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Nella forma di governo parlamentare, è fondamentale la presenza di un capo di stato con funzioni di garanzia. Egli
infatti deve garantire che il sistema funzioni correttamente in quanto esso si basa sull’accordo fiduciario tra governo e
parlamento e per questo risulta essere fragile. Per svolgere questo ruolo serve una persona super partes (equidistante
dalle varie forze politiche—> estraneo ai tre poteri legislativo, esecutivo e giudiziario). Non può quindi essere al
contempo capo di stato e dell’esecutivo come invece avviene negli USA.
Il giurista è colui che usa il diritto come suo lavoro (professionisti del diritto); tuttavia cambia l’interpretazione dei
singoli giuristi (un prof dell’uni e un giudice). Ciò che afferma il giudice incide sulla vita delle altre persone ed egli
deve essere ascoltato, a differenza di ciò che dice il docente. Esiste sia il giurista pratico che quello studioso.
PAROLE CHIAVE PRIMO ARGOMENTO: Dottrina, giurisprudenza, regola, ordinamento, norma e atto.
La legge che modifica la costituzione deve essere approvata due volte da ciascuna camera a intervallo non inferiore a
tre mesi (almeno tre mesi, non massimo) perché essendo la costituzione la fonte più importante di tutte, richiede
tempo e attenzione.
LA REGOLA GIURIDICA:
Il diritto è un insieme di regole; la regola è l’elemento primario dello studio di diritto.
Viviamo circondati da regole che possono essere morali, religiose, di sport ecc…, tuttavia solo alcune interessano al
giurista, ovvero quelle che possiedono le caratteristiche che le qualificano giuridiche.
La regola giuridica è un enunciato a carattere prescrittivo caratterizzato dalla generalità e dalla astrattezza. Il
suo scopo è modificare la realtà. La regola giuridica nasce in disposta a un problema sociale comune e per mettere
ordine la dove c’è caos. La regola giuridica proviene dall’autorità —> lo stato ha il monopolio della gestione della
giustizia, per questo il cittadino non può far valere leggi, diritti o doveri da se. Ecco perché tutte quelle regole come il
galateo, la religione ecc… non sono dette giuridiche pur possedendo le stesse caratteristiche di quelle giuridiche,
perché non sono previste sanzioni e derivano dall’autorevolezza e non dall’autorità.
PRESCRITTIVITA’: una regola può dirsi giuridica se prescrive qualcosa. Non bisogna confondere il concetto di
prescrittività con quello di descrittività… una regola è giuridica quando è prescrittiva, ed è prescrittiva perché non
descrittiva. Una regola può essere descrittiva quando il suo compito finale è descrivere una situazione tale come si
presenta nella realtà. Al contrario, la prescrittività è quel carattere di regola che ha come fine quello di modificare la
realtà; per aver l’effetto voluto, la regola deve essere posta prima che la situazione si verifichi—>prevenire.
GENERALITÀ’: La regola vale per chiunque si trovi nella situazione specifica, tolte specifiche eccezioni.
ASTRATTEZZA: la regola trova applicazione indefinitamente, cioè tutte le volte che si verifica quella data
situazione; generalità e astrattezza possono confondersi quindi chiariamo i due concetti: la generalità riguarda il
soggetto a cui si applica la regola, l’astrattezza riguarda invece la situazione prevista dalla norma. Tale situazione
prende il nome di fattispecie ed è astratta e ipotetica, sta poi al giudice esaminare il fatto concreto avvenuto per
verificare se coincide con la fattispecie astratta contenuta nella regola giuridica
SANZIONE : la regola è accompagnata da una sanzione, ma non sempre. La sanzione, non è quindi un elemento
necessario della regola giuridica—> Le regole organizzative ad esempio non hanno delle sanzioni.
Quando ad una regola è abbinata una sanzione, il carattere della giuridicità della regola emerge dal fatto che la
sanzione viene applicata in forza dell’autorità dello stato, il quale detiene il monopolio dell’uso legittimo della forza.
L’ORDINAMENTO GIURIDICO
Quello dell’ordine è un concetto importante nel diritto—> dove c’è l’uomo c’è inevitabilmente diritto.
La società esiste perché l’uomo ha creato le regole che permettono la convivenza tra più persone in una comunità
senza far regnare il caos.
Il complesso di regole che permette il funzionamento di uno stato è talmente ampio che non potrebbe assolvere la sua
funzione se non fosse a sua volta ordinato secondo un criterio preciso. Si fa quindi ricorso all’ordinamento giuridico
L’ordinamento giuridico è quell’insieme di regole, accomunate dal fatto di essere espressione di una determinata
organizzazione sociale, fra loro coordinate secondo criteri sistematici.
—> complesso di regole reso coerente dal fatto che tutte rispondono ad un progetto comune. Il progetto è
realizzato dal costituente (un’ insieme di diversi partiti con idee differenti, ciò porta a un compromesso giuridico—>
l’assemblea costituente). Il progetto ci aiuta a comprendere le regole e le rende qualcosa di unitario.
Una società per poter esistere necessita dell’esistenza del diritto—> Qualunque organizzazione sociale costituisce un
ordinamento giuridico ovvero un complesso di regole ordinate tra di loro secondo dei criteri e che disciplinano la vita
e l’attività di un’organizzazione.
Il termine ordinamento deriva dalla parola ORDINE.
Tale progetto è delineato dalla costituzione e in tutte le regole ad esso collegate. La costituzione è collocata al vertice
della piramide delle fonti del diritto e perciò da l’impronta a tutto cio che che da essa discende.
Esistono progetti diversi adottati dai vari paesi, ad esempio:
- Welfare state—> la costituzione impone allo stato di intervenire attivamente nella sfera del
cittadino per perseguire l’obbiettivo del suo benessere.
- Sistema liberista—> lo stesso obiettivo è perseguito tenendo al minimo l’intervento dello stato e
lasciando spazio al libero mercato.
Non esiste un solo ed unico ordinamento, ma più in relazione alla prospettiva da cui si guarda al fenomeno
dell’organizzazione sociale. Possiamo quindi distinguere alcune sotto categorie di ordinamenti: regionale, comunale,
ecc…. Si tratta del fenomeno noto come pluralismo degli ordinamenti giuridici.
Il legislatore definisce un’ipotesi astratta, mentre il giudice deve interpretare la disposizione normativa e i fatti che ha
davanti—> deve applicare alla realtà l’ipotesi del legislatore
Questa interpretazione può avere effetti diversi in base alla situazione: il giurista-studioso (docente universitario) ha
come finalità quella della conoscenza, mentre la finalità del giudice è quella di applicare il diritto. Entrambi
interpretano, ma le conseguenze dell’interpretazione sono diverse in quanto quelle del giudice gravano sui cittadini
(hanno forza coercitiva).
I quattro eletti fondamentali che entrano in ogni attività di interpretazione del diritto sono:
DISPOSIZIONE: è l’enunciato linguistico con cui l’autore della regola enuncia il comando che intende
inserire in quell’atto normativo. —> formulazione linguistica che possiamo leggere in un testo formativo.
FATTISPECIE: si tratta del fatto immaginato dall’autore della regola. Si può specificare meglio con
fattispecie legale astratta, intendendo ciò che è previsto in astratto dall’autore della regola.
FATTO: è l’accadimento concreto per il quale si rende necessaria l’applicazione della regola.
NORMA: è l’interpretazione che si trae dalla disposizione nel momento in ci deve essere applicata al caso
concreto
-Le norme sono il risultato dell’interpretazione, operata sulla base di diversi criteri.
I CRITERI CHE GUIDANO L’INTERPRETAZIONE:
Interpretare significa attribuire un significato ad una realtà in modo da renderla comprensibile.
“Nell'applicare la legge non si può ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle
parole secondo la connessione di esse, e dalla intenzione del legislatore.
Se una controversia non può essere decisa con una precisa disposizione, si ha riguardo alle disposizioni che regolano
casi simili o materie analoghe; se il caso rimane ancora dubbio, si decide secondo i principi generali
dell'ordinamento giuridico dello Stato.”
La prima parte dell’articolo dice sostanzialmente che, nel decidere, il giudice deve fare in primo luogo ricorso
all’interpretazione letterale—> lettura attenta e minuziosa della disposizione. Può tuttavia succedere che il testo della
disposizione non sia sufficiente e per questo vengono offerti al giudice strumenti/criteri di interpretazione:
- INTERPRETAZIONE TELEOLOGICA: si parla di ratio della norma, ossia delle ragioni che hanno spinto il
legislatore ad adottare quella determinata regola—> se non comprendi il significato, chiedi a chi lo ha scritto.
Questo criterio tuttavia, nasconde un’insidia: Il parlamento è molto letto nell’approvare nuove regole quando
l’evoluzione sociale rende necessario un aggiornamento; questa lentezza fa si che spesso il giudice si trovi di fronte a
regole approvate con uno scopo che non può essere più in linea con i valori della società contemporanea. Una
soluzione è quella di non riferirsi alle intenzioni del legislatore storico, ma a quelle del legislatore che avrebbe posto
quella stessa regola nel momento in cui il giudice si trova a decidere (interpretazione evolutiva).
La seconda parte dell’articolo. 12 delle Preleggi, fa riferimento all’ANALOGIA. Essa è un criterio interpretativo che
consente al giudice di risolvere un caso facendo ricorso ad una regola originariamente posta per disciplinare un caso
diverso ma analogo. Questa interpretazione non può avvenire a proprio piacimento, ma solo nel momento in cui si ha
di fronte un caso per il quale non esiste una specifica disciplina.
—> Art. 139 cost: La forma repubblicana non può essere oggetto di revisione costituzionale; ovvero non si può
cambiare la forma di nomina del capo di stato passando da una forma elettiva a una forma dinastica.
Nonostante la forma statuale di organizzazione del potere (lo stato moderno) sia senza dubbio il risultato di una lunga
evoluzione, è possibile individuarne una data di nascita in un fatto che ha segnato che ha segnato l’affermazione
dell’ente a cui oggi attribuiamo le caratteristiche dello stato.
Si tratta della pace di Vestfalia del 1648 che pose fine alla guerra dei trent’anni. La pace di Vestfalia, riafferma il
principio cuius regio eius religio —> di chi è il regno, di lui sia la religione—> i sudditi dovevano seguire la religione
del proprio governante.
Tale principio, rappresenta l’embrione della sovranità. In base alla pace di Vestfalia, i prìncipi acquistano il potere di
stabilire la religione per i propri sudditi (sovranità interna), ed al contempo la tutela da ingerenze esterne da parte dei
loro pari (sovranità esterna). In sostanza, la pace di vestfalia segna allo stesso tempo la nascita dello stato moderno e
quella del diritto internazionale—> disciplina che regola i rapporti tra enti parificati (gli stati).
Quando si parla di stato moderno, non si intende lo stato con le caratteristiche che ha nel periodo storico in cui stiamo
vivendo; di fatto noi oggi conosciamo la democrazia ma è opportuno osservare come gli stati esistano anche laddove
non regnano democrazia e tutela dei diritti (totalitarismi).
Per stato moderno si intende quella forma di organizzazione del potere che qualifica un ente dotato di un territorio ed
un popolo su cui esercita la sovranità, ed un governo che esercita il potere politico. Poco importa se il potere è
esercitato in forma autoritaria o democratica.
Oggi l’Italia rientra nella categoria del cosiddetto Welfare State (stato sociale, del benessere), dove lo stato si fa
carico di alcuni interventi concreti tesi a garantire il benessere dei cittadini.
IL TERRITORIO
Perché possa esistere uno stato, è necessario che vi sia un luogo fisico sul quale esso possa esercitare la sovranità. Lo
stato nasce infatti come entità territoriale, identificato attraverso la delimitazione di confini, al di la del quali il suo
potere cessa di avere effetto. L’esercizio di potere sovrano al di fuori dei confini dello stato invaderebbe infatti il
potere di un altro stato—> lesione della sovranità.
Chi stabilisce i confini territoriali?
Per rispondere è necessario considerare due regole basilari del diritto internazionale: la volontarietà e il mutuo
riconoscimento.
- volontarietà: gli stati si vincolano vicendevolmente attraverso accordi stipulati su base volontaria—> trattati
internazionali.
- mutuo riconoscimento: implica che l’esistenza di uno stato dipenda dal fatto che gli altri stati lo riconoscano come
tale—> uno stato esiste perché tutti gli altri membri della comunità internazionale lo riconoscono come loro pari
Se vogliamo quindi individuare i limiti entro i quali può essere esercitata la sovranità, dobbiamo guardare a queste due
regole del diritto internazionale.
EXTRATERRITORIALITÀ
La sovranità territoriale dello stato si estende anche su luoghi che non sono propriamente territori:
Le sedi diplomatiche ad esempio o all’interno della sede dell’ambasciata italiana dove vige il diritto dello stato
italiano indipendentemente dal luogo del mondo in cui si trova—> un reato commesso all’interno dell’ambasciata
viene perseguito secondo il diritto dello stato di appartenenza e nulla può lo stato in cui fisicamente si trova la sede
dell’ambasciata.
L’ extraterritorialità vale anche con riferimento alle navi e agli aeromobili, all’interno dei quali si esercita la sovranità
dello stato di appartenenza.
Diverso è il caso delle acque internazionali, un bene appartenente a tutti. Qualsiasi stato, anche privo di sbocco al
mare, ha piena libertà di navigazione e di sorvolo.
Le acque internazionali coincidono con quelle che si trovano oltre la porzione di mare di 12 miglia nautiche adiacente
alla costa, sul quale lo stato esercita la propria sovranità territoriale.
ENCLAVES: porzioni di territorio sul quale si esercita la sovranità di uno stato anche se sono inversamente
circondate da un territorio straniero.
IL POPOLO
L’elemento personale dello stato è il popolo, l’insieme cioè degli individui su cui lo stato esercita la propria sovranità.
Il concetto di sovranità non è univoco, ammette cioè più di una definizione: esistono sia la sovranità popolare sia la
sovranità statale.
Inoltre, che lo stato esercita la propria sovranità sul popolo non contraddice la formale attribuzione della sovranità al
popolo (art. 3 cost afferma che la sovranità appartiene al popolo), perché ciò rappresenta esattamente lo schema che
consente ad una organizzazione sociale, come lo stato, di funzionare.
In un sistema che prevede la sovranità popolare, i poteri attribuiti all’entità stato rappresentano una sorta di delega
necessaria a garantire la convivenza della società. Proprio per questo motivo si dice che lo stato detiene il monopolio
della forza legittima. I cittadini non possono farsi giustizia da soli in quanto ciò creerebbe caos generale.
La contraddizione tra sovranità del popolo e sovranità sul popolo, emerge solo con riferimento ai sistemi che
prevedono la sovranità popolare. Per esistere lo stato ha bisogno di un popolo, e non è detto che al popolo debba
necessariamente essere attribuita la sovranità (corea del nord).
Non solo i cittadini sono soggetti all’autorità dello stato, ma tutte le persone che si trovano all’interno del territorio
dello stato. Questo è il concetto di popolazione, diverso dal concetto di popolo che si riferisce all’insieme di individui
legati allo stato dal vincolo della cittadinanza.
Popolazione e popolo sono dunque due concetti diversi. Il primo si definisce in relazione al luogo in cui si trova
l’individuo, il secondo in relazione al vincolo esistente tra individuo e stato.
Non serve essere cittadini per entrare nel conteggio della popolazione.
Essere cittadini comporta l’acquisizione di diritti e di doveri che insieme costituiscono quello che viene definito status
civitatis.
Ogni stato decide autonomamente le modalità con cui viene acquisito lo status di cittadino, come anche le modalità e
le cause di perdita della cittadinanza.
Esistono modi di acquisto della cittadinanza che operano in automatico, per nascita, e modi di acquisto su richiesta
dell’interessato, la cosiddetta naturalizzazione.
In automatico la cittadinanza può essere acquisita iure sanguinis (dalla cittadinanza dei genitori) o iure soli (dal luogo
di nascita). L’Italia ha adottato il criterio dello iure sanguinis.
In alcuni casi la cittadinanza può anche essere trasmessa iure soli, si tratta però di una ipotesi residuale destinata a
risolvere i casi di genitori apolidi (privi di cittadinanza).
La naturalizzazione è un processo che comporta l’acquisto della cittadinanza su richiesta dell’interessato; può essere
chiesta dagli stranieri che risiedono in Italia da almeno dieci anni e sono in possesso di determinati requisiti:
- dimostrare di avere redditi sufficienti al proprio sostentamento
- non avere precedenti penali
- inesistenza di motivi che mettano in pericolo la sicurezza della repubblica
Lo status di cittadino può anche essere perduto per cause espressamente previste dalla legge
ad esempio il mancato rispetto di fedeltà alla repubblica.
Il fatto che ogni stato decide in autonomia le regole di acquisto e perdita della cittadinanza, comporta che possano
verificarsi casi in cui una persona assumi contemporaneamente più cittadinanze.
IL GOVERNO
Lo stato esiste se c’è un popolo ed un territorio, ma serve anche un apparato di governo che ne eserciti i poteri. I tre
tradizionali sono quelli legislativo, esecutivo e giudiziario —> principio di separazione dei poteri e riconoscimento
dei diritti —> cardine delle democrazie moderne.
La separazione dei poteri può essere in senso orizzontale ovvero sono affidati e sono esercitati da organi ben distinti.
Questo non vuol dire che non possano esserci delle sovrapposizioni (il governo ad esempio può emanare decreti aventi
forza di legge—> eccezione). Il governo non è un organo rappresentativo ma è un organo di parte, espressione
della sola maggioranza per questo è comunque importante che ci sia una separazione e una limitazione dei poteri del
governo nell’ambito legislativo.
Anche il fatto che esiste un vincolo fiduciario è un’eccezione perché porta comunque all’unione parziale dei due
organi. Queste eccezioni non metto in pericolo il concetto di separazione affinché rimangono tali.
La separazione dei poteri può essere intesa anche in senso verticale con gli ordinamenti decentrati (stato regionale,
provinciale)—> i poteri vengono parzialmente frammentati sul territorio.
L’apparato di governo è dunque una struttura composta di organi che svolgono i compiti di approvare le leggi, fare in
modo che siano concretamente applicabili e farle rispettare.
Uno stato diventa tale quando gli altri membri della comunità internazionale lo riconoscono come proprio pari, ma per
essere riconosciuto è necessario che disponga di un apparato di governo stabile.
