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DIRITTO PUBBLICO

Capitolo 1: Ordinamento, diritto, stato

Diritto, storia, funzione sociale

È funzione propria del diritto l'aspirazione a svolgere una funzione di guida, di controllo e di
stabilizzazione dei comportamenti individuali e collettivi, nonché delle aspettative di
comportamento dei singoli da parte dei consociati. Il diritto è un insieme di precetti rivolti a
determinare:
a) La repressione di comportamenti socialmente illeciti;
b) L'allocazione a individui e collettività di beni e servizi;
c) L'istituzione e allocazione di poteri pubblici.
Questa Tripartizione potrebbe rispecchiare un'evoluzione storica del fenomeno giuridico, sia sotto
il punto di vista sociale, sia da quello materiale; d'altronde. L'analisi inerente alle funzioni del
diritto si è sempre più affiancata a quella relativa alla struttura: Analisi funzionale, analisi
strutturale sono entrambi irrilevanti per la comprensione del fenomeno giuridico. Così, secondo
una progressione che aggiunge ciascuna funzione alla precedente, dalla funzione di repressione si
genera il diritto penale; da quella di allocazione il diritto civile, ma anche quello commerciale,
nonché parte di quello amministrativo e di quello tributario; da quella di istituzione il diritto
costituzionale e, lato sensu, quello pubblico, comprendendo il diritto processuale, nonché la
maggior parte di quello amministrativo e tributario (con molteplicità che può essere semplificata
nella elementare dicotomia tra diritto pubblico e privato). A tali funzioni, però se ne dovrebbe
aggiungere una quarta tramite il suo carattere coercitivo, verso:
d) la stabilizzazione delle aspettative comportamentali, che ha funzione di assorbimento del
conflitto sociale.
Il diritto nasce come ripetizione più o meno uniforme di comportamenti accompagnati
progressivamente dalla convinzione diffusa dell'obbligatorietà degli stessi portando la formazione
della consuetudine. Di tale consuetudine si opera poi, lentamente, una qualche forma di recezione
entro modelli più evoluti in cui la scrittura delle norme, e soprattutto il generarsi di un’autorità
qualsivoglia, capace però di imporre, crea il primo nucleo di quello che sarebbe poi diventato il
diritto moderno. Tale processo si fonda essenzialmente sull’affermazione di un dispositivo di
potere che assume le tre modalità delineate da Max Weber del potere carismatico, di quello
tradizionale e di quello razionale: è evidente come quest'ultima sia prevalentemente posta alla
base della formazione del diritto moderno. Dall’origine consuetudinaria del diritto primitivo il
diritto si trasforma in unità di dominio che sia in grado di imporre regole di comportamento e di
punire la violazione dapprima con la sola attività dei giudici, poi con la legge posta da un monarca
o da un Parlamento eletto: da qui sorge la concezione della coercitività del diritto, inteso come il
suo carattere saliente (il diritto nascente dalla norma consuetudinaria resterà anche negli
ordinamenti moderni come elemento rilevante). Con l'evoluzione dei modelli, dunque, il diritto
non scritto (efficace in società arcaiche ma poco funzionale alla necessità di un'uniformità proprie
della società più evoluta) si trasforma in diritto scritto (ben più idoneo un’applicazione omogenea
alla realizzazione di quel principio di certezza dei rapporti giuridici): emerge qui una delle grandi
classificazioni della scienza giuridica, ossia la nitida differenza tra sistemi di common law e civil
law. I primi sono generati dalla trasformazione del diritto consuetudinario in diritto
giurisprudenziale mediante l'opera collettiva di giudici esplicitamente orientati al law finding, con
esiti poi sanciti dal monarca o dal parlamento in forma legislativa; I secondi sono costruiti
progressivamente come sistemi in cui invece il diritto scritto, posto dal sovrano, avrebbe avuto
sempre maggiore prevalenza, legando di fatto quello consuetudinario in una posizione marginale
(qui i giudici dovrebbero essere piuttosto meri applicatori della legge posta al sovrano). Un primo
momento rivoluzionario per la costituzione del diritto moderno si ha con la grande riforma
Pontificia operata da Gregorio VII (XI), allorché si va lentamente creando un vero e proprio
ordinamento canonico che intende disciplinare la chiesa cattolica raccogliendo e sistemando le
numerose disposizioni fino ad allora disordinatamente succedutesi nei secoli, creando un corpus:
questo porterà i nascenti stati a generare propri ordinamenti in grado di contrapporsi a quello
canonico per assicurare la propria identità e la propria indipendenza, nonché il carattere secolare
(ossia non sacrale) del proprio diritto (col passare dei secoli vi furono varie teorizzazioni del
principio di divisione dei poteri da parte di Locke e Bolingbroke in Inghilterra, e di Montesquieu in
Francia. Da qui nascerà il costituzionalismo moderno che giungerà, nelle sue diverse declinazioni,
fino ai giorni nostri e che farà della tutela di un nucleo primario di diritti di libertà e del citato
principio di divisione e separazione dei poteri i suoi cardini essenziali). Con la pace di Augusta
(1555), dove si affermò l'indipendenza religiosa degli stati, e con quella di Westfalia (1648), che
sancì definitivamente l'affermazione della sovranità statuale e la stessa creazione di un diritto
internazionale, la storia del diritto diventa essenzialmente storia dei diritti nazionali,
rappresentando una graduale evoluzione strutturale di ordinamenti giuridici autonomi che
determinano le proprie modalità di produzione e tentano di concentrare al massimo sia la
produzione sia l'applicazione del diritto posto dal sovrano, generando la lenta ma inarrestabile
affermazione dei principi dello Stato di diritto, della sua divisione di poteri e degli istituti a questa
correlati, per arrivare infine all'emersione delle costituzioni rigide. Il grande progressivo processo
di codificazione è lo specchio del compimento di una profonda metamorfosi funzionale del diritto.
Quest'ultimo, infatti, vede la sua origine ormai definitivamente posta in un paradigma discendente
assai più consono, un modello sociale in cui l'autorità pubblica e l'egemonia delle classi borghesi
mercantili richiedevano certezza dei rapporti giuridici. Nei sistemi continentali in cui il diritto
scritto è assolutamente prevalente, il processo di codificazione ha infine una valenza epocale,
serve a: superare l'incerto uso del diritto romano come diritto comune, concentra l’attenzione dei
giuristi e degli operatori pratici del diritto sulla disposizione, sviluppa le tecniche delle
interpretazione testuale, genera alcuni importanti dogmi teorici (come quello della completezza
dell'ordinamento e delle tecniche di eliminazione) e infine rende possibile l'attuazione di quel
principio di esclusività, monopolio della produzione giuridica in capo allo stato. Non solo: la
codificazione del diritto consente il progressivo stacco della prospettiva giusnaturalistica, portando
l'origine del diritto nell’autorità sovrana, secondo un principio già affermato da Hobbes nel
Leviatano: il diritto positivo diventa dunque il fulcro del fenomeno giuridico reale e la sua
creazione spetta solo allo stato, e la stessa scienza giuridica assume una prospettiva sempre più
informata a un giuspositivismo di tipo normativista che troverà in Kelsen il suo esito teorico più
noto ed evoluto. (La teoria della costruzione a gradi dell'ordinamento giuridico definisce un livello
primario e uno secondario di normazione, il primo affidato agli organi legislativi, al secondo
all'asse monarca esecutivo in una sorta di traduzione giuridico-formale della progressiva
sottomissione politica di quest'ultimo al Parlamento e ai ceti borghesi che ne erano divenuti
l’ossatura). Ovviamente, tale processo si svolse in stretta connessione con l'evolversi della forma
di Stato che, dalla forma liberale dello Stato di diritto ottocentesco si mosse verso il paradigma
dello Stato sociale (Welfare State) del secondo dopoguerra, fondato sull’emersione della nuova
categoria dei diritti sociali (già anticipata tra il 1919 al 1933 dalla costituzione dell’infelice
repubblica Weimeriana) e sul faticoso perseguimento di un eguaglianza di tipo sostanziale, nonché
di un processo di metamorfosi della forma di governo che modificò la propria struttura, in
precedenza dualista, in una monista, fondata essenzialmente su una sovranità popolare espressa
da un Parlamento rappresentativo con cui l'indirizzo politico esecutivo, seppure in misura diversa
secondo la forma di governo vigente, deve stabilmente confrontarsi.

