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Ad normam iuris

Introduzione.

Ogni riflessione sulla formula verbale “legalità” è destinata a confrontarsi con 2 sostantivi: complessità e
parzialità.

Complessità. Il concetto di legalità, anche se circoscritto all’ambito giuridico,è polisemico poiché vive della
relazione dinamica con altri concetti,fra i quali quello di
legge,potere,giustizia,coscienza,diritti,uguaglianza. Concetti che,a loro volta, assumono una valenza
diversa a seconda dei contesti ordinamentali di riferimento e dell’ evoluzione storica e culturale di tali
contesti.

Parzialità. La complessità e vastità del concetto di legalità esclude la possibilità di una ricostruzione
completa e statica di ogni sfaccettatura del concetto. Piuttosto,il tema della legalità esige la selezione e
precisazione sequenziale di alcuni profili e un itinerario di ricerca non omnicomprensivo, ma
necessariamente parziale.

Ciò posto,la complessità e parzialità che caratterizzano qualsiasi riflessione sulla legalità, si accentuano
quando la riflessione è condotta all’interno di un diritto religioso,quale è il diritto della chiesa cattolica.
L’orizzonte metafisico e teologico nel quale si muove il dir. Canonico;la sua dimensione universale;il
rapporto tra foro interno e foro esterno,tra universale e particolare che connota la realtà ecclesiale, sono
solo alcuni degli elementi che arricchiscono e complicano il contenuto delle nozioni di
legge,giustizia,uguaglianza,coscienza,potere,diritti ed altri concetti che confluiscono nella nozione di
legalità.

CAPITOLO 1. LA CRISI DELLA LEGGE E LA (CONSEGUENTE) CRISI DELLA LEGALITA’:


a) come dato oggettivo nell’esperienza giuridica secolare post moderna.

Nella dottrina,il princ. di legalità appare ricostruito come un principio in crisi per via delle
divergenze fra modello teorico e situazione concreta.
Rispetto all'ordinamento italiano, si evidenzia una crisi della legge per via dell'incapacità della
norma posta dal legislatore di reggere l'odierna società disomogenea e pluralista e di comporne i
conflitti. Tale declino dell'efficacia legislativa è connesso a molti fattori: disarticolazione della
legge-tipo in una pluralità di figure, abuso di delegificazione e sopravanzamento delle fonti
primarie d'origine governativa, prevalere del dir. giurisprudenziale sul dir. legislativo,
dissolvimento della sovranità dello Stato, l'irrompere di pluralità di fonti di produzione non
ordinabili gerarchicamente.
Tutto questo comporta un'erosione del sistema di legalità. Erosioni che sono tangibili nel diritto
penale, ove si assiste ad un depotenziamento della riserva di legge ad opera di fonti di grado
secondario o sovranazionali e ad una predominanza del dir. Penale giurisprudenziale.
Segni di cedimento appaiono anche nell'assetto giuridico-istituzionale dell'Unione Europea: la
natura pluralistica dell'assetto nel quale + sogg esercitano la funzione legislativa in reciproca
interazione e nel quale il limite d'esercizio del potere è giurisprudenzialmente identificato con la
conformità ad una pluralità di regole e principi, segna un distacco dal sistema giuridico costruito
sulla centralità\superiorità della legge classica.
Occorre stabilire se tale crisi è imputabile ad un degrado patologico della realtà (che non aderisce
a schemi teorici validi) o all'inadeguatezza funzionale della mappa concettuale sottesa alla
prevalenza della legge.
1-Chi identifica il diritto con la legge, ribadisce la necessità di un principio unitario che garantisca la
coerenza di trattamento giuridico: princ. identificato nella legalità legislativa e\o costituzionale
(quest'ultima intesa come superiore istanza normativa che sostituisce alla centralità della legge la
centralità della Costituz, assicurando un quadro di riferimento stabile). S'esclude la sostituzione
della legalità legislativa con quella giudiziale, posto che il giudice per garantire l'uniformità di
trattam. giuridico ha bisogno della norma quale categoria previa alla quale ricondurre la realtà,
evitando un arbitrato giudiziario.
La confema del princ. di legalità come modello teorico verso il quale orientarsi è fondata sulla
rinnovata fede nel rapporto di funzionalità fra legge\certezza (intesa come conoscibilità ex ante
delle conseguenze giuridiche dei propri atti) e nel fondamento democratico della legge cui si deve
obbedienza in leale esecuz. di un patto e per via del primato del potere legislativo.
2- Chi distingue fra lex e ius, considera la preminenza della legge solo come un mito della cultura
giuridica moderna; s'evidenzia la valenza storica della supremazia parlamentare, sancita in
funzione degli interessi dello stato monoclasse,ma ideologicamente rappresentata come
strumento idoneo a rispondere alle esigenze di giustizia,identificate con le esigenze cui è capace di
rispondere la norma generale, astratta, rigida. La crisi della legge e del principio di legalità è,
pertanto,intesa come una manifestazione di un'utopia:utopia del legislatore statale come unico
sogg legittimato a disciplinare la società con comandi certi ma fittizi perchè distanti dalla realtà e
quindi inidonei ad esser recepiti come giusti da un gruppo sociale costituito da diverse identità
soggettive che non trovano unità nella rappresentanza parlamentare.
Da qui la considerazione dell'interpretazione dottrinale e giurisprudenziale (essendo i giudici a
contatto con la realtà, idonei per la soluz giusta che emerge dai fatti alla luce di principi
costituzionali, radicati nella comunità ed al contempo in grado d'esprimere i bisogni della
comunità.
Emerge un dato: la crisi della legge non comporta la crisi dell'esigenza di regolare il potere, a
garanzia dei sogg sui quali il potere si esercita,ma anche a garanzia dell'accettabilità degli atti
espressioni di tale esercizio.
Con diversa chiave di lettura tale esigenza richiede una parificazione della funz giudiziaria ed
amministrativa a quella legislativa, essendo gli interpreti costruttori del diritto.
Infine, seppur per strade diverse,le due chiavi di lettura convergono su due punti,da cui dipende la
legittimità o l’accettabilità di ogni soluzione giuridica:l’ancoraggio alla Carta costituzionale- quale
fattore unificante del sistema- ;e la ricerca di un equo contemperamento dei contrastanti interessi
attraverso forme di partecipazione dei soggetti coinvolti.

2. b)come ipotesi ricostruttiva per l’ordinamento canonico.

Si può evidenziare una crisi della legge e del principio di legalità anche nella vita giuridica della
Chiesa? Dipende da cosa s'intende per principio di legalità: se s'assume a riferimento il modello
classico della legalità moderna (legalità= elemento costitutivo dello stato di dir) basta sottolineare i
punti inconciliabili tra tale modello e l'esperienza giuridica ecclesiale per delineare un disagio
fisiologico e radicale del principio di legalità all'interno di questa esperienza. Disagio
riconducibile,anzitutto, al rapporto di compatibilità parziale tra ius Ecclesiae e profili tipici della
legalità statale e, ad un'incompatibilità tra natura della società ecclesiale e le visioni ideologico-
politiche che vedono la legalità come principio.
Vi sono 3 aspetti esemplificativi al riguardo:
1- Il principio di legalità postula la distinzione delle 3 funzioni di governo
(legislativa,esecutiva,giudiziaria) e la loro attribuzione ad organi diversi, reciprocamente
indipendenti. E ciò,secondo Montesquieu, a garanzia della libertà dei cittadini, posto che, se le 3
funzioni fossero nelle mani di un unico soggetto, questi potrebbe modificare la legge in ragione del
singolo caso.
La separazione dei poteri non trova realizzazione nell'assetto giuridico ecclesiastico: il potere del
governo, conferito alla persona attraverso la dimensione dell'ordine sacro è unico e posseduto
nella sua interezza dai titolari degli uffici capitali che sono al contempo legislatori, giudici ed
amministratori. ( ne consegue Es: possibilità del giudice canonico di disporre sulle norme che
applica cosa che non avviene per quello statale).