Può accadere infatti che un governo, riconosciuto legittimo dalla comunità internazionale, perda il controllo sul
proprio territorio e sul popolo. In queste situazioni può accadere che la comunità degli stati continui a riconoscerlo
come legittimo e a non riconoscere quello che invece si è insediato a forza.
Ci sono anche limiti estrinseci (che agiscono da fuori—> i mercati internazionali che influenzano l’economia) e limiti
estranei (Unione Europea).
La sovranità ha quindi una serie di limiti e non è più intesa come sumo potere come aveva quando nacque lo stato
moderno.
LA SOVRANITÀ
Nella accezione più tradizionale la sovranità equivale, nella prospettiva interna, al monopolio della forza legittima su
un popolo ed entro un determinato territorio, ed in quella esterna, alla capacità di opporsi alle ingerenze che
provengono dall’esterno—> indipendenza.
Inizialmente l’attribuzione della sovranità era un compito semplice—> il sovrano deteneva il sommo potere d’imperio
per investitura divina; ma la storia ha visto un processo di smarcamento dal sovrano al parlamento fino a giungere al
popolo.
Il processo che ha trasferito la sovranità dal sovrano al popolo è stato lento e in qualche modo inevitabile—> il
sovrano non riusciva a gestire da solo il potere su un vasto territorio e per questo ha iniziato a circondarsi di propri
fiduciari—> ministri.
LA SOVRANITÀ STATALE
Il concetto di sovranità come “sommo potere d’imperio” non è più attuale perché la sovranità incontra ogni giorno
nuovi limiti, sia internamente che esternamente allo stato.
La nascita dello stato federale ha fatto incrementare l’idea della sovranità intesa come potere sommo e infrazionabile.
Lo stato federale ha messo in evidenza che la sovranità incontra dei limiti.
Come già detto questi limiti si incontrano non solo nella dimensione interna ma anche e soprattutto in quella esterna
—> sovranazionale: termine usato per qualificare sistemi normativi come quello dell’UE o della Convenzione europea
dei diritti dell’uomo che si pongono al di sopra di quelli degli stati che ne fanno parte.
L’unione europea è un ordinamento abilitato a produrre regole che hanno la forza di imporsi all’interno degli
ordinamenti degli stati membri.
Questo è un chiaro esempio di limitazione della sovranità statale; tuttavia si tratta di limitazioni alle quali gli stati
stessi hanno acconsentito e dalla quale sono liberi di recedere (vedi Brexit).
LA SOVRANITÀ POPOLARE
Lo stato è evoluto con il passaggio della sovranità dal sovrano al popolo. Il fatto che la sovranità non appartenga più
ad un soggetto individuale, ma a un complesso di individui, ha comportato inevitabilmente un mutamento nell’essenza
stessa della sovranità.
Ovviamente una collettività non può detenere un potere di tale portata nella stessa identica forma in cui lo deteneva il
sovrano; la questione non riguarda tanto la titolarità del potere, ma piuttosto le modalità di esercizio. Siamo infatti
certi che la sovranità appartiene al popolo, tuttavia non siamo certi che il popolo possa esercitare direttamente i poteri
che connotano la sovranità (leg, esec, giud).
Sono necessarie ed inevitabili forme di rappresentanza:
Potere legislativo—> parlamento eletto dal popolo
Potere esecutivo—> governo che necessita la maggioranza del parlamento
Potere giudiziario —> giudici che applicano solo la legge
La principale forma in cui il popolo esercita la sovranità è dunque quella rappresentativa (le elezioni sono il momento
in cui il popolo esercita la propria sovranità—> democrazia rappresentativa).
Ci sono casi in cui la sovranità è esercitata in forma diretta:
- referendum
- iniziativa legislativa popolare
- diritto di petizione
LA DEMOCRAZIA
La democrazia può assumere varie forme ed incontrare vari limiti. Essa non è fine a se stessa, ed è anzi funzionale
all’affermazione dell’individuo all’interno di una società. La democrazia è un modo in cui si organizza una società per
consentire a ciascun singolo individuo di partecipare alle scelte che coinvolgono tutti. “Democrazia è partecipazione”.
Questa partecipazione è limitata dalle forme previste dalla costituzione —> le forme in cui la sovranità viene
esercitata delineano le forme stesse della democrazia: democrazia rappresentativa (scelta dei rappresentanti
mediante le elezioni) e democrazia diretta (partecipazione attiva del cittadino).
Il concetto di “potere del popolo” per il quale tutto ciò che viene deciso dal popolo è legittimo perché il popolo è
sovrano porterebbe la democrazia stessa ad un breve esistenza. Infatti non tutte le decisioni, anche se prese dalla
maggioranza, sono legittime. Questo ragionamento vale sia per la democrazia rappresentativa che per quella diretta
(ad esempio il referendum abrogativo non può riguardare alcune materie).
Di fatto la democrazia va protetta da se stessa anche perché il modo in cui funziona è poco democratico ma di fatto è
impossibile ottenere il consenso unanime.
Vediamo infatti che se la maggioranza vince, significa che il 50%+1 dei cittadini ha diritto di stabilire le regole,
ovviamente rispettando i limiti della costituzione. Bisogna però tener conto che il 50-1% dei cittadini non si
riconoscono in tale decisione.
Democrazia non deve tradursi in tirannia della maggioranza perché una democrazia efficiente deve produrre decisioni
condivise o quantomeno a massimizzare il consenso.
Nonostante sia la maggioranza a vincere, l’opposizione deve essere rispettata e ascoltata.
PLURALISMO E RAPPRESENTANZA
I nostri rappresentanti sono scelti attraverso le elezioni. In ogni democrazia assume un ruolo di fondamentale
importanza il sistema elettorale, cioè l’insieme delle regole che consente di trasformare i voti degli elettori in seggi.
I sistemi elettorali si rendono necessari laddove è riconosciuto il pluralismo.
Pluralismo e rappresentanza sono i connotati della democrazia, senza essi nessuna vera democrazia è possibile.
Il popolo mantiene la titolarità della sovranità ma l’esercizio avviene in forme ed entro limiti della costituzione. Le
forme in cui viene esercitata la sovranità sono quelle della rappresentanza: il popolo sceglie dei rappresentanti
attraverso le elezioni ed a loro attribuisce la funzione di prendere decisione in sua vece.
Il popolo è pero un soggetto complesso ed eterogeneo (diverse idee, religioni, opinioni ecc..) ed essendo ogni
individuo libero di esprimere questi valori, lo stato democratico consente l’organizzazione di gruppi che hanno
l’obiettivo di promuovere interessi comuni. Tra questi gruppi vi sono quelli che si pongono come obiettivo quello di
portare gli interessi di gruppi di persone all’interno delle istituzioni —> partiti e movimenti politici.
Alla base della democrazia sta l’idea che non esiste una sola verità e che il confronto di idee è un valore aggiunto per
una organizzazione sociale.
I SISTEMI ELETTORALI
Il meccanismo che permette di selezionare i rappresentanti è chiamato sistema elettorale.
Attraverso il meccanismo del sistema elettorale, si realizza la trasformazione dei voti in seggi. Esso può essere di tipo
maggioritario o proporzionale. Ci sono infatti formule che mirano a dare rappresentanza a tutte le forze organizzate
in proporzione al seguito ottenuto nel corpo elettorale e altre formule che invece tendono a risolvere la rappresentanza
con la maggioranza/opposizione.
Possiamo guardare ai sistemi elettorali comprendendo in essi anche tutte le regole che ne disciplinano il meccanismo
(definire l’elettorato attivo e passivo, cause di ineleggibilità e incompatibilità…).
I seggi sono i posti disponibili all’interno delle istituzioni rappresentative—> il parlamento
Nel parlamento italiano i posti o disponibili sono in totale 600 —> 400 nella camera e 200 nel senato.
La ripartizione dei seggi viene fatta in base al principio della proporzionalità —> questo perché ricordiamo che il voto
dev’essere libero, segreto ed uguale per tutti.
- UNINOMINALE (viene assegnato un unico seggio)—> con sistema maggioritario (seggio assegnato a chi ottiene
la maggioranza)
La maggioranza richiesta può essere assoluta (nel caso nessun candidato ottiene la maggioranza è previsto un secondo
turno elettorale alla quale partecipano i due candidati con più voti—> si definisce questo ballottaggio) o relativa
(vince chi ha la percentuale di voti più alta)
- PLURINOMINALE (vengono assegnati più seggi)—> con sistema proporzionale (in proporzione ai voti ottenuti)
IL SISTEMA PROPORZIONALE:
1) Innanzitutto serve calcolare il quoziente elettorale—> quanti voti sono necessari per ottenere un seggio
2) assegnare i seggi in base ai voti ottenuti secondo il quoziente prima calcolato
3) se rimangono seggi liberi, procedere alla loro assegnazione in base ai voti restanti
Nei sistemi proporzionali i partiti concorrono presentando delle liste di candidati. Esse possono essere
- bloccate —> non è possibile esprimere preferenze
- aperte —> si possono esprimere preferenze
Più frammentato è il parlamento più difficile è prendere decisioni…guardando al nostro sistema ad esempio—> mai
vince un partito unico (molto spesso i partiti si presentano in coalizione ma nonostante ciò portano idee comunque
diverse) questo è un problema perché porta instabilità—> dopo ancora un mese ad esempio ancora non c’è un governo
—> poca efficienza con il sistema proporzionale se pur giusto.
Sono proclamati eletti, per la parte proporzionale, i candidati della lista del collegio plurinominale secondo l’ordine di
presentazione. Per la parte maggioritaria, è proclamato eletto il candidato più votato in ciascun collegio uninominale.
Il principio di separazione dei poteri impone di suddividere i tre poteri dello stato (legislativo, esecutivo e giudiziario)
affidandoli ad organismi distinti e reciprocamente indipendenti.
Ciononostante, in Italia legislativo ed esecutivo on sono tra loro indipendenti perché legati strettamente dal vincolo
fiduciario. Inoltre, ricordiamo come di fatto il governo possa emanare atti aventi forza di legge (decreto legge e
legislativo). In questi casi parliamo di eccezioni e sono ammesse affinché rimangono tali.
Un ordinamento costituzionale deve cercare il giusto equilibrio che consenta il funzionamento di un complesso
apparato mantenendo il più possibile separati i poteri, senza che ciò impedisca talune eccezioni, e limitando il rischio
di conflitti tra un potere e l’altro.
Forma di stato: con tale definizione si intende la modalità in cui è organizzata una determinata collettività con
riguardo particolare alle finalità che con quella formula organizzativa si intendono perseguire ed al rapporto che in
funzione di essa viene ad instaurarsi tra governanti e governati). —> Parole chiavi: finalità e rapporto governante e
governati
Forma di governo: formula scelta per organizzare i poteri dello stato apparato, con particolare riguardo all’aspetto
relativo alla funzione di indirizzo politico.
Le due categorie così definite guardano allo stesso fenomeno, lo stato, ma da due prospettive diverse. La prima
abbraccia tutto l’insieme degli elementi che compongono l’entità stato, l’altra invece si focalizza solo sugli aspetti
strettamente organizzativi.
Da entrambe le prospettive emerge che lo stato persegue dei fini. Con la scelta di una particolare forma di stato si
intendono perseguire certe finalità che troviamo formalizzate nella costituzione —> ad esempio la libertà di iniziativa
economica senza ulteriori specificazioni (svizzera), oppure si può soggettare a a dei limiti (Italia).
Nel dare la definizione di forma di governo abbiamo fatto riferimento alla funzione di indirizzo politico, la quale si
sostanzia nella facoltà di stabilire gli obiettivi da perseguire ed i mezzi per farlo. (Importanza per l’Italia del lavoro—>
art. 1 Cost.—> tale obiettivo viene perseguito secondo determinati 7mezzi, diversi o simili per ogni stato con lo stesso
obiettivo).
- STATO ASSOLUTO: è quello che si afferma con la pace di Vestfalia. Il potere è concentrato nelle mani del
sovrano, ed il rapporto che viene a formarsi tra chi governa e chi viene governato è di sudditanza.
Lo stato non è ancora definitivo come entità autonoma rispetto al sovrano (patrimonio del sovrano e dello stato sono la
stessa cosa). Il monarca è nello stato assoluto sopra le leggi; lui le crea ma non è tenuto a rispettarle. Infine egli
detiene anche gli altri poteri dello stato.
- STATO DI DIRITTO: è lo stato in cui si realizza l’inversione tra legge e sovrano—> è soggetto egli stesso al diritto.
Può dunque essere presente un monarca ma adesso è attribuito un potere che incontra i limiti stabiliti dalla
costituzione si usa in questo caso la definizione di monarchia costituzionale e il rapporto tra governati e governanti
non è più di sudditanza ma di vera cittadinanza.
- STATO LIBERALE: si afferma con il riconoscimento di alcuni diritti e libertà fondamentali. Un elemento presente
nello Stato liberale è il principio della separazione dei poteri, anche esso funzionale alla garanzia dei diritti. Lo Stato
liberale rappresenta un ulteriore passo in allontanamento dalla forma assoluta, ed è seppur entro certi limiti, uno stato
democratico. I diritti politici infatti non sono ancora riconosciuti universalmente (democrazia limitata—> diritto di
voto nel 1861 in Italia).
Non erano solo i diritti politici ad essere limitati. La sfera dei diritti riconosciuti nello Stato liberale coincideva con le
cosiddette libertà negative, cioè che non richiedono un intervento attivo dello Stato per essere garantite.
La definizione di libertà negative nasce per distinguerle dalle libertà positive, che contraddistinguono il modello
sociale, e necessitano di un intervento attivo dello Stato. Il diritto alla salute ad esempio rientra fra i diritti sociali
perché non può essere garantito senza che lo Stato predisponga una qualche forma di sistema sanitario. Le libertà
negative, riconosciute nello Stato liberale, rappresentano una sfera minima di diritti che solitamente si qualificano
come diritti di prima generazione.
- STATO DI DEMOCRAZIA PLURALISTA: Si definisce stato di democrazia pluralista perché, nonostante si fondi
sul principio della rappresentanza (democrazia—> come lo stato liberale), la base elettorale è più estesa, e
rappresentate nelle istituzioni sono ampie e varie parti della società civile (pluralismo).
All’ampliamento del corpo elettorale si accompagna anche l’estensione della sfera dei diritti e delle libertà.
- STATO TOTALITARIO: lo Stato totalitario si caratterizza per l’affievolimento di tutti i meccanismi di garanzia che
si erano affermati in seguito al superamento del modello dello stato assoluto. Il principio di separazione dei poteri,
quello rappresentativo, le libertà individuali, non sono più pienamente operativi.
Si differenzia dallo Stato assoluto perché quello totalitario tende a conservare istituzioni dello Stato liberale, ma senza
una vera e propria operatività. Il principio rappresentativo, e formalmente mantenuto, ma la scelta dei cittadini è
limitata al partito unico, venendo quindi a mancare il pluralismo.
- STATO SOCIALISTA (repubblica popolare): Si intende uno stato che rifiuta l’idea del pluralismo a favore di quella
del partito unico.
Il partito unico, quello socialista, rappresenta in questa forma di Stato lo strumento di realizzazione della cosiddetta
dittatura del proletariato, una fase intermedia che dovrebbe condurre alla soppressione della divisione in classi sociali
ed alla affermazione dell’uguaglianza sostanziale.
- STATO SOCIALE (welfare state): È lo Stato che si prende cura dei propri cittadini con complessi sistemi
assistenziali e di previdenza sociale, e che cerca di coniugare la dimensione individuale dei diritti e delle libertà con la
dimensione sociale (art 2).
Lo Stato sociale riprende i diritti sociali che già avevano fatto comparsa nello stato di democrazia pluralista, ma ne
amplia il catalogo includendovene di nuovi.
Possiamo quindi notare che alla classificazione delle forme di stato, si può guardare sia dalla prospettiva della loro
evoluzione, (o involuzione—> totalitarismo) storica, sia quella che mira ad evidenziare le differenze che intercorrono
tra gli stati presenti nello stesso periodo storico.
—> la classificazione può operare sia in senso diacronico (nell’evoluzione storica)
—>sia in senso sincronico (nello stesso momento)
- GOVERNO PARLAMENTARE: È un modo di organizzare i poteri che prevede una particolare interdipendenza tra
legislativo ed esecutivo.gli organi titolari di questi due poteri sono infatti legati l’uno all’altro dal vincolo fiduciario. Il
governo non può esercitare i poteri che la costituzione gli attribuisce se non con il costante sostegno della
maggioranza parlamentare. La fiducia può essere espressa o implicita ma il parlamento ha sempre la possibilità di
revocarla mediante un formale voto di sfiducia. In tale ipotesi il governo è costretto alle dimissioni e si apre una fase
di vuoto istituzionale che viene superata attraverso l’intervento del capo dello Stato al quale spetta la funzione di
arbitro e garante.
—> La presenza di Un capo dello Stato con funzione di garanzia risulta indispensabile a causa dell’intrinseca
instabilità di questa formula organizzativa specie laddove la frammentazione politica è elevata.
- GOVERNO PRESIDENZIALE: È una formula organizzativa che al suo asse portante nella figura del presidente. Le
sue caratteristiche principali sono la presenza di un Presidente che al contempo capo dello Stato e vertice del potere
esecutivo, e l’assenza di un vincolo fiduciario a legare governo e parlamento.
Diversamente dalla forma parlamentare che è instabile a causa del necessario vincolo fiduciario tra parlamento e
governo, quella presidenziale è stabile non essendo possibile nello scioglimento anticipato delle camere né la sfiducia
del governo ed il conseguente obbligo di dimissioni.
- GOVERNO SEMI PRESIDENZIALE: la forma di governo semipresidenziale è un ibrido tra due forme diverse
ovvero quella Presidenziale e parlamentare. Dalla forma di governo presidenziale essa prende l’investitura diretta del
capo dello Stato, che anche in questo caso al contempo vertice dell’esecutivo. Dalla forma di governo parlamentare
prende invece il vincolo fiduciario che lega parlamento e governo.
Confederazione: insieme di stati che rimangono sovrani ma che stringono trattati internazionali (contratti che
stipulano gli stati alla quale possono aderire e recedere quando vogliono) per fini comuni.
Il passaggio da confederazione a stato federale avviene nel momento in cui si forma un’unica costituzione (a questo
punto però non sono più sovrani—> sottoscrivono la costituzione ma dopo non possono recedere con grande libertà).
