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Naomi mereuti

DIRITTO COSTITUZIONALE
Abbiamo biogno di qualcuno che ci guidi , come una sorta di “Virgilio collettivo” e il problema dei
problemi risulta essere spiegare perchè un “pezzo di carta” possa essere effettivo e cioè dare
l’impronta di base alla società e allo Stato. Quest’indicazione ci viene data da una triade di studiosi
e di filosofi: Ferdinand Lassalle, Gaetano Mosca , Costantino Mortati, Jürgen Habermas e Jhon
Rawls che ci hanno dato l’idea di Costituzione come una sorta di patto e accordo. Ora quindi è
necessario non confondere mai le norme con i fatti e colui che ci invita a farlo è Hans Kelsen: egli
ci invita inoltre a distinguere l’essere dal dover essere e quindi i comportamenti così come sono
dalla regola con cui dovrebbero coformarsi. Sarà poi necessario stabilire il nesso inscindibile tra
costituzione e questione morale: dal punto di vista della scienza del diritto positiv (diritto come è
stato posto dalle collettività umane antiche e moderne) è indubbio che il diritto può avere
qualunque contenuto. Ma a ciò si potrebbe anche obiettare che non c’è forseun nesso indissolubile
tra diritto e giustizia? Se è così allora il diirtto non può disporre qualunque cosa, ma deve disporre
solo ciò che è giusto. Ma a questo punto ci possiamo interrogare su che cos’è la giustizia? Di fatto è
impossibile dare una definizione universalmente valida a questo concetto , ma è ovvio che senza
un’idea di giusizia non potremmo vivere. Infatti è necessario possedere un giudizio sullo stato delle
cose in modo tale da separare il bene dal male. Ma su cosa bisogna fondare questo giudizio circa ciò
che è giusto e circa ciò che è male?
La nostra Costituzione all’art 2 non dice solo che “la Repubblica riconosce e garantisce i diritti
inviolabili dell’uomo , sia come singolo che nelle formazioni sociali ove si svolge la sua
personalità”, ma anche che richiede “l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica,
economica e sociale”. Fu proprio Immanuel Kant ad affermare il ruolo fondamentale che non puù
non avere la legge morale, legge che lo Stato non può imporre perchè si tratta di una legge che può
fondarsi unicamnete sulla Libertà. Allora qua abbiamo il problema dei problemi: com’è possibile
che gli uomini portino dentro di sè una legge morale se nessuno la può imporre?

CAPITOLO 1
PRIMA PARTE
Ora è necessario soffermarci sul concetto d DOMINIO: il dominio di alcuni uomini su altri uomini
perchè la società è organizzata in qesto modo : sul dominio di alcuni e sulla sottomissione degli
altri. Il concetto di dominio è un concetto assolutamente vastissimo che noi intendiamo come “
qualsiasi forma di potere di qualsiasi soggetto nei confronti di qualsiasi latro attraverso qualsiasi
mezzo e per qualsiasi scopo.ma allora come si può pensare che la Costituzione con i suoi
pochissimi articoli regoli immediatamente questo insieme vastissimo di fenonemi?
Inanzitutto possiamo definire le forze dominanti come un’insieme di soggetti che esercitano il loro
dominio e all’interno di questa definizione troviamo i partiti politici ma anche i titolari di funzioni
pubbliche, i protagonisti dell’economia e della comunicazione, le confessioni religiose...
La costituzione esercita la propria presa regolatrice sul dominio e sulle forze dominanti. Di fatto il
dominio politico si differenzia da quello genericamente inteso per il fatto di essere la forma
specifica di dominio esercitata all’interno di un gruppo politico. Pe definire il concetto di gruppo
politico possiamo prendere come riferimento le parole di Max Weber , che dice che
sostanzialemente una comunità politica viene intesa in questo modo dal momento in cui il suo agire
è rivolto a riservare un territorio e l’agire delle persone che lo occupano stabilmente al dominio
ordinato dei partecipanti, mediante la predisposione della forza delle armi.quindi il suo minimum
concettuale è: il mantenimento mediante l’uso della forza di un dominio ordinato sopra un
determinato territorio e sopra i suoi occupanti. Questo tipo di ocmunità esiste come formazione
distinta solamente senon è una pura comunità economica. L’agire della comunità politica si rivolge
tanto ai soggetti estranei alla comunità tanto ai partecipanti stessi. I gruppi politici acquisiscono un
particolare prestigio che deruva dalla specifica credenza dei partecipanti in una loro consacrazione
particolare cioè nella giuridicità del loro agire, un agire conforme al diritto. Per l’esercizio e la
minaccia di questa coercizione eiste nella comunità un’insieme di regole che prevedono i casi in cui
essse si applicano: regolamenti casistici, ai quali si è soliti attribuire una specifica legittimità. Essi
cdostituiscono l’ordinamento giuridico che oggi si ritiene trovare la sua origine normale nella
comunità politica. La comunità politica esige dall’individuo che egli affronti eventualmente anche
la morte , se gli interessi della comunità lo richiedono , questo perchè la comunità politica ha
necessariamnete bisogno di fondarsi su dei legami emotivi durevoli (elemento essenziale) e tali
