IL REATO CONTRAVVENZIONALE
Le contravvenzioni si distinguono dai delitti in base alla pensa stabilita dalla
legge, che per tali reati è l’arresto e l’ammenda. Sotto il profilo oggettivo vi sono
le contravvenzioni mediante azione, mediante omissione e commissive
mediante omissione. Nelle contravvenzioni, ciascuno risponde delle proprie
azioni e delle proprie omissioni, siano esse dolose o colpose. Vi sono dottrine
contrastanti in merito alle contravvenzioni, minoritaria è quella che ritiene che
per la punibilità non è richiesto ne dolo ne colpa, essendo sufficiente la mera
coscienza e volontà della condotte, mentre la dottrina dominante ritiene la
necessità almeno della colpa.
4. Elementi oggettivi del reato
ELEMENTI OGGETTIVI DEL REATO
Gli elementi oggettivi del reato si distinguono in:
- condotta
- evento
- nesso di casualità

CONDOTTA
Con il termine condotta si indica il comportamento umano che costituisce
reato. Per essere penalmente rilevante, la condotta deve corrispondere a
quella descritta dalla norma incriminatrice speciale, deve cioè essere tipica.
La condotta può essere positiva (azione) o negativa (omissione), ma in ogni
caso deve essere accompagnata dalla coscienza e volontà di chi la compie.
Con il termine "presupposti della condotta", si indicano quegli elementi, di fatto
o di diritto, che preesistono alla condotta e dai quali la condotta stessa prende
le mosse perché il reato sussista, come ad esempio la gravidanza nell’aborto
e la detenzione altrui nel furto.
A tal riguardo, l'art. 42 comma 1 c.p., sancisce: "Nessuno può essere punito
per un’azione od omissione preveduta dalla legge come rato se non l’ha
commessa con coscienza e volontà".
Affinché vi sia azione (condotta attiva), deve esserci un movimento del corpo,
che si concretizzi in atti esternamente visibili e manifestati. L’azione può essere
quindi costituita da un unico atto (reati unisussistenti) o da una pluralità di atti
(reati plurisussistenti).
L'omissione (condotta omissiva) consiste invece mancato compimento
dell’azione che si attendeva da una persona.
I reati omissivi si distinguono in:
• Reati omissivi propri: per la cui sussistenza è necessaria e sufficiente la
semplice condotta negativa del reo.
• Reati commissivi mediante omissione: perché ricorrano è necessario che
il soggetto, abbia causato con la propria omissione, un dato evento.

L’EVENTO
L'evento è il risultato della condotta consistente nella concretizzazione di una
situazione derivante da un certo comportamento, è quindi un effetto naturale
della condotta dell’agente. A tal proposito, si distinguono:
• Concezione naturalistica: è qualsiasi modificazione della realtà naturale,
conseguenza della condotta esteriore dell’uomo.In questo caso, l’evento non
è l’elemento che ricorre sempre nel reato, esistono reati con pluralità di eventi
e reati aggravati dall’evento.
• Concezione giuridica: l'evento coincide con l’offesa arrecata dal reato e
consiste nella lesione o messa in pericolo del bene protetto dalla norma. In
questo caso, ogni reato consta necessariamente di un evento, non esistono
reati con doppio evento o aggravati dall’evento: dall’evento dipende
l’esistenza del reato.
In funzione dell'evento, è possibile distinguere diverse tipologie di reati:
• Reati di pura condotta: sono quelli che si realizzano attraverso un semplice
comportamento umano.
• Reati di evento: la cui consumazione richiede che si concreti un effetto
distinto della condotta.
• Reati di danno e di pericolo: a seconda che il bene sia lesionato o solo
messo in pericolo
• Reati istantanei e permanenti: i primi si esauriscono in un solo momento,
gli altri si protraggono.

NESSO DI CAUSALITA’
Ai fini dell’esistenza di un reato è necessario che la condotta e l’evento siano
legati da un nesso causale. L’esistenza di tale legame è importante per poter
stabilire se un fatto verificatosi sia opera dell’uomo, che grado di responsabilità
questi abbia avuto, oppure se il fatto debba attribuirsi a fattori estranei.
Vi sono diverse teorie dominanti:
• Conditio sine qua non: deve considerarsi ogni singola condizione
dell’evento, è causa dell’evento l’insieme degli antecedenti senza i quali
l’evento non si sarebbe verificato;
• Causalità adeguata: è necessario che l’azione determinata dall’uomo sia
proporzionata a provocare l’evento;
• Causalità umana: per l’esistenza del rapporto di causalità, è necessario che
l’uomo abbia posto in essere una condizione dell’evento e che quest’ultimo
non sia il risultato del concorso di fattori eccezionali.

LA COSCIENZA E LA VOLONTA’ DELL’AZIONE (C.D. SUITAS)


Tale coefficiente psichico è indicato nell’art. 42 comma 1 c.p., ed è necessario
perché possa parlarsi di condotta. La dottrina dominante afferma che esistono
alcuni atti, i quali pur svolgendosi al di sotto della sfera lucida dell’intelletto,
sono attribuibili all’agente, il quale con uno sforzo di volontà avrebbe potuto
evitarli. Gli unici atti, che invece si sottraggono al controllo del volere, sono
quelli che non possono in alcun modo essere impediti dal soggetto (atti istintivi
e riflessi) coma ad esempio i movimenti compiuti nel delirio di una malattia.
La suitas risulta esclusa in due ipotesi definite dal legislatore:
• la forza maggiore: ogni forza esterna contro la quale il soggetto non può
resistere e che lo determina, contro la sua volontà e in modo inevitabile, al
compimento di un’azione;
• il costringimento fisico: non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi
stato da altri costretto, mediante violenza fisica alla quale non poteva resistere
o comunque sottrarsi. Del fatto commesso risponderà l’autore della violenza.
In funzione della condotta, è possibile distinguere diverse tipologie di reati:
• Reati di azione e di omissione: i primi che si realizzano con un’azione, i
secondi con un’omissione
• Reati a condotta mista: richiedono cumulativamente un’azione ed
un’omissione.
• Reati a forma libera e vincolata: i primi concretati con qualsiasi attività che
realizzi un determinato evento, i secondi in conformità a quanto
espressamente indicato nella norma.
• Reati unisussistenti e plurisussistenti: un solo atto o più atti.
• Reati senza azione.

TEORIA DELL’IMPUTAZIONE OGGETTIVA DELL’EVENTO


La teoria prevede che la condotta:
• sia "condicio sine qua non" dell'evento secondo il criterio naturalistico noto;
• costituisca un c.d. aumento del rischio non consentito dall'ordinamento;
• l'evento sia realizzazione del rischio non consentito.
Le attività rischiose vengono classificate secondo una triplice partizione:
1. Condotte pericolose e non giuridicamente autorizzate: sono le condotte
non utili e dannose, punite in sé o in quanto causa di eventi lesivi.
L'ordinamento sancisce per queste condotte l'obbligo di astenervisi, essendo
queste direttamente previste dalle norme incriminatrici quali condotte illecite
o quali cause di un evento illecito normativamente stabilito.
2. Condotte non giuridicamente autorizzate perché trasgressive di norme
cautelari: le condotte de qua infatti, rientrano negli scopi preventivi delle
norme cautelari, sono obbiettivamente prevedibili e obbiettivamente evitabili.
3. Attività rischiose, ma giuridicamente autorizzate perché socialmente
utili: esse implicano il rispetto del limite dell'autorizzazione prefissato dalla
norma cautelare, minimizzando i rischi di eventi lesivi

CONCETTO DI ANTIGIURIDICITA’
Consiste nel contrasto tra il fatto e l’intero ordinamento giuridico. Considerata
un concetto unitario e inscindibile, non è né oggettiva né soggettiva. Nella
struttura del reato, l’antigiuridicità si sostanzia nella mancanza delle
cosiddette cause di giustificazione.
5. Elementi soggettivi del reato
ELEMENTI SOGGETTIVI DEL REATO
L'elemento soggettivo, inteso come atteggiamento psichico dell'agente, può
assumere le forme del dolo, della colpa o della preterintezione.
IL DOLO
Si definisce dolo, la rappresentazione e volontà di realizzare il fatto costituente
reato.
Il dolo è il normale criterio di imputazione soggettiva in quanto l’art. 42 comma 1
c.p., stabilisce che nessuno può essere punito per un fatto previsto dalla legge
come delitto, se non l’ha commesso con dolo.
Il delitto è doloso o secondo l’intenzione, quando l’evento dannoso o
pericoloso, è dall’agente preveduto e voluto come conseguenza della propria
azione od omissione, ed è strutturato da due elementi costitutivi, un momento
rappresentativo, ovvero occorre che l’agente abbia una visione anticipata di
tutti gli elementi significativi del fatto che costituisce reato, e un momento
volitivo, ovvero occorre che la volontà dell’agente sia rivolta all’effettiva
realizzazione della condotta e dell’evento conseguente ad essa.

L’OGGETTO DEL DOLO


La dottrina dominante ritiene che l’oggetto del dolo sia il fatto tipico o costitutivo
di reato e vi rientrano la condotta tipica, ovvero l’azione che costituisce reato,
le caratteristiche del soggetto passivo, gli elementi normativi del fatto (elementi
valutati in base ad altre norme, giuridiche e non), gli elementi negativi del fatto
ovvero le cause di giustificazione, l’evento naturalistico che deve essere voluto
e preveduto, l’evento giuridico, ovvero la lesione o messa in pericolo del bene
protetto, il nesso di causalità fra condotta ed evento.
La Corte Costituzionale ha stabilito che per aversi dolo, occorre che il soggetto
abbia la rappresentazione e volontà degli elementi significativi della fattispecie
di reato e la consapevolezza che il fatto che sta per commettere è un illecito
penalmente sanzionato, non occorre che l’agente conosca quale sia la norma
penale e quale sia la pena specifica.

TIPOLOGIE DI DOLO
E' possibile distinguere il dolo in:
- dolo diretto: si configura ogni qualvolta l’evento conseguito è rispondente a
quello voluto e rappresentato dall’agente, vi è poi il dolo alternativo, quando
dall’azione vi è la possibilità del verificarsi di due eventi, indifferenti all’agente
che li vuole entrambi e il dolo indeterminato, quando il soggetto agente vuole
due o più risultati, cumulativamente o alternativamente.
- dolo indiretto: si ha quando il risultato conseguente alla propria azione, pur
rappresentato, non è stato dall’agente direttamente o intenzionalmente voluto.
L’unica forma di dolo indiretto riscontrabile in concreto è il dolo eventuale, che
ricorre quando l’agente prevede un certo evento come conseguenza della sua
condotta e agisce accettando il rischio del suo verificarsi. Si differenzia
dalla colpa cosciente, in quanto in quest’ultimo caso l’agente, pur
prospettandosi la possibilità del verificarsi di un evento non voluto come
conseguenza della propria condotta, confidi tuttavia che esso non si verifichi.
Vi sono poi altre tipologie di dolo, quali:
• dolo d'impeto: Il delitto è il risultato di una decisione improvvisa e viene subito
eseguito.
• dolo di proposito: Si ha quando trascorre un considerevole lasso di tempo tra
idea ed azione.
• dolo di danno: Ricorre quando il soggetto ha voluto ledere il bene protetto
• dolo di pericolo: Si ha nelle ipotesi in cui l’agente abbia voluto solo minacciare
il bene.
• dolo iniziale: Si riscontra solo nel momento dell’azione od omissione.
• dolo concomitante: Accompagna lo svolgimento del processo causale che
genera l’evento.
• dolo successivo: Si manifesta dopo il compimento dell’azione od omissione.
• dolo generico: Si ha quando è richiesta la coscienza e volontà del fatto.
• dolo specifico: Si ha quando la legge da rilevanza ad un fine particolare che
sta oltre il fatto materiale tipico.
• dolo generale: Viene considerata fattispecie dolosa ogni ipotesi in cui l’evento
morte, pur rappresentato e voluto dall’agente, non è la conseguenza del
decorso causale posto in essere dall’azione dolosa iniziale; ad esempio
sparare a un uomo e sotterrarlo vivo (causandone la morte), credendolo
morto.
L’intensità del dolo influisce sulla gravità del reato e dipende dalla durata del
proposito criminoso, dalla maggiore o minore consapevolezza del reo e dal
diverso atteggiarsi del momento volitivo.
Al di fuori della tematica del dolo vi è la premeditazione, prevista
come circostanza aggravante speciale di taluni delitti accumunati dall’evento
materiale della lesione fisica o della morte.

LA COLPA
Il delitto è colposo o contro l’intenzione, quando l’evento, anche se preveduto,
non è voluto dall’agente e si verifica a causa di negligenza (mancata adozione
delle cautele imposte dalle regola cautelari), imprudenza (agire la dove le
regole cautelari lo sconsiglino) o imperizia (negligenza o imprudenza
qualificata), ovvero per inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline.
Per la sussistenza del reato colposo occorre che la condotta sia attribuibile al
volere del soggetto, che manchi la volontà dell’evento e che si verifichi a causa
di negligenza, imprudenza o imperizia, ovvero per inosservanza di leggi,
regolamenti, ordini o discipline.

LA CONDOTTA COLPOSA
Sotto il profilo oggettivo, la condotta consiste nella violazione della regola di
diligenza, da intendersi e valutarsi in senso obiettivo. La regola di diligenza
enuncia la prevedibilità ed evitabilità del pericolo, cui determinati beni
sarebbero esposti in caso di sua trasgressione. Quanto al contenuto delle
regole di diligenza, esso può tradursi in obbligo di informarsi, obbligo di agire
con cautela, obbligo di astenersi del tutto dall’agire.
La dottrina ha individuato due categorie di limiti al dovere di diligenza, il rischio
consentito e il principio di affidamento e comportamento del terzo.
Per quanto riguarda gli atti incoscienti, dovuti a ragioni fisiologiche o
patologiche, dovrà aversi riguardo non agli atti in se stessi, ma al
comportamento volontario antecedente alla loro realizzazione, al fine di
verificare se tale attività configuri essa stessa la condotta tipica di reato.
Ai fini del giudizio sulla responsabilità colposa, si afferma la necessità di un
rapporto di causalità tra condotta ed evento.
Si distinguono diverse tipologia di colpa:
• colpa generica: Il parametro è il soggetto di normale diligenza e capacità
che opera nelle stesse condizioni dell’agente, il rispetto della regola di
diligenza, sarà esigibile nei limiti in cui l’evento era prevedibile ed evitabile da
tale agente modello.
• colpa specifica: In genere la violazione della regola cautelare è sufficiente
all’affermazione della colpevolezza dell’agente.
• colpa cosciente: Ricorre allorchè l’agente non vuole commettere il reato,
ma prevede come possibile la verificazione dell’evento; tale tipo di colpa si
distingue dal dolo eventuale in quanto il soggetto agisce con certezza che
l’evento dannoso o pericoloso non si verificherà.
• colpa incosciente: Si ha quando l’agente agisce con imprudenza o
negligenza o imperizia o violando norme cautelari, ma non prevede di causare
con il proprio comportamento un evento antigiuridico.
• colpa propria: In essa rientrano i casi nei quali si riscontra la caratteristica
tipica della colpa, la mancanza di volontà dell’evento.
• colpa impropria: Sono espressione della colpa impropria quei casi
eccezionali in cui l’evento è voluto, ma l’agente risponde di reato colposo,
ossia l’eccesso colposo nelle cause di giustificazione, l’erronea supposizione
della presenza di cause di giustificazione e l’errore di fatto determinato dalla
colpa.
La previsione rappresenta una circostanza aggravante del delitto colposo.

LA PRETERINTENZIONE
Il delitto è preterintenzionale quando dall’azione od omissione deriva un
evento dannoso o pericoloso più grave di quello voluto dall’agente. Nel delitto
preterintenzionale, si individua la volontà di un evento minore che ne
rappresenta la base dolosa e la non volontà di un evento più grave che è pur
sempre conseguenza della condotta dell’agente.
Nell’omicidio preterintenzionale, il rapporto di causalità va identificato in una
successione necessaria e uniforme, non è sufficiente che l’azione del
colpevole si ponga come antecedente causale dell’evento ma è necessario
che ne costituisca un antecedente idoneo e adeguato a produrlo.

LA RESPONSABILITA’ OGGETTIVA
L’art. 42 c.p. fissa al primo comma, la regola per cui nessuno può essere punito
per un’azione od omissione se non l’ha commessa con coscienza e volontà ed
al secondo comma quella per cui, ai fini della punibilità è richiesto il dolo, salvo
i casi espressamente previsti dalla legge di delitto preterintenzionale o colposo.
Il terzo comma dice che la legge determina i casi nei quali l’evento è posto
altrimenti a carico dell’agente, come conseguenza della sua azione od
omissione.
La dottrina ritiene che tale previsione preveda la c.d. responsabilità
oggettiva, cioè quella forma di responsabilità attribuita solo in base al rapporto
di causalità.
La responsabilità oggettiva è pura, in cui il fatto è attribuito sulla base del
rapporto di causalità, oppure è spuria o mista a dolo o colpa, in cui alla base
dell’attribuzione del fatto vi è sempre una fattispecie dolosa o colposa.

I DELITTI AGGRAVATI DALL’EVENTO


Sono quei delitti che subiscono un aumento di pena quando oltre all’evento
tipico se ne produca uno ulteriore posto a carico dell’agente sulla sola base del
nesso di causalità, come ad esempio la calunnia, la morte o lesione della
donna come conseguenza dell’aborto, la lesione personale derivante
dall’abuso di mezzi di correzione.
I delitti aggravati dall’evento si distinguono tra quelli in cui è indifferente che
l’evento ulteriore sia voluto o non voluto e delitti in cui l’evento più grave deve
necessariamente essere non voluto.