Uno stato federale si costituisce del diritto interno costituzionale ed è riconosciuto come unico stato;
La confederazione rientra nel diritto internazionale.
Esistono Stati che adottano formule organizzative basate sulla ripartizione territoriale del potere al proprio interno tra
un apparato centrale e più enti territoriali.
Possiamo limitarci a due sole categorie di decentramento, quella dello Stato federale e quella dello Stato regionale.
È un’opinione comune che nello Stato federale gli enti territoriali (Stati membri) siano detentori di una maggiore
autonomia di quanto non siano le regioni in uno Stato regionale. Dovremo tuttavia quantificare un livello di potere
degli enti territoriali raggiunto il quale si passa da una categoria all’altra. Gli Stati membri hanno sicuramente più
potere delle regioni ma quanto di più?
È necessario a questo punto trovare uno o più criteri che permettano di tracciare una distinzione chiara tra Stato
federale e stato regionale.
FATTO= consuetudine—> comportamento ripetuto nel tempo con la convinzione di adempire a un obbligo giuridico
(è una regola che vincola).
Dell’ordinamento abbiamo già detto che rappresenta un sistema perché risponde ad un progetto comune.
L’ordinamento è un sistema perché esistono dei criteri che permettono agli elementi che lo compongono,
principalmente le fonti del diritto, di agire, ed interagire, in maniera ordinata e coerente.
Ordine e coerenza sono resi possibili da alcuni principi su cui si regge l’intero ordinamento giuridico:
Principio di unità
Principio di coerenza
Principio di completezza
PRINCIPIO DI UNITÀ
Per principio di unità dell’ordinamento si intende che la legittimazione di ogni regola di cui si compone
l’ordinamento stesso può essere fatta risalire ad un unico potere, il potere costituente.
Il sistema delle fonti è organizzato in forma gerarchica, dove la costituzione rappresenta la norma fondamentale.
La costituzione italiana è stata approvata nel 1947 da un’assemblea costituente eletta nello stesso momento in cui i
cittadini italiani, per la prima volta a suffragio universale, scelsero di abbandonare la monarchia a favore della
Repubblica. Quell’assemblea esercitò il potere costituente, cioè il potere di decidere i contenuti della costituzione.
Tutto quello che viene dopo la costituzione trova fondamento nella costituzione.
È tuttavia vero che ci sono casi più complessi, come quelli delle regole che provengono dalla U.E. e che si
impongono all’interno del nostro paese, ma anche in questo caso possiamo ricorrere al principio di unità. In effetti, la
normativa comunitaria si impone all’interno del nostro ordinamento perché e la stessa costituzione a consentirlo.
Le regole che provengono dalla U.E. entrano nel nostro ordinamento perché la costituzione ad aprir loro la porta.
PRINCIPIO DI COMPLETEZZA
Affermare che il diritto non ammette lacune, equivale semplicemente a riconoscere che esistono alcuni metodi che
servono a colmare le lacune laddove queste si palesino.
Proviamo a pensare all’ipotesi in cui rivolgendoci al giudice per far valere un proprio diritto, questo affermando che
non esiste una regola giuridica per il caso da noi prospettato, ci rispedisca a casa senza aver preso una decisione. Un
caso simile configura l’ipotesi della cosiddetta denega giustizia.
Il giudice non può rifiutarsi di dare una soluzione per i casi che giungono di fronte a lui, anche se non esiste una
specifica regola per quello specifico caso.
In parte, le lacune del diritto si colmano in maniera quasi naturale, grazie alla capacità di adattamento del diritto.
(Ricorda esempio del traffico aereo e marittimo).
La capacità di adattamento intrinseca di una o più regole non elimina l’esigenza di regole specifiche. Oggi infatti la
navigazione aerea non è disciplinata interamente con le stesse regole della navigazione marittima. Ma è pur vero che il
diritto si sia in questo caso potuto adattare ad uno scenario nuovo rispetto a quello per il quale era stato
originariamente creato (criterio dell’ analogia).
L’analogia è dunque una particolare tecnica interpretativa che mira ad estendere l’applicazione di norme,
originariamente adottate per regolare specifiche situazioni o materie, a casi che presentano delle similitudini (non
applicabile a tutte le norme—>penali).
PRINCIPIO DI COERENZA
Il principio della coerenza, è quel principio secondo il quale L’ordinamento prevede criteri e meccanismi per risolvere
le cosiddette antinomie normative, ossia i casi in cui due o più regole entrano in conflitto tra di loro.
L’ordinamento statale è talmente vasto, e le regole sono prodotte con così tanta frequenza da rendere inevitabile che si
realizzino dei conflitti.
È quindi necessaria la presenza di criteri che consentano di risolvere tali conflitti.
Si tratta dei criteri:
Cronologico
Gerarchico
Di competenza
Di specialità
CRITERIO CRONOLOGICO
REGOLA LA SUCCESSIONE DELLE FONTI NEL TEMPO
L’applicazione del criterio Cronologico produce l’effetto dell’abrogazione, cioè l’interruzione dell’efficacia della
vecchia regola, che non può più essere applicata ai casi sorti dopo l’entrata in vigore di quella nuova. La nuova regola
non spazza via dall’ordinamento quella vecchia, semplicemente si sostituisce ad essa interrompendone l’efficacia.
Il criterio cronologico può operare solo tra regole che hanno la stessa forza.
Il legislatore non può con una legge ordinaria modificare la costituzione, quindi perché possa operare il criterio
cronologico, producendo l’abrogazione, è necessario che il conflitto da risolvere coinvolga regole di parigrado.
Possiamo definire questa caratteristica come il principio del parallelismo delle forme.
È frequente che l’abrogazione sia una conseguenza voluta, e non un evento casuale. Quando il legislatore adotta una
nuova disciplina per regolare una materia che ha una sua disciplina preesistente, lo fa proprio perché vuole introdurre
delle nuove regole. In questi casi è frequente che il legislatore dichiari espressamente che la regola X si sostituisce
alla regola Y—> si parla di abrogazione espressa.
—> Non è sempre facile individuare quale sia la versione vigente di un testo normativo. Il giudice deve fare la
massima attenzione ad utilizzare la versione consolidata dei testi che deve applicare.
Abbiamo detto che l’abrogazione interrompe l’efficacia. Per i casi ancora aperti fino a che essa non interviene si
continua ad utilizzare la vecchia regola. In altre parole i casi sorti prima dell’abrogazione dovrebbero essere decisi
utilizzando la vecchia regola in virtù basilare del principio secondo il quale la legge dispone solo per il futuro. —>
PRINCIPIO DI IRRETROATTIVITÀ
! Vi sono tuttavia delle eccezioni come ad esempio il principio del favor rei, Ossia quel principio che garantisce
all’imputato l’applicazione della regola più favorevole (non puoi essere imputato per un dato che non è più
considerato tale).
Tornando alle modalità in cui può intervenire l’abrogazione, va detto che non sempre il legislatore afferma
espressamente di voler sostituire una regola con una diversa. Spesso l’abrogazione tacita (riguarda il caso di un
conflitto tra singole regole per le quali il legislatore non abbia espressamente dichiarato di voler che operi
l’abrogazione) o implicita (quando il legislatore adotta una nuova disciplina con l’intento di regolare interamente una
materia).
CRITERIO GERARCHICO
REGOLA I RAPPORTI TRA LE FONTI DI DIVERSO RANGO
La necessità di cambiare le regole, dovuta al cambiamento della società e delle sue esigenze, rientra nella fisiologia
dell’ordinamento. Ma non è tutto fisiologico, ad esempio è patologico che il legislatore approvi una legge con la
quale attribuisce dei privilegi ad una categoria di soggetti, dando vita in questo modo ad una discriminazione. È
patologico perché la costituzione afferma il principio dell’uguaglianza; In questo caso quindi la legge che confligge
con la costituzione è annullata in applicazione del criterio gerarchico.
Esistono anche delle costituzioni che non sono votate, come lo statuto albertino che era concesso dal sovrano al suo
popolo—> costituzione ottriata
Lunga: non si fa riferimento al numero di articoli ma ai contenuti. La lunghezza si minuirà in relazione a ciò che essa
intende disciplinare. Una costituzione è breve se contiene solo le regole di organizzazione dei poteri dello stato e una
lista dei diritti fondamentali. Ma se oltre a questi contenuti minimi, troviamo anche i principi della forma di stato,
allora possiamo ritenerla una costituzione lunga.
Rigida: il legislatore non può modificarla utilizzando il procedimento di legislazione ordinaria, ma debe utilizzare un
apposito procedimento volutamente più complesso (procedimento aggravato).
Per approvare una legge che modifichi la costituzione servono due approvazioni per ciascuna camera e tra
ogni approvazione devono intercorrere almeno tre mesi
Infine possiamo dare un’ulteriore qualificazione alla costituzione definendola fonte sule fonti, nel senso di fonte che
contiene la disciplina di produzione di nuovo diritto.
Il referendum abrogativo è un istituto che agisce abrogando atti normativi, ma ha anche un effetto innovativo
sull’ordinamento qualora venga richiesta l’abrogazione parziale di un atto utilizzando la tecnica del ritaglio. Per
abrogazione parziale si può intendere non solo singoli articoli di un atto, ma anche parti più limitate all’interno di una
stessa disposizione (abrogazioni di anche sole parole).
È evidente che il referendum debba essere equiparato alla legge e agli atti aventi forza di legge. Questo non solo
perché ha la capacità di abrogarli, ma anche perché attraverso di esso si riesce a produrre un effetto innovativo
sull’ordinamento.
IL PROCEDIMENTO LEGISLATIVO
Un procedimento è una successione di operazioni da compiere per raggiungere un determinato risultato. Quando
parliamo di procedimento legislativo facciamo riferimento alla successione di fasi necessarie perché possa prodursi il
risultato dell’approvazione di una legge.
Il rispetto del procedimento è condizione indispensabile perché il risultato previsto possa dirsi legittimo.
Bisogna evitare di incorrere in un vizio, il cosiddetto vizio procedimentale, che generalmente ha un effetto caducatorio
(invalidante) su quell’atto.
Il legislatore non è libero di scegliere le modalità di approvazione delle leggi, ma deve utilizzare il procedimento
appositamente previsto dalla costituzione.
Questo procedimento può essere scomposto in tre fasi:
Iniziativa
Deliberazione
Perfezionamento dell’efficacia
L’INIZIATIVA LEGISLATIVA
Una legge nasce perché alcuni soggetti danno avvio al procedimento. Questa iniziativa legislativa spetta a ciascun
parlamentare, al governo, a 500.000 elettori, a ciascun consiglio regionale (5) e al CNEL.
Questi soggetti si dice che hanno potere di iniziativa (ovvero hanno la possibilità di presentare alle camere progetti di
legge), tuttavia questo termine non è del tutto corretto in quanto non si tratta proprio di un potere, ma piuttosto di una
possibilità di avvio al procedimento legislativo.
Non tutte le iniziative sfociano in una legge, sta al parlamento discutere con eventuali emendamenti. Molte proposte di
legge, in particolare quelle provenienti dai parlamentari di opposizione.
Chi a maggior successo nel vedere approvate le proprie iniziative è il governo, infatti la legge è lo strumento
principale con cui il governo attua il proprio programma.
Il governo è anche l’unico fra i titolari del potere di iniziativa ad averla riservata in alcuni ambiti. Si parla in questi
casi di iniziativa riservata o vincolata, nel senso che solo al governo spetta presentare un disegno di legge in una
specifica materia o ambito.
Si dice che l’iniziativa è riservata sia quando Esiste una espressa previsione che affida l’iniziativa al governo, sia
quando cioè implicitamente ricavabile dal testo della costituzione. Mentre si parla di iniziativa vincolata quella per
la quale è fatto anche obbligo al governo di presentarla.
Vi è infine un’ultima considerazione da fare con riguardo all’iniziativa. Il parlamento italiano, è bicamerale, ed
entrambe le camere devono approvare un identico testo perché una legge possa dirsi definitivamente approvata.
L’iniziativa può dunque essere presentata in una o l’altra camera indifferentemente.
- Sede referente: discussione articolo per articolo del disegno di legge prima che esso venga passato all’aula.
Lo scopo è quello di preparare tutto il lavoro e il materiale per favorire la discussione in aula
- Sede deliberante: circostanza in cui il dibattito e l’approvazione dal parte della commissione di un un
determinato disegno di legge esclude la necessità di coinvolgere l’aula. L’iter legislativo si completa quindi
nella commissione
- Sede redigente: circostanza in cui la commissione non solo esamina ma vota articolo per articolo il testo.
All’assemblea spetterà solamente la votazione finale sul provvedimento nel suo complesso.
Non è sempre possibile utilizzare le procedure semplificate. Per le materie più importanti è preferibile che l’intero
dibattito e tutte le votazioni si svolgono nell’aula in seduta plenaria.
PROMULGAZIONE E PUBBLICAZIONE
L’atto che esce dal parlamento dopo l’approvazione delle due camere è già una legge, ma priva ancora dell’efficacia.
Non è cioè ancora in grado di produrre gli effetti che le sono propri. Il suo definitivo perfezionamento necessita ancora
di due adempimenti: la promulgazione ad opera del presidente della Repubblica e la pubblicazione in Gazzetta
Ufficiale.
La promulgazione è un atto mediante il quale il presidente della Repubblica documenta e proclama l’avvenuta
formazione della volontà legislativa e svolge al contempo un primo controllo sui contenuti dell’atto approvato.
L’art. 74 cost afferma che “ Il presidente della Repubblica, prima di promulgare la legge, può con un messaggio
motivato alle camere chiedere una nuova deliberazione”—> VETO PRESIDENZIALE
Sempre l’art. 74 E consente al parlamento di riapprovare la legge senza tener conto dei rilievi mossi dal presidente
della Repubblica.
In altre parole, se il parlamento dovesse decidere di riapprovare la legge nella identica forma in cui l’aveva
precedentemente approvata, il presidente non può esercitare nuovamente il potere di rinvio, e sarà obbligato a
promulgarla.
Il compito principale del presidente della Repubblica è quello di controllo preventivo di costituzionalità.
IL DECRETO LEGGE
Il decreto legge può essere adottato di proprio iniziativa del governo. È il governo che decide se sussistono i requisiti
di straordinaria necessità ed urgenza per adottare un decreto legge, e per farlo non deve attendere l’autorizzazione di
nessun’altro organo costituzionale.
Tuttavia un controllo cioè, ed è successivo. Il parlamento è chiamato in tempi ripidissimi ad esaminare il decreto legge
per decidere se convertirlo o meno facendolo diventare legge.
FASI DI CUI SI COMPONE IL DECRETO LEGGE:
1. Approvazione del decreto legge: spetta al governo a provare il decreto legge.
2. Entrata in vigore e presentazione alle camere: Il decreto legge viene pubblicato immediatamente in
Gazzetta Ufficiale ed è immediatamente efficace con la pubblicazione.non serve dunque la Vacatio Legis.
Il governo è però tenuto a presentare il decreto legge alle camere per la conversione in legge.
3. Conversione in legge del decreto legge: Dalla data di pubblicazione, il parlamento 60 giorni per decidere se
convertire o meno il decreto legge. Nel caso in cui la conversione non avvenga, il decreto legge perde
efficacia fin dall’inizio. Se però il parlamento decide di convertire il decreto legge in legge, può farlo
introducendo eventualmente tutte le modifiche che ritieni opportune.
Il motivo di questa eccezione al principio della separazione dei poteri risiede nella rapidità richiesta per far fronte alle
situazioni di emergenza.
IL DECRETO LEGISLATIVO
Come il decreto-legge, anche quello legislativo rappresenta una eccezione rispetto al principio di separazione dei
poteri.
È prevista anche per il decreto legislativo una forma di controllo parlamentare; in questo caso però il controllo del
parlamento viene esercitato non a cose fatte, ma previamente rispetto alla approvazione del decreto legislativo da
parte del governo. Non si tratta quindi di un controllo esercitato sull’atto, ma sull’operato del governo attraverso lo
strumento della delega.
Delegare significa autorizzare qualcuno a compiere ciò che dovremmo fare di persona.
Perché la delega sia valida è necessario rispettare alcune condizioni. Delegando si trasferisce infatti un potere per cui
è importante che chi riceve la delega non si approfitta dell’occasione. Il meccanismo della delega funziona perciò se:
a) Esiste un rapporto di fiducia tra delegante e delegato
b) La funzione della delega è ben circoscritta e definita
c) La delega non ha una durata indeterminata
Tutto ciò vale ovviamente anche per il rapporto che lega parlamento e governo, infatti il parlamento per delegare al
governo deve indicare chiaramente:
a) La materia sulla quale il governo eserciterà il potere delegato
b) I principi ed i criteri direttivi ai quali dovrà attenersi
c) Un termine di scadenza
La delega deve essere conferita con una formale legge, serve dunque una legge di delega che abbia i contenuti appena
richiamati. Essa è disciplinata dalla costituzione.
Nella legge di delega sono chiaramente indicate le linee che il governo dovrà seguire per realizzare lo scopo delicato.
Al governo non è lasciata quindi carta bianca, ma sono stabiliti principi e criteri direttivi.
Non è però escluso che il decreto legislativo possa legittimamente abrogare parti della legge di delega, basta che non
siano quelle che definiscono i contenuti necessari. E il legislatore spesso inserisce in una legge di delega altri aspetti
rispetto a ciò che è costituzionalmente necessario e tutto ciò che non rientra nella definizione della materia o dei
principi e criteri direttivi non vincola necessariamente il governo.
Potremmo anche affermare che il decreto legislativo rappresenta un rischio minore per il principio di separazione dei
poteri di quanto non sia per il decreto-legge.ciò non toglie che in entrambi i casi il parlamento interviene ad esercitare
una qualche forma di controllo, preventivo nel caso del decreto legislativo, e successivo nel caso del decreto legge.
I REGOLAMENTI DELL’AMMINISTRAZIONE
I regolamenti amministrativi sono fonti atto
Nell’osservare la piramide delle fonti, più si scende più si amplia il numero di atti che inseriamo nella categoria di
volta in volta considerata. Questa tendenza è dovuta al fatto che tanto più si sale nella gerarchia tanto più le fonti sono
finalizzate a fissare discipline generali e di principio. Viceversa, più si scende e più si incontrano discipline specifiche
e settoriali.
Questo spiega come al punto dei regolamenti, l’estensione della categoria è massima.