legami emotivi possono essere riassunti cn il concetto di nazione. Pe definire il concetto di politica ,
è utile dire che necessario il legame che c’è tra lo Stato, il diritto, la Costituzione e la politica intesa
come attività sottesa al formarsi di tutti e tre questi fenomeni, come loro elemento generatore e
anche loro matrice. Lo Stato quindi possiamo dire che è la forma organizzativa che in epoca
moderna ha assunto il gruppo politico: la definizione di quest’ultimo conduce alla definizione di
attività politica e di fine, la definiizone di attività politica e di fine conducono alla definizione di
classe politica ,che conduce a sua volta alla definizione di costituzione in senso materiale, che a sua
volta conduce alla definizione di costituzione norma ,che conduce alla definizione di Stato, che
conduce alla definizione di ordinamento giuridico e quindi di diritto che conduce infine alla
definizione di politica intesa come matrice del diritto stesso. Conviene contaminare la teoria ella
classe politica con quella della costituzione in senso materiale, secondo la quale la costituzione
documento sarebbe l’esplicazione e il suggello di una serie di principi che già prima della scritttura
della costituzione documento erano riusciti ad essere effettivi nella vita del gruppo politico, in
quanto principi sostenuti o portati dll’insieme delle forze che proprio intorno a quei principi hanno
dato vita al compromesso costituente , inteso come compromesso sui metodi e sui fini dell’attività
politica futura (principi conflittuali). La classe politica è dunque quella frazione delle forze
dominanti composta da quelle che sono state autrici e poi continuatruci, sostenitrici e portatrici del
compromesso costituente.
In questo modo si chiarifica il rapporto tra costituizone e classe politica: infatti la costituzione di
fatoìto è un compresso, accordo , un patto, un contratto stipulato tra forze politiche diverse che nel
loro insieme formano la classe politica e fissano delle regole e quindi degli obblighi per i loro
comportamenti futuri. La costituzione può essere scritta: carta costituzionale oppure non scritta:
costituzione consuetudinaria.
SECONDA PARTE
la parola “legge” o regola significa regolarità e induce a formulare delle previsioni e cioè a ritenere
che la regolarità si verifichi sempre. In ogni caso tutte le regolarità derivanti dall’ossrvazione, sono
sempre, concettualmente, soggette alla falsificazione perchè non è possibile dimostrare che ciò che
è sempre ccaduto continuerà ad accadere anche in futuro. In ogni caso, l’uso della parola legge e
dell’espressione deve come regolarità dimostra che nel linguaggio comune è radicata la tendenza a
proiettare sul futuro le regolarità. Gli esseri viventi si comportano in modo ordinato, regolare e
dunque prevedibile: per questo motivo esistono certe regole secondo le quali si comportano gli
esseri viventi e il gruppo cui appartengono. Anche in questo caso la regola significa regolarità,
continuità e costante ripetitività. È utile sottolineare che la vita degli esseri viventi , nei loro rapporti
con l’ambiente e con gli altri esseri della stessa specie con cui vivono in società si svolge secondo
determinate regolaritàche sono diverse da specie a specie. Inoltre, a differenza degli altri esseri
viventi, l’uomo vive in società disciplinate non solo dal complesso di regole derivanti dalla spiecie,
ma da più insiemi, o ordini o complessi di regole: si tratta di regole che l’uomo stesso crea o si pone
in modo cosciente. Uno dei problemi e degli enigmi più affascinanti di sempre è: viene prima la
libertà o prima l’uomo?
La regola non sempre viene utilizzata per indicare regolarità, spesso viene anche usata per
esprimere un dovere, una prescrizione e quindi attraverso di essa si prescive una regolarità ed è
fondata sul giudizio. Le società umane sono disciplinate da una pluralità di ordini di regole , diverse
per origine e qualità. Possiamo di fatto dire che esistono regole che sono imposte dalla natura, dai
costumi, dalla morale , dalla religione, dalla moda, dall’autonomia delle organizzazioni sociali, dal
diritto, dall’autonomia dei singoli attraverso i contratti... dunque il diritto è solo uno dei numerosi
sistemi di regole che disciplinano la via degli uomini.ma chi stabilisce le regole che formano il
diritto? Così si apre una dicotomia: quella tra giusnaturalismo e giuspositivismo. Il primo modo di
pensare: o giusnaturalismo afferma che le regole fondamentali del diritto sono inscritte nella natura
dell’uomo e scolpite nel fondo dell’animo o comunque nella natura psichica dell’uomo: quindi si
può pensare che l’intero cosmo possegga un ordine che gli è stato impresso da un Creatore oppure
si può anche pensare che la natura, in tutte le sue manifestazioni, sia regolata da una legge che le è
intrinseca. I giusnaturalisti sostengono che la mente umana sia in grado di comprendere il disegno
divino o la legge intrinseca del mondo naturale. Questo modo di pensare può essere connesso ad
una fede oppure anche ateo: anche il razzismo infatti è una forma di giusnaturalismo.