Ordinamento e giuridicità

Il concetto di ordinamento è legato all'idea di ordine. L'ordinamento è ordine in un duplice senso:


strutturale in quanto sistema ordinato di parti, e teologico, cioè a dire finalistico, perché voluto
alla produzione di un ordine sociale. Il termine diritto può indicare sia l'insieme delle norme
dell'ordinamento (in senso oggettivo), sia gli aspetti subiettivi del diritto (in senso soggettivo).
Dunque, esiste un’evidente priorità logica del primo rispetto al secondo, giacché le singole
pretese soggettive sarebbero inconcepibili, senza una norma giuridica che le prevedesse e
disciplinasse.

A questo proposito va rammentato che la qualificazione di soggetto nell’ordinamento appartiene a


tutti gli individui (persone fisiche) che operano e interagiscono nell’ordinamento medesimo, anche
se privi della capacità di agire, cui si aggiungono enti (persone giuridiche), composti in genere da
un’unione di persone con lo scopo di realizzare determinati interessi o da una struttura volta a
perseguire i fini determinati o determinabili, nonché la collettività e persino l'intero popolo. Le
varie posizioni subiettive ascrivibili al singolo soggetto sono ricondotte sotto l'etichetta unitaria,
comprensiva di situazione giuridica soggettiva; l'idoneità ad essere titolari si definisce
tradizionalmente capacità giuridica (è l'ordinamento, vale a dire il diritto in senso oggettivo, a
statuire che per i soggetti/persone fisiche la capacità giuridica si acquista al momento della
nascita. Alcune norme, non avendo come destinatari tutte le persone fisiche, limitano la capacità
giuridica dei soggetti esclusi). Diversa poi dalla capacità giuridica è la capacità di agire, cioè
l'idoneità del soggetto a compiere direttamente attività rilevanti per il diritto o meglio, a realizzare
atti che producono effetti di tipo personale o patrimoniale. Essa si acquista con il raggiungimento
della maggiore età (in presenza di situazioni che rendono il soggetto, in tutto o in parte, incapace
di curare i propri interessi, l'ordinamento prevede che la capacità di agire possa essere limitata o
esclusa). La giuridicità è quindi qualità che attiene alla condotta sia come prospettata dalla norma,
sia come conformemente possa essere dal destinatario della norma stessa.

L'ordinamento quindi, piuttosto che dal fatto, sorge piuttosto sulle ceneri di un precedente
ordinamento e quindi il passaggio dialettico non è tra caos e ordine, bensì fra due ordini diversi.
Un ordinamento per definirsi tale deve possedere almeno due caratteristiche: un sufficiente grado
di organizzazione e una pretesa esclusività delle proprie valutazioni e dei propri comandi; qui vi è
la radice della pluralità degli ordinamenti giuridici: l'ordinamento deve a sua volta essere valutato
e qualificato giacché per ordinare deve risultare esso stesso ordinato. Perciò, accanto alle norme
ordinative della realtà esterna (regole di comportamenti), esso annovera altre norme ordinative,
si, ma dell'ordinamento stesso (regole organizzatorie, costitutive della normazione, della
soggettività, etc.). Si tratta a questo punto di definire, in chiusura, i caratteri tipici di ogni
ordinamento giuridico: si trae il requisito necessario della plurisoggettività, onde solo in presenza
di una pluralità di soggetti, destinatari delle prescrizioni (va tenuto presente l'aspetto indeclinabile
della normazione, in assenza del quale nessun ordinamento giuridico sarebbe neppure pensabile).
Il diritto come linguaggio e come significato: l'interpretazione

La forma comunicativa del diritto suppone l'utilizzo di un linguaggio che è in buona misura quello
comune, seppur con significative espressioni e formule di tipo tecnico. Nel diritto moderno ciò
avviene attraverso il linguaggio scritto, ossia mediante il ricorso ad atti, documenti e testi
normativi.