Oltreché ampia, la categoria dei regolamenti è pure variegata, questo non significa che non possono comunque essere
individuate delle caratteristiche comuni:
I. I regolamenti sono gli atti che risultano dall’esercizio della potestà regolamentare, che è propria
dell’amministrazione (bisogna tener conto che ora stiamo considerando solo i regolamenti amministrativi).
II. I regolamenti devono trovare fondamento in una fonte di rango superiore (legge). Questo significa che
l’amministrazione non può autoattribuirsi il potere di emanare regolamenti.
III. I regolamenti non possono confliggere con la legge (principio gerarchico)
In base al rapporto che si instaura tra regolamento e fonte primaria esso deve essere collocato nell’ambito della
gerarchia e del principio di legalità.
I REGOLAMENTI DELL’ESECUTIVO
Quella dei regolamenti dell’esecutivo è una delle categorie più ampie fra quelle in cui sono ripartiti i regolamenti
dell’amministrazione. In effetti, il governo è organo titolare del potere esecutivo, ed è pertanto il principale titolare
della potestà regolamentare (ripartita tra ministri e governo).
LA RISERVA DI LEGGE
Una regola circa l'esercizio della funzione legislativa, perché impone al legislatore di disciplinare
una determinata materia con un suo atto, escludendo del tutto il potere di normazione secondaria (riserva di legge
assoluta) o, limitandolo (riserva di legge relativa).
Riservare al legislatore alcune materie è una forma di garanzia perché obbliga ad adottare le regole che ne
disciplinano in parlamento.
Non si tratta di una fonte, ma di qualcosa di diverso, e precisamente della qualificazione di un ambito materiale, la cui
disciplina viene riservata ad una specifica fonte, la legge o atti aventi forza di legge.
In altre parole, la riserva di legge è una modalità con la quale la costituzione dice se una determinata materia debba
essere disciplinata da una legge, da un atto avente forza di legge o altre fonti inferiori.
Il senso della riserva di legge è quello di evitare la mancanza di una disciplina legislativa in determinate materie con il
fine di evitare un’eccessiva libertà dell’esecutivo di andare a determinare la normativa di materie delicate.
È importante chiarire due concetti che aiutano a comprendere quello di riserva di legge:
Concetto di tipicità degli atti fonte (atti che sono il prodotto di un procedimento specifico di emanazione di un
organo specifico).
Gerarchia (alcune fonti sono più forti di altre e di conseguenza sono in grado di prevalere su esse)
LA CONSUETUDINE
La consuetudine è una fonte fatto. Essa è originata da un comportamento (fatto) tenuto costantemente per un lungo
periodo di tempo con la convinzione di adempiere ad un preciso obbligo.
Essa è costituita dunque da due elementi, uno soggettivo, il comportamento, ed uno soggettivo, la convinzione di
tenerlo per un obbligo.
Per diventare regola giuridica di natura consuetudinaria e necessario passare per una fase nella quale un
comportamento è costantemente mantenuto pur in assenza di un vero e proprio obbligo. Si parla in questo caso di
prassi.
Da una prassi ci si può discostare senza conseguenze, ciò che non è possibile nel caso della consuetudine, che è invece
vincolante. Non bisogna dunque confondere il concetto di prassi e di consuetudine che sono concetti ben distinti.
I TRATTATI INTERNAZIONALI
Ricordiamo che ciascuno Stato è libero di sottoscrivere o -1 accordo internazionale che vincola gli Stati che lo
sottoscrivono.
I trattati possono essere bilaterali, se coinvolgono due soli Stati, o multilaterali, se ne coinvolgono di più, e possono
essere utilizzati per regolare i più vari aspetti delle relazioni tra Stati.
Generalmente gli Stati hanno due modi per vincolarsi sottoscrivendo un trattato internazionale:
possono decidere di aderire semplicemente ad un trattato che già esiste
Possono partecipare alla stesura del trattato e la fase che viene definita delle negoziazioni. Le negoziazioni
conducono alla firma
—> La firma del trattato non è sufficiente a vincolare lo Stato. È necessario il recepimento, delle regole
contenute nel trattato all’interno dell’ordinamento. —> ADATTAMENTO DELL’ORDINAMENTO
INTERNO AGLI OBBLIGHI DERIVANTI DAL DIRITTO INTERNAZIONALE.
Questo avviene per il tramite della ratifica del trattato
—> Neppure la ratifica è sufficiente, serve ancora il cosiddetto ordine di esecuzione
LA CONSUETUDINE INTERNAZIONALE
La consuetudine è una fonte importante del diritto internazionale e viene applicata nella soluzione delle controversie
tra stati. Questo è un compito non facile, infatti vi sono molti Stati che riconoscono determinato consuetudine, e altri
indifferenti o che addirittura la respingono.
Quello che distingue il regolamento dalla direttiva è la diretta applicabilità, caratteristica propria del regolamento,
ma non della direttiva.
Applicabilità è una caratteristica dell’intero atto, il quale, in forza di essa non necessita di alcun intervento da parte
degli Stati che consenta la trasposizione del regolamento nell’ordinamento interno. —> Dunque il regolamento,
così come esce dall’istituzioni competenti ad adottarlo, è già perfetto ed applicabile oltre che in grado di esplicare i
suoi effetti.
La direttiva non è diretta applicabilità già che pone agli Stati membri degli obiettivi, lasciandoli poi più o meno liberi
di raggiungerli trasponendo i suoi contenuti nei singoli ordinamenti statali con una fonte di diritto interno. Si parla in
questo caso di recepimento della direttiva U.E.
Per quanto riguarda le direttive, esse impongono agli Stati degli obblighi di risultato, e nessun obbligo a senso se non è
accompagnato da una sanzione. Devono esistere per queste situazioni delle misure sanzionatorie, ed infatti ne esistono
di due tipi:
Formali: seguono una procedura attivata dalla commissione U.E.
Giurisdizionali: si sostanziano nel vincolo posto ai giudici nazionali di applicare con effetto diretto
La procedura formale viene attivata dalla commissione U.E., che fra i suoi compiti ha anche quello di rilevare,
possibili violazioni del diritto europeo, fra le quali il mancato recepimento delle direttive. La procedura formale di
inflazione si articolo in vari passaggi:
1. La commissione in via allo Stato una lettera in cui chiede una dettagliata risposta entro un termine
2. Lo Stato dovrebbe rispondere, in modo che la commissione possa acquisire le informazioni necessari e ad
appurare se effettivamente vi sia stata violazione del diritto europeo.
3. Nel caso in cui la violazione fosse accertata, segue una richiesta formale allo stato di conformarsi agli obblighi
ad esso imposti.
4. A questo punto può esserci il formale deferimento alla C.G.U.E (corte di giustizia europea), se lo stato
continua a essere inadempiente.
5. Può esserci anche un secondo deferimento, il quale può sfociare nell’applicazione di misure sanzionatorie di
tipo pecuniario
Esiste però una forma di sanzione che opera in modo più immediato; si tratta del cosiddetto effetto diretto della
direttiva, che scatta quando, scaduto il termine per il recepimento, lo stato non abbia adempiuto a tale obbligo.
In sostanza, il giudice deve applicare la direttiva comunitaria.
L’effetto diretto del direttivo ha una funzione sanzionatoria.
Riassumendo, il procedimento di revisione costituzionale si suddivide in due fasi. Una delle due è necessaria, la fase
parlamentare, l’altra è solo eventuale, la fase extraparlamentare referendaria. Ciò implica, che vi siano due
iniziative all’interno del procedimento, che non vanno confuse: l’iniziativa legislativa, che dà avvio al procedimento
stesso e l’iniziativa referendaria, che interviene solo se sussistono le condizioni previste.
Al termine della fase parlamentari possono dunque verificarsi tre distinte situazioni:
1) Nella seconda votazione non viene raggiunta in entrambe le camere la maggioranza assoluta dei componenti.il
procedimento termina senza l’approvazione della legge costituzionale —> non si può mandare oltre
2) Nella seconda votazione viene raggiunta la maggioranza assoluta dei componenti, estesa da superare in
entrambe le camere i 2/3. In questo caso la richiesta di referendum è esclusa. Il procedimento termina con la
definitiva approvazione della legge costituzionale ad opera delle sole camere. La legge viene promulgata dal
presidente della Repubblica e pubblicato in Gazzetta Ufficiale.
3) Nella seconda votazione viene raggiunta la maggioranza assoluta dei componenti in entrambe le camere, ma
in una o entrambe si ferma al di sotto dei 2/3.
Il testo della legge viene pubblicato in Gazzetta Ufficiale al solo scopo di darne notizia e permettere ai
soggetti interessati di attivarsi per chiedere il referendum nel termine previsto di tre mesi dalla pubblicazione.
Se il termine scade senza che nessuno dei soggetti legittimati abbia attivato l’iniziativa referendaria, il testo
della legge sarà promulgato dal presidente della Repubblica, ed entrerà in vigore dopo la pubblicazione in
Gazzetta Ufficiale. Nel caso in cui sia stato chiesto referendum, la legge potrà definitivamente entrare in
vigore sia provata oltre che dalle camere, anche dal corpo elettorale.
La tempesta odierna e di giudicare negativamente la dilatazione temporale del procedimento legislativo, ed a cercare,
di conseguenza, rimedi a quella che è ritenuta una inefficienza del bicameralismo perfetto.
Il vincolo fiduciario che lega parlamento e governo si instaura duplice votazione, quella della camera dei deputati e
quella del Senato. Esso nasce da un duplice voto ne consegue che ciascuna delle due camere e singolarmente in grado
di porre il governo di fronte all’obbligo delle dimissioni. Questo mette in evidenza che non sistema come quello
italiano non hai dato la possibilità che nelle due camere siano presenti maggioranze diverse.
La camera dei deputati si compone di 400 deputati, il Senato della Repubblica di 200 senatori, ai quali vanno
aggiunti cinque senatori a vita di nomina presidenziale e gli ex presidenti della Repubblica, che sono senatori a vita di
diritto.
Oltre che nel numero dei componenti, due camere si differenziano per l’elettorato passivo. Sono e leggibili alla
camera dei deputati i maggiori di 25 anni, mentre per il Senato della Repubblica i maggiori di 40 anni.
L’elettorato attivo delle due camere invece prevede un’età non inferiore ai 18 anni.
Un ulteriore elemento di differenziazione tra le due camere è rappresentato dalla previsione Costituzionale che vincola
l’elezione del Senato alla base regionale. —> Le circoscrizioni elettorali per l’elezione del Senato coincidono con il
territorio regionale. I seggi da attribuire per la formazione del Senato sono quindi ripartiti tra 20 circoscrizioni
elettorali più la circoscrizione estero.
L’INSINDACABILITÀ’
L’art. 68 Cost afferma che: “ I membri del parlamento non possono essere chiamati a rispondere delle opinioni
espresse e dei voti dati nell’esercizio delle loro funzioni.”
Tutto ciò che non rientra nelle funzioni del parlamentare non è protetto dall’insindacabilità.
Non esiste un vero e proprio criterio che determini il limite entro il cui il parlamentare agisce come tale e che quindi
sia protetto dall’insindacabilità. Occorrerà valutare caso per caso quando si verifichi una circostanza dubbia, come ad
esempio nell’ipotesi della diffamazione.
L’IMMUNITÀ PENALE
Sempre l’art. 68 Cost. Sancisce una ulteriore garanzia per i parlamentari, contro i quali non possono essere disposte
limitazioni della libertà, se non previa autorizzazione della camera di appartenenza. Questo articolo non vuole
sottrarre il parlamentare all’azione penale, ma semplicemente alle misure restrittive che eventualmente si rendessero
necessari nel corso di un procedimento penale.
Prendendo l’esempio di un parlamentare che commette un reato di diffamazione. Si tratta di un reato perseguibile su
querela di parte. Il pubblico ministero non deve chiedere l’autorizzazione della camera di appartenenza del
parlamentare per avviare il procedimento, che quindi può iniziare e anche concludersi con la condanna al carcere per
giunta. E a questo punto che si colloca la garanzia definita in propriamente immunità. La reclusione è infatti una
limitazione della libertà che viene esclusa al parlamentare se non previamente autorizzata dalla camera di
appartenenza. Ciò non significa che il giudice non possa emettere la sentenza di condanna, ma solo che essa non può
essere applicata al parlamentare senza che vi sia l’autorizzazione. Se la maggioranza risulterà favorevole
all’autorizzazione la condanna potrà essere applicata.
Se però il giudizio arriva al terzo grado (cassazione), e prende la forma della sentenza irrevocabile di condanna,
allora non sarà più necessaria l’autorizzazione della camera di appartenenza il parlamentare dovrà scontare la
condanna.
Non è richiesta l’autorizzazione neppure nell’ipotesi in cui il parlamentare sia colto nell’atto di commettere un reato
per il quale è previsto l’arresto in flagranza.
I GRUPPI PARLAMENTARI
L’eletto ha come primo obbligo quello di iscriversi ad un gruppo parlamentare. I gruppi sono lo strumento con cui i
partiti organizzano la propria azione all’interno del parlamento. Il parlamentare agisce e vota secondo coscienza
(divieto di mandato imperativo), ciò non significa però che non esista una direzione unitaria impressa dalla forza
politica cui esso afferisce, quella che viene definita disciplina di partito.
L’adesione ad un gruppo è il primo adempimento del parlamentare perché è indispensabile che all’interno delle
camere i membri si ripartiscono in modo tale da rendere evidenti le proporzioni tra le forze politiche rappresentate.
Fatto ciò si possono formare le commissioni.
Ciascun gruppo ha l’obbligo di redigere un proprio statuto ed eleggere un presidente.
Non tutte le forze politiche rappresentate in parlamento hanno un proprio gruppo parlamentare. Questo perché i
regolamenti parlamentari prevedono un numero minimo di deputati (20) e di senatori (10) per costituire un gruppo, ed
alcune forze politiche non riescono a raggiungere con i numeri con i propri rappresentanti.
I gruppi si formano all’inizio della legislatura, ma possono anche costituirsi nel corso di essa in seguito alla scissione
di una forza politica, oppure per raccogliere i membri che per varie ragioni decidono di fuoriuscire da altri gruppi e
costituire una nuova forza politica.
I gruppi parlamentari svolgono importanti funzioni, tra le quali la designazione dei membri delle commissioni e la
partecipazione alla predisposizione del calendario dei lavori delle camere.
LE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Le commissioni sono il fulcro dell’attività del parlamento. Sono organi composti in modo da rispecchiare la
proporzione tra i gruppi parlamentari.
Sappiamo che svolgono un ruolo importante nel procedimento legislativo intervenendovi in tre diverse modalità: sede
referente, redigente e deliberante.
Quelle che intervengono nel procedimento legislativo sono commissioni permanenti, e sono monocamerali. Ciascuna
camera alle sue commissioni, in totale 14 alla camera e altrettante al Senato.
Esistono altre tipologie di commissioni oltre a quelle permanenti:
- Commissioni speciali e straordinarie —> temporanee
- Commissioni bicamerali —> Composte congiuntamente da un ugual numero di deputati e senatori. Sono
generalmente istituiti con legge con finalità di inchiesta, di controllo o consultive. Sono generalmente istituite
per avere una durata di lungo periodo
- Commissioni d’inchiesta —> La costituzione apri pulisce alle camere il potere di “disporre inchieste su
materie di pubblico interesse” nominando una commissione che “procede alle indagini e agli esami con gli
stessi poteri e le stesse limitazioni dell’autorità giudiziaria”.
Le commissioni d’inchiesta possono essere monocamerali o bicamerali.
1. Nel primo caso sono istituite con un atto interno della camera che intende istituire di volta in volta una
commissione.
2. Nel secondo caso vengono istituite mediante legge. Il loro compito non è quello di giudicare, ma accertare
i fatti e responsabilità.
Il fatto che le commissioni di inchiesta e la magistratura condividono il medesimo potere di indagine è stato spesso
fonte di conflitto tra i due poteri. Se è vero che la finalità dell’indagine dovrebbe essere condivisa non è privo di
conseguenze il fatto che si tratta di due poteri con caratteristiche del tutto diverse.
LE GIUNTE PARLAMENTARI
Le giunte parlamentari sono organi collegiali che si distinguono in modo netto dalle commissioni per natura e ruolo.
Ad esse non competono funzioni legislative, e neppure di indirizzo e controllo, ma piuttosto compiti che attengono al
corretto funzionamento delle camere, quali:
Verifica dei poteri
Esame di richieste di autorizzazione provenienti dalla magistratura —> art. 68
Interpretazione dei regolamenti e predisposizione di modifiche agli stessi
VERIFICA DEI POTERI: è un compito svolto dalla Giunta delle elezioni (camera) e dalla giunta delle elezioni e
delle immunità parlamentari (senato). Alla camera dei deputati è istituita una giunta che svolge il solo ed esclusivo
compito della verifica dei poteri, al senato invece, il corrispondente organo svolge due distinti compiti.
La verifica dei poteri è espressione della piena autonomia di cui gode il parlamento nella forma di governo delineato
dalla costituzione —> art. 66
Le due giunte che alla camera e al senato si occupano di questa funzione non hanno potere decisionale, ma
istruttorio.
Esse cioè hanno ampio margine per condurre tutti gli accertamenti che ritengono necessari, ma il loro compito prevede
di predisporre una relazione su cui sarà poi l’aula di appartenenza a decidere con un voto.
Al presidente del senato è affidato anche il compito di supplenza nei confronti del presidente della repubblica
nei casi di un suo impedimento temporaneo. Ciò ne fa la seconda carica dello stato.
Per l’elezione dei due presidenti sono richieste maggioranze particolarmente ampie.
CAMERA: maggioranza dei 2/3 dei componenti al primo scrutinio, dei 2/3 dei votanti al secondo e terzo scrutinio e
quella assoluta dei votanti dal quarto in poi.
SENATO: maggioranza assoluta dei componenti nei primi due scrutini, quella assoluta dei votanti al terzo ed
eventualmente un ballottaggio tra i due senatori più votati al quarto.
Le due camere non possono decidere di riunirsi per altre ipotesi che non siano queste.
È chiaramente necessario che ci sia una convocazione formale, ma questa non è frutto di una libera scelta. E neppure è
una libera scelta stabilire l’ordine del giorno della convocazione.
L’ordine del giorno, ciò su cui deve deliberare il parlamento in seduta comune, è quello previsto dalle disposizioni
costituzionali. È per tale ragione che la dottrina qualifica il parlamento in seduta comune come un organo collegiale
imperfetto, perché non è libero di stabilire l’ordine del giorno quando deve riunirsi.