Mentre, il secondo modo di pensare: il giuspositivismo afferma che l’intero diritto non è mai un
fatto naturale ma sempre e solo un fatto culturale: ciò significa che il diritto è un fenomeno
artificiale, costruito dall’uomo o meglio dalle società umane, e dunque che non esiste altro diritto se
non quello posto. Sicuramente esite un punto di contatto tra i due sitemi di pensiero. Da ora in poi,
ci soffermero in particolar modo sulla visione positivistica del diritto così com’è stata elaborata da
Hans Kelsen. Da qui parte la necessità di distinguere accuratamente il momento della progettazione
o immaginazione del diritto, della politica del diritto, della lotta per il diritto, da quello
dell’interpretazione-sistematizzazione-applicazione del diritto una volta che sia stato posto.Hans
Kelsen, il più grande giurista del novecento, anche uno dei più fraintesi, risulta essere l’autore della
teoria pura del diritto: ovvero lui è stato il ricapitolatoredi tutta la tradizione del positivismo
giuridicoe di averla depurata dagli elementi che erano stati considerati come propri del diritto in
quanto tale: in questo modo, il diritto poteva essere usato dalle nuove società che il novecento stava
partorendo: da quella comunista a quella del New Deal roosveltiano a quelle democratiche del
dopoguerra. Infatto, possiamo dire che Kelsen in qualche modo ha inteso purificare la teoria del
diritto da ogni riferimento interno a elementi filosofici, storici, antropologici, morali e politici per
individuare il carattere proprio del diritto. Il diritto positivo consiste nell’insieme di regole e
prescrizioni poste dal gruppo politico in quanto utili/funzionali ai propri fini e da questo garantite
con la forza. Per forza si deve intendere proprio la coercizione fisica: gli ordinamenti giuridici
moderni si cartterizzano per il divieto del ricorso alla violenza privata come conseguenza
dell’acquisito monopolio della forza fisica da parte di quel soggetto politico, caratteristico della
modernità che è lo Stato. Nella fasi più evolute della nostra storia la coercizione fisica non è dunque
una qualunque forza bruta, drastica ed efficace, ma la coercizione fisica legittima esercitata dal
potere statale in quanto monopolista della forza e unico potere in grado di predisciplinarne l’uso
attraverso un sistema di regole: un potere dunque consacrato come legittimo. Si tratta in questo caso
di regole definite regole giuridiche. Ma com’è fatto il diritto? A questa domanda possiamo dare due
tipi di risposta: la prima riguarda il diritto attraverso la sua struttura, la seconda attraverso la sua
struttura e funzione. Per la prima dunque il diritto è l’insieme delle regole fatte in un certo modo;
mentre per la seconda il diritto è l’insieme delle regole che, fatte in un certo modo, servono a una
certa cosa o a un certo scopo. È utile sottolineare che le regole di diritto si differenziano da tutte le
altre regole sociali, perchè prevedono una sanzione e dunque in quest’ottica il vero contenuto logico
della regola di diritto sarebbe: se qualcuno fa qualcosa come uccidere qualcun’altro gli dovrà essere
applicata una certa sanzione o pena. La norma dunque conterebbe una sorta di giudizio ipotetico, in
cui il nesso che c’è tra il verificarsi del fenomeno ipotizzato e l’applicazione della sanzione si
chiama nesso di imputazione ovvero nesso artificiale. Questo nesso non è proprio solo del diritto:
tutti gli ordinamenti normativi collegano comportamenti a delle sanzioni che è anche quello che
opera il passaggio tra l’essere e il dover essere. Quelllo che invece è prorpio del diritto è che la
sanzione consiste nell’applicazione della forza fisica. Ciò nonostante sono sempre più numerose le
norme che prevedono sanzioni positive come la riduzione di pena per la collaborazione con la
giustizia. Le norme infatti non più soltanto in considerazione comportamenti che si vogliono vietare
perchè considerati dannosi, ma anche comportamenti che si vogliono premiare perchè si vuole che
siano sempre più frequenti e numerosi. Ma, la teoria del diritto premiale non sembrerebbe adattabile
sotto il profilo storico e rappresenterebbe dunque un punto di svolta nella concezione del diritto
stesso poichè lo svincola dal nesso: divieto/minaccia di un male garantita dalla forza. La prospettiva
funzionalistica che risponde alla domanda :a che cosa serve? È una riconsiderazione del diritto dal
punto di vista dello Stato sociale. In realtà le due concezioni: quella strutturale e poi quella
funzionalesono diverse solo dal punto di vista dell’immaginario che le ispira, ma la seconda non ha
alcuna autonomia concettuale rispetto alla prima. Èanche necessario sottolineare la teoria secondo
la quale non tutte le regole di diritto possono essere riscritte come giudizi ipotetici statuenti la
doverosità dell’applicazione di una sanzione. Molte delle norme delle costituzione, ad esempio e in
particolari quelle che regolano i massimi organi dello Stato non prevedono alcuna sanzione.
L’obiezione in realtà è del tutto superficiale: perchè di fatto le regole costituzionali traggono la loro
validità dalla loro effettività e una volta che queste vengono violate apertamente e sistematicamente
significa che non sono più valide.