Fra i diversi generi di linguaggio (descrittivo, espressivo, prescrittivo) il linguaggio giuridico


appartiene essenzialmente al tipo prescrittivo in quanto ‘’possiede un elemento caratteristico che
è la forza precettiva, cioè la capacità di modificare il comportamento del destinatario’’. Il
linguaggio giuridico può ricorrere anche a formulazioni, sintagmi, proposizioni di carattere
descrittivo e persino espressivo. Non bisogna tuttavia dimenticare che la prescrittiva è attributo
del sistema giuridico nel suo complesso, il quale, in ragione della comune appartenenza ad esso, lo
trasmette ad ogni sua più risposta parte; l'enunciato linguistico prescrittivo si definisce
disposizione. Per attribuire il significato ai termini, sintagmi e alle espressioni utilizzate dall’autore
dell’atto, vi è un'operazione che si definisce normalmente come interpretazione (interpretare
significa quindi ascrivere senso agli enunciati di cui esso si compone e quindi mediamente al testo
medesimo). Nella nostra tradizione giuridica il significato attribuito all'enunciato prescrittivo,
dotato di valore autonomo, si definisce come norma. L'interpretazione è quella attività ascritta di
senso attraverso la quale l'operatore giuridico trae dalla disposizione la norma. Insomma, se la
disposizione è il significante, la norma assume la veste di significato.

Per procedere all'interpretazione di un enunciato giuridico prescrittivo, l'operatore giuridico può


attingere diverse modalità di tecniche ermeneutiche. Bisogna innanzitutto menzionare
l'interpretazione letterale, secondo la quale, utilizzando la formulazione dell’art. 12* delle
disposizioni preliminari al codice civile, l'enunciato prescrittivo va interpretato tenendo conto del
‘’senso (…) fatto palese dal significato proprio delle parole, secondo la connessione di essa’’ si
tratta di un interpretazione dichiarativa che, senza dare rilievo ad elementi extra-testuali o
esprimere intenti pagamenti correttivi di quelli che risulta dalla lettura dell’enunciato, si limita a
prendere atto di quanto obiettivamente espresso nel testo sottoposto ad esegesi. Quanto al
significato proprio delle parole esso va innanzitutto colto non facendo leva sul singolo termine in
sé considerato ma nella connessione delle parole fra loro (il fatto è però che il significato delle
parole e degli enunciati è tutt'altro che proprio. Può soccorrere in questo caso il ricorso
all'interpretazione teologica che fa riferimento all'intento proprio del precetto in esame.
L'interprete, oltre al significato proprio delle parole, deve fare riferimento ‘’all'intenzione del
legislatore’’).

Analizziamo ora altre tipologie di interpretazione:


 Innanzitutto, rammentiamo l'interpretazione sistematica, caratterizzata dal fatto che
l'attribuzione di senso all'enunciato avviene mediante un'operazione di lettura dello stesso
nel contesto normativo in cui è direttamente inserito o nell'ambito del settore materiale di
riferimento o anche nel quadro complessivo dell’ordinamento giuridico;
 Ad essa va aggiunta l’interpretazione evolutiva secondo la quale il significato viene ricavato
alla stregua del processo di sviluppo che normazione, costume, cultura, economia del
gruppo sociale di riferimento hanno subito nel corso del periodo di vigenza dell'enunciato
stesso;
 Da richiamare in tale sede è anche l'interpretazione adeguatrice che si ha ogni qual volta
che si attribuisce all'enunciato il significato che lo rende conforme a quello di una
prescrizione di rango superiore.

In relazione alla provenienza dell’operazione ermeneutica, si distinguono in proposito:


 Un'interpretazione privata, che identifica l'attività ermeneutica svolta da soggetti che non
sono dotati di specifica autorità riconosciuta dall’ordinamento. Essa può essere di tipo
dottrinale (Cioè dei giuristi la cui autorevolezza è in grado di influenzare l'attività del
giudice), ma anche relativa all'avvocato (che è rivolta specificamente al giudice nell'ambito
di una specifica controversia, è caratterizzata per la sua finalizzazione all'interesse della
parte e per un più deciso orientamento ai fatti).
 Un'interpretazione ufficiale, con cui si intende quella resa da organi dei pubblici poteri
nello svolgimento delle loro funzioni. Vi rientrano in essa l'interpretazione della pubblica
amministrazione (resa nell’esercizio di attività deputate esplicitamente alla funzione
ermeneutica) e l'interpretazione giudiziaria (espletata dai giudici nello svolgimento della
funzione giurisdizionale. Questi ultimi sono chiamati a risolvere le controversie ad esse
sottoposte applicando la legge. Pur se giuridicamente circoscritta a quest'ultimo,
l'interpretazione giudiziaria può assumere anche un’efficacia persuasiva di più ampia
portata, specie se resa dalla Corte di Cassazione), oltre che un'ultima specie relativa
all’interpretazione autentica, vale a dire dall’esegesi posta in essere dall’autore del
documento interpretato (particolare rilievo assume l'interpretazione autentica legislativa,
realizzata attraverso l'adozione di una legge interpretativa che assume ad oggetto una
legge preesistente, acquisendo capacità vincolante generalizzata ed efficacia retroattiva).