INTERROGAZIONE ED INTERPELLANZA
L’interrogazione è uno strumento che il parlamento può utilizzare per accertare la veridicità o meno di fatti o notizie
del quale si ritiene che il governo sia a conoscenza, o verificare se il governo abbia preso o abbia intenzione di
prendere una qualche misura su un determinato oggetto.
Le interrogazioni possono riguardare gli oggetti più disparati, ma chiaramente toccano ambiti che rientrano nel
controllo del governo.
L’interpellanza è uno strumento simile all’interrogazione, ma non è funzionale all’accertamento della veridicità di un
fatto quanto piuttosto a conoscere la posizione del governo circa una determinata questione.
Interrogazioni ed interpellanze servono a mettere il governo di fronte alle proprie responsabilità.
Ad essere maggiormente interessato all’utilizzo di questi strumenti è l’opposizione.
Mozione e risoluzione hanno lo scopo di stimolare la discussione su un determinato argomento o sull’attività del
governo in un determinato ambito. La differenza tra i due strumenti risiede nella pervasività degli intenti cui mirano i
proponenti. La risoluzione è infatti più una manifestazione di intenti che uno strumenti cui sostegni o censura
sull’attività del governo.
L’ordine del giorno è uno strumento che tende ad impegnare il governo s interpretare un determinato modo di
disposizioni che siano in approvazione alla camera o al senato. Al governo spetta dare attuazione alle leggi approvate
dal parlamento, e nel farlo deve interpretarle.
Mozione, risoluzione e ordine del giorno possono essere sia approvati che respinti. Il fatto che però siano approvati
non comporta un obbligo per il governo a conformarsi alle indicazioni contenute nell’atto. Si tratta di una richiesta
rivolta al governo, non di un comando. Se il governo si discosta dall’atto di indirizzo del parlamento la responsabilità
è politica, non giuridica.
Una delle caratteristiche più evidenti del potere giudiziario consiste nella sua fragilità a fronte di eventuali ingerenze
da parte degli altri due poteri dello stato.
Il potere giudiziario è quello che più soffre delle ingerenze da parte degli altri poteri, in special modo dell’esecutivo.
Le costituzioni predispongono appositi strumenti che garantiscono la più ampia indipendenza del potere giudiziario
rispetto agli altri due —> art. 101 Cost:
“La giustizia è amministrata in nome del popolo.
I giudici sono soggetti soltanto alla legge.”
Per la stessa ragione è previsto un organo di auto-governo della magistratura, il consiglio della magistratura (CSM),
cui spetta il compito di adottare tutte quelle decisioni che riguardano la carriera dei magistrati.
È proprio per garantire l’indipendenza della magistratura dall’esecutivo chela presidenza del CSM è affidata al
presidente della repubblica, e che gli atti del presidente adottati in questa veste non richiedono controfirma
ministeriale.
Vi sono altre previsioni che mettono al riparo il giudiziario da intromissioni dell’esecutivo. Una di queste è
l’obbligatorietà dell’azione penale, che impone al pubblico ministero di avviare l’azione penale ogni qualvolta vi sia
una notizia di reato —> nessuno può dire al PM (pubblico ministero) quali reati perseguire perché egli ha l’obbligo di
perseguirli tutti allo stesso modo e ogni qualvolta emerga un’ipotesi di reato.
Esistite un minimo comun denominatore che accomuna tutti gli ordinamenti democratici intorno al potere giudiziario.
Da una parte, la garanzia di indipendenza rispetto agli altri poteri, salve eccezioni, dall’altra, le garanzie che devono
essere accordate al cittadino nei confronti della giustizia.
Da questa seconda prospettiva vengono in rilievo principi quali:
- Il giusto processo
- Il diritto alla difesa
- Il principio del giudice naturale
- La personalità della responsabilità penale
- La presunzione di innocenza
Quando ci si trova di forte alla giustizia, sono inoltre previste delle garanzie anche per il cittadino che dalla giustizia
abbia ricevuto una condanna come:
- Funzione rieducativa della pena
- Divieto di pene inumane
- Divieto della pena di morte
Per garantire il cittadino di fronte alla giustizia è necessario che il giudice sia imparziale. Si parla a tal proposito di
terzietà del giudice, nel senso che il giudice deve essere terzo, cioè estraneo, rispetto alle parti in causa. Un modo
per ottenere la terzietà del giudice è quello di renderlo dipendete da ogni altro potere. Questo funziona nel giudizio
penale, dove le parti sono l’imputato e lo stato. In questo caso tra accusa (stato) e difesa (imputato), il giudice si pone
in una posizione terza perché agisce “in nome del popolo italiano” ed è “soggetto solo alla legge”. Nel giudizio civile
le cose stanno diversamente perché le parti in causa sono privati cittadini.
Un sistema che assicura la terzierà del giudice consiste nello stabilire previamente i criteri per determinare la
competenza dei magistrati per ogni singola fattispecie. Si tratta del criterio del giudice naturale precostituito per
legge. —> determina la giurisdizione
Vi è un altro criterio che determina la competenza territoriale del giudice. Competente a giudicare in sede penale è il
giudice del luogo in cui è stato consumato il reato o quello del luogo in cui ha auto inizio l’azione o quello del luogo
in cui è stata compiuta l’ultima azione del reato.
Lo scopo del principio del giudice naturale precostituito per legge è esattamente opposto a quello dei tribunali speciali,
quelli cioè istituiti solo dopo che i fatti delittuosi sono stati commessi. Contrasta con la certezza del diritto, e con i
fondamenti del principio democratico, che il cittadino possa essere giudicato da un giudice che non esisteva nel
momento in cui i fatti da giudicare erano stati commessi. Il principio fa il paio con con quello della irretroattività
della legge.
Il principio del giudice naturale precostituito per legge non basta a garantire la terzietà del giudice. È anche
necessario che le parti possano rifiutarsi di essere giudicate da un giudice che per qualche ragione sia in una
situazione che non garantisca la sua piena imparzialità. Si tratta della RICUSAZIONE del giudice, possibile
quando:
- Il giudice ha un interesse nella causa
- Il giudice è parente fino al quarto grado, convivente o commensale abituale di una delle parti o dei difensori
- Ha una nota inimicizia con una delle due parti o con uno degli avvocati
- Ha rapporti di credito o debito con una delle parti o dei difensori
- È autore, curatore, procuratore, agente o datore di lavoro di una delle due parti
- Ha dato un consiglio o prestato patrocinio nella causa
DIRITTO ALLA DIFESA: è a tutti gli effetti evidenti che di fronte alla giustizia tutti devono avere la possibilità di
difendersi, anche chi non ha i mezzi economici per permettersi i servizi di un legale. Ai non abbienti lo stato assicura i
mezzi per agire e difendersi davanti ad ogni giurisdizione.
PERSONALITÀ DELLA RESPONSABILITÀ PENALE: nessuno può essere punito per un reato compiuto da
altri. Nel caso del minore, non imputabile penalmente, non sono puniti i genitori. La sanzione punisce la mancata
vigilanza non l’eventuale reato commesso dal minore.
PRESUNZIONE DI INNOCENZA: è la principale garanzia del cittadino di fronte alla giustizia. L’imputato va
considerato innocente fino al momento in cui non viene emessa la sentenza di condanna. È un principio di difficile
concretizzazione —> detenzione preventiva
IL GIUSTO PROCESSO
Le garanzie del cittadino di fronte alla giustizia sono raccolte nel l’art. 111 cost. che sancisce codesti principi:
- Terzietà ed imparzialità del giudice
- Rispetto della parità tra accusa e difesa
- Svolgimento del processo nel contraddittorio tra le parti, anche nella formazione della prova
- Ragionevole durata del processo che deve essere assicurata dalla legge
- Garanzia di una rapida informazione all’imputato della pendenza del processo a suo carico
- Possibilità garantita all’imputato di ottenere la convocazione e l’interrogazione di persone che lo accusano o
che lo possono discolpare
- Ausilio di un interprete per lo straniero
Possiamo dire che i due modelli di Civil Law e Common Law sono classificazioni con cui si usa distinguere i sistemi
di origine anglosassone, in cui vige la regola del precedente vincolante, da quelli continentali, in cui tale regola non
esiste.
Nei primi il giudice cerca la soluzione del caso che è portato davanti a lui nelle decisioni dei giudici che lo hanno
preceduto.
Nei secondi il giudice cerca la soluzione nei codici, da cui la definizione di sistemi codicistici.
Da una parte anche nel mondo della Common Law esistono leggi e codici, e quindi le regole non si trovano solo nei
precedeti giurisprudenziali; Dall’altra non è del tutto vero che i precedenti della civil law siano del tutto ininfluenti per
il giudice. Tuttavia la semplificazione ci aiuta a capire:
Laddove il giudice è vincolato al precedente, questa stessa regola garantisce l’uniforme interpretazione del diritto.
Quello che deve fare il giudice per risolvere il caso e cercare casi simili già decisi e capire quale è la ratio che ha
spinto l’altro giudice a prendere la sua decisione. Si può discostare dal precedente solo in alcune ipotesi ben definite.
Ma come è possibile assicurare che il diritto sia interpretato in modo uniforme in un sistema in cui il giudice non è
vincolato dal precedente?
Affidando ad un organo la funzione di stabilire in ultima istanza quale deve essere l’interpretazione che
vincola tutti i giudici. Tale organo è la corte di cassazione, a cui spetta appunto la funzione Nomofilattica,
Che consiste nel compito di garantire l’osservanza della legge, la sua interpretazione uniforme e l’unità del
diritto.
Nel nostro ordinamento ai giudici spetta risolvere le controversie fra le parti, non quello di fissare nuovi principi di
diritto, come avviene grazie al criterio precedente vincolante negli ordinamenti di Common Law. Alla cassazione
spetta invece delineare il percorso argomentativo solido e convincente e in aderenza con le esigenze giuridiche del
momento storico.
L’uniforme interpretazione del diritto è garantita solo nel momento in cui una regola giunge fino alla corte di
cassazione, cosa che non sempre succede, soprattutto per i casi in cui si dibattono questioni di lieve entità.
—> Le due situazioni sono diverse perché nonostante attengono tutte e due alla sfera personale, l’interesse legittimo
protegge anche un generale interesse della collettività. È infatti interesse di tutti che l’amministrazione agisca
rispettando i limiti che le sono imposti dalla costituzione e dalle leggi. Lo stesso non accade con il diritto soggettivo,
che riguarda solo la sfera individuale.
LA MAGISTRATURA
L’organo a cui spetta il terzo potere dello Stato, il potere giudiziario, è la magistratura. È difficile associare all’idea di
organo la magistratura, l’insieme cioè di soggetti, i giudici, che si occupano di applicare il diritto ai casi concreti.
Ciascun giudice agisce autonomamente, in nome del popolo italiano, e con il solo vincolo della legge.
La magistratura è intesa come il complesso dei soggetti a cui è affidato il compito di applicare il diritto.
La magistratura giudicante è costituita da tutti gli organi che hanno funzione di decidere sul caso concreto
(tribunale ordinario, tribunale per i minorenni ecc…).
La magistratura requirente è costituita dai magistrati cui è affidato il compito di svolgere le indagini (pubblico
ministero).
Il pubblico ministero è dunque il magistrato che esercita l’azione penale. Questa poi potrà condurre al successivo
processo. Nel processo il pubblico ministero rappresenta l’accusa, ed è quindi la controarte dell’imputato.
Sono organi del sistema giudiziario:
o Giudice di pace
o Tribunale per i minorenni
o Tribunale di sorveglianza
o Tribunale ordinario
o Corte di appello
o Corte di assise e corte di assise d’appello
o Giudice per le indagini preliminari e dell’udienza preliminare
o Procura della Repubblica
o Direzione distrettuale antimafia
o Pubblico ministero
Il ruolo di garanzia che il presidente della Repubblica italiano assolve nei confronti dell’assetto costituzionale, emerge
da varie funzioni che gli sono affidate. Una in particolare è il potere di rinvio delle leggi al parlamento in fase di
promulgazione. Il presidente può decidere di non promulgare una legge, e chiedere che il parlamento la riesamini. In
questo caso il presidente della Repubblica anticipa una sorta di controllo di costituzionalità della legge—> garante
della costituzione.
Per poter svolgere al meglio le funzioni cui ora abbiamo fatto cenno, il presidente della Repubblica deve essere
imparziale (super partes), cioè estraneo al gioco politico.
SUPER PARTES= essere estraneo all’indirizzo politico
INDIRIZZO POLITICO= scelta di parte
Laddove è richiesta l’imparzialità del capo dello Stato si rendono necessari dei sistemi che permettono la scelta di una
personalità in grado di assolvere a tale ruolo, ma che garantiscano anche che il suo operato non subisca le influenze
della politica. Dalla prima prospettiva rilevano i metodi di designazione del capo di Stato, dalla seconda le garanzie
che sono previste per lo svolgimento della carica.
Il presidente della Repubblica è un capo di Stato, ma non tutti i capi di Stato sono presidenti della Repubblica.
Per l’elezione del presidente della Repubblica, il parlamento si riunisce in seduta comune.
Il voto è espresso a scrutinio segreto ed è richiesta la maggioranza dei 2/3 dell’Assemblea nei primi tre scrutini, e
quella assoluta a partire dal quarto.
Non basta che la scelta del presidente della Repubblica si ampia e condivisa per farsi che il suo compito venga
svolto in maniera imparziale. Diciamo che è una premessa, ma servono anche alcune garanzie funzionali.
La prima, è l’irresponsabilità del presidente della Repubblica. La costituzione sancisce infatti che “il presidente
della Repubblica non è responsabile degli atti compiuti nell’esercizio delle sue funzioni, tranne che per alto
tradimento o per attentato alla costituzione.”
La responsabilità per gli atti del presidente della Repubblica ricade infatti sui ministri o sul presidente del
Consiglio dei Ministri. Sempre la costituzione afferma che “nessun atto del presidente della Repubblica è
valido se non controfirmato dai ministri proponenti, che ne assumono la responsabilità”
Anche la durata della carica del presidente della ripubblica contribuisce a garantire il libero esercizio delle
funzioni. Sette anni, il settennato, è un periodo superiore a quello della legislatura, e per questa ragione si realizza uno
sfasamento tra il parlamento e del presidente da questi eletto. Per la stessa ragione la costituzione prevede che il
presidente della Repubblica non possa sciogliere le camere negli ultimi sei mesi del suo mandato (semestre bianco),
salvo che questi non coincidono con il termine della legislatura.
La ratio della norma è evidente, vuole impedire che il presidente eserciti questa sua prerogativa nel tentativo di
ottenere come risultato la formazione di un parlamento favorevole alla sua rielezione.
Per la stessa ragione il mandato presidenziale non può essere prorogato. Per non creare vuoti istituzionali, la
permanenza in carica del presidente della Repubblica si estende oltre i sette anni per il solo periodo necessario a
espletare la procedura elettorale che conduce alla designazione del nuovo presidente.
Il divieto di prorogare il mandato del presidente della Repubblica non esclude la sua possibile rielezione (Giorgio
Napolitano e Sergio Mattarella). Non è però possibile il prolungamento del mandato senza passare da una formale
elezione.
Durante il suo mandato il presidente della Repubblica può essere rimosso dalla carica solo nel caso in cui venga
giudicato colpevole dei reati di attentato alla costituzione ed alto tradimento.
Tra questi poteri, uno dei più importanti è quello di cercare di salvare la legislatura. Nel caso di governo dimissionario
durante la legislatura, sarebbe opportuno che il PDR riuscisse a formare un nuovo governo senza dimettere le camere.
Si tratta sicuramente di un problema, ma di gravità minore rispetto alla totale dimessa della legislatura. Egli cerca di
salvare il salvabile.
Questo è il motivo per cui nella storia della repubblica abbiamo avuto un numero maggiore di governi rispetto ai
parlamenti.
Non tutte le soluzioni sono praticabili dal PDR, egli può applicare solo le soluzioni che non stravolgono il risultato
elettorale originario. Se alle votazioni l’orientamento era indirizzato verso una politica governativa di destra, ora il
PDR che si trova a doverne formare un altro, non può optare per un governo di sinistra.
È proprio per questo motivo per cui si formano i cosiddetti governi tecnici —> la scelta del governo tecnico spetta al
PDR, che può fare o meno (non gli è importato dalla costituzione) su considerazioni che sono alla basa di tipo politico.
La scelta di optare per un governo tecnico è data dal fatto che esso si presume essere un elemento neutro che non alteri
la composizione del governo ed è estraneo al gioco politico.
Si opta per un governo tecnico per due motivi principalmente:
1. Non si riesce a formare un nuovo governo e si dovrebbero rieleggere le camere —> situazioni di contingenza
2. La soluzione della rielettura delle camere sarebbe peggio che formare un governo tecnico
La costituzione afferma che gli atti del presidente della Repubblica non sono validi se non controfirmati dal ministro
proponente (Art. 89).
Tuttavia, non tutti gli atti del presidente della Repubblica si originano dalla proposta di un ministro, e non per tutti gli
atti del presidente della Repubblica è necessaria la controfirma ministeriale.
Così, guardando a ciò che quotidianamente fa il PDR, ci si può vedere che i suoi atti possono essere classificati nel
modo seguente:
Atti adottati su proposta del controfirmante: Sono gli atti che corrispondono pienamente allo schema
delineato dall’art 89 Cost. nei quali si ravvisa una precisa volontà in campo esecutivo da cui proviene la
proposta e a cui spetta controfirmare l’atto. (Decreti legge, legislativi e regolamenti dell’esecutivo).
Atti di iniziativa presidenziale: Sono atti che si originano da una volontà del presidente della Repubblica
anche se necessitano della controfirma del ministro. (Atti con cui il presidente della Repubblica rinvia alle
camere le leggi o invia adesso i messaggi; anche quelli con cui nomina i senatori a vita e giudici
costituzionali).
Atti complessi eguali: In alcuni casi è necessario che si incontrino due volontà perché il presidente della
Repubblica possa adottare un atto. Ad esempio per la nomina del presidente del Consiglio dei Ministri. Non è
sufficiente la volontà del solo presidente della Repubblica per nominare il presidente del Consiglio dei
Ministri, serve anche quella della persona incaricata.