RESPONSABILITA’ PER I REATI DI STAMPA


Salva la responsabilità dell’autore delle pubblicazione e fuori dei casi di
concorso il direttore o il vicedirettore responsabile, il quale omette di esercitare
sul contenuto del periodico da lui diretto il controllo necessario ad impedire che
col mezzo della pubblicazione siano commessi reati, è punito a titolo di colpa,
se un reato è commesso con la pena stabilita per tale reato diminuita in misura
non eccedente di un terzo.
Per i reati commessi a mezzo stampa, per il direttore si rinviene una
responsabilità per fatto proprio omissivo colposo, concorrente con la
responsabilità dell’autore.
Per la sussistenza della responsabilità penale, sarà necessario accertare non
solo la violazione dell’obbligo di controllo ma anche se tale omissione sia
dovuta a negligenza di quest’ultimo. Nel caso in cui la violazione dell’obbligo
di controllo sia dolosa, il direttore risponderà a titolo di concorso nel reato
commesso dall’autore della pubblicazione.
In dottrina si è escluso che il direttore di testate online possa essere
responsabile per il reato di omesso controllo, ex. art. 57 c.p., in quanto
mancano due requisiti fondamentali, ovvero che vi sia un riproduzione
topografica e che il prodotto sia destinato alla pubblicazione e quindi debba
essere effettivamente distribuito tra il pubblico.

RESPONSABILITA’ SPACCIATORE PER MORTE TOSSICO


Lo spacciatore risponde del D.P.R. n.309/1990. In caso di morte del tossico,
risponderà ai sensi degli artt. 586 e 589 c.p., morte come conseguenza di altro
delitto e omicidio colposo.
La morte dell’assuntore di sostanza è imputabile alla responsabile del cedente
sempre che sussistano, un nesso di causalità materiale fra condotta ed evento
lesivo, la colpa in concreto per violazione di una regola precauzionale e la
prevedibilità ed evitabilità dell’evento, da valutarsi alla stregua dell’agente
modello razionale.
. Cause oggettive di esclusione del reato
CAUSE OGGETTIVE DI ESCLUSIONE DEL REATO
Denominate comunemente, cause di giustificazione, cause di
liceità, scriminanti o esimenti, sono circostanze particolari, in presenza delle
quali un fatto, che di regola costituisce reato, non è considerato tale, in quanto
è la legge stessa che lo autorizza.
Si distinguono:
• Cause di giustificazione: rendono il fatto lecito ab origine.
• Scusanti: incidono sull’elemento soggettivo, facendo venir meno la
colpevolezza.
• Cause di non punibilità: pur in presenza di un fatto antigiuridico, per motivi
di opportunità il legislatore preferisce non applicare la pena.

IL CONSENSO DELL’AVENTE DIRITTO


E' una causa di giustificazione prevista dall’art. 50 c.p.: “Non è punibile chi lede
o pone in pericolo un diritto, col consenso della persona che può validamente
disporne”.
Oggetto del consenso deve essere un diritto disponibile, non censito dal codice
penale, ma stabilito dalla dottrina dominante, nel senso che sono diritti
indisponibili i diritti tutelati in quanto appartenenti alla collettività, come gli
interessi dello Stato-amministrazione, gli interessi che fanno capo allo Stato-
comunità e il bene della pubblica fede. Mentre diritti disponibili sono i diritti
patrimoniali, alcuni diritti inerenti alla personalità morale, alcuni diritti di libertà
e alcuni diritti relativi alla persona fisica.
Secondo la dottrina, il consenso andrebbe qualificato come atto giuridico in
senso stretto, ovvero come un permesso col quale si attribuisce al
destinatario un potere di agire che non crea alcun vincolo a carico dell’avente
diritto e non trasferisce alcun diritto in capo all’agente. Legittimato a prestare il
consenso è il titolare dell’interesse protetto, il quale ne deve avere la capacità
e lo deve fare in modo libero, non viziato da errore, violenza o dolo.
Il consenso deve essere lecito, non contrario a norme imperative, all’ordine
pubblico e al buon costume e deve essere attuale, cioè deve esistere al
momento del fatto.
Si ha consenso putativo, quando colui che agisce, ritiene esistente il
consenso della persona titolare del diritto, si ha consenso presunto, quando
chi agisce sa che non vi è il consenso, ma compie ugualmente l’azione
perché appare vantaggiosa per l’avente diritto.

L’ESERCIZIO DEL DIRITTO


Sancito dall'art. 51 c.p.: "L'esercizio di un diritto o l'adempimento di un dovere
imposto da una norma giuridica o da un ordine legittimo della pubblica autorità,
esclude la punibilità".
Non può quindi essere punito chi nell'esercizio di un diritto, compia atti o fatti
che integrino una fattispecie preveduta dalla legge come reato. Il diritto deve
essere esercitato dal suo titolare, ma la titolarità di un diritto, non rende
automaticamente lecita ogni azione o modo di esercizio di esso, occorre anche
che la condotta sia espressamente prevista e permessa dalla stessa norma
che riconosce il diritto.
Un caso particolare dell’esercizio del diritto, è il diritto di cronaca, che rientra
nella sfera della libertà di pensiero e di stampa (art. 21 Cost.) ma che deve
essere fondato su tre principi fondamentali: l’utilità sociale
dell’informazione, la verità dei fatti esposti e la forma civile
dell’espressione dei fatti.
Per quanto riguarda invece il diritto di critica, i principi fondamentale sono la
correttezza del linguaggio e il rispetto degli altrui diritti.
Rientrano nella sfera dell’esercizio del diritto la disciplina familiare e la difesa
della proprietà.

L’ADEMPIMENTO DEL DOVERE


L’adempimento di un dovere (sancito anch'esso dall'art. 51 c.p.), imposto da
una norma giuridica o da un ordine legittimo della pubblica autorità, esclude la
punibilità.
Se un fatto costituente reato è commesso per ordine dell’autorità, del reato
risponde sempre il pubblico ufficiale che ha dato l’ordine. Risponde del reato
chi ha eseguito l’ordine, salvo che per errore di fatto abbia ritenuto di obbedire
ad un ordine legittimo. Non è punibile chi esegue l’ordine illegittimo, quando la
legge non gli consente alcun sindacato sulla legittimità dell’ordine.
Il dovere può scaturire da una norma giuridica, ovvero qualsiasi regola di diritto,
scritta o consuetudinaria, o da un ordine dell’Autorità, ovvero qualsiasi
manifestazione di volontà che un superiore rivolge ad un inferiore gerarchico,
affinché questi tenga un determinato comportamento.
Per la legittimità di tale ordine è richiesto che:
• il superiore abbia la competenza ad emetterlo;
• l’inferiore abbia competenza ad eseguirlo;
• siano state rispettate le procedure e le formalità di legge previste per la sue
emissione.
Se l’ordine è illegittimo, la responsabilità ricade sul pubblico ufficiale che lo
ha impartito.
L’esecutore dell’ordine ne risponde insieme col pubblico ufficiale tranne
quando per errore sul fatto abbia ritenuto di obbedire ad un ordine legittimo e
quando la legge non gli consente alcun sindacato sulla legittimità dell’ordine.
Nel caso in cui vi sia conflittualità di ordini, nel caso di contrordine, se è
emanato dalla stessa autorità sostituisce il precedente ordine, se l’autorità è
diversa, bisogna vedere se il destinatario è in grado di accertare quale tra gli
organi prevalga, in caso contrario saranno utilizzate le norme sull’errore.
Nel caso in cui gli ordine provengano da diverse autorità, il destinatario è
autorizzato ad esame, in seguito al quale presterà obbedienza all’autorità
competente nel caso concreto.
Nell’adempimento del dovere si collocano le c.d. operazioni sotto copertura
di Polizia Giudiziaria.

LA LEGITTIMA DIFESA
A norma dell'art. 52 c.p., non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi
stato costretto dalla necessità di difendere un diritto proprio o altrui, contro il
pericolo attuale di un’offesa ingiusta, sempre che la difesa sia proporzionata
all’offesa.
Gli elementi della legittima difesa sono l’aggressione e la reazione.
L’aggressione deve presentare i seguenti caratteri:
• L’oggetto dell’offesa deve essere un diritto, sia personale, che patrimoniale o
morale.
• L’offesa deve essere ingiusta, ovvero no imposta o autorizzata
dall’ordinamento giuridico.
• Il pericolo deve essere attuale, inteso sia come incombente che perdurante.
• Il pericolo non deve esser stato determinato volontariamente dall’agente, il
quale si sia messo volontariamente in una situazione di pericolo, conoscendo
il rischio a cui andava incontro
La reazione consta di tre elementi:
• La costrizione, che implica un conflitto di interessi nell’aggredito, il quale deve
trovarsi nell’alternativa bloccata di reagire o di essere offeso, non ricorre
quando lo stesso ha intenzionalmente provocato o ha consapevolmente
accettato e non ha evitato il pericolo.
• La necessità di difendersi, ovvero la soluzione inevitabile per sottrarsi
all’offesa e sia idonea a neutralizzarla.
• La proporzione con l’offesa, che sussiste ove il male provocato dall’aggredito
risulti essere inferiore, uguale o leggermente superiore a quello subito,
determinato rapporto di proporzione, si ha nel caso in cui non vi sia desistenza
e vi sia concreto pericolo, all’interno del domicilio dell’aggredito o del posto di
lavoro

USO LEGITTIMO DELLE ARMI


A norma dell'art. 53 c.p., non è punibile il pubblico ufficiale che al fine di
adempiere un dovere del proprio ufficio, fa uso ovvero ordina di far uso delle
armi o di un altro mezzo di coazione fisica, quando vi è costretto dalla necessità
di respingere una violenza o di vincere una resistenza all’Autorità e comunque
di impedire la consumazione di strage, di naufragio, sommersione, disastro
aviatorio, omicidio volontario, rapina a mano armata e sequestro di persona.
La stessa disposizione si applica a qualsiasi persona che legalmente richiesta
dal pubblico ufficiale, gli presti assistenza.
Definita esimente propria, la prima condizione per essere richiesta è che il
soggetto sia determinato dal fine di adempiere un dovere del proprio ufficio,
nel senso che l’uso delle armi deve essere diretto ad eliminare un ostacolo che
si è frapposto fra lui e il dovere da adempiere.
La necessità di respingere una violenza (ossia qualsiasi impiego di forza fisica
posta in essere nei confronti del pubblico ufficiale) o di vincere una resistenza
(resistenza attiva: effettiva opposizione; resistenza passiva: inerzia o fuga),
o impedire atroci delitti, configurano comunque l’utilizzo delle armi come
extrema ratio, ovvero quando il fine non può raggiungersi in altro modo.
Altri casi di uso legittimo delle armi sono:
• L’uso di armi da parte della forza pubblica per l’esecuzione di provvedimenti
di pubblica sicurezza, quando gli interessati non vi ottemperino.
• L’uso di armi da parte di agenti di Polizia per impedire i passaggi abusivi delle
frontiere dello Stato o per arrestare contrabbandieri.
• L’uso di armi per impedire evasione di detenuti e violenze tra gli stessi.

LO STATO DI NECESSITA’
A norma dell'art. 54 c.p., non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi
stato costretto dalla necessità di salvare se o altri dal pericolo attuale di un
danno grave alla persona, pericolo da lui non volontariamente causato, ne
altrimenti evitabile, sempre che il fatto sia proporzionale al pericolo.
Gli elementi dello stato di necessità sono:
• La situazione di pericolo: il pericolo deve essere attuale, l’oggetto del
pericolo deve essere un danno grave alla persona, sia fisico che morale,
ovvero la violazione dei diritti dell’individuo, costituzionalmente garantiti,
l’agente non ha causato il pericolo e non abbia un particolare dovere ad
esporsi ad esso.
• Azione lesiva necessitata: l’azione lesiva di chi reagisce al pericolo deve
essere costretta, assolutamente necessaria per salvarsi e proporzionale al
pericolo.
L’art. 54 c.p. legittima la reazione oltre che per salvare un proprio diritto, anche
per salvare un diritto altrui, è questo il soccorso di necessità, che si distingue
dall’obbligo di soccorso, in quanto non è un obbligo, ma una facoltà e perché
impone che la situazione di pericolo sia incombente.
Una scriminante è anche il costringimento psichico, di cui risponderà dal fatto
commesso dalla persona minacciata, chi l’ha costretto a farlo.

ECCESSO COLPOSO NELLE CAUSE DI GIUSTIFICAZIONE


Si configura ogni qualvolta esistono i presupposti di fatto della causa di
giustificazione, ma il soggetto ne travalica i limiti.
Nell’esercizio del diritto o adempimento del dovere, per aversi l’eccesso,
occorre che l’attività sia iniziata nell’esercizio di un diritto o adempimento del
dovere e che si siano superati, per colpa, i limiti posti dalla legge o dall’ordine.
Nella legittima difesa, occorre il superamento colposo dei limiti imposti dalla
necessità di difesa.
Nello stato di necessità e uso legittimo delle armi, occorre il superamento, per
colpa, dei limiti stabiliti dalla legge.
. Colpevolezza e imputabilità
LA COLPEVOLEZZA
Per aversi reato, oltre al fatto materiale, è richiesta l’esistenza di un nesso
psichico tra il soggetto agente e l’evento lesivo, occorre cioè l’attribuibilità
psicologica del fatto di reato alla volontà dell’agente.
Il principio di colpevolezza, è affermato dall’art. 27 della Costituzione che
stabilisce che la responsabilità penale è personale, ed è basato su due
concezioni:
• Concezione psicologica: nesso psichico tra agente e condotta che cagiona
l’evento.
• Concezione normativa: contrasto tra volontà dell’agente e comando o
divieto contenuto nella norma.
Ne consegue quindi che l’imputabilità diventa presupposto della colpevolezza
e che il non imputabile, non potrà mai essere ritenuto autore di un reato.

L’IMPUTABILITA’
Secondo l’art. 85 c.p., è imputabile chi ha la capacità di intendere e di volere nel
momento in cui è commesso il reato.
Le cause che escludono l’imputabilità sono:
• la minore età: fino al compimento del quattordicesimo anno di età, vi è la
presunzione assoluta di assenza di capacità di intendere e di volere, tra i
quattordici e i diciotto anni, non vi è tale presunzione, ma il giudice deve
accertare caso per caso l’imputabilità. Il minore non imputabile, viene
prosciolto, ma nel caso in cui venga riscontrata la pericolosità sociale, può
essere disposto il ricovero presso il riformatorio giudiziario o la libertà vigilata.
Il minore di anni diciotto ma maggiore di anni quattordici è imputabile e quindi
soggetto a processo penale.
• l'infermità di mente: il vizio di mente deve essere conseguenza di una malattia,
di uno stato psicologico che turba la psiche del soggetto. Sotto il profilo
cronologico, non occorre che lo stato di infermità sia duraturo, essendo
sufficiente che sussista al momento della commissione del fatto, mentre sotto
il profilo causale, vi è la necessità di un nesso di causalità tra la malattia e il
reato. Vi è la distinzione tra vizio totale e vizio parziale di mente, nel primo
caso quando vi è l’assoluta mancanza di capacità di intendere o di volere, nel
secondo caso quando è grandemente scemata. La differenza sta nella pena,
nel primo caso vi è il proscioglimento dell’imputato al quale viene applicata la
misura di sicurezza del ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario, nel
secondo caso, vi è solo una diminuzione della pena, a cui di solito si aggiunge
il ricovero presso una casa di cura e custodia dopo aver scontato la pena. Per
il minore imputabile, semi-infermo di mente si opera nello stesso modo e nei
limiti del maggiorenne, mentre per gli stati emotivi e passionali, non vi è ne
esclusione ne diminuzione dell’imputabilità.
• il sordomutismo: il legislatore non ha adottato una soluzione definitiva ma
va analizzato caso per caso, nel caso in cui si riconosce la piena capacità di
intendere e di volere viene considerato imputabile, se la capacità non
sussiste, viene equiparato a chi è affetto da vizio totale di mente, se si accerta
che è grandemente scemata, è parificato a chi è affetto da vizio parziale di
mente.
• l'ubriachezza: in caso di ubriachezza accidentale, ovvero quando la
perdita della capacità di autocontrollo è determinata da fattori del tutto
imprevedibili, non si applicano misure di sicurezza. Nel caso di ubriachezza
volontaria, non vi è ne esclusione ne diminuzione dell’imputabilità. Nel caso
di ubriachezza preordinata, utilizzata per commettere un reato, vi è un
aumento di pena. Nel caso di ubriachezza abituale, vi è la necessità che il
soggetto abbia la consuetudine di fare un eccessivo uso di sostanze alcoliche
e che la conseguenza sia un frequente stato di ubriachezza. L’ubriachezza
cronica viene considerata come una malattia psichica e quindi viene
disciplinata con le norma sul vizio di mente. Stesso discorso vale per l’uso di
sostanze stupefacenti.
eati omissivi
IL REATO OMISSIVO
Contrapposto all’azione è l’omissione che viene definita anche comportamento
negativo ovvero azione in senso negativo. Per aversi omissione occorre che il
soggetto abbia l’effettiva capacità di compiere l’azione richiestagli.
Si distingue tra reati omissivi propri (reato di pura condotta), quelli per la cui
sussistenza è necessaria e sufficiente la semplice condotta negativa del reo
e reati commissivi mediante omissione (reato di evento), nei quali il
soggetto deve aver causato, con la propria omissione, un dato evento.

REATO OMISSIVO PROPRIO


Il precetto impone un determinato obbligo di attivarsi e il mancato compimento
dell’azione dovuta, costituisce omissione e quindi reato. Per la sussistenza è
necessario che il soggetto abbia la possibilità materiale di attivarsi, la quale
viene meno qualora manchino le attitudini psico-fisiche ovvero le condizioni
indispensabili per attivarsi. Ne deriva l’esclusione del reato tutte le volte in cui
il soggetto abbia compiuto un serio sforzo di adempiere all’obbligo di agire.

REATO COMMISSIVO MEDIANTE OMISSIONE (C.D. OMISSIVO


IMPROPRIO)
Disciplinato dal secondo comma dell’art. 40 c.p., che equipara agli effetti
giuridici il non impedire al cagionare, ha come elementi soggettivi:
• la situazione tipica, intesa come il complesso dei presupposti che
determinano una situazione di pericolo per il bene protetto e fanno quindi
sorgere l’obbligo di attivarsi;
• la condotta omissiva, consistente nel mancato impedimento dell’evento lesivo
e l’evento non impedito.
L’art. 40 ha una funzione estensiva, nel senso che combinandosi con le norme
di parte speciale che prevedono ipotesi di reato commissivo, estende la
punibilità al caso in cui l’evento sia stato cagionato da un'omissione. I reati
commissivi non convertibili in reati omissivi propri sono quelli di mano propria,
quelli abituali e quelli per i quali la norma incriminatrice tipizza già con
riferimento ad una condotta omissiva.