Tratti differenziali della norma giuridica

Le regole di cui si compone il diritto oggettivo sono prescrittive-conformative, in quanto poste da


atti o fatti a loro volta prescrittivi. All'interno del genus regola giuridica è necessario distinguere
una species costituita dalla norma giuridica. L'ordinamento, in quanto complesso sistema di regole
qualificatorie della condotta umana in via esclusiva, conosce infatti regole normative. È
necessario, pertanto, che si vada ad individuare gli elementi caratteristici della norma in forza dei
quali la differenziazione risulta possibile. La prospettiva più a lungo seguita dalla riflessione
giuridica per individuare la nozione di norma è stata quella teorico-generale, volta ad individuare
un concetto sostanziale di norma rispondente ad alcuni precisi caratteri strutturali. Di seguito sono
riportati molteplici elementi costitutivi:

 Esteriorità: la norma giuridica si contrappone alla norma morale, concepita da Kant come
l'interiore legge dell’individuo. La regola giuridica si caratterizza ordinariamente per il fatto
di essere attuate da un soggetto diverso dal suo destinatario (eteronomia). La condotta
qualificata della regola giuridica è valutata oggettivamente al netto degli elementi
intenzionali che ne costituiscono il movente soggettivo (oggettività).
 Coercibilità: può essere intesa come presenza per ogni norma di una sanzione disposta in
caso di trasgressione, onde la normatività di una regola giuridica discenderebbe
direttamente dal fatto di essere assistita da altra norma sanzionatoria (Anche la norma
sanzionatoria avrebbe bisogno di una correlativa sanzione per la sua inottemperanza).
 Bilateralità: La norma insiste su un rapporto incentrato sulle figure contrapposte del diritto
e dell'obbligo: da un verso essa non porrebbe tener conto dell’esistenza di figure
soggettive attive cui non corrisponderebbe le rispettive situazioni passive; dall'altro non
renderebbe ragione della presenza di doveri, ovvero di situazioni di permissione e di
libertà, cui non corrispondono rispettivamente, diritti di chicchessia, né obblighi di non
impedire.
 Imperativi e giudizi: L'imperativismo è un comando in cui vi è contrapposizione fra la
volontà di chi comanda e quella di chi riceve il comando per cui l'imperativo giuridico è
contrapposto la volontà del destinatario.

Fra i caratteri differenziali è da includere la generalità: rappresenta l'essenza del concetto stesso di
legge e di norma che non può non essere generale (cioè riferibile a tutta una serie insieme di
individui contraddistinti aggrappati e sussulti alla legge o alla norma, proprio in quanto rientranti
in un unico genere) ma che tuttavia è in grado di declinarsi volta per volta in una serie di precetti
individuali, riguardanti analiticamente ciascun individuo. Infine è da precisare come il profilo
fondamentale dell'indeterminatezza a priori del destinatario sia un carattere fondamentale: esso
precisa il concetto di astrattezza secondo cui la prescrizione normativa si segnala per il fatto di
rispondere alla struttura di carattere ipotetico (Kelsen) riassumibile nella formula ‘’se c'è A allora
B’’ dove A è la fattispecie astratta prevista dalla norma, B è la conseguenza giuridica (la norma si
distingue da comando non normativo che invece risponde la formula strutturale ‘’poiché c’è A
allora c'è B’’, nella quale la conseguenza giuridica B si collega non ha un'ipotesi, bensì una
situazione concreta già verificatasi. Il fatto è però che nell’esperienza concreta dei singoli
ordinamenti si registra la tendenza a considerare normativi anche precetti che non rispondono ai
canoni della generalità astrattezza e, quindi, ripetibilità (basti pensare in proposito alle norme
retroattive che sono rivolte a disciplinare i rapporti giuridici già regolati da norme precedenti e,
dunque, sono prive di generalità indeterminatezza, avendo una platea ‘’chiusa’’ di destinatari
potenzialmente determinabile. Classico è il caso delle norme poste da leggi di amnistia e indulto
che, determinando l'effetto della cancellazione del reato o della pena e riguardando reati già
commessi e pene già inflitte, hanno una sfera di destinatari che risulta storicamente definita già al
momento in cui esse divengono vigenti. Ancor più rilevante è il caso delle norme ad effetto
individuo, che sono fenomeno della provvedimentalizzazione degli atti normativi. Si tratta in
pratica di prescrizioni legislative che per il fatto di autorizzare la ratifica di un tratto internazionale
o disporre l'espropriazione di imprese private in favore di Stato, enti pubblici o comunità di
lavoratori ed utenti alle condizioni costituzionalmente richieste, non si presentano provviste dei
requisiti sin qui individuati.

Coerenza e completezza dell’ordinamento

Abbiamo parlato dell’ordinamento come ordine in senso teologico e deontico, come ordine che
deve essere imposto alla realtà sociale (ordo ordinans); in senso strutturale e ontologico, come
ordine interno al sistema stesso (ordo ordinatus). Stiamo parlando dei caratteri della coerenza e
completezza: l’una intesa come esigenza di superamento delle contraddizioni interne, più
direttamente legata al profilo dell'ordine interno; l'altra assunta come espressione di attitudine
comprensiva, più schiettamente congiunta alla funzione conformativa ab extra. Entrambe hanno il
fine di assicurare al diritto oggettivo la capacità di disciplinare razionalmente la realtà. I problemi
della coerenza e della completezza si presentano come una vera e propria necessità deontologica,
eppure contro tale necessità congiurano almeno due problemi di ordine ontologico: l'impossibilità
materiale per l'ordinamento di prevedere le esigenze nate dall'evoluzione sociale; in secondo
luogo, il continuo germinare della normazione che può metterne in dubbio la coerenza (coerenza e
completezza sono certamente elementi necessari del ordinamento tuttavia essi devono essere
assunti quali necessità problematiche).
In una raffigurazione realistica dell’ordinamento vi è mancanza di contraddizioni: nel linguaggio
tecnico le antinomie e le lacune rappresentano, per l'ordinamento, un dato con il quale fare i
conti, frutto di un effetto ultimo del problema della sovrabbondanza o della carenza di norme. In
relazione alla maggiore o minore estensione del contrasto tra due norme si distinguono tre tipi di
antinomia:
a) totale-totale: sia se le due disposizioni hanno uguale estensione;
b) parziale-parziale: una parte dell’estensione di una disposizione coincide con una parte
dell'altra;
c) totale-parziale: l'estensione di una disposizione è parte dell'estensione di un'altra.