Atti dovuti per costituzione o per legge: Taluni atti devono essere adottati dal presidente della Repubblica e
controfirmati da un ministro, ed eventualmente anche dal presidente del consiglio, perché esiste un preciso
obbligo. Ad esempio l’atto di promulgazione di una legge rinviata e riapprovata.
Atti presidenziali esenti da controfirma: Esiste anche una categoria di atti per i quali non è richiesta la
controfirma. Ciò contraddice l’Art 89 Cost. Tuttavia è piuttosto agevole in alcuni casi violare un disposto
costituzionale in quanto ciò rappresenta il male minore rispetto ai problemi che si ingenerano seguendolo
pedissequamente. Per tale ragione si ritiene che gli atti
personalissimi non necessitino della controfirma.
REQUISITI DI ELEGGIBILITÀ
- Cittadinanza italiana
- Età non inferiore a 50 anni
- Pieno godimento dei diritti civili e politici
Nel delineare la prima delle caratteristiche del governo abbiamo elencato la triade dei poteri tradizionali dello Stato
associandoli agli organi cui Spetta rispettivamente il loro esercizio; da qui prendiamo la seconda caratteristica
principale del governo:
2. Si tratta di un organo costituzionale qui spetta uno dei tre poteri dello Stato. Questa caratteristica non è sempre
scontata, in quanto esistono anche organi costituzionali che non esercitano alcuno dei tre poteri dello Stato.
Basti pensare al presidente della Repubblica, o alla corte costituzionale.
Il governo è anche un organo complesso, nel senso che la sua dimensione unitaria nasconde in realtà una
composizione articolata in numerosi altri organi, ciascuno dotato di una certa autonomia funzionale.
L’INDIRIZZO POLITICO
La definizione degli strumenti per soddisfare le esigenze del paese rientra nella funzione di indirizzo politico. Tale
funzione non mira soltanto ad individuare le soluzioni, ma prima ancora i problemi cui dare soluzione.
Fissare l’indirizzo politico significa dunque stabilire un ordine di priorità alle esigenze del paese e individuare gli
strumenti da utilizzare per farvi fronte.
Nel sistema delineato dalla costituzione italiana, il governo definisce sì il programma, ma deve presentarsi in
parlamento per riferire le cosiddette “linee programmatiche” ed ottenere su di esse la fiducia.
La costituzione richiede che la fiducia sia accordata mediante una mozione motivata.
I GOVERNI TECNICI: Il presidente del consiglio e dei ministri sono solitamente esponenti delle forze politiche che
compongono la coalizione di governo, ma possono anche non esserlo. Con una certa frequenza, si è fatto ricorso alla
soluzione dei governi tecnici, scegliendo ministri non per la loro appartenenza ad una forza politica ma per le
personali competenze tecniche.
Questa scelta, non è però la regola. Affidarsi ad un governo di tecnici e infatti una soluzione adottata in momenti in
cui non si riesce a formare una coalizione politica che consenta l’insediamento di un governo politico.
Se la situazione è tale da non permettere il protrarsi di una crisi politica, la scelta di un governo di tecnici è la
soluzione che riesci a mettere d’accordo il maggior numero di forze politiche. Un governo di tecnici è scelto non tanto
per le competenze, quanto piuttosto per il fatto che da tecnici sono posti in una posizione lontana ed equidistante dalle
forze politiche.
La scelta di affidarsi ad un governo di tecnici è più politica che tecnica in senso proprio.
—> ELEMENTO NEUTRO
Nella forma di governo parlamentare la formazione di un nuovo esecutivo può venire in due circostanze distinte:
- A seguito delle elezioni
- A seguito di una crisi politica che possa essere risolta con la formazione di un nuovo governo senza
necessariamente arrivare all’estrema ratio dello scioglimento delle camere.
In tutti e tre gli scenari vi è la necessità di formare un nuovo governo, ma solo uno di essi è fisiologico, quello di una
legislatura che arrivi al suo termine naturale trascorsi i cinque anni.
Gli altri due scenari si presentano come problematici.
Il sistema parlamentare funziona in questo modo: il governo è espressione della maggioranza parlamentare , che lo
sostiene accordandogli la fiducia, e fintanto che il parlamento è in grado di esprimere e sostenere un governo, le
camere non possono e non devono essere sciolte.
La forma di governo parlamentare prevede gli strumenti per far fronte e risolvere anche quelle situazioni ritenute
“patologiche”.
Proprio in questo contesto si colloca la figura del presidente della repubblica, che assolve al compito di garanzia del
corretto funzionamento istituzionale cercando di preservare il vincolo che lega parlamento e governo nei momenti di
crisi.
LE CONSULTAZIONI
Fin dal 1948, tutti i presidenti della Repubblica italiana hanno seguito la medesima prassi per individuare la persona a
cui affidare l’incarico di formare il governo. Tutti hanno fatto questa scelta sulla base delle informazioni ricavate
consultando i presidenti delle due camere, i presidenti dei gruppi parlamentari presenti in parlamento accompagnati
dagli esponenti dei rispettivi partiti, e gli ex presidenti della Repubblica.
Le consultazioni non sono colloqui professionali con cui individuare la persona più idonea a ricoprire la carica di capo
del governo, ma colloqui politici con i quali il presidente della Repubblica cerca di individuare quali forze politiche
riescano a coagulare un consenso intorno ad un programma che possa ottenere l’approvazione della maggioranza
parlamentare.
Non il più idoneo per competenza, ma con lui su cui converge la maggioranza delle forze presenti in
parlamento.
La fase delle consultazioni è certamente la più delicata dell’intero processo. Bisogna tener conto del nostro sistema
politico, in cui nessuna delle forze politiche organizzate e in grado, da sola, di esprimere una maggioranza che possa
sostenere un governo. Nel nostro paese gli esecutivi sono sempre stati sostenuti da coalizioni. (Vedi esempio pag.
166).
Con esse il presidente della repubblica raccoglie le opinioni di tutti i soggetti coinvolti per verificare quali tra le forze
politiche sono disposte ad unirsi in una coalizione che possa sostenere un governo, quelle cioè che sono disposte a
sottoscrivere un programma comune.
Rispetto a quest’ultima bisogna ricordare che nel momento in cui il nuovo presidente del consiglio viene nominato, è
ancora in carica il governo dimissionario, sebbene non nella pienezza delle sue funzioni.
Bisogna quindi chiedersi cosa accadrebbe se il Presidente del consiglio uscente si rifiutasse di firmare le dimissioni
(vedi Trump). —> Per prassi si è sempre scelto la strada della controfirma affidata all’incaricato.
Per la stessa ragione l’incarico viene conferito in forma orale, proprio per evitare di dover ricorrere alla controfirma.
GIURAMENTO E FIDUCIA
Prima di assumere le loro funzioni, il presidente del consiglio e i ministri devono presentare giuramento secondo la
forma rituale:
“ Giuro di essere fedele alla Repubblica, di osservare lealmente la costituzione e le leggi e di esercitare le mie
funzioni nell’interesse esclusivo della nazione”.
Il giuramento rappresenta l’espressione del dovere di fedeltà che incombe su tutti i cittadini. Entro 10 giorni dal
giuramento il governo deve presentarsi alle camere per ottenere la fiducia che viene votata per appello nominale sulla
base di una mozione motivata e del programma comunicato alle camere.
La fiducia è lotto che legittima il governo ad esercitare pienamente la funzione che la costituzione gli affida. Il vincolo
fiduciario è uno degli elementi che qualificano la forma di governo parlamentare, distinguendola da quelle in cui la
separazione dei poteri è implementata più rigidamente.
Una volta che entrambe le camere si sono espresse favorevolmente alla mozione di fiducia, il governo acquisisce la
pienezza dei poteri che gli competono.
CONFRONTO TRA GOVERNO DIMISSIONARIO E QUELLO ENTRANTE:
Un governo potrebbe dimettersi anche in assenza di un formale voto di sfiducia, nel caso di una crisi
extraparlamentare. In questo caso si avrebbe un governo dimissionario, che però continua a godere della fiducia del
parlamento. Si dice che è un governo dimissionario non è più nella pienezza dei poteri e dovrebbe limitarsi al disbrigo
degli affari correnti.
Un governo che invece abbia prestato giuramento e che non si si è ancora presentato alle camere per chiedere la
fiducia sembra in una posizione di maggiore legittimazione di quanto non lo sia un governo dimissionario.
Eppure, quello dimissionario gode della fiducia e quello entrante non ancora.
In entrambe le situazioni ci sono atti di natura urgente straordinaria che quantomeno indispensabile che il governo
adotti.
LE VICENDE DEL RAPPORTO FIDUCIARIO
La fiducia, come si acquisisce, si può perdere. Il modo in cui il governo la ottiene dal parlamento lo abbiamo visto. I
modi in cui si può perdere sono essenzialmente due:
- Di iniziativa parlamentare (mozione di sfiducia)
- Derivante dalla conseguenza di una azione del governo (questione di fiducia)
CONSIDERAZIONI PREVENTIVE…
- In primo luogo un formale voto che comporti la sfiducia nei confronti del governo implica l’obbligo di
dimissioni del medesimo, al quale non può in alcun modo sottrarsi.
Accade spesso che il parlamento voti diversamente dalle aspettative del governo, e respinga un provvedimento
di sua iniziativa. In questi casi tuttavia, non scatta l’obbligo di dimissioni.
- Una seconda considerazione va dato alla natura dei governi italiani, che sono sempre governi di coalizione,
ossia governi sostenuti da una maggioranza formatasi per accordo tra forze politiche diverse.
Le coalizioni si reggono su accordi tra le forze politiche raggiunti dopo le elezioni sulla base del peso
contrattuale che i partiti acquisiscono con il voto. Per infinite ragioni le coalizioni possono entrare in crisi e
ciò si riverbera inevitabilmente sul governo. In questi casi non è neppure necessario che si arrivi ad un
formale voto di sfiducia. È sufficiente che il governo prendo atto della crisi e rassegni le dimissioni.
- Una terza considerazione è di natura statistica: inoltre 70 anni di storia repubblicana i governi che sono stati
costretti a dimettersi a causa di un formale voto di sfiducia sono 2
—> i governi si dimettono spontaneamente
Euro utile delineare i tratti dei due strumenti con cui è possibile rimettere in discussione il voto fiduciario.
MOZIONE DI SFIDUCIA: Deputati e senatori possono presentare nelle rispettive camere di appartenenza una
mozione motivata di sfiducia nei confronti del governo purché essa sia sottoscritta da almeno un 1/10 dei
componenti dell’aula. Azione deve essere votata per appello nominale non prima che siano trascorsi almeno tre
giorni dalla presentazione.
La mozione di sfiducia è dunque uno strumento nelle mani del parlamento per richiamare il governo alle
proprie responsabilità.
La mozione di sfiducia è spesso utilizzata dalle opposizioni nella consapevolezza che essa non sfocerà in un voto
contrario al governo, ma avrà come risultato di suscitare un dibattito sul suo operato, mettendolo di fronte ad una
responsabilità di tipo politico.
La mozione di sfiducia può essere presentata anche nei confronti di un ministro. Anche in questo caso però, si
tratta di uno strumento poco efficace. Più volte infatti essa è stata usata, ma solo in un caso il parlamento a votato la
sfiducia ad un ministro costringendolo alle dimissioni.
QUESTIONE DI FIDUCIA: È uno strumento completamente diverso rispetto a quello appena visto. Non è nella
disponibilità del parlamento, ma del governo. Inoltre non riguarda la sfiducia, ma la fiducia. Essa serve proprio a
forzare un consolidamento del rapporto con il parlamento.
Il governo può in qualsiasi momento elevare un provvedimento in votazione in parlamento ad un livello in cui viene
messo in discussione la fiducia stessa. Si dice allora che il governo pone la questione di fiducia su quel determinato
provvedimento. Con la questione di fiducia il governo blocca la discussione e pone figuratamente il parlamento
con le spalle al muro. Il testo in discussione è congelato allo stato in cui si trova, non possono essere presentati
ulteriori emendamenti, e la camera in cui è stata posta la questione di fiducia è chiamata a votare oltre che sul
provvedimento, sulla fiducia al governo. Un voto contrario sul provvedimento equivale a un voto di sfiducia nei
confronti del governo e di conseguenza l’obbligo di dimissioni.
È chiaro dunque che lo scopo della questione di fiducia non è quella di provocare una rottura del vincolo fiduciario
ma, esattamente il contrario, quello di forzare il parlamento a rinnovarlo.
I due strumenti sono diametralmente opposti rispetto all’esito che mirano ad ottenere. Con il primo si vorrebbe
raggiungere lo scopo di obbligare il governo a dimettersi, con il secondo governo vuole spingere il parlamento a
rinnovarli espressamente la fiducia.
La questione di fiducia è uno strumento assai efficace rispetto alla funzione assolta.
I governi si dimettono spontaneamente quando esiste un problema politico di qualche natura che rende
pericolosamente instabile il rapporto fiduciario. Solitamente questo avviene per fratture interne alla coalizione che
sostiene il governo. Quando si verifica una situazione di questo tipo si parla di crisi extraparlamentare.
Viceversa si parla di crisi parlamentare nelle situazioni descritte in precedenza, quando cioè le dimissioni sono
provocate da un formale voto di sfiducia.
Le funzioni più importanti tra quelle attribuite al governo sono riferibili non tanto al presidente del Consiglio dei
Ministri, ma il governo inteso collegialmente. La politica generale del governo, cioè l’indirizzo politico generale
del governo, non lo stabilisce il presidente del consiglio, ma il governo nel suo complesso. L’indirizzo generale
dell’azione amministrativa nasce collegialmente dal Consiglio dei Ministri. Ed è infine il Consiglio dei Ministri
che delibera sui più importanti atti riferibili al governo.
Non è dunque il presidente del consiglio ad imporre una sua linea politica.
Tutto ciò non toglie che il presidente del Consiglio dei Ministri spettino alcuni poteri che gli consentono di esercitare
la funzione a lui affidata dall’Art 95 cost., cioè dirigere la politica generale del governo.
Tra le sue funzioni c’è quella ad esempio di sospendere l’adozione di atti ministeriali; espleta anche una funzione di
coordinamento nei confronti dei ministri anche per ciò che attiene alle loro dichiarazioni. È infatti previsto che queste
debbano essere concordate con il presidente del Consiglio dei Ministri.
Per farsi coadiuvare nello svolgimento delle sue funzioni di direzione il presidente del Consiglio dei Ministri può
valersi di un consiglio di gabinetto, un organo non necessario che ha funzioni istruttorie, cioè non deliberative.
Il presidente del consiglio può anche prestare un disegno di legge alle camere ci deve però essere approvato dal
Consiglio dei Ministri.
I MINISTRI
I ministri sono organi posti al vertice dei vari rami in cui si suddivide la pubblica amministrazione. Esistono però
anche i ministri senza portafoglio che non sono a capo di nessun dicastero. I ministri senza portafoglio svolgono infatti
solo le funzioni ad essi delegate dal presidente del consiglio e sono insediate presso la presidenza del Consiglio dei
Ministri.
Lo status di parlamentare non è un prerequisito per accedere alla carica di ministro essi sono solitamente esponenti
politici rappresentanti delle forze appartenenti alla coalizione che sostiene il governo.
Non c’è neppure incompatibilità tra le due posizioni, così che è un ministro puoi contempo essere anche membro di
uno dei due rami del parlamento.
Il numero dei ministeri e le loro funzioni sono stabiliti per legge —> 15 MINISTERI
Il numero dei ministeri e tendenzialmente stabile, ma è accaduto a volte che siano stati istituiti nuovi ministeri.
VICEMINISTRI E SOTTOSEGRETARI
Quella di sottosegretario di Stato è una carica di particolare rilievo politico ed istituzionale. Possono intervenire alle
sedute delle camere e delle commissioni parlamentari e rispondere a interrogazioni e interpellanze.
I sottosegretari sono nominati con decreto del presidente della Repubblica su proposta del presidente del consiglio ed
hanno il compito di coadiuvare i ministri nell’esercizio delle loro funzioni.
Alcuni sottosegretari possono essere nominati alla carica di vice ministro. Il viceministro possono su invito del
presidente del consiglio partecipare alle riunioni del Consiglio dei Ministri sebbene senza diritto di voto.
In Italia i livelli di governo sono cinque: comune, provincia, città metropolitana, regione e stato.
A ciascuno di essi compete una specifica sfera di poteri espressamente individuata dalla costituzione o dalle leggi.
Comuni, provincie, città metropolitane e regioni sono enti territoriali.
Un ente territoriale è un’istituzione pubblica, e quindi dotata di personalità giuridica, associata ad un
determinato territorio che funziona attraverso un sistema di governo appositamente congegnato per servire gli
interessi della collettività che vi risiede.
Come lo stato, gli enti territoriali sono soggetti che presentano tre elementi caratteristici: popolo, territorio, governo.
Gli enti territoriali sono creati per soddisfare gli interessi di collettività più ristrette di quella complessiva dello stato,
ma ad essere più precisi va detto che tali enti sono creati perché si ritiene che taluni interessi siano soddisfatti meglio
qualora gestiti a un livello il più prossimo possibile al cittadino.
Lo stato non può efficacemente occuparsi di tutto. Così, ad esso viene riservata una sfera di competenze ampia su
materie che hanno l’esigenza di essere gestite in modo centralizzato ed uniforme, mentre agli enti territoriali sono
lasciate le competenze che toccano gli interessi delle collettività locali.
I sistemi multilivello, sono normalmente più complessi di quelli in cui il potere è accentrato.
Il funzionamento degli enti territoriali è garantito dalla previsione di organi di governo rappresentativi della
collettività locale, o meglio, un organo rappresentativo corrispondente a quello che a livello statale il parlamento, ed
un organo espressione della maggioranza, corrispondente a quello che è a livello statale il governo.
Ai due livelli di governo statale e regionale è consentito adottare atti di rango legislativo, cosa che non è per i due
livelli provinciale e comunale, fatta eccezione per le due province autonome di Trento e Bolzano.
Anche per province e comuni si potrebbe usare il termine “legislativo” bisogna però usarlo essendo consapevoli di
usarlo in forma generalissima intendendo che nei comuni e nelle province i consigli sono organi deputati ad adottare
norme generali ed astratte, che però non hanno rango legislativo.
Quello delineato in assemblea costituente è un regionalismo di tipo differenziato. Fin da subito furono infatti previsti
due regimi differenti, da un lato, come regola generale, quello delle 14 regioni ordinarie, poi cresciute a 15 con la
separazione del Molise dall’Abruzzo, dall’altro delle 5 regioni speciali.