LE FONTI DELL’OBBLIGO DI IMPEDIRE UN EVENTO


L’obbligo di impedire un dato evento deriva dalla legge, dal contratto,
dall’ordine dell’Autorità Giudiziaria, dalla precedente attività, pericolosa ma
lecita, svolta dal soggetto, dalla consuetudine e dalla volontaria assunzione.
Un'altra dottrina di pensiero ha affermato la teoria sostanziale della posizione
di garanzia, attribuendo a determinati soggetti la funzione di garanti di
determinati interessi che non possono essere protetti dai loro titolari, vi è quindi
la posizione di protezione che ha lo scopo di preservare determinati interessi
e la posizione di controllo che ha lo scopo di neutralizzare determinate fonti di
pericolo.

POSIZIONI DI GARANZIA
Le posizioni di garanzia si sostanziano in obblighi di protezione e sorgono
da un rapporto di famiglia: genitori tenuti a garantire la vita e l’incolumità dei
figli e viceversa, obbligo di reciproca assistenza tra coniugi (art. 143 c.c.), una
stretta relazione comunitaria, conviventi o confratelli, una assunzione
volontaria o consensuale, espressa o tacita di un tale obbligo.
Obblighi di controllo di una determinata fonte di pericolo sorgono da un potere
di disposizione o di organizzazione, relativamente a cose o situazioni
potenzialmente pericolose che si verifichino nella sua sfera di signoria, da un
rapporto di educazione, istruzione, cura e custodia (ad esempio, i maestri) e
da una assunzione volontaria o consensuale (ad esempio, il bagnino
risponderà della morte bagnante solo se già in servizio al momento
dell’annegamento).

LA CAUSALITA’ NEI REATI OMISSIVI


La causalità non si pone nei reati omissivi propri in quanto manca l’evento
naturalistico, mentre in quelli impropri non è possibile riscontrare un rapporto
di causalità, in quanto finisce col configurarsi in una struttura probabilistica,
dovendosi valutare se l’azione dovuta, se compiuta, in che modo avrebbe
modificato il corso degli eventi.

STRUTTURA OGGETTIVA E SUITAS NEL REATO OMISIVO COLPOSO


Nei reati omissivi propri, la violazione della regola di diligenza può riferirsi già
al mancato riconoscimento della situazione tipica che si poteva in concreto
riconoscere, nei reati commissivi mediante omissione si discute se l’obbligo di
garanzia e quello di diligenza coincidano o meno. Nel reato omissivo, la
coscienza e volontà non va riferita all’omissione ma al comportamento che il
soggetto ha tenuto nel momento in cui doveva adempiere all’obbligo, se tale
comportamento è cosciente e volontario, lo sarà anche l’omissione.

ELEMENTO SOGGETTIVO NEI REATI OMISSIVI


Nei reati omissivi propri, poiché ricorra il dolo occorre che il soggetto abbia la
conoscenza dei presupposti dell’obbligo di attivarsi e la consapevolezza della
possibilità di agire nel senso richiesto dalla norma. L’ignoranza della norma
penale che impone l’obbligo di attivarsi rileverà, ai sensi dell’art. 5 c.p., l’errore
che sarà scusabile ed escluderà il dolo solo quando sarà inevitabile. Quanto
alla colpa, la negligenza, l’imprudenza e l’imperizia possono avere ad oggetto
sia il mancato riconoscimento della situazione tipica da cui nasce l’obbligo di
attivarsi sia la scelta dell’azione doverosa.
Nei reati commissivi mediante omissione, il dolo deve comprendere anche la
conoscenza dell’obbligo giuridico extrapenale di impedire l’evento tipico.
Quanto alla colpa si ritiene che anche se dovere di diligenza e obbligo di
impedire l’evento coincidono, le due entità vanno distinte per poter valutare la
loro portata.

Colpevolezza e imputabilità
LA COLPEVOLEZZA
Per aversi reato, oltre al fatto materiale, è richiesta l’esistenza di un nesso
psichico tra il soggetto agente e l’evento lesivo, occorre cioè l’attribuibilità
psicologica del fatto di reato alla volontà dell’agente.
Il principio di colpevolezza, è affermato dall’art. 27 della Costituzione che
stabilisce che la responsabilità penale è personale, ed è basato su due
concezioni:
• Concezione psicologica: nesso psichico tra agente e condotta che cagiona
l’evento.
• Concezione normativa: contrasto tra volontà dell’agente e comando o
divieto contenuto nella norma.
Ne consegue quindi che l’imputabilità diventa presupposto della colpevolezza
e che il non imputabile, non potrà mai essere ritenuto autore di un reato.

L’IMPUTABILITA’
Secondo l’art. 85 c.p., è imputabile chi ha la capacità di intendere e di volere nel
momento in cui è commesso il reato.
Le cause che escludono l’imputabilità sono:
• la minore età: fino al compimento del quattordicesimo anno di età, vi è la
presunzione assoluta di assenza di capacità di intendere e di volere, tra i
quattordici e i diciotto anni, non vi è tale presunzione, ma il giudice deve
accertare caso per caso l’imputabilità. Il minore non imputabile, viene
prosciolto, ma nel caso in cui venga riscontrata la pericolosità sociale, può
essere disposto il ricovero presso il riformatorio giudiziario o la libertà vigilata.
Il minore di anni diciotto ma maggiore di anni quattordici è imputabile e quindi
soggetto a processo penale.
• l'infermità di mente: il vizio di mente deve essere conseguenza di una malattia,
di uno stato psicologico che turba la psiche del soggetto. Sotto il profilo
cronologico, non occorre che lo stato di infermità sia duraturo, essendo
sufficiente che sussista al momento della commissione del fatto, mentre sotto
il profilo causale, vi è la necessità di un nesso di causalità tra la malattia e il
reato. Vi è la distinzione tra vizio totale e vizio parziale di mente, nel primo
caso quando vi è l’assoluta mancanza di capacità di intendere o di volere, nel
secondo caso quando è grandemente scemata. La differenza sta nella pena,
nel primo caso vi è il proscioglimento dell’imputato al quale viene applicata la
misura di sicurezza del ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario, nel
secondo caso, vi è solo una diminuzione della pena, a cui di solito si aggiunge
il ricovero presso una casa di cura e custodia dopo aver scontato la pena. Per
il minore imputabile, semi-infermo di mente si opera nello stesso modo e nei
limiti del maggiorenne, mentre per gli stati emotivi e passionali, non vi è ne
esclusione ne diminuzione dell’imputabilità.
• il sordomutismo: il legislatore non ha adottato una soluzione definitiva ma
va analizzato caso per caso, nel caso in cui si riconosce la piena capacità di
intendere e di volere viene considerato imputabile, se la capacità non
sussiste, viene equiparato a chi è affetto da vizio totale di mente, se si accerta
che è grandemente scemata, è parificato a chi è affetto da vizio parziale di
mente.
• l'ubriachezza: in caso di ubriachezza accidentale, ovvero quando la
perdita della capacità di autocontrollo è determinata da fattori del tutto
imprevedibili, non si applicano misure di sicurezza. Nel caso di ubriachezza
volontaria, non vi è ne esclusione ne diminuzione dell’imputabilità. Nel caso
di ubriachezza preordinata, utilizzata per commettere un reato, vi è un
aumento di pena. Nel caso di ubriachezza abituale, vi è la necessità che il
soggetto abbia la consuetudine di fare un eccessivo uso di sostanze alcoliche
e che la conseguenza sia un frequente stato di ubriachezza. L’ubriachezza
cronica viene considerata come una malattia psichica e quindi viene
disciplinata con le norma sul vizio di mente. Stesso discorso vale per l’uso di
sostanze stupefacenti.
Cause soggettive di esclusione del reato
CAUSE SOGGETTIVE DI ESCLUSIONE DEL REATO
Sono cause soggettive di esclusione del reato, quelle che eliminano il reato
escludendo il nesso psichico richiesto dal comma 1 dell’art. 42 c.p.
(c.d. suitas) ed escludendo l’elemento soggettivo del reato
(c.d. colpevolezza), cioè il dolo o la colpa. Nella prima ipotesi rientrano
l’incoscienza indipendente della volontà, la forza maggiore e il costringimento
fisico, nella seconda ipotesi rientrano invece il caso fortuito e l’errore.

IL CASO FORTUITO
Consiste in un avvenimento imprevisto ed imprevedibile che si inserisce
improvvisamente nell’azione del soggetto e che non può farsi risalire all’attività
psichica dell’agente, neppure a titolo di colpa. E’ l’imprevedibilità che
caratterizza il caso fortuito. Nel caso fortuito la forza che determina l’azione è
inconoscibile e collabora con l’azione del soggetto alla produzione dell’evento,
nella forza maggiore questa è imprevedibile e si pone contro la volontà del
soggetto, il quale inutilmente tenterebbe di contrastarla per impedire l’evento.
L’INESEGIBILITA’
Sia il dolo che la colpa sono esclusi allorchè l’agente si è trovato in condizioni
tali da non potersi pretendere umanamente da lui un contegno diverso da
quello tenuto, tali cioè da non potersi esigere un comportamento conforme al
precetto penale (ad esempio, l'alpinista che sorpreso dalla tormenta
abbandona il compagno per salvarsi).

L’ERRORE E LA SUA RILEVANZA IN DIRITTO PENALE


L’errore può essere definito come una falsa rappresentazione della realtà. E’
da tenere distinto dall’ignoranza, in quanto quest’ultima è assoluta mancanza
di conoscenza ed implica quindi un quid negativo. Va distinto tra errore
proprio, ovvero quello che fa ritenere al soggetto di agire nel rispetto della
legge mentre in realtà la viola, ed errore improprio, che fa ritenere al soggetto
di commettere un illecito mentre in realtà il suo comportamento non viola
alcuna norma penale. A seconda del momento, si avrà l’errore motivo che
interviene nella fase ideativa del reato e l’errore inabilità che interviene nella
fase esecutiva del reato. L’errore motivo si distingue tra errore sul fatto, con ad
oggetto una situazione di fatto ed errore sul diritto, con ad oggetto una norma
giuridica. Quanto alla causa che lo ha determinato si distingua tra errore di
fatto, in cui la falsa rappresentazione della realtà trova la sua causa in una
falsa rappresentazione di una situazione di fatto ed errore di
diritto (rappresentazione di una situazione di una norma giuridica).

ERRORE PROPRIO SUL DIRITTO


L’errore di diritto è disciplinato dall’art. 5 c.p., secondo il quale nessuno può
invocare a propria scusa l’ignoranza della legge penale. L’errore sulla legge
penale, sia che si tratti di ignoranza della legge, sia di inesatta interpretazione
della stessa, non esclude la responsabilità. La Corte Costituzionale con una
sentenza del 1988 (sentenza n.364/1988) ha dichiarato scusabile e quindi
scriminante l’errore inevitabile, dettato da ignoranza inevitabile. L’ignoranza
inevitabile non può essere invocata da chi professionalmente inserito in un
determinato campo di attività, non si informi delle norme che lo disciplinano e
che possono essere acquisite agevolmente. Può essere invece invocata anche
da personale estremamente qualificato qualora la disciplina normativa presenti
rilevanti ed oggettivi elementi di equivocità che rendano oscuro il precetto di
agire o l’ordine di operare. Quanto invece al cittadino comune, l’ignoranza
inevitabile può essere invocata qualora lo stesso, sprovvisto di specifiche
competenze, questi abbia assolto il dovere di conoscenza con l’ordinaria
diligenza attraverso la corretta utilizzazione dei mezzi di indagine, di
informazione e di ricerca.
L’ERRORE IMPROPRIO
E’ quell’errore per effetto del quale l’agente ritiene di commettere un reato
mentre in realtà non viola alcuna norma penale. Vi è l’errore improprio sul
diritto quello che porta a ritenere esistente una norma incriminatrice che in
realtà non esiste e l’errore improprio sul fatto che fa ritenere che un certo
fatto rientrante in una norma incriminatrice esistente, ma che in realtà non lo
è. Il fatto commesso a seguito di errore improprio non è reato ma a certi effetti
può essere penalmente rilevante.

L’ERRORE DI FATTO SUL FATTO


Il primo comma dell’art. 47 c.p. dispone che l’errore sul fatto che costituisce
reato esclude la punibilità dell’agente, se si tratta di errore determinato da colpa
la punibilità non è esclusa, quando il fatto è previsto dalla legge come delitto
colposo. L’errore di fatto che esclude la punibilità è quello essenziale, cioè che
cade su uno degli elementi essenziali del reato, non sarà punibile chi asporta
una cosa credendola sua, in quanto manca la conoscenza dell’altruità della
cosa. L’errore sul fatto che esime dalla punibilità è quello che ricade su un
elemento materiale e consiste in una difettosa percezione della realtà. Sono di
regola irrilevanti l’errore sull’oggetto, sulla persona e sul nesso causale.

L’ERRORE DI DIRITTO SUL FATTO


L’ultimo comma dell’art. 47 c.p. afferma che l’errore su una legge diversa da
quella penale esclude la responsabilità, quando ha cagionato un errore sul
fatto che costituisce reato.

L’ERRORE DETERMINATO DALL’ALTRUI INGANNO


L’errore sul fatto costituente reato può derivare anche dall’altrui inganno, in tal
caso dal fatto commesso dalla persona ingannata, risponderà chi l’ha
determinata a commetterlo.

L’ERRORE NEI SOGGETTI NON IMPUTABILI


La dottrina distingue tra errore patologico, condizionato dalla stessa causa di
non punibilità e l’errore non condizionato dalla causa di non punibilità, che
potrebbe essere commesso nella stessa situazione anche da persona
imputabile.

Reato putatito e reato impossibile


REATO PUTATIVO
Disciplinato dal primo comma dell’art. 49 c.p. secondo il quale non è punibile
chi commette un fatto non costituente reato, nella supposizione erronea che
esso costituisca reato. Il reato putativo per errore di diritto si configura nel
caso in cui taluno crede erroneamente che il fatto da lui commesso sia punito
da una norma penale, il reato putativo per errore di fatto si configura quando
il soggetto crede di compiere un reato mentre in realtà manca uno degli
elementi essenziali per la sua sussistenza (ad esempio, chi asporta una
propria cosa credendola altrui), quando il soggetto crede di commettere un
reato mentre agisce in presenza di una causa di giustificazione (ad esempio,
chi crede di rubare invece esiste il consenso dell’avente diritto) e chi crede
erroneamente di avere uno dei requisiti richiesti per commettere un reato
proprio (ad esempio, chi ritenendosi imprenditore crede di commettere
bancarotta).

REATO IMPOSSIBILE
Il secondo comma dell’art. 49 c.p. stabilisce che la punibilità è esclusa quando
per l’inidoneità dell’azione (ad esempio, Tizio intende uccidere Caio con una
pistola giocattolo) o per l’inesistenza dell’oggetto di essa (ad
esempio, quando manchi la persona o l’oggetto su cui cade l’attività materiale
del reato), è impossibile l’evento dannoso o pericoloso. Per comprendere la
figura del reato impossibile occorre far riferimento al principio di offensività.
L’offensività è un requisito fondamentale per la configurazione e punibilità di
un fatto come reato, per cui se l’esito di un’azione non si sostanzia nella lesione
o messa in pericolo del bene, l’azione stessa non è offensiva e quindi non può
costituire reato, per cui il reato è impossibile perché è impossibile che si
verifiche l’evento dannoso o pericoloso.

REATO IMPOSSIBILE PER L’INESISTENZA DELL’OGGETTO


Secondo la teoria tradizionale, l’accertamento dell’inesistenza dell’oggetto va
fatto considerando la situazione quale si prospettava al momento in cui
l’agente si accingeva ad attuare il suo piano criminoso, se in tale momento la
presenza dell’oggetto appariva improbabile si avrà reato impossibile, in tutti gli
altri casi il fatto sarà punito.
Secondo la teoria più recente bisogna distinguere tra l’inesistenza assoluta,
che si ha quando l’oggetto non è mai esistito o si è estinto e l’inesistenza
relativa, che si ha quando l’oggetto esistente in natura, manca nel luogo in cui
cade la condotta criminosa, quindi se al momento dell’azione, l’esistenza
dell’oggetto appariva verosimile, si avrà tentativo punibile.

REATO IMPOSSIBILE PER L’INIDONEITA’ DELL’AZIONE


L’inidoneità che rende impossibile l’evento deve essere assoluta, intrinseca ed
originaria. Le teorie in dottrina sono contrastanti, taluni lo vedono come un
doppione del tentativo inidoneo, altri lo differenziano affermando che si ha
reato impossibile nel caso in cui il soggetto ha portato a termine l’intera
condotta che per le caratteristiche intrinseche, non ha determinato l’offesa al
bene protetto dalla norma, si ha invece tentativo inidoneo, nel caso in cui siano
stati compiuti solo alcuni atti inidonei. L’inidoneità dell’azione nel reato
impossibile deve essere accertata notando se si è effettivamente prodotta una
violazione dell’interesse tutelato; se tale violazione non si è verificata ne poteva
verificarsi per l’inadeguatezza causale dell’azione criminosa, si avrà reato
impossibile.
Se si verifica un delitto impossibile, il giudice ha la facoltà di ordinare che
l’imputato prosciolto, sia sottoposto alla misura di sicurezza della libertà
vigilata, perché il fatto può dimostrare che l’autore è un individuo socialmente
pericoloso.

REATO CONSUMATO
Il reato è suddiviso nelle seguenti fasi:
• Ideazione: E’ il periodo di tempo durante il quale nel soggetto nasce e si sviluppa
l’idea di commettere il reato. Ricorre solo per i reati dolosi.
• Esecuzione: Coincide con l’attuazione della risoluzione criminosa e consiste nella
realizzazione del tipo di comportamento previsto dalla singola norma penale
incriminatrice.
• Consumazione: L’esecuzione ha come punto d’arrivo la consumazione.
Ogni reato ha ad oggetto un bene giuridico, si ha la consumazione del reato quando si
determina l’effettiva lesione o messa in pericolo del bene tutelato, ovvero quando si
sono realizzati tutti i requisiti previsti dalla fattispecie legale per il perfezionamento
del reato. Nei reati di pura condotta la consumazione coincide col realizzarsi della
condotta vietata, nei reati di evento col verificarsi di questo.