2- un secondo profilo,che rileva il distacco tra il paradigma usuale della legalità(costruito sulla
prevalenza rigida della legge positiva) e l’ordinamento canonico,è il carattere dinamico ed elastico
dell'ordinamento canonico: il volto giuridico della Chiesa presenta molti profili di relativizzazione
dell'assolutezza della legge positiva ( Es: per la violaz della legge dà rilievo all'ignorantia iuris e
considera gli atti contra legem non necessariamente nulli), mentre i tradizionali istituti della
dissimulatio e del tolerari potest ammettono che l’autorità,per evitare un male peggiore,possa non
reagire ai comportamenti illegali dei fedeli. (la tolleranza è l’atto del superiore che di fronte alla
violazione della legge,pur senza approvare questa violazione,rinuncia a qualsiasi sanzione per
evitare mala maiora. La dissimulazione si ha quando il superiore,davanti all’atto contra
legem,senza approvarlo o tollerarlo,finge di non conoscere l’inosservanza della legge che ritiene
moralmente impossibile).
Con riferimento all'attuazione della lex , ogni operatore giuridico nella Chiesa è legittimato a
valutare l'adeguatezza della norma a disciplinare secondo giustizia il caso concreto ed a sostituire
la legge ritenuta ingiusta con nuova regola,frutto di una lettura del caso alla luce della aequitas
canonica.
Con riferimento alla vincolatività e generalità delle leggi, alcuni provvedimenti (dispensa e
privilegio) esonerano dall'osservanza di una norma o attribuiscono una situazione soggettiva di
potere, in virtù della quale il titolare d'essa può compiere atti che contraddicono il dir comune.
Questi ed altri strumenti di flessibilità del sistema sono parti strutturanti del sistema stesso,giacchè
concepiti per salvaguardare il fine ultimo del ius ecclesiae, cioè il bene spirituale della comunità e
del singolo da conseguire anche oltre la lettera della legge.
3- Il declinarsi della legalità penale e della sua funzione di garanzia nel sistema canonico. Una
clausola generale attribuisce all'autorità ecclesiastica la facoltà di punire la violazione esterna di
una legge con iusta poena quando vi sono 2 condizioni in via cumulativa: la gravità soggettiva\
oggettiva della violazione e la necessità urgente di prevenire\riparare lo scandalo.
Il libro 7 del DE SANCTIONIBUS IN ECCLESIA, si chiude sancendo il potere discrezionale dell'autorità
di qualificare ex post come delitto la violazione di legge non penale e di punire tale violazione con
una sanzione non prestabilita.
Un dato accomuna i 3 aspetti considerati. A non trovare spazio nella chiesa è la stessa radice
concettuale della legittimità moderna e, cioè,la visione giusnaturalistica dell'uomo e del suo
rapporto con la realtà rielaborata dalla pubblicistica illuministica, per la quale l'uomo ha il compito
di costruire un ordine giuridico. Visione estranea alla chiesa poichè l'ordinamento canonico si
costruisce sul dato divino senza ridurre l'uomo a mero destinatario passivo. Possiamo trarre una
prima conclusione:La crisi statale riguarda il dissolvimento di aspetti costitutivi di un princ
fondante; la crisi della Chiesa nel fatto che tali aspetti non si sono affermati nè potranno mai farlo).

3.La crisi della pratica della legge nella società ecclesiale -

Attribuendo un significato(parzialmente) diverso alla formula linguistica “legalità” si giunge a


risultati diversi. La legalità indica l’obbligo di osservare la legge. La dottrina canonica parla di crisi
della pratica della legge che appare incapace d’ordinare i rapporti Ecclesiali. Ciò che si sottolinea
non sono i casi di deroga dello ius ecclesiae ma un disinteresse nei confronti della legge,della quale
non si avverte il valore e l’obbligatorietà.
L’inefficacia della legge canonica nei rapporti intersoggettivi riflette lo scisma verticale tra
gerarchia e fedeli (fatto generale di non recezione e comprensione da parte della comunità delle
proposizioni dogmatiche della gerarchia cattolica).
La crisi è dovuta anche a scelte dell’autorità come emerge da note vicende della chiesa. Nella
lettera pastorale ai cattolici d’Irlanda, Benedetto XVI afferma che di fronte ai casi di pedofilia alcuni
vescovi hanno mancato nell’applicare norme di dir canonico codificate: sembra essersi verificata
un’inapplicazione delle leggi penali e delle sanzioni da esse previste e,una violazione da parte dei
vescovi del dir\dovere positivamente sancito di governare. Violazione interpretabile come un
disconoscimento dell’utilità della legge come strumento di governo (ne è prova: “come una madre
amichevole” col quale Papa Francesco ha incluso tra le cause che legittimano la rimozione
dall’ufficio ecclesiastico la negligente omissione da parte dei vescovi di atti necessari come nei casi
d’abuso dei minori). La crisi riguarda, quindi, un declino dell’efficacia ordinante della lex come
formula di comando.

CAPITOLO 2 LA LEGALITA’ CANONICA COME PRINCIPIO E COME METODO.

1. Il concetto di legalità è “conformità ad una regola che sta prima”: appare strutturato sull’idea
che chi agisce deve riferirsi ad un criterio che lo precede.
Nello ius ecclesiae questo concetto trova una realizzazione radicale: il fondamento divino della
giuridicità ecclesiale (per il quale ogni espressione di tale giuridicità non può contrastare
l’ordine di giustizia che Cristo ha dato alla Chiesa e deve compiere tale ordine) configura un
rapporto di priorità tra volontà divina e soluzioni umane che invera la struttura essenziale della
legalità.
E’ una priortà ASSIOLOGICA: quando la legge umana appare conforme alla ratio divina
acquista una qualità valoriale che ne giustifica l’obbligatorietà.
Ne consegue che il rispetto delle norme positive può esser preteso come rispetto di “una
regola giusta che sta prima”.

“Principio di legalità” indica un rapporto di coerenza tra legge positiva e i fondamenti di un


ordinamento, nel dir canonico ha un significato PRESCRITTIVO che richiama le verità costitutive
dell’ordinamento e della Chiesa. Detto diversamente:lo specifico contenuto dell’idea di legalità
nel ius ecclesiae consente di configurare la legalità come principio e dunque come criterio per
orientarsi,giudicare e argomentare, che fonda una esperienza giuridica.(la qualificazione della
legalità canonica come principio abbisogna di una precisazione resa necessaria dalla
distinzione tra regola e principio. Trattasi di una distinzione riconducibile al fatto che la regola è
applicabile nella formula del “tutto o niente”, mentre il principio è un requisito di giustizia o di
altra dimensione della morale che consente un’applicazione graduale. Ciò posto,nell’affermare
che il concetto di legalità è,nella sua essenza,”conformità a una regola che sta prima” ,il
termine regola è utilizzato come dinonimo di criterio,a prescindere dal descritto binomio
regola/principio).

La relazione di priorità tra dir divino e ordine canonico è anche STRUTTURALE: l’assetto giuridico
della comunità di fedeli scaturisce dalla volontà fondazionale di Cristo; ciò soddisfa un altro
significato della legalità: la presenza di un potere di governo costituito ed autorizzato. Nel primato
della legge vi è l’assunto che chi legifera lo fa in ragione di una previa norma; nell’ordine canonico
questo assunto ha una specifica conseguenza: l’origine divina della competenza della gerarchia
rafforza la vincolatività delle leggi ecclesiali, corrispondenti al disegno di Dio per il loro contenuto e
per i soggetti che lo pongono in essere.
Per tali leggi vi è duplice presunzione di giustizia e vincolatività che trova corrispondenza nel
rapporto tra autorità, legge e coscienza: posto che la coscienza, attraverso il cui giudizio l’uomo
riconosce i precetti della lex divina, deve esser educata e illuminata e posto che il diritto dei fedeli
d’esser guidati dalla gerarchia del processo di formazione della propria coscienza, si configura il
dovere dei fedeli di osservare le costituzioni e i decreti emanati dalla LEGITTIMA autorità della
Chiesa.” Inoltre le norme fondate promanano da un’autorità istituita dal principio\ norma
fondante e si può attribuire anche una valenza cronologica allo ius divinum: se s’ammette
l’individuazione certa della lex divina, questa determina la certezza in senso soggettivo poiché a
prescindere da previe norme formali, ogni credente dovrebbe esser in grado di prevedere come
l’ordine ecclesiale qualificherà la sua azione futura.