Solo l'antinomia totale-totale è vera antinomia (nelle altre due ipotesi le antinomie sono improprie
in quanto riguardano le sole espressioni normative – disposizioni - e si risolvono tramite l’attività
interpretativa necessaria ad enucleare le norme. Si dicono dunque proprie (reali) le antinomie che
intervengono fra norme, ed improprie (apparenti) le antinomie fra disposizioni: queste ultime
sono antinomie risolvibili tramite l'interpretazione che tragga dal testo delle due disposizioni in
contrasto di due norme, ossia due significati tra loro compatibili; le prime sono dette appunto
proprie poiché anche all'esito dell'attività interpretativa permane una situazione di incompatibilità
fra le norme. Le antinomie vere e proprie possono essere risolte soltanto dall’interprete e quindi
in buona misura dal giudice, i quali permettono di stabilire quale tra le due in contrasto sia la
norma da eliminare o da disapplicare. Se dunque l'antinomia è quella condizione di contrasto tra
due norme che appaiono potenzialmente applicabili entrambe alla medesima fattispecie, il ricorso
ai suddetti criteri è allora funzionale all’individuazione della norma effettivamente applicabile. I
criteri per la risoluzione delle antinomie nel nostro ordinamento si possono ridurre a quattro:

a) criterio cronologico: fa sì che in caso di contrasto prevalga la norma più recente rispetto a
quella temporalmente precedente. Esso si fonda sul principio per cui fra due dichiarazioni
di volontà del legislatore fra loro incompatibili va assicurata la prevalenza a quella
successiva nel tempo (tale criterio ha anche un fondamento positivo: ad esempio nel
nostro ordinamento esiste la previsione dell'art. 15* delle c.d. Preleggi). Esso definisce tre
forme di abrogazione: quella espressa, quella tacita, quella per nuova disciplina dell’intera
materia; l'applicazione del criterio cronologico ha come effetto l'abrogazione delle norme
precedenti da parte delle successive con essa incompatibili. Tale effetto consiste nella
delimitazione dell’efficacia temporale della norma più risalente nel tempo senza tuttavia
che si abbia alcuna incidenza sulla validità di quest'ultima. La norma abrogata, infatti, è
ancora presente nell'ordinamento, ma dispiega la sua efficacia solo per i fatti anteriori alla
avvenuta abrogazione. inoltre, l'effetto abrogativo oltre che automatico è anche
ordinariamente irreversibile nel senso che l'abrogazione della norma N1 ad opera della
norma antinomica posteriore N2 non può di regola essere rimessa in discussione
dall’abrogazione di N2 da parte di una successiva norma.
b) criterio della specialità: il criterio cronologico è limitato dal criterio della specialità ove le
norme in contrasto siano una generale e una speciale. La norma speciale viene preferita a
quella generale: il criterio cronologico, dunque, non sarà utile alla risoluzione
dell'antinomia se le norme in contrasto siano una generale e una speciale, salvo soltanto
l'ipotesi in cui ad essa posteriore sia la norma speciale. Il criterio della specialità ha natura
logico-teoretica ed è considerato espressivo della fondamentale istanza di giustizia
sinteticamente esposta dal principio del Suum cuique tribuere, secondo cui l'ordinamento
deve essere in grado di fornire risposte normative aderenti alla molteplicità delle
manifestazioni del reale (va
precisato che per norma speciale si intende quella che, regolando una fattispecie
particolare rispetto ad altre di maggiore ampiezza oggetto diversa norma, la sottrae alla
disciplina di quest'ultima. Ora, è alquanto intuitivo che simili qualificazioni delle norme
siano sostanzialmente relative). Infine, si asserisce che quest'ultima piuttosto che produrre
un effetto abrogativo della (più) generale, ne disponga la deroga: ne deriva quindi la
disposizione generale che non abbia irrevocabilmente perduto la possibilità di disciplinarla.
c) criterio gerarchico: il criterio gerarchico postula che fra due norme in contrasto prevalga
quella posta da fonte gerarchicamente sopra ordinata anche nel caso in cui quella posta da
fonte subordinata fosse posteriore. Il criterio gerarchico è di stretto diritto positivo (art.
134*). L'uso di tale criterio fa sì che la norma sotto ordinata venga pregiudicata non
semplicemente nella sua sfera di efficacia ma in quella di validità. Tale risoluzione è affidata
a soggetti particolari tributari della potestà di dichiarare l'invalidità della norma o
prescrizione inferiore.
d) criterio della competenza: il criterio gerarchico non sempre consente di superare
l'antinomia eventualmente accertata; non è applicabile alle ipotesi di ripartizione e
separazione delle competenze normative per i quali invece è necessario ricorrere al criterio
della competenza che si ispira al principio organizzato della distribuzione delle funzioni. Fra
due norme, l’una posta dalla fonte competente, l'altra invece da quella non competente,
va assegnata la prevalenza della prima. Anche il criterio di competenza si presenta come un
criterio di carattere positivo che può operare solo se vi siano norme che distribuiscono le
competenze normative fra organi e fonti. Tale distribuzione può avvenire secondo una
duplice modalità: la forma pura è costituita dalla riserva, in ragione del quale si realizza una
separazione fra le fonti incentrata sull’attribuzione della competenza a regolare
determinate materie con esclusione dell’intervento di altre fonti; l'altra modalità è detta
preferenza nella quale non vi è rigida separazione, bensì concorso nella disciplina di una
medesima materia da parte di fonti diverse, distinta essendo invece la tipologia del
rispettivo intervento. Il criterio della competenza determina l'invalidità della norma
incompetente. Tuttavia, la duplice modalità di presentarsi della ripartizione delle
competenze è in grado di riverberarsi sul modo di atteggiarsi dell’invalidità: in ipotesi di
riserva, alla fonte non competente è assolutamente inibita la disciplina della materia
riservata, mentre nel caso di preferenza, è possibile che alla fonte non preferita si
riconosca la capacità di disciplinare l'ambito ascritto. In sostanza il criterio della
competenza permette di distinguere le fonti del diritto in senso orizzontale e potrà operare
allorquando l'ordinamento contenga delle norme sulla produzione giuridica, che riservino a
singole fonti.