Il diritto è una tecnica assolutamente neutra per quanto riguarda i “fini penultimi”: ovvero i fini
concretidel concreto gruppo politico, a differenza di quelli ultimi. Per fini penultimi si intende dire
che sono assolutamente variabili, fungibili/sotituibili e si tratta di fini che danno sostanza specifica,
contenuto storico, al modello di società, che il gruppo politico sostiene.ciò significa che potrà essere
l’idea di una società autoritaria, fortemente controllata, una spcoetà libera o fortemente diseguale,
una società laica, un aperta oppure una fondata sulla ricchezza.il diritto è dunque una tecnica che
può servire per qualunque fine, com è nella sua struttura pura e come la storia lo dimostra: il diritto
quindi è una sorta di scettro e pertanto il suo uso dipende dalla mano che lo impugna. (come è stato
dimostrato dalle osservazioni che il novecento ha conosicuto contemporaneamente liberali, fascisti,
comunisti...). i valori che il diritto può realizzare non sono intrinseci al diritt stesso, ma vengon da
fuori e si tratta quindi di valori esterni che dipendono dunque da chi detiene lo scettro e dalla nostra
libertà e dalla responsabilità di utilizzare quello scettro e guidare quella mano che lo detiene.
Ma a che cosa serve il diritto se si tengono presenti le infinite diversità del diritto dei vari paesi? E
poi è possibile rintracciare nelle diverse società un insieme di regole, diverse per contenuti ma che
hanno gli stessi scopi che chiamiamo diritto? La risposta è sì: è effettivamente possibile rintracciate
nelle diverse società un nucleo di regole che rispondon agli stessi scopi: regole che vengono
percepite dai diversi popoli in modo differenti ma che tutte disciplinano: la posizione reciproca dei
membri della società, l’organizzazione dei poteri pubblici, la repressione dei comportamenti
pericolosi per il mantenimento dell’ordine sociale, l’attribuzione dei beni ai membri della società.
Dal punto di vista del diritto funzionalistico potremmo dunque dire che definiremo diritto l’insieme
di regole che rispondo alle predette funzioni. Per quanto riguarda la funzione abbiamo una prima
divisione tra gli appartenenti al gruppo politico e gli abitanti del territorio sul quale il gruppo stesso
vuole imporre il proprio ordine . ma, in generla,e gli appartenenti ad una societàpotranno essre tutti
egualmente liberi oppure tutti ugualmente soggetti al potere dispotico di uno solo, potranno essere
tra loro diseguali perchè divisi tra liberi e schiavi anche anche divisi tramite le caste o a causa della
religione, sesso, razza... in ogni caso qualunque organizzazione sociale comporta l’esistenza di
regole che stabiliscano che esercita il potere pubblico. La funzione poggia sulla necessità di
reprimere dei comportamenti contrari ai fini della classe politica e dunque pericolosi per il suo
mantenimento. Quelli che anticamente venivano definiti mala in se: ovvero mali indipendentemente
dalla proibizione legale, anche se vengono assorbiti dall’ordinamento giuridico in una proibizione
legale, a che cosa devono la loro qualificazione, intrinseca originaria di “dannosi”? non è facile
capire di fatto perchè un istinto umano profondamente radicato dovrebbe avre bisogno di essere
rafforzato dalla legge. Ma nonostante ciò, come chiarisce Sigmund Freud: i divieti giuridici e morali
vengono prodotto non per consolidare tendenze generali spontanee a non fare qualcosa ma, al
contrario, per contrastare tendenze fortissimea fare proprio ciò che la norma intende vietare. Il
comportamento naturale non è l’astensione dal comportamento vietato, ma quel comportament
stesso. E questo è espressione del fatto che il diritto è uno dei tre modi possibili per allocare le
risorse e i beni fra i membri di una società (insieme alla tradizione e al mercato).
A questo punto ci possiamo chiedere qual’è il senso del rapporto tra diritto e società? Nel tempo
sono state elaborate rispettivamente deu teorie distinte: nella prima troviamo colocate quelle teorie
che considerano il diritto come il riflesso e l’ombra dell’organizzazione sociale. Second questo
modo di pensare, prima esiste l’organizzazione sociale che verrà poi tadotta in un insieme di regole
che ne trascrivono e ne formalizzano i caratteri. Ed è come se prima esistesse un edificioe poi se ne
disegnasse la pianta per poterlo percorrere. In questo caso inoltre il diritto viene concepito come una
tecnica che serve solo a garantire, difendere e stabilizzare un’organizzazione sociale già stabilizzata
di fatto, così come essa è. Invece, nel secondo gruppo, possiamo trovarequelle teorie che
considerano il dirittto come l’indispensabile strumento per la costruzione dell’organizzazione
sociale stessae dunque nessuna organizzazione stabile esiste di per sè come un dato di fatto poichè i
poteri spontanei sono distruttivinei confronti di qualsiasi aggregazione. (perchè esista un edificio è
necessario costruirne la pianta). Le prime teorie pongono il loro fondamento ultimo del diritto nella
forza, mentre le seconde nella convinzione. Per la prima teoria,il diritto viene in questo modo
concepito come il mezzo attraverso cui viene organizzata e esercitata la froza dei gruppi dominanti
ed è come se fosse quindi, la regolamentazione della forza così come distribuita tra le varie
componenti dell’organizzazione sociale data.