2. Il dir divino non è un insieme di precetti cristallizati precedenti\superiori\esterni all’ordine


giuridico canonico. Il disegno divino,sebbene immutabile, si manifesta nelle vicende concrete
della Chiesa e lo ius divinum è dato dall’incontro,nel tempo e nella storia, fra la rivelazione di
Dio e la risposta dell’uomo: risposta libera ed obbediente ma anche discontinua.
La recezione umana del dato divino passa,infatti,attraverso la mediazione culturale
dell’interprete (giudice, comunità) che esprime la volontà divina con le categorie che sono
proprie a se stesso e ai destinatari delle norme. La recezione in una norma positiva dei valori
divini è sempre parziale, condizionata dalla difettività della condizione umana (le prescriz
positive umane non possono racchiudere il disegno divino).
Lo “stare prima” del ius divinum si realizza dunque all’interno di questo intreccio tra iniziativa
di dio e risposta umana.

Il dir divino non ha una sola formulazione possibile, la legalità canonica presenta uno dei
caratteri che la dottrina attribuisce ai principi giuridici: la capacità di fondare un numero
indeterminato di norme trascendendole.

Essendo l’accoglienza del progetto di Dio affidata alla libertà e responsabilità dell’uomo,
(giacchè lla conoscenza del diritto divino è conoscenza dell’essere stesso di Dio che è Amore)
l’avverarsi del paradigma della legalità della Chiesa implica un’interpretaz del rapporto tra
libertà\legge: se secondo il disegno divino il comando dell’amore è il fondamento della
giuridicità ecclesiale, l’adesione al disegno ha il carattere della doverosità (per cui ogni azione
del fedele deve esser orientata alla volontà divina) ma anche della libertà (l’uomo può volgersi
al bene solo nella libertà).
Vi è nella libertà il riconoscimento della volontà divina e quando questo riconoscimento non
s’avesse (se il fedele ritiene per sua coscienza che la norma positiva umana s’oppone al volere
divino) la non obbedienza alla norma è espressione della libertà della persona.
L’intreccio tra iniziativa divina e risposta dell’uomo esclude l’emergere d’istanze fondamentaliste
nella Chiesa: se il fondamentalismo trova radici nella percezione della volontà normativa divina
come fattore che annienta la libertà umana, tale percezione è estranea alla visione cristiana
dell’onnipotenza di Dio, posto che Cristo, incarnatosi, riconduce l’uomo alla sua realtà d’esser
libero\responsabile.
Quindi: la legalità come idea può dirsi strumentale a un’organizzazione della vita di comunità
ecclesiale fondata sulla libertà.
Assonanza funzionale con la teoria della legalità di matrice liberal-democratica. Nella concezione
liberal-democratica la legge garantisce ai singoli la libertà negativa di seguire la propria volontà per
ciò che non è vietato e la libertà positiva che viene dal fatto d’esser subordinati ad un atto posto
dai rappresentanti per il popolo, espressione diretta o indiretta di questo.
Nella concezione canonica la legge, garantisce ai singoli una libertà il cui contenuto è dato dalla
verità dell’essere dell’uomo, come creatura di Dio e dall’accoglienza di questa verità come Verità.

3. L’idea di legalità come “regola che sta prima” nello ius commune.
Il principio di legalità connota il sistema dell’età del dir comune all’interno del quale appare legato
ad un metodo preciso di costruzione della giuridicità. Nell’assetto medievale la percezione del dir
come ordine di giustizia impresso da Dio presenta 2 aspetti:
1- concetto di legge di T.D’Aquino che esprime la consapevolezza che la norma non scaturisce
dalla mera volontà soggettiva del legislatore ma è da questi rinvenuta, tramite strumento
conoscitivo della ragione, in un ordo obiettivo.
La legge è la misura del dir\regola iuris posta da volontà misurata dalla ragione e vincolata
alla trama di un ordine preesistente di cui l’uomo non può disporre.
Questa nozione è elaborata dal pensiero di Isidoro di Siviglia, punto di riferimento della dottrina
della lex di Graziano (che individua il giusto come la sostanza del dir e la legge come specificazione
di questa sostanza fondata sulla ragione,funzionale alla salvezza, conforme ai precetti religiosi.
L’esigenza di una norma espressione dell’ordine razionale e le modalità di produz della stessa sono
individuate da Graziano indicando le qualità sostanziali della legge definite da Isidoro come
obiettivi del processo d’elaborazione della legge: onestà, giustizia, possibilità, convenienza,
necessità = ancoraggio della norma alla ratio delle tante realtà da regolare e criterio di legalità in
legiferando.
2- le fonti del dir ed il loro assetto reticolare: nel Medioevo la comprensione della giuridicità
intrinseca nelle cose non è intesa come compito esclusivo del legislatore ma dell’intera scienza
iuris, mentre la rispondenza la precetto divino è considerato requisito interno d’ogni atto giuridico.
Da ciò distinzione fra il momento legislativo e quello giurisprudenziale e tra legge\consuetudine.
E’ propria dei giuristi dello ius commune la consapevolezza che l’operatività divina (lex aeterna, lex
naturalis) passa tramite la mediazione dell’interpretazione umana di fatti\principi e che tale
interpretazione è realizzata dal legislatore, giudici, dottrina, opinio vulgi.
La convinz che ogni norma è razionale conduce i giuristi medievali a considerare i rapporti tra dir
generale\ dir particolari come rapporti fra norme pariordinate. Per il contrasto tra fonti diverse la
soluz del caso concreto e la prevedibilità di tale soluzione non sono cercate in una gerarchia
formale delle fonti ma nell’individuazione di criteri logici idonei a selezionare la norma che
esprime la dimensione di giustizia oggettivamente data.
Per affrontare il tema della validità del dir particolare alla luce della sua rispondenza al dir
comune, la dottrina canonistica usa criteri di valutazione,cosicchè, il principio dell’intangibilità del
ius superiore, stemperato dal riconoscimento che le regole particolari possono tendere allo stesso
fine del dir comune, è confermato quando la contrarietà alla regola superiore si risolve in una
negazione delle esigenze d’equità e ragione che tale regola incarna.
Se riferita al metodo di produz del dir, “princ di legalità” richiama una realtà opposta a quella
medievale: nei sistemi moderni di civil law, il princ di legalità prescrive che il dir deve esser
formato PRIMARIAMENTE per mezzo di leggi positive, generali ed astratte, la conformità alle quali
è l’elemento che struttura tutto l’ordinamento, il nucleo esplicito di riconoscimento di ciò che è
ius. Nella vita giuridica della Chiesa questa legalità come metodo, per il quale il dir si realizza
tramite atti tipici del legislatore, s’afferma CON ED IN SEGUITO alla prima codificaz canonica.