DELITTO TENTATO
Chi compie atti idonei, diretti in modo non equivoco a commettere un delitto, risponde
di delitto tentato (art. 56 comma 1 c.p.). Si ha dunque delitto tentato quando il soggetto
agente vuole commettere un reato e si attiva in tal senso, senza però realizzare il proprio
proposito per causa indipendenti dalla propria volontà. Il tentativo rappresenta un titolo
autonomo di reato, in quanto rappresenta la messa in pericolo del bene tutelato ma
viene riservato un trattamento meno severo rispetto al consumato. L’incompiutezza del
reato si presenta talvolta perché non è stata portata a termine l’intera condotta diretta a
commettere reato (ad esempio, fuga del ladro), altre volte pur essendo stata portata a
termine la condotta, l’evento richiesto non si è verificato (ad esempio, si spara ma non
si colpisce il bersaglio).
I requisiti del tentativo (art. 56 c.p.) sono l’intenzione di commettere un reato,
l’idoneità degli atti, l’univocità degli atti e il mancato compiersi dell’azione o il
mancato verificarsi dell’evento.
Quanto all’intenzione di commettere il delitto, occorre che tale intenzione sia formata
dal compimenti di atti idonei diretti a commettere il reato. Il tentativo è sempre un
delitto doloso, non essendo compatibile con il tentativo la colpa.
Per accertare l’univocità bisogna determinare l’intenzione criminosa. Sono univoci
quegli atti che per il grado di sviluppo raggiunto dalla condotta criminosa, lasciano
prevedere come verosimile la realizzazione del delitto voluto.
Sono idonei gli atti adeguati alla commissione del delitto, quegli atti che si inseriscono
nel piano criminoso dell’agente come conditiones sine quibus non.
Si distinguono:
• tentativo circostanziato: Ricorre quando le circostanze riguardano direttamente il
tentativo e sono compiutamente realizzate nel contesto della stessa azione tentata.
• tentativo di delitto circostanziato: Ricorre quando le circostanze non sono state
realizzate ma entrano a far parte del proposito criminoso.
Le pene per il delitto tentato sono più lievi rispetto al delitto consumato, la reclusione
non inferiore a dodici anni se per il consumato è previsto l’ergastolo, la pena diminuita
da un terzo a due terzi per gli altri casi.

DESISTENZA
Si ha desistenza (art. 56 comma 3 c.p.) quando l’agente dopo aver iniziato
l’esecuzione del delitto, muta proposito e interrompe la sua attività criminosa. Ha
carattere positivo nei reati commissivi e negativo nei reati omissivi e deve verificarsi
volontariamente. La desistenza importa di regola l’impunità a meno che non siano già
stati compiuti atti che costituiscono reato diverso per i quali l’agente risponderà.

RECESSO ATTIVO O PENTIMENTO OPEROSO


A differenza della desistenza, il recesso attivo si verifica allorquando il colpevole
abbia già condotto a termine l’attività delittuosa e desiderando evitare il verificarsi
dell’evento, si attiva per impedirlo. Il pentimento operoso non importa la totale
impunità ma solo una diminuzione della pena.

COLLABORAZIONE CON L'AUTORITA' GIUDIZIARIA PER DELITTI DI


TERRORISMO ED EVERSIONE
Per i delitti commessi per finalità di terrorismo o di eversione dell’ordine
democratico (D.L. n.625/1979), nei confronti del concorrente che dissociandosi dagli
altri si adopera per evitare che l’attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori,
ovvero aiuta concretamente forze dell’ordine e l'Autorità Giudiziaria nella raccolta di
prove decisive per l’individuazione e la cattura dei concorrenti, la pena dell’ergastolo
è sostituita da quella della reclusione da dodici a venti anni e le altre pene sono
diminuite da un terzo alla metà. L’attività dissociativa è considerata quindi una
circostanza attenuante.
IL RECESSO ATTIVO DEL TERRORISTA
Fuori da quanto disposto dall’art. 56 c.p., non è punibile il colpevole di un delitto
commesso per finalità di terrorismo o di eversione che volontariamente impedisce
l’evento e fornisce elementi di prova determinanti per l’esatta ricostruzione del fatto e
per l’individuazione di eventuali concorrenti.
12. Reato aberrante
REATO ABERRANTE
Con l’espressione di reato aberrante, si identificano quelle ipotesi in cui il
soggetto agente realizza per errore nei mezzi di esecuzione o per altra causa,
un reato diverso da quello voluto o cagiona un’offesa nei confronti di una
persona diversa da quella che voleva offendere. Vi sono due ipotesi,
l’aberratio ictus e l’aberratio delicti.

ABERRATIO ICTUS
L’art. 82 c.p. dispone che quando per errore nell’uso dei mezzi di esecuzione
del reato o per altra causa, è cagionata offesa a persona diversa da quella alla
quale l’offesa era diretta, il colpevole risponde come se avesse commesso il
fatto in danno della persona che voleva offendere. Qualora oltre alla persona
diversa, sia offesa anche quella alla quale l’offesa era diretta, il colpevole
soggiace alla pena stabilita per il reato più grave, aumentata fino alla metà.
L’aberratio ictus è compatibile col delitto preterintenzionale.
Si distinguono:
• aberratio ictus monolesiva: si verifica quando si arreca offesa
esclusivamente alla persona diversa;
• aberratio ictus bi-offensiva: si verifica quando si offendono
contemporaneamente tanto la vittima predestinata che una persona diversa;
• aberratio ictus plurioffensiva: oltre alla vittima predestinata anche altre
persone; non è stabilito dal codice, si discute sull’aumento di pena in base
alle persone o all’applicarsi di norme del concorso di reati. Stesso discorso
per offesa a più persone, indenne la vittima designata.

ABERRATIO DELICTI
Se per errore nell’uso dei mezzi di esecuzione del reato o per altra causa, si
cagiona un evento diverso da quello voluto, il colpevole risponde a titolo di
colpa dell’evento non voluto, quando il fatto è previsto dalla legge come delitto
colposo. Se il colpevole ha cagionato altresì l’evento voluto, si applicano le
regole sul concorso di reati.

ABERRATIO CAUSAE
Ricorre quando per errore nella fase consumativa, la successione causale si
sia svolta in maniera diversa da quella prevista dall’agente. Irrilevante nei reati
a condotta libera, è rilevante nei reati a condotta vincolata.

Reato circostanziato
REATO CIRCOSTANZIATO
Nella struttura del reato si distinguono elementi essenziali ed elementi
accidentali o accessori, che incidono sulla gravità del reato e ne determinano
una variazione qualitativa e/o quantitativa della pena. La loro presenza
trasforma il reato da semplice a circostanziato. Vi sono circostanze tipiche o
definite e circostanze indefinite o innominate, la cui individuazione è rimessa
alla discrezionalità del giudice.
Il reato circostanziato contiene tutti gli elementi della fattispecie del reato
semplice, con l’aggiunta di uno o più requisiti specializzanti, non devono quindi
considerarsi circostanze gli elementi essenziali del reato, gli elementi che
aderendo ad un modello di reato ne determinano un mutamento del titolo dello
stesso, il concorso di persone nel reato e il tentativo rispetto al reato
consumato.
Le circostanze si suddividono in:
1. comuni e speciali (a seconda che siano previste per tutti i reati con cui
non siano incompatibili o per uno o più reati determinati);
2. aggravanti e attenuanti;
3. oggettive (la natura, l’oggetto, la specie, i mezzi, il tempo, il luogo e
ogni altra modalità dell’azione) e soggettive(l’intensità del dolo o il
grado della colpa, le condizioni o le qualità personali del colpevole, i
rapporti tra colpevole e offeso);
4. antecedenti, concomitanti e susseguenti, intrinseche (quelle che
attengono alla condotta illecita) o estrinseche (estranee all’esecuzione
e alla consumazione del reato);
5. ad efficacia comune ( quelle circostanze che aumentano o
diminuiscono la pena fino a un terzo di quella prevista per il reato
base), ad efficacia speciale ( quelle per le quali la legge stabilisce pene
di specie diversa da quella ordinaria del reato), ad effetto
speciale (quelle circostanze che prevedono aumento o diminuzione
superiore a un terzo).

CIRCOSTANZE AGGRAVANTI
L’art. 61 c.p. prevede le seguenti circostanze aggravanti comuni:
• l’aver agito per motivi abietti o futili (art. 61 n.1 c.p.); abietto si intende un
motivo ignobile che provochi un senso di ripugnanza in ogni persona di media
moralità, futile invece è qualsiasi azione in cui vi sia enorme sproporzionalità
tra motivo e azione delittuosa. E’ una circostanza soggettiva, incompatibile
col vizio parziale di mente, minore età, ubriachezza e con la provocazione,
inoltre non è compatibile con i reati colposi, in quanto manca un motivo a
delinquere.
• l’aver commesso reato per eseguirne od occultarne altro, ovvero per
assicurare a se o ad altri prodotto, profitto o prezzo ovvero impunità da altro
reato (art. 61 n.2 c.p.), vi sarà connessione teleologica quando si compie il
reato per eseguirne un altro (ad esempio, lesioni per rapina impropria) e
connessione consequenziale quando il reato è commesso al fine di occultarne
un altro o assicurare prodotto (ad esempio, refurtiva), profitto (ossia il
vantaggio patrimoniale o non derivante dal reato), prezzo (beni dati o
promessi al soggetto affinchè compia il reato), impunità (ossia ka sottrazione
alle conseguenze processuali derivanti dal reato). E’ una circostanza
soggettiva.
• l’avere agito, nei delitti colposi, nonostante la previsione dell’evento (art. 61
n.3 c.p.), è questa la cosiddetta colpa cosciente che consiste nell’agire pur
prevedendo l’evento come conseguenza della sua condotta, si agisce nella
sicura fiducia che esso non si verifichi, ritenendo di poterlo evitare in virtù della
propria abilità personale o per l’intervento di fattori esterni. Circostanza
soggettiva.
• l’aver adoperato sevizie o aver agito con crudeltà verso le persone (art. 61 n.4
c.p.), cioè infliggere violenza fisica o morale, con mezzi non necessari alla
commissione del reato e con assoluta mancanza di sentimenti
umanitari. Circostanza soggettiva compatibile col vizio parziale di mente e
con l’attenuante della provocazione, non è compatibile col vizio totale di
mente.
• l’aver profittato di circostanze di tempo, luogo o di persona, anche in
riferimento all’età, tali da ostacolare la pubblica o privata difesa (art. 61 n.5
c.p.), ovvero avvantaggiarsi intenzionalmente di una condizione favorevole,
sia essa causale o provocata dal soggetto; per configurarsi basta che la difesa
sia ostacolate. E’ una circostanza oggettiva, in quanto agevola la
commissione del reato. Per circostanze di tempo e luogo si intende ad
esempio la notte e la situazione di calamità, per circostanze di persona si
intendono ad esempio i mutilati, ubriachi ecc.
• l’avere commesso il reato, durante il tempo in cui si è sottratto
all’esecuzione di un mandato o di un ordine di arresto, cattura o
carcerazione per un precedente reato (art. 61 n.6 c.p.); circostanza
soggettiva.
• l’avere nei delitti contro il patrimonio o che offendono il patrimonio, determinati
da motivi di lucro, cagionato alla persona offesa dal reato un danno di
rilevante entità (art. 61 n.7 c.p.), è una circostanza con natura
oggettivariferendosi all’entità del danno. La rilevanza del danno deve essere
valutata avendo riguardo del livello economico medio della comunità sociale
nel momento storico di riferimento, prescindendo dalle condizioni economiche
del danneggiato.
• l’avere aggravato o tentato di aggravare le conseguenze del delitto
commesso (art. 61 n.8 c.p.), consiste in un fatto successivo alla commissione
del reato, con cui l’agente ne abbia aggravato o tentato di aggravare le
conseguenze (ad esempio, ferire un uomo ed impedirne i soccorsi).
• l’avere commesso il fatto con abuso di potere o con violazione dei
doveri inerenti a una pubblica funzione o a un pubblico servizio (art. 61 n.9
c.p.), l’abuso deve essere doloso.
• l’avere commesso il fatto contro un pubblico ufficiale o contro una
persona incaricata di pubblico servizio o ministro di culto cattolico o culto
ammesso dallo Stato, o contro un agente diplomatico o consolare di uno
Stato, nell’atto o a causa dell’adempimento delle funzioni (art. 61 n.10 c.p.),
trattasi di circostanza oggettiva perché riguarda la persona offesa.
• l’avere commesso il fatto con abuso di autorità o di relazioni domestiche,
ovvero con abuso di relazioni di ufficio, di prestazione, d’opera, di
coabitazione o di ospitalità (art. 61 n.11 c.p.).
• l’avere commesso il fatto mentre si trova illegalmente sul territorio nazionale
(art. 61 n.11bis c.p.).
• l’avere commesso un delitto contro la persona ai danni di un soggetto
minore all’interno o nelle adiacenze di istituti di istruzione o di formazione
(art. 61 n.11ter c.p.).
• l’avere il colpevole commesso un delitto non colposo durante il periodo in
cui era ammesso ad una misura alternativa alla detenzione in carcere. (art.
61 n.11quater c.p.).
• l’avere, nei delitti colposi contro la vita o contro l’incolumità individuale, contro
la libertà personale, commesso il fatto in presenza o in danno di un minore
di anni diciotto ovvero in danno di persona in stato di gravidanza. (art. 61
n.11quinques c.p.).

LE CIRCOSTANZE ATTENUANTI COMUNI


• L’aver agito per motivi di particolare valore morale e sociale (art. 62 n.1
c.p.), ha una natura soggettiva, riguardando l’intensità del dolo ed è da
intendere per quegli impulsi psicologici ispirati a finalità superiori, altamente
apprezzabili dal punto di vista etico e sociale.
• l’aver agito in stato d’ira determinato da un fatto ingiusto altrui (art. 62 n.2
c.p.), è questa la c.d. provocazione. Lo stato d’ira, ossia la perdita di controllo
delle proprie azioni deve essere determinato da un fatto giusto altrui, che va
accertato con criteri obiettivi. Il fatto provocatorio è ingiusto quando costituisce
un aggressione ad un interesse, ad un’aspettativa, ad un opinione.
• l’aver agito per suggestione di folla in tumulto (art. 62 n.3 c.p.), ossia
qualsiasi moltitudine disordinata e violenta che crei confusione turbolenta.
L’attenuante in esame non sarà presa in considerazione quando si tratti di
assembramenti vietati dalla legge o quando il soggetto che la invoca sia un
delinquente abituale o che si sia mescolato tra la folla per commettere un
reato prefissato.
• l’avere nei delitti contro il patrimonio, (art. 62 n.4 c.p.) cagionato un danno
di speciale tenuità (art. 62 n.4 c.p.), deve considerarsi il momento in cui vi è
la consumazione del reato.
• l’essere concorso a determinare l’evento, insieme all’azione od omissione
del colpevole, il fatto doloso della persona offesa (art. 62 n.5 c.p.), necessita
di due condizioni, l’inserimento del comportamento della persona offesa nella
serie delle cause determinatrici del reato e la volontà dell’offeso di concorrere
con la sua condotta nell’evento medesimo.
• l’avere, prima del giudizio, riparato interamente il danno mediante
risarcimento o restituzione o l’essersi, prima del giudizio, adoperato
spontaneamente per elidere o attenuare le conseguenze dannose o
pericolose del reato (art. 62 n.6 c.p.), vi sono due ipotesi, per quanto riguarda
il risarcimento o la restituzione, deve essere integrale e volontaria, mentre
se è parziale sarà il giudice a valutare la concessione delle attenuanti
generiche, se è commesso da più persone, l’attenuante sarà per chi si
adopera, gli altri ne trarranno vantaggio solo se manifestano concreta volontà
di riparazione del danno. Nel caso di riparazione del danno mediante elisione
o attenuazione del fatto criminoso, l’ipotesi si riferisce a conseguenze del
reato che non possono essere eliminate mediante risarcimento (ad esempio,
il ferimento).

CIRCOSTANZE ATTENUANTI GENERICHE


Ai sensi dell’art. 62bis c.p., il giudice fuori dalle circostanze previste dall’art. 62
c.p., può prendere in considerazione altre circostanze diverse, qualora le
ritenga tali da giustificare una diminuzione della pena. Le attenuanti
generichecostituiscono uno strumento finalizzato a mitigare, in relazione a
circostanze non contemplate specificatamente dalla legge, le pene, giudicate
troppo aspre o di formale e rigida applicazione, previste per i singoli reati. La
valutazione per la loro concessione è rimessa al giudice, che valuterà aspetti
della personalità del reo e facendo una completa analisi del singolo fatto.
Per la valutazione delle attenuanti generiche il giudice non deve tenere conto
della capacità a delinquere del colpevole, qualora questi appartenga alla
categoria dei recidivi reiterati speciali, ovvero che sia già stato condannato per
reati la cui pena è la reclusione non inferiore ai cinque anni.
L’assenza di precedenti condanne per altri reati a carico del condannato non
può essere, per ciò solo, posta a fondamento della concessione delle
attenuanti generiche.
La legge n.19/1990, subordina l’applicabilità delle aggravanti ad una
conoscenza della loro sussistenza da parte dell’agente, quindi l’aggravio della
pena è consentito solo se la circostanza, obiettivamente sussistente, era sta
ignorata dal soggetto per colpa o per errore determinato da colpa. Se quindi
non è possibile muovere nei confronti del soggetto un rimprovero almeno di
colpa, non gli si può attribuire una circostanza aggravante. Al contrario per le
circostanze attenuanti, sono sempre applicabili, anche se non conosciute o
ritenute per errore inesistenti. (ad esempio, rubo quadro di valore credendo sia
una di poco valore, viene applicata attenuante art. 62 n.4 c.p.).
Nel caso di più circostanze omogenee (tutte aggravanti o attenuanti) si fa
luogo a tanti aumenti o diminuzioni di pena, quante siano le circostanze
concorrenti.
Nel caso di più circostanze eterogenee, qualora nel medesimo reato
concorrano circostanze aggravanti e attenuanti, si procede ad un giudizio di
prevalenza rimesso al giudice, che provvede con un apprezzamento
insindacabile; quindi se prevalgono le aggravanti, non si tiene conto della
diminuzione di pena stabilita per le attenuanti, facendosi luogo solo agli
aumenti di pena previsto per le specifiche aggravanti, se invece prevalgono le
attenuanti, si applicano solo le relative diminuzioni di pena.
Nel caso di equivalenza, si applica la pena che sarebbe stata inflitta senza
alcuna circostanza.