Il problema delle democrazie è far coincidere questa forza con il potere della maggioranza della
popolazione evitando che possa trasformarsi in una tirannia della maggioranza stessa. Le altre
teorie, quelle che sono basate sulla convinzione, invece, vogliono metter in evidenza che il diritto è
sì una regolamentazione della forza, ma di una forza che non necessariamente corrisponde solo a
quella dei gruppi dominanti, ma è piuttosto una forza neutra, artificiale e in tal modo il diritto viene
presentato come rispondente inanzitutto al bisogno di tutti di sttoporre l’intera società ad un’unica
forza come quella di un arbitro, un terzo che le tenga insieme in modo accettabile per tutti e sono
fondate sulla convinzione generale della loro utilità. Le prime teorie sottolineano il nesso necessario
tra diritto e conflitto; e le seconde aottolineano lo specificocarattere del diritto come lo strumento
per prevenire e risolvere parzialmente i conflitti e quindi uno strumento utile per il mantenimento
dell’ordine sociale. Il concetto di conflitto è particolarmente illuminante per comprendere il
significato più profondo del diritto: le società fortemente organiche non conoscono il diritto. E le
società governate dall’arbitrio, nelle quali le contrapposizioni politiche vengono risolte direttamente
con l’esercizio della forza bruta da partedei gruppi dominanti posseggono delle regole ma è
scarsamente utile qualificarle come diritto.il diritto presuppone una situazione di conflitto tra parti
che si trovano reciprocamente in una posizionesi parziale e relativo equilibrio e decidono di
rinunciare al ricorso alla forza creando delle regole sulla base delle quali arbitrare e risolvere
pacificamente le future manifestazioni del loro conflitto. Il diritto romano nasce con le XII Tavole
son il primo testo legislativo formulato a seguito di un accordo che concludeva una lotta politica. La
scrittura è una garanzia che consegue all’origine del conflitto del diritto ed è il conflitto che segna il
passaggio dalla tradizione al diritto consapevolmente statuito il diritto che nasce dalla scelta che le
parti sociali contrapposte fanno, di risolvere il loro conflitto genreale attraverso un accordo su come
risolveranno i loro futuri conflitti particolari. La teoria della costituzione materiale come armistizio
stipulato tra forze contrapposte per definire un futuro pacifico è straordinariamente illuminante.
Esiste una teroia chiamata teoria dell’overlapping consensus di John Rawls, che spieg a che viene
identificato il contenuto essenziale della costituzione in quell’insieme di principi che risultano
comuni alle diverse parti tra di loro nemiche in cui si divide una società e ognuna di queste esprime
una diversa visione della società e del mondo in generale.

TERZA PARTE
La teoria della rappresentanza è un tema essenziale in questo ambito ed è la base di tutto l’edificio
statale, ed è antichissima. La rappresentanza e la democrazia di fatto sono due cose diverse al
momento che la rappresentanza può anche essere non democratica infatti il problema sta proprio
nel costruire un nesso robusto tra democrazia e rappresentanza. Per questo tema sono molto utili le
parole pronunciate da Umberto Terracini il 4 marzo 1947 in Assemblea Costituente in merito ad
una discussione generale sul progetto di costituzione della repubblica italiana: per lui essa svolge un
compito fondamentale che è quello di essere in tutti i propri membri di esempio al paese e di essere
quindi rappresentante degna del popolo da lui eletta. Il primo compito dell’assemblea è dunque
quello di dare esempio di intransigenza morale, di modestia di costumi e di onestà intellettuale,
rispetto reciproco... nel discrso di Terracin il rapporto rappresentativo non è descritto come un
movimento ascensionale che va olo dal basso verso l’alt: dal popolo verso gli istituti che lo
incarnano; ma si tratta invece di un rapporto bidirezionale, infatti se non c’è rappresentanza
dall’alto non ci sarà nemmeno dal basso. Gli individui sovrani di se stessi non generano di per sè da
soli alcuna rappresentanza ed è proprio per questo che la crisi della rappresewntanza non è mai stata
crisi del rappresentato ma del rappresentante: il rappresentato può certo sfarinarsi, frammentarsi,
sciogliersi in un voglo disperso che nome non ha, ma questo significa solo che ci deve essere un
rappresentante che lo renda uno. Quest’idea venne magnificamente espressa da Rousseau: mosè osò
fare di questo branco errante e servile un corpo politico e un popolo libero. E disse inoltre anche che
se c’è un branco errante c’è un rappresentante non capace.
Rappresentare politicamente una società non significa che uella società esiste già ma significa fare
esistere una società che non c’è ancora e in questo suo farsi diventa dinamica e attuale. È
interessante capire come poteva Terracini nel marzo del 1947 dopo 17 anni di galeraquando l’italia
era appena uscita da un’orgia di dìsangue, dire che il popolo italiano era un popolo eroico, probo,
incorrotto? Lo poteva dire soltanto perchè è così che voleva rappresentarlo e dunque farlo essere.