4. Tra i codici moderni ed il principio di legalità vi è un legame che si costruisce su 3elementi:


1- Il movimento per la codificazione definitosi nel XVIII sec, poggia su un bisogno: ricondurre a
coerente unità la stratificazione delle fonti, superare il particolarismo giuridico per rimediare
all’incertezza che caratterizzava il dir comune, affidato all’operato delle scienza giuridica\
giurisprudenza.
Per gli illuministi la ragione indica nelle legge positiva(posta dal sovrano illuminato che fissa in
formule chiare la razionalità del dir naturale), lo strumento per ristrutturare l’ordine giuridico:
le legge è la vera fonte generatrice dell’ordinamento alla quale devono subordinarsi le altre
manifestazioni del dir e sulla quale deve fondarsi il processo di codificazione.
2-La teoria della legge statale come unico mezzo di costituzione della giuridicità è assorbita dalla
rivoluzione Francese, quando il principe illuminato è sostituito dall’assemblea legislativa e si
realizza poi coi Codici 800eschi modellati sul Code Civil napoleonico 1804. I Codici sono il risultato
della costruzione del dir per legem: abrogano tutte le fonti precedenti (il dir nasce ex novo dal
legislatore), disciplinano interamente i singoli rami dell’ordinamento sistemandoli in un assetto di
norme generali, astratte e coerenti.
3-Passaggio dall’idea che le esigenze di giustizia si colgono nella realtà all’idea che queste siano
predeterminate a priori dalla lex, si attua col rapporto tra norma\interpretazione stabilito dai
Codici. Secondo questo rapporto il compito che spetta all’interprete\giudice è quello d’individuare
nella legge l’esatta volontà del legislatore e d’eseguirla fedelmente nella fattispecie, garantendo
un’attuazione omogenea e predeterminata della lex.

5- Codex iuris canonici del 1917-

Il primo Codice della Chiesa del 1917 fu elaborato per ricomporre l’assetto delle fonti del dir
costituitosi intorno al Corpus iuris canonici.
Il riordino era stato evidenziato dal Concilio Vaticano I quando i padri conciliari denunciarono:
1- l’impossibilità di trovare in un complesso informe la regola sicura a cui riferirsi
2- il realizzarsi di situazioni estreme con pastori che ignoravano leggi o le applicavano senza
discernimento o lasciavano impuniti i delitti o procedevano ex informata conscientia.
Quando nella prima fase di revisione della legislazione ecclesiastica si pose l’alternativa fra la
redazione di una nuova Collezione o la costituzione di un Codice, fu questa la soluzione, voluta da
PIO X. L’intento di usare la codificaz solo per
aggiornare e consolidare il ius vetus si riflette nell’atipicità del Codice prebenedettino che si pose
in continuità col dir anteriore, previde fonti suppletorie extracodicali, equiparò la consuetudine
alla leggee tollerò consuetudini contra legem.

6. L’adozione del Codice come nuova forma in cui ordinare la tradizione giuridica della Chiesa non
fu scindibile da quel modo di applicare il dir mediante e secondo LEGGE, espresso dal principio
di legalità e vengono in evidenza 3 elementi:

1. Il primo emerge dal processo di codificazione. Trattasi della concezione della consuetudine
espressa dall’episcopato e dai consultori nei lavori preparatori del Codex. La consuetudine,
espressione di una produzione normativa originariamente autonoma dal potere legislativo è
fonte incompatibile coi processi codificatori.
D’aiuto è l’elaborazione del Titulus II, DE CONSUETUDINE, del Libro I del cod pio- benedettino:
per 1° il riconoscimento della funzione della consuetudine,ritenuta importante per adeguare la
legge canonica alle tradizioni dei vari popoli della Chiesa, per 2° l’unanime richiesta di codificaz
della consuetudine inclusiva di una nozione di tale fonte e di una tassativa precisazione delle
condizioni necessarie affinchè un uso acquisti forza di legge o possa derogarla.
L’esigenza di certezza oggettiva si manifestò anche rispetto alla consuetudine,il che emerge nei
2 Voti di Wernz e Palmieri (consultori ai quali il Segretario Gasparri aveva affidato il compito di
predisporre lo schema per i canoni sulla consuetudine). Il Votum di Wernz (sfociato nella redaz
di 3 canoni che riconoscevano la consuetudine anche contra legem in limiti precisi) ruotava
intorno alla superiorità del di scritto sul dir non scritto. Superiorità costituita dalla maggior
chiarezza del dir scritto rispetto al dir consuetudinario e delle maggior garanzie offerte dalla
legge, ritenuta da Wernz un bene oggettivo per il governo della società ecclesiale.
Il Votum di Palmieri invece prevedeva di abolire la consuetudine contra e praeter legem e
d’introdurre nel Cod un solo canone che ne riconoscesse la valenza interpretativa. Tuttavia
l’adunanza plenaria dei consultori del 1909 si pronunciò a favore della conservazione della
consuetudine contra\praeter legem. La concezione della consuetudine (Wernz, Palmieri) incise
sulla disciplina della stessa: es: subordinazione dell’efficacia giuridica della consuetudine
contra legem alla sua osservanza per 40 anni o l’attenzione della Commissione al consenso del
superiore gerarchico come requisito della stessa.

2. L’idea della superiorità della legge scritta emerge dalle vicende successive alla promulgazione
del Codice. Si tratta del cambiamento nella formulazione, enunciazione, concezione della
norma,apportato dal Codice.
(Nel medioevo la norma nasceva da e per problemi reali, era una soluzione elaborata
dall’interprete, motivata dall’aderenza alla situazione da dirimere).
Nel Cod invece, la norma astrae dalla circostanza concreta, è un dispositivo generale, privo di
motivazione, che poggia sulla volontà\autorità del legislatore. Alla codificazione dello ius ecclesiae
seguì un passaggio dai fatti ai concetti, un’omologazione nella forma e nel significato della norma
canonica alla lex dei codici statali.

3. Il 3 elemento che rende tangibile il legame tra legalità e cod canonico riguarda la storia del
codice; trattasi del metodo d’interpretazione\attuazione applicato al Codex del 1917.
Dopo la promulgazione, il metodo fu tracciato dal decreto Cum novum iuris canonici del 1917, il
quale definito il Codex come l’unica fonte del dir canonico, indicò nell’esegesi sistematica dei
canoni l’unico modo di studiare tale dir; dall’istruz De experimentis ad gradus in iure canonico
assequendos che stabilì che nelle Università di studi e nei licei di dir canonici, gli esami dovevano
vertere sulle esegesi dei canoni del Cod; - dal Cum iuris canonici Codicem che istituì una
Commissione permanente col compito d’interpretare autenticamente il Codice e redigere nuovi
canoni che dovevano aggiungersi\sostituirsi a quelli vigenti.
Si finì per consacrare il Codice(o lex codicialis) come motore propulsivo della giuridicità
ecclesiale,fonte che regge le altre manifestazioni del dir,pertanto il metodo della legalità si radicò
sia nell’elaborazione del Dir canonico sia sulla sua riflessione scientifica.
7. Fra la 1° codificazione ed il principio di legalità vi sono altre connessioni che si determinano
intorno a 3 nuclei:
A. Il problema dell’uniformità del dir canonico. Nel concilio Vaticano I i fautori della
codificazione,a fronte del pluralismo dato dalla diversa disciplina delle chiese particolari,
espressero la necessità di una maggiore uniformità del dir ecclesiale, e la risposta era un
Codice inteso come legge scritta, universale e generale del romano Pontefice. (l’obiettivo
di conseguire l’unità disciplinare della chiesa universale fu evidenziato,anche,da alcuni
padri della chiesa orientali,che ritenevano tale unità strumentale a una perfetta comunione
tra la chiesa latina e le chiese orientali).
Fu specificata l’altra funzione del Codice, quella unificatrice e uniformante ed il presupposto su
cui basare tale funzione: il potere pontificio delineato nel Vaticano I,con la dottrina
dell’infallibilità e del primato di giurisdizione del Romano Pontefice.
La tendenza a fondare la supremazia delle legge sull’auctoritas di chi l’ha posta e non sulla sua
razionalità e la prevalenza di tale legge in funzione dell’uniformità del dir, sono presupposti\
conseguenze della codificazione che avranno compiuta manifestazione nella gerarchia delle
norme, fondata sulla superiorità gerarchica della lex e del suo autore.
Tale gerarchia si rinviene nel Cum iuris canonici codicem che disciplinò l’emanazione dei
Decreta Generalia delle Congregazioni romane e definì l’attività normativa ordinaria di queste
come attività d’esecuzione dei canoni svolta,anche, tramite l’emanazione di instructiones (che
spiegavano i Canoni).
B- L’autorità gerarchica quale oggetto e fine della codificazione pio- benedettina.
Il Cod 1917 dettò le coordinate giuridiche di una Chiesa identificata con la sacra hierarchia, alla
quale fu indirizzato sia delineando le strutture gerarchiche istituzionali ecclesiali sia disciplinando
l’esercizio della potestà di governo.
La lex codicialis non aveva come destinatario un soggetto unico e ugualitario ma 2 soggetti
differenti, i chierici ed i laici, quest’ultimi vivevano anche il rapporto con la norma giuridica
attraverso la MEDIAZ dei primi. (Es: La commissione per l’intepretazione del Cod stabilì che i dubbi
delle persone private avrebbero trovato accoglienza solo se proposti tramite i rispettivi Ordinari- Il
principio per il quale la richiesta di riconsiderazione di una norma pontificia sia ammissibile solo se
presentata da un membro della gerarchia trova conferma in età moderna in un passo dell’opera di
Suarez;nell’affrontare il tema della supplicatio indirizzata dai fedeli al Romano Pontefice affinchè
questi riconsideri una legge che per causa ragionevole non può essere adempiuta,Suarez pone
come condizione della supplicatio il fatto che questa sia presentata da chi ha autorità sulla
comunità).