Concorso eventuale di persone


IL CONCORSO EVENTUALE DI PERSONE NEL REATO
Il reato come fatto umano può essere commesso sia da un soggetto che da
una pluralità di soggetti, in questa seconda ipotesi si parla di concorso di
persone nel reato. Si distingue tra concorso necessario che si verifica per
quei reati che possono essere commessi solo da due o più persone (reati
plurisoggettivi) e concorso eventuale, ovvero per tutti i reati che possono
essere commessi da una persona sola.
La disciplina del concorso eventuale è dettata dall’art. 110 c.p. che stabilisce
che quando più persone concorrono nel medesimo reato, ciascuna di esse
soggiace alla pena per questo stabilita.
Tale norma svolge una funzione estensiva dell’ordinamento penale in quanto
consente di punire sia chi concorre con la condotta tipica prevista dalla norma
incriminatrice, sia chi pone in essere azioni atipiche che in base alla sola norma
non sarebbero punibili (ad esempio, istigazione al furto senza la partecipazione
alla sottrazione).

FORME DEL CONCORSO CRIMINOSO


Bisogna distinguere tra partecipazione materiale o fisica, che si verifica
nell’esecuzione del reato, ove l’autore è chi compie l’azione, il coautore è chi,
insieme ad altri, esegue l’azione tipica e il partecipe è chi pone in essere
un’azione che di per se non realizza la fattispecie tipica criminosa (ad esempio,
il palo nel furto) e partecipazione psichica, che si verifica nell’ideazione del
reato, ove il determinatore è colui che fa sorgere un proposito criminoso che
prima non esisteva, l’istigatore è il compartecipe che si limita a rafforzare in
un’altra persona un proposito criminoso già esistente.

ELEMENTI DEL CONCORSO DI PERSONE


Gli elementi essenziali per configurarsi il concorso di persone nel reato sono:
• la pluralità di agenti (in alcuni casi si segue la teoria dell’autore mediato,
quando chi compie il reato è incapace, ne risponde solo colui che l’ha indotto
al crimine, altre teorie considerano concorso di persone anche se tra questi vi
è un incapace);
• la realizzazione dell’elemento oggettivo del reato (per aversi la
sussistenza del concorso, deve aversi un reato);
• il contributo causale del concorrente al verificarsi dell’evento (vi sono
varie teorie, quella condizionalistica in cui vi è la condicio sine qua non,
l’aumento del rischio, la facilitazione o agevolazione e l’apporto materiale o
compartecipazione psichica o morale);
• la volontà effettiva di cooperare nel reato (è l’elemento soggettivo,
indicato come la volontà di partecipare alla realizzazione dell’evento. Il reato
in concorso è sempre doloso è necessita di due elementi, chi vi sia la volontà
di commettere un reato e che vi sia la volontà di commetterlo insieme ad altri).

AGENTE PROVOCATORE
E’ colui che spinge altre persone a commettere reati al fine di farli scoprire e
punire (spesso sono appartenenti a forze di Polizia). Secondo la dottrina
dominante egli va esente da responsabilità per mancanza di dolo, in quanto
agisce con la precisa convinzione che l’evento non si sarebbe verificato. La
giurisprudenza considera l’opera dell’agente provocatore non esente da
punibilià a meno che non si tratti di opera marginale consistente in attività di
osservazione, di controllo e di contenimento delle azioni illecite, che devono
essere esclusivamente opera altrui.

RESPONSABILITA’ PARTECIPE PER REATO DIVERSO DA QUELLO


VOLUTO
Disciplinato dall’art. 116 c.p. stabilisce che quando il reato commesso sia
diverso da quello voluto da taluno dei concorrenti, anche questi ne risponde,
se l’evento è conseguenza della sua azione od omissione. La pena è diminuita
riguardo a chi volle il reato meno grave. Quanto al titolo della responsabilità, vi
è un’ipotesi di responsabilità oggettiva, contro la quale la Corte Costituzionale
si è opposta facendo leva sul requisito della prevedibilità del reato diverso.
Qualora il compartecipe abbia previsto che l’azione criminosa potesse sfociare
in un reato più grave accettandone il rischio non risponderà più ex art. 116 c.p.
ma ex art. 110 c.p. per averlo voluto a titolo di dolo eventuale.
CIRCOSTANZE AGGRAVANTI
Ex art. 112 c.p., la pena è obbligatoriamente aumentata se:
• il numero delle persone concorse nel reato sia di cinque o più;
• per chi ha promosso ed organizzato la cooperazione nel reato, per chi
nell’esercizio della sua autorità, direzione o vigilanza, ha determinato a
commettere il reato a persone ad esso soggette;
• per chi ha determinato a commettere reato un minore di diciotto anni o una
persona in stato di infermità o di deficienza psichica, ovvero si è avvalso degli
stessi o con gli stessi ha partecipato per la commissione di un reato per il
quale è previsto l’arresto in flagranza.

CIRCOSTANZE ATTENUANTI
Ex art. 114 c.p., la pena può essere diminuita qualora il giudice ritenga che
l’opera prestata da talune persone concorse nel reato, abbia avuto minima
importanza nella preparazione o esecuzione del reato e nei confronti di colui
che è stato indotto alla partecipazione per timore reverenziale da persona che
esercita su di lui autorità, direzione o vigilanza, come pure per il minore di
diciotto anni, l’infermo o avente deficienza psichica.

DESISTENZA VOLONTARIA E PENTIMENTO OPEROSO


La desistenza volontaria non si estende agli altri compartecipi e secondo la
dottrina dominante si verifica allorchè il soggetto impedisca il compimento
dell’evento; il pentimento operoso presuppone che l’azione collettiva sia
giunta a compimento e che uno dei concorrenti riesca ad impedire il verificarsi
dell’evento lesivo (ad esempio, due persone accoltellano con volontà omicida
ma uno dei due accompagna il ferito in ospedale impedendone il decesso).

LA COOPERAZIONE NEI REATI COLPOSI


Nel delitto colposo, quando l’evento è stato cagionato dalla cooperazione di
più persone, ciascuna di queste soggiace alle pene stabilite per il delitto stesso.
E’ questa la disciplina della cooperazione colposa, si tratta di un concorso
improprio in quanto manca la volontà di cooperare nel reato (ad
esempio, incendio causato da due persone, uno prende la legna e l’altro la
accende per riscaldarsi).

Concorso di reati
IL CONCORSO DI REATI
Si verifica quando un individuo viola più volte la legge penale ed è perciò
chiamato a rispondere di più reati. Il concorso può essere materiale, quando
è caratterizzato dal fatto che i vari reati sono posti in essere da una pluralità di
azioni od omissioni, oppure formale, quando i reati vengono realizzati con una
sola azione od omissione, o apparente, quando la molteciplità dei reati è solo
apparente, in quanto la violazione della norma penale è sostanzialmente unica.

IL CONCORSO MATERIALE
Si ha quando è caratterizzato dal fatto che i vari reati sono posti in essere da
una pluralità di azioni od omissioni, l’unico legame tra questi reati è dato
dall’identità della persone dell’agente che li ha posti in essere. I reati commessi
da un unico agente possono essere legati da un:
• vincolo ideologico, quando il reato è commesso per eseguirne un altro
(ad esempio, omicidio per derubare la vittima);
• vincolo consequenziale, quando un reato viene commesso per
assicurarsi un prezzo, prodotto, profitto o impunità da altro reato (ad
esempio, dopo aver ucciso un neonato ne occulta il cadavere);
• vincolo occasionale, quando nella commissione di un reato vi è
l’occasione di commetterne un altro (ad esempio, ladro entra per rubare,
vede una giovane e la violenta).

IL CONCORSO FORMALE
Si distingue in concorso eterogeneo quando con una sola azione od
omissione si violano diverse disposizioni di legge (ad esempio, colpo di pistola
che uccide una persona e rompe una vetrina), e concorso omogeneo,
quando con una sola azione od omissione vengono compiute più violazioni
della medesima disposizione di legge (ad esempio, frase ingiuriosa rivolta a
più persone).
Lo scopo della materia del concorso dei reati è quello di limitare l’entità della
pena da applicare a chi deve essere giudicato per più reati. Sono tre i sistemi
concepibili per la disciplina del concorso di reati:
1. l’assorbimento, si applica solo la pena prevista per il reato più grave e non
si tiene conto di quello minore;
2. il cumulo giuridico, si applica la pena più grave con un aumento non
corrispondente alla somma delle altre pene ma ad una congrua quota fissata
dalla legge;
3. il cumulo materiale, il reo soggiace a tante pene quante sono le infrazioni
commesse.

Reato continuato
IL REATO CONTINUATO
Si ha reato continuato, quando con più azioni od omissioni esecutive di un
medesimo disegno criminoso, si commettono, anche in tempi diversi, più
violazioni della stessa o di diverse disposizioni di legge (art. 81 c.p.).
Perché possa applicarsi l’art. 81 c.p. è necessario che vi sia una pluralità di
azioni, intesa come una pluralità di condotte autonome, che sfociano in più
episodi criminosi e non quindi come più atti unificabili in un’unica azione, più
violazioni della stessa o di diverse disposizioni di legge e l’identità del disegno
criminoso.

CONTINUAZIONE TRA DELITTI E CONTRAVVENZIONI


La continuazione è applicabile in ogni caso in cui più reati siano stati
commessi in esecuzione di un medesimo disegno criminoso, anche quando i
reati appartengono a categorie diverse e siano puniti con pene di specie
diversa. La sanzione è quella prevista dall’art. 81 c.p., ovvero l’aumento della
pena prevista per il reato più grave fino al triplo
In giurisprudenza, l’orientamento principale afferma che è applicabile l’istituto
della continuazione, indipendentemente dalle pene previste per i singoli reati,
che possono essere anche di specie diverse (reclusione e arresto o multa e
ammenda) o di genere diverso (pene detentive e pene pecuniarie). Si ritiene
inoltre che la continuazione possa essere ravvisata tra contravvenzioni, purchè
l’elemento soggettivo ad esse comune sia il dolo.

L’IDENTITA’ DEL DISEGNO CRIMINOSO


L’unicità del disegno criminoso si ha quando il soggetto ha precedentemente
disposto il progetto di compiere una serie di azioni delittuose della stessa
specie (fattore intellettivo), deliberato nelle linee essenziali (fattore volitivo)
e per conseguirne un determinato fine (fattore finalistico).
In generale si può affermare che l’identità del disegno criminoso viene meno
quando tra l’uno e l’altro fatto incriminato, vi siano intervenute circostanze che
abbiano indotto il reo a modificare il progetto originario in relazione ai mezzi di
esecuzione e alle condizioni di attuazione. La configurabilità di un medesimo
disegno criminoso è inammissibile tra reati dolosi e colposi o tra reati colposi.
La permanenza del disegno criminoso non può ritenersi esclusa dall’arresto o
dalla denuncia per uno dei fatti in continuazione.

REATI SUSCETTIBILI DI CONTINUAZIONE


La continuazione può aversi tra reati commissivi o omissivi (purchè dolosi) e
reati permanenti. E’ disciplinata dall’art. 671 c.p.p. che prevede la possibilità
per il giudice dell’esecuzione, di applicare la continuazione nel caso di
sentenze o decreti penali pronunciati in procedimenti distinti contro la stessa
persona; vi è quindi la possibilità della continuazione tra reati già giudicati e
reati da giudicare.
EFFETTI DELLA CONTINUAZIONE
Le varie fattispecie che compongono il c.d. reato continuato vengono trattate
in modo unitario ai fini della determinazione della pena, per cui sarà applicata
la pena prevista per il reato più grave aumentata fino al triplo, ai fini della
sospensione condizionale della pena, che può essere applicata solo quando
tutto il reato ne consente il beneficio e ai fini della liberazione anticipata, i reati
in continuazione si scindono invece per l’applicazione dell’amnistia,
dell’indulto, dell’aggravante e dell’attenuante.
Ai fini della determinazione della pena per il reato continuato, deve aversi
riguardo alla violazione considerata in astratto e non in concreto, cioè quella
comminata nella norma incriminatrice.

LE CIRCOSTANZE NEL REATO CONTINUATO


Nel reato continuato, la valutazione delle circostanze va differenziata a
seconda che ineriscano alle singole azioni o a tutto l’episodio unificato. Le
circostanze attinenti alle singole azioni devono essere valutate per determinare
la pena base di ciascun reato, al fine di stabilire qual'è la più grave delle
violazioni su cui poi sarà operato l’aumento previsto per la continuazione. Una
volta individuata la violazione più grave e determinata la pena per il reato
continuato, si terrà poi conto ai fini dell’aumento o della diminuzione di tale
pena, delle circostanze che ineriscono a tutti gli episodi, unificati nella
continuazione.

Reato permanente e abituale


IL REATO PERMANENTE
Sono permanenti quei reati nei quali l’offesa al bene giuridico si protrae nel
tempo per effetto della persistente condotta del soggetto. Per la sussistenza di
tali reati occorre che la situazione dannosa o pericolosa derivante dalla
condotta del reo abbia carattere continuativo e che il protrarsi di essa sia
dovuto alla condotta volontaria del soggetto, che quindi può porvi fine in ogni
momento.
E’ un reato unico che non si concretizza nel momento in cui si instaura la
situazione offensiva ma quando vi è il mantenimento di essa: la prima fase,
ovvero quella realizzativa, è caratterizzata da una condotta positiva, invece la
fase del mantenimento da una condotta negativa (c.d. concezione bifasica).

IL REATO ABITUALE
E’ abituale il reato che risulta dalla reiterazione nel tempo di più condotte
identiche ed omogenee.
Il reato abituale può consistere:
• nella ripetizione di condotte che prese isolatamente non costituirebbero reato
(c.d. reato abituale proprio), ad esempio, nei maltrattamenti in famiglia;
• nella ripetizione di condotte che già di per se costituiscono reato (c.d. reato
abituale improprio), ad esempio, la relazione incestuosa.

IL REATO COMPOSTO O COMPLESSO


Disciplinato dall’art. 84 c.p., afferma che le disposizioni inerenti il concorso di
reati, non si applicano quando la legge considera come elementi costitutivi o
come circostanze aggravanti di un solo reato, fatti che costituirebbero per se
stessi reato. Il reato complesso viene inquadrato nel concorso apparente di
norme ed è trattato come reato unico.
Vi è poi il reato complesso in senso lato, ovvero quando un reato contiene
in se necessariamente un altro reato meno grave. Bisogna distinguere tra
la continenza esplicita, ovvero quando la descrizione legale del reato
incorporante comprende la descrizione del reato incorporato e la continenza
implicita, ovvero quando l’inclusione del reato minore nel maggiore si desume
dalla natura intrinseca del fatto in esso configurato, così non è possibile
uccidere senza percuotere o ferire.
I reati di questa specie vengono denominati progressivi, che ricorrono nei casi
in cui la commissione di un reato maggiore, implica necessariamente o
eventualmente, la commissione di un reato minore. Ricorrono gli estremi della
progressione criminosa nei casi in cui si ha il passaggio contestuale da un reato
ad un altro più grave, contenente il primo, per effetto di risoluzioni criminose
successive.

Punibilità
LA PUNIBILITA’
E’ l’applicabilità della pena, ovvero la possibilità giuridica di irrogare questa
sanzione, è quindi una conseguenza del reato e non può considerarsi
elemento di esso, per sorgere la punibilità occorrono commissione di un
reato, assenza di cause personali di esclusione della pena (immunità, non
imputabilità), presenza di eventuali condizioni obiettive di punibilità, che
debbono consistere in un avvenimento del mondo esterno e debbono essere
estranee alla condotta illecita (quando per la punibilità del reato, la legge
richiede il verificarsi di una condizione, il colpevole risponde del reato, anche
se l’evento da cui dipende il verificarsi della condizione, non è da lui voluto).
Per individuare le condizioni di punibilità, occorre fare ricorso ad indici
strutturali, alla collocazione dell’elemento all’interno della fattispecie astratta e
a criteri sostanziali, relativi alla determinazione dell’interesse tutelato dalla
norma.
La dottrina distingue tra condizioni di punibilità intrinseche, che sono
partecipi dell’offensività del fatto reato, in quanto comportano un ulteriore
aggravamento, una progressione tipica dell’offesa e le condizioni
estrinseche, che sono estranee all’offensività del fatto.
Tra le cause intrinseche rientrano:
• il pericolo della malattia nell’abuso dei mezzi di correzione;
• il pubblico scandalo nei delitti di incesto;
• la dichiarazione di fallimento nei delitti di bancarotta.
Invece tra le cause estrinseche rientrano:
• l’annullamento del matrimonio, nell’induzione al matrimonio mediante
inganno;
• la sorpresa in flagranza;
• la presenza del reo nel territorio dello Stato.
Il passaggio in giudicato della sentenza di condanna, comporta una
trasformazione della punibilità, infatti prima della sentenza, la pena applicabile
è quella che la legge stabilisce in astratto per il reato, dopo la sentenza, la pena
che va applicata è quella che il giudice ha irrogato all’autore del reato, si avrà
quindi punibilità in astratto che ricorre quando sussistono tutti gli elementi
richiesti dalla legge per l’inflizione della pena e la punibilità in concreto, che
si avrà col passaggio in giudicato della condanna. Le cause di estinzione del
reato (morte del reo prima della condanna, amnistia, prescrizione, remissione
di querela, perdono giudiziale, oblazione, sospensione condizionale della pena
dopo cinque anni per delitti e due per contravvenzioni) estinguono la punibilità
in astratto, le cause di estinzione della pena estinguono la punibilità in
concreto.

LA PERICOLOSITA’ CRIMINALE
E’ definita socialmente pericolosa, la persona che ha commesso un reato o un
quasi reato ed è probabile che commetta nuovi fatti previsti dalla legge come
reati.