E per le prime, l’assetto istituzionale e le competenze sono delineati in modo uniforme in costituzione, mentre per le
seconde ciò è definito nei rispettivi statuti speciali.
Delle 20 regioni italiane, solo quattro di quelle speciali hanno potuto essere operative fin dall’entrata in vigore della
costituzione. Il Friuli Venezia Giulia, ottenne il proprio statuto solo nel 1963, dopo la soluzione della questione di
Trieste. Per le regioni ordinarie le cose andarono più per le lunghe e se dovete aspettare gli anni 70.
Come spiegare questa lunga attesa…
Tecnicamente le regioni sono enti, ed in quanto tali non possono funzionare se non attraverso un apparato costituito da
organi abilitati a svolgere le funzioni loro affidate. Nel caso delle regioni si tratta di un organo legislativo (consiglio
regionale) e di un organo esecutivo (giunta).
L’organo legislativo è di tipo rappresentativo, e dunque elettivo. In assenza di una legge elettorale che ne consente la
formazione, la regione rimane un corpo inanimato. Dal punto di vista politico i partiti rappresentati in parlamento non
sono riusciti a trovare in tempi rapidi un accordo su una legge elettorale per le regioni.
Solo nel 1968 si riuscì a giungere ad un accordo su una legge elettorale, sulla base della quale nel 1970 si tennero le
prime elezioni regionali per le regioni ordinarie. Tutto ciò non era ancora sufficiente a consentire la piena operatività
delle regioni. Era necessario che lo Stato trasferisce ad essere funzioni che fino a quel momento aveva trattenuto per
sé.
Fin da quando sono finalmente diventate operative, si è cominciato a parlare di possibili forme dell’ordinamento
regionale. —> riforma Bassanini, riforma del 1999, del 2001.
Gli statuti delle 15 regioni ordinarie sono approvate dai rispettivi consigli con un procedimento aggravato rispetto a
quello di approvazione delle leggi regionali. Sono infatti richieste due deliberazioni, entrambi a maggioranza assoluta
adottate ad un intervallo non inferiore ai due mesi l’una dall’altra.
Per le cinque regioni di autonomia speciale la situazione diversa. Gli statuti speciali sono i fatti adottati con legge
costituzionale dal parlamento. Può sembrare strano che a quelle speciali, che godono di una più ampia autonomia, non
è concesso il medesimo potere. In realtà non vi è nulla di strano. La specialità è infatti una deroga al regime generale
che la costituzione stabilisce per le regioni ordinarie. Gli statuti speciali derogano quindi alla costituzione.
Anche le regioni speciali possono regolare alcuni aspetti della propria forma di governo tramite una legge approvata
con lo stesso procedimento previsto che gli statuti delle regioni ordinarie.
Mi risulta che per le regioni speciali la disciplina della forma di governo si trova in parte nello statuto, in parte in una
legge regionale statutaria.
Innanzitutto la Costituzione indica in modo perentorio quali sono gli organi della regione, stabilendo anche le
loro attribuzioni. Prevede poi che la regione è competente a stabilire il sistema elettorale e le cause di
ineleggibilità del presidente e dei membri della giunta e del consiglio. Affida alle regioni il potere di regolare la
propria forma di governo.
Infine prevede che tutte le ipotesi che comportino il “venir meno del presidente eletto a suffragio universale e
diretto”, provocano le dimissioni della giunta e lo scioglimento del consiglio.
Ciò che dice e non dice l’Art 126 che si ricavano le uniche due alternative praticabili dalle regioni. Quello che dice è
che la permanenza in carica del presidente è condizione necessaria a mantenere in carica tutti gli altri organi.
Se cade il presidente, per qualsiasi ragione, ne vengono travolti sia la giunta sia il consiglio.
Quello che l’articolo non dice che cosa potrebbe accadere se la regione operasse una scelta diversa in merito
all’elezione del presidente, e cioè se prevedesse una lezione in diretta da parte del consiglio regionale.
Visto che in questo caso l’articolo non disciplinerebbe alcuno modalità di azione, ed essendo non espressamente
proibito è permesso, se ne deve trarre la conseguenza che spetterebbe alla regione disciplinare questa ipotesi.
Tuttavia l’articolo afferma anche che consiglio regionale può esprimere la sfiducia nei confronti del presidente, senza
però specificare se si tratti di quella eletta suffragio universale e diretto o con un’altra modalità. Così possiamo dire
che La forma di governo delle regioni deve necessariamente essere di tipo parlamentare, con vincolo fiduciario
a fare da legami e legislativo e esecutivo, con la sola alternativa possibile delle due diverse modalità di elezione
del presidente. Nel caso di elezioni a suffragio universale diretto vale il principio che scade il presidente ne
vengono travolti sia la giunta che il consiglio, mentre per altri casi questo principio non è previsto.
Al vertice dell’apparato di governo della regione via il presidente, il quale ricopre contestualmente la carica di capo
dell’esecutivo regionale (giunta) e di presidenza della regione. Al presidente spetta il potere di nominare e revocare i
membri della giunta, che egli stesso presiede, e rappresentare la regione.
Diversamente da quanto avviene a livello statale, nelle regioni il venir meno della fiducia comporta l’inevitabile
scioglimento del legislativo.
È evidente quindi che è un voto di sfiducia nei confronti del presidente equivale ad un suicidio del consiglio,
cosa che lo rende un’ipotesi piuttosto rara e rafforza il presidente nella compagine dell’apparato istituzionale
della regione.
IL POTERE LEGISLATIVO DELLE REGIONI E DELLE PROVINCE AUTONOME DI
TRENTO E BOLZANO
La costituzione affidando alle regioni il potere legislativo intende proprio attribuire loro il potere di approvare
quell’atto fonte tipico che è la legge. Stando così le cose non vi è modo distinguere la legge ordinaria dello Stato dalle
leggi regionali. E se hanno cioè parigrado nella scala gerarchica.
Pure avendo parigrado, legge ordinaria dello Stato leggi regionali rimangono tra loro separate dai confini della
competenza. Lo Stato è abilitato ad utilizzare il proprio potere legislativo per dettare regole su alcune materie, le
regioni su altre.
Il conflitto tra una legge statale e una regionale non viene risolto in favore della legge più recente tra le due, ma
di quella posta nel rispetto del riparto delle competenze.
In Italia gli enti territoriali cui è affidato il potere legislativo sono: regioni ordinarie regioni a statuto speciale, e le due
province autonomi di Trento e Bolzano.
L’hai ripartizione delle competenze tra Stato ed enti territoriali, può essere organizzata secondo vari criteri. Uno è
certamente quello delle materie.
Ma la potestà legislativa può anche essere variamente qualificata in funzione del grado di indipendenza di cui godono
vicendevolmente le fonti. —> Tutto si risolve nella distinzione tra competenza legislativa esclusiva, concorrente ed
attuativa-integrativa.
Competenza legislativa esclusiva: Attribuita allo Stato e alle regioni ad autonomia speciale ed ai rispettivi
statuti, non ammette l’intervento di alcun altra fonte di rango legislativo se non quella dell’ente cui è affidata.
Competenza legislativa concorrente: È quella che è e attribuisce alle regioni ordinarie. Si definisce
concorrente perché sulle materie affidate le regioni secondo tale tipo di competenza, si formano due distinte
normative che congiuntamente concorrono a delinearne la disciplina. Allo Stato spetta la normativa di
principio, alle regioni quella di dettaglio. Tale tipo di competenza consente alle regioni di intervenire con la
normativa di dettaglio solo sulla materia esiste una normativa di principio dettata dallo stato. La normativa di
principio dello Stato viene definita legge quadro o legge cornice.
Competenza attrattiva-integrativa: Attribuita alle regioni speciali su alcune materie, permette una diversa
forma di intervento, più invasiva nei confronti della normativa statale.
Va menzionata anche la cosiddetta competenza residuale, la quale non è un avere propria tipologia a sé stante. Si
intende con questo termine riferirsi a qualsiasi competenza che non sia compresa nei due elenchi delle competenze
esclusive statali o concorrenti delle regioni.
Quelle che residuano sono espressamente attribuite alle regioni.
Questo obbliga a risolvere il caso per caso la questione relativa al tipo di competenza che dovesse venire in rilievo in
quanto non espressamente attribuita allo Stato. Spetta alla corte costituzionale stabilire se si tratti di una competenza
esclusiva o concorrente.
È un criterio di più difficile applicazione di quello del parallelismo. Esso infatti non stabilisce un confine netto tra
competenza statale competenza degli enti territoriali. In linea di principio le funzioni amministrative spettano a livello
più basso il prossimo al cittadino, il Comune, ma possono essere trasferite a livelli di governo superiori se lo
richiedono ragioni di efficienza. In questi casi occorre dimostrare che il livello cui le funzioni amministrative per
tengono naturalmente non è in grado di esercitarle al meglio.
L’attuale assetto istituzionale di province e città metropolitane è il risultato di una disciplina adottata nel 2014 con una
legge che prevede un sistema istituzionale di tipo rappresentativo indiretto.
Non sono infatti gli elettori ad eleggere direttamente gli organi di province e città metropolitane. L’organo
rappresentativo è composto dai sindaci dei comuni ricompresi nel territorio ed è tale organo ad eleggere un presidente.
È inoltre è un organo di indirizzo e controllo.
Il presidente rappresenta l’ente, convoca e presiede il consiglio provinciale e l’assemblea dei sindaci, sovrintende al
funzionamento dei servizi ed esercita le altre funzioni attribuite dallo statuto dell’ente.
Il consiglio provinciale, eletto dai sindaci e dai consiglieri comunali dei comuni della provincia, dura in carica due
anni ed è composto dal presidente della provincia da un numero variabile di componenti.
Il consiglio è l’organo di indirizzo e controllo. Propone all’assemblea lo statuto, approva regolamenti, piani
programmi ed ogni altro tipo di atto adesso sottoposto dal presidente della provincia.
L’assemblea dei sindaci a poteri propositivi, consultivi e di controllo. Adotta o respinge lo statuto proposto dal
consiglio e le sue successive modificazioni.
Lo schema istituzionale della città metropolitana ricalca quello della provincia, ma si tratta di due enti distinti e
diversi. La città metropolitana rappresenta una sorta di super provincia istituita con lo scopo di far fronte a
problematiche diario particolarmente vaste ed eterogenee.
Ci sono 10 città metropolitane a cui si aggiunge la città metropolitana di Roma capitale.
IL COMUNE
Organo di vertice dell’amministrazione comunale è il sindaco, che è anche rappresentante del governo a livello locale.
Il sindaco svolge funzioni attribuite dalle leggi, dallo statuto e dai regolamenti tra cui sovrintende all’espletamento
delle funzioni statali e regionali attribuite al comune, adempie ad importanti attribuzioni nell’ambito delle funzioni di
competenza statale.
Viene eletto direttamente dai cittadini residenti nel territorio comunale. Contestualmente viene eletto il consiglio
comunale. Il sindaco non ho però bisogno di ottenere un voto di fiducia dal consiglio comunale. Gli spetta nominare i
componenti della giungla, tra cui un vice sindaco.
La giunta comunale è l’organo esecutivo del Comune, è un organo collegiale composto dal sindaco e dal numero di
assessori entro il limite delle 12 persone (sindaco incluso).
Alla giunta aspettano compiti di gestione vera e propria, essa collabora con il sindaco nell’adozione degli atti di
amministrazione che non sono riservati al consiglio e all’attuazione degli indirizzi generali da questo stabiliti.
Riferisce inoltre annualmente al consiglio sulla propria attività.
Il consiglio comunale è l’organo rappresentativo della comunità comunale. A carattere collegiale ed eletto con
suffragio universale e diretto. È composto dal sindaco e da un numero di consiglieri variabile. La durata del mandato
amministrativo di cinque anni.
È convocato e presieduto dal presidente del consiglio.
Il consiglio comunale svolge attività deliberativa generalmente in seduta plenaria, ed attività istruttoria avvalendosi di
commissioni consiliari.
I consiglieri costituiscono gruppi consiliari, designando a loro interno un capogruppo.
Il consiglio comunale è definito organo di indirizzo di controllo politico amministrativo del comune.
Per ricostruire il concetto di pubblica amministrazione è certo importante delineare i contorni della funzione
amministrativa, ma è indispensabile anche definire previamente i soggetti che ne sono titolari, gli enti pubblici.
Per ente pubblico si intende un soggetto dotato di personalità giuridica istituito con lo scopo di perseguire
l’interesse collettivo.
Regioni, province, città metropolitane, e comuni sono enti pubblici territoriali a cui è affidato lo scopo di perseguire
interessi collettivi generali.
Esistono anche enti pubblici non territoriali, a cui è affidato il compito di curare un interesse pubblico determinato.
Va fatta poi un ulteriore distinzione fra enti pubblici economici ed enti pubblici non economici.
- Economici: appartengono quegli enti ai quali si serve lo Stato per intervenire nel sistema economico. Questi
enti possono essere soggetti pubblici o privati —> di quelli pubblici, lo stato si serve per perseguire fini
pubblici attraverso l’attività economica. L’ente pubblico economico, pur agendo attraverso gli strumenti del
diritto privato, persegue uno scopo di interesse collettivo.
Se diversi sono i soggetti che compongono la pubblica amministrazione, esistono comunque alcuni principi
costituzionali a cui tutti sono ugualmente sottoposti.
Si tratta dei principi di legalità, imparzialità e buon andamento dell’amministrazione.
Legalità: un regolamento amministrativo può essere adottato dall’amministrazione solo laddove esiste una
precisa attribuzione di potere regolamentare ricavabile da una fonte normativa primaria (legge).
Imparzialità: rappresenta un vincolo sia per l’azione amministrativa, sia per il modo in cui essa è strutturata.
I due aspetti sono strettamente legati —> il modo in cui è strutturata l’amministrazione si riflette sula sua
attività
Buon andamento: la pubblica amministrazione è tenuta ad agire garantendo il raggiungimento degli obiettivi
(efficacia), massimizzando il rapporto tra quelli prefissati e quelli raggiunti (efficienza), mantenendo
l’equilibrio di bilancio (economicità).
Bisogna però specificare che di tutto ciò che può fare la pubblica amministrazione, si qualifica come atto solo ciò che
risulta da un determinato procedimento, il procedimento amministrativo.
Si parla di procedimento amministrativo per definire la concatenazione di fasi che porta all’adozione dell’atto
amministrativo. Le fasi del procedimento amministrativo sono sostanzialmente tre:
1. FASE PREPARATORIA: a sua volta si riparte in due momenti distinti:
L’iniziativa: può essere della stessa pubblica amministrazione, ed in questo caso si parla di
istanza pubblica oppure può provenire da un cittadino, ed in questo caso si parla di istanza
privata.
Fase istruttoria: Serve alla pubblica amministrazione per acquisire le informazioni necessarie a
prendere la decisione finale.
2. FASE COSTITUTIVA: che è quella in cui avviene la vera e propria deliberazione dell’atto. La
deliberazione può essere:
Semplice: se il potere di adottare il provvedimento spetta ad un organo monocratico
Complessa: se tale potere spetta ad un organo collegiale o a più organi congiuntamente.
3. FASE INTEGRATIVA DELL’EFFICACIA: nella quale si esplicano i necessari controlli e viene data
pubblicità all’atto risultante dal procedimento amministrativo.
Gli atti amministrativi sono spesso sottoposti a controlli preventivi, di legittimità e contabili, e su di essa
grava l’obbligo della pubblicità, nel senso che devono essere resi noti direttamente ai destinatari.
Un atto può essere perfetto per rispettare i requisiti procedimentali previsti fino alla fase finale, ma
inefficace perché mancata o è stata carente la pubblicità.
Il risultato finale è l’atto amministrativo. Possiamo distinguere tre categorie du atti amministrativi:
o Atti amministrativi in senso stretto: sono atti che l’amministrazione adotta all’interno del procedimento
legislativo, e che sono rispetto ad esso, strumentali ed ausiliari (accertamenti, pareri, ispezioni…).
Generalmente non incidono direttamente sui diritti o sugli interessi individuali
o Atti amministrativi normativi: sono i “regolamenti” che sappiamo contenere norme generali ed astratte.
o Provvedimenti amministrativi: sono atti che incidono sulla loro sfera giuridica dei soggetti cui sono rivolti.
Per tali atti, la pubblica amministrazione ha discrezionalità, nel senso che li adotta ponderando
discrezionalmente i vari interessi coinvolti.
Il provvedimento amministrativo ha le seguenti caratteristiche:
Autoritarietà: applicato automaticamente dalla P.A. e non esiste possibilità di dibattito o di accordo
con il destinatario dell’atto.
Concretezza: riguarda i casi concreti e mai casi generici.
Esecutorietà: la P.A. ha il potere di far eseguire i suoi provvedimenti in autonomia, senza ricorrere al
giudice.
Discrezionalità: la P.A. può valutare liberamente i modi più opportuni, i mezzi ed i tempi per
raggiungere le finalità che si propone.
Inoppugnabilità: se il provvedimento non viene impugnato (contestato) nei termini previsti dalla
legge, diventa pienamente efficace.
I VIZI DELL’ATTO AMMINISTRATIVO
Come abbiamo visto, l’atto amministrativo ed in particolare il provvedimento, incide sulla sfera dei diritti individuali.
Il potere esecutivo, di cui la pubblica amministrazione è espressione entra infatti indiretto e quotidiano contatto con gli
amministrati. Poiché l’amministrazione agisce autoritativamente, sono necessarie opportune garanzie per i
cittadini.
Dato che il cittadino è in una posizione subordinata all’amministrazione è importante che essa rispetti stringenti
requisiti di forma e di contenuto.
L’invalidità di un atto può essere definita come la difformità rispetto al modello legale previsto.
Un’ulteriore distinzione da tenere a mente riguarda le conseguenze della violazione delle regole che l’amministrazione
deve rispettare. Possiamo distinguere a seconda della gravità della violazione tra le due ipotesi della nullità e
dell’invalidità.
La nullità qualificabile come inidoneità dell’atto a produrre effetti giuridici è una ipotesi residuale del diritto
amministrativo. Per tale ragione la nullità rappresenta l’estrema ratio ed opera solo in ipotesi tassativamente
specificate.
L’invalidità può essere spesso sanata dall’amministrazione stessa, e soprattutto comporta l’annullabilità, cioè la
possibilità che l’atto venga annullato, non il suo annullamento in automatico.