Infine, bisogna considerare come i criteri proposti per la soluzione delle antinomie possono
risultare all'atto della loro applicazione o sovrabbondanti o insufficienti: quest'ultima è
un'ipotesi limite, ma non irreale, che si verifica nel caso di due norme antinomiche con la
stessa sfera di validità contemporanea, pari ordinate, appartenenti alla stessa sfera di
competenza normativa entrambe generali o speciali per le quali dunque nessun criterio si
appalesa idoneo a risolvere l'antinomia. l'Inapplicabilità di qualsiasi criterio trasforma
un’antinomia reale in lacuna delle norme sulla normazione: il problema dell’incoerenza
normativa si presenta, allora, come problema di incompletezza metà-normativa; viceversa, se
più di un criterio è applicabile, vi sarà antinomia di incoerenza metà-normativa. Per risolvere
tali conflitti si ricorre ad un meta-criterio risolutivo, fondato su una sorta di ordinazione
gerarchica interna fra criteri: ne consegue una collocazione al più alto livello del criterio della
competenza, seguito dal criterio gerarchico da quello di specialità e, in ultimo, da quello
cronologico.

Lo Stato

L'affermazione del principio della pluralità degli ordinamenti giuridici vale a rompere il dogma
dell'esclusiva statualità del diritto e dell’identificazione necessaria fra ordinamento e stato,
nondimeno non si può con questo arrivare a negare la rilevanza che l'ordinamento giuridico
statale continua ad avere nella dinamica dei rapporti fra i diversi ordinamenti giuridici. Lo stato, in
quanto società organizzata, può senz'altro essere definito quale ordinamento giuridico in cui
aspetti tipici si traducono nel popolo (stato-collettività), nel governo (stato-governo), nella
normazione originaria prodotta dalle fonti legali (stato ordinamento-sistema di norme). Ma il quid
proprium dello Stato è rappresentato dalla sovranità ed alla territorialità congiuntamente
considerate. Il concetto di sovranità si scinde in tre aspetti: indipendenza dall’esterno, supremazia
all'interno, originarietà. Lo stato è insomma il solo ordinamento conosciuto, territoriale e sovrano.
Lo stato si presenta come gruppo sociale indipendente da ogni istanza esterna. Ma se il gruppo
indipendente e il potere intorno a cui il raccolto a sua volta indipendente e superiore ad ogni altro
potere possibile, l'ordine del gruppo complessivo non può che promanare da contesto potere e
non può non essere da esso dominato e, nel suo ambito, onnicomprensivo.
L'ordine o ordinamento della comunità statale è perciò originario.

Ora, se lo stato è ordinamento giuridico territoriale-sovrano, negli stati democratici la sovranità è


sempre più esplicitamente attribuita al popolo inteso come universalità dei cittadini viventi. La
distinzione tra società civile e società politica, dall’antico dualismo di rex e regnum (di governanti e
governati), tende a convertirsi in una distinzione dialettica logicamente storicamente
ineliminabile, ma rivolta alla realizzazione dell'effettivo autogoverno della società civile ossia la
riduzione tendenziale dello Stato governo nello stato comunità delle autorità nella libertà in nome
di una sovranità che non può legittimarsi nel suo effettivo appartenere allo stato se quest'ultimo
non tende a realmente identificarsi con il popolo che ne è il programmatico titolare.

Le forme di Stato

La locuzione ‘’forma di Stato’’ sta tradizionalmente ad indicare il rapporto che intercorre tra i
titolari dei poteri supremi (governanti) e società civile (governati) e si distingue dall'espressione
‘’forma di governo‘’, la quale sta diversamente da indicare i modi in cui il potere distribuito fra gli
organi dello Stato-apparato. Costituiscono una forma di Stato lo stato di diritto, lo stato assoluto e
lo stato di polizia, mentre sono forme di governo il governo parlamentare, la monarchia
costituzionale e la Repubblica presidenziale (l'affermazione di una determinata forma di governo
risulta non di rado possibile solo all'interno di una specifica forma di Stato e viceversa).