C- IUS PUBLICUM ECCLESIASTICUM:la disciplina del dir pubblico ecclesiastico è incentrata sul
modello della Chiesa come societas juridice perfecta.
Il dir pubblico postulò un’equivalenza fra strutture giuridiche canoniche e quelle statali e mise al
centro della trattazione il tema del tripartito potere giuridico della
gerarchia(legisla,esecutiv ,giudiz),sottolineandone l’origine divina e la funzione di strumento di
coesione della società ecclesiale.
Ebbene,nel preludere al Codice,questa impostazione dottrinale preluse,anche alla recezione del
principio di legalità,inquadrabile nel generale processo d’assimilazione del sistema giuridico
canonico al sistema statale postulato dal ius publicum ecclesiasticum e,più specificatamente, nella
tendenziale strutturazione dell’esercizio della potestà di giurisdizione della chiesa sul modello
dello stato.

CAPITOLO 3 LA LEGALITA’ CANONICA COME IDEA-FORZA

Nel dir positivo della Chiesa vi sono molte espressioni del principio di legalità:
-i canoni che sanciscono l’obbligatorietà della legge ecclesiale,
- l’stituto dell’interpretaz autentica per modus legis, tramite il quale l’uniforme\sicura osservanza
della lex è favorita dalla determinazione vincolante\autoritaria del suo significato compiuta dal
legislatore o da colui a cui esso ha concesso la potestà,
-la tripartizione concettuale dei 3 potere ;
- la soggezione alla legge della potestà amministrativa, perseguita sia delineando la lex come atto
esclusivo del legislatore distinto dagli atti emanati nell’eserczio della potestà esecutiva, sia
sancendo l’inderogabilità della lex da parte di atti amministrativi singolari, sia stabilendo a quali
condizioni gli organi esecutivi esercitano la funzione legislativa, sia garantendo l’impugnabilità dei
provvedimenti illegittimi con istituti di giustizia amministrativa,
- la gerarchia delle norme costruita subordinando l’efficacia degli atti amministrativi alla non
contrarietà alla lex e condizionando la validità delle leggi del legislatore inferiore alla conformità
del dir superiore,
- legalità penale ed i corollari rinvenibili nel delitto come violazione esterna di legge\precetto
muniti di sanzione,
- dir dei fedeli ad esser giudicati\puniti solo a norma di legge,
- interpretazione delle leggi che stabiliscono le pene e nell’inapplicabilità del
dir suppletorio alle cause penali.

3. L’antigiutidismo successivo al concilio Vaticano II.


Dopo il Concilio Vaticano II, la Chiesa adotta decisamente soluzioni tecnico-giuridiche riconducibili
al principio di legalità. Tali soluzioni vanno comprese alla luce della necessità di rendere il dir
canonico pienamente rispondente all’ecclesiologia del Vaticano II e dell’antigiuridismo
(atteggiamento d’insofferenza verso una sopravvalutazione del dir presente nella Chiesa dopo il
Conc.Vatic II).
Il dir fu percepito come una realtà umana, autoritaria, estranea alla spiritualità e libertà del
messaggio evangelico ed opposta alle esigenze teologiche e pastorali evidenziate dal magistero
conciliare. Pertanto fu contestato sia il dir in sé, sia il modo di costruire la giuridicità(affermatosi
con il codex 1917 sui presupposti del ius publicim ecclesiasticum),vedendo il dir come insieme di
norme generali, astratte che esigono d’esser applicate.
La scienza canonistica reagì cercando un nuovo fondamento per il dir canonico e ci fu il tentativo
di prendere le distanze da una rappresentazione positivista dello ius rinvenibile sia nella
rappresentazione del dir come oggetto della virtù della giustizia che antecede le norme (Navarra)
sia nella concezione del dir ecclesiale come disciplina plasmata dalla necessità dei tempi\luoghi,
rimessa alla discrezione degli spiriti, espressa dai canonisti della rivista Concilium, sia nella
considerazione del dir come realtà fondata sulla Parola\Sacramento (Scuola di Monaco).
3.1 il principio di legalità quale strumento di riaffermazione della concezione
istituzionale del ius ecclesiae-

Le enunciazioni del principio di legalità riaffermarono il nesso tra Chiesa e ius: a fronte delle
istanze antigiuridiche d’indole spiritualistica determinatasi dopo il Concilio l’immagine conciliare
della Chiesa conteneva in sé elementi per evidenziare il dir come fattore radicato nella Chiesa
visibile, al di fuori della quale non si ha Chiesa spirituale. Ma a quale idea di dir fece riferimento il
legislatore post- conciliare?
L’impostazione dello ius publicum ecclesiasticum e la percezione dello ius come comando della
gerarchia, restò sottesa ai lavori di revisione della legislazione canonica: è d’esempio la formulaz
del 1° dei Principia quae Codicis iuris canonici recognitionem dirigant che sancì il carattere
giuridico, vincolante della nuova codificazione, confutando le attese di un cod quale complesso di
verità ed esortazioni sulla fede\morale e; configurò la giuridicità come esigenza intrinseca alla
dimensione sociale della Chiesa e ne individuò il fondamento nella potestà di giurisdizione
attribuita da Cristo alla gerarchia. (per elaborare i principia, i consultori affrontarono il problema
dell’antigiuridismo post-conciliare e sancirono la legittimità\giuridicità del dir canonico perciò
apparve opportuno rappresentare la giuridicità canonica come una realtà richiesta dalla Chiesa-
società.)
Inoltre:
nel Prooemium del Textus emendatus del Progetto di Legge fondamentale della Chiesa, vi si riferì
alla Chiesa come società constituita et ordinata e rappresentando lo ius come complesso delle
leggi finalizzate a guidare i fedeli alla salvezza, difendere l’unità della fede e conservare la costituz
divina
e -LA SACRAE DISCIPLINAE LEGES che nel promulgare il Cod di dir canonico del 1983 definisce
questo codice necessario per la vita della Chiesa come compagine sociale e visibile.