Quest’azione rappresentativa può essere intesa in due significati: fare una società che non c’è
perchè domina il caos, l’anarchia e la lotta di tutti contro tutti, oppure fare una società che non c’è
perchè quella che c’è non riesce a reggersi e non ha futuro, è disorientata e ha perso il senso degli
interessi collettivi e conflittuali. Tradizionale era più frequente il primo tipo di società nella quale ha
operato la rappresentanza, ma ora siamo di fronte invece al secondo tipo di società: allìinterno di un
contesto in cuic non si tratta più di di una moltitudine anomica e apaticaa, da una non società, ad
una società politica e in questo contesto fare la società vuol dire fare legami perchè oggi la
democrazia è diventata una democrazia senza popolo: ovvero che lo scheletro degli organi del
governo democratico non è impiantato sopra un popolo organizzato, ma bens’ su una folla
(oclocrazia: governo della piazza).
Qui si incontra il delicato ma importante problema del rapporto tra popolo e nazione: ma che cosa si
intendeva allora per nazione? Ci sono di fatto due modi per intenderla: una concezione artificialista:
in cui l’identità politica è l’identità politica e la cittadinanza è definita coem ius soli( diderviazione
francese), e una concezione naturalista in cui c’è tradizionalismo, nativismo e in cui l’identità
nazionale è anche concepita come identità etno-culturale e la cittadinanza è definita dalloius
sanguinis (di derivazione tedesca). Da un lato dunque una società che sta insieme perchè condivide
una serie di principi e valori comuni, mentre dall’altra una società che condivide unicamente legami
di sangue , di terra, di lingua di tradizioni e di costumi.
Dire che la sovranità appartiene al popolo significa dire invece che appartiene al popolo così com’è
con le sue fratture e con le sue divisioni attuali, storiche. Dire invece che la sovranità appartiene alla
nazione significa dire il contrario, ovvero che appartiene ad una società e comunità che c’è già e ha
già una sua identità e una sua volontà. Occorre pertanto tenere sempre distinte le due nozioni di
popolo e di nazione che però hanno ancheun punto in comune: la necessità di legami emotivi tra i
membri della società, ma si differenziano dal modo d’intendere questi legami. I riferimenti alla
nazione significano a capacità di dare una dimensione il più ampia e il più condivisa posssibile alle
azioni da compiere e ai probelmi da affrontare. Si fa dunque riferimento alla nazione per indicare la
capacità di costruire il terreno morale e sociale di tutto il popolo.
“fare la società attraverso la rappresentanza” significa rendere possibile una società che non si
autodistrugga, rendere possibile una società capace di reggersi su se stessa , una società dotata di
scheletro costituito dai legami di interesse e dai legami emotivi che reggono le formazioni sociali.
Alla rappresentanza non si chiede pertanto di fare limite , di offrire un limite alla forza dei legami di
gruppo; si richiede invece di offrire il limite alla forza della perversione individualistica , attraverso
un’offerta di legame sociale che crea la froza delle identità collettive.
Ma come può la politica offrire legame sociale? Le risposte possono essere due: la prima è tornare
indietro a due secoli emmezzo fa e pensare di affrontrare in termini totalmente individualistici i
problemi che si pongono. La aprola rivoluzione viene usata in riferimento alla situazione attuale .
bisogna in qualche modo offrire rappresentanza agli interessi parziali ovvero appartenenti alle
cerchie di soggetti più deboli e che hanno una debole consapevolezza della possibilie rilevanza
politica nel loro insieme : questa rappresentazione dovrebbe generare altre rappresentazioni di altri
interessi conflittuali e così si andrebbe a ricostruire il discorso politico rappresentativo . il lavoro più
urgente è dunque quello di rappresentare quei soggetti dispersi che chiedono di essere rappresentati
ma non la trovano: ma cosa vuol dire ancora una volta rappresentare? Vuol dire rendere presente
visibile tangibile credibile a colui che si vuole rappresentare una proposta sul senso della sua vita e
sulla via per risolvere i suoi problemi. L’oggetto della rappresentanza non è un’azione organizzativa
ma una proposta politica e rappresentare non significa farsi carico dei bisogni dispersi in quanto tali.
Poi, si deve anche osservare che all’interno delle culture politiche che hanno dato vita alla
repubblica hanno preso il sopravvento le componenti anarchiche e questo ha destrutturato i
modelli complessivi e i progetti politici di società, andandosi a perdere il significato di
rappresentanza che è il perno dell’unità politica. Ma se la società risulta oggi essere come smarrita e
dispersa, che cosa rapprestare?la parola rappresentanza appartiene aduna famiglia di sostantivi
quali: cittadinanza, sudditanza, vicinanza, sorveglianza, osservanza, perseveranza... che descrivono
delle condizioni o la posizione in ucui nìun soggetto si trova ed è la condizione o situaizone di
rappresentare. Si parla di rappresentanzain due casi: nei confronti di un soggetto che è assente
oppure nei confronti di un soggetto inattivo o incapace di agire. Ma si può dunque dedurre da
questo che la rappresentanza è sempre un agire che consiste nel realizzare una strategia contro
un’assenza insuperabile ma che deve necessariamente essere sanata e superata. Ma nel mondo
degli uomini com’è possibile trovare un potere cui tutti indiscutibilmente dovrebbero obbedire?