MORTE DEL REO


Causa comune di estinzione del reato e della pena, a seconda che intervenga
prima o dopo la condanna, permangono le obbligazioni civili nascenti dal reato,
il giudice può pronunciare il proscioglimento nel merito, ove ritenga il fatto non
sussistente, non costituente reato o che l’imputato non lo abbia commesso,
essendo tali forme di proscioglimento più favorevoli alla declaratoria di
estinzione del reato.

AMNISTIA
Causa di estinzione del reato, è la rinuncia da parte dello Stato a far valere la
propria potestà punitiva, per determinati reati commessi in un certo lasso di
tempo. L’amnistia è un provvedimento generale ed astratto, estintivo della
punibilità di soggetti che hanno commesso fatti costituenti reato in un
determinato periodo, anteriore all’entrata in vigore della legge che concede il
beneficio. L’amnistia propria riguarda i reati per i quali ancora non è
intervenuta una sentenza penale irrevocabile di condanna, l’amnistia
impropria riguarda i reati per i quali è già stata pronunciata sentenza penale
irrevocabile di condanna. Della condanna irrevocabile, se ne dovrà comunque
sempre tenere conto in futuro, ai fini dell’accertamento della recidiva, della
dichiarazione di delinquente abituale, della professionalità nel reato, della
applicabilità sospensione condizionale della pena, della applicazione delle
aggravanti. L’intervenuta amnistia non fa venire meno le conseguenze civili del
reato. E’ possibile rinunciare all’amnistia se il condannato ha l’interesse a
dimostrare la propria innocenza.

INDULTO O CONDONO
E’ un atto di clemenza generale, che opera esclusivamente sulla pena
principale, vi sarà indulto proprio o improprio, l’indulto estingue la pena ma
non estingue le pene accessorie a meno che il decreto non preveda
diversamente e non estingue gli effetti della condanna.
Titolare del potere di indulto e amnistia è il Parlamento, che deve deliberare a
maggioranza dei due terzi dei componenti di ciascuna camera, l’efficacia è
circoscritta ai reati commessi fino al giorno precedente l’emanazione del
decreto, nel concorso di reati si applica una volta sola, sono cumulate le pene.
Il beneficio dell’indulto è revocato di diritto se chi ne ha usufruito, commette
entro cinque anni dalla data di entrata in vigore della legge, un delitto non
colposo per il quale riporti condanna a pena detentiva non inferiore a due anni.

GRAZIA
Atto di clemenza del Presidente della Repubblica, è un atto particolare in
quanto è essenzialmente individuale e va a beneficio di una determinata
persona, presuppone una sentenza irrevocabile di condanna ed è rimesso al
potere discrezionale del Capo dello Stato, che opera solo sulla pena principale,
condonandola in tutto o in parte.

PRESCRIZIONE DEL REATO


Ciascuna fattispecie di reato ha un proprio termine base di prescrizione,
coincidente con la pena edittale massima stabilita dalla legge, il minimo
temporale stabilito è sei anni in caso di delitto e quattro anni in caso di
contravvenzione. Per alcune figure criminose di particolare gravità il tempo
necessario ad estinguere il reato per prescrizione è doppio rispetto agli altri
reati. La prescrizione della pena è una rinuncia dello Stato a far valere la
propria pretesa punitiva e porta all’estinzione della punibilità in concreto, può
verificarsi solo dopo una sentenza o un decreto irrevocabile di condanna non
eseguiti, ha per oggetto le pene principali ed è esclusa per l’ergastolo. La pena
della reclusione si estingue decorso un periodo pari al doppio della pena inflitta
e in ogni caso non superiore a trent'anni ne inferiore a dieci, sono esclusi dal
beneficio i recidivi aggravati e reiterati, i delinquenti abituali, professionali, per
tendenza.
Nel calcolo della prescrizione, non si tiene conto delle circostanze, salvo per le
aggravanti autonome o ad effetto speciale. Si definiscono circostanze
autonome, quelle la cui sussistenza comporta l’applicazione di una pena di
specie diversa da quella ordinaria del reato, sono invece ad effetto speciale,
quelle che comportano una variazione di pena superiore ad un terzo. Per i reati
punibili con sanzioni diverse da quella detentiva e pecuniaria il termine è di tre
anni. La prescrizione non estingue i reati per i quali la legge prevede
l’ergastolo, anche come effetto di circostanze aggravanti.
La prescrizione è sempre rinunciabile dall’imputato, il termine della
prescrizione decorre per il reato consumato dal giorno della consumazione,
per il reato tentato dal giorno in cui è cessata l’attività del colpevole, per
il reato permanente, dal giorno in cui è cessata la permanenza.
Il corso della prescrizione rimane sospeso in ogni caso in cui, la sospensione
del procedimento o del processo penale o dei termini di custodia cautelare, è
imposta da una particolare disposizione di legge, il decorso della sospensione
è altresì sospeso nel caso di sospensione del procedimento per assenza
dell’imputato, nonché per messa alla prova del medesimo.
L’art. 160 c.p. elenca taluni atti del procedimento penale, idonei a produrre
l’interruzione della prescrizione, ad esempio la sentenza di condanna, il
decreto di condanna, la richiesta di rinvio a giudizio, l'interrogatorio. La
prescrizione interrotta, comincia nuovamente a decorrere a partire dal giorno
dell’interruzione. La sospensione e l’interruzione della prescrizione hanno
effetto per tutti coloro che hanno commesso reato.

L’OBLAZIONE
E’ una causa di estinzione del reato, sia per le contravvenzioni punite solo con
ammenda che con arresto o ammenda. In entrambi i casi consiste in un
pagamento di una somma di denaro, che ha l’effetto di degradare il reato in
illecito amministrativo e quindi di estinguerlo, prima dell’apertura del
dibattimento o prima del decreto di condanna. L’oblazione ove è prevista
l’ammenda, ha luogo a richiesta dell’interessato e consiste nel pagamento di
una somma di denaro, corrispondente alla terza parte del massimo della pena
edittale, per le contravvenzioni punite con pene alternative, è facoltà del
giudice ammettervi o meno l’imputato che ne abbia fatto domanda. L’oblazione
ha luogo mediante il pagamento di una somma di denaro corrispondente alla
metà del massimo dell’ammenda, stabilita per legge per la contravvenzione
commessa, oltre le spese del procedimento.
In alcune ipotesi l’oblazione è per legge esclusa, in caso di recidiva reiterata,
se l’imputato è stato dichiarato contravventore abituale, oppure delinquente o
contravventore professionale e quando permangono conseguenze dannose o
pericolose del reato, eliminabili da parte del contravventore.

PERDONO GIUDIZIALE PER I MINORI DEGLI ANNI DICIOTTO


Consiste nella rinuncia dello Stato a condannare il colpevole del reato, in
considerazione della sua età e per consentirgli un più rapido reinserimento
sociale. Il perdono estingue la punibilità in astratto, costituendo una causa di
estinzione del reato. Ai fini della concessione del beneficio occorre che il
colpevole all’epoca della commissione del reato, non abbia superato gli anni
diciotto e non deve essere mai stato condannato precedentemente per altro
delitto, inoltre il reato commesso non sia grave, ovvero la pena in concreto da
applicare deve essere una pena detentiva non superiore a due anni ovvero
una pena pecuniaria non superiore a 1549 Euro. Una causa di estinzione del
reato è inoltre per il minore, l’esito positivo dell’affidamento in prova ai servizi
minorili dell’amministrazione della giustizia.

LIBERTA’ CONDIZIONALE
Premio per il condannato, che durante il periodo di detenzione abbia dato
costante prova di buona condotta, tale istituto da un lato premia il detenuto,
dall’altro incita gli altri detenuti a seguirne l’esempio. Le condizioni sono che:
• il detenuto deve aver tenuto un comportamento tale da far desumere un suo
ravvedimento;
• deve aver scontato almeno trenta mesi o metà pena se la pena residua non
supera i cinque anni, nel caso di prima condanna o recidiva semplice, nel caso
di recidiva aggravata o reiterata;
• deve aver scontato almeno quattro anni e non meno dei tre quarti della pena,
per l’ergastolo, deve aver scontato almeno ventisei anni.
La libertà condizionale è concessa dal Tribunale di sorveglianza, su parere
del magistrato di sorveglianza, è revocata se la persona liberata commette un
delitto o una contravvenzione della stessa indole, o se trasgredisce agli
obblighi inerenti la libertà vigilata.
Nel caso di revoca, il tempo di pena detentiva ancora da espiare viene
determinato tenendo conto del tempo trascorso in libertà condizionale, nonché
delle restrizioni della libertà subite dal condannato e del suo comportamento
durante tale periodo. La liberazione condizionale sospende l’esecuzione della
parte di pena ancora da scontare, se però tutto il tempo della pena
inflitta decorre senza alcuna causa di revoca, la pena rimane estinta e sono
revocate le misure di sicurezza personali.

SOSPENSIONE CONDIZIONALE DELLA PENA


Vi sono casi in cui l’Autorità Giudiziaria, inflitta una certa pena, ne sospende
l’esecuzione, a condizione che entro un certo periodo di tempo, il colpevole
non commetta un nuovo reato, in tale ipotesi se l’illecito viene commesso, il
reo sconterà insieme la vecchia e la nuova pena, se invece nel tempo pattuito
non verrà commesso altro reato, quello acclarato sarà estinto.
La sospensione dell’esecuzione della pena è ordinata per cinque anni per i
delitti e due anni per le contravvenzioni, il termine decorre dal passaggio in
giudicato della sentenza che concede il beneficio.
Per ottenere tale concessione occorre che il reo non sia stato già condannato
a pena detentiva per un delitto e non sia un delinquente abituale, professionale
o per tendenza, alla pena non debba essere aggiunta una misura di sicurezza,
non si tratti di condanna per reato elettorale.
La pena inflitta per il reato commesso, sia compresa nei limiti predetti, in
particolare il giudice può ordinare che l’esecuzione della pena rimanga
sospesa, nel pronunciare sentenza di condanna alla reclusione o all’arresto
per un tempo non superiore a due anni, inoltre il giudice ha la facoltà di
sospendere l’esecuzione della pena inflitta, per il termine di un anno, ove la
pena medesima non sia superiore ad un anno e sia stato riparato interamente
il danno.
La sospensione non può essere concessa più di una volta, oltre che nel
giudizio di cognizione può essere concessa anche dal giudice dell’esecuzione,
non si applica la condizionale, a pene irrogate dal giudice di pace.
La sospensione può essere subordinata:
• all’adempimento dell’obbligo delle restituzioni;
• al pagamento della somma liquidata a titolo di risarcimento del danno;
• all’eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose del reato, secondo
le modalità indicate dal giudice nella sentenza di condanna;
• alla prestazione di attività non retribuita, a favore della collettività per un tempo
determinato, comunque non superiore alla durata della pena sospesa,
sempre con le modalità prefissate dal giudice di condanna.
La subordinazione all’adempimento di uno degli obblighi suddetti è
obbligatoria, quando la sospensione condizionale della pena è concessa a
persona che ne ha già usufruito.
Applicato il beneficio, resta sospesa l’esecuzione sia della pena principale che
delle pene accessorie, ma non fa venire meno le obbligazioni civili nascenti dal
reato. Se nei termini indicati, il condannato non commette altro delitto o
contravvenzione della stessa indole ed adempie agli obblighi, il reato, trascorso
il termine, è estinto e non ha luogo l’esecuzione della pena.
Il beneficio è revocato se nei termini indicati il condannato commette un nuovo
delitto o una contravvenzione della stessa indole, se non adempie agli obblighi
imposti, se riporti una condanna per un delitto anteriormente commesso, a
pena che cumulata a quella sospesa, superi i limiti indicati.
Anche per le pene sostitutive (semidetenzione, libertà controllata, pena
pecuniaria), il giudice può concedere la sospensione condizionale della pena,
sempre che ne ricorrano i requisiti.

RIABILITAZIONE
Estingue le pene accessorie e ogni altro effetto penale della condanna, per
ottenerla occorre che il condannato:
• abbia dato prova effettiva e costante di buona condotte;
• abbia adempiuto le obbligazioni civili derivanti dal reato;
• non sia sottoposto a misure di sicurezza diversa dall’espulsione dello
straniero;
• sia decorso un termine prefissato dall’esecuzione o dall’estinzione della pena
principale.
La riabilitazione è concessa quando siano decorsi almeno tre anni dal giorno
in cui la pena principale sia stata eseguita o sia estinta, il termine invece è
fissato in almeno otto anni nel caso si tratti di recidivo, mentre è fissato in dieci
anni per delinquenti abituali, professionali o per tendenza. La valutazione della
buona condotta oltre ai tre anni successivi alla pena, riguarda anche il periodo
fino alla data della decisione sull’istanza presentata.
La concessione del beneficio è rimessa al Tribunale di sorveglianza, è un diritto
del condannato e l’Autorità Giudiziaria ha l’obbligo di accordarla; è revocata se
il soggetto entro sette anni commette un delitto non colposo per il quale sia
inflitta una pena non inferiore a due anni.

NON MENZIONE DELLA CONDANNA NEL CASELLARIO GIUDIZIARIO


Tale istituto ha la funzione di favorire la risocializzazione del condannato
mediante l’eliminazione del pregiudizio, che può subire il suo nome
dall’annotazione della condanna nel casellario giudiziario. La non menzione
è rimessa alla discrezionalità del giudice, è ammessa a condizione che si tratti
di prima condanna, la pena inflitta sia se detentiva non superiore a due anni,
se pecuniaria tale che ragguagliata, non superi i due anni di pena detentiva, se
si tratta di pena congiunta, la pena detentiva non deve essere superiore a due
anni.
Il beneficio è revocato se il condannato commette successivamente un altro
delitto, la non menzione riguarda solo i certificati richiesti dai privati e non si
estende ai certificati richiesti per uso elettorale, quando la condanna comporta
la perdita dei diritti elettorali.

SOSPENSIONE DEL PROCEDIMENTO CON MESSA ALLA PROVA


Ne può beneficiare solo chi sia stato condannato con la sola pena pecuniaria,
con pena detentiva non superiore nel massimo a quattro anni, sola, congiunta
o alternativa alla pena pecuniaria. La messa alla prova comporta per
l’imputato attività riparatorie-risarcitorie, ovvero la prestazione di condotte volte
all’eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose derivanti dal reato,
nonché il risarcimento del danno cagionato, l’affidamento al servizio sociale
(finalizzato allo svolgimento di un programma che può implicare attività di
volontariato di rilievo sociale), ovvero l’osservanza di prescrizioni relative ai
rapporti col servizio sociale, alla dimora, al movimento, al divieto di frequentare
determinati locali e il lavoro di pubblica utilità, consistente in una prestazione
non retribuita, di durata non inferiore a dieci giorni anche non continuativi, da
svolgere presso Stato o enti, con modalità che non pregiudichino le esigenze
di lavoro, studio, famiglia dell’imputato; la durata giornaliera non può superare
le otto ore.
Sono esclusi dal beneficio coloro che siano stati dichiarati delinquenti e non
può essere concesso più di una volta. Durante il periodo di applicazione, il
corso della prescrizione del reato rimane sospeso, l’esito positivo della prova
estingue il reato per cui si procede, il beneficio è revocato in caso di grave o
reiterata trasgressione al programma di trattamento o alle prescrizioni imposte,
ovvero di rifiuto al lavoro di pubblica utilità o in caso di commissione durante il
periodo di prova, di un nuovo delitto non colposo, ovvero di un reato della
stessa indole rispetto a quello per cui si procede.

DISPOSIZIONI COMUNI ALLE CAUSE DI ESTINZIONE


L’estinzione del reato o della pena ha effetto strettamente personale, nel caso
di concorso di una causa che estingue il reato con una che estingue la pena,
prevale la prima. Se intervengono in tempi diversi più cause di estinzione, la
causa antecedente estingue il reato o la pena, mentre le successive agiscono
sugli effetti residui, se intervengono contemporaneamente più cause, i relativi
effetti si sommano.