3.2 Il principio di legalità in funzione del passaggio dalla riconduzione del diritto al
potere alla riconduzione del potere al diritto.
Per poter costituire una “novità nella fedeltà” i riferimenti alla legalità del dir postconciliare
esigevano 2 condizioni d’uso:
1- La comprensione dello ius ecclesiae alla luce dell’intera immagine conciliare della Chiesa, e non
solo della sua componente gerarchica.
2- Il superamento dell’equivalenza fra ius\lex.
Senza tali condizioni,i richiami alla legalità della legislazione post-conciliare correvano il rischio di
significare la riaffermazione del dir come ordine legale posto dalla gerarchia per l’organizzazione
della Chiesa come società perfetta;di essere cioè consequenziali e funzionali alla riaffermazione
dello ius ecclesiae come manifestazione della potestas regiminis e alla comprensione della chiesa
(solo) quale società organicamente strutturata,tenuta insieme da vincoli giuridici e di
subordinazione gerarchica.
L’interpretazione dei richiami alla legalità come reazione alle istanze antigiuridiche appare
plausibile sotto 2 profili:
a) Col ricondurre il dir alla sacra potestas, il legislatore attribuì allo ius ecclesiae una connotazione
prevalentemente pubblicistica, che costituiva l’humus ideale per la ricezione del principio di
legalità come strumento di chi governa.
b) La ricezione dei corollari tecnici della legalità esprimeva continuità con la politica legislativa
dell’imitatio imperii e con l’analogia fra Chiesa\società civile.

4. L’ipotesi per la quale gli enunciati positivi della legalità possono significare la riaffermazione
dello ius come regola del potere di governo trova riscontro in 2 dati:
a) nelle formulazioni dogmatiche del principio di legalità: sembrano costruite sulla differenza tra
legge in senso formale e diritto e la formula fra esse più ricorrente è AD NORMAN IURIS la quale
rinvia l’interprete all’intero sistema giuridico (riserva di dir ogg) ed alle esigenze di giustizia insite
in ogni situazione concreta.
La legalità legislativa\giudiziaria è definita col richiamo ad un esercizio MODO IURE PRAESCRIPTO
ovvero secondo le formalità giuridiche di ciascuna potestà. Così il regime della potestà esecutiva è
stato costruito indicando CHI può esercitare la funzione amministrativa,strutturando tale esercizio
in PROCEDIMENTO e incanalando i risultati in CATEGORIE TIPICHE E DISTINTE.
Nel suo assetto dogmatico,quindi,la legalità canonica sembra avere prevalentemente una valenza
organizzativa e procedurale,cosicchè il momento costitutivo di tale legalità è la chiarezza e
certezza nella formazione dell’atto di governo,l’ordinata corrispondenza tra provvedimento,potere
esercitato e forme previste per il suo esercizio.
La legalità canonica,s’identifica con una strumentazione normativa funzionale al buon uso della
potestà; il che offre spunto per 2 considerazioni:
1. Il principio di legalità (criterio finalizzato a ordinare le esplicazioni della potestas regiminis)
nella chiesa appare simile a quello statale, ma tale similitudine viene da ragioni opposte:
negli ordinamenti statali, è la difficoltà d’individuazione di valori stabili su cui fondare la
razionalità delle legge\decisioni, che spinge alle procedure. Nella Chiesa è la fede
dell’esistenza di una ratio oggettiva, che ha consentito di far confluire nelle articolazioni
testuali della legalità l’esigenza di una garanzia di procedimento.
2- Il principio di legalità significa riconduzione del potere nell’ambito del dir e tale significato
appare compatibile coi tratti del sistema intesi quali negazione del principio: es: ordinaria
possibilità d’atti amministrativi singolari praeter e contra legem o quelli in deroga alle regole
sulla produzione normativa della Curia Romana.
Ad esser messe in crisi sono le RAGIONI classiche del principio di legalità come l’uguaglianza
formale dinanzi alla legge, la sicurezza giuridica di una produzione normativa ordinata.

5. il secondo dato che consente di leggere i richiami alla legalità della codificazione post conciliare
in funzione della subordinazione del potere al diritto è:
b) L’incidenza nei lavori preparatori della codificazione,dell’immagine dell’autorità gerarchica
come servizio riaffermata dal Conc. Vatic II. I documenti conciliari evidenziano il fine della sacra
potestà: essere al servizio del popolo di Dio, affinchè i suoi membri raggiungano la salvezza
liberamente. Tale indole non muta comunque la componente potestativa della gerarchia, il suo
carattere funzionale di superiorità sociale(Paolo 6). L’iter logico è: se la potestas regiminis esiste
per servire la comunità ecclesiale e in ragione della sua salvezza, un esercizio secundum iuris
normas ne esprime la natura ministeriale, poiché le norme indirizzano l’attività di governo verso il
suo fine.
I Principia, nel porre il problema della tutela dei dir dei fedeli affermavano:
- Che la potestà ecclesiastica spettava UNICAMENTE\PIENAMENTE alla gerarchia ma questo SOLO
per servizio della comunità.
- L’esercizio del potere era e doveva esser determinato dal dir divino ed umano.
- Una piena\pari estensione della tutela giurisdizionale a tutti i membri della Chiesa avrebbe
palesato questa realtà eliminando la percezione di un uso arbitrario della potestas regiminis.
Alla legalità veniva attribuita una FUNZIONE LEGITTIMANTE che comportava l’assorbimento del
concetto di legittimità nel concetto di legalità, la rappresentazione di quest’ultima come forma
della prima.
Si consideri al riguardo il diverso significato assunto dai due concetti:
La legittimità concerne la ragion d’esser del potere che è legittimato se fondato su un titolo che ne
giustifica l’esistenza e se è basato sul consenso dei soggetti sui quali s’esplica.
La legalità riguarda l’uso del potere che è legale se vincolato da leggi che ne regolano\limitano
l’esercizio.
Ciò posto,nella chiesa non si pone una questione relativa al titolo d’esistenza della gerarchia
poiché essa è voluta dal suo fondatore. In Ecclesia ogni potere pur avendo carattere personale non
è proprio di chi lo detiene ma è autorizzato da Cristo.
Il problema della legittimità potestativa si pone nel senso dell’accettazione da parte dei fedeli
dell’azione di governo. Vi è la distinzione tra il MUNUS, che proviene da Dio e L’ACTIO che
proviene dall’uomo ed è,come tale, suscettibile di valutazione,potendo essere buona o cattiva.
Ai redattori dei Principia la legalità apparve funzionale per attribuire consenso a una potestas
che,incanalata in norme, era dunque legittima.Il passaggio da criterio d’esercizio a giustificazione
della potestà ha 2 chiavi di lettura:
1- La coincidenza tra legittimità\legalità può poggiare sulla presunta razionalità della legge positiva
canonica che dovrebbe esser adeguamento alla ratio divina.
2- Se scissa dal suo fondamento, la valenza legittimante della legalità può far apparire la
conformità alla legge come unica forma di manifestazione della legittimità della potestà
ecclesiastica.
Il legame tra esigenza di dimostrare uso corretto della potestà, il principio di legalità e la natura
diaconale della gerarchia trova conferma nelle disposizioni che il DirettorioApostolorum
successores indica ai Vescovi per far fronte ai problemi del 3° millennio: si veda l’ipotesi di
provvedimenti straordinari per casi singolari dove si esortano i Vescovi ad agire in modo
trasparente SECONDO LA PROCEDURA PREVISTA. Inoltre si sancisce che il Vescovo non deve
comportarsi come se fosse al di sopra della legge, essendo tenuto a rispettare le stesse regole che
s’impongono agli altri.