Questo è possibile attravresi udue strategie: quella della costruzione di un potere ascendente e
quella di un potere discendente. La prima tratta di un potere basato sulla figura della democrazia
diretta in cui il potere risiede nell’insieme di tutti; mentre un esempio della seconda figura potrebbe
essere quello della teocrazia in cui il potere risiede in Dio. La rappresentanza entra in gioco in due
modi diversi: nelle concezioni ascendenti la rappresentanza è una tecnica attravreso la quale si mira
ad esprimere una volontà imputata a tutti quando gli omnes sono impossibilitati a pronunciarsi
direttamente sulle singole questioni da risolvere. Mentre nelle concezioni discendenti la
rappresentanza è una tecnica attraverso la quale si mira ad esprimere una volontà imputata a Dio o
ad un’entità con l quale Dio è stato sostituito: la natura, la ragione, la nazione, il popolo...: l’uno e le
altre impossibilitate a pronunciarsi direttamente su qualunque questione perchè del tutto privi di una
voce umana.
Il problema della rappresentanza odierna si è posto all’origine del costituzionalismo moderno, nel
XVII secolo, il cui massimo filosofo fu Thomas Hobbes, di fronte alle guerre religiose e alla
sperimentazione dell’anarchia, della guerra tutti contro tutti. Ma storicamente il prblema si è posto
molto prima: nel I secolo d.C. nelle Chiese delle origini per superare il loro iniziale carattere
acefalo( senza principio e senza capo) e superarlo contrastando i conflitti interni. E ha continuato a
porsi anche durante il Medioevo e all’inizio delle modernità, e poi ancora con la nascita dell Stato
illuminista... e ancora oltre. Ma che cosa hanno in comune la Chiesa delle origini, lo stato assoluto e
quello costituzionale?perchè hanno bisogno tutte queste organizzazioni di una teoria della
rappresentanza? Perchè tutte pongono al loro vertice non una realtà compleatamente umana, un dato
empirico, ma un’entità spiritualeo astratta. Ma se alla base di tutto si trova un dato astratto, chi ha il
compito a questo punto di interpretare quel datoin modo da essere vincolante per tutti? A questo
punto è utile presupporre che gli indivudui siano perfettamente razionali nel riconoscere che le
procedure elettorali e il conseguente funzionamento degli organi elettivi sono preferibili rispetto a
qualunque altro mezzo per designare i titolari del potere politico e per controllare la loro opera. Ci
sono pertanto solo essere razionali in grado di capire i limiti del loro agire e dei metodi per definirli.
. e inoltre bisogna anche ritenere che questa ipotesi sia però irrealistica perchè è molto difficile
dimostrare che la razionalità sulla quale si fonda la democrazia sia una razionalità naturale,e dunque
presente in tutte le persone e che dunque i suoi esiti siano universalmente conosciuti.
Che cosa significa riconoscere il problema dell’assenza insuperabile e insopportabile del titolare
ultimo del potere? Significa che molte società tra le quali la nostra, non tollerano essere governate
da parti chiuse e nemiche di altre società. La storia di fatto mostra costanti tentativi di presentare il
titolare del potere politico come colui che esercita un potere generale senza essere quindi orientato
dalla sua vita privata e volontà egoistica.
La prima formulazione del concetto di rappresentanza come essere al posto di Dio, viene da
Ignazio, il vescovo di Antiochia nella sua lettera ai cristiani di Magnesia scritta tra l’88 e il 107;
successivamente nel periodo costantiniano si teorizzò che l’imperatore fosse un vicario di Dio e
che in quanto tale fosse rappresentante di Dio e del logos (cristo). Questo tema rimase pressocchè
centrale fino a l’inizio del regno di Luigi XIV, quando Bousset portò questo argomento alle sue
conclusioni estreme teorizzando il cardine del pensiero assolutistico: ovvero che i re erano
consacrati come rappresentanti di Dio sulla terra.