Pena
LA PENA
La pena è la sanzione che consegue alla violazione di un precetto penale, ha
come carattere essenziale l’afflittività, nel senso che infligge al reo una vera e
propria sofferenza ed è esclusivamente punitiva, non porta cioè alla
riparazione o al risarcimento per la violazione compiuta, si può definire quindi
come la sofferenza comminata dalla legge penale ed irrogata dall’Autorità
Giudiziaria mediante processo a colui che viola un comando della legge
medesima.
Vi sono diverse funzioni della pena secondo la dottrina moderna, quella della
prevenzione generale e cioè dell’intimidazione (dissuadere dal violare i
precetti) e nella fase edittale, quella della retribuzione e dell’emenda (secondo
essa la pena è protesa verso la redenzione morale e il ravvedimento spirituale
del reo), nella fase giudiziale e quello della rieducazione nella fase di
esecuzione.
La pena è personalissima e colpisce solo l’autore del reato ed è rigorosamente
disciplinata dalla legge, una volta minacciata, viene sempre applicata all’autore
della violazione ed è proporzionata al reato.
Il legislatore ordinario, con L. n.589/1994, ha abolito la pena di morte anche
per i reati previsti dal codice penale militare di guerra, si è quindi provveduto a
sopprimere nell’art. 27 Cost., l’inciso in cui era ammissibile la pena di morte nei
casi previsti dalle leggi militari di guerra.
Le principali pene detentive sono:
• l'ergastolo (art. 22 c.p.): l'ergastolo è una pena detentiva a carattere perpetuo
inflitta a chi ha commesso un delitto ed equivale alla reclusione a vita.
Consiste nella privazione della libertà, scontata in uno degli stabilimenti a ciò
destinati, con l’obbligo del lavoro e l’isolamento notturno. Il condannato
all’ergastolo può essere ammesso al lavoro all’aperto, ma tale concessione
può essere disposta solo se sono stati acquisiti elementi tali da escludere
l’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata, terroristica o eversiva.
Il reo può essere ammesso alla libertà condizionale solo dopo aver scontato
ventisei anni di pena. In Italia esistono due tipi di ergastolo: quello normale e
quello ostativo. Il primo concede al condannato la possibilità di usufruire di
permessi premio, semilibertà o liberazione condizionale. Il secondo, invece,
nega al detenuto ogni beneficio penitenziario, a meno che non sia un
collaboratore di giustizia. Ostativo è uno status particolare di quei detenuti
(non necessariamente ergastolani) che si trovano ristretti in carcere a causa
di particolari reati classificati efferati dal nostro ordinamento giuridico:
associazione di tipo mafioso (art. 416bis c.p.), sequestro di persona a scopo
di estorsione (art. 630 c.p.), associazione finalizzata al traffico di droga (art.
74 D.P.R. n.309/1990), ecc., i quali ostacolano la concessione dei benefici
previsti dalla legge. Grazie all'intervento della Corte Costituzionale, tale pena
è stata esclusa per i minori imputabili, perché incompatibile con la finalità
rieducativa del minore, alla quale devono tendere le pene previste per i minori
di età.
• la reclusione (art. 23 c.p.): per reclusione in Italia si intende la pena detentiva
per la commissione di un delitto, ovvero un reato di particolare gravità.
Consiste nella privazione della libertà personale per un periodo che va da un
minimo di quindici giorni a un massimo di ventiquattro anni. La
reclusione consiste nella limitazione della libertà personale da eseguirsi in
carcere o in altro istituto a ciò espressamente deputato in regime di
detenzione, quando una sentenza di condanna a pena detentiva per un delitto
sia passata in giudicato e non sia stato possibile ottenere l'applicazione di
misure alternative. Il recluso ha l'obbligo del lavoro e con l'isolamento
notturno. Tuttavia il condannato alla reclusione che ha scontato almeno un
anno della pena può essere ammesso al lavoro all'aperto. La reclusione può,
a determinate condizioni (tra cui ovviamente la disponibilità di un domicilio
ritenuto idoneo) e su autorizzazione del Tribunale di sorveglianza, essere
scontata anche in regime di detenzione domiciliare per condanne inferiori a
due anni (quattro anni in casi particolari), periodo che può essere anche la
parte finale di una pena più lunga.
• l'arresto (art. 25 c.p.): consiste nella privazione della libertà da un minimo di
cinque giorni a un massimo di tre anni e si applica ai reati contravvenzionali.
L'istituto ha la finalità fine di prevenire la fuga di un soggetto, qualora ne
ricorrano i presupposti e le condizioni di legge, per impedire la ulteriore
commissioni di crimini, tutelare lo sviluppo delle indagini preliminari da parte
delle forze di polizia, impedendo che la persona possa fuggire sottraendosi
alla giustizia o assicurare l'esecuzione della pena inflitta a carico di una
persona condannata. Nel diritto italiano, il termine arresto indica più istituti
differenti e distinti tra loro: l'arresto in flagranza di reato (definito anche come
fermo di polizia), la pena dell'arresto, l'arresto per l'esecuzione di un ordine di
custodia cautelare, l'arresto per l'esecuzione di un ordine di carcerazione in
esecuzione di una condanna penale definitiva alla pena della reclusione o
dell'arresto. Si precisa che la legge parla di arresto tanto nel caso di reclusione
in carcere come pure nel caso di persona a cui viene intimato di rimanere
nella propria abitazione (in tal caso si definisce la custodia cautelare come
arresti domiciliari e la sostituzione della pena della reclusione come
detenzione domiciliare). Esso deve essere disposto seguendo le prescrizioni
imposte dalla legge, altrimenti si potrebbe trattare di arresto illegale.
Invece, la principali pene pecuniarie sono:
• la multa: quale pena pecuniaria concernente i delitti, consiste nel pagamento
allo Stato di una somma di denaro non inferiore a 50 Euro ne superiore a
50mila Euro. Per i delitti determinati da motivi di lucro, se la legge stabilisce
solo la pena della reclusione, il giudice può aggiungere la multa da 50 a 25mila
Euro. I suddetti limiti riguardano i delitti disciplinati dal codice penale e
vincolano esclusivamente il giudice, infatti il legislatore può in una c.d. legge
penale speciale, punire un delitto con una multa inferiore o superiore ai limiti
previsti.
• l’ammenda: quale sanzione pecuniaria per le contravvenzioni, consiste nel
pagamento allo Stato di una somma di denaro non inferiore a 20 ne superiore
a 10mila Euro.

LE MISURE ALTERNATIVE ALLA DETENZIONE


Il principio della funzione rieducativa, ha ispirato l’introduzione nel nostro
ordinamento, delle misure alternative alla detenzione, le quali, sostituendosi
alle pene detentive ed abituando il condannato alla vita di relazione, rendono
più efficace l’opera di risocializzazione. L’assegnazione al lavoro esterno, i
permessi premio e le misure alternative alla detenzione, (esclusa la liberazione
anticipata), possono essere concessi ai detenuti, solo nel caso in cui questi
collaborino con la giustizia nel caso di delitti commessi con finalità di
terrorismo, eversione, riduzione in schiavitù e prostituzione minorile, quando
siano stati acquisiti elementi tali da escludere collegamenti con la criminalità
organizzata.
Le misure alternative alla detenzione sono:
• l'affidamento in prova ai servizi sociali: consiste nell’affidamento in prova
del condannato a pena non superiore a tre anni, ad un centro di servizio
sociale fuori dall’istituto, al fine di evitare i danni derivanti dal contatto con
l’ambiente penitenziario e la condizione di totale mancanza di libertà. Ai sensi
della L. n.10/2014 (c.d. svuota carceri), la misura in esame può essere
concessa anche al condannato che debba espiare una pena, pur residua, non
superiore a quattro anni di reclusione, quando nell’espiazione della pena,
almeno nell’anno precedente alla richiesta, abbia tenuto un comportamento
tale da consentire il giudizio favorevole della concessione alla misura. L’esito
positivo del periodo estingue la pena detentiva e se il condannato è in gravi
situazione economica, il Tribunale di sorveglianza può ritenere estinta la pena
pecuniaria non riscossa. All’affidato vengono imposte delle prescrizioni, che
possono essere modificate durante il percorso dal magistrato di sorveglianza,
al quale periodicamente il servizio sociale riferisce sul comportamento del
medesimo, se questo è negativo, l’affidamento è revocato ed il periodo di
prova non è computato come pena eseguita. L’affidamento può essere
concesso solo a residenti in Italia, non più di una volta al condannato per
recidiva reiterata. E' una misura preclusa per l’evasore.
• la semilibertà: concessione al condannato di trascorrere parte del giorno
fuori dal carcere e di partecipare ad attività lavorative, istruttive o utili al
reinserimento sociale; sono ammessi a goderne il condannato alla pena
dell’arresto o reclusione non superiore a sei mesi, nel caso non sia affidato al
servizio sociale, il condannato che ha espiato almeno metà della pena,
l’internato in ogni tempo e il condannato all’ergastolo che abbia scontato venti
anni. Misura preclusa per l’evasore, la semilibertà è revocata qualora il
condannato non sia idoneo al trattamento o se rimane assente dall’istituto per
più di dodici ore o non vi faccia ritorno.
• la liberazione anticipata: è concessa al condannato a pena detentiva, che
ha dato prova di partecipazione all’opera di rieducazione, quale
riconoscimento di tale partecipazione, ai fini di un più efficace reinserimento
nella società, una riduzione di pena di quarantacinque giorni per ciascun
semestre di pena detentiva scontata, considerato pure il periodo trascorso in
custodia cautelare o detenzione domiciliare. Tale beneficio andrà valutato
oltre alla buona condotta, anche per la condotta tenuta dal reo al di fuori
dell’ambiente carcerario. La revoca della misura sarà disposta solo se la
condotta del reo, relativa alla condanna subita, sia incompatibile con il
mantenimento della misura.
• la detenzione domiciliare: la pena della reclusione non superiore a quattro
anni, anche se costituente parte residua di maggior pena, nonché la pena
dell’arresto, possono essere espiate nella propria abitazione o in altro luogo
di privata dimora o luogo pubblico di cura o assistenza, quando trattasi di
donna incinta o madre di prole inferiore a dieci anni con lei convivente, padre
esercente la potestà di prole inferiore a dieci anni con lui convivente, quando
la madre sia deceduta o impossibilitata a dare assistenza alla prole, persona
in condizioni di salute particolarmente gravi, età superiore a sessant'anni, se
inabile anche parzialmente, persona minore di anni ventuno per comprovate
esigenze di salute, studio, lavoro e famiglia. Per madri con prole la pena può
essere scontata anche in casa famiglia protetta, ipotesi esclusa per colpevole
di evasione. Tale misura può essere concessa anche per l’espiazione della
pena detentiva non superiore a due anni, anche se costituente residuo di
pena, quando non ricorrono i presupposti per l’affidamento in prova ed alle
persone oltre i settant'anni salvo che siano stati dichiarati delinquenti abituali,
professionali o per tendenza e che non siano mai stati condannati con
l’aggravante della recidiva.
• la detenzione domiciliare speciale: concessa alle madri con prole fino a
dieci anni, dopo l’espiazione di almeno un terzo della pena ovvero dopo
l’espiazione di almeno quindici anni nel caso di condanna all’ergastolo. All’atto
della scarcerazione sono definite delle prescrizioni, il cui mancato rispetto
comporterà la revoca del beneficio, come per la condannata che rimane
assente dal proprio domicilio, senza giustificato motivo per non più di dodici
ore, oltre le dodici ore sarà condannata per evasione.
• la esecuzione domiciliare delle pene detentive non superiori a diciotto
mesi: la L. n.199/2010 al fine di combattere l’eccessiva affluenza all’interno
delle carceri, ha stabilito che l’esecuzione delle pene detentive brevi, possa
avvenire in luoghi esterni al carcere, diversi dagli istituti penitenziari. Il decreto
svuota carceri del 2011 è andato a rafforzare tale tesi, nel dettaglio si è
disposto che la pena detentiva non superiore a diciotto mesi, anche se
costituente residuo di pena maggiore, venga eseguita presso l’abitazione del
condannato o altro luogo pubblico o privato di cura, accoglienza o assistenza.
La detenzione presso il domicilio non è applicabile a soggetti condannati per
taluno dei reati previsti dall’art. 4 della L. n.354/1975, ossia: delitti di
terrorismo, eversione, criminalità organizzata, ai delinquenti abituali,
professionali o per tendenza, ai detenuti che siano sottoposti al regime di
sorveglianza particolare e quando vi è la concreta possibilità che il
condannato possa darsi alla fuga, ovvero sussistono specifiche e motivate
ragioni per ritenere che il condannato, possa commettere altri delitti ovvero
quando non sussista l’idoneità e l’effettività del domicilio, anche in funzione
delle esigenze di tutela delle persone offese dal reato. Se è presente una delle
ipotesi di cui sopra, il Pubblico Ministero sospende l’esecuzione dell’ordine di
carcerazione e trasmette gli atti senza ritardo al magistrato di sorveglianza,
affinché disponga che la pena venga eseguita presso il domicilio. Il magistrato
trasmette senza ritardo copia del provvedimento che dispone l’esecuzione
della pena presso il domicilio al Pubblico Ministero nonché all’ufficio locale
della Sezione Penale esterna, per gli interventi di sostegno e controllo.
SANZIONI SOSTITUTIVE DELLE PENE DETENTIVE BREVI
La L. n.689/1981 ha stabilito che le pene detentive brevi, possono essere
sostituite da sanzioni diverse, ossia:
• la semidetenzione: comporta l’obbligo di trascorrere almeno 10 ore al giorno
in uno degli appositi istituti in cui sono reclusi i detenuti in regime di
semilibertà, la determinazione delle ore e dell’istituto sono valutate in base
alle esigenze di lavoro o studio del condannato, il divieto di detenere qualsiasi
tipo di armi, munizioni ed esplosivi, la sospensione della patente di guida, il
ritiro del passaporto e la sospensione ai fini dell’espatrio di ogni documento
equipollente, l’obbligo di conservare e presentare ad ogni richiesta degli
organi di Polizia e nel termine prescritto, l’ordinanza di sostituzione alla pena
detentiva con la semidetenzione e l’eventuale provvedimento di notifica di
essa, l’assoggettamento alle norme previste per la semilibertà.
• la libertà controllata: comporta da parte del condannato il divieto di
allontanarsi dal comune di residenza, salvo autorizzazione, l’obbligo di
presentarsi almeno una volta al giorno presso il locale Ufficio di P.S. o presso
il comando dell’Arma dei Carabinieri o qualora sia un tossicodipendente con
in corso programma terapeutico residenziale presso una struttura idonea, il
medesimo ove ne faccia richiesta, l’obbligo di presentazione può essere
sostituito dall’attestazione di presenza da parte del responsabile della
struttura, il divieto di detenere armi, la sospensione della patente, il ritiro del
passaporto e l’obbligo di conservare l’ordinanza. Il magistrato può disporre
che i servizi sociali svolgano adeguati interventi per il suo reinserimento
sociale. Tali obblighi non si applicano ai minori, rispetto ai quali la libertà
controllata è eseguita mediante affidamento in prova al servizio sociale.
• la pena pecuniaria quale sanzione sostitutiva: il giudice nel determinare
l’ammontare della pena pecuniaria in funzione sostitutiva, individua il valore
giornaliero al quale può essere assoggettato l’imputato e lo moltiplica per i
giorni di pena detentiva, (valore che non può essere inferiore a 250 Euro e
non può superare di dieci volte tale ammontare). L’organo giudicante dovrà
tener conto della condizione economica complessiva dell’imputato e del suo
nucleo familiare. La pena pecuniaria può essere anche rateizzata
Affinché possa esservi al sostituzione, innanzitutto occorre che il trattamento
sanzionatorio rientri in prefissati limiti quantitativi e che il colpevole si trovi in
una particolare situazione soggettiva. Il giudice nel determinare la durata della
pena detentiva:
• ove ritenga di dovere determinare la durata della pena detentiva entro un
limite di due anni, può sostituire la pena con quella della semidetenzione;
• ove ritenga di doverla determinare entro il limite di un anno, può sostituirla con
la libertà controllata;
• ove ritenga di doverla determinare entro il limite di sei mesi, può sostituirla
con la pena pecuniaria.
Il giudice valuterà tutti i criteri stabiliti dalla legge, dando particolare rilievo alla
possibilità che il colpevole si asterrà per il futuro di violare la legge penale,
valuterà la possibilità che il condannato adempia alle prescrizione impostegli e
sceglierà tra le pene sostitutive quella più idonea al reinserimento sociale. Per
qualsiasi effetto giuridico la semidetenzione e la libertà controllata, si
considerano come pene detentive della specie corrispondente a quella della
pena sostituita.
Semidetenzione e libertà controllata sono rimesse al giudice di sorveglianza
del luogo di residenza, sono sospese in caso di notifica di un ordine di
carcerazione o consegna, arresto in flagranza, fermo o cattura del condannato,
applicazione provvisoria di una misura di sicurezza. Può essere sospesa per
motivi di particolare rilievo attinenti al lavoro, studio o famiglia, per la durata
strettamente necessaria e comunque non più di sette giorni per ogni mese di
pena, si converte nella pena detentiva sostituita, quando il condannato violi
anche una delle prescrizioni ed è revocata se sopravviene condanna per un
fatto commesso in precedenza che fa venir meno le condizioni soggettive
richieste.

LE PENE ACCESSORIE
Le pene accessorie si distinguono in:
• interdizione da pubblici uffici (artt. 28-29 c.p.): può essere perpetua o
temporanea, quella perpetua produce la perdita dei diritti elettorali e di ogni
altro diritto politico, degli uffici di tutore e curatore, dei gradi, delle dignità
accademiche, titoli, decorazioni, pensioni ed assegni a carico di enti pubblici,
salvo che traggano origine da un rapporto di lavoro o si tratti di pensioni di
guerra, essa consegue a condanna all’ergastolo, alla reclusione per un
periodo superiore a cinque anni e alla dichiarazione di abitualità o
professionalità nel reato, ovvero tendenza a delinquere.
Quella temporanea produce gli stessi effetti di quella perpetua, ma per una
durata che non può essere inferiore ad un anno ne superiore a cinque anni,
consegue di diritto ad ogni condanna alla reclusione per un tempo non
inferiore a tre anni.
• interdizione da una professione o un'arte (art. 30 c.p.): priva il
condannato, per un periodo non inferiore a un mese e non superiore a cinque
anni, della capacità di esercitare professioni, arti, mestieri, industrie o
commerci per cui è richiesta un’autorizzazione, licenza o permesso
dell’Autorità, consegue alle condanne per delitto commesso con abuso di una
professione o arte o con abuso di pubblico ufficio.
• interdizione legale (art. 32 c.p.): produce le incapacità proprie
dell’interdizione giudiziale, non impedisce ai detenuti e internati l’esercizio
personale dei diritti loro derivanti dalla legge stessa, consegue alla condanna
all’ergastolo o reclusione non inferiore a cinque anni.
• interdizione temporanea da uffici direttivi di persone giuridiche (atr.
32bis c.p.): priva il condannato della capacità di esercitare, durante
l’interdizione, l’ufficio di amministratore, sindaco, liquidatore, direttore
generale e dirigente preposto alla redazione di documenti contabili e societari,
nonché ogni altro ufficio con potere di rappresentanza della persona giuridica
o dell’imprenditore, consegue a condanna non inferiore a sei mesi per delitti
commessi con abuso dei poteri o violazione dei doveri inerenti all’ufficio.
• incapacità di contrattare con al Pubblica Amministrazione (artt. 32ter-
32quater c.p.): comporta il divieto di concludere contratti con la Pubblica
Amministrazione , salvo che per ottenere prestazioni di un pubblico servizio,
consegue a delitti commessi in danno o vantaggio di un’attività imprenditoriale
o comunque in relazione ad essa e non può durare meno di un anno e non
può superare i tre anni.
• estinzione del rapporto di lavoro o impiego (art. 32quinques c.p.):
è previsto quando vi è la condanna alla reclusione per un tempo non inferiore
a tre anni per i delitti di concussione, peculato, corruzione per l’esercizio delle
funzioni, corruzione in atti giudiziari, induzione indebita a dare o promettere
utilità.
• decadenza della responsabilità genitoriale (art. 32quinques c.p.): produce
la privazione di ogni diritto che al genitore spetti sui beni del figlio, in forza
della responsabilità genitoriale prevista, mentre la sospensione importa
l’incapacità di esercitare, durante la medesima, i suddetti diritti.
• sospensione dell'esercizio di una professione o un'arte (art. 35 c.p.):
consegua ad ogni condanna per contravvenzione commessa con abuso della
professione o arte, per la quale è stabilita la pena dell’arresto non inferiore ad
un anno. La durata va da minimo quindici giorni a massimo due anni.
• sospensione dall'esercizio degli uffici direttivi (art. 35bis c.p.): non può
avere una durata inferiore a quindici giorni ne superiore a due anni e
consegue ad ogni condanna all’arresto per contravvenzioni con abuso dei
poteri o violazione dei doveri inerenti all’ufficio.
• pubblicazione della sentenza penale di condanna (art. 36 c.p.): la
sentenza di condanna all’ergastolo è pubblicata mediante affissione nel
Comune ove è stata pronunciata, in quello ove il delitto fu commesso e in
quello ove il condannato aveva l’ultima residenza, è inoltre pubblicata sul sito
internet del Ministero della Giustizia e la durata della pubblicazione è stabilita
dal giudice comunque non oltre trenta giorni. La legge determina gli altri casi
in cui la sentenza di condanna deve essere pubblicata, effettuata stavolta
esclusivamente sul sito del Ministero.
L'applicazione delle pene accessorie è in genere automatica, conseguendo di
diritto alla condanna penale come suo effetto ulteriore, laddove non sia la legge
ad applicarla, la durata è uguale a quella della pena principale inflitta, in nessun
caso può oltrepassare il limite minimo o massimo stabilito per ciascuna pena
inflitta. L’applicazione del patteggiamento non comporta l’applicazione di
pene accessorie ne di misure di sicurezza. Quando sussistono gravi indizi di
reità e si procede per delitti per i quali la legge stabilisce le pene dell’ergastolo
o della reclusione superiore nel massimo a tre anni, l’applicazione
delle misure cautelari interdittive è consentito, quelle previste sono la
sospensione dell’esercizio della responsabilità genitoriale, la sospensione
dall’esercizio di un pubblico ufficio o servizio, il divieto temporaneo di esercitare
attività professionali o imprenditoriali.
Vi sono poi pene accessorie previste da leggi speciali, come la sospensione
e la revoca della patente di guida previste dal codice della strada e la
sospensione della patente di guida ed il divieto di espatrio, previsti in materia
di stupefacenti.