I diversi criteri in base ai quali tradizionalmente sono state individuate le varie forme di Stato
consentono ora di classificare queste ultime in relazione:
a) Alla struttura dello Stato e in modo particolare alla dislocazione spaziale del potere
pubblico:
questo primo criterio consente di distinguere due tipi di Stato: Stato unitario e Stato
composto. Per Stato unitario si intende quello nella quale sul popolo e sul territorio si
organizza un unico governo sovrano realizzandosi così una sintesi dei tre elementi
costitutivi dello Stato (il popolo, il territorio, la sovranità); per Stato composto si intende
quello in cui al governo centrale si contrappongono vari governi locali, ciascuno dei quali
avrebbe titolo per considerarsi statale. Il criterio di classificazione delle forme di Stato in
esame fa perno sulla dislocazione spaziale del potere pubblico (su come cioè gli apparati di
governo si collegano e si distribuiscono sul territorio nazionale); tale dislocazione viene
solitamente distinta in tre Ideal tipi: accentrata, decentrata, federale. Lo stato unitario
costituisce la sintesi dei tre elementi costitutivi dello Stato. È chiaro come esso nasca quale
‘’Stato accentrato’’, cioè si qualifica per la concentrazione di tutte le funzioni fondamentali
negli organi dell'apparato centrale dello Stato. Lo stato unitario tende a trasformarsi da
stato accentrato a stato decentrato, che si caratterizza in ragione del potenziamento e
della garanzia delle autonomie territoriali verso i quali si realizza un trasferimento di alcune
delle funzioni originariamente esercitate. Lo stato composto vede operare accanto al
governo centrale diversi governi locali di natura statale. Essendo ormai scomparse le unioni
di vassallaggio, il solo modello di Stato composto offerto dall’età moderna è lo stato
federale (il terzo degli Ideal tipi di dislocazione sopra elencati). Lo stato federale, spesso
descritto anche come stato di stati, può affermarsi a seguito di due diversi processi genetici
alternativi fra loro: processo centripeto e processo centrifugo. È possibile individuare alcuni
indici di differenziazione tra la forma federale e quella unitaria: il primo è quello relativo al
metodo di attribuzione delle materia; il secondo è quello dato dalla presenza negli stati
federali di una seconda camera del Parlamento nazionale; il terzo, è quello riguardante
l'attribuzione di un ruolo rilevante agli Stati-membri nel procedimento di revisione
costituzionale che gli Stati regionali ordinariamente negano alle regioni; il quarto, concerne
la competenza di darsi costituzioni; il quinto pertiene alla soggettività statuale, riconosciuta
ai primi e negata alla seconde.
b) Ai rapporti fra governanti e governati: in base ad esse è possibile operare la distinzione fra
struttura democratica e struttura autocratica: nel primo caso si avrà uno stato
democratico, uno stato cioè nel quale la titolarità del potere trova fondamento nella
rappresentanza politica; nel secondo si parlerà invece di Stato autoritario, ove la titolarità
del potere trova fondamento nella ereditarietà, nella investitura ricevuta da un gruppo di
notabili ovvero nella forza militare o di polizia (il criterio di classificazione delle forme di
Stato in esame si fonda dunque sulla dicotomia democrazia-autocrazia, poiché lo stato
democratico è quello in cui si realizza un’organizzazione costituzionale della concorrenza
pacifica per l'esercizio del potere). Per quanto riguarda la democrazia esistono due
concezioni: formale e sostanziale (la prima prevede il rispetto delle procedure
democratiche anche quando queste non garantiscono l'eguaglianza; la seconda impone
rispetto del fine dell’uguaglianza anche a scapito dell’osservanza delle procedure
democratiche. Per quanto riguarda l'autocrazia, essa è facilmente riconducibile alla
dittatura (si ritiene tuttavia che quest'ultima non possa essere ascritta al novero delle
forme di Stato, stante l'evidente condizione di precarietà e transitorietà).
c) Alla tutela dei diritti dei cittadini: questo criterio fa riferimento al livello di protezione
garantito alle situazioni giuridiche soggettive dei cittadini sulla base di esso vengono
individuati: l'ordinamento patrimoniale, lo stato assoluto, lo stato di polizia, lo stato di
diritto. l'ordinamento patrimoniale (già presente nel nell’epoca feudale), in cui risulta
assente il perseguimento dell’interesse generale, non ha un perno unitario, ma si regge su
una serie di autonome comunità; l’autorità si fonda su rapporti di scambio. Non vi è una
netta distinzione tra il bilancio statale e quello personale del re, come anche tra i beni del
re e beni dello Stato. I titolari dell’esercizio di funzioni pubbliche non sono considerati
funzionari dello Stato ma funzionari del re. La pretesa di intervento della pubblica autorità,
almeno per la soluzione di controversie fa privati, è del resto ben ammissibile (sia chiaro
però che in questa fase ‘’il diritto del singolo di fronte allo stato non trova forme di
garanzia perfezionate, e si concede al sovrano un ‘’potere di dispensa’’ caso per caso dalla
applicazione della legge’’. Si arriva così allo stato assoluto, che prevede un accentuata
centralizzazione del potere: il suo tratto peculiare è il riconoscimento al sovrano del potere
autoritario di dettare le regole in ragione di una posizione di prevalenza gerarchica rispetto
ai sudditi. Allo stato assoluto succede lo stato di polizia, che si caratterizza per la tendenza
a perseguire il benessere della polis (vale a dire il benessere della società e degli individui
che la compongono), per la cura dell’attività di governo che pretenda di essere libera nella
determinazione dei fini e nella scelta dei mezzi. La politeia di questi stati deve tendere ad
assicurare ai sudditi un più elevato livello di benessere (non si tratta di concessione ai
sudditi decise dal monarca, tuttavia è evidente che in questa esperienza inizia ad affiorare
l'interesse alla tutela delle esigenze della collettività attraverso l'istituzione del fisco, entità
a cui fanno capo rapporti patrimoniali che può essere chiamata in giudizio dal singolo e che
dispone delle risorse finanziarie per soddisfare l'eventuale risarcimento in caso di accertata
lesione di un diritto). Infine, la locuzione stato di diritto vuole esprimere ‘’la soggezione di
tutti i pubblici poteri alle norme giuridiche’’; gli aspetti più rilevanti sono: la divisione del
potere secondo cui il potere statale va ripartito tra il potere legislativo, il potere giudiziario,
il potere esecutivo; la legalità dell’amministrazione, intesa come soggezione alla legge
parlamentale anche degli organi apicali dell’esecutivo, sia come necessario fondamento
dell'azione amministrativa nella legge, che di essa determina i limiti e le finalità; la
previsione delle libertà individuali da parte della costituzione e delle leggi; l'indipendenza
dei giudici; l'eguaglianza dei cittadini davanti alla legge. Le tre funzioni principali dello Stato
di diritto sono: la funzione legislativa, con cui si intende quella attraverso la quale lo stato
costituisce e modifica l'ordinamento giuridico per il tramite di leggi, cioè atti da cui
promanano norme preventive, generali e astratte innovative dell'ordinamento; per
funzione esecutiva si intende quella attraverso la quale lo stato dà concreta attuazione
delle leggi, cura i suoi particolari interessi e realizza i suoi scopi; per funzione giudiziaria si
considera quella volta alla conservazione o alla tutela dell'ordinamento giuridico attraverso
l’accertamento della conformità o della difformità dei fatti alle prescrizioni legislative,
provvedendo a dichiarare le eventuali conseguenze in caso di difformità per il tramite di
atti giurisdizionali.
d) L'interesse pubblico in campo economico: riguarda le modalità di realizzazione
dell'interesse pubblico. In particolare, all'area dei rapporti economici è possibile
individuare tre tipi di Stato: lo stato liberale, lo stato socialista, lo stato sociale. Nello stato
liberale l'intervento pubblico in campo economico è voluto essenzialmente alla fissazione
di regole dirette ad assicurare una pacifica convivenza, confidando nel fatto che grazie alla
libera concorrenza e il libero mercato si massimizza il livello di benessere (tutto è rimesso
all'iniziativa del privato); lo stato socialista, al contrario, vede la gestione dei mezzi di
produzione del reddito affidata la pubblica autorità, e dunque tra tutti i cittadini non può e
non può esservi dunque né libero mercato né libera concorrenza, poiché tutto rientra nel
monopolio statale. Con l'avvento dello stato sociale, infine, l'azione dei pubblici è
improntata al superamento delle diseguaglianze che siano tali da ostacolare il reale
godimento dei diritti civili e politici, nonché la concreta partecipazione dei consociati
all'organizzazione politica economica e sociale del paese. In un certo senso lo stato sociale
costituisce una via di mezzo tra i due estremi (liberale e socialista). L'intervento della
pubblica autorità non può limitarsi alla sola fissazione delle regole minime di convivenza
poiché ad essa spetta adoperarsi come si è detto al fine di rimuovere le diseguaglianze (è
bene chiarire come l'attributo sociale è inteso in senso teologico e si riferisce ai principi di
diffusione e redistribuzione. Con lo stato sociale si affianca, alla tradizionale tutela della
libertà degli individui, la tutela dei diritti sociali: l'attributo sociale può essere definito in
relazione alla tipologia dei diritti di cui lo stato è tenuto a garantirne l'attuazione, ovvero il
diritto al lavoro, il diritto alla previdenza e l'assistenza sociale, il diritto pubblico
dell'economia, il diritto all'istruzione, il diritto alla salute e alle prestazioni sanitarie.