Il fatto che al vertice della riflessione sulla rappresentanza sia stato raggiuntodalla teoria atea di
Thomas Hobbes non inficia affatto su quello che abbiamo detto fin ora. Teoria atea non nel senso
che Hobbes fosse ateo, ma bensì nel senso che egli non ricorreva a Dio per il concetto della
rappresentanza, infatti rappresentanza era il fatto di uscire tutti dai propri diritti naturali per
devolverli al rappresentante, uscendo così tutti dal proprio stato di natura. Quest’ultima cosa è
prettamente un atto di ragione e non si tratta quindi di un atto di fede. La rinuncia al dritto di
ognuno su tutto e su tutti e finalizzata proprio a rendere possibile la trasformazione in leggi civili
delle leggi di natura,altrimenti sprofondate nel caos e totalmente ineffettive. Il rappresentante è
dunque una figura essenziale in quanto facitore dell’unità politica poichè trasformatore delle leggi
di natura in leggi civili: e dunque è il rappresentante delle leggi di natura stesse, della tensione
razionale verso la loro realizzazione. Queste brevissime osservazioni ciservono per capire che
rappresentanza sorge negli ordinamente al cui vertici c’è un’entità astratta definita anche come un
Dio che deve essere interpretato e manifestato: un assente che deve essere reso persente. Oggi il
rappresentato non è più l’ente astratto Nazione dotato di un suo presunto destino e di una sua
presunta volontà, ma il popolo in carne ed ossa nelle sue concrete divisioni.la rappresentanza nelle
democrazie pluraliste si sdoppia in rappresentazione attuata dai partiti e quella attuata dal
Parlamento: la prima consiste in primo luogo nell’organizzazione e interpretzione dei bisogni
interessi e passioni meditandoli e unificandoli in visioni del mndo e in programmi politici e si tratta
in questo caso di un’azione che va dal basso verso l’alto in questo caso inoltre i programmi politii
verranno presentati agli altri partiti ma non solo... a questo punto infatti la rappresentazione
realizzata dai partiti inverte la propria direzione perchè il soggetto davanti al quale ogni partito
rappresenta questa visione del mondo e questo programma non è solamente l’insieme di tutti i
partiti ma bensì la sua parte del popolo. Il partito rende presente alla sua parte di popolo un modello
di società e di vita come realtà possibili per i quali vale la pena operare. Ma questa
rappresentaziona opera anche per tutta la società di fronte alla quale rende presente una possibilità
di essere e dunque un’opzione possibile per il futuro. I partiti realizzano questo modello di
rappresentazione parziale della società e di vita. Ma, il Parlamento, come assemblea, oltre che
essere il luogo di questa rappresentazione vicendevole, in che senso è esso stessso rappresentante?
E di che cosa? E davanti a chi?
Inanzittuto tutto il Parlamento rappersenta davanti al popolo stesso,nella sua interezza il conflitto
che lo attraversa, con le linee di spaccatura ceh lo dividono ma esso non rappresenta solo una
società spaccata e divisa. Le sue parti in lotta sono infatti rappresentate come portatrici di un
atteggiamento conflittuale che però la Costituzione ha trasformato in un diritto alla conquista del
consenso delle parti avverse: un diritto riconosciuto a tutti e che in quanto tale presuppone
un’accettazione da parte di tutti di una composizione descrittiva del conflitto medesimo. E in questo
senso il Parlamento rappresenta davanti al popolo stesso la possibilità concreta dell’unità nazionale
e con ciò la fa essere: l’unità nazionale non è affatto un dato di natura ma è l’esito della capacità
rappresenttiva del Parlamento. Tutti si sottomettono dunque ad esso per avere quell’unità nazionale.
Per concludere questo discorso: in che senso si può dire che la rappresentanza in senso discendente
ovverso nel suo significato pi profondo, sia la rappresentanza di un modello e della possibilità di
una vita buona? Oggi bisogna necessariamente riconoscere che la politica democratica così com’è
oggi fondata sulla netta separazione tra politica e morale, è esausta.
È molto diffusa tra i giuristi la conoscenza di un passo del costituzionalista tedesco Bockenforde in
cui sostiene che lo stato liberale, lo stato della democrazia solo formale non è in grado di garantire i
suoi presupposti: presupposti che consistono nella necessità che la libertà che esso stesso riconosce
e garantisce s tutti sia discsiplinata dall’interno degli individui e della società, da una cultura etico-
politico profonda, diffusa e liberamente scelta. Senza questa disciplina liberamente scelta da
ciascuno e diffusa nella società, tutto crolla e si apre così la strada alle avventure più pericolose. Ma
come renderla continua? Come garantiral? E come mantenerla viva? Nessuna azione statale può
essere ammessa. Quella del costituzionalista tedesco è in realtà una riformulazione di un principio
kantiano. Iniziamo dunque col chiederci perchè moltissimi si indignano di fronte al naufragio dei
migranti, alla vita dei poveri, alle disuguaglianze.. e così via; ma non fanno nulla per guarire di fatto
quei mali? Perchè, si potrebbe qui rispondere con Kant, costono devono fingere di credere che in
loro stessie nella condizione degli esseri umani, sia dominante la presenza della legge morale che
impone pertanto di prendersi cura dei più deboli ad esempio,perchè solo questa finzione consente
loro di continuare a dire che attravreso la volontà di quei tutti in cui domina la llegge morale si
affermeranno leggi conformi ad essa , e dunque che la democrazia che è la voce quei tutti, è lo
strumento per realizzare la solidarietà , l’uguaglianza, il rispetto reciproco , garanzie di una vita più
libera per tutti... mentre di fatto il mondo va tutto da un’altra parte: in altre parole quella finta
indignazione , quella menzogna detta a se stessi è la condizione per tirare avanti e difendere lo
status quo. Ma oggi questa finzione non regge più.

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