DETERMINAZIONE DELLA PENA PRINCIPALE


Spetta al giudice determinare la pena da infliggere, godendo di un potere
discrezionale, con l’obbligo di indicare le ragioni della sua determinazione,
nella motivazione del provvedimento di condanna. Il legislatore fissa i criteri
per la determinazione della pena (art. 133 c.p.):
• la gravità del reato va desunta dalla natura, specie, mezzi, oggetto, tempo,
luogo e ogni altra modalità dell’azione, dalla gravità del danno o pericolo
cagionato alla persona offesa dal reato e dalla intensità del dolo o dal grado
della colpa;
• la capacità a delinquere va desunta, dai motivi a delinquere e dal carattere
del reo, dai precedenti penali e giudiziari e in genere dalla condotta e dalla
vita del reo antecedenti al reato, dalla condotta contemporanea e
susseguente al reato, dalle condizioni di vita individuale, familiare e sociale
del reo.
L’art. 133bis c.p., sancisce che nella determinazione dell’ammontare della
multa o dell’ammenda, il giudice deve tenere conto anche delle condizioni
economiche del reo e può aumentarle sino al triplo o diminuirle sino ad un
terzo, quando per le condizioni economiche del reo, ritenga che la misura
massima sia inefficace ovvero che la misura minima sia eccessivamente
gravosa. Vi è la possibilità di pagare con rate mensili da un minimo di tre a un
massimo di trenta, rata ciascuna delle quali non inferiore a 15 Euro.
Per la concreta determinazione della pena, il giudice determina la pena base
fissandola tra un minimo e massimo della pena edittale prevista per quel reato,
su tale base opera aumenti o diminuzioni conseguenti all’esistenza di
circostanze; sulla pena cosi aumentata calcola l’ulteriore aumento per
eventuale recidiva o conseguente ad eventuale continuazione o ex art. 133bi
c.p.. Le regole generali per l’applicazione di aumenti o diminuzioni di pena: se
si tratta di aggravanti, la pena è aumentata fino a un terzo, se
sono attenuanti è diminuita fino a un terzo. Concorrendo più aggravanti o
attenuanti, ogni aumento o diminuzione opera sulla quantità di pena, risultante
dall’aumento o diminuzione precedente.
Nel caso di concorso di più circostanze il giudice non può superare i
seguenti limiti: nel caso di concorso di più circostanze aggravanti, la pena da
applicare non può superare il triplo del massimo stabilito dalla legge, non
possono eccedere 30 anni se si tratta di reclusione, 5 anni se si tratta di arresto,
10329 Euro se si tratta di multa, 2065 eURO se si tratta di ammenda.
Se si tratta di più circostanze attenuanti, la pena non può essere inferiore a
DIECI anni se la pena base è l’ergastolo ad un quarto della pena negli altri
casi.

CONCORSO DI PENE
Si ha nel caso di concorso di reati, trattandosi di reati che importino pene
detentive temporanee o pecuniarie della stessa specie. La pena da applicare
cumulando le condanne non può mai essere superiore al quintuplo della più
grave fra le pene ricorrenti, ne comunque eccedere trent'anni di reclusione, sei
di arresto, 15493 Euro di multa, 3098 Euro di ammenda. Trattandosi di reati
che importano pene detentive diverse la durata della pena da applicare non
può superare i trent'anni.

LA CONVERSIONE DELLE PENE PECUNIARIE


Le pene della multa e dell’ammenda, non eseguite per insolvibilità del
condannato, si convertono nella libertà controllataper un periodo
rispettivamente di un anno e sei mesi. Il condannato può chiedere come misura
alternativa, il lavoro sostitutivo, consistente in un’attività non retribuita a
favore della collettività. Il ragguaglio ha luogo calcolando 25 euro o frazione di
25 Euro, per un giorno di lavoro sostitutivo. Quanto alla libertà controllata, il
legislatore col pacchetto sicurezza, ha imposto il ragguaglio calcolando 250
Euro per un giorno di libertà controllata.

ESECUZIONE DELLA PENA


La legge prevede vigilanza del Magistrato di sorveglianza e del Tribunale di
sorveglianza, trattamento penitenziario improntato su tutela della dignità,
remunerazione del lavoro prestato dai detenuti all’interno del carcere,
creazione di nuove forme di operatori penitenziari specializzati, istruzione e
cura, detenzione domiciliare a particolari condizioni soggettive o oggettive
Il rinvio dell’esecuzione della pena può essere obbligatorio nel caso di madre
incinta, madre di infante di età inferiore ad un anno, contro malato di AIDS o
altra malattia grave che ne determinino incompatibilità con il carcere. Tale
rinvio non opera o decade se la gravidanza si interrompe, se la madre è
dichiarata decaduta da responsabilità genitoriale. Oppure può essere
facoltativo, a discrezionalità del giudice, se è presentata domanda di grazia, se
il condannato è gravemente infermo, se è madre di prole di età inferiore a
TRE anni. Il differimento non può essere adottato se sussiste concreto pericolo
della commissione di delitti.

Misure di sicurezza
LE MISURE DI SICUREZZA
Tendono a difendere l’ordinamento contro il pericolo che determinate persone
possano commettere reati. La dottrina ritiene le misure sanzioni penali, in
quanto presuppongono un fatto costituente reato, sono disciplinate dal codice
penale e sono mezzi di lotta contro il reato e conseguenze giuridiche della
commissione di un reato. Differiscono dalle pene perché in esse la durata è
predeterminata solo nel minimo.
L’applicazione è affidata all’Autorità Giudiziaria., si differenziano dalle misure
di Polizia (ossia, foglio di via, sorveglianza speciale della P.S., divieto o obbligo
si soggiorno) in quanto queste ultime sono adottate sulla base di indizi o
sospetti e non presuppongono la commissione di un reato, hanno scopo
preventivo e sono applicate dal Tribunale su proposta del Questore.
Al fine dell’applicazione delle misure di sicurezza occorre:
• la commissione di un fatto penalmente rilevante (reato o quasi reato per
reato impossibile o istigazione a commettere reato), corrispondente ad una
figura di reato descritta dal legislatore;
• che non esistano cause di giustificazione;
• che ricorrano dolo o colpa dell’agente;
• che ricorra la pericolosità sociale del soggetto, che va accertata di volta
in volta e mai presunta.
La durata delle misure di sicurezza è indeterminata, ogni misura ha un minimo
stabilito dalla legge per la specie di delinquente e la gravità del reato, decorso
tale periodo minimo, il giudice procede al riesame della pericolosità, se cessata
la misura sarà revocata, altrimenti fisserà un nuovo termine per il successivo
riesame e la misura andrà avanti. Il Ministro della Giustizia può revocarla anche
se non sia decorso il minimo di durata.
Le misure di sicurezza sono regolate dal principio di legalità e l’art. 199 c.p.
stabilisce che nessuno può essere sottoposto a misure di sicurezza che non
siano espressamente stabilite dalla legge e fuori dai casi della legge stessa
preveduti, principio recepito anche dall’art. 25 Cost.
Ulteriori caratteristiche delle misure di sicurezza:
• sono regolate dalla legge in vigore al tempo della loro applicazione;
• si applicano a tutti coloro che si trovano in Italia, anche agli stranieri;
• se la legge non dispone la misura da applicare il giudice disporrà la libertà
vigilata;
• sono ordinata dal giudice nella sentenza di condanna o proscioglimento;
• durante le indagini o il giudizio è ammessa la misura di sicurezza, disposta
dal giudice su richiesta del P.M.;
• l’esecuzione avviene immediatamente se applicate con proscioglimento,
dopo che la sentenza è divenuta irrevocabile se aggiunte a pena non
detentiva, dopo che la pena è stata scontata o estinta, se aggiunte a pena
detentiva;
• nel caso di concorso di misure, trattandosi della stessa specie ne è disposta
una sola, se invece sono di specie diversa, il giudice valuta la pericolosità
della persona e applica una o più misure stabilite dalla legge;
• l’esecuzione è sospesa quando la persona sottoposta alla misura deve
scontare pena detentiva;
• se la persona sia colpita da infermità psichica, il giudice ne ordina il ricovero
in ospedale psichiatrico giudiziario o in casa di cura;
• le cause che estinguono il reato impediscono l’applicazione della misura di
sicurezza;
• le cause che estinguono la pena impediscono l’applicazione delle misura a
meno che non si tratti di quelle che possono essere ordinate in ogni tempo;
• se la persona si sottrae volontariamente all’esecuzione della misura il periodo
minimo della durata ricomincia a decorrere dal giorno in cui è data
nuovamente esecuzione.

CLASSIFICAZIONE MISURE DI SICUREZZA


Le misure di sicurezza si distinguono in personali e patrimoniali. Le
personali, a loro volta, si suddividono in detentivee non detentive.
Le personali detentive sono:
• colonia agricola o casa di lavoro (artt. 216–218 c.p.): vi sono assegnati
i delinquenti abituali, professionali o per tendenza; coloro che dichiarati
delinquenti, non essendo più sottoposti alla misura di sicurezza
commettono un delitto non colposo che sia manifestazione della loro
tendenza, i condannati o prosciolti nei casi previsti dalla legge. La durata
minima è di un anno, aumentata a due per i delinquenti abituali, a tre per
i professionali a quattro per tendenza, la scelta fra colonia o casa è
rimessa al giudice.
• casa di cura e custodia (artt. 219-221 c.p.): è stabilita per condannati
per infermità psichica o per cronica intossicazione da alcool o droga o
per sordomutismo, o per reclusione per delitti commessi in stato di
ubriachezza, qualora questa sia abituale o per delitti commessi sotto
l’effetto di droga, all’uso della quale siano dediti i rei.
• ospedale psichiatrico giudiziario (art. 222 c.p.): è disposto per imputati
prosciolti per infermità psichica o per intossicazione cronica da alcool
o droga o sordomutismo, salvo che si tratti di contravvenzioni o delitti
non colposi, per i quali è stabilita la pena pecuniaria o reclusione non
superiore nel massimo a due anni, la durata varia da due a dieci anni.
• riformatorio giudiziario (artt. 223-227 c.p.): misura di sicurezza speciale
prevista per i minori degli anni quattorici e degli anni diciotto
riconosciuti non imputabili e degli anni diciotto riconosciuti imputabili e
come tali condannati alla pena diminuita. L’applicazione del riformatorio
giudiziario è subordinata all’accertamento della pericolosità da farsi di
volta in volta, la durata minima è di un anno.
Invece, le misure di sicurezza personali non detentive sono:
• libertà vigilata (artt. 228-232 c.p.): consiste in una limitazione della
libertà personale, destinata ad evitare le occasioni di nuovi reati, a tale
scopo è fatto obbligo al vigilato di darsi lavoro stabile, di non ritirarsi la
sera dopo una certa ora, di non uscire la mattina prima di una
determinata ora, di non accompagnarsi a pregiudicati. L’inosservanza a
tali prescrizioni comporta la sostituzione con una misura di sicurezza
detentiva. Affidata all’autorità di P.S. è obbligatoria se la pena della
reclusione inflitta è non inferiore a dieci anni quando il condannato è
ammesso alla liberazione condizionale, se il contravventore abituale,
non essendo più sottoposto a misure di sicurezza, commette un nuovo
reato, negli altri casi determinati dalla legge. La durata minima è di un
anno e non può essere meno di tre anni se la condanna è la reclusione
a non meno di dieci anni.
• divieto di soggiorno (art. 233 c.p.): consiste nell’obbligo di non
soggiornare in uno o più comuni, ovvero in una o più province ed è
applicabile per i delitti contro la personalità dello Stato e contro l’ordine
pubblico, per delitti commessi per motivi politici o occasionati da
particolari condizioni sociali o morali esistenti in un determinato luogo,
la durata minima è di un anno.
• divieto di frequentare osterie o pubblici spacci di bevande
alcoliche (art. 234 c.p.): è sempre aggiunto alla pena quando si tratta di
condannati per ubriachezza abituale o per reati commessi in stato di
ubriachezza, purché questa sia abituale, la durata minima è di un anno.
• espulsione o allontanamento dello straniero (art. 235 c.p.): oltre che nei
casi espressamente previsti dalla legge, il giudice ordina l’espulsione
dello straniero quando questi, appartenente ad uno Stato U.E. sia
condannato alla reclusione per un tempo superiore a due anni.
Infine, le misure di sicurezza patrimoniali sono:
• la cauzione di buona condotta: consiste nel deposito presso la cassa delle
ammende di una somma non inferiore a 103 ne superiore a 2065 Euro, oppure
nella prestazione di una garanzia mediante ipoteca o fideiussione solidale e
si applica ai liberati dalla casa di lavoro o colonia agricola, se il giudice non
ordina la libertà vigilata, ai trasgressori degli obblighi della libertà vigilata ed
ai trasgressori del divieto di frequentare osterie. Non può superare i cinque
anni, è devoluta alla cassa delle ammende, se colui che è sottoposto a tale
misura commette un delitto o una contravvenzione punibile con arresto, in
caso contrario decorso il tempo, la somma viene restituita.
• la confisca: consiste nell’espropriazione a favore dello Stato di cose che
servirono a commettere il reato o che ne sono prodotto o profitto. Non sono
quelle dotate di intrinseca pericolosità ma quelle che, lasciate nella
disponibilità del condannato, potrebbero costituire un incentivo a commettere
ulteriori reati. E’ obbligatoria per le cose che costituiscono il prezzo del reato,
ovvero l’utilità economica ricavata per commetterlo, per le cose la cui
fabbricazione, uso, detenzione costituisce reato, anche se non è stata
pronunciata condanna. Non si applica se la cosa o il bene o lo strumento
informatico, appartiene a persona estranea al reato e si applica anche in caso
di patteggiamento.

LE MISURE DI PREVENZIONE
Vengono disposte indipendentemente dalla commissione di un reato, ma solo
sulla base di un sospetto, quanto alla loro funzione è quella di costruire un
baluardo della società, nei confronti di quei soggetti, che per le loro abitudini di
vita, costituiscono un grave pericolo per la sicurezza pubblica, mirano quindi a
rimuovere o contenere le cause che favoriscono la commissione di reati,
annullando la pericolosità delle persone, anche a prescindere da pregresse
condanne. Nel procedimento di prevenzione, l’oggetto dell’accertamento è
la pericolosità del soggetto, desunta da specifiche circostanze indicative, gli
strumenti dell’accertamento sono le circostanze specifiche aventi rilevanza,
indiziante della pericolosità, le finalità del procedimento sono quelle di garantire
la sicurezza collettiva, individuando e sottoponendo a misure le persone
pericolose. Nate in epoca fascista, hanno subito modifiche dapprima con la L.
n.1423/1956, ulteriori modifiche sono state apportate col D.Lgs. n.159/2011
recante il codice antimafia e delle misure di prevenzione.
Nel codice viene riprodotta la distinzione tra:
• misure di prevenzione personali: distinte tra quelle applicate dal
Questore, come l’avviso orale, attraverso il quale si invita la persona e si
avvisa della sussistenza di indizi a suo carico, a tenere una condotta conforme
alla legge, e quelle applicate dall’Autorità Giudiziaria, come la sorveglianza
speciale di P.S., attraverso la quale il Tribunale, può imporre, accanto alle
prescrizioni di legge, come il divieto di associarsi abitualmente a pregiudicati,
di allontanarsi dalla dimora senza avvisare l’autorità di P.S., di rincasare più
tardi di una certa ora, tutte quelle prescrizioni che ravvisi necessarie, avuto
riguardo alle esigenze di difesa sociale, prescrizioni alle quali è tenuto ad
attenersi, pena sanzioni detentive.
• misure di prevenzione patrimoniali: come il sequestro dei beni, dei quali
la persona risulta poter disporre direttamente o indirettamente, quando il loro
valore, risulta sproporzionato al reddito dichiarato o all’attività economica
svolta, ovvero quando sulla base di sufficienti indizi, si ha motivo di ritenere
che gli stessi, siano frutto di attività illecite e ne costituiscano il reimpiego, cui
si aggiunge la relativa confisca dei beni sequestrati, cui la persona non possa
giustificare la legittima provenienza.
Per ciascuna misura, viene dettata apposita disciplina concernente i soggetti
destinatari, il procedimento applicativo e le relative impugnazioni.

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