6.Princ di legalità nel rapp tra persona e diritto

Tale rapporto si è definito nell’ordine della Chiesa dopo il Conc. Vatic II. Sono 2 gli elementi che
hanno rilievo:
-Christifideles: coloro che essendo stati incorporati a Cristo mediante battesimo, sono costituiti
Popolo di Dio e resi partecipi nel modo loro proprio della funzione sacerdotale, profetica e regale
di Cristo, sono chiamati ad attuare la missione che Dio ha affidato alla Chiesa da compiere nel
mondo.
Scaturisce:
- l’esigenza di dare una dimensione giuridica all’uguaglianza dei fedeli con uno statuto comune,
contenente diritti e doveri.
I principi che guidarono la redazione dei Codici affermavano la necessità di definire tali dir\
obblighi, postivizzati nel CIC e nel CCEO; e
–l’esigenza di tutelare i dir riconosciuti a questi soggetti.
Con riguardo a queste esigenze, il principio di legalità entra in gioco, per via di un nesso funzionale
tra subordinazione alla legge e definizione e difesa dei dir, che svela una valenza garantista della
legalità canonica.
Il nesso si delinea attraverso alcuni passaggi concettuali:
1- la configurazione della legge positiva come strumento per promuovere\difendere la libertà
soggettiva dei fedeli,in armonia con la consapevolezza dell’importanza della condizione e
dell’attività d’ogni battezzato nell’edificazione del Corpo Mistico Di Cristo.
2- la determinazione della natura dei dir dei fedeli in rapporto alla legge positiva.
Al riguardo emersero 2 indicazioni:
- l’origine dei dir fu individuata nella legge divina, quindi vi era preesistenza di tali dir alla norma
positiva (strumento per proteggerli ma non FONTE) e la possibilità di qualificarli come dir
fondamentali (non accolta).
– Fu proposto di qualificare i IURA dei fedeli come dir sogg, per dare certezza ed azionabilità a tali
dir (pur in contrasto con l’origine dei dir stessi poiché propria di situazioni giuridiche attive che
presuppongono SOLO LA NORMA POSITIVA COME TITOLO DELLA LORO PREVALENZA).
3- L’identificazione tendenziale tra giurisdizionalità\legalità.
La salvaguardia dei dir dei fedeli fu ricondotta ad una sua condizione d’efficacia: la presenza di un
controllo giudiziale sugli atti di governo, la possibilità d’accedere al processo giudiziario, le relative
caratteristiche d’imparzialità per far valere la lesione amministrativa di un dir. (PRINC DI
GIURISDIZIONALITA’).
Il passo successivo,per cui è la violazione della legge il motivo d’impugnazione degli atti opposti ai
dir dalla lex formalizzati (PRINC DI LEGALITA’=RIVENDICAZ DEI DIR) contribuì la definizione della
violatio legis quale motivo di ricorso all’unico tribunale amministrativo della Chiesa,la Sectio Altera
della Segnatura apostolica.
3- Definizione del binomio legalità\diritti in relazione al rapporto tra società ecclesiale\società
civile, in virtù di una duplice suggestione: da una parte,gli insegnamenti del Conc. Vatic II sulla
promozione e difesa della dignità e dei dir della persona nelle comunità statali incoraggiarono
il diffondersi d’istanze di salvaguardia di tali diritti anche in Ecclesia;
e dall’altra parte ciò poteva esser assicurato con lo strumento tipico di garanzia giuridica degli
ordinamenti: la legalità ed i suoi corollari tecnici.
In sintesi: nel diritto canonico vigente il principio di legalità si è affermato (anche)in funzione di un
nuovo soggetto,il christifidelis, sul presupposto che la salvaguardia di quanto attiene alla
condizione ontologica di tale soggetto e gli e,pertanto,dovuto,passi attraverso la riconduzione dell’
esercizio del potere ai diritti mediante la legge.
Tuttavia nella Chiesa, la configurazione della legalità come principio di garanzia della sfera
d’intangibilità della persona non si sovrappone alla configurazione della legalità come principio
d’autorità, espressione del potere di decidere\punire: nel dir canonico vi è una formulazione
dogmatica ai sensi della quale spetta all’autorità ecclesiastica moderare l’esercizio dei dir che sono
propri dei fedeli intuitu boni communis.
Questi canoni consentono d’emanare provvedimenti di carattere generale per circoscrivere
l’esercizio dei dir secondo quanto richiede il bene comune. E’ quindi la generalità della legge che
garantisce la conoscibilità a priori della moderazione dei dir, moderazione che può vedersi come
riconduzione dei dir dei fedeli alla dimensione di giustizia dalla quale scaturiscono (e in ragione
della quale,la moderazione non può mai esser un disconoscimento dei dir: d’es. sono:-alcuni esiti
del processo di riforma del dir penale canonico, come le facoltà concesse da BENEDETTO XVI alla
Congregazione per l’evangelizzazione dei Popoli e quella per il clero in tema di dimissioni dallo
stato clericale: queste congregazioni possono presentare al PONTEFICE i casi di chierici colpevoli di
delitti per la dimissione ex officio in poena.
A seguito di una procedura amministrativa, che termina con decreto non impugnabile (approvato
in f. specifica dal Pontefice) i chierici sono dimessi non solo per i delitti che includono la pena della
dimissione per gravità della violazione e permanere dello scandalo ma anche in ragione di una
norma che autorizza a qualificare ex post come delitto la violazione di una legge non penale
(punita con sanz non stabilita).
– la normativa sui delicta graviora nei quali è incluso il reato contro il 6° comandamento del
Decalogo commesso dal chierico con un minore di 18anni. Con le norme promulgate dal
Sacramentorum sanctitatis tutela si erano definiti i delitti graviora, la prescriz ( 10anni) e che
potevano esser perseguiti solo per via giudiziale.
La normativa vigente attribuisce però, alla Congregaz per la Dottrina della Fede il dir di derogare al
termine di prescriz in singoli casi; la facoltà, fatto slavo il dir alla difesa, di sanare atti posti in esser
in violazione delle sole leggi processuali daitribunali inferiori; facoltà di dispensare dalla via
processuale; di presentare i casi + gravi al Papa per la dimissio, la statu clericali o per la depositio.
E’ prevista procedura speciale in caso di ricorsi contro provvedimenti amministrativi singolari
emessi dalla stessa Congregazione sui delitti riservati (impugnati solo davanti alla Congregazione
ordinaria, FERIA IV, dello stesso dicastero, che decide nel merito e nella legittimità, escluso ricorso
per violatio legis alla Segnatura Apostolica). Queste sono riforme del dir penale canonico
presentate come momenti anticipatori della revisione, iniziata nel 2008 ed ancora in corso, del
LIBRO VI del Cod. di dir canonico(DE SANCTIONIBUS IN ECCLESIA).

RILIEVI CONCLUSIVI.

Considerata in prospettiva funzionale,la legalità canonica presenta almeno 3 volti: è principio,è