Le forme di governo

L'espressione forma di governo indica i modi in cui il potere supremo è distribuito fra gli organi
dello Stato-apparato; di conseguenza la teoria delle forme di governo consiste nella tipologia dei
diversi modi in cui si struttura e si esprime l'insieme degli organi di Suprema direzione politica
dello Stato. Nel nostro ordinamento la nozione è stata esplicitamente recepita a livello positivo
dalla costituzione all'art. 123*, laddove si prevede che lo statuto di ogni regione possa appunto
determinare, in armonia con la costituzione, la forma di governo regionale (in base al grado di
concentrazione del potere di direzione politica si distingue: un governo in forma pura quando il
potere risulta di livello assoluto; è un governo in forma mista quando la concentrazione di potere è
di livello relativo). È possibile provare ad elencare in termini generali le più importanti forme di
governo che si sono via via affermata a partire dall’avvento dello Stato moderno rappresentativo:
le monarchie costituzionali, le repubbliche presidenziali, le repubbliche semipresidenziali, i governi
direttoriali, i governi parlamentari (la Repubblica). Riguardo al governo parlamentare (il nostro
oggetto di studio, si tratta del modello che caratterizza il sistema costituzionale italiano attuale), i
suoi elementi indefettibili del sistema parlamentare sono: il governo, il capo di Stato, il
parlamento, il corpo elettorale, il rapporto di fiducia tra Parlamento e Governo. I sistemi
parlamentari possono essere identificati in base a una triplice morfologia:
a) a prevalenza del Parlamento: è quello caratterizzato da un'esclusiva attribuzione a
quest'ultimo della titolarità degli indirizzi politici, con conseguente riduzione del governo
all'organo meramente esecutivo della volontà dell'assemblea: si delinea così la forma di
governo assembleare, che può avere un buon rendimento qualora una maggioranza stabile
ed omogenea riesca a orientare le scelte fondamentali della nazione senza trascurare il
ruolo e le esigenze della minoranza.
b) a prevalenza del capo dello Stato: i due organi costituzionali non possono incidere sulla
rispettiva permanenza in carica. Sono riconosciute al capo dello Stato importanti
prerogative in relazione sia al potere esecutivo sia al potere legislativo: nomina ovvero
revoca i ministri e partecipa al bicefalismo dell'esecutivo: questo regime parlamentare è
quindi riconducibile alla cosiddetta forma dualistica.
c) a prevalenza del corpo elettorale: va rilevato come esso possa anche dirsi ‘’sistema
prevalenza del governo’’. Esige la partecipazione da parte dei cittadini alla definizione degli
orientamenti politici. Ha una struttura politica di tipo bipolare, dove gli orientamenti
politici vengono a delinearsi sotto forma di convergenza da parte dell’elettorato sul
programma elettorale del partito che ha ricevuto i maggiori consensi: in tale contesto
l'esecutivo sarà diretta espressione del partito vincente, nonché il protagonista della
determinazione della politica nazionale.
A determinare il modello concreto di governo è l'equilibrio politico su cui si assestano i rapporti tra
organi ed enti costituzionali (i sistemi costituzionali mutano di significato nel concreto evolversi
delle condizioni storiche reali).

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