L’invalidità può essere variamente qualificata:
- Invalidità totale: che riguarda l’intero atto, mentre l’invalidità parziale Riguarda una sola parte dell’atto o
provvedimento.
- Invalidità propria o derivata: La prima è riferita all’atto stesso, l’altra deriva per conseguenza dell’invalidità
di un atto direttamente collegato.
- Invalidità originaria o sopravvenuta: La prima è riferita le regole in vigore quando l’atto è stato adottato, la
seconda sopravviene a causa di un mutamento delle regole.
- Vizi di legittimità: Sono dovuti alla mancata conformità dell’atto alle prescrizioni stabiliti dalle norme
giuridiche. Sono allora volta qualificabili in tre distinte categorie:
Vizi di merito: Attengono all’opportunità dell’atto amministrativo —> Un atto inopportuno è
ingiusto e di conseguenza difforme ai criteri di imparzialità e buon andamento.
Vizi formali: Sono i vizi che attengono ad elementi formali dell’atto, riconducibili al procedimento.
—> Mancato rispetto di alcune fasi o termini stabiliti dalla legge.
Vizi sostanziali. Attengono al contenuto e non alla forma.
Revoca e ritiro sono gli strumenti che permettono di sanare i vizi di merito.
È necessario dunque che a vigilare il rispetto della costituzione sia un organo imparziale. Per questo il costituente ha
previsto l’istituzione della corte costituzionale, un organo collegiale (15 giudici) incaricato di esercitare il controllo
di costituzionalità delle leggi.
Il controllo di costituzionalità non esaurisce quell’ambito che definiamo giustizia costituzionale. Il controllo di
costituzionalità delle leggi è solo una parte, anche se forse la più importante, della giustizia costituzionale.
La corte costituzionale assolve dunque svariate funzioni, le quali hanno qualcosa in comune, si tratta di attività che si
concretizzano in quella che possiamo definire una funzione giudicante. La corte costituzionale è un giudice, e come
tale alla funzione di giudicare, di risolvere cioè casi sottoposti alla sua attenzione attraverso l’applicazione del
diritto. I casi che arrivano di fronte alla corte costituzionale hanno tutti in comune una cosa, per essere risolti e
necessario applicare la costituzione.
Definizione di GIUSTIZIA COSTITUZIONALE: Attività giurisdizionale, svolta cioè da un giudice, che ha come
scopo la soluzione di casi che richiedono l’interpretazione e l’applicazione della costituzione e delle fonti ad essa
immediatamente collegate.
Tra giustizia costituzionale e controllo di costituzionalità, non deve stupire se viene riservata maggiore attenzione al
secondo. —> È il controllo di costituzionalità delle leggi a dare vita alla giustizia costituzionale. Esso rappresenta
senza dubbio la parte più cospicua dell’attività svolta dagli organi incaricati delle funzioni rientranti nella categoria
della giustizia costituzionale.
La corte costituzionale è un organo giudicante di tipo collegiale, composto da 15 giudici, di diverso nomina:
- 5 dalle supreme magistrature
- 5 dal parlamento in seduta comune
- 5 dal presidente della repubblica
Solo nel caso di giudizio sui reati del presidente della Repubblica, la composizione della corte varia. Ai 15 giudici
della sua composizione ordinaria se ne aggiungono 16 estratti a sorte da un elenco stilato dal parlamento. I 15 giudici
ordinari vengono definiti giudici togati, mentre gli altri sono definiti non togati.
Sia in composizione ordinaria in composizione allargata, la corte costituzionale conta un numero dispari di giudici;
Ciò in quanto un organo collegiale deve forzatamente decidere a maggioranza.
I giudici della corte godono delle stesse garanzie di cui godono i parlamentari; I giudici sono dunque tutelati
dall’insindacabilità delle comuni espresse e dei voti dati nell’esercizio delle loro funzioni, e non possono essere
sottoposti a limitazioni della libertà personale se non previa autorizzazione della corte stessa. Regime identico a
quello visto per i parlamentari.
Discorso diverso va fatto per quella che viene definita inamovibilità del giudice. —> Nessun organo può rimuovere
un giudice costituzionale dalla carica durante il suo mandato, che dura nove anni.
Anche questa rappresenta una misura a garanzia dell’indipendenza della corte rispetto ad ogni altro organo dello Stato.
Se la corte deve esercitare una funzione che richiede l’imparzialità, necessariamente deve essere messo a riparo
da ogni ingerenza che provenga dall’esterno.
Per quanto riguarda invece i voti dati nell’esercizio delle proprie funzioni, il giudice è di fatto protetto da qualcosa che
è invisibile all’esterno della corte stessa: In camera di consiglio i giudici votano sul testo delle decisioni predisposto
dal giudice incaricato di redigere la sentenza, ma il risultato della votazione non è reso pubblico, e la sentenza viene
emanata come decisione imputabile all’organo nel suo complesso.
Il controllo mira ad individuare eventuali vizi dell’atto normativo e ripristinare una situazione di normalità tra una
norma subordinata e la costituzione.
Si tratta quindi di individuare una lesione del principio gerarchico o anche di quello di competenza, ciò che
determina, in caso di accertamento l’annullamento della norma che si pone in conflitto con l’altra ad essa
sovraordinata.
Varie possono essere al giudizio di costituzionalità, vari possono essere gli organi abilitati ad avviare il controllo, aria
possono essere le conseguenze ma il nucleo centrale resta il medesimo: verifica di conformità di un oggetto (atto
normativo) rispetto ad un parametro (costituzione).
Nei sistemi di Civil Law, diversamente, l’uniformità di interpretazione del diritto è garantita non dal vincolo al
precedente, ma dalla presenza di un organo a cui è affidata la funzione nomofilattica, ossia il compito di garantire
l’osservanza della legge, la sua interpretazione uniforme e l’unità del diritto. Si tratta della corte di cassazione
(l’ultimo grado di giudizio nel processo ordinario).
Occorre prestare attenzione e non confondere corte di cassazione e corte costituzionale: la corte di cassazione è parte
del sistema giudiziario, e la corte costituzionale è un organo esterno al sistema giudiziario che ha attribuita solo
ed esclusivamente la giustizia costituzionale.
Davanti alla corte costituzionale non si svolge un grado di giudizio del processo, ma un processo a sé stante.
Il giudizio di costituzionalità di tipo diffuso, come negli Stati Uniti (dove il controllo di costituzionalità è compito di
ogni giudice in attività e non solo della corte suprema), è possibile perché i giudici devono stare entro i binari dei
precedenti. Nei sistemi di Civil Law questi binari non esistono, almeno fino a quando non si sia pronunciata in ultima
istanza la corte di cassazione, obbligando tutti i giudici ad uniformarsi ad una determinata interpretazione del diritto.
Ma fino a che ciò non accade è possibile che su medesimo caso due giudici decidono in modo diverso. Questo sarebbe
grave se la decisione riguardasse la legittimità costituzionale; Per questo nei modelli di civil Law si è fermato il
controllo di costituzionalità di tipo accentrato.
Il controllo accentrato di costituzionalità è anche definito modello Kelseniano, dal nome di chi per primo lo ha
teorizzato, il giurista Hans Kelsen.
Tale forma di controllo la peculiarità di essere affidata in via esclusiva ad un organo centrale, nel nostro caso la corte
costituzionale.
CONTROLLO PREVENTIVO: Si esercita su un atto non ancora in vigore. Generalmente esso interviene in quella
frazione di tempo che intercorre tra l’approvazione della legge e la sua entrata in vigore. In Italia esiste una forma di
controllo preventivo, ovvero quella sulla legittimità degli statuti ordinari —> Il governo può infatti impugnare gli
statuti entro 30 giorni dalla pubblicazione.
Si può parlare di una forma di controllo preventivo anche con riferimento al rinvio presidenziale delle leggi all’atto
della promulgazione. Come sappiamo il parlamento può approvare l’atto senza tener conto dei rilievi mossi dal
presidente della pubblica (controllo preventivo), ma ciò non rende esente la legge da un possibile controllo
successivo da parte della corte costituzionale.
È facile comprendere che il controllo diffuso è necessariamente successivo. Esso si applica infatti nel momento in cui
un caso giunge all’attenzione del giudice.
Il controllo accentrato, diversamente, può essere sia di tipo successivo, come nel caso italiano, sia preventivo, come
avviene nel caso francese.
Una ulteriore distinzione da fare con riguardo alla tipologia di controllo esercitabile sulle leggi e tra controllo concreto
e controllo astratto.
CONTROLLO CONCRETO: Si tratta di una forma di controllo che origina da uno specifico caso e si applica a quello
specifico caso. Il modello diffuso di tipo concreto perché l’incostituzionalità rilevata dal giudice è riferita al solo
caso che egli sta giudicando. Per questo l’effetto della sua pronuncia è circoscritto al caso che ha di fronte, e si
estende i casi analoghi solo perché esiste la regola del precedente. L’effetto della pronuncia è la disapplicazione
della norma illegittima, non l’annullamento.
CONTROLLO ASTRATTO: La pronuncia si svolge indipendentemente dal caso concreto. Il modello accentrato e
preventivo, ad esempio non può che essere astratto. Un atto non ho ancora in vigore non è infatti applicabile ad un
caso concreto.
In Italia la situazione è sfumata. Il controllo di costituzionalità accentrato e successivo, ma come abbiamo visto si
origina prevalentemente da casi concreti.
2. La costituzione non vive isolata da un contesto sistemico più ampio, nel quale rientrano molteplici altre fonti
che sono collegate alla costituzione stessa.
Esistono perciò una serie molto più ampio di fonti che servono alla corte costituzionale per integrare il
parametro nel controllo di costituzionalità.
I VIZI SINDACABILI
Una norma ricavabile da una legge può essere incostituzionale non solo per porsi in diretto conflitto con la
costituzione (incostituzionalità), ma anche a causa di altri vizi.
Il concetto di incostituzionalità, è riferibile non ad uno specifico vizio, ma più patologie che possono affliggere un atto
normativo determinandone l’illegittimità costituzionale.
La corte può accertare la sussistenza di vizi formali, o di procedimento, i vizi materiali, o di merito.
Tra quelli di merito rientrano il conflitto diretto tra una norma di legge e una specifica norma costituzionale.
Il ricorso può essere presentato solo laddove esso risponde ad alcuni requisiti minimi che spetta al giudice stesso
accertare. In sostanza, il giudice ha l’obbligo, e non il diritto di rivolgersi alla corte costituzionale ponendo ad essa
una questione di legittimità costituzionale, purché possa dimostrare che tale questione è rilevante e non
manifestamente infondata.
Per comprendere come funzioni il giudizio in via incidentale è necessario non perdere mai di vista la sua caratteristica
fondamentale, il fatto cioè che esso origini da un giudizio già in corso, e che pertanto riguardi un caso concreto che un
giudice è chiamato a risolvere.
Qualsiasi autorità giudiziaria può presentare la corte costituzionale una questione di legittimità.
In sostanza la legittimazione ad attivare il giudizio di legittimità costituzionale spetta ad ogni autorità che svolga una
funzione giudicante.
!! Il solo fatto di appartenere all’ordinamento giudiziario non legittima di per sé ad attivare il ricorso. Occorre anche
che l’autorità in questione stia concretamente esercitando la funzione giurisdizionale!!
In casi eccezionali può essere legittimato a sollevare il ricorso anche un’autorità o un organo che non fa parte
del potere giudiziario.
Dunque, da una parte un organo appartenente al potere giudiziario non sempre è legittimato a rivolgersi alla corte,
dall’altra in alcune circostanze può farlo un organo che non fa parte del potere giudiziario.
La legittimazione non dipende dall’organo in sé, ma dalla funzione che esso svolge.
Rimane ora da risolvere la questione legata alle circostanze che permettono al giudice di rivolgersi alla corte…
Abbiamo detto che è necessario che la questione che si pone al giudice sia rilevante e non manifestamente infondata.
Che la questione debba essere rilevante significa che senza la sua soluzione il giudice non può risolvere il caso
che ha di fronte.
La questione deve anche non essere manifestamente infondata. Al giudice non si chiede che il suo dubbio sia
fondato, e che quindi la questione che pone alla corte lo sia; ma si chiede semplicemente di accertarsi che non
sia palese, evidente e manifesto che la questione è priva di fondamento.
L’invio degli atti avviene per mezzo di un’ordinanza motivata (ordinanza motivata di rinvio), sulla quale grava
anche l’obbligo della pubblicazione in Gazzetta Ufficiale. Questo perché tutti i giudici che dovrebbero applicare la
legge viziata, sono tenuti a sospendere i procedimenti in attesa della pronuncia della corte.
Con riguardo ai vizi che possono essere fatti valere con il ricorso diretto, va detto che la posizione di Stato e regioni
non è esattamente equiparata. L’Art 127 afferma, infatti, che lo Stato può impugnare una legge regionale ogni volta
che ritiene che la regione abbia fatto di più di quello che espressamente concesso, mentre per le regioni non è
sufficiente lamentare un eccesso di competenza da parte dello Stato ma devono anche dimostrare che nell’aver
ecceduto la sua competenza lo Stato ha leso quella propria della regione.
PRECISAZIONI:
Ovviamente questo tipo di conflitto (in via principale), esiste solo negli Stati con potere decentrato —> stati
regionali
Laddove vi è una ripartizione di competenza tra due soggetti esclusa la gerarchia. I conflitti di competenza
legislativa non si risolvono utilizzando il criterio gerarchico ma per mezzo del ricorso diretto, il quale serve a
far valere il criterio della competenza.
Il ricorso viene avviato dal giudice a quo, con l’ordinanza di rinvio, oppure dallo Stato o da una regione con ricorso
diretto. In entrambi i casi il ricorso deve indicare la norma che il ricorrente ritiene possa essere viziata (norma
oggetto), la norma costituzionale che si ritiene possa essere violata (norma parametro), e le ragioni che inducono a
dubitare la legittimità costituzionale della norma impugnata.
Non è tutta via detto che ad un ricorso segue un processo vero e proprio. Il ricorso potrebbe infatti essere in
ammissibile (per diverse ragioni)—> Ad esempio la corte potrebbe ravvisare una mancanza dei requisiti che il giudice
a quo deve dimostrare per poter sollevare il ricorso.
In queste ipotesi gli atti vengono restituiti al giudice con ordinanza di manifesta infondatezza o di irrilevanza.
La corte svolge dunque un esame preliminare sui requisiti che rendono il ricorso ammissibile. Se tutti i requisiti sono
soddisfatti il processo prende avvio e la corte entra nel merito della questione. Se il ricorso difetta invece di uno o più
requisiti il processo semplicemente non prende avvio —> la corte decide di non decidere —> decisioni monito —>
esempio: suicidio assistito
Qualora la corte decida di ammettere il ricorso, la decisione assume la forma della sentenza vera e propria, che potrà
essere di accoglimento, nel caso in cui la corte risponde affermativamente alla questione di legittimità e dichiari
incostituzionale la norma impugnata, o di rigetto, nel caso contrario.
È tutta via raro che la corte risponda ad una questione di legittimità costituzionale con un semplice accoglimento o
rigetto. Più spesso essa accoglie o rigetta specificando che lo fa sulla base di una particolare interpretazione. Per
questa ragione gli studiosi hanno elaborato alcune categorie di decisioni interpretative o manipolativi. Fra di essi
spiccano le sentenze additive (aggiungono), ablative (sottraggono) e sostitutive (sostituiscono qualcosa).
ADDITIVE = NON PREVEDE
ABLATIVA= PREVEDE
SOSTITUTIVA= PREVEDE QUESTO ANZICHÉ QUELLO
IL GIUDIZIO SUI CONFLITTI DI ATTRIBUZIONE TRA I POTERI DELLO STATO
Ci occupiamo ora di un’altra tipologia di conflitti, quelli cosiddetti di attribuzione fra poteri.
I conflitti di competenza nascono solo ed esclusivamente dall’esercizio del potere legislativo oltre i confini tracciati
dalla costituzione, ed il potere legislativo in Italia affidato solo allo Stato, alle regioni e alle province autonome.
I conflitti di attribuzione non riguardano il potere legislativo e per tale ragione possono coinvolgere anche i poteri, o
meglio organi che ne sono privi.
I soggetti che possono essere coinvolti in un conflitto di attribuzioni sono molto più di quanto non faccia pensare la
definizione di “potere dello Stato”.
Possono infatti insorgere anche fra organi che non sono titolari di alcuno dei tre poteri tradizionali dello Stato
e addirittura soggetti esterni allo Stato stesso.
-È ampio e variegato anche il ventaglio delle attribuzioni che possono dar vita al conflitto, visto che queste possono
anche non essere espressamente menzionate dalla costituzione, ma previste in via consuetudinaria o di prassi, o anche
da fonti subordinate alla costituzione stessa.
-Non sempre il conflitto di attribuzioni coincide con la rivendicazione di una funzione usurpata. Non sempre cioè, due
soggetti si contrappongono rivendicando per sé è una funzione. Più spesso accade che un soggetto lamenti una lesione
di una propria attribuzione derivante dall’esercizio sleale di una funzione attribuita ad un altro soggetto.
Che un referendum possa essere ammissibile ed un altro no dipende dal fatto che siano rispettati o meno determinati
parametri indicati dall’art 75, che come abbiamo visto esclude che possono essere oggetto di referendum abrogativo:
- Le leggi tributarie e di bilancio
- Leggi di amnistia e di indulto
- Legge di autorizzazione a ratificare trattati internazionali
—> Le leggi che incidono su quelle specifiche materie non possono essere abrogate mediante referendum.
Il parametro che la richiesta referendaria deve rispettare per essere ammissibile non è limitato alle materie elencate
dall’Art 75. E infatti accaduto che la corte costituzionale abbia Precisato che l’elenco delle cause di inammissibilità
fatto nell’art 75 non è tassativo.
E sono perciò da ritenersi inammissibile anche le richieste:
a) Che riguardino leggi di revisione costituzionale, leggi costituzionali o dotate di una particolare forza passiva,
e anche le leggi a contenuto costituzionalmente vincolato o di esecuzione di trattati
b) Formulate in modo tale che ciascun quesito contenga una pluralità di domande eterogenee
c) Che producano una normativa di risulta non direttamente autoapplicativa, ossia che un risultato che possa
funzionare e che non crei una lacuna normativa tale da impedire il funzionamento delle istituzioni.