idea-forza, è metodo.
(3 volti differenti ma,al contempo,connessi da un rapporto di reciproco riferimento,all’interno del
quale è la legalità come principio che determina le condizioni d’uso della legalità come idea-forza e
come metodo).
L’elaborazione del ius Ecclesiae mediante e secondo legge,determinata dal Codex Iuris Canonici
del 1917,definisce un’analogia metodologica tra diritto statale continentale e diritto
canonico;analogia fondata sulla comune valorizzazione della legge formale quale principale e
prevalente strumento per l’edificazione della dimensione giuridica della società. Un’analogia con
l’esperienza statale si delinea anche sotto il profilo funzionale.
Come il movimento per la codificazione,definitosi nel XVIII secolo,scaturì dal bisogno di ricomporre
la molteplicità delle fonti,superando lo stato di incertezza e il particolarismo del diritto comune,
così il primo Codice canonico del 1917 fu elaborato per ricomporre l’immenso e caotico assetto
delle fonti del diritto costituitosi intorno al corpus iuris canonici.
Presupposto su cui poggia questa relazione di coesistenza e i due volti della legalità canonica come
metodo e idea-forza,è la legalità come principio. Lo “stare prima” della volontà divina rispetto ad
ogni manifestazione della giuridicità invera la struttura essenziale dell’idea di legalità e dà
peculiare consistenza teorica al ricorrere della formula di “principio della legalità” nel diritto
ecclesiale.
In particolare,la priorità assiologia,strutturale e cronologica fra valori divini e soluzione giuridica
umana realizza i compiti usualmente svolti o attribuiti alla legalità come principio nel pensiero
giuridico-politico occidentale:presupporre o esigere un rapporto di coerenza valoriale tra legge
positiva e i fondamenti dell’ordinamento;assicurare che gli atti autoritativi,inclusa la legge,siano
posti da soggetti a loro volta costituiti ed autorizzati; garantire la prevedibilità delle qualificazioni
giuridiche di comportamenti e fatti. Col che la volontà divina relativizza e ,al contempo, fonda in
modo radicale la forza obbligante della lex positiva.
Tale obbligatorietà si declina,poi,in ragione delle modalità umane di accoglienza dei valori divini;
da ciò la molteplicità,discontinuità, provvisorietà delle norme particolari che avverano il dato
divino. Da ciò,ancora, la possibilità che la non obbedienza alla norma positiva sia un atto
rispondente al principio di legalità se atto motivato dalla dissonanza,nella formulazione o negli
esiti,tra prescrizione positiva umana e volere divino.
Nel ius Ecclesiae emergono i margini di configurabilità di una crisi della legalità.
Impensabile una crisi della legalità come principio. Impensabile cioè un ordine giuridico canonico
che non si costruisce intorno al suo nucleo fondante. Più probabile una crisi della legalità originata
dal contrapporsi o sovrapporsi di diverse interpretazioni della volontà divina;o da
scelte,consapevoli o inconsapevoli,di non adesione a tale volontà.
Oggettiva,invece,una crisi della legalità come metodo o,meglio, una crisi degli esiti dell’accoglienza
del moderno metodo della legalità nell’ordina canonico. La concezione del diritto quale esigenza
della natura sociale e gerarchica della Chiesa,insieme di norme generali ed astratte che esigono di
essere applicate,giacchè fondate sulla potestà gerarchica di giurisdizione,è stata intaccata dal
processo di ridefinizione della natura della chiesa apertosi con il Vaticano II e dalla conseguente
necessità di ridefinire la natura e la legittimità del diritto nella chiesa.
Quanto alla legalità come idea-forza,una perdita di senso della presenza di formulazioni
dogmatiche della legalità nel tessuto normativo canonico può rinvenirsi nel non pieno
conseguimento dell’obiettivo di fondo sotteso a tali formulazioni:ricondurre l’esercizio del potere
al diritto e ai diritti. Ricorre,al riguardo,il dato empirico dei casi di violazione da parte dell’
episcopato del dovere di governare ad norman iuris.
Questo dato rivela una resistenza alla recezione del paradigma della legalità quale strumentazione
tecnico-normativa che,oggettivando le esigenze di giustizia ,è funzionale al riconoscimento e
conseguimento di tali esigenze da parte di chi governa. Ancora, il fatti dell’inoperatività dei
richiami testuali alla legalità mostra una resistenza alla recezione dello schema interpretativo che
affida alla evidenza della comune e uguale subordinazione al diritto(uguaglianza dinanzi alla legge)
la ricomposizione e tenuta del rapporto tra gerarchia e fedeli,tra governati e governanti.
Certamente, il diritto canonico,nell’orizzonte metafisico che gli è proprio,è parte della chiesa,è un
mezzo necessario per garantire il soddisfacimento delle esigenze di giustizia (naturali e
soprannaturali) degli uomini che costituiscono la chiesa.
***
Le tre dimensioni assunte dalla legalità nel ius ecclesiae si riflettono e trovano esplicitazione nella
gerarchia delle fonti. Trattasi di un profilo del diritto della chiesa che invera un tratto
paradigmatico del concetto di legalità:la legalità come conformità al diritto sulla produzione del
diritto,regola sulla produzione normativa che ordina gerarchicamente l’assetto delle fonti e si
risolve nel rispetto di tale ordine.
Trattasi,ancora, di un profilo del sistema giuridico della chiesa che svela lo specifico significato
della supremazia della legge nell’ambito organizzativo-istituzionale del rapporto tra poteri. La
gerarchia formale delle fonti,costruita sulla prevalenza della legge su fonti secondarie,è parte del
progetto-abbozzato sin dal cum iuris canonice codicem del 1917-; della costruzione del sistema
ecclesiale quale sistema logico e coerente,incentrato sulla procedimentalizzazione della funzione
normogenetica e sulla diversa forma ed efficacia degli atti nei quali questa funzione si esprime,di
modo che la posizione gerarchica della norma dipende dalla sua forma.
Progetto perseguito e perfezionato con la seconda codificazione canonica e con la cost. ap. Pastor
Bonus. E ciò per una ragione: ordinare il rapporto tra le leggi pontificie e gli atti normativi delle
Congregazioni romane,utilizzare il richiamo alla inderogabilità della legge al fine di escludere che la
curia romana,organo non appartenente alla costituzione divina della chiesa,eserciti,nei fatti,il
potere legislativo sui fedeli.
Data questa funzione della sancita prevalenza della legge formale,l’operato della curia romana che
agisce attraverso atti informali e contraddittori,elaborati in violazione delle regole sulla produzione
normativa,evidenzia una crisi della legalità quale norma sulla normazione.
Ciò posto,nel diritto canonico il criterio che predetermina i processi di produzione giuridica e la
validità degli atti che risultano da tali processi è la gerarchia soggettiva delle fonti,in ragione della
quale le norme del legislatore infra auctoritatem supremam non possono
contraddire,direttamente,il diritto superiore. Ciò risponde a una esigenza precisa: assicurare che
ogni atto normativo sia conforme,nel contenuto e nelle modalità di produzione,a quanto deciso
dal Romano Pontefice. Assicurare cioè la riconduzione ad unità dei molteplici atti di
manifestazione della giuridicità ecclesiale articolata fra dir universale e dir particolare,fra chiesa
universale e chiese locali.
Sotto questo profilo,pertanto,la gerarchia soggettiva delle norme è uno strumento tecnico che
evidenzia e salvaguarda la ragione comune,il comune fondamento delle leggi canoniche.
Può al riguardo,sostenersi che la funzione di fattore unificante del sistema,individuata dalla
dottrina secolare nelle costituzioni e nel progetto costituzionale, è svolta nell’ordinamento
canonico dalla supremazia del diritto superiore.
La puntualizzazione del rapporto che intercorre tra la prevalenza del isu superiore e la natura della
chiesa come comunione e mistero di unità ha mostrato la funzionalità piena della gerarchia
soggettiva delle norme ad esprimere e salvaguardare,in ambito giuridico,le verità costitutive
dell’esperienza cristiana.
Guardata attraverso il prisma della gerarchia,la formula verbale “legalità” esprime dunque un
contenuto perenne:la prevalenza del dir superiore quale dir posto da chi ha il potere vicario di
interpretare,in via definitiva,il progetto divino.
La consuetudine canonica,quale fonte di rango primario che avvera tutti i caratteri dell’interazione
fra volontà divina e risposta umana,è parte ed elemento costitutivo di un sistema di costruzione e
validazione della norma canonica non rigorosamente gerarchico,ma reticolare e dialogico.
Senza essere espressione di un potere legislativo formale dei fedeli e senza significare o preludere
a una concezione contrattuale della legge canonica,la consuetudine evidenzia per sé la possibilità
di una ricerca ed elaborazione della norma opportuna e giusta compiuta da tutta la comunità
ecclesiale. Trattasi di un profilo del sistema di produzione del ius ecclesiae che si ricollega alla
dimensione sinodale della chiesa,quale assemblea di cristiani che decide insieme.
Dinamica sinodale: una pluralità di soggetti converge in una decisione con diversa forza vincolante
ecclesialmente autoritativa.
Il coinvolgimento e l’ascolto dei destinatari della legge si configura quale orizzonte del modo
d’essere della legalità che accomuna l’esperienza giuridica ecclesiale all’interpretazione della
dottrina statale che vede nella partecipazione il nuovo volto della legalità. Col che i due diversi
paradigmi,quello della legalità canonica quale adesione alla volontà divina e quello,in crisi, della
legalità statale moderna,fondato sulla sostituzione della volontà divina con la volontà del
legislatore,convergono nel riconoscere la ricerca del giusto quale compito di tutti.

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